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Thursday, July 17, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z M

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Macedo: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I refer to the Athenian dialectic, in contrast with the Oxonian dialectic, I point to the agora where Socrates philosophized barefoot, but also the gyms at Plato’s academy and Aristotle’s lizio – and last but not least, the portico, and the orto. Oddly, it was the orto, or garden, which for years, and thanks to Walter Pater – our father – remained for years the most influential school at Oxford, due to the efforts of one called Marius!” Filosofo italiano. Macedo was a philosopher and a friend of Aulo Gellio. Macedo. Keywords: Livio. Macedo. Refs.: Luigi Speranza; Grice e Macedo’.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Machiavelli: l’implicatura conversazionale del principe di Livio– Machiavelli at Oxford – la scuola di Firenze -- filosofia toscana – filosofia fiorentina – scuola di Firenze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Abstract. Grice: “Humpty Dumpty is wrong. If someone comes to you and she is named’Alice’ is very rare that you would be curious as to what ‘Alice’ means – it’s different with ‘Machiavelli’ – The surname Machiavelli is of Italian origin, primarily associated with the region of Toscana. While its precise etymology is debated, the leading theory suggests it derives from the Old Italian term ‘Machiave,’ which means ‘crafty’ or ‘shrewd’. Some sources suggest the nam’s meaning is related to ‘sneaky’ or ‘deceitful.’ This association with cunning and strategic thinking is strongly reinforced by the legacy of Niccolo Machiavelli, the influential Renaissance political philosopher and diplomat whose work, The Prince, explored pragmatic and sometimes ruthless approaches to governance. Other potential derivations include a hypothesis linking the surname to the medieval name ‘Malchiodo,’ a variant of the Hebrew name ‘Melki’or, meanin ‘my king) (God) is light’. In conclusion, the most widely accepted etymology links the surname ‘Machiavelli’ to the Italian term meaning ‘crafty’ or ‘shrewd,’ a meaning further empahsised by its association with the renowned philosopher Niccolo Machiavelli. Filosofo fiorentino. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “While Strawson prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher of language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.” -- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del termine, negli ambiti letterari viene preferito il termine "machiavelliano".  L'ortografia del cognome è, purtroppo, ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a lui dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto, farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.»  (N. M., Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò M. (scritto anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i M. sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica  e l'anno seguente affrontava le prove scritte di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone, Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti, soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo Savonarola.  Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò M.: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata, parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel fine ambiguo sorriso»  (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò M.)  Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica e religiosa del frate ferrarese, M. fu nuovamente designato ed eletto il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce essere stato suo maestro.  Per quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore responsabilità, M. finì per doversi occupare di una tale somma di compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario fiorentino».  Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze, autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera, dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano, alleato di Firenze.  In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa impossibile che reggessero».  Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento, quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato.  Nessuna prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la giustificazione di M., a nome della Repubblica, in risposta alle critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi, lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A M., presente ai fatti, non restava che informare la Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini.  Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia, M. poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et leggieri più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".  Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna»  (M., Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta: fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare. Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino M. e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero: ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani  «fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia pericolosissima.»  Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a M. fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.  M. giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli, ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma, veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele, al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la nocte  al duca parve di fare admazare Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe' strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo strangolati»  (M., Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio III, M. fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi bello», gli scrive la moglie Marietta. E M., che lungamente in questo scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze.  In Francia  Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò M. «a vedere in viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la coniettura e iudizio tuo». M. e a Milano per conferire con il luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.  Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione, ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni volta in terzine: M. non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende Firenze:  «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto se voi el tempio riapriste a Marte»  (Decennale primo) I tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai loro confini. M. andò a Perugia l'11 aprile per conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e M. ne trasse spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal Soderini, M. si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa di Prato. Con la pace concordata con la Francia, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al signore di Bologna, Bentivoglio, che era alleato, come Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al quale fu mandato M., che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a M. promettere aiuti a sua voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che, con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13 settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e rimprovero del M. e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre. M., tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari della Repubblica.  In Germania  Massimiliano I d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e lo stesso M.. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte,  e le lunghe trattative sull'esborso preteso da Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria.  Da questa esperienza M. trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna, compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in publico».  Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore, è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede».  La conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze mandò M. a far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4 marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace. M. accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la resa e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, M. era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E M. commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi tedeschi.  Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana, Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e M. fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo.  M. confermò l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno. Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 M. era ancora in Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.  Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto: sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere alle armi spagnole. Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, anche M. venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio.   Giuliano de' Medici duca di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche M. è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, è anche torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la "colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma scherzosa, la sua condizione di carcerato:  «Io ho, Giuliano, in gamba un paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo' contalle, poiché così si trattano i poeti  Menon pidocchi queste parieti grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello»  Giulio II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere, M. cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San Casciano in Val di Pesa.  L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516, a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia.  Sperava che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo desiderio che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che io sono stato a studio all'arte dello stato e doverrebbe ciascheduno aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue luci, M. scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della nostra letteratura:   L'Albergaccio di M. a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus»  (Lettera a Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici. M., da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che la non meritasse più».  La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava M. il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. M. si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico  «scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche sue.»  Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di ciascun altro.  Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì, lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a M., lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta retribuzione. M., galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe l’Arte della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione col Guicciardini. I  Medici furono cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la repubblica. M. si propose come candidato alla carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per M. fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia nella basilica di Santa Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome).  Pensiero M. e il Rinascimento Con il termine M.co si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale che M. sentiva nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti".  Con M. l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica. Secondo M. la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver infangato la reputazione di Firenze:  «Alighieri il quale in ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo risuscitato di nuovo morire.  Poi, durante un altro scambio immaginario con Aligheri, M.i rimprovera il carattere "goffo", "osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato nell'Inferno:  «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo, come è quello:  "Poi ci partimmo et n'andavamo introcque";  non hai fuggito il porco, com'è quello:  "che merda fa di quel che si trangugia";  non hai fuggito l'osceno, com'è:  "le mani alzò con ambedue le fiche";  e non avendo fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella»  Autografo delle Historiae Fiorentinae Per M. la storia è il punto di riferimento verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche le strade da non ripercorrere. M. si basa su una concezione ciclica della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi". Ma ciò che allontana M. da una visione deterministica della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo anche violenza, se necessario, alla legge morale.  Non a caso il Principe, nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo, a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del principe.  Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio a Cesare Borgia. Il M. ha dunque un'importanza fondamentale per la scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece del M. un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del Settecento, mentre il M. la usò in senso particolaristico e cittadino (es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia, M. propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia; così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di una civiltà italiana, M. predica la liberazione dell'Italia sotto il patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che spezzava in due la penisola.  Ma l'unità d'Italia resta in M. un problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma la figura ideale del principe nuovo. M. dunque intraprese un viaggio che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della "nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento culturale).  Il principe o De Principatibus. Niccolò M. nello studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati, quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una figura rispettata e conosciuta in loco).  Altro elemento caratteristico del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo, fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente la concezione realistica e la concretezza del M., il quale non viene a proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".  Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia "volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone). Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di M. viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre M. non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello Stato.  M. nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere risolta con un atto deciso, forte, violento. M. non vuole proporre dei mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo, figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei "grandi", cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti.  Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue»  (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo cinismo con cui M. descriveva il comportamento freddo, razionale ed eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica destinato al governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato. Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di M., che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale, per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni, M. venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e:  «...di non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»  (Attribuita a Niccolò M.[28]). M.smo § L'antiM.smo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che vedeva in M. un precursore della politica laica e del repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33], Vittorio Alfieri[34], Baretti, Galanti, gli enciclopedisti (in primis Diderot[3 Opere: Discorso 8] edAlembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento; ne è un esempio quello che Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di M..  In generale, per i sostenitori di questa lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta di Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi).  In epoca più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di M., che non descrive mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da M. è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti, provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al concetto astratto.  In generale si parla di uno stile "fresco", come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male, con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito di un maggior rigore logico-sintattico. M. rende evidenti concetti che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine, Venezia, Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, Decennali Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni critiche in pubblico dominio:  Legazioni, commissarie, scritti di governo. Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria, traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio. Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in "Makaveli", venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò M. viene proposto anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò M. è, assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il Principe di M. e il suo tempo" (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, promossa dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la sezione "M. e il nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette, schede telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e videogiochi dedicati a M.. Nella serie I Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga, catalogabile sotto il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro omaggio a Niccolò M. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo Crea, Edizione nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò M., Salerno Editrice di Roma:  Il principe, Mario Martelli, corredo filologico Marcelli,  Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti politici minori, Masi, Marchand, Fachard,  Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo Varotti,  ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia, Pasquale Stoppelli,  Scritti in poesia e in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Rèndina, Grazzini, Marcelli, coordinam. di Bausi,  ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Marchand, Guidi, Morettini,  Legazioni. Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina,  Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo Melera-Morettini.  La famosa frase "Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso come esempio di M.smo, è del critico letterario Francesco de Sanctis, con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di M. espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia della letteratura italiana, dedicato a M., recita: "Ci è un piccolo libro del M., tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda l'opera. E hanno chiamato M.smo questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un M. rimpiccinito".  Celebrazioni per il V centenario del Principe di M., Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo M.di Santa Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4  Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano  L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio, Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque latinae linguae flores accepisse»  R. Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "M.". Il Senato romano fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,.  Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a' prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro. Ed avessi fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da quella potesse dependere»  Nella sua Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di M.  Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le opere storiche, politiche e letterarie. Lettera ai Dieci, Il carcere, la tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori,  David Quint, Armi e nobiltà: M., Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra.  Il M.smo, su dizionariostoria.wordpress.com. M.smo, Treccani, 2Citata in Niccolò M., Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. POLE, Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae  che talvolta elogiarono però anche alcuni consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione, del trattato sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il popolo  La fortuna di M. nei secoli, su windoweb «M. era un uomo giusto e un buon cittadino; ma, essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani fingendo di dare lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Rousseau, Il contratto sociale. Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne... all'incontro, il M. nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,)  «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava: presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua dannata opera.»  G. Galanti, Elogio di N. M. cittadino e segretario fiorentino  Alessandro Arienzo, BORRELLI, Anglo-American Faces of M., Voce "M.smo" dell'Encyclopedie  Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in M. e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in Antologia della letteratura italiana, cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e di un amico.  Introduzione a: ORIANI, M. //repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik  Video di Fo che parla di M. (trasmissione tv Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di M. e il suo tempo. Catalogo della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La  su M. è sterminata. Tentativi di redigerla sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero politico di M., seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo Fiore, M.: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New York‑Westport‑London; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie del M., in "Lettere italiane", Cutinelli‑Rendina, Rassegna di studi sulle opere politiche e storiche di M., in "Lettere italiane", Nell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera M.: enciclopedia M.ana. Di seguito una selezione di studi. Gilbert, M. e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, LEFORT, Le travail de l'oeuvre M., Paris, Gallimard, Marchand, M.: I primi scritti politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo Bruscagli, Niccolò M., Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto Ridolfi, Vita di M., Firenze, Sansoni, CHABOD, Scritti su M., Torino, Einaudi, John Greville Agard Pocock, Il momento M.ano: il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, Dionisotti, MACHIAVELLERIE, Torino, Einaudi, SASSO, M.: Il pensiero politico;  La storiografia, Bologna, Il mulino (Napoli); Procacci, M. nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, Gennaro Sasso, M. e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di M., Roma-Bari, Laterza, Cutinelli-Rendina, Chiesa e religione in M., Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Dotti, M. rivoluzionario: vita e opere, Roma, Carocci, Bausi, M., Roma, Salerno editrice, INGLESE, Per M.: l'arte dello stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, M.: i tempi della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere M., Bologna, il Mulino, Pedullà, M. in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei 'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J. Connell, M. nel Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli,  Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. M. e la genealogia di un modello culturale, Roma, Donzelli, Ciliberto, Niccolò M.. Ragione e pazzia, Roma-Bari, Laterza,. Altri contributi A. Montevecchi, M., la vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano E. Janni, M., Milano S. Zen, Veritas ecclesiastica e M., in Monarchia della verità. Modelli culturali e pedagogia della Controriforma, Napoli, Vivarium (La Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella, M., Tacito, Grozio: un nesso "ideale" tra libertinismo e previchismo, in "Filosofia", Torino, Mursia, M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato Pontificio  in Collectanea Archivi Vaticani, Città del Vaticano 2002 F. Raimondi, M., in La politica e gli stati, Roma Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia. Roma, Bulzoni, Figorilli, M. moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna. Napoli, Liguori editore, A. Capata, Il lessico dell'esclusione. Tipologie di Virtù in M.', Manziana, 2008. Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma, Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in M., in «The Lab's Quarterly», Pisa. Giuseppe Leone, Silone e M.: una scuola... che non crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina.  M. i Guicciardini, Lublin, Marietti, "M.: l'eccezione fiorentina", Fiesole, Cadmo, Marietti, Machiavel, Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e repubbliche. M., le forme politiche e il pensiero francese del Cinquecento, Tep, Firenze Verrier, Sforza et M. ou l'origine du monde, Vecchiarelli, Cutinelli-Rendina, Introduzione a M., Roma-Bari, Laterza, Lettera a Francesco Vettori Letteratura italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine Barbara Salutati M.smo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò M., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.M., su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. M. su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò M., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Niccolò M., su Find a Grave. Liber Liber. openMLOL, Horizons Unlimited Progetto Gutenberg. Audiolibri di M. su LibriVox.  di Niccolò M., su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Goodreads.Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. M. su Internet Movie Database, IMDb.com.  M. su filmportal.de.  Antonio Enzo Quaglio, M., Niccolò, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Franceschini, M. Enciclopedia dell'italiano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, -. il Principe, ediz. Istorie fiorentine, ediz. Le opere minori di M., su M..letteraturaoperaomnia.org. Opere di M. con giunta di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Silvestri, Rassegna bibliografica degli studi M.ani: una ricognizione dei contributi scientifici dedicati al M. negli ultimi decenni. Grice: “L. J. Cohen told me that he once asked for the MS of The Prince at his college – and they told him: ‘We cannot find it!’ --. Nome compiuto: Niccolò di Bernardo dei Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: Livio, storia romana – H. P. Grice on the history of England – Livio, storia romana –la storia romana come fonte d’essempi nella filosofia romana --il principe, Macchiavelli fascista – l’ossessione dal duce per Machiavelli, la dottrina fascista dello stato machiavellico, impiegatura Machiavelli. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Machiavelli.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Macrobio: l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Abstract. Grice: “When I won at Clifton a classics scholarship to Corpus I knew that sooner or later I would come to love Macrobius!” -- Filosofo italiano. Adere al Platonismo. E praefectus praetorio Hispaniarum, proconsole d’Africa, praepositus sacri cubiculi, gran ciambellano. È ignota la patria di M. Certamente M. dove essere legato da stretti rapporti alla famiglia dell’oratore Simmaco, a un figlio o nipote del quale dedica un saggio. Scrive un commento al Sogno di Scipione di CICERONE, che ci è giunto intero, e i Saturnalia, lacunosi. Dal saggio "De differentiis et societatibus graeci latinique verbi", Delle differenze e concordanze del verbo greco e del latino," restano soltanto estratti, nulla può risultare sull’argomento. Nel "Commento", dedicato al figlio Eustachio, cerca d’interpretare in senso platonico il saggio di Cicerone, accumula molta erudizione e perciò spesso si occupa di argomenti che poco hanno da fare col suo oggetto. I frequenti riferimenti al "Timeo" e le lodi del Platonismo -- Platone e Plotino sono chiamati, i principi della filosofia -- fa supporre che Macrobio si sia servito di un commento platonico a quel dialogo, probabilmente di quello di Porfirio, derivato in ultimo dal commento di Posidonio.Si è anche pensato a una fonte latina intermedia e sulla questione sono state presentate svariate ipotesi.In ogni caso, anche se non si giunge a considerare Macrobio come un semplice trascrittore di una o due opere altrui, che non mette nulla di suo, si può sospettare che non abbia letto i numerosi autori che cita, Posteriori al Commento sembrano i Saturnali in 7 libri, scritti prima della pubblicazione del commento virgiliano di Servio, pure dedicati al figlio Eustachio, al quale volle presentare i risultati dei suoi studi di autori di cui generalmente riprodusse le parole. Però cerca di organizzare tali temi fingendo di riprodurre le conversazioni che, durante banchetti fatti in occasione delle feste dei Saturnali, avevano tenuto persone insigni per cultura su argomenti svariatissimi. Quest'opera, che e espressione del genere letterario dei simposio o convito iniziato da Platone, contiene materiali molto diversi, sia per il significato delle questioni trattate, che per l’importanza delle notizie riferite. Macrobio cita numerose fonti, ma non è sicuro che le conosca direttamente tutte, tanto più che non nomina quelle di cui deve essersi servito più largamente, Plutarco ("Questioni conviviali") e Aulo Gellio. I libri più significativi sono quelli IV-VI, che riguardano VIRGILIO, di cui si esalta la universale e profonda sapienza su ogni argomento. Le dottrine filosofiche che M. espone nel commento al Scipione di Cicerone si conformano al Platonismo di Plotino. Il divino o il buono, causa prima e origine di tutti gl'esseri, che trascende il pensiero e il linguaggio umano, e l’intelletto (nous o mens) che include in sè la idea o il modello originali della cosa.L’intelletto è poi identificato alla monade o unità prima pensata col neo-Pitagorismo, non come numero, ma come la sorgente e l’origine dei numeri. L’intelletto, a sua volta, genera l’anima cosmica, identificata a GIOVE, che è principio di vita per tutte le cose corporee che essa forma imprimendo nella materia l’immagine dell'idea.Così una sola luce divina illumina tutte le cose, connesse tra loro da vincoli reciproci e ininterrotti. Nei corpi del cielo e delle stelle il principio animatore è una pura attività razionale.Nella filosofia psicologico, M. dice che nell’uomo ad essa anima si uniscono l'anima sensitiva e l'anima vegetativa, che sole si trovano negl'esseri inferiori. Rispetto alla esistenza dell'anima, prima e dopo la sua unione col corpo, alla sua discesa dal cielo e alla ascesa ad esso, È pp alla reminiscenza, alla sorte che l’attende dopo la morte.Macrobio si conforma alle dottrine che il Neo-Platonismo deriva dalla tradizione pitagorico-platonica e che appartenevano al patrimonio comune della coscienza dell’età sua. Anche per M. il corpo è un sepolcro dell'anima (soma sema), sicchè la filosofia deve insegnare all'uomo a liberare l’una dai vincoli dell’altro.Perciò, riprendendo la teoria plotiniana delle virtù, Macrobio pone su quelle politiche (dell’uomo nella vita sociale) la virtu purgativa, che lo purificano dal contagio del corpo, che sono proprie di chi vuole immergersi nella contemplazione filosofica, quelle di chi ha raggiunto tale scopo, liberandosi completamente dalle passioni e al di sopra di tutte, la virtù contemplativa dell’intelletto. Il commento ha così trasmesso al pensiero medioevale la conoscenza di numerose teorie platoniche e neo-platoniche, fra le quali ha particolare importanza l’identificazione dell'idea a un pensiero divino. Ambrogio Teodosio Macrobio. Macrobio raffigurato in una miniatura del Medioevo Ambrogio Teodosio M. (in latino: Ambrosius Theodosius Macrobius) è un filosofo Italiano. Studioso anche di astronomia, sostenne la teoria geo-centrica. Una pagina dei Commentarii in Somnium Scipionis di M.. Della vita di Macrobio non si sa molto e quel poco che è stato tramandato dai suoi contemporanei non è del tutto affidabile. Così è dubbio se vada identificato con il M. che fu proconsole d'Africa o col Teodosio prefetto del pretorio d'Italia, Africa e Illirico, identificazione oggi condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Due cose appaiono però certe agli storici moderni: che M. nacque nell'Africa romana e che non professasse il Cristianesimo (come creduto nel corso del Medioevo), ma fosse pagano.  Opere  Lo stesso argomento in dettaglio: Saturnalia (M.). I Saturnalia, la sua opera principale, sono un dialogo erudito che si svolge in tre giornate, raccontate in sette libri, in occasione delle feste in onore del dio Saturno. L'opera ha un carattere enciclopedico ed è centrata principalmente sulla figura di VIRGILIO, anche se i suoi contenuti spaziano dalla religione alla letteratura e alla storia fino alle scienze naturali. M. contribuì significativamente all'esegesi dell' “Eneide” e dell'opera di Virgilio più in generale. Inoltre è grazie a lui se ci sono pervenuti frammenti di vari autori famosi, tra i quali spiccano Ennio e Sallustio, e se si è mantenuto il ricordo di autori meno conosciuti come Egnazio e Sueio. Nei Commentarii in Somnium Scipionis, partendo dal Somnium Scipionis di Cicerone, scrive un commentario in due libri, dedicato al figlio Eustazio. In questi due libri emerge il pensiero filosofico neoplatonico: Dio, che è origine di tutto ciò che esiste, crea la mente (noûs), che crea l'«anima del mondo; a sua volta l'anima del mondo, a poco a poco, volgendo indietro lo sguardo, essa stessa, incorporea, degenera fino a diventare matrice dei corpi. M. compose anche un'opera grammaticale dedicata al verbo greco e latino, De verborum graeci et latini differentiis vel societatibus (titolo da preferire al più diffuso de differentiis vel societatibus graeci latinique verbi, basato sia su fonti grammaticali come Apollonio Discolo, Gellio, e una fonte utilizzata anche da Carisio e Diomede. L'opera nella sua forma originale non si è conservata ma ne restano ampi estratti, i più importanti dei quali sono quelli realizzati nel IX secolo molto probabilmente ad opera di Giovanni Scoto Eriugena. Un altro gruppo di estratti, più limitato ma testualmente molto valido, è conservato in alcuni fogli di un manoscritto bobbiese scritto fra il VII e l'VIII secolo. Infine l'operetta macrobiana è stata ampiamente utilizzata da un trattato grammaticale sul verbo latino, composto forse in area orientale e tramandato anch'esso da un codice di provenienza bobbiese. Tutte queste testimonianze ci consentono di farci un'idea piuttosto precisa del contenuto della perduta trattazione macrobiana, che sembra destinata, più che ad una utilizzazione scolastica, a fornire esempi e discussioni erudite sul sistema verbale latino, utile soprattutto per un lettore colto, in possesso di una buona formazione linguistica. Va inoltre notato come questa sia in pratica l'unica opera latina dedicata esplicitamente ad un'analisi sistematica del sistema verbale latino, che trova qualche analogia solo in alcune sezioni della grammatica di Prisciano. Ampie parti dell'opera furono citate in un manoscritto del IX secolo attribuito a Scoto Eriugena. Durante il Medioevo Macrobio fu identificato come cristiano e per questo poté godere di una buona reputazione, che gli permise di essere letto, studiato e citato dai più illustri filosofi come Pietro Abelardo. Le sue opere furono copiate dagli amanuensi nei monasteri e così non venne dimenticato, ma, terminato il Medioevo, in un primo tempo non venne considerato dagl’umanisti, che poi invece lo ripresero. Non ha avuto tuttavia grande considerazione nel XV secolo, poiché, al Neoplatonismo, la maggior parte degli studiosi preferiva le opere di Platone stesso. L'appartenere ad un periodo così tardo della storia antica non gli ha mai giovato e solo oggi si sta riprendendo lo studio delle sue opere in modo più approfondito, pur con meno intensità rispetto al Medioevo. In effetti gli studiosi oggi non analizzano tanto l'opera di Macrobio per conoscerne e apprezzarne il pensiero, ma cercano più che altro di dargli una datazione e un'identità. Codice teodosiano. ^ P. De Paolis in Lustrum, Cicerone, De re publica, lib. VI. ^ Macrobio Ambrogio Teodosio, su romanoimpero.com. In Somnium Scipionis, Venetiis..., Per Augustinum de Zannis de Portesio : ad instantia Do. Lucam Antonium de Giunta, 1513 Die xv. Iunii). M., Commento al sogno di Scipione, testo latino a fronte, Saggio introduttivo di Ilaria Ramelli, traduzione, bibliografia, note e apparati di Moreno Neri, Milano, Bompiani, Macròbio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alessandro Olivieri, MACROBIO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ambrosius Theodosius Macrobius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (LA) Opere di M. su Musisque Deoque.  Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Modifica su Wikidata Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Pubblicazioni di M. su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. Macrobio a Ravenna Internet Archive., su patrimonioculturale.unibo.it V · D · M Grammatici romani V · D · M Platonici. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Filosofia   Portale Letteratura   Portale Lingua latina Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Funzionari romaniScrittori del V secoloRomani del V secoloNeoplatonici. Macrobio is best known as the author of Saturnalia, a semi-philosophical dialogue that covers a wide range of topics, although its principal one is the poetry of Virgil. However, there are also some reflections on religion and matters of psychology. More interesting philosophically is a commentary he wrote for his son on the Dream of Scipio by Cicerone – an extract from his Republic). In it Macrobio explores the nature of the soul, mainly from the point of view of the Accademy. The ssoul’s immortality and divine nature are discussed in the light not only of philosophy but also in that of the science of his day. Nome compiuto: Ambrogio Teodosio Macrobio. Keywords: Macrobio. The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Màdera: l’implicatura conversazionale della carta del senso – la scuola di Varese -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Abstract. Grice: “It may be said that, given that we gave so many seminars together, I would often agree, out of courtesy, with my former pupil, Strawson, about the oddity of coming out of the blue with something like ‘’The King of France is bald’ is false’ or ‘’The king of France is not bald’ is true – Strawson rather appeal to the a truth-value gap. To the nine conversational maxims, there was a point in time, when I felt like adding a tenth – and call it the conversational decalogue. This tenth maxim would require that you state in your conversational move the most explicit form for rebuttal. My inspiration was Cook Wilson on the ‘taken for granted’ – the uncontroversial – the deep berths of language that come with a premium. In the format S is P, we IMPLICATE that S is not void!” Filosofo italiano. Varese, Lombardia. Grice: “I like Madera; especially because he uses words I love, like ‘sense’ – ‘la carta del senso’ and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha insegnato a Calabria e Venezia.  È membro dell'Associazione italiana di psicologia analitica, del Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo studio del gioco della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della redazione della Rivista di psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti di pratiche filosofiche di Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a Milano.  Studia Jung. Define la sua proposta nel campo della ricerca e della cura del senso "analisi biografica a orientamento filosofico", formando la Società degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A Orientamento Filosofico”, pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo psico-analitico, nata agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città.  La pratica dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante. L’orientamento filosofico è inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi delle istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza; l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i processi formativi integrandoli con le psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica” dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso come il fattore terapeutico fondamentale.  L'analisi biografica a orientamento filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o psichiatra.  Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e comunitari.  L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica.  Saggi: “Identità e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano, “L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita,  Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,,  Ipoc,  Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche, Ipoc, Milano   Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis, Milano  “Che tipo di sapere potrebbe essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica,  “Dalla pseudo-speciazione al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica, Mimesis, Milano-Udine  Campanello L., "L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano  Daddi A. I., Filosofia del profondo, formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta, Ipoc, Milano,  Daddi A. I., “Principio Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina Mentis, Monza,  Diana M., Contaminazioni necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”, Feltrinelli, Milano  Gamelli I., Mirabelli C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura, Cortina, Milano  Janigro N., La vocazione della psiche, Einaudi, Torino  Janigro N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano  Malinconico A., "Dialettica di redazione (ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium, Milano  Montanari M., “Per una filosofia del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano  Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia, Milano  Moreni L., “Intervista a tre analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico  Analisi biografica e cura di sé  Una nuova formazione alla cura  Psiche e città. La nuova politica nelle parole di analisti e filosofi  Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Nome compiuto: Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library. Madera.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maffetone: l’implicatura conversazionale – filosofia campanese – filosofia napoletana – scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Maffetone; he tries, like I do, to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he provides his view on the foundations of Italian liberalism – and has recently explored the topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a Napoli. Ha contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica dell'economia e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi del liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente della Fondazione Ravello.  Saggi: “I fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore. Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords: contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords: quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “Sometimes, derivatives are a trick. The Romans had a wonderful concept of NATVRA, a strict rendition of Greek PHYSIS – and yet, you find philosophers using ‘nature’ only metaphorical – as when I refer to the irreverent talent with which the sage Nature endowed me. Instead, a philosopher likes an adjective, as when, now as I look back, I addressed the Oxford philosophical society on the topic of ‘meaning’ – Borrowing from the adjectival uses of ‘naturalis’ and ‘artificialis’ as applied to ‘meaning,’ or ‘segno,’ I oblitated Nature into the bargain!” Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Magalotti – very philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either – ‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural experience – and there is supernatural experience!” Appartenente all’aristocrazia, figlio del prefetto dei corriere pontifici. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di VIVIANI e MALPIGHI. Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento, fondata da de’ Medici. Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere: “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del conte M. e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo, Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte M. gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere del celebre conte M. ora per la prima volta dato alla luce e dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Filips tradotto dall'inglese in toscano dal celebre conte M. ora per la prima volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte M. con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della letteratura itLuialiana, Torino, POMBA, M., Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte M. Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade Lettere scientifiche ed erudite La donna immaginaria Novelle (il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78 ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire, che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera. Sopra un effetto della vista in occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX. Sopra la lettera B, e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta notte aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo gli apparisce Fombra di VIRGILIO, il cui ajuto è da esso caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima natura di quella 6era, onde cam« porne lo strazio, offerendogli sè per guida | a tener altra a Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e tenendogli dietro ti mette in cammino. V. I. Nel mezzo del cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio, nella aposizione della canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia; dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la metà del suo corso, secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e non allegoricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un luogo deir Inferno, caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli risponde, V. 49; Lassù di sopra in la vUa serena * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle, 1 Avanti (he Vetà mia fosse piena: riferendoli a questa selva» nella quale racconta essersi smarrito nel mezzo del commin del suo vivere. V, per una selva oscura. Forse questa selva ^ oltre al senso letterale, che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio, ha sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono arricchite molte parti di questo primo canto; e vuol per avventura s guilicare la selva degli eiTori, per entro la quale assai di leggieri si perde l' uomo nella sua FRIICO. a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato in una città, non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento di colui, che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella teloa erronea di questa vita, non saprebbe tenere il buon co/mmino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato; nè il mostrar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente, V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti, mediante la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio, che è la fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc. Il colle è forse inteso per la virtù, la qual si solleva dalla bassezza della selva. V. l6 vidi le sue spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc. Il senso letterale è aperto, volendo dire, che la cima del colle era di già illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia illuminante, la quale all' usctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trapelare con qualche raggio nella sua mente. V. ao. Che nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare, nella passione della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali, 4 Canto prrò eh’ e' parla in lingolare, pigliando la parte pel tutto, vuol forae dir principalmente del destro, che del sinistro i maggiore. ALIGHIERI lo chiama lago, credendosi forse che il sangue che v’ è, vi stagni, non essendo in que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade molto a proposito il considerare un luogo maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice cosa intorno alla circolazione da far facilmente credere, eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dunque così : Dunque eh' i’ non mi sfaccia, Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non i proprio valor, che me ne scampi, Ma la paura un poco, Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia, insalda ’l cor, perchè più tempo avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte appassionato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sentimento di questi versi suppone necessariamente la notizia della circolazione del sangue; la quale, a dir vero, so fosse stau immaginata, non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile, eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la curiosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere, come, il poeta altro facendo, e forte altro intendendo di voler dire, gli è venuto detto cosa, che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi, ^ tale : Ma il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di fluidezza il sangue, il quale nel vagar per le vene s'agghiaccia dalla paura, e ciò a fine di farlo arder miseramente più lungo tempo. Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene lontane o per paura, come in questo caso nel PETRARCA, o per qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta? Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Davanzati nella sua Lezione delle monete. Il luogo ò il seguente : Jl danojo è il nerbo della guerra, e della repuhhlica, dicono di gravi autori, e di jolenni* Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè, siccome il sangue, eh' è il rugo e la sostanza dei cibo nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle minute, annaffia tutta la carne, ed ella il si Bee, com* arida terra bramata pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale s'asciuga, e svapora: così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della terra, come dicemmo, correndo per le borse grosse nelle minute, tutta la gente rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontlnuatnente nelle cose, che la vita consuma, per le quali nelle medesime borse grosse rientra, e cos't rigirando mantiene in vita il corpo civile delta repubblica. Quindi assai 6 Canto éi leggler ti tomprende, eh* ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una quantità di sangue, che corra» Che dunque diremo di queit* autore ? Nuli* altro ceiv tamente, te non che, dove i profeMori delle mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d* inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine. V. 35. CoA /'animo miò, eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora, quasi come se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno, le fuggi Canitno, e vinta cadde ropaa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7 piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il che si convince anche più manifestamente da quel che segue: V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti vuol significare ( e tanto più accompagnau con l'altra al cominciar t che denota futuro), che PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in fin allora avea camminato, adunque a piano. Nè li opponga quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’ eh’ i fui appii d" un colle giunto; poiché appiè d'un colle li dice anche in qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l 6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle, tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà dilEcoltà il seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco; dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi saliva. Saliva, ma dopo aver prima fatto il piano, per lo qual camminando il pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la speranza dell’ altezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una lonza ecc. Una pantera. Per essa, come animai sagacissimo, intende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per nn^ volta un simile scherzo, Ub. IV, corm. VI, v. 9 . Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire. 8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis, CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39 quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle Direi, che per la motta di quelle cose belle non intendette altro il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea primaria nell* idee tecondarie, che è il diramamento dell* uno nel diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell* univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente divina. £ non è inveritimile, che ALIGHERI abbia voluto toccare quetta dottrina platonica, nella quale, come appare maoifettamente da altri luoghi della tua Commedia, e principalmente nell* XI del Paradito, egli era vertatittimo, donde ti raccoglie e 1* intento amor delle lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento, mentre in un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni platoniche, quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor tradotti dal greco idioma, o t*egli erano, grandittima penuria vi aveva de’codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben m'avvito, tal dottrina Incavò egli a capello da BOEZIO, del qual aurore il poeta fu ttudioiittimo, dicendo nel tuo Convivio queite formali parole : Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente» che s'argomentava di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva ) ritornare al modo» che F ni u o. 9 alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad allegare e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato, consolato si aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a intender Puniverso aotto il nome di bello, e ti per la moMa delle cose belle intender la mossa del mondo archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi * di BOEZIO sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O qui perpetua mundum radane guhemés» Terrarutn caeUque salar, qui te/apus ab aeuo Ire iuhes, stabilisque nianeru das cuncta moueri; Quent non extemae pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus uerum insita sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similiqtte imagine formans, Perfectasque iubens perfectum absoluere partes. In numeris elemento ligas, ut frigora fiamtnis y Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis Fuolet, aut mersos deducane pondera terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem Connectens animam per consona membra resoluis, etc. Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo maraviglioso del suo canzoniere nella canzone : Amor y che nella mente mi ragiona; dove parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il qual atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse. IO Canto Però qual donna sente sua beliate, Biasmar, per non parer queta ed umile ^ Miri costei, eh' esemplo è d’umiltate» Questuò colei, che umilia ogni perverso. Costei pensò, chi mosse l* universo. Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi d"una mossa data dall" amor divino, panni assai più degna opera la creazione dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di stelle. Dire dunque, che il sole nasceva con quelle stelle, eh* eran con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in Ariete, nella qu^d costellazione fu creato secondo Vopiniooe di molti. V. 41 * a bene sperar vera cagione. Di quella fera la gaietta pelle, L*ora del tempo, e la dolce stagione. Può aver doppio significato : primo in questo modo, cioè : 51 che Vara del tempo, e la dolce stagione tu erano cagione di bene sperare la gaietta fera di quella pelle; cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^ vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente a buono o a tristo augurio. . (I V. 45. Za vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco. L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame. Ciò si può intender di coloro, l'aver de' quali è ingordamente assorbito ddl' avwo, e per gli avari medesimi, che ai consumano in continui affanni per l'insaziabditi della lor cupidigia, onde chiama la lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi. Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3, V. 8 H. Temer si dee di sole (fucile cote, eh’ hanno potenza di far altrui male, Deir altre no, che non son paurose. Cioè non danno paura; ma questo non è tanto sin» gulare, quanto il sostantivo paura in significato di terrore, e f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente me ne sovviene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il, v. q, Stare uel insanis cautes obnoxia uentit, Naufraga quae uatii tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol tace. Verso l'onibra della selva. Canto V. 63 . Chi per lungo silenzio parta fioro. Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare, che debba intendersi il lume della ragion naturale risvegliato nella mente del poeta dalla teologia figurata per ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante. V. 63 parta fioco. Dal sento delle parole par, che Dante •* accorgesse, che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo verso avevaio già udito favellare, onde può ben dire qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che poi lo faccia fioco, ciò è furila per tacciar la barbarie di quel secolo, in cui allorché Dante si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide, nino altro era che la cercasse o studiasse, onde poteva dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi. Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse con verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ veramente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi d'ottobre, e per conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrispondenza alla sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li O. i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che beni»iÌmo sapea, che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere, ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100. Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc. Questi è messer Cane della Scala veronese, onde la sua patria, dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale; ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta, allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3 oS. V. io 3 * terra, nè peltro» Peltro^ stagno raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere, onde il scntimeaio è questo; V. io 3 . Questi non ciberà terra, nè peltro, Questi non si ciberà, cioè non sarà signoreggiato da ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. . V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc. O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti, preso quel prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida. Allude al desiderio, che hanno i dannati della morte deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de' tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc. Beatrice de' Portinarì, la quale, siccome à detto di sopra, fn io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel primo canto, si consuma un giorno intero, eh' è il primo del viaggio di Dante. Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta, com' egli peniando all' impreia di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe, e a motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare. V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà, Si del cammino, e ti delta pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano qneito luogo coti; M'apparecchiava a tiiperar le ilitEcultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi quei crudeliitimi tirar), ond’ era per veder tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporrej6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc, le a sorte Dante avesse piuttosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la {guerra della pirtare, cioè a ftf forza al suo animo per non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione, al quale ciafcun uomo fi seme ordinariamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente il senso letterale pare, che favorisca mirabilmente questo sentimento; poiché, s’ei s’apparecchiava a sostener la guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà, segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e comb.ucere con la considerarione, che quegl' infelici erano puniti giustamente, anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto all' intensione, non quanto all* estensione, la quale non ha dubbio, che durerà eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno, canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier delle Vigne, Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a domandare all* anima del suddetto Piero qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v. OntV io a lui : dimandai tu ancora Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia; eh* i non potrei: tanta pietà in accora. E piià apertamente si vede questo star su la difesa, che fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno, quando arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti saeltaron me diversi, Che di pietà ferrati avean gli strali : Ond" io gli orecchi con te man coperti. Il qual terzetto par, che esprima troppo maravigliosamente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo del porta, e la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £ non solamente si troverà difendersi dalla pietà, ma sovente incrudelire contro di essi, negando loro conforto e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII, richiesto da Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre agghiacciate, non volle farlo, v. 148. Ma distendi ora mai in guà la mano, Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti, E cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV, vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t. Ma, com' io dissi lui, li tuoi dispetti Sono al suo petto assai debiti fregi. Io però confesso di non aver per anche si fatta pratica SU questo poema, eh' e' mi sovvengano così a un tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora non pensato da me, il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra tutto il presente ragionamento. E considero, che altri potrebbe rispondermi, che il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne, e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8 Canto ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante; ma io non piglio per aaiunto di provare, che egli si picchi di non calerti mai piegato a pietà de' dannati, anzi che in molti luoghi confeita la aua caduta, qual è quella, Inf. canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri, Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non meno ti pare la perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti fotte potto in animo di non latciarti andare alla compattione, non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli, avendone avuta occatione molto prima, cioè tubito eh' ei vide la miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S. Or incomincian le dolenti note A [armisi sentire : or son venuto, Xà dove molto pianto mi percuote. Ma egli Ita forte il più eh' el potette : però, allora ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e coti alte donne, piegò l'aaimo alla compattione; ond'egli dice, eh' ei fu quoti smarrito, cioè ti perdè d' animo, vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che, te bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la vittoria della pietà, ciò non toglie il vigore alla ipotizinne del preiente patto, potendo benitiimo ilare inlieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra della pietà, cioè a non compatire i dannati; e poi, come di animo gentile ed umano, di quando in quando cedette. V. 8. O mente, che scru/etti ciò eK io vidi ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chiamandola mente che tcriite ciò eh' egli vide; cioè, in cui a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io cominciai; Vi a’ intende a favellar di qncato tenore, e queata è maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità dell' introduaioni de' ragionamenti; coal ed io a lui ed egli a me; cio^ diaai e diaac, ed infiniti altri aimili facilisaimi ad intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente, CoirutlUile ancora, ad immortale Secolo andò, e fu tentibilmente. Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna ENEIDE, che ENEA padre di Silvio, eaaendo ancora nel corrunibil corpo, andò a aecolo immortale, cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno o per eataai, ma aenaibilmente, cioè in carne e in oaaa. V. 16. Però se I avversario d'agni male Cortese fu, pensando I alto effetto, Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi, Romolo fondator di Roma, e 'I quale, e le aue alte qualità; onde il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio, penaando la aerie delle coac, che doveano farai per Enea c la aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iuferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per .vutore di Roma e del romano imperio. La qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1 qual imperio. V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero. Qui Piero per Pontefice, onde il maggior Piero viene a eMer Cristo, e non S. Piero, come vogliono ì coni» mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad altri minori; il che toma appunto bene, però eh* e* parla di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può vcrar mente chiamarti il maggiore* V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc. Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo privilegio concedutogli. V. a6. Intese cose che furon cagione Di sua vittoria, e del papale ammanto. Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel sesto deir Eneide; per la quale egli intese la sua vittoria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi** lito in Roma il papale ammauto, cioè l'imperio sacro. V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc. S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata tettimoniaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite da principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio, non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale, sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo ancora saggiamente piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve« iiire, come spiegano tutti i couieou, ma come chiosa il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire, assai dubito del ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc. Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d' un' anima, che dal male al ben operar si rivolge. V. 41. Perchè» pensando consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta. S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto, senza pensar nè che, nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o. Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che tu non conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio. Che tu mi meni là dov* or dicesti, Si eh* i vegga la porta di S. Pietro, E color, che tu fai cotanto mesti. Onde ora confessa, che, sbigottito dalle suddette con> siderazioni, l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata, era per tali pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la tua parola intesa, Rispose del magnanimo quell ombra, Vanima tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue riflesiioni, s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura* Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti, Nel Limba, dove nè godono, nè dolgonti ranìme. V. 53 . E donna mi chiamò beata e bella. Beatrice, la quale, ticcome è detto nel IV canto, è poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia, così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto, che più gli facesse scala all’ intelligenza delle celestiali cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra cagione, per la quale sotto il nome di Beatrice intenda allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale. Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza maestra in divinità. V. 54. Tal che di comandar i la richiesiLa richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella. Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana. Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana. Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la tua fama durerà quanto dura il tempo. a3 Piglia moto per tempo ella peripatetica, definendo Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa prius et poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura. Dante, il quale per aver amato di puriaaimo amore le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna coraparte a' corpi terreni e corruttibili, fu veramente amico di me, cio^ di quel eh' era mio, e non {Iella ventura, e non della bellezza, per la quale altri di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata. V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si nel cammin, che volto, e per paura. Impedito dalla lupa, e volto indietro per paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito, Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata. Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto piede, che l'ajuto celeste non giunga in tempo. Or muovi ecc. Muoviti, vanne : così il Petrarca : Or muovi, non smarrir t altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio. Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico, cioà e a Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in cielo; il che imitando per avventura il Petrarca nella canzone : Una donna più bella asstù che ’l sole; disse della teologia : Cakto costei batte t ale Per tornar all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É Vamor d* Iddio, pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo è il eeoso allegorico o vero secondo la lettera; la mosse la dolce memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante, ond* ella il chiamò, v. 61, L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a VirgUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritornare dair adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione della grazia e della beatitudine. Dice in contrario il Vellutello, che Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea maggiore; ma non dice poi, perchè, nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata spane, che anche all* anime perdute si può (come dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo elleno celebrar le lor memorie o esser qualche compasiione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abbandonate al tutto da ogn* uno, e tiiassituonieuic quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brutto, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana, come VIRGILIO. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù, sola, per cui L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel, ch'ha minor li cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allegorico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo supera, ed è più nobile di tutte le creature contenute dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà subito neir intelligenza movente Torbe lunare, la qual •enza dubbio sì per pregio, si per eccellenza di chiarissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante portasse opinione delT intelligenze moventi secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice in altro luogo di esse. Par. cant. Vili, v. 37. r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete. Ciò potrebbe anche intendersi in quest* altro senso : O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con T intelletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine. V. 80. Che Vuhhidir, se già fosse, m'à tardi. Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso, che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da altri poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva. Y. 91. Jo son fatta da Dio, sua mercè» tale ^ Che la vostra miseria non mi tange, Nè fiamma cTesto incendio non m* assale. l6 Canto Io lono, la Dio mercè, talmente fatata per Tacque della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti di voi altri ioaprai, non mi tocca, nè fiamma deir incendio de' dannali non m' assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao dolorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento, ov" io ti mando, Si che duro giudicio lassù frange. Quella donna, il cui nome è taciuto dal poeta, è inteaa generalmente da' commentatori per la prima grazia detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè viene per mera liberalità divina, è anche detta preveniente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane. Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire il monte Bgurato per la virtù e per la contemplazione, piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio; onde dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupedimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta, duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaaaione, vedendo, che gli manca più il potere, che il volere; onde merita d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illuminante, la quale ( ipongono i commentatori ) da Dante è chiamata Lucia, dalla luce, eh' ella n'infonde nell'anima Questa seconda grazia chiama finalmente la terza, detta perficiente o coniumante, espressa per Beatrice o per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente umana alla contem) dazione della divina etienza : il che Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* Inferno e del Purgatorio, cioè a dire con la meditazione di quelle pene; •! come avviene al noetro poeta, il qual per tal cammino li conduce alla fruizione del Paradiio, e ai alla contemplazione d' Iddio. V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse, Ora abbisogna il tuo fedele Di te, ed io a le lo raccoaiando. Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse, e venne al loco, dov V era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia, cioè la grazia illuminante, che ajutatte il tuo fedele, cioè Dante; il quale in altro luogo dice di tè, eh* egli fu fedele a creder quella, in che la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per tignificare, che la teologia è indivitibil compagna della contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io 3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei, che t'amò tanto, Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera lode d' Iddio, forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la profonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri parti, a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^ Qui il Fioretti, non rinvenendoti qual tia qiietta fiuDtana, poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi, per ora latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza, terberemo ad altro luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur mai ecc. Dice Beatrice, che al mondo non fu mai pertona coti aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male, com' ella dopo tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno. Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui, che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té medeiimo nel primo canto, T. 86. Tu se’ solo colui, da cui io tolsi Lo hello stile, che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del bel monte il corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro, quando poco di viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte, cioè al tommo della virtù o della contemplaiione. V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue. D’amendue noi; il tuo cT andare, il mio di venire. V. 143. Entrai per lo cammino alto, e tilvettro. Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua ingegnoaa operetta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di Dante, dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’elevato e aublime; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in aur un monte aalvatico, per entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente di favellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra particolarità del aito e della forma della atupenda architettura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del aoprammentovato autore. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) c Tettersi condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno» la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' interne vie del monte, arrivato in quella concaviti o caverna della terra, che è quali come un veitibolu dell' Inferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per aè, nè per altri, ninna buona o rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per tormento il correr perpetuamente in giro dietro un' insegna che tutti li guida, c (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..3a Cauto chr in cotal cono ton punti e fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici, dice essersi condotto al fiume d’ Acheronte, e quivi aver veduto venir Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in su la riva di quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge, che parli essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 . Giustizia mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di fabbricar P Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe. La rowaui sapienza, e 'I primo Amore. La Santissima Trinità, della quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza, per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo. V. 7 . Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne ecc. Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste intendono assai concordemente i commentatori la natura angelica; la quale, siccome dovette esser punita per la sua ribellione, cosi par molto verisiiuile, che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire. p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene solamente a Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia considerazione, la qual mi dichiaro, eh' io non intendo di proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* essere, a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello, al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato col mondo, e ’l mondo fu creato in istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro. Onde io ( vi s’ intende, dissi ) : O Maestro, il senso lor m* è duro. Duro, cioè aspro, e non, com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil decreto di non uscire della porta d’ Inferno, a ragione di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar ogni sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto di sopra, che Dame non disse essergli duro, cioè oscuro, 11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro, spaventoso; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta iscrizione, ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad Enea nel VI, v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col paragone di quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri, pimti, e ahi guai. Ne* tre arguenti terzetti par, che Dante abbia voglia di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dannati. S'ei ae lo cavi o no, giudichilo chi farà confronto di quello luogo con quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us, et saeua sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria, sema tempo, tinta. I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a tempo come la notte, e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la chiama eterna, v. i6. JVon avea pianto, ma che di sospiri. Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli delle voci de' dannati, v. a8. Farevan un tumulto, il qual s'aggira Sempre in quell' aria, senza tempo, tinta; poiclià, a’ e' a'aggira eternamente, torna molto brne il dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi nè meno può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo, cioè ( come tpongono i commentatori ) eternamente, perchè ancorché Dante dica di etta, Inferno, cant. IV, r. io. Oscura, profonda era, t nebulosa ’ Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo, r non vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie, eh' ella in alcuni luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco, come nel terto girone de’ violenti, ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te non altro vi balenava, v. i33 La terra lagrimota diede vento, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia, e sanxa lodo. Che in queito mondo, nulla mai virtuoiamente operando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a quel cattivo coro Degli jingeli, che non furon ribelli, Ni far fedeli a Dio, ma per te foro. £ opinione, che nel fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli, la qual nè t'accottaiie a Lucifero, nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di queiti parla il poeta, e in pena della loro irreiolutezza li mette con gli teiauratì. Canto V. 4 o> Cacciarla eie!, per non tster men belli: Nè lo profondo Inferno gli riceve, Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli. n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per rinferno aon troppo belli; coti ti atanno in quel mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben, eh' egli dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli riceve; volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tormentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti glorierebbero per vederti puniti del pari con etti, che non commitero altro peccato, che d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli occhi loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe ad appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun taggio della gloria, e ti della celette beatitudine. V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta, Che ’nvidioti ton i ogn altra torte. Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo modo di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la lor misera vita, onde dice, che misericordia e giustizia gli sdegna, quella che di loro non è avuta, questa, che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luogo, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendimento del poeta sia J* inferire, che la maggior pena di costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli) par loro, eh* ella « per così dir y non gli •cimi, e ai li Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna y Che y girando, correva tanto ratta, Che d’ogni posa mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per giustamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero. V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare, e forse meglio. Non credo però, che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che la mence del poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente; e nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da strologare a* grammatici toscani; come fece Ennio a* Latini in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio, il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus amore periret, spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere. Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y cioè inefiabile, e per trasUto, immensoCarto V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui. Che fece per viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l Murrone, che fu Papa Celestino V, il quale, tra per la tua sempliciti e l'altrui sottigliezza, s* indusse a rinunziare il papato. Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi, come poi fu, poteva lecitamente credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in sinistro i (ini delle sue per altro santissime operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti, ed a’ nemici sui. Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra, eh’ e' non eran nè di Dio, nè del Diavolo. * • V. 64 . che mai non fur vivi. Morde acutamente con questa forma di dire la perduta loro vita. V. 65. Erano ignudi, e stimolati molto. Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia. V. yS per lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della voce, per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene alla vista. Similmente nel primo canto, v. 60, per significare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor vaghezza un lume assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per esprimer la canizie del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime prave : Non isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime mirabilmente otaervato, ioduceme mollo maggiore ipavento, l' imrodur Caronte minacciante l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto verao di eaae, aiccome la Virgilio, il quale non lo fia parlar* ae non con Enea. V. 88 viva, Partili da codesti, che son morti. Kon diaae da codette, che aon morte, perché come anime eran vive; ma diaae, da codesti, cioè uomini, de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 . Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui, per passare : Più lieve legno eonvien, che ti porti. Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua aalvazione, e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre vie, per altri porti, intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere, dove finge il Poeta, che l'anime imbarchino per l' itola del Purgatorio; e che queato più lieve legno aia il vattello con cui vien Vangelo a caricarle, di cui Furg. cani, n, V. 4 ^’ e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto, e leggiero, Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio, mi tpiega queato patto in 40 Canto diverto lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta, cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva, tenta che egli te n' accorgeue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui Caronte; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere, come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza, quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque s'adagia. Qualunque ti trattiene, non qualunque » accomoda nella barca, come tpone il Daniello, che tarebbe alato tpropotito. V, li». Come t Autunno si levan le foglie, L’una appretto delF altra, infin che 'I rama Rende alla terra tutte le sue spoglie. Similitudine tratu da Virgilio nel VI, v. 309. Quam multa in tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt jolia etc.; ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle foglie riman tu Palbero; al contrario di quel di Virgilio, nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E poi elf i grwdemente nobilitata col proseguimento di essa fino al restare spogliato del ramo, paragonato al restar voto il lido j dove Virgilio la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie, e dell' imbarcarti fanime; passando poi subito a quella degli uccelli, che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda bruna. Bellissima ipotipoti, e che mette sotto agli occhi il camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona. Si che la tema ti volge in detto. Chiese innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose di passare il fiume, v. qi. Maettro, or mi concedi, Ch’ io tappia, quali tono, e qual cottume Le fa parer di Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. £ dice, che ciò accade, perché la divina giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera apiegaaione allegorica, lo però, fìntanto che non trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terribile effetto delia diaperazion de' dannati, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti, ed empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la quale, secondo loro, è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelosia, o da altra violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro di loro adegnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne, segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile guato data la mone, v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece we, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo, dove parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diaperaaione per quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent, Sed iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata Fianimetta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* ingordigia, ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro, co* cfuali essi sono adirati, benché della lor salme porgano segiu>, nondimeno gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano, aon dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione, ond* egli ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, Che balenò una luce vermiglia, La quai tu vinse ciascun sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia, Quetto luogo è a mio credere oteurittitno, e tengo per fermo, che a volerne capire il vero tignificato, aia necettario intenderlo affatto a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono i commentatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne, e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche demonio, potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute nel principio del IV canto, che, coin' e' fu desto, ti 44 Canto ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche probabi) conjettura, mi riitrignerò domandare : «e la luce vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri maggiori inveritimili ), come ti può mai intender per etta vermiglia luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pattato dormendo, qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno dal terremoto, ma il terremoto dal balenare; ma non ha poi •piegato come ciò post* estere, stante il sentimento dei versi seguenti: i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò, non fu il baleno, che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire, eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del Vellutello si farebbe diventar ottima, cioè con legger quel Che per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè; si che il •enso fosse; La buja campagna tremò, la terra lagrimosa diede vento; Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh' io diceva da principio, che a capire e a voler dar qualche sentimento aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello, eh' egli era inteso universalmente; cioè dove gli altri intendevano il baleno per effetto del terremoto e del vento, intender il vento ed il terremoto per effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile, anzi torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Caronte quando disse, v. 91. Per altre vie, per altri porti y errai a piaggia, non qui, per passare, Più lieve legno convien, che ti porti. si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè l’angelo, che Virgilio, o un demonio, il quale passasse Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti perchè estendo il passar Dante di là dal fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto maggior dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima o per uno spirito; e ti finalmente perchè altre volte, quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come alla porta della città di Dite, dice espresso, che venne un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta dell’ angelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente, e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avvenimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto, quando v’arrivò Tanima di Cristo Signor nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti legge in S. Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove, scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto, ne dà per cagione la scesa iTun angelo; Et ecce terraemotus factus est ntagnus; Angelus enim Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa forza, che Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o di percioc- ché, o di conciossiacotoché, arnia clic interroghi, nè ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi, come si può vedere al Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio : Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca, nell’ Edipo, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo della risposta dell’ Oracolo, v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi supplici intraui pede, Et pias, nutnen precatus, rile summisi manus; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit, Imminens Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio, Eneide, lib. Ili, v. 90. Vix ea fatus eram, tremere omnia uisa repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum, et nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della stessa Deità, V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf, inàif, Sant dXtSpót, Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline; Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora: Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i e' scossa questa spelonca! Non, Quanto s' è scosso questo ramo ree.; come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne tradut- tore, e che li piccava iniioo di icrivere veni greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no- bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno, v. iS5. Ecce autem primi sub lumina solit, et ortut, Sub pedibus mugire solum, et juca coepta numeri St/luarum, tùtaeque canet ululare per umbram, Aduentante Dea : Procul, o procul ette profani. Coll Claudiano de Rap. Froterp., lib. 3, alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce rrpens mugire fragor, confligere turres, Pronaque uibratis radicibus oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire, vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là dal fiume, sarebbe stato molto improprio, eh* egli ci aveste dato conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento, non sonno, al contrario di tutti gli tpositori, i quali, mi maraviglio, come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso equivoco EQUIVOCO GRICE. Dice Dante, che la luce vermiglia gli vinse ciascun 48 Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono. Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen- tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito bensì; e ciò' intende molto bene, come polla derivare dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia; ma non già il lonno, il quale è ami •cacciato, come vedremo nel principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile li legge in Daniele al cap. X, dove egli icrive di lè medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù, rimase solo a veder la visione; yidi auttm ego Daniel solus uisionem. Porro uiri, jui erant mecwn non uiderunt, ted terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume, et non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala est in me, et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh' ei dice al canto V dell’ Inferno, v. 140. E caddi, come corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or, di' e' piglia la similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo, fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno, Quando f anima tua dentro dorniia, Sopra li fiori, onde laggiuso è adorno, Venne uno donna, e ditte : /' ton Lucia; Latcialemi pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via. avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto, che manca poi nel Purgatorio, dove la tua anima per la meditazione delr Inferno era divenuta piti monda, e ti pili vicina a pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del concetto principale di quetto luogo, è ora contegnentemente da vedere con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o. Finito quetto, la huja campagna Tremò ri forte, che dello tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, rimembrando l'alto tpavento, ancor ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora vediamo quell' azione, liati dell' anima, o degli tpiriti, che i' etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati, muover taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere. So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della tetra; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante, come ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio; dove in perenna di Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di quella montagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse quaggiù poco, od assai ; Ma per venSo, che irs terra sì nasconda. Non h dunque gran fatto, che, portando egli quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc) vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento, e forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava. Raccolta, eom’ an tuono Io f«ce ritornare in, e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP altra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi, d'eticre tcrio nel primo cerchio <^’ etto Inferno, che è il Limbo. Dimanda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo, ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti, e dopo quelle di coloro, che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta per discender nel secondo cerchio, termina il canto. V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono, ti eh' i" mi riscossi, Come persona, che per forza è desta. Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno quello, che in realtà era tmarrimento di spiriti, e svenimento. Chiamalo alto, a differenza del Digitized by Google Sì Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte, rome ai rìacuote persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa, Che tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto, t. 3o, rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui, ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia al tuono. Potrebbe forse anclie dirai, che questo tuono venne dall' aria del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche de* tuoni, siccome veggiamo accadere nella noatr* aria, il che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de* peccatori. Considero dall* altro canto, che in sì gran lontananza, qual è quella del terzo cerchio, volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei, eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a noi, ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato, come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione, a qual distaiza arrivi la voce d* uno, che parli aoche pianamente per una canoa forata, forse non parrà tanto gUAKTo. 53 HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in favore, •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze, che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di lonta* nanaa. Più coerentemente però al costume non meno, che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto antecedente, di cui nel ritornare il poeta in s^, udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi dorme, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato fuori de* sensi, lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea cosi lungo tempo, che giunto su l'altra riva non potesse ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che scoppiò col baleno, allorché Dante si ritrovava al di là dal fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta naturalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv «ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra di credere d'essere stato desto dal tuono, come farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona. V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc. Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stemperato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del €uore t quella aspettante, thè tutto il corpo dormente ritrosie, e ruppe il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo. Per invece di quantunque, ed opera graziosissimamence. Il senso è : Tanto che, quantunque io ficcassi lo 54 C A H F o viso al fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai biiiarra. V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio. Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer egli nato il primo a entrar a deicriver l' Inferno, lì come fece nel VI dell' Eneide, e Dante dover eiiere il lecondo. A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai leggiermente ai può comprendere dal paragone. V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti. Che son quaggiù, nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema tenti. Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione, che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori : forma di dire veramente poetica, anzi divina. V. ai che tu per tema tenti. Che tu interpreti per effetto di timore. V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare Ne! primo cerchio, che V abisso cigne. Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' Inferno, cavato lotto la volta della terra, dove abbiamo veduto eiier puniti gli iciaurati, e corrervi il fiume Acheronte. Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi, secondo che per ascoltare, Non uvea pianto, ma che di sospiri. S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea quakto. ss Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo, mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto, aalvo, fuorché, aolaniente, pid che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal particella vuol lignificare, che non v’ era maggior pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri, lecondo che l’anime del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’ animo, per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri. V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato, dalla railice uiata andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta, perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede, che tu credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad. Dunque, senza merci di /or costume, iMcate son, per gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create, h.mno da Iddio, lenza lor merito o demerito, maggiore o minor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacramentoruia, V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo, Non adorar debitamente Iddio. Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla venuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè secondo il verace concetto, che si dee aver d* Iddio, e secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Statue, e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè, e soì di tento, o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del Limbo, Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui, che poi foste beato ? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli antichi Padri operata da Cristo nella sua resurrezione ; pure da eh* egli avea sì bell* occasione di chiarirsi del vero, e con ottimo fine d* armarsi contro qualunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio, s* e* n* era uscito mai alcuno. E notisi, com* egli dissimula bene il suo animo : domanda prima di quel che sa, che non è, e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito, per farsi strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato, Quando ci vidi venire un possente, Con segno di vittoria incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo, quando ci vide venir Cristo nostro Signore, che mori intorno a quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo, però non lo nomina. Dice solo, eh* ci ci vide venire un possente incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope« rare in quel luogo, traendone sì gran novero d* anime, ond* a ragione si persuadeva, quegli non poter esser altri, che un grandissimo, e potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele, per cui tafito fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam rondar, perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse, badavamo a ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra, che ben duuostra la ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar, nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte* V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone : Le dolci Time d amor, eh' io eolia, dice amarrirviii l’uomo all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro, cap. XV della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti. Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aquarum plantauU dominus uineam iuttorum. Qui molto giudiziosamente, trattandosi d'anime dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo, onde oltre T esser forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio riformati ne’ costumi, ve ne potevano esser molò de’ reprobi. La seconda, che in questo luogo selva è propriamente metafora di metafora, non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura, ma più tosto le varie adunanze delle anime, velate prima tali adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti parole, che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue parole sono le seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque penetrato nelt interna densissima teha per saper la cagione di quei pianti. Nè altro intende per sehat che una grandusima calca di gente, che s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare. V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo; quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo, eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra, dove corre Acheronte, erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli erano caiuminati ancor poco per la pianura di esso, quando ei vide un fuoco, che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome di lumiera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere, eh* ella fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo, inhn tanto che dura la lor materia a ardere, e prestar alimento alla bo C A K T O 6(unina, pfT cui •! rcndon vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe intenderti come poeta, e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte allora le tette per miturare il giro dell’ aria illuminata. V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante a VIRGILIO. V, y(j V onrata nominanza > Che di ior suona sii ne la tua vita, Grazia acquista nel ciel, che gli avanza. La fama e ’l pregio, che riman di loro nella tua vita, cioè nella vita mortale, la qual tu godi ancora, o Dante, impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81. L’ombra sua torna, eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo Virgilio, quando a’ preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura. V. 84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore, e di ciò fanno bene. Mi fanno onore, e fanno bene a farmelo ; perchè a tutt’ e quattro ti conviene il nome, che la voce d’ un •olo diede a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo tutti poeti, e f onore, che è fatto ad uno, toma sopra tutti. Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’ altissimo canto, D' Omero, dal quale hanno cavato tanto i poeti, e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno : £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade strologar molto quello, che Virgilio a costoro dicesse, vedendosi manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua profondissima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del saluto, eh* essi gli fecero, e dal sorrider, che ne fece Virgilio ; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol signiBcare, che di questo, cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante, se da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza di vedere, quanto fossero «tate autorevoli le sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ; C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando cose, che ’l tacere è bello, Si co/u era' i parlar, colà dop’ era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel, che VIRGILIO ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo, volendoci in austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' maggiori poeti, eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin. presa stimo, che sia I' indovinare quello, eh’ e’ discorressero in sesto, poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi egli ad altro, se non di' e' parlaron cose, delle quali A bello il tacere, com' era bello il parlare colà, dov' egli era. I commentatori hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano, eh' e' non si son pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse, mentre dice, v. io3. andammo infino alla lumiera. Parlando cose, che ‘l tacer è hello. Il suo parlare non fu per avventura altro, che recitare qualcuna delle sue canzoni, secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume, ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran, con occhi tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti : Parlttvan rado, e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti In luogo aperto, luminoso, ed alto ; Si che veder si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello, ai convince manifeicamente, eh' ei non era murato a tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vellutello : tanto pid eh' e' non si può nè anche dire, che il castello era tondo bensì, ma che v' erano diverse piazze o strade, le quali venivano a formar degli angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello per altro, che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s' ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti, chiara cosa è, eh' e' non vi doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio, mostra, che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto meno è veriiimile, eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il piano dello scaglione del Limbo fosse diviso, come in due armille concentriche, una esterna e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza battesimo sospirando continuameote, onde dice, v. a6. ffon avea pianto, ma che di sospiri, Che laura eterna facevan tremare. minore l'altra ed interna, ed illustrata dalla lumiera, è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi. £ 64 Canto invrrUimile I dico, tal optDÌone. Prima, perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo loro un luogo sì vasto, vi sarebbero seminate più rade che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si fosser tratti Dante e VIRGILIO posto die nel centro non potessero starvi per essere sfondato * e terminar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre* eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* entrata * perchè da distanza assai minore, che non è quella del solo semidiametro di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro, si smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboccatura del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani innocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla esteriore* per discender nel secondo cerchio, non occorreva, eh’ c* ritornassero in quella, dove l’aria tremava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può intender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8. J* venni in lungo <t ogni luce muto, Che mugghiai come fa mar per tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto. Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano, tu la qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia in due, essendo Omero, Orazio, Ovidio e Lucano rimasti dentro al castello, e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per la medesima, ood* erano entrati, ma voltando all* altra mano, e incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si condussero, dov' era il passo per discendere nel secondo cerchio ; si come vedremo nel canto seguente. >eccato, che ii punisce in questo secondo cerchio, è la lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità, c per avventura il meno grave. Fmge il poeta di trovare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di poi passa più oltre, e vede la pena de' peccatori carnali, la qual dice essere un furiosissimo, e perpetuo nodo di vento, il qual rapisce, e porta seco voltolando in giro queir anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune, che erano già state al suo tempo, ma di Francesca da Ravenna intende dalla sua propria bocca la cagione della sua morte, e insieme di quella di Paolo suo cognato, con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del secondo cerchio. Cori discesi del cerchio primajo Giù nel secondo, che men luogo cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si dimostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è, eh* ei dice il pavimento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar minor luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che per lo digradar della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire, successivamente ordinati, sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero, che quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo dolor della mente, svapora in sospiri, questo, che alFligge il senso, pugne a guajo, cioè arriva a trar guai, pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia. Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida residenza, il tribunale formidabile, la fiera accompagnatura de* ministri, e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6, 42. Quivi ancora si veggono tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti. Dove notisi, che per 1 * avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad intendere la preminenza del luogo, quanto la ricchezza degli ornamenti sacri, ed ogni altra nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii suddetti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare de* cani, quando irritati, digrignando i denti « e quasi brontolando, mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica, e manda, secondo eh* awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai cigneise, viene spiegato appresso. Vede qu«l luogo Inferno è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine, proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti eh* ci può dall’ ordinario, rispetto al luogo, e a* personaggi, eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed inusitate di significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime condannate. Quantunque per quanto, nome indeclinabile. Bocc. introd. n. i. Quantunque volte, graziosissime donne ^ meco pensando riguardo ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono, e odono, e poi son giù volte. In questi tre versi è compresa un* esattissima e pun> tualissima forma di giudizio. V. a3. Vuoisi cosi colà » dove si puote Ciò che si vuole ; e più non dimandare. Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio a Caronte nel canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce muto. Notisi, come stando sempre su la medesima bizzarra traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio della vista, va continuameDte crescendo» Nella selva, ~e Casto dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' impedimento de' rami e delle foglie, diwe aolamcnte tacerai la luce, V. 6o. Mi ripigneva là, dove 'I sol tace. Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco, accennando io tal guiaa, non eaier ciò per accidente > tua per natura ; cauto HI, v. 75. Com’ io discerno per lo fioco lume. Qui finalmente, dove a' ò innoltrato nel profondo della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre di queato cerchio non aono accidentali, nè a tempo, nè aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae, folte, oatiuate, ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal, che mai non retta. Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando, e percuotendo gli moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti, lo qual finge l’ autore, che sempre sia nel secondo cerchio dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile, o troppo atrana, ricordiai, che ai parla d' un vento infernale, e che merita maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione, che 1'ornamento delle parole; ed è queata una pittura, che non richiede vaghezza di colorito, ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata ; estendo il naturale coti risentito, che non può bene imitarsi, te non è fatto di colpi, e ricacciato gagliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto della tua corrente, che va turno torno al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina, cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone, i quali, se vengono spinti lentamente per Taria, son portati con un solo moto ^ che è secondo la linea della direzione del lor viaggio, ma dove urtino in muro, od in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro, Bglio di quel novello impeto, che gli aggira intorno ai proprio asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina; Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù divina. Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono, o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che dicono. Crederei, che per rovina intendesse l’autore il dirupamento della sponda, giù per la quale egli era venuto ; e che questa fosse la foce, d' onde metteise il vento, il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a quelle pover* anime, che vi passavano davanti. A similitudine d* un legno o d'altro corpo, cui la corrente d'un fiume ne meni a galla, il quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate, e in qua e in lè con mille avvolgimenti T aggira, e strabalza, in fin tanto eh' ei non è uscito di quella dirittura, e non ha ritrovato il filo della nuova corrente. Di dove, e come possa quivi nascer questo vento, vedremo allora, che si dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto seeondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti mali. Brllisùma iimiUtudlne, e cavata ( «ì come la «cgitcnte poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in niun pregio, e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua, di là, di giù, di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che di posa, ma di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel tormento, e che vince quati il vedere ttetto degli occhi. V. 48. Cori viiF io venir, traendo guai, Ombre portate dalla detta briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio; e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di venti. Farad, can. Vili, v. 67. £ la bella Trinacria, che caliga Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo, Che riceve da Euro maggior briga. cioè sopra ’l golfo, eh’ è più battuto dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^ Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria, poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni, che parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere, o denotare i paeii dalle lingue, che vi ai parlano. Infer.. Ahi Pila, vituperio delle genti Del bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta. Che ’l libito fe' licito in tua legge, Per torre ’l biatmo, in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da Semiramide, per cui ella penaò di aottrarai all' infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la terra, che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello, che Dante in questo luogo piglia un equivoco EQUIVOCO GRICE ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo, allora signoreggiato dal snidano, non rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compagno Virgilio in un certo patto, non so già quanto a proposito, e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità dell' intenzione, che io credo, che abbia avuto Dante ; direi forte ancor io, come il Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta notizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco intorno a una città, nella quale era facilittimo l’equivocare, 6 74 Cauto intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('intenderebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei si chiama oggi il Cairo, l' afferma Ortelio. Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo, intende sempre quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad., t. loo. E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba, Predici) Cristo, e gli altri, che 7 seguirò. Farla di S. Francesco, il quale i certo, che parla del Soldano d' Egitto, e non di quello di Bagadet. Il Fetrarca dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per quel d' Egitto ; e il Gesualdo, se non erro, lo cava da una sua epistola, nella quale fa menzione delle due Babilonie, d' Egitto e d' Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia errato, potrebbe farlo con dire, che per Soldano intese quegli stesso, che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide, essendo la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Coliifi di Soria, particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e converso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa, prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme, quando egli di semplice Sultano, eh' egli era, diventò Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Pontifiiem, aliquando ante, aliquando poit, equilabat Mareicallus, siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao, con quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice, che egli nel Sileno confondeaae la favola d* lai e di Filomena, e nel terzo della Georgica acambiaaae Caatore da Polluce, nel che vien Virgilio difeao molto giudiziosamente dalla Cerda, vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del Sileno, T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello, senza allegarne alcuna ragione, che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritrovarla, e dubito che si possa dir del Daniello nella sposizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero; Perch’ e' m hem detto, che Virgilio ha preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli, con reverenza, non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio, come bisogna, che quest’ autore si sia cieduto, che Virgilio parli d’ una loU Scilla, e che a queita attribuendo i moitri marini, e r ingordigia degli altrui naufragi, liaii dato ad intendere, eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uccello, e fu, come altri vogliono, appiccata alla prora della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e non mai trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di passaggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusamente dell' altra di Forco, come dalla lettura del luogo è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di questo passaggio, e trovandosi inaspettatamente nella favola di Scilla di Forco, la credette vestita a quella di Niso, equivocando egli medesimo nell' equivoco immaginato di Virgilio. V. 61. L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di Sicheo. Didone, seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacronismo, ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa. IVon servata fides eineri promissa SUhaeo. V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra de’ Greci, e l' ultime calamità de’ Trojani, CK amar di nostra vita dipartille. Della morte delle quali fu cagione Amore illecitOi V. 7». i' cominciai; Poeta, volentieri Parlerei a que‘ duo, che ’nsieme vanno, E pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme, perchè iniieme avevano peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento, dalla facUitè, anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato, eaaendo atati per affinità al atrettamente congiunti, come più abbaaao udiremo. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo. Per quell' amore, eh' e' ai portarono, il qual fu cagione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima preghiera, e convenientiaaima a due amanti, acongiurarli per lo acambievole amore. Y. 80 O anime afannate. Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il più proprio, che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da ai latta pena. Quali colombe dal disio chiamale Con f ali aperte e ferme al dolce nido Volan per F aere dal voler portale. Grazioiiaaima aimilitudine, e piena di tenero e compaaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili animali, quali anno le colombe, vien a intaccar punto della lode, che le gli dette poc’ anzi, per aver paragonato gli apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle Cauto gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitudine all' andar di compagnia, che facevano i due amanti, il che ottimamente si ha dalla comparazione delle colombe, che ad avvilire con un paragone ignobile quegli spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sentimenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan per Vaere, cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme, descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibatterle, e in questa maniera di volare par che si ratbgiiri un certo non so che pid di voglia e di desiderio di giugnere. O animai graziosa e benigno, Che visitando vai per V aer perso Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli annuiti che del loro amore. Quindi è, che quest’ anima chiama Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in darle campo, raccontando i suoi avvenimenti, di dar alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è un colore oscuro, di cui lo stesso Dante nel suo Convivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser composto di rosso e di nero, ma che vince il nero ; e Inf. caut, VII, V. io3. L' acqua era buja molto più, che persa. Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti due colori ; Fai visitando per F aria di color perso noi, che, per eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo, tignemsno il mondo di color di aangue. V. 94. Uh Jttel, che udire, e che parlar ti picKe : Noi udiremo, e parleremo a vui. Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino), che coatei a’ indovinaaae di quello, che Dante deaiderava d' udire. Una, perché di niun' altra coaa, fuori che de’ auoi avrenimenti, potea ragioneTolmente credere, eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra, perché il coatume degli amanti é creder, che tutti abbiano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori, tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento, come fa, si tace. n ripoaarai del vento non é coaa impropria, anzi é accidente confacevole alla natura di quello, dimoitrandoci r eaperienza, che egli non aoffia con aibilo continuato, al come corrono i fiumi, ma a volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aarebbe inveriaimile il dire, eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione, acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene, e riportar frutto dal suo prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte della Canto cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo finaluiente alla contemplazione della aua euenza. V. 97. Siede la terra, dove nata fui, Su la marina, dove ‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nelr Adriatico. Discende per aver pace co’ sui seguaci. Maniera veramente poetica. Dicono alcuni, per aver pace, cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché, fecondo che quelli tgorgano in lui, lo conturbano e P agitano, onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li chiamerebbe legnaci ; poiché, fintante che uno è teguace d’ un altro, non gli fa guerra, e, facendogli guerra, non |i può chiamar più teguace. Diremo dunque, eh' ei voglia dire, che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto, eh' ei fa, per giugnervi, a fine di unirai come parte al tuo tutto, eitendo queita unione la lola pace, alla quale tutte le creature tono d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria, è ora da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per Io che è da taperii, che quetta è Francetea figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale, eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta da Rimici, uomo valoroto in vero, e nella teienza e inaeitria dell’ armi eiercitatittimo, ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la delicatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato, il quale non meno grazioio, e arvenente del corpo, che leggiadro dell’ animo e de' coatumi, del di lei amore ferventiiiimamence era preao4 Ora arvenne che, mentre, tcambievolmence amandosi, in gran piacere e tranquillità si Tiveano, indistintamente usando, appostati un giorno da Lanciotto, furono da esso colti sul fatto, e d'un sol colpo uccisi miseramente. VICO. jimor, eh’ al cor gejuU ratto s' apprende. Prete costui della bella persona, Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio, tra le lodi, che dà Agatone ad Amore, dice eh’ egli i ancora delicatissimo, argumentandolo da questo, eh’ egli i ancor più tenero e gentile della Dea Ati, cioè della calamità, la quale esser mollissima a delicatissima / argomentò Omero dal vedere, che ella, schifando di toccar co’ piè terra, si tiene per t ordinario in tu le lette degli uomini. Iliad.Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in' ovSit nlAra^as, <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani. Ma amore non solamente non mette mai piede in terra, o in tu le teste, le quali, a dire il vero, non sono molto toffei, ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta, e sceglie per tua abitazione. Negli animi dunque, e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca, e senza veruna distinzione in ogni sorta <t animo la sua tede locando, ma quelli solamente, che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono, e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ricavando con maniera più morbida lo ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante, che rijguarda 1' avversione, che Amore ha ordinariamente agli animi rosai e dori, dicendo : Amor, che tolo i cuor leggiadri invesca, Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc., parlando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone, dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii, che sopra gli uomini, con questi versi : £ s’ egli è ver, che tua potenza sia Nel Ciri s) grande, come si ragiona, E neir abisso ( perchè, qui fra noi Quel che tu vali e puoi, Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi fu spogliato dalla morte, e ’l modo ancor m’ offende, perchè mi fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro amante. V. io3. jimor, eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona, Belliiiiina repetizione : Àmor, eh' al cuor gentil ratto s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui. Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del gusto, del piacimento, della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde ottimamente al detto poco innanzi : Autor, eh' a nullo amato amar perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio, quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una morte. Arroge forza con la terza replica, e con granditaim' arte diminuisce il suo fallo, rovesciando sopra di amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII, v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del Principe Tancredi, non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte difesa per iscusar sè, che r incolpare amore, il quale, cioè Tancredi, tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo, la mia benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la 84 Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo. V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la g)iiaccia, dove nel canto vedremo euer paniti coloro, che bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque, che questa spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei, e fratello di PAOLO, che fu il loro uccisore. Ila O latto, Quanti dolci pentier, quanto detto Menò costoro al dolorato patto ! Tenerissima riflessione, e propria d* animo gentile, ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar dolore. E qui notisi, come Dante per ancora sta forte all’ assalto della pietA, la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del secondo canto, v. l. Lo giorno te n andava, e f aer bruno Toglieva gli animai, che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava a tottener la guerra fi del cammino, e sì della pietose. £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime, dice, che in questo pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo intendere per iscellerato, malvagio, empio, e non per malcontento, mesto, e maninconoto, come vien preso universalmente, e (1 come io con gli altri concorro a credere etier reritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e trutitiima copia Correvan genti ignude e spaventate. E di vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio, venendo a estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e dovuta miseria de’ dannati, del cbe nel XX di questa cantica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che è sciocchezza averne pietà, e somma scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino giudicio, che li punisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato a un de' rocchi Del duro scoglio, zi che la mia scorta Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è ben morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al giudicio divin passion porta ? Driaza la letta, drizza ; e vedi, a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta, per non poter vincere la naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in significato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo ; e non solamente tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo, che chi piange r altrui miseria, n' ha rammarico e compatimento. V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri? Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd. 86 Canto. I3I. Ed ella a me; nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer sitate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est, fuisse felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi VIRGILIO, come, dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere, ma lo stesso BOEZIO, la cui sopraccitata opera Dante nel suo esilio aveva sempre tra mano, e leggeva continuamente ; onde nel suo Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che i argomenta di sanare, provvide ( poi nè 'I mio, I altrui consolare valeva ) ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel quale, cattivo e discacciato, consolato si aveva. V. ia4- Ho, s‘ a conoscer la prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto, farò, come colui, che piange, e dice. Sed si tantus amor casus cognoscere nostros, Et breuiter Troiae supremum audire laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit, Incipiam. £n. lib. Il, v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un giorno per diletto Di Lancillotto, come amor lo strinse. Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza del rimanente di questo canto, con riportar la atoria di Lancellotto cavata da' romanzi franzcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6, nella quale in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé gentiluomo franzeae apiega ingegnoaamente varj luoghi diSicili de' tre noatri autori Dante, il Petrarca, e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza trenta reami, s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi, se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse- duto aggiunto non aveste ' £ per ciò, avendolo egli man- dato a Sfidare, furono le genti deir uno e dell' altro più volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di Galeaui, e avuto un giorno fra gli altri l'onore della battaglia, fu da esso Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar seco; promettendogli, se ciò facesse, di dargli quel dono, che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con quel patto l’invito, e poi la mattina seguente, partendoti per ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava : il quale fu di richiedere, e pregare esso Gale alto, che quando egli combattendo fatte in quella gionuila alle gerui del re Artu superiore, e certo d averne a riportare la vittoria, volesse allora andare a chieder merci ad esso Re, e in lui liberamente rimetterti. La qual cosa avendo Galeallo fatta, non solamente ne nacque tra Lancillotto e Galealto grandissima dimestichezza e amistà, ma ne divenne ancora etto Galealto, per cosi cortese e magnanimo alto, molto del Re Artu, e della Regina Gi- nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui piacer it forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui ribadisce : Questi, che mai da me non fia diviso. Nel che ti ponga niente a quante volte e in quanti modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato amore, e con quant' arte s’ingegna d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor, che lo scrisse, fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra Lancillotto e Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria. In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io ti dico, e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia diventa un ruSianesùno. E questo è quel, eh apertamente disse il Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro, e ehi lo scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle del Boccaccio, possa da questa storia esser derivato; perchè, dicono essi, ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior Cauto quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simiglianti, pare che quel cognome di principe Galeotto meritamente te gli convenga. In questa guisa inferir volendo, estere il Decamerone il principal libro di tutti quelli, che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che tanto è a dire, quanto dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione ti sforza di mostrare, essere molto veru simile a credere tal disonesto cognome, come anche quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel proemio della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli amorosi abbracciamenti. Nome compiuto: Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti. Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maggi: l’implicatura conversazionale -- implicatura ridicola – la scuola di Pompiano -- filosofia lombarda – filosofia bresciana – scuola di Brescia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano). Abstract. Grice: “I don’t know why Cicero found Stoicism ridiculous – but I fear the word carried a different implicature back in Ancient Rome!” The English word ‘ridiculous’ and the Italian word ‘ridicolo’ both stem from the Latin verb ‘ridere, to laugh, or to laugh at. Here’s the breakdown.Ridere (Latin verb) to laugh. Ridiculus, Latin adjective: laughable, funny, amusing, absurd, ridiculous.This adjective is derived from ‘ridere’ ‘ridiculosus (late Latin adjective) laughable – droll. This word is the DIRECT source of the English word ‘ridiculous.’ Ridicolo (Italian adjective) directly descended from the latin adjective ridiculus. In essence, both words trace their roots bak to the Latin concept of laughter, particularly that which excites amusement or derision.” Filosofo italiano. Pompiano, Brescia, Lombardia. Grice: “I like his portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but his most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the ‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.  Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali della città. Si laurea e insegna filosofia. Degl’Infiammati, strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe Pole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da M., con altra sua opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense  fu protagonista, divenendo  principe dell'«Accademia dei Filareti», che vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».  “Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando, che si pone come corollario dell'orazione di M.  Alla chiusura temporanea dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia, in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,. A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne, Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi, “Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms.  Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms,  Expositio de Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi, ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus. Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e Stato,  Modena. Note  In Sardi, Estensis latinus 88, Modena, Biblioteca Estense.  G. Bertoni, «Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura italiana»,  Bruni, Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza,  Bisanti,  interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto», Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nome compiuto: Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica, pessimismo, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Magi: l’implicatura conversazionale nell’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica fascista – il veintennio – la scuola di Pesaro -- filosofia marchese -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Abstract. Grice: “When I arrived at Corpus with a classics scholarship from Clifton, I knew I had to deal with THINGS, not words – but soon enough, all I heard ‘so-called philosophers’ discussing was: words, the use of words – in Italian: parole, l’uso delle parole – it reminded instantaneously of Magi!” -- Filosofo italiano. Pesaro, Marche. Grice: “A fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” --  Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza  per vincere nel mondo” (Sperling et Kupfer )è segnalato  al primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini,  La Via dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani,  Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra). Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi, Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione  di La Via dell'umorismo.Blog.  «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”. Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze».  Incognita. Advanced Creativity  Il Secolo XIX  (Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre, un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31  Il Secolo XIX  (R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi, Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo, "Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma dei trentasei che compongono che il libro.  Stralcio della quinta puntata (youtube)  Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri)  wuz  Panorama (Mazzone)  wuz  Panorama (Allegri)  Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi, Sperling et Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia».  La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista (Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa)  Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,. Libro/CD con prefazione di Battiato  Il Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube)  La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive), S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta (Televisione).  Sito ufficiale di Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity "Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis  riflessionisul Senso della vita su riflessioni. Nome compiuto: Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico, ‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Magli: il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I was invited to explore on the optimality of meaning at Brighton –of all places (I’d rather be surfing!) – I said, slightly out of the blue: ‘convention? Surely language has nothing to do with convention. I can invent a language, call it Deutero-Esperanto – that nobody ever speaks! I wasn’t thinking of Magli!” -- Filosofo italiano. Roma, Lazio. Anti-Babele – “Antibabele: la vera lingua universale” (Roma, Zufli). Vikipedio  Serĉi Anti-Babilona internacia planlingvo proponita Lingvo Atenti Redakti Anti-Babilona aŭ Antibabele estas internacia planlingvo proponita de Halien M. (eble plumnomo de M.), kun elementoj prenitaj el aziaj, afrikaj kaj eŭropaj lingvoj. Ĝi uzas kiel alfabeton la arabajn nombrojn kun punktoj supren aŭ malsupren la ciferoj. Geografiaj nomoj estas anstataŭigitaj per koordenadojn kaj personaj nomoj per la dato de naskiĝo kaj morto.  M. pensis ke estis inteligentaj vivantoj en aliaj proksimaj planedoj, kiel Marto, kaj oni bezonus logike matematika lingvaĵo por interkomunikigi al ili. Laŭ li, la nombro 365 signifus interplanede Tero, ĉar la Tera jaro havas 365 tagojn, kaj 224 estus logike Venuso.  La aŭtoro konis la projekton Lincos, kiu eble influis lin.  Bibliografio redakti Antibabele "la vera lingua universale.", M., Roma, Tip. A. G. I. [1952] Ĝermo pri planlingvo Ĉi tiu artikolo ankoraŭ estas ĝermo pri planlingvo. Helpu al Vikipedio plilongigi ĝin. Se jam ekzistas alilingva samtema artikolo pli disvolvita, traduku kaj aldonu el ĝi (menciante la fonton). Laste redaktita antaŭ 1 jaro de CasteloBot RILATAJ PAĜOJ Laŭbita logiko Pruvo per disputo Predikata logiko Vikipedio La enhavo estas disponebla laŭ CC BY-SA 4.0, se ne estas alia indiko. Regularo pri respekto de la privatecoUzkondiĉojLabortablo. Poeta visivo e performer sperimentale, Paolo Albani è anche autore di vari saggi e repertori su ogni tipo di "bizzarrie letterarie e non". Le ricerche (già praticate da personaggi quali Raymond Queneau e Umberto Eco) su scritti e teorie strampalate in ogni sfera dello scibile umano si concentrano in questo caso sui "mattoidi" del Bel Paese, ovvero autori che pur sostenendo tesi del tutto folli non hanno mai soggiornato in manicomio. Decine di informate schede di taglio enciclopedico prendono in esame, suddivise per argomento, casi relativi perlopiù al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, in parte attinti dall'archivio storico dell'antropologo Giuseppe Amadei. Troviamo quindi linguisti utopici come il "brevista" Carlo Cetti, che s'ingegna nel ridurre al minimo l'uso del vocabolario (riscrivendo a mo' d'esempio in versione "smagrita" I promessi sposi), o come Gaj Magli, ideatore del linguaggio numerico internazionale Antibabele. Tra i poeti e scrittori ci sono autori di audaci imprese quali un remake della Divina Commedia, preservando le rime dantesche ma con la guerra per l'indipendenza italiana come soggetto (Bernardo Bellini), mentre tra i filosofi si distinguono il panteistico Tu-sei-me-ismo di Antonio Cosentino e la Psicografia di Marco Wahlruch, esposta per mezzo di bizzarre tavole verbo-visuali. Particolarmente inquietanti alcune proposte di scienziati e medici, impegnati nel dimostrare la quadratura del cerchio ma anche nel teorizzare mostruosi incroci uomo-animale o l'assorbimento di fluido vitale da "animali sani espressamente uccisi" (nonché da uova bevute con cannuccia direttamente dal sedere della gallina!...). Anziché lasciarsi andare a facili commenti derisori, Albani redige le voci mantenendo un distaccato e scientifico aplomb, rendendo così ancor più surreale e "patafisica" la sconcertante carrellata sul risaputo genio italico. E il pensiero va, inevitabilmente, al gran numero di visionari blogghisti, fanatici cospirazionisti, politici ed economisti estemporanei (anche, ahinoi, sui banchi del Parlamento) che ancor oggi popolano la nostra benamata Penisola. Nome compiuto: Gaetano Magli. Gaj Magli. Magli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magli”. Magli

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Magnani: l’implicatura conversazionale della linea e il punto – la scuola di Sannazzaro de’Burgondi -- filosofia lombarda – scuola di Pavia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Abstract. Grice: “When I was invited at a colloquium at Brighton – of all places (I’d rather be surfing) – to expand on my optimal view of meaning, I use Plato’s example of the ‘circle’ – the perfectly round geometrical circular line. No such thing in NATURA – yet we can DEEM any imperfect circle we draw to CORRESPOND to this … er, ideal!” Filosofo italiano. Sannazzaro de’ Burgondi, Pavia, Lombardia. Grice: “I like Magnani; he has written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani; his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” --  essential Italian philosopher, not to be confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista. Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning. Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza.  I suoi interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina, nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva naturalistica e cognitiva. Note  Web Page del Dipartimento di Studi Umanistici  Computational Philosophy Laboratory Web Site  [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia, Pavia (Italia)]  Sun Yat-sen Award   Cerimonia  Book Series SAPERElesacademies. org. Edizione cinese:   Philosophy and Geometry  Morality in a Technological WorldAcademic and Professional Books Cambridge University Press  Abductive Cognition  Understanding Violence  The Abductive Structure of Scientific Creativity  Author Web Page  Handbook of Model-Based Science  Logica e possibilità, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!” --  Nome compiuto: Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Magni: l’implicatura conversazionale – filosofia lombarda – scuola di Milano – filosofia milanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Abstract. Grice: “There are alternate ways of describing what I call a conversational maxim. The imperative mode is not imperative. An objective, a paeceptum, even an ‘axiom’ may play the role!” Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ – I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff – *Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia, logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali. Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”; “De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato: corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù, Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana, Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente, fed fingula negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum abomni alioente. Harum habitudiuum, ut docui, aliae funtiden: itatise (Tentiae, ut, “Petrus est Petrus”. Alias identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem m ratione naturae humanae. Demum aliac funt efle aut principium, aut ter- n)inumalicuius motus – vt: “Petrus generat”, “Paulus generatur”. Ex quibus duntaxat potest demonstrari et existentia, et natura entium.Verum non sunt negligendae reliquae: Ille,enim, qua: referent identitatem essentiae sive affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter niotum nostrae rationis a cognitione imperfecta, ad perfectionem: v.g huius propositionis, “Homo est animal rationale”. Praedicatum licec sit identicum subiecto, ipsum tamen explicat diftin&ius. Qux autem consistunt in identitate rationis, sive affirmata, sive negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, et in omni di£lione, iudicio, ac ratiociatione praetendunt terminos, qui ab identitate rationis, communi pluribus entibus, denominantur universales. Et licet eiusmodi identitatesr ationis non inferantur syllogismo, sed cognoscantur sola collatione, seu comparatione terminorum, cognitorum aut immediate aut mediante illatione: tamen hae habitudines tum fubeunt illationem, cum ex identitate rationis affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus, infertur proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g. Quae est ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli. Quoniam vero in primo libro de per se notis, per didboncm connexam ordinavi in cognoscimento, et praedicamentis entia per se nota: coordinationem graduum entitatis, nomino cognoscimentum, et A per iu* X 2 Vakriani M. per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin &asomnes entiurn per se notorum pra:cipuos motus per se notos, quorumillos. quos quifquc confcit in se, ennarraui (atis accurats, inlibro demeiconlcicntia: fupercft, ad complementum appararus philosophici. exhibere illas propoauioncs. quarum veritasnon dependeat abentium cxiftentiajeda rarionc a?tcrn^ > et incommutabili, cuius modi debent cffe i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores enimper se nota propoliciones, exararaz in cra#atu de per se noris, habenc verit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua?, fi corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id, quod mouctur, neceiIari6 movetur ab alio : eft vera,tametfi corrumpancuromnia mouentia et mobilia. Harum vero propofitionum incommutabilium funt innumera nequecft vllaclfYerentia motus, quaenon sibi vendicetpropiias vericate'S mcommutabiles: puta has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6 Loco movetur ab alio: ld, quod alteratur, necelTari6 alteratur ab alio; U> qnod generatur, neceflano generatur ab alio. Veium hae omnes deriuanc (ibi incommutabilitatem ab hac: Id quod mouetur, neccessariu mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum craclacumillasimfnutabilium,quas nulla ipccialis pars philosophiae pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad tra&a cum de generatione. Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur ab alio demonftracurperhanc : id, <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur abalioj quae supponatur dcmon(trata m ipfo vestibulo Philosophia?,ica vc non fic opus in vllo ratiocir nco repetere demonftiacionem fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas propositiones ajternas, et ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes lllacioncs. quas habebir,& habere poteft vniucrfa philosophia: has nuncupaui Axiomata, et licniiTec denominarc Maximas, veluc, quac influanc vim iliatiuam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum ab habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle pi incipium et ccrminum motus, casvero, quae funt ex idcncitareracionis, poftrcmo loco commemorabo.nimirum ilIas, quacafficiunc motum: mocum, in quam, icalem cx quo duntaxar argumentor entium exiftencias et nacuras. Scd veiitus, nemeusftylustibi vfquequao^ue probccur, voloprius ^cxcufareilla. qu^forcaflis exiftimabisnofacii congrua fini,mjcintcdo Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarem conditionem, j4xiowata S ncm rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas obuenit vcl ab obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi et rcopeccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc ftudio, qui Reipublica: vnlius opera,& aecace impendent in agro>in mechamcis^in bcllo et iimilibus Laudatur pasfim rraditio do&rinae per quarftiones, quae rnouentuc de (uL,ie&o alicuius fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc methodum refolutiuam Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim exordicur a nonslimis et prarcendens lucem eacenus partam, reuelat semper obfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tenebras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram. Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex omnibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus, tfnde dunraxac infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis, digniratem propriam peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum, quod inihi est demonstrativum, alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim plerique, quibus opus fu pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam vero motiu func fubordinati > demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem, et evidentiam a lubfeouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi mouentis confirmatur iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura Quanti difcreci f 6c continui, nam in Mathematicis vix aliqua demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequentibus. Tibiver6,legentimeostra£htus, occurent frequenter nonnulla amcnegle&a, qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere confufionera,vcl minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra£Undas;Ide6,Licet fciam mulcum lucis acceflurum rci, quam expono.fi eo loci cognofcacur aliquid,alio loco referuarum, ramen id fepono,& pra:ftoloL loco congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra conclufionnsillacasa racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle quietcece in termino trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui coclufioni videcur aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj, - r" ta....\....^x V zlcriam M. tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnj facile intelliges eas^fi anteuertantur, neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam Philosophiam, fine quarlira evidentia. Ponofi vim a.gumenti conclufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere aliquid in entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs. Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum magna contentionecontrouertuncurintei Philofophos, fi tamenhzc ncghgentu non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira differentiam interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&modalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non habent momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur inferripoflunt ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati non obfciueprodcuntinlucem. s : DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confueta oratione declaratas, significo per vocabuU vfitata,fi Hippetant, vci adhibeo aha ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationem communem omnibus cnti' bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti Theophile. fpecierum. quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a . as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed et quod fi, p S n t.ffimum fent.ent.: At vero imaginab.les. &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J nutum, magmantis &intcllige. Hisnonrolumentia ^uexiftem praefenua.fed abient, a,pr^erita,futura,poffib,), a, ac dcmum ab ft ra Exphcaturuserg Rationem communem omnibusentibus eim affignaredebeo. quxaffirmetur deentibuspr. sentibus affirmVk dc pwtcri^affirmabitur defuturis, affirmaretur de poflibSus^f! Tcnirenc X jixiomata S venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur, abftrahendoabimentione praeteritorum praefentiumjfuturorum^ ac poflibilium. Dicoigitur Ensefleid, quod exerceta&um eflendi, vt v.g amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum, coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum. Leo exercet a&umelfendi Leonem et quodlibet entium exercct a&urn eflendi feipfum,fecundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego, quinon fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi Theophilum: nec Leo poteft exercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer ratio, communis omnibus entibus, abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis : ita vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus, quam quae nuuraliter concipuur ab omnjbus, quaeue habetur in ipfo communi vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexercuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft, aut fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem ) omni praecisa rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet actum eflendi, non est ens. Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura non sunt/ederuncemia. PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil ho r»meflens. Ens vero abftraftum ab intentione praefentis, prarteriti, futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia Entis,mter, quae nil eflentialius ipfo exercitio eflendi. Porio Gntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncomteIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideointclligit Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem, int?Heclo Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi, isdemum intclHgit, feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico, Rationem, communem oronibus enubus, elie Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua intelleaione, intellicatur sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt ceflauit ab a&ueflendt vel qua tenusnonvcnita4 aaumexiftcndi. VerumNon-ens habetfuasd.tfcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo, exorfus a mimma Nonentitatcvfquead maximam. Lapis, cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradum M. Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum Non-Ens, quandoquidem lapis potcft efie cahdus. Lapis non eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifiuum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x vifiua?, eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non fic mcrum Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit filium; quifilius eft Non-homo: non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines illi, qui nonerunt. Sed est homo futurus. At vero sunt alh, qiuceflcpoflunt.ncc tamenerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui poflent gcnerarcfilios. ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed denominantur posfibilia,qua: magis recedunt ab entitatc, quam quod sunt futura. Entibus possibilibus proxime accedunt entia prastcrita : haec enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando. Denique illa quae neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse pofliint videntur esse mera non entia.-puta corpus re&ilincum biangulareiid enim imposfibilc eft eflc, fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc confideratis Si ribi oppono ncgatiu Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur Non-TheophiiusCuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, et a!ia innumcia. Non- nsautcm oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun cupatur nihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus ex confufa sub.eaione, et predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. iUU V.x est aliqua differentia non cnritntis, qaamnon folcamus aut Lapis non est, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn cun L d U P m g Td. eft P 0 linsi posfibncfc. Anti Jlxionuts Antichristus efl furuius, dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non cognituri mulierem, dicitur ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum. Corpus reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium entium. Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum reale, fi exciptas ens in potentia, et ens imposfibile secundum quid:Iapis enim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia, quiue abfolute negaturviftuus. Eft ens. Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus, quod per singular exempla demonstro. Anti-Christus est futurus. Anti-Christus stat loco subiecti, qui in eadem propofulone supponitur Non- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est ens. Eadem est conditio huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est possibilis. Scilicet subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe ens, vt fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie, fed fusse Ens : dc naum ifta: Corpus reSiIineum biangulare eft imposfibile, non fu bijcit en<\ cum in ipfa propositione afteratur non folum Non ens.led Sc cfie imposfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra didum confuetum modum enuntiandi ndh:beas conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non erte entis. His ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas formatascx Ente& Non ente, abftradasab omni difterentiaentitatis. Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcin fpecT:us enuntias v.gde te ip(o,quodfis coloratus, quod fiscerta figura determinatus, quae propositiones non sum illatae l et tamen dependent a te, ut a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de se enuntiar prasrata, et aha eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs, quarinterccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas nos comminifcimur inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non ens, cumcnim priroum, quod obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl M. fit Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet ipsum, fefe pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem. “Ens est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem: ignorarem tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens. Porro quod ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero fubinfero alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est ensi in numeras ex eo, quod ens sit se ipsum vfic ergo argumentor; Hoc, “Ens est ens.” Ens vero est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc Ens est se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum aliorum entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens non est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum aliud, ex omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime confiderato, licet fubfumere quotquot funt entium cxiftentium6c exindeformare propofitiones, et ilIanones, prasfatis analogas, uno exemplo commonstro, ut ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Hmc fic argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus imposfibile eft. sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non Theophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est, sit vllum ahorum cntium. Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium. Scilicet Theophilus non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis, non vllumaliorurn cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de quocunquc alioente, quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g. Ens ad tu est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium ex-cuidentiflima incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim infertur condufio tam recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i incam necessitatem qucc nos compellat, aut aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum, inttepidi aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo ostendo Luna loco movetur Id, quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo: Ergo luna Loco movetur ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali, quod vcro Ens loco-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali. lraque pr^bueris assensum duabus illis prasmiflis, et tamen trepides affeiuui conclusioni, cogeris praebere affcnfum, fi animaduertas, ex negata conclusione, et conceflis premissis necessario sequi, Lunam simul moveri et non moveri. Quod moveatur supponitur in minore: quod loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impossibile est junam moueri Localiter, et non moueri locabiliter, si non sit possubiIe, Ens simul esse ens, et Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit ens. Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis probatio pet impossibile Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni Ens est Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum I:x quibus qualitcrcunqjtc ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non Ens non eit ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales, quandoquidemhabitudo, aut affirmata, aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis, inquibusens, vt fubijcitur, non diueifificatur afe, vt praedicatur. lllx enim propolirones, quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira is, qui dicit, fecernit ens dictum a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum in fe,& d uifum ab alijs, jicl vero nolTe de aliquo cnte, est dicere ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes et negationes elle notitias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc distinctionem reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Nome compiuto: Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maierù: la ragione conversazionale – la scuola di Roma -- filosofia lazia -- filosofia italiana -- Luigi Speranza per il gruppo di gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I arrived at Corpus with a classics scholarship from Clifton, I knew I was going to be in the sub-faculty of philosophy. For a while so-called ‘logic’ belonged in there, until it moved to its own institute at St. Giles – the implicature being that there is more to logic than philosophy, and that a logician ain’t necessarily a philosopher!” -- Filosofo italiano. Roma, Lazio. Lessico intellettuale europeo – Terminologia logica della tarda scolastica – centro di studio del C. N. R., Ateneo Roma. Secondo le norme del lessico intellettuale europeo il saggio di M. è stato sottoposto all'approvazione di MAURO (si veda) e GREGORY (si veda). M esprime la sua gratitudine al prefetto della biblioteca apostolica vaticana e ai direttori delle biblioteche angelica, Casanatense, nazionale centrale Vittorio Emanuele II e Universitaria Alessandrina di Roma; Ambrosiana di Milano; dell’archiginnasio di BOLOGNA; Padova; Marciana di Venezia; Corpus Christi, Cambridge; della Biblioteka Jagielloriska di Cracovia; della Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek di Erfurt; della Bodleian Library di Oxford; della Bibliothèque Nationale di Parigi; della Oesterreichische Nationalbibliothek di Vienna. Deve alla loro cortesia se lei è stato possibile utilizzare i fondi manoscritti o a stampa sui quali è stato condotto il lavoro. Ringrazia di cuore MINIO-PALUELLO (si veda), che lui ha fornito preziose indicazioni relative alla traduzione boeziana degl’elenchi sofistici; Pinborg, che ha messo a mia disposizione le notizie da lui raccolte su Maulevelt; MAURO (si veda) e Dazzi, che hanno avuto la bontà di leggere e discutere con M. il manoscritto. E ancora Zafarana, Crapulli, Bagliani, e Stabile. Un ringraziamento particolare vada a GREGORY (si veda), che ha indicato M. un metodo e lui ha aiutato costantemente e conctetamente durante la preparazione, la stesura e la stampa del saggio. Senza i suoi consigli e il suo incoraggiamento non avrei potuto superare le non poche difficoltà incontrate. Spera che i risultati non siano del tutto inadeguati alla fiducia accordatami. Roma. Nel corso dell’esposizione sono utilizzati i seguenti simboli: CP a D', ‘G’, ‘1°, ‘5 variabili proposizionali; ~ “non,” segno della negazione (~p, P); ‘3° «se... allora», segno dell’implicazione (p > q); «e», segno della congiunzione. In genere è omesso. pq si legge: “p e q”; «0 », segno della disgiunzione (pvg); = « equivale », segno dell’equivalenza (p = g). Per quanto riguarda le citazioni di testi, si noti: dei testi tratti da manoscritti o da antiche edizioni sono state normalizzate le grafie secondo l’usus scribendi del latino classico; si è unificato l’uso delle parentesi per tutti i testi (compresi quelli ricavati da recenti edizioni); le parentesi acute, ( )m indicano sempre integrazione. Le parentesi quadre, [ ], indicano espunzione, o includono una frase o un rimando utile alla comprensione del passo in esame. Gli studi dedicati alla storia di quella parte della filosofia del linguaggio detta ‘dialettica’ dimostrano che l’insieme delle dottrine fiorite nella storia non può essere ricondotto, puramente e semplicemente, al patrimonio ereditato dagl’antichi romani. Possiede una propria autonomia e una fisionomia ben definita. È vero però che ciò che i filosofi hanno elaborato non è spiegabile senza tener conto dell’eredità degl’antichi. Proprio per questo, qualsiasi tentativo di delineare una storia anche parziale dei concetti di filosofia del linguaggio deve prendere le mosse da un esame di quanto i filosofi hanno ricevuto dall’antichità. Ricorderemo quindi, brevemente, i filosofi italiani e i testi di logica antica noti nel medioevo italiano. Cfr. Bonner, Medieval logic: an outline of its development, Chicago, Moody, Truth and consequence in logic, Amsterdam; Bochenski, A history of formal logic, trans. and ed. by I. Thomas, Notre Dame, Ind; W. and M. Kneale [citato da H. P. Grice], The development of logic, Oxford – originally, ‘The Growth of Logic,’ an Oxford seminar. Si tralascia qui di ricordare e discutere opere come quella di Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, Leipzig, utile per le notizie che fornisce ma superata nell’imposizione. Di essa esiste una traduzione parziale con il titolo Storia della logica in]. Maestro di logica per eccellenza è Aristotele. La sua autorità è incontrastata. Con le sue affermazioni i filosofi fanno i conti anche quando si è ormai operato un notevole distacco dalle posizioni aristoteliche. Il complesso di opere aristoteliche che va sotto il nome di organon -e cioè, “Categorie”, “De interpretatione” – su cui H. P. Grice ha datto seminari publici a Oxford con J. L. Austin e J. L. Ackrill e J. O. Urmson --, primi analitici, secondi analitici, topici ed elenchi sofistici – ma non la Retorica o la Poetica, o Dell’anima --, a mano a mano che è conosciuto nelle sue varie parti, è utilizzato e assimilato grazie a un’assidua ‘lettura’ nelle scuole, especialmente al primo studio europeo a BOLOGNA, fondato in 1201.  La storia della filosofia del linguaggio è, per molti aspetti, la storia della penetrazione e dell’utilizzazione delle opere dello Stagirita. Accanto alle dottrine aristoteliche sono da ricordare quelle del “Portico,” -stoico-megariche. Esse hanno operato in modo meno scoperto, grazie alla mediazione di BOEZIO (si veda), soprattutto, specie per quanto riguarda la dottrina delle proposizioni ipotetiche e dei sillogismi ipotetici, del resto sviluppate anche, nell’ambito della scuola del ‘Lizio’ aristotelica, da Teofrasto e Eudemo. Ma per comprendere l’ ‘evoluzione’, p unita longitudinale della filosofia del linguaggio e la posizione storica di certi problemi è necessario tener conto, oltre che dei contributi dei due grandi filoni della filosofia del linguaggio ricordati, anche di altri autori e testi che hanno avuto notevole importanza per la conoscenza e lo studio delle dottrine. Innanzi tutto, oltre alle opere retoriche, vanno segnalati i “Topica” di CICERONE (si veda). Poi, il “De Interpretatione” attribuito ad Apuleio di Madaura che, con le sue due parti dedicate rispettivamente allo studio dell’enunciato e [del Occidente -condotta da LIMENTANI (si veda), Firenze).[Sta in Apuler Mapaurensis Opera quae supersunt, De pbilosophia libri, Liber De interpretatione, ed. Thomas, Leipzig. Per questo testo si veda Sullivan, Apuleian Logic. The Nature, Sources, and Influence of Apuleius's De interpretatione, Amsterdam] 11 sillogismo categorico, è stato a lungo il manuale su cui si sono formati i filosofi. Ancora, l’Isagoge di Porfirio, dedicato ai predicabili o quinque voces -genere, specie, differenza, proprio e accidente -che, nelle traduzioni di VITTORINO (si veda) e BOEZIO (si veda), è stato sempre ben noto e diffuso e ha fornito ai filosofi la formulazione del problema degl’universali, che infatti prende le mosse dalle parole del proemio. Inoltre, le opere enciclopediche di Marciano Capella (De Nuptiis), Isidoro (Etymologiarum sive Originum), dedicate alla sistemazione delle nozioni fondamentali delle arti liberali e che riservano quindi una parte alla grammatica, la dialettica e la retorica, riprendendo dottrine aristoteliche mediate prevalentemente dal De interpretatione attribuito ad Apuleio, almeno per quelle che si trovano in esso; il Liber de definitionibus di Vittorino; le opere di Boezio, siano esse le traduzioni di tutto l’Orgaron di Aristotele o di Porfirio, siano commenti alle opere di Aristotele (uno alle Categorie, Si veda la trad. di Boezio in Categoriarum supplementa, Aristoteles latinus, ed. L. Minio-Paluello adiuv. Dodd, Bruges; i frammenti della trad. di Vittorino; v. la posizione del problema degl’universali. Martrani Minner Fericis Capellae De nuptiis Philologiae et Mercurii, ed. Dick, Leipzig; Cassiopori Senatorris Institutiones, ed. Mynors, Oxford; Isidori Episcopr Etymologiarum sive Originum, ed. Lindsay, Oxford. L’opera è edita tra quelle di Boezio in P. L. In Categorias Aristotelis libri quatuor, P.L. Per l’ipotesi dell’esistenza d’un secondo commento cfr. P. Hadot, Un fragment du commentaire perdu de BOEZIO sur les Catégories d’Aristote dans les codex Bernensis, Archives d’histoire doctrinale et littéraire] due al De Interpretatione?) o a Porfirio (due commenti), o, ancora, ai Topica di CICERONE (si veda), siano monografie (Introductio ad syllogismos categoricos, De syllogismo categorico, De syllogismo bypothetico, De differentiis topicis, De divisione). Sono opere che fissano una terminologia (che alla lunga soppianta quella di CICERONE e di Apuleio e s'impone definitivamente) ed offrono ampio materiale per l’approfondimento delle dottrine di filosofia del linguaggio. Infine, un’opera anonima, Categoriae X, uscita forse dai circoli temistiani (MINIO PALUELLO l’ha edita di recente sotto il titolo di PARAFRASI TEMISTIANA nell’ARISTOTELE LATINO, ‘lanciata’ da Alcuino, il quale forse per primo l’attribuì ad Agostino, con un’edizione dedicata a Carlo Magno. Sono da ricordare ancora i Principia dialecticae attribuiti ad Agostino, il De doctrina christiana e il De ordine certamente di Agostino, più per lo stimolo fornito dall’autorità d’Agostino allo studio della dialettica, della quale egli sottolinea spesso l’importanza in quelle opere, che per un effettivo contributo dottrinale (esso, comunque, è di matrice del PORTICO. Anic Mani Severini BoertHm Commentarii in librum Aristotelis IIEPI EPMHNEIAXZ, rec. Meiser, ed., Lipsiae; Anrcrr Manti Severini Boethii In Isagogen Porphyrii Commenta, rec. Schepps-Brandt, Vindobonae-Lipsiae. In Topica di CICERONE commentariorum, P.L. 64, 1039D-1174B. 1? Introductio ad syllogismos categoricos, P.L.; De syllogismo categorico libri duo; De syllogismo bypothetico; De differentiis topicis; Liber de divisione. Cfr. Ryk, On the Chronology of BOEZIO Works on Logic, Vivarium. Cfr. Anonymi Parapbrasis Themistiana, PsEUDO-AUGUSTINI Categoriae decem, ed. L. Minio-Paluello, Aristoteles latinus, Bruges. Cfr. P.L.; cfr. ora De doctrina christiana, recensuit et praefatus est Green, Vindobonae. Cfr. P.L. Questo patrimonio di testi e di dottrine non e tutto utilizzato nei vari periodi. Mentre la cultura filosofica è dominata prevalentemente dai manuali ricordati, e segnatamente dall'opera di Isidoro, Alcuino, per scrivere la sua Didlectica, utilizza un corpo di testi comprendente Isagoge, Categoriae X, De Interpretatione dello ps. Apuleio e il primo commento di BOEZIO al De interpretatione. Nel successivo si diffondono, oltre all’opera pseudo-agostiniana Categoriae X che lascia in ombra quella originale di Aristotele (pure non ignota), il De Interpretatione dello ps. Apuleio, l’Isagoge, il De interpretatione di Aristotele, i Topica di CICERONE e il De dialectica dello ps. Agostino. Intanto, cominciano a diffondersi gl’altri commenti di BOEZIO e tutta l’opera di Boezio (traduzioni, commenti, monografie) s’afferma decisamente: la 1? Cfr. praefatio a De interpretatione vel Periermenias, ed. L. Minio- Paluello-G. Verbeke, Aristoteles latinus, Bruges-Paris; il De dialectica di Alcuino è in P.L. Una prima sistemazione dei dati relativi alla diffusione di questi testi è in A. VAN pE Vyver, Les étapes du développement philosophique, Revue belge de philologie et d’histoire. Per la diffusione delle Categorie d’Aristotele, cfr. gli studi di Minio-Paluello: The Genuine Text of BOEZIO Translation of Aristotle’s Categories, Studies; The Text of the Categoriae: the Latin Tradition, The Classical Quarterly; NOTE SULL’ARISTOTELE LATINO MEDIEVALE, Rivista di filosofia neoscolastica. Oltre alla praefatio alle Categoriae vel Praedicamenta, ed. L. Minio-Paluello, Aristoteles latinus. Cfr. L. Minro-Paluello, praefatio a De interpretatione. Per la diffusione del De interpretatione, cfr. Isaac, Le Peri Hermeneias en Occident de BOEZIO ed AQUINO. Histoire littéraire d'un traité d’Aristote, Paris] sua influenza dura praticamente incontrastata. In questo periodo si rafforza e consolida una tendenza, affiorata già nei secoli precedenti, a raccogliere in un solo manoscritto più opere destinate a coprire un ampio arco di dottrine logiche e perciò poste a base dell’insegnamento. Un gruppo di tre opere, Isagoge, Categorie di Aristotele e De interpretatione, circola stabilmente insieme; ad esso si affiancano le opere di Boezio, e soprattutto le monografie De divisione, De differentiis topicis, De syllogismo categorico e De syllogismo bypothetico che, insieme alle tre opere ricordate, costituiscono i septem codices posti da Abelardo alla base delle sue esposizioni di logica. Altre opere, come il De Interpretatione dello ps. Apuleio e i Topica di CICERONE, sono oggetto di lettura. Ad esse si e intanto affiancato il Liber sex principiorum, esposizione di sei categorie -principia: azione, passione, quando, dove, situazione, abito) che integra quella di Aristotele, che ad alcuni di questi temi non ha fatto molto spazio. Il Liber risulta composto da uno o due frammenti di un’opera riguardante la expositio delle Categorie di Aristotele dovuta ad un anonimo autore. Intanto nelle scuole cominciano a penetrare le altre opere di Aristotele tradotte da BOEZIO e tutte tradotte di nuovo dal î  Cfr. per tutti, L. Minro-Paluello, Les traductions et les commentaîres aristoteliciens de BOEZIO, Studia Patristica, e Chenu, La théologie, Paris  (Aetas Boetiana). Cfr. Perrus AsarLarpus, Dialectica, the Parisian Manuscript by Rijk, Assen. Ch; L. Minio-PALUELLO, Magister Sex Principiorum, Studi Medievali. Per la storia della cultura IN ITALIA nel Duecento e primo Trecento. Omaggio ad ALIGHIERI (si veda). Il testo (AnonvMI Fragmentum vulgo vocatum Liber sex principiorum) è in Categoriarum supplementa,; si veda 13 e — mem greco specialmente ad opera di Veneto; Abelardo ha conoscenza degl’elenchi sofistici e dei primi analitici; i topici (già però in parte noti ad Abbone di Fleury, Gerberto d’Aurillac e Notkero) e gl’elenchi sono utilizzati da Adamo Parvipontano nell’Ars disserendi; Giovanni di Salisbury per primo dà notizia dei Secondi analitici, venuti in circolazione ma non ancora normalmente in uso a Chartres. Tutte queste opere sono già oggetto di lettura a Parigi. Si ricostituisce allora il corpus delle opere logiche di Aristotele, con o senza aggiunta di altre opere. Si denomina ars nova il complesso di opere aristoteliche di recente acquisizione -Primi e Secondi analitici, Topici ed Elenchi --, mentre con l’espressione quivi la praefatio dell'editore; l’opera è in capitoli. Uno tratta della forma, cinque delle prime cinque categorie ricordate, uno dell’habitus, uno de magis et minus. Su Veneto, cfr. i contributi di L. Minio-Paluello: Giacomo VENETO Grecus, Canonist and Translator of Aristotle, Traditio. Note sull’Aristotele latino medievale, Filosofia scolastica; Veneto e l’aristotelismo latino, in Venezia e l'Oriente fra tardo medioevo e rinascimento, a cura di PERTUSI (si veda), Firenze. Cfr. M.T. Beonio BroccHieri Fumacatti, La logica di Abelardo, Firenze. Cfr. Mio-ParueLto, Note sull’Aristotele latino medievale, Rivista di filosofia neoscolastica, Cfr. Minro-PaLueLro, Adam of Balsham Parvipontanus  and his Ars Disserendi, Mediaeval and Renaissance Studies, Joannis SarissERIENSIS Episcopi CarnoTENSIS Metalogicon, rec. Webb, Oxonii. Sui programmi di studio a Chartres e a Parigi cfr. Isaac; in generale, cfr. GRABMANN, Aristotele, Mediaeval Studies, ora in Mittelalterliches Geistesleben, Miinchen. Cfr. Minio-PaLueLLO, Magister Sex Principiorum: il ars vetus si designano i testi in uso da tempo, anche se, in seguito, l’espressione viene usata dai filosofi a designare prevalentemente le tre opere: Isagoge, Categorie, De interpretatione, alle quali risulta quasi sempre aggiunto il Liber sex principiorum. Queste sono, in sintesi schematica, le linee storiche dell’acquisizione del patrimonio logico da parte dei filosofi. Ma essi, mediante un assiduo studio e commento dei testi, giunsero ben presto a elabotare gl’elementi fondamentali di un corpo di dottrine. Due contributi dottrinali sono decisivi in tal senso. Da una parte, la dottrine della GRAMMATICA RAZIONALE O FILOSOFICA, raccolte da Donato nelle Artes grammaticae e da Prisciano negli Institutionum grammaticarum libri, sono oggetto di studio e di commento, diventano testi di scuola e vengono distribuiti secondo criteri scolastici. Di Donato si legge l’Ars zizor, l’Ars maior -libri primo e secondo dell’ Ars maior -e il Barbarismus -libro terzo dell’Ars maior. L’opera di Prisciano è divisa in Priscianus maior (comprendente i libri I-XVI degli Institutionum grammaticarum libri) e Priscianus minor (libri XVII-XVIII). Tra i commentatori di Prisciano corpus aristotelico ricostituitosi circola in due forme, la FORMA ITALIANA (o italo-germanica), senza l’aggiunta di opere di Boezio, l’altra francese, che ha in più il De divisione e il De differentiis topicis di Boezio. Cfr. Aristoteles latinus, codd. descripsit Lacombe, in societatem operis adsumptis Birkenmajer, Dulong, Aet. Franceschini, pars prior, Roma. Prosi Donati Serva qui feruntur De arte grammatica libri, ex rec. Mommsenii, in Grammatici latini, ex rec. Keilii, Lipsiae: Ars minor, Ars maior, Prisciani GrammaTICI CAESARIENSIS Inustitutionum Grammaticarum libri XVIII, ex rec. Hertzii, in Grammatici latini, cit., Lipsiae. Cfr. Roos, Die Modi significandi des Martinus de Dacia. For- occupano un posto di rilievo Guglielmo di Conches e Pietro Elia. Ma l’approfondimento delle dottrine grammaticali è stato possibile grazie alla filosofia di Aristotele mediata da Boezio (compreso il Boezio degli opuscoli teologici). Il secondo contributo è rappresentato dall’inserimento delle nuove opere di Aristotele e soprattutto degli Elenchi sofistici nell'ambito degl’interessi logico-linguistici in sviluppo. Gli Elenchi, commentati a Costantinopoli da Michele di Efeso, tradotti e commentati da Giacomo Veneto, rappresentano in Occidente il contributo di Aristotele e della tradizione greca e bizantina mediata dal Chierico Giacomo alla chiarificazione dei problemi che traggono la loro origine dall'uso equivoco EQUIVOCO GRICE delle parole nel discorso. Essi sono il primo dei testi nuovi di Aristotele ad entrare in Occidente, e innanzi tutto IN ITALIA, per poi passare in Francia, dove e già in atto lo sviluppo delle dottrine logico-linguistiche, e quindi nel resto d’Europa. Lungo tutto questo arco, da un lato l’analisi delle parti del discorso proposto dalle grammatiche di Donato e di Prisciano, dall’altro l'indagine sui termini di cui si compone l’enunciato, quale è nel De interpretatione e nei commenti boeziani ad esso, contribuirono a individuare alcuni temi, che vanno da quello della vox a quello della SIGNIFICAZIONE (SEGNO) e della consignificatio, dall’indagine sui rapporti tra piano della realtà, piano mentale e piano [schungen zur Geschichte der Sprachlogik, Beitràge zur Geschichte der Philosophie, Miinster W.-Kopenhagen. Cfr. Minio-Paluello, Giacomo Veneto e l’aristotelismo latino; Rrjk, Logica modernorum. A Contribution to the History of Terminist Logic, On the Theories of Fallacy, Assen; un bilancio del contributo grammaticale e del contributo proveniente dalla dottrina delle fallacie si trova in In, Logica modernorum, Il, i: The Origin of the Theory of Supposition, Assen] linguistico  a quello, più complesso, tra oratio ed enuntiatio da un lato e realtà SEGNATA – SIGNIFICATA -e intelletto che compone e divide i concetti espressi dalle parole, dall’altro. Fino all’articolazione dei termini componenti l’enunciato in categoremi o parti significative, soggetto e predicato, e sincategoremi, particelle consignificative o operatori. Dottrine semantiche ed enucleazione di strutture rilevanti da un punto di vista sintattico sono ben presto sistemate in appositi trattati de proprietatibus terminorum, detti anche parva logicalia in relazione alle dottrine propriamente aristoteliche rappresentanti per eccellenza la logica, e che nel nuovo genere della letteratura logica, le summulae, fanno seguito ai trattati nei quali le dottrine aristoteliche sono riassunti per la scuola. Ma, contemporaneamente, ci si dedicò allo studio dell’inferenza logica, elaborata a partire dagli stessi testi aristotelici — Primi analitici e Topici — e da elementi del PORTICO. Si comincia a parlare delle conseguentiae e si avvia la costituzione di dottrine della logica degl’enunciati che trovarono posto in trattati autonomi. Questo corpus di dottrine, appartenenti sia alla logica o CALCOLO DEI PREDICATI che alla logica degli enunciati, è designato con l’espressione logica moderna, o logica modernorum, mentre logica antiqua è detto l’insieme di logica vetus e di logica nova. I trattati più significativi nei quali si concretizza la logica modernorum sono i seguenti [Cfr. In Arist. Periermenias; e ancora DE Rijk, Logica modernorum, Cfr. I.M. BocHENSKI, De consequentiis Scholasticorum earumque origine, Angelicum; ma si vedrà con profitto di BòHNER, anche Does Ockbam know of Material Implication, Franciscan Studies, ora in Collected Articles on Ockbam, ed. Buytaert, Louvain-Paderborn. Una prima sistemazione in BòHNER, Medieval Logic, Proprietates terminorum: studiano i vati categoremi, e comprendono: de suppositionibus o dottrina della funzione di un termine che occorre in una proposizione in luogo della cosa di cui si parla. Essa si articola in varie specie; — de armpliatione; — de restrictione; — de appellatione; — de copulatione; — de relativis, studio della supposizione del pronome relativo, condizionata dal rapporto che esso ha col termine (antecedens) al quale è ordinato. Queste dottrine hanno molto spesso, al di fuori delle surzzzulae, sistemazione in trattati autonomi; Tractatus syncategorematum: è lo studio delle particelle consignificative, o operatori logici. Essi sono talora espliciti, talora impliciti in un categorema. Omnis è un semplice sincategorema. “Differt” è un *categorema* che ha un importo sincategorematico. Lo studio dei categoremi comprendenti un sincategorema trova spesso posto nei trattati de esponibilibus. Ma sincategoremi e categoremi aventi un importo sincategorematico condizionano la supposizione dei termini che ad essi seguono, confondendoli. Si hanno così anche alcuni trattati de termiinis confundentibus. Tutti i trattati dedicati ai sincategoremi hanno avuto alterna fortuna. Spesso sono stati assorbiti nei Sophismata, raccolta di problemi vertenti su proposizioni che richiedono particolari analisi proprio a causa dei sincategoremi e termini con importo sincategorematico in esse presenti di: e L.M. De Ryk, Logica modernorum. Cfr. anche, per una valutazione in termini di logistica di alcuni temi, Prior, The Parva logicalia  in Modern [Griceian] Dress, Dominican Studies; WersnerpL, Curriculum of the Faculty of Arts at OXFORD (H. P. GRICE), Mediaeval Studies, ha fatto il punto sulla questione (cfr. anche: Developments in the Arts Curriculum at OXFORD. De consequentiis, dedicati alla dottrina dell’inferenza logica e in genere alla logica degli enunciati; De obligationibus: analizzano e sistemano le regole della disputa scolastica, che hanno avuto origine dal quotidiano esercizio della disputa sulla traccia, probabilmente, dei luoghi dialettici; De insolubilibus, dedicati all'esame di proposizioni antinomiche secondo la tradizione del paradosso del bugiardo. La discussione è condotta con l’aiuto di dottrine sematiche e serve a precisare il significato di una proposizione; De veritate propositionis: è un genere di trattato che si ricollega agli insolubilia e ripone in discussione il significato della proposizione; trattati de probatione propositionis, trattati de sensu composito et diviso. Quanto la logica debba a influenze bizantine e arabe è ancora oggetto di indagine. Ma due fatti sembra siano definitivamente acquisiti. Il primo è che di nessuna delle opere; ma si veda M. GrABMANN, Die Sophismataliteratur mit Textausgabe eines Sophisma des Boetius von Dacien. Ein Beitrag zur Geschichte des Einwirkens der aristotelischen Logik auf die Ausgestaltung der mittelalterlischen philosophischen Disputation, Beitràge zur Geschichte der Philosophie, Miinster. Cfr., per una presentazione generale, Brown, The Role of the Tractatus de obligationibus, Franciscan Studies. Secondo Birn, The Tradition of the Logical Topics: Aristotle to Occam, Journal of the History of Ideas, queste dottrine hanno avuto origine dai Topici. Cfr., per alcune note storiche, Prior, Some Problems of self- reference in Buridan, The British Academy; RiJk, Somze Notes on the Mediaeval Tract] comprese nell’Organon di Aristotele, fatta eccezione per i Secondi analitici, esiste una traduzione dall'arabo, né risulta sia mai esistita, mentre, per quanto riguarda i Secondi analitici, perduta la versione boeziana, essi sono tradotti dal greco da Giacomo Veneto e poi da anonimo. Solo dopo Giacomo Veneto, Gerardo da CREMONA (si veda) ne fece una traduzione dall’arabo. Ma tutto Aristotele, con eccezione di poche parti, giunse ai latini prima dal greco che dall’arabo. È questo un elemento in più a testimonianza che i rapporti culturali con l'Oriente greco non furono mai interrotti. Per questo canale passa anche il commento agl’elenchi, tradotto dal greco e attribuito ad Alessandro d’Afrodisia, peraltro perduto în greco (il testo greco del commento agli Elenchi pervenutoci è di Michele di Efeso. IN LATINO restano alcuni frammenti del commento di Alessandro - e il commento ai Secondi analitici di Alessandro d’Afrodisia, del quale parimenti manca il testo greco, entrambi tradotti da Giacomo Veneto. L'altro fatto è che l’Isagoge alla logica di Avicenna, unico trattato logico dello Shifa tradotto in latino, e la Logica di al-Ghazali circolarono ed ebbero influenza, insieme con le opere di De insolubilibus, with the Edition of a Tract, Vivarium. Roure, La problématigue des propositions insolubles suivie de l’édition des traités de Shyreswood, Burleigh et Bradwardine, Archives d’histoire doctrinale. Un bilancio puntuale delle traduzioni dal greco in latino è in L. Minio-Paluello, Aristotele dal mondo arabo a quello latino, in L’Occidente e l'Islam nell'alto medioevo, CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO, Spoleto, oltre che nel già cit. Giacomo Veneto e l’aristotelismo latino. Cfr. Minro-Paruetto, Note sull’Aristotele latino medievale. Giacomo Veneto e l’aristotelismo latino] Averroè e degli altri filosofi arabi, in una direzione ben precisa: se della determinazione delle intenziones o concetti, e quindi È ; ; ; h; scorso considerato a livello mentale, e della discussione di problemi appartenenti alla metalogica. Filosofi e testi della logica modernorum Il periodo di storia della logica oggetto d’indagine in questo lavoro è limitato ai secoli XIV e XV. Ma l’esigenza di rendere conto dei precedenti, o del formarsi di alcune dottrine, ci ha condotto spesso a tener presente non solo opere del secolo XIII, ma anche i testi, disponibili in edizioni, del secolo XII. Diamo qui di seguito uno sguardo sommario ai filosofi e ai testi utilizzati. Ci si è limitati alla Dialectica di Garlandus Compotista, alle opere di Abelardo (Introductiones Cfr. la Logica di Avicenna in AviceNNAE perbypatetici phi i medicorum facile primi Opera in lucem redacta È pon rota potuit per canonicos emendata, Venetiis mandato ac sumptibus haeredum nobilis viri domini Octaviani Scoti per Bonetum Locatellum Bergomensem, ff. 2ra-12vb; la Logica di AL-GHAZALI è in C.H. LoHR, Logica Algazelis, Introd. and Critical Text,  Traditio. ma si tenga presente anche il Liber de intellectu di ax-Kinpi (o Liber introductorius in artem logicae demonstrationis collectus a Mabometh discipulo ALquinpi philosophi) ed. in Nacy, Die philosophischen Abbandlungen des Ja “qb ben Ishàq al-Kindî, Beitrige zur Geschichte der Philosophie, Miinster. Di recente ha sottolineato l’importanza dello studio delle intertiones, e quindi dell’influenza araba, J. Pinporc nella rec. a RiJk, Logica modernorum, Vivarium, Dialectica, Edition of the Manuscri i i I ; pts with an Introduct the Life and Works of the Autor and on the Contents of dhe: Passent Work by Rijk Ph. D., Assen, dialecticae, Logica Ingredientibus, Logica Nostrorum ®, Dialectica), all’Ars disserendi di Adamo di Balsham, detto il Parvipontano, a quanto ha pubblicato Rijk nella Logica modernorum: sia nel primo volume, dedicato alla penetrazione e ai commenti agli Elenchi sofistici (Glose in Aristotilis Sopbisticos elencos, Summa Sophisticorum elencorum, Tractatus de dissimilitudine argumentorum, Fallacie Vindobonenses, Fallacie Parvipontane), nonché ai testi editi nello stesso volume sotto il titolo Frustula logicalia ma relativi al secondo commento di BOEZIO al De interpretatione; sia nella seconda parte del secondo volume, nel qual esono edite alcune sumzzzulae (i testi utilizzati sono, nell’ordine: Excerpta Norimbergensia, Ars [Sono la prima parte (comprendente Editio super Porphyrium, Glossae in Categorias, Editio super Aristotelem De interpretatione, De divisionibus) degli SCRITTI DI LOGICA, ed. PRA (si veda), Firenze. La seconda parte, Super Topica glossae, fa parte della Logica Ingredientibus, e sarà citata in modo autonomo. La Logica Ingredientibus è edita da Geyer, Abaelards philosophische Schriften, Beitrige zur Geschichte der Philosophie, Miinster W. 1919-27 (la numerazione delle pp. continua da un fasc. all’altro); ad essa si ricollegano le Glosse super Periermenias XII-XIV, ed. da L. Minto-PALUELLO, Twelfth Century Logic. Texts and Studies, Roma; la Logica Nostrorum petitioni sociorum, è edida da GEYER, Beitrige zur Geschichte der Philosophie, Miinster (la numerazione delle pp. continua quella della Logica ‘Ingredientibus’). 48 Perrus Asaearpus, Didlectica, cit. (cfr. n. 21). 59 Apam Barsamiensis Parvipontani Ars Disserendi (Dialectica Alexandri), in Minio-ParueLto, Twelfth Century Logic. Texts and Studies, Roma. Cfr. De Ryxk, Logica modernorum.; i testi elencati sono, nell'ordine: Glose in Aristotilis Sophisticos elencos; Summa Sopbisticorum elencorum; Tractatus de dissimilitudine argumentorum; Fallacie Vindobonenses; Fallacie Parvipontane. Emmerana, Ars Burana, Tractatus Anagnini, Tractatus de univocatione Monacensis, Introductiones Parisienses, Logica Ut dicit, Logica Cum sit nostra, Dialectica Monacensis, Tractatus de proprietatibus sermonum. Ma si utilizzano anche le Fallacie Londinenses e le Fallacie Magistri Willelmi®, che in realtà trattano temi riguardanti gli Elenchi sofistici); sono stati presi in esame e utilizzati anche i testi che Rijk riporta ampiamente nella prima parte del secondo volume (Ars Meliduna, Summe Metenses) e quanti altri testi egli utilizza al fine di ricostruire le origini della logica terministica confluita nelle summulae. Queste costituiscono il tramite naturale tra l’insegnamento di Abelardo e le summulae, secondo quanto ha suggerito Grabmann e ha dimostrato Rijk. I testi, tutti anonimi, delle summulae edite sono datati dallo studioso olan[Cfr. De Rijk, Logica modernorum, II, ii, Texts and Indices, Assen: Excerpta Norimbergensia; Ars Emmerana; Ars Burana; Tractatus Anagnini; Tractatus de univocatione Monacensis; Introductiones Parisienses; Logica Ut dicit; Logica Cum sit nostra; Dialectica Monacensis; Tractatus de proprietatibus sermonum; Fallacie Londinenses e Fallacie Magistri Willelmi. Cfr. Rijk, Logica modernorum, Ars Meli duna e Summe Metenses. Cfr. GrABMANN, Handschriftliche Forschungen und Funde zu den philosophischen Schriften des Hispanus, des spàteren Papstes Johannes XXI,  Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, philos.-histor. Abteilung, Miinchen, e soprattutto Bearbeitungen und Auslegungen der aristotelischen Logik aus der Zeit von Abaelard bis Hispanus. Mitteilungen aus Handschriften deutscher Bibliotheken, Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, philos.-histor. Klasse, Berlin, e Kommentare zur aristotelischen Logik im Ms. lat. Fol. 624 der Preussischen Staatsbibliothek in' Berlin. Ein Beitrag zur Abaelardforschung, Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften, philos.-histor. Klasse, Berlin] dese al periodo che va dalla seconda metà del secolo XII alle prime due decadi del secolo XIII (sono collocati agli inizi di quest’ultimo secolo solo il Tractatus de proprietatibus sermonum e le Summe Metenses. i | Per i secoli successivi, ci si è limitati ad esaminare i testi appartenenti alla tradizione delle summulae o singoli trattati rientranti nella tradizione della logica modernorum. Così sono state prese in considerazione le Sumule dialectices la cui attribuzione a Ruggero Bacone è stata rimessa in discussione, e dello stesso Bacone le opere, certamente autentiche, Summa de sophismatibus et distinctionibus e Compendium studii theologiae; quest ultimo ha notevoli affinità con le Sumule dialectices ricordate. Sono state, naturalmente, consultate sia le Introductiones in logicam  che i Syncategoremata di Shyreswood (f dopo Cfr. Rogeri Baconi Surzmza gramatica nec non Sumule dialectices, nunc primum edidit Steele, in Opera bactenus inedita Rogeri Baconis, OXONII. ; | Già P. Grorieux (Répertoire des Maîtres en théologie de Paris, Paris) aveva collocato l’opera tra quelle dubbie; v. ora L.M. De Rj, Logica modernorum, che avanza il nome del domenicano Roberto Bacone. R. SreeLE, nell’Introduction all’ed. cit.,fa riferimento al Compendium per sostenere l’autenticità. Roceri Baconi Liber de sensu et sensato nec non Summa de sophismatibus et distinctionibus, nunc primum edidit R. Steele, in Opera bactenus inedita Rogeri Baconis, Oxonii. FrarrIs Roceri Bacon Compendium studii theologiae, ed. H. Rashdall, Aberdoniae. L'edizione è in GraBmann, Die Introductiones in logicam des Shyreswood, Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, philos-histor. Abteilung, Miinchen; si veda ora SHERWOOD'S Introduction to Logic, transl. with-an Intr. and Notes by Kretzmann, Minneapolis Minn. In O’DonneLt, The Syncategoremata of Sherwood; le Sumemulae logicales, il Tractatus exponibilium e il Tractatus syncategorematum di Pietro Ispano, divenuto papa col nome di Giovanni XXI; per le Surzzzulae logicales di Lamberto di Auxerre, abbiamo utilizzato i cenni che ha fornito Prantl nella sua Geschichte der Logik im Abendlande. Di Vincenzo di Beauvais si è consultato lo Speculum doctrinale, che raccoglie tanta parte dell’insegnamento grammaticale e logico del tempo. D’AQUINO, gli opuscoli “DE MODALIBVS” e “DE FALLACIIS.” Tutte queste opere si collocano intorno alla metà del secolo, con la sola eccezione del Compendium di Bacone. Alle esposizioni e ai commenti al corpus tradizionale degli scritti Mediaeval Studies; cfr. SHERWO0D'S Treatise on Syncategorematic Words, trans. with an Intr. and Notes by Kretzmann, London. Perri Hispani Summulae logicales, quas e codice manu scripto Reg. Lat. edidit Bochefiski, Taurini. In Muttatry, The Summulae logicales of Peter of Spain, Notre Dame Ind. In Perri Hispani Summulae logicales cum VersorI Parisiensis clarissima expositione. Parvorum item logicalium eidem Petro HisPANO ascriptum opus, Venetiis Apud Jacobum Sarzinam; cfr. ora PETER OF Spain, Tractatus syncategorematum and Selected Anonymous Treatises, trasl. by Mullally, with an Intr. by Mullally and Houde, Milwaukee Wisc.; le pp. saranno fornite di volta in volta. Per la datazione dell’opera, cfr. ora Rik, Note on the Date of Lambert of Auxerre’ Summule, Vivatium; per il testo, v. LampERTO DI AuxERRE, Logica (Summa Lamberti), prima ed. a cura di F. ALESSIO (si veda), Firenze. Vincentit BeLLovacensIs Speculum doctrinale, Duaci (ed. anastatica Graz). Useremo il testo che sta in BocHENSKI, Sancti Thomae AQUINO DE MODALIBVS opusculum et doctrina,  Angelicum. In AQUINO, Opuscula philosophica, ed. SPIAZZI (si veda), Taurini-Romae] logici si farà riferimento solo occasionalmente, e anche in tal caso si farà riferimento solo alle expositiones di Alberto Magno e alle In librum primum priorum Analyticorum Aristotelis quaestiones, attribuite a Duns Scoto e certamente databili al tempo del doctor subtilis; si utilizzeranno inoltre le In libros Elenchorum quaestiones, certamente di Duns Scoto. I filosofi e i testi presi in esame possono essere distinti in tre gruppi. Va considerata innanzi tutto l’opera dei logici inglesi nel suo complesso. Essa rappresenta il contributo più originale € più coerente allo sviluppo e alla sistemazione delle dottrine logiche medievali. Di Occam, sulla cui personalità è qui inutile soffermarsi tanto è universalmente riconosciuta la sua importanza nella storia della logica, si sono esaminate, nell ordine, l’Expositio aurea in artem veterem, la Summa logicae (nell edizione del Bohner per la parte da lui pubblicata Be per il resto nell'EDIZIONE VENEZIANA), il Tractatus logicae minor Le expositiones di ALsERTO Macno delle opere logiche d’Aristotele stanno nei primi 2 voll. di Opera, cd. Borgnet, Parisiis. _ In Opera omnia, I, ed. Wadding, Lugduni Sumptibus Laurentii Durand. n Ivi. n © Cfr. GuiieLmi pe OccHam Expositio aurea et admodum utilis super Artem veterem, cum questionibus ALBERTI PARVI DE SAXONIA. Impensis Benedicti Hectoris Bononiensis artis impressorie solertissimi Bononieque Impressa s. pp. Ockuam, Summa logicae. Pars prima. Pars secunda et tertiae prima, ed. by Ph. Bohner, St. Bonaventure N.Y-Louvain-Paderborn (la numerazione delle pp. continua da un volume all’altro; perciò non sarà indicato il volume da cui è tratta la cit.). Macistri GuieLMI (!) OccHam Summa totius logice, VENEZIA per Lazarum de Soardis e l’Elementarium logicae, da collocare dopo il Tractatus logicae minor)". Avversari di Occam sono Burleigh e Riccardo di Campsall. Il primo e maestro a Parigi. Compose molti trattati di logica: sono expositiones della logica antigua, oppure opere legate più propriamente alla tradizione della logica modernorum. Di queste ultime sono state prese in esame le due redazioni incomplete del De puritate artis logicae e il trattato De probationibus, sulla cui attribuzione al nostro maestro sono stati di recente avanzati dubbi. Il secondo — fellow del Balliol, poi del Merton  ricordato come maestro [m È in Buyraert, The Tractatus logicae minor of Ockbam, Franciscan Studies; per la datazione di de sta e della seguente opera di Occam, cfr. ivi, pp. 51-53. In Buvraert, The Elementarium logicae of Ockbam,  Franciscan Studies: poiché non citeremo le ultime pp. della seconda parte, la numerazione delle pp. non dà luogo a confusione tra le due parti; omettesue mp l'indicazione del volume e dell’annata della rivista. er le notizie biografiche relative ai maestri inglesi che seguono, Empen, A Biographical Register of the arida of OXFORD to (Di 1500, 3 voll., Oxford; per il nostro autore, cfr. MARTIN, Burley, in Oxford Studies presented to Callus, Oxford, Rio. NI ties E Ockham and Some Mertonians [LIKE H. P. GRICE], Mediaeval Sudies, e Repertorium ivi ferergicig, Mertonense, De puritate artis logicae Tractatus longior. With a Revised Edition of the Tractatus brevior, ed. by Bshner, St. Bonaventure N.Y.-Louvainna e 1955. È contenuto nel ms. Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibli Amplon. Q. 276, ff. 6ra-19va; l’indice del ms. è in Tesio, Lea klung der Sprachtheorie im Mittelalter, Beitrige zur Geschichte der Philosophie, Miinster. Pinborg avanza dubbi sull’autenticità dell’opera] reggente nelle arti e come sacre theologie professor — scrive, fra l’altro, una Logica valde utilis et realis contra Ocham e delle Questiones super librum Priorum analeticorum: di entrambi utilizzeremo quanto ha pubblicato Synan. La generazione successiva annovera Guglielmo Heytesbury: fellow del Merton, e tra i fellows fondatori del Queen's, e poi ancora fellow del Merton, è ricordato come maestro in teologia; e due volte cancelliere di Oxford. Compone la sua opera maggiore, le Regulae solvendi sophismata, e i Sophismata. Di lui si ricorderanno le Regulae, il De sensu composito et diviso, il De veritate et falsitate propositionis (questi testi sono Cfr. Synan, Richard of Campsall, an English Theologian,  Mediaeval Studies, Introduction alle Questiones (di cui alla n. seguente); v. WersHEIPL, Repertorium Mertonense. Rispettivamente: Svnan, The Universal and Supposition in a Logica Attributed to Richard of Cempsall, in Mediaeval Thinkers. A Collection of bitherto unedited Texts, ed. O'Donnell, Toronto; e The Works of Richard of Campsall, I: Questiones super librum Priorum analeticorum. Ms. Gonville and Caius 688, ed. by Synan, Toronto. Cfr., oltre a Empen, op. cit., ad L: J.A. WrrsHerPL, Ockbam and Some Mertonians (in part.: il suo testamento), e Repertorium Mertonense. Cfr. Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, ms. Amplon. F. 135, f. 17r: Explicit quidem tractatus optimus datus OXONIE a mag. Hytthisburi; cfr. W. ScHum, Beschreibendes Verzeichniss der Amplonianischen Handschriften-Sammlung zu Erfurt, Berlin. Cfr. A. Mater, Die Vorliufer GALILEI, Roma. Gregorio da RIMINI (si veda) cita i Sophiswata di Heytesbury nel suo commento alle Sentenze. stati editi a Venezia, e il trattato De propositionum multiplicium significatione, conservato in un solo manoscritto. Billingham, poi, e maestro nelle arti e reggente e fellow del Merton. Di lui si sono studiati lo Speculumz puerorum sive Terminus est in quem e il De sensu composito et diviso Wyclif compose una Summula de logica e tre trattati che vanno sotto il nome di Logice continuacio: sono stati tutti pubblicati da Dziewicki nell'edizione delle opere latine di Wyclif sotto il titolo Tractatus de logica. Condiscepolo di Wyclif al Merton e Strode, maestro nelle arti, poeta e uomo politico: la sua Logica [Cfr. GuiLeLMI HENTISBERI Tractatus de sensu composito et diviso. Regulae eiusdem cum suphismatibus. Tractatus HENTISBERI de veritate et falsitate propositionis. Conclusiones eiusdem. Impressum VENEZIA per Bonetum Locatellum sumptibus Octaviani Scoti. I capitoli delle Regulae saranno citati autonomamente. Essi sono: De insolubilibus, De scire et DVBITARE, De relativis, De incipit et desinit, De maximo et minimo, De tribus praedicamentis. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. lat. VI, 160 (= 2816), ff. 252ra-253vb. 87 Cfr. Maierù, Lo Speculum puerorum sive Terminus est in quem di Billingham, Studi Medievali, A ERMINI (si veda); notizie biografiche; testo dello Speculum puerorum sive Terminus est in quem; testo parziale del De sensu composito et diviso (dall’unico ms. noto, Parigi, Bibliothèque Nationale, lat. 14715), ivi, appendice. J. WycLir, Tractatus de logica, Now First Edited from the Vienna and Prague Mss. by Dziewicki, London  (First repr. New York-London-Frankfurt): la Logica occupa le pp. 1-74 del vol. I; il tr. I Logice continuacio è ivi, pp. 75-120; il tr. II Logice continuacio è ivi, pp. 121-234; il tr. III Logice continuacio occupa i voll. IT-III dei Tractatus de logica. Cfr. Dictionary of National Biography, ed. L. Stefen-S. Lee, London, ad /., e EMDEN, op. cit., ad I. in sei trattati (uno dei quali dedicato alle Conseguentiae) è tutta conservata nel ms. Bodleian, Canon. 219”. Un autore del quale non si sa altro se non che e inglese” è Maulevelt: i più antichi manoscritti delle sue opere, diffuse prevalentemente nell’Europa, sono della metà del secolo XIV”. I trattati qui presi in esame sono Per il testo dei trattati ancora inediti ci serviamo del ms. Oxford Bodleian Library, Canon. 219, ff. 13ra-52vb: la successione dei trattati nel ms. non è quella voluta dall'autore; qui si darà solo l'indicazione dei ff, non del trattato. Per il testo delle Conseguentiae ci serviamo della seguente ed.: Stroni Consequentie cum commento ALEXANDRI SERMONETE. Declarationes GAETANI in easdem Consequentias. Dubia Magistri PAULI PERGULENSIS. Obligationes eiusdem Stropi. Consequentie RicarDI DE FERABRICH. Expositio GAETANI super easdem. Consequentie subtiles HENTISBARI. Questiones in Consequentias Strodi perutiles eximii artium doctoris domini ANtoNI FracHantiani Vicentini. Impressa fuerunt VENEZIA que in hoc volumine continentur per Lagarum de Soardis, sumptibus Heredum nobilis viri domini Octaviani Scoti civis Modoetiensis et Sociorum 1517 Die 8 Aprilis. Risulta dai sgg. ms.: Erfurt, Amplon. Q. 255  Explicit tractatus fallaciatum lectus Lovanii per mag. Thomam Anglicum dictum Manlevel (f. 27), e Amplon. Q. Hec questiones fuerunt compilate per Manlevel Anglicum doctorem solempnem. Non serve molto alla identificazione del nostro autore quanto si legge in PRANTL (che ricorda il Tractatus obligationum di Martin Molenfelt, per il quale cfr. Murtaty, The  Summulae logicales); F. EHRLE, Der Sentenzentommentar Peters von Candia des pisaner Papstes Alexander V., Miinster, che identifica Tommaso con Martino; GraBMann, Handschriftliche Forschungen und Funde; K. MicHarsri, Le criticisme et le scepticisme dans la philosophie,  Bulletin international de l'Académie polonaise des Sciences et des Lettres, Classe d’hist. et philos., Cracovie, ora in La philosophie au XIVE siècle. Six études, herausg. und eingel. von K. Flasch, Frankfurt. Ma cfr. J. Pinpore, Die Entwicklung der Sprachtheorie ..., cit.,146 n. 23; il Pinborg mi ha comunicato le notizie di cui a questa e alla seguente n. con lettera del 18.8.70. Cfr. Gottinga, Universitàtsbibliothek, ms. Theol. 124. De suppositionibus e De terminis confundentibus. Un’adeguata datazione può essere proposta dopo un accurato esame delle sue opere. Per la scuola parigina sono state invece considerate le opere di tre autori: Buridano, Alberto di Sassonia, e Inghen. Buridano e rettore dell’università. Delle sue opere  utilizzeremo il Compendium logicae (il Tractatus de suppositionibus sarà citato L'incipit del trattato De suppositionibus è: Expedit ut terminorum acceptio lucide cognoscatur, e l’explicit: Utrum istae propositiones de virtute sermonis sint verae hoc patebit in libro de Consequentiis et sic sit finis huius operis causa brevitatis ; del trattato De terminis confundentibus l'incipit è: Affectuose summariam cognitionem terminorum vim confundendi habentium, l’explicit: consequentia negatur quia antecedens est verum et consequens falsum. Il secondo trattato rinvia al primo, ma i codici consultati presentano varianti a questo proposito: il Vat. lat. 3065, f. 26ra, ha: aliquae regulae positae sunt in tractatu de suppositionibus sic incipiente: Intentionis praesentis in hoc tractatu etc. , e ciò è anche (meno in hoc tractatu etc. ) nell’Amplon. Q. 30, f. 141r; il ms. Cracovia, Biblioteka Jagiellotfiska, ha invece (f. 295v):  incipiente: Expedit etc. , mentre i mss. Cracovia 2178 (f. 43v) e 2591 (f. 80r) omettono l’incipit, pur conservando il rinvio al De suppositionibus. Il trattato De suppositionibus, a sua volta, ha un rinvio all’altro: de quibus patebit [così i mss. Cracovia 2178, f. 40v, e 2591, f. 75v; il Vat. lat. 3065, f. 68ra, ha patuit] in libro de terminorum Confusione . Maulevelt parla dunque di tre trattati (De suppositionibus, De terminis confundentibus, De consequentis) che potrebbero essere parti di un'unica opera logica, o surzzza. Utilizzeremo il testo dei due trattati secondo il ms. Vat. lat. 3065 (De ter minis confundentibus, ff. 25vb-28ra, e De suppositionibus, ff. 65vb-68rb), per il quale cfr. il mio Lo  Speculum puerorum ..., cit., pp. 312-314.  Cfr. Joannis BuripaNI Perutile Compendium totius logicae cum praeclarissima sollertissimi viri JOANNIS DORP expositione. Impressum Venetiis per Petrum de Quarengiis Bergomensem. Anno domini 1499, die XI Maij, s. pp. I '''+—m_1 r o_o T_—1-P-P1_1_.u nell’edizione della Reina #), i Sophismata®, le Consequentiae”; si ricorderanno anche i Capitula a lui attribuiti dal ms. Vat. lat. 3065%. Alberto di Sassonia e anch’egli rettore a Parigi, quindi, e rettore dell’università di Vienna e poi vescovo di Halberstadt: ricorderemo le sue Quaestiones in Ochami logicam, la Logica!” e i Sophismata. Inghen, professore a Parigi e rettore, primo rettore dell’università di Heidelberg, ha lasciato molte opere, ma qui saranno utilizzati solo i Textus dialectices. Le opere di questi filosofi, per la diffusione avuta in tutta Europa, servono a caratterizzare [Burano, Tractatus de suppositionibus, prima ed. a cura di Reina,  Rivista critica di storia della filosofia. Burani Sopbismata, per felicem balligault parisius impressa  die 20 Novembris 1493, s. pp. (ma con paginazione a mano nell’esemplare utilizzato). Burani Consequentiae. Impressus parisius per Anthonium caillaut, s. a., s. pp. 9 Ms. cit., ff. 105-107vb; per essi cfr. G. FepERICI VESCOVINI, Sw alcuni manoscritti di Buridano, Rivista critica di storia della filosofia. Per le quali cfr. l’ed. dell’Expositio aurea di Occam. Arsertuci Logica. Perutilis Logica excellentissimi Sacre theologie professoris magistri ALsERTI DE SAXONIA ordinis Eremitarum Divi Augustini. Impressa Venetiis ere ac sollertia Heredum Domini Octaviani Scoti Civis Modoetiensis et sociorum. Anno a Christo ortu. Die XII. mensis Augusti. 101 Cfr. ArseRTI De SaxonIa Sopbismata nuper emendata. Impressum est Parisiis hoc opusculum  Opera ac impensa Magistri felicis Baligault Anno ab incarnatione dominica, s. pp. (ma l'esemplare utilizzato ha la paginazione a mano).Stanno in Parvorum logicalium liber continens perutiles Perri HispAnI tractatus priorum sex et [MARsILII dialectices documenta, cum utilissimis commentariis perCONRADUM PSCHLACHER  congestis, Viennae Austriae, Johannes Singrenius. I trattati di INGHEN sono: Tractatus suppositionum, ivi, ff. 146v-166r; Tractatus ampliationum, ivi, ff. dottrine ampiamente conosciute e accettate. Non più di un cenno è riservato al Tractatus exponibilium di Pietro d’Ailly (} !%. Il terzo gruppo di FILOSOFI è quello ITALIANO. Pietro di Mantova [si veda], studente a Padova, lettore di filosofia a BOLOGNA. Pietro ha lasciato una Logica di notevole interesse. Gli altri filosofi o vissero a cavallo tra il secolo XIV e quello successivo, come Paolo Veneto. Poiché tuttavia le loro opere testimoniano che IN ITALIA l'insegnamento della logica e impartito spesso su testi di filosofi inglesi o derivati da questi, essi sono posti accanto ai filosofi del secolo XIV quali loro legittimi epigoni. NICOLETTI (si veda), noto come Paolo Veneto, studia, fra l’altro, a Oxford e insegna in varie università italiane e soprattutto a Padova; citeremo 168v-173v; Tractatus appellationum, ivi, ff. 175v-179v; Textus de statu, f. 180; Tractatus restrictionum, ivi, ff. 181v-182r; Tractatus alienationum, ivi, f. 182v; Prima Consequentiarum pars, ivi, ff. 184r-193r; Secunda Consequentiarum pars, ivi, ff. 194v-208v. Al titolo Textus dialectices seguirà solo l'indicazione dei ff. 103 Cfr. MacistRI PetrI DE ArLLvAco Tractatus exponibilium, Parisius Impressus a Guidone Mercatore. In campo gaillardi. Id. Octobris, s. pp. (ma l'esemplare consultato ha la paginazione a mano). Petrus MANTUANUS, Logica. Tractatus de instanti, Padova, Johann Herbort; l’ordine dei trattati è diverso dai mss. alle stampe; l’ed. utilizzata è s. pp., ma l'esemplare che ho consultato ha una paginazione a mano; la segnatura della Bibl. Vat. è Ross. 1769; cfr. la bibliografia in Lo Speculum puerorum ..., cit.,299 n. 16. La più completa trattazione d’insieme del pensiero di NICOLETTI è ancora quella di F. MomicLiano, NICOLETTI e le correnti del pensiero filosofico del suo tempo, Torino; pet il soggiorno ad Oxford, cfr. B. NarpI, Letteratura e cultura veneziana del Quattrocento, in La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze, dove si afferma che NICOLETTI rimane a Oxford almeno 3 anni, e si le sue opere: Logica parva, Logica magna, Quadratura. Paolo da PERGOLE (si veda) e  discepolo di NICOLETTI a Padova e resse la scuola di Rialto a Venezia; la sua Logica segue da vicino la Logica parva del suo maestro; il trattato De sensu corpositio et diviso dipende dall'omonimo trattato di Heytesbury !°; i Dubiz sono legati ai temi delle Consequentiae di Strode. Altro discepolo di NICOLETTI e il vicentino Gaetano da THIENE (si veda),  professore a Padova, che ha legato il suo nome soprattutto al commento delle opere di Heytesbury (Regulae e Sophismata). Si ricorda di lui l’Expositio delle Consequentiae di Strode. Il domenicano Battista da FABRIANO (si veda) riporta il seguente documento. Die 31 Augusti 1390: Fecimus studentem fratrem Paulum de Venetiis in nostro studio Oxoniensi de nostra gratia speciali cum omnibus gratiis quibus gaudent ibidem studentes intranei. Item eidem concessimus quod tempore vacationum Lundonis possit libere morati. Cfr. ora A.R. PerreraH, A Biograpbical Introduction to NICOLETTI,  Augustiniana. Pauri VENETI Logica, [Venezia, Cristoforo Arnaldo], s. pp. AI titolo Logica parva seguirà solo l’indicazione del trattato. Pauri Veneti Logica magna. Impressum Venetiis per diligentissimum virum Albertinum Vercellensem Expensis domini Octaviani Scoti ac eius fratrum opus feliciter explicit Anno D. 1499 Die 24 octobris. Macistri Pauri VenETI Quadratura. Impressum Venetiis per Bonetum Locatellum Bergomensem iussu et expensis Nobilis viri Octaviani Scoti civis Modoetiensis. Anno ut supra. Cfr. B. NARDI, op. cit., pp. 111-118. Cfr. Pau or PercuLA, Logica and Tractatus de sensu composito et diviso, ed. Brown, St. Bonaventure N.Y.-Louvain-Paderborn 1961. Si tenga presente anche I. Bon, Paul of Pergula on Suppositions and Consequences,  Franciscan Studies , XXV (1965), pp. 30-89. Cfr. per l’ed. dei Dubia, n. 90. Cfr. su Gaetano da Thiene: P. Silvestro DA VaLsanziBIo, Vita e dottrina di Gaetano da Thiene, Padova 1949; per l’ed. dell’Expositio (che citeremo col titolo Super Consequentias Strodi), cfr. n. 90. professore di filosofia e teologia a Padova, Siena, Firenze e Ferrara, cominciò la sua carriera accademica un decennio dopo Gaetano da Thiene; compose, fra l’altro, una Expositio del De sensu compositio et diviso di Heytesbury. Il senese SERMONETA (si veda),  magister artium et medicinae , figlio del medico Giovanni, insegnò a Perugia, poi a Pisa (per quattro anni) e finì la sua carriera a Padova; ricorderemo i suoi due scritti di logica: Super Consequentias Strodi!5 e Expositio in tractatum de sensu composito et diviso Hentisberi!*, Un’Expositio dello stesso trattato De sensu composito et diviso scrisse anche il carmelitano senese Bernardino di LANDUCCI (si veda)), che divenne generale del suo ordine.Cfr. J. Quérrr-J. Ecuarp, Scriptores Ordinis Praedicatorum, I, Lutetiae Parisiorum 1719,847; G. Brorto-G. ZonTA, La facoltà teologica di Padova,  Padova. Cosenza, Biographical and Bibliographical Dictionary of Italian Humanists and of the World of Classical Scholarship in Italy, Boston, ad L’ed. dell’Expositio è in Tractatus de sensu composito et diviso magistri GuLieLMI HENTISBERI cum expositione infrascriptorum, videlicet: Magistri ALEXANDRI SERMONETE (impressum Venetiis per Jacobum Pentium de Leuco, a. d. 1501, die XVII julii), Magistri BERNARDINI PETRI DE LANDUCHES, Magistri PauLi PercuLENSIS et Magistri Bapriste DE FABRIANO. Si veda ora L. GARcan, Lo studio teologico e la biblioteca dei Domenicani a Padova nel Tre e Quattrocento, Padova, Battista da Fabriano. Cfr. J. FaccioLATI, Fasti Gymnasii Patavini, I, Patavii; A. FagroNI, Historiae Academiae Pisanae, Pisis; Ermini, Storia dell’università di Perugia, Bologna 1947,501. Cfr. l’ed. cit. inn. 90.  Cfr. l’ed. cit. in n. 113. Cfr. l’ed. del testo in n. 116; si vedano per le notizie biografiche: J. TritHEMIUS, Carmelitana Bibliotheca sive illustrium aliquot Carmelitanae religionis scriptorum et eorum operum catalogus magna ex parte auctus auctore P. Petro Lucio BeLGA, Florentiae apud Georgium Marescottum Contemporaneo del Landucci dovette essere il lodigiano POLITI, artium doctor: alunno di MARLIANI (si veda), insegna calculationes a Pavia! e compose vati trattati di logica: un De sensu composito et diviso, una declaratio della Logica parva di NICOLETTI e una Quaestio de modalibus, che sarà qui utilizzata, scritta al tempo di BORGIA (si veda). VETTORI (si veda), di Faenza, insegn a BOLOGNA, medicina a Padova e poi di 1593, pp. 20-21; C. ne VrrLiers, Bibliotheca Carmelitana, I, Aurelianis (ed. anast. Romae), nr. LXV, Bassani Porti Quaestio de modalibus, Venetiis apud Bonetum Locatellum 1505; l'incipit è (ivi, f. 2ra):  Excellentissimi doctoris magistri Bassiani Politi Laudensis quaestio de numero modorum facientium sensum compositum et divisum. Quaestio est difficilis in materia de modalibus, utrum tantum sex [....] , l’explicit è (ivi, f. 4rb): iam patet ex dictis quid sit dicendum. Finis ; cfr. ivi la lettera dedicatoria a Rodrigo Carvajal, dalla quale risulta che fu alunno di Gerolamo Marliani, vivente quando l’autore scriveva (insegnò a Pavia nel 1486-87 e nel 1507: cfr. Memorie e documenti per la storia dell'università di Pavia , Pavia 1878, ad I.), figlio di Giovanni Marliani (per il quale cfr. M. CLaceTT, Giovanni Marliani and Late Medieval Physics, New York 1941. Sul Politi cfr. C. DionisortI, Ermolao Barbaro e la fortuna di Suiseth, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, Firenze. Cfr. Quaestio de modalibus, cit., f. 3va:  Pro cuius declaratione praesuppono mihi unum fundamentum Petri Mantuani in primo capitulo De instanti anno elapso dum Papiae calculationes profiterer per me fortissimis rationibus comprobatum ; il suo Tractatus proportionum introductorius ad Calculationes Suiset è edito insieme con la Quaestio ai ff. 4va-8vb. 120 Quaestio, cit., f. 3va:  stante fundamento diffuse declarato in tractatu nostro De sensu composito et diviso , e f. 4rb:  Hoc autem diffuse declaravimus in tractatu nostro De sensu composito et diviso . 121 Ivi:  optime poteris sustentare definitionem Pauli de suppositione absque aliqua limitatione, ut diffuse contra modernos declaravimus super Logica patva . 12 Ivi, f. 3va:  Alexandro nunc summo pontifice .] nuovo a Bologna !*; ha lasciato molte opere di medicina e due opere logiche, composte entrambe al tempo in cui insegnava logica a Bologna: la prima è Collectaneae in suppositiones Pauli Veneti, la seconda è Opusculum in Tisberum de sensu composito et diviso; utilizzeremo solo quest’ultima. Non di tutti questi trattati si troverà qui un’analisi approfondita, ma ad alcuni si farà solo un riferimento.La struttura della summzula, o summa, ha subìto una notevole evoluzione. Essa risulta composta di alcuni trattati che riassumevano le dottrine dell’Isagoge e dell’Organon (in questo caso, l’esposizione del De interpretatione occupa il primo posto) ai quali seguivano altri trattati sulle proprietates terminorum. Con la Summa logicae di Occam cade la distinzione tra elementi della logica antiqua ed elementi della logica moderna. La materia è ristrutturata, secondo un criterio ‘naturale’, in parti che studiano l’elemento più semplice o termine, la proposizione, e il sillogismo o strutture logiche complesse. Questo criterio naturale non corrisponde alla distinzione tra logica elementare o degli enunciati e logica o CALCOLO DEI PREDICATI. Ma con il De puritate artis logicae di Burleigh si fa un passo [Cfr. S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori antichi e moderni della famosa Università e del celebre Istituto delle Scienze di Bologna, Bologna. Cfr. per entrambe: BenEDICTI VICTORII BononiensIS Opusculum in Tisberum de sensu composito ac diviso cum eiusdem collectaneis in suppositiones Pauli Veneti. Expositio Benedicti Victorii Bononiensis ordinariam logicae Bononiae publice profitentis feliciter explicit. Laus deo. Finis. Bononiae. Cfr. Bonner, Medieval Logic] avanti. L’opera, si è detto, ci è pervenuta in due redazioni. Se il tractatus longior risulta di due trattati (de proprietatibus terminorum e de propositionibus et syllogismis bypotheticis) e risente ancora del criterio naturale che presiede alla Summa logicae di Occam, il tractatus brevior avrebbe dovuto risultare di parti dedicate alle regulae generales -e cioè consequentiae, syncategoremata e suppositiones --, all’ars sophistica -dottrina delle fallaciae --, all’ars exercitativa -o de obligationibus -e all’ars demonstrativa -o sillogismo. Nel iractatus brevior, dunque, la distribuzione della materia non obbedisce più che a criteri puramente logici, ponendo in primo piano la logica degli enunciati. Ma per avere un quadro più completo delle modificazioni subite dall'impianto dei manuali di logica, è opportuno accennare ancora alla struttura di due opere. Le Regulae solvendi sophismata di Heytesbury sono una surzzza !” (ma vanno anche sotto il nome di Logica), ma della summa tradizionale conservano ben poco. Si articolano infatti in capitoli dedicati agli insolubilia, al de scire et dubitare, alla supposizione del relativo (de relativis), alla expositio de incipit et desinit, ai problemi de maximo et minimo e a quelli, compresi nel capitolo de tribus praedicamentis, relativi al moto locale, quantitativo (de augmentatione) e qualitativo (de alteratione). Più tradizionale la distribuzione della Logica di Strode. In un primo trattato Strode ricapitola la materia dei seguenti libri: De interpretatione (con in più la trattazione delle proposizioni ipotetiche), Isagoge, Categorie e Primi analitici, nel secondo si toccano i seguenti argomenti: termine, proposizione, de obligationibus (è, [Cfr, l’Introduction del Bonner a W. BurLEIGH, op. cif., pp. VI-XI. 127 Op. cit., f. 4va: traderem brevi summa e Et in sex capitula nostram dividens summulam  . 128 Così, secondo ScHum, op. cit.,88, è nel cit. ms. Erfurt, Amplon. F. 135. questo, un trattato dedicato, come avverte l’autore, ai  principia logicalia  e che deve servire ad introdurre i giovani  in tractatus graviores !®); seguono gli altri quattro trattati: conseguentiae de suppositionibus et exponibilibus, obligationes, insolubilia. i Si può notare che in queste opere nuove esigenze e nuovi problemi si fondono con esigenze tradizionali d’insegnamento. Ma emerge sempre più l’affermarsi della logica degl’enunciati o consequentiae rispetto alla logica dei termini, giacché la logica dei termini è sottoposta a verifica mediante consequentiae. Ciò è stato già rilevato a proposito della suppositio, ma trova ora nuove conferme soprattutto nella dottrina della probatio propositionis. La logica elementare, specie nella probatio, è il presupposto indispensabile di tutta l’articolazione del discorso e delle analisi proposte. Contemporaneamente, anche a livello di organizzazione di un corpus di dottrine logiche, la consequentia va a prendere il primo posto. Si è ricordata la collocazione che essa ha nel tractatus brevior De puritate artis logicae di Burleigh. Ma si pensi che, spesso, il sillogismo è considerato, come dev'essere, un tipo di conseguentia (Riccardo di Campsall parla di consequencia sillogistica e Alberto di Sassonia ha de consequentiis syllogisticis) fino a giungere con SERMONETA (si veda), all’affermazione del primato delle consequentiae rispetto ai sillogismi. Le corseguentiae sono communissima pars libri Priorum, aut ad ipsum isagogicon. Tutto ciò è testimonianza di un lavoro che lungo i secoli Fa Cfr. Logica, cit., f. 19vb: Et haec dicta de principiis logicalibus ad iuvenum introductionem in tractatus graviores sufficiant . 19 Bonner, Medieval Logic, cit., pp. 29-31. 131 Cfr. Questiones ..., cit., 12.34,205. { sa” Logica, IV, 7: De consequentiis syllogisticis hoc est de syllogismis, . 28vb. È 133 Cfr. Super Consequentias Strodi, cit., f. 2ra: Ad secundum dico libellum hunc esse communissimam partem libri Priorum aut ad ipsum isagorgicon, et per consequens immediate postponi debere ad librum ha avuto di mira l’identificazione di strutture logiche sulle quali fosse possibile operare. Ma è ben noto che la logica è, nel medioevo, una delle arti del trivio e HA PER OGGETO IL LINGUAGGIO  (è quindi una scientia sermocinalis) come la grammatica e la retorica, differendo però da la GRAMMATICA e la RETORICA perché DIALETTICA mira a discernere le proposizioni vere da quelle false, mentre la grammatica e la retorica insegnano, rispettivamente, a SERVIRSI del linguaggio con correttezza – LA GRAMMATICA -e con eleganza – LA RETORICA. A sua volta, IL LINGUAGGIO-OGGETTO  d’indagine è una lingua storica, il LATINO. È da chiedersi perciò fino a che punto i risultati dello sforzo compiuto per identificare strutture linguistiche sulle quali fosse possibile operare validamente da un punto di vista logico autorizzino a parlare di logica formale; o, in altri termini, se le strutture siano autentiche forme, siano trattate SENZA FAR RIFERIMENTO AL SIGNIFICATO delle parole e al senso delle espressioni. Quando si cerca una risposta, la difficoltà maggiore s'incontra nel fatto che la proposizione studiata ha un ineliminabile importo esistenziale, per cui elementi extra-logici -ontologici, gnoseologici -finiscono per condizionare la trattazione della logica. È tuttavia utile indicare alcuni elementi che documentano il progressivo affermarsi di una concezione formale della logica. Oltre alla distinzione, troppo nota, tra materia e forma di un argomento, ricordiamo che Buridano considera la copula est “formale propositionis;” essa cioè è l’elemento Periermenias et anteponi ad librum Topicorum, Elenchorum et Posteriorum. Patet hic ordo, quia de consequentia hic tamquam de subiecto agitur, quae communiot est omni specie argumentationis seu syllogismo simpliciter, de quo agitur in libro Priorum . Cfr. Moopy, Truth and Consequence ..., cit.,10. 134 Cfr. R. CarnaP, Sintassi logica del linguaggio, tr. it. A. Pasquinelli, Milano 19662,33. 135 Cfr. Tractatus de suppositionibus, cum copula debeat esse formale propositionis; Reina legge: esse (verbum) formale , ma l'integrazione è superflua. Ma v. BURIDANO, Consequentiae, cit., tei] formale della proposizione categorica o atomica; che Alberto di Sassonia parla di “formale propositionis” per le ipotetiche: sono tali le particelle sincategorematiche (come “si” – sillogismo ipotetico; “vel:, sillogismo disgiuntivo) che fungono da connettivi tra proposizioni atomiche in modo da formate proposizioni molecolari; che Heytesbury usa il termine forzza per indicare una struttura logica, considerata solamente dal punto di vista operativo, nella quale le variabili stanno per proposizioni. Il progressivo, cosciente affermarsi del primato della logica degl’enunciati va dunque di pari passo con l’individuazione di forme logiche. Infine, in un testo in cui si discute della diversità delle logiche, proprie delle varie scienze, all’interno dell’unica (universalis) logica comune a tutte le scienze, e quindi della diversità della rationalis logica fidei e della logica naturalis, Holcot scrive. Sed quid est dicendum: estne logica Aristotelis formalis, an non? Dico, quod si non vis I, 7 (distingue tra materia e forma della proposizione o della consequentia e precisa quali elementi siano da considerare spettanti alla forma). 156 Cfr. Sophismata, cit., II, 8° Non Socrates currit vel non curtit , f. [4lra]:  quia formale, scilicet nota disiunctionis, in utraque affirmatur , e   Non aliquis homo currit si aliquod animal currit , f. [4lra-b]: [..] eo quod in illo sensu negatio cadit supra formale propositionis, scilicet supra notam conditionis. 157 Cfr. cap. VI, app. 2, nn. 8 e 9 (in entrambi i casi si tratta della proposizione copulativa. 158 Cfr. HoLcor Opus questionum ac determinationum super libros Sententiarum, Lugduni 1518, I Sent., q. 5J:  Eodem modo rationalis logica fidei alia debet esse a logica naturalis. Dicit enim Commentator secundo Metaphysicae commento XV quod quaedam logica est universalis omnibus scientiis, et quaedam propria unicuique scientiae; et si hoc est verum, a multo fortiori oportet ponere unam logicam fidei, et similiter alia logica utitur obligatus certa specie obligationis, et alia libere respondens secundum qualitatem propositionum. Modo philosophi non viderunt aliquam rem esse unam et tres; ideo de ea in suis regulis mentionem non fecerunt. Sunt igitur in logica fidei tales regulae: quod omne absolutum praedicatur in singulari de tribus, et non in plurali; alia, quod unitas tenet suum consequens, ubi non obviat relationis oppositum. Et ideo, concessis praemissis dispositis Terminologia logica della tarda scolastica 43 vocare logicam formalem nisi illam, quae tenet in omni “agi sicut dicit Commentator primo Physicorum commento XXV: ermo concludens per se debet concludere in omni materia, tune patet, quod non. Si vis vocate logicam formalem illam, quae per naturalem inquisitionem in rebus a nobis sensibiliter a non capit instantiam, dico quod sic  !®: secondo Holcot, la logica aristotelica è logica naturale, e la sua validità non trova eccezione nell’ambito della nostra esperienza. Essa è quindi formale nell'ordine della natura. Ma la logica aristotelica non è una logica universale valida in ogni materia (non è applicabile, ad tr pio, al dato rivelato, come al problema della trinità) e in tal senso non è logica formale. Forse altri testi potranno ts mentare meglio e chiarire con quale coscienza i maestri Fa ev si servissero dei propri strumenti scientifici, e quindi della logica Ma sembra incontestabile che qui s’affaccia 1 esigenza di una logica formale, la cui validità si estenda ad ogni campo del sapere e non dipenda dalle particolarità della materia trattata, De sia cioè condizionata dai princìpi di questa, ma ubbidisca solo ai propri princìpi. Prima di concludere, è il caso di spendere qualche parola per presentare questo lavoro e per collocarlo in rapporto ai temi ora accennati. na . Ciascuno dei capitoli nei quali esso si articola è dedicato ie studio di un termine o gruppo di termini, e quindi di una dotin modo et in figura, negatur conclusio, quia in conclusione obviat cera oppositio; sicut si arguitur sic: haec essentia est pater, haec essentia t.filius, ergo filius est pater; et utraque praemissarum est vera, et app: ispositio tertiae figurae . . de" Ivi (continuaz. del testo della n. prec.). Il passo è gar w F. Horemann, Holcot. Die Logik in der Theologie, in Lo ssd Mediaevalia, 2: Die Metaphysik im Mittelalter. Vortrige des si mi nalen Kongresses fiir mittelalterliche Philosophie (Kéln 31 Aug.-6 Sept. 9 herausg. P. Wilpert-W.P. Eckert, Berlin 1963, p. 633. 44 Alfonso Maierà trina, che ha un certo rilievo nel quadro dell’insegnamento logico della tarda scolastica. L’ordine con cui si succedono i capitoli non è quello strettamente alfabetico. Il criterio alfabetico si compone con quello dell’affermarsi cronologico delle dottrine. La combinazione dei due criteri ha portato a una disposizione che, pur salvando la varietà dei temi trattati, forse conferisce una certa unità all’esposizione. Le dottrine, proprie della logica modernorum, relative ai termini e alle proposizioni hanno trovato una particolare sistemazione in due specie di trattati che corrispondono a diversi punti di vista. Uno è quello fornito dal de sensu composito et diviso: si pensi al trattato di Heytesbuty). L’altro corrisponde a quello della probatio propositionis -quale si trova, ad esempio, nello Speculum di Billingham. Si è dato un certo rilievo a questi temi per due motivi. Primo, perché sembra siano le dottrine verso le quali confluiscono le altre. Si vedano i rapporti tra appellatio e senso composto e senso diviso, tra ampliatio e propositio modalis, tra suppositio confusa, descensus e probatio, tra propositio modalis e probatio, tra la dottrina della probatio e quella del senso composto e del senso diviso: è una fitta rete di nessi che corre da un tema all’altro. Secondo, perché i due punti di vista, in certo senso concorrenti, finiscono per unificatsi. Il de sensu composito et diviso è in genere analizzato per mezzo della dottrina della probatio dai filosofi italiani. Il rapporto tra di essi costituisce uno dei temi più interessanti della filosofia scolastica del linguaggio. I capitoli appellatio, ampliatio-restrictio, e copulatio affrontano una problematica che, pur presente nella tarda scolastica, non ha ricevuto un impulso notevole in quel periodo. Essi infatti svolgono una tematica caratterizzante: le prime discussioni sulle proprietates terminorum. Segue un capitolo che studia un aspetto della suppositio. La dottrina della suppositio rappresenta il frutto più maturo dei parve logicalia e apre la strada allo studio dei termini dal punto di vista della logica degli enunciati. Qui se ne tratta un capitolo particolare, la confusio, al quale i logici della tarda scolastica fanno continuamente riferimento e che mostra la tendenza a una nuova organizzazione della dottrina in un quadro più ampio. Seguono capitoli dedicati alla propositio modalis, alla probatio propositionis, al sensus compositus e al sensus divisus, che dovrebbero meglio documentare la capacità di analisi dei filosofi alle prese con un linguaggio storico e informale come IL LATINO mentre aspirano a fondare un linguaggio scientifico, ideale, o formale. Quanto di tutto ciò la logica derivi dalle dottrine grammaticali si vedrà nei singoli casi. Rijk, nella sua Logica modernorum fa un primo bilancio dei termini che la logica fa propri RICAVANDOLI DALLA GRAMMATICA FILOSOFICA O RAZIONALE. Di essi ricordiamo suppositio, appositio, appellatio, IMPLICATIO, IMPLICITVM-EXPLICITVM, incongruu. Ma bisogna aggiungere che la logica necessariamente fa leva sulle dottrine grammaticali nella sua indagine sulle strutture linguistiche  del LATINO. Si pensi allo studio delle parti del discorso, in particolare del NOME con i suoi casi (si veda la funzione dei casi obliqui in contrapposizione al caso rectus), e del verbo e del tempo di esso. Del pronome relativo e l’ANAFORA, la CATAFORA, l’ENDOFORA, e l’ESSOFORA, in rapporto al problema della supposizione, la prae-suppositio, e l’implicatura. Si pensi al rapporto tra forma avverbiale e forma causalis o nominale del modo; e, ancora, a quanto siano presenti le dottrine delle costruzioni sintattica – SINTASSI, SEMANTICA, PRAMMATICA -grammaticali, indipendenti, nella vox attiva o vox passiva, e dipendenti (dictu72) e, in particolare, all’importanza che esse rivestono per l’esame del senso composto e del senso diviso. Si vedrà se, e quale, utilità possa venire alla discussione di problemi affrontati dai filosofi del linguaggio  del nostro tempo, come H. P. GRICE, dalla lettura di testi del genere. Segnaliamo soltanto alcuni punti nei quali il confronto risulta immediatamente interessante: 140 Op. cit., I, pp. 20-22; ma cfr. tutta la prima parte del secondo volume della stessa opera. la dottrina dell’impositio richiama alla mente la critica della dottrina del nome avanzata da ‘Vitters.’ La consignificatio temporis è negata’ da Russell. La dottrina della copula e della predicazione può essere esaminata alla luce dell’ONTOLOGIA – come rama della metafisica, come ha fatto D.P. Henry, sequendo H. P. GRICE – “Semantics and METAPHYSICS,” Part II to his “Studies in the Way of Words”. Per quanto riguarda i modali. Si veda l'esame dei particolari egocentrici e degli atteggiamenti enunciativi operata da Russell. Si tratta solo di alcuni argomenti e punti di contatto che permettono però di notare come il ripropotsi, a distanza di tanti secoli, degli stessi temi sottolinei quanto siano insoddisfacenti le formulazioni e le soluzioni finora affacciate, se la ricerca intorno ad essi continua con impegno. Cfr. Ricerche filosofiche, ed. it. a cura di M. TRINCHERO (si veda), Torino: ad es., $ 40, pp. 31-32. 14 Cfr. A Inquiry into Meaning and Truth, tr. it. di L. Pavolini col titolo Significato e Verità, Milano. Cfr. Henry, The De Grammatico of AOSTA: The Theory of Paronymy, Notre Dame Ind.., che utilizza C. LEJEWSKI, On Lesniewski's Ontology,  Ratio; per i particolari egocentrici, e per gli atteggiamenti enunciativi. APPELLATIO. Appellatio —mpoonyopia nell'antichità. Il valore primo e fondamentale dei termini appellatio e appellare è, rispettivamente, atto di NOMINARE (DESSINARE) o semplicemente ‘nome’, e ‘nominare’, ‘designare’ DESSINARE. DISENNARE. Ma appellatio rende la “rpoonvopia”, fra l’altro, in due contesti: quello aristotelico o LIZIO delle “Categorie” e quello del PORTICO delle dottrine grammaticali. In rapporto al testo aristotelico e all’insegnamento DEL PORTICO si sono costituite due tradizioni. Di esse la più antica, e più ampiamente testimoniata, è senza dubbio la seconda. Un primo cenno si trova nel spagnuolo Quintiliano, il quale, discutendo del numero delle parti del discorso, si chiede se npoonvopia sia da considerare una specie di nome o una autonoma parte del discorso -in questo secondo caso, NOMEN è quella parte del discorso indicante una qualità propria, individuale, esempio: ‘SOCRATE,’ o GRICEVS, STRAWSONIVS e PEARSIVS -mentre appellatio è la parte del discorso indicante una qualità comune, esempio: ‘uomo’ -e se il termine “npoonvopia” sia da rendere indifferentemente con “vocabulum” o [Cfr. Thesaurus linguae latinae, appellare, appellatio. Cfr. però L. ApAmo, BOEZIO e VITTORINO traduttori e interpreti dell’ Isagoge di Porfirio, Rivista critica di storia della filosofia, il quale rileva che Vittorino rende  prevalentemente “xamyopeiv” con “appellare,” xaxmyopla con “appellatio”, xatnYyopobpevos con appellativus. appellatio, oppure se “vocabulum” debba essere distinto da appellatio, indicando il primo termine i nomi comuni di corpi, visibili e tangibili, e il secondo i nomi comuni di cose invisibili e non tangibili. Come è noto, per i grammatici filosofici della tarda antichità il NOMEN può essere PROPRIVM *o* APPELATIVO. Un NOME PROPRIO DESIGNA  i nomi di persona (o animale – H. P. GRICE, “Bellerophon rode Pegasus”). IL NOME APPELLATIVO i nomi comuni: la dottrina del PORTICO è qui evidentemente ripresa. In questo contesto è frequente il richiamo, esplicito [Institutiones oratoriae, ed. Radermacher, Lipsiae. Paulatim a philosophis ac maxime Stoicis PORITCO auctus est numerus (sc. partium orationis), ac primum convinctionibus articuli adiecti, post praepositiones: nominibus appellatio, deinde pro-nomen, deinde mixtum verbo participium, ipsis verbis adverbia. noster sermo articulos non desiderat ideoque in alias partes orationis sparguntur, sed accedit superioribus interiectio. alii tamen ex idoneis dumtaxat auctoribus VIII partes secuti sunt, ut ARISTARCO et aetate nostra PALEMONE, qui vocabulum sive appellationem nomini subiecerunt tamquam speciem eius, at ii, qui aliud nomen, aliud vocabulum faciunt, novem. nihilominus fuerunt, qui ipsum adhuc vocabulum ab appellatione diducerent, ut esset vocabulum corpus visu tactuque manifestum ‘domus lectus’, appellatio, cui vel alterum deesset vel utrumque ‘ventus caelum deus virtus’. adiciebant et adseverationem,ut ‘eheu’, et tractionem ut ‘fasciatim’: quae mihi non adprobantur. vocabulum an appellatio dicenda sit tpoonyopla et subicienda nomini necne, quia partvi refert, liberum opinaturis relinquo. Ma appellatio vale nomen per Quintiliano: cfr. ivi, XII, 10, 34, vol. II,408: res plurimae carent appellationibus. Più generalmente, per il valore del termine APPELLATIO IN RETORICA, cfr. H. Lausserc, Handbuch der literarischen Rbetorik. Eine Grundlegung der Literaturwissenschaft, Miinchen, Registerband. Stoicorum veterum fragmenta, ed. Arnim, Lipsiae, $ 21 Diocles Magnes apud Diog. Laért. VII, 57: toù Sì Xbyov tori pépn Evie, die gno Avoyévne TE Èv TD Tepi pwviig xa Kpbatrrog * $voua, mpoonvopia, pfua, oiviecos, &pipov e $ 22: Diocles Magnes apud Diog. Laért. VII, 58: tot Sì mpoonyopla pév, xatà tèv Atovivnv, pépos Xbyov omuatvov xouviy Toubenta, olov “Uvapwroc”, “Immoc”. dvopa SE tot pepog Abyov SnXoiy idtav mowrtnta, olov Atoyévng, Zwxpktng. Presso il PORTICO tpoonyopia è parte del discorso accanto a $vopua, non una sottoclasse di esso, come sarà PER I LATINI. per i latini.] o implicito, alla distinzione tra vocabulum e appellatio. La tradizione aristotelica è legata a due passi delle Categorie. Aristotele pone la definizione dei termini denomi[Prisciano però ripete la dottrina originale. In Grammatici latini. Secundum stoicos PORTICO vero V sunt eius (sc. orationis) partes: nomen, appellatio, verbum, pronomen sive articulus, coniunctio. nam participium connumerantes verbis participiale verbum vocabant vel casuale, e aggiunge,  in Grammatici latini. Sic igitur supradicti philosophi [del PORTICO] etiam participium aiebant appellationem esse reciprocam, id est dvTavaNALO TOY mpoomyoplav, hoc modo: LEGENS EST LECTOR et LECTOR LEGENS, CVRSOR EST CURRENS et CVRRENS CVRSOR, AMATOR EST AMANS et AMANS AMATOR, vel nomen verbale vel modum verbi casualem. La lettura di alcuni passi dei grammatici mostra quanto fosse articolata la discussione relativa a appellatio in rapporto al nome (per altre occorrenze, cfr. Thesaurus linguae latinae, appellatio):  DiomEDIS Artis grammaticae libri III, ex rec. H. Keilii, I, in Grammatici latini, cit., I, Lipsiae. Dopo aver definito il NOMEN  pars orationis cum casu sine tempore rem corporalem aut incorporalem proprie communiterve significans, aggiunge. Sed ex hac definitione SCAURO dissentit. separat enim a nomine appellationem et vocabulum. et est hotum trina definitio talis: appellatio quoque est communis similium rerum enuntiatio specie nominis, ut HOMO VIR femina mancipium leo taurus. item vocabulum est quo res inanimales vocis significatione specie nominis enuntiamus, ut arbor lapis herba toga et his similia. Ma cfr. Appellativa nomina sunt quae generaliter communiterque dicuntur. haec in duas species dividuntur, quarum altera significat res corporales, quae videri tangique possunt (i altera incorporales, quae intellectu tantum modo percipiuntur, verum neque videri nec tangi possunt; Ex CWarISsII arte grammatica excerpta. Nomina aut propria sunt aut appellativa e Appellatio dicitur quidquid praeter proprium nomen est. appellativa nomina sunt quae generaliter communiterque dicuntur. haec in duas species dividuntur. alia enim significant res corporales, quae videri tangique possunt, et a quibusdam vocabula appellantur, ut HOMO arbor pecus. Alia quae a quibusdam appellationes dicuntur et sunt incorporalia, quae intellectu tantum modo percipiuntur, verum neque videri nec tangi possunt, ut est VIRILITA – H. P. GRICE, “HORSENESS” --, pietas iustitia. ea nos appellativa dicimus ; PrIScIANO, in Grammatici latini. Quidam autem IX dicebant esse partes orationis, appellationem addentes separatam a nominibus, alii autem  nativi o paronimi (distinguendoli da quelli univoci e da quelli aequi-voci) nel seguente modo, secondo la traduzione di Boezio. De-NOMI-nativa vero dicuntur quaecumque ab aliquo solo differentia casu secundum nomen habent appellationem [tv xatà tobvoua mpoomyopiav éxe], ut a grammatica grammaticus, et a fortitudine fortis . Sono partonimi quei termini che hanno appellazione, cioè traggono la loro funzione di NOMINARE e quindi la loro forma lingui, alii XI. his alii addebant etiam vocabulum et interiectionem apud Graecos. Proprium est nominis substantiam et qualitatem significare. hoc habet etiam appellatio et vocabulum. Ergo tria una pars est orationis. Hoc autem interest inter proprium et appellativum, quod appellativum naturaliter commune est multorum, quos eadem substantia sive qualitas vel quantitas generalis specialisve iungit; Donato, Ars grammatica, in Grammatici latini. Nomen unius hominis, appellatio multorum, vocabulum rerum est. sed modo nomina generaliter dicimus. Qualitas nominum bipertita est, aut enim propria sunt nomina aut appellativa . appellativorum nominum species multae sunt. alia enim sunt corporalia alia incorporalia; POMPEO Commentum Artis Donati, ex rec. H. Keilii, in Grammatici latini,  Lipsiae. Qualitas nominum principaliter dividitur in duas partes. omnia enim nomina apud Latinos aut propria sunt aut appellativa. Sunt nomina appellativa quae appellantur corporalia, sunt quae incorporalia, e ConsENTII Ars grammatica, ex rec. H. Keilii. Qualitas nominum in eo est, ut intellegamus, utrum nomen quod positum fuerit appellativum sit, an proprium. appellativa enim nomina a genere et specie manant. Appellativa autem nomina, quae a genere et specie manare diximus, plures differentias habent. nam vel rem corporalem vel incorporalem significant. Della distinzione nomen-appellatio-vocabulum resta traccia nei commenti a Prisciano: cfr. quello di Guglielmo di Conches, (in Rijg, Logica modernorum), quello d’ELIA (si veda) e la glossa Promisimus (ivi, p. 260). 6 Cat. 1, la 12-15 (l’espressione messa in parentesi è alla r. 13); transì. Boethii,  Aristoteles latinus; cfr. STEINTHAL, Sprachwissenschaft bei den Ròmern, Berlin. Nur ist allerdings xxtnyopia bei Aristoteles nicht véllig gleichbedeutend mit rpoonyopia und Uvopa, so wenig wie xamnyopeiv] stica, da un altro termine, che può essere detto principale o primitivo – RYLE, “FIDO”-FIDO --, con la sola differenza, rispetto ad esso, della terminazione, o suffisso. Invece, dopo aver precisato che le sostanze prime significano l’individuo (q68e qu, hoc aliquid), Aristotele afferma: In secundis vero substantiis videtur quidem similiter ad appellationis figuram [o sub appellationis figura, sub figura appellationis: o oynua tig mpoonyoplas] hoc aliquid significare, quando quis dixerit HOMINEM HOMO hominem vel animal. Non tamen verum est, sed quale aliquid [motéy 7v] significat (neque enim unum est quod subiectum est quemadmodum prima substantia, sed de pluribus homo dicitur et ani mal). Non autem simpliciter qualitatem significat, quemadmodum album (nihil enim significat album quam qualitatem), genus autem et speciem circa substantiam qualitatem determinant (qualem enim quandam substantiam significant). Secondo Aristotele, mentre i nomi delle sostanze prime designano la realtà individuale, un nome di una SOSTANZA SECONDA desi[dasselbe ist wie rpoonyopevtw; sondern xatmyopia in der hier gemeinten Bedeutung entspricht noch eher dem platonischen Ausdrucke èrwwwyia. Wahrend nimlich évopa, Wort, nur das lautliche ovuforov, Zeichen, der Sache ist, und in npoonyopia die Anwendung dieses dvoua auf die mit demselben bezeichnete Sache liegt: ist xatnyopta das Wort, insofern es nicht bloss Zeichen ist, sondern zugleich das Bezeichnete in sich fasst, d. h. das Wesen und die Bestimmung der Sache aussagt und insofern Begriff ist . È da notare che PrISCIANO (in Grammatici latini) dà come DE-NOMI-NATIVO il SOSTANTIVO rispetto all’AGGETTIVO [cfr. H. P. GRICE, “FIDO IS SHAGGY”] (es. SAPIENS SAPIENTIA), che è il contrario di quanto si può vedere in Aristotele (del quale si veda anche Cat.). Per principale: cfr. Boezio, In Cat. Arist., cit., 168A; per primitivo: cfr. Martino DI Dacia, Modi significandi, in Opera, ed. Roos, Hauniae (cfr. PriscIano, in Grammatici latini. Transl. Boethii,  Aristoteles latinus; la prima variante è in apparato critico, la seconda è corrente. 9 Cfr. Cat.; transl.] gnano il genere e la specie. PRIMA SOSTANZA: ‘quest'uomo’ o ‘questo cavallo’ e SOSTANZA in senso proprio. LA SECONDA SOSTANZA, ‘uomo’ o ‘animale’, pur utilizzando gli stessi nomi che designano le sostanze prime (‘quest’'UOMO’ e ‘UOMO’), in realtà designano di esse le qualità comuni. Sono — precisano i filosofi — degl’UNIVERSALI. E l’UNIVERSALE, secondo la definizione aristotelica, è ciò che è predicabile di più. Così, questo testo si presta ad essere accostato da un lato alla definizione di NOMEN appellativum – SOSTANTIVO COMUNE --, poiché nome appellativo è il nome comune, e ciò che in grammatica è detto ‘COMUNE’ in dialettica è detto ‘universale’; dall’altro, al primo testo dello stesso Aristotele, giacché, se ad esempio grammaticus deriva da grammatica, e grammatica è una qualità, come album deriva da albedo e designa principalmente una qualità, sarà lecito chiedersi, per un verso, se LA SOSTANZA SECONDA va considerate nella categoria della qualità e, per un altro verso e soprattutto, se, e come, ‘gramma-] Boethii, Aristoteles latinus. Cfr. Copulata tractatuun parvorum logicalium (ed. Colonia) che fa derivare la dottrina dell’appellatio da questo passo (in BòHNER, Medieval Logic). Cat., De interpr. Cfr. Introductiones Parisienses, Quidam terminus COMMUNIS SIVE UNIVERSALIS SIVE APPELLATIVVS [“shaggy”]; Cfr. Occam, Summa logicae. Et ita omnia illa nomina communia, quae vocantur secundae substantiae, sunt in praedicamento qualitatis, accipiendo esse in praedicamento pro eo, de cuius pronomine demonstrante ipsum praedicatur qualitas. Omnia tamen illa sunt in praedicamento substantiae, accipiendo esse in praedicamento pro illo, de quo significative sumpto praedicatur substantia. Unde in ista propositione: ‘Homo est animal’, vel: ‘Homo est substantia’, ‘homo’ non supponit pro se, sed pro suo significato. SI ENIM SUPPONERET PRO SE, HAEC ESSET *FALSA*: ‘Homo est substantia’, et haec VERA: ‘Homo est qualitas’. Sicut si haec vox ‘homo’ supponat pro se, haec est FALSA: ‘Homo est substantia’, et haec VERA: ‘Homo est vox et qualitas’. Et ita secundae substantiae non sunt nisi quaedam nomina et qualitates praecise significantes substantias. Et propter hoc, et non propter aliud dicuntur esse in praedicamento substantiae. Si noti però] tico” o ‘bianco’ possano designare una sostanza. All’impostazione del problema contribuiscono due dottrine, cioè la definizione di NOMEN data da Prisciano. Proprium est nominis significare substantiam et qualitatem. O, come leggeno i filosofi substantiam cum qualitate, e l’affermazione boeziana relativa alla costituzione degli esseri. In una sostanza diversum est esse et id quod est. L’ id quod est è la sostanza completa, ed è tale grazie a un esse, a una forma, che è un quo est, ciò grazie al quale la sostanza diviene quello che è, ciò di cui la sostanza partecipa. La dottrina grammaticale del nome, substantia et qualitas , si presta ad essere interpretata alla luce della dottrina boeziana, per la quale la sostanza, designata dal nome, è un composto, un quod est, e si costituisce in virtù di un quo est, una forma. Ci si chiede: ciò è vero di tutti i nomi, non solo dei denominativi e dei nomi di sostanza seconda, ma anche dei nomi di sostanza prima. E come si può articolare nella PREDICAZIONE tale distinzione: ponendo a soggetto la substantia, secondo la terminologia grammaticale, o il suppositum, secondo la termi[che Boezio, In Arist. Periermenias, forma nomi di qualità dai nomi di individui. Alia est enim qualitas singularis, ut Platonis vel Socratis, alia est quae communicata cum pluribus totam se singulis et omnibus praebet, ut est ipsa humanitas. Age enim incommunicabilis Platonis illa proprietas PLATONITAS, SOCRATITAS, GRICEITAS, STRAWSONITAS, PEARSITAS, appelletur. eo enim modo qualitatem hanc PLATONINATE – Platonitatem -ficto vocabulo nuncupare possimus, quomodo hominis qualitatem dicimus humanitatem. È il problema posto nel De grammatico d’AOSTA. Prisciano, op. cif., II, 18 (cfr. la prec. n. 5); per l’uso, cfr.CHENU, La théologie au douzième siècle, Paris (è qui ripreso e parzialmente modificato l’articolo Grammaire, Archives d’histoire doctrinale. Cfr. Girson, La philosophie au moyen dge, Paris CHENU), e a predicato ciò che vien detto rispettivamente la qualitas  il significatum. I filosofi hanno sviluppato questi temi, mentre nei secoli successivi le dottrine fissate vengono tramandate in modo sostanzialmente immutato. La storia della teoria dei paronimi o denominativi (o derivati) è stata di recente ricostruita da Henry che ha studiato il De grammatico d’Aosta. Riprendiamo qui le linee generali della dottrina anselmiana e seguiamo lo sviluppo del problema. È noto che Boezio pone tre condizioni perché si abbiano i termini denominativi: Tria sunt autem necessaria, ut denominativa vocabula constituantur. Prius ut re participet, post ut nomine, postremo ut sit quaedam nominis TRANS-FIGURATIO, ut cum aliquis dicitur a FORTITUDINE FORTIS, est enim quaedam fortitudo qua fortis ille participet, habet quoque nominis partecipationem, fortis enim dicitur. At vero est quaedam transfiguratio, fortis enim et fortitudo non eisdem syllabis terminantur. ALBERTO Magno, I Sent., d. 2, a. 11, sol. (cit. in CHENU, Duo sunt attendenda in nomine, scilicet forma sive ratio a qua imponitur, et illud cui imponitur; et haec vocantur a quibusdam significatum et suppositum, a grammaticis autem vocantur qualitas et substantia. L’influenza di Porfirio è stata determinante per una impostazione del problema in termini di predicazione: cfr. Moody, The Logic of William of Ockbam, London, in part. p. 74. 19 MartINno DI Dacia, /.c.; ma cfr. Cassionoro, Irstitutiones, cit., II, iii, 9, p. 113: denominativa, id est derivativa [....] . 20 Cfr. Henry, The  De grammatico  ..., cit., pp. 79-101 (per la ricostruzione storica del problema: in questo saggio sono sistemate le ricerche precedenti dell’autore), e The Logic of St. Anselm, Oxford. In Cat. Arist., cit., 168A-B. L’analisi delle tre condizioni in HenRry, The  De grammatico  A fondamento di questa interpretazione è la dottrina boeziana della costituzione dell’essere mediante la partecipazione a una forma, e quindi al nome che la designa: il denominativo si ricava dal nome della forma, e si differenzia da questo soltanto nella parte terminale. Con ciò non è ancora risolto il problema, se il nome ottenuto significhi principalmente la forma o il soggetto al quale inerisce. Altrove, però, lo stesso Boezio afferma che ALBUM [SHAGGY] è detto denominative di un corpo e perciò può essere predicato del nome di corpo, ma non è possibile che la definizione di album o SHAGGY, e tutto ciò che essa contiene, possa essere predicata del subiecium, cioè del nome che funge da soggetto. Diverso è il caso di animal, detto di homo: animal non solo può essere predicato di homo, ma, essendo esso posto nella definizione di homo, la definizione di animal può essere predicata di homo. Vengono così a configurarsi due tipi di predicazione secondo Boezio: una predicazione secundum accidens, e si ha quando si predica del subiectum ciò che è in subiecto, e una predicazione de subiecto (o in eo quod quid) o essenziale – H. P. GRICE, IZZING, NOT HAZZING --, e si ha quando una parte della sostanza è predicata della sostanza stessa. Questo secondo modo di predicazione ha luogo quando le sostanze seconde sono dette di sostanze prime (non solo, in tal caso, è predicabile il nome, ma anche la ratio o definitio del nome. Ma quando un denominativo è predi[Cosa siamo soggetto (“FIDO”) e predicato (“SHAGGY”) è detto da Boezio, In Arist. Periermenias. Termini autem sunt nomina et verba, quae in simplici propositione praedicamus, ut in eo quod est Socrates disputat, “Socrates” (FIDO) et disputat (IS SHAGGY) termini sunt. et qui minor terminus in enuntiatione proponitur, ut Socrates (FIDO), subiectus dicitur et ponitur prior; qui vero maior, praedicatur et locatur posterior, ut disputat (IS SHAGGY); cfr. HeNRY, The Logic of St. Anselm. Boezio, In Cat. Arist.; cfr. HENRY, The Logic of St. Anselm] cato di un subiectum, la PREDICAZIONE attiene al nome, non alla ratio o definitio del nome. Si vede bene, dunque, che altro è il modo in cui uomo (SHAGGY) è detto di Socrate (FIDO), o ‘animale’ di uomo, altro è il modo in cui album (SHAGGY) è detto di una sostanza qualsiasi. E poiché album (o grammaticus o SHAGGY) non è il nome della qualità (albedo, grammatica, SHAGGINESS, HORSENESS, PLATONITAS), ma di un quale, cioè di un soggetto cui la qualità inerisce (è nome cioè non della sua razio, ma del subiectum), bisogna precisare in che modo esso denoti il subiectum. Anselmo nel De grammiatico fa porre così il problema dal Discepolo. De grammatico peto ut me certum facias utrum sit substantia an qualitas. I termini usati sono quelli della definizione del nome data da Prisciano, ma posti in disgiunzione -substantia an qualitas. Ben presto però, nel corso della discussione tra Maestro e Discepolo, si cerca di spiegare come grammaticus sia substantia ET qualitas. Per comprendere la risposta data dal Maestro nel testo di Anselmo, si consideri innanzi tutto l’analisi che egli fa di homo: Nempe nomen hominis per se et ut unum significat ea ex quibus constat TOTVS VEL OGNI  homo. In quibus substantia principalem locum tenet, quoniam est causa aliorum et habens ea, non ut indigens illis sed ut se indigentia. Nulla enim est differentia substantiae sine qua substantia inveniri non possit, et nulla differentiarum eius sine illa potest existere. Quapropter quamvis omnia simul velut unum totum sub una significatione uno nomine appelletur ‘homo’, sic tamen principaliter Boezio, In Cat. Arist., cit., 191A-B. All’origine della distinzione tra definizione nominale e definizione essenziale è Anal. post. II, 10 (93b 29 sgg.) secondo  ScHnoLtz, Storia della logica, tr. MELANDRI (si veda) Milano. Cfr. De Grammatico, in S. Anselmi Opera omnia, ed. Schmitt, I, Edimburgi; Anselmo stesso c’informa che il problema e molto dibattuto al suo tempo. Tamen quoniam scis quantum nostris temporibus DIALECTICI certent de quaestione a te proposita hoc nomen est significativum et appellativum substantiae: substantia est homo et homo substantia. Si legga di seguito la risposta fornita al Discepolo per quanto riguarda grammaticus: Grammaticus (SHAGGY) non significat hominem et grammaticam ut unum, sed grammaticam (SHAGGINESS) per se et hominem per aliud significat. Et hoc nomen quamvis sit appellativum hominis, non tamen proprie dicitur eius significativum; et licet sit significativum grammaticae, non tamen est eius appellativum. Appellativum autem nomen cuiuslibet rei nunc dico, quo res ipsa usu loquendi appellatur. Secondo Anselmo, dunque, ciò che distingue l’uso di homo e di grammaticus è che il primo per se et ut unum significat ea ex quibus constat homo, il secondo non significat hominem et grammaticam ut unum, sed grammaticam per se et hominem per aliud significat; il primo è un nome di sostanza e quindi, boezianamente,  praedicatur de subiecto: esso significa e nomina la sostanza -est significativum et appellativum substantiae --, cioè, ancora boezianamente, esso può essere predicato di un sudiectum non solo come nomen, ma anche quanto alla ratio o definitio del nomen. Il secondo è nome di un composto di sostanza e accidente, composto denominato dall’accidente che inerisce alla sostanza: non qualitas, quindi, ma quale. Il suo nome è predicabile del subiectum-composto, non lo è la sua definitio, 0 ratio: la praedicatio secundum accidens importa che ciò che è predicato non costituisca sostanzialmente un unum aliquid con la sostanza cui inerisce e da cui dipende sostanzialmente. Cfr. AristoTELE, De interpr. 11, 21a 7-15; transl. Boethii,  Aristoteles latinus. Eorum igitur quae praedicantur et de quibus praedicantut, quaecumque secundum accidens dicuntur vel de eodem vel alterum de altero, haec non erunt unum; ut homo (FIDO) albus (SHAGGY) est et musicus, sed non est idem musicus et albus. Accidentia enim sunt utraque eidem. Perciò altra è la significazione, altra la funzione nominativa di grammaticus. Esso significa per se l’accidente, ma nomina il subiectum, l’uomo che ha la grammatica; il subiectum è significato obliquamente, o secondariamente, per aliud, ma è propriamente nominato. L’accidens è significato primariamente, ma non è nominato. Vengono così differenziandosi due funzioni proprie del nomen: una è la significatio, l’altra è l’appellatio. Anselmo usa poco questo ultimo termine, ma usa molto appellativus, appellare. La prima è ordinata al significato, l’altra al REFERENTE (DESIGNATUM, DENOTATUM); e l’appellatio è qui lontana anticipazione della teoria della supposizione. Nelle sue opere, Anselmo prospetta, fra l’altro, la possibilità di considerare il rapporto tra i nomi come humanus SHAGGY e humanitas SHAGGINESS; poiché tuttavia tra di essi non corre un vero e proprio rapporto di paronimia, egli non ne affronta l’analisi. La considerazione di casi come questo avrebbe però permesso di dare al problema un respiro più ampio, come si vede in Occam. Qualche decennio dopo AOSTA, Abelardo riprende il problema in un contesto in cui la presenza di Prisciano si è fatta più determinante. Va notata, innanzitutto, la distinzione che Abelardo scorge tra il diverso valore di qualità in Aristotele e [Nec si album musicum verum est dicere, tamen non erit album musicum unum aliquid. Secundum accidens enim MUSICUM ALBUM, quare non etit ALBUM MUSICUM. Quocirca nec citharoedus bonus simpliciter, sed animal bipes; non enim secundum accidens ; cfr. Henry, The Logic of St. Anselm. Un cenno in tal senso in BòunER, Medieval Logic; ma cfr. D.P. Henry, The Early History of  Suppositio; sonlin Stadics, ripreso in The Logic of St. Anselm; ev appendice 2, n. 1. Henry rende significatio per se con meaning e  appellatio con reference (cfr. The  De grammatico ). Per appellatio in AnseLMo, cfr. De Grammatico. Cfr. Epistola de incarnatione Verbi, in Opera omnia, Romae; ma v. Henry, The  De grammatico . in Prisciano: mentre per Aristotele qualità denota tutto ciò che è considerabile sotto la categoria della qualità, Prisciano ritiene che qualità sia nome di tutte le forme: omnium formarum nomen accipitur. Ciò permette di considerare qualsiasi forma, quindi anche le forme sostanziali, come qualità, e spiega come si siano moltiplicati i nomi astratti per indicare le forme (es. deus/deitas), e si sia posto il problema di ciò che li differenzia dai corrispondenti nomi concreti. Per quanto riguarda più direttamente il problema dei paronimi, è da dire che Abelardo include questi termini tra i nomina sumpta, i quali si distinguono dai nomina substantiva perché sono detti delle cose semplicemente per significare la forma che ad esse inerisce: essi #0 determinano la sostanza delle cose, ma denotano ciò che è affetto da una certa qualità. 32 AseLARDO, Dialectica, Cfr. CHENU, pet quanto riguarda i nomi divini.Ma già Anselmo parla di nomen sumptum (cfr. Henry, The Logic of St. Anselm, cit., p. 64; s. ANSELMO, Epistola de incarnatione Verbi, cit., p. 13; cfr. glossa Promisimus, in De Rx, Logica Modernorum, Il, i, cit., p. 262. Per AseLARDO, cfr. Logica ‘Ingredientibus'. Sunt autem omnia denominativa vocabula sumpta, non autem omnia sumpta sunt denominativa. Sumpta autem vocabula ea dicimus, quae simpliciter propter adiacentem formam significandam reperta sunt, ut “rationale”, “album”, “FAT,” “SHAGGY.”. Non enim ‘rationale’ dicit animal rationale vel ‘album’ corpus album, sed simpliciter ‘rationale’ ponit affectum rationalitate, ‘album’ affectum albedine, non etiam substantiam rei, quid sit, determinat. Sumptorum veto tria sunt genera, quia quaedam cum nomine formae in materia vocis ex toto conveniunt, ut “grammatica” o Letizia nomen mulieris cum grammatica nomine scientiae o stato d’animi. Quaedam vero penitus a nomine formae differunt, ut studiosus a virtute, quaedam autem cum per principium conveniant, per finem disiuncta sunt, ut fortis fortitudo, quae cum in primis syllabis conveniant, in ultimis differunt. Et haec tantum sumpta, quae scilicet principio conveniunt cum nomine formae et fine differunt, denominative esse determinat. Denominativa dicuntur subiecta illa quae habent appellationem ab aliquo, hoc est vocabulum quodcumque significans ex forma adiacente secundum nomen, id est similitudinem nominis ipsius formae, ut iam est expositum. Cfr. Dialectica. Sicut autem nomina quaedam substan[Ci si chiede quindi in quale categoria vadano considerati i nomina sumpta, e si risponde: quando contingit idem vocabulum res diversorum praedicamentorum significare, secundum principalem significationem in praedicamento ponendum est, ut album quod albedinem principaliter significat, propter quam maxime repertum est atque ubique eam tenet, quam etiam praedicare dicitut; e ancora: Cum enim tradat grammatica omne nomen substantiam cum qualitate significare, album quoque, quod subiectam nominat substantiam et qualitatem determinat circa eam, utrumque dicitur significare. Sed qualitatem quidem principaliter, causa cuius impositum est, subiectum vero secundario.] tiva dicuntur, quae rebus ipsis secundum hoc quod sunt data sunt, quaedam veto sumpta, quae scilicet secundum formae alicuius susceptionem imposita sunt, sic et definitiones quaedam secundum rei substantiam, quaedam vero secundum formae adhaerentiam assignantur. Cfr. AseLarDOo, Logica ‘Ingredientibus’. Il tentativo di ricondurre le parti del discorso studiate dal grammatico alle categorie aristoteliche è già in Distributio omnium specierum nominis inter cathegorias Aristotelis, ed. Piper, che ha attribuito il trattato a LABEONE (cfr. P. Pier, Die Schriften Notkers LABEONE und seiner Schule, I, Freiburg i.B.-Tibingen, e in  Zeitschrift fiir deutsche Philologie. Ma il sec. IX è il terminus ante quem per la composizione del trattato secondo il De Rx: cfr. On the Curriculum of the Arts of the Trivium at St. Gall Vivarium Cfr. Dialectica, cit., p. 113; v. anche ivi, At vero in his definitionibus quae sumptorum sunt vocabulorum, magna, memini, quaestio solet esse ab his qui in rebus universalia primo loco ponunt, quarum significatarum rerum ipsae esse debeant dici; duplex enim horum nominum quae sumpta sunt, significatio dicitur, altera vero principalis, quae est de forma, altera vero secundaria, quae est de formato. Sic enim ‘album? et albedinem quam circa corpus subiectum determinat, primo loco significare dicitur et secundo ipsius subiectum quod nominat. Alle pp. 596 sg. della Didlectica, AseLARDO si chiede se la definizione  formatum albedine , sia di 4/bum in quanto voce oppure della sua significatio, e poiché sembra ovvio che sia definizione della significatio, chiede ulteriormente se sia della significatio [Richiamando quanto si è detto della soluzione anselmiana e confrontando ad essa quella proposta da Abelardo, si può rilevare una stretta analogia tra le due posizioni: per Anselmo, come per Abelardo, il termine denominativo significa principal mente la qualità o forma da cui è tratto, e secondariamente il subiectum che nomina. Il termine NOMINARE di Abelardo ha lo stesso valore dell’appellare di Anselmo. Non è venuto alcun contributo originale tardo alla interpretazione del problema dei paronimi.] prima (albedo) o seconda, e mostra le difficoltà dell’uno e dell’altro caso. Conclude però a proposito della significatio prima. Dicatur itaque illa definitio albedinis esse non secundum essentiam suam, sed secundum adiacentiam acceptae. Unde et eam praedicari convenit et de ipsa albedine secundum adiacentiam, hoc modo: omne album est formatum albedine, et de omnibus de quibus ipsa in adiacentia praedicatur, e per la significatio seconda: Potest etiam dici definitio eadem esse huius nominis quod est album, non quidem secundum essentiam suam, sed secundum significationem, nec in essentia sua de ipso praedicabitur, ut videlicet dicamus hanc vocem album esse formatam albedine, sed secundum significationem, se scilicet consignificando, ac si (si)c diceremus: res quae alba (HORSE, PLATO) nominatur est formata albedine (HORSENESS, PLATONITAS) Cfr. De Rik, Logica modernorum, Vincenzo DI BeauvEAIS si limita a richiamare la differenza tra il procedimento aristotelico della derivazione del paronimo (da fortitudo, fortis) e quello di Prisciano (da fortis, fortitudo): cfr. n. 6; PreTRo Ispano, Summulae logicales, ripete la dottrina d’Aristotele e di Boezio, impostando il problema in termini di predicazione; così, riprende anche la distinzione dici de subiecto esse in subiecto, che ricorda quella boeziana praedicari de subiecto-praedicari in subiecto. Eorum vero, quae dicuntur de subiecto, omnia praedicantur nomine et ratione, ut homo de Socrate et de Platone. Eorum autem, quae sunt in subiecto in pluribus quidem, neque nomen neque ratio de subiecto praedicatur, ut haec albedo (SHAGGINESS, PLATONITAS, HORSENESS) vel hoc album (SHAGGY, PLATO, HORSE). In aliquibus autem nomen nihil prohibet praedicari aliquando de subiecto, rationem vero praedicari est impossibile, ut album de subiecto praedicatur, ratio vero albi de subiecto numquam praedicabitur. Le Sumzyle dello Ps. BACONE riprendono la terminologia e i problemi noti: dezominativum, sumptum (è il concreto, mentre astratto è il termine dal quale suzzitur il concreto); diversità del [Ma Occam ha fornito un’analisi esemplare del nostro problema, inquadrandolo in quello più vasto del rapporto tra nomi concreti e nomi astratti, dal momento che poi con Duns Scoto, i nomi astratti formati sulla base di nomi concreti si erano moltiplicati sempre più. Andavano quindi analizzate tutte le possibilità di rapporti tra nomi concreti e nomi astratti in modo da poter individuare i paronimi e indicarne correttamente le valenze significative. Secondo Occam, quattro sono i tipi di nomi concreti e di corrispondenti nomi astratti; in tre casi però il nome astratto e il nome concreto sono sinonimi, in quanto le forme astratta e concreta non importano cose differenti. Innanzi tutto sono sinonimi le forme astratte e concrete della categoria di sostanza (homo-humanitas), della categoria di quantità (quantum-quantitas) o che riguardano la figura e sono riconducibili alla quantità (curvum-curvitas), e della categoria di relazione (pater-paternitas). Non c’è alcuna distinzione, infatti, nell'unità dell’indi[procedimento del logico aristotelico e del grammatico di Prisciano. I nomi concreti sono tali perché significant rem in concrecione et inclinacionem ad subjectum, sive ad materiam in qua est accidens, quia album idem est quod res alba, res enim nominat subjectum sive materiam in qua est albedo. Ma è bene ricordare che non tutti i concreti sono denominativi, giacché, oltre a quelli che designano la forma accidentale in congiunzione al suo subiectum, ci sono i concreti che designano la forma sostanziale in unione con la sua materia. Cfr. Summa logicae. Stricte dicuntur illa synonyma, quibus omnes UTENTES INTENDUNT (users intend) uti simpliciter pro eodem; et sic non loquor hic de synonymis. Large dicuntur illa synonyma, quae simpliciter significant idem omnibus modis, ita quod nihil aliquo modo significatur per unum, quin per reliquum eodem modo significetur, quamvis non omnes UTENTES CREDANT ipsa idem significare, sed decepti existimant aliquid significari per unum, quod non significatur per reliquum. Isto secundo modo intendo uti in isto capitulo et in multis aliis de hoc nomine synonyma, o cognomina. Un’esposizione molto chiata in Moopv, The Logic of William of Ockbam, Occam, Sura logicae] -viduo, tra la realtà di esso e il principio formale che lo fa essere quello che è, né si può supporre che la quantità, la figura, la relazione siano cose distinte dalla sostanza quanta, o che ha figura, o che sia in relazione. Alla domanda: che cosa significa dunque la forma astratta humanitas rispetto alla forma concreta homo, Occam risponde che la prima designa tutto ciò che designa la seconda, ma in modo differente, giacché humanitas equivale a homo in quantum o qua homo, cioè alla forma reduplicativa del nome. Infatti il nome astratto rende reduplicativa ed esponibile la proposizione in cui è posto. Sono, inoltre, sinonimi i nomi la cui forma astratta equivale a quella concreta con in più un sincategorema, o un avverbio, e simili. Sono, infine, sinonimi i nomi la cui forma astratta è un nome collettivo e quindi designa molte cose simul sumptae, mentre la forma concreta può essere verificata pro uno solo (populus-popularis). Ma, oltre a questi casi, vi sono nomi astratti che non sono sinonimi dei corrispondenti nomi concreti, e costituiscono il quarto tipo. Essi sono di tre specie: innanzi tutto, si dà il caso che la forma astratta abbia supposizione per un accidente o forma che inerisca a un subiectum, e il concreto abbia supposizione per il subiectum dell’accidente o forma predetta: così, ALBEDO sta per l’accidente, album per il subiectum, cioè per IL CORPO BIANCO  (il contrario si ha per ignis-igneus: ignis, che è la forma astratta — sostantiva, meglio — sta per il subiectum, e igneus, che è la forma concreta — aggettivale — sta per l’acci[4 Ivi, pp. 22 sgg.; per la expositio in generale, cfr. cap. VI, $ 4; per la reduplicativa in part., cfr. Moopy, op. cit., p. 63. 4 Occam, Summa logicae: l’autore insiste sul carattere arbitrario -ad placitum instituentis -della utilizzazione di un termine in luogo di più altri. Possunt enim utentes, si voluerint, uti una dictione loco plurium. Sicut loco istius totius ‘omnis homo’, possem uti hac dictione “A?, et loco istius totius ‘tantum o qua homo’, possem uti hoc vocabulo ‘B’, et sic de aliis.]  dente); inoltre, il termine concreto in molti casi può stare per una parte di una cosa e la forma astratta — sostantiva — per il tutto (homo sta per il tutto in  anima non est homo , mentre humanus sta per una parte in anima est humana. L’anima infatti è una parte dell’uomo, o viceversa: anima sta per una parte, ANIMATVM per il tutto; infine, talora il concreto e l’astratto stanno per cose distinte, per le quali non valgono i rapporti accidens-subiectum, parte-tutto, già esaminati, ma valgono altri rapporti: quello tra causa ed effetto (homo che indica la causa, e humanus che indica il prodotto dell’azione dell’uomo), tra luogo e ciò che sta in esso (Anglia, Anglicus), tra signum e significatum (la differenza essenziale nell'uomo non è l’essenza, ma è segno di una parte dell’essenza, la razionalità. Orbene, denominativi in senso stretto sono i concreti inclusi nella prima specie di concreti e astratti non sinonimi, mentre in senso largo sono denominativi tutti i concreti che non siano sinonimi della corrispondente forma astratta. Terminus autem denominativus ad praesens potest accipi dupliciter, scilicet stricte, et sic terminus incipiens, sicut abstractum incipit, et non habens consimilem finem et significans accidens dicitur terminus denominativus, sicut a ‘fortitudine’ ‘fortis’, a ‘iustitia’ ‘iustus’. Aliter dicitur large terminus habens consimile principium cum abstracto sed non consimilem finem, sive significet accidens sive non; sicut ab ‘anima’ dicitur ‘animatus’. In Expositia aurea ..., cit., ad l., però OccaMm aveva affermato: denominativum multipliciter accipitur, scilicet large, stricte et strictissime: la prima accezione (large) è esemplificata, fra l’altro, proprio con animatus (occorre come esempio della secunda differentia dei nomi concreti e astratti non sinonimi, cfr. Summa logicae; la terza accezione strictissime è quella aristotelico-boeziana; la seconda è così formulata. Secundo modo dicitur denominativum cui correspondet abstractum differens sola terminatione importans rem in alio formaliter inhaerentem et ab eo totaliter differente, et isto modo dicitur materia formata a forma. Si noti, infine, che sempre nell’Exposito aurea, la trattazione dei denominativi è limitata al richiamo degli elementi boeziani e alla riconduzione [Ma Occam va più oltre nell'esame di questo problema. Vi sono dei nomi che sono detti absoluta, che significano primo tutto ciò che significano -quidquid significatur per idem nomen, aeque primo significatur. Tali sono tutti i nomi della categoria di sostanza e i nomi astratti della categoria della qualità. I nomi non assoluti sono detti connotativi. Nomen connotativum est illud, quod significat aliquid primario et aliquid secundario. Dei nomi connotativi è possibile, a differenza dei nomi assoluti, dare una definitio quid nominis, cioè una definizione nominale, che esprime ciò che è importato dal nome; di album, ad esempio, la definizione nominale è aliquid HABENS [HAZZES] albedinem: orbene, secondo Occam, album significa primariamente ciò che nella definizione nominale è al nominativo -nell’esempio, aliquid -e significa secondariamente ciò che nella definizione nominale è al caso obliquo: albedo . Nomi connotativi sono tutti della praedicatio denominativa alla praedicatio univoca o alla PREDICATIO ÆQVIVOCA. Al testo di Occam fa seguito un lungo passo che a un primo giudizio sembra richiamare elementi di Buridano, incluso tra le lettere maiuscole F e M. così: «F. Quamvis ista dicta venerabilis inceptoris clarissima sint ut notatur hic per venerabilem nostrum expositorem magistrum Guilielmum de Ocham. M; esso è dovuto all’editore, frate Marco da BENEVENTO (si veda). Summa logicae, cit., p. 33. #1 Cfr. ivi, p. 35, e Moopy, op. cit., p. 56, il quale rileva che la differenza essenziale, della categoria di sostanza, è invece termine connotativo. 4 Summa logicae, cit., p. 34. 4 Così il Moopy, op. cit., p. 55, e L. Baupry, Lexigue philosophique de Ockbam, Paris, s.v. connotativum; si veda sw. connotatum una citazione dal II Sent., q. 26, O: Illud quod ponitur ibi (sc. in definitione nominali) in recto est significatum principale et quod ponitur in obliquo est connotatum: il termine connotativo connota ciò che significa secondariamente; e s.v. significare, la quarta accezione. Ma cfr. Bacone, Compendiumi. Deinde diligenter considerandum est ulterius, quod nomen inpositum alicui rei soli extra animam, potest i termini concreti non sinonimi dei corrispondenti astratti, e quindi tutti i denominativi (assumendo il termine in senso stretto o in senso largo), e, più generalmente, tutti i termini contenuti nelle categorie diverse da quella di sostanza, compresi i nomi concreti della categoria della qualità. La terminologia, e quindi la soluzione, occamista non è diffusa al tempo del maestro [Dopo di lui, Strode ritiene, semplicemente, che connotare vale secundario significare, mentre multa simul significare extra animam, et hec vocantur in philosophia cointellecta, et apud theologos connotata . 50 Ivi, pp. 34-35. 51 Cfr, BurLEIGH (Super artem veterem Porphyrii et Aristotelis, VENEZIA) che distingue semplicemente (sotto Denominativa vero, nel commento alle Categorie) due tipi di nomi concreti: il concretum substantiale e il concretum accidentale. Di essi, solo il secondo è denominativo. Iste terminus homo est concretum substantiale, quia sibi correspondet aliquod abstractum, scilicet humanitas, et non praedicatur denominative; ideo dico quod omne denominativum est concretum sed non e contra; nam concretum quoddam est accidentale et quoddam substantiale. Concretum accidentale est denominativum, sed concretum substantiale non est denominativum respectu illius cuius est substantiale. Srrope, Logic. Item, terminorum quidam dicuntur abstracti et quidam concreti. Abstracti sunt illi qui ultra illud pro quo supponunt non connotant aliquid inhaerere sibi, ut hic: li ‘homo’, li ‘albedo’. Sed concreti sunt illi qui connotant illis pro quibus supponunt aliquid inhaerere, ut fere omnia adiectiva, ut ‘album’, ‘nigrum’ et alia adiectiva, ut alibi magister declaravit. E? sic patet differentia inter suppositionem, significationem et connotationem, vel inter supponere, SIGNIFICARE et connotare. Supponere nam est pro aliquo capi ut subiectum et praedicatum in propositione. Sed SEGNARE vel  SIGNIFICARE est aliquid repraesentare. Connotare vero est secundario significare, ut li ‘album’ non significat principaliter, sed supponit pro substantia quam etiam significa et connotat sibi inbaerere albedinem; v. anche ivi, f. 15vb:  terminus qui principaliter significat substantiam, ut ‘lignum’ vel ‘lapis’, dicitur ex dicuntur esse substantiae vel in praedicamento substantiae; sed qui connotant qualitatem, ‘album’, ‘nigrum’, sunt in praedicamento qualitatis, qui quantitatem, in praedicamento quantitatis. Butidano e Wyclif accostano sempre a comnotare l’avverbio accidentaliter: per l’uno ciò che è ‘connotato’ è ‘appellato’ dal [Burano, Compendium logicae, cit., III, sotto Denominativa vero:Circa quam est primo notandum quod triplicia sunt denominativa: quaedam sunt denominativa voce tantum, quaedam significatione tantum, quaedam voce et significatione simul; esempi del primo sono homo-bumanitas, che sono sinonimi: et alia denominativa reperiuntur in terminis essentialibus et absolutis, e continua. Sed denominativa significatione tantum sunt concreta habentia abstracta cum quibus non conveniunt in principio vel non differunt in fine litteraliter vel syllabaliter sed comnotant aliud accidentaliter pro quo sua abstracta supponunt principaliter, ut li ‘studiosus’ est denominativum significatione tantum respectu huius abstracti ‘virtus’, quia li ‘studiosus’ connotat accidentaliter vittutem pro qua supponit li ‘virtus’. Sed denominativa voce et significatione simul sunt concreta habentia abstracta cum quibus quantum. est ex parte vocis conveniunt in principio litteraliter vel syllabaliter et differunt ab eis in fine et connotant illud accidentaliter pro quo supponunt sua abstracta principaliter, ut li ‘album’ dicitur denominativum voce et significatione simul respectu huius abstracti albedo; quest’ultima specie sono i denominativi veri e propri, i quali secundum illud nomen habent appellationem, id est connotant illudaccidentaliter pro quo supponunt sua abstracta principaliter. WycLir, Tractatus de logica, Terminus substancialis est terminus qui significat naturam rei sine conmotacione accidentalis proprietatis; ut iste terminus, homo, significat essenciam humanam sine connotacione extranea. Sed terminus accidentalis est diccio significans essenciam rei, connotando accidentalem proprietatem: sicut iste terminus, albus, significat substanciam et similiter albedinem, que est proprietas extranea ab essencia, que est substancia. Terminorum alius est concretus, alius abstractus. Terminus concretus est terminus significans rem que indifferenter potest contrahi ad supposicionem simplicem vel personalem; sicut iste terminus, homo, significat in proposicione tam personaliter pro persona; quam eciam simpliciter pro natura. Sed terminus abstractus significat pure essenciam rei sine connotacione aliqua ad suppositum cui inest, sicut iste terminus deitas, bumanitas, albedo, CANITAS etc. Et sic ex omnibus terminis concretis possunt abstracta capi. La definizione di termine denominatus o denominativo non fornisce elementi notevoli. Si veda invece im. Miscellanea philosophica, ed. Dziewicki, London. Nota primo quod “abstractum” in terminis vocatur terminus qui termine concreto, come si vedrà; per l’altro l’accidente è il significato primario del termine. I paronimi costituiscono dunque una classe particolare di nomi, che pongono all’attenzione del logico il problema del rapporto tra significatio e appellatio. Ma che cosa un nome significhi, che cosa nomini, e se la funzione nominativa del nome sia primaria o del tutto secondaria, sono domande che i filosofi si pongono per *tutti* i nomi, non solo per i paronimi. Viene così in primo piano la considerazione del momento istitutivo del nome, dell’atto, cioè, per il quale il nome è costituito come  vox significativa. Si constata che all’origine del nome sta l’esigenza di designare le cose e che quindi la vox diviene significativa innanzi tutto perché l’uomo possa parlare delle cose usando segni fonici in luogo delle cose stes[significat formam substancialem vel accidentalem primarie; sed concretum est terminus qui formam et suppositum cuius est talis forma significat. Suppono quod cuilibet termino significati est dare primarium significatum.Pro i ntellectu tamen, nota quod primarium significatum alicuius termini est significatum ad quod intellectus tali audito immediate fertur intelligendus; ex quo sequitur quod omnis terminus communis significans habet duplex significatum, scilicet primarium et 2ndarium; sequitur quod omnis terminus habens predicatum debet principaliter sumi pro significato suo primario. Exempli gracia, cum proponitur, Homo est animal, INTELLECTVS AVDIENTIS hanc proposicionem non fertur super Socrates nec Platone, sed absolute super significato primario, quod est species humana que est humanitas. Si autem proponitur cum predicata humanitate, videndum est si predicatum limitat ipsum subiectum racione primarii significati vel secundarii. Et sic revertitur nobis illa antiqua regula et famosa: Talia sunt subiecta qualia permittuntur ab eorum predicatis [cfr. De Ryx, Logica modernorum, II, i, cit., p. 561]. Exemplum ad significatum primarium. Hec est regula vera: “Homo communicatur multis, eo quod predicatum non potest com[e 5; si constata anche, d’altra parte, che la vox resta significativa anche in assenza della cosa da nominare e che quindi le due funzioni del nome non sono strettamente interdipendenti. Altro è il significato, altro il referente del nome. Delle occasioni che si offrono ai filosofi nei testi in uso nelle scuole come luoghi per dibattere questi problemi, dobbiamo richiamarne due: una è rappresentata dal secondo passo delle Categorie d’Aristotele e dalla sua utilizzazione nella definizione delle fallacie’. L’altra è la definizione che Prisciano dà di NOMEN. Esaminiamo brevemente i risultati in questo paragrafo. Ricordiamo che un’ampia documentazione per lo studio di questi temi è fornita da Rijk nella sua Logica modernorum. Come avvio allo studio di questi temi si tenga presente l’insegnamento di Abelardo, il quale, esaminando la dottrina della petere significato primario huius termini 40mz0, cum Socrates non communicatur multis, licet Socrates sit illa humanitas que communicatur multis”. Exemplum, scilicet significati secundarii, homo currit et predicatum limitat subiectum ad significatum secundarium, cum non potest competere significato primario, eo quod humanitas, sive species humana, non potest currere, nisi sit currens. Et suppono quod significatum termini concreti accidentalis primarium est accidens sive forma talem substanciam denominans; ut huius termini, album, significatum primatium est albedo substanciam albisans. Similiter huius termini iustumz, est iusticia subiectum iustificans. Ista supposicio tenet per primam Aristotelis auctoritatem allegantem. Album solam qualitatem significat; quod intelligitur primarie; sed substanciam cui inest albedo secundarie. Et cum omne denominans, ut huiusmodi, sit prius denominato, ut huiusmodi, sequitur quod a principali debet capere suam primariam significacionem sed omnem etsi non sequitur quod album omnem substanciam significaret quod factum est. La prospettiva diversa di Wyclif rispetto a quella di Occam è condizionata dalla soluzione REALISTICA – e non NOMINALISTICA - al problema degli universali. Per la distinzione tra significatum primarium e significatum secundarium, cfr. ancora m., Tractatus de logica, I, cit., in part. pp. 7 e 76-77 (si veda p. 77:  tripliciter contingit signum significare secundarie quodlibet designandum, ecc.). 55 Cfr. cap. IV, $ 1. 56 In particolare, cfr. la prima parte del secondo volume] impositio, o institutio voluntaria, che è quell’atto libero dell’uomo che attribuisce a una vox una significatio, distingue molto chiaramente la funzione propria della vox significativa  di essere signum, e quindi di generare o constituere intellectum, e la funzione, secondaria secondo Abelardo, di designare le realtà estra-mentali, detta, quest’ultima, nominatio o appellatio. Nel procedimento istitutivo della vox, l’inventor ha guardato a fondo nella natura delle cose: su questo stretto rapporto, in sede di institutio, tra natura delle cose e nomen, si fonda la funzione secondaria della vox. Perciò i nomi dicono riferimento (nominant, appellant) alla realtà attualmente significata, perché tale è una quaedam imponentis intentio, e cioè tale è la volontà dell’inventor. Nel caso di distruzione della realtà esterna (“Roma”, il nome di Roma), però, il nome perde il suo potere appellativo -la significatio rei - mentre sussiste la  significatio intellectus. La prima è appunto funzione secondaria, la seconda è funzione primaria della vox; e proprio perché la prima è funzione che viene meno rebus deletis, essa è irrilevante ai fini della determinazione della significatio vera e propria. La significatio si allontana così dalla nominatio. Questa distinzione abelardiana tra significare e appellarenominare è netta, specie nella discussione sugli universali, giacché in questa indagine non ha peso la nominatio. Per quanto riguarda, poi, la distinzione tra sostanze prime e sostanze seconde, Abelardo glossa l’espressione aristotelica sub 5 Cfr. Logica ‘Ingredientibus’, qui vocabulum invenit, prius rei naturam consideravit, ad quam demonstrandam nomen imposuit; Logica ‘Nostrorum. Impositor (Compositor: Geyer) namque nominum rerum naturas secutus est: così legge Rijk, Logica modernorum. Logica ‘Ingredientibus’. Rerum quippe significatio transitoria est, intellectus vero permanens; cfr. BEONIO BROCCHIERI FUMAGALLI; De Ru] figura appellationis  così: ex similitudine nominationis . Il Maestro Palatino, cioè, ritiene che, mentre le sostanze prime nominano le res subiectae   ut personaliter discretae , cioè in quanto distinte l’una dall’altra, le sostanze seconde sembra significhino anch'esse le cose come distinte, ma in realtà il modus nominandi dell’uno e dell’altro tipo di sostanze differisce: le seconde infatti  sunt impositae propter qualitatem substantiae, e nominano le cose ut convenientes, in quanto cioè le cose nominate dalle prime convengono in certo modo tra loro. Abelardo perciò afferma che generi e specie, cioè le sostanze seconde, sono in sensibilibus positae per appellationem, extra vero per significationem: essi infatti nominano le cose sensibili e in certo senso le significano, ma non le significano in guanto cose sensibili, dal momento che se queste perdessero le loro forme attuali, sarebbero ancora nominate da generi e specie; perciò la significatio di essi non è esaurita dalle realtà sensibili, che non sta in queste. Anche per le sostanze seconde (anzi, a maggior ragione per esse) vale quindi la distinzione tra significatio e appellatio-nomi[Logica “Ingredientibu’, In secundis vero. In primis videtur et est, sed in secundis videtur similiter, ut scilicet significent rem subiectam ut personaliter discretam, sed non est verum. Et unde videtur similiter, supponit: ex figura appellationis, id est ex similitudine nominationis. Similes namque sunt secundae substantiae cum primis in eo quod casdem res quae discretae sunt, nominant, sed in modo quidem nominandi differuntur, quia primae, in quantum hoc aliquid sunt, nominant eas, id est ut personaliter discretas et ab omnibus differentes, secundae vero easdem appellant ut convenientes. Sed wmagis. Secundae non significant res suas ut hoc aliquid, sed potius ut quale aliquid, quia cum primae substantiae maxime propter discretionem substantiae sint impositae, secundae impositae sunt propter qualitatem substantiae. Logica ‘Nostrorum. genera et species quaedam, non omnia, in sensibilibus sunt posita, hoc est sensibilia habent nominare, et ponuntur extra sensibilia, id est res habent significare et non cum aliqua forma quae sensui subiaceat, quia si res omnes formas quae sensui subiacent, amittefent, non ideo minus a genere et specie nominari possent. Sunt igitur] [natio, tanto più, in quanto la convenienza su cui si fondano non può essere esaurita dalla denotazione di una singola res subiecta. Questo stesso tema è affrontato da alcuni dei primi commenti agli Elenchi sofistici nella discussione della figura dictionis, che dai grammatici viene definita:  proprietas constandi ex dictionibus sive ex sillabis tantum: la stessa vox, ad esempio homo, proprio perché può denotare più individui, sembra che significhi la sostanza individuale, mentre in realtà la significa soltanto sub figura appellationis, cioè, non la significa in senso proprio, ma la nomina; CIÒ CHE È SIGNIFICATO IN SENSO PROPRIO È L’UNIVERSALE – cf. Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” – Grice, “Meaning and Universals” --. I testi che affrontano il problema fanno tutti riferimento, esplicito o implicito, a Categorie genera et species in sensibilibus posita per appellationem, extra vero per significationem Cfr. Fallacie Parvipontane, cit., p. 586. 6 Cfr. Glose in Aristotilis Sophisticos elencos, cFigura dictionis secundum appellationem est quando aliqua vox eadem figuracione appellat plura et ex hoc videtur significare hoc aliguid. Ut hoc nomen ‘homo’ appellat Socratem et Platonem eadem figura et ex hoc videtur quod significet Socratem et Platonem; non tamen est verum; Summa Sophisticorum elencorum, cit., pp. 334-335, e TRACTATVS DE DISSIMILITVDINE ARGVUMENTORVRA, che dipende dalla Summa riportandone perfino un esempio; Fallacie Vindobonenses. Ex similitudine appellationis, ut hoc nomen ‘homo’ videtur significare hoc aliguid, [non: add. Rijk, ma sembra vada espunto] quia appellat hoc aliquid, idest INDIVIDVVM, sed non significat hoc aliquid, immo significat aliquid, idest VNIVERSALE. Il testo non ha in questo caso un riferimento esplicito alle Categorie, ma la terminologia risente delle discussioni sul passo ricordato. In Fallacie Parvipontane non occorre il termine appellatio nella discussione della figura dictiones, ma si sofferma che il sesto modo di questa fallacia è quello in cui si confonde hoc aliguid con quale quid. Ut autem hoc facilius intelligatur, sciendum quod dictiones determinate significantes dicuntur hoc aliguid significare, ut propria nomina et prono-] [C'è da aggiungere che in questi testi si trova talora un riferimento al nomen appellativum, che è appunto il nome comune, o l’universale. Nell’Ars disserendi di Adamo Parvipontano, appellatio ha un ruolo di primo piano e denota la funzione del nominare. Essa è propria del termine comune, usato come comune, il cui corrispettivo, o designato, è detto appellatum. L’appellatio dà luogo a sofismi O IMPLICATURE (entanglements), se non se ne precisa opportunamente di volta in volta la portata. Ma è bene seguire lo svolgimento del pensiero dell’autore. Adamo nella sua opera si propone di illustrare quanti e quali siano i generi del discorso, e quali i fini dell’arte che li studia. I generi del discorso — insegna — sono due: l’uno si realizza attraverso interrogazione e risposta, nella disputa, l’altro si realizza senza di queste, nella esposizione. Il fine è insegnare come discorrere e come intendere ciò che è comunicato attraverso il discorso nelle discipline filosofiche. Constatato che ogni discorso parte ab interrogatione vel enuntiatione, che entrambe hanno due parti, il de quo si parla, e il quid de eo o ciò che si dice £, e che ciascuno di questi può essere considerato da due punti di vista, qualiter de quo o cosa designata, e qualiter quid o termini designanti, Adamo comincia il suo studio dal de quo o soggetto, precisando che la designazione di esso può essere chiara o oscura, mina. Dictiones autem indeterminate significantes dicuntur quale quid significare, ut nomina generum, nomina specierum. Indeterminate caratterizza il termine communis o universalis che ha confusio. Ma cfr. Logica ‘Cum sit nostra’, per i rapporti tra confusio e quale aliquid.Cfr. Glose..., cit., p. 222 (a proposito di De sopb. el. Cfr. L. Minio-PaLueLLO, Introduction a ADAM or BALSHAM PARVIPONTANUS, Ars disserendi; ci serviremo dell’introduzione del MinioPaluello per l’esposizione dello schema dell’Ars. 6? Cfr. Ars disserendi] e'che la designazione oscura può avere duplice origine: o perché si applica a differenti cose, o perché il designatume è difficile da cogliere. Passando ad esaminare le designazioni sofistiche, egli distingue quelle incomplexe, cioè consistenti di una sola vox, e quelle complexe, consistenti di più voces. Le prime possono aver luogo per aequivocatio, per univocatio, o con termini collettivi. Le seconde possono aver luogo, se il sofisma è causato da un solo termine, in quattro modi, di cui qui ci preme ricordare solo l’aequivocatio e l’indistinctio. Se il sofisma sorge dal rapporto tra più termini, in molti modi, di cui ricordiamo solo il termine collettivo. All’esame di ognuno di questi livelli di sorgenti di sophismata Adamo fa seguire una esposizione delle regole che permettono di dominare le difficoltà. In tutti i casi ricordati, il Parvipontano fa ricorso al termine appellatio, per caratterizzare l’origine del sofisma, e una volta a nominatio. Per la designazione sofistica incomplessa: — l’aequivocatio è definita eadem diversotrum non eadem ratione appellatio, cioè ha luogo quando si ha la stessa appellatio di più cose non allo stesso titolo, in quanto il nome usato non conserva, nei vari casi, la ratio, la significatio, o definitio grazie alla quale l’appellatio è stata data — l’univocatio invece è eadem 9 Cfr. ivi, pp. 18 sge. 20 Ivi, pp. 25-31 (eguivocatio), pp. 31-32 (univocatio), pp. 32-33 (termine collettivo). 71 Ivi, pp. 42-44 (aequivocatio), pp. 44-46 (indistinctio), pp. 62 sgg. (termine collettivo). 72 Ivi, p. 26; definizione alternativa è: Aequivocatio est eadem diversorum huius aliter quam illius appellatio. equivoce enim dicuntur omnia quorum duplex significatio [GRICE, VICE e VICE], ma anche: Ex quibus igitur que aequivoce dicantur comperiri difficile, duo: plurium pluribus ignorabilis differentia nec tamen nulla; plurium modus appellationis pene idem nec tamen idem; cfr. Rik, Logica modernorum, dove sono esaminati alcuni casi di  ratione diversorum eadem appellatio  ”: essa si differenzia dall’aequivocatio perché non causa, di per sé, sophisticam duplicitatem come si ha in quella; l’univocatio perciò non è un vero e proprio principio sofistico, e si può vedere meglio ciò nei commenti agli Elenchi sofistici ispirati al Parvipontano; l’uso dei termini collettivi dà luogo a sofisma quando si ha  plurium ut non unius appellatio: nel caso della proposizione contraria non sunt concedenda, il sofisma sorge dal fatto che contraria (termine incomplesso) designa due realtà opposte, e si può dubitare se si parla dei due contrari separatamente o di entrambi considerati insieme. Per la designazione sofistica complessa in cui il sofisma sorge dal fatto che un termine è applicato a designare differenti cose, l’aequivocatio ha luogo in tutti i modi in cui si può avere nella prima classe; l’indistinctio è definita: cum quod ipsa verbi variatione distingui solet, in quibusdam non distingui contingit, ed è così distinta dalla aequivocatio: Differt autem ab equivocatione indistinctio quod illa ex diversorum est eadem nominatione, hec ex unius indistincte variata (sc. nominatione). DI si può notare che nominatio prende il posto di appellatio in questo caso. Infine, per la designazione sofistica complessa in cui il sofisma sorge dall’uso di un nome collettivo in connessione con altri termini, Adamo pone le stesse condizioni poste nella prima classe e fornisce l'esempio, duo contraria non sunt conequivocatio secondo Adamo, e op. cit., II, i, p. 495, n. 1, dove ratio è resa con definition. Apamo DI BarsHam, Ars disserendi, cit., p. 32. 75 Ivi, p. 32 (22 rec.). % Per ulteriori considerazioni, cfr. RiJk, op. cit., I, p. 75. TI Apamo DI BarsHam, Ars disserendi, cit., p. 32. 8 Ivi, p. 45; nella proposizione  verisimilis falsi probatio falsi similis non est, verisimilis può riferirsi a probatio oppure a falsi; di qui l’îndistinctio, giacché non è chiaro quale caso abbia verisimzilis.] cedenda , nel quale il termine incomplesso contraria è sostituito dal termine complesso duo contraria. Il valore di appellatio nel testo di Adamo può essere ulteriormente chiarito da altre occorrenze: appellationum novitas, appellatio permanens, appellatio secundum accidens e così via; tutte confermano che l’accezione fondamentale è parallela a quella di nominatio. Si è detto che appellatio è funzione propria del termine comune in quanto comune. Ciò fa sì che, data l’ampiezza della possibilità di designazione di esso, appellatio s'accompagni sempre nel testo all’indicazione di una pluralità (pluriumz, diversorum) nei confronti della quale va operata una precisazione, una determinazione limitativa. I seguaci del Parvipontano sviluppano questo elemento elaborando la dottrina dell’ampliatio e restrictio dell’appellatio, in alcuni trattati di arte sofistica. L’anonimo autore delle Fallacie Parvipontane definisce l’aequivocatio in rapporto all’appellatio, così come si è visto nel testo di Adamo. Aequivocatio est eadem diversorum non eadem ratione; è un caso di congiunzione (altro esempio: duo et tria sunt quinque – 2 + 3 = 5. Si quos autem appellationum talium perturbet novitas, sufficiat eis eorum que distinximus sine nominibus cognitio, ne incognite distinctis incognita etiam nomina adhibentem horreant. appellationum autem novitatem non horrebit appellatorum tam frequentem usum quam necessariam disciplinam perpendens . 82 Ivi, p. 36 (28 rec.): Advertatur autem secundum ea que predicta sunt non ex omni translatione equivocationem contingere, sed ex qua permanentem appellationem fieri accidit et que eius sit ad quod transfertur . 83 Ivi, p.4(2? rec.):  quoniam secundum accidens est huiusmodi certorum appellatio. contingit autem et hoc his que secundum accidens fiunt appellationes frequenter, ut cum dicitur ‘pater istius est albus’. Cfr. l’indice analitico dell’ed. cit. curata dal Minio-Paluello, per avete un quadro completo dell’uso di appellatio. Terminologia logica della tarda scolastica 77 appellatio; l’univocatio è compresa sotto l’equivocatio e e questa può essere intesa in senso lato  quando (sc. est) ex variata appellatione sive ex variata suppositione : in questo caso, suppositio è concorrente di appellatio; ma suppositio vale qui subiectio, cioè è funzione del termine che è soggetto grammaticale in una proposizione *; appellatio, accostata a suppositio, ne assume in certo senso il valore: infatti ora appellatio è proprietà del termine posto in una proposizione. Univocatio quindi viene definita:manente cadem significatione variata nominis suppositio; quia, etsi vatiatur suppositio, manet tamen eadem significatio  ®. L’anonimo autore precisa che si hanno tre specie di umivocatio: « Prima est quando aliqua dictio sumitur ad agendum de se vel de suo significato ; esempi sono: « ‘magister’ est nomen  e « ‘homo’ est species ; « Secunda species est quando aliqua dictio transsumitur modo ad agendum de aliqua rerum alicuius maneriei, modo de tali manerie rerum, ut cum dicitur: ‘homo est dignissima creaturarum’. Potest enim sic intelligi ut fiat sermo de aliquo appellatorum huius nominis ‘homo’; potest etiam intelligi ut fiat sermo de tali manerie rerum; maneries vale ‘universale natura’ o ‘forma’ di una specie”; si noti l’uso di appellata per designare i subiecta di homo”; Tertia species est quae consistit in ampliatione et restrictione alicuius dictionis, quemadmodum accidere solet in nominibus appellativis ®: 85 Fallacie Parvipontane; essa è duplice: alia est principalis et per se, alia ex adiuncto . 86 Ivi, p. 561: «Item. Univocatio ex dissimili acceptione unius termini accidit; sed equivocatio eodem modo habet accidere; quare ratione similitudinis univocatio sub equivocatione continetur . 87 Ivi, p. 562. 88 Cfr. De Rijk, op. cif., II, i, p. 532. 89 Fallacie Parvipontane, cit., p. 562. % Cfr. De RyK, op. ciz., II, i, p. 588. 9! Cfr. appendice 1 a questo capitolo. ® Fallacie Parvipontane, cit., p. 562. 78 Alfonso Maierù il nomen appellativum è condizionato nella sua funzione di soggetto dal tempo del verbo, di modo che può avere appellatio rispetto a cose presenti, passate o future”, Il Tractatus de univocatione Monacensis, che mostra parecchie somiglianze con le Fallacie Parvipontane, definisce l’univocatio e la distingue dall’eguivocatio come segue. Est igitur univocatio manente eadem significatione variata nominis appellatio, quando scilicet aliqua dictio variat appellationem. (Nota) quod equivocatio consistit in variata nominis significatione, univocatio consistit in variata nominis appellatione 9. Se risulta chiaro che urivocatio è proprietà che appartiene ai termini in base alla loro funzione significativa”, è altrettanto chiaro che, confrontando questo testo e quello delle Fallacie Parvipontane, sempre più suppositio e appellatio appaiono termini concorrenti; nel nostro Tractatus si parla di ampliatio e restrictio dell’appellatio”. Nelle Fallacie magistri Willelmi, la univocatio è ripresa sotto la figura dictionis e definita: eiusdem dictionis in eadem significatione et terminatione varia appellatio , e si aggiunge; « Et notandum quia variatur univocatio usu et accidente consignificatione. Accidit enim ex hiis appellationem restringi vel ampliari  9. Anche questo testo conferma l’uso ormai accertato 9 Cfr. ivi, e De RiJx, op. cit., II, i, pp. 494-497 e 528-533; cfr. anche cap. II, $ 2. % De Ru, op. cit., II, i,p. 533. 95 Tractatus de univocatione Monacensis, cit., p. 337. % Cfr. De RIJK, op. cit., II, i, p. 496. 9 Cfr. cap. II, $ 2. 98 Fallacie magistri Willelmi, cit., p. 691. Nelle Fallacie Londinenses, cit., p. 665, si legge:  In tertia acceptione (sc. figure dictionis) dicitur appellatio dictionis, scilicet quedam proprietas que inest dictioni ex eo quod supponit unum vel plura. Il contesto indica che qui suppositio ha il valore tecnico più tardi comune (cfr. p. 668, e De Rjx, op. cit., II, i, p. 541); appellatio perciò è inglobato nella suppositio. Terminologia logica della tarda scolastica 79 di appellatio come funzione della  vox significativa  capace, nella proposizione, di ampliazione e restrizione. Il contributo dato dai grammatici alla dottrina dell’appellatio è rintracciabile in alcuni commenti a Prisciano, là dove occorre la definizione di rozen ( substantia et qualitas ). Guglielmo di Conches distingue quattro gruppi di nomi: Nomina igitur vel significant substantias vel ea que insunt substantiis vel quedam figmenta animi vel modos loquendi; substantias, ut hec nomina ‘Socrates’, ‘homo’; vel ea que insunt substantiis, ut ‘albedo’, ‘nigredo’; figmenta animi, ut hec ‘yrcocervus’, ‘chimera’; modos loquendi de rebus, ut ‘omnis’ 9. I nomi del primo gruppo sigrificano l’intelligibile, o essenza di qualcosa ‘9, ma rorzinano le realtà individuali, anche se nel testo non si fa alcun esplicito riferimento all’esistenza di esse!%; ciò non è vero solo dei nomi appellativi (ad es. di horzo) ma anche dei nomi propri (Socrates) !. Per i nomi del secondo gruppo, Guglielmo distingue tra ® Il testo del commento di Guglielmo di Conches, secondo il ms. Firenze, S. Marco 310, è ampiamente riportato dal De Ru, op. cit., II, i; il passo cit. è a p. 223. . 100 Ivi, p. 224:  Significat ergo hoc nomen ‘homo’ et similia appellativa substantiam, et non aliquam. Quod igitur ab hac voce significatur, ita ut significatur potest intelligi, non tamen esse. Unde dicimus quod solum intelligibile significat et non actuale  (cfr. le considerazioni del De Ryx, ivi, 1227), i 101 La p. 224:  Quamvis igitur ‘boo’ significet communem qualitatem omnium hominum et non ipsos homines, tamen nominat ipsos homines et non ipsam qualitatem. Unde dicimus quod aliud significat et aliud nominat  (per il riferimento all’esistenza, cfr. n. 100 e quanto ne dice De Ru, ivi, ; 227), Ù 102 la p. 224:  hoc proprium nomen significat substantiam ita quod aliquam individuam, et significat propriam illius qualitatem . Nominat vero eandem substantiam quam significat, sed non qualitatem; ma cfr. il testo di Boezio] forma astratta e forma concreta del nomen, albedo e album: pet entrambi Guglielmo stabilisce cosa significhino, cosa nomini. no:  ‘albedo’ significat solam qualitatem, hoc commune accidens. Nominat tamen sua individua, ut ‘hec albedo est albedo 18. Più articolato è il discorso per 4/b4m, e ci riporta a quanto sappiamo dei paronimi:  ‘album’ idem accidens signific sl a i AR nto € denti at quod et albedo’, sed aliter, ; ‘at inherentiam illius accidentis et subiecti, quod hoc nomen albedo non facit. Ergo hec duo nomina non in re significata differunt, sed in modo significandi 1%; e alla domanda, se album significhi sostanza e qualità, risponde: pg: ita, sed secundario, quia cum determinet inherentiam acciale et subiecti, quia certum est quia sola substantia est subiectum accidentium, secundario, idest innuendo, significat  substantiam 15, | Della terza classe di nomi Guglielmo afferma che  figmenta animi  quoddam significatum animi significant et nominant , mentre di quelli della quarta afferma che  nec substantiam (nec) qualitatem significant nec aliquid nominant  !%, ; Guglielmo, dunque, precisa per ogni specie di nome cosa significano, cosa nominano. Ciò è particolarmente importante per i nomi delle prime due classi. La funzione del nome in quanto designa qualcosa (zozzinatio) è identica a quella che nei testi precedenti, abbiamo visto, era chiamata appellatio. In Guglielmo essa assume sfumature che, a lungo andare, confluiranho nella dottrina della suppositio; in particolare, per quanto riguarda i nomi della prima classe, Guglielmo afferma che essi, nella propo193. Ivi, 1% Ivi. ist, iuziio 6 A Ivi; cfr. anche p. 225:  Adiectiva igitur nomina nominant illas substantias quibus insunt accidentia que significant, ut ‘4/44’ rem cui inest albedo . 106 Ivi; p. 225, Terminologia logica della tarda scolastica 81 sizione, possono designare se stessi o la specie!: si tratta di quelle funzioni che saranno chiamate  appellatio materialis  e  appellatio manerialis 0 simplex  ‘!® e che saranno dette più tardi  suppositio materialis  e  suppositio simplex . Di diverso avviso è Pietro Elia, il quale, nella Sumzza super Priscianum, commentando la definizione che Prisciano dà di nomen, riferisce le opinioni dei suoi contemporanei: dai ragguagli di Pietro Elia, si può ricavare che ormai la dottrina di Prisciano si è incontrata con quella di Boezio ( quod est , cioè res existens , e  quo est o forzza) e che Prisciano viene spiegato con Boezio !”. Dopo aver esposto una prima opinione, secondo la quale tutti i nomi significano sostanza e qualità !, perfino omnis e nichil!!!, e una seconda, che sembra essere quella di Guglielmo di Conches !, ne enuncia una terza, per la quale ogni nome significa una substantia, oppure modo substantie: i nomi propri e appellativi significano la sostanza, giacché sono 107 Ivi, p.224: Sed quamvis proprie nominat (sc. ‘homo’) ipsa individua, aliquando tamen ex adiuncto nominat speciem quam significat — ut hic: ‘bomo est species” —; aliquando se ipsum tantum, ut hic: ‘homo est nomen? . 18 Cfr. De Ru, ivi, p. 526; cfr. la glossa Promzisimus; v. quanto si dirà più avanti a proposito del testo del ms. Vienna, lat. 2486. 19 Il De RiJk riporta ampi passi dal ms. Paris, Arsenal 711: cfr. ivi, p. 231: Hoc autem est illud quod plerique dicunt, scilicet quod omne nomen significat gu0 (quod: De Rijk) est et id quod est, ut hoc nomen (‘bomo’) significat id quod est, idest rem que est homo, et illud quo est, scilicet humanitatem qua est homo, quoniam homo ab humanitate est homo . 110 Ivi:  Et rursus hoc nomen ‘albedo? significat rem pro substantia que est albedo, et facere album sive albedinem, ut fingam vocabulum, pro forma. Et hoc idem de cetetis nominibus dicunt . ill Ivi: Quidam tamen nimis ridiculose dicentes quod ‘omnis’ significat formam que debet dici omnitas, fingentes nomen ad similitudinem huius quod est ‘buzzanitas’. De hoc nomine quod est ‘richil’ dixerunt quod significat rem que non est pro substantia et nichilitatem pro forma . 112 Ivi, pp. 231-232. 82 Alfonso Maierù stati trovati dall’imzpositor per parlare delle sostanze !5; gli altri nomi, che sono nomi di accidenti, significano non la sostanza, ma  modo substantie  !: così pure i sincategoremi e i  figmentorum nomina  !5. A quest’ultima opinione sembra aderire ELIA (si veda) !!, In altri commenti a Prisciano vengono riprese alcune dottrine nelle quali le correlazioni significatio (primaria) —forma e significatio (secondaria)—substantia (o subiectum d'una qualitas) si vanno sempre più accentuando, di modo che appellatio cessa di valere nominatio per limitarsi a designare una natura universale, o anche l’intellectus di essa. Così, le Glosule in Priscianum del ms. Colonia 201 affermano che il nome nozzinat la substantia per via dell’imzpositio ricevuta, ma significat la qualità !”, giacché la qualitas è in realtà la  causa [Dicunt ergo quod nomina propter substantias primo reperta sunt. Qui enim nomina primo imposuit, ad loquendum de substantiis ea invenit . 114 Ivi: Sed postea dilatata est locutio, ita scilicet ut non solum de substantiis, verum etiam de ceteris rebus vellent homines loqui. Imposuerunt itaque accidentibus nomina quibus de illis agerent, sed positio eorum est secuta positionem nominum prius impositorum propter substantias. Data sunt itaque nomina accidentibus sed ita ut quamvis significarent illa accidentia, tamen modo substantie significarent et in natura communi vel propria (vel) ut in natura communi vel propria. Scis quid est modo substantie significare: significare aliquid sine tempore et in casuali inflexione communiter vel proprie, vel quasi communiter vel quasi proprie . 115 Ivi: i sincategoremi (omzzis, neullus)  nichil significant sed tantum consignificant, ut ‘omnis’ consignificat quoniam universaliter et ita quod sine tempore in casuali inflexione et quasi communiter. Nichil enim commune pluribus designat, sed quasi commune aliquid significaret plura complectitur . Hec vero habent alia nomina huiusmodi, ut ‘quis’, ‘nichil et figmentorum nomina, ut ‘hircocervus” et ‘chimera’, ita scilicet quod nichil possit obici contra . 16 Ivi, p. 234. 17 Ampi passi ivi: cfr. p. 228, n. 1: nomen substantiam tantum inventionis nominum  !!, dal momento che la pluralità di qualità, cioè di forme, è la vera causa della pluralità di nomi. Il commento anonimo a Prisciano, contenuto nel ms. Vienna, lat. 2486, fornisce elementi, decisivi nel senso indicato, commentando le espressioni  significare substantiam  e  significare qualitatem . Per la prima, l’anonimo autore riferisce un’opinione secondo la quale ogni nome significa sostanza e qualità:  ‘homo’ significat essentiam que est horzo et istam proprietatem, scilicet humanitatem; et ‘albedo’ significat rem albam et aliquam proprietatem, scilicet albere vel facere album. Et sic omnia alia !!. Per la seconda, si afferma: Significare qualitatem est de notare de quo genere rerum aliquid sit vel de qua manerie. ‘Album’ bene denotat de quo genere rerum aliquid sit, scilicet quod ‘album?’ dicitur nomen corporum et quod semper intelligituralbum corpus  !®. Le espressioni  rem albam  del primo passo e  nomen corporum  del secondo non devono trarre in inganno: non si tratta di un significare che denoti realtà esterne, ma di un rinvio alla realtà specifica, astratta, universale, cioè alla forma che è oggetto dell’intelletto (intelligitur), come ben indicano i termini essentia, genus, maneries occorrenti nei testi. C'è uno slittamento della nominatio, 0 significazione secondaria, o appellatio, verso il piano mentale, comunque intralinguistico. Ciò trova ulteriore conferma nella dottrina secondo la quale se albume, posto a parte praedicati; nominat, quia ei fuit impositum, qualitatem vero significat non nuncupative, immo representando et determinando circa substantiam propter quam tamen notandam substantie fuit impositum ; perciò, continua il testo, ogni nome ha due significazioni:   unam per impositionem in substantia, alteram per representationem in qualitate ipsius substantie . Similiter ‘album? per impositionem significat corpus — idest nuncupative, quia qui dixit: dicatur hec res alba”, non dixit: “substantia et albedo dicantur alba”; in quo notatur impositio —, albedinem vero significat per representationem ut principalem causam. Riportato ivi, p. 241. 120 Ivi, pp. 242-243. 84 Alfonso Maierù significa una qualità, posto però 4 parte subiecti significa una essenza !!, La prima parte di questa affermazione testimonia di una particolare interpretazione dell’appellatio come proprietà del predicato, il quale come tale  appellat formam  o  rationem , come si vedrà; di modo che la dottrina dell’appellatio, se fa leva sul momento istitutivo della vox, dice riferimento alla realtà estramentale attualmente indicata; e se fa leva, invece, sul momento ‘significativo’ (nel senso più forte), dice riferimento alla qualità o forma che è causa del nome. La glossa Promisimus, infine, riprendendo la distinzione tra nomi propri e nomi appellativi presente in Prisciano, analizza i rapporti tra significatio, appellatio e nominatio, riporta varie opinioni sullo sfondo della quadripartizione dei nomi di Guglielmo di Conches, e precisa che, secondo un’opinione, il  significare substantiam et qualitatem  è del nome proprio come del nome comune o appellativo !2; per un’altra opinione, invece, solo i nomi propri hanno appellatio-nominatio della sostanza significata, non della qualità, mentre i nomi appellativi hanno appellatio, e appellant i loro appellata in linea di diritto, ma non li nominant di fatto !*. Per quanto riguarda i nomi astratti della categoria [Modo opponitur eis de hoc quod dicit Boetius: “album michil significat nisi qualitatem”. Ita exponunt quod intellexit: quando ponitur ex parte predicati, tunc significat qualitatem. Sed bene potest poni in subiecto; et tunc significat aliquam essentiam ut ‘album est corpus’: tunc ‘album’ quoddam corporeum significat . 12 Dal ms. Oxford, Bodl. Laud. lat. 67, citato ivi, p. 258: Et eorum que significant substantiam quedam determinant qualitatem circa substantiam, sive communem, ut ‘homo’, sive propriam, ut ‘Socrates’, que ‘Socratitas” a Boetio appellatur [cfr. n. 13]. Concedunt ergo quod utrumque istorum nominum ‘homo’, ‘Socrates’ significat substantiam et qualitatem; neutrum tamen eorum plura, licet alterum sit substantia et alterum qualitas, que sunt plura, tamen significare substantiam et qualitatem non est significare plura . 13 Ivi: Nomen proprium nominat, idest appellat, cam substantiam quam significat, sed nullam qualitatem. De nulla enim qualitate agitur per Terminologia logica della tarda scolastica 85 della qualità, essi, — si dice, ed è dottrina più comune — sigrificant ma non appellant '*. I nomi concreti della categoria della qualità, infine,  nominant, idest appellant  le sostanze cui ineriscono gli accidenti, e significant primariamente la qualità. Per questa seconda opinione, dunque, i nomi astratti significano, i nomi concreti della categoria di qualità significano e nominano-‘appellano’, i nomi propri significano-nominano-‘appellano’ l'individuo ma non significano una qualità, i nomi comuni significano e ‘appellano’, e talora nominano. Il valore di appellare non coincide con quello di nomzizare, come si è constatato finora: l’appellare dei nomi appellativi non dice necessariamente rinvio al referente estralinguistico, ma, sulla scia di quanto si è visto negli altri commenti a Prisciano, rinvia solo agli appellata, al correlativo mentale designato dal termine. Ci sono, anche da un punto di vista grammaticale ormai, gli elementi per una considerazione della funzione appellativa di un nome, all’interno di una proposizione, che sia condizionata appunto dalla struttura logico-linguistica della proposizione stessa. Già con i Tractatus Anagnini la dottrina dell’appellatio, alla proprium, ut hoc nomen ‘Socrates’ et significat et appellat hunc hominem. Appellativum vero significat substantiam et omnem appellat, sed non omnem, cui convenit proprietas designata per ipsum, scilicet humanitas, nominat, sed quamlibet substantiam cui ipsum convenit appellat, quia pro unoquoque eorum habet poni. Ut hoc nomen ‘boro? significat hominem et omnem appellat et quemlibet hominem, sed nullum determinate . 14 Ivi: De hoc vero nomine ‘albedo’ dicunt quod solam qualitatem significat, scilicet a/bedinem, sed nullam appellat, tamen omnem significat . 125 Ivi, p. 259:  Nominant autem, id est appellant, adiectiva substantias illas quibus insunt accidentia illa que eis significantur, ut ‘albus’ principaliter significat qualitatem (substantiam: De Rijk) determinando eam inesse, secundario subiectum albedinis et illud nominant . 86 Alfonso Maierù fine del secolo XII, non ha più una funzione centrale, ma il suo posto è occupato dalle dottrine della sigrificatio e della suppositio. L’autore, anonimo, richiamandosi alla distinzione tra nomi propri e nomi appellativi ‘%, caratterizza l’appellatio come proprietà di un termine di aver riferimento ai suoi appellata: in questo senso occorre a proposito della supposizione di un termine in presenza della dictio ‘alius’ '? e a proposito della supposizione conseguente all’uso comune ( de communi usu loquentium ), e in particolare discutendo  de nominibus articularibus , o nomi di dignità e cariche pubbliche, che, assunti al caso obliquo, hanno appellatio ristretta !8, Appellatio dunque occorre nella discussione più generale dell’ampliatio e restrictio d'un termine, di cui si dirà nel seguente capitolo !?, Ma tra la fine del secolo XII e la prima metà del secolo XIII circa fiorì quel genere letterario noto col nome di sumzzulae; in esse la dottrina dell’appellatio, pur non svolgendo un ruolo centrale nella trattazione dei  parva logicalia , appare ormai matura da un punto di vista logico: l’appellatio non è più considerata come proprietà del nome in quanto tale, ma proprietà di un termine in una proposizione, cioè in un contesto sincategorematico, in una struttura sintattica logicamente rilevante, nell’ambito della quale si precisano le possibilità operative dei termini. Se ancora nella Logica ‘Cum sit nostra’ il riferimento sintattico non è decisamente affermato e sussiste una considerazione del nome assunto nella sua atomicità, il discorso si fa più completo e interessante negli altri trattati. 126 Tractatus Anagnini, cit., cfr. ad esempio pp. 301 e 316-317. 127 Ivi, p. 271:  tunc precedens terminus restringitur ad supponendum illa que cadunt sub appellatione sequentis termini , e ancora:  sub appellatione sequentis termini , nello stesso contesto. 128 Ivi, pp. 274-275:  nomina articularia sumpta per obliquum restringunt appellationem, ut ‘video regem’, ‘loquitur de rege’ . Cfr. cap. II, $ 2. 130 Logica ‘Cum sit nostra’, cit., p. 449: Et est appellatio sermonis Terminologia logica della tarda scolastica [Le Introductiones Parisienses, dopo aver definito i termini suppositio, significatio, consignificatio, definisce così l’appellatio: Appellatio, ut solet dici, est presentialis convenientia alicuius cum aliquo; vel: quedam proprietas que inest termino ex eo quod pro presenti significat, ut solet dici. Ut hoc nomen ‘Antichristus’ non appellat Antichristum, immo subponit et significat !, Perché un termine abbia appellazione, si richiede la conside razione della struttura proporzionale (convenientia) e il riferimento al tempo presente. Manca, nel testo, qualsiasi cenno all’appellatio come funzione del predicato !°. } Anche il Tractatus de proprietatibus sermonum definisce l’appellatio indicando come elemento caratterizzante la connotazione temporale del tempo presente ‘*, che deve aver luogo in un contesto proposizionale !*. E poiché l’appellatio è inferiore alla suppopredicabilis significatio sine tempore . Vel: appellatio est proprietas termini communis quam habet secundum quod comparatur ad sua singularia, que comparatio inest ei secundum quod appellat. Ut cum dicitur: ‘homo est animal’, iste terminus ‘homo? habet comparationem ad singularia, que comparatio inest ci secundum quod appellat Socratem vel Platonem : interessante il rilievo relativo alla predicabilità, ma il prosieguo del discorso mostra qual è il vero interesse del nostro testo. Si noti che la suppositio è definita substantiva rei designatio, idest significatio termini substantivi; è chiaro, dall’analisi di homo contenuta nel primo testo, che suppositio e appellatio non si escludono. 131 Introductiones Parisienses, cit., p. 371. 132 Seguono (ivi, pp. 371-373) sei regole relative all’ampliatio e alla restrictio di suppositio e appellatio. 133 Tractatus de proprietatibus sermonum, cit., p. 722:  Appellatio est proprietas que inest voci ex eo quod assignet aliquem mediante verbo presentis temporis. Per hoc patet quod ille terminus tantummodo appellat qui vere potest sumi cum verbo presentis temporis; ille vero nil appellat qui vere non potest sumi cum verbo presentis temporis, ille scilicet qui nil potest significare presentialiter. Appellare est assignare aliquem. Unde terzzinum appellare nil aliud est quam terzzinum convenire alicui, hocest esse assignare alicui mediante verbo presentis temporis . 88 Alfonso Maierù sitio, in quanto è un capitolo di essa !%, l’appellatio può essere anche definita come la coartatio (o restrictio) della suppositio mediante il verbo di tempo presente !%, La Dialectica Monacensis, agli elementi già rilevati della connotazione temporale in un contesto proposizionale, aggiunge che 4ppellare è accidentale per il termine, e che la funzione del termine che appellat è quella di essere predicato !”. Ancora, le Suzzzze Metenses caratterizzano in modo molto chiaro l’appellatio come suppositio del termine  pro iis qui sunt ,  pro existente , a differenza della supposizione, che è funzione del termine non legata ai  presentia supposita  !*. 135 Ivi:  cum suppositio et appellatio se habeant quasi superius et nferius . 136 Ivi, pp. 722-723:  Quoniam (autem) variatur per verbum presentis emporis vel preteriti vel futuri, et cum talis variatio sit suppositio coartata et talis suppositio coartata per verbum presentis vel preteriti vel futuri dicatur appellatio. Dialectica Monacensis, cit., p. 616:  Dicitur autem terminus appellare id de quo vere et presentialiter et affirmative potest predicari. Ut patet in hoc termino ‘bomzo’, qui appellat Sortem, Platonem, et omnes alios presentes. Et notandum quod terminus communis hoc quod appellat, supponit. Sed non convertitur, quia multa supponit que non appellat. Iste enim terminus ‘bozz0? supponit Cesarem et Antichristum, non tamen appellat cos, eoquod. non sunt presentes. Unde accidentale est termino appellare id quod modo appellat, quia iste terminus ‘hozz0” appellat Sortem cum ipse est, cras non appellabit ipsum dum ipse non est, sed tamen supponit . La supposizione è comunque superior all’appellazione; di essa si afferma:  terminus communis pet se sumptus supponit pro omni quod potest participari formam eius: , dove è presente un riferimento alla forzz4 (natura universale) come residuo delle interpretazioni dell’espressione:  substantia et qualitas . 1388 Cfr. Summe Metenses, cit., p. 458: Quoniam appellatio est nota corum. que accidunt termino inquantum est in propositione, ideo viso de suppositione termini videndum est de appellatione eiusdem et de differentia que est inter appellationem et suppositionem. Sciendum tamen quod appellatio termini est suppositio eius pro iis qui sunt. Unde appellata dicuntur presentia supposita; suppositio est tum pro existente tum pro non Terminologia logica della tarda scolastica 89 Questa caratterizzazione è prevalente nel secolo XIII, e non solo nelle varie sumzzzulae, ma anche in testi come lo Speculum doctrinale di Vincenzo di Beauvais !*. Lamberto di Auxerre ricorda quattro accezioni di appellatio, ma afferma che il valore principale resta  acceptio termini pro supposito vel suppositis actu existentibus  !°. Pietro Ispano a sua volta definisce senz'altro:  Appellatio est acceptio termini pro re existente , il che rende questa funzione del termine diversa dalla significatio e dalla suppositio !!. La necessità dell’attuale esistenza della cosa appellata fa sì che Pietro attribuisca l’appellatio non solo ai nomi comuni, ma anche ai nomi propri quando designano una realtà esistente ‘4°. Bisogna però distinguere due casi existente. Et ex hoc patet differentia inter appellationem et suppositionem . Non autem terminus appellat nisi pro eo qui vere est. Et propterea manifestum est quod multos appellavit quos modo non appellat, et multos postea appellabit; item multos appellabat (appellat: De Rijk) quos modo non appellat nec postea appellabit . 139 Vincenzo DI BEAUVAIS, op. cit., 240:  Appellatio vero dicitur quaedam proprietas quae inest termino, eo quod ille potest accipi pro aliquo supposito actu existente. Unde differt a suppositione, eo quod suppositio est indifferens respectu entium, et non entium: unde suppositio communior est quam appellatio ; per la distinzione tra nomi comuni o appellativi e nomi propri, cfr. ivi, 95-98. 140 In PRANTL, Appellatio dicitur quatuor modis: propria nominatio, proprietas nominum, acceptio termini pro supposito sub suo significato, acceptio termini pro supposito vel pro suppositis actu existentibus... Quarto modo est principalis intentio... . 141 Summulae logicales, cit., 10.01, p. 102; continua così il testo cit.: Dico autem “pro re existente”, quia terminus significans non ens nihil appellat, ut “Caesar” vel “Antichristus”, et sic de aliis. Differt autem appellatio a suppositione et significatione, quia appellatio est tantum de re existente, sed suppositio et significatio sunt tam de re existente quam non existente, ut “Antichristus” significat Antichristum et supponit pro Antichristo, sed non appellat, “homo” autem significat hominem et supponit de natura sua tam pro hominibus existentibus quam non existentibus et appellat tantum homines existentes . 14 Ivi, (10.02):  Appellationum autem alia est termini communis, ut 90 Alfonso Maierù riguardo all’appellatio del termine comune: se il termine ha supposizione semplice (se cioè sta per l’essenza comune d’una cosa), allora  idem significat, supponit et appellat ; se invece ha supposizione per i suoi inferiora, esso significat la natura comune, supponit per quegli inferiora per i quali viene quantificato e appellat gli inferiora esistenti !9. L’uso dei termini appellatio, appellare da parte di Guglielmo di Shyreswood merita un discorso più ampio. Innanzi tutto, va precisato che secondo Guglielmo appellatio è la generale predicabilità del nome in una proposizione che abbia il tempo presente !*. Ma il maestro ci informa che, secondo alcuni (guidar), il predicato ha appellatio mentre il soggetto ha suppositio 5. Ora, la “homo”, alia termini singularis, ut “Socrates”. Terminus singularis idem significat, supponit et appellat, quia significat rem existentem, ut “Petrus” . 143 Ivi, 10.03, pp. 102-103: Item, appellationum termini communis alia est termini communis pro ipsa re in communi, ut quando terminus habet simplicem suppositionem, ut cum dicitur “homo est species” vel “animal est genus”; et tunc terminus communis idem significat, supponit et appellat, ut “homo” significat hominem in communi et supponit pro homine in communi et appellat hominem in communi. Alia est termini communis pro suis inferioribus, ut quando terminus communis habet personalem suppositionem, ut cum dicitur “homo cutrit”. Tunc “homo” non significat idem, supponit et appellat, quia significat hominem in communi et supponit pro particularibus et appellat particulares homines existentes. Introductiones în logicam, Appellatio autem est presens convenientia termini i.e. proprietas, secundum quam significatum termini potest dici de aliquo mediante hoc verbo: est . Appellatio autem (sc. est) in omnibus substantivis et adiectivis et participiis et non in pronominibus, quia non significat formam aliquam, sed solam substantiam  (abbiamo tenuto presente le correzioni suggerite in KNEALE, op. cit., pp. 246 sgg., al testo che il Grabmann ha fissato nell’ed. cit.), e p. 82:  Appellatio autem inest termino, secundum quod est predicabilis de suis rebus mediante hoc verbo: est ; cfr. DE Rik, op. cit., II, i, pp. 563 sgg. In questo senso il BocHENSKI, A History of Formal Logic, cit., p. 176, intende appellare come ‘nominare’ le cose presenti. GUGLIELMO DI SHYRESWOOD, op. cif., p. 82:  Dicunt igitur quidam. quod terminus ex parte subiecti supponit et ex parte predicati appellat . Terminologia logica della tarda scolastica 9i supposizione può essere duplice:  aut secundum actum aut secundum habitum; della supposizione abituale (che ha riscontro nella supposizione naturale di Pietro Ispano 19), scrive:  Secundum autem quod est ‘** in habitu dicitur suppositio significatio alicuius ut subsistentis. Quod enim tale est, natum est ordinari sub alio ; la supposizione attuale è definita  ordinatio alicuius intellectus sub alio  !: un termine, in quanto tale, è naturalmente capace di fungere da soggetto e in tal caso ha supposizione abituale; se è usato in una proposizione, esso è attualmente ‘ordinato’ a un predicato, ed ha supposizione attuale. Ciò premesso, Guglielmo commenta così l’opinione dei quidam: Et sciendum, quod ex parte subiecti supponit (sc. terminus) secundum utramque diffinitionem suppositionis (sc. actualem et habitualem), ex parte autem predicati supponit secundum habitualem suam diffinitionem. Scieridum etiam quod terminus ex parte subiecti appellat suas res, sed non secundum quod est subiectum. Ex parte autem predicati appellat. Secundum autem quod predicatum, comparatur ad subiectum suum per aliquam suarum rerum et secundum hoc appellat 199. Sembra di poter ricavare dal testo le seguenti affermazioni: la supposizione attuale non importa l’appellatio; la supposizione abituale, propria del termine in quanto tale, importa l’appellatio; l’appellatio è perciò proprietà del termine in quanto tale: il soggetto appellat in forza della sua ineliminabile supposizione abi tuale, il predicato appellat in quanto esso ha solo supposizione abituale; e poiché il predicato significa una forma che inerisce alla substantia del soggetto, il termine predicato designa solo una 16 Ivi, p. 74. . o 147 Summulae logicales, cit., 6.04, p. 58; cfr. DE Ru, op. cit., II, i, pp. 566 sgg.; cfr. anche cap. II, nn. 67 e 69. : 188 Nel testo di GueLIELMO DI SHYRESWOOD, op. cit., p. 74, si legge sunt, che è riferito insieme a suppositio e copulatio. 149 Ivi. 150 Ivi, p. 82. 92 Alfonso Maierù 151 x n forma e appellat secondo che è ordinato al soggetto, e grazie al soggetto; il predicato è quindi assunto nella sua intenzione e aa; ; inerisce’ al soggetto che riceve estensione dalla copula !2. Da quanto si è detto, appare evidente che la dottrina della appellatio proposta da Guglielmo è ancora legata all’analisi grammaticale della relazione che intercorre tra nome appellativo e realtà designata. Ma resta vero ancora, per Guglielmo, che il nome, per sua natura (de se), supponit pro presentibus  !* cioè ha la funzione, che gli deriva, come si sa, dalla sua impositio, di nominare le cose presenti: è questa la ragione per cui l’appellatio è legata, come a sua  conditio sine qua non , alla connotazione temporale della copula di tempo presente. 151 Cfr. ivi, p. 78: Queratur, utrum dictio, que predicatut, predicet solam formam et si stet simpliciter aut non. Et videtur, quod non. Si enim ita esset, vere diceretur: quedam species est homo sicut dicitur: homo est species. Dicendum, quod hoc non sequitur. Omne enim nomen significat solam formam et non absolute, sed inquantum informat substantiam defferentem ipsam et sic aliquo modo dat intelligere substantiam. Nomen ergo in predicato dat intelligere formam, dico, ut est formam substantie subiecti. Et ideo cum illa substantia intelligatur in subiecto, non intelligetur iterum in predicato. Unde predicatum solam formam dicit . Si ricordi che significatio è definita (ivi, p. 74):  presentatio alicuius forme ad intellectum : forma è una natura universale; per il De Rij€, op. cit., II, i, p. 563, n. 3, l’espressione  significatum termini  del primo testo della n. 144 vale  the universal nature the term signifies . 12 Così il De Rug (ivi, p. 564) intende il passo di Guglielmo: di contro ai  quidam  che appaiono sostenitori della teoria dell’identità per quanto riguarda la copula (soggetto e predicato hanno la stessa estensione, indicata dalla copula), Guglielmo è sostenitore della teoria dell’inerenza (per la quale cfr. Moopy, Truth and Consequence..., cit., pp. 32 sgg., e cap. III). sa Cfr. GUGLIELMO DI SHYRESWOOD, op. cif., p. 85: Et dico, quod ille terminus: homo supponit pro presentibus de se, quia significat formam in comparatione ad suas res. Hec autem comparatio tantum salvatur in existentibus. Solum enim est suum significatum forma existentium et proprie pro hiis supponit de se ; per forma, e significatum, cfr. n. 151; per l’interpretazione proposta, cfr. KNEALE, op. cit., pp. 247-248. Terminologia logica della tarda scolastica 93 Di contro alla dottrina che interpreta l’appellatio come una specie di suppositio, e precisamente quella specie che vale in relazione al tempo presente, dottrina che deriva dall’affermarsi della suppositio come teoria generale del termine nella proposizione in sostituzione dell’appellatio (ben illustrata dal De Rijk'*), sopravvive nelle sumzzzulae l’interpretazione dell’appellatio come proprietà del termine derivante dalla primitiva impositio: essa è documentata dall’Ars Meliduna, dalle Sumule dialectices attribuite a Ruggero Bacone, ma anche nel Compendium studii theologiae di Ruggero Bacone. Se, per parte sua, l’Ars Meliduna afferma ancora le tesi dell’appellatio come risultato immediato dell’institutio 9, della 154 Cfr. Logica modernorum. Causa institucionis vocum fuit manifestacio intellectus, idest ut haberet quis quod alii intellectum suum manifestaret [....]. Notandum tamen quod institucio vocum non fuit facta ad significandum, sed tantum ad appellandum, quippe cum appellacio vocum magis sit necessaria ad loquendum de rebus subiectis quam significacio. Quod autem ad appel landum fuerint voces institute, satis probabiliter coniectari potest ex illa inposicione vocis que fit cum puero nomen inponitur: ibi enim non queritur quid significabit illud nomen vel quo nomine puer significabitur sed pocius quid appellabitur. Amplius autem ex hoc quod ubicunque proprie ponuntur nomina in supposito semper ponuntur ad agendum de appellatis tantum, ut dicto quoniam horzo currit. Appellant ergo nomina res illas propter quas supponendas fuerunt instituta. Verba quoque similiter, saltem casualia, idesi participia. Licet autem ad appellandum tantum fuerint institute voces, tamen preter appellacionem habent etiam significacionem, sed hanc ex appellacione contraxerunt sive ex institucione facta ad appellandum . Discutendo della significazione dei nomi, l’autore c’informa che, secondo una tesi, essi signi ficano le forme ideali, per cui  desinente re appellata, manet vocis significatio  (ivi, p. 295); ciò ricorda da vicino quanto scrive GIOVANNI DI Sa LIsBURY, Metalogicon, cit., IV, 35, p. 205:   temporalia uero widentur quidem esse, co quod intelligibilium pretendunt imaginem. Sed appellatione uerbi substantiui non satis digna sunt que cum tempore transeunt, ut nunquam in eodem statu permaneant, sed ut fumus euanescant; fugiunt enim, ut idem (sc. Plato) ait in Thimeo, nec expectant appellationem ; cfr 94 Alfonso Maierù necessità del riferimento al presente e della priorità logica della significatio e della suppositio rispetto all’appellatio, giacché il nome conserva quelle quando perde questa in seguito alla distruzione della cosa ‘appellata’ !*, il discorso diventa più articolato negli altri due testi. L’autore delle Sumzule scarta sia la dottrina della suppositio come proprietà del soggetto !”, sia quella dell’appellatio come proprietà del predicato: l’appellatio è ordinata agli appellata e perciò è proprietà del soggetto come del predicato, giacché entrambi sono ordinati agli appellata; e poiché i termini che hanno appellazione sono usati nella loro valenza significativa, ogni 4ppellatio è personale (‘personale’ indica che il termine è usato a denotare le realtà significate) e si può articolare a somiglianza della supposizione personale ‘*. L’autore, inoltre, ricorda due opinioni Timaeus a Calcidio translatus commentarioque instructus, ed. T.H. Waszink,  Plato latinus , IV, Londini et Leidae 1962, p. 47. Cfr. MurraLry, The  Summulae logicales  ..., cit., pp. lviti-lix. 156 Ars Meliduna, cit., p. 316: Significat enim hoc nomen ‘Cesar’ adhuc illud individuum quod olim significavit. Neque enim nomen re (ce)dente significationem amisit quam prius habuerit, sed appellationem, — que est per verbum presentis temporis vera attributio sive copulatio. Unde et semper exigit rem existendi. Distat ergo inter suppositionem, significationem, appellationem, quia duo prima precedunt tertium, ut in hoc nomine ‘Antichristus’; semper etiam post ipsum manent, ut in hoc nomine ‘Cesar’; ipsa vero simul. Significat itaque ‘Cesar’ individuum, non quod modo sit individuum, sed quod est vel fuit vel erit. Et ita significat individuum quod non est nec tamen (erit) aliquod individuum. Sicut supponit vel, secundum alios, significat boro qui non est et tamen quilibet homo est, quia significatio dictionis appellationem ampliat . 157 Sumule dialectices, cit., p. 268: quarto modo dicitur supposicio ‘proprietas termini subjecti’, sive subjecti in quantum alii supponit et subicitur in oracione ; quindi è scartata la tesi che intende la suppositio come  substantiva rei designacio  (ivi). 1588 Ivi, p. 277:  dicitur quod appellacio est termini predicabilis sine tempore significatio (significato: Steele). Quod est falsum: quia appellacio dicitur per comparacionem ad appellata que respicit. Cum igitur subjectus terminus equaliter respiciat appellata, sic terminus predicatus erit appellacio Terminologia logica della tarda scolastica 95 relative al riferimento temporale del nome che ha appellatio: una, più diffusa, sostiene che il termine comune denota tutti i suoi (possibili) appellata, senza alcun riferimento temporale (su questa affermazione, legata all’analisi del momer appellativum, fa leva la dottrina dell’ampliatio e della restrictio); l’altra, invece, intende l’appellatio del termine come riferita al presente, giacché  terminus est solum nomen presencium  !’. Questa seconda è l’opinione condivisa dall’autore delle Sumzzle; fra i vari argomenti addotti a sostegno di essa, uno è ricavato dalla dottrina della ampliatio: se il termine avesse appellazione per il presente come pet il passato e il futuro, l’ampliazione non avrebbe senso !, e conclude: Dicendum est igitur quod terminus est solum nomen presencium vel existencium, nomen dico significacionis . Quare terminus de se solum concernit presencia, et supponit pro illis de sui materia; pet naturam autem verbi de preterito et futuro, vel habenti materiali eorum ut verba ampliandi, poterunt stare pro preteritis et futuris!9!, All’obiezione, che si può formulare contro la tesi che sostiene essere elemento caratterizzante dell’appellatio il riferimento al tempo presente, che cioè il nome, a differenza del verbo, non connota il tempo, e quindi non è giustificato alcun riferimento subjecti sicut predicati. Cum igitur omnis appellacio sit respectu significacionum, omnis appellacio erit personalis. Sicut autem supposicio personalis dividitur sic appellacio potest dividi; alia discreta, alia communis etc., et competunt eadem exempla tam a parte subiecti quam a parte predicati ; cfr. Duplex tamen est sentencia de appellacionibus, quia quidam dicunt quod terminus appellat de se appellata presencia, preterita et futura, et est communis entibus et non-entibus. Alii dicunt quod terminus est solum nomen presencium et nichil est commune enti et non-enti, sive preterito, presenti, et futuro, secundum quod dicit Aristoteles in primo Metaphysice . 160 Ivi, p. 280. 161 Ivi. 96 Alfonso Maierù temporale ‘2, l’autore risponde che il nome, di per sé, né significa né consignifica il tempo, ma, piuttosto, l’imzpositio che è all’origine del nome è in relazione alla  res praesens  da nominare, e la significatio che ne consegue non può prescindere da ciò !9, Dalla stessa posizione muove Ruggero Bacone nel Corzpendium: in polemica con Riccardo Rufo di Cornovaglia, nega che il nome designi un  esse habituale  indifferente alla connotazione temporale e quindi valido per presente, passato e futuro!” e si richiama all’originaria imzpositio del nome che esige la presenza della cosa designata. E all’obiezione che il nome  significat sine tempore , risponde che ciò è detto  quantum ad modum significandi, non quantum ad rem , che anzi, usare un termine per designare una realtà non più esistente o non esistente è usarlo equivocamente e, in fondo, dare ad esso una nuova impositio !£; e ancora: una vox petde la sua significatio una volta distrutta la  res signata ; se dunque una vox significa una realtà non più presente, lo fa perché riceve una nuova imzpositio 19. 16 Ivi, p. 283: His suppositis, est dubitacio super jam dicta quod nomen significat sine tempore, igitur hujusmodi termini ‘homo’ ‘Sor’, cum sint nomina, non determinant sibi tempus aliquod, nec appellata magis presencia quam preterita vel futura . 163 Ivi:  inponitur enim nomen rei presenti et appellato presenti. Oportet enim quod sit presens et ens actu cui nomen inponatur. Set hoc dupliciter: aut ens actu et presens in rerum natura, ut ‘homo’ ‘asinus’, aut secundum animam, ut ‘chimera’ et hujusmodi ficta apud intellectum et cognicionem . Compendium . Nunquam enim homines, quando inponunt nomina infantibus vel animalibus suis, respiciunt nisi ad res presentes sensui, et ideo non abstrahunt a presenti tempore, nec ab actuali ; cfr. Ars Meliduna, in n. 155. 16 Ivi, p. 57: Sic possumus inponere illis nomina, set alia inposicione et alia quam illa que entibus fit, et equivoce; ut Cesar potest per nouam inposicionem significare Cesarem preteritum vel futurum vel mortuum, set equiuoce enti et non enti . 167 Ivi, p. 60: in part.: Si enim non est pater, non est filius, nec Terminologia logica della tarda scolastica 97 I testi ora esaminati rappresentano indubbiamente i documenti d’una sopravvivenza di tesi tradizionali, talora riprese polemicamente (da Bacone) contro l’affermarsi di quella considerazione dell’appellatio che abbiamo detto sintattica: il termine può essere considerato nel momento della sua utilizzazione in una proposizione, e in tal caso ha appellatio quando la supposizione di esso è rapportata al presente. Una tale considerazione è possibile grazie al sostituirsi della dottrina logica della suppositio, come dottrina generale del termine nella proposizione, a quella dell’appellatio, che, muovendo da premesse prevalentemente grammaticali (nomen appellativum), si era affermata prima come dottrina del rapporto intercorrente tra il momzen comune e i suoi appellata e poi come dottrina del zomzen condizionato dal tempo del verbo nella proposizione; i due modi di considerare l’appellatio sono esemplificati, fra l’altro, dalle due opinioni che abbiamo visto nel testo delle Suzzule dello ps. Bacone. Ma, insopprimibile, rimane l’esigenza di rapportare il nome al suo momento istitutivo, quando si pongono le premesse dell’appellatio e della significatio; la tesi del decadere della vox dalla sua significatio quando vien meno la  res appellata  sostenuta da Ruggero Bacone finisce, però, per distruggere la possibilità non solo d’un discorso logico, ma d’un qualsiasi discorso. Niente di nuovo, rispetto a quanto si è detto, si trova nella tradizione dei commenti ad Aristotele fioriti nel secolo XIII !8. e contrario: set signum et signatum sunt relatiua, ergo perempto signato, non erit vox significatiua . 18 Si veda, ad esempio, ALserto Magno, Praedicamentorum liber I, in Opera, I, cit., pp. 157b (i derominativa) e 158b: Et quod dicitur appellationem (quae dicitur quasi ad pulsum, et componitur ab 4 praepositione et pello, pellis) notat, quod alienum pulsum sit ad id quod denominatur, sicut et nomen proprium appellatio vocatur proprie, quia ex collectione accidentium ad id significandum appulsum est. Nomen enim commune propter hoc dicitur appellativum, eo quod in eo multa pelluntut in unum, et ideo est commune multorum . Ma si veda, per questi riferi[La trattazione della dottrina dell’appellatio qual è svolta dai maestri del secolo XIV presuppone la conoscenza dei problemi finora esaminati, da quello dei patonimi a quello del  nomen appellativum  a quello, ancora, che è posto dalla domanda se l’appellatio sia una proprietà del predicato e se rimandi a una forma o natura universale. Di Occam si è parlato a proposito dei patonimi; si è visto che la sua dottrina è punto di arrivo di una tradizione di analisi, puntualizza lo status dei problemi e fissa una terminologia. Per quanto riguarda l’appellatio, il  Venerabilis Inceptor  ne precisa il significato una prima volta in rapporto a suppositio, una seconda distinguendo due accezioni di appellare. Ecco il primo passo, tratto dalla Sumzmza logicae: Est  sciendum, quod ‘suppositio’ accipitur dupliciter, scilicet large et stricte. Large accepta non distinguitur contra pes arena sed appellatio est unum contentum sub suppositione. Aliter accipitur stricte, secundum quod distinguitur contra appellationem !9, Il secondo passo si legge nell’Elementarium logicae: ‘Appellare’ autem et ‘appellatio’ dupliciter accipitur; uno modo pro significare plura, per quem modum dicuntur quaedam nomina esse nomina appellativa, non praccise quia significant sed quia significant plura. Ideo nomina propria non sunt nomina appellativa . Aliter accipitur appellare pro termino exigere vel denotare seipsum debere sub propria forma, id est ipsummet praedicari in aliqua alia propositione. Et sic solebant (dicere) quod praedicatum appellat suam formam et subiectum non appellat suam formam. Nel primo testo Occam afferma che  appellatio est unum menti e per altri, Miztellateinische Worterbuch, s.w. appellatio e appellativus. 169 Summa logicae, cit., pp. 175-176. 0 Elementarium logicae, cit., pp. 217-218. i Terminologia logica della tarda scolastica 99 contentum sub suppositione  nel senso che essa è un capitolo della supposizione !; appellatio invece si contrappone a suppositio solo se si intende che questa è proprietà del soggetto e quella del predicato: a chiarire il secondo valore giova il testo dell’Elementarium. La prima accezione di appellatio, appellare è legata alla dottrina del  nomen appellativum , la seconda invece caratterizza l’appellatio come proprietà del predicato che  appellat suam formam . Ma cosa valga questa espressione si ricava da altri passi: nella Sumzzza logicae l’espressione vale:  ipsum (sc. praedicatum) et non aliud  !2, nell’Elementarium essa è glossata con  praedicatum ipsum non mutatum seu variatum nec alio sibi addito  !#: dal punto di vista logico, una proposizione il cui predicato  appellat suam formam  è vera quando lo stesso termine, non mutato, cioè assunto per tutto ciò che esso importa dal punto di vista della sigrificatio, è predicato  de illo, pro quo subiectum supponit, vel de pronomine demonstrante illud praecise, pro quo subiectum supponit  ! facendo una proposizione vera; così, perché sia vera la proposizione  album fuit nigrum , è necessario che sia stata vera una volta la proposizione:  hoc est nigrum . Ora, non è richiesto in tali proposizioni che ciò valga anche per il soggetto !5: è noto infatti che il verbo condiziona ciò che segue ad esso, non ciò che precede, e che il soggetto di una proposizione con verbo di tempo o comunque di valote diverso dal semplice presente ha supposizione per ciò che è o pet ciò che può essere (o per ciò che fu, o sarà), mentre il predicato ha 171 Per Pu. Bonner (Ockbam's Theory of Signification,  Franciscan Studies, VI [1946], pp. 143-170, ora in Collected Articles on Ockham, cit.: v. in part. p. 230, n. 51) e il De RiJ€ (op. ciz., II, i, p. 564) è quel capitolo che riguarda la supposizione di un termine in relazione a cose esistenti; ma cfr. nn. 186 e 187. 172 Summa logicae, cit., p. 195 (l’espressione occorre anche a p. 242). Elementarium logicae,  Summa logicae, cit., p. 195. 175 Elementarium logicae, cit., p. 218. 100 Alfonso Maierà supposizione, nel suo valore specifico, per il tempo e il valore indicato dal verbo !. Nella dottrina dell’appellatio di Riccardo di Campsall vanno distinte due fasi: la prima è quella che emerge dalle Questiones super librum Priorum analeticorum, la seconda si riscontra nella Logica. Nel primo testo, appellare occorre sia in concorrenza con supponere, almeno in un caso in cui si tratta della suppositio del predicato !”, sia nell'espressione « predicatum appellat suam formam , che è usata come medium di argomentazione 18. l’autore non fa riferimento ad alcuna connotazione temporale in questi contesti, e l’esclude esplicitamente là dove definisce il nome comune o appellativo come quello che « significat naturam communem habentem supposita  !?: qualora non avesse un « suppositum presens  o  412 Alfonso Maierù In conclusione, Wyclif conosce due grandi generi di probazio: una legata ai termini mediati, l’altra, meno formalizzata, che si ricollega forse a una tradizione vicina a quella testimoniata dai Tractatus Anagnini”. Infine, è importante rilevare che i maestri di formazione parigina, ma anche Occam, non conoscono altro tipo di probatio che non sia la expositio: da questo, che è il più diffuso, cominceremo l’esame dei singoli modi di ‘prova’ della verità delle proposizioni. 4. L’« expositio  I termini exponere, expositio hanno una loro storia anteriore all’uso che ne fanno i logici nel medioevo, sia nel campo blema possit pluribus modis concludi. Ad quod dubium sine verbis respondeo quod particularis affirmativa et universalis negativa de subiectis non transcendentibus ad minus quadrupliciter probari possunt: a priori, a posteriori, aeque et indirecte; ut ista propositio: ‘homo currit’ a posteriori potest probari sic: ‘hoc currit et hoc est homo, igitur homo currit*; a priori sic: ‘omne animal currit, homo est animal, igitur homo currit’; ab aeque sic: ‘risibile vel animal rationale curtrit, igitur homo currit*; indirecte sic: quia contradictoria istius significantis principaliter quod homo currit est falsa, igitur ista est vera ‘homo cutrit’ . C'è da notare che il procedimento a priori, quale qui esposto, ricorda molto da vicino l'operazione contraria alla resolutio che Billingham chiama compositio; quello 4 posteriori, stando all’esempio addotto, si identifica con la resolutio stessa; la probatio ab aeque non contiene alcun accenno all’expositio, che è invece presente in Wyclif; infine, la probatio indirecta è identica alla probatio indirecta ex opposito di Wyclif. La dipendenza di Pietro da Wyclif non è proprio documentabile, come si vede: va piuttosto detto che una stessa tradizione è giunta ai due autori, probabilmente da fonte inglese; in Wyclif l'utilizzazione di questa quadruplice probatio è puntuale e normale, mentre Pietro, per quanto mi risulta, non va oltre questo cenno. 5 Manca in Wyclif ogni riferimento alle « probatio per habitudinem Terminologia vogic. delta tarda scolastica 413 della retorica ® che in quello delle tecniche di approccio agli auctores oggetto di lectio ®. Il Mullally nota che l’origine del termine va ricercata nell’esigenza di chiarire i vari sensi del discorso, compito che già Cicerone assegnava alla dialettica 2. L’affermazione torna nel medioevo *, in un contesto in cui si discute del compito che spetta al commentatore di Prisciano; in verità, l’esigenza stessa della expositio, a tutti i livelli, ha la sua origine nel bisogno di chiarire, illustrare, mostrare qualcosa mediante discorso. Nel secolo XII troviamo in testi di logica due usi di expomere: uno, relativo alla vox che « exponitut per significationem alterius predicabilium  che ha una lontana parentela con la probatio officialiter, come si dirà nel $ 6; cfr. Tractatus Anagnini, cit., pp. 285 sgg. 9 Per la retorica, cfr. LausBERG, op. cif., pp. 700 sg., sv. exponere ed expositio. 61 Cfr. Boezio, In Arist. Periermenias, I ed., cit., p. 132; II ed. cit., p. 157: expositor è il ‘commentatore’; e p. 7: « Cuius expositionem nos scilicet quam maxime a Porphyrio quamquam etiam a ceteris transferentes Latina oratione digessimus ; Cassionoro, Institutiones, cit., I, VIII 16, p. 32: « nequaquam vobis modernos expositores interdico . Per la distinzione tra autentici, disputatores, introductores e expositores cfr. E. R. Curtius, Europdische Literatur, Bern 19619, p. 264.  MutLaLty, The « Summulae logicales  ..., cit., pp. lxxiv sgg., in part. p. lxxiv n., cita Cicerone, Bruto, xLI, 152: « latentem explicare definiendo, obscuram explanare interpretando [....] . Il MuLLaLty, ivi, cita anche De doctrina christiana di S. Agostino, III, dove le ambiguità verbali sono chiarite con l’applicazione di regole grammaticali.  GucLieLMo DI ConcHes, De philosophia mundi, P. L. 172, 101-102: «Antiqui vero glosatores  in expositione accidentium erraverunt. Quod ergo ab istis minus dictum est dicere proposuimus, quod obscure exponere, ut ex nostro opere causas inventionis predictorum aliquis querat et diffinitionum Prisciani expositiones   (il passo è cit. dal De Rixk, Logica modernorum, Il, i, cit., p. 110, che segue il testo corretto da E. JeaunEAU, Deux rédactions des gloses de Guillaume de Conches sur Priscien,  Recherches de théologie ancienne et médiévale , XXVTI [1960], p. 218). 414 Alfonso Maierà vocis  #, l’altro relativo alla propositio 9. Questo secondo solo, opportunamente precisato, diviene corrente nella logica medievale. Che a questo stadio l’accezione sia generica, si può constatare anche in Abelardo #; ma ben presto essa si fa più rigorosa. La propositio in tal caso è detta exporibilis. Ma poiché essa è tale in virtù di una vox 0 dictio, è necessario individuare quali dictiones rendano esponibile la proposizione. Si afferma quindi che le dictiones aventi tale proprietà sono quelle sincategorematiche o aventi un importo sincategorematico. Pietro Ispano, nel Tractactus exponibilium, così definisce la propositio exponibilis: Propositio exponibilis est propositio habens obscurum sensum expositione indigentem propter aliquod syncategoreuma in ea implicite vel explicite positum vel in aliqua dictione [....] mentre Buridano afferma: expositio non est nisi explanatio significationis syncategoreumatum $, La ricerca dell’identificazione dei termini esponibili è operata % Glose in Arist. Sopb. el., cit., p. 212: Figura dictionis secundum significationem est cumz una vox exponitur per significationem alterius vocis, ut hec vox ‘quid’ exponitur per quale vel quantum, quia iste voces non videntur differre in significatione, tamen differunt  (cfr. anche De RK, op. cit., II, i, p. 500, n.). 6 Introductiones dialetice secundum Wilgelmum, ms. Vienna lat. 2499, f. 27r, cit. in De Rik, op. cit., II, i, p. 132: Sed quocumque modo ipsi exponant istam propositionem: ‘quoddam animal est homo’, absurdum est eam dici regularem, quia absurdum est ut illud quod prorso continetur ab aliquo in ordine predicamenti, de continenti regulariter predicetur : si tratta semplicemente della conversione della proposizione. $ Cfr. cap. V, n. 74; v. anche KneaLE, The Development of Logic, cit., pp. 212-213. ST Op. cit., p. 104. 6 Consequentiae, cit., III, 1; cfr. cap. IV, n. 147. Terminologia logica della tarda scolastica 415 nel contesto proposizionale, giacché è fatta in vista di chiarire il senso dell’intera proposizione f, con l’aiuto delle dottrine grammaticali, oltre che della tradizione aristotelico-boeziana. L’Ars Meliduna individua in particolare le dictiones exclusivae” e i quantificatori”, ma non usa la terminologia dell’expositio, mentre il quinto dei Tractatus Anagnini, che tratta de quinque dictionum generibus (distributive, infinite, aggettive, esclusive, relative) ? e che può essere considerato un trattato de syncategorematibus come ce ne saranno nel secolo XIII”, usa il termine exponere collocandolo in un contesto che è importante perché vi si distingue la  propositio que exponitur  e quella per quam exponitur , anche se la terminologia è in concorrenza con quella della resolutio””. Tra quelle dictiones che l’anonimo autore chiama distributive sono individuati i comparativi, e tra quelle dette aggettive, i superlativi 9, la cui analisi 6 L’Ars Meliduna, cit., p. 329, trattando della contraddizione, afferma che dictiones come tantum, praeter, nisi, adbuc modificano il consueto rapporto tra le contraddittorie secondo il noto schema del ‘quadrato’ delle proposizioni, e perciò richiedono un’attenzione particolare che tenga conto dell'intero contesto della proposizione condizionato da quelle dictiones. © Ivi, p. 333. © Ivi, p. 322. © Op. cit., p. 297 (argumentum del 5° trattato). 73 Come ad es. il trattato Syrncategoremata di SHYRESWOOD, cit. © Op. cit., p. 317: Nos autem admittimus eas et dicimus quod frequenter ca que exponitur est incongrua et illa per quam exponitur, congrua, ut ‘Romanus est fortissimus Grecorum’, hec est incongrua; hec autem: ‘Romanus est unus Grecorum et est fortior omnibus Grecis aliis a se’, hec est congrua. Similiter ea que exponitur est congrua, sed ea per quam exponitur est incongrua, ut “Socrates et Cesar sunt similes’, hec est congrua; sed hec est incongrua: ‘Socrates est talis qualis est Cesar”. Sed fottasse nulla illarum resolutionum est congrua] ha origine grammaticale” ma ha giustificazioni aristoteliche ®. Nel secolo XIII Guglielmo di Shyreswood, fra l’altro, analizza l’expositio dei verbi incipit e desinit. Ma Pietro Ispano, nel testo citato, così enumera i termini o dictiones (signa, nel testo) che rendono esponibile una proposizione: Pro quo notandum est quod ea, quae faciunt propositionem exponibilem, sunt in multiplici differentia. Nam quaedam sunt signa exclusiva, ut tantum,  solum ; quaedam exceptiva, ut  praeter ,  nisi ; quaedam reduplicativa, ut  inquantum ,  secundum quod ; quaedam important inceptionem vel desinitionem, ut  incipit ,  desinit ; quaedam important privationem finis, ut  infinitum ; quaedam important excessum, ut nomina comparativi et superlativi gradus; quedam important distinctionem, ut  differt ,  aliud ab , et sic de aliis; quaedam important specialem modum distributionis, ut  totus ,  quilibet , et sic de aliis. Unde propter ista, propositio redditur obscura et indiget expositione, et ideo dicuntut facere propositionem exponibilem 8, Alla metà del secolo XIII, dunque, i principi dell’expositio sono già stabilmente fissati, come testimonia l’opera di Pietro Ispano. © Il MuttLALLy, op. cit., p. lxxvi, rinvia, per i comparativi, a PRISCIANO, op. cit., III, 1 e 8, in Grammatici latini, II, cit., pp. 83 e 87. 78 ARISTOTELE, in Cat. 5, 3b 33-4a 9, afferma che la sostanza non è suscettibile di più o meno, mentre ivi, 8, 10b 26-30 afferma che lo è l’accidente. Cfr. Boezio, In Cat. Arist., cit., ad I, e De differentiis topicis, cit., 1178C: Namque ad comparationem nihil nisi accidens venit, hoc enim solum recipit magis et minus . Ma v. m., In Isag., II ed. cit., p. 253: Quae uero secundum accidens differentiae sunt insepatabiles, ut aquilum esse vel simum vel coloratum aliquo modo, et intentionem suscipiunt et remissionem  . 79 Syncategoremata, cit., pp. 75-78. 80 Tractatus exponibilium, cit., p. 104. In luogo di desinitionem, l’ed. legge definitionem. Il trattato mostra l’expositio dei vari termini: esclusivi (pp. 104-108), eccettivi (pp. 108-110), reduplicativi (pp. 110-114), incipit e desinit (pp. 114-118), infinitus (pp. 118-122), comparativi e [ Il secolo XIV però riprende la dottrina, ne riesamina i fondamenti e ne fissa rigidamente le regole operative. Innanzi tutto, vengono riesaminati i termini che rendono esponibile la proposizione. Nel Tractatus de suppositionibus, Buridano afferma che delle voces incomplexae, o semplici dictiones (distinte dalle voces comzplexae o orationes), che significano sempre in stretta dipendenza dai concetti ®!, alcune hanno puro valore di categoremi, cioè significano le cose concepite mediante concetti, e perciò possono essere soggetto o predicato nella proposizione; altre hanno puro valore sincategorematico perché significano solo quei concetti che sono le operazioni mentali, come 707, vel, ecc.; altre, infine, sono miste: o perché, oltre ai concetti che significano immediatamente e da cui traggono la funzione sincategorematica, significano le cose concepite ma zor possono essere soggetto o predicato, o perché hanno insieme funzione di categorema e di sincategorema ®©. In altre parole, alle voces incomplexae possono corrispondere concetti incomplessi o complessi *; questi ultimi, sincategoremi come fat? o categoremi con sincategorema come chimaera, vacuum, rendono esponibile la proposizione, nel senso che i loro molteplici significati devono essere resi espliciti  per orationes illis aequivalentes in significando  *. La proposizione superlativi (pp. 122-124), differt e aliud (pp. 124-126), fotus (pp. 126-128), quaelibet e quantumlibet (p. 128). 81 Sul rapporto tra concetti e discorso mentale da un lato, voces e orationes dall’altto in Buridano, cfr. REINA, Il problema del linguaggio in Buridano, I, cit., pp. 412-413. 8 Tractatus de suppositionibus, cit., pp. 187-188; cfr. REINA, op. cit., I, p. 405. 83 Tractatus de suppositionibus, cit., p. 189, e v. Sophismata, 1, £. [Sra-vb], dove si afferma che tutto il racconto della guerra di Troia ( conceptus valde multipliciter complexus ) è stato significato con la vox incomplexa Iliade , come vacuum  sta per locus non repletus corpore , che implica tre concetti: locus, repletio, corpus. 8 Tractatus de suppositionibus, cit., pp. 189 e 190 (duodecima regula). 27 418 Alfonso Maierù exponibilis, una volta operata l’expositio, è propositio exposita; le proposizioni ad essa corrispondenti sono le exporentes: tra la prima e le altre c'è equivalenza e la regola fondamentale sul piano operativo è la seguente:  Sunt  consequentiae formales per exponentes syncategorematum ab exponentibus ad expositam aut ab exposita ad aliquam exponentium  £. Abbiamo fatto precedere il discorso su Buridano a quello su Occam perché Buridano, posteriore a Occam, esplicitando il rapporto vox incomplexa conceptus complexus, aiuta a capite Occam (anche se la posizione dei due filosofi è diversa: alla stretta subotdinazione del linguaggio al pensiero in Buridano, fa riscontro in Occam la  concezione del rapporto fra discorso mentale e discorso vocale come rapporto fra due ordini paralleli di segni, rispetto ad un unico ordine di significati  *), il quale tiene il discorso più sul piano dei rapporti formali e operativi. Nel capitolo  De propositionibus aequivalentibus hypotheticis  Occam scrive:  quaelibet categorica, ex qua sequuntur plures propositiones categoricae tamquam exponentes, hoc est exprimentes quid ista propositio ex forma sua importat, potest dici propositio aequivalens propo sitioni hypotheticae ®. Si tratta di proposizioni apparentemente categoriche: sono le proposizioni exclusivae®, exceptivae ®, reduplicativae” o inclu85 Burmano, Consequentiae, cit., INI, 1. 86 REINA, op. cit., I, p. 413 (cfr. Occam, Summa logicae, cit., p. 179: suppositio materialis, simplex, personalis, per concetti e per voces) e pp. 411-412 (suppositio materialis solo per i termini vocali e scritti secondo Buridano). Summa logicae] denti termini connotativi e relativi (come sizzilis) o collettivi”, oppure il relativo gui”, o termini privativi (es. coecus) e infiniti (immateriale), o i termini designanti figmenta animi  (es. chimaera)*; incipit e desinit*, il verbo fit": tutte queste proposizioni hanno una loro expositio, ad opera di exponentes di cui numero e forma variano di caso in caso”. Diamo un esempio per tutti: per la verità di  Socrates est albus  è necessario che siano vere:  Socrates est  e  Socrati inest albedo  ®. Alle proposizioni ricordate, Occam aggiunge le universali costruite con i distributivi utergue, neuter”; di tutte, poi, dà le regole della conversione !%, S'è detto che il secolo XIV stabilisce una volta pet tutte le regole operative nell’ambito dell’asserita equivalenza tra la pro9 I (per i connotativi, v. cap. I, $ 2). 92 Ivi, pp. 260-261. 9 Ivi, pp. 255-257 (De propositionibus in quibus ponuntur termini privativi et infiniti), e c. 13, p. 258 (De propositionibus in quibus ponuntur termini privativi non aequivalentibus terminis infinitis): la differenza sta in ciò che le prime hanno due exponentes, mentre le seconde  plures habent exponentes quam duae . 9 Ivi, pp. 258-260. 95 Ivi, pp. 280-285. 96 Ivi, pp. 286-287. 97 È detto dei privativi non equivalenti ai nomi infiniti, ivi, p. 258: « De talibus autem non potest dari certa regula, quia secundum varietatem terminorum talium propositiones, in quibus ponuntur, diversimode debent exponi . A maggior ragione differisce l’expositio da tipo a tipo di proposizione. 98 Ivi, p. 253: « ad veritatem talis propositionis requiruntur duae propositiohes, quae possunt vocari expomentes ipsius, et una debet esse in recto et alia in obliquo. Sicut ad veritatem istius: ‘Sortes est albus’, requiritur, quod haec sit vera: ‘Sortes est’, et quod haec sit vera: ‘Sorti inest albedo’  (cors. mio). 99 Ivi, p. 254; esclude però le universali costruite con omzis. che invece saranno incluse dagli altri autori] posizione exponibilis e le proposizioni exponentes, per cui la congiunzione delle exponentes IMPLICA, ed è IMPLICATA da, l’exponibilis. Ma anche a questo proposito va ricordato qualche tentativo precedente. L’Ars Meliduna, analizzando le ipotetiche compositae, considera come terza specie di esse le propositiones IMPLICITE, che hanno luogo con il relativo !%: la proposizione che implicat et continet vim alterius propositionis  è detta IMPLICANS, l’altra è detta IMPLICITA (cf. IMPLICITVM); mentre, quanto ai rapporti d’inferenza tra le due, si afferma che alla proposizione IMPLICITA segue la sua simplex, quella proposizione que remanet sublata relativa particula et verbo quod ei redditur; ad esempio: si Socrates est aliquid quod cutrit, Socrates est aliquid. Ma all’implicita può seguire illa quam implicat nel rispetto dell’habitudo terminorum, cioè dei rapporti tra i termini in essa posti. L’analisi, condotta con l’ausilio della consequentiae, non giunge tuttavia a riconoscere le strutture dell’equivalenza vera e propria. Un tentativo ancora è nel secondo dei Tractatus Anagnini. Sotto il titolo de equipollentiis cathegoricis si discute, fra l’altro, di un argomentare secundum inferentiam, quando sia presente in rapporto inferenziale uno di questi termini: ‘idem’, alie habent aliquid implicitum per relativam particulam. IMPLICITA dicitur propositio que preter principalem significationem, — idest preter significationem que ex principalibus attenditur —, tamen implicat et continet vim alterius propositionis. Ut ‘Socrates est aliquid quod currit’ IMPLICAT istam: ‘aliquid currit’; et ‘homo qui est albus, est animal quod currit’ has duas: ‘homo est albus’, ‘animal currit’. Unde magis proprie diceretur ista IMPLICANS, ille IMPLICITE. Et generaliter: numquam ad IMPLICITAM sequitur illa quam IMPLICAT, nisi hoc operetur habitudo terminorum. Ut ‘si liquid est homo qui est Socrates, aliguid est homo.’ Sed non: ‘si aliguid quod est Socrates est homo, aliquid est Socrate; quia non coaduniatur hic consecutio habitudine terminorum . ‘indifferens’, ‘differ, ‘scitur’, ‘prete’, ‘nisi, ‘nunò’, ‘incipit’, ‘desinit’ !*. Si tratta di un tentativo, in cui il procedimento proprio della expositio s’inttavvede solo nel caso dei termini incipit e desinit. Ma  la dottrina è già fissata: basti per tutti Pietro Ispano. Tuttavia si raggiunge il massimo di chiarezza e di formalizzazione, definendone le regole sul piano operativo. Burleigh ne dà una formulazione molto chiara. Discutendo della expositio di termini come tantum, solum, incipit ecc., Burleigh ne richiama le regole fondamentali: la proposizione exponibilis aequipollet, cioè equivale, e quindi IMPLICA ed è IMPLICATA, dalla congiunzione delle sue exponentes; perciò (si ricordi la regola fornita da Buridano) dall’exposita ad aliquam exponentium  vale la conseguenza, giacché da tutta la copulativa (e l’exposita ne è l'equivalente) a ciascuna parte è valida l’inferenza (pg 2 p, oppure pq 2 q)!”, ma non viceversa; mentre la falsità di una parte è sufficiente alla falsità del tutto !®, Alberto di Sassonia considera proposizioni equivalenti alle ipotetiche quelle che contengono dictiones exclusivae (tantum, solus, solum, unicus ecc.), exceptivae (praeter, praeterquem, nisi 1% Op. cit., p. 240. 105 Ivi, p. 241: «Item. ‘Socrates incipit esse; ergo Socrates nunc primo est’. Item: ‘Socrates nunc ultimo est; ergo Socrates desinit esse. De puritate artis logicae. Item notandum pro regula, quod omnis propositio exclusiva aequipollet copulativae factae ex suis exponentibus ; per la proposizione exceptiva, cfr. p. 165, e così via; p. 171: « exceptiva et exclusiva non sunt simpliciter categoticae sed sunt implicite hypotheticae; valent enim copulativam factam ex suis exponentibus . 107 In part. l’exclusiva implica la sua praeiacens: op. cit., p. 138: « Contra. Omnis exclusiva infert suam praeiacentem; ergo cum ista ‘Pater est’, sit praeiacens huius: “Tantum pater est’, oportet quod sequatur: Tantum pater est, ergo pater est . 198 Ivi, p. 243: «Item notandum pro regula, quod ad hoc, quod copulativa sit vera, requiritur quod utraque parts sit vera, et ad hoc ut copulativa sit falsa, sufficit, quod altera pars sit falsa.]  ecc.), reduplicativae (inquantum, secundum quod) e quelle che contengono incipit e desinit. Il discorso è molto particolareggiato per ciascun caso, discutendosi ogni volta dei vari valori delle dictiones sincategorematiche, delle regole di ciascuna proposizione, dei sofismi che di solito vengono formulati in ordine ad un certo tipo di proposizione; noi ci limiteremo a riprenderne le linee generali. La proposizione exclusiva ha esposizione per mezzo di una copulativa composta di due categoriche, una affermativa, l’altra negativa: « ‘tantum homo currit’, exponitur sic: homo currit et nihil aliud ab homine currit . Tutta la copulativa è detta da Alberto exponens dell’esclusiva e per essa valgono le regole, già viste, che reggono la copulativa !”, Alberto, inoltre, parla di expositio propria e impropria: la prima si ha quando l’expomens è data nella forma tradizionale e regolare, la seconda quando l’una o l’altra parte dell’exporens contiene elementi non appropriati: ad esempio, della proposizione « Socrates est tantum albus , il cui predicato è un termine connotativo, si ha questa expositio impropria:  Socrates est albus et Socrates non denominatur aliquo alio accidente . La seconda proposizione categorica non è regolamentare, e tutta la congiunzione è falsa. L’expositio propria invece è questa:  Socrates est albus et Socrates non est aliud ab albo , che è vera 159, 19 Arserto DI Sassonia, Logica, cit., III, 6, f. 20ra: et ista copulativa dicitur exponens istius exclusivae, et utraque illarum (sc. propositionum, affirmativa et negativa) sequitur ad illam . Ex isto sequitur quod quaelibet pars categorica quae est pars exponens exclusivae sequitur ad exclusivam: propter quod quaelibet pars copulativae sequitur ad ipsam copulativam cuius est pars . 110 Ivi, f. 20rb; oltre che in tal caso, Alberto pone expositio propria € impropria  quando dictio exclusiva additur termino significanti totum integrale  come è domus (f. 20va, 8% regola); quando la stessa dictio  additur termino significanti numerum , (ivi, 92 regola), o  additur termino communi distributo habenti plura supposita  (ivi, 10° regola). Terminologia logica della tarda scolastica 423 Anche la proposizione exceptiva ha esposizione per mezzo di due categoriche, una affermativa, l’altra negativa, che costituiscono una propositio copulativa!!. Così  omnis homo praeter Socratem currit  ha la seguente expositio:  Socrates non cutrit et omnis homo alius a Socrate currit , mentre di  nullus homo praeter Socratem cuttit  l’expositio è:  Socrates curtit et omnis homo alius a Socrate non currit  !, Inoltre, ogni exceptiva ha una praeiacens, che si ottiene da essa ( dempta dictione exceptiva et parte extra capta, residuum dicitur praeiacens exceptivae  !!5): il rapporto dell’exceptiva con la praeiacens è regolato nel modo seguente:  Si praeiacens exceptivae est vera, exceptiva est falsa. Unde si ista est vera: ‘omnis homo cutrit’, ista est falsa: ‘omnis homo praeter Socratem currit’  14, Anche la reduplicativa ha esposizione per mezzo di una copulativa !5: il numero dei membri di essa varia però a seconda del numero dei termini dissimili in essa presenti !!°. 111 Ivi, III, 7, f. 21va: Ex hoc patet quod omnis exceptiva aequivalet uni copulativae in significando compositae ex una affirmativa et alia negativa: diversimode tamen, sicut iam patuit, exponendo exceptivam affirmativam et exceptivam negativam . 12 Ivi. 113 Ivi, f. 21vb; v. GuLieLMo DI SHyREswooD, Syrcategoremata, cit., p. 62: Item si praejacens est in toto vera, exceptiva est falsa et e converso ; anche un’altra accezione di praeiacens è fornita da ALBERTO: Ulterius sciendum est quod copulativa composita ex duabus categoricis, cui copulativae propositio exceptiva aequipollet in significando, dicitur praeiacens exceptivae . u4 Ivi. 115 La controprova è fornita dal caso in cui la negazione  praecedit reduplicativam et verbum principale , giacché allora  fit propositio contradictoria reduplicativae ; così la proposizione  aequivalet uni disiunctivae , e cioè ha probatio per causas veritatis : ivi, III, 8, f. 22va; cfr. $ 8 di questo capitolo. 116 Se la proposizione ha tre termini dissimili (es.  homo in quantum animal est sensibilis ), ha quattro proposizioni esponenti ( ad veri424 Alfonso Maierù Marsilio dà molto spazio all’expositio nella seconda parte delle sue Conseguentiae. In undici capitoli discute delle proposizioni includenti termini exceptivi (praeter, nisi e praeterquam)!", le dictiones exclusivae (tantum, solum) "® le reduplicativae (inquantum, prout, secundum eam rationem e simili)!, incipit'? e desinit'*, o signa alietatis (differt, aliud, non idem, alterum e simili) ‘2, infinitum'*, aggettivi di grado comparativo e superlativo !4, signa collectiva (omnis)!®, totus !%, ita e sicut'?. Di tutte Marsilio fornisce l’esposizione mediante proposizioni in congiunzione, nel modo ormai noto !*. tatem istius requiritur veritas unius copulativae, compositae ex quattuor propositionibus; v.g. istius copulativae: ‘homo est animal, et homo est sensibilis, et omne animal est sensibile, et si est aliquod animal illud est sensibile’ , ivi, f. 22va); se la proposizione ha due termini simili ( homo in quantum homo est risibilis ), quattro sono le esponenti ( requiritur quod haec sit vera: ‘homo est homo’, et quod homo sit risibilis, et quod omnis homo sit risibilis, et si aliquod est homo quod illud sit risibile , ivi, f. 22va); se invece tutti i termini sono simili ( ens in quantum ens est ens),  propter coincidentiam propositionum solum habet tres exponentes, seu unam copulativam pro exponente, compositam ex tribus propositionibus [....]: requiritur quod ens sit ens et omne ens sit ens, et si aliquid est ens quod illud sit ens. Per incipit e desinit, cfr. C. WiLson, Heytesbury. Medieval Logic and the Rise of Mathematical Physics, Madison Wisc. In Textus dialectices. de comparativis. de superlativis. De exceptivis sit haec regula: a qualibet istarum ad suas exponentes simul sumptas vel e converso est bona formalis consequentia: Terminologia logica della tarda scolastica 425 C’è da aggiungere che, per le proposizioni esclusive, Marsilio esige che la praeiacens costituisca il primo membro della congiun. zione di proposizioni mediante la quale si opera l’expositio !?. Naturalmente, il rapporto tra l’exclusiva e la praeiacens è definito in modo diverso rispetto a quello che vige, secondo Alberto di Sassonia, tra l’exceptiva e la sua praeiacens:  quando arguitur ab exclusiva ad suam praeiacentem consequentia est bona  199. Anche Pietro d’Ailly, epigono della scuola parigina, dedica un trattato alle proposizioni esponibili !#, nel quale non si discosta molto dalla tradizione di Buridano, Alberto e Marsilio. quia ibi arguitur ab aequivalente ad aequivalens ; così per gli altri casi. La proposizione negativa è in genere prodata  per disiunctivam de partibus contradicentibus partibus copulativae . 129 Ivi, f. 197r: Et propositio quae remanet deposita dictione exclusiva vocatur ptaeiacens . Prima est affirmativa, ut ‘tantum animal est homo”, quae exponitur per copulativam bimembrem cuius prima pars est praeiacens et secunda universalis negativa. 130 Ivi, £. 197v. 131 Cfr. op. cit.; sono sei capitoli: cap. I, f. [2v]: i termini privativi, negativi o infiniti sono esponibili, ma  de talibus non possunt poni regulae generales vel, supposito quod possent poni, nimis longum esset et nimis tediosum, et etiam cognito quid nominis talium dictionum, facile est exponere propositiones in quibus ponuntur  (contro Buridano: cfr. n. 84); afferma: illud dictum non erat verum generaliter, scilicet, omnes propositiones in quibus ponuntur termini relativi vel cognotativi (!) aequivalent propositionibus hypotheticis   (f. [3r]); ff. [3v-4r]: la proposizione universale è esponibile se il quantificatore è ufergue o neuter, non lo è se il quantificatore è omnis, o nullus, o quilibet; cap. II De exceptivis, ff. [6r] sgg.; cap. III De exclusivis, ff. [14r] sgg.; cap. IV De reduplicativis, ff. [21r] sgg., e in part., f. [21v]: Sed tamen apparet mihi proprie dicendum quod in propositione proprie reduplicativa reduplicatio nec est pars subiecti nec est pars praedicati, sed se tenet ex parte formae propositionis, ideo denominat propositionem reduplicativam; et ita potuissem dixisse de dictione et de propositione exceptiva quando locutus sum de dictione proprie exceptiva in secundo corollario primae dubitationis principalis secundi capituli, quamvis autem probabiliter dixerim oppositum ; cap. V De incipit et desinit, ff. [24r] sgg., e in part., f. [25r]: Ex hoc La logica inglese posteriore a Occam ha sviluppato queste dottrine, soprattutto in tre direzioni: da Sutton, Burleigh e Occam !° è stata elaborata la dottrina dell’expositio dei relativi, che poi ha ricevuto una buona sistemazione nel terzo capitolo delle Regulae di Heytesbury; all’expositio de incipit et desinit sono stati dedicati vari trattati, fra cui quello che costituisce il quarto capitolo delle Regulae di Heytesbury; alla trattazione dell’expositio del comparativo e del superlativo si è riallacciata in particolare la dottrina de maximo et minimo, di cui ancora una volta Heytesbury ha offerto un esempio d’un notevole livello nel quinto capitolo delle sue Regulae (ma va tenuto presente che in esso la terminologia propria dell’expositio non è frequente !*). In questo contesto, vengono introdotti nuovi temi, nell’analisi dei quali sono applicate le regole dell’expositio: sono i temi propri della filosofia della natura che caratterizzano il secolo XIV come secolo che ‘precorse’ (si prenda l’espressione con la precauzione usata dalla più recente storiografia) il secolo di Galileo, discutendo il ‘limite’ di una potenza attiva o passiva, o il primo ‘quando’ di un processo di trasformazione. Il metodo applicato nell’analisi di questi e analoghi problemi è quello logico-calculatorio, cioè una sintesi di procedimenti logici e di procedimenti propri della filosequitur corollarie quod quaelibet propositio de incipit vel desinit exponitur pet unam copulativam compositam ex una de praesenti et alia de praeterito vel de futuro, sed tamen per aliam exponitur propositio de incipit et per aliam propositio de desinit ; cap. VI, altri verbi: fit (factum est, fiet) ed equivalenti, ff. [29r-30v]; in part. il termine che segue questi verbi  appellat suam formam  (f. [30r]). 13 WersHEIPL, Developments in the Arts Curriculum..., cit., p. 159. 133 Per i tre capitoli ultimi delle Regul4e di Heytesbury, cfr. C. WiLsoN, op. cit., pp. 29 sgg.; per il De relativis, cfr. un cenno nel mio articolo Il Tractatus de sensu composito et diviso di G. Heytesbury,  Rivista critica di storia della filosofia. Salvo errore, in De maximo et minimo occotte una sola volta il termine exponitur al f. 31vb; ma cfr. n. 48. Terminologia logica della tarda scolastica 427 sofia della natura (calculationes): il risultato più celebre è il Liber calculationum di Riccardo Swineshead. Ma, contemporaneamente, su di un piano più propriamente logico-formale, Billingham viene inquadrando l’expositio in un contesto che sistema, come si è detto, tutta la trattazione della  probatio propositionis . Il termine exporibilis è definito come quello che ha  duas exponentes vel plures cum quibus convertitur  !*. È importante rilevare che, mentre gli autori esaminati, specie quelli di forma zione parigina e lo stesso Occam, danno una notevole importanza alle proposizioni exclusivae, exceptivae e reduplicativae, Billingham dà invece importanza a proposizioni contenenti altri termini quali omnis !, primum e ultimum'*, maximum e minimum, comparativo !* e superlativo !’, incipit e desinit, e ai termini exceptivi ed exclusivi, come a differt, aliud e aliter, riserva solo un cenno !4, e alle reduplicative neppure quello. Tutto ciò testimonia di un interesse spostato verso gli argomenti di filosofia della natura che fiorivano ad Oxford in quel tempo. Billingham non sviluppa nel senso delle tecniche ‘calculatorie’ questi temi, ma la scelta è indicativa di un clima culturale. Strode, nella Logica, discute dei termini exporibiles, trattando, di seguito, le proposizioni exclusivae (con un cenno alle exceptivae), le universali, semper totum infinite immediate, incipit e desinit, differt, i gradi positivo, comparativo e superlativo (e a questo proposito precisa che i termini maximum e minimum, primum e ultimum, intensissimum e remississimum, velocissimum e tardis[Cfr. Speculum] simum, propinquissimum e remotissimum, utilizzati dalla filosofia della natura, sono superlativi e perciò esponibili) e le reduplicative 42. Anch’egli definisce la proposizione esponibile in rapporto alle exponentes: Nam dicuntur exponentes cum duae propositiones simul inferunt aliquam propositionem formalem, vel plures, sic quod consequens sit determinatio antecedentis cum hoc quod nulla illarum per se sufficiat istam inferre, et ad utramque istarum tam coniunctim quam divisim ex exposita valet consequentia, per quod excluduntur tam singularia quam causae veritatis 193, Questa definizione può essere così illustrata: a) le exponentes sono due proposizioni che in congiunzione (sirz4!) fungono da antecedente in un’inferenza logica rispetto a un’altra proposizione (exposita); b) in modo tale che l’inferenza non valga da una exponens al consequens; c) mentre l’exposita può fungere da antecedente rispetto alla congiunzione o a una delle due exporentes ( tam coniunctim quam divisim ) !#. L’accenno all’esclusione dei singularia si giustifica per il fatto che il contesto riguarda l’expositio delle universali, e l’autore nega che l’expositio di esse possa essere fornita dai suoi singularia!S: infatti scrive: 14 Op. cit., ff. 24ra-26vb; per i superlativi elencati, cfr. ivi, f. 26ra. 18 Ivi, f. 24va. 14 Strode scrive:  sic quod consequens sit determinatio antecedentis ; la determinatio consiste in ciò che, da un punto di vista formale, la congiunzione di più proposizioni (cui l’expesit4 equivale) non infertur da una di esse: ciò è precisato nel testo. Ma forse non è da escludere che l’autore intenda di più: si ricordi che si ha conseguentia formalis secondo Strode quando il conseguens è de intellectu antecedentis  (cfr. Moony, Truth and Consequence..., cit., p. 71). 145 Op. cit., f. 24va: Solebant tamen antiqui dicere quod univetsalis exponitur per sua singularia, quod tamen non dico servando quid nominis de li ‘exponi’ ; ma cfr. ivi, f. 21ra: Mobiliter supponit cum ratione illius sufficienter contingit propositionem in qua ponitur concludi ex una copulativa facta ex omnibus suppositis vel, nt verius dicatur, ex omnibus]  [ ‘omnis homo currit’ sic exponitur: homo currit et nihil est homo quin ipsum, vel quod non, curtat, ergo etc. !4; l’expositio non può essere data neanche mediante induzione:  iste homo currit et iste homo currit et iste homo curtit  all’infinito, ergo omnis homo currit ; ma sappiamo che la proposizione universale può essere probata mediante inductio !. Tralasciamo per il momento il riferimento alla dottrina delle causae veritatis che verrà chiarito più avanti.Wyclif affronta la trattazione dei termini exponibiles, precisando che la proposizione esponibile è equivalente ad una congiunzione di proposizioni !9. Nella Logica, egli tratta delle proposizioni exclusiva !9, exceptiva, universale affermativa‘, delle proposizioni includenti uno dei termini differt, aliud, non idem', incipit o desinit'*. Nella Logice continuacio, l'esame della expositio emerge a vario titolo nei tre trattati di cui essa si compone. Nel primo trattato si discute della universale affermativa ‘5. eius singularibus, et etiam cum constantia debita eorum suppositorum contingit omnes singulares et illarum quamlibet ex tali propositione concludere, et primus modus dicitur probatio vel inductio, ut iste: ‘homo currit et iste et sic de singulis et isti sunt omnes homines, ergo omnis homo currit   (testo già cit. nel cap. IV, $ 5), e f. 22ra:  Probatur etiam quod illa ‘omnis homo currit’ non formaliter inducitur ex omnibus suis singularibus sine tali medio   (il medium, o constantia, è la proposizione isti sunt omnes homines ). 146 Ivi, f. 24va. 147 Cfr. cap. IV, n. 194. 14 Cfr. $ 8. 149 Cfr. Tractatus de logica] ; va notato che Wyclif conserva, a differenza di Strode, la probatio per singulares. Essa può essere provata nei quattro modi già esaminati (4 priori, a posteriori, ex opposito, expositorie). Per quanto riguarda l’expositio della universale, l’autore precisa:  pro regula est tenendum quod quelibet universalis affirmativa exponenda debet exponi per suam subalternam, et universalem negativam convenientem in subiecto, sed de contradictorio predicato  !8: cioè di  omnis homo est animal  le exporentes sono  homo est animal  (subalterna) e  nullus homo est quin sit animal  (universale negativa). Avverte però l’autore che l’expositio vatia a seconda del quantificatore, del soggetto (che può essere un solo termine o più termini), del verbo (di tempo presente, o passato, o futuro, oppure ampliativo), del predicato (che può contenere, ad esempio, un relativo implicativo, come nella proposizione  omnis pater generat individuum de sua substancia cui est similis in specie. Anche per la universale negativa Wyclif pone la quadruplice probatio !8, ma, di esse, la  probatio ex equo  non è data per mezzo di exponentes, bensì  per suam simpliciter conversam vel quomodolibet aliter equipollens  !. In modo analogo, la probatio della particolare affermativa è data in quattro modi !9, Nel secondo trattato Wyclif affronta  ex professo  il tema dell’expositio, che infatti resta qui caratterizzante, nel senso che vengono talora accantonati, o meglio presupposti, gli altri modi di probatio. L’autore tratta, nell’ordine, dell’expositio delle proposi[Quadrupliciter ergo contingit exposicionem huiusmodi variari; vel racione signi, vel racione subiecti compositi vel simplicis, vel racione verbi, vel racione predicati ; in part. racione verbi (con la ripresa dell’ampliatio), pp. 94-97; racione predicati, p. 98. 158 Ivi, pp. 100-106. 159 Ivi, p. 105; ma vedi p. 106: Exponentes autem talium universalium non inveni, quamvis cum diligencia sum scrutatus . 160 Ivi, pp. 107-115 (ex equo, cioè  ex sua simpliciter conversa , p. 115). Terminologia logica della tarda scolastica 431 zioni con i termini differt, aliud (e aliter, sic) !%; o exclusivae !® e exceptivae 8, con i termini incipit e desinit'#*, o con le espressioni per se — per accidens!©, con infinitum e inmediate'%; delle proposizioni includenti aggettivi di grado comparativo !” o con termini de plurali (tali sono, ad esempio,  quattuor sunt duo et duo ;  duo homines sunt homo ) !9. Nel terzo trattato, egli discute delle reduplicative ! ancora sulle comparative !”°. Di tutti questi casi egli fornisce un’analisi ampia e dettagliata, con esempi (sophismata) dai quali si traggono conclusiones che riecheggiano (specie a proposito de incipit et desinit, de maximo et minimo ecc.) le discussioni di filosofia della natura correnti a Oxford. Non riteniamo di doverci soffermare su questi temi. Segnaliamo soltanto che, in fondo, Wyclif nella Logice continuacio torna sui principi enunciati nella Logica svolgendo la trattazione con più ampio respiro. In Italia, Pietro di Mantova fa un discorso del tutto analogo a quel che abbiamo visto fare dagli altri maestri, per quanto attiene alla expositio delle proposizioni universali, exclusivae, exceptivae, reduplicativae, o contenenti i termini infinitus, totus, aeternaliter, ab aeterno, semper, differt, aliud, non idem, o comparativi e superlativi, o immediate !". Anche per Pietro l’expositio 9 e ritorna [Tractatus de logica,  ( de maximo et minimo ). 171 Cfr. Codices Vaticani latini. Codd. 2118-2193, rec. A. Maier, Romae 1961, pp. 31-33 (l’ordine dei trattati, come s’è detto, è diverso nelle edizioni 432 Alfonso Maierù è operata per mezzo di una congiunzione di proposizioni e per essa valgono le regole della copulativa !?, L’expositio è dottrina fondamentale nelle opere di Paolo Veneto, ed egli ne tratta a più riprese: nel quarto trattato della Logica parva!®, nella prima parte della Logica magna, e sia nel primo trattato, dove si discute dei termini esponibili, resolubili e officiabili *, sia nei trattati dal quarto al diciottesimo sche trattano delle dictiones che richiedono l’expositio '%, ma anche nel trattato diciannovesimo, dove si parla della expositio dei termini modali in forma avverbiale !%, sui quali torneremo; infine, in più luoghi della Quadratura!”. Le regole che presiedono alla expositio sono così sintetizzate da Paolo: [1] Ab omnibus exponentibus simul sumptis ad suum expositum est bona consequentia, et e converso. . [2] Ab omni exponibili ad quamlibet suarum exponentium est bona consequentia, sed non e e nei manoscritti); v. n. 331 per incipit e desinit. 1?2 Logica, cit., f. [22rb]: Et valet consequentia ab ista exposita ad istam copulativam et ad quamlibet eius partem principalem, et e converso ab ista copulativa ad illam expositam et non a qualibet parte istius copulativae et principali ad istam expositam valet consequentia ; f. [28vb]:  Oppositum tamen arguitur quod ab exclusiva ad suas exponentes est bonum argumentum   ecc. 173 Nell’ordine, viene qui discussa l’expositio dell’universale affermativa (non della negativa, che è probata dupliciter,  aut per sua singularia aut per suum contradictorium ), dei comparativi (positivo « comparabiliter sumptus , cioè in comparazione di eguaglianza, comparativo [es. fortior] e superlativo), differt, aliud e non idem, le exclusivae, exceptivae, reduplicativae, immediate, incipit et desinit, totus, semper, ab aeterno, infinitum. 174 Logica magna, cit., I, 1, 4, f. 13rb. 115 Si tratta, nell'ordine, di exclusivae, exceptivae, reduplicativae e sicut, comparativo e superlativo, de maximo et minimo, totus, semper et aeternum, infinitum, immediate; v. n. 337 per incipit et desinit. 176 Ivi, I, 19, f. 7ira-vb, ma anche nel trattato quarto della Logica parva, cit. 177 Soprattutto nella prima parte, ma anche nelle altre. Terminologia logica della tarda scolastica 433 converso nisi gratia materiae Ex cuiuslibet exponentis contradictorio sequitur contradictorium expositi, sed non e converso Paolo da Pergola affronta gli stessi temi trattati da Paolo Veneto e perciò non ci dilungheremo oltre. Per concludere, notiamo che l’expositio non è un’operazione logica che riconduca i termini mediati a quelli immediati. Ad essa è più appropriata la descrizione fornita da Occam, e già ricordata, secondo la quale i termini connotativi devono essere ricondotti a quelli assoluti: ma quest’ultimi sono appunto termini mediati. Nella expositio, inoltre una delle exponentes è negativa: ciò perché i termini exporibiles sono caratterizzanti e quindi, in certo senso, limitanti la proposizione: petciò essi hanno un certo importo negativo, che va esplicitato. 5. La « resolutio L’operazione logica che realizza pienamente l’esigenza di ricondurre i termini mediati a quelli immediati è detta resolutio. Essa, infatti, meglio d’ogni altra si riallaccia alla dottrina aristotelica già ricordata, per la quale la proposizione mediata ha il suo principio di dimostrazione in quella immediata, e in particolare in quella prima e più nota a noi secondo il senso !°. Ma i termini che designano questa operazione, cioè resolutio e resolvere, non hanno avuto un’accezione tecnica per molti secoli. Impiegati per designare la risoluzione della proposizione o del sillogismo nei loro termini, come si è visto !, nel secolo XII essi vengono usati in concorrenza con expositio, exponete. Lusi si È 178 Logica parva, cit., III. 179 Logica] già accennato, avviene nei Tractatus Anagnini!®, nei quali, c'è peraltro da aggiungere, si parla di resolutio con una frequenza che non abbiamo riscontrato per expositio. Nel terzo trattato, a proposito della dictio ‘qui’, considerando che, quando essa è presente, la proposizione è apparentemente categorica (dal momento che equivale a più categoriche avendo in sé ‘implicita’ un’altra proposizione), l'anonimo autore parla di resolutio della prima « in copulativas ; nello stesso contesto, parla di una « resolutio in adiectivis  diversa da quella che ha luogo « in substantivis , cioè della resolutio che una proposizione includente un relativo ha quando contiene un aggettivo o un sostantivo come predicato, e della possibilità che questa resoluzio sia impedita !*. Nel trattato 182 Cfr. n. 74. 183 Tractatus Agnagnini, Iudicium predictarum implicitarum potest haberi ex resolutione ipsarum in copulativas. Debet autem talis fieri resolutio ut loco relativi ponatur antecedens et loco antecedentis ponatur relativum pronomen cum coniunctione. Unde istas concedimus: ‘aliquis bomo qui desiit esse, non est’, quia copulativa vera est: ‘aliguis homo desiit esse et ipse non est®. Hanc autem iudicamus incongruam: ‘gliquis homo qui non est, desiit esse’; ponit enim aliquem hominem non esse, quod falsum est. Secundum predictum iudicium omnes iste videntur incongrue: ‘Socrates erit album quod est nigrum’; ‘Socrates erit senex qui est puer. Omnes istas dicuntur esse nugatorias et ita resolvuntur: ‘Socrates erit album quod est nigrum’: idest album est nigrum et Socrates erit illud. Predictam resolutionem implicitarum non recepimus et dicimus aliter faciendam resolutionem in adiectivis, aliter in substantivis. Et predictas ita resolvimus: ‘Socrates erit album quod est nigrum’ idest quod est vel erit album est nigrum et Socrates erit illud; similiter ‘Socrates erit senex qui est puer® idest qui est vel erit senex, est puer et Socrates erit illud. Verumtamen dicimus quod hee voces que sola significatione sunt adiectiva, possunt resolvi sicuti pure substantiva et secundum hoc ista erit incongrua: ‘Socrates erit senex qui est puer. — Quandoque inpeditur resolutio predictarum implicitarum in copulativas vel propter signum universale vel propter defectum recti vel propter aliquid aliud. Propter signum universale, ut cum dicitur. ‘omnis homo qui currit, movetur® vel ‘omnis homo currit qui movetur; hec non potest resolvi; nam si diceremus: ‘omnis Terminologia logica della tarda scolastica 435 quinto, resolvere occorre a proposito della presenza in una proposizione di un termine infinito (ad es. zon albus)!*, o di solus!9, per indicare l’esplicitazione di quel che in tali casi la proposizione implica. Anche nel secolo XIII il valore di resolvere resta generico, e può essere equivalente di exporere !. Ma è nel secolo XIV che il significato di questo termine viene restringendosi e specializzandosi. Per la verità, ciò non è riscontrabile né in Occam o Burleigh, né in Buridano, Alberto di Sassonia e Marsilio, ma solo nei testi degli autori inglesi fioriti intorno alla metà del secolo, e in quelli degli italiani. Billingham, nello Speculuzz, scrive: Terminus resolubilis est quilibet terminus communis, sicut nomen vel participium, qui habet aliquem terminum inferiorem se secundum homo currit et ipse movetur®, esset non latina, quia ad dictionem confuse positam non potest fieri relatio per relativum postpositum in alia c(1)ausula. Similiter: ‘exaudio precem que fit ab illo’, ista non potest resolvi, quia non dicimus: ‘prex fit ab illo et ego exaudio eam? . 184 Ivi, p. 313:  Sciendum etiam est de nominibus infinitis. Ut cum dicitur: ‘Socrates fuit non-albus’, non est sic resolvendum ‘Socrates fuit non-albus’ idest: Socrates fuit et non fuit albus, sed sic resolvendum est: Socrates fuit aliguando et tunc non fuit albus . 185 Ivi, p. 319: Nos autem dicimus quod talis locutio potest esse congrua et vera, etiam dictione transsumptive posita, quia non sic resolvimus ‘solum flumen currit idest: non alia res currit, sed ‘solum flumen currit, idest non alia res fluit. — Dubitatur de hac dictione ‘solus’, quam exclusionem habeat quando adiungitur nomini proprio pertinenti ad non existentia cum verbo pertinenti ad existentia et ad non existentia. Quidam eas non recipiunt, immo dicunt eas positas propter resolutionem, ut ‘solus Cesar non est’, idest Cesar non est et non aliud non est . 18 GueLIELMo DI SHyreswoon, Syncategoremata, cit., p. 65: Quod patet si comparetur affirmativa conclusionis ad affirmativam praemissae et negativa ad negativam, cum tam praemissa quam conclusio resolvitur in affirmativam et negativam . 436 Alfonso Maierù praedicationem; et tunc resolvitur quando capitur inferius eo in eius probatione, et componitur quando capitur superius eo !87, Un termine si dice resolubile, secondo Billingham, quando nella probatio si fa ricorso ai suoi inferiora; ciò non è vero solo dei nomi e dei participi, ma anche dei verbi ( Consimiliter fit resolutio verborum ad substantiva, ut: ‘homo currit, ergo homo est currens’, et e contra compositio ) !8*. Tale probatio per inferiora è la resolutio, propriamente parlando; il ricorso ai termini superiores è detto compositio !9. Per quanto riguarda la resolutio, il discorso si sposta di conseguenza sul rapporto tra i termini inferiori e superiori, spesso affrontato nei trattati de consequentiis. Billingham ne tiene conto e riprende le seguenti regole: 1)  ab inferiori ad suum superius sine aliqua dictione habente vim negationis valet consequentia ; ad esempio è valida la conseguenza  homo cuttit, ergo animal currit . Ma l’inferenza vale talora anche  cum dictione habente vim negationis  quali sono i termini esponibili, il  non  e i termini privativi e infiniti; così è valida l’inferenza:  tantum homo currit, ergo tantum animal cutrit ; 2)  Ab inferiori ad suum superius cum constantia subiecti et cum dictione habente vim negationis post superius et inferius tenent consequentia ; 3)  Ex prima regula sequitur alia, quod negato superiori negatur inferius, quia sequitur: ‘hoc currit et hoc est homo, ergo homo currit’, quia ex opposito consequentis sequitur oppositum antecedentis. Nam sequitur: ‘non homo cutrit et hoc est homo, ergo hoc non currit’  19, Secondo Billingham, la prima regola regge il sillogismo expo[Speculum..., cit., pp. 340-341; ma cfr. pp. 367-368, e passim, dove resolvere e resolutio hanno valore generico. 188 Ivi, p. 342. 189 Cfr. n. 45, e capp. VII, nn. 36 e 37. 190 Speculum..., cit., pp. 341-344. Terminologia logica della tarda scolastica 437 sitorius affermativo; la seconda, il sillogismo expositorius negativo: entrambi questi sillogismi sono alla base, secondo il maestro oxoniense, di ogni disputa, anzi della possibilità stessa della dimostrazione, giacché essi sono fundamentum di ogni altro sillogismo !9. Il richiamo all’espressione  syllogismus expositorius  merita qualche cenno che ne chiarisca il significato. Essa è già in uso nel secolo XIII!?. Nel secolo XII, invece, l’Ars Meliduna ha l’espressione  sillogismus expositionis : richiamandosi all’autorità di Aristotele, il testo afferma: Per sillogismum expositionis fatetur Aristotiles probari posse sillogismos tertie figure, ubi duo dicuntur de tertio  e aggiunge: Et dicitur  merito talis sillogismus expositionis, quia quodammodo exponitur medium per suum inferius . Ma dagli esempi addotti si può ricavare che non si tratta del nostro sillogismo ‘*. Più probabile che 191 Ivi, pp. 341-342: Super quam regulam fundatur syllogismus expositorius in tertia figura  et iste syllogismus est fundamentum omnium syllogismorum affirmativorum. Super quem syllogismum fundantur alii syllogismi negativi, quo syllogismo expositorio affirmativo vel negativo negato, non erit ulterius disputatio, nec potest arguens aliquid pro bare nec improbare aliquid esse; quod si arguat per syllogismum in modo regulato et negatur illud, et tunc statim veniet ad syllogismum expositorium . 192 Cfr. ad es., M. Fernanpez Garcia, Lexicon scholasticum philosopbico-theologicum, Ad Claras Aquas 1910 (basato sulle opere di Duns Scoto), pp. 667a-668a, dove esso è definito come quel sillogismo che ha per medium un terminus discretus; cfr. anche rs. Duns Scoto, In librum primum priorum Analyt. Arist. quaestiones, cit., q. XI, ff. 289b-290b. 193 Ars Meliduna, cit., pp. 381-382; infatti il testo, tra i due passi, contiene quanto segue: Exempli gratia: ‘omne animal est res, omne animal est substantia, ergo quedam substantia est res’. Quod conclusio vera sit potest ostendi ostenso utramque extremitatum de hoc inferiori medii Socrate probari per tertium modum prime, hoc modo: ‘omne animal est res, Socrates est animal, ergo Socrates est res’; similiter ‘omne animal est substantia, Socrates est animal, ergo Socrates est substantia’ . Basti esaminare questi esempi alla luce di quanto detto e di quanto diremo appresso. 438 Alfonso Maierù si avvicini al sillogismo expositorius quello che l’Ars Meliduna chiama inmiediatus,  cuius maior propositio est inmediata , con preciso riferimento al rapporto inferius-superius'*. Guglielmo d’Occam nella Suzzzza logicae scrive:  syllogismus expositorius est qui est ex duabus praemissis singularibus dispositis in tertia figura, quae tamen possunt inferre conclusionem tam singularem quam particularem seu indefinitam, sed non universalem, sicut nec duae universales in tertia figura possunt inferre universalem 195, A chiarimento di questa definizione Occam precisa che le due premesse singolari non richiedono soltanto che il soggetto sia un termine singolare, ma che la realtà designata da esso non sia di fatto più cose distinte '%, Per Occam il sillogismo espositorio è di per sé evidente, per cui, se un argomento può essere ricondotto ad esso, questo argomento è corretto !”. Un'ultima osservazione Nel testo aristotelico richiamato (Anal. pr. I 6, 28a 23 sg.) a expositio corrisponde Exeo oppure txtiderdar. 1% Ivi, p. 383:  Alius mediatus, alius inmediatus. Inmediatus dicitur cuius maior propositio est inmediata, idest terminos habens inmediatos, scilicet tales quorum alter non potest de altero probari per medium demonstrativum, idest per tale medium quod sit causa inferioris et inferius superioris . 15 Summa logicae, cit, p. 367. 16 Ivi, p. 368: Est igitur dicendum quod syllogismus expositorius est, quando arguitur ex duabus singularibus in tertia figura, quarum singularium subiectum supponit pro aliquo uno numero quod non est plures res nec est idem realiter cum aliquo quod est plures res , e p. 306:  Est tamen advertendum, quod ad syllogismum expositorium non sufficit arguere ponendo pro medio pronomen demonstrativum vel nomen proprium alicuius rei singularis. Sed cum hoc oportet, quod illa res demonstrata vel importata per tale nomen proprium non sit realiter plutes res distinctae. Est autem probatio sufficiens, quia syllogismus expositorius est ex se evidens nec indiget ulteriori probatione. Et ideo multum errant, qui negant talem syllogismum in quacumque materia  , e p. 306:  Eodem modo, quando aliquis discursus potest reduci ad talem syllogismum va fatta in merito alla definizione di Occam: egli afferma che il sillogismo espositorio ha luogo nella terza figura (il termine medio, in tal caso, è soggetto in entrambe le premesse), nella quale i sillogismi non hanno mai una conclusione universale (neppure quando hanno due premesse universali), ma possono avere solo una conclusione singolare, particolare o indefinita. Billingham recepisce questa dottrina, come si può rilevare confrontando quanto abbiamo riferito sopra con quanto è detto da Occam: per lui, infatti, il sillogismo espositorio è fundamentum di tutta l’argomentazione (e ciò perché, come afferma Occam, esso è  per se evidens); le premesse sono costituite di termini inferiori ai termini comuni e perciò non possono essere che singolari. Billingham però si discosta da Occam perché estende a tutte le figure il sillogismo espositorio '*, ma, ancora come Occam, proibisce ch’esso possa concludere con una proposizione universale (e non potrebbe essere diversamente: la conclusione non può mai essere più ampia delle premesse, secondo il noto adagio scolastico  amplius quam praemissae conclusio non vule ); infatti egli fa ricorso alla resolutio solo per la probatio della indefinita affirmativa (e della particularis affirmativa,  quae semper convertitur cum indefinita affirmativa ) !?: essa deve essere provata  per duo demonstrativa , giacché  non est indefinita quin habet vel habere potest demonstrativum sibi correspondens, nec e contra  2°, Le due derzonstrativae fungono da premesse del sillogismo, la indefinita (o particularis) da conclusione. E va rileexpositorium vel per conversionem vel per impossibile vel per propositiones acquivalentes assumptas, non est fallacia accidentis . ù 1 198 Speculum..., cit., p. 342:  Potest tamen syllogismus sr esse in qualibet figura: item in prima figura: ‘hoc currit et homo est ! si] ergo homo cutrit’; exemplum secundae figurae: ‘homo est hoc et anim: est hoc, ergo animal est homo? . 19 Ivi, p. 351. 200 Ivi, p. 350. 440 Alfonso Maierù vato che questo distingue l’expositio e la resolutio: la  propositio exponibilis  è convertibile con le sue exporentes in congiunzione, mentre le proposizioni immediate non sono convertibili con la  propositio resolubilis . Questa è dottrina comune a tutti i logici in questo periodo 2, Quanto alla indefinita negativa, essa può essere probata o mediante il sillogismo espositorio negativo, o mediante una con201 BrLLincHaM, Speculum, cit., p. 344: Terminus exponibilis est qui habet duas exponentes vel plures cum quibus convertitur, Et in hoc differt a resolubili, quia licet sequitur formaliter , non sequitur e contra; sed in exponibilibus bene sequitur sic et e contra; STRODE, Logica, cit., £.18vb: Regula tamen est quod a resolventibus ad resolutum est bona consequentia; sed non oportet quod valeat e contra; si (!) pro omnibus expomentibus ad earum expositam consequentia tenet generaliter et e contra  (cfr. anche f. 24va); WwcLte, Tractatus de logica, I, cit., p. 83: Ex istis elicitur talis regula, quod universalis proposicio exposita convettitur cum suo antecedente debite exponente, licet non universaliter. Sed quandoque proposicio resolutorie vel officialiter proposita, cum suo antecedente, gracia materie, convertitur  ; PreTRo DI MANTOVA, Logica, cit, f. [76vb]:  semper a resolventibus ad resolutam arguitur componendo et valet consequentia et non e contra de forma ; PAoLo VENETO, Logica parva, cit., III: a quanto riferito sopra (v. n. 178), va aggiunto: [4] A resolventibus ad resolutum est consequentia bona, sed non e converso. Ab officiantibus ad officiatum est consequentia bona, sed non e converso . A descriptione ad descriptum est bona consequentia, et e converso  , e ancora, ., Logica magna, cit., I, 1, 4, f. 13rb:  Ex istis elicitur talis regula, quod universalis propositio exposita convertitur cum suis exponentibus sumptis simul, sed propositio resolutorie vel officiabiliter probata cum suo antecedente resolutorie vel officiabiliter ipsum inferente non convertitur nisi gratia terminorum  , e I, 20, f. 73vb:  Et in hoc est differentia inter propositionem exponibilem, descriptibilem, resolubilem et officiabilem: quia propositio exponibilis cum suis exponentibus convertitur, propositio descriptibilis cum suis descriptionibus convertitur, sed propositio resolubilis non convertitur cum suis resolventibus: Ita similiter propositio officiabilis non convettitur cum suis officiantibus; propterea, si ab officiantibus ad officiatam est bona consequentia, non oportet quod e contra sit bonum argumentum.] sequentia, il cui antecedens sia la corrispondente proposizione universale negativa 2°, Strode ha una dottrina del tutto analoga a quella di Billingham: la resolutio o resolutio per duo demonstrativa non è altro che il  syllogismus expositorius , che è in funzione del termine comune °*; la resolutio è la probatio della proposizione indefinita o particolare, anche se nella proposizione sono presenti altri termini che richiederebbero un altro genere di probatio (tali sono verbi ampliativi o di tempo passato e futuro, incipit, intelligitur, e i termini privativi ?*). I fondamenti del sillogismo espositorio sono quelli posti da Billingham; ma, oltre alle regole di inferenza che definiscono i rapporti tra termini inferiores e superiores, Strode richiama altre regole, fondate sull’autorità di Aristotele: una afferma che quando un termine è predicato di un soggetto che sia suo inferior, tutto ciò che si dice del predicato si dice del soggetto; l’altra afferma che, se in un sillogismo il medio è un pronome dimostrativo, gli altri due termini debbono costituire soggetto e predicato nella conclusione; c'è da aggiungere che Strode chiama anche ‘resolutorius il sillogismo espositorio nega22 Cfr. Speculum.  Logica, cit., f. 18vb:  Similiter tenet iste modus arguendi, ut: ‘iste Socrates hoc non est, et iste Socrates est homo, igitur homo hoc non est’; ‘haec non est vera et haec est aliqua propositio, igitut aliqua propositio non est vera’. Et iste modus arguendi vocatur syllogismus expositorius vel resolutio propositionis ratione termini sui communis; omnis nam terminus communis non impeditus est sic resolubilis per duo pronomina , e f. 21rb: Et consimiliter respectu cuiuscumque casus scripti; nam cum talis terminus ‘omnis’ praecedit, ad resolvendum propositionem in qua ponitur ille, deleatur ille, et loco illius ponatur pronomen demonstrativum sui suppositi cum affirmatione eiusdem in recto de illo pronomine et erit syllogismus expositorius . Resolvere è usato anche per indicare la prova dell’officiabile; perciò l’aggiunta per duo demanstrativa per la resolutio (cfr. ivi, f. 18vb). 20 Ivi, f. 19ra: Debet .amen ad concludendum particularem vel indefinitam de verbo ampliativo quandoque aliter capi constantia quam in illis mere de praesenti, ut ista: ‘homo cu*rebat’, sic resolvitur: ‘hoc cur442 Alfonso Maierù tivo 2°; resolutorius ed expositorius sono quindi sinonimi, come confermano i Dubia di Paolo da Pergola 2%. rebat et hoc est vel fuit homo, ergo homo currebat’. Similiter ‘puer fuit senex’, sic resolvitur: ‘hoc fuit senex et hoc est vel fuit puer, ergo puer fuit senex”. Et consimiliter sic dicitur de futuro, ut ‘senex erit puet’, sic resolvitur: ‘hoc erit puer et hoc est vel erit senex, ergo senex erit puer?. Similiter ‘coecus potest videre’, sic resolvitur: ‘hoc potest videre demonstrando aliquem hominem, et hoc est vel potest esse coecus, etgo coecus potest videre’. ‘Socrates incipit currere’ sic resolvitur: ‘hoc incipit currere, et hoc est vel incipit esse Socrates, ergo etc... ‘Album desinit sedere’ sic resolvitur: ‘hoc desinit sedere, et hoc est vel desinit esse album, ergo etc.’. ‘Chimaera intelligitur: hoc intelligitur, et hoc est vel intelligitur esse chimaera, ergo etc.’ Consequentiae, cit., f. 26va-b:  Si tamen ex uno termino formaliter infertur alter, et non e converso, respectu cuiuscumque verbi tam a parte subiecti quam a parte praedicati in recto, terminus inferens dicitur inferior et illativus dicitur superior, de quibus datur ista regula: ab inferiori ad suum superius sine aliqua dictione habente vim negationis nec confundendi praeposita est bona consequentia, quae fundatur super multa dicta Porphytii et Aristotelis, scilicet de quocumque dicitur inferius, ut species, de eodem dicitur superius, ut genus. Item Philosophus in Praedicamentis dicit: quando alterum de altero praedicatur ut de subiecto, id est de inferiori, quicquid dicitur de illo quod praedicatur dicitur de isto quod subicitur, quod intelligitur de directa praedicatione. Item confirmatur regula per rationem . Et super hac regula fundatur syllogismus qui vocatur expositorius, cuius praemissae sunt mere singulares, cum quibus habet omnis indefinita vel particularis resolvi, ut: ‘hoc currit et hoc est homo, ergo homo currit’, et sicut in tertia ita et in prima figura, ut ‘hoc est currens et homo est hoc, ergo homo est currens’, et sicut in prima etiam in secunda. Et hoc est quod dicit Philosophus secundo Priorum quod medio existente hoc aliquid, id est, pronomine demonstrativo, necesse est extrema coniungi, id est constituere conclusionem. Et nota quod similiter est syllogismus resolutorius negativus, ut ‘hoc non currit, et hoc est homo, ergo homo non currit?. — Et notandum quod in omni tali syllogismo oportet quod solummodo illud quod demonstratur in maiori demonstretur in minori, et sic iste modus syllogizandi tenet ab inferiori ad suum superius sine negatione er sine termino confundente. Sed iste modus negativus tenet per istam regulam: ab inferiori ad suum supetius cum negatione postposita inferiori et superiori Terminologia logica della tarda scolastica 443 Wyclif, sia nella Logica?” che nella Logice continuacio ”*, tratta dei termini resolubiles, o comuni e mediati, che vanno probati per mezzo dei termini immediati ?”. La resolutio è riconducibile al sillogismo expositorius, e Wyclif nota che, sebbene esso sia più comune nella terza figura, si può avere in tutte le figure purché la cosa denotata dal pronome hoc sia, diciamo con espressione occamistica, una numero ”°, La resolutio è  probatio cum debita constantia superioris de inferiori. Similiter tenet cum quacumque dictione habente vim confundendi postposita  (cors. mio). 206 PaoLo pa PercoLA, Dubia, cit., f. 66va: In hac secunda parte principali huius tractatus tria  agere propono . Secundo, syllogismum resolutorium suis conditionibus limitabo. Tractatus de logica, cit., I, p. 4, e ancora p. 6:  Termini resolubiles sunt termini communes qui possunt resolvi usque ad terminos singulares; ut isti termini, anizzal, homo, etc. . 208 Ivi, p. 82: Sunt enim, quantum ad propositum pertinet, aliqui termini resolubiles: ut termini communes, puta nomina, verba, adverbia, et participia habencia signa ipsius inferiora  . 209 Ivi, p. 68: Et semper terminus mediatus, si sit resolubilis, debet probari per terminum immediatum, ut iste: homo currit, sic resolvitur: Hoc currit: et hoc est homo, igitur homo currit. Alia proposicio: Cras ero episcopus, sic resolvitur: tunc ero episcopus: demonstrando crastinam diem per ly “tunc”; et tunc erit cras: igitur, etc. Ista proposicio: alicubi Deus est, sic probatur: ibi Deus est, et “ibi” est alicubi; ergo etc. Et ista proposicio: aligualiter ego moveor, sic probatur: Taliter, vel sic, ego moveor; et “taliter” est aliqualiter; ergo, etc. . 210 Ivi, p. 37:  Et notandum quod in qualibet figura potest fieri syl/ogismus expositorius. In prima figura sic: boc est homo, et Sor est hoc: ergo, Sor est homo. In secunda figura, sic fiet syllogismus expositorius: virtus est hoc, et bonitas est hoc; ergo, virtus est bonitas. In tercia figura sic fiet syllogismus: boc diligit Deum, et hoc est homo; ergo, homo diligit Deum. Et iste syllogismus expositorius in tercia figura est maxime usitatus. Et sciendum quod oportet bene notare rem pro qua supponit hoc pronomen hoc in syllogismo expositorio; quia si fuerit diversa supposicio in antecedente et consequente, tunc syllogismus non valet: ut hic: hoc est Petrus (demonstrando naturam humanam) et hoc est Paulus (demonstrando eandem naturam): ergo Petrus est Paulus. Hoc argumentum non valet  . 444 Alfonso Maierù a posteriori  della particolare affermativa: si tratta però di una  probatio a posteriori inferiori , distinta da quella probatio che l’autore chiama  a posteriori totaliter separato  (0  demonstracio 4 signo, vel demonstracio quia )?!, Anche la particolare negativa ha  probatio a posteriori , ma  inferendo talem particularem negativam ex singulis ; gli esempi addotti tuttavia sono vere e proprie resolutiones??, Nel caso di proposizioni come  chimera non intelligitur a te , Wyclif introduce un altro modo di probatio (si ricordino i modi 4 priori, a posteriori, ex equo e indirecte), che è detta captio ?*; anche questo è un modo di  probatio  4 posteriori 4. 211 Ivi, pp. 107-108:  Secundo modo probatur particularis a posteriori, et hoc dupliciter: vel a posteriori totaliter separato, vel a posteriori inferiori. Exemplum primi: în corpore quod videtur a me sunt subiective opera ciones vitales; ergo: corpus quod videtur a me est vivum. Et illa probacio est famosa aput philosophos natutales, et vocatur demonstracio 4 signo, vel demonstracio quia. Exemplum secundi est tale: hoc currit, et hoc est homo, ergo homo currit. Et isti modi probandi innituntur sophiste, de quo datur talis regula: Quod ad particularem affirmativam aut sibi equivalentem inferendam resolutorie oportet maiorem esse singularem proposicionis inferende et minorem esse singularem de subiecto sinonimo cum priori, et verbo ac predicato proporcionalibus verbo et subiecto proposicionis principaliter inferende. Verbi gracia, inferendo istam, homo currit, sic arguitur: hoc currit, et hoc est homo; ergo, homo currit. Secundus modus probandi est a posteriori, ut inferendo talem particularem negativam ex singulis; de quibus utendum est arte consimili, sicut dictum est de inductione particularis affirmative. Ut, homo non est papa, quia hoc non est papa, et hoc est homo, igitur etc. Homo non fuit ad bellum troyanum, quia hoc non fuit ad bellum troyanum, et hoc est vel fuit bomo; igitur, etc. . 213 Ivi, p. 118: Sed forte contra illud arguitur inducendo quintum modum probandi proposicionem, qui capcio dicitur. Nam tu intelligis istam proposicionem: aliguid quod non intelligitur a te est, cum intelligere potes quod claudit contradiccionem. Intelligis ergo subiectum huius proposicionis, et per consequens eius primarium significatum; et cum solum primarie significat aliguid quod non intelligitur a te, sequitur quod tu intelligis aliquid quod non intelligitur a te. Sic enim probatur quod #4 scis aliguam proposiTerminologia logica della tarda scolastica 445 Pietro di Mantova discute del sillogismo espositorio, del quale scrive: in quolibet syllogismo expositorio terminus qui est medius est terminus discretus aut aggregatus ex termino communi et discreto  25, ma non parla di sillogismo risolutorio; nelle edizioni, si può leggere solo il seguente titolo d’una parte: De eodem syllogismo resolutorio, sotto il quale è trattata la dottrina della resolutio. Pietro, a questo proposito, afferma:  quaelibet propositio cuius primus terminus est resolubilis resolubiliter tentus non verbalis, probari debet per duo demonstrativa  2!6; cioè all’espressione  terminus discretus aut aggregatus ex termino communi et discreto  del testo precedente, cortisponde qui l’espressione  duo demonstrativa , e poiché  non quilibet terminus discretus est immediatus, nec quilibet terminus demonstrativus est immediatus  ?”, la probatio della proposizione resolubile non può essere opera d’un qualsiasi sillogismo espositorio, ma solo di quello che abbia come premesse proposizioni immediate: il sillogismo sarà allora ‘resolutorio’, caso particolare del sillogismo espositorio. Per i sillogismi espositori, si precisa ch’essi possono aver luogo in tutte le figure, e che concludono validamente se affertivi, mentre alcune accortezze richiede la conclusione nei sillocionem esse veram quam non scis esse veram, capiendo talem proposicionem scitam a te: aligua proposicio est vera quam non scis esse veram. Sed dicitur quod conclusio intenta est impossibilis. Ulterius dicitur quod modus probandi per capcionem est modus probandi a posteriori; nam posterius est me scire illam proposicionem: aligua proposicio est vera quam nescio esse veram sic significantem, quam me scire aliquam proposicionem esse veram quam nescio esse veram. Ideo ille modus probandi, sicut quilibet alius significabilis, continetur sub aliquo predictorum . 25 Logica] gismi negativi, specie se in quarta figura 2!5, Analogamente, il sillogismo ‘resolutorio’ concluderà secondo le stesse regole in tutte le figure, dal momento che, ripetiamo, non è altro che il sillogismo espositorio applicato alla probatio delle proposizioni resolubili, Il termine resolubile è definito: terminus communis aut discretus non demonstrativus terminus, quo contingit aliquem terminum immediatum notiorem reperire eandem rem significantem per quem concludi potest  ?. La proposizione in cui il termine è posto si dice probabilis®!. Pietro precisa anche che nel resolvere le parti del discorso diverse dal verbo, il termine notior è tale a posteriori, mentre nel caso dei verbi il termine è notior a priori, ed è il verbo esse 2. Pietro chiama resolvenda o composita la proposizione mediata, e resolvens la proposizione immediata grazie alla quale si opera la probatio; una volta effettuata la resolutio, la proposizione mediata è resoluta 3. 218 Ivi, f. [73ra-b]. 219 Ivi, f. [76va], sotto il citato titolo De eodem syllogismo resolutorio : Ostendemus nunc quas propositiones etiam concludere possint expositorii syllogismi, et praemittamus quod terminorum secundum quos et per quos probari possunt propositiones. 20 Ivi, f. [76va-b]. 21 Cfr. n. 30, [4]. 22 Op. cit., f. [76vb]:  Refert tamen in resolvendo et alias partes ora tionis, quia in resolvendo alias partes orationis a verbo, capitur terminus qui est notior a posteriori; in resolvendo vero verba capitur terminus qui est notior a priori, scilicet verbum substantivum ; per i termini e le propo sizioni immediati a priori o a posteriori, cfr. il testo di f. [76va], in n. 39; per quanto riguarda il resolvere verbum, esso è definito (f. [77vb]): est notius verbum exprimere, scilicet substantivum et eius correspondens participium ; ci si chiede anche (f. [77rb-vb]): utrum quodlibet verbum adiectivum sit resolubile in verbum substantivam et suum participium . 23 Ivi, f. [76vb] (continuaz. del passo della n. preced.):  Huius enim resolvendae ‘hoc currit’ resolvens est haec: ‘hoc est currens’. Ideo bene Terminologia logica della tarda scolastica 447 La resolutio vale come probatio delle proposizioni affermative indefinita, particolare e singolare, purché il primo termine sia resolubile 24; nelle corrispondenti negative vere la resolutio è lecita solo quando il termine, in virtù del quale è operata la resolutio, ha supposita, altrimenti bisogna assegnare, come medium di prova, le contraddittorie di esse 5. Paolo Veneto conserva ancora un valore piuttosto generico dei termini resolvere, resolutio, con riferimento al relativo implicativo qui, che equivale a et (0 vel) e ille”, e alla resolutio di sequitur tamquam a priori: ‘hoc est cutrens, igitur hoc currit’, et ideo a resolvente ad resolvendam vel compositam in verbis valet argumentum de forma et non e contra. In aliis autem partibus orationis non valet de forma a resolvenda vel composita ad resolventem nec e contra, sed de forma bene valet a resolventibus ad resolvendam. Convenit autem inter verba resolvenda et alias pattes orationis, quia semper a resolventibus ad resolutam arguitur componendo, et valet consequens, et non e contra de forma; cfr. anche f. [78rb]:  non valet argumentum de forma a composita ad resoìventem, sed bene e contra a resolventibus ad compositam tam in verbis quam in aliis . 24 Ivi, f. [80ra]:  De indefinita autem sive particulari et singulari teneatur quod ipsa est probanda a primo termino a quo in ea potest sumi probatio. Ex quo sequitur quod est diligenter advertendum quod non quaelibet indefinita sive particularis probari potest per duo demonstrativa,  et ideo illa ‘tantum animal est homo’ per duo demonstrativa non habet probati quia sumeretur falsum . 25 Ivi, ff. [79va-b], e [79vb-80ra]:  Pro omnibus igitur propositionibus negativis veris resolubiliter probandis dicatur quod, si termini ratione quorum probandae sunt supposita habeant, sunt resolubiliter probandae, sed si suppositis carent capiendae sunt contradictoriae concludendo istas esse veras indirecte eo quod contradictoriae sunt falsae, et ita conceduntut conclusiones ibi illatae secundum istam regulam probandae ; per suppositurm, cfr. cap. IV, nn. 62 e 99. 26 Quadratura, cit., II, 22, f. 34va:  Patet consequentia, quia relativum non confusum est resolubile in pronomen relativum et notam copulationis, aut in pronomen relativum et notam disiunctionis , e f. 34vb: Nulium relativam nominis confuse limitatum est in pronomen relativum et notam copulationis universalite(r) resolubile , ecc. 448 Alfonso Maierù qualsiasi verbo nel presente del verbo esse 2. Ma, naturalmente, prevale l’uso tecnico dei termini. Scrive nella Logica magna:  est sciendum quod omnis terminus communis pro aliquo suppositivus, et omne verbum praeter verbum substantivum praesentis temporis et numeri singularis, est resolubilis; omnis enim propositio in qua subicitur huius(modi) terminus habet probari per duo pronomina demonstrativa sibi correspondentia 28, C'è però da notare che, in concorrenza col termine resolubilis, Paolo usa talora resolutorius?. La probatio resolutorie  è propria, secondo il nostro autore, delle proposizioni indefinita e particolare, e della singolare che non abbia come soggetto un pronome dimostrativo 2°. Le corrispondenti negative possono essere provate in tre modi: o resolutorie, o assumendo la contraditdittoria e dalla falsità di questa ricavando la verità di quella, 21 Ivi, II, 37, f. 40rb: Omne verbum praeter verbum substantivum praesentis temporis est resolubile in verbum substantivum ;  subiectum enim huius: ‘omnis homo currit’, supponit pro omni homine qui est solum ratione resolutionis illius verbi ‘cutrit’ in ‘sum, es, est’, sed aeque bene resolvuntur illa verba ‘erit’, ‘fuit’ in ‘sum, es, est’, sicut illud verbum “currit’ , ecc. Ciò in un contesto in cui si discute  de suppositione termi norum respectu verborum praeteriti ac futuri temporis . 28 Op. cit., I, 1, 4, f. 13rb. 29 Ivi, f. 13va:  Exempla de adverbiis resolutoriis, ut: ‘aliqualiter est” resolvitur isto modo  Logica parva. Qualiter propositiones illative probentur praesenti doctrina dignoscitur satis plene. Et primo namque a resolutione est inchoandum, qua indefinitae, particulares et singulares de subiecto non pronomine demonstrativo rationabiliter inferuntur. Quaelibet ergo talis est taliter inferenda, ut pro antecedente sumantur duo demonstrativa, in quorum primo praedicetur praedicatum resolvendae et in secundo subiectum: verbi gratia, ‘homo currit’ sic resolvitur: ‘hoc currit et hoc est homo, ergo homo currit’ ; la Logica magna, cit., I, 1, 4, f. 13rb, afferma che tale probatio è propria della indefinita, e non menziona le altre proposizioni. Terminologia logica della tarda scolastica 449 o mediante la universale negativa corrispondente ?!, Il sillogismo che ha come premesse due proposizioni dimostrative è detto expositorius o demonstrativus: può essere affermativo o negativo e ha luogo solo nella terza figura °°. È evidente che il sillogismo demonstrativus è riconducibile alla probatio mediante demonstrativa, ma Paolo Veneto non insiste nel collegare le due dottrine né nella Logica parva, né nella Logica magna. Paolo da Pergola, nella Logica, considera  propositio resolu21 Ivi, f. 13va, scrive:  Indefinita vel particularis negativa potest tripliciter probari: uno modo per duo demonstrativa quemadmodum est (haec) indefinita affirmativa ut ‘homo non currit: hoc non currit et hoc est homo, igitur homo non cutrit’. Secundo modo potest probari recurrendo ad eorum contradictoria ipsa probando vel improbando, quo facto statim patebit veritas indefinitae vel particularis negativae. Tertio modo potest probari per universalem negativam sibi subalternantem, ut ‘aliquid non currit’ probatur sic: ‘nihil currit, igitur aliquid non currit’ . 232 Ivi, II, 13, f. 175vb: Et iuxta tertiam reductionem est notandum quod syllogismus expositorius non potest fieri nisi in tertia figura. Et ratio, quia ad syllogismum expositotium requiritur antecedentia duarum demonstrativarum (ex demonstratarum) inferentium propositionem mediatam; modo hoc non potest fieri in aliis figuris. Si enim dicitur in secunda figura: ‘animal est hoc et homo est hoc, ergo homo est animal’, consequentia bona est et formalis, sed non syllogismus demonstrativus propter causam dictam. Similiter si dicetur: ‘hoc currit et homo est hoc, ergo homo currit’, syllogismus expositorius vocari non debet, sed syllogismus irregularis, optima consequentia formalis existens. Eodem modo est dicendum de negativis .. Numquam tamen est dicendum quod aliquis horum sit syllogismus expositorius vel demonstrativus; ubi autem syllogismus demonstrativus non ita stricte sumetur, potest sine periculo dici quod in qualibet figura talis reperitut sicut exemplificatum est. Verumtamen est advertendum de pronomine demonstrativo ne supponat pro aliquo communi, quia tunc impediret syllogismum demonstrativum, aut quia esset terminus communis, aut quia ratione eiusdem suppositio mutatur, sicut hic: ‘hoc est pater et hoc est filius (demonstrando essentiam communem), igitur filius est pater’ . Salvo errore, il  syllogismus expositorius  non è menzionato nella Logica parva, né, nelle due opere logiche fondamentali, è messo in relazione alla resolutio.] bilis  sia l’indefinita e la particolare, che la singolare non dimostrativa 2; le loro corrispondenti negative possono essere provate sia resolutorie, sia  per suum contradictorium  4, in modo analogo a quanto ha affermato Pietto di Mantova. Nei Dubia, invece, Paolo affronta la trattazione del sillogismo ‘resolutorio’, del quale si afferma che è  fundamentum omnium syllogismorum . Perché si abbia un tale sillogismo sono necessarie, tra le altre, le seguenti condizioni: Quod si syllogismus (in rapporto alle quattro proprietà: che risulti di tre termini;  quod semper minor fit in recto ;  quod conclusio sit omnino conformis maiori ;  quod sit in figura: nam in omni figura potest fieri syllogismus resolutorius ); Et won in modo ( quia si esset in aliquo 19 modorum non esset syllogismus resolutorius per immediata procedens, sed per mediata ); Et medium sit hoc aliquid et non quale quid ( Id est, sit terminus demonstrativus pro uno solo supponibilis et non pro pluribus  ). La resolutio deve avvenire per immediata apud sensum vel intellectum  5, Da questi elementi risulta che il  syllogismus resolutorius  altro non è che il tradizionale  syllogismus expositorius . Ma risulta anche, dal richiamo a ciò ch’è immediato rispetto al senso o all’intelletto, confermato quanto s'è detto, che cioè esso va ricondotto alla dottrina aristotelica dei Secondi analitici. 23 Op. cit., p. 45: Resolubilis est triplex, scilicet indefinita, patticularis, singularis non demonstrativa simpliciter quae probantur sumendo duo pronomina demonstrativa simpliciter, primum conforme subiecto propositionis resolubilis et secundum in recto ut patet in exemplis. Particularis vero indefinita, et singularis negativa possunt probari dupliciter, primo resolutorie et hoc ubi subiectum pro aliquo supponit, ubi vero pro nullo supponit non potest probari resolutorie quia minor est falsa, debet igitur tunc aliter probari scilicet per suum contradictorium . 25 Op. cit., ff. 68vb-69ra, Terminologia logica della tarda scolastica 451 6. I termini  officiales  Quanto alla grafia dei termini occorrenti in questo paragrafo, va precisato che la tradizione manoscritta del secolo XIV ha officialis, officialiter e così via, mentre manoscritti e stampe del secolo XV hanno officiabilis** e così via. Noi scriveremo generalmente officialis, e useremo come equivalente italiano ‘officiabile’. Officialis deriva da officium: quest’ultima termine vale sia ‘funzione’, sia ‘compito’ e ‘fine’ ”. Il nostro officiaiis non va confuso con quei termini  officiales  che designano dignità e cariche pubbliche #*, anche se il valore nei due casi è analogo: alcune persone hanno un officiuz: nella società, alcuni termini hanno un officium nella proposizione e nel discorso; si può, anzi, seguire un graduale passaggio dal primo al secondo valore del termine: i maestri hanno un loro officium??, le arti hanno un 236 Ma si vedano i mss.: Vat. lat. 3038, f. 8r:  Et sicut dictum est de praedictis officiabilibus vel officialibus   (il testo è quello di BILLINGHAM, Speculum..., cit., p. 367, in apparato alla r. 34), e Cambridge, Corpus Christi College 378, f. 42r (cit. in n. 185 del cap. VII). 237 Cfr. LAauSBERG, op. cit., p. 765. 238 Nei Tractatus Anagnini, cit., p. 274 (cfr. cap. II, n. 56); cfr. anche Occam, Summa logicae, ‘angelus’ est nomen mere absolutum, saltem si non sit nomen officii sed tantum substantiae . Secondo M.-D. CrÙenu (Tbhéologiens et canonistes, in Études d’histoire du droit canonique dediées è Gabriel Le Bras, II, Paris 1965) il termine officium in S. Tommaso deriva da Ismoro, Etyz., cit., VI, xix, 1, per il quale le funzioni dell'anima sono officia che si esercitano nell’unità d’una natura (p. 838): ministerium, in sinonimia, assicura la sacralizzazione dell’officium, sia per i teologici che per i canonisti, in ecclesiologia come in liturgia (ivi). 239 Cfr. di RosceLLINO, la lettera ad Abelardo (in J. ReINERS, Der Nomi nalismus in der Friibscholastik,  Beitrige zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters , VIII, 5, Miinster i. W. 1910, p. 80): « Quia igitur suscepto habitu doctoris officium mendacia docendo usutpasti, utique monachus esse cessasti, quia beatus Hieronymus monachum, monachus ipse, diffiniens: ‘Monachus’ inquit ‘non doctoris sed plangentis habet officium, qui se vel 452 Alfonso Maierù loro officium?, le arti sermocinales studiano gli officia delle vatie dictiones *!, Per le Summe Metenses e per il Tractatus de proprietatibus sermonum, officium è proprietas dictionis o sermonis, mundum lugeat et domini pavidus praestoletur adventum’, e GoFFREDO DI Fontames, Quodl. XII, q. 6, ed. J. Hoffmans, Louvain 1932: « Utrum liceat doctori praecipue theologiae recusare quaestionem sibi positam  »; la risposta è che il maestro in teologia è « doctor veritatis habens officium publicum docendi » (pp. 105 e 107); nella disputa scolastica, l’opponens e il respondens hanno « diversa officia » (Tractatus Anagnini, cit., p. 260). 20 Cfr. Cassioporo, Institutiones, cit., II, I, 1, p. 94: «officium eius (sc. grammaticae) est sine vitio dictionem prosalem metricamque componere »; e ms. Oxford, Bodl. Library, Laud. lat. 67, f. 6ra (cit. dal De RiJk, Logica modernorum, II, i, cit., p. 165): « Officium eius (sc. dialetice) est docere, argumenta invenire ad probandam questionem propositam et de eisdem iudicare »; considerare l’officium è un topos delle introduzioni alla dialettica nel sec. XII (DE Rtjk, op. cit., II, i, p. 148); cfr. ms. Vienna, lat. 2486, f. 17r (in De RK, op. cit., II, i, p. 235, sotto Quod officium): « Officium uniuscuiusque artis est quod convenit opifici secundum ipsam artem » e ancora:  huius artis officium est considerare proprietatem litterarum in sillabis, proprietatem sillabarum in dictionibus, proprietatem dictionum et uniuscuiusque accidentis earum in sintasi »; Summa Sophisticorum elencorum, cit., p. 267: Officium eius (sc. opificis agentis ex arte) est sic disputare ut videantur circa propositum ea esse que non sunt ». 21 Cfr. ms. Chartres 209, f. 37rb (in Hun): del verbo est si dice:  quantum ad officium quod exercet in oratione in ui substantiui consideramus  » e  aliud est agere de uocibus per se consideratis, aliud de eisdem ad uim et officium quod habent in oratione posite relatis »; Fallacie Parvipontane, cit., p. 569:  Et notandum quoniam nomina supponentia verbum duplex habent officium. Supponit enim quandoque nomen pro aliquo suorum appellatorum, quandoque pro nullo ». ABELARDO (Introductiones dialecticae, cit., pp. 73-74) parla di officium delle voces, ma anche delle litterae; per l’officium del verbo est, si veda, cap. III, n. 26. 22 Cfr. Summe Metenses, cit., p. 474: Est ergo locus sophisticus in dictione qui provenit ex proprietatibus dictionis. Que sunt significatio, consignificatio, officium, transumptio, constructio, ordinatio, prolatio, terminatio eic.», e Tractatus de proprietatibus sermonum, cit., p. 707:  utile videtur instituere tractatum de sermonibus et diversitate proprietatum et Terminologia logica della tarda scolastica 453 mentre le  dictiones officiales » sono quelle  quarum constructio est deservire partibus aliis » %. La caratterizzazione del termine officiabile come quello che ha il compito di ordinare il discorso o determinate un contesto presuppone l’analisi sintattica delle strutture della proposizione. Poiché il compito di ‘costanti’ e ope ratori nella logica medievale è svolto dai sincategoremi ?#, questi saranno i termini officiabili per eccellenza per lungo tempo, dalle Summe Metenses* a Guglielmo di Shyteswood #9 e Ruggero Baofficiorum que considerantur iuxta sermonem. Que sunt copulatio, appellatio, suppositio, et multa alia de quibus dicemus inferius ». Si noti la differenza tra i due testi: nel primo, officium è elencato tra le proprietates, nel secondo officia è in endiadi con proprietates: ma si può supporre un passaggio dalla posizione del primo testo a quella del secondo. Cfr. anche DE Rijk, Soze Notes on the Mediaeval Tract De insolubilibus..., cit., p. 100 (v. cap. II, n. 91) e p. 112:  Sequitur de secunda specie insolubilium. Que provenit ex officio vocis vel ex his que circumstant vocem. Que sunt tria: significatio, suppositio, appellatio. Unde videndum quod, quando ex aliquo officio quod est in voce vel circumstat vocem, provenit insolubile, id est cassandum, si sit accidentale. Cfr. Summe Metenses: tra queste dictiones sono anno[verate  pva). exponentium sui oppositi. Nec dicuntur exponentes nisi significantur copulative, nec causae veritatis nisi significantur disiunctive. Secondo Strode, dunque, le causae veritatis sono opposte alle exponentes. Queste operano in congiunzione -significantur copulative --, quelle in disgiunzione – disiunctive. Per le causae veritatis valgono quindi le regole della disgiunzione (p > p v q – “She is in the kitchen; therefore, she is in the kitchen or in the bedroom”), mentre per le exporentes valgono le regole della congiunzione (pq 2 p – “She likes peaches and cream; therefore, she likes peaches”). Strode se ne serve per la probatio delle negative dell'esclusiva, eccettiva e reduplicativa, ma anche delle proposizioni in cui compaiono i termini incipit e desinit. Quanto a quest’ultimo caso, va rilevato che Heytesbury aveva assegnato alle proposizioni contenenti incipit o desinit una duplice expositio, tra cui si doveva scegliere di volta in volta quella più conveniente al problema in esame *%; i due modi dell’expositio non costituivano però una disgiunzione di proposizioni in congiunzione. Strode, invece, as54 Logica, cit., f. 19rb; cfr. anche f. 24rb: Et hoc est generaliter (notandum): cum aliqua propositio habet exponentes, eius contradictorium habet causas veritatis . 35 Ivi, f. 26va: Ista tamen ‘Socrates non est asinus in quantum est homo? et consimiles debent dici reduplicativae et habent (probari) per causas veritatis oppositas exponentes reduplicativae, sicut convenienter dictum est de exclusivis et exceptivis , ma cfr. f. 24rb, dove si assegnano le causze veritatis anche all’opposta dell’esclusiva negativa. 36 De incipit et desinit, cit., f. 23va:  Incipere dupliciter solet exponi: videlicet per positionem de praesenti et remotionem de praeterito, ut quod in praesenti instanti est et immediate ante instans quod est praesens non fuit; aut per remotionem de praesenti et positionem de futuro, ut quod in praesenti instanti non est, et immediate post instans quod est praesens erit. Desinere etiam dupliciter potest intelligi, scilicet vel per remotionem de praesenti et positionem de praeterito, ut quod in praesenti instanti non est, et immediate ante instans quod est praesens fuit; vel per positionem de praesenti et remotionem de futuro, ut quod in praesenti instanti est et immediate post instans quod est praesens non etit . Cfr. agg analoghe in GueLieLMO DI SHyrEswooD, Syncategoremata, segna piuttosto la disgiunzione di due congiunzioni di proposizioni (pq v rs), e cioè le causae veritatis 7. La stessa cosa fa Marsilio, ma solo limitatamente al caso in cui il verbo incipit  affirmatur de subiecto singulari substantiali  (ad es. di Socrates) Tra i filosofi italiani, Pietro di MANTOVA (si veda) si serve della probazio per causas veritatis per l'esclusiva ®, l’exceptiva mere negativa” Logica, cit., f. 25ra: Incipit communiter debet exponi per positionem de praesenti et remotionem de praeterito, ut: ‘hoc nunc est et immediate ante hoc instans quod est praesens hoc non fuit, ergo hoc incipit esse’; vel per remotionem de praesenti et positionem de futuro, ut: ‘hoc munc non est et immediate post hoc instans quod est praesens hoc erit, ergo hoc incipit esse’. Et e converso modo debet exponi li ‘desinit’, ut dicunt, per remotionem de praesenti et positionem de futuro, ut: ‘hoc nunc non est et immediate ante instans quod est praesens fuit’, vel per positionem de praesenti et remotionem de futuro, ut: ‘hoc nunc est et immediate post instans quod est praesens non erit’. Sed ego dico quod tales potius debent dici causae veritatis et non exponentes, ut patet in praecedenti. In istis ergo servetur haec regula, quod non oportet aliquam propositionem de incipit et desinit exponi nisi ut propositio simplex et singularis numeri. WycLIr, nel porre il problema, non esplicita il riferimento alle causae veritatis , per cui è difficile intendere se si sia staccato dal modo di Heytesbury; cfr. Tractatus de logica. Sor incipit esse, sic exponitur: Sor nunc est, et ipse immediate ante hoc non fuit: igitur etc. Vel sic: Sor iam primo est et ipse inmediate ante hoc non fuit: ergo, Sor incipit esse , e p. 191:  Et hoc est quod solet dici: hoc verbum, incipit, debere disiunctim exponi per remocionem de presenti et posicionem de futuro; vel per posicionem de presenti et remocionem de preterito; ut, si Sor munc est effectus et non prius fuit, tunc incipit esse. Vel si non est in instans quod est presens, et inmediate post illud erit, tunc incipit esse. Et sic de desinit . 328 Cfr. Textus dialectices, cit., f. 201r. 329 Logica, cit., f. [29ra-b]: exclusiva in numero plurali affirmativa habet duas causas veritatis, quarum una est gratia alietatis et alia est gratia pluralitatis: verbi gratia, ‘tantum 12 sunt apostoli dei’ altero illorum modorum verificari potest: ‘12 sunt apostoli dei et nulla non 12 sunt apostoli dei’, vel sic: ‘12 sunt apostoli dei et non plura quam 12 sunt apostoli dei’. Unde talis propositio exclusiva in numero plurali non debet exponi quia propositio exponibilis copulative significat et non veri480 Alfonso Maierù e le proposizioni de incipit et desinit. Paolo Veneto avvia il processo mediante il quale questa forma di probatio diventerà con Paolo da Pergola un procedimento autonomo, fissando nella Logica parva la seguente regola (che, si noti, segue quelle relative alla probatio mediante expositio, resolutio, officiatio, descriptio, e a senso composto e senso diviso):  ab una causa veritatis ad propositionem habentem illam causam ficatur disiunctive (ex distiunctive), et ab exposita ad quamlibet suarum exponentem est bonum argumentum formale, sed talis propositio neque verificatur copulative neque ab ista exclusiva ad quamlibet esponentium valet consequentia: convertitur enim cum tali disiunctiva cuius quaelibet pars principalis est copulativa, igitur etc.. Come si può notare, la probatio qui è data mediante la disgiunzione di due copulative. Ai ff. [41vb42ra], invece, Pietro di Mantova scrive: Sed ista ‘a te differt omnis asinus’ habet duas causas veritatis, quia primus terminus in ea mediatus est resolubilis et exponibilis. Ideo ista significat disiunctive sic: ‘a te differt quilibet asinus, id est a te differens est quilibet asinus’ resolvendo, vel exponendo sic: ‘omnis qui est asinus est tecum et nullus asinus es tu, igitur a te differt quilibet asinus’, et hoc est verum et ideo illa est vera ‘a te differt quilibet asinus’: in questo passo l’accezione di  causae veritatis  sembra essere generica. 35 Ivi, f. [33va]: exceptiva mere negativa non habet exponi, sed habet causas veritatis disiunctive, et regula superius data de expositione exceptivae vera est de exceptivis non mere negativis . 31 Ivi, £. [47rb-va]:  Incipit solet sic exponi: ‘Socrates in instanti quod est praesens est et non immediate ante instans quod est praesens fuit veli Socrates in instanti quod est praesens non est et immediate post instans quod est praesens erit, igitur Socrates incipit esse’. Sed haec consequentia non valet quia in primo esse mundi ; et quod illa disiunctiva sit vera patet quia eius prima copulativa est vera in illo casu , f. [47va-b]:  Ideo dicitur quod illae dictiones ‘incipit’ et ‘desinit’ et huiusmodi non habent exponi sed habent causas veritatis, e f. [48ra]:  Aliquando autem li ‘incipit’ non habet illas causas veritatis per positionem de praesenti et remotionem de praeterito vel negationem de praesenti et positionem de futuro, sed aliquando habet easdem causas veritatis quas li ‘desinit’, quia illae convertuntur: ‘Socrates incipit non esse’ et ‘Socrates desinit esse’ ; cfr. WiLsoN]mest bona consequentia  *. In questo contesto, le causae veritatis sono assegnate alla proposizione  denominata ab ablativo consequentiae : data la proposizione  homine currente risibile cutrit , poiché l’ablativo assoluto può essere risolto in una proposizione condizionale ( si homo currit ), o temporale ( dum homo currit ), o causale ( quia homo currit ), la proposizione originaria sarà vera quando almeno una delle proposizioni alle quali x equivale l’ablativo assoluto è vera**. Ma, ancora nella Logica parva, si afferma che la proposizione esclusiva negativa ha  duas causas veritatis, oppositas exponentibus exclusivae affirmativae  **. Nella Logica magna, invece, si fa ricorso alla probatio per causas veritatis, oltte che per l’esclusiva negativa *5, anche per la reduplicativa negativa 9 e per incipit e desinit *", in modo analogo a quanto afferma Pietro di Mantova. Infine, 332 Logica parva, Logica magna, cit., I, 5, f. 35va. 336 Ivi, I, 8, f. 4irb: Si autem (sc. negatio) cadit in totum et super reduplicationem, non habet exponi sed solum habet causas veritatis quae sunt contradictoriae exponentium reduplicativae sibi oppositae ; nella Logica parva, cit., IV, invece, aveva scritto:  Negativa vero reduplicativa, cuius negatio praecedit notam reduplicationis, non est exponenda sed probanda per suum contradictorium ut saepe dictum est. 337 Mentre nella Logica parva, cit., IV, l’autore ritiene che  dupliciter exponitur , nella Logica magna, cit., I, 18, f. 65va, dopo la discussione di molte opinioni, scrive:  Propositio ergo respectu huius verbi ‘incipit’ vel ‘desinit’ exponi non habet, sed habet causas veritatis quarum quaelibet propositionem de incipit vel desinit potest inferre, et disiunctiva ex eisdem cum ipsa propositione convertitur. Unde haec propositio ‘hoc incipit esse’ habet duas causas veritatis, quarum una est copulativa duarum demonstrativarum, unius de praesenti affirmativae et reliquae de praeterito negativae cum determinatione huius dictionis ‘immediate’, ut: ‘hoc nunc est et hoc immediate ante instans quod est praesens non fuit’, Secunda causa veritatis eiusdem est una copulativa talium duarum, unius de praesenti negativae et alterius de futuro affirmativae cum consimili determinatione, ut: ‘hoc 31 482 Alfonso Maierà Paolo da Pergola scrive:  Probabilis per causas veritatis est illa propositio quae habet multas causas veritatis disiunctive sumptas, sicut incipit, desinit et ablativus in consequentia  38: per quanto riguarda incipit e desinit, non c'è bisogno di altri riferimenti dopo quanto si è detto. L’ ablativus in consequentia  ci riporta alla Logica parva di Paolo Veneto, dal quale il Pergolese, al solito, dipende *’, Tuttavia egli allarga il discorso, riservando questo tipo di probatio alle contraddittorie di ciò che può essere provato non solo mediante expositio, ma anche mediante resolutio, descriptio e officiatio, e in genere a tutte le proposizioni negative: Nota quandocumque propositio probatur copulative, sive resolubiter sive exponibiliter sive officiabiliter sive descriptibiliter, eius contradictorium est probabile per causas veritatis, scilicet per disiunctivam compositam ex partibus contradictoriis #9, nunc non est et hoc immediate post instans quod est praesens erit’. Similiter haec propositio ‘hoc desinit esse’ habet duas copulativas causas veritatis, quarum una componitur ex duabus categoricis, una de praesenti negativa et alia de praeterito affitrmativa, cum hac determinatione ‘imme: diate’; ut: ‘hoc mune non est et hoc immediate ante instans quod est praesens fuit’. Secunda causa veritatis ipsius est una copulativa composita ex duabus talibus, quarum una est affirmativa de praesenti et reliqua negativa de futuro cum simili determinatione, ut: ‘hoc nunc est et hoc immediate post instans quod est praesens non erit’. Vel, si tibi placet, potes dare causas veritatis cum prioribus convertibiles breviores, ut: ‘si hoc nunc est et immediate ante munc non fuit, hoc incipit esse’; et: ‘si tu non es albus et immediate post nunc eris albus, tu incipis esse albus’. Eodem modo dico de li ‘desinit’. Non ci addentriamo qui nella determinazione dell’atteggiamento che Paolo Veneto tiene rispetto a Pietro ALBOINI di Mantova. Logica, cit., p. 79. 33 Si noti che manca ogni cenno alle  causae veritatis  per la esclusiva negativa (ivi, pp. 57-60); nella trattazione De consequentiis, però, si trova la regola riferita da Paolo Veneto nella Logica parva (ctr. ivi, p. 98). 30 Ivi, p. 84; e ancora (ivi):  Si vero est mediata (sc. propositio) debes videre an sit affirmativa vel negativa; si est negativa, debes cam probare per causas veritatis, aut per contradictorium, aut per singulares, ut supra Terminologia logica della tarda scolastica 483 Il riferimento all’expositio è stato ampiamente illustrato; altrettanto chiaro risulta il cenno alla resolutio, officiatio, descriptio quando si pensi, come si è detto, che in tutti questi casi la probatio è data mediante congiunzione di proposizioni, la cui negazione è una disgiunzione di proposizioni negative. dictum est . Questo passo può essere chiarito ricordando che BILLINGHAM (Speculum..., cit., p. 357) ha assegnato l’oppositum per la probatio di dimostrativa e universale negative o con soggetto infinito, e per l’indefinita negativa ha assegnato una probatio disiunctive: cioè universale negativa o due dimostrative (quest'ultime sono il sillogismo espositorio negativo); che PaoLo Veneto (Logica megna, cit., I, 1, 4, £. 13va) ha assegnato tre modi di probatio alla indefinita o particolare negativa: sillogismo espositorio negativo, contraddittoria, universale negativa, e che per la universale negativa (ivi, f. 14ra) ha assegnato il contraddittorio; Wyclit e Pietro di Mantova hanno svolto quel discorso che abbiamo richiamato nel $ 3. Qui Paolo da Pergola, parlando in generale della proposizione mediata negativa, richiama tutti questi vari modi di probatio accanto a quella  per causas veritatis. Il trattato contenuto nei ff. 6ra-19va del ms. Amplon. Q. 276 della Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek di Erfurt! si compone di varie guaestiones, per ciascuna delle quali si adduce una lunga serie di argomenti (cominciando in genere, dalla parte negativa: videtur quod non), ai quali si risponde (in oppositum) spesso dopo aver formulato una determinatio brevissima, magari di una sola proposizione; ma talota si risponde di volta in volta dopo ciascun argomento. L’autore — chiunque sia — si preoccupa di fornire una casistica delle difficoltà che possono sotgere nell’obiettare, e nel rispondere alle obiezioni, contro i sophismata?. Il trattato si colloca quindi tra quelli che intendono offrire sussidi ai protagonisti della disputa scolastica. E poiché le difficoltà nascono sempre dall’uso dei termini cui si fa ricorso, la trattazione verte necessariamente sul valore dei termini e sui modi di ‘provare’ le proposizioni che li contengono. 1 Cfr. Introduzione, n. 79. Il microfilm del ms. di cui mi sono servito non è eccellente; manca il fotogramma del f. 14r; il f. 15 del ms. dev'essere corroso in una delle col. 2 Ms. Amplon. Q. 276, f. 6ra: Quoniam in(n)ata est nobis via a communibus ad propria, ideo nos de modo opponendi contra sophismata cen E PA primo de communi modo opponendi et respondendi dicamus. Gli argomenti trattati possono essere così riassunti: 1) ci si chiede se l’inductio sia un modo valido di probare la proposizione universale 3; 2) a) se la  probatio per contradictorium  sia bora, e cioè valida ‘ e b) se la  probatio a destructione consequentis , o anche la  probatio ex opposito conclusionis inferendo oppositum praemissae  sia valida 5; 3) ci si chiede  de probationibus incidentibus in multiplicibus, ut in aequivocis :  an sufficiat cognoscere aliquod multiplex in uno significato  9; ma la quaestio si articola in varie questioni: a) an aliquod nomen sit aequivocum  ÆQVIVOCVM GRICE 7; b)  an... significatio dictionis sit eius forma accidentalis  8; c)  utrum sufficiat probare multiplex in uno probato significato vel non, et ad illud persuadendum oportet inquirere utrum aequivocum significet per modum copulationis sua significata aut per modum disiunctionis  9; d) an nomen aequivocum possit distribui pro omnibus suis significatis sive pro quolibet singulari cuiuslibet significati simul a signo universali sibi addito  1%; e)  an sit contradictio in aequivocis  !!; f) an propositiones habentes terminum aequivocum debent dici una vel plures  !2; 4) a) sulla base di quanto si è detto ci si chiede poi  an copulativa sit una !5, e 3 Ivi. 4 Ivi, f. 6va 5 Ivi, £. 7vb. 6 Ivi, f. 8vb. 7 Ivi, quod non est, videtur: f. 8vb; Quod umne nomen sit aequivocum sic videtur : f. 10ra. 8 Ivi, f. 10vb. 9 Ivi, f. 11rb. Cfr. ps. Duns Scoro, In librum I priorum Analyticorum Aristotelis quaestiones, cit., q. x, ff. 230b-231b: Utrum terminus aequivocus contineat sua significata per modum copulationis. 10 De probationibus, cit., f. 11vb. 11 Ivi, f. 12rb. 12 Ivi, f. 12vb. 13 Ivi, f. 14va. 486 Alfonso Maierù b)  an sit (contradictio in copulativis)  14; 5) analogamente, a)  quaeritur an disiunctiva sit una vel plures  55; b)  an sit contradictio in disiunctivis  ‘6; ” 6)  quaeritur an haec propositio ‘homo albus currit’ sit una (vel plures)  17; i 7) an falsitas implicationis falsificet propositionem  18; 8) an una negatio possit negare plures compositiones  19; 9) infine, si discute de incipit et desinit:  Quaetitur de expositione et significatione istorum verborum ‘incipit’ et ‘desini’. Primo quaeratur quid significent, secundo utrum suum significatum ipso (?) esse syncategorema vel categorema : a) De primo sic quaeritur, utrum significent motum vel mutationem  2; b)  Deinde quaeritur an si(n)t syncategoremata  8; c) quid ponitur in huius(modi) praedicationibus (?) proposi tionibus, et videtur quod hoc quod dico ‘incipit’ et ‘desinit’  2; d)  (D)einde quaeritur de negatione istorum, et primo utrum habeant intellectum negationis secundum quod possunt confundere, dato quod aliquo modo sit ibi negatio  8; e)  utrum possi(n)t confundere ratione istius negationis  #; f)  j; oppure 7 D LC, .v.#), e non viceversa !. I sersus di una proposizione in disgiunzione sono causae veritatis di essa: basta perciò che sia vero uno dei sensus perché sia vera l’intera proposizione. Così non è per i sersus in congiunzione, poiché in tal caso è necessario che siano veri tutti i sensus perché si abbia la verità vede in ciò un’accettazione della dottrina occamistica della suppositio simplex da parte di Heytesbury. l De propositionum multiplicium significatione, cit., ff. 252vb-253ra:  Unde et si arguitur sic: praecise tot scis quot sunt aliqua quae Plato scit esse, ergo non scis plura quam sunt aliqua quae Plato scit esse, non valet argumentum. Nam per id antecedens non probatur id consequens nisi pro altero sensu : si tratta della singolare negativa; il procedimento è analogo a quello di cui alla n. 9; ancora, ivi, f. 253ra:  Si tamen arguitur sd istam probandam, sic incipiatur: talis propositio sic praecise significans potest esse quod rex sedet et quod nullus rex sedet? (...) tunc ista est impossibilis, igitur non potest esse sicut ista significat, et ista significat praecise quod potest esse quod rex sedet et quod nullus rex sedet, igitur non potest esse quod potest esse quod rex sedet et quod nullus rex sedet: neganda est consequentia; nam consequens id, ut praedictum est, suos sensus copulative significat, quorum tamen alter sequitur ex isto antecedente; per la proposizione in esame, cfr. n. 18; il modo della probatio richiama il procedimento della probatio officialiter. Probare occorre un’altra volta al f. 252va, nella discussione della universale; A Ivi, f. 252va: Ex quo etiam apparet, cum cuiuscumque propositionis copulative solum significantis contradictorium disiunctive significet quod cuiuscumque multiplicis plures sensus copulative solum significantis contradictorium disiunctive significat opposito modo quo etiam talis universalis multiplex significat copulative . Terminologia logica della tarda scolastica 495 della proposizione cui la congiunzione equivale '. Anche l’espressione causae veritatis ha dunque il valore noto; nel caso speci fico, designa solo i sensus in disgiunzione !*. Questo è il primo dei casi esaminati nel trattato. Seguono poi il caso in cui la proposizione universale affermativa non significa tutti i suoi sersus in forma universale, ma uno di essi in forma universale e un altro in forma particolare ‘5; la proposizione particolare affermativa o negativa !; la proposizione singolare affermativa o negativa !”. L’autore passa quindi ad esaminare le ipotetiche, e comincia dalla proposizione de copulato extremo!*. Si discute poi della [Nam si copulative significaret, ad eius veritatem cuiuslibet sui sensus veritas requiretetur  (è detto della particolare, cfr. n. 16). 14 Cfr. ivi:  est fallacia consequentis arguendo a propositione habente plures sensus disiunctive ad unum sensum, e f. 253va:  Ca] arguitur a propositione plures causas veritatis habente ad unam istarum, ideo est fallacia consequentis . L'espressione causae veritatis occorre ancora altre tre volte, ai ff. 252va, 253rb, 253va. 15 Ivi, f. 252vb: Quaedam tamen universales sunt multiplices, non tamen sensu; quaedam enim sunt universales multiplices quae in uno sensu sunt universales et in alio particulares vel singulares existentes  . Se affermativa, tale proposizione significa i suoi sensus in disgiunzione; se negativa, in modo opposto, e quindi in congiunzione (ivi). 16 Ivi: Patet igitur quod quaelibet particularis affirmativa multiplex, et etiam negativa quae in quolibet suo sensu est particularis, suos sensus disiunctive significat , e:  Nam ad hoc quod verificetur particularis aliqua sufficit quod verificetur aliquis eius sensus . 17 Ivi: Consimiliter etiam de singularibus est dicendum pro parte. Negativa autem singularem (!) singulari affirmative disiuctive significanti [segue vuoto di circa sci lettere] copulative significare suppono . 18 Ivi, f. 253ra: Consimilis etiam responsio est ad propositiones hypotheticas multiplices, ut sunt propositiones de disiuncto et de copulato extremo, copulativae, disiunctivae, temporales, conditionales: non potest esse (una) responsio. Unde primo est sciendum quod quaelibet affirmativa 496 Alfonso Maierùà copulativa !. Sia data la proposizione [1]  tantum Socrates est homo et aliquod istorum et plures homines sunt ; essa può essere intesa come composta di due proposizioni, delle quali una risulti una proposizione de copulato extremo. Gli elementi che possono essere presi in considerazione sono perciò i seguenti: [2]  tantum Socrates est homo ; aliquod istorum et plures homines sunt ; [4] tantum Socrates est homo et aliquod istorum ; [5]  plures homines sunt . La [3] e la [4] sono proposizioni de copulato extremo, ciascuna delle quali ha in comune con l’altra l'elemento  aliquod istorum  (l’extremzuze copulato è il soggetto nella [3], il predicato nella [4]). I sersus della [1] possono essere dati indifferenter dalla congiunzione della e della, o dalla congiunzione della e della. Poiché non si ha motivo di preferire una congiunzione di sersus all’altra, la [1] significherà i suoi sersus mediante una disgiunzione, il cui primo multiplex et hypothetica quae est particularis, indefinita vel singularis ut praemissum est, suos sensus disiunctive significat. Unde et ista: ‘potest esse quod potest esse quod rex sedet et nullus rex sedet . Si noti che l’autore include le proposizioni de copulato extremo tra le ipotetiche; l’esempio addotto è quindi una proposizione de copulato extremo, propriamente categorica (del resto, non avrebbero altrimenti senso le indicazioni circa la quantità della ‘ipotetica’. Negata, la proposizione in esame significa i suoi ‘sensi’ oppositis modis copulative (ivi). La conclusione di questa discussione è: Idem etiam de propositionibus multiplicibus de disiunctis extremis et affirmativis (ivi). 19 Ivi, sotto: Pro copulativis est tunc sciendum ex suarum partium principalium captione solum significans copulative, sive utraque eius pars copulative sive utraque disiunctive, sive una eius pars disiunctive et alia copulative significet illis duobus modis quibus et istae partes significant copulative, et cuiuslibet talis contradictorium oppositis modis quibus istae partes significant disiunctive significabit . Terminologia logica della tarda scolastica 497 membro sarà la congiunzione della [2] e della [3] e il secondo membro sarà la congiunzione della [4] e della [5] ?°. Anche nel caso della proposizione [6]  Socrates currit vel Plato currit et Socrates non curtrit , si possono avere interpretazioni diverse: la si può cioè intendere come una congiunzione di proposizioni, formata da [7]  Socrates currit vel Plato currit , e da [8]  Socrates non curtrit , oppure come una disgiunzione di proposizioni formata da [9]  Socrates currit , e da [10]  Plato currit et Socrates non cutrit . Poiché l’una o l’altra interpretazione si addice a simili proposizioni ( indifferenter copulativae vel disiunctivae possunt esse ), i sensus della [7] saranno espressi da una disgiunzione, di cui un membro sarà una congiunzione e l’altro ancora una disgiunzione . La negazione premessa alla disgiunzione dei sensus della [7] (e così della [1]) darà luogo a una congiunzione di proposizioni negative 2. Heytesbury esamina ancora proposizioni il cui dictum può essere inteso multipliciter®, proposizioni che hanno vari sersus in funzione di un pronome relativo in esse presente che può riferirsi a due diversi antecedentes”, e conclude la discussione 20 Ivi, f. 253ra-b; le [1]-[5] sono indicate da Heytesbury con le lettere dalla  alla e; l’analisi è già nel testo, dunque. 21 Ivi, f. 253rb. 2 Ivi: Ex quo satis patet eius contradictorium istis duobus modis significare copulative . 3 Ivi:  est sciendum quod sunt quaedam propositiones multiplices quarum est dictum multiplex, a quibus ad suum dictum arguendo fallit processus ; esempio è: non scis propositionem falsam esse propositionem veram vel propositionem falsam sciri a te . 2 Ivi, f. 253rb-va; esempio è: aliquid differt ab animali quod non differt ab animali: antecedens del relativo quod può essere sia animal sia aliquid; esso significa disiunctive (causae veritatis). 32 498 Alfonso Maierù con un'analisi dei sersus delle proposizioni comprendenti una condizionale ®. 25 Ivi, f. 253va-b. Sono di vario genere (ivi, f. 253va):  Quaedam tamen sunt conditionales quae indifferenter copulativae vel conditionales, et quaedam disiunctivae vel conditionales, possunt esse. In entrambi i casi significano i loro sensus disiunctive, mentre le contradicentes significano i loro sensus copulative. I termini “compositio” e “divisio rendono “oivdeois” e “Sraipeote” occorrenti nelle opere aristoteliche, principalmente in due contesti: quello del De interpretatione, dove, a proposito dell’enunciato, che risulta di più termini, si dice che la verità e la falsità sono attinenti alla compositio, o affermazione di un termine dell’altro, e alla divisio, o separazione di un termine dall’altro; e quello del De sopbisticis elenchis, dove si parla delle fallacie secundum compositionem e secundum divisionem. Ci soffermeremo sulla seconda delle dottrine aristoteliche, ma non è inutile un rapido esame preliminare dei valori che i due termini e i corrispondenti aggettivi assumono [Non ci occupiamo della Suxipeoig platonica (cfr. ad es. FEDRO). Per i valori degli stessi termini in RETORICA, cfr. LAUSBERG. De interpr.; cfr. transl. Boethii, Aristoteles latinus: circa compositionem enim et divisionem est falsitas veritasque ; cfr. anche 6, 17a 25-26, transl. Boethii, ivi, p. 9:  Adfirmatio vero est enuntiatio alicuius de aliquo, negatio vero enuntiatio alicuius ab aliquo , e Metaph. VI 4, 1027b 19 sgg. e XI 11, 1067b 26; in part. per obvieowe cfr. Top. VI 13, 150b 22 e 14, 151a 20.31. 4 Cft..6.2; 500 Alfonso Maierùà nei testi logici. Dei due termini, compositio è privilegiato rispetto all’altro, per il maggior numero di accezioni con le quali occorre. Nel suo Tractatus syncategorematum Pietro Ispano fornisce una sistematica esposizione dei vari modi in cui può essere inteso il termine compositio *. Compositio può essere rerum o modorum significandi: compositio rerum è quella della forma con la materia, dell’accidente con il suo subiectum, delle facoltà con l’essenza (potenze dell’anima con l’anima), delle parti integrali tra loro in un tutto (nella linea, le parti della linea rispetto al punto e della superficie rispetto alla linea), della differenza con il genere nella costituzione della specie 5. La corzpositio modorum significandi può essere o di una qualità con la sostanza, espressa dal nome $, o di un atto con la sostanza ed è espressa dal verbo”. La compositio di un atto con la sostanza può essere duplice: si può intendere l’atto in quanto  habet inclinationem ad substantiam, secundum quam inclinationem dicitur de altero , cioè in quanto l’atto è considerato  ut distans , ed è il verbo di modo finito; ma può intendersi l’atto  unitus  alla sostanza, in quanto  privatus ista inclinatione, et sic est in participio  ®. La  compositio actus ut distantis  è ancora duplice: può essere in rapporto con una  substantia exterior , come nel caso della proposizione  Socrates 4 Cfr. op. cit., pp. 483 sgg. Ma si veda anche la traduzione inglese di Mullally (PETER OF SPAIN, Tractatus syncategorematum..., cit., pp. 17 sgg.). Si confronti quanto dice Pietto Ispano con la triplice distinzione di compositio (rei, intellectus, sermonis) di Dialectica Monacensis, cit., p. 569. 5 PetrI HIsPANI, Tractatus syncategorematum, cit., p. 484B. Per la composizione degli accidenti con il subiectum, si veda il Liber sex principiorum, cit., p. 35: Forma vero est compositioni contingens, simplici et invariabili essentia consistens. Compositio etenim non est, quoniam a natura compositionis seiungitur  . 6 PerrI HISPANI, op. cit., p. 484B. 7 Ivi, p. 484C. 8 Ivi, p. 485F. currit °, o può essere in rapporto con una  substantia intra , x quando il soggetto è sottinteso, come nel caso di  currit  !°. In tutti questi casi, si può dire che il concetto di compositio, in quanto fa riferimento agli elementi di cui esprime un rapporto, rientra nella categoria di relazione !!. Opposta alla composizione è la negatio !?. Particolarmente importante è la  compositio actus ut distantis  perché sta alla base del costituirsi della proposizione 5. Il caso più semplice è quello del verbo est: esso  consignificat compositionem , ma poiché rispetto agli altri verbi esso è natura prius giacché  in eis intelligitur  !, tutto quello che di esso si dice vale per gli altri verbi. Alla radice di questa interpretazione sta un passo già ricordato di Aristotele 5, ampiamente sviluppato dalla grammatica speculativa !. Che il verbo est, e 9 Ivi, p. 491D. 10 Cfr. ivi, e p. 486D: Quod autem in verbo fit compositio actus ut distantis, patet per hoc quod actus significatus per verbum semper significatut ut de altero; cum nam dico “‘cutrit’, oportet intelligere substantiam determinatam, de qua dicatur ‘curtit’, ut praedicatum de subiecto . 11 Si veda ivi, p. 484A: Sciendum ergo quod compositio ad aliquid est, quia compositio est compositorum, et compositio et composita sunt compositione composita quare compositio in praedicamento relationis erit . Cfr. anche H. Roos, Das Sophisma des Boetius von Dacien  Omnis homo de necessitate est animal in doppelter Redaktion,  Classica et Mediaevalia , XXIII (1962): la  necessitas habitudinis terminorum  (p. 190) non è altro che  necessitas compositionis  (pp. 191-192). 12 Perri HisPANI op. cit, p. 490D: Cum secundum diversitatem compositionis (ex compositionem) diversificetur negatio, ideo post compositionem, dicendum est de negatione ; ma cfr. L.M. DE Rjk, On the Genuine Text of Peter of Spain's Summule logicales, II, cit, p. 89: natura divisionis non potest cognosci nisi cognoscatur natura compositionis . 13 PerRI HISPANI, op. cit., pp. 487A sgg. 14 Ivi, p. 483F. 15 De interpr. 3, 16b 22-25 (cfr. cap. ILI, n. 8). 16 Cfr. ad esempio Tommaso DI ERFURT, Gramzzatica speculativa, in Duns ScotI Opera omnia, I, cit., xxvii, $ 1, f. 59b:  Verbum habet quendam modum significandi, qui vocatur corzpositio, de quo antiqui 502 Alfonso Maierù quindi ogni altro verbo, significhi quella compositio che è rapporto fra due termini nella proposizione è dottrina comune; non altrettanto comune è la dottrina che suo opposto sia la regatio. Si legga Guglielmo di Shyreswood: Sequitur de hac dictione ‘non’, et videtur quod debeat esse verbum quia significat divisionem et haec, ut videtur, opponitut compositioni denotatae per hoc verbum ‘est’, et sic debet esse verbum sicut et ipsum; contraria enim ejusdem sunt generis. Et dicendum quod haec ratio peccat dupliciter, tum quia haec dictio ‘non’ cum significet divisionem tantum — haec dictio ‘est’ non significat compositionem tantum ut dictum est prius et sic non significant contraria — tum etiam quia compositio denotata sive consignificata per hoc verbum ‘est’ non opponitur ei quod est ‘non’, quia compositio est modus significandi dependenter, ratione cujus exigit sibi nominativum et hoc est illud quo propositio est unum ex suis partibus. Cum autem huic consentit Grammatici mentionem expresse non fecerunt, quem tamen modum moderni Verbo attribuunt, moti ex dicto Philosophi I. Perihermenias, cap. 3. ubi dicit quod hoc Verbum est, significat quandam compositionem, quam sine extremis non est intelligere; et tamen hoc Verbum, est, in omni Verbo includitur, tanquam radix omnium, ideo compositio omni Verbo inhaeret, per quam Verbum distans a supposito, ad suppositum principaliter inclina tur  (ma cfr. xviii, $ 10, f. 53b, dove l’autore, trattando della figura, afferma che essa  sumitur a proprietate rei  e che le proprietà comuni in rebus sono tre,  proprietas simplicis, proprietas compositi, et proprietas decompositi , e continua. Ab his tribus proprietatibus imponit Logicus tres voces, ad significandum scilicet Terminum, Propositionem, et Syllogismum, licet aliter sumatur simzplicitas, compositio, et decompositio in nomine figurae simplicis, compositae et decompositae, quam in Termino, Propositione, et Syllogismo. In Propositione enim et Syllogismo sumitut compositio secundum distantiam circa diversa significata diversarum vocum cadens. Sed in nomine compositae, et decompositae figurae, sumitur compositio secundum distantiam vocum circa idem significatum eiusdem dictionis cadens ). Cfr. anche Martino DI Dacia, Modi significandi, cit., nr. 112, p. 53: Huic autem modo significandi essentiali generali iungitur alter modus significandi immediatior qui dicitur compositio, et ille complectitur ab omni verbo. Et est compositio modus significandi sive intelligendi uniens exttemum distans cum altero extremo ; R. BACcONE, Surzza gramatica, cit., p. 80. Terminologia logica della tarda scolastica 503 anima, asserit et est affirmatio; cum autem dissentit, deasserit et est negatio. Est ergo compositio hujus verbi ‘est’ sicut subjectum affirmationi et negationi et opponitur negatio ejus quod est ‘non’ affirmationi et non compositioni, nisi affirmatio vocetur compositio, et hoc est aliud a compositione hujus verbi, ut dictum est !. In breve, la compositio è anteriore all’affermazione e alla nega- zione, e perciò la particella zor non si oppone a compositio; ma se si assume compositio nel senso di affirmatio, la negazione non vale divisio, e si ha una contrapposizione. L’equivalenza tra com- positio e affirmatio, divisio e negatio è affermata da Boezio !* ad I? Cfr. Syncategoremata; ma cfr. anche: Sed vi- detur adhuc quod quando ‘est’ est tertium adjacens, non sit ibi praedicatum, sed solum compositio   (cfr. W. or SHERWwooD'°s Introduction to Logic, cit., p. 27, n. 25), e Introductiones in logicam, cit., p. 33:  Sed (sc. verbum) consignificat compositionem, quae est copula et omne aliud verbum sic con- significat per naturam illius. Cfr. MARTINO DI DACIA, Quaestiones super librum Peribermeneias, in Opera, cit., q. 12  Utrum eadem compositio in numero est in affirmativa et in negativa , pp. 246-247:  Ad quaestionem dico, quod certum est, quod quaestio nostra non est de compositione, quae est actio intellectus, qua componit unum cum altero. Nam talis compositio solum est in affirmativa. Sed tantummodo quaerit de illa compositione, quae est modus intelligendi et datus verbo pro modo significandi, et de tali dico, quod ipsa est eadem numero affirmativa et negativa  . 18 Cfr. In Arist. Periermenias, II ed., cit., p. 49: Igitur quotiens huiusmodi fuerit compositio, quae secundum esse verbum vel substantiam constituat vel res coniungat, adfirmatio dicitur et in ea veri falsique natura perspicitur. et quoniam omnis negatio ad praedicationem constituitur igitur quoniam id quod in adfirmatione secundum esse vel constitutum vel coniunctum fuerit ad id addita negatio separat, vel ipsam substantiae constitutionem vel etiam factam pet id quod dictum est esse aliquid coniunctionem, divisio vocatur. Ma già in Boezio è l’affermazione dall’anteriorità della compositio intellectuum (e conseguentemente verborum, che su quella si modella) rispetto all’affirmatio e alla negatio (ivi, p. 75): Nunc vero quoniam in intellectibus iunctis veritas et falsitas ponitur, oratio vero opinionis atque intellectus passionumque animae interpres est: (quare) sine conpositione intellectuum verborumque veritas et falsitas non videtur existere. quocirca praeter aliquam conpositionem nulla adfirmatio vel ne504 Alfonso Maierù Abelardo ”, da Occam® a Billingham® e Strode?, Burleigh, poi, afferma in generale che il sincategorema è  dispositio compositionis  * e, in particolare, che i sincategoremi possono essere riferiti o alla  compositio materialis , cioè alla proposizione intesa materialiter (in quanto sta per se stessa), o alla  compositio formalis , cioè alla proposizione assunta nella sua valenza significativa *. Ma si ricordi che tutta la discussione sulla proposizione modale verte sulla questione se il 7z0dus determini o non determini la compositio o l’inhaerentia costituente la proposizione #5. Se la compositio fonda la proposizione tanto che  omnis progatio est  (cors. mio). 19 Cfr. Introductiones dialecticae, cit., p. 75:  Compositionem vocat affirmationem quia ostendit coniungi praedicatum subiecto. Divisionem vocat negationem quia dividit praedicatum a subiecto . Ma come Boezio, anche AseLARDO ritiene che la compositio intellectuum sia anteriore all’affirmatio e alla negatio (Logica ‘Ingredientibus’): Sed tamen consignificat (sc. ‘est’), id est cum aliis significat quandam comzpositionem, id est quendam compositum intellectum sive affirmativum sive negativum, et per compositionem tantum compositionem intellectus accipimus. Cfr. Prooemium libri Periermenias (in Expositio aurea, cit.):  Nam in compositione et divisione est veritas vel falsitas  e sine compositione et divisione, hoc est, sine affirmatione et negatione non sunt vera nec falsa . 2 Speculum..., cit., p. 338: Terminus est in quem resolvitur propositio, ut praedicatum et de quo praedicatur, apposito vel diviso esse vel non esse, id est in propositione affirmativa vel negativa  , e il ms. Venezia, Bibl. s. Marco, Z. lat. 277 (= 1728), f. 2r, espone (cit. ivi, p. 323):  composito vel diviso, esse vel non esse, idest in propositione negativa vel affirmativa . 2 Cfr. Logica, cit., f. 13rb:  Et dicuntur sola verba significare cum tempore, quia ipsa sola sunt instrumenta quibus mediantibus [anima est] anima est apta pro certo tempore componere vel dividere, id est affirmare vel negare . 23 Cfr. De puritate artis logicae, cit., p. 221. 2 Ivi, pp. 141, 224-225, 227, 235, ecc. 25 Cfr. cap. V, $ 3: compositio e inbaerentia sono sinonimi per le Sumzze Metenses e Guglielmo di Shyreswood positio est compositio  *, la proposizione composita però è la proposizione ipotetica: così per lo ps. Apuleio ”, per Ars Meliduna*, per Averroè ?, per Alberto Magno Un'altra accezione meno stretta di compositio è quella che denota l’unione di più voces costituenti un’oratio, non necessariamente una enuntiatio o propositio 8; in tal caso il termine è equivalente del boeziano comzplexio ®, e terminus compositus sta a designare anche l’unione di nome e aggettivo #. Ma compositio 2% L.M. De Rijk, On the Genuine Text of Peter of Spain's  Summule logicales , III, cit., p. 46 (è il commento a Pietro Ispano di Robertus Anglicus). 2 Cfr. Peribermeneias, cit., 2, p. 177 (v. cap. V, n. 26); cfr. SULLIVAN, Apuleian Logic, cit., pp. 24-30. 28 Op. cit., p. 352:  Deinceps ad compositas ypotheticas transeamus. Compositarum, prout hic accipitur ‘composita’, quatuor sunt genera . 2 Cfr. AristoTELIS Opera cum AverROIS commentariis, I, i, Venetiis 1562 (ed. anastatica Frankfurt a. M. 1962), De interpretatione I, 721:  Oratio  est vel simplex vel composita Composita vero est, quae ex duabus constat orationibus simplicibus . 3 Liber I Peribermeneias, in Opera, I, cit., p. 410b: enuntiatio simplexcomposita o hypothetica. 3 Cfr. PETER or SPAIN, Tractatus syncategorematum..., cit., p. 20 (proposizione imperfetta). 32 Cfr. Boezio, In Cat. Arist., cit., 169A: Sine complexione enim dicuntur quaecunque secundum simplicem sonum nominis proferuntur, ut homo, equus: his enim extra nihil adjunctum est. Secundum complexionem dicuntur quaecunque aliqua conjunctione copulantur, ut aut Socrates aut Plato, vel quaecunque secundum aliquod accidens conjunguntur ; e 181A (il testo è nella n. 6, cap. III). Si noti però che cormzplexio vale anche conclusio e ‘dilemma’ in Cicerone (cfr. KNEALE, op. cit., p. 178). 3 BrLLincHAM, Speculum..., cit., p. 351:  Sic cum terminis compositis, ut ‘homo albus currit: hoc cutrit et hoc est homo albus, igitur etc.’ ; il termine compositus nell'esempio è homo albus. Cfr. Pietro DI MANTOVA ALBOINI, Logica, cit., f. [66vb]: nomen compositum  è  vox incomplexa  risultante di più parti:  Verumtamen quia consuevimus scire quid vocabulum significaret extra compositionem, cum veniunt duo vocabula in compositione, vocabulum illud resultans dicimus significare aut connotare illud quod istae duae dictiones significant per se sumptae antequam intrarent compositionem  506 Alfonso Maierù designa anche l’unione di termini significativi nella proposizione o nel periodo #. Un’accezione più tecnica di compositio, ma poco diffusa, è quella che denota il procedimento logico della probatio quando si procede dai termini superiori: così in Billingham *, e forse i precedenti sono da rintracciare nei Tractatus Anagnini* e nelle Summulae di Pietro Ispano ”. Nella dottrina della conoscenza (in particolare del giudizio), compositio si oppone a resolutio e designa o, platonicamente, il processo dal molteplice all’unità oppure, aristotelicamente, il processo dal semplice al complesso *. (esempio può essere respublica); invece, nota il Mantovano (ivi, f. [65ra]): quilibet conceptus mentalis est simplex, ita quod nulla est pars orationis in mente quae sit composita, quia tunc partes orationis significarent separate . HevrEsBury, De sensu composito et diviso, cit., f. 3a-b, ha terminus aggregatus (es.  duo homines ). * HevTesBury, De scire et dubitare, cit., f. 14vb:  et quod illa propositio significat praecise iuxta compositionem terminorum , e f. 15va: et quod haec propositio ‘hoc est homo? significat primo et principaliter iuxta compositionem terminorum ; STRODE, Conseguentiae, cit., f. 32ra:  Sed omnes istae regulae debent intelligi generaliter cum significant praecise ex compositione suarum partium primarie praecise significantium . 35 Cfr. cap. VI, n. 55. 3% Tractatus Anagnini, cit., p. 225: Contra hoc quidam dicunt: illud quod est superius cognitione, etiam fit pars in constitutione inferioris, perhibentes speciem constate ex genere et substantialibus differentiis. Hoc verbo quidem simplices abducti dicebant genus esse quasi materiam, differentias vero quasi formas ex quibus iunctis constitueretur species. Sed dicit Magister Adam: “omne significatum dictione est simplex et incompositum”; et dicit ‘componitur’, idest diffinitur, ‘constitutio’ pro diffinitio, ‘constitutio specie? pro diffinitio speciei. Item, compositio illa, secundum quam reducuntur inferiora ad sua superiora, opposita est illi compositioni, secundum quam superius reducitur ad sua inferiora ; il procedimento, caratterizzato da Billingham come compositio, è il primo, se per reducere si intende ‘ricondutre’, ‘riportare’ logicamente. 3 Cfr. GarceAU,  Iudicium ..., cit., pp. 268-269; cfr. n. 5 al cap. VI Terminologia logica della tarda scolastica 507 Per quanto riguarda, infine, la terminologia impiegata nella trattazione del senso composto e del senso diviso, notiamo che vengono usate le seguenti espressioni: fallacia compositionis fallacia divisionis, o semplicemente compositio (o coniunctio)divisio; sensus compositionis sensus divisionis; sensus compositussensus divisus®. 2. Aristotele Le fallaciae del ‘senso composto’ e del ‘senso diviso’ sono illustrate da Aristotele negli Elenchi sofistici, ai capitoli 4° e 20 #!. Incluse tra gli errori dipendenti dal linguaggio usato (rapà TÙv Mew, secundum locutionem, o dictionem) esse sono stretta. mente connesse, tanto da rappresentare l’una il reciproco dell’altra. Infatti, si ha fallacia in senso composto quando si congiungono termini che vanno tenuti divisi, e si ha fallaci in senso diviso quando si dividono termini che vanno presi in congiunzione tra loro. Perciò, nel corso del capitolo 20, Aristotele  sugge 39 La schedatura del De sensu composito et diviso di HevresBurY ha dato i seguenti risultati: oltre a sensus compositus e sensus divisus, l’autore usa, per designare senso composto e senso diviso: compositio e divisio (ivi, ff. 2ra, 2rb tre volte, 3va, 4ra), fallacia compositionis et divisionis (f. 3ra-b) e ancora: sensus divisus significat divise  (f. 2vb),  diversitas componendi vel dividendi  (f. 2ta),  componere vel dividere  (f. 3rb); usa inoltre compositio per indicare l’unione di più termini che segua un altro termine, ad esempio possibile (f. 2rb, 2va tre volte); simplex compositio    duplex compositio  (f. 3rb). Per le occorrenze nelle Regulae, cfr. n. 147. 4 De soph. el. 4, 165b 26 e 166 a 23-38. 41 Ivi 20, 177a 33-b 34. . 4 Ivi, 177a 34-35; transl. Boethii (rivista in base alle indicazioni fornitemi da L. Minio-Paluello con lettera del 23.12.71) in Boezio, Elenchorum sophisticorum Aristotelis interpretatio, P. L. 64, 1029C (si tratta della traduzione boeziana elaborata sul greco dal Lefèvre d’Etaples:  Manifestum autem et eas, quae propter compositionem et divisionem, quomodo solvendum, nam 508 Alfonso Maierù risce di assumere in congiunzione i termini che, intesi divisi, dànno luogo alla fa/lacia in senso diviso e, viceversa, di assumere divisi i termini che, congiunti, dànno luogo alla fa/lacia in senso composto. I medievali hanno poi fatto propria la raccomandazione aristotelica: ripetono spesso ubi peccat compositio, ibi solvit divisio , e viceversa ‘, e trattano insieme le due fallaciae come due complementari possibilità di errore. Gli esempi con i quali Aristotele dà una prima illustrazione del senso composto sono: a)  possibile est sedentem ambulare, et non scribentem scribere ; b)  discit nunc litteras, si quis didicit quas scit ; c)  quod unum solum potest ferre, plura potest ferre  *. È evidente che l’errore si divisa et composita oratio aliud significat cum concluditur, contratium dicendum ; ma v. anche De sopb. el. 23, 179a 11-14; transl. Boethii in Boezio, op. cit., 1032B. 4 Cfr. Glose in Aristotilis Sophisticos elencos, cit., p. 246:  Conpositio est solvenda per divisionem, et divisio per conpositionem ; Fallacie Parvipontane: Ubi enim fallit divisio, ibi solvit compositio, et econverso ; Vincenzo DI BEAUVAIS, op. cit., 277: Iuxta quod dicit Aristoteles, ubi fallit compositio, ibi soluit divisio, et e converso  e ad haec omnia docet Aristoteles simul soluere, scilicet ut si concludatur divisim, dicendum est quoniam coniunctim concessum fuit, et e converso ; Ps. BACONE, Sumule dialectices, cit., p. 342: Nemo enim debet dubitare quin fallacia composicionis decurrat super hanc maximam, ‘si conjunetim ergo divisim’, divisio super hanc maximam, ‘si divisim ergo conjunctim’; ergo (in) fallacia composicionis conceditur composicio et probatur divisio, et in fallacia divisionis e contrario ; ALBERTO M., Liber I Elenchorum, in Opera, IL, cit., p. 547b:  Adhuc autem notandum, quod licet semper simul sint compositio et divisio in oratione quantum ad hoc quod si compositio fallit, divisio solvit, et e converso ; ALBERTO DI Sassonia, Logica, cit., V, 4, f. 40rb: omnis syllogismus peccans per fallaciam compositionis solvitur pet divisionem et e converso ; BILLINGHAM, De sensu composito et diviso, in Speculum..., cit., p. 387, ma cfr. n. 97. % De sopb. el. 4, 166a 23-32; transl. Boethii in Boezio, op. cit., 1010D1011A. Teniamo presente anche le osservazioni di COLLI (si veda) in ARISTOTELE, Organon, trad. it. e note, Torino. Per il terzo esempio, il Colli rinvia a PLaToNE, Euthyd., 294A. Terminologia logica della tarda scolastica 509 nasce in tutti i casi dal porre in congiunzione termini che vanno presi separatamente: la prima proposizione va intesa così: ‘chi sta seduto può camminare, chi non scrive può scrivere’, mentre, assumendo congiunti i termini sedentem-ambulare, scribentemscribere, si cade in errore; la seconda va interpretata: ‘intende le lettere, giacché ha imparato ciò che ora conosce’ e non: ‘intende le lettere, giacché ha ora imparato ciò che conosce’, congiungendo didicit-nunc; la terza: ‘chi può portare un solo oggetto, può portarne più’ uno per volta, non contemporaneamente. Gli esempi che Aristotele utilizza per il senso diviso sono: a)  quod quinque sunt duo et tria, paria et imparia, et quod majus aequale, tantumdem enim est majus et adhuc amplius ; b)  ego posui te servum entem liberum ; c)  quinquaginta virum centum heros liquit Achilles  4. In questo caso, gli enunciati vanno così interpretati. Il primo: 5 è uguale a 2 e 3, e il 2 e il 3 sono rispettivamente pari e dispari; non è vero che 5 è uguale a 2 e 5 è uguale a 3 (separatamente) e quindi che 5 è insieme pari e dispari; né è vero che qualcosa è maggiore ed uguale a qualcos'altro, che seguirebbe se si ritenesse che 5 è uguale a 3 e che 5 è uguale a 2 (mentre è maggiore di entrambi) per il fatto che 5 è uguale a 3 e a 2. Il secondo: ‘io ho fatto di te che eri schiavo un uomo libero”, mentre non è corretto intendere (separatamente) ‘io ti ho fatto schiavo e io ti ho fatto libero’. Il terzo: ‘di cento uomini il divino Achille lasciò cinquanta’, ma non separando la parola virum da centum e congiungendola a quinquaginta. Nel capitolo 6, poi, dove tutte le fallacie sono ricondotte all’ ignoratio elenchi  ‘, Aristotele afferma che composizione e divisione derivano dal fatto che il discorso, nonostante l’appa4 De sopb. el. 4, 166a 33-38; transl. Boethii in BoEzio, op. cit., 1011A; il secondo esempio, che ha riscontro in TERENZIO, Andria (v. 37: Scis: feci ex seruo ut esse libertus inihi ), probabilmente deriva da una commedia greca; il terzo, forse da un poema perduto. 4 De sopb. el.] renza, non è lo stesso se inteso in un modo o nell’altro, e perciò i due sensi vanno distinti alla ricerca di quello corretto ”, Infine, nel capitolo 20, dove mostra la soluzione da dare a questo tipo di fallacia, Aristotele dà un altro buon numero di esempi di enunciati, nei quali l’interpretazione in un senso o nell’altro conferisce al tutto un valore diverso. Ricordiamo tre di essi che hanno avuto una certa fortuna nel medioevo. Il primo:  Putasne quo vidisti tu hunc percussum, illo petcussus est hic? et quo percussus est, illo tu vidisti? , donde appare la differenza tra il dire  videre oculis percussum  e il dire  oculis percussum videre  (‘vedere, con gli occhi, colui che è percosso’ e ‘vedere, colui che è percosso con gli occhi’): esso avrà fortuna nel secolo XIII, in concorrenza con il secondo esempio del senso composto sopra riportato. Il secondo è:  Putasne malum sutorem bonum esse? sit autem quis bonus, sutor malus, quare sutor malus  ® e mostra la difficoltà che nasce dal fatto che attributi opposti sono congiunti con lo stesso nome; il calzolaio, buon uomo e cattivo artigiano, non può essere ciabattino buono e cattivo insieme. Il terzo esempio è:  Putasne ut potes, et quae potes, sic et ipsa facies? non citharizans autem habes potestatem citharizandi, 47 Ivi, 168a 26-28; cfr. anche 7, 169a 25-26. nei 20, 177a 36-38 e b11; transl. Boethii in Borzio, op. cit., 1029D# Ivi, 177b 14-15; transl. Boethii in BorzIo, op. cif., 1030A. L’esempio occorre anche in De inferpr. 11, 20b 35-36, dove si discute della liceità di affermare  unum de plutibus vel plura de uno  e quindi di operare un’inferenza valida da due proposizioni in congiunzione tra loro con predicati differenti e identico soggetto (ma è da notare che la transl. Boethii,  Aristoteles latinus , II, 1-2, cit., p. 24, ha citharoedus dove Aristotele ha oxvTEÙS) a una proposizione con soggetto immutato e predicati in congiunzione tra loro. fa Terminologia logica della tarda scolastica 511 citharizabis igitur non citharizans  9; esso si ricollega al primo degli esempi del senso composto sopra ricordato. La dottrina di Aristotele, per quanto riguarda il nostro argomento, è tutta qui. Un contributo potrebbe ticavarsi dalla discussione dei sillogismi modali a premesse in senso composto o in senso diviso, ma le due pagine della logica aristotelica non sono accostabili immediatamente 5. Per l’una, come per l’altra, saranno i maestri medievali a fornire analisi più precise e puntuali. 3. Da Boezio alla fine del sec. XII La prima patte della Logica modernorum di De Rijk è, come s'è detto, uno studio sulla dottrina dei sofismi nel medioevo fino al secolo XII incluso. I risultati cui l’autore è giunto sono i seguenti: a) la prima fonte per la dottrina dei sofismi nell’alto medioevo è Boezio, che ne fornisce alcuni elementi nel secondo commento al De interpretatione © e nell’Introductio ad syllogismos categoricos *. Ma tra i sofismi esaminati da Boezio in questi testi non figurano quelli secondo la composizione e la divisione; De soph. el. 20, 177b 22-25; transl. Boethii in Boezio, op. cit., 1030A. 51 Cfr. BocHENSKI, La logigue de Théophraste, cit., che registra a p. 136 ( Index des termes techniques grecs ) solo Statpeote, che però occorre, alle pp. 63 sg. e 114, a proposito della ‘scala ontologica’ platonica, dalla quale trae origine il sillogismo aristotelico, e del rapporto tra i termini di questo. 52 In Arist. Periermenias, II ed., cit., pp. 129-134, cit. in De Rgk, Logica modernorum, I, cit., pp. 25-27; le fallaciae ricordate sono quelle secundum aequivocationem, secundum univocationem, secundum diversam partem, secundum diversum relatum, secundum diversum tempus, secundum diversum modum: cfr. ivi, pp. 27-28. 5 Op. cit., 778B-780A e 803B-D; cfr. DE Rik, op. cit., I, pp. 4041. 5 Cfr. il prospetto in cui sono confrontati i risultati raccolti dai due testi boeziani in De Rik, op. cit., I, pp. 42-43. Ma cfr. Frustula logicalia, cit, p. 616: Queritur cur Boetius non enumeravit divisionem et coniunctionem et amphiboliam, que magis proprie impediunt propositionum dividentiam 512 Alfonso Maierù b) sulla traccia di Boezio si muovono le varie Glosule in Peribermeneias fino ad Abelardo 5; c) il primo cenno in Abelardo al sensus per divisionem e al sensus per compositionem quale indicato dagli Elenchi sofistici è nella Logica ‘Ingredientibus’, a proposito delle modali: la modale in senso composto è modale de Sensu, la modale in senso diviso è modale de re *; d) Adamo Parvipontano nell’Ars disserendi enumera i sofismi ex coniunctione ed ex disiunctione, corrispondenti al senso composto e al senso diviso di Aristotele”, segno di una più decisa penetrazione degli Elenchi sofistici nelle scuole medievali. Ma è con i primi commenti agli Elenchi sofistici prodotti dalla scuola di Alberico di Parigi e poi con i commenti dei Parvipontani che si hanno le prime esposizioni sistematiche del senso composto e del senso diviso, tanto che esse penetrano anche nelle esposizioni del De interpretatione, là dove Boezio aveva introdotto le fallaciae 8. Noi cercheremo di ripercorrere brevemente il cammino della dottrina utilizzando i testi editi dal De Rijk. Le Glose in Aristotilis Sophisticos elencos dànno un’analisi abbastanza elementare del testo aristotelico, e riferiscono opinioni di maestri precedenti. La conpositio è definita  [....] proprietas orationis secundum quam ea que divisim data sunt, coniunctim accipiuntur, ut ‘iste veronensis valet bunc panem et hunc, ergo vale duos panes’. Non sequitur, quia datum est istum veronensem quam que enumerat . Cfr. n. 58. 55 Cfr. De Rijx, op. cit., I, pp. 44-48. $ Op. cit., p. 489, e Glosse super Periermenias..., cit., p. 13; cfr. De Rijk, op. cit., I, pp. 57 sgg., dove si discute della conoscenza che Abelardo aveva degli Elenchi sofistici. 5 Op. cit., pp. 63 e 65; cfr. De Ru, op. cit., I, pp. 72 sgg. 5 Cfr. Frustula logicalia, cit., p. 613, pp. 616 sg. (cfr. n. 54) e p. 619:  Videntur tamen quedam esse que impediunt contradictionem, que Boetius non ponit, scilicet divisio, compositio, accentus, amphibologia . Terminologia logica della tarda scolastica 513 valere hunc et hunc panem divisim, sed non coniunctim  9. Ciò che distingue la compositio e la divisio è questo: quando la seconda è vera e la prima è falsa, si ha il sophismza conpositionis, quando la conpositio è vera e la divisio è falsa, si ha il sophisma divisionis®. I modi o le specie di composizione sono tre, per il nostto testo:  quandoque conponimus plura uni, ut ‘iste veronensis valet bunc et bunc pane; quandoque unum pluribus, ut ‘Socrates et Plato habet unum caput’; quandoque plura inter se, ut ‘possibile est album esse nigrum’ vel ‘hic et hic veronensis valet istum et istum panem’ ®®. Nel testo si introduce una distinzione importante: senso composto (corpositio) e senso diviso (divisio) possono avere otigine in voce, cioè nella struttura linguistica della frase, o securdum intellectum, cioè nella diversa intelligenza della frase stessa °°. Apprendiamo che Maestro Giacomo Veneto riteneva che oggetto dell’analisi del logico sia la struttura della frase ® giacché il logico in essa individua le difficoltà o deficienze che dànno luogo ai sofismi. Un esempio di questo modo di considerare il senso composto e il senso diviso può essere il seguente, relativo al senso composito:  ‘omne non-scribens potest scribere, sed Socrates est nonscribens, ergo potest scribere, ergo Socrates scribit’  dove  datum est Socratem scribere cum potentia (sc. potest scribere) et postea divisum est a potentia, cum intulit: ‘ergo Socrates scribi  *. 5 Op. cit., p. 209. 9 Ivi. s Ivi. 6 Ivi, p. 246 (a De sopb. el. 20, 177b1):  Due sunt species divisionis et conpositionis, (una) secundum intellectum, et altera secundum vocem . 6 Ivi, p. 209:  Magister vero Iacobus dicit conpositionem et divisionem tantum esse in voce, et non secundum intellectum. Est autem conpositio secundum ipsum quando aliguid conponitur cum aliquo et postea accipitur divisim et seorsum . # Ivi. 33 514 Alfonso Maierù Il nostro autore, per la verità, almeno in due luoghi riconosce che Aristotele tratta della corpositio e della divisio  secundum vocem , e sottolinea il primato dell’oratio che esprime l’intellectus ©. Questi rilievi sono importanti perché permettono di notare come i maestri medievali mirassero a trasferire sul piano linguistico il discorso sui sofismi, in modo da trovate su questo piano accorgimenti formali atti a evitare errori. Un altro testo, quasi contemporaneo alle Glose, cioè la Surzzza Sophisticorum elencorum, critica questa tesi e il tipo di analisi in vocibus o in sermonibus o în terminis % e sostiene che il sofisma in senso composto (compositionis) o in senso diviso (divi sionis) ha origine in intellectibus, nel fatto cioè che una proposizione si presta ad essere interpretata secondo diversi punti di vista. Si richiama l’attenzione, ad esempio, sulla proposizione  possibile est sanum esse egrum , la quale, intesa in senso diviso, è vera, in senso composto è falsa, senza che la diversa considerazione implichi modificazioni nella struttura linguistica 65 Ivi, p. 222 (a De sopb. el. 6, 168a 26):  Ad quod dicendum quod Aristotiles loquitur hic de conpositione et divisione que fit secundum vocem et non secundum intellectum. Et conpositio et divisio secundum intellectur continetur sub oratione, quia oratio continet amphibologiam et conpositionem et divisionem  (cors. mio), e p. 246 (a De soph. el. 20, 177b1; continua il testo cit. in n. 63):  Sed cum dicit Aristotiles: “quod est secundum divisionem, non est duplex”, tunc loquitur de divisione vocis, quia alia vox est divisa et alia conposita. Quidam enim dicunt quod hec conpositio fit in intellectibus; quidam alii dicunt quod tantum fit in vocibus . Illi qui dicunt quod fit in sermonibus vel in vocibus , e p. 314: Et ideo sciendum est quod secundum illos qui dicunt sophisma conpositionis tantum esse in terminis: Hec autem sententia, scilicet quod compositio dicatut tantum in terminis, nobis non placet. Sed dicimus quod fallacia compositionis fit in intellectibus, et hoc videlicet quod plura significantur vel intelliguntur in aliqua oratione ; lo stesso vale per la divisio, pp. 317 sgg. Terminologia logica della tarda scolastica 515 della frase. Lo stesso testo ammette, però, che i sostenitori della tesi opposta evitavano l’errore in senso composto o in senso diviso ricorrendo ad accorgimenti riguardanti la disposizione dei termini nell’enunciato. L’opposizione del nostro anonimo autore, in realtà, non vale a negare una linea di tendenza che riconosce nella constructio, nella ‘sintassi’, cioè nella diversa disposizione dei termini nell’enunciato, l’unica possibilità di fissare regole stabili per il riconoscimento dell’un senso e dell’altro. Semmai, le sue critiche sottolineano la necessità di un’analisi approfondita, i cui risultati valgano a fugare ogni dubbio. Et ideo sciendum est quod secundum illos qui dicunt sophismata conpositionis tantum esse in terminis, fit illa talis conpositio duobus modis, aut scilicet quando prius coniungimus duas voces et postea separamus, scilicet cum relinquimus unam et concludimus aliam, ut superius diximus [è il caso di  potest scribere  nell’antecedente e  scribit  nella conclusione], aut quando prius aliquod adverbium iungimus cum aliquo verbo, postea illud idem iungimus cum alio verbo, ut in supradictis paralogismis patuit [è il caso, ad esempio, di  verum est nunc Socratem fuisse conclusum, ergo nunc verum est quod Socrates fuit conclusus ]. Et etiam sciendum est quod secundum istos nulla orationum predictarum est multiplex. Unde non est dividendum, sed dicendum quod alia est conposita et alia divisa. Ut in istis est: ‘veruzz est nunc Socratem fuisse percussum’, hec est composita: ‘ergo verum est quod Socrates fuit percussus nunc’, hec divisa . 70 Sulla scia della Summa, almeno per quanto ci riguarda, si muovono le Fallacie Vindobonenses, cit.: analoga è la caratterizzazione della fallacia in base all’intelligere (p. 508: Fallacia compositionis est quando compositio est falsa, et divisio vera, ut ‘omnia individua predicantur de uno solo’. Si velis intelligere coniunctim, falsum est. Si vero divisim, verum est, idest quod unumquodque individuum predicatur de uno solo. Fallacia divisionis est quando divisio est falsa et compositio vera, ut ‘duo et tria sunt quinque?. Si velis intelligere divisim, falsum est; si vero coniunctim, verum est), come è analoga la distinzione dei paralogismi secundum habundantiam e secundum defectum (cfr. la Summa, cit., p. 320:  Item. Vel alii paralogismi qui fiunt secundum habundantiam et defectionem, de quibus dubium est sub [Più interessante la trattazione della compositio e della divisio contenuta nelle Fallacie Parvipontane. Precisato che senso composto e senso diviso sono pertinenti alla substantia vocis, cioè alla ipsa vox, mentre accentus e figura dictionis spettano agli accidentia vocis, compositio e divisio sono così descritte: Compositio itaque est fallax coniunctio aliquorum que voce et intellectu dividi debelre)nt vel intellectu tantum. ‘Fallax coniunctio’ dicitur ideo quia nisi sit fallacia, non est compositio. Hoc enim nomen ‘compositi’ prout hic sumitur, nomen fallacie est; ‘voce et intellectu ideo dicitur quia compositionum alia fit voce et intellectu, ut hec: ‘possibile est album esse nigrum’, alia intellectu tantum, ut hec: ‘ista navis potest ferre centum homines”. Divisio est fallax divisio aliquorum que voce et intellectu coniungi deberent". Riteniamo che ciò che è detto di compositio valga anche di divisio, anche se non risulta esplicitamente dal testo. Compositio e divisio sono dunque i nomi delle fallacie, la prima delle quali è una congiunzione erronea, la seconda una divisione erronea di termini: congiunzione e divisione erronee che hanno la loto radice non solo nella vox ma anche in intellectu, o addirittura soltanto nell'intelletto ??; con ciò il testo assume una posizione media tra chi qua specie fallaciarum reducantur , e le Fa/lacie Vindobonenses, cit., p. 509: Item fiunt paralogismi secundum compositionem. (Qu)orum quidam videntur fieri secundum superhabundantiam, quidam (secundum) defectum : ma il rilievo è già in DE Ry. Più oltre ci si chiede quale differenza vi sia tra la fallacia secundum plures interrogationes ut unam e compositio e divisio:  Eadem enim est oratio sophistica ex compositione et divisione et secundum hanc fallaciam. Verbi gratia: ‘quingue duo sunt et tria’. Sub hac forma proponuntur plures propositiones velut una. Potest etiam intelligi composita, similiter et divisa. Et videntur adtendi omnes iste fallacie secundum idem quod secundum copulationem terminorum. Et tamen adtendenda est differentia quia compositio vel divisio fit secundum coniunctionem vel disiunctionem vocis cum coniunctione vel disiunctione intellectus; fallacia Terminologia logica della tarda scolastica 517 sosteneva che la radice del sofisma è la vox e chi sosteneva ch'è l’intellectus. i; 3 L’anonimo autore presenta poi un’accurata analisi dei vari ‘modi’ sofistici propri del senso composto e del senso diviso. Essi sono undici: cinque sono comuni ai due sensi, tre del senso composto, tre del senso diviso. Esaminiamo i primi cinque modi comuni. Primus  est quando aliqua dictio ita sumi potest ut sit subiectus vel predicatus per se vel determinatio predicati ?3. La proposizione  possibile est album esse nigrum  può essere interpretata in modo da considerare possibile soggetto e il resto predicato, o viceversa, e meglio, che il dictum  album esse nigrum  sia soggetto e possibile sia predicato: in tal caso, la proposizione è in senso composto ( erit oratio composita ) e falsa; oppure, si può intendere che possibile sia  determinatio pre dicati , cioè che a/bum sia soggetto e  possibile est esse nigrum  sia predicato; qui possibile determina solo il predicato determi. nando la copula est, e non è uno degli estremi della proposizione: essa interponitur, la proposizione è in senso diviso e vera”. Secundus modus est quando aliqua dictio ita sumi potest ut sit predicatus cuiusdam cathegorice vel determinatio consequentis cuiusdam ypothetice ”. Data la proposizione  Socratem esse animal si Socrates est homo autem secundum plures interrogationes ut unam facere fit secundum modum proponendi qui fit tanquam una proponatur, cum plures proponuntur. Unde non adtenditur secundum vocem ideoque extra dictionem dicitur esse hec fallacia; la prima interpretazione intende la proposizione come un  sermo de dicto , la seconda come  sermo de re; v. cap. V. 75 Ivi, p. 577. 318 Alfonso Maierùà est necessarium , si può intendere che mecessarium sia predicato del dictum di  si Socrates est homo, Socrates est animal : in tal caso la proposizione, composta di un soggetto (che è il dictum di una ipotetica) e di un predicato, è categorica, è in senso composto e vera; ma può intendersi che wecessarium determini solo il conseguente dell’ipotetica  si Socrates est homo, Socrates est animal  in modo tale che antecedente sia si Scenes est homo  e conseguente sia tutto  Socratem esse animal est necessarium : in questo secondo caso è in senso diviso e falsa ”. PA foce fee si qa aliqua propositio ita sumi potest ut È lusdam ypothetice copulate vel i i cuiusdam condicionalis 7, 7 iabnianicaii Sia data la proposizione  Cesar est animal et Cesar est substantia, si Cesar est homo : se la si intende come proposizione copulativa, le sue due proposizioni componenti congiunte da ef sono  Cesar est animal ,  Cesar est substantia si Cesar est homo ; in tal caso la proposizione è in senso diviso e falsa; se invece la si intende come una proposizione condizionale tuo antecedens è  si Cesar est homo  e suo consequens è  Cesar est animal et Cesar est substantia : qui  Cesar est animal è parte del conseguens: la proposizione è in senso composto e vera ®, Quartus modus est quando dictio di i A ; istrahi potest ad di diversorum potest esse determinativa”9, si VSS IRE Nella proposizione  quicquid est verum semper est verum , l’avverbio semper può intendersi in congiunzione col primo est o col secondo est: se si intende  quicquid est semper verum est verum.] la proposizione è in senso composto e vera; se si intende  quicquid est verum, semper est verum , è in senso diviso e falsa ®0. Quintus modus est quando aliqua dictio non posita intelligitur apponenda, vel semel posita intelligitur repetenda 8; Nella proposizione  Socrates videt solem ubi sol est  si può sottintendere existens, e se si congiunge a Socrates ( Socrates existens videt solem ubi sol est ) si ha senso composto falso ©, se invece si congiunge con solerz ( Socrates videt solem existentem ubi sol est ), si ha senso diviso vero. Invece nella proposizione  tu es vel eris asinus  si può intendere ripetuto un termine: se è da ripetere #4, si ha la proposizione  tu es vel tu eris asinus  che è una disgiunzione in senso diviso e vera (è vera la prima proposizione che la compone); se è da ripetere 4sir4s, si ha  tu es asinus vel eris asinus  che è una proposizione  de disiuncto predicato , in senso composto e falsa ®. I modi propri del senso composto e del senso diviso sono dati nel testo in parallelo e mostrano come un senso sia il reciproco dell’altro. Primus  modus qui est compositionis proprius, est quando aliqua predicantur de aliquo divisim que volumus fallaciter de eodem predicari coniunctim; Primus modus qui est proprius divisionis, est quando aliqua coniunctim predicantur que fallaciter volumus divisim predicari de illo *. 80 Ivi, p. 579. 81 Ivi. 8 In realtà, si può chiedere a chi vada riferito existens, se a Socrates, o a sol in ubi sol est; dalla conclusione del paralogismo seguente si ricava che va riferita a Socrates:  Potest enim intelligi hec dictio ‘existenten’, et sic propositio vera est; vel hec dictio ‘existens’, et sic propositio falsa est. Fit ergo secundum hoc talis paralogismus: ‘Socrates videt solem ubi sol est, sed ubicumque Socrates videt, ibi sol est, ergo Socrates est ubi sol est’  (ivi). 83 Ivi. 84 Ivi, p. 580. 520 Alfonso Maierùà L'esempio che illustra il modo del senso composto è:  hec ypotetica est simplex et est propositio, ergo est simplex propositio  nel consequens noi congiungiamo erroneamente due termini (& siva plex propositio ) che andavano tenuti divisi. Per il modo del senso diviso il testo fornisce quest’esempio:  iste homo est albus monachus et iste homo est monachus, ergo iste homo est albus : nella conclusione noi predichiamo albus di homo erroneamente separato (‘diviso’) dal termine monachus ®. i Secundus modus secundum compositionem est quando aliquid attribuitur pluribus gratia cuiuslibet eorum et postea assumitur tam uam attribuatur eis gratia eorum simul; Secundus modus secundum Siivi stonem est quando aliquid attribuitur aliquibus gratia eorum simul postea autem sumitur ac si attributum sit eis gratia singulorum *, i Anche qui gli esempi illustrano come il modo della composizione e quello della divisione siano reciproci. Per il senso composto:  individua predicantur de uno solo, sed ista duo Socrates e Plato sunt individua, ergo predicantur de uno solo ; è evidente che  predicari de uno solo  è proprio di ciascuno individuo non di più insieme. Viceversa, per il senso diviso:  isti duo hatiliies desinunt esse, si aliquis desinit esse, ipse moritur, ergo isti duo moriuntur ; desinere esse qui è predicato di duo homines insieme considerati, mori è predicabile solo di ciascuno singolarmente preso: posto perciò che solo uno dei due uomini muoia, è vero che isti duo homines desinunt esse , ma non che  tei duo moriuntut , Tertius modus qui est secundum compositionem, est quando aliquid attribuitur alicui respectu diversorum temporum, postea fallaciter infertur ac si attributum sit illud respectu unius temporis tantum 88; Tertius modus qui proprius est divisionis, est quando aliqua negando sive affirmando attribuuntur alicui coniunctim, postea vero separatim inferuntur ®, Anche in quest’ultimo caso si ha, come nei due precedenti, una diversità di predicazione.  Socrates fuit in diversis locis, ergo verum fuit Socratem esse in diversis locis  e  album fuit nigrum, ergo verum fuit album esse nigrum  sono esempi che illustrano come ciò che è predicato va inteso divisimz secondo una diversa verificazione temporale e non coriunctim, cioè con simultanea verificazione; sono perciò esempi del senso composto.  Socrates non potest esse albus et niger, ergo Socrates nec potest esse albus nec potest esse niger : la negazione qui riguarda la contemporanea predicabilità di due contrari, non la predicabilità anche ‘divisa’ di essi; è un esempio di senso diviso”. Questa lunga analisi dei vari modi — che trova riscontro in parte nei Tractatus Anagnini* ed è presupposta dalle Fallacie 89 Ivi, p. 582. 90 Ivi, pp. 581-582. 9 Op. cit., pp. 331-332: si esaminano congiuntamente compositio e divisio. Il testo annuncia  septem principales modos  (p. 331), ma s’interrompe dopo il sesto. I primi due modi corrispondono ai primi due modi comuni delle Fallacie Parvipontane (ivi: per il primo modo è dato l'esempio album possibile est esse nigrum ; il secondo segue il primo senza soluzione di continuità ed ha il seguente esempio:  necessarium est Socrates esse animal, si Socrates est homo ); il terzo modo ( deceptio proveniens ex diversa transsumptione partium orationis , ivi) può essere così illustrato: data  quodlibet animal est de numero hominum , se si intende che est è il predicato e tutto il resto costituisce il soggetto, la proposizione è vera e vale  quodlibet animal de numero hominum est , cioè vive; se invece  quodlibet animal  è soggetto, est la copula,  de numero hominum  il predicato, allora è falsa. Manca il quarto modo. Il quinto è  deceptio proveniens ex diversa determinatione orationis ad orationem, dictionis ad dictionem  (ivi, pp. 331-332): dato l'esempio  decem et octo homines sunt decem et octo asini , se si intende come se fosse  decem et octo homines sunt totidem asini , la proposizione è falsa; se invece si sostantivizza decemz, essa vale  Londinenses® — va tenuta presente perché rappresenta un tentativo serio di fissare, nella struttura della proposizione, elementi per individuare l’origine degli errori e quindi fornire la soluquanto  decem res sunt decem homines et octo asini ed è vera. Infine:  Sextus modus est deceptio proveniens ex diversa coniunctione vel disiunctione: data verum est Platonem et Ciceronem et Socratem esse duo , se la congiunzione “et” è sempre copulativa -- cioè congiunge proposizioni --, l’enunciato è falso. Se una sola volta è copulativa, l’enunciato è vero e il senso è: ista duo enuntiabilia sunt duo. Questi modi non hanno riscontro nei modi comuni delle Fallacie Parvipontane, anche se l’ultimo ricorda il procedimento del quinto delle Fa/lacie (dove però è data la disgiun- zione) e il penultimo quello del quarto: ma gli esempi appartengono a una tradizione diversa. ® Op. cit., pp. 657 sgg., ha tredici modi, di cui sette comuni e tre propri alla composizione e alla divisione. Cominciamo dai modi propri: essi ripe tono, talora migliorandola, la formulazione delle Fallacie Parvipontane (in particolare, cfr. p. 661:  Secundus trium propriorum modorum composi- tioni provenit ex eo quod aliquid in una propositione predicatur collective et post predicatur distributive. Secundum hoc sic paralogizatur: ‘Socrates et Plato habent quatuor pedes, ergo sunt quadrupedes’ , dove formulazione ed esempio illustrano meglio lo spirito del modus, e p. 662: Tertius et ultimus propriorum modorum divisioni provenit ex eo quod in una propo- sitione aliquod verbum copulatur ratione unius instantis, in conclusione ratione plurium , che è formulazione che allinea bene al corrispettivo modo del senso composto il terzo del senso diviso). Dei modi comuni, il primo, il secondo e il sesto corrispondono rispettivamente al primo, secondo e quarto delle Fallacie Parvipontane. Il terzo modo [Tertius modus septem communium provenit ex eo quod sub eadem forma vocis incidunt due propositiones ipotetice ) si articola in una tri- plice suddivisione, di cui il primo elemento è accostabile al terzo modo comune delle Fal/acie. Gli altri due elementi sono:  Secundus subdivisorum provenit ex eo quod sub eadem forma vocis incidunt due propositiones ipotetice, quarum una est conditionalis, reliqua disiuncta  e  Tertius subdivisorum provenit ex eo quod sub eadem forma vocis incidunt due propositiones ipotetice, quarum una est copulativa, reliqua disiuncta. I rimanenti modi comuni sono: Quartus septem modorum communium provenit ex eo quod aliqua dictio potest determinare aliquam orationem totalem vel partem illius : data la proposizione omne animal Terminologia logica della tarda scolastica 523 zione di essi. Se è vero che, come riconosce Rijk, le analisi grammaticali hanno contribuito allo sviluppo della logica nel secolo XII più di quanto non abbia fatto la dottrina delle fallacie, è da ritenere che la stessa analisi dei sofismi, almeno per quanto ci riguarda, è condotta con criteri che hanno origine gram- maticale. In conclusione, nel secolo XII le strutture linguistiche in cui si concretizzano le fallacie del senso composto e del senso diviso vengono sottoposte ad attenta analisi”. Un testo delle Sentenze di Pietro di Poitiers è illuminante per quanto riguarda un orientamento che si fa luce: quello di individuare attraverso la stessa disposizione dei termini in una proposizione il senso com- posto o il senso diviso: rationale vel irrationale est homo , ome può distribuire  animal rationale vel irrationale  e la proposizione è falsa, o solo  animal rationale  e la proposizione è vera.  Quintus septem modorum communium pro- venit ex eo quod oratio potest subponere verbo vel pars orationis : data la proposizione  verum est Socratem esse hominem et Socratem non esse hominem , si può intendere che soggetto sia  Socratem esse hominem et Socratem non esse hominem  che è il dictum di  Socratem esse hominem et Socrates non sunt homo , e la proposizione è vera; se invece Socratem ogni volta che occorre è soggetto, il dictuz già formulato deriva da  Socrates est homo et Socrates non est homo  e la proposizione è falsa (ivi).  Septimus et ultimus septem modorum communium provenit ex eo quod aliqua dictio potest intelligi preponi vel postponi : in  album est omnis homo , album può essere il predicato di  omnis homo est albus  e la proposizione è vera, oppure la proposizione può valere: hoc album est omnis homo  e in tal caso è falsa (p. 661). Tutti questi modi, salvo qualche analogia, non hanno un preciso riferimento in quelli dei testi precedentemente esaminati. 9 Cfr. Logica Modernorum, cit., II, i, p. 491. % Oltre ai testi esaminati, cfr. l'Ars Meliduna, cit., che ha un cenno alla fallacia secundum compositionem et divisionem. È un esame delle difficoltà che sorgono dall’uso dei numerali, cui si fa ricorso da Aristotele in poi: duo et tria sunt aliqua, aliqua sunt quinque, ergo aliqua sunt duo et tria, ecc.); per le Sumzzze Metenses, cit., cfr. p. 477. 524 Alfonso Maierù Et assignant hic compositionem et divisionem, sicut si dicatur: Iste potest videre clausis oculis, id est oculis qui sunt clausi, per divisionem verum est; si oculis clausis, id est quod simul sint clausi et videat per compositionem falsum. Si tamen ex parte subiecti dicatur: clausis oculis potest iste videre, magis est sensus divisionis, et verum est Ita etiam de impenitentia finali potest iste penitere, sed si peniteat iam non erit finalis, et ideo his positis in predicato magis erit sensus compositionis et falsitati propinqua est locutio 9. Il tentativo fatto dai vari maestri è stato quello di analizzare la proposizione per vedere quale senso fosse corretto attribuirle. Ma ora si mette in rilievo che a seconda che alcune dictiones stiano a parte subiecti o a parte praedicati fanno meglio senso diviso o senso composto. Questo principio si tradutrà più tardi in regole precise: si individueranno strutture che permetteranno di valutare facilmente il senso della proposizione e quindi la sua verità o fal- sità. Si tratterà di regole convenzionali, arbitrarie, ma che hanno grande importanza. Il periodo che va ad Occam non apporta notevoli novità nella dottrina del senso composto e del senso diviso. Ciò va detto anche di Buridano e di Alberto di Sassonia, che i i, pure vissero quando una vera svolta veniva operata nella | trattazione di questo tipo di fallacie. Il discorso degli autori, ora, si muove in genere sulla traccia del testo aristotelico e solo qua e là affiora una notazione di un qualche interesse. i Vediamone qualcuna in via preliminare. 95 Perri PrcravensIs Sententiae, II, 17, edd. PS Moore-J.H. Garvi DIG 5 È -J.H. Garvin1% Dee: Notre Dame Ind. 1950, pp. 128-129, cit. in De RuK, op. cit.,, Ds 175. % Il rilievo è già in Wirson, William Heytesbury..., cit., pp. 12-13. Terminologia logica della tarda scolastica S25 Sappiamo che Aristotele suggeriva di risolvere la fallacia della composizione intendendo divisi i termini e viceversa, ma ora si tileva che non ogni composizione o divisione dà luogo a fallacia. L’affermazione tradizionale va dunque intesa in senso restrittivo: là dove c’è fallacia della composizione, la soluzione è la divisio, e viceversa”. Un altro tema che talora affiora è quello della riduzione del senso composto e del senso diviso ad altre fallacie, per il quale si è visto che Aristotele offre la traccia con la riduzione all’ ignorantia elenchi . Ma alla fine del secolo XII in quei commenti a Boezio editi dal De Rijk sotto il titolo Frustula logicalia si sosteneva che Boezio non aveva accennato alla comzpositio e alla divisio perché intendeva comprenderle sotto l’aeguivocatio, da intendere in senso lato”. Invece Pietro Ispano, Tommaso 9? Cfr. Tommaso D'Aquino, De fallaciis, cit., nr. 657, p. 230; Occam, Elementarium logicae, cit., pp. 121 e 123. È per lo meno equivoco EQUIVOCO GRICE ciò che si legge nei Tractatus Anagnini, cit., p. 330:  quas (sc. fallacias compositionis et divisionis) ideo mixtius tractamus quia ubicumque est fallacia compositionis potest esse fallacia divisionis, et e converso ; si vedano invece Fallacie Vindobonenses, cit., p. 508:  Et est sciendum quod ubicumque est compositio, ibi est divisio, et e converso; sed non ubicumque est fallacia compositionis est fallacia divisionis, nec e converso , e Dialectica Monacensis:  numquam in eodem paralogismo debent assignari hee ambe fallacie, sed altera tantum ; così va intesa la Surzzza Sopb. el., cit, p. 313: iEt notandum est quod ubicumque est conpositio, ibidem est divisio. Sed quando compositio facit fallaciam, tunc est sophisma compositionis; quando autem divisio facit fallaciam, sophisma est divisionis . E si legga Occam:  Circa quas non est curiose disputandum an sint una fallacia vel plures, aut quis vocandus sit sensus compositionis et quis divisionis. Hoc enim parum vel nihil prodest ad alias scientias intelligendas  (Tractatus logicae minor). Comprehenderat Boetius enim sub equivocatione amphibologiam, coniunctionem et divisionem, quorum sophismata habent fieri secundum termini alicuius diversam acceptiorem , e p. 619:  Ad quod dicendum quod ‘eguivocatio’ laxo modo accipitur a Boetio, ut dicatur: equivocatio idest proprietas secundum quam aliquid significat plura equivoce à d'Aquino !, Duns Scoto !" e Occam ‘® pongono il problema del rapporto tra arzphibologia e compositio et divisio, anche se lo stesso Occam finisce per considerarlo problema non rilevante dal punto di vista della logica applicata !®. Ma in questo periodo la discussione sul senso composto e sul senso diviso trova il suo centro nella identificazione del tipo di ‘molteplicità’ che occorre in queste fallacie e delle ‘cause’ che la determinano. Già le Glose distinguevano le  fallaciae in dictione  secondo una triplice molteplicità: attuale per l’anfibologia e l’equivocità, potenziale per composizione e divisione (e, sarà specificato in seguito, per l’accento), fantastica per la  figura dictionis, forse seguendo il commento d’Alessandto (senza dubbio l’Afrodisio), ora perduto ‘9. Tutti gli autori che se ne occupano nei secoli XIII-XIV !% confermano che la molteplicità potenziale ha luogo nel senso composto e nel senso diviso. Per quanto riguarda le cause, i testi ne identificano due in rapporto a tutte le fallacie: causa apparentiae e causa non existenprincipaliter; et in hoc sensu amphibologia, compositio, divisio, accentus sunt equivocatio. Summulae logicales. In libros Elenchorum quaestiones, cit., q. xix, $ 2, p. 240b. 102 Cfr. Summa logicae, III, iv, 8, cit., f. 99rb (dove si discute delle modali), e Tractatus logicae minor, cit., p. 87 (trattando dell’alternativa proposizione categorica—proposizione ipotetica). Elementarium logicae, cit., p. 121 (a proposito delle modali); v. n. 97. 10 Op. cit., p. 222. 105 Ma v. ALEXANDRI quod fertur in Aristotelis Sophisticos elenchos com:mentarium, ed. M. Wallies,  Commentaria in Aristotelem Graeca , II, m, Berolini 1898, p. 22; cfr. PreTRo IsPANO, Surzmzulae logicales, cit., 7.08, p. 67. 106 Cfr. Dialectica Monacensis, cit., p. 569; Pietro IsPANO, op. cito; ALserto M., Liber I Elenchorum; VINCENZO DI BEAUVAIS, op. cit., 276; Tommaso D'Aquino, op. cit., nr. 656, p. 230; Duns Scoro, op. cit., q. xix, in part. p. 241; Buripano, Compendium logicae, cit., VII, 2. Terminologia logica della tarda scolastica 527 tiae (o defectus, o deceptionis, o falsitatis); esse possono facilmente essere ricondotte a una definizione scolastica di fallacia che troviamo in Pietro Ispano:  fallacia est apparentia sine existentia  !”. Nel caso del senso composto e del senso diviso, si cerca di individuare la causa della confusione tra i due sensi ( causa apparentiae ) e il principio dell’errore ( causa non existentiae ,  causa defectus ). Ma la discussione sulle cause chiarisce come vada intesa la molteplicità potenziale chiarendo i vari punti di vista dai quali può essere considerato il discorso fallace. Molteplicità potenziale si ha quando le dictiones o voces occorrenti nell’enunciato sono materialmente le stesse, ma dànno luogo a diversi significati. L'identità materiale (o ‘sostanziale’) delle voces è  causa apparentiae , la pluralità dei sensi, o pluralità formale, o attuale !%, è  causa non existentiae . Tuttavia detta pluralità formale è spesso ricondotta al diverso pronuntiare ', alla diversa prolatio !!° opunctuatio!!! che inter107 Op. cit., 7.03, p. 66. 108 Cfr. Dialectica Monacensis, cit., p. 570; GUGLIELMO DI SHYRESWOOD, Introductiones in logicam, cit., pp. 89-90; Pietro ISPANO, op. cit., cit., 7.25, p. 74, e 7.28, pp. 75-76; Ps. Bacone, Sumule dialectices, cit., pp. 334-337; ALserTo M., op. cit., p. 548a; Tommaso D'AQUINO, op. cif., nr. 657, p. 230; Occam, Tractatus logicae minor, cit., p. 86; BurIpANO, op. cit., VII, 3. Si notino, in particolare, nel testo di Tommaso d’Aquino, le equivalenze potentialiter-materialiter, formaliter-actualiter, e si legga BuRIDANO (op. cit., VII, 2): Multiplicitas potentialis dicitur cum vox, existens eadem secundum materiam et diversa secundum formam, habet multas significationes . 19 Arserto M., op. cit., p. 545b:  Divisa sic pronuntianda est . Composita autem oratio sic pronuntiatur  ; v. n. 113. Per la pronuntiatio nella retorica classica, cfr. CICERONE, DE INVENTIONECiceRoNnE, De inventione: pronuntiatio est ex rerum et verborum dignitate vocis et corporis moderatio; ma cfr. LAusBERG. V. anche ps. BAcoNE, Sumule dialectices, cit., p. 331. 110 Cfr. Dialectica Monancesis, cit., p. 569: ex modo proferendi ; Ps. Bacone, Sumule dialectices. -it., pp. 331 e 337. Il Occam, Suzzrza logicae, cit., III, iv, 8, f. 99ra:  Causa non existentiae est diversitas punctuationis , e Elemzentarium logicae, cit., p. 121. 528 Alfonso Maierù viene nella utilizzazione pratica dell’enunciato !!, Alberto di Sassonia, invece, definisce:  Causa autem defectus est diversitas constructive orationis earundem (sc. dictionum), sicut patet in illa ‘quidquid vivit semper est’  !!. Il riferimento alla constructio!!* indica che alla base di questa dottrina può esserci una preoccupazione di origine grammaticale, che più chiaramente traspare, presso lo stesso Alberto e presso altri autori, proprio nella descrizione della compositio e della divisio: una oratio è composita quando  dictiones ordinantur secundum situm magis debitum , ma è divisa quando  dictiones ordinantur secundum situm minus debitum  !5, mentre altti maestri non privilegiano la compositio rispetto alla divisio 9 (ma il riferimento alla construc[12 Cfr. ALBERTO M., op. cif., p. 535a-b:  Modi autem arguendi  sunt duo, scilicet secundum apparentiam acceptam in dictione, secundum quod dictum est idem quod voce litterata et articulata pronuntiatum est sive prolatum:  omne enim quod dicendo profertur, hoc vocatur dictio: unde hoc modo et oratio dictio est: forma enim dictionis hoc modo accepta prolatio est: et quae una continua prolatione profertut, una dictio: et quae pluribus, plures est dictiones .  Logica, cit., V, 4, f. 40va. 114 Per i rapporti tra comstructio, congruitas e perfectio come proprietà del discorso secondo Martino di Dacia, cfr. PinBoRG, op. cit., pp. 54-55. 115 Così Pietro IsPANO, op. ci., 7.25, p. 74; cfr. Aquino, op. cit., nr. 657, p. 230; SASSONIA, op. cit., V, 4, f. 40rb, parla di magis apte construi  e minus apte construi  rispettivamente per sensus compositus e sensus divisus. . 116 Cfr., ad esempio, SHyreswooD, Introductiones in logicam, cit., p. 89: Est  compositio coniunctio aliquorum, que magis volunt componi. Divisio est separatio aliquorum, que magis volunt dividi » (si ricordi che in altro senso Guglielmo privilegia la compositio: cfr. n. 17);VINCENZO DI BeAUVAIS, op. cit., 277, dove distingue composizione e divi sione essenziale e composizione e divisione accidentale e precisa che l’oratio è composta in rapporto alla composizione essenziale e divisa in rapperto alla divisione essenziale e, se falsa, è resa vera rispettivamente dalla  div'-io Terminologia logica della tarda scolastica 529 tio è rintracciabile in testi della fine del secolo XII !!?). Per chiarire la natura di tale posizione, esaminiamo l’esempio addotto da Alberto: è il noto sofisma  quicquid vivit semper est ». Ci si chiede con quale verbo più propriamente semper vada congiunto, e si risponde ch’esso va congiunto con est: dunque, congiunto con es fa senso composto, congiunto con vivit fa senso diviso. Che gli avverbi  de natura sua habent determi nare verbum », come scrive Pietro Ispano !!, è dottrina grammaticale; se ne conclude che semzper  potius determinabit verbum principale quam minus principale » !'9, cioè es? piuttosto che vivit. Guglielmo di Shyreswood ricorda che secondo Prisciano  adverbia magis proprie habent precedere suum verbum »!2: di qui dunque i cenni al  situm magis debitum » che troviamo accidentalis » e dalla  compositio accidentalis »; BurIDANO, op. cit., VII, 3. 117 Per un verso cfr. la Diglectica Monacensis, cit., p. 569;  Est itaque quedam compositio sermonis que nil aliud est quam constructio sive ordinatio alicuius sermonis componibilis vel incomponibilis ad alterum cum quo videtur potius quam cum alio coniugi, sic tamen se habens quod ab illo possit dividi et ordinari cum alio cum quo videtur minus coniugi et ordinabile. Divisio autem est separatio alicuius ab aliquo cum quo natum est ordinari secundum debitum sicut qui debet esse in partibus illius orationis. Ex hoc patet quod ista oratio que multiplex est ex compositione et divisione, quantum est de se, sensum compositionis semper habet actualiter et principaliter, sensum vero divisionis protestate »; pet l’altro cfr. le Fallacie  magistri Willelmi, cit., p. 687:  Fallatia secundum compositionem est quando infertur coniunctim ex divisim dato tamquam coniunctim dato. Dicitur autem in dictione quia fallit ex proprietate dictionis, scilicet compositione, cum sit compositio dictionum constructio innitens compositioni. Fallatia secundum divisionem est cum infertur ex coniunctim dato quasi divisim dato. In dictione dicitur esse quia fallit ex proprietate dictionis, ut ex divisione, cum sit divisio dictionum constructio innitens divisioni. Ideoque secundum divisionem nominatur hec fallatia ». 118 Op. cit., 7.25, p. 74. 119 Ivi. 120 Introductiones in logicam, cit., p. 91; cfr. PRISCIANO in Grammatici latini, nei testi. Ma sem di i i bra un’indebita estensione caratterizzare senso È pra il testo più illuminante tra quelli sfogliati in ordine al ‘Porto tra queste analisi e la dottrina grammaticale dell: constructio sono le  quaestiones » di Duns Scoto sugli Ele, chi sofistici. La sua analisi è tutta impregnata delle dista È delle esigenze derivanti da un’impostazione in linea con la ram. matica speculativa. In essa trovano posto e sistemazione o i temi della pronuntiatio, prolatio e punctuatio che abbiamo vi accennati e utilizzati dagli altri autori. i Di cit., VII, 3, primo modo. Occam, nella Sunzza logicae, cit A » 99ra), per questo sofisma fa riferimento solo alla diversa puachia: Tractatus logicae minor, cit. 86. i È sotto il pri : ‘-, p. 86, i due esempi sono dati di segui ae polo continua poi affermando che, se c'è una lea compositus în quo dis composto e diviso, essa è che ille sensus est di duo siiae di ictio componitur cum alia dictione; et ille est divisus ictio cum nulla alia immediata sibi componitur » (p. 119): in un’altra, non si ‘compone’ i tra, ; npone’ con una terza dictio nella si izi cfr. l'esame dei modi, più avanti (nn. 133 e 134), COCAINA 531 Terminologia logica della tarda scolastica Conviene perciò seguire il suo discorso fin dall’origine. Distinta una triplice molteplicità !2, egli afferma che la molteplicità potenziale si ha  quando est ibi identitas vocis secundum materiam, et non secundum formam » ‘, e che la forza non è altro che la prolatio 4.  Causa apparentiae » della fallacia in senso composto e in senso diviso è:  unitas materialium cum similitudine orationis compositae ad divisam  et e converso in divisione »: non si tratta soltanto della materiale identità delle dictiones, ma anche di una diversa somiglianza dell’un modo all’altro che sulla materiale identità si innesta; questa diversa somiglianza si fonda sui diversi  modi proferendi compositim vel divisim , che sono di specie differenti '”. Ora, precisa l’autore,   modus proferendi est quidam modus significandi Logicalis, per quem unus intellectus ab alio distinguitur  !%. Accanto ai modi significandi grammaticali, che stanno a base della constructio !”, Duns Scoto pone dunque i modi significandi logicales che fondano la diversità dei ‘sensi’ (inzellectus) anche là dove è una stessa constructio. Essi 12 Op. cit., q. xix, $ 4, f. 24la. 13 Ivi. 14 Ivi: Actualis multiplicitas est, quando est ibi identitas vocis secundum materiam, et formam, quae est prolatio . 15 Op. cit., q. xxiv, $ 5, f. 247a:  Unde dicendum, quod unitas mate. rialium cum similitudine orationis compositae ad divisam, est causa apparentiae in compositione, et e converso, in divisione. Et licet istae similitudines radicaliter proveniant ex unitate materialium: istae tamen similitudines super modos proferendi compositim, vel divisim fundantur, qui tamen sunt specie differentes . Perciò le due fallacie non vengono unificate dall’autore (cfr. q. xxiii, f. 245: Utrum compositio et divisio sint duae fallaciae distinctae specie ). 126 Ivi, q. xxvi, $ 4, f. 249a. 127 Ivi:  Ad rationes. Ad primam dicendum, quod si maior intelligitur solum de modis significandi Grammaticalibus, qui sunt principia construendi unam dictionem cum alia, tunc falsa est maior. Sed si intelligatur, quod omnis diversitas in oratione, vel provenit ex diversitate significati, vel modorum significandi Logicalium, tunc vera est, et minor falsa . sa Alfonso Maierù sono infatti  ex parte nostra  !® e si traducono in una diversa prolatio e in un diverso punctuare, che non toccano la constructio in quanto tale !®. Ma la constructio operata dai  modi significandi  grammaticali dà luogo (naturalmente, si potrebbe dire) al senso composto, mentre il senso diviso interviene facendo quasi violenza alla natura delle dictiones e alla loro disposizione nella orazio: 0, meglio, il  modus proferendi  che sta alla base del senso composto è più rispettoso della constructio che non il  modus proferendi  che fonda il senso diviso; ciò risulta dall’esame dei tre modi, concretizzati in tre esempi, che Duns Scoto assegna alla composizione e alla divisione !, 128 Ivi, $ 2, f. 248b:  Dicendum, quod diversitas modi proferendi est ex parte nostra. Sed quod oratio sic prolata, hoc significet, et sub alio modo proferendi significet aliud, hoc non est ex patte nostra . 129 Ivi, q. xxi, $ 6, f. 243a, discutendo del rapporto tra molteplicità attuale e molteplicità potenziale: Est tamen intelligendum, quod licet determi nata (ex terminata) prolatio determinet orationem multiplicem secundum actualem multiplicitatem, et potentialem, sicut accidit in compositione, et divisione, una tamen multiplicitas ab alia differt. Nam determinata pio: latio orationis multiplicis secundum potentialem multiplicitatem, punctuando ad alterum potest ipsam determinare, manente semper eodem ordine vocum. Sed determinata prolatio, manente eodem ordine vocum, punctuando, non determinat orationem multiplicem secundum actualem multiplicitatem ad alterum sensum, sed ipsa transpositio terminorum. Si enim dicatur Pugnantes vellem ma accipere, ly pugnantes, non pet punctuationem ad alterum sensum potest determinati. Per il primo modo (sedentem ambulare est possibile), cfr. ivi, q. xvi, $ 3, ff. 248b-249a:  Sed ulterius oportet videre, quis modus profe: rendi facit sensus compositum et divisum. Et dicendum est, quod continua prolatio eius, quod est sedentem, cum hoc quod est ambulare, causat sensum compositum. Iste autem modus proferendi possibilis est in oratione, nam sic modi significandi Grammaticales ad invicem dependentes terminantur et quae nata sunt coniungi coniunguntur. Iste autem sensus accidit orationi praeter aliquam violentiam, ideo iste sensus magis appropriatur orationi. Sensus autem divisionis accidit ex discontinua prolatione earundem partium. Et quia quae nata sunt coniungi ad inviTerminologia logica della tarda scolastica [Sembra che queste precisazioni possano illuminare testi che, mancando di espliciti riferimenti, altrimenti risulterebbero oscuri 15, cem, separantur, ideo iste sensus minus appropriatur orationi, unde accidit ei cum quadam violentia ; per il secondo modo (quingue sunt duo et tria), ivi, q. xxx, $ 1, f. 25la: Ad primam quaestionem dicendum, quod Coniunctio, vel copulatio, per se copulat inter terminos: per accidens autem inter propositiones. Et huius ratio est: nam cum Coniunctio sit pars orationis, habet modos significandi secundum quod cum aliis partibus orationis consttui potest; sed non construitur, nisi cum illis, inter quae copulat, oportet igitur ista habere modos significandi sibi proportionabiles, qui sint principium constructionis; ergo non copulat inter orationes. Sed tamen, quia terminos inter quos copulat accidit partes unius orationis esse, vel diversarum, ideo dicitur copulare inter terminos, vel inter orationes. Magis tamen proprie potest dici, quod coniunctio posset copulare inter terminos unius orationis, vel inter terminos diversarum orationum ; per il terzo modo (quod unum solum potest ferre plura potest ferre), ivi, q. xxxiii, $ 3, f. 253a: Circa tamen modos intelligendum est, quod tot sunt modi secundum compositionem, et divisionem, quot modis componere contingit, quae nata sunt componi, et illa ad invicem dividere, resultante diversitate sententiae. Sed ad videndum quae nata sunt componi, intelligendum est, quod Priscianus dicit, in maiori volumine, quod omnis determinatio, et omnia Adiectiva Nominaliter, vel Adverbialiter designata, praeponuntur aptius suis substantivis, ut fortis Imperator fortiter pugnat, et ratio potest esse, nam Adiectiva de se quasi infinita sunt, et ideo per sua Substantiva determinantur. Dicit etiam Priscianus, quod licet omnia postponere, exceptis monosyllabis, ut nunc, turc, et huiusmodi, sed hic videtur esse dicendum, quod quando determinatio componitur cum deter- minabili subsequenti, tunc dicitur oratio composita; et quando ab eodem removetur, dicitur divisa: sed huic modo dicendi repugnat iste paralogismus, Ex quinquaginta virorum centum reliquit divus Achilles, nam si praedicta oratio dicetur composita, quando ly wvirorum componitur cum ly Quir- quaginta, tunc propositio est falsa, cum tamen ille paralogismus sit para- logimus divisionis, et tunc dicitur esse vera in sensu composito, sed tunc dicendum est, quod haec est littera, Quinguaginta ex centum virorum, etc. vel quod paralogismus ille est compositionis, ponitur tamen inter paralo- gismos divisionis, etc. . 131 In particolare, cfr. Ps. BACONE, op. cif., pp. 334-336 e 341-342, oltre al testo di Occam, in n. 117. * 534 Alfonso Maierù Accenniamo, per concludere, ai modi posti da ciascun autore. Pietro Ispano assegna due modi al senso composto e due al senso diviso ‘©, mentre le Sumzyle attribuite a Bacone forniscono due modi per il senso composto e due per il senso diviso, e ne aggiun- gono per ciascun senso un terzo in forma dubitativa !8. Il testo 12 Op. cit.:  Compositionis duo sunt modi. Primus modus provenit ex co, quod aliquod dictum potest supponere pro se vel pro parte sui, ut haec: “sedentem ambulare est possibile” . Et sciendum quod soleat huiusmodi orationes dici de re vel de dicto. Quando enim subiicitur pro se, dicitur de dicto, quando subiicitur pro parte dicti dicitur de re. Et omnes istae propositiones sunt compositae quando dictum subiicitur pro se, quia praedicatum competentius ordinatur toti dicto quam parti dicti. Secundus modus ‘provenit ex eo quod aliqua dictio potest referri ad diversa, ut “quod unum solum potest ferre, plura potest ferre”  (ivi, 7.27, p. 75); Divisionis duo sunt modi. Primus provenit ex eo quod aliqua coniunctio potest coniungete inter terminos vel inter propo. sitiones ut hic: “duo et tria sunt quinque”  (ivi, 7.29, p. 76);  Secundus modus provenit ex co quod aliqua determinatio potest refetri ad diversa, ut tu vidisti oculis percussum”. Haec est duplex ex eo, quod iste ablativus “oculis” potest referri (ad) hoc verbum “vidisti”, vel (ad) hoc participium “percussum”  (ivi, 7.30, p. 76). 133 Op. cit: Et sunt duo modi secundum hunc locum (sc. fallaciam compesicionis); primus, quando aliquid componitur cum uno et cum dividitur “non componitur cum alio, ut ‘possibile est sedentem ambulare’ Edi et universaliter, omnis oracio que est ex modo nominali dicitur esse secundum quod est de re et dicto  (p. 335); Secundus modus est quando aliqua diccio componitut cum uno et cum dividitur potest cum alio componi, ut ‘quicumque scit litteras nunc didicit illas [...}' (ivi); [..] 3.48 modus est quando determinacio componitur cum uno, et cum dividitur componitur cum alio subintellecto  (p. 336);  Primus est modus (sc. fallaciae divisionis) quando aliquid dividitur ab uno et non componitur cum alio, ut ‘quecumque sunt duo et tria sunt paria et imparia;  Secundus modus est quando aliqua determinacio dividitur falso ab uno et componitur cum alio posito in oracione, ut ‘deus desinit nunc esse’  (altro esempio è  quadraginta virorum centum reliquit  dives Achilles ) (p. 337); In hoc tamen paralogismo dicitur esse 3.48 modus divisionis, quia cum dividitur determinacio ab aliquo actu posito in oracione componitur intellecto, set hoc forte non facit composicionem de Terminologia logica della surda scolastica 535 delle Suzzule è riecheggiato abbastanza da vicino dalla esposizione di Alberto Magno, il quale attribuisce tre modi alla compo sitio e tre modi alla divisio !*. Vincenzo di Beauvais, che segue qua hic loquimur, et propter hoc est ibi primus modus  (ivi). 14 Cfr. op. cit., pet il senso composto:  primus provenit, quia aliqua dictio in oratione est composita cum aliquo, et tamen non dividitur id quod est in oratione: et tales sunt hae duae orationes, ut posse sedentem ambulare, et posse non scribentem scribere;  Secundus modus provenit ex hoc quod aliquid componitur cum aliquo in oratione eadem posito, et dividitur etiam ab aliquo posito in eadem oratione: et hujus exemplum est, discere nunc litteras, siquidem didicit quas scit  (pp. 545b-546a);  Tertius modus est, quando componit cum aliquo in oratione posito, sed sub intellectu in eadem oratione; et hujus exemplum est quod dicitur, quod unum solum potest ferre, plura potest ferre: sensus enim compositionis est secundum quod continua et composita est prolatio inter haec duo, 747 solu:, cum hoc verbo infinitivo, ferre, sic, quod potest ferre unum solum, ita quod nihil amplius plura potest ferre: sic enim composita est et falsa: et sic dictio exclusiva respicit infinitivum ferre: quia quod sic unum solum potest ferre, et nihil amplius, non potest ferre plura: quia sic dictio exclusiva ponit formam suam circa hunc terminum, unu, et excludit id quod est oppositum uni ab infinitivo super quod ponitur posse vel possibile: et ideo quod sic unum solum potest ferre, non potest plura ferre. Si autem discontinua et divisa sit prolatio inter haec duo, unu solum, tunc dictio exclusiva excluditur ab isto termino, unutt, et conjungitur cum participio subintellecto quod est ens vel existens solum, potest ferre: et hoc est verum: et ideo divisa est vera, composita falsa; per il senso diviso: Primus ergo modus erit, quando aliquid dividitur ab aliquo in oratione posito, et cum nullo componitur in eadem oratione posito: et de hoc duo sunt exempla sic, quinque sunt duo, et tria: et formatur sic: quaecumque sunt duo et tria, sunt quinque: duo et tria sunt duo et tria: ergo duo sunt quinque, et tria sunt quinque, quod falsum est. Adhuc alia oratio: quaecumque sunt duo et tria, sunt paria et imparia: quinque sunt tria et duo: ergo quinque sunt paria et imparia. Adhuc autem penes eumdem modum accipitur et haec oratio, quae est majus esse aequale et formatur sic: quod est majus, est tantumdem et amplius: sed quod est tantumdem, est aequale, et quod est amplius, est inaequale: ergo quod est tantumdem est aequale et inaequale. — Cum autem in his orationibus sit multiplicitas in hoc quod eadem oratio secundum 736 Alfonso Maierù da presso Aristotele, ammette tre modi di paralogizzare per il senso composto e tre per il senso diviso '5. Tommaso d’Aquino conosce tre modi che valgono sia per il senso composto che per il senso diviso, i quali però non aggiungono niente di nuovo al materiam in omnibus his divisa et composita non eadem significat, sed aliud, in omnibus his significat divisa et composita. Exemplum autem ; juod est quando aliquid in eadem oratione componitur cum aliquo, et ii ab isto componitur cum aliquo in eadem oratione posito, ut ég0 te posui cane entem liberum: et est in hac oratione multiplicitas, ex eo quod oc participium, erfemz, potest componi cum hoc nomine, servum, et si est oratio composita et vera: vel dividi ab illo et componi cat e nomine, liberum, et sic est divisa et falsa: et hoc juxta secundum oa compositionis.  Exemplum autem ejus quod est tertius modus co  sitionis (scilicet quod divisum ab aliquo in oratione posito ine cum aliquo non in eadem oratione posito, sed sub subjecto intellecto) i hoc: quadraginta virorum, centum reliquit divus Achilles: et est h multiplicitas ex eo quod haec dictio, certurz, potest componi cum res termino, viror4m, et tunc est adjectivum ejus et est casus genitivi: et Sic Rae est composita et vera sub hoc sensu, centum virorum ita orco cigno quadraginta. Vel iste terminus, centum, potest addi ad hunc um, reftguit, et tunc componitur cum hoc termino subintellect st: est virorum, et sic est divisa et falsa sub hoc sensu, quod de prezà qua aginta virorum, centum reliquit divus Achilles, quod est impossibile. sti ergo sunt modi compositionis et divisionis. Ma l’aut a Di gere chiarisce ulteriormente il meccanismo del senso composto pei ee pag: Si autem quaeritur penes quid accipiantur modi compoonis et divisionis? Satis patet per praedicta: quia divisum ab aliquo i oratlone posito: aut non componitur cum aliquo in eadem a  sic est primus modus: aut componitur cum aliquo: et si componitur, ta "gn cum aliquo in oratione posito, aut non posito, sed subintellecto. primo modo est secundus modus, altero autem modo tettius t: in pine quam in divisione . > sn pat ei senso composto:  Primus fit eo quod parti È og soin 1 intellectae, potest ordinari cum diversis verbis, bre sie > si ile est ambulare, possibile est ut ambulet; possibile agi ipa cun ser re “N ut stano ambulet. Minor muli ;, est vera; distingui niter de re vera, de dicto (ex dicta) falsa. Secandas inte rn Terminologia logica della tarda scolastica 537 testo dei suoi predecessori. Anche Duns Scoto assegna tre modi, come si è visto, e sono comuni ai due sensi !”; ma Guglielmo adverbium possit componi cum uno verbo, vel ab illo dividi, et componi cum alio, ut hic: Quod scit aliquis nunc didicit; sed magister litteras nunc scit; ergo nunc didicit, non valet ; Tertius fit, eo quod nota exclusionis possit componi cum diversis verbis, ut hic: Quod unum solum potest ferre, non potest plura ferre; per il senso diviso:  uno modo, eo quod dictio copulativa vel disiunctiva potest copulare dictiones, vel orationes; secundum quem sic paralogizatur: Quaecunque sunt duo et tria, sunt paria et imparia; quinque sunt duo et tria, ergo etc. Secundo modo, eo quod participium possit coniugi cum diversis nominibus, ut hic: Ego posui te servum entem liberum; entem potest coniungi huic nomini servum, et sic est vera composita, quia priori nomini natum est plus componi; vel ab eodem dividi, sic est falsa divisa. Tertio modo hoc idem contingit, quando aliquod nomen cum alio nomine potest coniungi vere, vel ab codem dividi false; ut hoc nomen centurz in exemplo Aristotelis, cenzum quinquaginta virorum reliquit Achilles. Iteque secundum divisionem potest fieri paralogismus, quoties a coniunctim dato, infertur divisim; et e converso secundum compositionem sic: Iste est bonus, et est clericus; ergo est bonus clericus, et e converso potest argui similiter secundum divisionem . 1386 Op. cit.: Primus modus est quando aliquo dictum potest supponere verbo vel ratione totius vel ratione partis: si ratione totius supponat, erit oratio composita, si ratione partis, erit oratio divisa: corrisponde al primo modo del senso composto di Pietro Ispano, fa leva sull’esempio base:  possibile est album esse nigrum , e richiama la distinzione della modalità de dicto dalla modalità de re; Secundus modus provenit ex eo quod aliquando praedicatum, in quo pluta adunantur per coniunetionem copulativam vel disiunctivam, potest attribui subiecto coniunctim vel divisim. Si coniunctim, est oratio composita; si divisim, oratio est divisa (nr. 659, p. 230): anche qui, l'esempio è classico, ma è dato al negativo: quinque non sunt duo et tria: la discussione verte sull’interpretazione del rapporto tra soggetto e il predicato duo et tria; Tertius modus est, quando una dictio potest coniungi diversis dictionibus in locutione positis: erit autem tunc secundum hoc composita oratio, quando coniungitur cum dictione cui magis apparet, vel apta nata coniungi; divisa (diversa: Spiazzi) vero, quando ab ea disiungitur. Sicut in hoc paralogismo patet: Quod potest unum solum ferre, plura potest ferre  (nr. 662, p. 231). 137 Op. cit. gli esempi sono: (a) sedentem ambulare est possi d’Oc i i lea atti due modi comuni al senso composto e al senso n Pe gl 5 stessi occorrono anche nei trattati di Burleigh editi er !. Alberto di Sassonia, invece, torna ai tre modi, ma 5 adem aut aliquibus eisde i b ‘m replicata vel repetita, eadem dicti i cum una vel pluribus  (Elezentarium logicae, cit., pp. 119-120; di. Tresa 139 Per il pri i imo modo con i termini i . i modali, cfr. D i i i di do 9 . De puritate ar, ass per il secondo modo con et, cit, ivi, a 242:  fa pio, oa pini tra pg inter duos terminos ia $ 5 est locutio, ex eo d i : I, IG È quod potest inc bag cà propositiones. Et haec distinetio e rit deg a mitrigria Ma iena secundum quod copulant inter terminos È ergono meine 8 secundum quod copulat inter propositiones sic rotta sig con vel, cfr. ivi, p. 243: Et est sciendum faod “gu Legea cp ‘vel? ponitur inter duos terminos, uiciea csbieg 3 hei potest disiungere inter terminos vel inter proposi. ri Arg Propositiones, sic est disiunctiva, si disiungat inter ‘minos, e disiuneto extremo. Et h: istincti ;ecun Lernia la le d j laec distinctio est s o eri Le Secundum quod disiungit inter duos = O nis, si !s divisionis; secundum quod disiungit i, Li ionis; quod disiungit intel  SIC est sensus compositionis ; e con si, cfr. la dieci hi e Terminologia logica della tarda scolastica 539 anche questi sono comuni ai due sensi !°. Più interessante l’esposizione di Buridano, il quale, dopo tre modi comuni ai due sensi che ben rispecchiano quelli dei testi finora ricordati ‘4, esamina altri tre modi, anch'essi comuni: la negatio può cadere sull’intera proposizione categorica, è  negatio negans  e rende composta e falsa la proposizione, o può cadere sul soggetto soltanto, è  negatio infinitans  e rende divisa e vera la sofisma  Socrates dicit verum si solum Plato loquitur , ivi, p. 250, e del sofisma  omnis homo, si est Sortes, differt a Platone , pp. 42 sg. 14 Il primo riguarda le modali (cfr. Logica, cit., V. 4, f. 40va:  oratio respectu alicuius modi ); il secondo riguarda le proposizioni che  ratione alicuius coniunctionis vel adverbii  possono essere intese come proposizioni categoriche o ipotetiche (ivi, f. 40vb); il terzo sorge ex co quod in aliquibus propositionibus aliqua dictio ex diversis coniunctionibus ad diversas dictiones eiusdem orationis causat diversos sensus, sicut de illa: ‘quicquid vivit semper est’  (ivi, f. 41ra). 141  Primus modus est per hoc quod una determinatio potest coniungi cum utroque duorum determinabilium et separari ab altero, vel unum detetminabile cum utraque (ex utroque) duarum determinationum, ut in illa oratione: ‘quaecumque scit litteras nunc didicit illas’ , et in hac oratione ‘quicquid vivit semper est . Similiter in illa: ‘quadraginta virorum centum reliquit divus (ex dives) \Achilles®. In hoc autem modo sensus compositus vocatur quando illa dictio coniungibilis diversis  coniungitur cum illo ad quod habet situm magis convenientem et divisus (ex divisis) vocatur quando separatur ab illo ad quod habet situm magis convenientem, ut quando coniungitur cum illo ad quod habet situm minus convenientem. Secundus modus est per hoc quod diversi termini possunt coniunctim esse unum subiectum vel unum praedicatum, vel possunt divisim unum esse subiectum et alterum praedicatum, ut in hac oratione ‘sedentem ambulare est possibile’. Potest enim totum dictum subici et modus praedicari et e converso, et est sensus compositionis; vel potest una pars dicti subici et alia praedicari et quod modus se teneat ex parte copulae, et est sensus divisus et propositio divisa . Tertius modus ponitur prout plures termini possunt simul coniunctim subici vel praedicari in una propositione categorica, et possunt etiam divisim subici vel praedicari, et aequivalent tunc uni propositioni hypotheticae, ut in hac propositione: ‘quinque sunt duo et tria’  (op. cit., VII, 3). sia Alfonso Maierù proposizione (è il quarto modo) !®; la negatio negans può cadere sull’intera proposizione ipotetica, e rende la proposizione co: ‘ posta e falsa, o può cadere solo sulla prima categorica e la pro “ sizione allora è divisa e vera (quinto modo) !*; infine data lino. tetica  homo est asinus et equus est capra vel deus est Îae può avere una disgiuntiva, e la proposizione tutta è composta e vera, oppure una congiuntiva, ed è divisa a falsa (sesto modo) !4, Buridano, il quale non esclude che possano darsi altri modi ritiene che questi siano i principali !5, i 5. La logica inglese da Heytesbury a Billingham La trattazione del senso composto e del senso diviso nel secolo XIII e fino ad Alberto di Sassonia è caratterizzata da due elementi: a) innanzi tutto, come si è detto, un accostamento diretto al testo aristotelico, scavalcando la mediazione delle summulae o dei commenti agli Elenchi sofistici fioriti alla fine del secolo XII: questo accostamento è rivelato dai ‘modi’ presi in esame della maggior parte degli autori che sono riconducibili in genere ad esempi occorrenti in Aristotele; b) in secondo luogo, da un’analisi condotta con i mezzi forniti dalla grammatica speccilerive; ed è singolare che se nel solo Duns Scoto, tra gli autori esaminati, le dottrine vengono in luce sistematicamente, l’uso di certa termi: nologia e certe interpretazioni vadano ricondotte alle dottrine della lasagne speculativa nelle quali trovano la loto giustificazione, L. sie sea come in Occam e Buridano, esse sono in via di Nel secondo quarto del secolo XIV in Inghilterra alcuni logici 12 Ivi, 13 Ivi. 14 Ivi. 145 Ivi. Terminologia logica della tarda scolastica 541 impostano diversamente il problema. Emergono sugli altri Guglielmo Heytesbury prima e Riccardo Billingham poi. Entrambi dedicano un trattato ai problemi del senso composto e del senso diviso. Ma Heytesbury ne parla a lungo anche nel secondo capitolo delle Regulae solvendi sophismata, cioè il De scire et dubitare, e s'è detto che le Regulae vanno datate al 1335 ‘9, di modo che, a questa data, Heytesbury aveva elaborato la sua dottrina, almeno per quanto riguarda un capitolo fondamentale !. È probabile che 14 Cfr. Introduzione. Ma nei vari capitoli delle Regulae, cit., è presente la dottrina del senso composto e del senso diviso: cfr. De insolubilibus, f. Tra:  Sed ista obiectio et ratio nimis cavillatoria est, et bene potest dici sophistica, quia vadit solummodo ad verba et non ad intellectum, cum intelligantur omnia superius posita i sensu diviso; arguit autem iste cavillator contra ista in sensu composito: nimis enim esset prolixum in verbis tantum instare, ut nihil diceretur quod cavillatorie non posset impugnari. Ideo non tantum ad verba nuda, sed ad sententiam referas argumentum et videbis quam potenter concludit ; De relativis, f. 21rb: ‘Tam incipit aliquis punctus moveri qui per tempus quod terminatur ad instans quod est praesens quiescet, ergo iam incipit aliquis punctus moveri et ille per tempus termi natum ad instans quod est praesens quiescet’: notum est quod non valet consequentia, quia antecedens est verum in casu et consequens impossibile. Unde universaliter hoc nomen relativum relatum ad terminum stantem confuse tantum non habet sic exponi. Arguitur enim in huiusmodi expositione a sensu composito ad sensum divisum , e f. 21va, a proposito di casi col verbo apparet (altri casi con apparet in De scire et dubitare, f. 14va); De incipit et desinit, f. 26rb: Ad aliud cum arguitur quod Socrates in aliquo instanti desinet esse antequam ipse desinet esse, optime respondetur distinguendo illam penes compositionem et divisionem. Sensus divisus est iste: ‘in aliquo instanti antequam Socrates desinet esse, Socrates desinet esse’, et ille sensus claudit opposita. Sersus compositus est iste: ‘Socrates desinet esse in aliquo instanti antequam desinet esse’; in isto sensu tenendo totum illud aggregatum a parte praedicati, satis potest concedi illa propositio ; De maximo et minimo, f. 31va-b:  Sed arguitur forte quod primum est falsum quia non est possibile quod 4 punctus sic movendo ita cito tangat punctum ultra 4 sicut 5, ergo 4 non poterit ita cito tangere aliquem punctum ultra 6 sicut %. Huic dicitur concedendo conclusionem, et ex ista non 542 Alfonso Maierù in Inghilterra le Regulae siano state al centro di discussione al loro apparire; è certo però che del De scire et dubitare è stato fatto un adattamento incentrato sulla dottrina del senso composto e del senso diviso, adattamento che, sotto il titolo (che è l’incipit) Termini qui faciunt 8, ha avuto una certa fortuna nelle scuole !9. Viene da chiedersi quale dei due trattati di Heytesbury sia anteriore all’altro, se le Regulae o il De sensu composito et diviso: la fortuna arrisa al secondo capitolo delle Regu/ae, che non si spiega se fosse stato disponibile l’altro trattato, farebbe pensare all’antecedenza della composizione delle Regulae; l’altro trattato, in tal caso, sarebbe stato composto per l’esigenza di sistemare tutta la materia nel corso della discussione nell’ambito universitario. Ma questa è solo un’ipotesi e non abbiamo elementi sufficienti a confortarla. È un fatto però che, oltre ai termini modali, vengono in primo piano in questa discussione i termini che riguarsequitur quin ita cito sicut 4 poterit tangere, poterit ipsum etiam tangere aliquem punctum ultra è, quia ista significat sensum divisum et alia concessa denotat compositionem , e ivi, f. 3lvb:  antecedens nam significat secundum divisionem, consequens autem secundum compositionem  (cors. mio).  Cfr. appendice 1 a questo capitolo. Ma è da tener presente che anche il primo capitolo delle Regulae, cioè il De insolubilibus, ha avuto fortuna: cfr. WersnereL, Repertorium Mertonense; il primo testo citato dal Weisheipl è l’expositio che ne fa Johannes Venator: cfr. il mio Lo  Speculum ..., cit., p. 313 n. 67. 149 Il trattato fra l’altro è in due codici, Padova, Bibl. Univ.  e Worcester, Cath. F. 118, che contengono, nella prima parte, una successione di piccoli trattati che potrebbero aver costituito un corpus di manuali per principianti negli studi di logica, corpus formatosi nella seconda metà del sec. XIV in Inghilterra (il ms. padovano è inglese); il cod. di Worcester porta l'intestazione  Sophistria secundum usum Oxonie , mentre il rilievo per il codice padovano è dovuto al compilatore del catalogo manoscritto (cfr. c. 341). Il confronto fra il contenuto dei due codici merita un’analisi più approfondita. Il WersHEIPL, The Development..., cit., p. 159, rileva che al De scire et dubitare, comunque, si affiancano discussioni analoghe a Oxford: si ricordi fra l’altro, la discussione di John Dumbleton (primo libro della Surzzza) sull’intensio e remzissio della credenza, ecc. Terminologia logica della tarda scolastica 543 dano ‘atti dell'anima’, come si vedrà in seguito; che termini modali e verbi designanti  actus animae  sono ferzzini officiales secondo la dottrina della probatio propositionis !°; che il De sensu composito et diviso di Billingham tratta prevalentemente dei zermini officiales!!; che in un adattamento anonimo !° dell’altro trattato di Billingham, lo Speculum, la dottrina della probatio dei termini officiales è ricondotta a quella del senso composto e del senso diviso, come non è nello Speculum di Billingham. : Tutto ciò fa pensare che i temi del De scire et dubitare di Heytesbury, più che non quelli del De sensu composito et diviso, abbiano avuto fortuna in Inghilterra per la dottrina che ci riguarda, a meno che non si postuli l’esistenza, in ambiente universitario, anteriormente a Heytesbuty e a Billingham e quindi ai manipolatori dei loto trattati, di un testo o di un dibattito che abbia condizionato e convogliato lo svolgimento successivo delle elaborazioni relative al senso composto e al senso diviso sui termini che saranno poi detti officiales !*. In tal caso però il De sensu composito et diviso di Heytesbury con la sua ricca articolazione resterebbe sempre più un fatto isolato che non trova precedenti, se non quelli lontani (e non sappiamo quanto noti in ambiente oxoniense) del secolo XII. Forse per sciogliere questo nodo sono necessarie altre indagini sui manoscritti. Ciò che caratterizza le analisi del senso composto e del senso diviso proposte in ambiente oxoniense rispetto a quelle dei secoli precedenti e dei contemporanei che operano in continente! è 150 Cfr. cap. VI, $ 6. 151 Vedi più avanti, p. 556. 152 Cfr. Cambridge, Corpus Christi College ms. 378, ff. 34v-45v; per esso v. il mio Lo  Speculura ..., cit., pp. 302 e 323-324. 5 153 L’ipotesi è stata già avanzata in Lo  Speculum ..., cit., pp. 389 390 n. 128, sulla base d’un primo confronto tra i testi di Heytesbury e di Billingham. ; i : d 154 Quando Occam scrisse il Tractatus logicae minor e l’Elementarium (nel quale ultimo dà ampio spazio alla dottrina delle fallaciae) era in con544 Alfonso Maierà l’abbandono sia del testo aristotelico — che non viene più seguito da vicino e costituisce così solo il lontano punto di partenza della discussione — sia dell’impostazione mutuata dalla grammatica speculativa, quale abbiamo trovato in Duns Scoto: resta, di questa, un’esigenza che ormai la logica ha fatto propria da tempo, e cioè l’attenzione alla ‘struttura’ della proposizione esaminata; non sono però più rodi significandi o proferendi a fornire la intellectio dei vari sensus della proposizione, ma la ‘posizione’ occupata dalle varie dictiones. Il tema ha avuto uno sviluppo notevole grazie alla discussione sulle proposizioni modali, come abbiamo visto nel capitolo quinto, ma ora viene esteso a tutta la trattazione del senso composto e del senso diviso, e, più generalmente, diventa punto cruciale delle analisi logiche di questo periodo, giacché è su di esso che si incentra, come si è detto, anche la discussione della probatio propositionis. Un altro elemento caratterizzante è il controllo dei rapporti tra senso composto e senso diviso effettuato mediante corseguentia che, accennato qua e là in precedenza!5, viene esaltato nell’analisi proposta da Heytesbury. Ci siamo già occupati in altra sede del trattato di Heytesbuty !%; tinente da tempo (v. Introduzione. Quanto ai rapporti d’inferenza dell’un senso dall’altro, già ABELARDO, Glosse super Periermenias, rilevava a proposito delle proposizioni con possibilis: Et videtur semper affirmatio ‘possibilis’ de sensu inferre affirmativam de rebus; sed non convettitur. E contratio autem negationem ‘possibilis’ de rebus inferre negationes de sensu, e p. 32:  Cum autem affirmative de ‘possibili’ de sensu inferant affirmativas de rebus (sed non convertitur) et negative de rebus negativas de sensu (sed non convertitur) . Cfr. Occam, Elementarium logicae, cit., p. 123: Est autem sciendum quod, licet talium orationum sint semper distincti sensus, tamen saepe unus sensus infert alium ita quod saepe impossibile est quod unus sensus sit verus sine alio . Gli altri testi pongono paralogismi (figure sillogistiche), non conseguentiae. Cfr. Il  Tractatus de sensu composito et diviso  di Guglielmo Heytesbury,  Rivista critica di storia della filosofia] a questa esposizione rimandiamo per problemi particolari e ci limitiamo qui a richiamare gli elementi fondamentali che carattetizzano l’opera !7. Il maestro individua otto modi del senso composto e del senso diviso. Essi sono classificati in base ad elementi sincategorematici o che hanno importo sincategorematico. Il primo ha luogo con i termini ampliativi o modali 8: si ha senso diviso quando il ‘modo’ viene a trovarsi tra le parti del dictum e, se verbo, è in forma personale; si ha senso composto quando il modo precede il dictum e sta 4 parte subiecti: il modo in tal caso, se verbo, è impersonale !9. Il secondo modo ha luogo con i verbi dotati di  vis confun157 Sarebbe da discutere lo stato del testo, anche in ordine ai commenti che esso ha avuto in Italia, ma è questione che ci porterebbe troppo lontano. Ci limitiamo qui a utilizzare l’edizione veneziana del 1494, che raccoglie le opere di Heytesbury. Nel prossimo paragrafo, parlando dei maestri italiani, diremo qualcosa circa il testo ch’essi avevano presente, almeno per quanto riguarda la distinzione dei vari modi. 158 De sensu composito et diviso, cit., f. 2ta-b:  Et primus modus sicut in principio fuit exemplificatum est mediante hoc verbo ampliativo ‘possum’ vel quocumque consimili ampliativo, sicut ‘convenit’, ‘verum’, ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘contingens’ et sic de aliis, quibuscumque similibus accidit compositio et divisio . 159 Ivi, f. 2rb: Et sciendum est quid sit sensus compositus et divisus respectu primi modi, sicut et respectu aliorum modorum, et generaliter respectu quorumcumque modorum positorum, et primo cum hoc verbo ‘potest’ sive fuerit suus modus, qualis est ille terminus ‘possibile’, ‘necesse’, ‘necessario’ vel ‘de necessitate’ et sic de talibus. De quibus sciendum est quod quando aliquis ipsorum invenitur in aliqua prmpositione absque alio relativo implicativo sequenti [v. il 3° modo], tunc est sensus divisus et tunc tenetur illud verbum ampliativum in tali proposittone personaliter . Sed quando illud verbum ‘potest’ vel suus modus totaliter praecedit in aliqua propositione, tunc est sensus compositus et tunc sensus compositus significat identitatem instantaneam possibilem respectu istius compositionis sequentis illum terminum ‘possibile’ et tunc tenetur ibi talis terminus dendi  1: si ha senso composto quando il verbo precede gli altri termini, e senso diviso quando tale verbo non è il primo nella proposizione 181, ì Il terzo modo si verifica con il pronome relativo !£. Il caso più semplice è quello del pronome gui: esso può avere expositio in et ille; se ha expositio, la proposizione categorica equivale a una ipotetica, cioè alla congiunzione di due proposizioni categoriche; se non ha expositio, la proposizione resta categorica. Si ha senso composto nel secondo caso, senso diviso nel primo !£, ampliativus impersonaliter  ; v. cap. V, $ 7. 10 Ivi, £ 2rb: Secundus modus est mediante termino habente vim confundendi, sicut sunt huiusmodi verba: ‘requiro’, ‘indigeo’, ‘praesuppono’ incipio’, ‘desidero’, ‘cupio’, ‘volo’, ‘teneo’, ‘debeo?’, ‘necessarium’, ‘semper’, ‘in aeternum’, ‘aeternaliter’, ‘immediate’, et sic de aliis . ” del Nel primo caso non è lecito il descersus dal termine confusus ai suoi inferiora, mentre nel secondo il termine non confusus ha supposizione dreraioit Ma Heytesbury non si sofferma su tutto ciò. ; "Ivi:  Tertius modus est mediante termino relativo ‘qui’, ‘quae’ quod’, qualiscumque?, ‘quicquid’, et hoc maxime respectu termini communis stantis confuse tantum, sicut sic arguendo: immediate post hoc erit instans quod immediate post hoc erit, ergo immediate post hoc erit instans et illud immediate post hoc etit . ; 163 Ivi, £. 2va-b: Nota hic duas regulas pro relativis. Prima est quod illud relativum ‘qui’, ‘quae’, ‘quod’ vel ‘quid’, quandoque exponitur per unam coniunctionem ‘et’ et per illud relativum ‘ille’, ‘illa’, ‘illud’, et aliquando non exponitur, quando ipsum praecedit negatio vel terminus includens negationem, [2] et quando refert terminum stantem confuse tantum, [3] et quando praecedit verbum principale, sicut patet in proposi tionibus antedictis in tertio modo. — Secunda regula est, quod quando relativum ponitur in eadem categorica, supponit sicut suum antecedens ut ‘omnis homo est animal quod est rationale’, sed relativum positum in alia categorica variat suppositionem, ut ‘omnis homo est animal et illud est rationale’: quia terminus relativus numquam debet sic exponi dum refertur ad terminum communem stantem confuse tantum (cfr. [2]), sive post negationem (cfr. [1]), sive post terminum distributum immediate positum, quod fit quando propositio est in sensu composito. : tunc est sensus divisus quando illud relativum subsequitur verbum principale. Li] Terminologia logica delli tarda scolastica 547 Il quarto modo si ha con i termini infinitus e totus che, quando precedono tutta la proposizione, hanno valore sincategorematico, altrimenti hanno valore di categoremi: nel primo caso la proposizione è in senso diviso, nel secondo in senso composto !*. Il quinto modo si ha con la congiunzione ef !9 posta fra termini che stanno 4 parte subiecti o 4 parte praedicati 16. essa fa senso composto quando dalla proposizione originaria non è possibile inferire una congiunzione di proposizioni, senso diviso nel caso contrario o quando sia possibile inferire una proposizione contenente uno dei due termini senza l’altro col quale in origine stava in congiunzione !. Il sesto modo si verifica quando occorre la congiunzione tune est sensus compositus quando illud relativum praecedit verbum principale (cfr. [3]), et hoc sive illud relativum sumatur in recto sive in obliquo . 16 Ivi, f. 2rb:  Quartus modus est mediante termino quandoque categorematice sumpto quandoque syncategorematice, cuiusmodi est terminus ‘infinitus, -ta, -tum’, TOTVS, -ta, -tum’; et ad hunc modum possunt reduci isti termini prius positi adverbialiter, scilicet ‘semper, ‘in aeternum?’, ‘aetetnaliter? et sic de aliis  (l’autore li ha posti anche nel secondo modo, n. 160); f. 2vb: Unde generaliter quando iste terminus ‘infinitum’ vel aliquis huiusmodi terminus syncategorematice praecedit  totaliter propositionem ita quod istum non antecedit aliquis terminus qui est determinatio respectu istius termini stantis syncategorematice, tunc est sensus divisus : se ne inferisce che nel caso contrario si ha senso composto (ma cfr. f. 3ra:  sed quando aliquis terminus determinabilis respectu istius praecedit ipsum quando ponitur a parte subiecti, tune tenetur categorematice, sicut quando ponitur a parte praedicati ). 165 Ivi, f. 2rb:  Quintus modus mediante illa copula coniunctionis ‘et’, sicut sic arguendo: isti homines sunt Romae et Ausoniae, igitur isti homines sunt Romae . 166 Si ricava dagli esempi che occorrono ivi, ff. 3ra-b. 167 Ivi, f. 3ra:  Respectu notae huius coniunctionis ‘et’, si fiat compositio vel divisio, faciliter potest cavillari, quia differentia faciliter apparet inter sensum compositum et divisum; è infatti uno dei modi più tradi zionali. L'ultimo caso ha riscontro nel testo della n. 165. sa Alfonso Maierà vel'®: si ha senso diviso quando è possibile interpretare la proposizione originaria come una disgiunzione di proposizioni categoriche, e senso composto quando ciò non è possibile !9, Il settimo modo ha luogo con le determinazioni ita o sicut in quanto esse hanno il potere di limitare ‘a un certo tempo’ (passato, presente, o futuro) la supposizione dei termini seguenti !”; se una proposizione è preceduta da una tale determinazione e non è  de simplici subiecto et de simplici praedicato  17, si da senso composto; se invece la determinazione manca, si ha 1 Nel primo elenco dei modi, questo appare come settimo (ivi, f. 2rb):  Septimus modus mediante ista disiunctione ‘vel’, ut patet in hoc sophisma(te): ‘omnis propositio vel eius contradictoria est vera’ . Ma nell’esposizione dei modi esso è discusso come sesto (£. 3rb). 19 L’autore non fornisce molti elementi. Precisa tuttavia, nell’ambito della validità delle regole della disgiunzione note dalla logica degli enunciati (ivi, £. 3rb): si vero fuerit post distributionem vel negationem vel aliquem terminorum habentem vim negationis distribuendi vel confundendi, tunc [non] fallit argumentum tamquam ab inferiori ad suum superius cum negatione vel distributione, quia universaliter disiunctus est superior quam aliqua eius pars; ideo non sequitur: tu differs ab asino, ergo tu differs ab homine vel ab asino  (differo è termine confundens).  È sesto nella prima elencazione dei modi; ivi, f. 2rb: Sextus modus est mediante illa determinatione ‘ita’ vel ‘sicut’, ut “ita erit’, ‘ita fuit, ‘ita est’, ‘sicut est’, ‘sicut fuit’, ‘sicut erit’, ut sic arguendo: ita est quod Socrates erit tantus sicut Plato, ergo Socrates erit tantus sicut Plato, vel e contra . I Ivi, f. 3rb: Quando arguitur componendo vel dividendo mediante hac determinatione ‘ita est’, ‘ita fuit’, ‘ita erit’, ‘ita potest esse’, vel respectu termini distributi, vel respectu duplicis compositionis, vel negationis, vel alicuius habentis talem vim cuiusmodi est iste terminus ‘necesse’, frequenter fallit ille modus, ut sic arguendo: ita erit quod tu es omnis homo existens in ista domo, igitur tu eris omnis homo existens in ista domo . Respectu tamen compositionis simplicis, de simplici subiecto et de simplici praedicato, bene valet consequentia: ita erit quod tu eris episcopus, ergo tu eris episcopus , et causa est, qui ad idem instans refertur determinati et illa propositio, sed non est sic de aliis . Sembra quindi che, per Heytesbury, quando la proposizione che segue la determinazione ha lo stesso tempo della determinazione, è valida l’inferenza, se invece il tempo della proposizione è senso diviso, giacché in tal caso soggetto e predicato, la il tempo del verbo non è al presente, si comportano come in qualsiasi proposizione di verbo ampliativo. eda) L’ottavo modo è proprio dei verbi che designano atti dell dia letto o della volontà !?; alcuni di essi sono elencati nel secon " modo tra i termini aventi vis confundendi . Essi hanno quia i capacità di ‘confondere’ i termini seguenti, ma oltre fa ciò ue il potere di far sì che il dictum seguente  appellat se pi Si ha senso diviso quando il verbo sta tra = parti del Ing Um; se invece totalmente lo precede '® o lo segue !, allora si ha senso composto. Mo Le A questi otto modi Heytesbury fa seguire in una p 14 cazione un nono modo, che poi tralascia nella span pren zione, perché ritiene sia da considerare sotto la E e ca niîs , ma che avrà fortuna presso i commentatori del seco ; Ecco il testo: Nonus modus, mediante termino nie poso a ser legni | 5 > a i i de futuro ad eundem termim r respectu verbi de praeterito vel d i eun È È a parte praedicati; respectu eiusdem verbi qui modi possunt redu i i i eno diverso da quello della determinazione, l’inferenza non è valida (così alm i o i 1 n * DIRCI n Se ruta  Octavus modus mediantibus terminis pe reni volusitatisi sive intellectus significantibus, sicut sempe en oc verl ; ‘haesito”, ‘credo’, ‘volo’, ‘desidero’, ‘appeto’ et sic de aliis . s 173 Cfr. n. 160. 17 Cfr. cap. I. | 3 RE 5 De sensu composito et diviso, cit., f. 3va:   et tunc est So È pins ue divisus in istis propositionibus, nre ed pr gen i i jat inter huiusmodi casi intellectus seu voluntatis media i | È : infinitivi modi . Sed quando huiusmodi verbum praecedit totaliter, tunc t sensus compositus . . . : ha  Questa precisazione è solo nel De scire et dubitare, cit., f. 13rb (è pic attenuata nel trattato De sensu composito et diviso?), ma è Ra a incertezza dall'autore: cfr. il mio Lo  Speculum ..., cit., pp. 3899 ni Alfonso Maierù ad compositionem vel divisionem, sed magis est fallacia figurae dictionis, ut ‘album erit nigrum, ergo nigrum erit album’: non sequitur 1”, Per tutti i modi, Heytesbuty precisa che l’inferenza dal senso composto al senso diviso, o viceversa, non vale a meno che ciò non sia possibile  gratia terminorum  19: così, per l’ottavo modo, quando occorre il pronome hoc in una proposizione il cui verbo sia scio, senso composto e senso diviso sono equivalenti 1? De sensu composito et diviso, cit., f. 2rb: il testo ha 4 parte praeteriti invece di 4 parte praedicati. 178 Per il primo modo, cfr. ivi, f. 2va :« Arguendo a sensu diviso ad sensum compositum, ubi sensus divisus verificetur per huiusmodi successionem respectu diversarum partium temporis cuius compositio est possibi lis pro instanti, consequentia non valet. Sed respectu terminorum in quibus huiusmodi compositio est possibilis per instans nec aliunde per aliquam relationem implicativam aliud denotatur per sensum divisum quam per sensum compositum, vel e contra, valebit consequentia ; per il secondo modo, ivi: « Arguendo a sensu composito ad sensum divisum mediante aliquo termino habente vim confundendi terminum sicut prius est dictum, generaliter consequentia non valet ; per il terzo modo, ivi: «Item respectu terminorum relativorum non valet consequentia a sensu composito ad sensum divisum communiter, nisi fuerit gratia materiae  (ma un discorso più complesso si vedrà nei commenti); per il quarto, ivi, £. 2vb: « respectu terminorum qui sumuntur aliquando categorematice, aliquando syncategorematice, inferendo sensum compositum ex sensu diviso fallit consequentia ; per il quinto, ivi, f. 3ra: «Sed satis possunt faciliter aliqui respondere dicendo quod non valet consequentia arguendo a sensu diviso ad sensum compositum seu e converso mediante illa nota coniunctionis ‘et’ post terminum distributum. Similiter cum ista coniunctio ‘et’ copulat duos terminos a parte subiecti positos quorum unus est distributus alius non, difficilis est responsio (ma la differentia fra i due sensus faciliter apparet: cfr. n. 167); per il sesto, cfr. n. 169; per il settimo, cfr. n. 171; per l’ottavo, ivi, f. 3va: «In omnibus (sc. exemplis) nam est sensus divisus impertinens sensui composito et e converso et proptetea est consequentia mala   e « potest igitur dici quod non valet consequentia huiusmodi arguendo a sensu diviso ad sensum compositum nisi gratia terminorum . 551 Terminologia logica della tarda scolastica i ALE i drianii giacché è irrilevante che il termine immediato (hoc) preceda o segu ; 179 verbo !?. Ho E: E° î Il trattato di Heytesbury non è privo di ge sog testo che abbiamo esaminato !°, e non sempre gli eleme La valgono a chiarire la portata delle affermazioni del ce (slide i i in ciò sia ir i i trina. Ma aiutano in ciò s : fissarne con chiarezza la dot i . e a quanto sappiamo delle dottrine precedenti (per bm o a le proposizioni cum dicto, specie le moda li, e i ta ig pe tutto, mentre per quanto riguarda i relativi ca der ci sun i che però no! Yh, Occam, Sutton ‘*, 1 e s'è detto, a Burleigh, pe a Lnccvis in termini di senso composto e La diviso), s mi ro Wo Siae zan] i sedi de scire — ha Su tutti i modi, l'ottavo — ge in Heytesbury la trattazione più estesa nel De sensu sonpasie Ù i i sta ivi. Itre a quella delle Regulae). Questi verbi, cui è i ap i ione 12, nel secolo XIV ricepre riservata una particolare attenzione "*, cer vono, come si è detto, un’accurata analisi. Nella Logica  i ini i i insieme i verbi scio, dubito, volo e i termini modali sono trattat izi ivisione: si ha senso composto i i e e alla divisione: si np ordine alla composizione e ( cl cina uno di questi termini precede il resto ar Line pa i i i tra gli elemen i ivi ndo il termine sta le del ice i 5 in fine della proposizione (cioè dictura; quando invece sta in tin mana icati izione s assi a parte praedicati), la proposi? id Art probata in senso composto o in senso A i iu Cit., pp. 254-255. 19 ivi, f. 3va, e Il Tractatus ..., cit., PP. 4? sala 180 iaia a e e alla successiva eliminazione del nono ;i basta scorrere i rilievi fatti nelle note precedenti. 181 . VI, n. 132. : nu: . dr 182 ‘n dall'Ars Meliduna, cit., p. 348, dove i verbi | piso | A sono detti verbi  quorum significatio proprie ce si sg i Strope, Logica, cit., f. 19ra:  Et ideo quando in dun ga orum: ‘scio’, “dubito”, ‘volo’ et terminus rogge peo grin : ; ° i i ici Opos: i iti dictum, dicitur talis pr s A iragiorg pg sorde  ‘possibile est album esse nigrum’. F posito, ut ‘scio Socratem currete’, pos  952 Alfonso Maierù più che al posto occupato dai verbi indicanti atti dell'anima e dai modi, bada, come si è visto !#, alla supposizione che essi conferi scono ai termini sui quali operano: nel senso composto causano supposizione semplice, nel senso diviso supposizione personale. La stessa tesi di Strode è sostenuta dall’anonimo adattamento dello Speculum contenuto nel ms. 378 del Corpus Christi di Cambridge: si ha senso composto quando uno dei detti termini (e sono zerzzini officiales) precede il resto della proposizione, senso diviso quando sta per i termini del dictum; quando sta in fine, allora indifferenter si può avere senso composto o senso diviso 185, quando mediat accusativum et infinitum verbi in propositione, ut ‘album possibile est, vel potest esse nigrum’, dicitur sensus divisus. Sed quando finaliter sequitur, dubitandum est arguentem, an velit tenere talem propositionem arguens in sensu composito vel in sensu diviso, sicut in ista ‘omnem hominem esse animal est necessarium’. Si sumatur in sensu composito, conceditur quod sic tunc debet probati: talis propositio est necessaria, scilicet ‘omnis homo est animal’, praecise significans quod omnis homo est animal, ergo omnem hominem esse animal est necessatium. Et si capiatur in sensu diviso, debet probari ut universalis, scilicet per singularia vel pet exponentes, quarum quaelibet est falsa ; cfr. anche ff. 19rb e 26vb. 14 Cfr. capp. V, $ 7, e VI, $ 6.  Op. cit., f. 42r-43r: Termini officiabiles sunt omnes termini facientes sensum compositum et solum talis propositio in sensu composito est officiabilis. Et termini facientes sensum compositum sunt omnia signa modalia, ut ‘possibile’, ‘impossibile’, ‘contingens’ et ‘necessarium’, et omnia verba significantia actum mentis, ut ‘scire’, ‘nolle’, ‘credere’, ‘imaginari’, ‘percipere’, ‘dubitare’, ‘haesitare’, ‘demonstrate’ et similia. Unde quando aliquis istorum terminorum totaliter praecedit dictum propositionis facit sensum compositum (tantum 4dd. inferl.), ut ‘scio deum esse’, ‘possibile est hominem esse animal’. Sed quando aliquis istorum terminorum intermediat dictum propositionis, scilicet (ponitur) inter accusativum casum et infinitivum modum, tunc facit sensum divisum tantum, ut ‘hominem possibile est cuttere’. Sed quando aliquis istorum terminorum finaliter  subsequitur dictum propositionis, tunc ista propositio potest indifferenter sumi in sensu composito vel in sensu diviso, ut ‘hominem cutrere est possibile’. Omnis propositio in sensu composito est officiabilis, ut ista ‘necesse est deum esse’ sic officiatur: talis propositio est necessaria ‘deus est” propter eius Terminologia logica della tarda scolastica 553 Il trattato Termini qui faciunt, a proposito degli stessi termini (modali e verbi designanti atti dell'anima), scrive   quando aliquis praedictorum terminorum vel consimilium praecedat totaliter dictum propositionis vel finaliter subsequitur, tunc ii illa propositio in sensu composito , e aggiunge:  sed quando quis dictorum terminorum mediat dictum propositionis, id est ponitur in medio inter accusativum casum et modum infinitum, tunc illa propositio est totaliter accepta in sensu diviso !; ica SAR la stessa tesi ritroviamo nell’anonimo trattato Termini cu. quibus ®8. Il trattato De sensu composito et diviso di Riccardo Billingham è da ricondurre a queste ultime discussioni. be L’autore si interessa a quello che considera il primo modo primarium significatum ‘deum esse’, igitur necesse est deum esse. Li Lay propositio in sensu diviso est resolubilis, si primus e sit reso! ni vel exponibilis, si primus terminus sit exponibilis. tì um prim: ; ‘hominem possibile est currere’ sic resolvitur: hoc possibile est nn fa hoc est homo, igitur etc. Exemplum secundi: ‘omnem esi pe est currere’ sic exponitur: hominem possibile est currere et nih | est homo quem vel quam non est possibile currere, igitur etc. Unde propositio è rg diviso debet probari per primum terminum mediatum in illa i proposi ros : Il primo termine sul quale la probatio si opera può essere impedito Si A DI s° Sed nota quod primus terminus. probabilis impeditur sex mo; 1 ni modo, per propositionem hypotheticam, ut ‘si homo currit, “1 currit?. Secundo modo, per propositionem modalem in sensu composito, ut pe cutrere est impossibile’. Tertio modo, per exceptivam et per exe cp ut ‘omnis homo praeter Socratem currit?. Quarto modo, in propositione p cr ralis numeri, ut ‘duo homines habent duo capita’. Quinto modo, pa 5 relativum ponitur a parte praedicati et refertur ad terminum stantem discre e vel determinate, ut ‘homo currit qui est albus?. Sexto modo; per ig tionem negativam, quae debet probari per eius oppositum, ut n us e currit’ A_ parte l’ultimo modo, ben noto agli altri sostenitori E" pro pei i primi cinque non sono ricordati come impedienti la probatio del primo mine: ma essi richiamano regole del senso composto note in past (1° e 2°, 4°) o al tempo dell’autore (5°); per il terzo modo, cfr. il cap. IV. 186 Cfr. appendice 1. 187 Cfr. appendice 2. 554 Alfonso Maierà e che ha luogo con i termini officiales: modali e verbi significanti actum mentis! Degli altri modi, egli ricorda quello che può essere luogo con e?! o con vel!9, Ma, per quanto riguarda il primo modo, egli afferma categoricamente ! che si ha senso composto quando il termine comune è preceduto da un termine officiabile e senso diviso quando il termine comune segue il termine officiabile ‘2, giacché la probatio propositionis può essere fatta solo in base al primo termine della proposizione !?, Per il resto, il trattato non contiene novità né a proposito della dottrina che qui ci interessa, né per quanto attiene alla probatio della proposizione quale la conosciamo. i È necessario rilevare, concludendo queste note, che la dottrina della probatio si è così impadronita di quella del senso composto e del senso diviso, che in Heytesbury si presentava come una sistemazione dei vari capitoli della logica di quel tempo-in funzione di un preciso punto di vista. Questo predominio della probatio sul senso composto è sul senso diviso dopo Heytesbury permetterà, come vedremo, ai maestri italiani di spiegare il testo . de [Voco autem officiale omnem terminum verbalem significantem actum mentis, ut ‘imaginor’, ‘intelligo’, ‘scio’, ‘credo’, ‘dubito’ ‘significat’, ‘supponit’ et huiusmodi, quae communiter verba non sunt vera actus singulis simplicis sicut sunt huiusmodi verba ‘percutio’, ‘vendo’, ‘do’ et huiusmodi ; ma si veda, per i modali, ivi e Speculur, cit., pp. 345-346. o Ms. Paris, B.N., lat. 14715, f. 82ra:  Penes secundum modum compositionis et divisionis fiunt per o" (notam?) copulationis ut ‘quinque sunt duo et tria’, quae falsa est . DE Cfr. ivi, f. 82ra: Similiter in sensu diviso cum disiunctione, ut contingit hoc esse, igitur contingit hoc esse vel non esse; tu scis 4 vel b igitur tu scis 4; haec significat 4 esse, igitur significat et esse vel £ non esse : Evidentemente Billingham, che non si rifà al trattato di Heytesbury, adotta uno schema tradizionale in due o tre modi, al quale si riferisce, 191 BILLINGHAM polemizza contro chi sostiene che si abbia senso composto anche quando l’officiabile segue gli altri elementi della proposizione: cfr op. cit., pp. 389 sgg. ° 192 Ivi, pp. 387-389. 19 Cfr. Speculum..., cit., p. 373. —1 Terminologia logica della tarda scolastica 553 di Heytesbury con le nuove regole, in modo da eliminare ogni incertezza dall’opuscolo del maestro. 6. I trattati italiani dei secc. XV-XVI In Italia la dottrina che studiamo ha avuto due forme, legate a due diverse tradizioni. La prima (per la quale basti ricordare Paolo Veneto), è quella più diffusa nella logica inglese, incentrata sui termini officiales; l’altra — della quale esamineremo, nell'ordine, i testi di Paolo da Pergola, Battista da Fabriano, Alessandro Sermoneta, Bernardino di Pietro Landucci e Benedetto Vettori — segue invece da vicino il resto di Heytesbury, che in Italia ha avuto enorme fortuna. Paolo Veneto tratta ex professo del senso composto e del senso diviso nel trattato 21 della prima parte della Logica magna. Riconosciuto che la dottrina  ortum trahit a terminis officiabilibus  !*, egli respinge la tesi di coloro che assumono la proposizione in senso composto quando il modus! precede il dictum o lo segue e in senso diviso quando esso sta tra le parti del dictum '6, ma respinge anche la tesi di chi (come Pietro di Mantova) ritiene che si ha senso composto solo quando il modus precede il dictum, mentre quando esso sta tra le parti del dicturz 0 lo segue si ha senso diviso !”. Per parte sua si schiera con coloro che 14 Logica magna, cit., I, 21, f. 76rb. 195 Si ricordi (cfr. cap. VI, n. 279 e il cap. V, sulle proposizioni modali), che Paolo Veneto ammette varie specie di ‘modi’; cfr. ivi, f. 76rb-va:  Pro quo est notandum quod omnes illi modi superius explicati, puta nominalis, verbalis, participialis et adverbialis, sensum compositionis et divisionis exprimere possunt, sed qualiter est difficultas . 196 Ivi, f. 76va:  Dicunt quidam quod universaliter quandocumque modus simpliciter praecedit orationem infinitivam vel finaliter subsequitur eandem, sensus compositus firmiter nominatur, ut ‘possibile est Socrates currere’, “Socratem currere est possibile’; sed quando mediat dictum, sensus divisus vocatur, ut ‘Socratem possibile est currere’ . 197 Ivi:  Alli dicunt quod quando modus simpliciter praecedit est sensus 256 Alfonso Maierù ritengono che il modus posto in fondo fa sì che la proporzione sia assunta indifferenter in senso composto e in senso diviso: Dico ergo aliter tenendo medium istorum, quod quandocumque modus simpliciter praecedit dictum categoricum vel hypotheticum facit sensum compositum, et quando mediat verbum dicti et primum extremum tenetur in sensu diviso; sed quando finaliter subsequitur idem potest indifferenter sumi in sensu composito et (in) sensu diviso 18, Li Quando è in senso composto, la proposizione è officiabile in ragione del termine officiabile che precede o segue il dictum (la proposizione, con l’officiabile che segue il dicturz, aequipollet ‘9 a quella con l’officiabile che precede); ma quando è in senso diviso essa è resolubile. Ma bisogna fare attenzione: quando la proposizione in senso diviso ha il zzodus a patte praedicati , se un termine comune precede il verbo di modo infinito, la probatio comincia dal termine comune; ma se il verbo è preceduto solo da un termine immediato, la probatio comincia dall’officiabile anche quando questo sia preceduto da un termine comune posto comunque dopo compositus ut prius, sed quando mediat vel finaliter subsequitur est sensus divisus, ut “4 scio esse verum’ et ‘4 esse verum est scitum a me. Cfr. PieTRO DI MANTOVA, Logica, cit., f. [105va]: Item, praemittamus quod verba pertinentia ad actum mentis faciunt sensum compositum et sensum divisum. Faciunt autem sensum compositum cum totaliter praecedunt dictum propositionis, ut ‘scio hominem currere’; sensum autem divisum faciunt cum inter partes dicti mediant aut totaliter sequuntur: ideo haec est in sensu diviso ‘hominem scio currere’, aut ‘hominem cutrere scio’  (è il trattato De scire et et dubitare, e la giustificazione è che questi verbi operano la e a sui termini seguenti, non su quelli precedenti; si veda cap. VII, 198 ; i " Ried ale Logica magna, cit., I, 21, f. 76va; in luogo di surzi, In sensu composito est falsa (sc. propositio ‘creantem esse deum est necessarium’) quia tunc aequipollet huic ‘necessarium est creantem esse deum’ et officiabilis, sicut illa valet: propositio est necessaria ‘crean: est deus’ sic primarie significando, quod falsum est . i Terminologia logica della tarda scolastica 557 il verbo di modo infinito ?°, Degli officiabili, i termini modali nella forma verbale fanno senso composto se sono presi impersonalmente, senso diviso se presi personalmente ?", mentre la loro forma avverbiale, che è esponibile, si comporta in tutto come la forma nominale ?®. La proposizione interpretabile in senso composto e in senso Est ergo pro toto notandum quod quando talis modus finaliter subsequitur et tenetur in sensu diviso, si verbum infinitivi modi terminus mediatus praecedit, ab ipso incipiatur probatio propositionis. Si autem fuerit terminus immediatus, a modo incipiatur probatio propositionis per officiantes, non obstante quod ipsum praecesserit terminus mediatus existens post verbum, verbi gratia dicendo: ‘hoc esse creans est necessarium’, illa propositio officiabilis est sicut illa cui aequipollet: ‘hoc necessarium esse est creans’. Sed dicendo: ‘hoc creans esse est necessarium’, propositio illa est resolubilis respectu istius termini ‘creans’, sicut illa ‘hoc creans necesse est esse’. Ita ergo quod si dicerem ‘deum esse creantem est necessarium’, primus terminus probabilis est li ‘deum’ et secundus est li ‘necessarium’. Sed si dicerem: ‘deum cteantem esse est necessarium’, primus terminus est li ‘deum’ et secundus li ‘creantem’, dato adhuc quod sit appositum verbi infinitivi . È da notare che, allo stesso proposito (senso diviso con modo in fine), l’autore ha sostenuto che la proposizione  creantem esse deum est necessarium  è resolubile grazie al termine creanferz, così:  hoc esse deum est necessarium et hoc est creans, ergo creantem esse deum est necessarium , e che la proposizione  hoc esse deum est necessarium  va officiata ( Et in sensu diviso similiter, quia debet officiari immediata facta resolutione primi termini , ivi). 201 Ivi, f. 76vb: Verumtamen est notandum quod huiusmodi verba ‘potest’ et ‘contingit’ non habent huiusmodi distinctionem. Quandocumque nam personaliter sumuntur faciunt sensum divisum, ut ‘antichristus potest esse’, aut ‘Socrates contingit currere’; sed quando impersonaliter sumuntur, tune faciunt sensum compositum, ut ‘potest esse quod antichristus sit, vel currat”, ‘contingit hominem currere’ aut ‘contingit quod Socrates legit, vel disputat’ etc. Quaecumque igitur dicta sunt de terminis officiabilibus possunt etiam in terminis modalibus exponibilibus confirmari, ita quod quando modus praeponitur facit sensum compositum, ut ‘necessario omnis homo est animal’, quando mediat inter subiectum et praedicatum facit sensum divisum, ut ‘omnis homo necessario est animal’; sed quando finaliter subsequitur potest 558 Alfonso Maierù diviso può essere vera o falsa in entrambi i sensi: ma è necessario distinguere questi sensi, a meno che la proposizione non sia vera in entrambi 2°. Regola generale è la seguente:  A sensu composito ad sensum divisum et e converso non valet argumentum  24, anche se in casi particolari l’inferenza può essere valida 25, I maestri che commentano il testo di Heytesbury ne espongono la dottrina in sette o otto modi 2%: in genere i modi 5 e 6 di Heytesbury sono trattati in uno solo, il quinto 2”, mentre c'è oscillazione a proposito dell’ultimo modo appena accennato da Heytesbury: alcuni ne trattano, altri no ?®, indifferenter sumi in sensu composito vel diviso, ut ‘omnis homo est animal necessario’ , . i Ivi, f. 76va:  Dico quod quaelibet istarum (sc. propositionum) et consimilium cum proponitur est distinguenda secundum compositionem et divisionem nisi in utroque sensu fuerit vera . 24 Logica parva, cit., III, e Logica megna, cit., I, 21, f. 76vb: Ex ista sententia infero istam conclusionem, quod a sensu composito ad sensum divisum cum termino officiabili frequenter fallit argumentum [....]. Similiter a sensu diviso ad sensum compositum non valet talis forma arguendi  . ca Ivi, f. 74va: Et si ex his concluderes quod sensus compositus convertitur cum sensu diviso, dico quod verum est quando utrobique modus est primum probabile . Sed quando modus non utrobique est primus terminus, tunc sensus compositus non convertitur cum sensu diviso  . Si tratta, in tal caso, dell’equivalenza (convertitur) tra i due modi. 206 Invece di  Unde octo vel novem modis accidit   del f. 2rb dell'edizione 1494 del testo di Heytesbury, il ms. Roma, Bibl. Casanat. 85, f. 8rb, il ms. Venezia, Bibl. Marciana, Z. lat. 277 (= 1728), f. 12v, e l’ed. 1501 col commento di Sermoneta, cit., f. 3rb, leggono  Unde septem vel octo modis  . ar Il testo del 1501, cit., f. 12rab:  Quintus modus mediante illa copula coniunctionis ‘et’ et ‘vel’  ; il ms. Marciano, al f. 12v, pone solo la  copula coniunctionis ‘et’  e non accenna a vel; ma a f. 14r tratta di e£ e al f. 14v, di seguito, di vel. 208 I mss. Casanat. e Marciano non hanno l’ottavo modo (il nono di Heytesbury) né, dei commenti, lo hanno quelli di Paolo da Pergola e di Benedetto Vettori, come si vedrà. Terminologia logica della tarda scolastica 559 Il primo di questi commenti è quello di Paolo da Pergola. Il maestro discute sette modi e di ciascuno considera analiticamente gli elementi differenzianti l’un senso dall’altro e i casi in cui l’implicazione di un senso da parte dell’altro è lecita. Il primo modo ha luogo con i termini modali ( sive sumantur nominaliter, sive verbaliter, sive adverbialiter ), e si ha senso composto quando il modo  praecedit vel subsequitur dictum propositionis , e, se è verbo, esso ha forma impersonale; quando invece il modo (se verbo, in forma personale)  mediat inter partes dicti seu extremorum  si ha senso diviso ?”. In tre modi differiscono senso composto e senso diviso: innanzi tutto, il senso composto esige, a differenza del senso diviso, che i termini della proposizione abbiano una verifica istantanea; inoltre, la proposizione in senso composto richiede che si possa formulare la corrispondente proposizione de inesse insieme con la proposizione modale senza che ne segua alcun inconveniente, ma ciò non è richiesto dal senso diviso 210. infine, il senso composto va provato officialiter, mentre il senso diviso va provato secondo che richiede il primo termine della proposizione ?!!, Dall’uno all’altro senso, e viceversa, vale l’inferenza solo quando si verificano le seguenti tre condizioni: che anche il senso diviso come il senso composto richieda una verifica istantanea (l’esempio addotto ha il verbo potest)”; che il relativo implicativo qui, Cfr. PaoLo pa PercoLA, De sensu composito et diviso, cit., p. 149. 210 Ivi; forse è un po’ forte intendere l’espressione  ponere in esse  come formulare la proposizione de inesse corrispondente, ma cfr. n. 239. 21 Ivi. 212 Cfr. gli autori seguenti. Credo che questo sia il senso della frase di Paoto (op. cit., p. 150): Prima, quod compositio sit verificabilis pro instanti et non exigat tempus limitatum. Ideo non sequitur: Tu potes proferre A propositionem, ergo potest esse quod tu proferas A propositionem . Qui compositio non vale senso composto (ché altrimenti avremmo una ripetizione di ciò che si sa) ma vale ‘complesso’ dei termini che costituiscono una quando è presente nella proposizione, non denoti altro nel senso composto e altro nel senso diviso; che i termini occorrenti non siano repugnantes o opposti (es. iustus-iniustus)?, Nel secondo modo, con i termini confundentes, si ha senso composto quando il termine comune ha supposizione confuse tantum e senso diviso quando ha supposizione determinata: poiché la supposizione determinata è verificabile mediante disgiunzione, ciò che differenzia l’un senso dall’altro è che nel senso diviso si ha la verifica con disgiunzione che nel senso composto non si può avere. Perciò dall’uno all’altro senso e viceversa non vale l’inferenza, almeno da un punto di vista formale, anche se può valere  gratia terminorum  ?!, Il terzo modo ha luogo con i pronomi relativi. Senso composto e senso diviso possono aversi in due modi: innanzi tutto, si ha senso composto quando occorre nella proposizione qui (relativo implicativo) e senso diviso quando in luogo di qui si ha et ille; ma in entrambe le proposizioni può occotrere lo stesso pronome qui: in tal caso il senso composto si ha quando il pronome precede il verbo principale ed è unito al suo antecedente; quando invece esso segue il verbo principale, si ha senso diviso 2! Nel primo caso, il senso diviso costituisce una ptoposizione ipotetica di contro al senso composto che è proposizione categorica; nel secondo caso il senso diviso è  magis distributus  rispetto al senso composto. Perciò, nel primo caso l’inferenza tra i due sensi vale solo eccezionalmente ?!5; nel secondo, l’infeproposizione o un dictum, e quindi sta per la proposizione stessa in senso composto o in senso diviso. Cfr. StropE, Logica, cit., f. 23vb:  ali quando verbum requirit instans pro supposito, id est pro quo debet propositio probari vel verificati, et aliquando tempus . 213 PaoLo DA PERGOLA, op. cit., p. 150. 214 Ivi: il testo ha solo   non valet argumentum de forma , ma pare che ciò importi che può valere  gratia materiae . 215 Ivi. 216 Ivi, p. 151: A resolutione de gui in et et ille, illa, ilud valet arguTerminologia logica della tarda scolastica 561 renza vale dal senso diviso al senso composto, e non viceversa CA Il quarto modo, che si verifica con totus e infinitus, è spiegato da Paolo con gli stessi elementi forniti da Heytesbury: si ha senso diviso quando uno di essi precede tutti gli altri; se invece segue il verbo principale, o è preceduto da un altro termine, si ha senso composto. La differenza fra i due sensi è quella che deriva dalla funzione di categorema o di sincategorema che i due termini possono avere, e dall’uno all’altro senso e viceversa non vale Vinferenza 28, . Il quinto modo ha luogo con et o vel (oppure 442): si ha senso composto quando i termini congiunti da e? o vel stanno collective e senso diviso quando stanno divisive; oppure: senso composto è quando i termini in congiunzione o in disgiunzione stanno dalla stessa ‘parte’ della proposizione (cioè dalla parte del soggetto o del predicato), senso diviso quando stanno in parti diverse. La differenza tra l’un senso e l’altro è data dal fatto che il senso composto richiede la verifica di tutti i termini della congiunzione 0 della disgiunzione insieme, mentre il senso diviso comporta la verifica di ciascun termine per sé (e quindi anche di uno in assenza degli altri). Perciò, infine, dal senso composto al senso diviso DO viceversa non vale la consequentia”?. Per quanto riguarda în particolare la disgiunzione, poiché da un elemento di essa all’intera disgiunzione vale l’inferenza ( hoc est homo, ergo hoc est homo vel asinus ), Paolo da Pergola avverte che questa non ha luogo quando la disgiunzione è preceduta da un termine distrimentum quinque conditionibus observatis. Prima quod non referatur antecedens stans confuse tantum. ...]. Secunda quod non praecedat terminus distributus. Tertia quod verbum principale non sit negatum. (tesa FA Quarta quod non praecedat terminus qui indifferenter potest teneri categorematice et syncategorematice. Quinta quod non praecedat terminus modalis de sensu composito . 217 Ivi. 218 Ivi, pp. 151-152. 219 Ivi, p. 152. 562 Alfonso Maierù butivo o avente importo distributivo ( tu differs ab asino, ergo tu differs ab homine vel ab asino : non vale) ?®, Il sesto modo si ha con la determinazione ita fuit ?!, ita erit, ita potest esse: una proposizione è in senso composto quando è preceduta dalla determinazione (e il verbo in tal caso è di tempo presente, come si ricava dagli esempi), altrimenti è in senso diviso (e il verbo non è di tempo presente, ma ha il tempo che ha la determinazione del senso composto). Il senso composto importa che la determinazione restringa la proposizione al tempo o al modo indicato dalla determinazione, mentre il senso diviso considera la proposizione absolute 2. Dal senso composto al senso diviso l’argomentazione non vale quando intervengono altri elementi sincategorematici 2*; se invece è  in terminis simplicibus , l’argomentazione vale dall’un senso all’altro senso e viceversa ?*. Infine, il settimo modo si ha con i termini mentali: quando il termine mentale precede o segue il dictum della proposizione, si ha senso composto (come per il primo modo), quando esso sta tra le parti del dictuzz si ha senso diviso. Nel senso composto, essendo il dictum determinato dal termine mentale, i termini del dictum sono disposti alla confusio e alla appellatio rationis 3, ciò che non avviene per il senso diviso. Per quanto attiene ai rapporti fra i due sensi, l’autore elenca nove regole, delle quali la sesta, la settima e l’ottava riguardano 220 Ivi, p. 153. 221 L’editore legge Il/la fuit (ivi). 22 Ivi. 223 In tre casi secondo l’autore:  Primo cum termino distributo ;  Secundo mediante termino confundente confuse tantum. Tertio respectu duplicis compatationis  (ivi, p. 154). 224 Ivi:  Sed in terminis simplicibus et sine distributione et sine termino confundente confuse tantum respectu simplicis comparationis, a sensu composito ad sensum divisum, et e contra valet argumentum . 25 Ivi:  sensus compositus est aptus natus ad confusionem et appellationem rationis, dummodo terminus fuerit capax; divisus hoc non exigit simpliciter . Per l’appellatio rationis, cfr. cap. I, $ 6. a Terminologia logica della tarda scolastica 563 i sillogismi 6 e la nona dà raccomandazioni per l’utilizzazione del settimo modo nella disputa e nei casus obligationis ?: petciò tralasciamo queste ed esaminiamo le prime cinque. Prima regula est ista, a sensu composito ad sensum divisum et e contra non valet argumentum  nisi in tribus casibus; primo, cum termino demonstrativo simpliciter sumpto ut: Hoc scio esse verum, ergo scio hoc esse verum . Secundo, cum prunomini demonstrativo additur determinatio palam convertibilis cum praedicato. Ideo bene sequitur: Hoc album scio esse album, ergo scio hoc album esse album, et e converso. Tertio cum pronomini demonstrativo additur determinatio palam superiori praedicato ut: Hoc coloratum scio esse album, ergo scio hoc coloratum esse album 28. Ma questi tre casi non valgono con i termini dubito, credo, imaginor, suspicor, apparet 2. Per quanto riguarda le regole successive, bisogna premettere che Paolo distingue, con Heytesbury,  termini omnino noti  (come ens, aliguod, hoc),  termini medio modo noti  (substantia, corpus, homo, Socrates), e termini omnino ignoti  (come le variabili A, B, C). La seconda regola è la seguente:  A termino magis noto ad minus notum vel omnino ignotum in terminis mentalibus non valet argumentum, nec a minus noto ad magis notum  2°, Le regole tre e quattro ? riguardano proposizioni contenenti termini omznino ignoti: si tratta di problemi de scire et dubitare (quando si può dire che una proposizione è scita, dubitanda, neganda ecc.), che non esaminiamo in questa sede. Infine, la quinta regola è la seguente:  A sensu diviso ad sensum divisum de forma non valet argumentum : ad esempio, 226 Ivi, pp. 156-158. 21 Ivi, p. 158. 228 Ivi, pp. 154-155. 29 Ivi, p. 155. 230 Ivi. 231 Ivi, pp. 155-156. 564 Alfonso Maierù non vale  A scio esse verum, ergo verum scio esse A , giacché non si tratta di conversione semplice della proposizione; la conversa di  A scio esse verum  secondo Paolo è  scitum esse verum est A? Il testo di Paolo dipende strettamente da quello di Heytesburye ne rappresenta una lettura attenta alle minime pieghe del discorso, condotta secondo il criterio della  probatio propositionis  (in particolare nel primo modo), che però non è spinto, mi pare, fino a forzare l’originale carattere del testo. Ciò che Paolo viene esplicitando si irrigidisce però in piatte formule scolastiche, che del resto ben rispondono alla intenzione dell’autore, il quale vuole fornire, come dice nella dedica a Pettus de Guidonibus, una tavola o prontuario ordinato della materia, già nota e diffusa in modo disordinato, come strumento cui ricorrere per evitare i sofismi con l’ausilio di regole certe ?*. La seconda expositio del testo di Heytesbury che esaminiamo in questa sede è dovuta a Battista da Fabriano. Egli premette all'esame dei singoli modi alcune osservazioni. Innanzi tutto,   arguendo a sensu composito ad sensum divisum aut e converso ut plurimum et frequenter consequentia non tenet  24: la proposizione in senso composto e quella in senso diviso non si implicano reciprocamente, né l’una in qualche modo implica l’altra, da un punto di vista generale. Inoltre, non è possibile dare un’unica descrizione del senso composto e del senso diviso, essendo i modi più di uno; quindi, ad esempio, non si può caratterizzare la proposizione in senso composto come quella in cui il modo precede o segue il dictum e la proposizione in senso diviso come quella in cui il modo sta tra le parti del dictum: infatti non tutte le proposizioni in senso 232 Ivi, p. 156. 233 Cfr. ivi, p. 149. 234 BarTISTA DA FABRIANO, Expositio..., cit., f. 4ra. composto o in senso diviso hanno un modo e un dicturz. Quindi è necessario fornire, per ogni modo, una descrizione appropriata dei due sensi ”5. L’osservazione è impottante, specie se si tiene presente che lo stesso Paolo Veneto impostava ancora la determinazione dei due sensi sulla posizione del termine officiabile nella proposizione. Battista da Fabriano ricava il rilievo dall’esame dei vari modi di Heytesbuty. I modi esaminati sono otto. Rispetto al trattato di Paolo da Pergola, Battista considera in più il modo caratterizzato dai termini connotativi. In breve, seguiremo l’esposizione di Battista, sottolineandone gli elementi di novità. Nel primo modo (con i termini modali), la forma verbale del modo (ad es. potest) assunta personaliter fa senso diviso ?*, assunta impersonaliter fa senso composto #”; la forma nominale (possibile, impossibile) fa senso composto quando precede o segue il dictum, se cade  inter partes dicti  fa senso diviso 8. Le differenze fra i due sensi sono quelle stesse elencate da Paolo da Pergola”? e sostanzialmente allo stesso modo è fissata qui la possi235 Ivi, f. 4ra-b. 236 Ivi, f. 4va:  personaliter quando (sc. potest, non potest) construuntur cum recto a patte ante , cioè quando il verbo è preceduto dal nominativo (rectus). 237 Ivi: Sed ista verba sumuntur impersonaliter quando non recipiunt suppositum per rectum, sed totaliter cadunt super adaequatum significatum alicuius propositionis . 238 Ivi. 239 Ivi, f. 4vb:  Prima, quia propositio in sensu diviso universaliter probatur secundum exigentiam termini mediati praecedentis, si quis fuerit talis, de sensu composito autem probatur officiabiliter. Secunda est, quia propositio de sensu diviso cum li possibile non ponitur in esse sed de sensu composito cum li ‘potest’ vel ‘possibile’ ponitur in esse, sicut ista: ‘possibile est te esse Romae? aut ‘potest esse quod tu sis Romae’; istae duae debent poni in esse, id est, si possibile est te esse Romae et ponatur: ‘tu es Romae’, nullum sequitur impossibile; et similiter, si potest esse quod tu curras, et ponatur in esse quod tu curras, hoc admisso, nullum sequitur]  bilità di inferenza da un modo all’altro 9. Nel secondo modo, con i termini confurndentes, il senso composto si ha quando il termine confundibilis segue quello confundens; quando invece il termine confundibilis precede quello confundens si ha senso diviso #!, Le differenze fra i due sensi sono fornite qui molto più chiaramente che nel testo di Paolo da Pergola: impossibile. Et hoc modo intelligitur: possibili posito in esse nullum sequitur impossibile. Sed de sensu diviso non ponitur in esse, ut ‘album potest vel possibile est esse nigrum’ non ponitur in esse, quia de facto album possibile est esse nigrum et tamen, si ponatur in esse, sequitur impossibile [cioè  album est nigrum], ut patet. Similiter de ista ‘sedentem possibile est currere’: si ponatur in esse, sequitur impossibile, videlicet ‘sedens currit?. Tertia differentia est, quia propositio in sensu composito cum li ‘possibile’ vel ‘potest’ requirit verificationem instantaneam respectu compositionis sequentis, hoc est requirit compositionem sequentem posse verificati pro instanti mediante ista nota ‘est’, ut patet, sed de sensu diviso hoc non requirit, sed significat successionem respectu diversarum partium temporis respectu illorum terminorum positorum in illo dicto . 20 Delle regole di BATTISTA, la quinta (ivi, f. 5vb) riassume le tre condizioni di validità poste da Paolo; la prima (ivi, f. Sra), la terza (ivi, f. 5va) e la quarta (ivi, f. 5va-v) sottolineano separatamente la mancanza delle stesse condizioni. Nuova è la seconda regola (ivi, f. Srb-va): Secunda regula: arguendo a sensu composito ad divisum cum li ‘possibile’ vel ‘potest’ in terminis compositis non valet consequentia formaliter et simpliciter. Unde non sequitur: ‘possibile est te esse omnem hominem, ergo tu potes esse omnis homo’ . 241 Ivi, f. 6rb; ma Battista caratterizza la differenza tra i due sensi servendosi di varie formule (ivi):  est sensus compositus in hoc modo cum terminus communis stat confuse tantum sequens aliquem istorum terminorum vel, melius, sensus compositus est cum terminus communis stat confuse tantum vel immobiliter, sensus vero divisus est cum terminus capax confusionis stat determinate vel mobiliter; nam dicendo: ‘promitto tibi omnem denarium’, haec est in sensu composito quantum ad hunc modum, et terminus communis non stat confuse tantum; vel dicatut quod sensus compositus est cum terminus confundibilis ab his terminis sequitur aliquem horum termi norum, divisus vero cum terminus confundibilis praecedit vel cum idem terminus stat determinate. differt sensus compositus a diviso quantum ad istum modum dupliciter. Primo, quia ista de sensu composito est probabilis ratione termini facientis sensum compositum, sed illa de sensu diviso ratione termini praecedentis. Secundo, quia propositio de sensu diviso requirit verificationem disiunctivam vel copulativam, ut ‘denarium promitto tibi’ aut ‘omnem denarium tibi promitto’, illa vero de sensu composito non requirit talem verificationem, ut ‘promitto tibi denarium’ non requiritur quod promittam tibi 4 denarium vel quod promittam tibi et denarium, et ita de aliis similiter 2. I due sensi sono  ad invicem impertinentes  e perciò non è lecita l’inferenza dall’uno all’altro *, a meno che i termini che insieme a quello confundens formano la proposizione non siano singolari e semplici, giacché in tal caso la supposizione non varia, sia che il termine segua sia che preceda il verbo confundens. Così sono lecite le conseguentiae:  incipio videre Socratem, ergo Socratem incipio videre ,  promitto tibi 5 denarium, ergo b denarium tibi promitto  ?f. Nel terzo modo, con il pronome relativo, si può avere senso composto in tre forme: quando l’antecedens del relativo ha supposizione  confusa tantum  (es.  promitto tibi denarium quem tibi promitto ), quando il relativo è congiunto all’antecedens che sia distributum (cioè quantificato da omnis) senza che tra antecedens e relativo sia posto il verbo principale ( omnis homo qui est albus curtit ), o quando il verbo principale è preceduto dalla negazione ( chimaera quae currit non movetur ). Quando non si verifica nessuno di questi casi, si ha senso diviso (es.  ali242 Ivi, f. Grb-va. 243 Ivi, f. 6va. Aggiunge l’autore (ivi):  Et notandum quod ‘indigeo’, ‘requiro’, ‘praesuppono’ et huiusmodi non confundunt confuse tantum nisi cum gerundio. Unde si dicatur: ‘indigeo oculo”, li ‘oculo’ stat distributive, sed dicendo: ‘indigeo oculo ad videndum’, li ‘oculo’ stat confuse tantum immobiliter . 24 Ivi, f. 8va. 568 Alfonso Maierù quis homo qui est albus currit )?5. Tenendo presente che il pronome qui in una proposizione in senso composto non può essere risolto in ef e ille e che il pronome relativo, posto nella stessa categorica, ha la supposizione del suo artecedens, mentre, posto in una categorica diversa da quella che contiene l’antecedens (si tratta quindi di una proposizione ipotetica composta di due categoriche), ha supposizione determinata e  replicat totam compositionem sui antecedentis  (così, data  omnis homo est animal et illud est rationale , la seconda categorica vale  animal quod est omnis homo est rationale , di modo che illud ha supposizione determinata ma replicat [cioè richiama] tutta la compositio precedente) 24, argomentando dal senso composto inteso nella prima forma al senso diviso non vale la conseguentia perché l’antecedente è vero e il conseguente è falso 2”; argomentando dal senso composto inteso nella seconda forma al senso diviso la consequentia non vale”, ma vale se si argomenta dal senso diviso al senso composto ?*; argomentando dal senso composto nella terza forma al senso diviso,  non valet consequentia de forma licet valeret quandoque gratia materiae  9. Per quanto riguarda il quarto modo (con infinitus e totus) l’autore non fornisce altro rispetto a quanto sappiamo ?! se non 245 Ivi, ff. &va-b e 9vab. 26 Ivi, f. 8vb. 27 Ivi, ff. 8vb-9ra. 248 Ivi, f. 9ra. a Ivi, f. 9rb:  Arguendo tamen e converso in omnibus his, consequentia est bona, quia in his quicquid significat sensus compositus significat sensus divisus, et plus, ut dictum est . 250 Ivi, f. Iva. 251 Senso composto è quando il termine è categorema, cioè quando è a parte praedicati, o a parte subiecti, ma preceduto da una determinatio (ivi, ff. 9vb e 11ra); dall’un senso all’altro e viceversa non vale la consequentia (ivi, ff. 10ra e 11rh). Terminologia logica della tarda scolastica 569 la determinazione chiara della differenza fra senso composto e senso diviso: Et differt valde sensus compositus a diviso mediante hoc termino ‘infinitus, ta, tum’. Primo, quia in sensu composito significat aliquod certum et determinatum esse sine principio et sine fine . Sed in sensu diviso syncategorematice significat, quocumque finito dato vel dabili, dari maius in quacumque proportione . Est enim una alia differentia, quia syncategorematice est signum confusivum et re(d)dit totam propositionem exponibilem. Unde haec est exponibilis ‘infinitus est aliquis numerus’ et praedicatum stat confuse tantum, ut patet. Sed haec ‘aliquis numerus est infinitus’ non est exponibilis sed resolvitur, et praedicatum stat determinate ??; Differt  sensus compositus a diviso cum isto termino ‘totus’ etc., quia in sensu diviso reddit propositionem exponibilem, in sensu composito est ferminus resolubilis. Item in sensu diviso convertitur cum universali et est terminus confusus, sed in sensu composito neutrum sibi convenit, ut patet. Item differunt in significato, quia in sensu diviso et syncategorematice ‘totus’ idem est quod ‘quaelibet pars’  sed in sensu composito significat ens integrum et perfectum cui nihil deest, ut patet ex usu loquendi et accipiendi hos terminos 25, î Dall’uno all’altro senso l’inferenza non vale; né si dica che argomentazioni come  infinita sunt finita, ergo finita sunt infinita  sono consequentiae valide perché si procede a conversa ad convertentem ; risponde il maestro:  Dicatur quod nulla illarum est bona conversio, cum continue in una tenetur idem terminus categorematice et in alia syncategorematice  25, Il quinto modo, come è noto, ha luogo con le congiunzioni et e vel: si ha senso composto quando i termini congiunti da una delle due particelle stanno collective e senso diviso quando i ter mini stanno divisive ; ciò significa che, mentre le proposizioni; a deest il testo aggiunge est. 254 Ivi, f. 1lva. 25 Ivi. 570 Alfonso Maierù in senso diviso equivalgono, rispettivamente, a una congiunzione di proposizioni se si tratta della particella ez, e a una disgiunzione di proposizioni se si tratta di vel *, le proposizioni in senso composto richiedono che la verifica della congiunzione o della disgiunzione avvenga rispettivamente coniunctim o divisim?". Ecco alcuni esempi. Le proposizioni  Socrates et Plato sunt duo homines  e  omnis numerus est par vel impat  sono in senso composto perché non equivalgono a  Socrates est duo homines et Plato est duo homines  e a  omnis numerus est par vel omnis numerus est impar ; le proposizioni  tu es homo et albus , tu es homo vel asinus  sono in senso diviso perché equivalgono, rispettivamente, alle proposizioni molecolari  tu es homo et tu es albus ,  tu es homo vel tu es asinus , per le quali valgono le regole operative della congiunzione e della disgiunzione. Se però il complesso di termini congiunti dalle suddette particelle è preceduto da un  signum confusivum , distributivo o negativo (es. differt, aliud), le proposizioni sono in senso composto e le regole della congiunzione e della disgiunzione non sono applicabili 8. Per quanto riguarda il sesto modo, le notizie date da Battista 256 Ivi, f. 1lvb: Et ex his patet differentia inter sensum compositum et divisum quoad hunc modum, quoniam in sensu diviso copulatum aequipollet copulativae et disiunctum disiunctivae, sed in sensu composito non. Patet etiam alia differentia, quia in sensu diviso a copulato ad quamlibet eius partem et a qualibet parte disiuncti ad totum disiunctum valet consequentia, sed in sensu composito non valet . 251 Ivi, f. 1lva per la congiunzione ef:  Sensus veto compositus requirlt verificationem totius copulati collective et non divisive , f. 11vb pet vel:  Sensus vero compositus [....] requirit  quod verificetur totum disiunctum collective . 28 Ivi, f. 12ra-b. Infine, l’autore si chiede se, poste le particelle 4 parte subiecti, i termini congiunti o disgiunti siano tutti distribuiti oppure solo il primo; es. omnia duo et tria sunt quinque ,  omnis homo vel asinus est asinus : cfr. ivi, f. 12rb-va. Terminologia logica della tarda scolastica 571 sono analoghe a quelle fornite da Paolo, comprese le regole riguardanti la validità dell’inferenza dall’un senso all’altro, con la sola aggiunta della non validità nel caso sia presente un relativo implicativo ?. È da notare però la precisazione relativa al valore della copula est della proposizione che nel senso composto segue la determinazione:  Universaliter  in omnibus huiusmodi propositionibus li ‘est’ non significat tempus quod iam e(s)t praesens, sed tempus quod tunc in illo instanti ad quod fit limitatio fuit praesens vel erit praesens. Il verbo “est”, cioè, PERDE LA CONNOTAZIONE TEMPORALE AD ESSO PROPRIA, e conserva il solo valore sincategorematico, lasciando che la connotazione temporale sia affidata al tempo del verbo posto nella determinatio. Anche per il settimo modo l’autore ritiene la dottrina tradizionale: con i termini designanti atti dell'anima la proposizione è in senso composto quando il verbo, sive praecedat sive sequatur, determina il dictum, e allora la proposizione va provata in funzione del verbo che causa senso composto; è in senso diviso quando il verbo sta tra le parti del dictum ed è da probare in funzione del primo termine della proposizione stessa. Perciò le proposizioni esprimenti i due sensi sono  valde ad invicem impertinentes et raro vel numquam convertibiles  24, a meno che la consequentia dall'uno all’altro senso non valga  gratia materiae et terminorum. L’ottavo modo è qui per la prima volta discusso. Facendo leva sulla distinzione tra termini substantiales e connotativi o accidentali, ricavata da Occam?, l’autore afferma che l’ottavo 259 Per le regole, cfr. ivi, ff. 13rb-14va; per il relativo, ivi, f. 13vb. 260 Ivi, f. 13rb. 261 Cfr. capitolo III, e capitolo IV, $ 2. 22 , f. 14vb.  Ivi. 264 Ivi, f. 15va. 265 Summa logicae, cit., pp. 33-36; v. cap. I, $ 2. 572 Alfonso Maierù modo ha luogo con i termini accidentali o connotativi, e aggiunge che, se questo modo è meglio assimilabile alla fallacia  figurae dictionis  o dell’accidente, se ne discute nel senso composto e nel senso diviso perché quei termini, posti 4 parte praedicati, hanno  appellatio rationis  se costruiti con i verbi designanti atti dell'intelletto, e  appellatio temporis  se sono costruiti con il verbo al tempo passato o futuro *. Si ha senso composto quando il termine connotativo ha appellatio ( animal fuit album ,  cognosco venientem ), se il termine non ha appellatio la proposizione è in senso diviso ( album fuit animal,  venientem cognosco ) ?”, L’inferenza dall’un senso all’altro non vale, se non talora  gratia materiae  24. Né è da dire che la consequentia vale, ad esempio, nel caso di  album erit hoc  perché si considera  hoc erit album  come conversa della prima: infatti la 266 BATTISTA DA FABRIANO, ., f. 17rb-va:  Iste est octavus et ultimus modus. Et fit mediantibus terminis accidentalibus vel connotativis positis quandoque a parte praedicati quandoque a parte subiecti respectu verbi de praeterito aut de futuro aut verbi concernentis actum mentis vel intellectus , e f. 17va-b:  Notandum tertio quod appellatio temporis est acceptio termini habentis respectum ad solum tempus importatum per verbum, ut “hoc erit album’: li ‘album’ respicit solum tempus futurum et ad hoc (ex huc) ut ista sit vera requiritur quod aliquando erit ita quod hoc est album; sed in illa ‘album erit hoc”, li ‘album’ stat ampliative et supponit divisive pro eo quod est vel erit album et non requiritur quod erit ita quod est album; et similiter dicatur respectu verbi de praeterito. Appellatio autem rationis est acceptio termini limitati a termino praecedente concernente actum intellectus, ut ‘cognosco venientem’: ibi est appellatio rationis [est], quia terminus sequens terminum concernentem actum intellectus supponit pro suo significato sub ratione tali; unde ipsa significat quod cognosco aliquid sub ratione venientis; sed sic non significat illa ‘venientem cognosco’, sed quod illa(m) rem cognosco et illa est veniens, et ideo patet quod valde differunt ; il cenno alla fallacia figurae dictionis  e alla fallacia accidentis  è al f. 17va. 267 Ivi, f. 17va. 268 Cfr. in part. ivi, f. 18rb. Terminologia logica della tarda scolastica 573 conversione della prima proposizione è:  hoc erit quod est vel erit album  ?9. Ancora più analitica l'esposizione di Alessandro Sermoneta rispetto a quelle esaminate; di essa ricordiamo gli elementi nuovi e caratteristici. Scopo dell’opuscolo di Heytesbury, secondo Alessandro, è quello di facilitare la soluzione dei sofismi e di aiutare ad evitare gli errori, giacché compito di quella parte della dialettica che si chiama sofistica (o sopbistaria) non è quello di far sì che gli altri cadano in errore, quanto quello di evitare gli errori ?°°. L’opuscolo perciò è da pospotre a quello dei Primzi analitici !: questo mostra la corretta formazione del sillogismo, il nostro trattato mostra le deceptiones; infine, esso fa parte della dialettica ??, Del senso composto e del senso diviso non è possibile dare una descrizione univoca — ritiene Sermoneta ”* con Battista da Fabriano — giacché i modi sono otto, e può succedere — aggiunge Alessandro — che una stessa proposizione, considerata secondo vari modi, può essere ora in senso composto, ora in senso diviso 7°. Primo modo. Quando un termine modale  totaliter praecedit 269 Ivi, f. 17vb.  SERMONETA, Expositio..., cit., f. Sva: Non enim inventa est ut aliis concludamus falso, sed ut deceptiones vitemus . zm Ivi. 22 Ivi: Ad tertium dicitur quod utilitas huius non parva est sicut et totius dialecticae cuius est pats . Item a progenitoribus nostris ars artium et scientia scientiarum dicta est; ad omnium nam methodorum principia viam habet  (cfr. Prerro Ispano, Surzzzulae logicales, cit., 1.01, p. 1). 23 Op. cit., f. Svb. 214 Ivi: Secundo est notandum quod ex quo octo modis causatur sensus compositus et divisus, non inconvenit ut respectu diversorum terminorum potentium causare sensum compositum et divisum una et eadem propositio sit de sensu composito et diviso sicut ista. ‘tu potes esse hic et Romae in 4 instanti’: est enim de sensu diviso primi modi et de sensu composito quinti modi merito li ‘et’ . 574 Alfonso Maierù aut finaliter subsequitur dictum propositionis, fit sensus compositus, quando vero mediat inter pattes dicti erit de sensu diviso  5; in particolare il verbo potest, assunto personaliter, fa senso diviso, assunto imzpersonaliter fa senso composto ?”. Le differenze fra i due sensi costruiti con potest e possibile e le loro negazioni sono queste: la proposizione in senso composto è officiabile, quella in senso diviso resolubile o esponibile; la prima  requirit verificationem instantaneam  ?*, la seconda non la richiede; da ciò segue, in terzo luogo, che la prima  de possibili  può essere  posita in esse , ma non così la seconda ”?, La discussione delle obiezioni fornisce ulteriori chiarimenti: il modo necessario, che, essendo avverbio, dovrebbe essere exponibilis %, in realtà equivale al modo wecesse e petciò fa senso composto, mentre possibiliter non equivale a possibile e quindi è esponibile e non fa senso composto ?8!; né fanno senso composto e senso diviso verum e falsum: evidentemente, Sermoneta non ritiene che questi due termini siano propriamente modali. 25 Ivi, f. 6ra. 26 Ivi, f. 6rab. 201 Ivi, f. 6rb. 218 Ivi, ma cfr. ff. 6vb-7ra:  per verificationem instantaneam in proposito non intelligimus quod praedicatum requirat mensuram instantis, sed ponatut in esse id quod importatur per propositionem; et ideo concedit magister quod possibile est te moveri, quia licet motus non mensuretur in instanti, tamen debet poni in esse hoc totum in hoc instanti, veritas haec, scilicet, quod tu moveris: non tamen quod sit ita, sed quod sibi non repugnat pro tali instanti verum esse te moveri (nella risposta alla quarta obiezione non esaminata da noi). 299 Ivi, f. 6rb. 280 Cfr. capitolo VI, $ 6. 281 Obiezione e risposta in SERMONETA (si veda): Ad secundum dicatur quod non inconvenit li ‘verum’ et ‘falsum’ non facere sensum compositum et divisum nisi in voce aut in scripto, non tamen proprie, cum intellectus hoc non faciat; et ratio est, quia li ‘verum’ non ponit neque aliud dicit quam si non poneretut; ideo, Terminologia logica della tarda scolastica 575 L’inferenza dal senso composto al senso diviso e viceversa non vale generalmente 28. Secondo modo. Con un termine corfundens,  sensus compo- situs fit quando terminus communis confunditur confuse tantum a tali termino praecedente . Sensus vero divisus fit cum sequantur huiusmodi signa terminum ab eis confundibi- lem   4. Le differenze tra i due sersus sono quelle note 28, così come ci è nota l’imzpertinentia dei due sensus e quindi che la consequentia non è lecita ?*. Terzo modo. Dopo aver precisato, secondo la tradizione, qual è il senso composto e quale il senso diviso con i relativi e le diffe- renze fra i due sensi ?”, Sermoneta fornisce un lungo elenco di  documenta de mente He(nti)sberi , in cui ricapitola la dottrina e le condizioni di verità, anche in rapporto agli altri modi: Primum, quod sensus compositus causatur mediante hoc relativo ‘qui’ cum antecedens stat confuse tantum. Ex quo sequitur quod tunc non valet argumentum a sensu composito ad divisum, scilicet cum relativum resolvitur. Probatur, quod a termino stante confuse tantum ad eundem quia omnis propositio infert suum dictum fore verum, ut scribitur in Postpraedicamentis; et ad oppositum negatur assuntum, nec terminum modalem dixerunt logici mobilitare, nisi cum est aptus natus facere sensum compositum et divisum . Tralasciamo le altre due obiezioni. 283 Ivi, f. 6rb; al f. 7ra-va l’autore elenca  quattuor documenta  tratti da Heytesbury e un corollario, relativi alle condizioni di validità caso pet caso, che sostanzialmente niente aggiungono a quanto hanno affermato i commenti già esaminati. 284 Ivi, f. 7vb. 285 Ivi, f. 7vb-8ra; i verbi careo, indigeo, requiro, ecc.  faciunt con- fundere confuse distributive mobiliter cum absque gerundiis ponuntur in propositione, ut ‘careo pecuniis”. Quando vero cum gerundiis collocantur, confuse tantum, ut ‘indigeo oculo ad videndum; cfr. il testo di Battista da Fabriano, di cui alla n. 243). 286 Ivi, ff. 7vb e 8rab. 287 Ivi, 9va. 576 Alfonso Maierù stantem determinate non valet argumentum  28; Secundum docu- mentum est quod sensus compositus fit cum immediate hoc relativam ‘qui’ additur termino distributo, sic scilicet quod non mediat inter relativam et terminum distributum verbum principale; divisus vero cum resolvitur relativum actualiter aut cum inter ter- minum distributum, scilicet antecedens, et relativum cadit verbum principale, ut ‘omnis homo qui est asinus currit’. Ex hoc sequitur non valere argumentum arguendo a sensu composito ad divisum; patet, quia tunc maior est distributio in sensu diviso quam in composito 9; ‘Tertium documentum, quod etiam causatur sensus compositus mediante hoc relativo ‘qui’ cum principale verbum negetur, sive relativum prae- cedat sive non; divisus autem cum resolvitur relativum 29; Quartum documentum: sensus compositus fit cum hoc termino relativo ‘qui’ quando coniungitur termino potente stare categorematice et syncate- gorematice, sive immediate coniungatur sive non, dummodo praecedat talis terminus stans syncategorematice; divisus vero cum resolvitur relativum aut non praecedit talis terminus ipsum relativum 2. Quin- tum documentum: sensus compositus fit cum praedicto relativo ‘qui’, cum praecedit terminus modalis faciens propositionem de sensu com- posito; divisus vero cum ipse modus aut verbum termini modalis facit ipsam de sensu diviso aut cum actu resolvitur relativum 22; Sextum documentum: sensus compositus fit cum hac determinatione ‘ita erit’, ‘ita fuit’, ‘sic est’, ‘sic fuit et cum hoc relativo ‘qui’ simul, divisus vero cum non ponitur li ‘ita erit’ etc. 29. Di questi sei docuzzenta, i primi tre riprendono le tre forme del senso composto di Battista da Fabriano, e gli altri tre ricol- legano questo modo al primo, al quarto e al sesto. Niente di nuovo aggiunge Sermoneta per i modi quarto RE 288 Ivi, f. 9vb. 289 Ivi; in luogo di distributo, il testo ha distributivo. 290 Ivi, f. 10ra. DI Ivi. 22 Ivi, f. 10rb; al secondo au2, il testo aggiunge si. 29 Ivi. 294 Ivi, f. 1lrb-vb (differenze tra senso composto e senso diviso, non validità della conseguentia dall'uno all’altro senso, discussione di difficoltà). Terminologia logica della tarda scolastica DIT quinto ?5 e sesto 2%, Al settimo modo, invece, dedica una lunga analisi della quale ci limitiamo a ricordare qualche punto: si ha senso composto quando un verbo designante atti dell'anima determina il dictum della proposizione; ciò avviene, secondo Sermoneta, sia quando il termine precede il dictu72 sia quando esso lo segue (e ciò è secondo l’intenzione di Heytesbury)?; si ha senso diviso solo quando il termine sta tra le parti del dictumz ?*; ma se il verbo cade su di un solo termine ( cognosco Socratem ) o su di un incomplexum che significhi un complexum ( scio 4 propositionem ), si ha senso composto quando il verbo precede e senso diviso quando segue ??. Tre sono le differenze tra i due sensi: innanzi tutto, i verbi in questione   confundunt confuse tantum terminum capacem confusionis cum faciunt sensum compositum, sive se teneant in dicto propositionis a parte subiecti sive a parte praedicati; unde ‘scio quod homo est animal’: tam li ‘homo’ quam li ‘animal’ confunduntur; in sensu vero diviso non confunditur nisi illud quod se tenet a parte praedicati, ut ‘alterum istorum scio esse verum’: solum li ‘verum’ confunditur ; inoltre,   in sensu composito terminus supra quem cadit talis terminus faciens sensum compositum appellat suam formam, et non in sensu diviso ; ma esse acquistano luce dalla differenza fondamentale, cioè:  de sensu composito propositio est officiabiliter probanda aut descriptibiliter, de sensu vero diviso secundum exigentiam primi termini probanda est  ®°. Perciò, continua Sermoneta,  arguendo a sensu composito ad divisum aut e 295 Ivi, f. 13ra-vb (come sopra). 296 Ivi, ff. 14rb-15ra. 297 Ivi, f. 16rb: ut arguitur velle magister ; Sermoneta però ricorda: Ali vero dicunt: solum cum dictum praecedit talis terminus fit sensus compositus   (ivi). 298 Ivi. 299 Ivi, f. 16rb-va. 300 Ivi, f. 16va. 37 578 Alfonso Maierù contra in his terminis non valet argumentum: probatur merito differentiae ratione appellationis formae et confusionis in sensu composito quae non servatur in diviso  *. Ma poiché appellatio e confusio non hanno luogo ( esse non possunt ) quando il soggetto della proposizione è il pronome hoc non accompagnato da un aggettivo che lo determini ( absque aliquo determinabili ), vale l'argomento dal senso diviso al composto e viceversa perché ciò che si intende con la proposizione in senso composto si intende con la proposizione in senso diviso, e quindi le due proposizioni si equivalgono ( convertuntur )®*%; ciò si ha anche quando oc, posto a soggetto della proposizione, è accompagnato da un determinabile, purché il determinabile sia  palam convertibile cum praedicato  oppure superius ad esso ®%, Per quanto riguarda, infine, l’ottavo modo, che ha luogo con i termini connotativi, si deve rilevare che Sermoneta limita la possibilità del senso composto e del senso diviso ai casi in cui i termini connotativi siano posti in una proposizione che abbia il verbo di tempo passato o futuro, o participi equivalenti, oppure abbia incipit o desinit: si ha senso composto quando il connotativo segue il verbo e ha  appellatio temporis , e senso diviso quando il connotativo precede il verbo,  cum a parte ante non appellet  4; nessun accenno si fa qui ai verbi designanti atti mentali (che secondo Battista da Fabriano fanno sì che il termine connotativo che segua il verbo abbia  appellatio rationis ) giacché di questo Alessandro ha già parlato nel settimo modo, come si è visto. La trattazione del senso composto e del senso diviso svolta 301 Ivi, f. 16va-b. 302 Ivi, ff. 16vb-17ra. 303 Ivi, f. 17ra. Seguono altre regole (ff. 20va-22vb), che riesaminano i vati temi toccati da Heytesbury. da Bernardino di LANDUCCI (si veda)è la più sistematica tra quelle finora esaminate: essa utilizza e discute i trattati di logica dei maestri più rinomati IN ITALIA al suo tempo, ed accenna almeno due volte alle opinioni di SERMONETA (si veda), che designa come quidam doctor, di modo che può essere considerata come il punto di arrivo di una tradizione di interpreti della dottrina del senso composto e del senso diviso. Secondo Landucci, il trattato fa parte degli Elenchi sofistici e perciò esso non è da porre dopo i Primi analitici, come vuole il Sermoneta *”, Inoltre, l’autore fa sua la tesi secondo la quale non è possibile dare una descrizione univoca di ‘senso composto’ e di ‘senso diviso’, giacché di volta in volta diverse sono le raziones che presiedono alla individuazione dei vari modi ®%. 305 Lanpucci, Expositio..., cit.: autori espressamente ricordati, oltre ad Aristotele, Averroè e Heytesbury, sono Strode, Pietro di MANTOVA (si veda), NICOLETTI, e Paolo da PERGOLA (si veda). Si legga il seguente passo relativo alla discussione circa la capacità di omnis di distribuire tutto il disiuzcium o il copulatum’ a parte subiecti: Ad hoc dubium inventi sunt plures modi respondendi. Primus est Petri Mantuani, qui tenet quod totum disiunctum et totum copulatum sit subiectum. Secundus est Pauli Veneti, cuius opinio in diversis operibus est diversificata: nam Sophismate nono tenet quod prima pars solum sit subiectum, et in Quadratura tertio dubio secundi principalis, et in Logica magna et etiam in Parva tenet quod totum disiunctum vel copulatum sit subiectum, attamen solum prima pats est distributa, et illa appellatur ab eo subiectum distributionis. Tertius modus est Hentisberi, Sophismate septimo, qui dicit quod talis propositio est distinguenda eo quod subiectum potest esse totum disiunctum aut una pars tantum, quapropter utramque partem sustentando respondetur ad argumenta probantia quod non distribuatur totum . 306 Cfr. ivi, f. 2rb (posizione del trattato della suzzzza della logica) e f. 3vb (per la  verificatio instantanea ): cfr. nn. 307 e 325. 307 Ivi, f. 2rb: Circa secundum dicit quidam doctor quod iste libellus est pars libri Priorum et quod immediate postponendus est ad illum librum, quod quidem, salvo meliori iudicio, non puto esse verum . Ideo puto aliter esse dicendum, videlicet quod iste libellus sit pars libri Elenchorum  . 308 Ivi, f. 2vb. 580 Alfonso Maierù L’esame degli otto modi segue uno schema costante: in una prima parte si descrivono il senso composto e il senso diviso e se ne mostrano le differenze, in una seconda vengono poste le regole dell’inferenza dall’uno all’altro senso, in una terza vengono poste obiezioni (con le relative risposte) a ciò che è detto nelle prime due parti. In questa sede noi trascureremo quanto Landucci afferma circa i modi terzo ®”, quarto *°, quinto ®!, sesto ®!° e ottavo (con  appellatio temporis  soltanto) ?: in essi infatti l’autore non prospetta nulla di nuovo rispetto a quanto già sappiamo dai commenti precedenti. Diverso è il caso dei modi primo, secondo e settimo, che sono simili tra loro, e nei quali si propone un discorso unitario che mira a fissare per ciascuno di essi caratteristiche tali che lo distinguano dagli altri due. Il primo modo ha luogo con i termini modali. Ora, il termine modale è così descritto da Landucci:  Terminus modalis est terminus determinativus alicuius dicti et connotativus alicuius passionis propositionis, non habens vim faciendi tale dictum appellare formam  *!*. I modi sono i quattro classici, più veruzz e falsum: Landucci non accetta la definizione di Occam secondo cui qualsiasi termine che possa predicarsi di un dictum è da considerare modus?*5; egli ritiene invece che solo quei modi che determinino una proposizione connotandone una qualche caratteristica siano termini modali. Termini come scitum, dubium, intellectum, cognitum non sono modali perché, oltre ad avere ciò che è proprio dei modali, fanno sì che il dictum  appellet for309 Ivi, ff. 9vb-12vb. 310 Ivi, ff. 12vb-15rb. 311 Ivi, ff. 15rb-17vb. 312 Ivi, ff. 17vb-20rb. 313 Ivi, f. 23vb-24vb. 314 Ivi, f. 3ra. 315 Cfr. cap. V, $ 6. Terminologia logica della tarda scolastica 581 mam  355: essi rientrano propriamente nel settimo modo, come vedremo. Senso composto e senso diviso così sono caratterizzati: Ideo sensus compositus in primo modo causatur quando terminus modalis totaliter praecedit aut finaliter subsequitur totum dictum totius propositionis in qua ponitur, aut finaliter subsequitur (!); sensus vero divisus causatur quando terminus modalis mediat inter partes propinquas totius dicti; unde partes propinquas dicti appello totum quod regitur a parte ante et a parte post respectu verbi illius dicti, id est a verbo orationis infinitivae vel coniunctivae  317. Ma Landucci, dopo aver precisato che questa è l’opinione di Heytesbury, Paolo Veneto e Paolo da Pergola !, ricorda le opinioni di Strode*? e Pietro di Mantova ° e conclude:  Istarum opinionum unaquaeque est sustentabilis et nulla est demonstrativa, et ideo eligat scholaris illam quae sibi magis placet  ®!. 316 Op. cit., f. 3ra-b   et non habet vim faciendi appellare formam tale dictum, quod dico ad differentiam istorum terminorum ‘scitum’, ‘dubium’, ‘intellectum’ et ‘cognitum’, quia, licet possunt determinare dictum propositionis et ‘connotare passionem, non tamen sunt termini modales primi modi, ex eo quia habent vim faciendi tale dictum appellare formam . 37 Ivi, f. 3rb. 318 Ivi: Prima opinio est communis tenens quod diximus, et est opinio etiam Hentisberi, Pauli Veneti in Logica parva et Pauli Pergulensis in hoc tractatu  . 319 Ivi: Secunda est opinio Sttodi in Consequentiis suis, qui ponit quod quando modus totaliter praecedit est in sensu composito et quando mediat est in sensu diviso; sed quando finaliter subsequitur, tunc est distinguenda, quia potest capi in utroque sensu . 320 Ivi: Tertia est opinio Petri de Mantua in capitulo de modalibus, ponentis modum praecedentem facere sensum compositum, mediantem vero et subsequentem facere sensum divisum, et hoc potest etiam elici ex tractatu soppositionum, ubi ipse tenet in octava regula quod termini modales non habent vim confundendi nisi terminos sequentes, et ideo quando finaliter subsequuntur non confundunt aliquem terminum, et per consequens tunc faciunt sensum compositum. Le differenze fra senso composto e senso diviso sono quattro; le prime due sono generali. Per la prima, la proposizione in senso composto va provata in funzione del termine modale, mentre la proposizione in senso diviso va provata  ratione primi termini, dummodo talis terminus fuerit mediatus  #2; per la seconda, nella proposizione in senso composto il termine modale confundit tutti i termini comzunes presenti nel dictumz; non è così nel senso diviso, giacché la confusio non si esercita sui termini che precedono il modus *. Le altre due differenze riguardano potest, non potest e possibile, impossibile. Precisato che potest fa senso composto quando è usato impetsonalmente e senso diviso quando è usato personalmente **, Landucci pone la terza differenza, per la quale la proposizione in senso composto ( cum dicto praesentis temporis  soltanto, cioè con il verbo del dictum all’infinito presente) richiede una  verificatio instantanea , che non è richiesta dalle proposizioni in senso diviso. Cosa sia da intendere con  verificatio instantanea  è un problema che Landucci si pone. Rifiutata la tesi di Sermoneta ( quidam doctor )®5 e di chi 322 Ivi, f. 3va, e continua:  Voco autem terminum mediatum omnem terminum excepto pronomine demonstrativo singularis numeri; pronomen vero demonstrativum singularis numeri appello terminum immediatum, et quando ponitur pro subiecto in propositione, talis propositio dicitur immediata, ut haec: ‘hoc est homo’ demonstrato Socrate. Et notanter dico ‘singularis numeri’, quia in numero plurali est terminus mediatus et communis, ut vult Paulus Venetus in Logicula ; cfr. cap. VI, n. 41. 32 Ivi, f. 3va. 324 Ivi (ciò vale anche per contingit; tra i modi è incluso anche il verbo oportet, e di tutti e tre i verbi è detto:  personaliter vel impersonaliter sumpta : f. 3ra).  Ivi, ff. 3vb-4ra:  Unde requirere verificationem instantaneam diversi diversimode exponunt. Nam quidam doctor dicit quod propositio de sensu composito de li ‘potest’ etc. requirit huiusmodi verificationem, ut puta ista: ‘possibile est te moveri’, non quia praedicatum seu res importata per praedicatum mensuretur instanti, quia motus non mensuratur instanti ex quo est de numero successivorum, sed quod ponantur in esse id quod Terminologia logica della tarda scolastica 583 ritiene che la verifica istantanea di una proposizione esige che  sua de inesse sibi correspondens pro infinito modico tempore possit verificati  *5, egli così spiega la frase: propositio de sensu composito de li ‘potest’ etc. requirit verificationem instantaneam, id est requirit ad hoc quod sit vera quod arguendo a sua de inesse de praeterito vel de futuro ad suam de inesse de praesenti cum tali determinatione ‘ita fuit’, seu ‘ita erit’ si sit de futuro, consequentia valeat, ut, verbi gratia, haec propositio de sensu composito ‘possibile est te esse Romae’ requirit verificationem instantaneam, id est requirit ad hoc quod sit vera quod arguendo ab ista de praeterito ‘tu fuisti Romae’ vel sibi consimili ad talem de praesenti ‘tu es Romae’ cum ista determinatione ‘aliquando fuit ita quod’, consequentia valeat; et quia huiusmodi consequentia valet, scilicet: ‘tu fuisti Romae, ergo aliquando fuit ita quod tu es Romae’, ideo illi de sensu composito correspondet veritas instantanea; ideo illa est vera, immo est necessaria, quia omnes tales propositiones de sensu composito verae sunt necessariae, et eodem modo dicatur de futuro; et si talis consequentia non valeret de praeterito aut de futuro, tunc illa propositio de sensu composito non posset esse vera, immo esse(t) impossibi- lis. Vel dicatur, et brevius, quod propositio de sensu composito de li ‘potest’ etc. requirit verificationem instantaneam, id est requirit ad hoc quod sit vera quod sua de inesse de praesenti, si sit in mundo, sic adaequate significando sit possibilis, et si sit illa de sensu composito de negationibus praedictorum terminorum ‘potest’ et ‘possibile’, requi- importatur per propositionem, ut puta veritas illius propositionis seu signi ficatum, ut sit sensus quod in hoc instanti tu movearis, non tamen quod sit ita, sed sibi non repugnat pro tali instanti verum esse te moveri. Sed iste doctor iudicio meo volens istam differentiam declarare intricavit se et nescivit eam exprimere, et dictum eius est falsum. Nam quaero: per verificationem instantaneam aut ipse intelligit quod sua propositio de inesse sit vera in instanti, aut quod suum significatum sit verum in instanti, aut quod sibi non repugnet esse verum in istanti. Modo quocumque intelligat, sequitur quod omnis propositio vera requirit verificationem instantaneam, quod est falsum et contra Hentisberum in tractatu De incipit et desinit, ubi ponit quod aliqua est propositio quae pro sui veritate requirit tempus limitatum; unde omnis propositio vera, est vera in instanti, quod probo  ; cfr. il testo di SERMONETA (si veda) in n. 278. 326 Ivi, f. 4ra. 58 rit quod sua de inesse, id est indicativa illius dicti, absque negatione sit impossibilis etc. #7, La verifica è risolta dunque dall’autore in prima istanza in una operazione logica complessa, nella quale sia posta come antecedente una corseguentia e come conseguente la proposizione in senso composto; in seconda istanza in una consequentia nella quale sia posta come antecedente l’affermazione della possibilità della proposizione de iresse e come conseguente la proposizione in senso composto, ad esempio, la verifica di  possibile est album esse nigrum  nel secondo caso va data così:  ‘album est nigrum’ est possibile sic adaequate significando, ergo possibile est album esse nigrum , dove sia l’antecedente che il conseguente sono falsi. La quarta differenza afferma che per i suddetti modi (potest, possibile e non potest, impossibile) la proposizione in senso composto esige che se è posta ir esse, cioè  si accipiatur sua de inesse sibi correspondens  come spiega Landucci, allora  nullum sequitur inconveniens , petché si talis propositio de sensu composito sit vera, sua de inesse sibi correspondens, si sit in mundo, erit possibilis ; ciò invece non è vero per il senso diviso, giacché la proposizione può essere vera e la sua de inesse essere impossibile: così  album potest esse nigrum  è vera, ma la sua de inesse  album est nigrum  è impossibile ®8. Quanto alla liceità dell’inferenza dall’un senso all’altro, Landucci afferma che con potest e possibile non vale l’inferenza dal senso diviso al senso composto né e contra negative  quando un verbo o participio richiede  tempus limitatum pro veritate talis propositionis  (cioè non vale: tu potes pertransire hoc spatium, ergo possibile est te pertransire hoc spatium »: prima regola) *; né vale dal senso composto al senso diviso  vel e contra 327 Ivi, f. 4rb. 328 Ivi, f. 4rb-va. 329 Ivi, f. Ava. Terminologia logica della tarda scolastica 585 negative  con gli stessi modi in terminis compositis seu distributis a parte praedicati  (esempio: non vale  possibile est te esse omnem hominem, ergo tu potes esse omnis homo : seconda regola); né, sempre nello stesso caso, vale dal senso diviso al senso composto  aut e contra negative cum terminis per se aut per accidens repugnantibus  ( album potest esse nigrum, ergo possibile est album esse nigrum : terza regola)*!; né dal senso composto al senso diviso ( et e contra negative ) con il relativo implicativo ( possibile est antichristum esse hominem qui est, ergo antichristum potest esse homo qui est: quarta regola) *°. Più generalmente (quinta regola) con tutti i termini modali non vale de forza l’inferenza dall’un senso all’altro e vecevetsa, date le differenze che sussistono tra senso composto e senso diviso, purché nella proposizione siano posti termini comuni 53, Il secondo modo ha luogo con i termini che hanno  vis confundendi , cioè  mediantibus terminis potentibus confundere confuse tantum vel distributive mobiliter vel immobiliter  #4, purché essi  non connotent passionem propositionis nec faciant appellare formam  *5: la prima precisazione distingue il secondo modo dal primo, mentre la seconda lo distingue dal settimo *%. Né si 330 Ivi, f. Sra. 331 Ivi, f. 5rb; e: Unde voco terminos per se repugnare oppositos contrarie (ut ‘album’ et ‘nigrum’), contradictorie (ut ‘homo’ et ‘non-homo?), privative (ut ‘caecus’ et ‘videns’), relative (ut ‘dominus’ et ‘servus’); etiam generaliter illos terminos appello per accidens repugnare qui non opponuntur proprie aliquo istorum modorum, tamen non possunt de eodem affirmative verificari, ut 4 locus et 4 locus, et esse adaequate in 4 et esse adequate in © instanti  (f. Srb-va). 332 Ivi, f. Sva. 333. Ivi, f. Svb. 334 Ivi, f. 7vb. 335 Ivi, 336 Ivi, f. 8ra: Et notander dixi a principio: ‘dummodo tales termini 586 Alfonso Maierù dica, aggiunge LANDUCCI (si veda), che tali precisazioni sono superflue giacché una stessa proposizione può essere in primo modo o in secondo, o in secondo e in settimo, per diversi motivi *. L’autore, pur definendo probabilis questa opinio, titiene che i modi vadano tenuti ben distinti **: se così non fosse, il secondo modo includerebbe il primo e il settimo come suoi casi particolati, ed Heytesbury avrebbe dovuto cominciare dal secondo la sua trattazione, come invece non ha fatto’; fra l’altro, avverbi come necessario e contingenter fanno senso composto nel secondo modo, anche se sono modali, e solo impropriamente si dice che lo fanno nel primo, così come impropriamente connotano una passio della proposizione #°;. sono infatti esponibili, non officiabili, come si è tante volte ripetuto. Le differenze fra i due sensi sono così formulate: Prima est, quoniam propositio de sensu diviso ad hoc quod sit vera requirit verificationem in suppositis termini communis cum descensu copulativo vel disiunctivo; propositio veto de sensu composito non, quia uterque descensus sibi repugnat . Secunda differentia est, quoniam propositio de sensu composito ut plurimum probanda est ratione termini confundentis, sed sua de sensu diviso non  #4. non sint connotativi’ etc., ut pet hoc differat secundus modus a primo; dixi etiam: ‘non facientibus appellare formam’, ut pet hoc differat a septimo . 337 Ivi. Una posizione analoga a quella respinta aveva sostenuto SERMONETA nell’introduzione alla sua Expositio:  Ad hoc respondetur quod, licet haec opinio sic arguens sit probabilis, tamen magis consonum videtur veritati secundum mentem Hentisberi ipsum [!, cioè i modi 1°, 2° e 7°] separari quam non. 339 Ivi, f. 8ra-b: Etiam si secundus modus non separaretur ab illis, tunc Hentisber errasset in isto suo tractatu, quoniam secundus modus esset communior et subalternans primum et septimum: sed communiora sunt praemittenda in doctrina, teste Aristotele et Commentatore in primo Physicorum t.c. LVII et etiam tertio Physicorum t.c. II, ergo Hentisber debuisset tractatum suum incipere a secundo modo et non fecit, ergo errasset . 30 Ivi, f. 8rb. MI Ivi. Terminologia logica della tarda scolastica 587 Esse riaffermano che la proposizione in senso diviso è probata mediante descensus, mentre la proposizione in senso composto, richiedendo la probatio in funzione del termine confundens, sarà exponibilis oppure officiabilis. Di qui la regola generale fornita da Landucci:  Arguendo a sensu composito ad sensum divisum aut e contra in isto secundo modo non valet consequentia  #%, Il settimo modo ha luogo con i verbi che riguardano atti della mente: ma questi verbi possono designare atti della volontà (volo, nolo, malo, cupio, desidero, opto, odi) o operazioni dell'intelletto: absque formidine  come scio, teneo, cognosco, concedo, nego, o cum formidine  come dubito, credo, imaginor, suspicor, apparet e simili 8. Questi verbi possono cadere su di un  complexum verbale , cioè un dictum all’accusativo e l’infinito o con quod e il congiuntivo, o sopra un  terminum incomplexum  (Socrates,  a propositio ): nel primo caso, se uno di essi precede o segue il dicturm fa senso composto, se sta tra le parti del dictu72 fa senso diviso; nel secondo caso, se esso precede il termine, si ha senso composto, se segue a questo, si ha senso diviso *4. Il senso composto e il senso diviso differiscono perché il primo ‘confonde’ i termini comuni seguenti capaci di ‘confusione’ e fa sì che il dictum o il termine seguente  appellat formam , e il secondo non fa ciò *5; inoltre, la proposizione in senso composto è officiabilis, la proposizione in senso diviso non lo è #4, 342 Ivi, f. 8rb-va. 34 Ivi, f. 20rb-va. 34 Ivi, f. 20va. 35 Ivi, f. 20vb; e ancora (ivi): Quid autem s[c]it appellatio formae puto notum esse ex Logica parva, quoniam ille terminus appellat formam qui repraesentat suum significatum sub conceptu proprio .  Ivi: Landucci precisa che il primo termine della proposizione in senso 588 Alfonso Maierù Di qui le regole generali: [1] Arguendo a sensu diviso ad sensum compositum aut e contra in praedictis terminis non valet consequentia #7; Arguendo a sensu diviso ad sensum compositum et e contra in praedictis terminis ubi praedicatum sit iste terminus ‘hoc’ et subiectum, in sensu diviso, non sit terminus pet se notus non valet consequentia  4, si foret ter. minus per se notus bene valeret consequentia *’; [3] Arguendo a sensu diviso ad sensum compositum ubi subiectum fuerit terminus pet se notus absque aliquo determinabili, et praedicatum fuerit hoc pronomen ‘hoc’, consequentia est bona, et e contra, mediante verbo importtante scientiam vel certitudinem ; notanter vero dixi ‘cum verbo importante scientiam’, quia cum isto verbo ‘dubito’ non valet consequentia 59, Tralasciando le regole non riguardanti strettamente l’inferenza, concludiamo ricordando le due regole relative a hoc quando è soggetto della proposizione: l’inferenza è valida dall’un senso all’altro e viceversa se il pronome è  absque aliquo determinabili  5, oppure  cum suo determinabili palam convertibili cum praedicato aut palam superius ad ipsum  #*. L’operazione compiuta da Landucci, come si può rilevare, è consistita nel fissare criteri distintivi in modo da giustificare pienamente l’articolazione dei modi proposta da Heytesbuty; egli ha mirato a precisare la dottrina tradizionale che aveva unificato modali (primo modo) e verbi designanti atti dell’anima (settimo) sotto lo stesso motivo della probazio officialiter, e ha identificato composto dev'essere immediato perché essa possa essere  probata officiabiliter ; così è nel caso di  ego scio hominem esse animal . 347 Ivi, ff. 20vb-21ra. 38 Ivi, f. 21ra. 349 Ivi, f. 21rb. 350 Ivi. 351 Ivi, f. 21vb. 352 Ivi, f. 22ra. Terminologia logica della tarda scolastica 589 motivi precisi che non permettono la riduzione al secondo modo del primo e del settimo. Di diverso orientamento è la trattazione di Benedetto Vettori: più vicina al testo di Heytesbury nel ritenere l’articolazione in otto modi con la distinzione del quinto (con et) dal sesto (con vel) e con la mancata inclusione del nono, accennato e non sviluppato dal maestro inglese, relativo ai termini connotativi, la discussione del Faventino si svolge su di una linea generale che non ritiene niente della impostazione dei quattro commenti finora esaminati e sembra anzi in diretta polemica con la matura esposizione di Landucci, le cui tesi in certo senso vengono capovolte. Nell’esame di questo trattato, ci limiteremo a segnalare questi motivi di dissenso all’interno della tradizione più comune e che servono a chiarire l’origine e la destinazione di certe precisazioni, specie di Landucci: otterremo così un quadro più chiaro dell'esame finora condotto. L'esposizione si articola in lezioni, e sono otto in tutto; di esse una è introduttiva, mentre la sesta discute insieme i modi cinque e sei. Nella prima lezione Vettori chiarisce il suo atteggiamento in questo trattato. Innanzi tutto afferma che il senso composto e il senso diviso possono essere considerati o  secundum se et absolute , oppure  unius per rispectum ad alterum . Considerata in se stessa, la nozione di senso composto è fondata sulla nozione di verità o falsità istantanea (quindi sulla verifica istantanea) della proposizione corrispondente al dictu7z, che ha una sua determinazione ad opera di un modo; perciò la proposizione in senso composto  de modo non exponibili vel verbo concernente actum mentis  è officiabilis, giacché tale probatio  explicat 353 VertORI, Opusculum in Tisberum..., cit., lect. I, 1:  Et sic notitia sensus compositi secundum se causatur ex notitia instantaneae veritatis vel falsitatis propositionis significantis dictum vel determinatum a modo reddente sensu(m) compositum. propositionem significantem dictum categoricum propositionis officiandae, cuius praedicatum denotatur inesse subiecto secundum idem tempus imperceptibile. Considerato in se stesso, il senso diviso a sua volta può essere mostrato (potest ostendi) in due modi: aut explicatione propositionis, aut expositione eiusdem  #5; perciò la nozione di esso è legata alla explicatio o alla expositio; la explicatio di  tu non potes pertransire 4 spatium  è: tu non habes potentiam ad pertranseundum 4 spatium , che è falsa; mentre la expositio (0 resolutio, dice Vettori) esige che sia vera in un tempo percettibile la proposizione  hoc possibiliter currit ; per questo si suol dire che il senso diviso deve  verificari temporaliter  3%, Considerati poi l’uno in rapporto all’altro, i due sensi rientrano nella dottrina della conseguentia come specie nel genere ?7. Da queste considerazioni deriva la determinazione del posto da assegnare al trattato tra i libri logici: in quanto i due sensi sono considerati in sé, la nozione di senso composto e di senso diviso è legata alla conoscenza della proposizione e in tal senso è  pars determinationis libri Periermenias ; in quanto essi sono considerati in rapporto tta loro, il trattato va posto immediatamente dopo il trattato delle conseguenze e immediatamente prima dei Primi analitici. 1 fini del trattato possono essere interno o esterno alla logica; fine interno è la soluzione dei sofismi, fine esterno è servire a tutte le scienze ?. Per quanto riguarda le cause del senso composto e del senso diviso, è da tenere presente che ‘causa materiale’ è il 354 Ivi. Si ricordi come è data la probatio officialis:  Talis propositio est..., quae praecise significat ..., ergo...   dictum verbale  o un suo equivalente, giacché compositio e divisio sono proprietà logiche di cui la prima inferi cioè esige l’istantanea verifica della proposizione, e l’altra la verifica temporale, e si sa che la verifica è proprietà delle proposizioni o dei dicta soltanto *. Inoltre, il modo, o il termine comzponens vel dividens, dà nome e definizioni al dictum composto o diviso ! e quindi la capacità di confondere (virtus confusiva), propria del termine che è modo, opera o su tutto il dictuzz o solo su di una parte di esso e fa senso composto e senso diviso *°: perciò la virtus confusiva del modo ne è la causa formale; e poiché la confusio è opera dell’intelletto ( est de operatis ab intellectu ), senso composto e senso diviso sono legati all’apprebensio, della capacità di un termine di ‘confondere’ un dictumz, da parte dell’intelletto *4, il quale così ne è causa efficiente. Di qui seguono due affermazioni di notevole importanza: innanzi tutto, senso composto e senso diviso non hanno luogo senza la confusio del termine; inoltre, non hanno luogo senza il riferimento all’intelletto (sine intellectu). Come si può notare, la seconda affermazione riprende il vecchio tema del rinvio all’intelletto, del resto già presente in Heytesbury, per il quale senso composto e senso diviso sono molto simili quanto alla struttura linguistica (vox) ma omzzino impertinentes quanto all’intelletto, in ordine alla verità e alla falsità e  quoad formam arguendi  #7, Ma sulla prima affermazione si fonda tutta la struttura del trattato di Vettori. Egli si chiede infatti, subito dopo, se si possa 36 Ivi, lect. I, 2, supponitur primo, e prima conclusio. 361 Ivi, supponitur secundo. 362 Ivi, supponitur tertio. 363 Ivi, secunda conclusio. 364 Ivi, supponitur quarto. 365 Ivi, tertia conclusio. Ivi. 357 HeyTEsBuRY, De sensu composito et diviso, cit., f. 2ra. 592 Alfonso Maierà dare un’unica definizione di senso composto e senso diviso. Ricordata l'opinione che abbiamo visto essere propria di Battista da Fabriano, Sermoneta e Landucci, egli la rigetta come  falsa imaginatio *8; egli afferma che, non essendo il concetto di senso composto e senso diviso  mere aequivocus , esso può fungere da concetto comune e indifferenziato (indifferens) rispetto ai concetti propri causati dai vari modi 9, Ora, la ratio communis propria di questo concetto è quella che si è detto: non c’è senso composto e senso diviso  sine virtute confusiva  + Da questa affermazione seguirebbe che la proposizione  possibile est Socratem esse istum hominem  non è in senso composto perché nessuna parte del dicturz ha confusio, € che la proposizione  possibile est Socratem esse hominem  è in senso diviso giacché solo una parte del dictum ha confusio: entrambe, invece, secondo la dottrina tradizionale, dovrebbero essere in senso composto perché il modo precede totaliter il dictum; seguirebbe inoltre che la congiunzione e?, la disgiunzione vel e il relativo implicativo, non avendo capacità di confondere, non farebbero senso composto e senso diviso, e quindi i modi tre, cinque e sei non sarebbero tali”. Per rispondere a ciò, Vettori afferma ancora una volta che un termine fa senso composto quando ‘confonde’ o tutte le parti del dictum o almeno la principale, cioè il soggetto, e fa senso diviso quando confonde la parte più remota, cioè il predicato; perciò, continua Vettori, alcuni termini che non hanno tale capacità, non possono fare senso composto 0 senso diviso, ma possono causare corzpositio e divisio (giacché altro è compositio, altro senso composto, e così via); tali sono tutti termini elencati da Heytesbury ad eccezione di quelli del primo e dell’ottavo modo, VETTORI (si veda), dubitatur primo. 39 Ivi. ; . ;  Ivi (in particolare il secondo corollario al primo dubbio). 371 Ivi, dubitatur secundo. Terminologia logica della tarda scolastica 593 dei quali si parla communiter quando si tratta di senso composto e di senso diviso *; perciò non  ex diversa applicatione modi ad dictum  nascono le diversità tra i due sensi, ma dalla diversa confusio *: ci sono proposizioni, il cui modo (in forma nominale) precede il dictum, che non sono officiandae perché il soggetto di esse non è confuso (es. in  possibile est Socratem currere  solo il predicato è ‘confuso’), e perciò sono in senso diviso (come  Socratem possibile est currere  e  Socratem currere est possibile ; ma, mentre quella è explicanda, queste sono resolubiles); proposizioni come  possibile est hominem esse Socratem  sono invece in senso composto perché il soggetto è confuso e quindi sono da probare officiabiliter o exponibiliter. Ora: se non c'è confusio e il modus precede tutto il dictum, si avranno proposizioni compositae, non in senso composto, e se il modus sta tra le parti del dicturz, si avranno proposizioni divisae, non in senso diviso; le compositae  possunt probari vel explicative, ut in sensu diviso, vel officiabiliter aut expositive ut in sensu composito  3, Ciò premesso, egli accetta le osservazioni relative alle proposizioni « possibile est Socratem esse istum hominem  e « possibile est Socratem esse hominem ; ritiene inoltre che ez, vel e qui facciano compositio e divisio, ma non senso composto e senso  Ivi, supponitur primo; in part: «Quia autem stat aliquos esse terminos non habentes vim assignatam, ideo ab actione sensus compositi vel divisi auferuntur, licet ex eisdem causetur compositio vel divisio in propositione: hi igitur erunt qui assignantur a Tisbero in littera, praeter hos de primo et octavo, quibus communiter utimur in locutione sensus compositi vel divisi . È evidente qui il riferimento alla tradizione, per la quale modali e verbi designanti atti di volontà (1° e 8° modo) fanno senso composto e senso diviso essendo officiabili; l’autore non accenna, infatti, al secondo modo, che per Heytesbury è appunto «cum terminis confundentibus . 373 Ivi, supponitur  secundo. 374 Ivi, supponitur tertio. 38 Alfonso Maierù 594 diviso. Egli è cosciente che quest’affermazione nega la dottrina di Heytesbury e degli altri logici e perciò la dà come sua IDE personale ?. Egli continuerà così a parlare di “senso composto’ e di ‘senso diviso” secondo la terminologia tradizionale, anche in quei casi in cui avrebbe dovuto semplicemente parlare di Lp e divisio, e continuerà a descrivere i modi nella maniera tradizionale. N Tralasciando i modi terzo, quarto, quinto e sesto, cl soffetmiamo brevemente sui quattro rimanenti, limitandoci ad esaminare la caratterizzazione fornita da Vettori. a Primo modo. Ha luogo quando i termini ampliativi o, bageg si operano su di un dictum verbale o un suo «prec Ss a senso composto quando il modo precede ° segue i ic n mentre quando sta tra le parti del dictum si ha ce De È, il termine modale, sia quando è officiabile che quando cp ; nibile, è sempre in primo modo 8; i verbi potest e contingi 375 Ivi, in fine: «Et sic his habitis facilis est responsio ad gup dum corollarium, concedendo id  Laren gra soir pa er) pro aliis autem tribus negatur notam cor n be hdi i implicativim non facere compositionem vel divistonem, quan ipa e nullum illorum facere sensum compositum La cap cum nullum horum habeat vim confusivam, ut pro egg ir 3 Gu hoc arguatur fere omnia in tertio articulo esse contra core Lodi logicos, concedatur. Ideo volui haec dixisse Reni prop: hear noster habeat quod obicere, et hoc de tertio articulo et per q hodierna Pad; A her 376 Ivi t. rimo. da n è ia la tesi di Strode e di -_ ko; Lei magna), relativa alla distinzione da fare quando il modo s gr ps  Ivi, fertio, fra cui: Ex quo sequitur è pen lic nomen sensus compositi in propositionibus modalibus ut = uerunt q cai SI cfr. ad es. il Landucci, per il quale in questo caso si e unta modo; cfr. anche il testo del VETTORI, 0p. cit. lect., i ‘ubi sl fis ; prima conclusio, dove si ripropone il problema per g men pira si risponde:  Termini modales adverbialite= sumpti componuni Terminologia logica della tarda scolastica 595 assunti impertsonalmente fanno senso composto; personalmente, senso diviso; il dictum vero segue alla proposizione vera:  deum esse  è dictum di  deus est ; quindi, vera questa, segue che è vero quello e non viceversa; triplice è la differenza tra i due sensi: a) il senso composto ha verificazione istantanea, sia perché tutta la compositio è determinata dal modo, come vuole Heytesbury, sia perché tutte le parti della comzpositio sono ‘con- fuse’ dal modo, come si è detto, mentre il senso diviso richiede, a sua volta, una successione temporale, sia perché il modo determina una parte del dicture, sia perché è confuso solo il pre- dicato; b) il senso composto è officiabile o esponibile, mentre il senso diviso  probatur ratione termini mediati ; c) la terza dif- ferenza proviene  ex parte illativae positionis ; cioè la proposi- zione in senso composto implica una proposizione nella quale il modo sia affermato della proposizione de inesse corrispondente al dictum (es.  necesse est hominem esse animal, ergo haec est necessaria ‘homo est animal’ ) e ciò non è possibile per il senso diviso (non vale l’inferenza:  homo contingenter est animal, ergo haec est contingens ‘homo est animal’ ) 1, Secondo modo. Si ha con un termine che ha  vis confundendi  (confuse tantum, mobiliter o immobiliter) nei riguardi di un proprie et per se in primo modo , e ciò contro Heytesbury, che  ratione suae confusionis vel immobilitationis  li tratta nel secondo modo. Ivi, lect. II, 1, quarto.  Ivi, quinto; continua: Ex quo patet error nostri aemuli conce- dentis esse id ad quod esse verum sequitur suam propositionem esse veram. Jam enim scripsimus circa notitiam insolubilem aliquam propositionem esse falsam, cuius dictum adaequate est verum, ut haec ‘Socrates dicit falsum’, posito quod nihil aliud dicat, et tunc ipsa est falsa, et Socratem dicere falsum est verum ut sequens, ergo etc. Et hoc idem militat contra ponentes obiectum scientiae-vel dubitationis esse significabile complexe et non ipsa conclusio  ; quest’ultima è la posizione di RIMINI (vedasi) Gregorio da Rimini (ma cfr. cap. I, appendice  PERGOLA (vedasi). Ivi, sexto. dictum © d'un suo equivalente: termini aventi la capacità di “confondere” sono di tre specie: alcuni esercitano mediate tale capacità (così omnis nella proposizione universale affermativa, e non causa  compositio ), altri la esercitano immediate (come le  dictiones exclusivae , e non causano  compositio ); altri infine la esercitano sia immediate che mediate, purché non siano im- pediti da altro sincategorema: di essi, alcuni  confundendo immo- bilitant , altri no; fra i primi, sono incipit, desinit, promitto, debeo, obligor, necesse, necessario € impossibiliter; fra i secondi, scio, credo, volo, cupio, immediate **; si ha senso composto quando sono ‘confusi’ quei termini che possono esserlo: se si ha confusio mobilis, la verità o falsità della proposizione è mostrata dalla dalla verità o falsità del descersus a una proposizione  de di- siuncto exttemo ; se si ha confusio immobilis, la verità o falsità sarà provata mediante descensus alla equivalente proposizione in senso diviso; si ha senso diviso quando un termine comune della proposizione non è confuso perché antecede il termine confundens: la verità o falsità di essa sarà provata con descensus dal termine comune non confusus, descensus che non è possibile col senso composto. Di qui deriva l’analisi dei rapporti tra primo e secondo 382 Ivi, lect. III, 1, conclusio. Ivi, supponitur primo: cfr. LANDUCCI, f. 7vb. 34 VerTORI, op. cit., lect. III, 1, supponitur tertio, e cfr. supponitur quarto:  Et ex hoc supponitur quarto quid nominis sensus compositi et divisi in secundo modo. Sensus enim compositus tunc est, cum vis terminorum confundentium confusiva et per consequens vel illius immobilitativa est in terminum communem, ratione cuius veritas vel falsitas datae compositionis, si ex confusione et mobilitatione est, habetur verificata vel falsificata proposi- tione de disiuncto extremo compositioni correspondente ut descensus; et si compositio fuerit ex immobilitatione consequente aliqualem confusionem termini, erit verificata vel falsificata propositione exprimente descensum illius termini communis in divisa propositione compositae correspondente, ad mo- dum quo ea(n)dem declarat compositionem ex vi immobilitationis termini factam. Et sic sensus divisus erit, cum vis illorum terminorum confundentium modo: il secondo modo è superior al primo, che è inferior a quello ( Le. ] differentiam secundi modi compositionis a primo esse sicut superioris a suo inferiori ) #9; ciò è contro l’opinione di Landucci ( Senensis quidam  scrive Vettori), ma alla obiezione di Lan- ducci, che non si capisce perché, se così fosse, Heytesbury avrebbe cominciato il suo trattato dal primo modo anziché dal secondo Vettori risponde che questo si deve al fatto che comunemente si parla di senso composto e senso diviso a proposito dei termini che denotano la possibilità, inclusi perciò nel primo modo *%, Accostiamo subito a questi due l’ottavo modo. I verbi desi- gnanti atti della mente sono di due specie: alcuni designano un atto interiore (intelligere, scire, velle), altri designano un atto este- non transcendit in terminum communem per praecedentiam illius ad ipsos ratione cuius veritas vel falsitas datae propositionis divisae habetur ES descensu illius termini communis repugnante eidem in sensu composito. L'esempio addotto per il secondo caso del senso composto è  niecessatio: omnis homo est animal : l’autore non illustra come va operato il descensus in questo caso; si limita a ribadire che  datae propositionis veritas habetur verificato vel falsificato descensu attributo illi termino i S diviso extraneo eidem in sensu composito . sana sa Ivi, supponitur septimo; continua così il testo: Quilibet enim terminus qui ratione sui significare posse esse vel non posse esse facit sensum compositum in primo modo cum quilibet talis habeat vim confun- dendi tantum ratione suae confusionis, faciet sensum compositum vel divisum in secundo modo et non e contra; patet enim aliquem esse terminum com- ponentem vel dividentem in secundo qui nullatenus significat posse esse vel non posse esse et sic a ratione compositionis primi modi secluditur . Tuttavia vii [..] supponitur sexto, quod licet quilibet terminus ‘cdimponena vel dividens in primo modo possit ratione suae confusionis componere vel divi cà in secundo modo, aliqua tamen est propositio in sensu composito vel ; iviso in primo quae nec est composita vel divisa in secundo modo, ut hi ‘necesse est Socratem esse istum hominem’ et ‘Socratem necesse est fees istum hominem?. Et hoc patet per quid nominis sensus compositi o divisi in secundo modo  (cfr. n. 384) sith 386 Ivi, sotto supponitur septimo. riore (video, tango, audio)". Solo i primi fanno senso composto e senso diviso in questo modo. Tali verbi possono cadere su di un termine incomplexus, o su di un dictum complexum (di qui la distinzione tra probatio descriptibilis e officialis); se cadono su di un complexum, o dictum categoricum, perdono ogni vis appellationis formae , giacché  appellare formam est restringere terminum ad sui definitionem, sed dictum categoticum nullam habet definitionem, igitur non appellabitur appellatione formae  39; del resto, solo con un complexum si ha senso com- posto e senso diviso ?, e precisamente si ha senso composto quando il verbo precede o segue il dictuz, mentre se sta tra le parti del dictum si ha senso diviso 32. il primo ha probatio offi- cialis, il secondo va provato secondo il termine mediato precedente, se è presente nella proposizione ®”. Per concludere, esaminiamo l'impostazione che Vettori dà del settimo modo, che ha luogo — egli dice — con le determi nazioni ita est, ita fuit, ita erit. Egli così procede: dei termini am- pliativi, alcuni significano la possibilità ( consignificant posse esse vel non posse esse ) e appartengono al primo modo; altri invece consignificano il tempo, sia se sono considerati in sé (al tempo passato o futuro), sia se considerati nella forma di participio Ivi, lect. VIII, 1, supponitur primo. Ivi, supponitur secundo. 389 Ivi, supponitur tertio. :,  Ivi, supponitur quarto; continua: Hoc idem patet quia sequitur tamquam ab eodem idem: ‘tu intelligis hominem esse animal, ergo hominem esse animal intelligis’, quod non contingeret si dictum illud formaliter appellaretur, sicut hic non sequitur: ‘tu (ergo textus) hominem intelligis, ergo intelligis hominem’, ut patet intuenti .  Ivi, supponitur quinto. 392 Ivi, supponitur sexto. .  Ivi, supponitur septimo, e conclude: Et scias istam differentiam non causare omnimodam impertinentiam inter hos sensus, quia aliquibus conditionibus observatis sensus illi erunt pertinentes. Adam est praeteritus, antichristus est futurus: il participio è detto distractivus; considerando che ampliatio est dilatatio verbi, vel ratione sui, vel ratione participii distractivi ultra propriam sui consignificationem ad plures scilicet temporis differentias , può accadere che unì verbo ampliato possa essere restrictus di fatto  ad unam temporis differentiam  tra quelle richieste dall’amzpliatio; così avviene nel nostro caso, giacché ita, (e solo per accidens l’espressione  aliquando fuit ita ) limita a un istante del tempo connotato la verità della proposizione #9, e quindi l'aggiunta di if4 a un dictum è causa formale del senso composto in questo settimo modo ?, Di qui deriva che il senso composto si ha con l’aggiunta di ifa che restringe l’arzpliatio del tempo del verbo nella proposizione a un istante del tempo con- notato dal verbo che fa parte della deterzzinatio, e che è il passato o il futuro; il senso diviso è dato dalla proposizione senza deter- minazione e col verbo ampliato -- es. senso composto: aliquando fuit ita quod Socrates EST albus, senso diviso: Socrates FUIT albus. Di qui ancora risulta che il senso diviso sta al senso composto come il più ampio al meno ampio. Nel primo caso quella compositio che è il senso diviso ha verità verificabile nel tempo 3% Ivi, lect. VII, 1, conclusio, e praemittitur primo. praemittitur secundo; cfr. anche: Quantum ad primum prae- supponitur primo quid nominis restrictionis. Unde restrictio est acceptio termini in propositione pro paucioribus quam in propositione ampliata. Dico ‘acceptio termini in propositione’, ut denotetur restrictionem non fieri extra propositionem: est enim species suppositionis, quae est proprietas termini proportionaliter capti. Dico ‘pro paucioribus quam’ etc., ut deno- tetur terminum discretum non posse restringi . Supponitur  secundo quod terminum restringi ad pauciora in propositione potest dupliciter intel- ligi: vel ad pauciora scilicet supposita personaliter termino attributa, vel ad pauciora, id est, ad pauciores temporis differentias connotatas per verbum cui accidit ampliatio vel ratione sui vel ratione participii ampliativi, et haec erit restrictio ampliationis cui committatur compositio septimi modi . 39 Ivi, 1, praemittitur tertio. Ivi, praemittitur quarto. Veritas compositionis divisae proportionatae illi de sensu composito est temporalis et non istantanea), nel secondo invece è istantanea (veritas limitatur ad certum instans proportionatum propriae connotationis verbi restricti : propor- zionato, cioè, al passato o futuro, secondo i casi) **. 398 Ivi, supponitur septimo. Il testo del trattato “Termini qui faciunt” si trova in due manoscritti: PADOVA, Biblioteca Universitaria 1123, ff. 10va-11vb, e Worcester, Cathedral Library, F. 118, f. 30v sgg. Ho esaminato il ms. Padovano. Il testo, ANONIMO, ha, al f. 10va, Incipit :termini qui faciunt” e, al f. 11vb, Expliciunt termini qui faciunt. Il trattato quindi trae il suo titolo dall’incipit. Anche a una prima lettura si può rilevare che ci si trova di fronte non a un’opera originale, ma ad un adattamento di un capitolo delle Regulae solvendi sophismata di Heytesbury, intitolato “De scire et dubitare”. Il materiale del capitolo di Heytesbury è qui organizzato in modo da offrire in primo piano la descrizione del senso composto e del senso diviso, alla quale seguono VI casus con le relative risposte. Nel suo testo, invece, Heytesbury vuole chiarire le difficoltà relative all’uso di scire, dubitare, ecc.; per far ciò, egli formula gli stessi VI casi; passa quindi a descrivere senso composto e senso diviso. Infine risolve i casus. Heytesbury e il suo anonimo manipolatore si propongono fini diversi. A conferma della dipendenza del trattato “Termini qui faciunt” dal testo di Heytesbury diamo di seguito in sinossi i passi più importanti dell’uno e dell’altro (si noti la successione dei fogli dei passi riportati: si constaterà quanto diversa sia la collocazione dei brani paralleli nel testo di Heytesbury e nel nostro trattato. Ms. Padova, Bibl. Un. 1123 (f. 10va) Termini qui faciunt propositiones aliquando sumi in sensu composito et aliquando in sensu diviso et sunt isti et consimiles: scie, dubitare, imaginari, nolle, velle, ‘perci- pere’, CREDERE, ‘intelligere’, POSSIBILE, impossibile, ‘contingens’, NECESSARIUM, et alii consimiles. Unde notandum est quod quando aliquis praedictorum terminorum vel consimilium praecedat totaliter DICTUM PROPOSITIONIS vel finaliter subsequitur, tunc sumitur illa propositio in sensu composito, ut illa ‘Scio deum esse’, ‘Dubito Socratem currere’, ‘Possibile est album esse nigrum’, ‘Hominem esse album est impossibile’. Et significant tales propositiones sic: Scio deum esse, id est scio QVOD deus est. Credo Socratem cutrere, id est: credo QVOD Socrates currit; ‘possibile est album esse nigrum’, id est: “Hoc est possibile: quod album est nigrum, et sic de aliis. Sed quando aliquis dictorum terminorum mediat dictum propositionis, id est ponitur in medio inter ACCUSATIVVM CASUM et, modum infinitum, tunc illa propositio est totaliter accepta in sensu diviso. Et tales sunt istae: ‘4 scio esse verum’, ‘SOCRATEM percipio currere’, ‘album possibile est esse nigrum’ etc. Et istae significant sic: ‘4 scio esse verum’, id est illud quod est 4 scio esse verum; ‘Socratem percipio currere’, id est: illud quod est Socrates percipio [De scire et dubitare. Ad cuius evidentiam est notandum quod aliquando accipiuntur propositiones quaedam in sensu composito quibus consimiles sumuntur in sensu diviso quae non convertuntur cum illis acceptis in sensu composito. Item sciendum quod huiusmodi propositiones maxime fiunt per terminos actum vel habitum animae importantes, aut posse esse vel non posse esse, seu esse necessario vel non esse, vel impossibile esse vel non esse. Eiusmodi sunt isti termini: scire, dubitare, intelligere, imaginari, percipere, velle, nolle, possibile’, ‘impossibi- le’, necesse et sic de aliis multis. Quod autem cum his terminis fiant tales propositiones satis apparet iuxta communem modum loquendi [H. P. GRICE, “ORDINARY LANGUAGE”], ut cum dicitur: ‘scio 4 esse verum’ et ‘4 scio esse verum’. Propositiones istae multum sunt similes, sed non convertuntur. Una enim accipitur in sensu diviso et alia in sensu composito sicut et hic. Aliquam propositionem dubito esse veram’ et ‘dubito aliquam propositionem esse veram, intelligo vel imaginor aliquem punctum esse medium huius corporis’ et ‘aliquem punctum intelligo vel imaginor esse medium huius corporis. Et ita apparet quod multae sunt propositiones similes sicut istae iam praemissae et  aliae huiusmodi quae non convertuntur, cum una accipiatur in sensu currere; ‘album possibile est esse nigrum’, id est illud quod est album possibile est esse nigrum postea, vel sic: de re quae est alba potest fieri res nigra, et sic est de aliis. Ad istam conclusio- composito et alia in sensu diviso, quia sensus compositus rato vel numquam convertitur cum sensu diviso, sed in maiori parte quantumcumque sint similes sunt tamen sibi invicem impertinentes sicut inferius patebit. Item tamquam pro regula est observandum quod cum aliquis istorum terminorum vel similium praecedit totaliter dictum alicuius propositionis seu sequitur finaliter, tunc talis propositio accipienda est in sensu composito, sicut sic dicendo: ‘scio 4 esse verum’; tota illa propositio accipitur in sensu composito, et tunc convertitur cum hac propositione ‘scio quod 4 est verum’, et ex hoc sequitur quod talis propositio ‘a est verum’ vel aliqua propositio significans quod a est verum est scita a me. Multi tamen sunt termini prius accepti qui non multum competenter sequuntut finaliter huiusmodi dictum propositionis, quia improprie diceretur: ‘4 esse verum scio”, ‘aliquam propositionem esse veram scio’. Aliqui tamen istorum competenter possunt sequi huiusmodi dictum finaliter. Convenienter nam dicitur: ‘4 esse verum est possibile’, ‘hominem currere est possibile', ‘hominem esse asinum est impossibile’: sive igitur totaliter praecedit talis terminus dictum huiusmodi sive sequatur finaliter, erit totalis propositio dicta accepta in sensu composito. Prima supponatur  nem probandam arguitur sic, et primo supponitur ista propositio: suppono quod omnis propositio, de qua consideras quam non scis esse veram nec scis esse falsam, sit tibi dubia. Deinde ponitur iste casus, quod tu scias quod 4 sit altera istarum duarum propositionum ‘deus est vel ‘homo est asinus’ et lateat te quae istarum s[clit 4... (f. 11ra) Ad eandem conclusionem probandam arguitur sic, et ponitur iste casus, quod tu scias quod a s[cJit unum istorum contradictoriorum: ‘rex sedet’ et ‘nullus rex sedet’, ita quod tu scias quod quodcumque istorum sit verum quod illud sit 4 et e contra, nescias tu tamen quae istarum sit 4, sicut nec scias quae ista- rum scit vera; isto casu posito, facio tibi istam consequentiam. Tertio ad eandem conclusionem arguitur sic, et ponitur quod Socrates sit coram te et scias tu bene quod ‘hoc est hoc demonstrando Socrate et nescias tu quod hoc est Socrates, scias tamen bene quod ista propositio ‘hoc est Socrates’ significat praecise quod hoc est Socrates, tunc isto posito sequitur quod ista propositio ‘hoc est Socrates’ est tibi dubium quod quaelibet propositio de qua considerat aliquis quam ille nescit esse veram nec scit esse falsam sit dubia eidem. Deinde ponatur quod tu scias quod 4 sit altera illarum: ‘deus est’, ‘homo est asi- nus’, quarum unam scias esse ve- ram et necessariam, scilicet istam ‘Deus est’, et aliam scias esse falsam et impossibilem, scilicet istam ‘homo est asinus’, et te lateat quae illarum sit 4. Item arguitut ad idem sic. Ponatur quod tu scias quid sit ve- rum istorum, demonstratis istis contradictoriis tibi dubiis: ‘rex se- det’, ‘nullus rex sedet’, sic quod scias quod, quodcumque istorum sit 4, quod ipsum sît verum, et quod solum ipsum sit 4 et e con- tra, et cum hoc scias quod 4 est verum istorum, nescias tamen quid istorum sit 4 sicut nescis quid istorum sit verum. Istis po- sitis, fiat haec consequentia... Item ad idem arguitur sic. Po- natur quod tu scias quod hoc sit hoc, demonstrato Socrate, et ne- scias tu quod hoc sit Socrates, scias tamen quod haec propositio ‘hoc est hoc’ significat  praecise quod hoc est hoc, et etiam quod ista propositio: ‘hoc est Socrates” significat prae(f. 12vb)-cise quod hoc est Socrates. Sit enim Socrates coram te quem scias esse homi- nem et nescias ipsum esse Socra- tem, quc posito cequitur quod Terminologia logica della tarda scolastica Quarto arguitur [sic] ad ean- dem conclusionem sic, et ponatur quod Socrates sit coram te, scias tu bene quod ipse est Socrates vel Plato, nescias tamen quis istorum ipse sit, scias tu bene quod ista propositio ‘hoc est Socrates” signi- ficat praecise quod hoc est Socra- tes, tunc ista propositio ‘hoc est Socrates’ est tibi dubia... Quinto arguitur ad eandem conclusionem probandam sic, et ponitur quod tu scias quid demon- sttetur per subiectum huius pro- positionis: ‘hoc est homo” et quod aliquid scias esse hominem et nihil dubitas esse hominem et quod tu scias istam propositionem ‘hoc est homo’ sic significantem praecise quod hoc est homo, tunc ista propositio ‘hoc est homo” est scita a te esse vera vel scita a te esse falsa... (f. 1lva) Sexto arguitur ad probandum conclusionem sic: po- natur quod 4, è, c sint tres propo- sitiones quarum duae primae, sci- licet 4, d sint scitae a te, tertia sit c dubia; et dubitantur sic istae propositiones vel removean- tur a te, ita quod nescias quae istarum s[clit 4 nec quae d nec quae c nec quae sit tibi dubia. Isto posito, arguo sic: aliqua ista- rum est scita a te et quaclihet haec propositio ‘hoc est Socrates” est tibi dubia. Item posito quod scias quod hoc sit Socrates vel Plato, nescias tu tamen an hoc sit Socrates nec scias an hoc sit Plato, et tunc erit ista propositio tibi dubia: ‘hoc est Socrates’... Item suppono quod tu scias quid demonstretur per subiectum huius propositionis: ‘hoc est homo” et scias quod illa propositio signi- ficat praecise sicut termini illius preetendunt, et quod scias aliquid esse hominem et nihil dubites esse hominem; quo posito, sequitur quod ista propositio: ‘hoc est homo’, sit scita a te esse vera vel quod illa sciatur a te esse falsa... Item sint 4, d, c tres proposi. tiones, quarum duae sint scitae a te, scilicet 4 et 2, et tertia, scili- cet c, sit tibi dubia, et nescias quae illarum sit 4 vel b, et simi- licter lateat te (f. 13ra) quae illa rum sit tibi dubia. Istis positis, sequitur quod aliqua illarum pro- positionum sit scita a te, quia tam a quam È sciuntur a te per casum, et sequitur etiam quod quaelibet illarum sit tibi dubia... 606 istarum est dubia, ergo conclusio... Septimo arguitur ad eandem conclusionem sic: tu scis quod hoc est Socrates et dubitas an hoc sit Socrates eodem demonstrato, ergo illud est scitum a te et tibi dubium; et antecedens arguitur sic, et ponatur quod heri vidisti Socratem et neminem alium, et scias tamen bene quod adhuc ille homo quem heri vidisti est So- crates, et sit Socrates hodie coram te et lateat te quod iste est So- crates, tunc sic: tu scis quod iste homo est Socrates; hoc arguitur sic, quia demonstrato isto homine quem heri vidisti, scis bene quod iste est Socrates, sed neminem heri vidisti nisi istum hominem, ergo demonstrato isto scis bene quod iste est Socrates et dubitas an iste idem sit Socrates per ca- sum, igitur sequitur conclusio. Alfonso Maierù Item tu scis quod hoc est Socrates et dubitas an hoc sit Socra- tes, eodem demonstrato; propter quod ponatur quod heri videris Socratem et scias adhuc quod ille homo quem heri vidisti est So- crates, et videas Socratem modo, et lateat te an sit Socrates, sed credas quod ille homo quem nunc vides sit Plato, et non videas ali- quem nisi Socratem; istis positi scis quod hoc est Socrates d monstrato illo quem heri vidisti, quia absque haesitatione conce- deres quod hoc est Socrates, de- monstrato illo quem heri vidisti, quia scis bene quod ille quem heri vidisti est Socrates demon- strato illo quem heri vidisti. Scias nam gratia exempli quod neminem vidisti heri nisi illum qui est So- crates, et tunc sequitur quod tu scis quod hoc est Socrates, de- monstrato illo quem heri vidisti, et eodem demonstrato dubitas an hoc sit Socrates, quia, demonstrato illo quem iam vides, dubitas an hoc sit Socrates, et idem est quem iam vides et heri vidisti, igitur eodem demonstrato scis quod hoc est Socrates et dubitas an hoc sit Socrates. Alfonso Maierù. Maierù. Luigi Speranza, “Grice e Maierù”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mainardini: l’implicatura conversazionale del popolo romano di Livio – filosofia veneta – filosofia padovana – la scuola d Padova -- filosofia italiana – il consorzio degl’eroi --  Luigi Speranza (Padova). Abstract. Grice: “I often wondered: if William of Occam were known to have belonged to a noble family, say, that of the Chumleys – we would refer to him as Chumley, not Occam. The Italians know better. Marsilio is a pretty common Christian name – once  you know that this Marsilio belonged to ‘dei Mainardini’ – plural of ‘Mainardino’ – you better acknowledge that!” Grice: “In any case, it is very rare that a political philosopher is called a philosopher at Oxford!” Filosofo italiano. Padova, Veneto. Grice: “Padova tries to institute the ‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern ‘stato,’ but in which case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” --  Grice: “When I studied change I focused on von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!”  Nato da una famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui versava il clero lo portò a diventare anti-curialista.  A Parigi incontrò Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio.  Mainardini dopo le sue dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello successivo.  A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma in occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso Ludovico vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad opera del popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione dell'impero laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada alla laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro  di Carlo IV di Boemia.  Con la Bolla d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di M. come il prodotto di tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge.  Il suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato, esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi principi politici costruiti.   occulta valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme avidità  (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica, la confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore, imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della  translazione dei imperii” --  è un'opera che niente aggiunge alla fama derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione.  Si può considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla fondazione di Roma da Romolo (alla LIVIO) fino al secolo XIV. In M. lo “stato romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva dal con-sorzio o concerto civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per M., l'uomo deve essere inteso come libero e consapevole.  Nel Defensor Pacis appare diffuso un costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo, indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione, ecclesiastica è il grande merito di M..  Anche nella Chiesa viene affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel senso più puro.  La modernità di M. consiste anche nel metodo della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI, Padova (collana Lex naturalis;  Battaglia F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R., Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia medievale, Briguglia G.,  Carocci Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani,  Del Prete D., Il pensiero politico ed ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari, Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento, Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano  Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da Padova e Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Nome compiuto: Marsilio dei Mainardini, Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo – allegoria del buon governo, Livio, Romolo, Machiavelli -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini" per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Malfitano: all’isola -- l’implicatura conversazionale dei quattro – il complesso sociale --  la scuola di Siracusa -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Siracusa). Abstract. Grice: “Part of the problem of Oxford’s empiricist philosophy is that the conversational dyad has to be PROVED rather than ASSUMED. It’s quite different for Malfitano, and I agree with him. The pirot is an individual – but when the pirot 1 interacts with Pirot 2, a sort of ‘social complexus’ is built – this is not really emergentism in the ontological fashion, since, as Thatcher taught us, there is no such thing as society—only families!” Filosofo italiano. Siracusa, Sicilia. Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’ grows (cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’ – Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice: “I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the social complex, i. e.,  the human being in his inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta – ideation, cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le lezioni del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo, dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel capoluogo siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina. Stimolato dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi notare da colleghi e professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista milanese. La carriera  prese una svolta definitiva quando, durante un congresso internazionale a Pavia, venne notato dal futuro successore di Pasteur, Duclaux. Venne dunque invitato a trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella capitale francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla micro-biologia, pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger, Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme e Bactericidie charbonneuse. Decise di ritornare a studiare la chimica pura, campo d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise a punto i cosiddetti ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Divenne capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli studi si interruppero durante la gran guerra. Al termine di essa,  sposò Vera, una studentessa russa.  Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle, ma l'esistenza in generale. Pubblica Complexité et micelle, e Les composés micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali: ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione; il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso ideologico: la convinzione).  L'ultimo passo della speculazione e il concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio.  Soleva spesso tornare in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine. L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il paese natale. Morì inell'alloggio assegnatogli dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema", termine che indica l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido, quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella capitale francese.  Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo motivo Santa Veneziano,  orfana di entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni.  Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122.  Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche126.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità, Tyche.   Ad repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth stadia: -- il complesso sociale – Nome compiuto: Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in “From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano --. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Malipiero: l’implicatura conversazionale del trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale – the breach of contract – or Romolo e Remo, I due contrattanti – la scuola di Venezia -- filosofia venta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Abstract. Grice: “There is a famous adage well known at Oxford about the ‘feast of reason’ – and when I was invited to explore on my ‘quasi-contractualist’ basis for the rational principle underlying conversation, I hesitated. But then I thought: even in a purely contractualist theory, the very fact that a contract ever took place is taken for granted among discussants as what I call a ‘myth’!” Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a ‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti. Entrambi i genitori erano patrizi: il padre provene  dalla storica casata dei Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe, ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica. A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico. La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le passioni.  Questa idea, in contrasto con quanto asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini.  Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato, senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui M. cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la democrazia, ma la monarchia.  La sua linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto. Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore austriaco Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera, divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica (polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il criterio di scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico nei confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo, auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto verso i trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle amministrazioni.  Con questo lavoro anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a personalità lombarde o delle province ereditarie.  Si dedicò, con un certo successo, anche alla stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav. Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza. Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle;  Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco, assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina diPisani. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher G. R.] Grice made a job out of it! I saw the cooperative principle as a matter of quasi-contract – whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong with it? Romolo mythically killed Remus because of a breach of contract, too!” Grice: “My thought exactly replicates that of Malipiero back in the good old days of Venetian republic – only there was more rhyme to reason in HIS scheme!” – Nome compiuto: Troilo. Malipiero. Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione del sistema del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia,Grice e Mamiani: l’implicatura conversazionale di Beltrami contro Euclide – filosofia emiliana – filosofia parmese – la scuola di San Secondo Parmese – la scuola di Parma --  filosofia italiana – Luigi Speranza (San Secondo Parmense). Abtract. Grice: “When I arrived at Oxford – Corpus – with a classics scholarship from Clifton, I kew I did not have to deal with EUCLIDES – I was into clasics – and Euclide just doodled on lines and angles!” -- Filosofo italiano. San Secondo Parmese, Parma. Emilia Romagn. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he takes ‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored Newton on the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space which reminds me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian, and thinks Italian needs Euclideian verbs to match!”  Lincei. Membro dell'Accademia dei Lincei ha insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara.  Si è occupato soprattutto di Isaac Newton, del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e dell'origine delle enciclopedie moderne.  Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, Angeli,  “La mappa del sapere.” La classificazione delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,” Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium.  I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino, Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi sul pensiero scientifico Ricordando M., "I castelli di Yale", Il Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Nome compiuto: Maurizio Mamiani. Mamiani. Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mancini: l’implicatura conversazionale del kerygma – la scuola di Schieti -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Schieti). Abstract. Grice: “In my seminar on ‘conversation’ I focus on the principle of conversational benevolence, -- formerly the desideratum of other-love – as opposed to the desideratum of conversational self-love. It was only years later, when exploring Kant, I realised how crucial the role that benevolentia plays – which I had borrowed from Butler, not Kant – However, for Kant, benevolentia is PARALELL to malevolentia – which the English refer to as ‘ill-will’ – in that qua autonomous rational agents we may decide to pursue an end which everybody except ourselves regard as good – and in fact, which everyone but ourselves, regard as ‘ill’ – Some ill-will!” Filosofo italiano. Schieti, Urbino, Marche. Grice: “I like Mancini: he has expanded on the ethos of cooperation – and he has explored what he calls ‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in connection with language – he reviewed Pittau’s philosophy of language, and published a little thing on ‘language and salvation.’ So how can you NOT like him?”  Grice: “I like Mancini; if I dwell on philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has studied Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of MALEVOLENTIA!”  “La filosofia è il passaggio dal senso al significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.” Studia a Fano e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad Urbino. Studia i massimi teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer pubblicando, su quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per molti anni, di "facoltà teologica" in una università laica.  Tra i filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della ragion pura.  In questo senso è ancora più importante "Kant e la teologia” dove  tratta la filosofia della religione kantiana, fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle orme del Concilio Vaticano II.  Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola, Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa, Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma, “Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana, Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere”  Rusconi, Milano  “Negativismo giuridico” QuattroVenti, Urbino  “Guida alla Critica della ragion pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri, Urbino, Quattroventi  “Hermeneutica” “Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in “Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi" L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso, Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino, Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana  Ethos e cultura nella cooperazione di credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S. Bernardino”, Quattroventi  Bonhoeffer; Morcelliana, Brescia  Frammento su Dio, Brescia, Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini, Urbino, Quattroventi  Opere scelte. Brescia, Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic (Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi "Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino, Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino, Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi, "Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella. Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu, Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G. Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza -- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/ dialegesthai/ mpe. M.  Petricola, Pensare Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice  Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra. L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa  Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale M" presso il suo paese natale Schieti, su centro M. . . FB cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista "Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Nome compiuto: Italo Mancini. Mancini. Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mangione: l’implicatura conversazionale d’alcuni aspetti del nazionalismo culturale nella logica italiana – logica matematica – la scuola di Bagnara Calabra -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnara Calabra). Abstract. Grice: “As I look upon my former self, I realise I would have NEVER even touched with a barge the symbols used by logicians, had it be not be that my own pupil, Strawson, was thinking to write a tract for Methuen about it. We discussed it in private, and I shared my thoughts with him that most of his intricacies could be extricated by appeal to a principle of rational discourse which I had come across in the quite separate – and properly philosophical area – of the philosophy of perception. Strawson indeed made himself the connection to the logical operators from my referring to this principle of rational discourse in the philosophical context of the ‘philosophy of perception’!” Filosofo italiano. Bagnara calabra, Calabria. Grice: “I like Mangione; for various reasons: He notes that logic is more related to mathematics – indeed, for logicism mathematics IS logic – so the opposite to ‘formal’ logic is ‘material’ logic, not ‘informal’ as Ryle and Strawson want – Mangione has studied ‘categories’ and talks of ‘logica matematica’ – he has studied Frege’s ideografia, as he aptly translates his grundscrift, and he tried to improve on the ‘nationalism’ which was ubiquitous in logic in Italy in the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano. Diresse le due collane matematiche della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della A. Martello editore. Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.” Contribuito alla Storia della filosofia pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della logica matematica. Amplia e sistematizza tali contributi nella Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio costituisce un ampio ed esaustivo lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della logica. Dirige la collana Muzzio scienze. Insieme a Ballo, Bozzi, Lolli e Pagli cura Gödel (Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano, Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia: saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. Regny, «Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte le opere di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF dell'Bari. 6.Peano, A.Nagy, Delbcedp, Logiqìie algorithmique. Revue Philosophique quindi idem. Liège et Bruxelles Liard L., Les logiciens anglais contemporains {ISIS). Logique. Masson, Paris. — Cours de philosophie. Logique CouTURAT L., La logique mathémaiique de M, Peano, " Revue de Métaphysique et de Morale „, a — La logique de Leibniz d'après dea documents inédits. Paris, Alcan. L’Algebre de la logique. Paris, Gautliiers-Villars, ed. Peano G., Calcolo geometrico secondo VAusdehnungs- léhre di H, Grassmann, preceduto dalle operazioni della logica deduttiva, Torino Arithmetices principia, nova methodo exposita — I principi di geometria logicamente esposti Torino, Bocca. Elementi di calcolo geometrico Principi di logica matematica. R. d. M., t. I. Formule di logica matematica. R. d. M., t. I. Sul concetto di numero. R. d. M., t. I. Sui fondamenti della geometria R. d. M., Saggio di calcolo geometrico Studi di logica matematica Les définitions matJtématiques Formulaire mathématique. Nagy a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di matematica. Napoli Sulla rappresentazione grafica delle quantità logiche. Rend. R. Accademia dei Lincei. Lo stato attuale ed i progressi della logica. Rivista italiana di filosofia. C. Burali-Forti, G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M. Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Nagy a., Principi di logica esposti secondo le dottrine mo- derne. Torino, Loescher I teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di Mat., Ueher Beziehungen zwischen logischen Ordssen. Mo- natshefte fur Mathematik. Wien, La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai. di Filos. Roma, I primi dati della logica. Id. Roma, Ueber das Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien, t. Sulla definizione e il compito della logica. Roma, Balbi Alcuni teoremi intorno alle funzioni logiche. Riv. di Mat., BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica. Milano Exercice de traduction en symholes de Logique Mathématique. Bulletin de Mathématiques élémentaires Sui simboli di logica matematica. Il Pitagora, Padda A., Note di logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, Conférences sur la Logique Mathématique. Université non velie de Bruxelles Essai d'une théorie algébrique des nombres entiers, précède d'une introduction logique à une théorie déductive quelconque. Congresso internaz. di filosofia. Parigi, Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di Mat., t. Sul carattere del contributo apportato dal Leibniz allo sviluppo della logica formale. Rivista filos. e scienze affini. Maggio-Vacca G. Sui precursori della logica matematica. Riv. di Mat., Bettazzi, M. Chini, T. Boggio, A. Ramorino, M. Nassò, ecc. in Italia. Tutti questi ultimi A. appartengono alla scuola del Peano, al quale si deve la prima introduzione della Logica matematica in Italia con Peano, esposti lucidamente gli studi dello Schrodbr, del Boole, ecc., dimostra l'identità del calcolo sulle classi, fatto da questi autori, col calcolo sulle proposizioni di Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9 {Arithmetices principia contiene per la prima volta la teoria dei numeri interi completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €, D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento analitico andò perfezionandosi rapidamente. Formulaire de Mathémathiques; Introduction quindi la pubblicazione completata, con nuove formule ed arriccbita di numerose indicazioni storiche per la collaborazione di valenti seguaci, procedette alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della matematica. L'importanza filosofica di questo movimento scientifico non è ancora stata apprezzata convenientemente dai filosofi, e l'opera di PEANO (si veda) comincia solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli insegnanti di logica pura. Questo ritardo filosofico è tanto più strano quanto più chiara è la filiazione filosofica di questa ideografia. Peano stesso non cessa mai di far notare che essa è basata su teoremi di logica, scoperti successivamente da Leibniz fino ai giorni nostri. È noto infatti che l'ideografia completa o pasigrafia e intravista da Leibniz, col nome di characteristica. Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre le Pastore, Logica formale. Meriti dell' analitica moderna, Da questo rapido cenno dello sviluppo storico dei postulati del càlcolo logico e degli autori che più hanno contribuito al progresso della logica pura e sim- bolica in largo senso della parola (simboli lette- rali, aritmetici, algebrici, geometrici, ideografici, ideofisici e via dicendo), e pure in mezzo alle di- vergenze profonde e attraverso i vari modi onde le forme logiche si manifestano e a quelli onde vengono interpretate, è possibile scorgere il filo conduttore. Le dottrine più recenti sopratutto, parte cri- ticando i metodi e i principi sui quali le antiche erano costruite, parte proponendo metodi di di- mostrazione più atti all'indagine logica, parte svolgendo fuori dalla stessa analitica germi di idee nuove che vi rimanevano prima come oscu- rati ed occulti, sono come una successione in- calzante di fiotti vitali che, scaturendo dalle vette del pensiero, sono penetrati nell'organismo della logica formale alimentandolo e sospingen- idee di logica che si incontrano in molte parti della ma- tematica ad un numero sempre più piccolo di idee pri- mitive, attualmente ancora si desidera una riduzione analoga di tutte le idee di logica che si incontrano nella logica pura. Questa riduzione presenta invero seriissime difficoltà, ed e più facile il riconoscere quante e quali siano le idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in Logica. (Peano). In questo saggio, continuando le ricerche cominciate nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto al lettore, tento di portare un contributo alla soluzione del problema suddetto. Nome compiuto: Corrado Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica” “divertente”, “Sidney Harris” Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si” “some (at least one)” “all” “the” “il”, Mangione, simbolistica, logica simbolica, logica formale, logica materiale, semantica, semantica per un sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e la proclama di Mangione: logica matematica, la logica matematica deve essere divertente!” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Manfredi: l’implicatura conversazionale del liber de homine – filosofia emiliana – la scuola di Bologna -- filosofia bolognese – scuola di Bologna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Abstract. Grice: “I once punned on Alexander Pope’s study of mankind, man – philosopherkind – Manfredi didn’t!” Filosofo italiano. Bologna, Emilia Romagna. Grice: “I like the “liber de homine.” It reminds me that among my unpublications there’s a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same particle for ‘why’ and ‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because ‘for’ is usually otiose: “Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I am hungry.” – Studia a Bologna e Ferrara. Entra in contatto con circoli umanistici. Insegna a Bologna. Riceve un compenso superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato da PICO (si veda) (“Disputazione contro l’astrologia divinatrice””).  La sua opera “Il Perché” fu un successo per secoli.  Altre saggi: “Tractato de la pestilentia,” Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon” (Bologna, Bazaliero Bazalieri) “Liber de homine,”  Impressum Bononiae, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Manfredi. Keyword: divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean death. --. Grice: “The present budget means that we will have a bad year – Prognosticon. “The present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t have.” – x means that p entails p. Pico approaches Manfredi, “You said that the budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we  didn’t!” – Nome compiuto: Girolamo Manfredi. Manfredi. Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green all over? No stripes or spots allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there something rather than nothing? Why I am me and not you?  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi: l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Manicone: l’implicatura conversazionale della filosofia del gargano – la scuola di Vico del Gargano -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico del Gargano). Abstract: Grice: “Unlike Italy’s, the geography of Oxford – or dreaming spires, as scholars call it – is rather boring!” Filosofo italiano. Vco del Gargano, Foggia, Puglia. Una delle personalità più caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito il “monacello rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica consiste in una sete di sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo, alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza.  Lo sviluppo economico-sociale che teorizza M. consiste in uno sviluppo connesso e, per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto segnare la fine dello sviluppo.  Manicone può essere considerato un profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e scriteriato delle risorse naturali.  Le opere in cui Manicone tratta, tra gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes nemus». Riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764, con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli ischitellani.  La causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul promontorio del Gargano.  Manicone spiega anche la diminuzione della fauna selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili.  Ne “La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano:  1. Le condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei  centro abitato (consuetudine abolita con l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la consapevolezza di “aver cantato ai sordi”.  Viaggiò molto per l'Europa, studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze Naturali a Bruxelles.  È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e soprattutto del Gargano.  A M. è intitolato il Centro Studi e Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San Matteo a San Marco in Lamis.  Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica daunica Al tempo di M. la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi erano larghi, puliti e soleggiati.  Le Istituzioni mancavano anche laddove era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste spesso in profonde valli o zone impervie.  La popolazione vichese era laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia M.  descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò li porta a risse feroci.  Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro, dato in pasto ai vermi.  Un difetto presente in tutte le abitazioni vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici e inquinare l'aria interna. A  Vico molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni successivi.  Per M., il mancato sviluppo del Gargano e da imputare anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni.  Al fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza) di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata fu annullata dalla Regia Camera.  Dalla lettura di alcune pagine delle opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura comunità.  Opere M.  contesto – il contesto del contesto.  "Philosophers often say that context is very important." "Let us take this remark seriously.’ "Surely, if we do, we shall want to consider this remark in its relation to this or that problem, i. e., in context, but also in itself, i. e., out of context.” H. P. Grice, "The general theory of context." Nome compiuto: Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Manilio: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “We seldom discussed ‘freedom’ with Austin, but after my seminars on Kant’s critique of ‘practical’ or buletic, as I prefer, reason – I found that Kant was a liberal, in the sense that he wanted to liberate himself, and all of us – qua persons – from everything! This struck a louder chord than the silly tune Isaiah Berlin was playing as the professor in the history of ideas – about positive (free to) and negative (free from) freedom!” Filosofo italiano. Porch. Astronomer and poet. He writes a long poem on astronomical matters, part of which survives. He takes and extreme position on the subject of fate, believing that not even thoughts – or the will -- are exempt from its influence. Nome compiuto. Marco Manilio. Keywords: liberta, il libero. Manilio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manilio.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mannelli: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Virgilio – la scuola di Grimaldi -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Grimaldi). Abstract. Grice: “When Strawson was inaugurated as the Waynflete professor at Oxford of metaphysical philosophy, he referred in his opening lecture to myself as a hero or a god – I forget!” Filosofo italiano. Grimaldi, Cosenza, Calabria. Grice: “Like me, Mannelli loved Kant, Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta il ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove termina gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e  venne eletto Consigliere Provinciale.  Proprio in qualità di membro del consiglio provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza  Si dedicò in tempi e con modi diversi all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della Xenia di Goethe (Roma, Paravia.  E tra i maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina, l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.  Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti, Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia Cosentina nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino. Biografia in Calabriaonline.com  M. Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura in Calabria.  Xenia Edizione Paravia. nna Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini, Catanzaro,  Accademia Cosentina Biblioteca Civica di Cosenza Goethe  Poesia "Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi  Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero. Nome compituo: Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mantovani: l’implicatura conversazionale dei curiazi – percorsi di comunicazione – la scuola di Moncalieri -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Moncalieri). Abstract. Grice: “When I deliver my short lecture to the Oxford Philosophical Soceity – never meant to be published – I was struck by some of the nonsense this American philosopher by the name of C. L. Stevenson was writing about ‘communication.’ He was, more or less, saying – I later realised he was no philosopher, but a graduate of the English studies department at Yale – that A communicates that p to B if A means that p to B. ‘Very true, but SO unhelpful!” Filosofo italiano. Moncalieri, Torino, Piemonte. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso D’Aquino. Gli ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha compiuto studi sulla storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori studiosi e conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e ragione: opposizione, composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS, “Quale globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,”  “An Deus sit (Summa Theologiae). Fede, cultura e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle scienze: temi, esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana, “La discussione sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi: prospettive per un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico dinamico  Demaria. Roma, LAS,,”Momenti del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio, scientia):  Roma, Nuova cultura, “Per una finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma Incisa Valdarno, Città  Nuova Istituto universitario Sophia,  Lorenzo Cretti, La quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don Bosco» La Stampa, su lastampa,Conferenza Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net.  redazione, Nuovi accordi di co-operazione interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. Premio Mediterraneo. su Fondazione mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Nome compiuto: Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords: i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mantovani” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marafioti – la scuola di Polistena -- filosofia calabrese – Luigi Speranza (Polistena). Abstract: Grice: “I played for Oxfordshire, I mean I played as an amateur cricketer at county level – I’m not sure if Calabria counts as ‘county level’!” Filosofo italiano. Polistena, Calabria. Filosofo, umanista, storico e presbitero italiano. M., Croniche et antichità di Calabria. Le notizie biografiche su di lui sono molto scarse e desunte per lo più dalle sue opere o da una storia ottocentesca della sua città natale. Croniche et antichità di Calabria. Sacerdote appartenente all'Ordine dei Frati Minori, M. si prefisse il compito di continuare la storia della Calabria dell'umanista Barrio. La prima edizione di quell'opera, infatti, si era rivelata talmente piena di errori e di lacune che lo stesso Barrio aveva tentato di emendarla in vista di una seconda edizione, ma ne era stato impedito dalla morte. Intenzione, parzialmente disattesa, del padre francescano era inoltre quella di ricordare le vite i santi calabresi, specialmente coloro di cui si era persa la memoria.  Le Croniche et antichità di Calabria, in cinque libri, venne edita una prima volta a Napoli mentre una seconda versione accresciuta e corretta venne edita a Padova.  Di padre M. sono rimasti anche un'opera teologica[10] e un trattato di mnemotecnica in lingua latina, che ebbe un certo successo tanto che venne tradotto poco tempo dopo in lingua italiana.  Non è noto dove e quando Girolamo M. sia morto. Giovanni Russo, ex direttore del Museo civico "Francesco Jerace" a Polistena, ha suggerito che M. sia deceduto  presso il convento nel suo paese natale. Opere: M., Croniche et antichità di Calabria. Conforme all'ordine de' testi greco, et latino, raccolte da' più famosi scrittori antichi, et moderni ..., Padova, Ad instanza de gl'Uniti, 1601. Ristampa anastatica: editore Arnaldo Forni, Google Libri.  ^ D. Valensise, .  books. google.it/books?id=LlawjHUbv9U C&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false Consultabile on line su Google Libri ^ L. Accattatis. ^ Franco Carlino, M.. Un sacerdote con la passione della storia, in Il Nuovo Corriere della Sibaritide, Barrii Francicani De antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque. Romae : apud Iosephum de Angelis, Parise, La nascita della storiografia calabrese (PDF), in Voce ai Giovani, Crupi, Conversazioni di letteratura calabrese dalle origini ai nostri dì, Pellegrini. M., Opera del r.p. fra M. di Polistina dell'Ordine de' Min. Oss. Delle croniche, et antichita di Calabria, secondo le città, habitationi, luoghi, monti, fiumi, e fonti di quella, con l'historie di tutti gli huomini illustri calabresi, quali in diuerse scienze, e arti fiorirno, col Catalogo de gli beati, e santi, In Napoli: nella Stamperia dello Stigliola a Porta Regale, M., Croniche et antichita di Calabria. Conforme all'ordine de' testi greco, et latino, raccolte da' più famosi scrittori antichi, et moderni, oue regolarmente sono poste le città, castelli, ville, monti, fiumi, fonti, et altri luoghi degni di sapersi di quella prouincia. Dal r.p.f. M. da Polistina teologo, dell'Ord. de Min. Osseruanti, In Padoua : appresso Lorenzo Pasquati ad instanza de gl'Vniti, 1601 ^ F. Hieronynimi M. Polistinensis Calabri Ordinis minorum, Annotationes euangelicae lucidissimae a feria quarta Cinerum vsque ad feriam tertiam Paschatis inclusiue, Cum duplici indice, materiarum scilicet, ac rerum notabilium, Neapoli : ex typographia Ioan. Baptistae Subtilis. : apud Scipionem Boninum, 1608 ^ F. Hieronymi M.Polistinensis, Calabri theologi Ord. Minorum obseruantiae. De arte reminiscentiae per loca, et imagines, ac per notas, et figuras in manibus positas. Opus delectabile, omnibusque literarum studiosis, et praecipue oratoribus, concionatoribus, et scolaribus, qui ad doctoratus apicem ascendere satagunt apprime vtile, Venetijs : apud Io. Baptistam Bertonum sub insignae peregrini, 1602 ^ Ars memoriae, seu potius reminiscentiae: noua, eaque maxime perspicua methodo, per loca et imagines, ac per notas et figuras, in manibus positas, tradita et explicata: authore Hieronymo Marafioto Polistinensi Calabro, theologo, Francofurti : ex officina typographica Matthiae Beckeri, 1603 ^ Girolamo Marafioti, Noua inuentione et arte del ricordarsi, per luoghi, et imagini; et per segni, et figure poste nelle mani. Del R.P.F. Girolamo Marafioto da Polistene di Calabria, Opera diletteuole tradotta di latino in lingua italiana, da p. Theseo Mansueti da Vrbino, Stampata in Venetia, et in Fiorenza: ad instanza di Sebastiano Zannetti, 1605 ^ Museo civico "Francesco Jerace", su beniculturali.it, Ministero per i beni e le attività culturali, Russo, Accattatis (a cura di), Girolamo Marafioti, in Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza, Tipografia municipale, Valensise, Monografia di Polistena, Napoli, Tipografia di Vinvenzo Marchese. URL consultato il 21 settembre 2018. Giovanni Russo, Girolamo Marafioti : teologo, storico e musico, Polistena, Centro Studi Polistenesi; Storico Complesso Bandistico Città di Polistena, Opere di Girolamo Marafioti, su Open Library, Internet Archive. Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Biografie Categorie: Umanisti italianiStorici italiani del XVI secoloStorici italiani Presbiteri italiani Presbiteri italiani Nati a Polistena[altre]. Nome compiuto: Girolamo Marafioti. Marafioti. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marafioti” – Marafioti.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marassi: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Vico – la scuola di Cardano al Campo -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cardano al Campo). Abstract. Grice: “When Strawson delivered his inaugural lecture as the Waynflete professor at Oxford of metaphysical philosophy, he called me a hero – or a god – I forget!” -- Filosofo italiano. Cardano al Campo, Varese, Lombardia. Grice: “I like Marassi; he has written a ‘natural’ history of ‘man’ – which is interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I like Marassi; he has explored hermeneutics in the German tradition, Schleimacher to be more specific; but has also written an essay on Heidegger; his links with me come with his idea of metaphysics and transcendental arguments which he takes from Kant, who he reads in both German and Italian, unlike I, or me.” – Grice: “He has written an introduction to a comparative study of the approaches to ‘the antique’ in both Italian and German philosophy – a fascinating topic. I suppose the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a mixture of both!” Allievo di Melchiorre, si laurea a  Milano con la tesi “La differenza ontologica in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione di Bontadini. Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno della pluralità” con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha coordinato l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano).  Direttore del Dipartimento di Filosofia a Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica.  Dirige per la casa editrice AlboVersorio la collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della Filosofia.  Si occupa di storia dell'umanesimo (BRUNI (si veda), ALBERTI (si veda), VICO (si veda)), della scolastica, di ermeneutica (Grassi), di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,” Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani, Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”  Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano;  “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis, Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Nome compiuto: Massimo Marassi. Marassi. Keywords: gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti, Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica dell’atleta – la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in nudita eroica – Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la nudita eroica del stadio dei marmori,  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marcello: la filosofia sotto Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I attended Prichard’s seminars on will and action, I was struck by one of his examples – from the history of Rome. M. was a fierce opponent to Giulio Cesare, and about to be condemned to death for precisely that. However, Giulio Cesare changes his mind, and decides to PARDON M. However, the pardon arrived too late, and M. was merciless murdered. Prichard claimed that since Giulio Cesare’s intention was to PARDON M. and save his life, even if Giulio Cesare failed in this, M. could still be deemed to have been pardoned, and his life saved by Giulio Cesare. The murder of M. was ‘accidental’ in terms of Caesar’s willingness to pardon him!” Filosofo italiano. A pupil of Cratippo. M. has a career in public life and is one of those who opposes to Giulio Cesare. Cesare pardons M. but M. is still murdered. Marco Claudio Marcello. Keywords: Livio, Machiavelli. Marcello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marcello.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marcello: il principe filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I arrived at Oxford from Clifton with a classics scholarship to Corpus, I knew I had to deal with Ottaviano – I was less sure I had to deal with his NEPHEW!” -- Filosofo italiano. The nephew of Ottaviano [vedasi], and until his death, his chosen heir. A pupil of Nestore. Nome compiuto: Marco Claudio Marcello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marcello.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marcello: del sillogismo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “At Oxford, it is widely believed that Martha and W. C. Kneale covered the whole of the growh of logic – indeed, they missed Marcello!” Filosofo italiano. M. qrites about logic, including an essay on the syllogism, which is a connection (‘syn-‘) of ‘reasons’ (logoi).  Tullio Marcello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marcello.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marchesini: l’implicatura conversazionale dell’educazione del soldato – l’implicatura del capitano – e l’amore sessuale – la società eugenica  – la scuola di Noventa Vicentina -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa Vicentina). Abstract. Grice: “When I gave my seminar on Peirce, I decided all he said could be narrowed down to the very English ‘mean.’ Of course I was wrong, but my scholars thanked me! SYMBOLON, for example, Cicero found impossible to translate. It may be argued that when Boezio tried to translate Aristotle’s De Interpretatione, he found the symbol/sign distinction important. Thus, animals other than Homo sapiens sapiens are incapable of symbolic manouvres – still ‘Homo symbolicus’ is not necessarily regarded as analytic, in spite of Ogden – Il simbolo del simbolo. Filosofo italiano. Noventa vicentina, Vicenza, Veneto. Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by Marchesini which are revolutionary!” Esponente del positivismo.  Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova. Direttore della Rivista di Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse, inoltre, un testo di Locke Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” – Grie: “Sounds promising: a treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana, Tip. di A. Spighi, “Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze, Sansoni, “Elementi di Psicologia tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze, Sansoni, “ Elementi di logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little book: it reminded me of Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only Strawson would rather die than axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini commissioned his tutor to drop a word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t be so reverential towards Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being by Marchesini; if I want to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale, ad uso anche dei licei, secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, “Le amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini uses ‘amecizia’ in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” --  (con prefazione di E. Morselli e in collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Alighieri ", “Elementi di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R. Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo, R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Bocca, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona, Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche, Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,” Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R. Bemporad e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,” Torino, Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,” Firenze, Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze: per i licei scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze pedagogiche: opera di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore Marchesini, collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit. Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa: Firenze, Sansoni, Mariantonella, M. e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo italiano, Collana di filosofia, Angeli, Treccani L'Enciclopedia Italiana. A proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora quel  capitano  che avendo conchiuso col nemico una tregua di  dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di notte. E ricorderemo  i seguenti sofismi di Eutidemo: Qualcuno che si trova in  Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto d’Atene,  vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede le  due triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? Quelli  che imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli ignoranti che imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma  come si può imparare quando non si sa neppure ciò che si devo  imparare? E se Clinia risponde che sono i sapienti che imparano,  la difficoltà resta la medesima: come possono i sapienti imparare  dal momento che sanno? Chi Ba qualche cosa possiede il sapere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa tutto. Origine ed evoluzione del linguaggio. La questione del linguaggio è ancora un po’ oscura, ma fra le ipotesi cbe su tale questione si proposero, si può stabilire quale è la più legittima. Si esclude innanzi tutto l ipotesi che il linguaggio sia stato inventato da un uomo più intelligente,  e adottato dagli altri in virtù d’nna convenzione -- ipotesi attribuita a Democrito. Si esclude altresi che il linguaggio sia stato l’opera di una rivelazione, o di un miracolo. Due filologi contemporanei, Renan e Muller, attribuirono l’origine del linguaggio a una specie d’istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe suggerito per sé stessa una parola, e la medesima  parola a tutti gli spiriti. Questo istinto, col tempo, si sarebbe atrofizzato. +A proposito di questa ipotesi si osserva ch’essa non spiega nulla, essendo questo istinto per sé medesimo inesplicabile, ed esscudo esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È strano infatti che quei 400 o 500 tipi fonetici, a cui il Muller  riduce le parole delle varie lingue, aspettino, a manifestarsi, le idee rispettive. Il linguaggio, dice Humboldt, è il prodotto necessario dello svolgimento dello  spirito umano. E sta bene. Ma questo svolgimento  non è spiegato dall’istinto di Réuan o Muller,  mentre importa appunto stabilire come il linguaggio  si produca. Whitney, nella “Vita del  linguaggio”, dice che l’origine del linguaggio è dovuta  al concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie  umana: 1° la facoltà di emettere un’infinità di suoni e di riprodurli a volontà; 2°: il desiderio, determinato  da un bisogno di socialità superiore, di comunicare  le idee per mezzo di segni; 3: la facoltà di generalizzare, di giudicare, di concepire dei concetti e di percepirne i rapporti. E queste sono infatti le condizioni  del sorgere e svilupparsi del linguaggio, ma come effettivamente il linguaggio sia sorto e si sia sviluppato, Whitney non dicono. Si paragonò l’origine del linguaggio nelle razze all’origine del linguaggio nel bambino. Il bambino, per attività puramente riflessa, emette un grido che  manifesta in lui un dolore, un bisogno. Al grido accorre la nutrice, e accorre ogni volta che il grido si ripete. Cosi, si va fissando un’ associazione mentale tral’atto dell’ emettere il grido e il successivo accorrere  della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr ri-  peterà, ma coscientemente, intenzionalmente, il'^-WyoHl  il grido assume un significato. Più tardi, altri suoni esprimeranno il pensiero del bambino, come quando il bambino indica gl’oggetti imitandone in qualche modo l’impressione sensibile che ne riceve. Dice ad esempio “Jcolcò” per indicare il pollo; “mìàou” per indicare il gatto. Il bambino produce un dato sensibile, nel nostro caso uditivo,  a cui si associeranno altri dati sensibili, come quelli visivi. Da prima il bambino designa con questo suono non soltanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri oggetti consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre qualità sensibili. Con lo stesso suono e ad  esempio dal bambino indicato, da prima, ogni uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi, mano mano che si distingueranno e aumenteranno nel bambino le percezioni. Questa è, a larghi tratti, la formazione e lo svolgimento del linguaggio, nel bambino, a cui contibuiscono in modo particolare gli ammaestramenti speciali che il bambino riceve da chi gli apprende la lingua. Si puo inferirne che l’origine e lo sviluppo del  linguaggio d’una razza, avviene come nel bambino. Con tale inferenza si dimenticherebbe un fatto importantissimo, ch’è fondamento d’una netta distinzione. Il fatto che il fanciullo nascendo porta anche per il linguaggio delle disposizioni funzionali organiche-psichiche, diverse da quelle che potevano avere gl’uomini primitive. Il paragone adunque, e l’ inferenza, non reggono. L’ipotesi piu accreditata intorno all’origine del  linguaggio è quella di Darwin, illustrata particolarmente da Spencer, per cui il linguaggio è opera dell’evoluzione, come ogni altro fatto naturale ed umano. Originariamente gl’uomini si servivano di un gesto, indicativo o imitative. Poi, provveduti, per evoluzione organica, di organi capaci di mandar suoni articolati, accompagnarono questi al gesto, ed espressero cosi le proprie sensazioni e i propri bisogni, e designarono gl’oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano  da prima carattere essenzialmente imitativo, conservatosi, quanto al suono articolato, nell 'onomatopeici, ed erano piuttosto istintive. In progresso di tempo, i  movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizzarono più largamente, e venne cosi a sostituirsi al linguaggio naturale un linguaggio convenzionale. Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un Popolo, come quello dell’individuo, continuò a svolgersi  pure per legge evolutiva, mediante i rapporti sempre  più ampi e riflessi che si stabilirono successivamente  tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi nel  linguaggio la forma mimica, l’ideografica, e la fonetica, e la parola divenne per ultimo il linguaggio  per eccellenza. Presso certe tribù selvage, la parola non può comprendersi senza il gesto. Anche presso gli antichi, la mimica aveva la massima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo esprimere  il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La l'orma  ideografica, che troviamo presso gl’egiziani, i chinesi e altri  popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale, in cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei-  [Innumerevoli sono le forme che la parola assunse  presso i vari popoli o razze, poiché ogni popolo o razza  ha la sua lingua. Tuttavia si riuscì a ricondurre  tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che sembrano corrispondere agli stadi successivi dell evoluzione della parola. 1° Tipo: Lingue monosillabiche (es. la chinese). Sono composte di sillabe che costituiscono ciascuna una parola rappresentante un’idea astratta e generale. Secondo l’ordine nel quale i monosillabi si dispongono, si esprimono le diverse combinazioni e modificazioni  delle idee. 2° Tipo: lingue agglutinanti o poli-sintetiche (es. le  lingue delle tribù americane). Sono composte di radici di cui le une esprimono le idee più importanti, le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi dal costituire spesso una parola straordinariamente lunga  e complessa, esprimono sia le modificazioni d’un idea principale, sia una combinazione più o meno complessa di idee principali e accessorie. 3° Tipo: lingue a flessione: (es. le lingue semitiche,  e indo-europee). Sono composte di parole ciascuna delle quali esprime un’idea principale modificata da  una accessoria. Le diverse modificazioni dell’idea principale si esprimono per il modificarsi, per l’inflettersi,  della terminazione delle parole stesse] dentali non se ne servono più se non per certi usi (cifre, segni algebrici eoe.). Usano invece della scrittura fonetico, in cui ciascun carattere è il seguo non d'nu idea uia di un suono. Di questi tre tipi, il secondo sarebbe derivato dal  primo, per l’addizione delle radici accessorie alle radici principali; e le lingue a flessione sarebbero derivate da lingue agglutinanti piu antiche, per la fusione delle radici accessorie con le radici principali. Con le parole non comunichiamo soltanto delle idee, ma anche delle credenze, dei fatti. E poiché le nostre credenze, le nostre rappresentazioni dei fatti, e  la interpretazione di questi, mutano, mutano anche  i significati delle parole. Una mutazione che si può ritenere primitiva, quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del senso di  una parola, da proprio a traslato -- ciò avviene per  quella certa somiglianza che si riconosce tra il significato proprio (Sidonio: EX-PLICATVRA), o etimologico, e quello traslato (IM-PLICATVRA).  Una casa grande e sontuosa oggi si chiama impropriamente “pallazzo,” parola che indica prima costruzione dei  Romani più antichi, eretta in onore della dea “Pale,” nel monte Palatino. La parola “palazzo” sopravvive, ma con significato  diverso dal primitivo. “Pagano” significa propriamente l’abitante del “pagus”. Poi, significò l’idolatra, l’adoratore di una divinità esoterica, perché a Roma, mentre gl’abitanti delle città erano i  primi a render colto a Marte, gl’abitanti non-romani della campagna sono gl’ultimi. “Villano” si dice propriamente chi  e soggetto a minori oneri, ed e, per conseguenza, oggetto di disprezzo da parte dell’ aristocrazia militare. Al villano si attribusce, con qualche esagerazione, i vizi e delitti. Per implicatura, ‘villano’ divenne perciò una qualifica ingiuriosa. Il significato adunque di questi tre termini -- palazzo, pagano, villano -- si trasforma generalizzandosi, come si trasformarono generalizzandosi., per citare ancora due esempi, il termine “sale,” che propriamente designa il cloruro di sodio, e il termine “olio” che propriamente indica soltanto l’olio d’oliva.  Nella trasformazione della parola si ha pure un processo inverso, di specializzazione. Cosi il termine “vitriolo,” da “vitruni,” propriamente significa ogni corpo cristallino, poi si attribui a una specie particolare.  Il termine “oppio” (da ònòg succo) propriamente vuole dire un i  succo qualunque, ora indica per implicatura soltanto il succo del pa- J  pavero. E il termine “fecula” (da foex, feccia) proprio a   significare ogni materia che si depositi spontaneamente in un liquido, poi lo si applica per implicatura al1’ amido che si deposita quando si agita, nell’acqua,  della farina di frumento. E il significato di “fecula” si specifica per implicatura poi ancor più, venendo a indicare  un principio vegetale particolare che, come l’amido,  è insolubile nell’acqua fredda, ma è completamente  solubile nell’acqua bollente, con la quale forma una  soluzione gelatinosa. Il cocchiere chiamai suoi cavalli “le mie bestie”. Un  cacciatore può intendere per “uuccelli” le pernici. V’ è adunque nel significato di una parola una transizione, della quale, nel suo uso, devesi tener conto. Si consideri, ad esempio, il vario significato della parola “lettera” (propriamente, lettera dell’alfabeto, per implicatura: lettera missiva, letteratura) e della parola “gusto” (sentimento estetico, e  facoltà di distinguere il bello). E quanto alla *metafora*, si consideri, ad esempio, il significato che la parola “luce” acquista quando si applica all’istruzione, e la parola “fuoco” applicata alla collera e allo zelo. E si considerino le parole “nascere” e “morire”, che si usano in un senso molto piu largo che non sia quello propriamente e strettamente biologico. A tale varietà di significato in una medesima parola, contribuiscono anche la *metonimia* (es. “corona” per re-  (/no), i suffissi (es. pre-giudizio, di-fetto, il-limitato), le perifrasi (es. padre della storia), la composizione (es.  strada-ferrata, acquavite ecc.). Vediamo adunque come, o per circostanze accidentali, o per bisogni veri, si trasformi il significato di una parola, cosicché non sarebbe né possibile né utile  restar fedeli al significato proprio primitivo. E ciò dicasi sia  del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta  col progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizionario, dove il senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non esattamente precisato. La precisione  del significato deriva dall’uso, nel quale pertanto trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola guida il dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e differenze, e anche semplici sfumature di significato, di  cui il dizionario non tiene conto. Come avvertiamo facilmente in chi parla una lingua di cui non ha il più sicuro e largo possesso. Nome compiuto: Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana di Geneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden, Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutti questi appartneno all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --.  Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marchesini: l’implicatura conversazionale -- postumanar, trasumanar – sovrumanar – età degl’uomini – vico -- umanar – equites romani – filosofia emiliana – la scuola di Bologna -- filosofia bolognese – scuola di Bologna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Abstract. Grice’s Marchesini’s ‘terio’ concept is one we need at Oxford. We do speak of ‘animal’, as in Urmson’s example: “There is an animal in the backyard”. Urmson suggests that the implicature is that this does not refer to an ant, or an aunt – only to a middle-sized mammal. I tried ‘brute’ – but ‘terio’ works better! The word ‘therio-‘ as a combining form, indeed has an etymological connection to the concept of an ‘animal’ or ‘beast’ across Greek, Latin, Italian, and English. In Greek, the term ‘therio-“ directly originates from the Ancient Greek ‘therion, a diminituve of ‘ther,’ which means ‘wild beast,’ or ‘animal’. While Latin does not directly use ‘theio’ in the same way, the root ‘anima’ – meaning breath or soul – is the basis for the Latin word ‘animalis,’which means ‘living’ or ‘animte.’ The English word ‘animal’ directly comes from this Latin root. Italian uses words like ‘animale’ (animal) and ‘bestia’ (beast) which are derived from the Latin roots animalis and bestia respectively English uses ‘therio-’ as a combining form, particularly in scientific contexts, to denote a relationship to animals or beasts. For example, the term ‘theriogenology’ combines ‘therio’ (beast or animal), ‘gen (creation or generation) and ology, study of, to describe the study of animal reproduction. The word ‘animal’ itself is directly borrowed from Latin and has replaced the older term ‘beast’ in common usage. In summary, the Greek root ‘therion (beast, animal) directly influences te combining from ‘therio-’ in scientific English. The Latin root ‘anima’ (breath, soul) leads to the Latin ‘animalis,’ which means ‘animate’ or ‘living’ and is the direct source of the English word ‘animal’. Italian words for animals, like ‘animale and bestia, are derived from Latin roots. Filosofo italiano. Bologna, Emilia Romagna. Grice: “I don’t think Marchesini has a philosophical background, but he fascinates me! I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of a knightly code – ‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is his research on ‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends to plants – ‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the philosophical keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine della sua proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie, alla più ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore prospettico che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati.  «Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona un istante, il sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio d'amare»  (M., Il dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente agli anni di formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il comportamento animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali degli imenotteri. Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per tutta la sua ricerca futura.  Nei suoi studi di entomologia approfondisce l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza, dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni.  Inizia così la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di Scienze Comportamentali Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la propria attenzione sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali. Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i processi di apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e contraddittori i modelli esplicativi tradizionali.  In sintesi, quello che Marchesini propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello etologico classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico unitario (un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici o composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli cognit ivi e comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale. Gli assunti di base della proposta di Marchesini sono i seguenti:  il soggetto è immerso in un campo di possibilità filogenetiche che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o specie-specificada cui l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma non commensurabili; il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si realizza grazie alle dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive, possono essere organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto dimensionale o direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di una condizione problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso ricette solutive fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del concetto di rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale, come possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte quelle istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.  In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi cardine nell'attività di M.: egli si accorge che le potenzialità che è in grado di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale) è da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.  L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta M. alla stesura del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per divenire la sua tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici. Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due aspetti:  il divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre specie nella cultura contemporanea, con bambini che non sono in grado di relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche; la svalutazione degli animali e l'incapacità della società contemporanea di avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le altre specie per lo sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico. Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di città, critico verso l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro, critico verso la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni in cui riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando, insieme a colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia, senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Battaglia e a Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel  sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo.  Nel maggio  esce per le Edizioni Sonda Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto a Fiorani e Tonutti, sia a livello applicativo con la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e assistenziali.  Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi di fondo proposta da M.i, e riconducibile alla sua teoria della zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il concetto di "referenza animale", inteso come contributo di cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare. Per M.i i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la tecnicavanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per M. rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove possibilità esistenziali.  Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata, opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i "protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere dell’intersoggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto” da un essere “vivente.” Rilegge l'ontologia animale in termini di "desiderio". “Essere animale” (essere vivente) significa prima di tutto "essere desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che rende due animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il corso della filogenesi di specie.  L'etologia filosofica diviene ben presto un campo di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i contorni di ciò che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca filosofica che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come post-human.  È di questo period della ri-definizione dell'umano quale entità ibrida, puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per Marchesini le giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in quanto il concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato molto più vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e macchiniche.  Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova estetica basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce il Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura ibrida di ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine pubblica Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed editor della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di M. decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne dal titolo La fabbrica delle chimere, testo che si pone a cavallo tra le precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione postumanistica.  Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica. Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto di Haraway.  Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera. Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che definiamo umano.  Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” – Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle osservazioni compiute tra gli imenotteri.  Nei brevi racconti dedicati al dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e  la raccolta di racconti Specchio animale che ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo.  Esce per la casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che ne hanno scandito le tappe fondamentali. --  è invece la volta de La filosofia del giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza. Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la riflessioni sulla cura, portate avanti da M. M. nel Centro Studi di Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente conferenze in diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal  tiene annualmente una lecture presso l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia, Francia, dove è stato ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo.  Cura la rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli animali che dunque siamo" per Il Corriere della Sera. “Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitive” in Pluriverso,  3, La Nuova Italia,  La via vegetariana per un mondo migliore, Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL %20 STUDIES %201-  novalogos// drive/File/ animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica, diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma, Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri,  Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron, Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa, “Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista, Alessandria, Edizioni Sonda,  Vivere con il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica, Roma, Anicia,  Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron,  Zooantropologia. Animali e umani: analisi di un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana, Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi,  Il codice degli animali magici, Firenze, De Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità, Bologna, Apeiron, Cane et Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron,  Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in Millepiani, M., Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo, M., Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica antispecista, L. Caffo, M., Così parlò il postumano, a cura di. Adorni, Aprilia, Novalogos, M., Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano, Mimesis,  M. Ibridazioni e processi evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della tecnica, Milano, Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione,  Modena, Mucchi, Tecno-sfera. Proiezioni per un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere come relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris,  Poetiche postumaniste in Polimorfismo, multimodalità, neobarocco, Dusi e Saba, Silvana Editore,,  M., "Ontani. Argonauta dell'ibridazione", in Ontani incontra Morandi. Casamondo, Montanari,  Il Dio Pan. Racconti lirici, Firenze, Firenze Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, Specchio animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi di animali, Milano, Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria, Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe edizioni.  Blog ufficiale, su marchesini etologia. vegetti della letteratura fantastica, Fantas cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola di Inter-azione Uomo-Animale). Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice: “There are two Robeto Marchesini – but only one is a philosopher. The other writes on ‘il cammino del cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the equites romani, but he is not recognized as a philosopher!” – Nome compiuto: Roberto Marchesini. Marchesini. Keywords: terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marchetti: l’implicatura conversazionale della natura delle cose – la scuola d’Empoli -- filosofia toscana – filosofia fiorentina -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Empoli). Abstract: “When I won the classics scholarship at Clifton to Corpus, I never said ‘no’ even though I had no idea that I would meet the sub-faculty of philosophy only five terms into the Faculty of Literae Humaniores! By the time I was introduced Lucretius’s De rerum natura, I was world-weary already!” Filosofo italiano. Empoli, Firenze, Toscana. Grice: “I love Marchetti; for once, he had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The Italians used to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy matter (to translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially since Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational desideratu of conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because he axiomatised Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo come Viviani. Collabora con Papa. Scrive rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la traduzione “Della natura delle cose” di LUCREZIO. Considerata come un manifesto di  razionalismo, “La natura dellle cose” influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza dello stile.  La diffusione di idee materialiste attira su M. l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella poesia, non riusce ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate soprattutto da VANNI. Per altre sue opere di successo e attaccato dagli oppositori di GALILEI. Dei “Disuniti”, Arcadii, Fisio-critici, Risvegliati, Accademia della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze, typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera  abbastanza interessante, basata sulla teoria galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’ -- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L. Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Pickard) Vita e poesie da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia, aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa, Epicureismo e pederastia: il  Lucrezio e l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki,  Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio su Marchetti” (Firenze, Olschki);  De rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Nome compiuto: Alessandro Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose, pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi, il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio, alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marchi: l’implicatura conversazionale della missione di Roma – la religione civile di Mussolini – la scuola di Potenza -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza). Abstract. Grice: “While Ryle would speak of the ‘mission of Oxford’, viz. to refute anything German and more broadly continental, that is NOT the meaning of ‘missione’ as Italian philosophers use it since Mazzini, to refer to the ‘missione di Roma’! -- Filosofo italiano. Potenza, Basilicata. Grice: “Marchi displays a few features hardly found at Oxford: He edited a magazine, “filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley wanting to edit “Hegeliana” at Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and an Occam Society! The other trait is illustrated by his manifesto, “La missione di Roma,” – Churchill would have equaled with something Anglian!” Generale di corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Insegna a Roma. Cura la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del primo Novecento italiano come Varisco. Tra queste Dio e Popolo e “L'idealismo realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia religiosa di Mazzini e i rapporti tra religione e stato; nega l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo realistico” raccoglie teorie filosofiche di stampo anti-gentiliano.  A lui è dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere pubblicate; e un parco al Municipio IV. Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, “La missione di Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo della ‘storia della filosofia,’ – Grice:  “His apt implicature is that if you are an idealist, don’t shed your idealism when discussing J. J. C. Smart!” -- Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza,  La filosofia morale e giuridica di Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly assert that it’s the same thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’ sounds obscene’” --  in L'idealismo realistico, Roma, “Le prove dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico, Roma, Gli è stato dedicato un parco a Roma. Gramsci (Buttigiec), Turris, Fenomenologia dell'individuo assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uni roma3/ news.php? news=603. Nome compiuto: Vittore Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi. Keywords: la missione di Roma, Mazzini, filosofia mazziniana, rivista di filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marchi: l’implicatura conversazionale dell’anima del corpo – la scuola di Brescia -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Abstract. Grice: “Sime my earliest unpublications – e. g. ‘Negation and privation’ – it was for me ‘all about the mental process’ or ‘mental processes.’ I would use ‘mental’ and ‘mind’ freely – this was before Ryle turned ‘mind’ into a term of abuse. It was THEN that I went to the Greeks, who had ‘psyche’ of which Roman ‘mens’ was just a part – even if the highest --. It was my research on ‘psyche’ to wonder why we should let the psychologists claim control over the stuff? And hence, my philosophical psychology was born!” Grice: “In my first seminars on philosophical psychology, as my pupil’s notes testify, it was all about the ‘functional’ – i. e. the philosophical psychologist is proposing a FUNCTION – in the mathematical use of the expression – that maps ‘sensory input’ onto ‘behavioural output’ – while validating an ascription of a now ‘functional’ or ‘internal’ state of the black box. I made spcifics to the effect that a strict psycho-physical correlation would not invalidate the autonomy and ineliminability of any ‘law’ of this philosophical psychology that I could conceive --. I did is in part following Berkeley’s ‘harsh’ predicaments that we would hardly say that Smith’s belief that it is raining was hit by a cricket bat – if that is the part of Smtih’s brain that got affected!” Filosofo italiano. Brescia, Lombardia. Grice: “His ‘poesia del desiderio’ is confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on “Sexual arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is “L’anima DEL corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well imagine Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di formazione reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio, si define Solista ed ama stare «fuori dall'Accademia».   Psicologo clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi, è stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili e sessuali, riuscendo con una sentenza della Corte Suprema sulla “Vertenza tra il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e  M.”, ad ottenere la revoca dei divieti penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale e ad avviare la realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario. Ha dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita “la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi, disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e  Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich, quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. M. matura un diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche umane) e propone  una teoria della cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”, Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro. Pioniere  della ricerca psico-sociale, è stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che  propone una “lettura” psicologica di tali fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale". Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra Russell ed Allen”.  Attivista per il riconoscimento dei diritti alla contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica.  Ha costantemente sostenuto l'importanza del problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici, sociali e psicologici ad essa connessi.  Pur essendo favorevole alla chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento" della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».  Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le rendite, la libertà e l'autoritarismo.  È stato autore della "Teoria liberale della lotta di classe",  nel volume O noi o loro!.  Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del ‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia umanistico-esistenziale in particolare Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss, Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita, che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.  Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare l'opera pionieristica di  Rank con la pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina, Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e psicopatologica.  Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.  Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale, dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia psichica e somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel processo terapeutico il grande potenziale di crescita e comunicazione del paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto decisivo della sua esperienza.  2) che si presenta multidimensionale, integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza umana: la dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo di essere nel mondo con gli altri; la dimensione corporea, che spesso esprime sotto forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica; la dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si riesce a dare alla propria esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e psicopatologica.   Un esempio di testo provocatorio, scritto senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org.  e Aids, la grande truffa continua  in: L.M., Il nuovo pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri scritti di critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle prassi della chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt tutta la ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit.  lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica  Addio a  Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied  L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,  Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine, su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici, Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale, Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e opere di  Reich, Sugar, Scimmietta ti amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega, Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti, Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli,  Reich Una formidabile avventura scientifica e umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La Psicologia Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La Sapienza”,  Associazione italiana per l'educazione demografica, Reich  luigidemarchi.blogspot.com openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su M.. wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona. Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova. Nome compuito. Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marziano: il principe filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “In Rome, Mars was worshipped, and it was not uncommon for a Roman matron to ‘christen’ his little Roman boy by that obdurate name!” -- H. P. Grice, the Oxford philosophers, once joked about the Martians. This was in a commissioned essay for a collection to be edited by Butler. Grice possibly did not have in mind that “Marziano” was a proper Latin name! Filosofo italiano. Marziano is a philosophy teacher to Ottaviano. Marziano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marziano.”

 

Luigi Speraza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marco: filosofo principe – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. There is a tradition – “possibly apocryphal,” as Grice puts it -- that Marco is a philosopher who rules the Roman empire between the death of Gordian III and the accession of Philip. Marco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marco.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marconi: l’implicatura conversazionale del linguaggio privato – la scuola di Torino -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Abstract: Grice: “When I coined ‘implicate’ – if ‘coin’ is the word – I meant it to do duty for a family of verbs which would include ‘mean,’ suggest, hint, indicate, and allude. Holdcroft took the hin – following Cicero. The most widely accepted and accurate etymological explanation of the Latin verb ‘alludere’ is that it comes from the combination of two elements. Ad- This is a latin prefix meaning ‘to or toward. Ludere – this is the latin verb meaning ‘to play’, ‘to make fun of’, ‘to joke’ or ‘to jest. Therefore, alludere literally means ‘to play with, or to play toward. Over time, its meaning evolved to encompass the idea of referring to something INDIRECTLY or SUBTLY, similar to how someone might ‘play with’ an idea or topic WITHOUT DIRECTLY ADDRESSING IT – “How is C getting on in his new job at the bank” “He hasn’t been to prison yet” – This idea of playful or IN-direct interaction eventually led to themodern English word ‘allude’ and its associated noun ‘asllusion,’ meaning a passing or indirect refrence. Cf. insinuate. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that about what Marconi calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice: “Marconi has attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic – which is what Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice: “While Marconi starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’ p’rhaps his innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato eluso’, which may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’ is indeed ‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that the game is a simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you are, well, ‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e con Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia  Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you cannot get your B. A. Lit. Hum.  anywhere else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A. O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato “Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio su Vitters, Milano, Mursia,  Dizionari e enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza,  “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma,  Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,” Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’ versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?” “I don’t HAVE a profession!” --  On the other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one (The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il «Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica, Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli, Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica, sito dell'Università degli Studi di Milano. Nome compiuto. Diego Marconi. Marconi. Keywords: linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire, aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza –GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mariano: l’implicatura conversazionale – la scuola di Capua -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua). Abstract: “Thngs were pretty quiet during the nineteenth-century at Oxford; on the other hand, in Italy, a nation was being formed!” Filosofo italiano. Capua, Caserta, Campania. Grice: “I like Mariano: his study of Risorgimento applying the philosophy of history is brilliant” Fedelissimo allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e  prevalentemente orientata verso l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane), trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale risponde aspramente alle argomentazioni proposte da M.. “M. non ha mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne ha mai letto le opere. Immaginarsi che M.  si afferma hegeliano, mentre sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero; che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel "non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché affatto indegno della sua mente altissima.»  Si schierò a favore del mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera (La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre riecheggiando i vaniloqui di Vera, M. si professa filosofico difensore della pena di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama tutte le cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino i limiti della filosofia.»  E anche saggista con un gusto per la "critica della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Balduino") – filosofica -- non trascurando l'arte che annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al rinascimento con un Saggio biografico critico su Bruno La vita e l'uomo. Pubblica nche una monografia "apologetica" di Vera. La sua produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in particolare la storia del cristianesimo e quella delle religioni in genere, argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università napoletana. Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei primi a discutere la tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione della storia al concetto di ‘arte.  Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio sulla filosofia hegeliana” (Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla pragmatica oxoniense”),  “Il Risorgimento italiano secondo i principi della filosofia della storia,”  ““La libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.” Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo e lo Stato nel rapporto sociale. Milano, Treves,  “Il Machiavelli di Villari, Roma,” Loescher, (cf. “Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. Carlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Vera. Necrologio, Annuario Napoli, Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel, Acc. SMP Napoli. Atti,  Biografie del Machiavelli, 1Arte e religione,  Il brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze, Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma ecclesiastica in Italia, Il diritto, Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da  Croce, Armando Balduino, Storia letteraria d'ItaliaL'Ottocento,  III, Piccin Nuova Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano Malusa,, sito della Società filosofica italiana  Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nome compiuto: Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marin: l’implicatura conversazionale e l’ottimo precettore – la scuola di Venezia -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Abstract. Grice: “I often refer to the conversational maxims as ‘precepts’ or, if you must, prae-cepts. This is a very Ciceronian notion! The Latin noun ‘praectptum – precept, teaching, order, or command – and the Latin verb ‘praecipere – to instruct, to teach, to warn, or to anticipate --- share a common etymology. Both words are formed from the Latin prefix prae (before) and the verb caprere (to take or to seize). Praecipere literally means ‘to take beforehand’ or ‘to seize beforehand’. This ‘taking beforehand’ developed into the sense of ‘instructing’ or ‘giving orders beforehand,’ hence the verb’s meaning of ‘to teach or to order. Praeceptum. The word praeceptum is just the past participle neuter of the verb praecipere used as a noun. It refers to something that is ‘taken beforehand’ or ‘given beforehand,’ such as a rule, a lesson, or an instruction. Therefore, the relationship between praeceptum and praecipere is that the noun represents the result or product of the actn described by the verb, specifically, the instructions or rules given as a result of ‘taking beforehand’or instructing. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “I like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric – in his own Venetian kind of way!”  Nato dal nobile Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal quale apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita eloquenti orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a Padova. Ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso Firenze. Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Nome compiuto: Giovanni Marin. Marin. Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marin” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO; ossia, Grice e Marliani: l’implicatura conversazionale – la scuola di Milano -- filosofia lombarda – filosofia milanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Abstract. Grice: “Ryle once referred to Austin’s play group as  sect – in retribution, we started to call Ryle, and his accolade of disciples, starting from O. P. Wood, as the Rylean sect!” -- Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I like Mariliani; especially the cavalier way in which he refers to philosophers in his brilliant “De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly are sects and sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia a Pavia sotto PELECANI. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera nell'insegnamento della filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia.  Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio. Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.  Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi, acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in discussione Bradwardine e Sassonia.  Nel suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasis  distingue la temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Vimercati, colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i vertici della propria carriera e presta le sue doti di medico a Federico I Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico.  Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,” “Quaestio de proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris de motu locali.” Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nome compiuto: Giovanni Marliani. Marliani. Keywords: implicatura, Vinci. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le sette filosofiche” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marotta: l’implicatura conversazionale di Mario l’epicuro – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Abstract. Grice: “We hardly discuss Hegel at Oxford, although he was Bradley’s idol – in fact, most of my explorations on Kant’s philosophy parallel some of the criticisms that Hegel posited to Kant – notably, the idea of a human being as metaphysically transubstantiating into a person as a free autonomous agent! Hegel was very much influence by Aristotle, to the point that it’s perhaps unfair that whereas Kantotle or Ariskant is an ‘unjustly neglected philosopher,’ so is Plathegel, or Hegelplato’!” Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Marotta; the idea of a library for the Istituto Italiano per gli studi filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si laurea con il massimo dei voti a Napoli, presentando la tesi,  La concezione dello stato in Hegel.” Si interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità della cultura Italiana.  Incoraggiato dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000 volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di ricerca e di formazione di rilievo internazionale.  Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento artistico culturale "Esasperatismo Logos et Bidone". G. Capaldo, Fondatore dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila Giorni de Il Corriere della Sera. Nome compiuto: Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marramao: l’implicatura conversazionale del kairós – apologia del tempo debito – la scuola di Catanzaro -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro). Abstract. Grice: “We felt comfy at Oxford: we had our enemies within, like Murdoch, Anscombe, or Dummett – but on the whole, we share things. It’s different in Italy, where Marramao could hardly be compared to any other Italian philosopher!” Filosofo italiano. Catanzaro, Calabria. Grice: “Surely Marramao’s theory of time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer and was proud of it, can you believe it! He was born  in Russia and studied in the New World – so that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography, and Jesus against power” Essential Italian philosopher. Allievo di Garin,  si laurea Firenze.  Pubblicato Comunismo, laburatismo e revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano (comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e le trasformazioni) e con Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione, liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale, argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del tempo debito. Lectio magistralis. Roma Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto. Studi in onore.  a c. di A. Martinengo, Casini, Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia,  Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano. Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su asia. Nome compiuto: Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism, marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare, l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il comune. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Marsili: l’implicatura conversazionale del cimento – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Abstract: Grice: “ “cimento” is possibly untranslatable to English! Latin caementum doesn’t help! The shift in meaning from the Latin caementum to the Italian cimento is an interesting linguistic evolution, likely arising from a specific historical application of materials and processes related to caementum. The link between caementum (cement/mortar) and cimento (test/experiment). Latin caementum. In Latin, caementum primarily referred to rough stone, chips of stone, or the micture of rubble and mortar used in Roman concrete or construction. The Early meaning of cimento. An early and key meaning of cimento in Italian, derived from caementum, reerred to a mixture of salts to test precious metals. The conceptual shift. Testing materials with a mixture. The initial association likely arose from the practice of using a specific mixture or concoction (like a type of cement/mortar) to assay or purify precious metals. From mixture to trial: this specific use of a mixture to test something could have led to a broader conceptual association of ‘cimento’ with the very act of trial, test, or experiment, signifying the process of subjectcing something to a rigorous process to discover its qualities or verify a claim. Risk and ordeal: the idea of a trial, particularly one involving the transformation or purification of materials, might have naturally extended to a more general sense of ‘risk,’ or ‘ordeal,’ suggesting a potentially difficult or challenging undertaking. This transition in meaning suggests that the practical application of mixtures related to caementum for testing and assaying played a crucial role in the evolution of the Italian word ‘cimento’ to encompass the concepts of test and experiment. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice: “I like Marsili, and the founder of the ‘accademia del cimento.’ ‘Cimento’ you know, means ‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena. Insegna a Siena e Pisa. Conosce Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni dichiaratamente lizie gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone un esperimento per capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza di Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nome compiuto: Alessandro Marsili. Marsili. Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marsili” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Martelli: l’implicatura conversazionale -- etica e storia -- l’assassinio di Giulio Cesare – la scuola di San Marco in Lamis -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Marco in Lamis). Grice: “At Oxford, philosophy – the sub-faculty of philosophy – is studied under classics – The faculty of Literae humaniores – so we know more about Julius Caesar, and his tragic end, than we do about Hume and his non-tragic one!” -- Filosofo italiano. San Marco in Lamis, Foggia, Puglia. Grice: “I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and Nietzsche!” Insegna a Urbino. Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà «Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega (periodico).  I suoi studi si sono concentrati su Nietzsche, Gramsci, e di numerosi autori del Novecento, affrontando alcune tra le più dibattute vicende e problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La felicità e i suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico impertinente: laicità e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa è compatibile con la democrazia?” Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi, “Quando Dio entra in politica, Fazi, Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo del male. Riflessioni sul Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città del sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del «Socialismo reale», La città del sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli, Nietzsche inattuale, Quattroventi, Filosofia e società in Nietzsche, Quattroventi, Urbino "Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità  Il laico impertinente: il blog di Michele Martelli, su michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli. Keywords: l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile dell’antica roma -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Martellotta: il deutero-esperanto – la scuola di Bari – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Abstract. Grice: “When I said I did invent deuteron-Esperanto, I wasn’t thinking Martellotta!” The Oxford philosopher H. P. Grice once joked: “Language, or meaning, has nothing to do with convention, in spite of what people like Schiffer has said – I can invent a new language, call it Deutero-Esperanto, and decree what is proper! Keywords: artificiale. Grice refers to an ‘artificial’ system of representation in ‘Retrospective Epilogue.’ Filosofo italiano. Bari, Puglia. Si spira al lavoro di PEANO (vedasi) per il suo Latinulus o Piccola Lingua Latina, pubblicato nel libro Latinulus. Grammaticas de Latinula Linguas a Bari. Si tratta di un caso piuttosto interessante perché si configura come una lingua a posteriori composta da lessico latino, sistema fonetico italiano e morfologia e sintassi oxoniana! Ad uno sguardo più attento infatti, si nota che la frase in Latinulus «Leos abeo crassa capus circumdata cum longa et ticca comas de fulva colos», in it. il leone ha una grande testa circondata da una lunga e folta chioma di peli rossi', ricalca in realtà l'ordine sintattico oxoniano (cfr. the lion has a big head surrounded by long and thick tawny colour); e in questo inciso l'autore si è spinto oltre, creando una sovrapposizione con l'inglese anche a livello di lessico, come è evidente in «ticca» - non giustificabile etimologicamente tramite il latino - e thick. VITO M. __e-&e c_ * : radi LI LATINULUS uu Grammaticas. i DE LATINULA LINGUAS E oro de Auctoris I (£ 09 RIPPZZZA i 9° BARI Stab. Tip. CASINI Via Argiro s . PET. le 4 È hh “ " Mr « LS w erat Marica s'sà VITO M. L Aaa 6 € -c@0—€—€&6 A e | i LATINULUS Grammaticas DE eee LATINULA LINGUAS PARTIS FONOLOGIAS et MORFOLOGIAS O a È ; (O BARI } Stab. Tip. CASINI, Via Argiro. Il grande sviluppo materiale e morale che ha avuto la civiltà nel nostro secolo si deve senza dubbio in gran parte ai rapidi e molteplici mezzi di comunicazioni che, avvicinando i popoli più lontani e di diverse nazioni, ne hanno maggiormente favorito lo scambio delle idee e dei comuni bisogni; però non si può negare che tale incre- mento sarebbe stato ancora più agevole se questi popoli, anzichè servirsi di più lingue per intendersi, avessero po- tato usarne una sola. Convinto di ciò l'illustre Dr. Zamenhof sin dal 1855 pubblicava come tipo di lingua unica il suo Esperanto; ma son passati tanti anni e l’Esperanto non è riuscito a diventare popolare, forse per le difficoltà ch’esso presenta. Ond’è che io, mosso dagli stessi intendimenti dello Zamenhof, ho voluto tradurre in atto un’idea che vagheg- giavo da qualche tempo, quella cioè di comporre un altro tipo di lingua che racchiudesse i maggiori possibili ca- ratteri di facilità e tali da renderne più agevole l’appren- dimento e l’uso. Questa lingua non tende alla. riduzione delle parole, all’impoverimento della terminologia e alla composizione puramente artificiale di essa mediante l’uso di molti pre- fissi e di molti suffissi da scegliersi dopo un attento esume di riflessione, poichè in tal caso si perderebbe la bellezza di una lingua che consiste appunto nell’abbondanza e nella varietà di terminologia per potersi prestare a tutte le specie di composizioni letterarie; essa invece tende esclusivamente alla riduzione del numero di molti vocaboli per le voci femminili, alla soppressione di tutte quelle regole o voci morfologiche superflue riguardanti gli aggettivi e i verbi, senza nuocere minimamente alla chiarezza della dizione, €, sopratutto, alla stabilità di pronunzia e alla unicità della terminologia. A comporre una lingua che fosse facile nella fono- logia mi parve rispondessero bene le leggi della fonologia italiana e per la facilità della morfologia e della sintassi quelle della lingua inglese. Bisognava però trovare una lingua che, modellata secondo la fonologia italiana e se- NOZIONI GENERALI MORFOLOGIA di maggioranza: plus. ...... +. quam a pDiù....... di, che plus pulcra quam cara più bello che caro 40 — di minoranza: Minus ....... +. quam meno .......di,che minus pulcra quam cara :- meno bello che caro 41 Quando il secondo termine di paragone è un pronome personale, questo va al caso nominativo: plus pulcra quam tu più bello di te Superlativo. Il superlativo è di due specie: | assoluto il quale si forma aggiungendo il suffisso ma alla voce dell'aggettivo, e spostando l'accento di una sillaba verso destra quando l'aggettivo è sdrucciolo; o diventando sdrucciolo se l’aggettivo è piano: tristisama tristissimo dura duro durama durissimo 43 == relativo | il quale si forma preponendo l’avverbio mdximam o minimam alla voce dell’aggettivo : mdaximam tristisa de minimam tristisa de il più triste di il meno triste di 44 — L’avverbio froppo si rende con nimiam: nimiam cara troppo caro 45 — Gli avverbi molto e assai si rendono con valdeme valdem cara molto caro caro assai L’avverbio di gran lunga seguito dal superlativo relativo si rende con /ongem mdximam : longem màaximan cara de di gran lunga il più caro di L'aggettivo una innanzi a parole comincianti per vocale si tronca in un: un 4rboris. un albero un actorisf un'attrice È Vocabuluse Adiectivuse. adolescéntisa adolescente culpabilisa co/pevole adulta adulto pinguisa grasso macra magro alta alto loa basso acerba acerbo ° matura maturo longa /ungo curta corto diligensa diligente negligensa negligente crassa grosso subtilisa sottile mbllisa molle dura duro docta dotto indocta ignorante stricta strefto lata largo iuvénisa giovane sénesa vecchio utilisa utile inutilisa inutile dulcisa dolce amara amaro virtuosa virfuoso viziosa vizioso laboriosa /aborioso socorsa poltrone curagiosa coraggioso vilisa vile f6rtisa forte subdébila fievole leta /ieto tristisa triste cicura domestico silvAtica selvatico cAinda cortese uncàinda scorfese credensa credente miscredensa mi/scredente audaxa dudace timida fimido viva vivo mortua morto innocensa innocente dominansa dominante dominata dominato fortunata fortunato infortunata sfortunato cdlida caldo | frigida freddo robusta robusto debilisa debole cara caro cippa mercato ilarisa allegro melancolica melanconico \ smuta /iscio roffa ruvidu mordlisa morale immordlisa immorale pulcra bello feda brutto anestética anestetico terapéutica ferapeutico emetica emetico emisférica emisferico kimica diimico fisica fisico | monomaniaca monomaniaco morbifera morbifero matematica matematico minerealògica minerealogico bactereoldògica batferiologico galvanoplastica ga/vanoplastico idro-eléctrica idro-elettrico | idro-terapéutica idro-terapeutico alba dianco albina a/bino azura azzurro blua blu cerulea ceruleo, turchino cinérea bigio, grigio clara chiaro crocea carico flava giallo a flò6rida vivo fulva fulvo Sf indica indaco nigra nero nuùbila smorto obscura oscuro opaca opaco orengia aranciuto aluminea di alluminio amiàntea dl amianto dquea acqueo argéntea argenteo, d’argento durea aureo, d’oro beddairea di ghisa bractéea di /atta calibea di acciaio cartàcrea di cartone cartea di carta cautsciea di caucciù ceméntea di cemento coriea di cuoio cornea corneo cliprea di rame ésea bronzeo férrea di ferro filea di filo purplirea porporino rubra rosso subnigra bruno violetta violetto viridisa verde gdsea di gas gossipiea di cotone gimmea di gomma idrargirea di mercurio lanea di lana linea di lino marmea di marmo nikélea di nichel 6ssea osseo, di osso pétrea di pietra pilea di pelo platinea di platino sellulbea di celluloide serîcea di seta stinnea di stagno téfea di tufo vimea di vimini vitrea di vetro Exerciziuse I Scnjvete Je. tre specie di comparativo di 10 aggettivi. II Scrivete le due specie di superlativo di 15 aggettivi. VI LEXIOS 48 — Numerali Cardinali Ordinali 0 zero 1/4 uno quartus 1/2 semis 3/4 tres quartus 1 uno prima . 1a opp.l 2 duo secunda 28,8, 3 tres terzia 3a, III 4 quàtuor quarta = 4r., IV 5 quinque quinta 5a , V 6 sex sexta 6a, VI 7 septem séptima 78» VII ni 8 octo 9 novem 10 decem 11 undecim 12 dudédecim 13 trédecim 14 quatubrdecim 15 quindecim 16 sédecim 17 septéndecim 18 octédecim 19 novéndecim 20 viginta 21 viginta uno 22 viginta duo 23 viginta tres 24 viginta quatuor 25 viginta quinque 30 triginta 31 triginta uno 32 triginta duo 33 triginta tres 40 quatuorginta 41 quatuorginta uno 42 quatuorginta duo 50 quinqueginta 51 quinqueginta uno 60 sexginta 70 septenginta 80 octoginta. 90 novenginta 100 centum 101 centum uno 102 centum duo 103 centum tres 200 duo centum 201 duo centum uno 202 duo centum duo 300 tres centum 400 quatuor centum 500 quinque centum 600 sex cenium octava nona décima undécima duodécima tredecima quatuordécima quindécima sedécima septendécima octodécima novendécima vicéstridiem I giorno dop’, quòrasem ogni ora, quotidiem ogni giorno, gior- nalmente, qlebd6madem ogni settimana, quomensem ogni mese, mensilmente, quannusem ogni anno, annualmente, quoséculem ogni secolo. 211 — Le Locazioni Avverbiali 1) di giorno; 2) di notte; 3) di mattina; 4) di sera; 5) d'inverno; 6) d’estate e simili si rendono rispettivamente con 1) diesem; 2) nòctisem; 3) manesem; 4) véspesem; 5) iémisem; 6) éstasem; cioè col rispettivo nome più il suffisso em. Allora le pa role piane diventano sdrucciole, e le parole sdrucciole per conservarsi tali spostano di una sillaba vers» destra l’accento tonico. 212 — Innanzi ad alcuni avverbi di tempo si usano nimiam e valdem: nimiam sunum troppo presto, valdem serom molto tardi 70. 213 — VIII - Modi Avverbiali adium addio, aproposim @ proposito, bona dies buon giorno, bona meridies buon pomeriggio, bona noctis buona notte, bona vespes buona sera, déniquem insomma, alle corte, eccem ecco, etcéteram eccetera, giustim appunto, proprio, graziam grazie, tante grazie, gràziamam grazie infinite, instam per esempio, nemandim niente, niente affatto, nilominum nientemeno, niente di meno, nonnem ? non è vero? è vero? obsécrom per piacere, per favore, orom fi prego, vi prego, la prego, pòzium piuttosto, pozium quam piuttosto che, quesom di grazia, per cortesia, rursum di nuovo, salvem salve, sanem sia pure, sitisem basta, valem arrivederci, arrivederci a..... Avverbi Derivati da Aggettivi indefiniti 214 — Gli aggettivi indefiniti si fanno avverbi in quattro maniere : con l’aggiunzione di un’m, ed allora indicano parte : in dliquam in qualche parte, ex 4Aliquam da qualche parte versi dliquam verso qualche parte I con l’aggiunzione di /am dopo aver tolto l’a finale, ed allora indicano | luogo in idémiam nello stesso luogo, ex aliquiam da qualche luogo in aliquiam (n qualche luogo versi néutriam nè verso l’uno né verso l’altro luogo e l'accento tonico ssi sposta di una sillaba verso destra. con l’aggiunzione di es, ed allora indicano vol/fa e l'accento si sposta di una sillaba verso destra: | N aliquaes qualche volta, complurésaes parecchie volte IV con l’aggiunta di quem, ed allora indicano mado, ed in questo caso le parole diventano piane: | aliquaquem /n qualche modo, quicunquaquem in RT ‘modo una quicunquaquem in un modo qualunque ci Vocabiuluse Substantivuse Professiose Le Protessioni accauntantis 7 ragioniere “advocatus l'avvocato agricultoris l'agricoltore arkitectus /’architetto directoris i/ direttore enginiris /’/ngegnere farmacòpolas i/ farmacista iùdes /! giudice maéstros maestro compositore di musica magistes (/ maestro médicus // medico musicistis i! musicista notaris (// notaio poétas /! poeta professoris // professore scribas /o scrivano ‘scriptoris /o scrittore veterinàrius i/ veterinario Endcreftise / Mestieri I i àurifes orefice aurigas cocchiere , armores armaiuolo bdiulus facchino calceolàrius calzolaio cementarius muratore doliàrius botfalu ebenistis ebanista fabes fabbro falignàrius falegname ‘ furnarius fornaio Civilisa et Religiosa Dignitase arkiepiscopus arcivescovo canònicus canonico cardinalis cardinale cOnsulis console czaris czar députis deputato diaconus diacono episcopus vescovo S imperatoris imperatore Tituluse baronetiis baronetto baronis barone Cavaliris cavaliere commendatoris commendatore contes conte gidineris sf/pettaio litografus /ifografo orologiàrius orologiaio printris stampatore sartoris sarto Servus servo tipégrafus f/pografo tonsoris barbiere vasculàrius vasaio vitràrius vetraio Dignità civili e religiose ministris ministro piris pari (inglese) pontifes pontefice presidentis presidente pristis prete regis re senatoris senatore sindicus sindaco sultanus su/fano Titoli viukis duca markios marchese principis principe viscontes visconte Exerciziuse Commodate mibis, quesom, vostra librise. 2 - Tu legeo et scribeo raram, quio tu non esseo diligensg. 3 - Plemquem. vos exio Domendies per deambulare. 4 - Quotidiem go recipeo niuspepes et una quotidiana Revius. 5 - Iemisem go viveo sempem in urbis et estasem go io ad contris in una pulcrama villas. 6 - Vos io ad scolas anxiem quio vos non abeo discetum benem vostra lexiose. 7 - Nos audio libentem sonus de pianofortis et cantus de tua soros. 8 - Tu affirmao inmeritom ke ces ludus esseo dividiosa, erursum iddis esseo delectabilisa. 9 - Erimanim go punivi severam aliqua molesta scola- rise. 10 - Nuncodiem socialisa equalitas \esseo certam completum. Giustim nunc treinus adventao ex Roma et mea consobrinuseiî advenibo, quisef abivi quinque mensis abincam. 12 - Crammanim nos abibo et poscramvespim nos redibo per venire tecum ad cinemas Proxima ebdomadas nos abibo per Napoli et inteream nos restabo in ica otellus. 14 - Graziamam per magna bonitas vos abeo per me. Compluresaes nos abeo accordatum ica strumentus et nunc nos sonabo. 16 - Adpresem nos abitao in contris, sed quatuor mensis abincam nos essebam at Roma. Go non posseo acceptare tua propos statim. 18 - Identidem nos legeo vostra conrespondenzias Aproposim, quandom redibo tua patris? 20 - Poscrammanim. Valem cram. Il Componete e traducete 10 proposizioni usando le regole di questa lezione.LEXIOS Congiunzione Le congiunzioni sono: Alternative Conclusive Disgiuntive Avversative Condizionali Finali Causali Consecutive Temporali Comparative Copulative Dichiarative Concessive Correlative Asseverative Diamo qui per ogni classe una lista delle più comuni: Congiunzioni Alternative aut... auto0...0,0...0vvero,0...Oppure,o...0 piuttosto et...ete...e,sia0... sia, sia che; nec... necnè... nè num...aut se...0; Ssivo.,.,.sivosiache...sia che; tamo... ke tanto che, tanto . .. da; tamo . . . quamo fanto . . . quanto. Congiunzioni Avversative alito altrimenti, se no, intequo anzichè, piuttosto che, atquo d’al- tronde, d’altra parte, per altro, àutio poi, cetero del resto, cummo mentre, laddove, dove per l’opposto, enimvero in verità, per verità exepto eccetto, fuorchè, tranne, salvo, ideo se non che, iétto eppure, pure, immo, anzi, lesto per paura che, nilosecio, nondimeno, quam- viso nonostante ciò, ciò nonostante, quonio però, sed ma, tameno tuttavia, pure, con tutto ciò, tametso malgrado, uereso inquantoche, utcunquo comunque. Congiunzioni Causali céumo siccome, dacchè, cumo giacchè, conciosiacchè, cur? perchè ? per quale ragione? (domanda), enimo poichè, dal momento chè, éinto a causa di, per cagione di, quando quando, una volta che, quio perchè per la ragione che, (risposta). Congiunzioni Comparative ao come, qualmente, aom if come se, idesto cioe. prouto secondo che, a seconda che, quaso quasi, quippo in quanto a, tanquamso non altrimenti che, tillo finchè, utcunquo comunque, véluto quasi che. Congiunzioni Concessive etso benchè, evenifo quarid’anche, eziamso ancorchè, liceto ammesso che, concesso che, quanquo sebbene, quantunque, quandio per quanto, quidemo densi, invero, per verità,itino oh se, volesse ll cielo che. Congiunzioni Conclusive ergo dunque, adunque, éteno infetti, idcircom quindi, ideo perciò, itaquo pertanto, préindo /aonde, proptéreo a causa di ciò, in se- guito a ciò. vI- Congiunzioni Condizionali if se, qualora, modo purchè, num se 0 no, se 0 meno, quodso che se, nel caso che, siquido se pure. Congiunzioni Consecutive consequentlo per conseguenza, néduo in quanto, in quanto che, obcduso di guisa che, cosicchè, tanto che, di modo che, in guisa che, quamobro per il che, per la qual cosa, per la qual ragione, tumo cosi, in tal guisa, di tal guisa. Congiunzioni Copulative bisdido /noltre, e per di più, oltre a ciò, et e, et ezio ed anche. nonchè, ezio anche, pure, ito altresì, ancora, ke che, nitro neanche. | neppure, nemmeno, quoquo perfino, finanche, anche. X - Congiunzioni Correlative a0 ezio come pure, quoquo if anche se, soéso tanto da, così da, in modo da. Congiunzioni Disgiuntive aut 0, ovvero, oppure, nec nè, sivo sia. Congiunzioni Finali É dummodo a condizione che, purchè, pur di, solo che, it se, unlesso a meno che non, ut affinchè, perchè, acciò, acciocché, per. Congiunzioni Temporati déneco fino, finchè, fintanto che, dum mentre, nel mentre che, exquo dacchè, da quando, postquo dopo che, priusquo prima che, prima di, avanti che, vixdo appena che, come. Congiunzioni Dichiarative utetsto è quanto dire, è tutto dire, vidélicio cioè, cloè a dire, vale a direCongiunzioni Asseverative éteno infatti, rapso in effetto, in sostanza. Vocabiluse Substantivuse Teatrus Teatro agnosterius /eggio, applausus applauso, artistis artista, a-solos a sola, aulis urlo, baritonus baritono, bas basso, boxis palco, ceris sedia, comedias commedia, contraltus contralto, coristis corista, corus coro, dramas dramma, duettos duetto, fars farsa, fiskius fischio, ingressus Ingresso, librettos /ibrefto, melodramas melodramina, operas opera, . operettas operetta, orkestras orchestra, parva-poltronis poltroncina, pianofortis pianoforte, pittis p/atea, poltronis poltrona, proscenius boxis palco di proscenio, quartettos quartetto, quintas quinta, rous fila, siparius s/pario, sopranos soprano, spectatoris spettatore, stegis palcoscenico, tenores tenore, terzettos terzetto, tikettis officius ufficio dei biglietti, tragedias tragedia. ‘15 Exerciziuse I 1 - Aut vos abio odiem aut vos abio cram sempem vos adven- tabo tempim in vostra taunis. 2 - Alumnuse non studevi omninom et consequentlo los non essevi promovetum. 3 - Go preferreo facere una naisa deambulazios in vostra viridarius antequo ludere cum mea ‘comese at clubis. 4 - Mea sorose colligebam sempem omnisa flose in lostra viridarius exepto rosasef per timoris de spinase. Go ve- nibo et prandebo tecum, sempem, quonio, if vos venibo posteam ad teatrus cum me et mea fratris. 6 - Cur fleo tu, beibisf?. Quio mea mammas abeo punitum mef. Quanquo is esseiam maiora quam . go, ietto go occupao un officius ‘superiora ad suus. Utino tua: patris invenirem illa cartase quemise is perdevi nusterzium. 9 - De- livebote: tu mea literas ad professoris et bisaido dicebote isbis venire cram. 19 — Quasom omnisa mulierise amao giuellise et pulcra stoffise, ideo losf spendeo libentem lostra nummus in similisa emoziose. 11 - Doneco is essebo bona mecum go essebo bona iuscum, sed vixdo is mutabo, go mutabo' eziom. 12 - Cur non abeo tu numeratum omnisa ica librise priusquo conservare iddiuse?. 13 - Quio go delivevi ca- talogus ad directoris et go non abebam abetum tempusantim. 14 Nostra directorisf esseo affectuosa et instrueta, quamobro convicto- risef amao et respectao iusf. 15 - Quesom voleo vos dicere mibis ubim go debeo postisare ica literase?. Enimo go debeo ire ad stazios go postisabo iddiuse illikim. Graziamam, tu non possebam reddere mibis, eteno, una maiora favoris. 18 - Aom vos sapeo, so abibo cram, et if vos posseo venire mecum abite nos simulim. 19 - Fu abeo facetum tua ona diutis, quoddis utetsto. 20 - Dummodo .nos organisarem ica magna societas nos esseo disposita facere omnisa sacrificiuse. Componete e traducete 10 proposizioni usando le regole di questa lezione. LEXIOS Preposizione Diamo una lista delle principali preposizioni: érgai a, verso (morale), ad a (luogo determinato), inviti malgrado, ab da (agente), ex da (provenienza), at a, in (stato in luogo) de di, in in, cum con, per per, ob per, a cagione, a causa di, cò- rami /n presenza di, In faccia a, duransi durante, butforri se non fosse per, se non era per, infri fra, fra, intusi entro, intomi -in (verso dentro), instari come, a guisa di, a modo di, peni presso, in cura di, prei rispetto a, proi pro, a favore di, propteri mediante, propti lungo, quateni in quanto a, in quanto, quanto a, secundi secondo, troduti per tutto, attraverso tutto, ténusi fino, fino a (di luogo), usqui fino, fino a (di tempo) versi a, verso (luogo indeterminato). Tutte le altre preposizioni si formano dagli avverbi ri spettivi. togliendo l’m a quelli che terminano in im, ed aggiungendo If a tutti gli altri avverbi che non terminano in im: I monosillabi , restano intatti: circumi intorno a, contri contro di,incontri incontro a, invici invece di, propi vicino a, \inami insieme con, sub sotto. Interiezione di Affermazione édepon appunto!, ndenen affé mia! davvero!, perdéon perdio! Li | di Avversione dpagen via di qua!, cùion oibo!, infandum orrore! prùin via! | mibis mi ) scilicen “ tibis den tl |; sta! | isbis gli \ » 235 = di Carezza e d’Incoraggiamento agen suvvia!, benen bene!, dudun orsu!, eian su/!, éusan bravo! elisaman benissimo !, eugen coraggio! optiman benissimo! utinan Dio voglia, vabrodan da bravo ! 236 — di Dolore ensun akime!, pron ahi! . a di Gioia È | bafon abbasso!, vion viva! di Meraviglia emen fo! davvero!, lon ah! oh! di Minaccia ciden accidenti!, vien guai! Vocativo éun Hel: 0 0, odon o/a, quiritomon accorruomo. Vocabiuluse Substantivuse ; Ces Ludus Giuoco degli Scacchi ; albus blanco, biscioppis alfiere, ceckis scacco, cecmetis scaccomatto, ces scacchi, cesbordis scacchiera, columnas colonna, fegatellos fega- fello, frustus pezzo, gambettos gambetto, latusculus fianchetto, les . legge, ludus giuoco, mozios movimento, naitis cavalio, nigrus nero, partitas partita, perdezios perdita, ponis pedone, quinis regina, re- gis re, rous fila, squeris casella, tractus tratto, turris torre, turri- sare arroccare, turrisazios arroccatura, vincezios vincita. Exerciziuse Pietas ergai infelixa omose indicao bona animus. 2 - Nos ibam ad directoris leta abere completum nostra diutise. 3 - Propi vias geritis impingebam flose ad victora soldatuse. 4 - Pron, tu abeo ‘ calcatum mea callus, ensun, quanta doloris go sentio! 5 - Alumnuse clamabam: vion regis! bafon inimicuse! 6 - Lon, tu ikim, mea bona amicus! Eusan. 7 - Eian, eugen, iuvenise; vos abeo facetum vostra ona diutis et essebote premiatum. 8 - Vabrodan, mea filius; essete tusempem onesta et loiala et tu essebo amatumì et estimatum. 9 - Vaen tibis if tu non abeo itum ad scolas, dicevi matris ad sua parva-filius. . 10- Cuion; moderna societas estimao potissimam denarius, sed non ingenius, nonnem? 11 - Propteri mea auxilius tu abeo superatum ‘ felixam tua examese. Terras turnao circumi solis. diceo nobis sScienzias,. et non viceversam. 13 - Multa aquatica plantase nascio propti ica flumes. 14 - Inviti mea consiliuse atollim contrillum, is non ivi ad scolas et consequentlo is essevi severam punitum. 15 - Ob mala uetris tota messis essevi perdetum. 16 - Utinam in tota mundus rediiam pas. 17 - Pron quanta luctuse ica bellus abeo generatum. Ensun! quis dabo pas ad tua opprimeta spiritus ? 19 - Emen! abeo tu vincetum ica pulcra donus at lotteris de beneficenzias? 20 - Ciden, quesa aquas! Iddis luccao una diluvies. Il n Componete e traducete 10 proposizioni usando le regole di questa ezione. PARTIS SINTAXIS BI ug SINTAXIS I LEXIOS Nomes + 1 —.Il sostantivo, quando è soggetto della proposizione, pre- cede il predicato normalmente, tanto nelle frasi affermative quanto nelle negative, segue cioè la costruzione diretta. una puerisf non possebam previdere talisa rese ma non si deve dire non possebam una puerisf previdere . I casi in cui il soggetto può essere posposto al verbo sono tre: I - coi verbi dicere, exclamare, refragare, respondere e simili, quando questi seguono le parole dette, esclamate, ecc. .bona vespes, dicevi mea soros benem! optimam! refragavi coquus II - quando la frase comincia con un avverbio o con una forma avverbiale : quam magna esseo vostra bonitas! quam pulcra essevi vostra matris in sua iuventus | IIIl'- quando si vuole sopprimere la congiunzione if che prescce il congiuntivo dei verbi indicanti un desiderio: esserem mea patris tam divesa quam vostrus aberem tua fratris tua intelligenzias Il sostantivo, quando è complemento oggetto, segue il predicato normalmente, dopo di esso vengono gli altri complementi. Oltre alla detta costruzione secondo la regola generale, possiamo usare un’altra costruzione speciale che consiste nel far pre- cedere il complemento di termine, privato dell’ad, al complemento oggetto : date illa pueris tres pennas invece di date tres pennas ad illa pueris ; cur non dao vos illa equus soma seges? invece di cur non dao vos soma seges ad illa equus? Ma questa costruzione non si deve usare quando lo stesso verbo regge due complementi di termine: go mittevi soma liquoris ad tua fratris et un armillas ad tua soros 6 — I sostantivi che indicano /a causa o l’effetto di azioni piuttosto particolari, si rendono in italiano con l’infinito presente dei verbi della stessa natura: discoveris de illa secretus divesavi ius lo scovrire quel segreto lo arricchi lo scovrimento di quel segreto l’arricchi vostra itus essevi inutilisa il vostro andare fu inutile la vostra andata fu inutile SINTAXIS I sostantivi derivanti da temi verbali e terminanti in z/os indicano /a maniera di eseguire l’azione o l’atto di esecuzione, e si possoho rendere sia con l’infinito sostantivato, sia col sostantivo della stessa natura: vostra izios esseo ponderosa t{ vostro andare è pesante la vostra andatura è pesante discoverizios de illa secretus essevi difficilisama lo scovrire quel segreto fu difficilissimo lo scovrimento di quel segreto fu difficilissimo I verbi sostantivati all'infinito presente preceduti da un, aggettivo possessivo, terminanti in fs o /sf si rendono coi corrispon- denti verbi italiani sostantivati all’infinito presente e l'aggettivo posses- sivo si cambia nel pronome corrispondente: vostra facereis icus non esseo iusta Il fare voi ciò non è giusto vostra facereisf icus non esseo iusta il fare voi (donna) ciò non è giusto. Lo stesso procedimento si segue per i verbi sostantivati all'infinito passato preceduti da un aggettivo possessivo: mea abere facetumis l'aver io fatto tua abere essetumis /’esser tu sfato tua abere essetumisf l’essere fu stata vostra abere essetumisef amicusef de illa omos l’esser voi state amiche di queil’uomo vostra abere essetumise amicuse de illa omos l'essere voi stati amici di quell’uomo. Usus de Substantivus Il sostantivo al vocativo può essere usato con o senza l’interiezione 0/ o mea matris! go amao tef o madre mia! t'amo mea filius! velleo tu deserere mef? Invece dell’o si possono premettere al vocativo i pro- nomi personali: salven, tu, omnipotensa Deus! 12 — Alle volte il sostantivo astratto si può usare per il con: creto: Ù celebritas per celebrisa omos existenzias » —personis officialitas » Cfficialise servitus , Servuse umanitas 3; omose SINTAXIS ea 13 — Il sostantivo si usa come complemento avverbiale per determinare l'estensione di spazio e di tempo, e il valore delle cose: una vias tres kilometris longa bellus duravi quatuor annus illa laboris costavi multa denarius illa libris costao lirase 16.75 Nelle denominazioni e nelle specificazioni il sostantivo generalmente si appone ad un altro sostantivo: Luigi Amendolara (idesto Luigi de familias de Amendolara-se) Borghese Villas in Roma; Thames flumes; Victoria lacus Usus de Pluralis de Substantivuse LI I nomi di derrate, materie, sostanze e simili si usano al plurale quando si vogliono indicare qualità diverse della stessa so- stanza, quantità o complesso di parti di essa, gli oggetti e gli uten. sili fabbricati della stessa materia: i negoziatoris in vinuse et liquorise sciainate aluminise de areoplanus I sostantivi astratti come adversucas, amenzias, amoris, arbitrius, beatitas, bonitas, divizies, dulcitas, fortunas, generositas, in- diligenzias, insolenzias, invidias, malitas, mortis, nativitas, negligenzias, nequizias, odius, origos, pulcritudos, timoris, veritas, vindicazios e si- mili possono usarsi al plurale, quando con essi vuolsi indicare diversi atti, casi, maniere, manifestazioni, specie di una stessa idea. La proprietà, le cose possedute da ciascuna persona o da ciascun oggetto nominato precedentemente in una proposizione si usano al plurale solamente se indicano cose distinte, numerabili e prese in senso distributivo : clounise tingeo lostra faciese milese adaquao lostra equuse convivase deponevi lostra pileuse omnise tollevi lostra capuse 18 — Le cose uniche, però, o non numerabili restano al sin-. golare : scolarise ostendevi tota lostra diligenzias petizios de negoziatorise essevi acceptatum Alcuni nomi, presi in sè stessi, vanno per lo più usali solo al plurale; ma se si vogliono specificare separatamente allora vanno al singolare. I Eccone i più comuni: alase ali, aurise orecchi, abenase redini, brakiuse braccia, calca- neuse-calcagni, calceuse scarpe, caligase calze, capilluse capelli, ci- liuse ciglia, circinuse compassi, conspicilluse occhiali, cubituse gomiti, dentise denti. digituse\dita, diviziese ricchezze, talculise artigli, fau- cise fauci, femoralise calzoni, forficese forbici, genuse ginocchi, lebase zolle, glovise guanti, graziasaxiose ringraziamenti, lentise enti (occhiali), manicese manette, manuse mani, narise narici, no- tiziase notizie, nupziese nozze, oculuse occhi, pese piedi, pincise pinze, poise zampe, pulmose polmoni, pulsuluse polsini, reilise rotaie (fer- roviarie), scefise covoni, soccuse pantofole, spicase spighe, subliga culuse mutande, superciliuse sopracciglia, taxilluse dadi, vectise stanghe, vestise vesti. 20 — I nomi di membra o parti del corpo possono essere usati al singolare nello stesso senso del plurale: oculus esseo una valdem delicata organus I sostantivi folius, fructus, lignas, mercis e piscis pos- sono prendere al singolare significato collettivo ed essere usati invece del RIZZA Usus de Piuralis de Propria Nomese Il plurale dei nomi propri si torma in due modi; I - se il nome termina in ssi aggiunge solamente l'e preceduta da una lineetta IT - se il nome non termina in s si aggiunge se, preceduta dalla lineetta : Jeffries-e, Johnson-se, De Amicis-e, Carducci-se 23 — in entrambi i suddetti casi se il nome’ è sdrucciolo al prc si sposta di una sillaba verso destra l'accento tonico, se poi piano diventa sdrucciolo: Kurtanos Kurtanos-e, Thegetoff Thegetoff-se 24 — Il plurale dei nomi propri si usa: I - per indicare le persone, le famiglie, gli individui dello stesso nome, specialmente quelli d'importanza storica, e il nome delle opere fatte dagli Autori, in figura di metonimia: Brown-se non abitao plus in ica domus Quanta America-se esseo terem? Roma esseo urbis de Caesar-se Tu possideo multa Dante-se et pauca Raffaello- se II - per dare maggiore enfasi e per mettere in più ‘evidenza un personaggio: | credeo vos ke omnisa Basilio-se esseo infamisa ? per adoperare il nome proprio come tipo di tutta una classe di persone, di una virtù, di un vizio, ecc., in figura di antonomasia: Seculus de Barinto-se, de Tantalo-se, et de Acroto-se . Ma se al nome proprio segue il titolo della parentela o del grado, il nome resta invariato e il titolo si fa plurale: Dominusef et Mise Cassel essebam nobiscum Generalise Trickbuck essevi assumetum ad commandis tu possideo sex copias de operase de Dante « et duo quadrus de Raffaello. SINTAXIS I nomi Fratrise e Sorose, nelle ditte ‘commerciali, ven- gono posposti al nome proprio: Robertson Fratrise abeo fallitum Greenfield Sorose abeo fallitum 27 — Tutti i sostantivi, aggettivi. o avverbi italiani che sono usati nella grammatica della musica, e tutte le parole prese come esempi vanno trattati a guisa dei nomi propri: duetto-se, terzetto-se, multa “ affettuoso-se ,, “ pianissimo-se ,, pauca vodka-se, Ali-se, Calif-se Exerciziuse Corrigete eventuala errorise in sequensa proposiziose: 1 - Flumes Mississipi et Missouri esseo in America. 2 - Fratrise Westend esseo fallitum. 3 - Date ad illa puerisf soma panis. 4 - Clou- nise tingevi facies et manuse. 5 - Mis et Dominusf Brillo-se esseo bonama mulierise. 6 - Abere essetumisf vostra amicusf de illa omos generavi ruinas vostra. 7 - Abivi patris et filius quio non possebam supportare miserias. 8 - Sorose Mirback-se abeo abelum malama stoffise. 9 - Scolarise! Ostendete sempem tota diligenziase vostra 10 - Montis Everest esseo maximam altama de mundus. Il 1 - Bona dies, bona dies, mea filiuse, respondebam caindam ma- gistes. 2 - Date illa puerisf soma calida aquas. Doctoris, vostra itus essevi valdem utilisa. Tua abere essetumisf inimicusf de mea soros essevi tibisf valdem damnosa. 5 - Conflate vius, vos slevise, et rumpete vostra catenase! 6 - Ica servitus non esseo valdem fidelisa ad lostra mastris. 7 - Quam terribilisa essevi terremotus de 1908 in Italia: 8 - Tu mittevi duo columbus ad tua soros et uno agnulus ad mea fratris. 9 - Domazios de illa equus essevi una difficilisama pensus, 10 - Vellerem tua soros mea manus, isf reddeverim me felixa. III Sequindum regulase datum in ica lexios componete et traducete 10 proposizios. Traduxios Egregia luvenise, essete bona et studiosa. Icus esseo consilius quemis go dao vobis cum ica mea prima literas. Colete valdem bonitas, quis includeo educazios et amate stu- dius, quis includeo laboris. Vos quise studeo et video quanta sacrificiuse vostra parentes faceo per vius, date sempem bona exemplus ad ius quis esseo minora et minus docta quam vos. Cogitate ke odiem vos esseo iuvenisa, sed brevim vos essebo omose, et ideo vos debebo scire aom actare et ao omose et ao civise existensa in caos de vitas. Non uostate vostra tempus in parva insolenziase et in scolastica parva despectuse; non quatete vostra sciuldrise, aom if vos dicerem: “ques refertao nobis? ,,, quandom vostra professorise increpao vius. Los faceo icus quio los amao vius et quio los vellen directare vius per bona ites. Auscultate et respectate lius. Ét tam minus calamistrate vostra nasuse mibis, quis scribeo icus vobis. Inteream go salutao vius cordialisam. Vostrus V. M. LEXIOS Adiectivus II posto degli aggettivi è sempre davanti al nome a cui si riferiscono, anche quando sono preceduti da avverbi: un altam respectabilisa personis 29 -- L'aggettivo va dopo il nome: I - quando è complemento di numero e si riferisce ad un sostantivo determinato che fa da soggetto; e quando l'aggettivo spiega ln qualità del sostantivo a cui si riferisce: foliuse abeo pediculus longa et subtilisa omos bona per nils makinas utilisa ad omnise perchè se l’aggettivo è inderminato allora si segue la regola generale: foliuse abeo una longa et subtilisa pediculus Il - quando è apposizione, ed allora l'aggettivo diventa sostantivato: Vittorio Emmanuele III (terzius), regis de Italia George VII (septimus), regis de Ingland Cato Maiorus, Cato Minorus, Alexander Magnus, Plinius Iuvenis, Roberto Magnanimus IIl - in alcuni termini commerciali: Notarius Publica, Procuratoris Generalisa, Consulis Generalisa, Eques Frransa, Cortis Marzialisa, Principis Regensa, Cauntis Currensa. L'aggettivo va dopo il verbo: I - quando è predicato nominale, cioè quando trovasi dopo uno dei verbi apparere, essere, fierire, luccare, morire, nascire, remanere, vivere. Il - quando trovasi dopo una delle voci verbali : essere creatum, credetum, declaratum, estimatum, facetum, iudicatum, proclamatum, putatum, seligetum, vocatum. Dueo più aggetiivi riferentisi allo stesso nome lo precedorfo tutti in ordine decrescente, cioè si mette per primo quello su cui maggiormente si vuol richiamare l’attenzione: Latinulus ao internazionalisa officialisa supplementus Alle volte trovansi due sostantivi uno di seguito all’altro, senza nessuna congiunzione o lineetta che li congiunga. In tal caso SINTAXIS il primo sostantivo fa da aggettivo al secondo. Ciò si usa fare quando si vuole indicare l’uso a cui un oggetto serve; la provenienza, il luogo e il tempi a cui gli oggetti o le persone appartengono. Queste locu- zioni si rendono in italiano con le preposizioni a, da, di, usate nello stesso significato. London et New York postuse esseo maxima; New York scaiscre- pese esseo altama; scolas scamnus; manes niuspepese; una vaporis makinas; tabulas. mantiles; maris aquas; una vinus ciatus. Ma quando si vuole specificare bene la cosa allora si usa la costruzione diretta: scamnus de scolas, mantiles de tabulas, aquas de maris, una ciatus de vinus. Altre volte possono trovarsi più nomi che si seguono senza alcuna preposizione fra loro; tutti i nomi, meno l’ultimo, sono aggettivi che indicano la qualità, il carattere dell’ ultimo che forma l'oggetto di cui si parla. Queste frasi si rendono in italiano comin- ciando dall’ultimo nome e collocando gli altri secondo il senso e po- nendo le proposizioni o le parole che sono richieste: ‘Panama Canalis Companis, New York et London Vaporis Navi- gazios Companis, Molvas Epas Oleus, Assam et Calcutta Tis Companis. Un grandissimo numero di sostantivi, specialmente quelli che indicano le parti del corpo e dei sensi, le parti e la forma delle cose, possono fungere da aggettivi mediante una lineetta fra essi e l’aggettivo che per lo più li precede: una longa-crus omos un uomo dalle gambe lunghe una curta-crus omos, una curta-visus omos u.id rubra-capillus puerisî, una subnigra-carnazios mulieris Il nome proprio si congiunge con l’aggettivo mediante un nome indicante il genere, quali omos, urbis, e simili: Socrates, sapiensa omos i! sapiente Socrate London, populosa urbis, Columbusf, timida animalis Substantivata Adi.ctivuse Gli aggettivi si sostantivano in due modi: 1 - quelli che termino in sa perdono l’a: dives // ricco equalis /'eguale tristis // friste II - tulti gli altri perdono l’a finale ed in sua vece prendono us: bonus i/ buono —malus // cattivo poeticus il poetico pulcrus il bello tenaxus il tenace verus il vero I Numerali cardinali si sostantivano aggiungendo is alla voce del numerale cardinale e spostando l’accento tonico di uno 0 due posti verso destra. a seconda che il numerale è piano o sdruc- ciolo : una duois un paio, aliqua decemise alcune decine compluresa duodecimise a/cune dozzine pauca vigintaise poche ventine, multa centumise molte centinaia una milleis un migliaio. RR | SINTAXIS Gli aggettivi sostantivati si adoperano: I - per qualificare una classe, condizione, specie intera di per: sone sia al singolare che al plurale: dives, pauperus, pulcrusef, fedusef, doctus, stultus, divese, pauperuse Il - per indicare un individuo qualsiasi, o una persona ricordata in precedenza. In questo caso possono funzionare da sostantivi anche gli aggettivi verbali: avidus; sceleratusef; tum amentis procedevi in sua ites tum vocatusef aperivi ostius Ill - per indicare un concetto astratto: pulcrus bonus Verus IV - e come pronomi: date mibis pozium alba libris quam rubrus V - per specificare individui e linguaggi delle varie nazionalità: Italianus esseo difficilisa . Ingliscius esseo facilisa Latinulus esseo facilisama , Italianuse et Inglisciuse Gli aggettivi se si trovano nella seconda parte di una proposizione e si riferiscono ad un nome espresso prece dentemente sia questo di persona o di cosa distinta e numerabile restano aggettivi e il secondo nome resta sottinteso: icamanim quatuor Ingliscia toracatus et tres Italiana abeo adventatum Ma se gli aggettivi suddetti si riferiscono a nomi di cose numerabili, come valori, materie, sostanze e simili, allora si sostan- tivano: acerba fructuse non esseo tam sana quam maturuse utite solam rubrus antequo viridis aut violettus Alle volte il nome si pone all’ultimo: in nostra vitas nos incontrao aliqua bona et aliqua mala personise Gli aggettivi sostantivati seguono tutte le regole dei sostantivi. ì Relativa Adiectivuse Un aggettivo relativo vien reso in in italiano coi corri spondenti pronomi nei vari casi in cui esso è adoperato: Verdi, quisa omos abeo noscetum commovere cum sua musicas Verdi, uomo il quale Verdi, cuia omos multa rese esseo dicetum Verdi, uomo del quale.... Verdi, quemisa omos go amao Verdi, uomo il quale. Galiteo Galilei, grandisa omos, cuisa genius nos debeo multa disco- verise . ...,UQl genio del quale. Il pronome relativo: diventa aggettivo anche quando precede il nome: electorise eligevi una cifis, quisa cifiss.../ quale capo n È » 0» » Cuia > 3 + + + del quale capo si = +», Cuisa 3». QI quale capo , quemisa € , ,... dl quale capo London et New York, ‘quisa ambusf esseo maximam magna urbise de mundus . .. . « + + le quali sono entrambe . SINTAXIS Comparativus Quando si deve formare il comparativo di un aggettivo o avverbio eccettuato e di uno regolare riferentisi entrambi allo stesso sostantivo, può derogarsi dalla regola usando il plus una sola volta dinanzi ad entrambi i termini: plus bona et familiarisa quam... plus propim et familiarisam quam. Quando la frase non ha il secondo termine di para- gone l'aggettivo precede regolarmente il nome: una plus dividiosa canzios essevi nunquam auditum nunquam vos invenibo una meliora opportunitas Ed anche quando il secondo termine di paragone è dato l'aggettivo può precedere il nome: go non nosceo una puerisf plus pulcra quam vostra neposf Opp. go non noscéo una plus pulcra puerisîf quam vostra neposî 9 Per dare maggior enfasi alla frase si può ripetere il plus e il minus del comparativo interponendovi la congiunzione ef: egrotus fieribam plus et plus pallida . +. + sempre più pallido x minus et minus . . +. . Sempremeno ,, feritus fieribam plus et plus fortisa, aut minus et minus fortisa Quando il secondo termine di paragone è un verbo questo va sempre nella forma positiva: bellus essevi plus longa quam gentis putabam . .. non credeva 51 — Per dar maggiore enfasi alla frase, due comparativi di- pendenti fra loro sia nel senso diretto che inverso si possono stac- care dal p/us intromettendo fra le due voci il soggetto e il predicato: plus go esseo indulgensa plus tu fierio indiligensa minus ,, , Ù minus, , plus go esseo indulgensa minus tu fierio studiosa opp. plus indulgensa go esseo minus studiosa tu fierio Quando il secondo termine di paragone è rappresentato dal pronome dimostrativo quello, questo pronome può sopprimersi: malusef de illa arboris esseo plus matura quam de icus Quando il paragone si fa tra due oggetti solamente o fra due gruppi di persone o di cose si deve usare il comparativo ; se si fa tra più si deve usare il superlativo: maiora summas (fra due) ‘maxima summas (di tutte) plus senexa fratris (di due) maximam senexa fratris (di tutti) Superlativus Il superlativo relativo è seguito sempre dal de; meno spesso dall’infri. A Le locuzioni formate: I - dal superlativo assoluto dell’aggettivo a cui si riferiscono a | guisa di apposizione e col sostantivo al singolare; Il - o da unus de seguito dal superlativo relativo e dal sostan- tivo al plurale; SINTAXIS corrispondono alle locuzioni italiane uno dei più, una delle più : Tizius, celebrisama medicus Tizius, unus de maximam celebrisa medicuse. Al grado superlativo assoluto o relativo l'aggettivo pre- cede sempre il sostantivo a cui si riferisce, Anche qui, però, si ap- plicano le regole date ai numeri 29 e 30 di questa lezione. Exerciziuse I Corrigete: 1 - Vostra fratris essebo generalisa consulis in.africa, 2 - Oleus de epas de molvas esseo utilisa ad aliqua morbuse. 3 - Iua matris, mulieris quemisf go amao valdem, essebam egrota, sed nunc isf esseo benemam. 4 - Sermos essevi plus longa quam gentis non putabam. 5 - Tu abeo emetum una utilisa makinas ad omnise. 6 - Vostta patris esseo valdem meliora et plus familiarisa quam vostra matris. 7 - Alberto, una de celebrisama medicus, essebam nepos mea. 8 - Una omos altam docta essevi eligetum presidentis. Sapiensa Socrates bibevi cicutas. 10 - Una capillus-rubra puerisf morivi nusterzium. È 1, Il 1 - Pulcrus esseo poetica et poeticus non sempem esseo pulcra. 2 - Mea cognatus abeo vendetum 5 duodecimis de ovuse. 3 - Aliqua scolas scamnuse esseo lignea et aliquise esseo ferrea. 4 - Scamnuse de ica scolas esseo rumpeta quio los esseo fracida. 5 - Assemblis essebam componetum de pauca iuvenisa dominusef et de multa se- nexa. 6 - Go abeo rumpetum una vinus ciatus. Go abeo bibetum duo ciatus de vinus. 8 - Brilliantis de tua uxoris esseo valdem plus cara quam de meus. 9 - London et New York, amba quemisa urbise tu visitavi, esseo duo maximam magna portuse de mundus. Electorise eligevi una cifis, cuisa cifis los iuravi ceca obedienzias. IH Componete et traducete 10 proposizios. Traduxilos Egregia luvenise, go nosceo multa studentise, quise, quum esseo incitatum ad stu- dius respondeo: “ terem esseo sempem tempus! Go studebo paste. am .,. Et invici studere los preferreo aufugere ex lostra domuse et ludere cum lostra comese, aut perdere lostra tempus una quicunqua- SINTAXIS 9ì quem. Tumo los cresceo indocta et malem educata, amussim quio los esseo privata de illa scienzias, quis ornao mentis et gentilao animus. Sed antim aut postim ica talisa studentise penitebo amaram, quio tum los, indocta aom los essebo, non obtinebo aliqua occupazios et tam minus los dabo aliaua pruvis de lostra sapienzias. Velleo vos facere eziom ao istuse? No aut si? No. Nunc ke vos abeo commoditas de studere studete. Studete nunc ke vostra cerebruse esseo itum tenera; quio quum illuse essebo indurata, tum compellere et submittere iddiuse ad stu- dius essebo difficilisama. Promittete mibis ke vos studebo omnise, ke vos non essebo mala, ke vos non perdebo vostra tempus et mentala facultase in facere nils. Promittete mibis, ezio vos, quoddis una comes de vostruse abeo promittetum mibis, cuia uordise go excribeo ikim: “ Professoris, “ lisa uaisa et paterna consiliuse essebo completum integram + ab me, quio iddise esseo datum mibis ab un omos, quis summam + prediligeo uelferis de classis de studentise. Go esseo certa ke, com- “ plendum illuse, go assequibo illa metas, quemis go abeo statuetum mibis consequire. “Go graziasageo leis vivam, Professoris, et go offerreo libis mea “ omagise. Lisus R. C., Imitate omnise vostra coinea: mea iuvenise. Vostrus Sinceram V. M. LEXIOS Adiectivus La maggior parte degli aggettivi non sono usati come sostantivi in nessun senso speciale, ma generalmente sono seguiti dal sostantivo: dextra manus, sinistera manus, recta lineas, curva lineas Gli aggettivi apta, idonea, utilisa e simili e contrari vo- gliono l’ad, quando viene specificato it motivo dell’attitudine : apta ad laboris, idonea ad laboris utilisa ad pronunciazios, nonidonea ad laboris Quando l'attitudine è espressa da un verbo che segue la preposizione ad, questo va al modo infinito presente passivo: utilisa ad essere legetum Gli aggettivi cara, grandisa, prima, ultima, vera, ed altri possono essere usati in un senso avverbiale unendoli ai sostantivi: in bellus tempus omnisa rese esseo cara una grandisa magistes; generalis cadevi prima in certames vera sapiens loquio paucam SINTAXIS Si può adoperare l'aggettivo invece dell’avverbio corri spondente quando questo esprima lo stato del soggetto come appo. sizione: | I - con molti aggettivi participiali : is sciensa calumniavi iusf; is callida calumniavi iusf H - con aggettivi e participi che esprimono lo stato d’animo, quali leta, sobria, trepidansa, ecc. go leta scribevi illa literas; is trepidansa aperivi ostius 62 — Ma quando si vuole esprimere la maniera con cui è fatta un’azione dal soggetto allora si deve usare l’avverbio: is calumniavi iusf sciensam; is calumniavi iusf callidam Usus de Numeralise Cardinalisa Numeralise I cardinali si usano per segnare gli anni, i giorni, le ore. L’ultimo anno di un secolo denota il secolo seguente quando è espresso in numeri cardinali; in tale circostanza per abbre- viazione si può tralasciare anche la parola mille: in mille duo centum, opp. in tredecima seculus in duo centum, opp. in mille duo centum, opp. in tredecima seculus Ed anche per indicare nelle iperboli una indeterminata quantità sia grande che piccola: iddis esseo mille annus go non abeo videtum iusf go dicevi quatuor uordis ad mea amicus Ordinalisa Numeralise 66 — Gli ordinali si usano per indicare la serie di secoli, anni, giorni, ore; per indicare le parti di un tutto; per la serie nelle suc cessioni di principi, papi, ecc. Graduse de Adiectivuse La comparazione di un aggettivo si può fare: 1°- fra persone o cose diverse: London esseo maiora quam New York II - tra proprietà o qualità di una stessa persona o cosa: tu abeo pius vinus quam aquas, tu esseo plus bona quam pulcra III - fra qualità diverse in due persone o cose anche diverse: iddis esseo plus insidiosa vizius quam egriebla virtus. Gli aggettivi inferiora e superiora vogliono l’ad: tu esseo inferiora ad tua comese Shakespeare esseo superiora .ad omnisa Ingliscia poetase SINTAXIS Alle volte il termine di paragone di un superlativo re- lativo si abbrevia: invece di maximam pulcra infri poemase de Italia si può dire maximam pulcra poemas de Italia Il superlativo assoluto non si può usare come comple- mento invece del superlativo relativo: non si può dire umana naturas esseo perfectama de omnisa naturase ma si deve dire umana naturas esseo maximam perfecta de omnisa naturase. Usus de Indefinita Adiectivuse Una 71 — Corrisponde agli articoli indeterminativi italiani e si ado pera nello stesso modo in generale. Alle volte esso traducesi anche per /o, quando indica carica, condizione, grado, mestiere, professione, qualità e simili : quum ica puerisf essebo una mulieris vostrus esseo una bona patris matris de ica puerisf essebam una distincta doctorisf et icusf fieribo una... /o diventerà lu esseo una calceolarius et tua soros una sartorisf ica barrakis olim essebam una monasterius et itum iddis luccao una... /o sembra vos esseo una professoris Taranto, una militarisa portus Hamlet, una tragedias ab Shakespeare Dionisius una tirannus Dante una poetas 73 — Innanzi ad aggettivi corrispondenti ai nomi astratti ar- bitrio, bontà, cattiveria, disgrazia, fortuna, generosità, insolenza, mal- vagità, negligenza, sciocchezza, tenerezza, trascuratezza e simili e quando è seguito dalla parola casus ed actus de essò può essere tradotto in italiano sia letteralmente, sia col sostantivo astratto al sin- golare o al plurale: un arbitraria actus aut casus, un actus de arbitrius un arbitrio un insoiensa actus aut casus, una casus de insolenzias un’insolenza 74 — Può essere usato anche invece dell’aggettivo quisqua, ed allora si rende in italiano con la preposizione a o 4/0 con l'articolo determinativo seguito dal nome: quantus lucrao vos una dies? isf abeo pagatum digitu:.sc decem liras una duodecimis 715 — Una non deve essere confuso coi numerale uno » Uno ,, nl (di numero) SINTAXIS Soma È usato solamente come partitivo ed equivale a de/, un poco di, un poco, ne: date mibis soma panis go davi vobis soma vinus Se il nome è preso in senso generale allora non si usa: abeo vos bona aquas in vostra urbis ? Il pronome indefinito corrispondente alle volte traduce il ne, riferentesi a persone: tu diceo ke terem essebam multa mulierise, sed go non videvi somuse Quanta Tanta Innanzi ad altri aggettivi vanno tradotti con l'avverbio quam o tam, seguiti dall’aggettivo, poi dal soggetto e infine dal verbo: quam bona vos esseo! tam bona vos essevi, ke î Omnisa Tota | Omnisa indica futto nel senso di ogni, ciascuno : omnisa operaziose de bankis omnisa membruse de illa clubis ommnisa dentise esseo alba Tota indica fuffo nel senso di infero, interamente: lota vuperazios ivi benem tota membruse esseo rubra tota dentise esseo Ciarminga Naisa Pulcra Ciarminga indica dello, grazioso, piacevole : una ciarminga dies una ciarminga puerisf una ciarminga libris una ciarminga visius Naisa indica bello come pleonasmo: is davi mibis mille naisa aurea monetas Pulcra indica bello come astratto di bellezza: una pulcra mulieris una pulcra equus Raita Ronga Raita indica adatto, diritto, esatto, giusto, vero, quello che ci vuole, quello che ci deve essere :. Ronga indica il contrario di raita: Icus esseo raita linguas per omnisa populuse vos abeo datum mibis ronga ciatus raita omos in raita situs In italiano non c'è nessuna parola che traduca esatta- mente i suddetti due aggettivi. Con essi più che le precise parole date come la traduzion: si traduce l’idea dell'essere o no atto, giusto, vero, ecc. 5! a c SINTAXIS Exerciziuse I Corrigete: Guis esseo illa superiora poetas quam tota mundialisa poe- tase? 2 - In certames cadevi ultima generalis. 3 - Erim emevi un naisa canis et un paiva-avis ciarminga. Vos esseo professoris et | soros vostrus esseo professoris. 5 - Un pueris studiosa et un pue- rist bona esseo consolazios de familias. 6 - Minora de Paris esseo Roma, sed maiora de Venezia. 7 - Iddis esseo odiem un dies ciar- minga. 8 - Vos videvi multa pueris deambulare et ludere in villas; sed go non videvi somus. 9 - In urbis nostra terem esseo una bona aquas et uno vinus optimus. Olim tota derratise costabam pauca ; - sed nunc ointo bellus costao multa. Essete tu iusta et onesta, et tu essebo raita omos per essere iudes. 2 - Pauperuse esseo infelixa, quamobro sepem los invideo divese. 3 - In contris gof videvi multa omose idonea ad laboris de agrise. 4 - Omnisa umose abeo duo crus et duo brakius. 5 - Me- dicus, indocta, non noscevi morbus et egrota mulieris morivi. 6 - Ve- rus, iustus et onestus esseo preziumatum ab bonuse. Multa mala personise faceo malumis sciensam. 8 - Matris remorabam amorosa et trepidansa reditus de sua filius ex bellus. 9 - Non sapete tua dextera manus quoddis faceo sinistera. 10 - Italianus esseo facilisa ad essere legetum, sed Kines esseo difficilisa ad essere pronunciatum. HI Componete et traducete 10 proposizios. Traduxios Violodoratas ab Moschen: Zoologias et Botanicas Violodoratas abeo una subtilisa rizumas et una nonapparensa, brevisama fustis. Rizomas portao filusforma, paucam-alba radise et aliqua ramuse, quise conservao se viva quoquo posti mortis de prin- cipalisa rizomas, quis durao cirkim uno annus. Brevisama fustis pro- duceo at umus superficies una tui:is de foliuse, ex cuia axillase sub- tilisa ramuse nascio, quise reptao supri solus; at lostra noduse iddise abeo una tuftis de foliuse et aliqua radise, quise dao locus ad for- mazios de nova parva plantase. Foliuse abeo pediculus longa et sub- tilisa, munita at basis cum stricta stolkis, et cordisforma aut reni- SINTAXIS sforma laminase cum smerlata margos. Flose esseo solitaria at summus de: pedunculuse, quise nascio in axillas de foliuse et esseo ornata versi dimidius cum duo stricta et lanceolata bracteas. (iddis continuao) LEXIOS Interrogativa Adiectivuse et Pronomese Il pronome interrogativo cuius quando è seguito dal nome della cosa posseduta passa immediatamente innanzi al nome e diventa aggettivo: per cuia beneficius? a beneficio di chi? Quando il nome è accompagnato da un aggettivo dimo. strativo la costruzione è la stessa come sopra, ma l’aggettivo dimo- strativo diventa pronome: cuia libris esseo illus? di chi è quel libro ? Quando il nome è acconnpagnato anche da un aggettivo qualificativo allora possiamo avere due costruzioni: I - o con la sopraccennata: cuia pulcra domus esseo istus ? Il - o ricorrendo ad una perifrasi e usando il verbo pertinere: cuis ista pulcra domus pertineo ? Quando il pronome cuius è unito al nome della cosa posseduta, la frase si rende con una locuzione ellittica a seconda dei tempi, seguita da una frase specificativa ed estensiva principiante col pronome che: cuius domus voleo vos vendere? di chi è la casa che volete vendere ? cuius equus essevi uretum? di dii era il cavallo che si bruciò ? cuius areoplanus essebo premiatum? di chi sarà l’areoplano che...? Nelle frasi enfatiche il pronome ques diventa aggettivo: quesa pazienzias! quesa tempuse! Ma se il sostantivo è al numero singolare ed indica per sona o cosa numerabile, allora si fa precedere dall’aggettivo urna, e il pronome non diventa aggettivo: ques una grandisa mulieris! ques una fortunata dies] Il pronome quoddis spesso si rende in italiano con he, equivalente a cosa, dhe cosa: in quoddis consisteo felicitas ? I pronomi quis? e quoddis? quando sono preceduti da una preposizione possono essere staccati da essa, e la preposizione va all’ultimo. In questo caso la soppressione del pronome è impos sibile : , quemis prendeo vos me per? quoddis esseo go accusatum de? I detti pronomi possono trovarsi anche in frasi né in terrogative dirette né indirette, come in identiche locuzioni italiane, ed allora mantengono lo stesso significato: go non sapeo quis construevi ica dirigibilis tu sapeo quemis isf nubebo is non sapebam quoddis isf intendebam facere SINTAXIS Il pronome qualis? spesso in italiano si rende col pro- nome chi? qualisf de illa puerisef csseo vostra soros? Usus de Possessiva Adiectivuse et Pronomzese Gli aggettivi possessivi non si ripetono innanzi a sostan- tivi che si susseguono nella stessa frase: mea patris, matris, sorose cet fratrise esseo. I nomi delle parti del corpo, del vestito, delle facoltà intellettuali, di tutte le cose appartenenti alla persona o che si riferi- scono ad essa, delle parti componenti un tutto, se vengono riferiti alla persona o al tutto a cui appartengono ricevono l’aggettivo pos. sessivo. E ciò si fa costantemente. In italiano gli aggettivi spesso non vengono espressi, o in loro vece trovasi l’articolo determinativo: mea medicus precavi me detegere mea pecttis prendete vostra supellese et laborate ‘go abeo invenitum vostra orologius tua soros esseo egrota in mea peras in tua manus Lisa, Listra, Lisus, Listrus Si usano allorchè per rispetto si parla in terza persona: lisa consilius essebo completum ab me qualisa consiliuse essebo completum ? Lisuse listra uordise esseo valdempungensa "d qualisa uordise esseo pungensa? Listrusc Sua, Lostra, Suus, Lostrus Si usano quando le cose appartengono al soggetto prin- cipale della medesima proposizione, sia questo rappresentato da per- sone, animali e cose: is vendevi sua libris is perdevi collase de sua amicuse et eziom suuse los amao sorose de lostra amicuse et eziom lostruse bovis esseo ligatum at sua presepes tua patris esseo cara mibis per sua merituse I medesimi si usano anche quando non si riferiscono al soggetto della medesima proposizione, sempre però se il senso della frase lo permetta e non si generi confusione: pueris arripevi avis in sua nidus è “ avise in Jostra niduse a ti x 5 avis in lostra nidus SINTAXIS Fia, Losa, Eius, Losus Si usano quando il possessivo si riferisce a persone diverse dal soggetto principale della medesima proposizione: is videvi sua amicus in eia automobilis in qualisa automobilis essebam sua amicus? in eius los videvi lostra amicuse in losa automobilis in qualisa automobilis essebam lostra amicuse? in losus isf complevi. eia ordinaziose lost complevi losa ordinaziose is amao tua patris per eia merituse Iddisa, Iddistra, Iddisus, Iddistrus Si usano quando il possessivo si riferisce ad animali o cose diverse dal soggetto principale della medesima proposizione: bovise videvi ovisef in iddistra septus in qualisa septus essebam ovisef? in lostrus in qualisa septus videvi bovise ovisef ? in iddistrus bovise videvi ovisef in lostra septus in qualisa septus videvi bovise ovisef? in lostrus Alle volte in italiano non si possono rendere le espres- sioni possessive latinule con precisione. I due seguenti esempi hanno due significati differenti: vulpes arripevi ekinus in sua scrobis vulpes arripevi ekinus in iddisa scrobis Entrambi gli animali hanno tane; ma la prima frase ci spiega che il riccio trovavasi nella propria tana. Queste distinzioni si devono fare quando i soggetti sono di terza persona e compresi nella stessa proposizione, poichè nelle proposizioni indipendenti è molto facile. vedere quale aggettivo o pronome si deve usare: go nosceo ius benem et admirao sua ingenius ma si deve dire tua patris nosceo Tizio benem et admirao eia ingenius perchè l’ingegno è di Tizio. Tutti gli aggettivi possessivi spesso vengono resi con le particelle pronominali mi, fi, si, gli, ci, vi, me, te, se, ce, ne, ve. In tal caso la costruzione della frase italiana viene un po’ alterata: ponete vostra calceuse mettetevi le scarpe icus extolleo mea spiritus ciò mi solleva lo IRIETO ” ” tua ” ” ti ” ” ” etc. ecc. Yorkson, grandisa generalis! Omnise onorao sua ingenius et nomes | Tutti ne onorano l’ingegno e il nome Il sostantivo indicante la proprietà posseduta da più individui contemporaneamente va al plurale e non al singolare: inimicuse vertevi lostra sciuldrise los prendevi lostra pileuse et ivi nos rumpevi nostra nasuse SINTAXIS I pronomi possessivi non si possono usare mai da soli e sottintendere il sostantivo che indica la cosa di cui si parla se questa cosa non è stata ancora espressa nella proposizione precedente. Si deve perciò dire: kernellis facevi abdere sua soldatuse infri alta itincuse Î suoi mea parentes velleo me sempem propim Î miei ilia benefactoris legavi tota sua proprietas ad pauperuse il suo I sostantivi che in italiano sono più spesso sottintesi ed usati in-questo senso sono: azioni, compagni, denari, disgrazie, genitori, parenti, parte, patrimonio, percosse, territorio, usanze, ecc. Quando si vogliono indicare cose della stessa specie ma appartenenti a persone diverse la prima voce possessiva deve essere l’aggettivale e la seconda la pronominale: tu agnosceo tua merituse et meuse i tuol e | miei meriti 108 — Le voci possessive non sono precedute dagli aggettivi dimostrativi, indefiniti, numerali e quantitativi; quindi le espressioni latinule composte 1 - dall’aggettivo qualificativo seguito dal nome, poi la preposi- zione de e poi il pronome possessivo al plurale, come: ica libris de meuse tres soros de tuuse aliqua amicuse de meuse multa defectuse de nostruse opp. II - quando è possibile e quando la frase non sia preceduta da aggettivi dimostrativi, dall’aggettivo qualificativo trasformato in pronome, poi ia preposizione de e poi l’aggettivo possessivo seguito dal nome al plurale, come: aliquise de mea amicuse; tres de tua sorose; multuse de nostra amicuse vanno rese in italiano con questo mio libro tre sorelle tue alcuni amici miei molti difetti nostri Il primo dei suddetti due modi è applicabile sempre, mentre il secondo è applicabile solamente quando non venga alterato il senso della frase originale. Si noti infatti il diverso senso in frasi come le seguenti: mea fratris abeo vendetum quatuor pulcra equus de suuse e mea fratris abeo vendetum quatuor de sua pulcra equuse auctoris publicavi tres nova comedias de suuse e auctoris publicavi tres de sua nova comediase 110 — Per dare maggior forza alla frase, agli aggettivi si ag- giunge l’aggettivo ona nello stesso senso: dell'italiano proprio; ai pro- nomi si affigge il suffisso fes e fesf: mea ona canis mea ona ile cuia canis esseo icus? meustes ; meustesf SINTAXIS La voce possessiva italiana proprio corrisponde alle varie voci aggettivali possessive : omnis debeo vivere cum suus go, tu, is ) ( mea, tua, sua ) nos, vos, los ) ( nostra, vostra, lostra ) ho, hai, ha, abbiamo, avete, hanno vissuto con le proprie sostanze. abeo vivetum cum substanziase Exerciziuse I Corrigete: 1 - Ques dicebo patris vostrus quum vos redibo domus? 2 - Mea patris, mea matris, mea soros, tnea fratris et go nunc esseo sex. 3 - Isf amao fua matris per sua merituse. Quis prendebam vius me per? 5 - Cuia equus essevi vendetum 15000 lirase? 6 - Mea matris no- sceo tua soros benem et admirao ius per sua ingenius. Go abeo duo parva-librise in peras. 8 - Quis de illa librise essco vostra? 9 - Cuisa ista pulcra caveas pertinebam ? 10 - Ques tempuse los esseo odiem |! Omnisa parentes amao lostra filiuse sed non omnisa filiuse amao lostra parentes. 2 - Ques una deliciosa canzios! 3 - Quoddis dicebo tua patris quandom is noscebo ke tu abeo cadetum ? 4 - Per cuia beneficius essevi spectaculus de erivespim datum? 5 - Per be- neficius forsitam de ica comitatus de Rubra Crucis? 6 - Miles abevi feritum sua cruse et brakiuse in bellus. 7 - Go abeo videtum tres mis; qualisf de liusf esseo tua soros? 8 - Mea patris, matris, tua fratris et soros abeo itum Roma. 9 - Cuis pertineo ica pulcra virida- rius? Mibis. 10 - Cuius.illa graziosa parva-avis vos abebam in illa caveas? Meustesf. Ill Componete et traducete 10 proposizios. IV Violodoratas (finis) Calis abeo quinque oblonga sepaljus, quise esseo levisam ine- qualisa, longinquata versi lous in una libera parva-laminas et spurca viridisa colorata. Corollas abeo quinque inequalisa petalus, plus longa quam sepaluse, duo verteta versi altus et tres versi lous; inferiora | petalus, maiora et ovata inversam, abeo basis longinquata soeso iddis promineo ex calis calcasformam; cummo duo vicina petalus esseo elliptica, equalisa infri iddiuse et munita cum una parva-pul- vinus de piluse; duo superiora petalus esseo elliptica, equalisa infri iddiuse et smuta. Androceus constao de quinque stames coniungeta in una tubus, quis claudeo gineceus. Ex dorsus de duo inferiora stames duo longinquazios abio, quise penetrao intri calcas de corollas; SINTAXIS i anterise terminao cum un orengia parva-laminas. Gineceus abeo ovarius superna, monolocularisa, conica; stilus esseo subtilisa et stigmas plicata dorsum. Fructus esseo un ovata cassulis, quis, quandom esseo matura, esseo dividetum in tres frustus aut valvas. Fructuse esseo producetum ab parva flose, quise extricao se posti ebovim de- scribetum apparensa flose, quis: non perficeo fructus. Violodoratase esseo frequensa sub cespise, infri sepese et in ne- muse; iddise esseo coletum eziom in viridariuse. Iddise floresceo ex lanuarius aut Februarius usqui Aprilis, LEXIOS Personalisa Pronomese I pronomi personali soggettivi precedono sempre il verbo; quelli di complemento lo seguono. I detti pronomi sono posposti al verbo: I - nell'imperativo; II - nelle interrogazioni; Ill - nei casi in cui si vuol dare maggiore enfasi reiterando la frase: esseo go quis sono io che facevi go iddius quio. I medesimi pronomi sono soppressi dinanzi a verbi che si susseguono nella stessa frase, o nello stesso eno o nello stesso modo, o se sono uniti da congiunzioni: is manducao, bibeo et dormio solam In una proposizione secondaria se il pronome comple- mento si riferisce al soggetto della proposizione principale viene tra- dotto con se, corrispondente all’italiano lui, lei, loro: in tutti gli altri casi si adoperano le forme complementari di /s : mea amicus precavi tua patris cogitare per se (mea amicus) mea amicus precavi ifua patris cogitare per ius (tua patris) A complemento dei numeri 4 e 5, pag. 81, dobbiamo far notare che la costruzione speciale della soppressione dell’ad non si deve fare quando il complemento oggetto è rappresentato da un © pronome personale: - rai go mittevi iddius ad mea soros e non go mittevi mea soros iddius Le varie voci pronominali da noi studiate, a seconda del genere e del numero dei nomi e delle persone a cui si riferiscono vanno tradotte colle particelle pronominali me, mi, te, ti, ce, ci, ve, vi, lo, la, gli, li, le, ne. L’avverbio sfc quando è retto da uno dei verbi audirc, cogitare, credere, facere, imaginare, putare, repetere, supponere e si- mili; o quando si riferisce ad un aggettivo o ad una locuzione che richiama alla mente una qualità indicata in precedenza va tradotto con la particella italiana /0: Non abetam go dicetum vobis sic antim? Vostra filius esseo egrota et vosf luccao sic plus quam isf Alle volte non è espresso il sic nella frase latinula ed allora in italiano si rende con /o come riempitivo: go putabam: vos esserem professorise, quio vos luccao esseo omnisa membruse de ica clubis Italiana ? Los esseo. Il segno f si omette per eufonia o nei pronomi soggetto o nei complementi tutte le volte che trovasi vicino ad un altro pro: nome pure con lo stesso segno. E ciò avviene principalmente: I - nei riflessivi; dovendosi dire tuf lavao te nosf lavao nius opp. tu lavao tef nos lavao niusf Il - nelle concordanze col pronome metis: dovendosi dire gof metis nosf metise Opp. go metisf nos metiset Quando il metis si stacca dal soggetto, il segno f si può omettere quando non generi confusione: posso dire: tuf facevi iddius metis; isf occidevi ius metisf ma non posso dire: isf occidevi ius metis, perchè qui il metis si rl- ferisce ad i_s che è maschile, e vorrebbe dire ella uccise lui stesso. Per dare maggior forza al discorso si adopera il pro- nome metis nell’identico senso dell’italiano proprio, stesso; il quale segue i nomi ed i pronomi che vuole rinforzare: regis metis; go metis; is metis; tuf metis; tu metisf. Alla seconda persona singolare e plurale dell’imperativo va subito dopo il verbo: | ite metis; ite metisf; ite metise; ite metisef . Masetrouvasi anche il complemento oggetto il pronome va all’ultimo: facete iddius tu metisf Se il soggetto della proposizione è un pronome per- sonale, il metis può anche essere messo all’ultimo, purchè la nuova costruzione non cambi il senso della frase: go facevi ica rese metis; isf amavi ius metisf ma devo dire: los metise auxiliavi lostrta inimicuse, perchè se si di- cesse: los auxiliavi lostra inimicuse metise la frase vorrebbe dire: aiutarono i loro nemici stessi. Le espressioni go metis, tu metis ecc. vanno tradotte anche con da me stesso, da te stesso, ecc. adoperate in italiano nel senso di io stesso, tu stesso, ecc. go facevi iddius metis; tuf facevi iddius metis losf facevi iddius metise Preceduti da preposizioni i pronomi personali vanno in accusativo. Relativa Pronomes Preceduto da preposizioni il PEORARIE relativo va in accusativo. Il pronome relativo può essere omesso quando è com- plemento oggetto del verbo che lo segue: | puerisf go amabam; domus vos emevi; equuse vos vendevi 130 — L’omissione può farsi anche quando il relativo segue un superlativo: losf esseo maximam pulcra puerisef go unquam videvi SINTAXIS Ma l’omissione non si deve fare: I - quando il relativo non segue immediatamente il nome a cui si riferisce; II - quando la proposizione relativa esprime una circostanza estensibile al soggetto della proposizione principale: ‘vostra literas cirki Dom S. & T., quemis go abeo recipetum icamanim... iddis essevi una stranea circumstanzias, quemis go non possevi imaginare Se il pronome relativo è retto da una preposizione si può: I - o togliere la preposizione davanti al pronome e trasportarla all’ultimo dopo il predicato espresso: beibisf, quemisf tuf emevi ica toise per, esseo moritum II - oppure eliminare addirittura il pronome e trasportare la pre- posizione dove si è già detto: beibisf, tuf emevi ica toise per, esseo moritum Quando il pronome quis serve da personale antecedente e da relativo conseguente, si sdoppia in due pronomi, uno che fa da complemento e l’altro che fa da soggetto della proposizione che segue. Si hanno tre casi: I - entrambi i pronomi al nominativo: Is, quis abeo salutatum nius, esseo mea fratris. II - entrambi all’accusativo: nos defendeo iusf, quemisf vos accusao. un pronome al nominativo, l’altro all’accusativo: nos debeo eterna gratitiudis ad lius, quise instruevi nius abeo vos obliviscitum ius, quis lenivi vostra dolorise ? Usus de Pronomese Personalisa Pronomese Nelle esclamazioni si usano i pronomi soggetto: felixa go; felixa tu 135 — Il pronome di prima persona piurale viene adoperato in-vece del singolare dai sovrani, dai magistrati e dagli scrittori in senso maiestativo. fl pronome fu si usa parlando fra colleghi, o con in- fe.iori di dignità, o ad animali, o ad esseri sacri. Il pronome di seconda persona plurale si usa sovente invece del singolare quando si parla o si scrive ad una sola persona. Il pronome di terza persona singolare e plurale /eis e lelse si usa invece del pronome di seconda quando si parla o si scrive ad una, persona di riguardo. Il pronome iddis si usa: I - riferito ad animali, astri, cose astratte, oggetti, piante, a tutto ciò che non sia persona o ente ragionevole. II - per reggere i verbi unipersonali, come refertare, ‘ecc. III - per reggere i verbi che hanno per soggetto o l'infinito di un altro verbo che li segue, o una proposizione unita ai detti verbi per mezzo delle congiunzioni: iddis esseo benem essere preparatum iddis luccabam ke condiziose de egrota omos esserem gravisa SINTAXIS nelle espressioni: aom io iddis? Iddis io optimam, e simili, corrispondenti alle italiane: Come la va? La va benissimo. V - per tradurre le particelle ci, vi, lo, quando queste sono usate rispettivamente per a ciò, a questa cosa, a questo fatto: Casus esseo advantagiosa, go cogitabo iddibis ...ci penserò vos odisseo me, go nosceo iddius ...lo so. VI - per tradurre la particetla ne, quando significa con esso, con essi, per esso, per essi: go legevi vostra laborise et essevi satisfa- cetum cum iddiuse; terem essebam flose in magna quaatitas; viridarius essebam exornatum cum iddiuse. Dopo le preposizioni si usano i pronomi oggettivi. Demonstrativa Adiectivuse et Pronomese /ca, Icus si usano per le persone o cose vicine a chi parla e a chi ascolta: qualisa libris esseo parva? icus. J/sta, Istus si usano per le persone o cose vicine a chi ascolta e lontane da chi parla: qualisa libris esseo parva? istus. Ylla. Illus si usano per le persone o cose lontane da chi parla e da chi ascolta: qualisa libris esseo parva? illus.Nelle frasi, siano o no comparative, in cui il dimostra- tivo quello, spesso seguito dal de, accenna ad un sostantivo prece- dente, la traduzione si può omettere: tua buckes esseo maiora quam de tua fratris nulla auxilius essevi mibis plus utilisa quam de mea patris Nes Usasi riferito sempre a nomi comuni od astratti, mai ad esseri animati e si accorda in numero e genere: abeo tu nes? re hai? go abeo soma nes ne lho un poco abco tu amigdalusef? go non abeo nesef; nos abeo uno Kg nes. go sapeo nils nes abeo vos baculuse? nos non abeo nese Indefinita Adiectivuse et Pronomese — Quidama, Una, Quidamus, Unus, si usano par indicare persona o cosa indefinita, che non si conosce, presa in senso generico. Nulla è aggettivo ed usasi per le persone e per le cose. Nullus è pronome ed usasi per animali e cose Nemos è pronome ed usasi solamente per le persone. /dema, idemus equivalgono a medesimo, stesso, quando questa parola sfesso può essere usata nel senso di medesimo: idema res /a medesima cosa, la stessa cosa Jpsa e Ipsus equivalgono a sfesso, nel senso che è la stessa persona o cosa che compie due o più azioni diverse: regis ordinavi bellus et ipsa regis vincevi iddius ipsa personis vincevi duo argentea numismas Exerciziuse Corrigete: | 1 - Metis regis ivi bellus; et quio non velleo vos ire vius? 2 - Go putabam vosf esserem doctoris quio vos luccao iddiusf. 3 - Go nosceo multa personis, sed nullus esseo amicus meus. 4 - Non abebam 7 cerasusef vos in manus? N), go abebam 5 solam nes. Vostrus telegrammis cirki mea propos, nos abeo recipetum ica- manim, abeo essetum regularisam transmittetum. 6 - Non abebam imaginatum nos iddius erim? 7 - Tua sorosf abeo adventatum; id- disf luccao multam contenta de eia travelis. 8 - Felixa te if tu abeo vincetum illa dives premius! 9 - Vos debeo gratitiudis eterna cuis benefaceo vos. 10 - Lavao tef tuf quisqua manes? Si. Il i j 1 - Ica libris esseo modernama. 2 - Ubim abeo vos emetum ista ciarminga canulus ? 3 - Vostra soros abhco illa pulcra libris cuius vos . loquivi mibis erim. 4 - Abite tu cram, m:2 filius, et scribete tu mibis subitom., 5 - Tu cantao una ciarminga canzios et go auscultao te cum plesciuris. 6 - ls esseo una scienziata omos; omnise diceo sic.Nos metise adiutavi ius complere illa difficilisa enterpris. 8 - Vostra natalisa urbis quemisf tam vos amao, esseo Roma. 9 - Abeo vos co- gitatum ad mea propos? Go cogitabo iddibis cram. 10 - Puerisef quemisef isf amabam essebam valdem docta. Componete et traducete 10 proposiz os. Silvatica Felec ab Guelfo Cavanna: Zootogias Silvatica feles abeo capus rotunditansa, membruse pozium crassa et posteriora illuse plus extricata; caudas tam* longa quam dimidia truncus. Tota corpus cum sua feciurise et per sua flexuosa moziose monstrao robus et agilitas simulim. Iddis esseo una nocturna animalis; sua oculuse, magna et verteta poruordim abeo iris flava aut cinerea- paucam-viridisa. Pupillas tam plus dilatao se rotundam quam plus lus esseo inopsa tumo colligere plus nes; iddis restringeo se et fierio verticalisa-elliptica et eziom linearisa quandom lus esseo viva tumo colligere minus nes et evitare visus essere ocustringetum. Auricula- risa papiliose, lata et directa, iatus verteta poruordim, valdem mobilisa posseo essere vertetum ad diversa direxiose per colligere quoquo maximam levisa rumose. Supri superiora labrus esseo longa setase aut mostescise, tactila organuse sensibilisa ad omnisa oscillazios de aeris, quise esseo de magna subsidius ad animalis quandom iddis tendeo insidies ad sua predas in obscuritas. (Iddis continuao) LEXIOS e ld Verbus I verbi non possono essere usati col soggetto sottin teso, ma devono essere sempre preceduti dal soggetto espresso. Il soggetto può essere: un nome, un pronome, un infi: nito, una intera proposizione, o un complesso di proposizioni. Quando ci sono le congiunzioni che uniscono: due azioni eseguite dallo stesso soggetto nel medesimo tempo non si ripete il soggetto innanzi alla voce verbale: go redivi domus, aperivi armarius et invenivi mea rivolvris I verbi possono essere transitivi ed intransitivi. Molti verbi possono essere contemporaneamente tran- sitivi ed intransitivi, quali: draunare, coquere, desertare, fallire, con- valescere, transire, resuscitare, siccare, terminare, variare, obedire, effugere, ecc. Quando i suddetti verbi indicano azione semplicemente accidentale allora sono intransitivi. Se -poi esprimono azione dipen- dente da proposito deliberato volontario allora diventano transitivi e riflessivi.I verbi transitivi possono farsi passivi e riflessivi. Non tuttii verbi riflessivi italiani sono tali anche in latinulo. Si rendono con la forma riflessiva ia italiano i seguenti verbi: abstinere astenersi, adrepete arrampicarsi, colloquire abboccarsi, penitere pentirsi, persivere accorgersi, querire /agnarsi, surrendere arrendersi, ecc. Sono anche riflessivi in italiano ma non in latinulo quei verbi che non esprimono un’azione fatta dal soggetto su sè stesso come potrebbe farla su altri, quali: egrotare amma/arsi, evigilare sve. gliarsi, irascire adirarsi, meminiscere ricordarsi, pdtire impadronirsi, pudere vergognarsi, recubare coricarsi, retairare ritirarsi, uonderare meravigliarsi. Alcuni verbi intransitivi possono reggere il complemento oggetto di un nome della loro medesima radice o di significato analogo: cenare cenas, certare certames, currere cursis, currere stadius, do- lere doloris, dormire somnius, duellare duellus, gaudere gaudius, lurare iusiurandus, /udere ludus, nunziare nunzius, prandere prandius pugnare pugnas. La costruzione normale della frase è quella diretta, cioè al primo posto il soggetto, al secondo il verbo, al terzo il pre dicato, e poi i complementi. Se il complemento è quello oggetto, questo va subito dopo la voce verbale. SINTAXIS L'uso dei modi e dei tempi è per la maggior parte simile a quello di tutte le lingue moderne. e Usus de Moduse Infinitus È il modo che esprime l’idea generale del verbo e in modo indeterminato l’azione e il verbo.Si adopera come soggetto e come oggetto. Quando i verbi indicano idee astratte o generali in italiano sono preceduti dall’articolo / o /o: errare esseo umana; omnise desiderao vivere felixa; facere nils esseo melium quam facere malem; legere et scribere esseo necessaria ad omnise. L’infinito presente si può sostantivare aggiungendo /s alla voce verbale se l’azione è fatta da persona maschile; ed aggiun- gendo isf se l’azione è fatta da persona femminile: facereis il fare, facereisf il fare (se è donna) 166 — All’infinito passato l’'/s e l’isf si aggiungono alla seconda voice verbale, cioè al participio passato: abere facetumis /’aver fatto, abere facetumisf /’aver fatto L’accento tonico resti invariato, e le parole diventano sdru:ciole per conseguenza. In modo ellittico viene usato: I - nelle espressioni di maraviglia, sdegno e simili effetti morali; ed allora è preceduto dalle voci pronominali al caso accusativo: me facere icusl te non ire illikim| II - dopo aom, ques, quom, ubim: aom facere? ques facere? ubim essere? quom ire? III - nelle risoluzioni ferme e recise: pozium morire quam furare IV - nell’infinito storico per dar vivezza di colorito al succedersi dei fatti. Nello stile elevato può costruirsi con le preposizioni. In dipendenza dei verbi indicanti intenzione, opinione, pensiero, permesso, proibizione, r.soluzione, timore e simili può essere preceduto spesso dalla preposizione de: go intendeo abire, oppure de abire; go putao facere benem, opp. de facere benem; go cogitao ire Opp. de ire. Le proposizioni attive o passive precedute dalla con- giunzione Xe al modo indicativo o congiuntivo e col soggetto espresso possono essere cambiate in proposizioni implicite coll’infinito attivo o sopprimendo il ke: go affirmao ke omnisa lese abeo essetum facetum cum iusta criterius opp. go affirmao omnisa lese abere essetum facetum cum iusta criterius; go timeo ke vos non possebo vincere illa straifis Opp. go timeo vos non possere vincere illa straifis. Indicativus È il modo dell’affermare, del riconoscere, della realtà, poichè enuncia un fatto come cerlo ed assoluto. Fa .75 SINTAXIS Si usa nelle proposizioni condizionali quando queste si presentano come un’affermazione: if Deus existeo Is esseo eterna. I pronomi quivis e quicunquus, l'aggettivo quicunqua e gli avverbi ubicunquertr e quocunquem, quando trovansi nel di- scorso diretto vogliono l’indicativo: quivis vos esseo; quicunqua axios vos faceo; ubicunquem vos essco; quocunquem vos io. Coniunctivus È il modo della concessione, del desiderio, dell’esorta- zione, dell’incertezza, del pentimento, della possibilità, del rammarico, della supposizione. Esprime un’azione soltanto come possibile e per lo più ha luogo nelle proposizioni dipendenti e subordinate. Le congiunzioni che vogliono il congiuntivo sono: le alternative: sivo ...sivo; aut ...aut; num ...aut. le comparative: aom if; quaso; tamquamso; veluto le condizionali: if; modo le concessive: tutte, eccetto quidemo le finali: tutte. Condizionalis Esprime azione dipendente da una circostanza e da una condizione espressa o sottintesa in modo incerto e condizionato. Si usa nelle preghiere, nelle interrogazioni per dimo- strare sottomissione; e’ per indicare un fatto come un detto o un pensiero o un’opinione altrui. Im perativus Li È il modo del comando, del divieto, del consiglio, della preghiera. A rendere meno dura l’espressione del comando si adoperano obsecrom, orom, quesom. Qualsiasi voce dell’imperativo vuole subito dopo il sog- getto; ma la voce senza soggetto usasi sempre per la seconda per- © sona plurale ed anche per la seconda singolare quando si da del voi: facete fate, ibote anderete, non facete non fate, non ibote Se alla voce imperativa segue un altro pronome rife- rentesi alla persona il soggetto si omette: facete ducere te ab me; non facete ducere te ab ius. L’imperativo si usa per tradurre tutte le voci di comando, anche quando il soggetto di terza persona singolare o plurale è un sostantivo con o senza altre parole qualificative ed anche quando in altre lingue si adopera il congiuntivo: parate sceffris automobilis; appronti lo chaffeur l'automobile. i Quando alla voce imperativa segue una proposizione secondaria, questa prende al principio la congiunzione ke: scite nostra SINTAXIS bona amicusf ke nosf abeo adventatum; sappia la nostra buona amica che not siamo arrivate; essete maledicetum culpabilis sia maledetto Il colpevole, chi ci colpa. L’imperativo futuro si usa per ordinare o prescrivere sia le azioni da compiersi non all’istante in cui si parla, ma nel futuro; sia un precetto da seguirsi costantemente o abitualmente. Exerciziuse Corrigete : Ambulabam in viridarfus cum mea soros. 2 - Go ambulabam in plateas, go nanciscivi un amicus meus et go invitavi iddius venire cum ine. 3 - Embassadoris de Potenziase liguata colloquivi se at Paris. 4 - Inimicuse surrendevi se posti nisuse desperata. 5 - Galluse evi- gilao se at soloriens. 6 - Nos omnise affirmabam ke infelixa omos abere dicetum veritas. Quicunqua res tu diceiam aut faceiam per me essebo sempem benem facetum aut benem dicetum. 8 - Sivo tu abio, sivo tu remaneo gof sequibo sempem et ubicunquem te. 9 - Directoris ordinavi: iiam scolarise ad domus. 10 - Matris ordinavi filiuse sua: cram vos non ibo ad scolas quio debebote vos remanere at domus. 1 - Natare, equitare et sketisare esseo utilisama exerciziuse de gimnastica. 2 - Mea infelixa consobrinus Carlo draunavi miseram in una naufragius. 3 - Non possendum sustinere plus longam sua mo ralisa dolorise is draunavi se. 4 - Posti gravisa adversucas accidetum mibis go recubavi tairdama et dormivi un agitata somnus. 5 - Man. ducare esseo necessaria ad omos; sed is debeo manducare per vivere non vivere per manducare. Ques facere? Ire forsitam illikim? Nos putabam de facere benem in mutare senexa abitazios posti gravisa morbus quemis mea soros abebam sufferretum. 8 - Nos es- severim felixama if nos posserem videre te trimmatum cum argerftea numismas. 9 - Abite tu subitom, obsecrom. 10 - Professoris dicevi ad sua discipuluse: cram discebote nova lexios et legebote attentam enarrazios explanatum ab me. Componete et traducete 10 proposizios. Silvatica Feles (continuazios) Dentiseries esseo completa: incisiva dentise esseo parva; caninuse, longa, curva et acuta, esseo bona prensios armase; molarisa den- tise, cuspisata et insecansa, actao infri iddiuse ao bledise de una SINTAXIS f forficis; duo infri iddiuse in quisqua maxillas plus crassa quam al teruse et vocalum ferina dentise, prodesseo cum caninuse avellere et dilaniare carose. Anteriora poise abeo 5 digitus; posterioruse 4, omnise armata cum fortisa recurva unguise, vocatum falculise. Quise, simulim cum ultima falangise ad quemise iddise esseo attaccata, posseo essere retraetum quum animalis esseo restisim, et, sic protegetum, iddise posseo non essere obtundetum. Animalis stendeo iddiuse per adrepere aut per offendere aut per defendere se. At pulpastris de digituse supri quemise Feles ambulao, et eziom at plantase, pellis et subiceta arvinas formao aliqua elastica parva-pulvinuse, quise reddeo incessus de ica feras mollisansa et silenziosa; sic iddis posseo appropinquare non videtum sua victimase in nocturna quies. Feles esseo vocatum digi- tigrada. (Iddis continuao) LEXIOS Usus de Moduse (Finis) Gerundius È il modo che indica il momento in cui si compie un’azione; quando si faceva, o il mezzo di farla. Oltre che col gerundio italiano esso si può tradurre anche con le espressioni verbali precedute dalle congiunzioni co/ e da: .facendum icus, vos... facendo ciò vol, col far ciò voi... go non abeo alterus facendum non ho altro da fare istus non esseo libris legendum cotesto non è libro da leggersi istuse non esseo librise legendum cofesti non sono libri da leggersi Nelle frasi consecutive si ripete: nos non abebam alterus facendum quam indum Quando si vuole indicare un dovere di circostanza il gerundio si adopera molto col verbo abere nei significati essere da, avere a, dover fare una cosa, toccare a, spettare a; e le voci verbali vengono coniugate personalmente: nunc go abeo scribendum adesso tocca a me scrivere, opp. adesso devo scrivere io, opp. adesso ho da scrivere io. 190 — Il gerundio può essere anche aggettivo e allora termina in nda; può essere anche sostantivato e allora termina in ndus: scolastica legenda pensus esseo valdem plus facilisa quam scribendus il compito scolastico da leggere è molto più facile di quello da scriversi. Il gerundio posposto al verbo ire corrisponde alle espres: sioni italiane andare a... seguite dal nome dello sport o seguite dal gerundio: | ire venandum andare a caccia, opp. andare cacciando irè piscandum andare alla pesca, opp. andare pescando Il gerundio del verbo ire, preceduto dall’ausiliare essere 4 uo 0.1 vin SINTAXIS e seguito dall’infinito di un altro verbo significa: averé intenzione di; essere per; stare per: ques esso vos indum facere? che avete intenzione di fare? che pensate di fare? che state per fare? go esseo indum ire illikim cram penso df andare là domani. Il gerundio può anche funzionare da avverbio in frasi avverbiali: isf venivi curtendum e//a venne correndo; is venivi flendum Participius I participi hanno la proprietà di essere anche aggettivi; ed allora terminano in nsa e fa e sostantivi ed allora terminano” in ns e fus. a Come aggettivi i participi fungono -da apposizione, da attributo e da predicato nominale e prendono pure i gradi comparativo e superlativo. Come verbi i participi si costruiscono con complementi oggetti e avverbiali. Presensa Participius Come verbo indica azione in atto di compiersi e spesso si traduce coi pronomi relativi italiani che, il quale, seguiti dal verbo: magistes dansansum maestro che balla makinas suensum macchina che cuce aspicete illa omose ludensum guardate quegli uomini che giocano Come aggettivo indica stato naturale; si usa anche nei nomi composti, come si è veduto, quando indica l’azione che si fa abitualmente: dansansa-magistes maestro di ballo; suensa-makinas macchina da cucire Quando si vuole esprimere un’azione in corso di ese- cuzione il participio si fa precedere dal verbo essere: go esseo remoransum treinus sto aspettando il treno isf esseo oransum in ecclesias; video vos illa omos ambulansum in vostra viridarius ? Quando non vi è un aggettivo speciale per esprimere la natura e la qualità intrinseca o l’uso a cui un sostantivo serve si può quasi sempre usare come aggettivo il participio presente dei vl che hanno un significato corrispondente al nome espresso in Italiano: | fluensa aquas acqua fluente ; ambulansa baculus bastone da pas- seggio ; odoransa salise sali per odorare ; cadensa stellas stella cadente ; suensa filus filo per cucire; requiscensa locus luogo di riposo; venansa abitus abito da caccia ; ambulansa abitus abito da passeggio. SINTAXISO Preterita Participius Come verbo indica azione compiuta dal soggetto: portas esseo aperitum /a porta è aperta, vlenéè aperta — Come aggettivo indica stato naturale o posizione di una cosa qualunque: portas esseb aperita /a porta è aperta, sta aperta, st trova aperta. Bisogna quindi notare mollo bene ciò che il participio indica prima di assegnargli la desinenza. Assoluta Construxios È un modo di dire latinulo che pu? risolversi anche in una proposizione incidentale con durante, mentre, quando, poiché allorchè e simili. 205 -- Per poter fare la costruzione assoluta è necessario che i participi e i gerundi della proposizione secondaria non concordino in nessun modo coi termini della proposizione reggente. La costruzione assoluta si forma col sopprimere tulle l: congiunzioni e col mettere il verbo al gerundio o al participio, pe sposto sempre al nome: tua patris vivendum ) opp. tua Sani vivensum ) rese essebam diversa tua patris moritum ) opp. tua patris abendum moritum ) IESE IUavi le quali cosfruzicni possono anche risolversi in quum tua patris morivi postquam tua patris morivi posti mortis de tua patris rese mutavi Il participio e il gerundio possono usarsi anche da soli. senza nome ed indicare azione: adventatum ad bivius is commoravi per seligere sua vias. Se il soggetto della proposizione assoluta è rapprese! tato da un pronome personale, questo va al nominativo: tu vivendum; gof abitum; is vivensum Questa costruzione può farsi anche coi sostantivi, sol tintendendosi il verbo essere: Cicero consulis opp. quum Cicero essebam consulis Usus de Tempuse Presens, Indica azione che accade e dura nel tempo in du parliamo. 211 — Si adopera: I - nelle sentenze ed asserzioni generali Il - nelle narrazioni animate invece del tempo passato ei ian a | num mn mnn‘nRk_ ‘| 0° dee SINTAXIS - nelle indicazioni di azioni che ricorrono periodicamente nei riferimenti di opinioni e di detti degli scrittori antichi, contenuti nei libri ancora esistenti V - invece del futuro in espressioni in cui precede un altro verbo al tempo presente, quali: go sperao ke nunc vos esseo satisfaceta per fare il sommario di narrazioni contenute nei capitoli e il riassunto di racconti o di drammi. Imperfectus Ì Indica azione che dura nel passato o non ancora finita quando un’altra ne accadeva. — Si adopera: I - nelle narrazioni e nelle descrizioni | Il - nelle indicazioni di azioni che accadevano nel. passato Ill - nelle indicazioni di usi, costumi e caratteri dei popoli IV - per indicare fatti di una certa durata o continuità Proxima Preteritus Indica azione compiuta nel passato, i cui effetti durano ancora in relazione col presente. Questa relazione può avvenire: I - o per la brevità del periodo di tempo trascorso tra il fatto passato e il momento presente: icamanim nos abeo deambulatum; non abeo vos auditum ista rumos ? II - o perchè l’azione dura ancora nei suoi effetti: aliquise abeo scribetum cirki filosofias, aliquise cirki literase, alteruse cirki scienziase o perchè l’azione viene riferita ad un periodo di tempo sia pure lunghissimo e determinato da parole speciali o dal senso del discorso i cui effetti durano ancora: in ica seculus, in ica annus, in ica mensis, in ica oras, in ica minitis uonderosa eventuse abeo accidetum. Perfectus 216 — Indica azione avvenuta nel passato. Si usa per le narrazioni, per l'esposizione cronologica di azioni compiute nel passato. Proxima Pertransitus ; Indica azione già compiuta in effetto ma non in atto, in relazione col succedere di un’altra azione pure passata. Plusperfectus Indica azione compiuta nel passato prima che un’altra azione pure passata fosse compiuta. SINTAXIS Si usa per mettere in rilievo il compimento di un'azione che il Perfectus indicherebbe come in atto. Futurus Indica azione da svolgersi in un prossimo o in un lontano avvenire. Anteriora Futurus Indica azione già compiuta in relazione ad un’azione da compiersi. Entrambi i futuri usansi come nelle lingue moderne, eccetto: I - quando il verbo esprime un’azione da compiersi nel futuro si userà sempre questo tempo, anche se siavi il presente GriLind, cativo: cram abibo domani parto infri tres dies go adventabo fra tre giorni arrivo go facebo iddius if (go) possebo /o farò se posso Il - nelle espressioni in cui l’azione della proposizione secondaria è anteriore all’azione della proposizione principale si deve usare il futuro anteriore anche se siavi il futuro semplice: quandom go essebo adventatum (go) scribebo tibisf quando arriverò ti scriverò IIl - le espressioni in cui l’azione principale è anteriore alla se- condaria si rendono con due futuri anteriori, anche se siavi il futuro semplice : quandom vos essebo adventatum vostra patris essebo moritum quando arriverefe vostro padre sarà morto Exerciziuse I Corrigete : 1 - Go admoneo te, cara filius mea, Hi icus facendum vos per- debo estimazios de tua professorise. 2 - Multa venatoris ivi venandunr vulpese et lepus, et nes occidevi multa. 3 - Nunc nos finindum abeo icus laboris difficilisa. 4 - Nos esseo ire indum teatrus icavespim, sed nos non io, if uetris essebo mala. 5 - Parentes amansa filiuse essebo bona civise. 6 - Legetum libris ab me erim contineo multuse precepziose utilisa. 7 - Revius quis legebam mea consobrinusef esseo dirigeta ab una illustrisa professoris. 8 - Nos omnise nondecideta essebam supri quoddis facendum abebam. 9 - At stazios nos essebam remoransa soma consanguineuse nostra quis adventabam ab Roma illa manes. 10 - Dominusf abebam in eia marsupius travelansa un para fialas de salise odoransa. au ndir: sati alla & utt” [um SINTAXIS Quasom omnisa venatorise utio soma venansa abituse facetum cum velvettis et soma gami-marsupiuse. 2 - Dum soldatuse certabam, , lostra matrise, uxorise, sorose et desponsatusef orabam proi lius. 3 - Seneca diceo: per discere aom vivere ite et consultate tu mortuuse. 4 - Nos putao ke nunc vos esseo contenta, quio bellus esseo finita. 5 - Mea fratrise et go legebam una pulcra libris, sedeta iuxti stovis, dum pluebam. 6 - Erim go ivi ad mea villas, prendevi soma flose, deambulavi dium ; posteam go nanciscivi soma amicuse de meuse et 4 silatusavi cum lius. 7 - Nos abebam iam acquirelum ica stoffis, quan- dom tu muneravi illa abitus nobis. 8 - Go essebo bona; go studebo; go facebo sempem mea diutis, diceo pueris quum is esseo punitum ab sua parentes. Quum tuf essebo adventatum non obliviscite tuf telegrafare mibisf. 10 - Quandom vosf abe » telegrafatum isf essebo iam adventatum. . | HI Componete et traducete 10 proposizius, Traduxios Silvatica Feles (finis) Feles sepem incedeo saltusim. Per flingare se anteam iddis talusao se et incurvao sua dorsus, posteam iddis streitenao et stendeo se nitindum fortisam supri posteriora artuse, quise elabio instari sprin- guse. Sua pilormus esseo softa et ticca, pauca-rubra cinerea cum nigra striase, pauca-fulva supri ventris; caudas esseo anulata cum nigrus et abeo nigra acies. Felesef parturio compluresa filiuse in unuses; iddisef adlactao iddiuse cum abdominalisa mammillase, iddisef defendeo iddiuse strenuam; quum iddisef timeo per iddiuse, iddisef portao iddiuse ad secura locus, arripendum iddiuse delicatam cum lostra dentise. Aom nos abeo innuetum iam, Feles esseo una carni- vora predos. Iddis abitao solitariam nostra forestise. In pauca Jus de :‘’ crepusculuse aut in obscuritas de noctise iddis faceo strages de lepuse, de minora mammiferuse et de avise; idcirco iddis esseo molesta competitoris cum venatorise. Iddis esseo una feroxam indolesim animalis; quum iddis esseo irritatum, iddis rufflao sua piluse, incurvao sua : dorsus tollendum se supri sua poise, plicao sua aurise, contraendum : sua labruse iddis monstrao sua dentise et sufflao fortisam. Sua vocis : esseo vocatum eiulazios. Ad tempus de nupzies iddis emitteo craise, ‘ aulise et lamentuse quise luccao umana. Infri animalise affinisa ad : Feles per lostra formas et mose, et vocatum ao iddius “ felina ”, terem esseo eziom Leos, Tigris, Panteras, Leopardus, Lincis, Guepardus, Giaguaris, et Pumas, aut Americana leos, SINTAXIS LEXIOS Abere Come ausiliare abere serve per la coniugazione dei tempi composti. Come transitivo si usa per indicare il possesso ed è sinonimo ‘di possidere in molti casi: tu abeo una morbus; tu abeo una domus; tu possideo una domus: ma non posso dire: tu possideo una morbus. 226 — Si usa nelle espressioni adere ao avere per, stimare come: go abeo iusf ao magistesf; go abeo vos ao mea patris. Come ausiliare ESSERE serve per la coniugazione passiva. Spesso è seguito dal predicato nominale. Come intransitivo si usa per indicare l’esistenza ed in tal caso è sinonimo di existere: Deus esseo; opp. Deus existeo; go esseo; opp. go existeo. — Col nome o pronome al caso dativo usasi: 1 - per indicare il possesso: una libris esseo ad Tizius; una domus esseo mibis. II - per indicare: essere di, riuscire di, ridondare o tornare a: illa rese essebo tibis advantagiosa Le espressioni possessive essere de o pertinere ad si usano nel senso di essere di, oppartenere a, quando dopo di esse segue un sostantivo; se poi segue .un pronome, essere vuole il pro nome possessivo: illa libris esseo meus; e pertinere vuole il pronome al caso dativo: il'a libris pertineo mibis. Le espressioni composte semplicemente dal predicato nominale si rendono con é o è da: iddis esseo stulta facere icus, opp. facere icus esseo stulta; opp. facereis icus esseo stulta. Le espressioni essere compelletum, propelletum e simili si rendono co..: vedersi costretto, trovarsi spinto, sentirsi indotto. vedersi perduto. Si usa inoltre nelle espressicni: essese unus de mea, tua, sua, amicuse, inimicuse, consangul neuse, ecc. Facere seguito da un sostantivoViene usato nel senso materiale come fare, costruire, creare, formare, ed anche nel senso morale come fare, agire, effettuare. in altri casi si traduce con i verbi creare, componere, É producere e simili, a seconda l’idea che indica. Spesso il verbo facere non è espresso integralmente ma è reso col verbo che esprime oggettivamente l’azione esplicata: SINTAXIS ed allora esso viene tradotto con speciali locuzioni idiomatiche tutte delle varie lingue moderne: ambulare duo kilometris fare due km. a piedi, balneare fare un bagno, bagnarsi, calidare far caldo, commodare attenzios fare attenzione, complimentare faure complimenti, despectare fare dispetto, indispet- tire, encuragiare far coraggio, incoraggiare, facere aliquis cerziora far noto ad alcuno, rendere alcuno consapevole, formidare far paura, impourire, graziasagere fare ringraziamenti, ringraziare, illucescere fare giorno, farsi giorno, reddere omagis fare omaggio, silatusare fare colazione, silere far silenzio, zittire, testimoniare far testimo- nianza, testimoniare, velificare far vela, veleggiare, vesperare Jar sera, farsi sera, visitare fare una visita, visitare. Quando nel verbo c'e l’idea di un effetto materiale al- lora si rende con facere: facere una deambulanzios fare una passeggiata, facere una plesciuris fare un piacere, facere una servis fare un servizio, facere inventarius fare l’inventario, facere testamentus fare testamento. Alle volte si rende col verbo della medesima radice del sostantivo: bellare bellus far guerra, bettare una bettis fare una scommessa, enarrare un enarrazios fare un racconto, querere una questios fare una domanda, vivere una vitas fare una vita, e così via. 240 — Quando indica la professione, il mestiere e simili si rende con essere: essere professoris fare il professore, essere fali- gnarius fare il falegname. Ma se indica le contraffazione della professione, del mestiere e simili, allora si rende con facere: Quoddis faceo vos, professoris, cum ista ligos in vostra manus ? Go? Go faceo agricolas. Altre volte si rende a seconda l’idea precisa che vuole esprimere: pronunciare una sermos fare un discorso (a voce) legere una sermos ,, , è (leggendolo) scribere una sermos ,, ,, i (scrivendolo) abere una sermos ,, , > (in generale). Facere seguito da un verbo Viene usato nel senso di causare, costringere, forzare, ordinare, procurare. Le frasi che seguono questa costruzione possono essere attive o passive. 245 — Se sono attive il soggetto del secondo verbo viene si- luato subito dopo la voce del verbo facere, e poi si fa seguire l’in- finito del secondo verbo: ‘go facevi pueris legere feci leggere il ragazzo, feci, causai, ordinai, procurai ecc. che il ragazzo leggesse; tu facevi tres omos venire facesti venire tre uomini, opp. facesti, causasti, costringesti, forzasti, ordinasti, procurasti, che tre uomini venissero. 246 — Se le frasi sono passive l’infinito del secondo verbo viene situato subito dopo la voce del verbo facere: go facevi legere literas feci leggere la lettera, feci, causai, ordinai, ecc. che la let- tera fosse letta; tu facevi ferrare equuse facesti ferrare i cavalli, opp. facesti, ordinasti, ecc. che i cavalli fossero ferrati. | pronomi vanno regolarmente situati secondo l'ufficio che fanno nella frase: isf faceo me ridere ella mi fa ridere; go fa- cevi iusf flere /a feci piangere; is facevi sepelire iusf /a fece seppel- ‘lire; go facebo arrestare iusf /a farò arrestare. Le voci riflessive del verbo facere si formano regolarmente: go faceo respectare me; tu faceo respectare tef; ecc., e Si rendono con le varie voci riflessive Farsi. Con alcuni verbi che indicano azione abituale il verbo essere viene reso col verbo fare: go esseo scevatum duo-es una eb- domadas mi faccio sbarbare due volte la settimana. Il verbo causore si rende con far venire, nel senso di causare, cagionare e simili: carburus odoris causao mibis capus ekis; opprimereis populuse causao revoluzios. Le espressioni: facere videre se, facere invenire se, fa- cere precare se, equivalgono alle espressioni idiomatiche italiane: farsi vedere, farsi trovare, farsi pregare. Espressioni idiomatiche: facere amendis fare ammenda, facere benem fare bene, facere malem fare male, facere bonumis fare il bene, facere malumis fare il male, facere bellus aut pacis fare guerra o pace, facere bisnise fare af. fari, facere cum fare di, fare con, facere raitam fare bene, agire bene, facere rongam fare male, agire male, facere ke fare che, fare in modo che, facere mea, tua, sua possibilis fare ‘/ possibile (to, tu, egli), facere sinim fare a meno, far senza, facere sunum fare presto, facere un exercizius fare un esercizio, facere una favoris fare un favore, facere una grazias fare una grazia, facere una nisus fare uno sforzo, facere una selexios fare una scelta, fare la scelta, rai tare fare giustizia, essere giusto verso, rongare fare torto, essere Inglusto verso. aliqua res abere ‘ nils ‘ facendum cum iddius aut in iddius I paucam ) ‘averci qualche cosa, niente, poco che fare, che vedere; ingerirsi, ‘mischiarsi. | ri ei SINTAXIS Exerciziuse Corrigete Una amicus mea possideo un mala morbus. 2 - Illa consi- lius essevi ad tibis damnosa; sic daddis essevi compelletum dicere sua filius. 3 - Érim go facevi duo kilometrise et ezio balneavi in flumes. Quoddis vos faceo doctoris cum lista secas in manus | vostrus? 5 - Gof me faceo respectare sempem; et vosf? 6 - Tuf tef facevi precare nimiam antim cantare illa romans pulcra. 7 - Vos malem faceo ire illikim et posteam penitebo amara. 8 - Pluvias faceo crescere fructuse et solis faceo matura iddius. 9 - Los facebam lostra plantase aquare posti solcadens sic los non flaccescebam. Tu faceo ridere me quandom diceo mibis ke velleverim essere regis. Il 1 - Cram tu facebo una deambulazios, nonnem? Si. Sed go facebo inventarius de mercise in tua negozius. 2 - Ilia domus per- tinec mibis et illa alterus eziom; sed illus quis esseo in dimidius esseo tuus. 3 - Ista iuvenis esseo unus de mea amicuse, et illus unus de mea inimicuse. 4 - Facete mibis una favoris: postisate ica literas at stazios, quio iddis esseo pla 5 - Abebam isf forsitam aliqua res facendum in illa omicidius? 6 - No, Dominusf, isf abebam nils facendum cum iddius. 7 - Facele mea automobilis venire crammanim, et vostra carrucas icavespim. 8 - Go facebo punire quivis disobedio ica ordinazios. 9 - Icus esseo una makinas de una delicatama con- struxios; et go putao vos faceverim benem facere construere iddius in New York. 10 - Vos abeo facetum me spendere nimiam. No, mea cara amicus, non abeo essetum go is'quis abeo facetum te spendere niniam, sed mea fratris. Componete et traducete 10 proposizios. IV Traduxios Leos ab Webster, LL. D. Un Americana Lexicos de Ingliscia Linguas Editoris: Conkey Company, Chicago (U. S. A.) Leos abeo crassa capus circumdata cum longa et ticca comas de fulva colos, quis tegeo iddibis anteriora partis de. corpus. Leosf SINTAXIS abeo capus minora et iddisf esseo carensa comas. Sua caudas esseo longa, smuta, terminansa cum una floccus de piluse, fortisama. Sua aspectus esseo nobilisa; sua incessus stetla; sua rugitus tremenda. Americana Pumas et Giaguaris ab Nova Enciclopedica Atlas et Geografica Lexicos de Mundus Editoris: P. F. Collier & Son: New York Carnivoruse de Nova Mundus esseo inferiora in magnitud»s, strengas et ferocitas ad illuse de Asia et Africa. Invici leos, America abeo minora et minus potensa Pumas. Tizris de Sud Asia esseo re- presentatum ab Giaguaris, maximam potensa'de Americana carnivoruse, Quatuor varietas de leose occurreo: illus de Nord Africa; illus de viciniase circumi Senegal; illus de Sud extremitas versi Orange flumes et illus de Asia. LEXIOS Specialisa Usus de Aliqua Verbuse Possere Quire Possere esprime potere assoluto o capacità materiale di fare un’azione, la quale capacità risiede nelle forze del soggetto, ed equivale ad: essere capaxa: tu posseo spendere quio tu esseo divesa; go possebam vindicare mea offensios Quire esprime potere relativo, o facoltà di fare un’a- zione; usasi nelle frasi che esprimono augurio, convenienza, dubbio, eventualità, imprecazione, obbligo morale ed equivale ad: essere pro- babilisa: © vos quio essere secura de mea fidelitas vostra bisnise quiverim ire melium Nei casi dubbi, in cui non si può proprio vedere chia- ramente la differenza di senso usasi possere. 256 — L’avverbio non, premesso ai detti verbi nega recisa- mente l’azione; posposto, invece, indica una eventualità negativa: go non posseo venire; go posseo non punire, sed go posseo eziom punire. i Il futuro di quire, quibo, equivale anche alle espres. sioni italiane dubitativè: sard, potrà essere, può darsi che, è pro. babile che, e simili: iddis quibo essere aom vos diceo. - Debere Oportere Necessere Niddare Debere indica: dovere, bisognare, dovere assoluto, imposizione di volorità ed equivale ad: essere obbligatum aut cogetum. Oportere indica: bisognare, esser d’uopo, essere con- veniente, dovere di circostanza, convenienza, accordo, appuntamento, Necessere indica: essere necessario. TE i.—rr_ÒùÀùÒÀAmauamo__t1n1n0n0nknh1l(q@2020@mkÒ8@ò—tm nm —rr.Ui‘d’eoee‘ ooo _0_e"t0@4o W6——nmn0Tc_0—o _ rbm&—m—_EE-@- rsu i i@@—Liimieilmii cei Gi) | i Vi i SINTAXIS Niddare indica: aver bisogno di... Questi verbi si coniugano sempre personalmente, ed in italiano spesso si rendono con altra costruzione, composta dagli stessi verbi ma col pronome al caso dativo; o costruendoli anche im- personalmente. Le circostanze più o meno impellenti a parere dello scrittore guidano alla scelta di ciascuno di essi: go debeo ire debbo andare, bisogna ch'io vada (assolutamente) go oporteo ire debbo andare, se è conveniente, se è d’uopo go necesseo ire debbo andare, se è necessario ch’lo vada In italiano i detti verbi possono anche render.i imper- sonalmente : go debeo ire, tu debeo ire, is debeo ire, bisogna andare, si deve andare 265 — Se il verbo all’infinito è transitivo ed è seguito dal com- plemento è meglio usare la forma passiva: ‘ frumentus necesseo essere metetum Alle volte può usarsi anche il gerundio seguito dal verbo essere: frumentus metendum esseo Quando i detti verbi indicano un senso astratto vo- gliono il soggetto unus: unus debeo studere per essere estimatum Il verbo dedere, nel senso commerciale o morale di essere debitore di, con o verso, va col dativo: go debeo vobis mille liras; go debeo ad tua medicus mea salus La forma impersonale /ddis debeo abere, seguita da un participio passato si può rendere in italiano col perfetto o col pas- sato prossimo del verbo dovere, quando indica la conseguenza di una premessa espressa o sottintesa: iddis debeo abere grandinatum la dovuto grandinare Debere traduce anche alcune frasi imperative col verbo andare: Panama pileus debeo essere lavatum cum specialisa aciduse. Vellere Desiderare Vellere indica: volere, volontà assoluta. Desiderare indica: volere, desiderio, piacere.Le espressioni verbali del desiderio si rendono col con- dizionale: omnise velleverim essere felixa. Le espressioni come la seguente: go velleo vius dicere veritas si rendono in italiano cof che seguito dal congiuntivo: voglio che diciate la verità. Se poi trovasi la congiunzione Ke e il passivo allora la forma passiva si applica al congiuntivo italiano: go velleo ke mea patris esseiam respectatum. Le espressioni: velleo vos me, nius? ecc. seguito dal- l'infinito si rendono con: volele che io, che noi? ecc. seguite d@al congiuntivo: velleo vos me legere literas? volete ch'io legga la lettera? velleo vos nius ire domus? vo/ete che andiamo a casa? e" SINTAXIS Exerciziuse I Corrigete: | Tu possebo emere illa villas quum tu esseo dives. Nos debeo nostra parentes nostra vitas. Go possebam reicere ica tur- bulenta operariuse. Ad agricolas oporteo colere umus per ripere messis bona et abundansa. 5 - Nos non quibam putare ke tu aberem essetum egrotus. 6 - Go niddao de te, bona amicus mea. 7 - Patris vostra posseo essere secura de mea affexios. - Nus debeo abire cram quio nostra matris esseo remoransa nos. 9 - Mea amicus pos- sebo venire cram ab Roma. 10 - Vos vellebam legere illa literas ke continebam multuse secretuse, sed nius non permittevi iddis. II 1 - Go desiderao manducare caros cram et poscram. 2 - Aliqua mulierise desiderao sempem soma pulcra vestise et giuellise. 3 - Tu velleverim essere divesa. - Professorise vellebam nius studere om- nisa lexiose. 5 - Velleo tu me ire ad teatrus? 6 - Virtuosa matris debeo educare filiuse benem. 7 - Vellebo daddis nius emere ista domus? Nos debeo amare et auxiliare nostra parentes. 9 - Nos velleo ica tlose essere colligetum. 10 - Nos velleverim essere felixa, sed per consequire ica metas nos debeo superare omnisa adversitase de vitas. Componete et traducete 10 proposizios. Traduxios Adamas ab Doct Altredo Bordî: Botanicas et Mineralogias Adamas esseo maximam preziosa gemmas quis esseiam noscetum. Iddis scioao vitrosa aspectus, quamobro iddis esseo imitatum cum spe- cialisa qualitase de vitrus (strass). Quum iddis esseo pura iddis scioao se in transparensa et sini colos cristalluse, quise sepem abeo curva faciese. Sua maximam communisa formas esseo illus de una poliedrus limitatum ab 48 scalena triangularisa facies. Adamas esseo maximam dura infri osmnisa corpuse et idcirco iddis formao X semplis de durizies skeles. Iddis esseo quonio valdem fragilisa et esseo rumpetum facilisam quum iddis cadeo aut quum iddis esseo comprimetum aut percutetum. Adamas esseo formatum cum pura carbonius. Sua pregius consisteo in essereis valdem refrangensa, videlicem splendensa cum vivaxa co: lose sub axios de lus; in essereis inalterabilisa et rara. Adamas esseo ì eni Î] i Lr SINTAXIS in Sud Africa et in Brazil; iddis esseo recolligetum in sabuluse et glarease de torrentise, quom iddis essevi transportatum ab aquase. Sua sumptus esseo valutatum caratusim, quise correspondeo cirkim ad V partis de uno grammas. Per augmentare iddisa splendoris, iddisa naturalisa frustuse esseo cooperitum cum numerosa parva-faciese, quise esseo obtinetum cum essendum comprimetum et consumetum contri calibea discuse, quise turnao rapidam in un orizontalisa pleinis. Ceumo Adamas non esseo scabetum ab aliqua altera corpus, discuse esseo necessariam illinetum cum pulvis, oblinetum cum oleus, de idema mineralis. Limpida Adamase esseo adibetum per facere giuellise; tur- bida illuse per insecare vitrus, per scribere supri ica ultimus, et friatum, per laborare dura petrase. X LEXIOS Advocare Deessere Deficere Occurrere Advocare indica: impiegare, volerci, nelle espressioni di impiego o mancanza di tempo: 1, 2, 1000 oras, dies, annus, seculus advocao per... ci vuole, ci vo- gliono...; terras advocao uno annus per turnare circumi solis. Deessere indica: volerci, mancare: tres sovrenis deesseo per completare summas Deficere indica: volerci, mancare, nel senso sottinteso di: altrimenti non bastano: tres dollaris deficeo per pagare illa omos. Questi tre verbi si costruiscono personalmente ed im- personalmente: treinus advocao 4 dies ex New York ad San Francisco iddis advocao 4 dies ad treinus ex New York ad San Francisco I pronomi vanno al caso nominativo nella costruzione diretta, e al caso dativo nell’indiretta: go advocavi 5 dies aut iddis advocavi mibis 5 dies m/ ci vollero. Occurrere indica: occorrere, ed è transitivo: nos occurreo mille sovrenis ci occorrono mille sterline. Il verbo occurrere, seguito dall’infinito, si rende in italiano con: occorre che, è necessario che, seguito dal congiuntivo: vos occurreo ire, occorre, è necessario che andiate. Volendo dare alla frase la forma impersonale si deve dire: iddis esseo necessaria per vius ire Stare Essere Abere se Remanere Stare, indica: stare in piedi, stare eretto, stare fermato, ed è contrario di sidere. ESSERE (GRICE: IZZING) Essere indica: stare, essere. ABERE (GRICE: HAZZING) se indica: stare, stare in salute. ln questo senso abere vuole sempre in accusativo il pronome personale di cui si domanda lo stato di salute, e nelle interrogazioni non vuole il soggetto pronominale : aom abeo te? come stai? aum abeo vius? aom abeo viusf? aom abeo se vostra matris? aom abeo se vostra soros? 288 — Remanere indica: stare, rimanere, restare, trattenersi: remanete mecum una paucus plus dium, fraffehetevi meco, state meco, restate meco ancora un po’, un po’ più a lungo. Le espressioni: iddis' esseo meus, tuus, suus, eius, 0 iddis esseo de... seguite dal nome e dall’infinito solo, o con altre parole equivalgono alle espressioni italiane: sta a me, a te, a lui, ecc. Accidere Evenire 290 — Accidere indica: accadere, avvenire, succedere per caso. Evenire indica: accadere, avvenire, succedere per con- seguenza di cose. . 292 — Sono impersonali e personali: Quando è specificato il nome o il pronome reggono il dativo: ques accideo iddis: che c’è? Quoddis evenivi? che avvenne? ques accideo vobis? che avete? che vi è successo? ques evenivi vobis? che vi succedette? (dopo una pre- messa) Nils. Tangere Obtingere Tangere indica: toccare, palpare. Obtingere indica: toccare a..., toccare in sorte, spet- tare a..., e regge il caso dativo: | go tangco libris; libris obtingevi mibis equus obtingevi tibis sed equusf mibis 295 — Le locuzioni: iddis esseo mea, sua diutis, seguito dal. l'infinito, oppure dal de seguito da sostantivi e dall’infinito si rendono con: tocca a, spetta a, nel senso di: è mio, tuo, ecc. dovere...: iddis esseo tua diutis servire tua ona patrias iddis esseo diutis de fortisa iuvenise servire lostra ona patrias 296 — Quando toccare a..., spettare a... indicano un doyere di circostanza vanno tradotte col gerundio e il verbo abere, come si è già detto. Servire Prodessere Ciatissare Utire — Servire indica: servire, prestar servizio a, far servizio a... milese serviv lostra ona sovranus fidelisam mea fratris servibam in 36a regimentis de artilleris 258 — Prodessere indica: servire a, essere buono a, essere utile a, essere di uso per: go non velleo iddius, quio iddis non pro- desseo me. Quoddis prodessebam flere ? 299 — Ciatissare indica: servire a tavola Ciatissare se cum servirsi di (cose da mangiare o da bere) ciatissate vius dominuse cum vuoddis vos desiderao servitevi signori di ciò che volete SINTAXIS Utire indica: servirsi di, usare, valersi di, adoperare: vos posseo utire mea automobilis potete servirvi della mia automobile. 301 — Servire si adopera anche con speciali locuzioni: iddis non serviverim mea propositus vendere frumentus nunc non mi converrebbe vendere il frumento adesso - icus servio mea, tua, sua propositus, ecc. questo fc per me, per te, eccc. Fxerciziuse I Corrigete : 1 - Duo orase deficeo ad meridies. 2 - Una noctis deesseo per ire ab Bari ad Roma. 3 - Pauca dies deficeo per finis de annus sco- lastica. 4 - Bona dies, amicus mea cara, ao abeo vos? Et ao abeo tua matris et tua soros? 5 - Iuvenis dissoluta non ciatissao nec sua familias nec societas. 6 - Vos posseo prodessere vius cum illa cibuse quis vos desiderao. Erim go obtingevi ica pulcra libris de gerrese et de novelise. 8 - Quio esseo tu sic tristisa? Ques abeo accidetum te? 9 - Iddius non servio nostra propositus vendere ica viridarius quemis esseo tam pulcra. 10 - Vos posseo ciatissare vius cum mea ciatus quis go abeo emeta giustim nunc. Il 1 - Duo annus advocao ut mea fratris gottaiam sua diplomas. 2 - Go velleverim gottare un abitus, sed go deficeo quinqueginta liras per assequire summas. 3 - Illa paupera familias occurreo mille liras per pagare una cekis et una billis. 4 - Tu occurreo ire cram ad sco- las, quio professo1is dabo una classis exercizius. 5 - Remanete mecum una paucus plus dium, quio vostra consorzios esseo valdem gradita mibis. 6 - Iddis esseo de magistes kippare disciplinas de scolarise. Erim una gravisa reilueisa disastris accidevi in nostraiurbis. 8 - Tu posseo utire mea biciclis per ire intomi contris. 9 - Ica domus servio realisam mea propositus. 10 - Iddis non serviverim mea pro- positus emere illa pianofortis nunc, quio iddis esseo nimiam cara. HI Componete et traducete 10 proposizios. IV Traduxios Mundus anti Creazios de Omos ab Camille Flammarion, traducetum ab Doct. Diego Sant'Ambrogio Editoris: Società Editrice Sonzogno, Milano (Italia) Giurassica Periodus Dum marise essebam sulcatum in omnisa direxios ab gigantea ittiosaura, plesiosaura, pliosaura, notosaura reptilise, cuiuse nils de 126 SINTAXIS actualisa naturas posseo dare nobis minima ideas, nos dicebo cum Dom Sauvage, dum supri continentis dinosauruse regnabam sovranam, maximam curiosa forsitam quam omnisa animalise quemise antiqua etase abeiam transmittetum nobis, ezio celuse essebam populatum cum non minus stranea binguse, nec avise, nec reptilise, quise scioabam curiosa caracteris de essere simultaneam avise carensa pennase et armata cum dentise, et reptilise cum calida sanguis, quise posseo nec natare nec ambulare. “ Propriam illuse esseo draconis de fabulas; et maximam infrenisa imaginazios non posseo filiare, in sua maximam audaxa impetuse, una monstrus collexios, quise non abeiam vivetum in giurassica epocas., (1). (iddis continuao) LEXIOS Gottare si adopera come transitivo e come intransitivo. 303 — Come verbo transitivo, seguito dal nome o dal pro- nome in caso dativo significa: avere, venire in possesso di, procurare procurarsi: populus gottavi totus is vellebam mea amicus, gottate mibis illa libris ex libellios tu abeo gottatum una bona castigazios per tua indolenzias ques gottabam vos in vostra manus? Come verbo intransitivo, seguito dall’aggettivo, dal par- ticipio passato e dall’avverbio significa: diventare, passare allo stato di; ed in questo caso è quasi sinonimo di flerire: quatuor omos gottavi dronca { quattro si ubbriacarono bibete vostra coffis, non facete iddius gottare frigida aom gottavi vos noscetum cum ius? Come faceste la sua conoscenza? iddis esseo gottansum serom, ite nos sf fa fardi, andiamo — Come verbo intransitivo, seguito dalla preposizione e dall’avverbio esprimente posizione oppure movimento significa moto accompagnato da difficoltà od ostacolo e si traduce con quel verbo italiano che rappresenta l’idea del moto contenuta nella preposizione o nell’avverbio: quum treinus commoravi nos gottavi daum et passengese gottavi op non gottate in viridarius — Come verbo transitivo, può anche essere seguito dal- l’avverbio e dalla preposizione; allora è necessario che il complemento oggetto segua subito il verbo, e poi venga l’avverbio e la preposizione: isf cadevi intomi fossas et cum difficultas nos gottavi iusf extrim posseo tu gottare ovri illa murus? si, sed go non posseo gottare mea equus ovri iddius Contejian: “ Elementuse de geologias et paleontologias ,. nos SINTAXIS Nel senso di: pervenire o arrivare a... gottare usasi anche innanzi a verbi come i seguenti: gottare amare, gottare essere, gottare placere, gottare scire: is gottavi essere prima omos de sua tribus if vostra matris gottao scire ke tuf abeo itum illikim ques dicebo isf? vos abeo gottatum amare iusf quio isf esseo nimiam bona et virtuosa 8 — Diamo un elenco di locuzioni molto comuni col verbo gottare : i gottare ad arrivare a, gottare benem ristabilirsi (salute), gottare di- vesa arricchirsi, gottare engrisa andare in collera, gottare frigida farsi freddo, raffreddarsi, gottare in entrare, gottare intom entrare, penetrar dentro, gottare macra dimagrare, diventar magro, gottare noscetum fare la conoscenza, gottare ondrim mettersi sotto, gottare ovrim superare, passare per sopra, gottare peium peggiorare, got- tare ponim mettersi dalla parte di dietro, gottare ‘poruordim avan- zarsi, farsi avanti, gottare punitum essere punito, gottare serom farsl tardi, gottare suprim mettersi sopra, gottare uisim mettersi alla parte di dentro, gottare alba imbianchirsi, rischiararsi, gottare daum scendere, venir giù, gottare draunata annegarsi (per accidenti), gottare extrim uscire, gottare illikim arrivarci, gottare informatum essere informato, gottare longim svignarsela, gottare melium miglio- rare, gottare obscura oscurarsi, farsi oscuro, gottare op /evarsi, montar sù, gottare paupera impoverirsi, gottare pinguisa ingrassare’ ingrassarsi, gottare porrim mettersi dalla parte di avanti, gottare- promovetum essere promosso, gottare senesa invecchiarsi, gottare simulim riunirsi, raccogliere, gollare transversim fraversare, giungere alla fine. Verbuse cum Possessiva Adiectivuse Molti verbi intransitivi quali surrendere, abstinere, ge- nibusare, querire, penitere corrispondono rispettivamente alle voci italiane arrendersi, astenersi, inginocchiarsi, lagnarsi, pentirsi, i quali verbi, pur-non essendo riflessivi si coniugano con le particelle pro- nominali mi, ti, si, ecc. in italiano. Molti altri verbi seguiti da aggettivi possessivi si ren- dono in italiano anche con le particelle pronominali corrispondenti alle varie voci possessive: tu rumpevi tua crus fl rompesti (a gamba is rumpevi sua crus s/ ruppe la gamba isf fasciavi nostra vulnuse cì fasciò le ferite go vittavi mea oculuse mi bendai gli occhi — Vi sono inoltre in latinulo moltissimi verbi che sono transitivi, mentre in italiano non lo sono, o sono seguiti dalle RIFDO sizioni. Ne diamo un elenco di alcuni: adversare opporsi a, adimplere adempire a, aspirare aspirare a, co- gitare pensare, pensare a, congratulare congratularsi con, consentire- consentire a dedignare avere a sdegno, equare pareggiare a,.uguagliare a, iuvare giovare a, merere rattristarsl di o per, obedire ob: bedire a, olere aver odore di, mandare odore di, odorare di, piacere far piacere a, resipere aver sapore di, sapere di, sectare andare dietro a, cercare di ottenere, anelare anelare a, attendere affendere a, bau- bare abbaiare a contraire essere contrario a, conquerire lagnarsi di, dolere dolersi di, effugere sfuggire a, gemere gemere dio per, inire entrare In carica di, miserere far compassione a, orrere avere in orrore, avere orrore di, potire impadronirsi di, reformidare aver paura di, paventare, ridere frovar da ridere su, sitire aver sete di, utire far uso di, servirsi di. Exerciziuse I Corrigete : 1 - Gottate ad me mea baculus; vos invenibo iddis poni ostius de mea cameras. 2 - Furisf essevi videta, sed is gottavi seposti sini essere agnoscetum. 3 - Is gottavi valdem engrisa quandom essevi informata de quis essebam accidetum. 4 - Dum is ambulabam supri scopuluse, cadevi et gottavi draunatum. 5 - Go esserem valdem obli- gatum ad vobis if vos posserem gottare me una copias de icus la. boris. 6 - Quum inimicuse essevi sorprendeta in eia latibulus lius ‘surrendevi. 7 - Vos anelabam ad glorias, et tandem vos abeo gottata . iddis. 8 - If vos non io intomi contris vius non gottabo nunquam benem. 9 - Aom abeo se vostra fratris? Benem, is esseo gottansa sempem plus pinguis. 10 - Cancellus esseo nimia stricta; carrucas non posseo gottare in. Il 1 - Nos abeo gottatum nils in domus giustim nunc, sed vos posseo gottare quoddis vos desiderao ex restorantis ikim circum. 2 - Vos debeverim nunquam gottare engrisa sini una seria razios. 3 - Alberto, gottate tu mibis mea altera calceuse; icuse esseo nimiam levisa; viase esseo spurca et balneata. 4 - Quandom vos abeo got- tatum ovri prima difficultase tota reliquus essebo facilisa. 5 - Go ad- versao tua principiuse quio iddise esseo diversa ex meuse. 6 - Cum multa difficultas pomperise gottavi equuse extrim de stabulus priusquo fumus asfixiarem iddiuse. 7 - Go mereo mortis de tua paupera mam- mas. Isf essebam un optima mulieris. 8 - Quesa prezius putao vos go posseverim gottare per ica senesa carrucas? Forsitam vos posse: verim gottare 400 liras. 9 - Nos omnise debeverim orrere vizius quio iddis brutesceo nostra animus. 10 - Is gottao engrisa quum aliquis loquio isbis de eia salus, sed infortunitase forsitam facebo ius got: tare uaisa. Componete et traducete 10 proposizios. SINTAXIS Traduxios Mundus anti creazios de Omos (finis) Iddis non esseo solam per sua magnitudos ke classis de rep- tilise annunziabam sua preeminenzias in antiqua tempuse; iddis éssev eziom per varia et plus singularisa formas de illa magnitudos quemis iddis assequivi nuncodiem. Eccem aliquise infri iddiuse, quise volabam non cum lostra costese ao draconise, nec propteri uno alas sini di- stingueta digituse, ao illus de avise, nec propteri uno alas, cuia polles solam abeverim essetum libera, ao illus de vespertiliose, sed propteri uno alas principalisam sustinetum supri uno valdem protraeta digitus cummo alteruse abebam conservatum lostra ordinaria longitudos et lostra unguise. In idema tempus, ica volansa reptilise, quasom con- tradictoria denominazios, abeo una longa collus, un avis billus, omnis tandem quis debebam dare iddibise un eteroclita aspectus. Ica stranea animalise esseo pterodactiluse. LEXIOS Verbuse cum Indeterminata Pronomese ao Subiectus 312 — Il pronome indeterminato italiano “ si” corrisponde a parecchie locuzioni: | I - ad unuso aliquis in un senso astratto e senza rapporto a nes- suna persona determinata; nelle massime morali; nelle verità universali: unus non posseo essere sempem felixa non si può essere... Il - a gentis in un senso meno universale, ma non restringibile a persone determinate: gentis sufferreo paucam duransi iemis in Italia si soffre poco... III - a los in un senso restringibile ad alcune tali persone: los expectao regis icavespim si aspetta... - ai pronomi soggetto se la persona che parla o a cui si parla è inclusa nell’azione: ques possebam go, tu, is, etc. facere? che si poteva fare? V - alla forma passiva che si usa moltissimo, anzi è l’unica da usarsi in tutti quei casi in cui il senso della frase è dubbio: go essevi ordinatum facere iddius m/ si ordinò... tu esseo putatum abere dicetum icus fi s/ crede di aver... multa vinus esseo bibetum in Italia si beve molto... Tizio, quis, aom is essebam putatum... 7/zio, il quale, come si... | verbi esprimenti operazioni mentali si costruiscono comunemente con la forma impersonale : iddis esseo timetum ke isf moribo iddis esseo expectatum ke quisques daiam aliqua res (1) G. Cuvier: © Disquisizios supri fossilisa ossise , SINTAXIS Masi può usare anche la forma passiva seguita dal- l'infinito: . | quisques essebam expectatum dare aliqua res quisques essebo expectatum dare aliqua res Quando si esprime un fatto che ha corso nel presente o nell’imperfetto si usa la forma passiva cot gerundio e il pancino passato : — domus esseo aut essebam essendum construetum | | si sta o si stava costruendo... Ùi I verbi dicere, enarrare e simili possono costruirsi: . I - con los o gentis; II - impersonalmente ton iddis esseo di. cetum ke; III - passivamente con is (0 altro pronome soggetto) esseo dicetum essere: los o gentis diceo ke Dom X esseo divesa iddis esseo dicetum ke Dom X esseo divesa. — Dom X esseo dicetum essere divesa 317 — I caso diretto e il caso indiretto possono fare da soggetti mea fratris essevi dicetum factus © . :. - aut factus essevi dicetum ad mea fratris — I verbi ire e venire seguiti dalla congiunzione ‘ef e da un verbo allo stesso tempo del primo si rendono con i Verbi andare e venire seguiti dalla preposizione a : | is ivi et firmavi egli andò a firmare is venibo et videbo egli verrà a vedere I verbi che indicano moto verso vogliono dopo di : sè la preposizione ad se il luogo è determinato ; ‘e versi se è indeterminato: go ibam versi domus andavo verso casa, dalla parte di casa go io ad teatrus vado al featro Ma non vogliono per lo più nessuna preposizione quando il luogo è specificato coi nomi domus e villas; e con nomi di . città: LS ibam domus andavo a casa; 80 ibo villas andrò in villa; go io Roma vado a Roma . Le espressioni: mea nomes esseo 0 go esseo vocatum... si rendono con mi chiamo, mi chiamano, il mio nome è... mea nomes esseo Enea { mio nome è Enea, mi chiamo, mi chia- mano Vito. I verbi audere, commensare, cupere, debere, possere, scire, vellere ed altri sono detti verbi servili, perchè non esprimono da soli un senso compiuto. Essi vogliono dopo di sè l infinito che serva a chiarirlo. I verbi decere, dedecere, penitere, sha pudere, te- dere si costruiscono personalmente e sono transitivi: go pigebam urere illa scittis mf rincresceva bruciare quel foglio Quando i suddetti ‘verbi sono retti all’ infinito da un verbo di declarare, dicere, monstrare, ecc. hanno il pronome corri- spondente alle varie persone in caso accusativo: tu diceo te abere penitetum tua negligenzias dici che ti sei pentito... is diceo se abere penitetum sua negligenzias dice di essersi pentito... SINTAXIS mentre se si dicesse: is diceo ke is abeo penitetum sua negligenzias vorrebbe dire; egli dice che quegli, (cioè parlando di un’altra per- sona) si è pentito della propria negligenza. 325 — I verbi indicanti colpa, come accusare, lusvocare e si- mili vogliono la preposizione de quando è indicata la colpa: is essevi accusatum aut iusvocatum de fraudis . Il verbo condemnare vuole la PEFBOAZione: oe FALAnCo è specificata l’estensione della colpa: is essevi condemnatum ad triginta annus I verbi absolvere e delivrare vogliono la preposizione ex: is essevi delivratum ex accusazios I verbi cogitare, commandare, credere, desiderare, dicere, dirigere, expectare, ordinare, permittere, poscere, precare, pro- mittere, supponere, vellere, ed alcuni altri di significato analogo pos- sono essere costruiti in due maniere: I - o come verbi transitivi col complemento oggetto seguito dall’infinito: iudes ordinavi ius essere pu- nitum i! giudice ordinò che fosse punito; II - o come verbi intran- sitivi.nella stessa maniera italiana : iudes ordinavi ke is esserera punitum 329 — Quando i suddetti verbi sono usati transitivamente possono prendere la forma passiva col verbo della proposizione tal pendente all’infinito : is essevi ordinatum ab iudes essere punitum I verbi commandare, desiderare e precare possono farsi passivi solamente se il soggetto è una persona. Alcuni modi impersonali come iddis essebo aut iddis esseverim benem, difficilisa, facilisa, melium, advantagiosa e simili, se-. guiti dall’ infinito o dal congiuntivo sono resi nella stessa maniera: iddis essebo, esseverim benem ire Roma iddis essebo, esseverim benem ke vos irem Roma Se è specificata la persona a cui la cosa è più vantaggiosa, allora si può usare il per seguito dal nome e poi dall’intinito: iddis esseverim melium per vius, per Pietro, per Brown, ire Roma 333 — Le dette locuzioni impersonali se sono specificate dal nome o pronome possono farsi anche personali mettendo per soggetto il nome o pronome, sostituendo le voci verbali essebo ed esseverim col futuro e il condizionale del verbo fare, e cambiando il CONGIUDLVO in infinito: vos facébo benem ire Roma sarà bene che voi andiate a Roma. vos faceverim benem ire Roma sarebbe bene che voi andaste a Roma Exerciziuse I Corrigete : 1 - Quum nos io intomi un regios estera et nos non scio linguas, posseo formare una iusta ideas de sua abitanse cum multa difficul- tas. 2 - Quoddis essebo facetum icavespim ? Nius facebo quoddis vos SINTAXIS velleo. 3 - Vos posseo nunquam essere secura de cram. 4 - Gentis esseo discutens un progectis cirkim un nova pontis supri flumes Mis souri. 5 - Isfessebo delivratum ab accusazios ? Go non sapeo nils nes. 6 - Iudes abebam ordinatum ke ius esserem punitum sed posteam is absolvevi is. 7 - Ubim io vos? Go io ad Paris et posti go ibo at New York. 8 - Isf essebam putata essere maxima onesta mulierisf in urbis. 9 - Los bibeo multus biris in America et Ingland, sed in Italia los bibeo plus vinus quam biris. 10 - Los debeverim studere quum los esseo iuvenise. | Il 1 - Is ivi et firmavi illa billis, quio sua firmas essevi indispen- sabilisa. Qualis esseo vostra nomes? Mea nomes esseo Luigi Milella. 3 - Isf diceo sef abere penitetum non abere studetum quum isf essebam plus iuvenisa. 4 - Cerealise esseo seminatum in iemis et ripetum in estas. 5 - Ques possebam nos facere in illa circumstanzias ? Nils alterus quam fugere; nonnem? 6 - Iddis esseo timetum ke Mis Maria non cantabo'cramvespim at concertus.Mea fratris pigebam urere illa scittise quio iddise continebam multa et cara memoriase de sua infanzias. Ad quanta annuse abeo accusatuse essetum condemnatum? Unus ad quindecim annus; alterus abeo es- setum absolvetum ex iniqua accusazios. - Multa meccanica supel- lese esseo invenitum in America. 10 - Unus non posseo dormire in ica cubiculus per rumos de vias. Il Componete et traducete 10 proposizius. Traduxios Erudizios et Divizies ab Charles Blount: Ingliscia Lecturis Libris Una divesa omos,.iddis esseo dicetum, olim petevi una erudita omos qualis essebam razios ke scientifica omose essebam raram videtum at portase de divese, cummo divesa omose essebam sic sepem videtum at portase de erudituse. “ Iddis esseo — respondevi eruditus, quio omos de scienzias nosceo velius de divizies, et divesa omos non sempem nosceo velius de scienzias; Duo Frariais ab Idemus Duo fraiaris, unus Dominicanus, alterus Franciscanus, travelandum simulim, venivi ad una rivus. Dominicanus dicevi ad Franciscanus, ke ceumo is ivi discalceata, is essebam obbligatum ab caritas portare ius uldrisim; if is non facerem icus, iddis esseverim una peccatus. SINTAXIS Franciscanus consentivi et prendevi ius supri sua sciuldrise. Quum los venivi ad medius de strimis, Franciscanus petevi alterus num is aberem monetas uldrisi se. Dominicanus respondevi: “ Si, duo rea- lus ,,, Franciscanus audindum icus dicevi: “ Patris, parcete me, sed nostra ordos positivam proibeo nobis portare aliqua monetas ,,. Dicen- dum sic, is turbavi ius intomi rivus. Nimiam Serom ad Idemus Una scurras, at regias de Francis I, querivi ad regis ke una grandisa lordis minitabam de grassare ius per abere proferretum aliqua faceziese circumi ius. “ If is faceo iddius, dicevi Francis, — is essebo engalum quinque minitis postim ,.. “ Go desiderao ke vostra maiestas abeiam bonitas engare ius quinque minitis antim ,, respondevi scurras. Uno Pennis Velius de Sagacitas ab !demus Una paupera fellos mendicandum ex diukis de Northumberland, dicevi “ Is sperabam ke is daverim isbis aliqua res, neduo los esse. bam ambus de idema familias, essendum ambus descendetum ex Adamus ,,. “ Certam dicevi diukis eccem uno pennis per te; et if tota reliquus de tua consanguineuse dabo tibis tantundemus, tu essebo una omos plus divesa quam go esseo longem Uncaindnes ab Iidemus Quippo traiflise faceo summas de umana rese Et dimidia nostra miserias ex nostra foiblise surgeo eva Quippo de vitas optima gioise consisteo in pas et commoditas Et paucuse posseo sevare aut servire, sed omnise posseo plisare: O, nongentila spiritus disceiam ensefortim : Una parva uncaindnes esseo una grandisa offensas ,.LEXIOS Verbuse Sequita ab Preposiziose I verbi che hanno il complemento retto da una prepo- sizione possono essere costruiti anche passivamente. In questo caso il complemento diviene soggetto e la preposizione può restare insieme col verbo: tu abeo scribetum ad tua soros auf tua soros abeo essetum scribetum ad ab te. I verbi flagitare chiedere con istanza, petere chiedere per ottenere qualcosa, poscere chiedere 0 domandare, postulare chie- dere con esigenza, querere chiedere per sapere, per informazioni, rogare chiedere con preghiera; vogliono la preposizione ab, e corri. spondono a chiedere a... is flagitavi ab amicus una colloquius con istanza chiese all'amico. SINTAXIS La preposizione per si adopera dopo molti verbi per sostituire : abere, acquirere, invenire, obtinere, prendere, procurare, e simili : | go scribebo ad London aut New York per iddius . ..per averlo Quando i verbi seguiti da preposizione sono seguiti da pronomi, hi preposizioni vengono sostituite dai rispettivi casi dei pronomi. Alle volte s’incontrano dei verbi seguiti da preposizione, i quali non possono tradursi egualmente in italiano. In questo caso si ricorre ad una espressione speciale, rendendo la preposizione col verbo e il verbo con un modo avverbiale : is ivi intomi viridarius andò nel giardino is raidavi ,, ù entrò nel giardino sul veicolo | is equitavi ,, » - entrò nel giardino a cavallo, cavalcando is currevi ,, si entrò nel giardino correndo is reptavi ,, 3: entrò nel giardino strisciando is reptavi extri ostius uscì dall’uscio piano piano vulpes reptavi versi gallusef ‘i! volpe si avvicinò piano piano alle... fenestras essebam tam parva ke go possebam vix reptare in la iii. era tanto piccola che appena potevo entrarci strisclando equimilese galoppavi transversi flumes I soldati a cavallo traversarono il fiume a galoppo i: .: + los equitavi offim sf allontanarono a cavallo los currevi offim si allontanarono correndo Nella stessa guisa si procede con verbi transitivi che non esprimono un movimento: cartase essevi uretum /e carfe furono bruciate domuse essevi uretum daum /e case furono rase al suolo dal fuoco i ‘ mulieris essevi sufflatum intomi maris - la donna fu spinta in mare dal vento pontis essevi sufflatum op cum dinamites .il ponte fu fatto saltare con la dinamite illuminate ica dominus ad eia cameras accompagnate col lume questo signore alla sua camera Alle volte un verbo intransitivo può diventare transitivo mediante le preposizioni o gli avverbi: ite ad lectus et dormite offim effectuse de vinus ‘ andate a letto e fate passare col sonno gli effetti del vino is raziocinavi me intomi sua opinios col ragionamento mi ha indotto nella sua opinione beibis abeo essetum curretum ovrim ab una carrucas il bambino è stato travolto da una carrozza Diamo qui un elenco parziale di verbi seguiti da pre posizione: — accauntare per rendere conto di, dar conto di; accredere ad accon- discendere a; actare secundi essere coerente a, agire secondo; audire de sentir parlare di; audire ex aver notizie da; concedere per fener conto di; congratulare de congratularsi di o per; dependere ex dipendere da; gaudere at godere di; .impedire ex /mpedire di; incubare ovri pensare sempre, pensare a lungo e con pena sopra un fatto; laborare ‘ex. aver male a, soffrire di; onerare cum caricare di; per- tinere ad appartenere a; prebere cum fornire di; prendere daum notare ‘in ‘iscritto; provvidere cum provvedere di; punire cum punire di; regioisire at rallegrarsi di; regioisire cum ra/legrarsi con; respon- dere ad rispondere a; respondere per rispondere di; essere responsa- bile di; ridere at ridere di; tegere cum covrire di; uonderare at ma- ravigliarsi di. 3 Moltissimi nomi possono rendersi verbi della prima coniugazione aggiungendovi are. In questo modo essi possono espri mere -per' lo più l'uso a cui l'uomo fa servire o l'uso che ‘l’uomo fa delle cose espresse: dai nomi: anHis: amo, amusare prendere con l’amo, lapis matita, lapisare seri: vere-colla matita, oculus occhiò, oculusare fener d’occhio, skistus lavagna, skistusare covrire di lavagna, teguias tegola, eguiaBare co: vrire di tegole. Ma. possiamo esprimere la stessa idea anche con altre locuzioni: prendere. cum amus prendere con l’amo, scribere cum lapis, tegere cum skistus, tegere cum tegulase. L'espressione mutuam corrisponde a l’un l'altro, scam- bievolmente. L'espressione a/tefus altera... seguita dal sostantivo e dal verbo, ‘Corrisponde a: chi in un... chi in un altror alterus -altéera locus essebam chi éra ‘in’ un luogo chi in un altro Si L’espressione nils alterus quam, seguita dal verbo“in un tempo di modo infinito indica: non fare altro che; non fare Lit sé non che: los nils alterus quam imitavi lius': non fecero altro se non imitatti tu nils alterus quam dormibam non facevi altro che dormire: da cui si vede che il passato remoto è divenuto infinito, e la voce del verbo è stata sostituita la quella del verbo fare. Per Consecuzios de Tempuse s'intende l'insieme delle regole che insegnano în quali . tempi del congiuntivo si devono porre i verbi delle proposizioni di- pendenti rette da congiunzioni subordinative. A seconda che l’azione espressa dalla proposizione se- condaria sia contemporanea o anteriore all’azione principale: 1 - al tempo presente, futuro semplice e futuro anteriore nella proposizione principale: corrisponde un tempo presente 0 passato: ‘del congiuntivo: - go sperao, go sperabo, g0 abebo speratum ! ke is studeiam aut abelam studetum; ia ‘Il S V 4 > VI ssi " VII A È VIII si È be) be) II PARTIS Sintaxis pag. II IIl IV V VI VII VII IX X XI XII XII XIV XV Va) INDICE GENERALE ALFABETICO I PARTIS Abbaco Accento . 3 : i ; ; 9 Addizione . Aggettivi dimostrativi . indefiniti A possessivi A relativî 48 Aggettivo ; 17:Alfabeto . : ; . 5 Alterazione degli Aggettivi i » Avverbi x dei Colori » Nomi Articolo Avverbi derivati da Aggettivi n definiti Avverbi di affermazione È 62 È » dubbio 63 » » luogo 65 e » maniera . 64 % » moto da luogo Verso luogo Negazione Quantità n » Stato in luogo tenpo : 3 = » futuro A $ passato s s n presente Avverbio : : A ; Casi dei Pronomi Personali Classi Varie di Numerali Comparativo, Grado Irregolare .Congiunzione ; . 25;12 Congiunzioni Alternative . 72 A Asseverative 74 % Avversative 73 s Causali 73 È Comparative 73 n Concessive . ù Conclusive Condizionali Congiunzioni Consecutive i Dichiarative i Copulative . s Correlative . a Disgiuntive Finali . Temporali Coniugazione Attiva Passiva Consonanti e Vocali. Declinazione Derivazione degli Aggettivi 0" dei Nomi Dittonghi Divisione A delle parole in sillabe ERRATA-CORRIGE Esercizio di Dettatura e di Lettura Espressioni Numeriche Femminile dei Nomi. Fiori Fonologia . Frutta. Giorni, Nome dei . Gradi di Comparazione Indice delle Lezioni . Indirizzi per le Lettere Interiezione Locuzioni Avverbiali. Macchine Mesi, Nomi dei. i Modi Avverbiali ì i Modi e Tempi dei Verbi. | Moltiplicazione Morfologia Nome Numero Ore Paradigmi delle Coniugazioni. Parti del Discorso. a Piante o Positivo, Grado Piurale dei Nomi & S n » Composti i » Segni Grafici Preposizione 3 Pronome Pronomi Dimostrativi Indefiniti Interrogativi Personali Possessivi . Relativi Pronunzia . sis is Sillabe Sottrazione . Suffissi Costanti degli Aggettivi A : dei Nomi x Mobili degli Aggettivi ; » dei Nomi. Suoni . ; è ; Superlativo Grado ? s è i Irregolare Tempi dei Verbi Verbi Impersonali Verbo . î Vocali e Consonanti. II PARTIS Nomenclature: Celus et Maris ; Ces Ludus . . . è. . Civilisa Dignitase . ; ; =. LIL Contris . 3 A . x Pronomese, Usus de . Personalisa Pronomese 101:103 Possessiva Pronomese, Usus de. 97 Relativa Pronomes 102 Proxima Pertransitus Preteritus . ; i 113 Pulcra , E : j a 04 Quam Quandom Quanta Quire Raita . . A ; Remanere Ronga Servire Si Soma Stare 4 Sua Suus Sub ; Substantivus,. ia de : . Usus de Pluralis de REDALHiO use. 83 Superlativus Supri . Tangere Tanta . : 94 Tempuse, Usus de 112 Tota Traduxiose . Adamas . Ces Ludus : Commercialisa Literas . Duo Fraiaris . Erudizios et Divizies Leos Literas ad Îuvenise London Postis Mundus anti Creazios de Onde 125; Nimiam Serom Partis de Soliloquis de Hamlet. Pulcritudos in laponia . Silvatica Feles 105;109;115 Telegrammis . i 147 e ad un Otellus Pro- prietarius Uncaindnes Uno Pennis Velius de Sagacitas. Violodoratas Ubim Uisi Una Undri Utire Vel'ere Verbus ; 106 Specialisa Usus de Aliqua Verbuse 120 Verbuse cum Possessiva Adiectivuse î cum Indeterminata Prono- mese ao Subiectus 129 » = sequita ab Preposiziose vpi is» Pag. Da) ERRATA CORRIGE T cerziabrakidactilus abbriccagnoio abbriccagnolo T gionstocarius accomandatarlo 8 subligaculus mutanda 16 è 32 sia ggiunge 60 $ personaie Locazioni Tituluse Titoll 87 $ 32 postuse 91 & 57 dextra 96 riga 3 bracteas $ voleo $ 1 $ oppartenere $ deambulanzios & 241 le Duo Frariais accomandatario subligaculuse mutande si aggiunge personale Locuzioni Titoli portuse dextera bracteis velleo v appartenere deambulazios. © i la Fraiaris eta AGGETTIVI, SOSTANTIVI E VERBI CONTENUTI NELLA GRAMMATICA LATINULUS Le parole senza apostroio sono piane. L’apostroîo indica che Sulla vocale precedente cade l’accento tonico. abdere nascondere abdomes addome abdomina'lisa addomina- abenas redina [le abere avere abere se stare in salute a’bies abete abire partire a'bitans abitante abitare abitare abitazios abitazione a'bitus abito abno’rmisa strampalato abscessus ascesso absolvere assolvere abstinere astenere abstracta astratto abstrusa astruso abundansa abbondante abundanzias abbondanza aca’cias acacia à’caius acagiù acanto’pterus acantottero acanturus acantfuro a’'cantus acanto a’'carus acaro accauntantis ragioniere accauntare conteggiare » per dar conto di accauntazios contabilità accelerata accelerato accendere accendere accentus accento acceptans accettante acceptare accettare accessibi’lisa accessibile ACCESSUS accesso accidentare accidentare accidere accadere, avve- nire, succedere accli’visa acclive accomodare accomodare accordare accordare accredere ad accondi- scendere a accrescere accrescere accusare accusare accusativus accusativo accusazios accusa ace’fala acefalo àcerba acerbo acetaris insalata aci’culas spilla A a'cles punta aco’litus accolito acquiescere acquietare acquirere acquistare acquisizios acquisto a’crisa acre acrobas acrobata acro’corus acrocoro acro’polis acropoli actare agire actare secundi agire se- condo, essere coerente a actoris attore actua’lisa attuale actus atto acuta acuto a’'damas diamante adaquare abbeverare adesios adesione adiantus capelvenere + adibere adoperare adiectivus aggettivo adimplere adempire a adinvenire inventare adiposa adiposo adiudicata’rius aggiudi- catario adiutare dare aiuto a adiactare allattare administratoris ammini- stratore administrazios ammini- strazione admiralatus ammir#gliato admirare ammirare admiratoris ammiratore admonere avvertire adolesce’ntisa adolescente adrepere arrampicare adulta adulto advansare inoltrare advansata avanzato advantagiosa vantaggio- advenas forestiero [so advenire giungere adventare arrivare adverbius avverbio adversare opporsi a adve'rsitas avversità adve'rsucas disgrazia adverta’is pubblicità advocare impiegare, vo- [lerci advocatus avvocato ae'rea aereo àa'eris aria affexios affezione affi'nisa affine affirmare affermare affluentis affluente A’frica Africa : agi’litas agilità agitata agitato agmes squadra (militare) à’'gminis squadrone agnoscere riconoscere agnosterius leggio agnus agnello agri’cola agricolo agri’colas contadino agricultoris agricoltore agris campo agrumis agrume - aironare stirare aisbergos ice-berg alarmare allarmare alarmis allarme alas ala alba bianco albina albino a'leas giuoco d'azzardo aliena alieno a'liqua alcuno, taluno aliquanta alquanto a'llius aglio alta alto a’'Itera altro alterabi’litas alterabilità alte’rutra l’uno o l’altro altitudos altezza altople’inis altopiano altus alto, la parte alta aluminis alluminio alumnus alunno à'lveus alveo amara amaro amare amare amatoris amatore amba ambedue ambulacrus corridoio ambulare camminare ambulazios camminata amendis ammenda amensa sciocco amentis pazzo amenzias sciocchezza America Ame'’rica America Americana americano Ame’rico americo amica amico amicizias amicizia amicus amico amigdaletus mandorleto ami’gdalus mandorlo amoris amore amorosa amoroso amovere allontanare amplificare amplificare amus amo amusare prendere con l’a- anas anitra {mo androce’us androceo anelare anelare aneste’tica anestetico anfiteatrus anfiteatro a'ngaris hangar Anglicana anglicano Anglicanismus anglicani- Anglo Anglo [smo a’nguis serpe a’'ngulus angolo animalis animale a’nimas anima a'nimus animo annunziare annunziare annus anno anses oca anteriora anteriore anteris antera antibra’kius avambraccio antica’meras anticamera anticipare anticipare antidisco’veris avansco- antiqua antico [perta antitre’inus avantreno a’'nulus anello aperire aprire apis ape apparatus apparato apparensa apparente apparizios apparizione appiransis apparenza appla’usus applauso approcciare approcciare appropinquare accostare, ‘avvicinare a'pricas percoco Aprilis aprile apta adatto, atto aptitiu'dis attitudine a’puas acciuga aquare innaffiare aquarius acquario aquas acqua aqua'tica acquatico a’ quea acqueo a’quilas aquila aquilina aquilino aquitrinus acquitrino aquosa acquoso ara’cnidis aracnide arangus arringa aratoris aratore aratrus aratro arbitraria arbitrario arbi'trius arbitrio a’'rboris albero arbutus corbezzolo arcessere incolpare arde’lios faccendone areodromus areodromo are’olas aiuola areo’'metrus areometro areona'’utica areonautico areona’utikis areonautica areona’utus areonauta areopianus areoplano areostàkis areostatica areo’stas areostato areo’stis areostiere argentus argento argillas argilla argumentare argomenta- arlas aia [re aristocra’tica aristocrati- : [co arkiepi’scopus ar vo arkitecturas architettura arkitectus architetto. arkitravis architrave arkivistis archivista armamentus armamento armare armare armas arma armentus armento armillas braccialetto armis armata armores armaiuolo arnes finimento a'rrabos caparra arrangiare assestare arrangimentis assesta- arras arazzo [mento arra’sseris arazzeria arrestare arrestare arripere acchiappare, af- arros freccia (ferrare arsinalis arsenale arterio arterio artistis artista artri’tica artritico artritis artrite artus arto arvinas grasso ascendere sormontare ascensios ascensione ascensoris ascensore a2ura asfixiare asfissiare Asia Asia a’sinus asino a-solos a solo aspectus aspetto aspicere guardare aspirare aspirare assemblare assembrare asseQquire raggiungere assolistis assolista ussolutismus assolutismo assortire assortire [to assortmentus assortimen- asteriscus asterisco (*) astillis asticciuola astis asta astro’nomus astronomo astrus astro atlas atlante atmosferas atmosfera atroxa atroce attaccare attaccare attendere attendere attenta attento attenzios attenzione attractivis attrattiva auctoris autore auctorisare autorizzare audaxa audace audere osare audire udire aufugere scappare augmentare aumentare Augustus agosto a’ulas aula a’ulis urlo auricula’risa auricolare a’urifes orefice aurigas cocchiere ‘ a’uris. orecchio a'urus oro auscultare ascoltare A’ustro austro automo’bilis automobile automobilistis automobi- [iista autoscafis autoscafo autosecare autosegare Autumnus autunno. auxiliare aiutare auxilius aiuto avellere strappare avenas avena aviatoris aviatore a'vida avido avis uccello avus avo, nonno axilla’risa ascellare axillas ascella a’xios azione, agire azura a7zurro bacinus bacinus bacino bacteriolo’gica batterio- baculus bastone [logico ba'feus tintore bafi'as tintoria baggagis bagaglio baiu’lus facchino balare belare balaustradis balaustrata balconis balcone balenas balefia ballunis pallone balneare bagnare, fare un bagno ba’Ineus bagno bambus bambù bankis banca barbas barba bardotis bardotto baris bar bari’tonus baritono baro’metrus barometro baronettis baronetto baronis barone barrakis caserma barricare barricare barrire barrire bas basso basi’licas basilica basis base batillus badile cabinettis gabinetto cabinis cabina cablografare cablografa- cada’veris cadavere [re cadere cadere ca’inda cortese ca’indnes cortesia calamarius calamaio calamistrare arricciare calca’neus calcagno calcas sprone calceola’rius calzolaio ca’lceus scarpa calefacere riscaldare - calefaxios riscaldamento ca’libis acciaio ca’lida caldo calidare far caldo ca’ligas calza calis calice ‘ca’llida accorto, scaltr callus callo calumniare calunniare B batracomio’makis batra- [comiomachia baubare abbaiare baubazios abbaiamento bedda'iris ghisa bedellus bidello be’ibis bambino belis balla bellare guerreggiare bellis campana bellus guerra benefacere beneficare benefactoris benefattore beneficius beneficio. Berlin Berlino bettare scommettere bettis scommessa bibere bere bibliotecas biblioteca biciclis bicicletta bidentis bidente billis cambiale billus becco bingus essere binoclis binocolo biris birra biscioppisalfiere(scacchi) bisnis affare bisnistis affarista bivius bivio bla’teros chiacchierone ca’meras stanza caminus camino, fumaiuo- canalis canale [lo cancellis cancello canina canino canis cane cannonis cannone cannonisare cannoneg - {giare cano’nicus canonico cantare cantare cantus canto canzios canzone caos caos capaxa capace capillus capello capitalis capitale capitellus capitello Capras caprone captenis capitano capus capo, testa cara caro cara’cteris carattere casseris bledis lama blua blu bollis palla bombardare bombardare bombardazios bombarda- bona buono [mento bo’nitas bontà bo'numis bene bordis bordo Bosno Bosno bota’nica botanico bota’nicas botanica boviles bovile bovis bove boxis palco bra’cteas latta bra'’cteis brattea bra'kius braccio bra’ssicas cavolo Brazil Brasile bre’visa breve brilliantis brillante bris brezza Britiscia britannico bronco bronco brutescere abbrutire buckes libreria butirus burro buttonare abbottonare buttonis bottone buzzare ronzare caratus carato carbasarius veliero ca’rbasus vela carbonius carbonio carburus carburo ca’rceris carcere cardinalis cardinale cardina’lisa cardinale cardis cartolina carensa privo di ca'’ritas carità carnazios carnagione carni’vora carnivoro carobis carrubo caros carne carras carraia carrutas carrozza ‘ca’rtacras cartone cartas carta carta’'us tettoia cartis carrettone ca’seus cacio, formaggio ca’'sseris cassero cassulis ca’ssulis cassola castellus castello castigare castigare castigazios castigo castras accampamento castrasare accampare — ca’sulas casina Casus caso catacombis catacomba cata’logus catalogo catedralis duomo, catte- {drale ca’tedras cattedra catenas catena ca’udas coda ca’unteris banco di nego- ca’untis conto [zio cauponas bettola ca’us cagione, causa causare causare ca’usas causa ca’usias cappello di paglia ca’utscius cautsciù cavaliris cavaliere ca’veas gabbia ceca cieco ceckis scacco cecmetis scaccomatto cedrus cedro cekis assegno bancario, cheque cele’brisa celebre cele’britas celebrità cellarius dispensa , cellula’risa cellulare celus cielo cementarius muratore cementus cemento cempinis campione cena’culus soffitta cenare cenare cenas cena centra’lisa centrale centrus centro cepas cipolla ceras cera cerasus ciliegio cerea’lis cereale ce’rebrus cervello cerinus cerino ceris sedia certa certo certames battaglia certare combattere cerziabrakida’ctilus ram- pichino, abbriccagnolo cerziofacere accertare ces scacchi cesbordis scacchiera . cespis cespuglio cestus cintura ciatissare servire a tavola ‘ » se cum servirsi di cia'tus bicchiere cibare cibare cibus cibo ci’catris cicatrice ciclas gonna ciclis ciclo ciclos ciclone ci’ cura domestico cicurabi’litas addomesti- chevolezza cicurare addomesticare cicutas cicuta cifis capo cikis pulcino ci’lius ciglio ci’mbalus cembalo cimbas barca cincti’culus grembiale ci'nemas cinema cine’rea bigio cinis cenere cippa mercato ci’rcinus compasso ci'rculus circolo circumdare circondare circumdarius circondario circumstanzias circostan- circus circo [za cirpare cinguettare cistas cesta i citaras chitarra ci’'tisus aborniello civi’lisa civile civis cittadino clamare gridare classis classe cia’uda zoppo claudere racchiudere clavis chiave clo’unis pagliaccio clubis club, circolo clu’dinis temperino clunis culatta clunisare acculattare, cu- [lattare coagulare rappigliare coaxare gracidare co’cleas cucchiaio coffia’us caffé (negozio) coffis caffè (pianta) coffis caffè (bevanda) cogere forzare cogitare pensare cognatus cognato cognizios cognizione cognomes cognome [re cognominare cognomina- è» . coincidenzias coinciden- coincidere coincidere [za componere colere coltivare collas colletto collegius collegio collexios collezione, rac- [coglimento collibus aggio colligere raccogliere collinas collina collis colle collocare collocare colloquire abboccarsi, parlare con uno collo’quius colloquio collus collo co'lonis due punti (:) colonus affittavolo,colono colorare colorare colos colore colo’ssica colossale coltis puledro columbus colombo columnas colonna comas chioma come’dias commedia comes compagno cometes cometa comitatus comitato [te co'mmandans comandan- commandare comandare commandis comando commas virgola (,) commatris commare, ma- {drina commendatoris commen- [datore commensare cominciare commercia’lisa commer- [ciale commerciare commercia- commodare prestare [re commo’ditas agio, como- co’'mmodus comodo [dità commorare fermarsi commovere commuovere communes comune commu’nisa comune co’'mpanis società, com- [pagnia compa’ssios compassione compellere costringere competitoris competitore complere compiere completa completo completare completare complexios complessione complimentare compli- mentare, far complimenti RARE to complu'resa parecchio componere comporre composizios composizios PR ne comprimere comprimere concedere concedere concertare concertare concertus concerto concinnare acconciare concinnazios ini ra concordare concordare concordias concordia condemnare condannare condemnatus condannato condizionalis condizio- [nale condizios condizione co’'ndoris condor [larsi conflare sollevare, ribel- conflictus conflitto confluenzias confluenza confutazios confutazione congenulare cadere gi- {nocchioni congratulare congratula- co’nica conico [re coniunetivus congiuntivo coniungere congiungere coniu’nxios congiunzione conne’xios connessione cono’peus cortina conquerire lagnarsi di conrespondenzias corri- {[spondenza conrespondere corrispon- [dere consangui’neus parente consarcinare imballare consarcinazios RO gio consecuzios consecuzio- ne consentire secon consequire conseguire consernis azienda Conservare conservare consilius consiglio consistere consistere consobrinus cugino consolazios consolazione consorzios compagnia conspici’Iluse occhiali constare constare constellazios costellazio- ; [ne construere costruire construxios costruzione . Li consuetudos consuetudi- consulatus consolato [ne co’nsulis console consultare consultare consumere consumare contemptus dispregio contenta contento contes conte continentis continente, terraferma . continere contenere continuare continuare continuazios continuazio- ne contradictoria contradit- contraere contrarre [torio contrafortis contrafforte contraire esser contrario contraltos contralto contraria contrario contrastare contrastare contris campagna controbassis controbasso controlloris controllore convalescere guarire conventus convento conversare conversare convictoris convittore convictus convitto convincere convincere . convivas commensale cooperire coprire copias copia coquere cuocere co’'quus cuoco cordas corda di strumen- cordia’lisa cordiale [to cordis cuore cordisforma cuoriforme coristis corista co’rius cuoio cornus corno corollas corolla corpus corpo corrigere correggere corroborare corroborare corses busto (indumento) corsis portata (a tavola) cortis corte corus coro Corvus corvo cos cote costare costare costas costa costes costola costomma’us dogana czaris covris posata cCoxas coscia cra'is grido crammare impinzare Crassa grosso creare -creare creazios creazione credensa credente credere credere, aver fede cre’ ditus credito crepu’sculus crepuscolo crescere crescere cribrus frullone, staccio crikis insenatura crispata ricciuto cristallus cristallo - crite’rius criterio crocitare gracchiare crocodilus coccodrillo croiare fare chicchirichi cros incrocio crossare incrociare crucis croce cru’is ciurma crus gamba Cuare tubare cubi’culus camera cu’bitus gomito cucullus cappuccio cu’cumis cocomero cucu’rbitas zucca cules zanzara culinas cucina culmes comignolo culpabi’lisa colpevole culpas colpa cultoris cultoris cultrus coltello cuni’culus coniglio cupere bramare Cuprus rame curagiosa ein ite 0 . cu’ragis corag curbis barbazzale curiosa curioso currere correre currus carro cursis corsa Cursus corso curta corto curva curvo curvis curva cuspisata cuspidato custodire custodire custos custode, guardiano czeris czar, zar daddis daddis babbo damnosa dannoso dare dare deambulare passeggiare deambulazios passeggia- debere dovere ta debi’lisa debole decere convenire a, esse-. re decente decidere decidere declarare dichiarare dedecere sconvenire a, essere indecente dedignare sdegnare, ave- re a sdegno deessere mancare, voler- defectus difetto [ci defendere difendere deficere mancare, volerci delectabi’lisa dilettevole .delectare dilettare delectazios diletto delfinus delfino delicata delicato deli’cies delizia deliciosa delizioso delineare delineare delivere consegnare delivrare prosciogliere delivris consegna delucidare .delucidare delucidazios delucidazio- demis dama ne demonstrare dimostrare demonstrativa dimostra- i [tivo denarius danaro denominazios denomina- dentis dente [zione dentise'ries dentatura dependere dipendere deponere deporre depositare depositare de’putis deputato derratis derrata descendere discendere describere descrivere deserere abbandonare, la- [sciare desertare disertare desiderare desiderare deskis desco, tavolino despacciare dispacciare despectare indispettire despectus dispetto desperare disperare desperata disperato desperazios disperazione D despondere fidanzare desponsatus fidanzato destraere distrarre detegere discoprire, sco- deturbare buttar [prire devastare devastare de’xtera destro (parte de- dia’conus diacono [stra) dicere .dire dida’ctica didattico di’es giorno dievenire scadere differenzias differenza differrere differire diffici’lisa difficile diffi’cultas difficoltà difterites difterite digitales ditale digiti’grada digitigrado di’gitus dito digna degno di’gnitas dignità dilaniare dilaniare dilatare dilatare diligensa diligente «diligenzias diligenza dilucidare delucidare, . schiarire dilucidazios delucidazio- [ne, schiarimento dilu’vies diluvio dimidia, mezzo, metà dimidius metà, mezzo, parte di mezzo dinamites dinamite dinosa’ura dinosauro dinosa’urus dinosauro diplomas diploma directa diritto directare indirizzare directoris direttore direxios direzione dirigere dirigere - dirigi’bilis dirigibile disastris disastro discalceata scalzato scal- discere imparare {zo disciplinas disciplina disciplinata disciplinato disci’pulus discepolo - discordias discordia discoverire scovrire (scienze) disco’veris scoperta discus disco discutere discutere dismissere accomiatare, diso bedire disobbedire duellare disponere disporre dispo’sita disposto disquirere ricercare disquisizios ricerca disrumpire scoppiare per risuse scop- piare dalle risa dissoluta dissoluto distincta distinto distinguere distinguere distribuzios distribuzio- ne, dispensa districtis distretto diuw'kis duca diu’tis dovere diversa diverso di’vesa ricco divesare arricchire dividere dividere divi’dias noia dividiosa noioso divizies ricchezza , docere insegnare docta dotto prat dottore gbeddere cucciare dogbeddus cuccia dokis dock dolere dolere doliarius bottaio do’llaris dollaro doloris dolore domare domare dome’stica domestico, di casa dominansa dominante dominata dominato Dominicanus Domenica- do’minus signore [no domus casa donus dono dormire dormire dorsus dorso, schiena dotare dotare draconis dragone dra’ia asciutto draiare asciugare draidokis bacino maritti- dramas dramma [mo drama’tica drammatico draunare annegare dreftis tratta dre’inis fogna dronca ubbriaco dropas depilatorio ducere guidare ductus condotto duellare duellare duellus duellus duello duettos duetto du’Icisa dolce ebdo’madas settimana ebenistis ebanista e’'boris avorio ebri’etas ebbrietà, ebbrez- eccle’sias chiesa {za e'culus salotto ecus sala e'deras edera edificius edificio editoris editore edocere addestrare, am- _ maestrare educare educare educazios educazione effectus effetto efficaxa efficace efficiensa efficiente effuggere sfuggire e’gestas bisogno egregia egregio egrie’bla- piacevole egrota malato egrotare ammalare eiulare miagolare eiulazios miagolio ekinus riccio di terra ekis male, dolore tempo- raneo elabire scattare ela’stica elastico electa eletto electoris elettore ele’ctrica elettrico e’lefas elefante elegansa elegante elementus elemento eligere eleggere eliotropius eliotropio elli’ptica ellittico ** embassadoris ambascia- tore embassis ambasciata emere comprare eme’tica emetico emisfe’rica emisferico emissarius emissario emittere emetter emploiare impiegare emulazios emulazione enarrare raccontare 9 dulcisagra agrodolce du’Icitas dolcezza dunas duna enarrazios racconto encuragiare incoraggiare endcreftis mestiere engare impiccare enginiris ingegniere engris collera e’ngrisa collerico enlistare assoldare - enrollare arrolare e’nterpris impresa. enumerare enumerare epas fegato epi’scopus Vescovo e'pocas epoca equa’lisa eguale equa’litas uguaglianza equare eguagliare, pareg- giare equatoris equatore equazios equazione eques cavaliere equilabius barbozza equiles scuderia equimagistes dn zo equimiles soldato a ca- vallo equinoxius equinozio equitare cavalcare e’quus cavallo erbas erba erina’ceus riccio di mare errare errare erroris errore erudita erudito erudizios erudizione, sa- erupzios eruzione [pere es bronzo essere essere Estas estate e’'stera estero estimare stimare estimazios stima estua’rius estuario etero’clita' eteroclito etas età etnogra’fica etnografico e’tulus piantagione di ‘ piante a fusto piccolo ed erbaceo extrinseca dura duro durare durare durizies durezza ‘ etus piantagione di alberi di alto e medio fusto legnoso Europa Europa evaporazios DAEPAT ne evenire avvenire, acca- e’venius filare {dere eventuala eventuale evigilare svegliare evitare evitare exacuetoris arrotino exames esame excavare scavare excedere eccedere excellensa eccellente excellenzias eccellenza excengis cambio exclamare esclamare exclusiva esciusivo excribere trascrivere exemplus esempio exequire eseguire exe'rcitus esercito exigua esiguo exiliare esiliare exire uscire existenzias esistenza existere esistere exornamentus addobbo exornare adornare exornata adornato, il no expectare aspettarsi expectazios aspettativa expedire spedire explanare spiegare explicare spiegare, di- stendere expres treno diretto expressios espressione e’xtera esterno exteriora esteriore extollere sollevare extraotdinaria straordi- [nario extrema estremo extre’mitas estremità extricare sviluppare extri’nseca estrinseco fabas fabas fava fabes fabbro fabricare fabbricare fa’'bulas favola facere fare facezies facezia fa'cies faccia faci’lisa facile facilitare facilitare fa’ctoris fabbrica factus fatto fa'cultas facoltà falangis falange fa’lculis artiglio falignarius falegname fallire fallire familia’risa familiare fami’lias famiglia fanalis fanale fanta’stica fantastico farmaco’polas farmacista fars farsa . farus faro fasces fascina fasciare fasciare fascinazios fascinazione fascis fascio faselus fagiuolo fasis fase fa’uces foce » fa’ucise fauci fauntenis fontana favoris favore favus favo fe'ciuris fattezza feda brutto fegatellos fegatello (scac- feles gatto feli’citas felicità felina felino felis fiele felixa felice fellos poveraccio, diavo- lo, misero uomo fe’minas femmina . feminina femminino, fem- femora’lise calzoni minile fenestras finestra feras fiera, bestia feries vacanza ferire ferire fero’citas ferocia feroxa feroce ferrare ferrare ferribotis ferry boat, chiat- [ta E° ferrus ferro fe'scionis moda festus festa fia’'las fiala ficus fico fide’lisa fedele fide’litas fedeltà fidere fidare fierire diventare figuras figura filiare filiare filius figlio filtrus filtro filus filo filusforma filiforme finirè finire finis fine fiordis fiordo firmare firmare firmas firma fi'sica fisico fi'sicas fisica fisk.are fischiare fiskius fischio flabellus ventaglio flaccescere appassire flagitare domandare con istanza flammi’ferus fiammifero flebi’lisa flebile flere piangere fiexibi’lisa flessibile flexuosa flessuoso flingare slanciare flittis flotta floccus fioclo fiorescere fiorire flos fiore fluere scorrere flumes fiume fo’iblis debolezza, mora- folius foglia fonologi’as fonologia fons fonte forestis foresta fo’rficis forbice formare formare formas forma formazios formazione formidare impaurire formidos paura fornas fornace fornis volta, (architettura) fo’rtisa forte fortres fortezza militare fortunas fortuna futurus fortunata fortunato fossas fosso fo.satus fossato fossi'lisa fossile foto ‘grafia fotografia. ri- tratto fo’veas ‘fossa fra’'cida fracido fragas fragola fragi’lisa fragiie fra'iaris frate franare franare franas frana Franciscanus Francesca- frangere frangere [no fratris fratello fraudare barattare fra'udis frode fraus baratteria, baratto fraxionaria frazionario frenare frenare frenatoris frenatore frenus freno frequensa frequente fretus stretto di mare friare polverizzare fri'Ègida freddo fringillas tringuello fri'vola frivolo frontis fronte fructus frutto frumentus frumento frustus pezzo fugere fuggire fulcimentus puntello fulgurare lampeggiare fulgus lampo fulmes fulmine fulmetra'es parafulmine fulminare fulminare fumare fumare fumus fumo fundamenitus fondamento fundare fondare funis fune, corda funxios funzione furare rubare furcillas forcina furis ladro furnarius fornaio furnus forno fuscinas forchetta fustis fusto futpes marciapiede futura futuro futu us futuro galerus galerus berretto gallina’ceus tacchino gallus gallo galoppare galoppare galvanoplastica galvano- plastico gambetto (RCACCN) gamis cacciagione ga'ragis garage gariofillus garofano garrire garrire gas gas gasosa gassoso gaudere godere gaudius gaudio gelare gelare gelazios gelamento gemere gemere gemmas gemma genas guancia gendris genere generalis generale genera’lisa generale generare generare generis genero genero’sitas generosità genetli’acus genetliaco genibusare IRRIROCCHAre genitoris genitore gentila gentile gentilare ingentilire gentis gente genus ginocchio geografi’as geografia gambettos lacere giacere iacintus giacinto ja’nuas portone iasminus gelsomino ia’'tus apertura ictuctus picchiotto ideare ideare idea’lisa ideale ide’as idea ide’ntica identico idrargirus mercurio idra’ulica idraulico idro idro idrografi’as idrograf'a idroplanus idroplano ieiu’nius digiuno ielpare squittire, shiatti- iemare far freddo {re l’emis inverno Il geogra’fica geografico geologi’as geologia geometri’as geometria gerres novella gerundius gerundio gestus gesto gettis giavazzo giagua’'ris giaguaro giakettis giacchetta gibbas gobbo gibbosa gobbo gibbus gobbo giga’ntea gigantesco gimna’sticas ginnastica ginece’us gineceo gingivas gengiva gio’ineris stipettaio gio’is gioia gionstocans Sn te gionstacare accomandi- [tare gionstoca’rius accoman- [datario gionstocus accomandita girus giro giue’llis gioiello gura’ssica giurassico glacia’rius ghiacciaio gla’cies ghiaccio glia’'ndulas glandola gla’reas ghiaia . glebas zolla gliris ghiro globus globo ignis funco ignoranzias ignoranza ila’risa allegro i’lias fianco illecebrosa carezzevole illinere spalmare illucescere far giorno illuminare illuminare illu’strisa illustre imaginare immaginare imaginazios immagina- imbris acquazzone (zione imitare imitare immora’lisa immorale immora'litas immoralità immu’nisa immune impedire impedire imperativus imperativo imperatoris imperatore Cd incisi va glocitare chiocciare glomerare avvoltolare glorias gloria glovis guanto giutire ingoiare, SEE tire gossipius cotone gradire gradire gra'dius gradino, scalino gradus grado grammas gramma grammaticas grammatica grandinare grandinare gra’ndisa grandioso, gran- grandos grandine [de granus grano grassare assassinare gratitiu’dis gratitudine gra’visa grave grazias grazia graziasagere ringraziare graziasaxios ringrazia- [mento graziosa grazioso gres gregge grunnire grugnire guascapus guascappa guastus guado (erba) guberna’culus timone (na- gube’rnius governo [ve) guepàrdus guepardo gulas gola gulfus golfo gummis gomma . gustius fusto imperfecta imperfetto imperfectus imperfetto i'mpetus impeto impingere gettare impiu’vius abbaino importansa importante importanzias importanza levatura importare importare inalterabl’lisa inalterabi- | e inalterabi’litas inalterabi- ina’uris orecchino [lità incedere incedere incendere incendiare incendius incendio incessus andatura incipere principiare incisiva incisivo incitare incitare incitare includere accludere inclu- Ì dere incredibi’lisa incredibile increpare biasimare, ri- [prendere incubare covare incurvare incurvare indefinita indefinito indes indice Indiana indiano - indicare indicare indicativus indicativo indigere abbisognare indigna indegno indignare indignare indiligensa trascurato indiligenzias trascuratez- za indispensabi’lisa indi- i {spensabile indocta ignorante indolenzias indolenza i'ndoles indole inducere indurre indulgensa indulgente indurare indurire indu’sius camicia indu’strias industria inepta inetto inepzias inezia inequa’lisa disuguale infa’misa infame infanzias infanzia infelixa infelice i°nfera sottano inferiora inferiore i'nfima infimo ‘infinita infinito , inflare gonfiare informare informare informazios informazione ke'is tastiera kelonitis chelonite kepis capo (geografia) kernellis colonnello ke’rubis cherubino kes astuccio kescis contante laborare lavorare laboratoris lavoratore laboriosa laborioso laboris lavoro labrus labbro infortunata sfortunato infortu’nitas sventura infre'nisa sbrigliato ingenius ingegno Ingland inghilterra Ingliscia inglese ingressus ingresso i*nguinis inguine iniqua iniquo inire entrare in carica di inmissarius immissario innire nitrire innocensa innocente innuere accennare inopsa scarso insecare tagliare insectis insetto insidies insidia insidiosa ingidioso insolensa insolente insolenzias insolenza instruere istruire instrumentus strumento ‘ (notarile) instruxios istruzione Integra intero integra’lisa integrale intelligenzias MELE za intendere intendere i’nteres interesse interesare interessare interie’xios interiezione interiora interiore internaziona’lisa interna- [zionale interrogativa interrogativo interrogazios interroga- {zione intestinus intestino Intima intimo kiavettis chiavetta. rubi- [netto kili’fera chilifero kilificare chilificare kilificazios chilificazione ‘ kilo’metris chilometro kilus chilo (chimica) LL lacernas mantello lactis latte lacus lago lagunas laguna lamentus lamento landare inuti’lisa inutile invaletudos debolezza (fisica); infermità invenire trovare inventarius inventario inventoris inventore inversa inverso investire investire invidere invidiare invi’dias invidia invitare invitare invo’is fattura lo'nica ionico io’ttis yacht iras ira ; irascire adirare ire andare: iris iride irritare irritare irrumpere irrompere Ist est. i istmus istmo l'teris- cammino ites strada . ittiosa’ura .ittiosauro itus andata iu’des giudice ludicare giudicare ludi’cius giudizio lu’gas giogaia (monti) jugus giogo u'ncus giunco” iurare- giurare iusiurandus giuramento lusta giusto iustizias giustizia lusvocare citare in corte luvare giovare iu’venis giovane luve’nîsa giovane iuventus gioventù izios andatura ki'mica chimico ki'micas chimica‘ kimus chimo . . kio’skis chiosco . kippare mantenere kiro'grafus chirografo kirurgus chirurgo la’minas lamina lampas lampada lanàs lana lanceolata lanceolato landare approdare lapidare lapidare lapidare, piove- {re pietre Ja'pidis lapide lapis matita lascivias lascivia lata largo la’'teris mattone lati'bulus nascondiglio Lati'nula Latinulo Lati’rnulus Latinulo latitu’dinis latitudine latitudos larghezza latrare latrare latrinas latrina latus lato latu’sculus fianchetto - (scacchi) laudare lodare la’us lode lavare lavare lectosurgere lecturis lettura lectus letto legare lasciare in eredità legere leggere legios legione legumes legume le’monis limone lenta lento lentis lente leopardus leopardo le’os leone lepus lepre les legge levare da [letto L | macellus macello macra magro mae’stros maestro com- positore di musica màafrontis frontone magistes maesiro magna grande magnecus salone magnitudos grandezza maia’lis maiale maie’stàs maestà maindare badare maiora maggiore maioranzias maggioranza maio’ritas maggiorità ma’is granone, granturco ma’kinas macchina mala cattivo maledicere maledire ma’litas cattiveria ma’lumis male malus melo malusarmis albicocco 13: = leia lieto le’visa leggiero, lieve le’'xicos vocabolario le’xios lezione libellios libraio libera libero liberare liberare librettos libretto musicale libris libro ligare legare livatoris legatore lignas legna lignus legno ligos zappa limitare limitare li'mitis limite Ji'mpida limpido lincis lince lineaducere tratteggiare linea’risa lineare linguas lingua letteraria lifnteas cravatta linus lino liquoris liquore liras lira (moneta Italiana) liris lira (strumento) li'teras lettera lito’grafus litografo lo'a basso loaple’inis Yassopiano lobstes aragosta locamplus largo locare appigionare locomotiva locomotivo mammas mamma mammi’ferus mammifero mammillas mammella manarripere abbrancare mandamentus manda- [mento mandarinis mandarino mandolas mandola © mandolinis mandolino manducare mangiare manes mattina i manicavillos manicotto ma'’nices manetta manicesàare ammanettare ma’nneris maniera manovrare manovrare mantiles tovaglia manus mano mapa’lias capanna marcare marcare mar conigrafare marconi- [grafare matris locomotivus locomotiva locula’risa loculare lo’culus loculo locus luogo lodgingus quartiere lo’iala leale London Londra longa lungo longinquazios prolunga- [mento longitudinis longitudine longitudos lunghezza loquire parlare, ragionare lordis lord lo’'tteris lotteria, lotto lo’us basso, la parte bassa luccare sembrare lucius luccio lucrare guadagnare luctare lottare luctus lutto ludere giocare ludus giuoco lugere vestire di nero lunas luna luncandens tramonto del- [la luna lunoriens levata aella lu- lupinus lupino [na lupus lupo ius luce luscardis carta da giuoco lusitare scherzare lutosus pantano marconigrammis marco- [nigramma maremotus maremoto margos margine maricanis pescecane marina marino maris mare maritus marito markios marchese marmos marmo marosus maroso marsupius borsa martes faina marzia’lisa marzia'e massiva massiccio massivis massiccio mastis albero di (nave) mastris padrone: mastrucas pelliccia. matema’tica matematico matema’ticas matematica materia’lisa materiale matris madre matronas matronas matrona matura maturo maxillas mascella ma’'xima massimo mecca’nica meccanico medianoctis mezzanotte me’dicus medico medius mezzo, la parte di mezzo, il dito medio me’ilis corriere postale melanco’lica malinconico melinsanas melanzana meliora migliore mellis miele melodramas melodramma membrus membro meminissere ricordare me’mora memore memorabi’lisa BOESI, i le . memoranda memorando memorias memoria mendicare chiedere l’ele- mensis mese {mosina mensurare misurare mentala mentale mentas menta mentis mente mercatus mercato mercìs merce merere rattristare di o per meridianus meridiano meridies mezzogiorno meritare meritare me'’ritus merito me’rulus merlo me’spilus nespolo messis raccolta messoris mietitore metàs meta mete’ieris mezzadro na’itis cavallo (scacchi) nanciscire incontrare napkinis salvietta, tova- naris narice [gliolo narrare narrare nascire nascere nasus naso Natalis Natale natare nuotare nates natica nati’vitas nascita natura’lisa naturale naturas natura naufragius naufragio na’utas marinaio navigare navigare mete’iris mezzadria metere mietere metris metro (misura) miles soldato mineralis minerale minera’lisa minerale mineralogi’as liga gia minerealo’gica BRL, mi’nima minimo [logico ministe’'rius ministero ministris ministro minitare minacciare mi’nitis minuto minora minore mirtus mirto mis signorina miscredensa miscredente mi’sera meschino miserias miseria mittere mandare mixtios mescolanza mobi’lisa mobile moderna moderno modus modo mola’risa molare molesta molesto moletrinas mulino mo'Ilisa molle mollisare molleggiare molvas merluzzo momentus momento monasterius monastero monetas danaro contante monire guaire monomani’aca monoma- [niaco monstrare mostrare monstrus mostro montis monte monumentus monumento N navis nave mfa’'vitas nocchiero naziona’lisa nazionale nazios nazione nebu’las nebbia necessaria necessario negativa negativo negligensa negligente negligenzias negligenza negoziatoris negoziante nego'zius negozio nemus bosco nepos nipote ne’quama malvagio nequizias malvagità ne’utra neutro nocturna mora’lisa morale morbi’fera morbifero morbus malattia morenas morena (geo Ha ì ia morfologi’as morfologia morire morire mortis morte mortua morto mortuus morto mos costume mostescis baffo motociclis motocicletta motoscafis motoscafo mozios movenza muccinius fazzoletto mucros baionetta mugire muggire muliebri’'sa muliebre muli’eris donna multa molto multiplicare moltiplicare mulus mulo mundia’lisa mondiale mundus mondo munerare regalare municipius municipio munire munire munizios munizione munus regalo mura’lisa murale, di mu- ro, da muro murenas murena murus muro mus topo muscas mosca muse’us museo mu’sicas musica musicistis musicista mustelas donnola mutare cambiare neutra’lisa neutrale niddare aver bisogno di nigra nero ni'kelis ‘nichel nils niente nimia troppo ninfas ninfa ningere nevicare nis neve nisus sforzo nitire poggiare nittis maglia (di filo) niuspepes giornale nobi'lisa nobile noctis notte nocturna notturno nodus nodus nodo nomes nome Nord nord noscere condscere notarius notaio notizias notizia notoria notorio notosa’ura notosauro nova nuovo novalis maggese obedienzias obbedienza obedire obbedire obiectus oggetto , obligare obbligare oblinere impastare obliviscire dimenticare obnitire contrariare obscura oscuro obscu’ritas oscurità obsidere assediare obsonius pietanza obstetris ostetrico obstupescere allibire obtinere ottenere obtingere toccare a obtrectare sparlare obtundere ottundere occasumire tramontare occidere uccidere occultare occultare occupare occupare occupazios occupazione occurrere occorrere oce’anus oceano o’creas stivale o'culus occhio odissere odiare odius odio odoramentus profumo odorare odorare . odoris odore offendere offendere offensas offesa offerrere offrire «officialis ufficciafe officia’lisa ufficiale officia’litas ufficialità officinas officina pacfondis argentone pagare pagare pagus borgata, borgo palas pala palazius palazzo no’velis romanzo novercas matrigna nubere sposare nubes nuvola, nube nuges bagattella numera’lisa numerale numeràare numerare numerosa numeroso nu’merus numero numismas medaglia officius ufficio olere odorare di, aver [odore di o’leus olio olivus olivo omagis omaggio oma'ulicus cortigiano omicidas omicida omicidius omicidio o’mnibus omnibus omos uomo ondulare ondulare onerare caricare onerata caricato, carico o’neris carico onesta onesto onoraré onorare onos onore operarius operaio o’peras opera (teatro) operettas operetta Opificius opificio opinios opinione, giudi- o’pius oppio {zio oportere bisognare, esse- {re conveniente opportuna opportuno opportunitas opportunità opprimere opprimere Optare optare o’ptima ottimo opunzias ficodindia opus opera orare pregare orarius orario oras ora oratoris oratore o’'rdeus orzo palearis giogaia paleontologi’as paleon- [tologia palestras palestra palmas palma palus nummus moneta nu’ndines fiera (di bestia- [me) nunziare annunziare nupzies nozze nurus nuora nus noce nutris nutrice nuttus cenno ordina’lisa ordinale ordinare ordinare ordinaria ordinario ordinazios ordinazione, ordos ordine [ordine orengia’dis aranciata crengis arancio organisare organizzate organisazios organizza- organus organo [zione orientalistis orientalista origos origine o’rizas riso (pianta) orizonta’lisa orizzontale o’rizos orizzonte orkestras orchestra ornare ornare orografi’as orografia orologiarius orologiaio orologius orologio orrere aver orrore di, a- vere in orrore orros orrore ortus orto 08°bocca oscillazios oscillazione oscitare sbadigliare o’sculus bocchino ospitalis ospedale OSsis 0sso ostendere dimostrare osti’olus sportello ostius uscio otellus hotel, albergo ovarius ovario ovata ovale, ovato ovis montone OVUs uovo pa'Imeus palma (albero) palotteris pallottoliera palottis pallottola paludis palude palus palo panis panis pane panteras pantera papilios padiglione parare approntare parcere perdonare parcus parco parentes genitore pare’ntesis parentesi () Paris Parigi pars rata partiaquas spartiacque participius participio partire spartire partis parte partitas partita (giuoco) parturire partorire parva piccolo parvexillus banderuola pas pace pa'ssenges passcggiero passus passo pastinare zappare pastinatoris zappatore vastoris pastore paterna paterno pa'tinas piatto patrias patria patris padre pa'truus zio pauca poco pa’ueris forza meccanica pa’upera povero pa'upertas povertà pavimentus pavimento pazienzias pazienza peccatus peccato pe’ctulus pettino pectus petto pedi’culus picciuolo pedu’nculus peduncolo peggus attaccapanni peimentis pagamento peiora peggiore pellis pelle penas pena penat=s penati penetrare penetrare penitere pentire pennas penna pennis penny pensilinis pensilina pensus compito peplus peplo pepos popone ;eras tasca percutere percuotere perdere perdere perdezios perdita perfecta perfetto perfectus perfetto perficere perfezionare peri'odus periodo permittere permettere permutazios permutazio- persivere accorgere [ne persona’lisa personale personis persona pe'rticas pertica pertinere appartenere pertransire trapassare pes piede pessima pessimo pe’talus petalo pe’tasus cappello a tuba pe’tticos sottana petere domandare, chie- petras pietra [dere petronas macigno p:trose’linus prezzemolo pia pio pianofortis pianoforte picas gazza picciare beccheggiare picciazios beccheggio piceggis ciglione picturas pittura pi’Petas pietà pigere rincrescere pigra pigro pi'leus cappello pilormus pelaine pilus pelo pi’ncise pinze, pinzette pi’nguisa grasso pitninus merletto pinsere pestare pinus pino pipe’ritis peperone pi'pios piccione piris pari, (dignità ingle- pirus pero [se) piscare pescare piscatoris pescatore piscis pesce pistillus pistillo pistrinus palmento pisus pisello pittis platea pixina’uticas bussola placere piacere pianetas pianeta plan:izies pianura plantas pianta pla’teas piazza pla’tinus platino ple’inis piano, pianura piena pieno ple’sciu:is piacere plesiosa’ura plesiosauro plicare, piegare, ripiegare plicati’lisa pieghevole pliosa’ura pliosauro prebere plisare compiacere plostrus carriuola pluere piovere piumbus piombo piu’rima moltissimo plusperfectus piucche- plu’vias pioggia {perfetto po'esis poesia poe’tas poeta po'is zampa poliedrus poliedro poli’tica politico po’lizzes polizza polles pollice poltronis poltrona polus polo pompare pompare pompas pompa pomperis pompiere ponderosa pesante ponere porre, mettere ponis pedone (scacchi) po’ntifes pontefice pontis ponte popinas locanda popis papa populare popolare populazios popolazione porcus porco porrare tornire, far lc fusa portare portare portas porta portazios portamento portfolis portafoglio portus porto poscere chiedere, doman- . dare, richiedere positiva positivo possere potere (materia- [le) possessiva possessivo possibi’lisa possibile possidere possedere posta’lisa postale po'stera postero © posteriora posteriore postes imposta postis posta postisare impostare postrema postreino postulare chiedere con [esigenza po’'stuma postumo po:ensa potente podero- potenzias potenza [so potire impadronire prandere pranzare prandius pranzo prates prateria . pratus prato prebere fornire piccare precare pregare precepz'os insegnamento predas preda prediligere prediligere predos predone preeminenzias premi- [nenza prefecturas prefetiura preferenzias preferenza preferrere preferire pregius pregio preiudicius pregiudizio premiare premiare premittere premettere premius premio prenijere prendere prensios presa preparare preparare preposizios preposizione presensa presente presepes mangiatoia preses preside presidentis presidente preterire passare (tempo) pretoria pretorio previdere prevedere preziosa prezioso — preziumare apprezzare prezius prezzo principa’lisa principale pri'ncipis principe principius principio printris stampatore pristis prete priunare rimondare — priunatoris rimondatore priunazios rimonda quadernus quaderno quadrupes quadrupede Quadrus quadro qua’litas qualità quanta quanto quartettos quartetto Qquatere scuotere radiotelegrafare radio- Re tadiotelegra'fica radio- [telegrafico radis radice ra’fanus ravanello ra'las razza (pesce) privare privare privignus figliastro proa’vus bisnonno. bisa- proba probo [vo probabi’lisa probabile procedere procedere proclamare proclamare procurare procurare procuratoris procuratore prodere tradire prodessere servire a proditoris traditore producere produrre productus prodotto produxlos produzione proe’mius proemio — proferrere profferire professios professione professoris professore progectis progetto proibere broibire prolatare allargare prominere sporgere promittere promettere promovere promuovere pronomes pronome pronunciare pronunciare pronunciazios pronunzia propellere spingere propos proposta propo'’istus proposito proposizios proposizio- propria prorio [ne propri’etas proprietà proras prora, prua proscenius proscenio protegere proteggere quercus quercia querere chiedere per sa- [pere querire lagnare questionis questione ques’tios domanda quicca svelto raidare andare sopra o {dentro un veicolo ra'ita adatto, diritto, esat- to, giusto, vero raitare far giustizia, es- [sere giusto verso ramus ramo ‘ rastrus protestare protestare protraere prolungare provenire provenire providere provvedere provincias provincia pro’xima prossimo prui’nas brina pru’numis susino prunus pruno pruvis prova pteroda'ctila pterodattilo pu’blica pubblico publicare pubblicare pudere vergognare pu’eris fanciullo pue’rperas puerpera pugnare tenzonare, pu- pugnas tenzone [gnare pulcra bello pulcritudos bellezza pullus pollo puilu’sarius pollaio pulmos polmone pulpastrs polpastrello pu’isulus polsino pulvinus cuscino pulvis polvere pumas puma punctua'litas puntualità punctus punto punimalus melograno punire punire pupillas pupilla puppis poppa (nave) pura puro putare credere, avere pu'teus pozzo [opinione qui’es quiete quietare quietare quinis regina (scacchi) quintalis quintale (kg. quintas quinta {100) quire potere (morale) quotidiana quotidiano ranas rana rancoriìs rancore rankis grado (dignità) ra’pida rapido rapus rapa rara raro rastrus rastrello ratis ratis zattera raziocinare ragionare razios ragione rea’lisa reale, di realtà rea’Itus rialto rea’lus reale (moneta) recconare calcolare receptus ritirata (militare) recipere ricevere reclamare reclamare reclamus reclamo reconcinnare racconciare recta retto recubare coricare recurva ricurvo redarus rimessa reddere rendere redire tornare re’'ditus ritorno referrere riferire refertare importare, in- [teressare reformidare aver paura [di, paventare refragare replicare refrangere rifrangere rega’lisa reale, regale regere reggere re’gias reggia, corte regimentis reggimento regioisire rallegrare regios regione regis re registrare registrare regnare regnare regula’risa regolare re’gulas regola reicere scacciare re'ilis rotaia reilue’is ferrovia reilue’isa ferroviario relativa relativo re’ligios religione religiosa religioso relinquere lasciare sa’'bulus sabbia SACCUS sacco sacrarius cappella sacrificius sacrifizio saga’citas sagacia salis sale saltus salto salus salute salutare salutare salvias salvia sana sano i reli’quus resto remanere rimanere, res- [tare, trattenere remorare aspettare - remorazios attesa remulcare rimorchiare renis rene repentina repentino repetere ripetere replere riempire representare rappresen- {tare | ronga inadatto, inesatto, reptare strisciare re’ptilis rettile requiescere riposare res cosa resi’duus resto resipere sapere di, aver [sapore di respectabi’lisa rispetti e respectare rispettare respendus ciondolo respondere rispondere restare restare restaurare ristorare restis riposo restorantis ristorante restringere restringere resuscitare risuscitare retalrare ritirare retraere ritrarre re’viu® rivista revoluzios rivoluzione ridere ridere rieligere rieleggere rikisare abbicare rimborsare rimborsare ringir» ringhiare ripas riva | ripere raccogliere (cere- risakis risacca [ali) riscare arrischiare riscus rischio ritirare ritirare (commer- [ciale S sa’'nctitas santità sanguis sangue sapiensa sapiente sapienzias sapienza sardas sarda sarissas piccone sartoris sarto satisfacere soddisfare satisfaciensa soddisfa- [cente, soddisfattorio sboccare sboccare rollare arrotolare sCatebras riuscire riuscire rivolvris rivoltella ri'vulus rigagnolo rivus rivo, ruscello rizomas rizoma robus robustezza robusta robusto . roffa ruvido rogare chiedere con pre- {ghiera romans romanza {torto, ingiusto, falso rongare fare torto, esse- [re ingiusto verso rorare cadere la rugiada ros rugiada rosas Fosa rosmarinus rosmarino rostras ringhiera rotas ruota rotunta rotondo rotunditare tondeggiare ro’us fila rube’culas pettirosso rubra rosso rubus rovo rubusi'deus lampone rudentes sartiame rudentis cavo rudere ragliare rufflare arruffare rugire ruggire rugitus ruggito rui’nas .rovina rullare rullare rumorosa rùmoroso ‘rumos rumore | rumpere rompere rupes rupe ruptoris rompitore rustare arrugginire rustica’rius massaio rusticedes masseria sboccus sbocco scabere scalfire scabiles predellino scafis scafo scAiscrepes grattacielo scalarus gradinata scalas scala scalena scaleno scamnus banco, scanno scatebras sorgente sceffris sceffris conduttore di automobili, chaffeur scefis covone scelerata scellerato scelfis scaffale scelus scelleraggine, scel- [leratezza sce’mises camicetta scenas scena ‘’ scenografi’as scenografia sceptrus scettro sceris azione (commer- [ciale) sceristis azionista scevare sbarbare sciainare lucidare sci’as scia sciensa sciente scienti’fica scientifico scienzias scienza scienziata scienziato scintillare scintillare scioare- presentare sci’olus saccente sci’pios gruccia scire sapere scirrus scirro scittis foglio sciu’ldris spalla scolaris scolaro scolas scuola scola’stica scolastico sco’pulus scoglio scopus scopo scribas scrivano scribere scrivere scriptoris scrittore scrobis tana scrus vite scrusare avvitare scurrare buffoneggiare scurras buffone se’cales segala secare segare secas sega seclare attenere a, stare a secogitare fantasticare. secrétus segreto sectare cercare di otte- [nere se’culus secolo secura sicuro securare assicurare sedere sedere sefis cassaforte seges biada selexios scelta seligere scegliere sellulo’is celluloide sema’foris semaforo semaforistis semaforista semicolonis punto e vir- (gola (;) seminare seminare seminazios semina semitas scorciatoia semplis campione senatoris senatore senectus vecchiaia senes vecchio se’nesa vecchio sensibi'lisa sensibile sentire sentire se’palus sepalo sepelire seppellire sepes siepe septus recinto sepulcretus cimitero sequensa seguente sequire seguire se’ria serio se’ricus seta sermos discorso . abere una sermos fare [un discorso serpentis serpente serras serra servare salvare servatoris salvatore servire servire servis servizio se’rvitus servitù servus servo setas setola sevare risparmiare severa severo sibilare sibilare siccare seccare sideru’rgica siderurgico si’gares sigaretta sigas sigaro signalis segnale silatus colazione silenziosa silenzioso silere zittire, far silenzio silurans silurante silurare silurare silurus siluro silvas selva silva’tica selvatico simi’lisa simile simpa'’tica simpatico si'mplexa semplice simulta’nea simultaneo sincera sincero si’ndicus sindaco si’ngula singolo + singula’risa singolare sini’'stera sinistro sintaxis sintassi siparius sipario si’'sonis stagioue spinas sistemas sistema sitire aver sete sitis sete situs sito, posto skecciare abbozzare skeccis abbozzo skeinare annaspare skeles scala (di propor- skemas schema [zione sketis pattino sketisare pattinare ski’dias scheggia - skismas scisma skistus lavagna, ardesia slanta sghembo slendra smilzo slevis schiavo smerlare smerlare smuta liscio snappare azzannare sobria sobrio soccus pantofola 8so’cerus suocero sociabi’lisa socievole socia’lisa sociale soci’etàs società socorsa poltrone © softa soffice, morbido sola solo solaArius terrazza solcadens tramonto del 80 soliloquis soliloquio solis sole solitaria solitario solo’riens levata del sole solstizius solstizio solus suolo somniare sognare somnius sogno somnus sonno sonare suonare sonus suono sopranos soprano $ores sorcio soros sorella. sorprendere sorprendere sovrana sovrano sovrenis sterlina spa’iglas cannocchiale spargere spargere specia’lisa speciale specta’culus spettacolo spectatoris spettatore specus grotta spellere compitare spendere spendere sperare sperare spicas spiga spina’cias spinace gspinas spina spiritus spi’ritus spiriio splendere splendere sple’ndida splendido splendoris splendore splenis milza spoliarius spogliatoio springus molla spumas spuma, schiuma spurca sporco squeris casella (scacchi) squiccare stridere (topi) sta’bulus stalla sta’dius stadio stagnus stagno, acqua [morta stames stame stamnus stagno stare stare ritto statuas statua statuere stabilire, prefig- status stato [gere stazios stazione stegis palcoscenico stela stantio stellas stella stendere stendere stereoscopis stereosco- stetla maestoso [pio stigmas stimma stilis stile stilus stilo sti’meris piroscafo stivas stiva stoffis stoffa stolkis stipola sto'macus stomaco storis deposito (magaz- [zino) tabernas taverna ta’bulas tavola tacere tacere ta’ctila tattile tactis tasto tacui’nis taccuino ta’idis marea ta’irda stanco ta’lisa tale talpas talpa talusare accoccolare ac- i [cosciare tanger= toccare tantu’ndema altrettanto tapes tappeto tapesare tappezzare tardare ritardare tardazios ritardo ta’uelis asciugamano 20 stovis stufa strages strage stra’ifis gara stra’nea strano streitenare raddrizzare ‘trengas forza (bruta) stre’nua strenuo stri’'as stria stricta stretto stridere stridere strimis corrente stritcas tranvai stro’fius fazzolettone strumentus strumento musicale etru’xios accatastamento studentis studente studere studiare studiosa studioso stu’dius studio stulta stolto stupere stordire sua’vitas soavità subde’bila fievole subdiuere assoggettare subicere sottoporre subiectus soggetto subiunctivus congiuntivo sublandire lusingare subligacu’luse mutande submaArinus sottomarino submergere profondare submittere sottomettere subsi’dius sussidio substantivare sostanti- vare substantivus sostantivo substanzias sostanza ta’unis paese ta’urus toro taxillus dado teatra’lisa teatrale tea’trus teatro tectus tetto . tedere annoiare tegere coprire te'gulas tegola telefonare telefonare telefo’nica telefonico télegrafare telegrafare telegra’fica telegrafico telegrammis telegramma telescopis telescopio temos timone tempestas tempesta tempus tempo tendere tendere tickettis subterra’'nea sotterraneo subti’lisa sottile succurrere soccorrere Sud sud suere cucire sufferrere soffrire sufflare soffiare sulcare solcare sulfumentus zolfanello suitanus sultano summa sommo summaria sommario summarius sommario summas somma summus sommità sumptus costo supelle’ctilis suppelletti- su'pera soprano [le superà’'bitus soprabito superare superare; sor- [montare superba superbo superbias superbia superci’lius sopracciglio superfi’cies superficie superiora superiore superna superno supplementus supple- [mento supponere supporre supportare sopportare suprema supremo surgere sorgere surrendere arrendere sus verro suspendere sospendere suspicare sospettare sustinere sostenere tenens tenente te’nera tenero tenores tenore terape’utica terapeutico terape'uticas terapeutica termala termale : terminare terminare terras terra terremotus terremoto ’ terrere atterrire terribi'lisa terribile territo’rius territorio terroris terrore terzettos terzetto testamentus testamento testimoniare testimonia- textiles tessuto [re ticca folto tickettis biglietto tigris 4 tigris tigre timere temere ti'mida timido timoris timore timus timo tingere tingere tinnus tonno | tintinna'bulus campanel- tipografi’as tipografia [lò tipo’grafus tipografo tipus tipo tis the (pianta) ti'tulus titolo tofus tufo | toilettis ritirata (latrina) to’is giocattolo tollere alzare tombis tomba tometos pomodoro tonare tuonare tongues lingua (muscolo) to’nitrus tuono tonnis tonnellata (kg 1000) tonsoris barbiere toracatus corazzata torpedineris torpedinicra torquis collana . ua°isa savio, saggio uelferis benessere uera'us magazzino uescottis panciotto Ue’st ovest ue’tris tempo ul’ndes arcolaio ulmus olmo ulteriora ulteriore u’ltima ultimo ululare ululare vadus guado, uado valdexpres treno direttis- va’lleis vallata [simo vallis valle valorosa valoroso valutare valutare valvas valva vangas vanga vaporis vapore varia vario variare variare vari’'etas varietà va’riusa svariato vascula’rius vasaio torrentis torrente torrere abbrustolire, to- tota tutto —_ [stare tota’lisa totale tractare trattare tractus tratto (scacchi) traducere tradurre © traere trarre tragedias tragedia tra’iflis frivolezza transbordare trasbordare transbordazios trasbordo transennas persiana | transire passare transkiurare trascurare transmittere trasmettere transparere trasparire transportare trasportare transversare traversare trapetus frantoio trasciare trebbiare trasciazios trebbiatura travelare viaggiare travelatoris viaggiatore tra’velis viaggio. tre’inus treno tremenda tremendo U ‘ umana umano uma’nitas umanità umus terra uncainda scortese unca’indnes scortesia underue’ris maglia (cami-. u’nguis unghia u’nitas unità uonderare meravigliare uonderosa meraviglioso uo’rdis parola [cia) WV va’sculus barattolo vasta vasto vaticanus vaticano vectis stanga velificare veleggiare ve’lius valore veli’volus velivolo vellere volere velo’citas velocità velus velo velvettis velluto venare cacciare, andare a [caccia venatoris cacciatore ‘versare tremere fremare trepidansa trepidante triangula’risa triangolare tribunailis tribunale tribus iribù tridentis tridente trientalis bottiglia trimmare freg'are tri'stisa triste . triturare triturare tro’lléis trolley truncus tronco tuberosus tuberosa tubus tubo tuftis ciuffo tuittare zirlare tunda tondo tundras tundra tu’nnelis galleria, tunnel] tu’rbida torhido turbulenta turbulento turdus tordo turmas branco turnare girare turris torre turrisare arroccare (scac- [chi) uostare sprecare urbis città urgensa urgente urere bruciare urpes erpice urpesare erpicare uUSsus uso, voga uti’lisa utile uti’litas utilità utire usare, adoperare, uxoris moglie venatus caccia vendere vendere venditoris venditore venire venire ventomovere sventolare ventris ventre venturare avventurare ventus vento vepretus macchia (bosco) vera vero i Veris primavera ve'ritas verità versare versare (danaro) versificatoris versificatoris versificato- [re, rimatore versus verso vertere volgere, rivolgere vertica’lisa verticale ves barella vespas vespa vesperare fare sera vespertilios pipistrello vespes sera vesti’bulus vestibolo vesti’gius traccia vestimentus abbiglia- vestire vestire [mento vestis veste veterinarius veterinario vexillus bandiera vi’as via viatritas carreggiata vi’cias veccia vicina vicino vici’nias contrada vi'ctimas vittima vi’ctora vittorioso vi'culus vicolo vicus vico videre vedere xilos bambagia zoologi’as zoologia vi’lisa vile villas villa vi’llicus fattore vimes vimine vinarius cantina vincere vincere vincezios vincita vindicare vendicare vindicazios vendetta vinus vino violinis violino violinistis violinista violodoratas mammoletta violoncellis violoncello viretus verdura viridarius giardino virtuosa virtuoso vis forza (mo-ale) vi’'sceris viscere viscontes visconte vi’sios visione, vista visitare visitare vi’sius veduta . visus vista vitas vita vitis vite vitrarius vetraio >. contraire contrarre contraere contrastare contrastare controbasso controbassis controllore controlloris convenire decere convento conventus conversare conversare convincere convincere convitato convivas convitto convictus convittore convictoris copia copia8 i coprire tegere dado taxillus dama demis danaro denarius dannoso damnosa dare dare aebole debilisa debolezza (fisica) invale- [tudos debolezza (morale) toiblis decente, essere - decere decidere decidere degno digna delfino delfinus delicato delicata delineare delineare delizia Qelicies coraggio curagis coraggioso curagiosa corazzata toracatus corbezzolo arbutus corda Va funis corda (suono) cordas cordiale cordialisa coricare recubare corista coristis corno cornus coro corus corolla corollas corpo corpus correggere corrigere corrente strimis correre currere corridoio ambulacrus corriere (poste) meilis corrispondenza conre- [spondenzias corrispondere conrespon- [dere corroborare corroborare corsa cursis Corso Cursus corte cortis corte (palazzo) regias cortese cainda cortesia caindnes cortigiano omaulicus corlina conopeus corto curta corvo Corvus cosa res coscia coxas costa costas costare costare costellazione constellazios costo sumptus costola costes costringere compellere delizioso deliciosa delucidare delucidare delucidazione delucida- [zios denominazione denomina- : [zios dentatura dentiseries dente dentis depilatorio dropas deporre deponere depositare depositare deposito (magazzino) sto- deputato deputis [ris derrata derratis desco deskis descrivere describere difterite costruire construere costruzione construxios costume mos cote cos cotone gossipius covare incubare covone scefis cravatta linteas creare creare creazione creazios credente credensa . credere (aver fede) credere (avere opinione) putare credito creditus crepuscolo crepusculus crescere crescere 5 cristallo cristallus criterio criterius croce crucis cucchiaio cocleas cuccia dogbeddus cucciare dogbeddere cucina culinas cucire suere cugino consobrinus culatta clunis .culattare clunisare cultore cultoris cuocere coquere cuoco Ccoquus cuoio corius cuore cordis cuoriforme cordisforma curioso curiosa curva curvis curvo curva cuscino pulvinus cuspidato cuspisata cusfo.de custos custodire custodire czar czaris desiderare desiderare destro dextera devastare devastare diacono diaconus diamante adamas diavolo, (misero uomo) [fellos dichiarare declarare didattico didactica difendere defendere difetto defectus differire differrere differenza differenzias difficile difficilisa difficoltà difficultas difierite difterites @ digitigrado digitigrado digitigrada digiuno ieiunius dignità dignitas dilaniare dilaniare dilatare dilatare dilettare delectare dilettevole delectabilisa (diletto delectazios diligente diligensa diligenza diligenzias diluvio diluvies dimandare petere. dimenticare obliviscire dimostrare (manifestare) [ostendere dimostrare demonstrare dimostrativo gi va dinamite dinamites dinosauro dinosaura, di- [nosaurus dipendere dependere diploma diplomas. dire dicere direttore directoris direzione direxi0s dirigere dirigere dirigibile dirigibilis diritto directa, raita disastro disastris discendere descendere discepolo discipulus disciplina disciplinas disciplinato disciplinata disco discus discordia discordias eba nista ebenistis ebbrezza ebrietas ebbrietà ebrietas eccedere excedere eccellente excellensa eccellenza excellenzias edera ederas edificio edificius editore editoris. educare educare educazione educazios Sa effectus 'ficace efficaxa efficiente efficiensa egregio egregia eguagliare equare eguale equalisa elastico elastica elefante elefas elegante elegansa discorso sermos discutere discutere diseguale inequalisa disertare desertare disgrazia adversucas dispacciare despacciare dispensa distribuzios dispensa (stanza) cellarius disperare desperare disperato desperata disperazione desperazios dispetto despectus disporre disponere disposto disposita dispregio contemptus dissoluto dissoluta distinguere distinguere distinto distincta distrarre destraere distretto districtis disubbidire disobedire ditale digitales dito digitus diventare fierire diverso diversa :3 dividere dividere dock dokis dogana costommaus dolce dulcisa dolcezza dulcitas dolere dolere dollaro dollaris dolore doloris, ekis domanda questios domandare poscere domandare con esigenza [postulare E eleggere eligere elemento elementus elemosina chiedere l’ men- [dicare eletto electa elettore electoris elettrico electrica eliotropio eliotropius ellittico elliptica emetico emetica emettere emittere emisferico emisferica emissario emissarius empire replere emulazione emulazios entrambi amba enumerare enumerare epoca epocas equatore equatoris equazione equazios esistere domandare con istanza | [flagitare domandare con preghiera [rogare domandare per ottenere [petere domandare per sapere {querere domare domare domenicano Dominicanus domestico domestica domestico (addomestica- | (to) cicura dominante dominansa dominato dominata donna mulieris donnola mustelas dono donus dormire dormire dorso dorsus dotare dotare dotto docta dottore doctoris dovere debere, diutis dragone draconis dramma dramas drammatico dramatica duca diukis duellare duellare duello duellus duetto duettos duna dunas duomo catedralis durare durare durezza durizies duro dura equinozio equinoxius erba erbas erpicare urpesare erpice urpes errare errare errore erroris erudito erudita erudizione erudizios eruzione erupzios esame exames esatto raita esclamare exclamare esclusivo exclusiva eseguire exequire esempio exemplus esercito exercitus esiguo exigua esiliare exiliare esistenzu existenzias esistere existere espressione espressione expressios essere essere; bingus est Ist estate Estas esteriore exteriora esterno extera fabbrica (opificio) factoris fabbricare fabricare fabbro fabes faccendone ardelios facchino baiulus faccia facies facezia facezies facile facilisa facilitare facilitare facoltà facultas fagiuolo faselus faina martes falange falangis falegname falignarius fallire fallire falso ronga famiglia familias famigliare familiarisa fanale fanalis fanciullo pueris fantasticare secogitare fantastico fantastica fare facere farmacista farmacopolas faro farus farsa fars fasciare fasciare fascina fasces fascinazione fascinazios fascio fascis fase fasis fattezza feciuris fatto factus fattore villicus fattura invois fauci faucise fava fabas favo favus favola fabulas favore favoris fazzoletto muccinius fazzolettone strofius fedele fidelisa Fedeltà fidelitas fegatello (scacchi) fega- fegato epas [tellos felice felixa felicità felicitas felino felina femmina feminas 30 estero estera estremita extremitas estremo extrema esfrinseco extrinseca estuario estuarius età etas femminile feminina femminino feminina ferire ferire ferita vulinus fermarsi commorare feroce feroxa ferocia ferocitas ferrare ferrare ferro ferrus ferrovia reilueis ferroviario reilueisa festa festus fiala fialas fiammifero flammiferus fianchetto (scacchi) latu- fianco ilias {sculus fico ficus ficodindia opunzias fidanzare despondere fidanzato desponsatus fidare fidere fiele felis fiera feras fiera (bestiame) nundines fievole subdebila figliastro privignus figlio filius figura figuras fila rous filare evenius filiare filiare filiforme filusforma filo filus filtro filtrus fine finis finestra fenestras finimento (cavalli) arnes finire finire fiocco floccus fiordo fiordis fiore flos fiorire florescere firma firmas firmare firmare fischiare fiskiare fischio fiskius fisica fisicas fisico fisica fiume flumes flebile flebiliea flessibile flexibilisa fred do eteroclito etercclita etnografico etnografica Europa Europa evaporazione evaporazios eventuale eventuala evitare evitare flessuoso flexuosa flotta flittis fluire fluere foce fauces foglia folius foglio scittis fogna dreinis folto ticca fondamento fundamentus fondare fundare fonologia fonologias fontana fauntenis fonte fons forbice forficis forchetta fuscinas forcina, furcillas foresta torestis forestiere advenas forma formas formaggio caseus formare formare formazione formazios fornace fornas fornaio furnarius fornire prebere forno furnus forte fortisa fortezza fortres fortuna fortunas fortunato fortunata forza (bruta) strengas forza (meccanica) paueris forza (morale) vis forzare cogere fossa foveas fossato fossatus fossile fossilisa fosso fossas fradicio fracida fragile fragilisa fragola fragas frana franas franare franare francescano Franciscanus frantoio trapetus frate fraiaris fratello fratris frazionario fraxionaria freccia arros freddo frigida freddo fare- iemare fregiare fregiare trimmare frenare frenare freno frenus frequente îrequensa fringuello fringillas frivolezza traiflis frivolo frivola frode fraudis fronte frontis gabbia caveas gabinetto cabinettis galleria tunnelis; gallo gallus galoppare galoppare galvanoplastico ‘galvano- gamba crus {plastica gambetto (scacchi) gam- gara straifis [bettos garage garagis garofano gariofillus garrire garrire gas gas gassuso gasosa gatto feles gaudio gaudius gazza picas gelamento gelazios gelare gelare gelsomino iasminus gemere gemere gemma gemmas generale generalis, gene- ralisa generare generare genere gendris genero generis generosità generositas genetliaco genetliacus gengiva gingivas genitore genitoris genitori parentes gente gentis gentile gentila geografia geografias geografico geografico geologia geologias geometria geometrias geruzdio gerundius gesto gestus gettare impingere ghiacciaio glaciarius ghiaccio glacies ghiaia glareas ghiro gliris ghisa beddairis giacca, giacchetta gta [tis frontone mafrontis frullone cribrus frumento frumentus frutto fructus fuggire fugere fulminare fulminare fulmine fulmes fumaiuolo caminus fumare fumare giacere iacere giacinto iacintus giaguaro giaguaris giardino viridarius giavazzo gettis gigantesco gigantea gineceo gineceus ginnastica gimnasticas ginocchi, cadere in - con- [genulare ginocchio genus giocare ludere giocattolo tois giogaia iugas, palearis giogo iugus gioia giois gioiello giuellis giornale niuspepes giorno dies far — illucescere giovane iuvenis, iuvenisa giovare iuvare gioventù inventus girare turnare giro girus giudicare iudicare ’ giudice iudes giudizio iudicius giunco iuncus giungere advenire giuoco ludus giuoco d’azzardo aleas giuramento iusiurandus iurare iurare giurassico giurassica giustizia iustizias far — raitare giusto iusta, raita essere = verso raitare glandula glandulas globo globus gloria glorias gobba gibbas gobbo gibbosa, gibbus godere gaudere gola gulas golfo gulfus gomito cubitus gusto fumo fumus fune funis funzione funxios fuoco ignis fusa, far le — porrare fusto fustis futuro futura. futurus gomma gummis gonfiare inflare gonna, gonnella, ciclas governo gubernius gracchiare crocitare gracidare coaxare gradinata scalarus gradino gradius . gradire gradire grado gradus, rankis gramma grammas grammatica grammaticas grande magna, grandisa grandezza magnitudos grandinare grandinare grandine grandos grandioso grandisa grano granus granone granturco mais grasso arvinas, pinguisa gratitudine gratitiudis grattacielo scaiscrepes grave gravisa grazia grazias grazioso graziosa gregge gres grembiale cincticulus gridare clamare grido crais grosso crassa grotta specus gruccia scipios grugnire grunnire guadagnare lucrare guado (fiume) vadus guado (pianta) guastus guaire monire guancia genas guanto glovis guardare aspicere guardiano custos guarire convalescere guascappa guascapus guepardo guepardus guerra bellus guerreggiare bellare guidare ducere gusto gustus hangar hangar angaris iceberg aisbergos idea ideas ideale idealisa ideare ideare identico identica idraulico idraulica idrografia idrografias idroplano idroplanus ignorante indocta ignoranza ignoranzias illuminare illuminare illustre illustrisa imballaggio consarcina- [zios imballare consarcinare imitare imitare —. immaginare imaginare immaginazione imagina- {zios immissario inmissarius immorale immoralisa immoralità immoralitas immune immunisa impadronire potire imparare discere impastare oblinere impaurire tormidare impedire impedire imperativo imperativus imperatore imperatoris imperfetto imperfecta im- impeto impetus [perfectus impiccare engare impiegare emploiare impiegare tempo, volerci [advocare impinzare crammare importante importanta importanza importanzias importare importare importare a refertare imposta (finestra) postes impostare postisare impresa enterpris inadatto ronga inalterabile inalterabilisa inarcare incurvare incedere incedere incendiare incendere incendio incendius incisivo incisiva Hi hotel otellus incitare incitare includere includere incolpare arcessere incontrare nanciscire incoraggiare encuragiare incredibile incredibilisa incrociare crossare incrocio cros indecente, essere — dede- [cere indeciso nondecideta indefinito indefinita indegno indigna indiano Indiana indicare indicare indicativo indicativus indice indes indignare indignare indirizzare directare indisciplinato nondiscipli- [nata indispensabile indispen- [sabilisa indispettire despectare indole indoles indolenza indolenzias indulgente indulgensa indurire indurare indurre inducere industria industrias inesatto ronga inetto inepta inezia inepzias infame infamisa infanzia infanzias infelice infelixa inferiore inferiora infermità invaletudos infimo infima infinito infinita, infinitus informare informare informazione informazios ingegnere enginiris ingegno ingenius ingentilire gentilare inglese Ingliscia Inghilterra Ingland inghiottire glvtire inginocchiare genibusare ingiusto ronga essere — verso rongare ittiosauro ingresso ingressus inguine inguinis iniquo iniqua innaffiare aquare innaspare skeinare innocente innocensa inoltrare advansare insalata acetaris insegnamento precepzios insegnare docere insenatura crikis insetto insectis insidia insidies insidioso insidiosa insolente insolensa insolenza insplenzias integrale integralisa intelligenza intelligenzias intendere intendere. interessare interesare interesse interes interiezione interiexios interiore interiora internazionale internazio- [nalisa intero integra interrogativo interrogati- {va, interrogativus interrogazione interroga- [zios intestino intestinus intimo intima ‘inutile inutilisa inventare adinvenire — inventario inventarius inventore inventoris inverno lemis inverso inversa investire investire invidia invidias invidiare invidere invitare invitare ionico lonica ira iras iride iris irritare irritare irrompere irrumpere istmo istmus istruire instruere istruzione instruxios ittiosauro ittiosaura labbro labbro labrus [laborioso laboriosa ladro furis lacnare querire lagnarsi di conquerire lago lacus laguna \agunas lama bledis lamento lamentus lamina laminas fampada lampas lampeggiare fulgurare lampo fulgus lampone rubusideus lana lanas lanceolato lanceolata lapidare \apidare lapide \apidis larghezza latitudos largo lata, iocamplius lasciare relinquere lasciare (testamento) le- [gare lasciare (abbandonare) [deserere lascivia lascivias latinulo Latinula, Latinu- latitudine \atitudinis [lus latrare \atrare latrina \atrinas latta bracteas (metallo) - latte lactis lavagna skistus lavare lavare lavorare laborare lavoratore laboratoris lavoro laboris macchia (bosco) vepretus macchina makinas macello macellus macigno petronas madre matris madrina commatris maestà maiestas maestoso stetla maestro magistes maestro (compositore) [maestros magazzino ueraus maggese novalis maggioranza maioranzias maggiore maiora maglia (camicia) underue- magro macra [ris 4 LL leale loiala legare ligare legatore ligatoris legge les leggere legere leggiero levisa leggio agnosterius legione legios legna lignas legno lignus legume legumes lente lentis lento lenta leone leos leopardo Ieopardus lepre lepus lettera literas letto lectus lettura lecturis levare da letto lectosur- ere levatrice obstetrisf levatura importanzias lezione lexios liberare liberare libero \ibera libraio libellios , libreria buckes libretto (musicale) libret- libro libris [tos lieto leta lieve levisa limitare \imitare limite \imitis limone lemonis limpido limpida lince lincis M maiale: maialis malato egrota. malattia morbus male malumis, ekis maledire maledicere malinconico melancolica malvagio nequama malvagità nequizias mamma mammas mammella mammillas mammifero mammiferus mammoletta violodoratas mancare deessere mandamento mandamen- mandare mittere [tus mandarino mandarinis mandola mandolas marciapiede lineare \inearisa lingua (letteraria) linguas lingua (muscolo) tongues lino linus liquore liquoris lira (moneta) liras lira (strumento) liris liscio smuta litografo litografus locanda popinas locomotiva locomotivus locomotivo locomotiva loculare locularisa loculo loculus lodare laudare lode laus loggia xistus Londra London longitudine longitudinis lord lordis lottare luctare lotteria lotteris luccio lucius luce lus lucidare sciainare luna lunas levata di — lunoriens tramonto di — lunca- [dens lunghezza longitudos lungo longa luogo locus aver luogo abere locus lupino lupinus lupo lupus lusingare sublandire lutto Iuctus mandolino mandolinis mandorleto amigdaletus mandorlo amigdalus manetta manices mangiare manducare mangiatoia presepes manicotto manicavillo8 maniera manneris mano manus manovrare manovrare mantello iacernas mantenere kippare maravigliare uonderare maraviglioso uonderosa marcare marcare marchese markios marciapiede futpes marconigrafare marconigra fare marconi- [grafare marconigramma marconi- mare maris [grammis marea taidis maremoto maremotus margine margos marinaio nautas marino marina marito maritus marmo marmos maroso marosus marziale marzialisa mascella maxillas massaio rusticarius mfsseria rusticedes massiccio massiva, mas- massimo maxima sivis matematica matematicas matematico matematica materiale materialisa matita lapis matrigna novercas matrona matronas mattina manes mattone lateris maturo matura meccanico meccanica medaglia numismas medico medicus medio medius melanzana melinsanas melo malus melodramma melodramas melograno punimalus membro membrus memorabile memorabilisa memorando memoranda memore memora memoria memorias mendicare mendicare menta mentas mentale mentala mente mentis mercalo cippa mercato (fiera) mercatus merce mercis narice naris narrare narrare .. nascere nascire nascita nativitas nascondere abdere nascondiglio latibulus naso nasus natale Natalis natica nates . natura naturas mercurio idrargirus meridiano meridianus meritare meritare merito meritus merletto pinnus merlo merulus merluzzo molvas meschino misera mescolanza mixtios mese mensis mestiere endcreftis meta metas metà (mezzo) dimidia, di- [midius metro (lineare) metris mettere ponere mezzadria meteiris mezzadro meteieris mezzanotte medianoctis mezzo dimidia, dimidius, [medius mezzogiorno meridies miagolare eiulare miagolio eiulazios miele mellis mietere metere mietitore messoris migliore meliora milza splenis minacciare minitare minerale mineralis mineralogia mineralogias minerealogico minerealo- minimo minima [gica ministero ministerius ministro ministris minore minora minuto minitis mirto mirtus miscredenie miscredensa miseria miserias misurare mensurare mobile mobilisa moda fescionis moderno moderna modo modus moglie uxoris naturale naturalisa naufragio naufragius nave navis navigare navigare mazionale nazionalisa nazione nazios : nebbia nebulas necessario necessaria negativo negativa negligente negligensa ninfa molesto molesta molla springus molle mollisa molleggiare mollisare moltiplicare multiplicare moltissimo plurima molto multa momento momentus monastero monasterius mondiale mundialisa mondo mundus moneta nummus moneta contante monetas monte montis montone ovis monumento monumentus morale moralisa morbido softa morbifero morbifera morena morenas morena (animale) mure- [nas morfologia morfologias morire morire morte mortis morto mortua, mortuus mosca muscas mostrare monstrare mostro monstrus motocicletta motociclis motoscafo motoscafis movimento moziòs muggire mugire muliebre muliebrisa mulino moletrinas mulo mulus municipio municipius munire munire munizione munizios murale muralisa muratore cementarius muro murus museo museus musica musicas musicista mugsicistis . mutande subligaculuse negligenza negligenzias negoziante negoziatoris negozio negozius nespolo mespilus neutrale neutralisa neutro neutra. neve nig i nevicare nevicare nichel: nikelis ninfa ninfas © nipote nipofe nepos nitrire innire nobile nobilisa nocchiere navitas noce nus nodo nodus: noia dividias noioso dividiosa nome nomes nonno avus obbedienza obedienzias obbedire obedire obbligare obligare oca anses occhiali conspicilluse occhio oculus occorrere occurrere occultare occultare occupare occupare occupazione occupazios oceano oceanus odiare odissere odio odius odorare odorare odorare, mandar odore di [olere odore odoris offendere offendere offesa offensas officina officinas offrire offerrere oggetto obiectus olio oleus olivo olivus olmo ulmus omaggio omagis omicida omicidas omicidio omicidius omnibus omnibus pace pas padiglione papilios padre patris padrone mastris paese taunis pagamento peimentis pagare pagare — paglia (cappello) causias pagliaccio clounis pala palas palazzo palazius palco (teatro) boxis palcoscenico stegis paleontologia paleontolo- [gias | nord Nord notaio notarius notizia notizi notorio notoria notosauro notosaura notte noctis notturno nocturna novella gerres nozze nupzies nube nubes O ondulare ondulare onesto onesta onorare onorare onore onos opera opus opera (teatro) operas operaio operarius operetta operettas opificio opificius opiniore opinios oppio opius opporsi adversare opportunità opportunitas opportuno opportuna opprimere opprimere optare optare ora oras orario orarius oratore oratoris orchestra orkestras ordinale ordinalisa ordinare ordinare ordinario ordinaria ordinazione ordinazios ordine ordos orecchino inauris orecchio auris orefice aurifes organizzare organisare palestra palestras palla bollis pallone ballunis pallottola palottis pallottoliera palotteris palma (albero) palmeus palma (di mano) palmas palmento pistrinus. palo palus palude paiudis panciotto uescottis pane panis pantano lutosus pantera panteras parte numerale numeralisa numerare numerare numero numerus numeroso numerosa nuora nurus nuotare natare nuovo nova nutrice nutris tn organizzazione organisa- organo organus [zios orientalista orientalistis origine origos orizzontale orizontalisa orizzonte orizos ornare ornare oro aurus orografia orografias orologiaio orologiarius orologio orologius orrore orros aver — di orrere orio ortus orzo ordeus osare audere oscillazione oscillazios oscurità obscuritas oscuro obscura ospedale ospitalis osso ossÌs ostetrico obstetris ottenere obtinere cercare di — sectare ottimo optima ottundere obtundere ovale ovata ovario ovarius ovest Uest pantofola soccus papa popis parafulmine fulmetraes parco parcus parecchio compluresa pareggiare equare parente consanguineus parentesi parentesis ( ) pari (dignità inglese) pi- Parigi Paris . . [ris parlare loquire parlare con qualcuno col- parola uordis [loquire. parte partis | participio participio participius partire (andare) abire partie (dividere) partire part.:a (giuoco) partitas partorire parturire passure transire passare (tempo) preterire passeggiare deambulare passeggiata deambula- [zios passeggiero passenges passo passus pastore pastoris paterno paterna patria patrias pattinare sketisare pattino sketis paura formidos aver — di reformidare paventare reformidare pavimento pavimentus pazienza pazienzias pazzo amentis peccato peccatus pedone (scacchi) ponis peduncolo pedunculus peggiore peiora pelame pilormus pelle pellis pelliccia mastrucas pelo pilus pena penas penati Penatese penetrare penetrare penna pennas penny pennis pensure cogitare pensilina pensilinis pentire penitere peperone piperitis peplo peplus percoco apricas percuotere percutere perdere perdere perdita perdezios perdonare parcere perfetto perfecta, perfec- periodo periodus [tus permettere permittere permuta permutazios permutazione permuta- pero pirus [zios persiana transennas persona personis personale personalisa pertica perticas pesante ponderosa pescare piscare pescatore piscatoris pesce piscis pescecane maricanis pessimo pessima pestare pinsere petalo petalus pettino pectulus pettirosso rubeculas petto pectus pezzo frustus piacere placere, plesciuris piacevole egriebla pianeta planetas piangere flere piano pleinis pianoforte pianofortis pianta plantas Ì piantagione di alberi di alto e medio fusto le- gnoso eius piantagione di piante a fusto piccolo ed erba- ceo etulus pianura planizies piatto patinas piazza plateas. piazza d’armi manovran- [sa septus picchiotto ictuctus piccione pipios picciuolo pediculus piccolo parva piccone sarissas piede pes piegare plicare pieghevole plicatilisa pieno plena pietà pietas pietanza obsonius pietra petras pigro pigra pino pinus pinze pincise pio pia pioggia pluvias piombo plumbus piovere pluere piovere pietre lapidare pipistrello vespertilios piroscafo stimeris pisello pisus pistillo pistillus pittura picturas piuccheperfetto plusper- platea pittis [fectus platino platinus plesiosauro plesiosaura pliosauro pliosaura poco pauca poderoso potensa poesia poesis poeta poetas poggiare nitire poliedro poliedrus preferire politico politica polizza polizzes pollaio pullusarius ©. pollice polles pollo pullus polmone pulmos polo polus polpastrello pulpastris polsino pulsulus poltrona poltronis poltrone socorsa polvere pulvis polverizzare friare pomidoro tometos pompa pompas pompare pompare pompiere pomperis ponte pontis pontefice pontifes popolare populare popolazione populazios popone pepos poppa (nave) puppis porco porcus porre ponere porta portas portafoglio portfolis portamento portazios portare portare portata (tavola) corsis porto portus portone ianuas posata covris positivo positiva possedere possidere possessivo possessiva possibile possibilisa posta postis postale postalisa posteriore posteriora postero postera posto situs | postremo. postrema postumo postuma ‘ potente potensa potenza potenzias potere (materiale) possere potere (morale) quire povero paupera povertà paupertas pozzo puteus pranzare prandere pranzo prandius prateria pratas prato pratus preda predas predellino scabiles prediligere prediligere predone predos preferenza preferenzias preferire preferrere prefettura ; prefettura prefecturas prefiggere statuere pregare orare, precare pregio pregius pregiudizio preiudicius premettere premittere premiare premiare preminenza preeminen- premio premius [zias prendere prendere preparare preparare preposizione preposizios presa prensios presentare stioare presente presensa preside preses presidente presidentis prestare commodare prete pristis pretorio pretoria prevedere previdere prezioso preziosa prezzemolo petroselinus prezzo prezius primavera Veris principale principalisa principe principis principiure încipere principio principius privare privare privo di carensa quaderno quadernus quadro quadrus quadrupede quadrupes qualità qualitas quanto quanta racchiudere claudere raccogliere colligere raccogliere (cgreali) gira re raccoglimento collexios raccolta messis racconciare reconcinnare raccontare enarrare racconto enarrazios raddrizzare streitenare radice radis radiotelegrafare radiote- | [legrafare radiotelegrafico radiote- [legrafica raggiungere assequire probabile probabilisa probo proba procedere procedere proclamare proclamare procurare procurare procuratore procuratoris prodotto productus produrre producere produzione produxios proemio proemius professione professios professore professoris profferire proferrere profondare submergere profumo odoramentus' progetto progectis proibire proibere prolungamento longinqua- [zios prolungare protraere promettere promittere promuovere promovere pronome pronomes pronunzic pronunciazios pronunziare pronunciare proposito propositus proposizione proposizios proposta propos proprietà proprietas proprietario proprietarius proprio propria quartetto quartettos quartiere lodgingus quercia quercus questione questionis quietare quietare RX ragionare loquire, razio- ragione razios (cinare ragioniere accauntanvis ragliare rudere rallegrarsi regioisire rame cuprus ramo ramus rana ranas rancore rancoris ranocchia ranas rapa rapus rapido rapida rappigliare coagulare rappresentare represen- raro rara [tare rastro rastrus reggimento prora proras proscenio proscenius prosciogliere delivrare prossimo proxima proteggere protegere protestare protestare prova pruvis provenire provenire provincia provincias provvedere providere prua proras pruno prunus pterodattilo pterodactila pubblicare publicare pubblicità advertais pubblico publica puerpera puerperas pugnare pugnare pulcino cikis puledro coltis puma pumas punire punire punta acies puntello fulcimentus punto punctus (.) due punti colonis (:) punto e virgola semico- [lonis (;) puntualità punctualitas pupilla pupillas puro pura quiete quies quinta quintas quintale quintalis quotidiano quotidiana rala pars rattristare di 0 per merere ravanello rafanus razza (pesce) raias re regis reale (moneta) realus reale realisa, regalisa recinto septus reclamare reclamare 4eclamo reclamus redina abenas regalare munerare regalo munus reggere regere reggia regias reggimento regimentis regina regina (scacchi) quinis regione regios registrare registrare regnare regnare regola regulas regolare regularisa relativo relativa religione religios religioso religiosa rendere reddere rene renis repentino repentina replicare refragare restare restare resto (matematica) resi- resto reliquus [duus restringere restringere rettile reptilis retto recta rialto realtus ricchezza divizies riccio (di mare) erinaceus riccio (di terra) ekinus ricciuto crispata ricco divesa ricerca disquisizios ricercare disquirere ricevere recipere richiedere poscere riconoscere agnoscere ricoprire cooperire ricordarsi meminissere ricurvo regurva ridere ridére rieleggere rieligere riempire replere riferire referrere rifrangere refrangere rigagnolo rivulus sabbia sabulus ‘ saccente sciolus Sacco 8acCctis sacrificio sacrificius sagacia sagacitas saggio uaisa sala ecus sale salis salone magnecus salotto eculus salto saltus salutare salutare salute salus salvare servare salvataggio servazios salvia salvias sangue sanguis sano sana rimanere remanere rimatore versificatoris rimborsare rimborsare rimessa (stanzone) reda- rus rimonda priunazios rimondare priunare rimondatore priunatoris rimorchiare remulcare rimorchiatore remulcato- rincrescere pigere [ris ringhiare ringire ringhiera rostras ringraziamento graziasa- [xios ringraziare graziasagere ripetere repetere ripiegare plicare fiposare requiescere riposo restis riprendere increpare risacca risakis riscaldamento calefaxios riscaldare calefacere rischio riscus riso (pianta) orizas risparmiare sevare rispettabile respectabilisa rispettare respecta risplendere splendere rispondere respondere ristorante restorantis ristorare restaufare risuscitare resuscitare ritardare tardare ritardo rardazios ritirare (danari) retraere ritirarsi retairare ritzata receptus Sì santità sanctitas sapere scire sapere di, aver sapore di [resipere sapiente sapiensa sapienza sapienzias sarda sardas sartiame rudentes sarto sartoris savio uaisa sbadigliare oscitare ‘sbarbare scevare sboccare sboccare sbocco sboccus sbrigliato infrenisa scacchi ces . scacchiera cesbordis scacciare reicere scarso ritirata (Iatrina) toilettis ritornare redire ritorno reditus ritratto fotografis ritrovare invenire riuscire riuscire riva ripas rivista revius rivolgere vertere rivoltella rivolvris rivoluzione revoluzios rizoma rizomas robustezza robus robusto robusta romanza romans romanzo novelis rompere rumpere rompitore ruptoris ronzare buzzare rosa rosas rosmarino rosmarinus rosso rubra rotaia reilis rotondo rotunda rovina ruinas rovo rubus rubare furare rubinetto kiavettis ruggire rugire ruggito rugitus rugiada ros cadere la — rorare rullare rullare rumore rumos rumoroso rumorosa ruota rotas rupe rupes ruscello rivus ruvido roffa scacco ceckis scaccomatto cecmetis scadere (pagamento) die- scaffale scelfis [venire scafo scafis scala (arnese) scalas scala (di proporzione) scaleno scalena [skeles scalfire scabere scalinata scalarus scalino gradius scaltro callida scalzato discalceata scanalatura strias scanno scamnus scappare aufugere scarpa calceus scarso inopsa - r—r -—"<r ——m scattare scattare elabire scavare excavare scegliere seligere scelleratezza scelus scellerato scelerata scelta selexios scena scenas scenografia scenografias scettro sceptrus scheggia skidias schema skemas scherzare lusitare schiarimento dilucidazios schiarire dilucidare schiattire ielpare schiavo slevis schiena dorsus scia scias sciente sciensa scientifico scientifica scienza scienzias scienziato scienziata scintillare scintillare sciocchezza amenzias sciocco amensa scirro scirrus scisma skismas scoglio scopulus scolaro scolaris scolastico scolastica scommessa bettis scommettere bettare sconvenire dedecere scoperta discoveris scopo scopus . scoppiare disrumpire » dalle risa , per risuse scoprire detegere » (scienza) discoverire scorciatoia semitas scorrere fluere scortese uncainda scortesia uncaindnes scrittore scriptoris scrivano scribas scrivere scribere scuderia equiles scuola scolas A scuotere quatere sdegnare dedignare seccare siccare secolo seculus sedere sedere sedia ceris sega secas segala secales segare secare segnale signalis segreto secretus seguente sequensa seguire sequire 1 ì selva silvas selvatico silvatica semaforo semaforis sema forista semaforistis sembrare luccare semina seminazios seminare seminare semplice simplexa senatore senatoris sensibile sensibilisa sentire sentire sepalo sepalus seppellire sepelire sera vespes farsi — vesperare serio seria serpe anguis serpente serpentis serra serras servire servire servire a prodessere » (a tavola) ciatissare servirsi di una cosa utire servitù servitus servizio servis servo servus seta sericus sete sitis aver — sitire setola setas settimana ebdomadas severo severa sfortunato infortunata sforzo nisus sghembo slanta sfuggire effugere sibilare sibilare sicuro secura siderurgico siderurgica siepe sepes sigaretta sigares sigaro sigas signore dominus signorina mis silenzioso silenziosa silurante silurans silurare silurare siluro silurus simile similisa simpatico simpatica simultaneo simultanea sincero sincera sindaco sindicus singolare singularisa singolo singula sinistro sinistera sintassi sintaxis sipario siparius sistema sistemas smerlare smerlare smilzo slendra spartire soavità suavitas sobrio sobria soccorrere succurrere sociabile sociabilisa sociale socialisa sociela societas soddisfacente satisfacien- soddisfare satisfacere [sa soffiare sufflare soffice softa soffitta cenaculus soffrire sufferrere soggetto subiectus sognare somniare sogno somnius solcare sulcare soldato miles sole solis levata del sole soloriens tramonto del - solcadens soliloquio soliloquis solitario solitaria sollevare conflare, extol- solo sola [lere solstizio solstizius somma summas sommario summaria; sum- somniità summus [marius sommo summa sonno somnus sopportare supportare soprabito superabitus sopracciglio supercilius soprano sopranos, supera sorcio sores sorella soros sorgente scatebras sorgere surgere sormontare ascendere, a, {superare sorprendere sorprendere sospendere suspendere sospettare suspicare sostantivare substantivare sostantivo substantivus sostanza substanzias sostenere sustinere sottana petticos sottano infera sotterraneo subterranea sottile subtilisa sottomarino submarinus sottomettere submittere sottoporre subicere sovrano sovrana spalla sciuldris spalmare illinere i spargere spargere sparlare obtrectare spartiacque partiaquas spartire partire speciale speciale specialisa. spedire expedire spendere spendere sperare sperare sperone calcas spettucolo spectaculus spettatore spectatoris spezzare frangere spiegore explicare, expla- spiga spicas [nare spilla aciculas spinace spinacias spingere propellere spina spinas spirito spiritus splendere splendere splendido splendida splendore splendoris spogliatoio spoliarius sporco spurca sporgere prominere sportello ostiolus sposare nubere sprecare uostare spuma spumas squadra agmes (militare) squadrone agminis squittire ielpare stabilire statuere staccio cribrus sfadio stadius stagione sisonis stagno (acqua) stagnus » (metallo) stamnus stalla stabulus stume stames stampatore printris tacchino gallinaceus taccuino tacuinis facere tacere tagliare insecare tule talisa talpa talpas tana scrobis tappeto tapes tappezzare tapesare tasca peras tastiera keis tasto tactis tattile tactila faverna tabernas tavola tabulas favolino deskis teatrale teatralisa featro teatrus tegola tegulas 40 stamperia tipografias . stanco tairda stanga vectis stantio stela stanza cameras stare (essere ritto) stare » (in salute) abere se » a (attenere) seclare stato status statua statuas stazione stazios stella stellas stendere stendere stereoscopio stereoscopis sterlina sovrenis stile stilis stilo stilus stima estimazios sfimare estimare stimma stigmas stipettaio gioineris stipola stolkis - stirare aironare stiva stivas stivale ocreas stoffa stoffis Sfolto stulta stomaco stomacus stordire $tupere strada ites - sfrage strages strampalato abnormisa strano stranea straordinario exstraordi- [naria strappare avellere strenuo strenua telefonare telefonare telefonico telefonica telegrafare telegrafare telegrafico telegrafica telegramma telegrammis telescopio telescopis temere timere temperino cludinis tempesta tempestas ‘ fempo tempus, uetris tendere tendere fenente tenens tenero tenera tenore tenores tenzonare pugnare tenzone pugnas” terapeutica terapeuticas terapeutico terapeutica termale termala AI “ sud Sud timo sfretto stricta, fretus stria strias stridere stridere » (sorci, topi) squiccare , strisciare reptare strumento (musicale) stru- [mentus (notarile) instrumentus studente studentis studiare studere stucio studius studioso studiosa stufa stovis succedere (avvenire) ac- [cidera sultano sultanus suocero socerus suonare sonare suono sonus Superare superare superbia superbias superbo superba superficie superficies superiore superiora superno superna suppellettile supellectilis supplemento supplemen- supporre supponere [tus supremo suprema susino prunumis sussidio subsidius svariato variusa - svegliare evigilare svelto quicca sventolare ventomovere sventura infortunitas sviluppare extricare terminare terminare terra terras, umus, solus terraferma continentis terrazza solarius ferremoto terremotus terribile terribilisa territorio territorius terrore terroris terzetto terzettos fessuto textiles testa capus testamento testamentus testimoniare testimoniare tetto tectus tettoia cartaus the tis tigre tigris timido timida timo timus timone timone gubernaculus, te- timore timoris [mos tingere tingere tintore bafeus tintoria bafias tipo tipus tipografia tipografias tipografo tipografus tirare traere titolo titulus toccare tangere “ a obtingere fomba tombis tondeggiare rotunditare tondo tunda tonnellata tonnis tonno tinnus fopo mus forb:do turbida tordo turdus tornare redire tornire (far le fusa) por- toro taurus [rare torpedbiera torpedineris torre turris torrente torrentis torto ronga far — rongare uado vadus ubbriaco dronca uccello avis uccidere occidere udire audire ufficiale officialis, offi- [cialisa ufficialità officialitas ufficio officius vacanza feries valigia vulgas velocità velocitas vendere vendere vendetta vindicazios vendicare vindicare venditore venditoris venire venire ventaglio flabellus vento ventus ventre ventris verdura viretus vergognarer pudere verità veritas vero raita, vera verro sus toslare torrere totale totalisa tovaglia mantiles tovagliolo napkinis traccia vestigius tradire prodere traditore proditoris tradurre traducere tragedia tragedias tramandare transmittere tramontare occasumire tranvai stritcas trapassare pertransire trasbordare transbordare trasbordo transbordazios trascrivere excribere trascurare transkiurare trescuratezza indiligenzi- trascurato indiligensa [as fras'nettere transmittere trasparire transparere trasportare transportare tratta dreftis trattare tractare tratteggiare \ineaducere tratto (scacchi) tractus trebbiare trasciare taebbiatura trasciazios uguaglianza equalitas ulteriore ulteriora ultimo ultima ululare ululare umunità umanitas umano umana unità unitas unghia unguis uomo omos W versare versare Verso Versus verticale verticalisa vescovo episcopus vespa vespas veste vestis vestibolo vestibulus vestire vestire vestire di nero \ugere veterinario veterinarius - vetraio vitrarius vetro vitrus vetroso vitrosa via vias. viaggiare travelare vallata valleis: +» vecchiaia tremare tremere tremendo tremenda freno treinus treno diretto expres treno direttissimo valdex- [pres trepidante trepidansa triangolare triangularisa tribù tribus tribunale tribunalis tridente tridentis triste tristisa triturare triturare trolley trolleis fronco truncus troppo nimia trovare invenire tubare cuare tuba (cappello) petasus luberosa tuberosus tubo tubus tufo tofus tundra tundras tunnel tunnelis tuonare tonare tuono tonitrus turbolento turbulenta futto tota UOVO OVUS urgente urgensa urlo aulis usare utire uscio ostius uscire exire Uso uUsus utile utilisa utilità utilitas valle vallis valore velius valoroso valorosa valutare valutare valva valvas vanga vangas vantaggioso advantagiosa vapore vaporis vapore (nave) stimeris variare variare varietà varietas vario varia vasaio vascularius vasto vasta vaticano vaticanus vecchiaia senectus Lo N 112%. 764899" 2 pene 9 né, #0 alfirb: N00 PPTOrE di fr nAg ‘I #40 n, vecchio vecoh:o senes, senesa veccia vicias vedere videre veduta visius veicolo, andare sopra 0 [dentro un raidare vela carbasus veleggiare velificare veliero carbasarius velivolo velivolus velluto velvettis velo velus viaggiatore travelatoris viaggio travelis vicino vicina vico vicus vicolo viculus vile vilisa villa villas vimine vimes zampa pois zanzara cules zappa ligos zappare pastinare zappatore pastinatoris vincere vincere vincita vincezios ‘vino vinus violinista violinistis violino violinis violoncello violoncellis virgola commas (,) virtuoso virtuosa viscere visceris visconte viscontes visitare visitare vista visius, visus vita vitas i vite (pianta) vitis » (di metallo) 8crus vitello vitulus vittima victimas vittorioso victora vituperare vituperare vituperevole vituperabilisa yacht iottis zattera ratis zio patruus zirlare tuittare zittire silere zolfanello sulfumentus CO = EIA (‘cc _’@‘’.—..Ù'éà.-@-@-;@@—ì’@é LU Zucca vivace vivaxa vivere vivere vivo viva vizio vizius vizioso viziosa vocabolario lexicos voce vocis voga usus volare volare ? volerci (impiegare tempo) [advocare “ (mancare) deessere volere vellere volo:tà voluntas volpe vulpes volta (architettura) fornis volume voliumes, volumes vomero vomis voto votus vulcano vulcanus / zolla glebas zoologia zoologias zoologico zoologica zoppo clauda zucca cucurbitas. Nome compiuto: Vito Martellotta. Martellotta. Keywords: artificiale -- lingua universale, deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martellotta.” Martellotta.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia Grice e Martinetti: l’implicatura conversazionale -- i veliani e l’amore alcibiadico – la scuola di Pont Canavese -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pont Canavese). Abstract. Grice: “One thing can be said for Italian philosophers over Oxonian philosophers: they take the history of philosophy more seriously!” Filosofo italiano. Pont Canavese, Torino, Piemonte. Grice: “I like Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ – a different root from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also has a strange treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé soleva dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro secolo»  (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo. E il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza contare una bambina che morì piccolissima) di un avvocato. Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo,  Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India” discussa con ERCOLE, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da Lattes  e, grazie all'interessamento di Allievo, risulta vincitrice del Premio Gautieri.  Dopo la laurea M. fa un soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del fondamentale studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello di approfondire gli studi dell’India, iniziati a Torino con  Flechia e 'Ercole." Iinsegna filosofia nei licei di Avellino, Correggio, Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch edopo che consegue  la libera docenza in Filosofia teoretica a Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano, che diventa Regia Università degli Studî, nella quale insegna. Divenne socio corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.  Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di MUSSOLINI a presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni, riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia. L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di agitatori.  Il congresso e poi chiuso d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di M., non e tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da M., di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi dal congress. Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce come M. nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro, assunto con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Goretti (segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore Mangiagalli:  «Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo ordine il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso della Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del Congresso. Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del pensiero.»  M. fu il direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Carando, Bobbio, Geymonat,  Fossati (che ufficialmente ne era il direttore responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e Goretti.. Quando il ministro dell'educazione Giuliano impose ai professori  il Giuramento di fedeltà al Fascismo, Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento: “Eccellenza!  Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza.  Ho sempre diretta la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è possibile.  Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita.  Dell'E.V. dev.mo  Dr.” In una lettera a Cagnola scrive:  «Ella ora saprà che io sono uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini, Carrara, De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra lettera ad Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici) per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.»  Come scrive al proposito Minazzi. M. ha infine opposto un netto rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di M. non può allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione del regime. In questa prospettiva M. non ha giurato proprio perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e anche filosofico.»  Scrive in proposito Vigorelli. Una certaretorica resistenziale si è impadronita anche di M., impedendo un approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.  L'atto di M. non era cioè solo un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non sempre si ama ricordare che l'avversione di M. al fascismo era innanzi tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura, Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo»  In seguito a questo suo rifiuto, M. venne messo in pensione d'autorità  e si dedicò unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione alla metafisica e continuata  con La libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo; Ragione e fede. M. propose come suoi successori a Milano Baratono e  Banfi. Lontano da ogni forma di impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio a fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!" Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero". A questo proposito Vigorelli evidenzia  «il valore pedagogico, di educazione alla libertà, che l'esempio morale di M. ebbe per quella generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»  L'arresto e il carcere M. e arrestato in casa d Solari, dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre), agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi,  Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti, Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), ed e incarcerato a Torino per sospetta connivenza con gli attivisti anti-fascisti di Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto estraneo alla congiura anti-fascista degli intellettuali che facevano riferimento a Einaudi. Al momento dell'arresto, a detta della signora Solari, M. dice una frase che aveva già sentito pronunciargli più volte. Io sono un cittadino europeo, nato per combinazione in Italia. Il suo declino fisico comincia in seguito a una trombosi che menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima operazione alla prostata. La sorella Teresa scrive a Cagnola: "Il Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica, per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che il tempo opportuno per procedere alla seconda."[ M.  fu ricoverato all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove muore,  dopo aver disposto che nessun prete intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di M. alla stazione, da dove partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte M. lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G. Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi alla "Fondazione  M. per gli studi di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato alla Biblioteca della Facoltà di  Filosofia.  La sua casa di Spineto è attualmente sede della "Fondazione Casa e Archivio M.", che intende promuovere la diffusione del suo pensiero e della sua operae.  FiLa filosofia di M. è un'interpretazione originale dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico che fu Spir, il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il filosofo preferito di M., quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale scrisse molti studi e un denso saggio monografico  e al quale fece consacrare il terzo numero della Rivista di filosofia, filosofo che fu come lui profondamente inattuale. Professò una altissima stima per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale: in essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta la filosofia.  Il carattere speculativo dell'interpretazione d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente di M. la speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo di M. si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da M. entro la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di Spir e questo si trova come penetrato e attraversato da quello di M. In nessun altro pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura, continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La lettura di M. insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare incarnare "la forma pura della visione religiosa". L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda."»  Si può così dire che in M.: «il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo un'espressione simbolica.»  Della filosofia di Spir, M. mantenne sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in Etica kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione". ENoce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di M. si situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangelo scrive M. «lasciando da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui conservato.»  Il risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte, né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare al mondo per unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo, amando il prossimo.  Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale fraternamenteunita, egli scrive:  «In tutti i tempi, ma specialmente nelle età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione della verità e la promessa della vita eterna»  Gesù Cristo e il Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato,  come M. scrive a Cagnola:  «Il mio libro venne terminato di stampare e in tale giorno furono mandati i 3 esemplari al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto definitivo di sequestro.»  Con decreto, “Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in virtù della rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il Vangelo (Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione spirituale dei quaccheri.  Capitini rese visita a Martinetti, che a proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa, firmerei la sentenza senza esitazione."  Negli scritti La psiche degli animali e Pietà verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia e dolore:  «Nella relazione sulla psiche degli animali M. tra l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega.  M. cita le prove di intelligenza che sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura costruisce.  Nel proprio testamento dispose che una somma significativa fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di un valore religioso.  Scrive al proposito Vigorelli:  «La scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni radicate in una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza vivente e sul destino di "perennità" dello spirito.»  La scelta della cremazione M. fu un fautore della cremazione e una testimonianza "ci dice come M. portasse sempre con sé, in una busta, le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, per i M. la cremazione era una specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i parroci. Non è però da escludere, nel caso preciso di M., che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in provincia di Torino.  Opere: Una " martinettiana" C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di M. sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, Luca Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo melangolo, Genova,  L'amore, Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza”  Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano,  “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer, Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant”  Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali, introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo: un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,  “Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero, introduzione di Argentieri, Castelvecchi, Roma,  Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, “Spinoza” Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti Nella seduta del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano, è stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di intitolarsi alla figura di M.. La città di Roma gli ha intitolato una piazza, nel Giorno della Memoria. A Milano Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal " nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Goretti, “M”, Archivio della Cultura Italiana. Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica,  «Ebbe molta influenza sulla scelta che M. fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui M.: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue convinzioni"»: Paviolo.  «che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»: Paviolo 2 «Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale. Più documentata è l'influenza su M. di un'altra singolare figura di poeta-filosofo: quel Ceretti da Intra (noto anche con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro M.) si dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe resistenze accademiche nel settore filologico della Torino e forse per questo lo studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto il suo intent e  più filosofico che filologico, e la prima suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier.  Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", Minazzi, Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento, gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere, Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusa M., ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia scolastica, cf. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze. Per M.. Gemelli è tutto fuorché un filosofo. Varisco,  in: Lettere 33.  H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue rappresentazioni ciarlatanesche. Varisco, a Goretti a Mangiagalli. Quando M., con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a che le sue condizioni di salute glielo permisero. Giuliano,  Cagnola,  Baratono, Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi, Milano. Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Milano e non posso più esserle utile che indirettamente»: a C. Gadda, in: Lettere.  «del resto io sono perfettamente sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei, fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera M. a Alfieri, Sulla cui porta fece mettere un'indicazione che diceva: "M.  agricoltore": Paviolo «Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la Filosofia e Banfi per la Storia della  Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli, Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune schede, peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino, Registro matricole)", in: Lettere.  "M. veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo alcuni giorni d'arresto M. veniva finalmente scarcerato.", Giorda, M., Castellamonte, «Devo darle una notizia terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera, M. a Nina Ruffini, in: Lettere Cit. in: Lettere. «Si può comunque, in base a testimonianze diverse, ritenere che M. sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini burocratiche e maggiori spese funerarie.  L'atto di morte recita: " il g alle ore quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto M., residente in Torino, professore pensionato"»: Paviolo.  Paviolo.  "Per ultimo desidero di essere cremato e che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale del testament, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da lui riscritto, "in una grafia incerta e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro filosofo"(Paviolo) fu considerato da sua sorella Teresa come estorto: "Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo allo stato di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era stato colpito da un insulto di trombosi al cervello la preziosa biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare all'Milano, prese altre vie e e sta presentemente ancora peregrinando in attesa di destinazione definitiva." Lettera di Teresa Martinetti al cugino Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione Casa e Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La lucequesto passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcrovolle penetrare le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera, M. a Ruffini, in: Lettere.  «io sono sempre stato un filosofo inattuale»: Lettera, M. a Giorgio Borsa,  in: Lettere Agazzi, La filosofia di M., Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, Alessio, Vigorelli Vigorelli, M., Breviario spirituale, Bresci, Torino,  Lettera M. a Cagnola, Lettere. Sulla riflessione religiosa di M. vedi Franco Alessio, L'idealismo religioso di M., Brescia, Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore Michele Federico Sciacca)  Paviolo Paviolo  Amedeo Vigorelli, "M. e Capitini: attualità di un confronto", in: Vigorelli, La nostra inquietudine. M., Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa a lungo della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della mamma, per avere vicine le sue ceneri)" Capitini, Antifascismo, Célèbes Trapani,   Paviolo Paviolo. L'eretico Martinetti, italiano per caso", Recensione di Liucci su Il fatto quotidiano, Libera cittadinanza  Il Dipartimento di Filosofia "M. a Milano, Battista, "Le vie dedicate ai razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al pioniere green I nuovi Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca di Milano13.  "Monte Stella I nuovi Giusti in diretta", Corriere della Sera, Cronaca di Milano9., Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata Martinettiana, Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia, Agazzi, "La storiografia filosofica", Rivista critica di storia della filosofia, Agazzi, Mancini, Vigorelli e Zanantoni, Unicopli, Milano, Alessio, L'idealismo religioso, Brescia, Morcelliana, Alessio, introduzione Il pensiero di Spir, Torino, Meynier, Assael, Alle origini della Scuola di Milano: M., Barié, Banfi, Milano, Guerrini, Banfi, M. e il razionalismo religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze, Parenti, Bersellini Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano, Saggiatore, Guido Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso e politico (in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, Rivoli, Appunti sulla questione ebraica. 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Per una storia dello spinozismo in Italia (Atti delle Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti, Urbino), Bostrenghi e C. Santinelli, Bibliopolis, Napoli,  Vigorelli, "Piero Martinetti  una apologia della religione civile", in:, Le due Torino. Primato della religione o primato della politica?, Cuozzo e Riconda, Trauben, Torino, Spir, Scuola di Milano Solari Goretti Basso Baratono Banfi, Giuramento di fedeltà al fascismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca della Fondazione M., Torino. Fondazione Casa e Archivio M., su Fondazione piero martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net. Colombo, La filosofia come soteriologia. La prima forma di comunione fra esseri, quella che fonda le prime forme di società, quella che sussiste anche in quei gradi della vita animale onde è esclusa ogni altra forma di socievo­ lezza, è l’amore. Che cosa non è stato detto e iscritto in ogni tempo intorno all’amore? Io non intendo qui certamente aggiun­ gere su questo argomento nuove ed inutili speculazioni : voglio solamente trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una sorgente di importanti doveri. L’amore, qualunque possano essere le complicazioni senti­ mentali che ne mutano profondamente la natura e possono dargli finalità più elevate, non ha originariamente altro fine che la (pro­ pagazione Astica della specie. L’unione fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto l’estensione della vita organica nel tempo : per essa l’individualità effimera si sottrae in un certo modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per un istante con la serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel piacere che accompagna ogni esten­ sione dell’individualità, ogni fusione delle coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è diventato attraverso le innu­ merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il compimento d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es­ sere superiore e veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale. Il complesso delle attività e delle facoltà che si riferiscono a questa funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione umana, un tutto ben distinto, che si stacca nella personalità complessiva come una personalità mi­ nore e subordinata : vi è in ogni individuo umano una perso­ nalità sessuale che, per quanto non sempre chiaramente co­ sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un essere ideale : l’in­ dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di deside­ rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea­ lità che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso umano della bellezza. Il tipo estetico che le donne in genere e molti uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale : questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron­ te alla personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri­ ficato ed elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento della, protezione e della carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà; anzi, intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più elevate, diventa comunione di vita inte­ riore, di gioie alte e pure : l’amore animale e sensuale si tra­ sforma nelle forme più nobili dell’amore umano. Certo il fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se esiste, non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si assimila : il piacere medesimo del possesso di­ venta, per la confusione della spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto poi esso elimina gra­ dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal­ tà, la fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il contatto superficiale e momen­ taneo di due personalità sessuali che si avvincono e si confon­ dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra diffi­ denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale, duratura ed esclude come cose indegne la men­ zogna, l'ingiustizia e tutto ciò che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no­ bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto l’aspetto della fe­licità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell turbamento e spesso nella più irrepa­ rabile rovina esistenze, che l’educazione, l’intelligenza, i vincoli sociali e morali sembravano assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del resto la potenza di questo «niver­ i-sale e profondo istinto che esso è il movente secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte dei ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri­ spetti anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso alimenta danno origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti. Come sperare dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura e ribelle che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura? La mo­ rale predica contro questa passione quasi soltanto come per sod­ disfare un debito : la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti colori e si ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto non sanno, tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il compatimento e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la riflessione sia del tutto mutile. L’esperienza della vita insegna (e ciascuno lo ricono­ scerà in stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti decisivi nei quali una parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima indifferente, si risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano una passione nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è vero anche della pas­ sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione quando la passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale egualmente di tutte le passioni? La ragione non può di­ struggere l’istinto, ma può dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei suoi inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L’uomo, sopratutto nella giovi­ nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila ¡realtà delle forme più ¡belle e più desi­ derabili. Lo spirito soggiace allora ad una specie di limita­   zione del proprio orizzonte : esso si chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose. In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose, col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in­ ganni quanto nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso che la nostra natura inferiore; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione: che l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es­ sere che freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della- persona; è una specie di trasfi­ gurazione di tutto l ’ essere che in fondo rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra personalità. Per­ ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di sti-   una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita inevitabilmente da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine ideale, oggetto d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico e volgare che ci 'meravigliamo d’avere deside­ rato. Bisogna, in .secondo luogo tener presente quest’altra, consi­ derazione: che la «tessa personalità sessuale, dato che in noi potesse persistere lo stato passionale corrispondente, è ben lun­ gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed immutabili : la sen­ sualità è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso. Un amore puramente sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato ardore : la vita dominata dalla lussuria ap­ pare, freddamente considerata, dolorosa ed ignobile nello stesso tempo. L’amore d’ una donna non rende beati che quando può trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa­ miglia, od associarsi la sentimenti ideali e diventare una co­ munione morale ed intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti­ mento che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa­ zione nel senso, la loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi sono nella vita aspira­ zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore. La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti della vanità. In cambio della vo­ luttà l’uomo deve il più delle volte sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane í   quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no­ bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi­ bile. La passione ardente ohe travolge qualunque considera­ zione e saggezza puramente umana, s’arresta dinanzi alle vo­ lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza che non possa essere vinto degli ardori del senso: ma la contemplazione e ¡l’amore delle cose ideali tra­ sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il germe della passione non trova un terreno fa­ vorevole e viene soffocato prima di svolgersi. Inoltre la con­ suetudine con una sfera più alta di vita crea un sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza. Un’i­ stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo zimbello dei suoi istinti e sacri­ ficare tutto quello che di grande e di safro ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore. L’istinto che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a singolari aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche aiutato in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione sua con altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà. Anzi anche dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è avvenuto' per es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale queste tendenze vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma coloro che se ne occupano per dovere professionale sanno che esse sono tutt’altro che rare, anche fra individui delle classi elevate. Esporre i pericoli e le vergogne a cui queste degenerazioni con­ ducono è cosa inutile : coloro stessi che vi soggiaccione li cono­ scono. Ogni animo non ignobile deve del resto essere trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè stesso. Ma se ciò noni bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che, degradando la sua vita in queste turpitudini, sacrifichereb­ be a misere, bestiali voluttà tutto ciò che di migliore e di desi­ derabile può offrire la vita dell’ uomo. L ’ atto dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare dalla natura sua e se ne stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade dall’albero : esso ri­ mane anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto nelle sue depravazioni vuole dire rassegnarsi a diventare un essere be­ stialmente istintivo : non bisogna illudersi di potere dopo ciò conservare in sè qualche cosa di veramente elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la propria vita a tutte le mi­ serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere tutto con­ finato nella sua animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore in apparenza più normali ed elevate che vengono coinvolte in questa condanna. Non parlo dell’amore prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di degenerazione : parlo dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento saldo, circonda il godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra 'redimerlo e nobilitarlo : è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia generalmente fra le rosee illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel pianto. Non vi è uomo quasi che non abbia- lasciato fra- le sue spine qualche illusione di giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di onore, che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio «quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele­ vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap­ presso ad un amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero amore è soltanto l’a­ more che è legato da un senso profondo di pietà e di respon­ sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab­ bandonarla in balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza che avvi­ lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio degli uomini attratti verso le donne non ancora cono­ sciute. Ma anche questo errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non termina in altro, che non isi associa con i senti­ menti più elevati della natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di tutti i fronzoli sentimen­ tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e libero è la conquista, attraverso molte amare esperienze, di questa semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non nel nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza retta e pura! Anche at­ traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto! Non acqui­ stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes­ suna riparazione pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori, questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre­ care, in mezzo alle sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere casti vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon­ tano da sè i vizi vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità del carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili nostro piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che l’amore non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia l’armo, nia di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che l’inizio d’una comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti. Keywords: l’amore velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Martini: l’implicatura conversazionale – la scuola di Cambiano -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano). Abstract. Grice: “When Austin praised the genius of the ordinary language, he meant English! The Italians are less fake and they just say it loud and proud: ‘ingegno italiano’ are the keywords! Filosofo italiano. Cambiano, Torino, Piemonte. Grice: “One would think that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice: “He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore – is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in medicina,  cui seguirà anche quella in filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza in fisiologia  e poi quella di medicina legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in assoluto.  Di Torino fu anche rettore, negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.  Ma non mancarono episodi tragici, allorché, pochi anni dopo le nozze, perse la moglie, dalla quale ancora non aveva avuti figli, né li avrebbe avuti in seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone, il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di medicina legale.  Il variegato percorso saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare,  sia pure non in forma sistematica, una Storia della filosofia.  Risultati migliori li ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità, il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la "moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali "sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica, Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino); “Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et hygienes,”  Marinetti, Torino “Manuale d'igiene,”  Fontana, Milano “Lezioni di fisiologia,” Pomba, Torino  “Patologia generale,” Elvetica, Capolago  “Invito a' medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino  “Storia della fisiologia,” Cassone, Torino  “Manuale di medicina legale,”  Fontana, Milano; “Emilio,  Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti, Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino  “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti, Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino; “Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica, Capolago  “Alcune vite di donne celebri,” Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino  Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino  J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F. Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti, Torino;  G. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico. Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale»,  Milano.  G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari,  Pomba, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere, s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino);  S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari,  Pomba, Torino G. Gerini, Due medici pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico. Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale»,  Milano. Nome compiuto: Lorenzo Martini. Martini. Keywords: storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Martino: l’implicatura conversazionale -- la religione civile della prima e unica Roma! – magismo -- filosofia italiana meridionale – filosofia del sud – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Napoli). Abstract. Grice: “Much as Hollis has worked on rationality and relativism, M. shows that in Southern Italy, a ‘magical’ explanation is often preferred to a strictly ‘casual’ one – M. notes that the Italian language lacks a philosophical apt term to describe this type of ‘magical’ explanation devoid of derogatory implicatures, though!” -- Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Martino – and his interviewees – there is indeed a ‘discepolato’ around him.” Grice: “We don’t have anything like Martino at Oxford – Hollis is the closest I can think.” Grice: “In his strictly philosophical explorations, Martino aptly clashes with Croce!” -- Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito.  L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella propria famiglia».  Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di Croce. Secondo M., l'etnologia solo attraverso la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale M. elabora alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva.  Qui M. costruisce la sua interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una "presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino comincia a militare nei partiti di sinistra. Lavora come segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da  Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione, negli anni che seguono, M. comincia a interessarsi sempre di più allo studio etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con le inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa fase, talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del rimorso.  Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra (Jervis), una psicologa (Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Signorelli), un etnomusicologo (Carpitella), un fotografo (Pinna) e dalla consulenza di un medico (Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi, “Furore Simbolo Valore”. E stato collaboratore di R. Pettazzoni all'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di Etnologia, dha insegnato all'Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con Cirese, Lilliu, Cases, la sua assistente Gallini, e in seguito altri studiosi, quali Cherchi, Angioni, Clemente, e Solinas, saranno esponenti di una significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari, della quale de Martino è considerato uno dei fondatori.  È considerato uno dei più importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico.  La presenza La presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il "da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito definita come "tradizione".  11spedizione in Lucania Se si vuole rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e magia  e La terra del rimorso e gli appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico, esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal riordino delle carte ad opera di Brelich e Gallini, bisogna rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo “altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile della costituzione di sè come soggetto:  “Vi è dunque un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.”  Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici, sempre legato a una riflessione critica sulla trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico, ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di Shirokogoroff e PJanet) nei riti della taranta, fino alle note sulle “apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo.  Il folklore progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva, secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo e superstiti documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo popolare subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo define come proposta consapevole del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come cultura di contestazione).  I “folkloristi” erano stati oggetto di critica di de Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio naturalistico e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei termini più complessivi di cultura popolare.  Crisi della presenza e destorificazione del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come spaesamento, ne La fine del mondo, M. racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore perché indicasse loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò.  In un altro esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa, cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza, che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che "approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia.  Il concetto di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in cui gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche modo fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da M. nelle sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del negativo.  La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive de M.) in quel dato momento scoprendosi incapace di agire e determinare la propria azione. La destorificazione del negativo permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito. Secondo Signorelli, antropologa ee collaboratrice della spedizione nel Salento,  "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici".  Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il negativo.  Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza compenso”.  L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg  Morte di Gesù negli studi antropologici e Planctus. Organizza una serie di spedizioni di ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di strumenti quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento totale.  In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria affronta anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla "crisi del cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge la esigenza di elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente codificata del rito. La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a forme sopportabili la carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di resurrezione.  «È possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa un grande rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)". Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e l'evento futuro della definitiva Parusia.»  De Martino indaga la persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre, come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi.  Su questi temi si è soffermata una sua studentessa e collaboratrice, lEpifani, nella commedia La fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa.  Saggi: “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot pronounce ‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi, Torino);  “Sud e magia La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); --  cf. Grice, magismo – two kinds of magic travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore, simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano); “Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi” (Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una vicinanza discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino); “Panorami e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del Salento” (Squilibri, Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal laboratorio del mondo magico” (Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele” (Argo, Lecce); “Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento” (Argo, Lecce); “Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni, Una scuola antropologica sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali” (Roma, Donzelli); “Antropologia e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e religione”, “Il folklore pro-gressivo, in l’Unita’, “Teoria antropologica e metodologia della ricerca, L'asino d'oro ; Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci, G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri, Soglie dell'impensabile. Apocalissi e salvezza, Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico; Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria della crisi e del riscatto, "aut aut", S. Fabio Berardini, Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento  Giordana Charuty, Le precedenti vite di un antropologo, Angeli, Milano,  P. Cherchi, Dalla crisi della presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale, Napoli, Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli, Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario intellettuale, Napoli, d'If, Donato, La Contraddizione felice? Martino e gli altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma,  riedita da La mongolfiera edizioni e spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F. Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice,  Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico,  Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, M. Fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne, Zanardi, Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Tabacchini, Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa, Enrico Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli, Magia ed etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Altan Alberto Mario Cirese G. Angioni Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di Cagliari A. Gramsci Storia delle religioni Etnologia Pizzica, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, VDizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Massenzio,  M. e l'antropologia, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Recensione a Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria. Recensione a Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Pagina autore Liber Censor.net  di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De Martino, su iedm. Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org. Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino, su L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of ‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Nome compiuto: Ernesto de Martino. Martino. Keywords: religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route – carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Masci: l’implicatura conversazionale -- critica della critica della ragione – implicatura solidale – la scuola di Francavilla al Mare -- filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla al Mare). Grice: “At Oxford, we don’t say ‘Kant,’ we say ‘criticism’. For surely literary critics cannot claim all uses of ‘crit’, as in lit. crit. By using ‘criticism’ instead of ‘Kantianism’ you achieve TWO goals: you de-personalise a doctrine, and you emphasise the unity between Kant’s critique of alethic reason and Kant’s critique of practical reason!” Filosofo italiano. Francavilla al Mare, Chieti, Abruzzo. Grice: “But perhaps more interesting that his explorations on the judicative are Masci’s conceptual analysis, and fascinating ‘natural’ history of the will, with a focus on Aristotle!” Grice: “Like Masci, I make a conceptual connetction between willing and free-will.” – or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice: “I like Maci; he has philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my “Needs’ – and what he calls the psycho-physical materialism. Also on what he calls the psychological parallelism – He spent a few essays on quantification and measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’ in psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre all'età di 4 anni. Frequenta il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli studi liceali, e allievo di MOLA, che gli insegna filosofia. Inizia gli studi di giurisprudenza all'Napoli, dove si laureò ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Comincia ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il pensiero di Kant e Hegel. Ottenne la cattedra di professore reggente di filosofia a Chieti, prima dell'abilitazione che gli fu consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Divenne libero docente di filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della filosofia presso l'Pavia. Abbandona l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove era stato nominato professore straordinario di filosofia morale. All'istituto scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne Professore all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la legislatura e fu un sostenitore di Annunzio. Entra nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della formazione classica rispetto a quella tecnica o scientifica nelle scuole secondarie. Liceo scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di lettere ed arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei Lincei, membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni culturali. Presso i lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto con le parole di Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi tedeschi. S’erige un busto commemorativo a Francavilla al Mare e il neonato liceo scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore. Nel corso della sua carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che continuò a frequentare negli anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero e conoscenza”, in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti della sua filosofia. Ha molteplici interessi (filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più importanti esponenti del neo-kantismo o neo-criticismo, avendo rifiutato sia alcune posizioni di Spaventa, sia l'affermato positivismo di Ardigò, che esclude ogni possibile principio a priori della conoscenza. La ripresa della filosofia di Kant e segnata dalla convinzione che e sbagliato ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica delle categorie e quindi negare la loro formulazione numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico cerca di dimostrare l'unità tra anima e natura in una concezione psico-fisica della realtà, ma la sua filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della mancata adesione al ne-oidealismo. Altri saggi: “Le forme dell'intuizione” (Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale, Napoli); “Il materialismo psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità e misura nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni et Figlio, “Della misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e conoscenza matematica. Napoli: Federico Sangiovanni et Figlio, “Credenza e conoscenza” -- “I like the latest bit, where he discusses the reciprocity of the faculties” – Grice.) Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero e conoscenza,”Bocca Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia del liceo M. e biografia, Liceo M.). Discorso di commiato per la morte di Masci, su notes 9. senato. Pietrangeli, M. e il suo neocriticismo, Milani, Padova, Gentile, M.: dal criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti. Giuseppe Landolfi Petrone, M., Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Atreccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere M., su Liber Liber. Opere di M., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. M., su storia.camera, Camera dei deputati. M. su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Differenza tra la filosofia e le scienze pparticolari. Oggetto della Filosofia. La Gnoseologia e la Filosofia prima come parti fondamentali della Filosofia generale. Distinzione dei sistemi filosofici, loro significato e importanza. Distinzione delle altre parti della Filosofia generale ed applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare. LOGICA PRELIMINARE. CONCETTO DELLA LOGICA E SUE ARTI. La Logica come scienza formale e dimostrativa, sua definizione. Importanza della Logica. Suo rapporto con le altre parti della Filosofia e con la scienza. Pensiero e conoscenza; divisione generale della Logica. Nozioni preliminari sulle formo elementari, concetto, giudizio, sillogismo; forme metodiche. I PRINCIPII LOOICI. Determinazione dei principii. Il principio d'identità. Il principio di contraddizione, valore di questo principio. Il principio di terzo escluso. Il principio della ragion sufficiente. Valore dei principii logici. Illustrazioni filologiche. Logica, dialettica, annliticn, elementi, c oncetto, nota, rappresenzione, teoria. Teorema, problema/Speculativo. Astratto e concreto, soggetto ed oggetto, contenuto ed estensione, analisi e sintesi. Teoria delle forme elementari. Il concetto. Formazioni: k natura dei. concetto. Il concetto e l’astrazione. L'iinagine concettuale. Il concetto e la parola. Caratteri del concetto. Il concetto e l'essenza. Il concetto e il giudizio. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SE STESSO. Lo note, loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in esso. Concetti nstrutti e concreti; qualità, generi, specie, forme diverse dell'astrazione. Nota e parte, concetti di relnzioue, Contenuto ed estensione dei concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione. Contenuto ed estensione nei concetti di relaziono. Della chiarezza del concetto. Il concetto considerato in rapporto ad altri concetti. Rapporto d identità e diversità, concetti equipollenti e concetti reciproci, significato delle parole sinonimo ed omonimo. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi e privativi, concetti in opposizione contraria reciproca. Rapporto «li subordinazione e coordinazione, contiguità ed interferenza dei concetti, i sistemi dei concetti. Subordinazione e coordinazione dei concetti di relazione, condizione e condiziauato, principio e conseguenza. Le categorie. Categorie grammaticali, logiche e gnoseologiche, classificazione aristotelica delle categorie, differenza tra le categorie logiche e le grammaticali. Le categorie gnoseologiche, la classificazione kantiana, Le categorie di .sostanza e di causa; il numero come epicategoria. Grammatica e Logica. Elementi materiali ed elementi formali del linguaggio. Influenza del pensiero sul carattere formale della lingua. Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del pensiero. Il Giudizio. Del giudizio in generale. Definizione logica del giudizio, le definizioni realistiche e le logiche, teoria del Brentano, Elementi dol giudizio, Della classificazione dei giudizu. La classificazione tradizionale dei giudizii e il suo fondamento logico. Discussione delle obiezioni contro d i essa, Forme dei giudizii secondo la qualità -- il giudizio affermativo e le varie specie d'identità da esso espresse; il giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali, limite della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una forma a sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio infinito,’ Jorme dei giudizi! secondo la quantità; il giudizio universale, sue forme quantitativa e modale; il giudizio par- 6 ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6 ;^! 1 giudeo individule, sue forme si laro Polme ?-’ sua,.,rre f ucibiIità al giudizio universale, p. ICO Forme de. giudizi, d, relazione; a) il giudizio categorico sua funzione sua irreducibilità; ») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|. etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione, ft* e giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt Dki GIUDIZII COMPOSTI. Natura dei giudizii composti, loro specie. U Ghi notti ::rr u >i r f eiazìoue <,mogen,;u 172 -§ m. (h^ CO m- post. a relazione eterogenea, Giudizii contratti, Qnadro generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. Giudizi analitici e sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ analitici - sintetici, e sintetici a priori, II -ritmile della teoria dei giudizii sintetici a priori, significato vero di questa teoria, Giudizi! empirici e giudizii a priori. Delle relazioni dei concetti nei giudizii DELLE RELAZIONI DEI GIUDIZII. Attribuzione del predicato ni soggetto nei giudizii, Dipendenza delle relazioni dei giudizii dulie relazioni del loro contenuto, relazioni immediate, e mediate, e specie della prima tecnica dei raziocina immediati, e schema della subalternuzioue e dell opposizione dei giudizii. Delle trasformazioni dki annui Trasformazioni quantitative e modali per subalternazione, Trasformazioni quantitativo-qualitative e modali por opposizione, Trasformazioni por equipollenza qualitativa, per equipollenza della relazione, per equipollenza tra la quantità o la modalità, Teoria delle reciproche, suo valore logico; teoria delle reciproche universali affermative ; caso delle reciproche condizionali, (teorema di Hauberì. Lo reciproche universali negative. Lo reciproche particolari affermative e negative, Teoria della contrapposizione, Si prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, Il Sillogismo. Ragionamento e Sillogismo. I gradi del sapere e le vie della ricerca, sillogismo e induzione, Strutturo del sillogismo e sua definizione, La sillogistica aristotelica e la sillogistica delle scuole, generalizzazione logica e generalizzazione scientifica, l'universale come fondamento ili qualunque dimostrazione, Il sillogismo categorico. Regole gonerali del sillogismo. Figure sillogistiche, Modi generali del sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, Valore delle figure sillogistiche, la quarta figuro, Specie del sillogismo; 1' entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il polisillogismo, Il sorite; sorite deduttivo e sorite induttivo, Rapporto tra la vorità dell’ illazione e la verità delle premesse SILLOGISMO IPPOTETICO E IL SILLOGISMO DISGIUNTIVO. Il sillogismo ipotetico: impossibilità di ridurre 1 una all altra le forme del sillogismo; sillogismo ipotetico con termine medio, sillogismo ipotetico senza termine medio e suoi modi, Il sillogismo disgiuntivo e sue formo, Il dilemma, sue forme, sue regole, Del riii Nciptp e dui. valore del sillogismo. Esposizione ed esame delle obiezioni contro il valore dimostrativo del sillogismo, Critica della teoria del Mill, che ogni ragionamento, e quindi anche il sillogismo, e un inferenza dal particolare al particolare, Esame della quistione se il sili ogismo sia la forma generale del raziocinio, Del principio fondamentale del sillogismo; se sia materiale o formale; i principii aristotelici e quelli del Lambert. Si dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi logici e sul principio della sostituzione dell'Identico, Teoria pei. Metodo Metodo sistematico Oggetto e parti del metodo; oggetto e parti del metodo si stemutico, La definizione. Elementi della definizione ; come 1' individuazione del concetto sia effetto della loro composizione, Le definizioni come principii proprii nelle scienze deduttive e induttive, Concetti indefinibili e loro specie ; forme approssimate della definizione, e loro valore assoluto e comparativo, Definizione nominale e definizione reale, specie della definizione nominale, la definizione nominale induttiva; la definizione reale, definizioni riversibili, difficoltà opposte delle definizioni metafisiche «d empiriche, metodo delle definizioni reali induttive, definizioni reali deduttive, Definizioni analitiche e sintetiche, la definizione genetica, Regole delle definizioni, Divisione e Classificazione. Concetto della divisione, e sue regole, Da dicotomia, sue specie, suo valore logico, La classificazione scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità apparenti; la classificazione tassonomica e la classificazione per serio, La classificazione per tipi, sue specie; inferiorità della classificazione per tipi alla classificazione per definizioni, Le classificazioni genetiche ; come siono apparecchiate dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle classificazioni genetiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre,PnOVA DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA. Oggetto della prova; i principii di prova e loro specie; specie della prova, La prova deduttiva, sue forme logica e causale, analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della prova deduttiva analitica, Sqhema della prova induttiva; la teoria dell’induzione in Aristotele, Bacone, Hume e Milli; verità ed errore della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à, o il principio d'identità possano essere fondamento deU'induziono, Differenza dell'induzione dall' associazione psicologica; solo fondamento della logica dell'induzione la dipendenza della realtà da principii a da cause come una legge necessaria del pensiero e dell'essere. L'induzione come operazione inversa della deduzione, limiti di questa teoria, Delle forme di ragionamento che sembrano, ma non sono induzioni II postulato dell'uniformità delle leggi di natura, come debba intendersi, e quali sieno propriamente leggi ili naturu: rapporto del postulato col principio di causa; si mostra che questo assicura non solo l’uniformità degli effetti, ma anche l'uniformità delle cause, Gradi dell'induzione; di verse condizioni della sua val idità nelle scienze della natura e in quelle dello spirito; l'induzione nelle Matematiche, La PROVA ENTIMEMATICA E L'ANALOGICA. La prova entimematica, sue specie, suo uso o valore essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo, Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e differenze dall induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi che è un’inferenza dal particolare al particolare, Rapporto tra l'analogia c l'as sociazione psicolo gica: il nesso tra la funziono logica e la psicologica come causa dell'uso larghissimo dell'analogia nella prova scientifica, e dei facili errori ili cui è causa, L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p.,'!tt "Tj Y. L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione, La prova indiretta. Tecnica della prova indiretta, sue forme contraddittoria e disgiuntiva; e rrore d ella L gica tradizionale che ammette solo l a prim a: critica delle contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt, La prova indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alternativa; la prova indiretta contraddittoria, Paragono tra la prova diretta e l’indiretta; casi del loro uso cumulati vo, e funzioni in essi della prova indiretta, 1 PUINUIPII DI PROVA. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii proprii, Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi, postulati, a ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro funzioni; discussione sui caratteri dell’assioma, Il criterio della certezza consiste nell'inconcepibilità del contraddittorio, e nei postulati della verit à d ell' esperienza ~~e ifolLy informità della natura, Sofismi . Se la Sofistica sia una parte della Logica, Difficoltà di dare una buona classificazione dei sofismi, esame delle classificazioni di Aristotele, del Whately e dello Stuart Alili; ragioni di ridurre i .sofismi a tre classi secondo che riguardano o le premesse, o l'illazione, o la conseguenza logica della prova, n. 3( il - Sofismi verbali e so fismi morali, p. Sili Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso apparentemente vere, petizione di principio, inversione tra principio e conseguenza, Sofismi relativi all'i llazi one, loro specie, 1 'ignorano elenchi, e il ai- auto» probare nihil probare, So fismi r i rr» |a conse- Metodo inventivo. Oggetto o parti del metodo inventivo, Dei metodi ikdutitvi. Analisi dell'idea di legge; leggi normative, causati, matematiche. Definizione della legge, Oggetto della ricerca induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse dalle leggi di consistenza. Il concetto.sperimentale della causa. Caratteri fondamentali della causalità nella natura; la pluralità delle cause, lu molti- plicità delle serie causali, hi composizione a collocazione delle causo, la trasformazione delle cause, la causalità unilaterale e reciproca, L’osservazione scientifi ca: il suo carattere fondamentale è la prevalenza del ragionamento sulla percezione. Precetti a cui deve conformarsi. Le tre operazioni nelle quali si risolve sono, l'analisi, l'eliminazione, la generalizzazione. Osservazione esterna od interna, L'esperimento, suo maggior valore rispetto all induzione. Necessità di mezzi superiori di ricerca sperimentale, i metodi induttivi, Logica. ? o: t guenza logica della p rova: s ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi di conversione e di opposizione, sofismi por inosservanza delle regole sillogistiche circa la qualità o quantità dell'illazione in rapporto alla qualità e quantità dello premesso, sofismi di divisione e di composizione, sofismi a dirlo secondimi quid ad ilictum simplieiter, et secundunr alterimi quid. Sofismi induttivi; sofismi di osservazione, loro specie; sofismi di generalizzazione, loro specie; i sofismi di falso analogio derivanti dall'uso delle metafore sognano il limite di transizione dai sofismi di pensiero ai verbali p. Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir) Metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, Il metodo di concordanza, Il metodo di differenza, e il metodo di concordanza negativa, Il metodo delle variazioni, Il metodo dei residui; uso cumulativo dei metodi induttivi, Limiti del valoro dei metodi induttivi dipendenti dalla mol teplicità delle cause p ^dOili di uno stesso effe tto, e dalle complicazioni delle cause. Necessità dell'integrazione deduttiva per ricollegare le parti del procedimento induttivo, Dei. metodo deduttivo. Oggetto e forme del procedimento inventivo deduttivo ; uso di questo procedimento nelle scienze razionali, il valore delle ijw- tcsi in queste dipende dall'inversione del procedimento deduttivo. Applicazione del metodo alla risolupiona dei problemi ; necessità della dcdueione dei concetti come fondamento di esso, 11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che causali; suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici, o consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella itjerificazio D e. Il procedimento deduttivo da i uotegi causali. C ondizioni cIVih i- missibilità delle ipot esi, Condizioni di neiificazione ; verificazione completa e incompleta.gradi di ciascuna, osompii. p.tòO. Discussione delle cr itiche mosse all'uso dol imi unteci. Importanza dello ipotesi, e largo uso di esse in ogni ramo di scienze come condizione del loro progresso ; condizioni soggettive ed oggettivo delle vere ipotesi scientifiche, Haitouti tua l'induzione e la deduzione. Divisione delle leggi in primitive e secondarie, o delle secondarie in empiriche e derivate ; limiti relativi della loro estensione, Si mostra con l'esame dei variimodi di spiegazione di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della generalizzazione nella scienza, Significato relativo della distinzione delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale delle scienze a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione, ed Muti che riceve dall'applicazione del Calcolo, I P li O. Definizione logica del problema, distinzione dei problemi in ipotetici ed assoluti, e modo di risolverli, I problemi antitetici, modi di risolverli, VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA. Verisimiglianza Qualitativa e verisimiglianza quantitativa: norme logiche della prima, Delle ragioni di non credere alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, Ul. e alle uniformità non causali, Delle ragioni della incredibilità delle coincidenze e delle serie, Veiusisik; manza quantitativa. II calcolo delle probabilità e le sue norme fondamentali, I suoi presupposti: in che senso e in che limiti è vero che il calcolo dello probabilità suppone l'ignoranza delle condizioni qualitative dell'evento, Il calcolo delle probabilità come procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, Eliminazione del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso rispetto alla causa, Metodi delle Matematiche. Le Matematiche come scienze deduttive, I Metodi dell'Aritmetica come metodi di formazione dei numeri; il sistema di numerazione, e le operazioni, L' Algebra come scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come scienza dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità, La Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre metodi principali della Geometria elementare, la risoluzione delle figure; le c ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni genetiche. L'induzione in Matematica, Estensione e limiti dell applicazioue dello Matematiche allo altre scienze, METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK. La testimonianza come nnirp [iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i stormi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co, la verisijjiigliuuza; necessità del criterio estrinseco, cioè desumo dalle reiasioni di tempoo luogo del racconto col fatto. Valore della leggenda per la storia. S li.Monumenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^ ri,i p .ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto con lu testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa, l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta come a causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti, L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di escludere lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti della tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese, I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni, Passaggio dai fatti alle leggi ; s cienze storiche e sociul i. p. Dei metodi ueij-k scienze storiche, Tre specie di melodi por la ricerca delle leggi storiche: critica del metodo deduttivo astratto,Critica della teoria antropologica. Critica dell'analogia biologica, Critica dal materialismo storico .Critica della aeuola .dorica, L'indeterminismo storico, e la scuola psicologica, Il metodo deduttivo inverso o storico, funzione essenziale dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i di tendenze. \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i < 1 i nn •( 1 1• » induttivo desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla Statìstica, p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore limit ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere utili, se subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della Filosofia della storia, LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA MORALITÀ. L'aspetto sociale perla coscienza di sè, S I. L'io sociale, sua formazione, sue fasi di sviluppo, Identificazione dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio sociale, LA SoCIETA. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e condizioni proprie di questa. Le società animali, Diffe renza tra la società umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista. Se la società sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, Definizione della S o cietà.LE FoRME soCIALI PRIMITIVE E IL LoRo svILUPPo. Il gruppo sociale primitivo, il costume, la sanzione religiosa, organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale. Ori gine dello Stato, il diritto e lo Stato, DIRITTO E MORALITA'. Unità primitiva delle regole della condotta, separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto. Dif ferenze tra la morale e il diritto, Caratteri differen ziali derivati, Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto dell'Etica come scienza, La Coscienza morale. I GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. Giudizii di cognizione e giudizii di valutazione, i giudizii valutativimorali, La teoria dei valori in Economia, La teoria che pone il principio della valutazione m o rale nel sentimento, Una forma speciale di questa, la teoria dei valori normali, Esame della teoria sentimen talistica, Il senso morale, la simpatia, la pietà, I GIUDIziI VALUTATIvi MortALl. Il sentimento non può essere principio di valutazione morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle idee, e prende nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung) secondo Kant. Si mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che èilgiudiziodivalorequellochelodetermina, Esame della teoria appetitiva e della volontaristica dei valori morali, La teoria biologica dei valori,Il carattere ra zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d) dalla idealizzazione progressive del sentimento morale, ANALISI DELLA cosCIENZA MORALE. Coscienza morale e coscienza psicologica, genesi della c o scienza morale nell'individuo, l'equazione personale della moralità, Genesi della coscienza moralesociale, suo procedimento dal particolare all'universale, Contenuto ed unità della coscienza morale, Autorità della coscienza morale, san zione, Sentimento morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso, L'idea del dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo morale, ed è la condizione del progresso morale. Critica della teoria psicologica. Dovere e diritto. La subordinazione dei doveri dipende dal grado della loro universalità. Coincidenza del dovere e del bene.ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. La volontà morale, esame della teoria che il fine giustifica i mezzi,Il carattere psicologico e il carattere morale, Teoria aristotelica della virtù, che è un abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere. Classificazione ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua opposizione con la precedente. La loro conciliazione si può avere se si concepisce la virtù come la sintesi superiore della coscienza morale, Se possa concepirsi l'estinzione della coscienza morale, Le basi della moralità. LA LIBERTA' MORALE. Rapporto teorico tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità, vicende storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere considerato, La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria di Bergson, la causalità ridotta all'identità, e la libertà creatrice. La libertàela testimonianza della coscienza; argomenti opposti dei deterministi e degl'indeterministi; il risultato della disputa non è favorevole alla libertà d'indifferenza, LA LIBERTA' MORALE. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità, loro nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, La libertà d'indifferenza in contrasto con la respon sabilità, questa ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo morale ne sono prova, Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione, La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la teoria psicologica dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere d'inibizione e d'im pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa causalità. I n stabilità delle condizioni psicologiche della causalità dell'io, con solidamento di esse nel carattere morale, La respon sabilità morale richiede come suo fondamento una formazione psi cologica identica per tutti, quindi non potrebbe riconoscerlo nel temperamento o nel carattere psicologico. Differenza del consenso teoretico e dell'adesione pratica in cui consiste la libertà. Rapporto della responsabilità con lo stato d'integrità della causalità dell'io,e loro variazioni correlative. Suo rapporto con l'educazione della v o lontà. La libertà e la vita sociale, intimo rapporto della libertà con la solidarietà. LA solIDARIETA' MORALE. Libertà e solidarietà; suggestione individuale e suggestione collettiva della solidarietà; la solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la solidarietà e l'eguaglianza, p. La soli darietà economica, sua causa la divisione del lavoro; influenza di questa causa sulle forme superiori della vita sociale; anomalie. Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso necessario, giustizia ed egua glianza, Se la divisione della voro possa essere considerata come il principio morale della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto, nella storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della natura umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, LA Giustizia, La giustizia come idea morale fondamentale; la giustizia come virtù, cenni storici, La giustizia come norma; teoria aristotelica, Teoria di Mill, La giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia nell'ordine economico, Giustizia e carità; il progresso morale, La legge morale.I sisTEM1 MoRALI. Classificazione dei sistemi morali. La morale eteronoma, La morale autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici, I sistemi aprioristici e gli empirici, I sistemi universalistici e gl'individuali stici, I sistEMI MORALI. I sistemi soggettivi, l'edonismo e l'eudemonismo, I sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer). Altre forme della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale del progresso, la morale del vi vere secondo natura, La morale biologica, socialismo e individualismo biologico, Critica della morale bio logica. Necessità di una morale razionalistica. LA LEGGE MORALE. Differenza tra la legge naturale e la legge morale, carattere di obbligazione, altri caratteri della legge morale, Concetto del Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI– Etica. salità. La seconda formula della legge, la finalità. La terza formula della legge, l'autonomia. Unità delle tre formule. Il sentimento m o rale, Il carattere formale della legge morale kantiana; vecchie e nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità che è in esse. Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista gnoseologico, S Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista oggettivo, L'accentuazione formalistica della dottrina kantiana come conseguenza dell'opposi zione contro l'empirismo morale, necessità della negazione del for malismo morale, e del dissidio tra la ragione morale e il sentimento morale. Valore storico e teorico dell'etica kantiana. LE FORME DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come scienza sociale; suoi aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita sociale: la famiglia, la società civile, lo Stato, la società religiosa. LA FAMIGLIA. S I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna, L'idealità morale nella famiglia. La famiglia dal punto di vista giuridico e dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica della teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della comunità morale, Il m a trimonio civile e il religioso; i rapporti tra i coniugi, e tra i geni tori e i figliuoli; la patria potestà, LA SOCIETA' CIVILE. Concetto della società civile; in qual senso e in quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla famiglia, la società ci vile e lo Stato, Le classi sociali, gli antagonismi so ciali e lo Stato, LA SoCIETA' CIVILE COME SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. Diritti personali e diritti reali, loro comune fondamento. D i ritto di libertà e sue specificazioni, la personalità morale e giuridica –della donna, limitazione della seconda nella sfera del diritto pubblico; carattere sociale dei diritti personali, Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento psicologico e suo sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento esclusivo all'una o all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere dell'ingegno, Le obbligazioni,lorospecie; il diritto contrattuale, sua natura, suoi limiti, Il diritto di associazione, sua natura, suoi fini, sua storia; le corporazioni medievali e le libere associazioni moderne. Varie specie di associazioni; le associazioni e lo Stato, DEL CONCETTO E DEI FINI DELLO STATO. Necessità dello stato, elementi ideali del concetto dello stato, Elementi materiali, il popolo e il territorio; fattori naturali e fattori spirituali della nazionalità, La sovranità, suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la costituzione, la personalità dello Stato, Definizione dello Stato, I fini dello Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, Limiti dell'azione dello Stato, I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii di distinguere i poteri dello Stato, Della divisione dei poteri, suo carattere relativo, Il diritto punitivo, suo sviluppo storico, Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di punire, G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come limitazione della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore relativo degli altri fondamenti del diritto di punire. LA cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO. Le costituzioni degli Stati, definizione, loro carattere storico, moltiplicità dei loro fattori,Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano ancora vitali; necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e monarchica, e caratteri differenziali di queste, LE RELAZIONI FRA GLI STATI E LA PATRIA. Del diritto internazionale, se sia un vero diritto, sua distin zione in diritto pubblico e privato, Cenni storici, Diritto internazionale pubblico; la sovranità e le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei mari. Diritto di guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale, Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni speciali, Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua necessità storica e psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali di questa idea, e formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e imperialism. LA COMUNITA' RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I. Concetto della Religione, ReligioneeReligioni. SII. Le religioni positive e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo adattamento ad ogni grado di coscienza, Importanza sociale delle religioni positive, e unità primitiva della società reli giosa e della civile, Ragioni della loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della libertà di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione sociale alla fede religiosa, I quattro sistemi di regolamento dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei medesimi nella politica pratica, Dif ficoltà teoriche e pratiche del regime della separazione, Difficoltà speciali del regime della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta ideale nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. Nati ra e classificazione dei fatti psichici. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, Differenze trai fatti psichici e i materiali; che s’intende per stato di coscienza, conscio ed inconscio. La teoria delle facoltà e quella dell’ unità di composizione dei fenomeni psichici; il rifesso psichico primitivo, le forme piu generali delle attività psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione progressiva, Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI. La coesistenza e la successione nei fatti psichici, fatti psichici primarii e secondarii; l’associazione come loro legge generale; fatti psichici di terzo grado, loro rapporto con gli altri. Partizione della Psicologia, La subordinazione progressiva dei fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla conoscenza Il mondo dello spirito oggettivo. La Psicologia della sensibilità. Delle sensazioni in P£w.v« Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro stesse e in rapporto agli stimoli, Rapporti fra la geu sa- /ione e lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio e <iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione, So ggetti vità delle sensazioni: limite del principio delle energie specifiche; moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo, sensazioni di consenso. Le sinestesie. In che senso le sensazioni si possono sostituire .L’ eccentricità non è, come la spazialità, una proprietà primitiva delle sensazioni, Qualità, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità delle qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo stimolo. La legge di Fechner,c eltica de lla medesima, Che s‘ intende per tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’intensità delle sensazioni e il loro tono. Le. sensazioni in particolare. Le sensazioni particolari si distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in organiche 0 e muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o senso vitale; le sensazioni organiche speciali. norma li e patologiche, loro funzione biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli periferici e da stimoli centrali e psichici, Le s ensaz i oni musco lari; diverse teorie intorno ad esse; si mostra che sono sensazioni centripete del movimento eseguito, non dello stato organico del muscolo. Contenuto qualitativo e tono delle sensazioni muscolari. Coinestesia, cinestesia e cinestesi. Le sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli organi relativi, il loro numero un fatto d'esperienza soltanto. Il senso del tatto, sensazioni di contatto e sensazioni di tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per le sensazioni termiche: rapporti tra la sensibilità termica e la tattile. Sensazioni di pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria del Weber intorno alla discriminazione; i segni locali. Le sensazioni di forma, 1 sensi chimici, loro carattere biologico; mancanza di figurabili e quindi minore oggettività del loro contenuto. Il gusto, stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di sensazioni gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e intensità. L’olfatto, natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni olfattive,loro intensità e fusione, loro classificazione, e scarso valore oggettivo, loro valore emotivo e rimemorativo. L’ udito, stimoli delle sensazioni uditive. Qualità delle sensazioni uditive, rumori e suoni. Percezioni spaziali dell’udito. L'udito e il linguaggio, la musica. Altezza, intensità, timbio. Armonia, melodia, ritmo, La vista., stimoli delle sensazioni visive, corpi luminosi, opachi, trasparenti. L'organo visivo.Percezione di spazio e di forma; teorie empiriche e teorie nativiste. Percezioni di luce e di colore. Colori tondamentali e derivati, acromatismo. Somiglianze e deferenze tra la gamma dei colori e la scala musicale. Contrasto successivo e contrasto simultaneo. Luminosità proprie dei diversi colori . colori caldi e freddi, saturi e non saturi. Il sentimento sensiti ivo. Definizione del sentimento, piacere e dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei sentimenti, finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati emotivi dai presentativi, II sentimento sensitivo e il sentimento vitale 4 \\ punto neutro, Dipendenza del sentimento dallo stato del soggetto, dall’intensità dello stimolo, Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi con l'oggettività, la frequenza, e la qualità delle sensazioni. Dimostrazione particolari raggiata del primo di questi rapporti, Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla forma delle sensazioni, armonia, euritmia, proporzione. L\ TEND5ì^U-B L’ISTINTO. L’istinto. L’ azioni? riflessasue proprietà e differenze. Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di specificazione. La tendenza, Definizione della te nden za, sua dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e derivate; la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizione. Carattere biologico della tendenza, legge di riversione tra l’azion volontaria e la riflessa. S viluppo dell’attività pratica mediante l’isolamento e la combinazione dei movimenti. Differenza di s viluppo dell’attività prat ica nell’animale e nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione dell'imitazione in tale sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle rappresentazioni, forme dell'attenzione spontanea, L’istinto ; teorie opposte sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelligence (Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori dell istinto, e circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1 intelligema adattatine), suo carattere frammentario, sua meccanizzazione. L’istinto cpme uno sviluppo ol- latepale deU’ attività pratica, senza continuità con le forme superiori, p. Le condizioni dello sviluppo psichico. L’ ATTENZIONE. Natura dell attenzione; attenzione spontanea e attenzione volontaria, specie della prima: attenzione esterna ed interna. Fenomeni fisici dell’attenzione, Intermittenza e ritmicità dell’ attenzione, Attenzione e percezione, attenzione e coscienza. Carattere emotivo dell’attenzione spontanea, origine e sviluppo dell’attenzione nella serie animale, L’ attenzione d’esperienza: e le sue forme singolari dell' attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e dell at tenzione marginale. L’attenzione interna. La memoria. Analisi del fatto della memoria, memoria organica e memoria psicologica, loro riversione e sostituzione. Non ci è una memoria come facoltà generale, ina un numero grande di memorie particolari. IL Condizioni della memoria, anomalie mnemoniche, Stato primario e stato secondario nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, Sviluppo della memoria, prova desunta dalle amnesie, La memoria psicologica e le sue leggi. La collocazione nel tempo. L’ ABITUDINE. Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico, Effetti dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine, I' abitudine come educazione di tutte le funzioni psichiche, L’abitudine e la volontà. La psicologia della conoscenza. LA PERCEZIONE. Natura della percezione, sua differenza dall’associazione: la percezione come integrazione. Condizioni della percezione,. |percezione ed appercezione Altre prove dell’integrazione percettiva, Cause soggettive ed oggettive delle integrazioni percettive, Misura del tempo della percezione, equazione personale,[variazioni, percezione e sensazione, Percezione sensitiva e percezione intellettiva, La percezione interna, Le illusioni percettive e loro specie, Le allucinazioni, diverse ipotesi sulle loro cause. L’ ASSOCIAZIONE. Associazione e percezione, serie percettive e serie rappresentative, Teorie intorno alla reviviscenza delle rappresentazioni. Critica della teoria herbartiana, la teoria morfologica, dell'associazione, Se siano riducibili, Condizioni prossime delle associazioni, Tempo di associazione, L’oblio. I sogni come fenome ni dell’associazione psicopatica. Il son no. Diverse specie di sogni. Cause, Rapporto tra le cause positive e le negative dei sogni, la volontà nel sogno. Sogni telepatici, L’io. Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. Varii significati della parola cosciente: la. fase irrelativa e l’integrale oggettiva, La.^u?cifenza \li sé (formale) e 1' empirica o storica, elementi di quest’ ultima, (u- deducibilità della coscienza di sè dall’associazione e dall’astrazione, unità e continuità della coscienza di sè. Lacoscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e dell’associazione, casi di coscienza doppia, La coscienza di sè e l'astrazione come caratteri distintivi della psiche umana dall’animale. L’astrazione, Il concetto, Il giudizio. Il principiod'identità come fondamento del raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione. Sintesi e analisi. L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scientifico, Dimostrazione del doppio procedimento del raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel qualitativo, Le forme dell' intuizione e le categorie, Psicologia e linguistica: l’origine del linguaggio, Vili. Rapporto tra la parola e il pensiero. Azione reciproca tra la parola e il pensiero. Natura logica della lingua: suo sviluppo dal concreto all' astratto, L’ IMAGINAZIONE. Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 associazione; l’imaginazione riproduttrice. IL Rapporto dell’imaginazione con la sensibilità e col pensiero astratto, L’imaginazione artistica, sue funzioni, L’imnaginazione neiia scieuza. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico e momento idealistico. L’Arte e la Scienza,. Relatività i>ei sentimenti. La legge della relazione nel sentimento, Il sentimento e le altre funzioni psichiche, L’ associazione e la memoria dei sentimenti, Affetti e passioni. Gli affetti, p. Le passioni. Classificazione dei sentimenti. Metodo della classificazione; classificazione dello Spemi e ilei Nahlosvski. La classificazione biologica e genetica, e sua integrazione con la rappresentativa. Passaggio dai sentimenti primitivi ai derivati. 1 SENTIMENTI MORVU. Le teorie intorno ai sentimenti morali. Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il riflesso delle sanzioni esterne. Impossibilità di spiegare con la morale empirica il sacrifizio defini tivo, Erroi-' logico della dottrina empirica, parte di verità che è in essa. La teoria razionalista; la direttrice psicologica e la socia ;; la ragione e il sentimento, Classificazione ed a .a- lisi dei sentimenti morali, La carità e la giustizia, I sentimenti religiosi. Natura del sentimento religioso, sua forma primitiva, direzione di sviluppo. Il sentimento morale e il sentimento religioso. Rapporto tra l’intelligenza, il sentimento e la volontà nella religione. La forma superiore del sentimento religioso. Le tre forme del sentimento religioso. I SENTIMENTI ESTETICI. Il sentimento estetico e il sentimento del gioco. I fattori del sentimento estetico. La simpatia estetica. I fattori intellettuali. La verità in Arte. Idea e forma. I SENTIMENTI INTELLETTUALI. Le origini dei sentimenti intellettuali ; la curiosità e il dubbio pratico. IL II sentimento intellettuale della ricerca, e quello del possesso della verità. Il sentimento intellettuale e il sentimento di sé. Dei sentimenti estetici in particolare. Il sentimento del bello in generale, IL li sentimento della bellezza finita e le sue forme: la bellezza plastica, il arioso, il drammatico. Il sentimento del sublime, sua natura, sua forma; il sublime naturale, l’intellettuale, il morale. Il sentimento del comico, sua natura, suo rapporto col sentimento di sè e col sentimento della libertà. Comicità ed umorismo. Il sentimento della natura, sue forme diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è la forma più evidente della catarsi estetica. La Psicologia della Volontà. Il desiderio e la. volontà. Il desiderio, Fenomeni intensivi del desiderio. Le azioni volontarie nelle loro forme derivate e contingenti; elementi essenziali dell'atto volontario. Il problema della causalità della volontà. Teoria della volontà. La teoria metafisica della Volontà. La teoria associazionista. La volontà come facoltà del fine. e dei valori razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti essenziale, Il sentimento del conato volitivo, In che consistono e come sì producono l'inibizione e l’impulso. L’attenzione volontaria e le sue forme p&- K tologiche. La misura del tempo nelle volizioni. Le malattie della Volontà, e l'ipnosi. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio isterico. L’estasi, Fenomeni sensitivo-rappresentativi, mnemonici, e volitivi dell'ipnosi; suoi gradi. La suggestione normale e l’ipnotica; somiglianze e differenze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause specifiche della suggestione ipuotiCa. Temperamento e cvrattere. Natura del temperamento, suo rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza dall’eredità. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, La teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue interpretazioni fisiologiche. La classificazione psicologica riunisce il temperamento e il carattere: forme varie di essa, la classificazione del Ribot. Della modificabilità del temperamento e del carattere. Forme patologiche. La volontà e le altre attività psichiche. L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. La Volontà e P inconscio. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza : necessità della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme estreme, ma normali, dì questa limitazione. Modi d’azione della volontà sul sentimento. Azione delia volontà su sè stessa; genesi della volontà comune, azione reciproca dellajiilpiUàindividuale e della volontà comune, il costume, la/fm(fl*A.' Influenza della volontà iudividuajeV sulla vomW^ comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe sue du^rfiel la militare e la morale. L’idea di giustizia comprende le eguaglianze aritoteliche, e il carattere imperativo e di necessità rilevati dallo Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno di essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sentimento di simpatia che deve renderla operosa, e si fa della carità qualche cosa che va oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se della giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come virtù e come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo oltrepassa la sfera del diritto, ma appare come la sintesi superiore della moralità, come progressiva nella ragione stessa dei suoi due fondamenti. Che siano progressive la libertà e la solidarietà è fatto indubitabile della storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli uomini in un rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la seconda da questo stesso punto di vista, che è quello del valore di fine che ogni persona morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla persona come tale, a conservarla, a promuoverla, anche quando soggiace all’avversa fortuna e al dolore. Noi concepiamo la giustizia come la forma dell’ unità della libertà e della solidarietà già raggiunta dalla coscienza morale; cioè come il giudizio della proporzionalità degli utili agli sforzi, e della loro migliore ripartizione tra gli sforzi individuali e i sociali, posto un minimum di utilità spettante a ciascuno in forza del valore di fine che ha la persona morale, e della solidarietà che stringe gli uomini tra loro. A chiarire questo concetto gioverà vederne l’applicazione ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome di giustizia sociale. Fouillée indica tre teorie intorno ad essa, la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed egualitaria del socialismo, l’idealistica che cerca di con temperare i diritti deirindividuo e quelli della società. La teoria economica considera troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose o come macchine di produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il lavoro rappresenta le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e consapevoli, tra i quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva dal fine comune e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste energie sono parte della società, e questa è una solidarietà più vasta che abbraccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito. Nella prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe libero corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla personalità del lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu sfruttato prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfruttato di più quello pagato meno, il lavoro delie donne e dei fanciulli; cosi Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte dei lavoratori fu abbandonata al meccanismo della concorrenza, alle leggi che si dissero naturali, e la società si disinteressò della protezione dei deboli. Pareva che pei seguaci di questa scuola la ricchezza tosse tutto, l'uomo nulla. La legge di MALTHUS e il darwinismo biologico fecero il resto sottomettendo la persona umana alla concorrenza vitale, ed elevando la voluta giustizia della natura a giustizia sociale. Della solidarietà sociale non si davano nessun pensiero. Ma una società di esseri morali non ci è solo per la produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa di più che un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per realizzare l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e non può quindi prendersene il modello dalla natura, perchè essa non esiste nel senso morale se non è fondata sulla solidarietà. Anche Peconomia collettivista inculca una giustizia che non è quella dello spirito, ma quella della natura. Facendo della lotta di classe una necessità sociale, e del trionfo della classe più numerosa e [più forte l'esito necessario di quella,cangia i termini della lotta economica, non la natura; la lotta di classe non è meno brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il disdegno delle ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani. Se non che 1 primi non tengono conto che del solo lavoro materiale nella produzione, e non badano che non ci è giustizia senza libertà. Invece la parte del fattore sociale nella ricchezza, e specialmente quella dovuta all'addizione di esso nel tempo è così grande, che mal si potrebbe confonderla con quella che vi ha il lavoro mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta riflettere all’importanza capitale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le tecniche in particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi che la parte della mano d'opera è assai minore di quella che il collettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di essa è dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di lavoro, e non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza di esse non sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa operare togliendo loro quello che producono. Anche solo nella produzione della ricchezza non si può giustamente sopprimere V alea a cui la potenza di lavoro individuale va incontro con una speciale costituzione sociale. Poiché è impossibile sopprimere le disuguaglianze naturali, come la forza fisica e morale, la bellezza, il valore, il genio, così non si può prescindere dalla potenza individuale di lavoro, perchè il prescinderne è contro la giustizia distributiva, contro la libertà, e quindi contro il bene sociale. L'idea di giustizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo quella forma di essa è vera, che non ripudia l’una per l’altra. Non si può negare airindividuo la proprietà di quella parte di ricchezza, che esso ha prodotto, più di quello che si possa negare a un popolo la proprietà del territorio sul quale si esercitò per secoli il suo lavoro trasformatore e creatore. Sotto questo rispetto la negazione della proprietà individuale non sarebbe ingiustizia minore dì quella di negare al popolo italiano o francese la proprietà del territorio della patria in nome del diritto dei selvaggi bruciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli delle regioni circum-polari. La giustizia, che accorda la libertà e la solidarietà, considera il lavoro come una forza propria di un essere personale, che deve essere padrone di se stesso. Quindi essa riconosce la libertà di associazione e di resistenza dei lavoratori, riconosce ad essi il diritto di trasportare dovunque la loro forza di lavoro, ed evita che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù forzata del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere. D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto al lavoro, sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la carità indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva. È in forza del principio della solidarietà che la società deve oggi far profittare anche gli esclusi e i diseredati, dei beni strettamente necessarii alla sussistenza, e di quelli che sono inesauribili dall'uso/come i beni superiori dello spirito, la cultura, l’arte, la religione, È in forza dello stesso principio che la società deve evitare che il profitto individuale danneggi il sociale in rapporto al futuro. La società deve conservare alle generazioni che verranno i beneficii del passato, come la potenza di lavoro e la sanità della razza, cosi dal punto di vista fisico che dal morale. E rispetto al presente, il regolamento del lavoro non può essere più quello di una volta, quando il lavoratore animato essendo la sola fonte del lavoro, e l’utensile un semplice organo aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di lavoro potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il la’ voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e la forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza naturale e meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.Il grande lavoro è oggi, pel numero e per la qualità, un’opera sociale, e vuole quindi un regolamento sociale. Se si considerano gli stadii dello sviluppo etico-sociale, il primo è rappresentato da una giustizia nella quale prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la libertà individuale o non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati sempre più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va necessariamente all* individualismo, e la giustizia s’identifica con la libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima complicazione dei rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo non deve dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non sono più individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è il contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo ideale. Nome compiuto: Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Masi: l’implicatura conversazionale -- i peripatetici del Lizio – la scuola di Firenze -- filosofia toscana – filosofia fiorentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Abstract: “Most Oxonians cannot really spell Lycaeum, since it’s a devil of a word. The Italians fare slightly better when they opt for the vulgar spelling ‘lizio’. You see, the ‘y’ just becomes ‘i,’ the ‘ae’ is deleted, and the ‘c’ aquires the very Italian sound of ‘z’!” Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il fine dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not from an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” --  Grice: “It’s amazing Masi was implicating the same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’ – I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode  con una tesi sul diritto di famiglia negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove M. alla ricostruzione di Kierkegaard da un profondo e originale impegno teoretico, volto ad approfondire il concetto metafisico di "analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A. si propone di illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un profilo strettamente storiografico, M. approda, attraverso un'attenta rilettura delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad un'interpretazione che ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi comuni della critica.." (Baboline).  "Nel linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo "platonico", riferito a una qualsiasi entità, vuole denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere in un'assoluta identità con sé medesima al di sopra delle alterne vicende del divenire. Ciò deriva da una tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli aspetti più rilevanti del volume di M. risiede appunto nello sforzo operato a de-mitizzare una tale ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un lucido esempio di come oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e umanistica, sappia ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e spregiudicata, le proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale dell'Occidente" (A. Babolin).  "Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza” (Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano, “La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,”  Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna, “L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano “Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele (Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being” -- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico, Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia, Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico. Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna: Clueb, Il concetto di cultura,  Bologna: Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’ Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino: Casa Editrice A.B.C.  Le zitelle,  Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese,  Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze: Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno,  Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze: L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova: L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.",  A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in: "Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano: Todariana Editrice  Nunzio Incardona. Giuseppe Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Nome compiuto: Giuseppe Masi. Masi. Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Masila: l’implicatura conversazionale – Ercole -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “In my ‘Utterer’s meaning, sentence-meaning, and word-meaning,” I choose the example of ‘philosopher’: ‘Starwson is a philosopoher’. Does this mean that Strawson is professionally engaged in philosophical [sic] studies, or that Strawson is inclined to general reflections about life, or both? The case is different with this papyrus found at Herculaneum: “Masila philosophus,’ it reads. We may suspect that a Herculaneum, back then, being professionally engaged in philosophical studies and being inclined to general reflections about life is a false dichotomy – and that ‘philosophus’ is monosemic!” Filosofo italiano. A reference to M. as a philosopher in a papyrus found at Herculaneum. Masila. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masila”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Masnovo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “While we start philosophy at Oxford – sub-faculty of philosophy – as part of the classics – Faculty of Literae Humaniores – Oxford does not quite rule what counts as a ‘classic’: Cicerone, and compagnia. When the scholar is first introduced to a non-classical philosopher, however, there is a national ethos – and while Oxford is very English, that Scot by the name of of Home (Hume) features large – I wonder why! It’s different in Italy, where the national ethos is strictly Italian, from Benedetto Croce to Benedetto Croce! Not to exlude Aquino, whose years at Germany and la Sorbona are forgiven! And hailed as a true Roccaseccan!” Filosofo italiano. Roma, Lazio. Aquino IN ITALIA. Nel tracciare in poche pagine le vicende del neotomismo italiano fermerò l’attenzione piuttosto su le situazioni che su gli uomini: la quale cosa, se torna utile sempre nella storia della filosofia, molto più torna utile quando il periodo a cui si guarda è abbastanza recente. Le ragioni sono di prima evidenza. Entriamo in argomento. Non ò possibile caratterizzare secondo verità la setta d’ AQUINO (vedasi) senza prima formarsi un’idea esatta d’AQUINO (vedasi). Certo le scuole DOMENICANE italiane mantennero sempre in qualche efficenza il loro sopporto della setta d’AQUINO (vedasi). Nonpertanto se la setta d’AQUINO in Italia, da cui dipende la setta nel straniero, si afferma vivamente e risolutamente, ciò è dovuto principalmente al canonico piacentino BUZZETTI (vedasi), le cui lezioni, sono già diffuse in manoscritti per l’Italia, e i cui scolari avevano già iniziato alla setta d’AQUINO (vedasi), più o meno fortunatamente, TAPARELLI (vedasi), LIBERATORE (vedasi), e tant’altri filosofi dentro e fuori della compagnia di Gesù. PECCI (vedasi) a Perugia è certamente sotto, l’influsso di SORDI (vedasi), piacentino e scolaro di BUZZETTI (vedasi). È lecito pensare il medesimo del canonico napoletano SANSEVERINO (vedasi). M., AQUINO (vedasi) in Italia, (Società Editrice Vita e Pensiero, Milano. Cfr. «L’amico d’Italia», Torino. Quivi GAZOLA (vedasi), tessendo l’elogio In morte dello zio BUZZETTI (vedasi), ci fa sapere che lo zio traccia egli un corso breve di filosofia, che tiensi nel seminario vescovile di Piacenza e nelle pubbliche scuole di Reggio e in quelle di Napoli; filosofia in che null’altro difetto ritrovasi fuor quello di sommamente piacere a tutti i filosofi d’ingegno. M., Il Neotomismo in Italia. BUZZETTI (vedasi) rimette a nuovo AQUINO (vedasi), consapevolmente o no, sotto la spinta del movimento romantico, e l’inserisce, certo consapevolmente, nella re-azione che si scatena anche in Italia, compreso il ducato di Parma, avverso l’empirismo di Locke e il sensismo di Condillac. Anzi si può e si deve dire che in Italia BUZZETTI (vedasi) è, cronologicamente almeno, il primo grande rappresentante della reazione anti- sensistica. Certo non può venire in gara con BUZZETTI (vedasi) Rosmini-SERBATI (vedasi), la cui attività letteraria comincia quando BUZZETTI è morto – Grice: ‘even if it is true to say that we should treat those who are great and dead as if they were great and living.” Quanto a GALLUPPI (vedasi) la sua reazione all’empirismo data dall’anno nel quale egli inizia la pubblicazione del saggio filosofico sulla critica della conoscenza. Or noi sappiamo che BUZZETTI (vedasi) professa la suo battagliera dottrina d’AQUINO (vedasi) in contrasto al sensismo. Infatti SORDI (vedasi), entrato nella compagnia di Gesù, già segue il corso su AQUINO (vedasi) dettato nel seminario di Piacenza sotto l’ispirazione di BUZZETTI (vedasi). Questa sposizione della dottrina d’AQUINO (vedasi), per cosi dire, ‘buzzettiano,’ che riprende non già come un effimero capriccio ma come sforzo e forza davvero vitali, e che, con SORDI (vedasi) e con TAPARELLI (vedasi), con LIBERATORE (vedasi) e con SANSEVERINO (vedasi), si svolge perennemente a contatto del pensiero e delle preoccupazione ambienti, a che punto trovasi del suo svolgimento nel decennio? A questa dimanda risposi ampiamente in altra circostanza. Qui basti ricordare che LIBERATORE (vedasi) scrive Della conoscenza intellettuale destinato ad affermare la dottrina d’AQUINO (vedasi) della conoscenza frammezzo alle opposte correnti del tradizionalismo, dell’ontologismo e della dottrina di Rosmini-SERBATI; che termina il trattato Dell’uomo risultante dei due parti, Del composto umano, e dell’Anima; che imprime alle sue Institutiones l’indirizzo decisamente alla AQUINO (vedasi), svolgendovi la metafisica generale e la metafisica speciale. Quanto a SANSEVERINO (vedasi), egli L’opuscolo di GALLUPPI (vedasi) Dell’analisi e della sintesi, prescinde dall’origine semplicemente sensistica o no delle idee che entrano a formare le nostre conoscenze ossia i nostri giudizi – GALLUPPI (vedasi) Saggio filosofico. M., AQUINO (vedasi) in Italia. M., AQUINO (vedasi) in Italia. Institutiones Philophiae, Romae, Typis Civilitatis Catholicae. Quivi da pag. 3 a p. G è riportata la prefazione dell’edizione; la quale prefazione appunto ci avverte del deciso indirizzo alla AQUINO (vedasi) che ormai assumono le Institutiones liberatoriane. E l'avvertimento non è disdetto dall’opera. 41 era sceso sì nel sepolcro, ma ci lascia di suo I principali sistemi della filosofia sul criterio, e la monumentale Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata. Non occorrono aggiunte per convincersi che, mentre il decennio fila i suoi giorni, la restaurazione d’AQUINO (vedasi) quanto a metafisica, cioè per la sua parte capitale, è già un fatto compiuto. Il dualismo di un dio – “an exegetical device” Grice -- immobile e del mondo diveniente, nonché l’altro dualismo di potenza e di atto – GRICE: ACTIONS AND EVENTS: If Grice gives a job to Strawson, and Strawson does not get it, we may still deem Grice as having given Strawson a job -- in ogni cosa creata e più precisamente di materia e di forma nelle cose corporee, AQUINO (vedasi) li ha già affermati risolutamente. Di più AQUINO (vedasi) applica l’ilemorfismo ai viventi in genere -- dove la forma è l’anima – Grice, “soul or living thing” – recursive unification -- e in particolare al composto umano che è una unità sostanziale vivificata da un’anima sussistente, spirituale, immortale. A proposito della cognizione umana AQUINO (vedasi) proclama l’irriducibilità della medesima anima – cf. Grice, “Are psychological concepts eliminable?” -- a semplice risultato di senzazioni, e insieme riconosciuto per ciascun uomo la necessità dell'intervento d’un proprio e intimo principio spirituale -- l’intelletto agente -- affine di universalizzare o obbettivare, a livello nter-soggetivo -- il dato del senso. I principii poi onde si svolge la vita conoscitiva dominano soggetti – livello inter-soggetivo -- ed oggetto. Passando dall’ordine speculativo a quello pratico, Dio – Grice: “God as an exegetical device” -- ben inteso, personale e trascendente -- è già stato proclamato fonte del dovere nella vita morale e fonte dell’autorità nella vita sociale. Ma la setta d’AQUINO (vedasi) in Italia del periodo oltre a trovarsi dinnanzi a la metafisica d’AQUINO (vedasi), già restaurata, ha piena consapevolezza della cosa. Sulla Civiltà Cattolica LIBERATORE (vedasi) dichiara che rimessa oggimai in onore la vera metafisica, è mestieri porre in armonia con essa la scienza fisica. Parimenti lo stesso LIBERATORE (vedasi) nell’ultima pagina del suo Dell’anima umana ripete che la vittoria per ciò che riguarda la parte metafisica sembra assicurata massimamente dopo che il movimento ristoratore dall’Italia si propaga nella Francia e nella Germania. Ma il trionfo della sana dottrina non è compiuto se non viene esteso anche alla fisica, compilandone una che stia in perfetta armonia colla meta-fisica, e che, facendo tesoro Com’è detto nel Monitum Editorum apposto alla Philosophia Christiana, SIGNORIELLO (vedasi), dopo la morte di SANSEVERINO (vedasi) suo maestro, bisce voluminibus manus admovit eaque in meliorern ordinem redegit, et quartum Logicai voliimen condidit prae- cedentibus omnino aequale. Civiltà Cattolica. di tutti i progressi delle scienze esperimentali, mostri come essi, lungi dal contrastare, confermano anzi la parte razionale dell’antica filosofia. A questo convien che sieno volte quinci innanzi le cure dei veri sapienti; e io non dubito che il provvido Iddio – Grice: “God as exegetical device” -- suscita tra breve tra i cultori delle scienze naturali o della natura chi sappia trionfalmente applicarvi l’ingegno e la fatica. A LIBERATORE (vedasi) fa eco PECCI (vedasi), il quale all’inaugurazione dell’Accademia Romana d’Aquino pronuncia queste parole all’indirizzo degli accademici. Dunque la vostra restaurazione filosofica si stende per indiretto ma efficacemente alla restaurazione eziandio di tutte le scienze. E quanto alle scienze razionali, richiamata una volta in luce la dottrina d’AQUINO (vedasi), la restaurazione può dirsi quasi fatta. Non rimane che arricchirla e ampliarla nelle applicazioni. Più lungo studio richiederanno dal vostro ingegno le scienze naturali o della natura. Adunque secondo PECCI (vedasi), come secondo LIBERATORE (vedasi), non vanno cercati nel decennio gl’inizi della dottrina d’AQUINO (vedasi): che anzi, secondo loro, il movimento d’AQUINO (vedasi) propriamente filosofico si conclude in questo stesso decennio. Che se particolari caratteri assume, come assume effettivamente. La setta d’AQUINO (vedasi) in questo decennio, uno possiamo riporlo fin d’ora, come autorizzano e ce ne fanno dovere LIBERATORE (vedasi) e PECCI (vedasi), nel tentativo di porre a contatto la filosofia scolastica, ormai risorta, con il mondo delle scienze fisiche e naturali della natura. Col bisogno di penetrazione nel campo scientifico si fa sentire anche il bisogno d’intensificare la volgarizzazione. Appunto sui mezzi di diffondere la ristorata filosofia chiama l’attenzione una serie di articoli della Civiltà Cattolica. Mentre caratterizziamo cosi la setta d’AQUINO non vogliamo escludere da questo periodo ogni sviluppo di speculazione; come non vogliamo escludere dal periodo precedente l’opera di volgarizzazione e di penetrazione scientifica. Caratterizzando, ci basta guardare agl’elementi che, pur non essendo esclusivi, hanno una prevalenza indiscussa. Vediamo dunque quali forme concrete vanno assumendo i propositi di penetrazione scientifica e di volgarizzazione. Guardiamo anzitutto all’opera di volgarizzazione. Se la restau¬ razione del tomismo nel secolo XIX è dovuta all’iniziativa privata L’accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino (pubblicazione periodica). che deve superare autorevoli contrasti, la divulgazione si compie in gran parte per l’intervento dell’autorità ecclesiastica e più pre¬ cisamente dal Pontificato Romano. Ed è naturale. Filosofia e Chiesa, in fondo in fondo, risolvono il problema della vita. Quando le due soluzioni armonizzano, benché ottenute dalla Filosofia e dalla Chiesa con mezzi propri anzi finché cosi ottenute, il mutuo appoggio torna onorevole e vantaggioso per entrambe, e risponde certo a un diritto, ma più ancora a un preciso dovere. Nell’opera di volgarizzamento possiamo distinguere due aspetti: uno positivo consistente nell’emissione di documenti ecclesiastici a favore d’AQUINO (si veda), nell’istituzione di accademie, nella pubblicazione di riviste e simili; uno, per cosi dire, negativo consistente nell’eliminare dalla circolazione dottrine che si fanno passare come di ispirazione d’AQUINO (vedasi), ed effettivamente tali non sono. I due aspetti, idealmente distinti, praticamente si confondono. L’aspetto positivo richiama subito alla mente l’enciclica Aeterni Patris ossia «De Philosophia Christiana ad mentem AQUINO (vedasi) doctoris Angelici in scholis catholicis instauranda, promulgata nella festa di San Domenico da Leone, fratello dell’ex gesuita e fervido sequace d’AQUINO PECCI (vedasi). Da questa enciclica i cattolici sono invitati a dare il loro nome alla filosofia che si ispira ad AQUINO (vedasi). S’imprende, per ordine e per munificenza del pontefice, una grande edizione delle opere d’AQUINO (vedasi). AQUINO (vedasi) è proclamato da Leone patrono delle scuole cattoliche. È facile comprendere l’influsso capitale di questi documenti, che non creano certo l’AQUINISMO d’AQUINO (vedasi); cooperano però validissimamente alla sua diffusione. Le accademie all’AQUINO (vedasi) pullulano per ogni diocesi accanto ai vescovadi e ai seminari. Si può convenire che il movimento guadagnando in estensione perde in proti). Basti pensare all’intervento dello stesso superiore generale contro quei gesuiti che a Napoli tentarono la restaurazione della filosofia d’AQUINO (vedasi). (Cfr. M.. AQUINO (vedasi) in Italia). Se GENTILE (vedasi), dedicando sulla «Critica» un capitolo della sua Filosofia in Italia ad AQUINO (vedasi), — e parimenti SAITTA (vedasi) nel suo Le origini della filosofia d’AQUINO— avessero ben notato il momento esatto e il significato preciso dell’intervento ecclesiastico a prò’ d’AQUINO, già spontaneamente affermatosi non avrebbero tratto motivo da questo stesso intervento per svalutare AQUINO. Fatto questo rilievo, è giusto tributare omaggio tanto a Gentlte quanto a Saitta per l’interesse addimostrato verso AQUINO] fondita. Ma è questa la naturale vicenda delle cose umane, e meravigliarsene sarebbe da ingenui. Tra le accademie del periodo che c’interessà merita particolare menzione l’Accademia Romana d’AQUINO. Suo organo è il periodico omonimo « L’accademia romana d’Q1UINO, che inizia le pubblicazioni subito dopo la sua inaugurazione ed esce annualmente in due fascicoli. 1 collaboratori principali sono, oltre PECCI (vedasi), SATOLLI (vedasi) LORENZELLI (vedasi), PRISCO (vedasi), ZIGLIARA (vedasi) e MAZZELLA (vedasi), tutti cardinali della chiesa romana. Si aggiungano LIBERATORE (vedasi) e CORNOLDI (vedasi), SIGNORIELLO (vedasi), TALAMO (vedasi), FABRI (vedasi), ZANON (vedasi) ed altri ancora. Abbondano naturalmente i commenti ad AQUINO. PECCI (vedasi) pubblica la sua « Parafrasi e dichiarazione dell’opuscolo d’AQUINO «De ente et essentia. Altri si fermano di preferenza intorno agli articoli che AQUINO dedica alla cognizione umana nella Somma Teologica. Questi commenti anche oggi si possono leggere con profitto. Oltre i commenti ad AQUINO, trovano largo posto gl’attacchi a ROSMINI (vedasi), come porta la necessità del momento. Non è infatti possibile diffondere la genuina filosofia d’AQUINO senza incrociare le armi con ROSMINI e suoi sequaci, i quali tenenno a far apparire coincidenti ROSMINI ed AQUINO: coincidenza perfettamente illusoria, sopratutto dopo che, morto ROSMINI, è venuta alla luce la sua «Teosofia», sdrucciolante ornai, sulla buccia dell’ente ideale, troppo apertamente ancorché preterintenzionalmeute, verso l’ontologismo o intuizionismo divino che dir si voglia, e verso il panteismo. A mente calma e fredda, con animo scevro da ogni passione di parte, oggi si può convenire che il sistema ideologico del « Nuovo Saggio sull origine delle idee » predispone ai mali passi. Ebbi altra volta occasione di scrivere che [A Napoli, ricorrendo il sesto centenario della morte d’AQUINO, èstata istituita un’Accademia d’AQUINO; e pure in Roma incomincia a vivere l’Accademia filosofico medica d’AQUINO. Dalla tipografia vaticana usce, sotto il velo dell’anonimo, la celebre Rosminianarum [ROSMINI (vedasi) propositionum quas S. R. U Inquisitio, approbante Leone, reprobavit, proscripsit, damnavit Trutina theologica. Si sa di poi esserne autore iMazzella. IL NE0T0M1SM0 IN ITALIA]  Rosmini disimpegna una funzione veramente utile in prò’ della filosofia d’AQUINO, sospingendone i cultori a prendere contatto con la filosofia ambiente estranea od aversa. Aggiungo ora che gli si può e gli si deve riconoscere il merito di aver insistito, sia pure deviando, sull’elemento divino nella cognizione umana. Il domani filosofico ritorna sicuramente su questo elemento. Ma è, almeno almeno, un gran perditempo quel volersi da troppi e sistematicamente indurare, o per illusione o per arte polemica, nel difendere una coincidenza assolutamente irreale. Questo nocque oltremodo a ROSMINI nel giudizio degli uomini imparziali ed equilibrati, che dovettero scorgervi o troppa ingenuità o troppa, come dire?, virtuosità. Certo AQUINO non ha nulla di comune con le debolezze intuizionistiche e panteistiche di Rosmini: senza dire che AQUINO attribuisce proprio all’astrazione la formazione degli universali, mentre il misconoscimento di questo potere dell’astrazione è la base stessa della speculazione di ROSMINI nel « Nuovo saggio sull’origine delle idee ». Fra coloro che sulle pagine dell’Accademia Romana d’Aquino polemizzarono più diffusamente e più autorevolmente contro ROSMINI va ricordato Liberatore. AQUINO ha chiarita e giustificata le sua posizione speculativa di fronte a ROSMINI ed alla sua ideologia pericolosa fino dall’opuscolo di SORDI (vedasi)  6,P Svill, PP° dell ° he g elis "'° SUl !° He sei, dopo aver affermato che il gran mento dello H. sta nella scoperta della dialettica come relazione sintesi di opposti e aver soggiunto che oltre la sintesi degli opposti c è la sintesi dei distinti, conclude che il torto dello H è di aver confuso quella dialettica con questa. Oltre gli opposti, essere e nulla, spiiito e natura, vero e falso, ecc., i quali non sono reali che nella sintesi di cui costituiscono i momenti astratti ; ci sono, dunque, pel Croce, i distinti: bello, vero, utile, buono, i quali non si trovano fra loro nella stessa relazione degli opposti, reali solo nella sintesi- ma sono, invece, egualmente, tutti reali e concreti, così da poter sussistere I nno accanto all’altro. Posto ciò, il rapporto fra i gradi orme dello spinto è, pel C., questo: esso procede per diadi (invece che per triadi), nelle quali il primo termine sussiste da sè cornar 0 ’ PU k aV, end ° anch ’ esso una sua sussistenza concreta come tale, assorbe .1 primo: così, l’arte, si è visto, è alogica, ma filosofia, sintesi di intuizione e concetto, è anche arte, cioè ha etica^ ° rC espress . lv ° : la volizione economica è amorale, ma quella senni n* V, ’T economica > la volizione morale essendo anche sempre utile Lo spinto, poi, è di natura circolare, e però passa da un grado all altro: passa dal grado intuitivo al logico, all’econo¬ mico, all etico, e dall’ultimo trapassa ancora al primo, all’intuitivo ornendo .1 contenuto pratico alla nuova intuizione, e così in eterno’ nfa°tfi ni a gra t ÌmP ' ÌCÌta resistenza di tu, “ i quattro gradii nfatti, appunto perchè nel grado intuitivo, ad es., è già implicito 11 ’° glC0 Sl P uò P assa re dall’uno all’altro. E il passaggio consiste¬ rebbe, infine, nel divenire esplicito ciò che era Lplidtò L’IDEALISMO ITALIANO Ili Ora è necessario osservare subito, che in questa teoria del Croce vengono così in contatto due dialettiche contrarie: quella degli opposti e quella dei distinti. Sono, dunque, due differenti specie di rapporti che concorrono al ritmo dialettico, crociano, dei gradi: il mutuo rapporto dei gradi in quanto tali, cioè distinti, concreti, e quello degli stessi in quanto astratti momenti di ognuno dei gradi concreti. Il grado intuitivo, ad es., ha due significati ben diversi, quello di momento della sintesi a priori logica (sintesi, si è visto, d’intuizione e concetto), e quello di sintesi a priori estetica, grado concreto e indipendente, come tale, dal grado logico, che, a sua volta, come tale, è in egual relazione verso di quello. Ove è palese, che, nel primo caso su accennato, si ha una relazione di opposti, e nel secondo una relazione di distinti. È in questo punto dell’incontro delle due dialettiche, che si sono soffermati più a lungo i critici di CROCE (vedasi). È stato osservato, ad esempio, che le due dialettiche si annullano l’un l’altra; che il concetto dell’implicito-esplicito, che deve spiegare il passaggio da un distinto all’altro, è un semplice mito, non differente, essenzialmente, da quello del passaggio dall’inconscio al conscio; che il concetto stesso di circolo è mitologico, e così via. Il carattere espositivo di questo scritto c’impedisce di entrare nella questione: si è ricordato ciò per informazione del lettore. Fin’ora si è discorso dell’estetica, della logica, della filosofia della pratica: veniamo ora alla Teoria della storiografìa che conclude il sistema della filosofia dello spirito quasi con una brusca correzione. In quest’ultima opera il C. vuole integrare la sua unificazione precedente della filosofia e della storia nel giudizio percettivo, col concetto della con¬ temporaneità della storia. La storia, antichissima o recente che sia, è storia contemporanea, cioè sempre relativa al soggetto presente, che col pensarla la suscita, la fa; badando però a intendere questa presenza come assoluta e ideale, tale, cioè, che condizioni essa e superi l’empirico presente e passato del tempo. Ma intesa così la storia, come procedente dall’universalità del soggetto, come attualità piena dello spirito, essa appaga allora l’esigenza filosofica di possedere la realtà nella sua pienezza e totalità, e la filosofia come Logica, come un distinto momento dello spirito, viene sminuita di valore. In relazione, infatti, al nuovo concetto di storia, la filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene ad [RUGGIERO (vedasi), La Filosofia Contemporanea. [SPIRITO (vedasi), Il nuovo idealismo italiano.VOLPE [vedasi) essere il momento trascendentale della conoscenza storica, alla quale appresta le categorie necessarie a pensare la totalità del reale. La filosofia non può essere altro che il momento metodologico della storiografia, dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi storici. Dilucidazione che «si muove nelle distinzioni dell’Estetica e della Logica, dell’Economica e dell’Etica; e tutte le congiunge nella filosofia dello spirito. Il pensiero di CROCE (vedasi) conclude, dunque, ad una sopravvalutazione della storia, o filosofia in largo senso, di fronte alla logica, o filosofia stricto sensu: conclude, infine, parrebbe a due concetti di filosofia: la logica, o filosofia stretta, che come tale resta al di qua dell 'atto storiografico, o filosofico in senso profondo. Ecco quel ch’è sfato chiamato, anche recentemente, l’umanismo di CROCE (vedasi). Umanismo, si è detto, perchè tutta la storia della storiografia assume il valore di una storia della filosofia incentrata nel concetto dell’uomo, del mondo ch’è il suo mondo (VICO (vedasi)), e dei suoi bisogni spirituali. È stato ancora osservato, che quel ch’è la funzione della filosofia rispetto al problema della scienza nei filosofi del neo-criticismo positivista, si ritrova in CROCE (vedasi), come coscienza critica immanente all’atto storiografico, di cui essa è il momento puramente trascendentale. IL La formazione mentale di G. Gentile ha origini diverse da quella crociana. A SPAVENTA (vedasi), e, attraverso questi, a Hegel, Fichte, Kant, Cartesio, e ai nostri GIOBERTI (vedasi), VICO (vedasi), e BRUNO (vedasi), si riallaccia, fin dagli inizi, la meditazione del fondatore dell’idealismo dell’atto. È, poi, partendo in particolare dallo Hegel, con la riforma ch’ei propone, indipendentemente da CROCE (vedasi), e sulle orme di Spaventa, della dialettica hegeliana, che il pensiero del G. dà i primi frutti originali. SPAVENTA (vedasi), studiando le tre prime categorie della logica hegeliana, essere, non-essere, divenire, osserva, sorpassando i precedenti interpreti (Trendelenburg, VERA (vedasi) etc.), che questa posizione imbrogliata dell’essere e del non-essere (lo stesso e non-lo stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie di mezzo il pensare non se ne capisce niente. Nome compiuto: Amato Masnovo. Masnovo. Keywords: scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masnovo.” Masnovo.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Massarenti: l’implicatura conversazionale -- stramaledettamente implicaturale – la scuola d’Eboli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Eboli). Abstract. Grice: “At Oxford, we once had a big discussion, prompted by me, I’m afraid, as to whether there is a distinction to be made between, er, philosophically important, and philosophical Unimportant questions. Austin focused on the prevalence of ‘highly’ as an adverb – why ‘highly intelligent’ but not ‘highly idiotic’? The Italian equivalent is ‘stramaledettamente’ – quite just the same trick!” Filosofo Italiano. Eboli, Salerno, Campania. Grice: “His dictionary of non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he would hate it! He was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be provocative. I like his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea of the pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on ‘la buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression? His study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading – aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24 Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima.   Armando Massarenti vive a Milano, dove dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione Einaudi di Roma e dal  fa parte del Comitato etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Amato. Direttore della rivista Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di argomento filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri, Macerata), la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare la filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).  Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una raccolta di saggi di Sen.Cura il numero monografico della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su analitici e continentali e, con Possenti, “Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino, Mannelli). Cura la collana I Grandi Filosofi (trenta volumi sui protagonisti della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali anche scrive le prefazioni, confluite ne Il filosofo tascabile. In corso di pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi della scienza. Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima” per il quale gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello  e il premio di saggistica "Città delle Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico, promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo teatrale, per la regia di Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica. Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori la collana "Scienza e filosofia".  Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il Premio Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello (Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì "Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano opera prima.  Ha vinto diversi premi:  il Premio Dondi per la Storia della Scienza, delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,” Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca, Parma, Guanda,  “Il filosofo tascabile” “dai presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia, sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano, Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti e moralità, su filosofia rai. Nome compiuto: Armando Massarenti. Massarenti. Keywords: stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Massari: l’implicatura conversazionale -- l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio – la scuola di Seminara -- filosofia calabrese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Seminara). Abstract. Grice: “At Oxford, we revere William Jones as being the first to point to the cognateness between the Gothick,as he called it, and the Graeco-Romanic. This was never an issue in Italy, which had both!” Filosofo filosofo calabrese. Filosofo italiano. Seminara, Reggio Calabria, Calabria. Bernardo Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under B – Barlam, under Seminara, like Occam?”  Barlaam Calabro – di Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica. E uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e occidente. È considerato insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo successo come filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e ragione di gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la ri-unificazione tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne affidata la difesa delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue critiche verso l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la teologia scolastica e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta polemica contro i metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore G. Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un concilio generale alla fine del quale venne costretto a sospendere ogni futuro attacco verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione diplomatica a Napoli, Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una crociata contro i turchi. In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete di amicizie su cui puo fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare, decise di aderire alla Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio che da un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi, anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È proprio Manetti il primo a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne inviato in missione diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta, si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio, Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Mercati, Calabro, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente verso il 1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non è documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle orme dell'Ughelli (Italia Sacra). Mancano notizie sulla sua formazione spirituale e culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat.), che lo elevò al seggio episcopale di Gerace, ci informa soltanto che B. si preparò al monacato e al sacerdozio nel monastero basiliano di Sant'Elia di Capasino (Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi recenti (Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu educato nella fede dissidente della Chiesa di Costantinopoli, cui molti continuavano ad aderire nell'Italia meridionale di quell'età, nonostante l'unione alla Chiesa cattolica proclamata dal concilio di Bari. È B. stesso a dirlo in uno degli opuscoli contro la processione dello Spirito Santo a Patre Filioque (punto fondamentale di dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi credono che lo Spirito Santo proceda e Patre solo): "Tale è la mia fede e la mia religione riguardo alla Trinità, fede nella quale io fui allevato fin dall'infanzia e nella quale sono vissuto sin qui" -- cod. Parisinus graecus. Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione culturale. Appare infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le quali non si limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si mostrano invece profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla tradizione culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono contatti più o meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche dell'Italia meridionale e centrale. Quando il potere imperiale passò da Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella capitale bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai Latini e all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di astronomia e il gran domestico Cantacuzeno gli affidava una cattedra nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro avvenne col più cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo Gregoras, che teneva cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica i due dotti più in vista della capitale si trovarono di fronte a discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia, grammatica, retorica, poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone noi sappiamo soltanto attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì GOCPL'2q (Jahn, Archiv für Philologie und Pddagogik, Supplementband). Il libello, una specie di dialogo mitico di imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce che l'agone si concluse con la completa sconfitta del dotto calabrese, che dimostrò di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e di dialettica aristotelica e una certa superficiale infarinatura di logica. Ma nella persona di B., Niceforo Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la scienza occidentale limitata a poche nozioni aristoteliche e del tutto ignara di matematica, fisica e astronomia, scienze in grande onore allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras, inoltre, in seguito a questa sconfitta, B. avrebbe abbandonato Costantinopoli per rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile invece che egli facesse la spola tra i due massimi centri culturali dell'impero. A Tessalonica comunque il suo insegnamento continuava con successo e tra i suoi allievi si contavano personalità di spicco come Acindino, Cavasila, e Cidone.  Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu scelto dal patriarca Caleca, come portavoce della Chiesa ortodossa, quando giunsero a Bisanzio i due domenicani Francesco da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di Cherson, incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali che si frapponevano alla riconciliazione delle Chiese.  La discussione tra i prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto livello teologico-filosofico. M. cercava di abbattere la barriera dogmatica della processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento nominalistico: egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter dimostrare apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono sufficientemente espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non restava che assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni teologiche particolari, senza fame un ostacolo per l'unione.  La posizione di M. è in netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto confine di separazione tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla cattedra di Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè, del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.  Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui apparteneva anche AQUINO e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando agli onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua dottrina. Ma l'agnosticismo nominalistico di M. doveva anche urtare le concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas, un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la processione dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di discussione tenuto dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando perfettamente dimostrabile la posizione ortodossa in virtù della grazia illuminante che al cristiano discende dall'incamazione, per cui la conoscenza soprannaturale è eminentemente reale, più di qualunque conoscenza filosofica.  Intanto M. veniva a conoscenza delle pratiche mistiche dei monaci atoniti, che si isolavano per abbandonarsi ad una quiete contemplativa Tali pratiche consistevano nel ripetere indefinitamente la preghiera: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!", trattenendo il fiato, col mento appoggiato al petto e guardando l'ombelico, fino a raggiungere la visione corporea della luce divina vista dagli Apostoli sul Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa concezione psico-fisica della divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera degli esicasti (così si chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli attacchi ironici di M., che vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione, i cui seguaci designò con lo sprezzante appellativo di umbilicanimi. Ma la controversia ben presto si allargò sul piano filosofico-teologico. M., coerentemente alla sua formazione nominalistica, non poteva ammettere contaminazione tra il divino e l'umano, tra l'etemo e il temporale. La luce del Tabor, per esser vista nell'ascesi, dovrebbe essere etema e coincidere con la divinità stessa, che sola è eterna e immutabile. Ma poiché la divinità è invisibile, invisibile è anche la luce taborica. Palamas oppose una sottile dottrina emanazionistica di derivazione neoplatonica, che distingueva una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per esse agisce nel mondo degli uomini. E appunto la luce taborica visibile agli asceti, come l'amore, la sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina operante come intermediaria tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il transeunte.  Tra le due opposte tesi non poteva essere accordo. La controversia filosoficoteologica ebbe anche implicazioni politiche, come sempre avveniva a Bisanzio. M. allora mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca, presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui la dottrina del Palamas veniva assimilata a precedenti eresie. Il Palamas riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole alla fede esicasta, sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq -ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur non favorevoli al palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace religiosa tra i pericoli incombenti dall'estemo, desideravano evitare una controversia dogmatica e cercavano di far giungere le due opposte parti a una conciliazione. Si giunse così alla riunione di un concilio in Santa Sofia, presieduto dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco M ha detto contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di Costantinopoli e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di M. perché fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la morte di Andronico III, avvenuta subito dopo indussero M. a lasciare Costantinopoli e a ritornare in Occidente.  A tal decisione forse non erano state estranee le impressioni riportate nel viaggio in Occidente, e le conoscenze che aveva avuto occasione di fare (forse aveva conosciuto anche il Petrarca). Nel vivo della lotta esicasta, M. era stato richiamato da Andronico III, da Tessalonica, per un'importante missione diplomatica. Urgeva che l'Occidente facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli l'avanzata dei Turchi ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo progetto di unione, che aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui ribadiva le posizioni teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle discussioni coi legati latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il sinodo e d'altra parte un senso realistico della situazione politica doveva consigliare di evitare lunghe quanto inutili dispute teologiche. B. accompagnato da un esperto militare, il veneziano Stefano Dandolo, si era recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di Valois per chiedere aiuti militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e infine presso la Curia di Avignone per ottenere il consenso papale alla crociata. Al papa aveva presentato dei memoriali in cui, facendo presenti i pericoli che sovrastavano alla cristianità tutta per l'incombenza della minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da parte i tradizionali odi, mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra contro gli infedeli; dopo, ottenuta la vittoria, si sarebbe riunito un concilio ecumenico che avrebbe trattato dell'unione. La missione di B. era fallita sia perché il papa pretendeva la realizzazione dell'unione prima di affrontare uno sforzo militare, sia perché le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni tese tra Filippo VI ed Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero permesso l'organizzazione di una crociata.  M. torna in Calabria e prosegue il suo viaggio fino a Napoli, dove aiutò, per la parte greca, l'umanista Paolo da Perugia nella compilazione della sua opera sulla mitologia dei pagani (Collectiones) e nell'ordinamento dei manoscritti greci della libreria angioina, che era in rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò alla Curia avignonese, dove a Benedetto XII era successo Clemente VI. In questo periodo egli si legò di amicizia col Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di greco, da lui acquistando familiarità con la lingua latina, nella quale, per la sua educazione prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava difficoltà ad esprimersi (Petrarca, Famil.). Allora passò anche alla fede cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che, pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di Gerace e consacrato da Poggetto. Oscuri e duri furono gli anni dell'episcopato nella piccola diocesi calabrese a causa di aspre dispute con la curia metropolitana di Reggio.  Ma gli veniva affidata la sua ultima missione diplomatica, questa volta da parte di Clemente VI, per condurre trattative unioniste con l'imperatrice Anna di Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in nome del figlio Giovanni V. La situazione a Bisanzio rendeva però ogni trattativa impossibile. Un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni Caleca, divenuto avversario dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza dell'evoluzione della situazione politica dopo la morte di Andronico III (veva fatto arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto pronunciare contro di lui la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva confermato la condanna di M.. La stessa sera Cantacuzeno, favorevole agl’esicasti, entrava nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore accanto al figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del ritorno, per lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientra ad Avignone. Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone Atumano, nella sede episcopale di Gerace afferma come recente la morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg. Clem.).  Scrive molto. Quantunque una parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano ancora di lui un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco coi titoli e gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, Hamburgi riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI. I più numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività unionista del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo Filioque, e sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod. Parisinus. Di essi uno solo sul primato dei papa, è stato pubblicato prima da Luyd, con traduzione latina, Oxford, e poi dal Salmasius, in greco, Hannover riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, Coll..  Due discorsi greci sull'unione delle Chiese sono stati pubblicati e illustrati da Giannelli, Un progetto di Barlaam Calabro Per l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città del Vaticano. Il primo di essi contiene il progetto di unione elaborato da B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone e presentato al sinodo di Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente dinanzi al sinodo stesso, doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di tenore diverso sono tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto presentati in forma di memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto XII. Essi furono editi per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae, donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI, e poi dal Raynaldi, Annales Ecclesiastici. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa cattolica svolta dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli, di cui cinque, in latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI. Poco ci resta degli scritti contro gli esicasti, che furono condannati alla distruzione, dopo il concilio, dalla enciclica del patriarca Giovanni Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII, COI.). L'opera principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo KotTà Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta ereticale a cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto attraverso le citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le otto lettere pubblicate con ampia introduzione da Schirò: Barlaam Calabro, Epistole greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste, Palermo, che rivelano i primi sviluppi della controversia.  Ma se più nota è l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se finora meno studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due libri, Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub compendio composita,edita per la prima volta da Canisius, Ingolstadt 1604, riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll., B. dà una chiara esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq 7rocpì ro,3 ]Pe,)pytou roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic. Graer. Di matematica trattano l'Arithmetica demonstratio eorum quae in secundo libro elementorum sunt in lineis et figuris planis demonstrata,corfimentario al secondo libro di Euclide, edito nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione latina, Argentorati, e riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di Euclide curata dallo Heiberg, V, Lipsiae (Teubner); e la Aoytcr-rtx~ sive arithmeticae, algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso Dasypodius con traduzione latina, Argentorati, e poi, con un commento, da Chamberus, Logistica nunc primum latine reddita et scholiis illustrata, Parisiis 1600, trattato di calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con applicazioni all'astronomia.  Inedite sono due opere di astronomia: un commentario alla teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico, contenuto in parecchi manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la datazione della Pasqua.  B. si occupò anche di acustica e di musica. Abbiamo di lui la confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di Gregoras, pubblicata da Franz, De musicis graecis commentatio, Berlin.  Difficile è esprimere un giudizio preciso che illumini di piena luce la personalità di B., sia perché moltissimi dei suoi scritti sono ancora inediti, sia perché l'attenzione degli studiosi si è concentrata particolarmente sulla sua attività teologica e diplomatica, che fu occasionale, lasciando nell'ombra la sua opera di filosofo, di scienziato e di umanista, che rispondeva alla sua vera vocazione.  Sufficientemente chiara è ormai la posizione del monaco calabrese verso le due Chiese. E sincero credente nella fede ortodossa fino a quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in seguito alla condanna espressa dal concilio. E fu sincero unionista, anche se le sue posizioni teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla chiarificazione dei rapporti tra le due Chiese.  A Bisanzio porta lo spirito nuovo delle più avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che preludevano all'umanesimo e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece il peso che egli ebbe nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo è che, oltre alle sue lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da Perugia e il Petrarca.  I suoi interessi per matematica, astronomia, fisica e musica, oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto eminente nella storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più versatili della sua età.   Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina Historia, a cura di L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae Byzantinae, Bormae, Cantacuzeno, Historiartum libri, a cura di Schopen, AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in Migne, Patr. Graeca,  Filoteo, Gregorii Palamae encomium, CLI, Contra Gregoram, XII; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei concilio Bénolt XII, Lettres closes, patentes... se rapportant à la France, a cura di G. Daumet, Paris; Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le chiese della Calabria, Roma, Schaefer, Die Ausgaben der apostolischen Kammern unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI, Paderborn; Petrarca, Famil., I.XVIII, ep. 2, a cura di Rossi, Firenze, BOCCACCIO, Genealogia deorum gentilium, a cura di Romano, Bari; Mandalari, Fra Barlaamo Calabrese, maestro di PETRARCA, Roma; Gay, Le Pape Clément VI et les affaires d'Orient, Paris; Parco, Petrarca e B., Reggio Calabria; Gl’ultimi oscuri anni di B. e la verità storica sullo studio del greco di PETRARCA, Napoli, GENTILE, Le traduzioni medievali di Platone e PETRARCA, in Studi sul Rinascimento, Firenze; Jugie, Barlaam de Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Barlaam est-il né catholique?, in Echos d'Orient; Schirò, Un documento inedito sulla fede di B. C., in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, Sarton, Introduction to the history of science, III, Baltimorem Weiss, The Greek culture of South Italy in the later MiddIe Ages, in Proceedings of the British Academy, Meyendorff, Les débuts de la controverse hésychaste,in Byzantion, L'origine de la controverse palamite: la première lettre de Palamas à Akindynos, in OEoloyca; Un mauvais théologien de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise et les Eglises. Etudes et travaux offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne, Introduction à l'étude de Palamas, Paris; St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris; Giannelli, Petrarca o un altro Francesco, e quale, il destinatario del "De Primatu Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in onore di Funaioli, Roma, Setton, The Byzantine background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the American Philosophical Society, Loenertz, Note sur la correspondance de Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in Orientalia Christ. Periodica, Beck, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, München, Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence; Pertusi. La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale e Umanistica. Nome compiuto: Bernardo Massari. Massari. Keywords: implicatura, logistica, Petrarca, Boccaccio, Gentile – il latino, il volgare – e il greco! Accademia, Platone, Rinascimento italiano, Firenze.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Massimiano – il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “I was brought up in the tradition of the 39 articles. The point was relevant at Clifdton. Honore, another Oxford philosopher and old Cliftonian, was not. As a result, he was housed in a special house that Clifton had reserved for Jews. The college allowed these Jews not to attend chapel services – for a reason!” -- Filosofo italiano. A philosopher who encourages Giustiniano and Giuliano -- to pave the floor of Hagia Sophia with silver. Massimiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massimiano.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Massimo: l’orto romano -- la costituzione di Roma – Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “My theory of conversation rests on the idea of maximally efficient mutua influencing. I was inspired by Massimo!” Filosofo italiano. L’orto. A friend of PLINIO Minore. M. is sent by Rome to refer and reform the constitutions of six Greek cities, but he declines the idea. M. knows the theory of Epittetto, and a discussion between them is preserved in Discourses. Massimo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massimo.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mastri: l’implicatura conversazionale – la scuola di Meldola -filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi  Speranza (Meldola). Abstract. Grice: “My conference on ‘meaning’ to the Oxford philosophical society – graduate and undergraduate – in 1948 was a bit of a joke – I was time-constrained. My seminars on meaning at Oxford were also time-constrained. Oxford lecturers are not responsible for what the attendees to the lectures recover frm them, so that gave me some freedom, but sill. Therefore, my reflections on ‘what people seem to be getting at when they display an interest between ‘artificial’ and ‘natural’ signs was jocular – Surely, I couldn’t start to quote from Mastri!” -- Filosofo italiano. Meldola, Forli Cesena, Emilia Romagna. Grice: “One interesting fascinating bit about Mastri’s ‘Institutiones logicae’ is tha it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has a chapter on fallacies, too, which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri – of course at Oxford, if they do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe Kneale!” Grice: “But Mastri explored quite a bit the square of opposition, and modal, too – what he says about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for reasoning, and so forth, is all relevant – especially seeing that his “Institutiones logicae” is just one of his outputs: he made intensive commentaries on Aristotle’s whole organon, and more importantly, also his metaphysics and his theory of the soul so Mastri certainly knows what he is talking about!” -- Grice: “He was a logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes physicorum Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum Aristotelis” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de generatione et corruptione” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones logicæ quas vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et scotistæ Bellutus et M. expurgati a probrosis querelis ferchianis” (Succius, Ferrara); “Disputationes theologicæ in Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia moralis ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova, M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, Forlivesi, "Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna, M. conv. Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cum SIGNIFICARE derivatum est quo patet SIGNUM dicere ordinem, et ad potentiam cognoscente in sed ad huc dubiuin est denominibus ipsis substantivis solitarie cui repræsentat, et AD REM SIGNIFICATAM, quam repræsentat. Divi sumptis. Et extra propositionem spoflintnedici termini, nam ditur porrò SIGNUM inforinale, cutly currere subiecti, atque ita vt verba habere rationem termiplicabimus. ni. Refp. “currere”, et “moveri” esse verba tantum grammaticaliter at apud logicum æquiualent nominibus CURSUS et MOTUS, unde apud. Dubium tamen est de adverbiis, coniunctionibus, signis quantitates ut: “omnis”, “aliquis”, etc. casibus obliquis et similibus, an rationem terminis ubire possint etiam in secunda acceptione. Af De Terminorum multiplicitate ratione SIGNIFICATIONIS, X varijs capitibus solenttermini MULTIPLICARI et variæeo t rum divisiones atlignari, ex parteniiniru in SIGNIFICATIONIS, actu fungatur munere subiecti et prædicati, fediufficit aptitudo, ut ad tale in unus possit assumi, et non eam habeat repugnantiam quæ reperitur in aduerbiis, conjunctionibus, et similibus men substantiuum extra propositionem dicetur terminus non ineo. Qu oad alteram qux siti partem Terminus universi in sumptus dividitur in in en talem, vocale in et scriptum vt notat Tatar. tract. 7. de suppositionibus comm. Secundo sciendum, quæ divisiolumitur ex triplici propositio nuingenere. Hæc eni in propo in alterius cognitionem venire, ut IMAGO respectu Cælaris, VESTIGIUM rel pectu feræ transeuntis; quade causa Scotus 2. d. 3. quæst. 9. et quol. 14, hoc secundu in SIGNUM appellat medium cognitum, qui a vc ducat in COGNITIONEM SIGNATI, prius petitiplum cognosci, il propriem dicitur SIGNUM, et definitur ab August. [AGOSTINO Del maestro] citat, ea tamen definition etiam formali conveniet, si prima pars deinatur, et dicatur SIGNUM efe, QUOD FACIT NOS IN ALTERIUS COGNITIONEM VENIRE. Hæc tamen SIGNI descriptio, quam vis sit ab August. [AGOSTINO], tra Pars Prima Inf fit.Tract. I1. Cap.1. elf obiectum ipsius formalis propositionis mentatis, et intticuitur in Hasaute in termini propriem sumpti definitiones itam explicat Tatar. Ese propositionis obiectiva peream, tanquam per forma mextrin ut SENSUS sit terminum eleids in quod tanquam in EXTREMUM proposecam, itaque PROPOSITIO. Mentalis in hoc sensu, nim irum ob fitio cathegorica elt in nediace resolubilis MEDIANTE COPULA verbali, iectivem sum pradicitur habere terminos; et extrema, quia in se et diciturim mediatem, ad remonendum litteras et syllabas, quia continent subiectum et prædicatum constitutain esse talium per licet propositione solvatur in litteras et syllabas, non tamen in propositionem formalem. Quarem cum intellectus enunciate ebomo mediate, et id e om litteræ et syllabæ NON dicuntur “termini”, el est s nimal interna et formalis propositio in se non continet sub tiam licet propositio hypothetica resolvatur in terminus media iectum, neque prædicatum, nec terminos, sed tantum propositio tem, non tamen immediatem. Sed resolvitur immediatem in propositione objectiva. Yt etiam hic benen notavit Ovvied. Nomine autem ter sit iones simplices, ex quibus componitur. Posset tamen ab sque mini mentalis duo possunt intelligi, scilicet res quæ mente concipi scrupulo etiam propositio simplex appellari terminus, quando tur, ac ipla cognitio, seu v talij loquuntur conceptus formalis, in hypothetica tenet locum subiecti, ut notat Arriag. Nec obeit et obiectivus. Et quidem siin primo lentu sumatur, scilicet, prom illam etiam constare terminis, nain benem potest id, quod in se est re concepta, terminus mentalis am vocali et scripto differre non quasi totum, esse pars respecta alterius totius, ut patet in physicis videtur, eademen im prorsus est res, quæ in ente concipitur, vo de corpore respect totius hominis, et in aliis multis, ut discur, cede proinitur, et calamo exaratur; at IN SECUNDO SENSU, scilicet, renti constabit. Et iuxta hanc secundam termini acceptionem coproipforei conceptu differtam vocali et scripto et dividisolet in et subiecti et licet in propositione de secondo adiacente, quaquia cum sit ignarus SIGNIFICATIONIS vocabulorum latinorum, concilis est ista: “Petrus currit.” lý “currit” videatur fungi munere prædipit solum modo vocis tonum, non autem rem per illam vocem SIGNIFICARI, re tamen vera non tantu in habet rationem prædicati, sed etiam ficatam, scilicet hominem. Porrom licet logica proximem vertetur habet vim COPULÆ, cum faciat hunc sensu in: “Petrus est currens.” yn circa terminus mentales; et vocales non nisi ratione mentalium at delicet ut gerit vices prædicati, sit terminus, non tamen vegerit vitendat, quia tamen termini vocales sunt clariores, et pereosinno ces copulæ. Et si dicas in hac propositione “currere” est “moveri”, ly motes cuntinentales, frequentius agit logicus determinis vocalibus, at, veri, quod est verbum, habere tantum rationem prædicati, fique id eonos et iainde inceps deistis agemus, ac eorum divisiones ex sirmant aliqui, co quia in propositione possunt habere locum præ ex parte MODI SIGNIFICANDI et ex parte REI SIGNIFICATÆ. Ex primo dicati et subiecti, ut si dicatur “Petrus” est aliquis, omnis est tercapite, quantu in ad præsens spectat, solet in primis dividi vocalis minus syncathegorematicus, preter, ost adverbium, est coniunterminus in significativum, et non significativum. Ileeit, quiali quid tie et sic dealiis. Immo suent. cit. hac ratione tenet etiam voces SIGNIFICAT, vc hæc vox “homo”, qui naturam SIGNIFICANT humanam, ister non significativas e se terminos, nam dicimus “bliteri” nihil SIGNIFICET, qui nihil SIGNIFICAT vt “blittri”, “buf”, et “baf.” Sed ut ita divisio lit cat. Quin etia in Arriaga ob id addit litteras ipsas ese terminos, quanreemtem tradita intelligi deber determine in prima acceptione assignar dosolz accipiuntur, nam dicimus A et t littera.Verum in probabi tacap præced. Nam in secunda acceptione omnes termini sunt signi lius alii negant, quia adverbia, coniunctiones, et alia id genus nun sicativi, cunies epoflint subiectum, et prædicatum in propositio quam ratione sui et formaliter sumpta fungi possunt munere subie ne. Terminus igitur vocalis in tota sua latitudine sumptus dividitur emti, et prædicati, unde in allatis propositionibus semper aliquod in significativum et non significativum quæ divisio ut benem per substantivum intelligitur, in cuius virtute fungunt urila oficio sub cipiatur, cum terminus vocalis constituatur in ratione significan iecti et prædicati, ut in ila propositione “Petrus est aliquis” am parte tis per significationem, videndyınett quid sit significare et quid sit si nos venire in cognitionem alterius scili ta in oppositionem sequivelimus, tunc cum Tatar, que in seq. Arriaga, cet naturæ humanæ, unde SIGNUM debet ese tale, ve il coognit oper tract. 1. com. 3. Ad 1, dicendum est ad hoc, ut aliquid sit subiectum SENSUS, mediante illo deinde veniamus in cognitionem rei, cuinqua in propositione sufficere, ut sit vox significativa NATURALITER commu lignum habet connexionem; hinc significare nil aliud erit, quam niter, id est, ut possit repræsentar ese ipsam, quod elt significare aliquid aliud am se distinctum repræsentare potentiæ cognoscenti. Ex large et est illud, quod absque sui prævia ARISTOTELE Definition allata videtur ilis competere solu in, quando sunt in cognition aliud nobis repræsentat et in eius cognitionem du propositione.Verum non ita rigorosem intelligenda est illa definitio cit, quales sunt species IMPRESSA ET EXPRESSA respect proprii obie nam ve aliqua dictio dicatur “terminus”, non eit semper necesse, quod eti, et in instrumentale, quod PRÆSUPPOSITA SUI cognition facit nos. No dita et obcanti doctoris authoritatem ab omnibus pallim ro sitio “homo” est animalli siat mente, dicitur mentalis, si voce, voce pta, non recipituram Poncio disput. log. quæit. i, eamqu calis, li scripto, dicitur scripta. Terminus ergo dicitur mentalis impugnat quo ad veramque partem; quo ad primam quidem cum ampula verbalis, seu verbum, ut verbum, rationem termini nequit vleii natum, et non ultimatum. Ultimatus est conceptus, seu cogai habere, tum quia copula non est extremum propositionis, sed ratio rei significatæ per vocem aliquam, velim scripturam, ut cum audition coniungendi extremi. Tumqui ain eam propositiore solui non ta voce “homo” illud percipimus ‘animal’ [ZOON], quod est ‘rationale’ [LOGIKON]. Non ylti potest, cum enim sit formalis et EXPRESSA extremorum unio, matus est conceptus ipsius vocis, vel scripturæ significantis non yl facta eorum dissolution manere non potest. Tumdemum, quia trase ex tendens ad re in significatam et ideo dicitur non ultimatus. Ve SENSU, quod actu extra illam exerceat officium termini, sed quia ludverom primum vocat præcisem rationem cognoscendi, quatenus intra illam fungi potest hoc munere. Unde dicatur terminus non præcisem eit quo aliud cognoscitur, et non quod cognoscitur. Si actu, sed potentia. Nec aliud probant Complut. cit. oppositum signum autem instrumentale est, de quo agimus in præsenti, et quod it in entes. Eum dimontesa SIGNA ni. vocalis, vel scriptus, pro ut subiectum, vel prædicatum proposi SIGNUM esse id, quod præter sui cognitionem, quam ingerit senpbutionis et mentale, vocale, vel scriptum. Solent extrema quoque doc. red arguit, quia non complectitur omne SIGNUM, quia po propositionis mentalis termini appellari, quod quidem de propolilent dari SIGNA spiritualia, qux deducerent in cognitionem tione formali, quæ eit actus, et secunda operatio intellectus, in aliarum rerum, nec possent percipia SENSIBUS materialibus telligendum non est, nam propo.icio in hoc lenluettyna simplex Quo ad aliam verom partem, in qua ait; quod SIGNUM facit venire op eiro in cognitionem alterius eam impugnat, tanquam ab Arriag. 4 modificat, et facit tal iter Significare, idel treddit eius significatio. raticam, quia obiectum facit nos in cognitionem suivenire et tanem, vel universalem, vel particularem, vel affirmativam, vel metbon dicitur signum. Rursus Deus ipse facit nos venire in cogni negativam: et dicitur aliqua liter significare, non qui averem, et pro tionem multarum reruin eas nobis revelando nec tamen abullo priem non significet, sed quia significatum eius non repræsentatur vocatur SIGNUM ilarum rerum. Præter eam cognitio est SIGNUM ut res per se, sed ve modus rei, id est exercendo modificationem rei, quz cognoscitur per ipsam, et tamen non facit nos in cognitio alterius rei, qua de causa negat Arriag. sect. 4. e se perfectem terminum. Dem venire. Addit Tatar. terminum mixtum id est partim cathegorematicum, par Sed nimisandacter inficiatur Poncius doctrinam D. Augustini [AGOSTINO], tim s yn cathegorematicum, et est ile, qui impositus ett ad signifi qaamomnes venerantur. Ut communis magistri, unde mirum essecandum aliquid, seu aliqua et aliqualiter simul, ut hæc vox ni. non debet, quod sz pius hic auctor minirmu ob ore suffuse dsoctri hil, quæ imposita et ad significandam negationem omni sentis nam Scoti przceptoris audeat impugnare. Oprima enim eit illa hæc enim ipsa negatio est illud aliquid, quod significat, quatenus description quo ad omnes partes, si benem intelligatur, naimnduzæ verom illam negationem significat universaliter cuius cunqueentis, folenta signari conditiones alicuius, ut alterius rei SIGNUM didicitur significare aliqualiter, fic eciam significar subiectum pro catur, una est, quod nos ducat in illius rei cognitionem, al positionis indefinitæ, namin materia necessaria æquivalet univer cara est, quod ducat in eius cognitionem, quatenus cognicas lali ut, “Homo est animal” æquivalet huic, “OMNIS homo est animal”, et quarum conditionum utram queo primem exprimit definition SIGNI in materia contingenti æquivalet particulari ut, “Homo currit.” Augustino [AGOSTINO] tradita. Nam per primam partem definitionis secun æquivalet huic: “ALIQUIS homo currit.” Ad hoc tertium genus reducit dam exprimit conditionem. Vulceni in rein, quæ in servirede Tolet. lib. 1. cap. 12. Et Arriag. sect. 4. Omnia adverbia v...som bet pro alterius SIGNO, prius noitris SENSIBUS cognitionem sui inpienter, doctem, conc. Sed non placet, quia cum discrimeninter termi gerere debere, pecificat autem SIGNUM efe debere SENSIBILE, quia nos cathegorematicum, et syncathegorematicum sumatur præser. Ut notar Doctor 4. d.1. grætt. z. et 3. SIGNA SENSIBILIA sunt maximem timin ordine ad propositione in ipes pro sianu isto excitare intellectum coniunctum am SENSUUM et per se potest esse subiectum,vel prædicatum propofitionis, ille ministerio dependentem, ut in alterius rei cognitionem veniat; verom, qui non potest esse subiectum, nec prædicatum, nisi cum ad per alteram verò partem definitionis altera quoque conditio exdito, consequenter adverbia omnia erunt termini syncategorеinati primirur, contraquam nilvrgent instantiæà Poncio adducta ci, quiase solis, et sine addito non possint esse subiectum, vel pre quia obiectum facit venire in cognitionem sui, non alterius, dicatu in propositionis, et per se non significant aliquid, sed potius hoc facit venire in cognitionem sui, quatenus cognitum, ut fa aliqualiter. It signum, sed quarenus cognoscibile. Nec etiam Deus hocmo Potiori ratione ad hoc tertium genus termini mixti nomina adie do ad inftar SIGNI ducitnos in rerum cognitionem, quatenus eti vare duci possent, quam visenim Hurtad. disp. l. sect. 10. mor cognias, fore as revelando, quod ad huc facere possec, etiam dicusc ontendat esse terminus syncategoremnaticos, quia non SIGNIS prius am nobis non cognosceretur. Cognition denique esse ficant per se, sed CONsignificant, v. g. bonus, non significat per se, bg num rei cognit xper ipsam formale, vedicebamus, non et determinate aliquid, nisi ad datur alicui, v. g. Petrus [est] bonus, Ta autem instrumentale, quod solum propriem dicitur SIGNUM et men si nominum adiectivorum significatio benem confideretur, vide ab Aug. [AGOSTINO] definicus, et ideo cognitio propriem loquendo non di bimus, quod liceti n determina cem aliquomodo significent, ratione e in er facere nos venire in cognitionem rei, quam repræsentamen formæ significatæ se cum afferent aliquam determinationem, quia non ducit nos in cognitionem illius rei, quatenus nam doctus, v. g. doctrinam importat, quod non eucnit in SIGNIS quan cognica, lea ut medium cognitum, sed ut ratio cognoscendi. So citatis omnis, nullms, doc. quæ nulla in prorsus, rem determinatam lum autem SIGNUM instrumentale est illud, quod hic definitur significant. Accedit, quod nomina adiectiua possunt esesaltim præ Ethocignem instrumentale ad huc duplex est, aliud naturale, dicatum in propofitione, v. g. Petrus est doctus quod SIGNIS quantitate it, quod ex natura sua independenter ab hominum voluntate tispror sus convenire non potest, ergo nomina adiectiva commodem aliquid repræsentat, ut sumu signem, et universaliter omnis es ad hoc tertium genus termini possunt revocari, quod etiam tenent sutus suam cusum, qui præsertim si sensibili serit, dicetur tic Casil. cap. 3. et Arriag. cit. cum significant aliquid, et aliqualiter, vn suncauz juxtam sensum definitionis allaræ. An verom it aèm contra de rem anet sola nomina substantiva esse propriè terminus categore cala dicipole SIGNUM sui effectus, negar Hurtad. disput. 1. fet. 4. maticos, quicquid hic dicat Ouuied. Quia eicauíz cognition ducat in cognitionem effectus, tamen, 7.Rursus terminus categorematicus subdividitur in simplicem boset ordinate ad illum repræsentandum. Sed planènonmi seuin complexum, et compositum, seu complexum, quam diuisio mes ordinatæt cognitio causæ ad nos ducendum in cognitionem quidam sic explicant, quod complexus est ille, qui constat ex benefectus a priori, quam cognitio effectus sic ordinate ad noti pluribus dictionibus ut: homo albus in complexus, qui unica gau tiamanfz à posteriori, quareratio Hurtad. Parum valet. Acinder dictione, ut Homo et albus, ita Roccuslib. i. introd. cap. 8. quinzalij, quod licet icar esse habeat, solata men cognitio, qux Blanc. libr. z. sect.2. At ve bene monet Tatar. tract. 1. coin. 4. hæc ex perfectum habetur, dicitur haberi per SIGNUM, unde sola demonplicatio potius grammaticalis est. Grammaticus enim voce millam Horacio, posteriori, quzelt per effectum, dicitur a signo, et idiom appellat complexam, quæ constat ex pluribus vocibiis, et eamin solum efectus dici potest SIGNUMcausæ, non è contra. Verun mne complexam, quæ constat una tantum, at non sic est apud logi que hoc viget, licet enim cognition habita per effectum velutisen cum, qui non attendit unitatem, vel pluralitatem vocum, i ed Ebuiorem causa, magis propriem dicaturam signo, niltam enim conceptum in intellectu, cuiiltæ subordinantur, unde etiam si sint pedit, quin et cognitio habit a per causam po sic diciam signo ab plures dictions inter se connexx, sit amen in in ente v numtan solute loquendo. Poc est igitur etiam causa dici SIGNUM sui effectus, tum generant conceptum, terin inum conitituunt in complexum et przsertim quando sensibilis est, vnde a Theologis sacramenta dive v. g. Marcus Tullius Cicero [CICERONE], et è contra fivnatantum sit dictio, cantur SIGNA gratia, cuuus sunt causa, ita clarem colligitur ex Do conceptum tamen generet complexum, erit terminus complexus; vt Gore. d. 1. Juzit. 2.$. De secundo principali, et sequitur Cafil. cit. et nemo, Amo. semper, quæ æquivalent his, nullus homo; Ego sum amans, omni Atriaga difputat. 3. fect. 2. Aliud vero est SIGNUM ARTIFICIALE, seu ad tempore. placitum, et et: quod ex hominum impositione aliud repræsen Alii proindefic explicant, quod terminus in complexus est ille, est, ficramiset SIGNUM venditionis vini, sonus campangelt cuius partes ab in vicem separatæ nihil significant, aut non lignih fgrum lectionis, et vox illius rei, adquam significandum eitim cant illud, quod in integra dictione significabant ut, v. g. dominus posita. Ubi tamen est advertendum etiam in vocibus ipsis non est terminus in complexus, quia licet partes, in quas potest dividi aprum significationem AD PLACITUM reperiri posse, sed etiam natu scilicet do, et minus sint significativæ, tamen in toto, et integra salem, ve par et degemica in firmorum, et latratucanum. Et ideom dictione hanc significationem non retinent: Complexus verom est il temiaus vocalis significativs sub dividi solet in significativum nale, cuius partes eandem retinent significationem, quam habebant licet, et AD PLACITUM, et hic ad Dialecticus mpectat non qui in toto complexeo, tiam ab in uice in separatæ ut: homo iultus, enlecundim tuam realem entitatem, ve vox est et fonus quidamn ita Amicus g. 2. Ruuiusq. 4. Complut. cap. 3. Sot. lib. 1. cap. 9. decaufæus, Id secundum quod impofitus est ad res ipsas signi Ioan. De S. Thom. [AQUINO] lib. sum. cap. 4. et alii passim. At hoc dupliciter ledias, et conceptus mentis exprimendos, in hoc enim lenluvo inteligi potest, velita, quod terminus in complexus sit ile, cuius se nere dicuntur ad inftitutum Dialecticum, ut dicemus disp. Partes Separatæ non eandem habent significationem, quam habe vocibus, vbictiam declarabimus, per quid constituatur ratio bant in integra dictione etias migillatim sumptæ, in quo SENSU quod coria nificativus, et ideo per se non significat aliquid, nec po seca, acdere vpatett. Al Velscito amipnto enlluingtitiulrla, nqoumodinpar, tevsetneortmaitn Fioin veelelubecom, et prædicatum in propositione, sed cumalte coinplexi separatæ non retinent eandem significationem, quamha consortio aliquis inde de sumpdtiæctionis Respublica lus, vt notat Tatar. tract. 7. com .1.§.Tertio Sciendum, scio vera est, ut constat partibus illius fins, cuius significationem modificet wessatenusa diuncur cathegorematico. n. IM Pm Pow s JTONx AM Ve mov Ax. . T Vhelmadp e dm B^ us NIRÍa Y. WS em i Em us MAY ee Bow, pue Oo cid nis SR e e e jouer sedode C3, deiu Nd IyFaWEO ne Spero Qoipt^ ext tic LEN : H : PI h 4 9 Ces: usines! ie geo ugar T ] 3 E cz m, X0 cc rais riv ves H4 iz aas TRA 5 Crue e e n A. E edes i ege: K a2; t e ed Wiener! nop o . ^A Digitized by Google DISPVTATIONES IN ORGANVM ARISTOT: Quibus | Ab Aduerfantibus tüm Vcterum,tüim Recentiorum | iaculis Scoti LO GICA vindicatur, 1 | à PP. Magiftris Be4RT HOLOMEO AMcASTRIO DE MELDVLeA ^ Eminentifsimi Cardin. Cc/44 P OSN: Theologo, QJ BON«AVENTVRA4 BELLVTO DE CcATcANcA, nunc Sicilie Prouinciali 1 Olimin Augufto S. Antonij Min. Con. Patauino Collegio | : Regentibus, | Editio Secunda, Priori caffigatior, C audior, nouifg. Indicibus, / 5 x C Additionibus exculta. iia | Eminenti(s.ac Reuerendif(s. Principi O. BAPTSITZE PALLOTTO^€« $. R. E. CARDINALI AMPLISSIMO. Dicata . DENENIEOAN m Guo 00 EAT LNQESE : VENE Typis Marci Ginammi . ABO VTAUTVAAPTUE| a er 1x4 Av dy bares VEA 1 : «eiut bs dida v | dun Jii cv gis de ia judun£hsobA dA d wistaihgier a HpDLOO ioocelluost NEL cæ c su Y 3x ur ENDE AK QAM OX OV UAR bad VS GEPISUT Y 2/2 Q5 2. dtu usd, Tee oU 3d KY OSEYAR e XCUVVLASSM ORE Je fiai 331517, 5wvli ; di foydiaodcs e$ noU cio ooh 6 olg din 1C Pea, dia ire audaci ya À is esos eim eS æe, iN ZIOEUUETOS o uo Mo sulcus Vx aiat Dibasit3 7i 35.205nicrl e; SAM h 2f (id IUTSA: T: 1g 3 | 1 i ka ex 5 ao E IS (4o BS do voa cer EIS HEISE Co fx 3 0o 10. DE RRETE ION REY CORE E ef olio secolo S adio Yo OBRPEGOHEE Bey Hg H9 VO e$ fx 6e iy HN : Ten ^s : 2 Xi T ER 9 A T5 rid d vay UOS depen ep qu quaque s Coo VEminentifs. ac^Reuerend, Prinopi 8 IO. BAPTIST 7E Boxe LhbeOo TpoCPO S. R: E CAR DINALI AMPLISSIMO. Fr. Bartbolomaus Maftrius Min. Con. Eraphicum D. Bonauenturz Collegium Romanít, cuius modó clauumtenes, et protectionem incom 4 parabili prudentia geris Eminentifs. Princeps Reli ite noftra veluti pomarium eft, in quo tugibus cientiarum fontibus fub doctiffimorum Pracepto rum difciplina plantulze quotannis a'untur, ac indé translatæ deinceps in immenfías excrefcunt arbo res ; vel potius eft cquus Troianus diuina Palladis arte confe et tus,qui fingulis triennijs (trenuos militcs omni litteratura mu nitosin Seraphycam nebgiunen ab aluo dimittit ; Hinc infulati Procc res; hinc purpurati Dynafte, hinc Do et ores prodiere celeberrimi, qui eruditione Vniuerfitatum fubfellia, eloquentia Ecclcfiarum fuggeftus, et elegantiffimis lucubrationibus Typos illuftrarunt; ex hoc ( inqui) Ocea no tot ingentia lumina defluxerunt, ex hoc Celo tot fydera corrufca runt ; At fi ha et tenus tot honores, profectus tot, ac vtilitates ex hoc Col legio in Religionem noftram promanarunt, nunc fub feliciffimis prote et ionis tu aufpicijs in horum omnium; et maiorum fpem Fi gie en in diem quoq; Men et augct ardentiffimus ille zelus, et fedula cura; qua Oollegislium litterarijs exercitationibus ínuigilas, et quicquid corum prcfectui prodeffe potcft alacriter promoues . Cum jgitur Emineutifs, a ài Cat Cardinalibus huiufca Sapienti Prote et oribus Religio noftra tot, titifqz cumulata beneficijs mulcü fe debere fateatur, iftius ego indignus filius, et illius pufillus alumaus;penfuim quod pro mea parte poífum E. T. in huius voluminis dicatiouc humiliter exíoluo, tantaqs munificentia: quantum mihi licct refoondeo, vtiqs maiora daturus, non inter omæs Minorum Magiítros minimus effem; paucis ab hinc meníibus paruam Logicamà mco Typographo accepifti;nunc magai Difputationibus ; et Queftioni bus contextam ab ipfo Autore fufcipe, in qua (eipfam cultu deuouct ET. cui vencrabundus Celum precatur vudiq feliciateseffundene, ' Phases di COLLEXESC TOO Ro F. M. Cce tibi Logicam iamdenuó recufam, nouifg 4 dditiont bus locupletem salia plura ad occurrendum Recentiori bus,nifi volumimis moles id egré tulifíet, fuiffent adden da, qs autem locis, quibus ad hunc finem aliquid adinn ] gidebebat, Lecforem ad Metaphyficam remitto, vbi ex infiituto obieci iomibus eorum in Logica factis refpoudeo ; Id autem fülus. Jfeci fne. facio, fine comite dilecf ifmo A. R. P. Collega meo Bonauentura. ^ Bellute facultate mibi ab ipfomet concejfa ne offre neceffitudinis iura lederentur. Quamuis enim ab initio animus effet, ntdum totum corpus Philofophicum (vt iam f'adfumest ) fed etiam Metaphyfrcam ffmul, ci communi [ludio contexere, et communi nomine T ypis tradere ; uia ta men qua de nouo euemiunt nouo indigent confilio, cum poft feré de odd 1um Philofopbicumopus nece[fatatibus quibufdam domeflicis in Sicilian eius Prouinciam reuocaretur animo quamprimum ab eis fuiffet expedi tus in Italiam reuertendi, vt Metapbyficam pareremus 5 cum interim ad Prouincialatus culmen ob eius egregia merita affumptus effet, videns Jexture Metaphyféce, que tota ex integro poft eius difceffum paranda te. ntbat, tum ob nimiam diflaniams tumob grauis o fic occupationis,ma num admouere non poffe nedumvt Metaphyffeam concimnarem folus, at euulgarem ( prout iam c et pi priarem Tomum edendo) mibi prgmifft, fed. etiam vt Recentioribus noffra communia Logica, c Philofophica impu gnantibus occurrerem, prout ferebat occafjo 5 opportunitate namq s laci, «t volumina,que indiem in leuem prodcunt, mibi funt magis ad manum, € Veneta prgla, quibus vtimur propinquiora . ip tamen ne ffudys vale dixiffe putaris, curis dome[Heis adbuc non obflantibus Tracfatuna de Incarnatione eruditifimum inunlgauit, peraifa Prouincialatus fan df ione, alja plura infrgnis eius litteraturi fpecimina daturus . ; a5: DO DOCTRINAM S)SO;)OTIC.A Celitis, cy hwnanitia, approbata, commendata . Oannes Dunfius Scotus dum adhac pacculus litteris incumberet, vtqui ab incunabulis omne in Sacrat;(Tiimam Virg;né Dei Ge nitricem obfequmum voucta: fertur ali.(uando vchementius cam oralfe, vt ntelle et tom illummare, vcgetioremq; reddere dignare tur; cui mox /omno coriepto Deipara dme apparet, [cien tiarum copram, et ingens in ei(dem addi(cendis, et cxprimendis acumen pollicetur; gratias ille gaudens. agit expergefactus Vir. ginca 2 ppaniciene lcabundus,ftudia profequitur, et Dei Matris bencficio illu et ratam bi experitur :ntelle et um. F.Cauclius in. vita Scod c. 1. Vvane dingus tom.3. Annal. R chig. in vita eiufdem. Pari(ijs Ioann: Dono Scoto pro immaculato Corceptu 'Deiparz à Labe origi nal! pr atuto at |; coixius deprecanti, repetentiq; Verf, Dignare me Laudare: te P'irgo Ne da mibi virtutem contraboites tàos3. Dwaæ Virginis imago mar morea caput inclinauit, cO ]; miraculo victoriam benigné poliicita eft, atq; in eam; formam, adhzc vfq; tempora (acram Imaginem perítare Patifijs tettantar ex Fer Chio noítto in Vita Scou c. 5. Ioannes Pineda Soc. Iefü in aduerteatijs D. Ioan. Re js Aragon pro immacularà Concept. Gregor. Ikuis ante Commerx. in 4. Ioan. de. ngancllis in 1 .fent.Chry toph. Moren.de purit. Virg.c.4. fol.275. Ioan, Baptifta Lozanà Carmelita in A pol. pro immacul. Concep. In Rcuelationibus Beari Patris Amadei Angelus eidem teftatus eft Ioannem Dunfiam Scotum ab legia Aazclorum dilectum multum, cum ptimus gladium: füum exemcerit pro immaculata etufdem Virginis Marizt Conceptione ; Eumqy; mo4 muit, vt in difficaltatibus de auguüiffimo Altaris sacramento Sco do et rinam con, falcret; fic ex eodem Ferchio loc. ci«« Ludouicus de Máganeliisà Pola in vita Dun fij, Demptter in Menologio Scot. 4. Nou., : Bcflatton Cardinalis in Conc. Florent.ad conciliandos Latinis Giwcos ipf (fimá M Scori do et riaam vlurpauit in 1.d. r1. q. 1. An Spiritus Sanctus: procedat à.ate, et . Filio, Sic inorat. pro Vnione tom. 4. Conc... i Sianislaus Ofius Catdinalis vnius Scoci authoritate ex quol. 10. totam Ecclefia Catholica? (ententíam de M.(fz cfficacitate corroborat contra. Breatium Harefíat cham lib.;, de Legitimis ladicibus cerutn Ecclefíaft, c: 221. quamuis inquit, multi int, qui tra et tent quet, haac, vtrum Saccerdocismali Miffa tantundem valcatquan tüm boni ( tractant .0« cam [homas de Aquino, et cius praceproc Albertus, Bo nauentura, lo. Gec(on, Gabiiel Biel, et alij nonnulli ) nos tàmcn vel: vniu$ Ioannis Scoiiteftimonio conten erimus, et c. : : MS I1cebinus Bargius iuifa Patram Conc. Trid; vnam ad. Szoti mentem compofuit quz (tionem, quam in t .d. 17.q. 1. 1.. alltit à Sacro(an et ta Synodo approbata, et iuxca Scori placita dcfiaitam, picicu Sancto, qui scocun iülattrauerat, illuttcance vniuctíos Patres, Ioannes de Ragu(io Dominicanus Otat. in Cóc. Ba(ilieafi habita dc Cómanione fub vtraqy fpecie ( et refzrtur à Cani(io anci.]uz Le et tionis to. 3. pat. 2.car.103.) ait, liem Scotus;qui præ altitudine, et (ubrlitate do et cinz anthonomaflicé no.nca Do €toris Subtilisobtinuir, in 4.d.8. 3.3. Vcr Sacramentü à no iciunis potlit recipi et c. Extat Decretum Saciz Coagreg. Cardinalium ance annum 1610. circiter lancie tum, quo przcipituc do et teinaram, auc librorum Cenfocibus, vt quicquid. Scot etíe «oattacet, inta et um, inu. olatumque adinitcecetur, P. Cauel. ia vità Scoti cap. $« à€ V vandiagus t0:n.3.. Aanal, i et elig. invita ciu(dem . Aotoais de Fans l'acuinaus Medicus in Epit. dedicat, Scoxici Repertocij qued bti po LE quod mare magnum appellatur, de Scoto loquens inquit, quis in Dialc et ticis argu menrationibus acutior? quis in pcripathetica lhilo Ínbhis profundior ? quis in facr:s enodandis Mifterijs vigiluntior? cuius rei fingulare iadiciam eft irccfragabilis vbi ipfius adco vencilata fabtilitas, et celebrata fapientia, vt cum plurima excellcn tium Virorum velumina in poblicis Concil;js dearticulata fuerint, corumque artí culi (ub exconmunicat:0n'$ no:a. fucrint promulgati, candidiffima Do et or;s volu mina abíqüe vlla erroris caligine hinc víque in diem ;nuiolata permanfernnt, Et in epift. ad Le et orem; Qem vnum ( Scotum) nter Sacrz Theologi profcílores, vt inter Enangelittas de B. loanne incoafetfo eft, aquilam, aut alteram mundi phæni cem iure nuncupauerim, llius (i ;uidem opera (i paulà accuratius introípiciamus eadem cumaliorum operibus Theo'o;orumconferen:es, non humano quidem ab ingemo, (ed vel angcl:co, planéq; diuino, vel pocius à coelciti quodam numine pro fe et a, et excogitata fuiffe | intelligemus . Do et oris (ubtilis Opera inoffenfodecurrenda pede, ficut de Hilari libris fcri pfit ad I etam Hieronymus, teftatur etiam Antonius Poffeuinos ocict. Ic(u in fuo apparatu,vbi de Scoro loquens ait; In (cri pturis diainis,ac in Philofoph:a Ari(t.adeó Dew vt in Diíputat onibus palmam cæteris prar; peret, at jue ob id Do et or rilis fuerit appellatus ; et infray cutus doctrinz graue iilud teftimonium extat, eius Libri abíque vllo erróris nzuo ví.jue in banc diem 300. circiter ancos in omenicis Concilijs inuiolati permanícrint; et rurfus, Haud mirum fuerit, ait fi ingenium Dodoris (ubtilis mode(tia et charitate przditum alüffimosfen(us erue 're potærit ad veritatem indagandam s nunquam cnim (nam fententiam profert in aliorum iniuriam, vcl depreffionem, quin quorum. errores conueilit, aut op:niones di(cutit, adeb 1d modetl?, et plerumque fuppredo noxine facit, vt chcift ano pc et orc haufi(fe à Domino (apientiam conijci poffit . ! : Thomas de Vio Cardin:l:s Caietanus Od. Przd:c« in Comm. 1. p. q t4. art. 15. 3 rarum (quod nec à Sequacibus addi et tifimis ) profundiflima Scoti doótr oz profcrc à Ote.) Encomium: Dum .n. folutiones parare nititur ad ar;umenta. Scou, quibus oppu Y gnatur, Deum cerià (cire futura contingentia cx coc ftentia a et uali furaroium in æternitate; libero fuo genio confitetur, | olt quam ncminen, ex Thomiltis rem actu et b (Autt^ terigille viderit, poft quindicennalem tibi irritam fpeculaionem, tandeu opus fui( ie, te 0 (e écolo delapfa re(pon(a Scoti obie et ionibusoppcncre ; id, quod an. etium fuerit . afecutus, iudices fint ipfimet Thomitiz, arque Nco:berici Thcolog; . Sixtus Sencn(is Ord. Przd. tom.1,lib.4. Bibl.o:. fol.285 habei, loanncs Dun(üiu Vir admirandz cruditionis, (ubulirate pra ditus . Alfonfus Ciaconus Ord. Przd. in vita Cle. V. Ioannes Scous in diuins fcri is, et Fhilofophia Peripathet ica veríati (limus ob ingcnij acum n, et rerum ab itiffimarum accurati(fimas inter pretariooe Do et or fubtilis vocstus . Cardinalis Bellarminus Societ. Iefía de Scriptoribus Eccleaft. Ioanæs Duns Ord.Min. Vir fuit acuciffiino ingenio praditus . Ferdinandus Salazar Societ. Ie(u, lib. de immacul, Concept. c.15. longé alia eft (abtil:ffimi Do et oris Scoti mens, qui quemadmodum omn bus Thcologis imma culatz Conceptionis propaganda Auctor extitit, ita nihil prtermilit, quodin hac re ad maiorem Virginis glor'am facere poísct ; et c, 42. Ioannes Duns 5.0tus præ cipuus, et maximé puc Conceptionis vindex, qur tantam haic do et trinz tuaauuho ritate fidem co mpata ut, quantam nullas alius antc, vc] poit ipfum Iacobis Breullius Ord, 5. Benedi et i Antiq. Pari: lib. 2. 6264. Quidam, inquit ; Cognoincn:o 4 patria (ua fumpto Scotus vocatus, et, Doctor fubzlis, cuius mcmoe rja nun jua.n eft perii ucay pre ert. incec Scholatiiez (api et iig Prefcfsores o5 erndi ti92em;quá fcriptis (uis in(cruit,Hareticorü impictau retundenda «p, ocunáy ce Vaiuerfahis hitt.in 6. ztaie fol. 21. loanncs Scotus Ord. Min, Thiolosus.fubti flinus «nno Domini. 1300, vélcirca vclut alter Apolo floruit 5 pis. vá à ; a 4 heo V oif av ' 4 Y nmn. Thcologis fubtili fima quzdam opera edidit . S. Anton. Ord. Pred.3.p. tit.34. $.2. c. 8. Anno 1500. claruit Frater Toann.Scos tus, qui fcripfit fuper Senc. multa fübtilia, vnde et dicitur Do et or (obtilis, Sabellicus lib.7 c.4, Pradicari audio Ioann. Scotum,quo nemo (ubulius diuinas tra et auit litteras, Tritem, Scriptor. de Ecclef. de Scoto loquens inquit, vir in diuinis (ceipturis ftu ' dioíus, et eruditus, et in philofoph. Arift, doctilimus,, et adco profundus, vt cius fcripta paucis (int penetrabilia . FHice et tor Boet.lib. 1 s.h:ft.Scor.Io. Duns Scotus (ub D. Franc:fci inftituto (an et iffi ' tno tan'z eruditionis Thcologus, vt eius ingenio illud fz:culü cenícri po (lit ind: gnü. Volaterranus in Anttopol. Per id tempus Ioan. Scotus Vniuerfitatem. Parif. ma gnopcte illuftrauit . Ioan. L e(sgus Epic. Ro(sen(is lib.7. fuz hitt. pag. 1 fo. Io1nnes Scotus fu:t inge nij acumine, iudicij vi, do et rime cognitione adco pollens, vt Thcolos.iilam recon 'ditiorem, quam Scholafticam vocá:, maltis (übtilitatibus ex uitits. Fæ'iciffimé au xctity in quibus quod multa, qua in obfcuro pofita latebant, à tencbcis acerrima in genij perfpicientia eruerit, qui eius viam, ac doctrinam auid:us coafe et antur, imó qui quz'ftionis alicaius intimam rationem ad viuum refecant, ac (ubc lius perfcru tantur, Scotift (umma tanti ingen;j laude vocantur ;qua(i nihil aut tanra d'fficul tate inter (ceptum, aut tàm den(a caligine inuolutum, quod Scoti ingenium noa po tuctit penitus infpicerc, acclaré aperire. Antonius Contarenus Venetiarum Patriarcha, Dalmatizque Prim. inEp;ft. ad Anton.dc Eantis,Scotum oma:um Philofophorum, ac Theol. acuti(fimum appcllat. Chriftophorus Marcellas Archiep. Corcyren(is eidem Antonio (ccibens,ait, Lau datiffimü,ac extra omnis zquiparation;s aleà pofitá Ioannis Soti ingeniü nó opus cft mo4O, vc laadibus extollamus, fed do et rina illius cultores a(fiduos comendemus. Hicronymus Magnanus Epi(c. Buducn(is eidem Anton. intcr fidos, inquit,arca, norum diuinorum interpretes Ioannes Duns Scotus nuacupatus nequaquam poftre .. 4s 9f mas obtnct partes, (i aquilinum incaittum, fi digeftum ftudium bibe v ad Gcorgius Raguícius in di(put. 2. peripath.c.7. ait, Dum Iuucnis philofophiz ftu., 4 4 derem, atque puru do et trinz Scoticz operam dilgentermauirem, quó me ^ 55 aptius in (abtilioribus difputationibus, quibus (emper miriticé (am dele et amus, exer «^55 ccrem, Scoti emper opinionem tàm in priuatis exerciratiomibus quàm in publicis «^ congreffibus fum fecutus .,, Antonius Roccusin Prafat.ad lib.Phyf.ait Nec alia de caufa hunc (Scotmm) po tius,quàm alios Dotorcs fequi decreui, ni(i quia ipfius dodrina, ficuc alijsfubcili tatc pracellity fic magis peripathetica, firmaque prout ício redolet veritæ. Compendium temporum Rioche libz4. c. 4d : Ioanncs Duns scotus Ord. Min. vir omni fcientia profundus, et peritus, vnde Doctor (ubtilis nuncupatus . Leonardus Leffius Societ. Ic(a in ceníura fcripti Oxonien(is nouiter recogniti, et Scholijs exornatià P. Cauello, ait, Nemo ctt, qui nefciat Scotum eíse co:em in geniorum, et limam fubtilioris T hcologiz, ac l/hilofophiz, quz in Scholis, et cru ditis difputationibus maximé triumphare confucuit. I1cobus Philip. Bergoimen(is in Supplem. Chron. Ioannes Duns cognomento Scotus Ord. Min. Thcologorum (ubtiliffimus per hoc tempus velut altec Apollo floruit, et prz cæ:eris Theologis (ubüliffima ed.dir, Gregotius onus aurcus in Epiftolis ante Comment.quem in t. Scoti concinna wit, inquit, Scou ingenium (iac exemplo maximum fontem ingeniorum appello, ;n quo hoc przcipaum, quod ne ; ante illum quem ille imiraretuc, ne4; pott illum qui illum imitari poifety inuentus c ; et ruc(us ; Si ab Scholis auferas peculiares Sco ti opiniones, reliquam eit, vc ipüus plané difscrendi vías, et occalio langueat. Pafchalinus Regi(clmus Vencius in pralat. ad Repett. Scoti à P. Magiitco Hyc roni mem Scotum peculiariter commemorat, qui Subrilis Doctoris, nomen, i tonimo de Ferrarijs Ord.Przd. aceuraté concionatum, inquit, Hic (Hyeron imus ) ' licér cx eorum grege fueritqui fancitosà Diuo Dominico Canones feruare fponté deliberant, tamem (bi videndum ceníuit,quid venuíti afferent, quid (ru et uum pro ducerent foscundi, ameniq; horti felicium arborum excelfatum concemplationum in agro Eccleiige (atarum à Ioanne Scoto: et infra. Cui namq; Scoti nomen ignotum eft, et quàm difficile üt illi infixum acumen, et innaram fübtilitatem extorquere ? «enim facilius quiuis € manibus Hercul;s clauam excuíscrit. Scaliger exercit. 524. alacre Scou ingenium (quem limam veritatis appellat ) Ariftotclico zquiparat . Cardanus de (ubtilitate lib. 16. Humanorum ingeniorum apices Wig is Ioan. it, ob do et rinam, parque vbique acumen mcritó meruit: et infra, Nec eít vnum genus füb« tilitatis, in quo Authores celebrantur, (ed plura: Aci(toteles ab ingenio,cuius Znut li Theophrattus, et Scotus. Ioannes Pitfcus Dccanus Liuerduni in. Lotharingia de rcbus Anglicis p.35. q. T. Scotus ingenio ad litteras plané fato, et ad miraculum tubuili, atque acuto, vt non tàm hominem acie mentis ftupendum, quàm inter. Philofophos quendam dixeris Deum: et pauló pott, N;hil cam occultum, et abttrufum, quod perfpicax cius in. genium non penetraucrit, et à tenebris crærit, nil denique tàm nodo(um, quod ille quafi quidam Oedipus non diffoluerit . His igitur de caufis celebriores Orbis Vaierfitates do et trinam Scoti profitentur, ac in antt Doctoris venerationem floret in fingulis Cathedra eius doctrinæ dettina tain Bononienii, Patauina, Romana, Perutina, Papienti, Pifana, Taurinenfi, Fer' rarienli, et extra Italiam in Complaten(i, Salmaticenii, Conimbricenfi, Vicmenífi, et alijs : de Paritien(i omnium Priucipi quid dicemus ? Antonius Cucharus Epifc. Acernen(isin Elucidar, Virg.p. 2. afSerit, Authore Scoto Vniuocfitatem Parificn fcm decreto fanciuifse Feftam Immaculatz Conceptionis; ad quod (olemniter ce lebrandum quotannis fc obttrinxerit, Epiícopo Maitse faccificiam offerente ; et vno €x Magi(tris concionem habente: qua fcítinitas, dum in diem Dominicum incidit á in Conuentu Predicatorum; alijs temporibus in Conuenta Minorum habctur : con firmat P. Petrus Oyeda Soc. Iciu in (ua informatione pro defenfione Immaculatze Conccpt.fol.62, ex Pelbarto lib, 4. Stellarij p. t. art.3. i Idcircó mirum non eft, no et e Chrifi Domini Natali Sacratifsima Scruatorem noftrum Icfum fub (pecie paruuli Ioanni Dunf(io Scoto appataiíse, feq. eiufdc oca lis, oícults, et amplcxibus attreétandum peramanter obtuli(se: vc referunt ex D. Fer cluo in Vita Scoti c. 5. Philip. de Soía in Chron. Min. lib. 3.p.2. c. 7. loannes à l'o la in 1. (ent. Paulin. Berti. Ord. S. Aug. in Vita Scotiante 4. lib. (enc. Greg. Ruis in. Epift. ante Comment. in 4.(ent. Scoti, Antonius Cucharas Epifc. Acerncntis in clu cidar . Virg.p.2. Chrifoph. Moren. de puritate Virg. c.4 $. vl. Sic vque poftalabat obícquentifsimus amor, quo crga Chrifti Matrem flagrabat, ac iplum Dominum Icfum, in cuius etiam laudibus omncs exccfsit Doctores, vt conttat ex his quz de Óiísima cius anima docet in 3.d. 13. et 14. vbi przter communem dcfcad.t,lum mam gratiam pofsibilem ctiam de potentia abíoluta fuifse ibi coilatam; intclleétum et ius videre, quecunque Verbum videt, ac voluntatem fumma fruitione gaudcie, 5, qua quia funt difficilis probationis, ac preter cominunem viam, (c Doctor cxcutac dcuoxiísimis illis Verbis d. 13. cit.q.2. litt H. Is commendando Cbrijtum malo ex« cedere, quàm deficere d laude fibi dibup EMNM ignorantiam. oportet in alte rum incidere; quibus exprimit fingul are in Chriitum obfcquium, ob os ait fc li ius ignorantis nora inuri velle, quàm indcuoti, Ex quo randem tofcrtur DoGtci« nam Scoticam deuotione non minus; quàm fubül.cate císe rcfcitam. OIM Er X TRACT. ET CAD. Capita per paginas, Dubitationes vetà per numeros margine indicantur . PA R S PRIMA. Cap.1 1. De reliquis terminorum Á prietatibus. De attinentibus ad formam Syllogifmi « Cap.V2. De terminis cóponi^ilibu p.29 Cap.13. Explicantur quidam. terms I in fcbolis frequentiffimip. 3o De Tetminis, ac Yap z^ TRACTATYS II. ap. 1. Fi uotuplex fit 1 : P Adag t Dc Propofitione, et ciusaffc et ionibus, Dub.1. Qua ditiones [ubeant vattonem termini. num.i Cap.i. De Nomine, d Verbo. p.3t Dub.. £n dentur termini inpropofi Dub.t. 4n folum nomen fitum, C7 nj tione mentali . retium [it nomen apud Logi Cap.2. De terminorum multiplicitate cum V d ratione (ignificatioms. p«« Dub.a. An nomina tra[cendeniia infi e pon it fignuy d quotuplex.n. f mtaripofint. ibid. Dub.2. Qui (int termini mixti interca Dub.s. 4n Verbum adieliuum, tbegorematicum, et r fyncate fubflantiuum de fecundo adia orematicum . nó céte fint verba apud Log.n49 Dub. . Qui fint terminus complexus, Cap. 1. De Oratione quid [it, € m n om? plex, . p. M. L E Tre eio (Hn Aie LEAN TITRE D ^s. 4nOratio fsario dc « 2, 1 c / P 7 E Sed ponepeat oth deer p ed ^ PRIARIDITR UTE mai EzI xd. dade d, ie Index: Tra et t. Et p Inftit. Log. Dub. Vn. Qvalis fit diufio prpo[itio modalis in s ordnen is diui[am . n.61 taii Cp . 6. sud fit itio. : latur « Iuba. 4n dinifio bypoibetica jn Con dittonalem » copulatinam, C difiuntiinam fit generi aln cies. Cap. 7. De oppofi, tione tabeqricrim e ofimplicium. o. Dub.1. 4n inter contradiGtoria medium . Dub. 1. Quot fint. fpecies duke. nis, Cap. 8. De a uipollentias e ginnerflo ne Cai begoricarà fimplicia. p. $2. Diba. Xinomodo ior s fn ; traria . n.7 Dsba. An propofitio. affirmatina e to. predicato infinito equipolleat qo megatiu et de prædicato AT € ?contra. 0.74 Cap.9. De oppof[itione, et . lentia, et conuer|tone cat oricar modalium, ac et tbe carum . . Cap.1o. De fitionibus e om is bus, er injolubilibia. p.58 Dub. i. t5 pro Ius TEC odo contra icahF. ux Dub. 1. m propofitiones: infolubiles (imt t velbypot. n.84 TRACTATVS III. De Argumentatione ; et cius affc o[itiones. ex boni Cap. 1. Vid,c quotuplex fit rz j? unientatto 5 Dub.in. Qus fit confe i4 maie rialis, formalis. n.86 ^ 1 De fpeciebus argumentat. p.6x Dub.1« Quot (int argumentationis [pe cies, T num adinuicem e[Jen tialiter diflin et ka. n87.7 feq. Dub.i. £a omnis c gwnenialig. n.99 mentatio. 5.90 Cap. f: De fylloeifin 03 C7 eius principis Ó bi de figuris .70 Dub.1. P'nde Qut maior, C vinar eiu[dem . in [yllogifmo . 9 Duba. £n rni 1o fit de denis n logifmi. ibid. Dub.3. 4n detur quarta figura. n100 Cap.6. De principys regulatiuis fyllo ifii. p.100 Dub.Pn. Quodnamfit principium pre. Lora regulatiuutm fyllogif n.101 Cap. 7 Reeule generales, € fpeciales cuiu[ciqs figrá sieur: p.75 Cap. 8.,Affignantur modi cuiu[cunque ura tum eorum exéplis..78 Dub.1. 4n modi. fyllogifmorum fimt fufficienter enumerati . n.100 sDub.2. 4n ina.C7 3. figura dentur mo di indiretià concludentes, fi PALA pnm a Qu. TIE Ca De induciione modorum jmper s ferm dd perfe Ps Cap. 10. Devarys fpeciebus fylgims catbegorici. p.55 Dub.Fn. um de^ f llogi ns na ftas vem jio us non fi per intr 008.17 .i1. De $yllc ifmob otbetico, C7 Wentia fibar Index Tra et . Et Cap. Inftic. pe^ inter. distintlionem realem, € rationis . n.130 Dt attinentibus ad materiam $5l logifmi . L | De CE Demonftratiuo . TRACTATVS IL OMBRA, Du. 1. Quót fint alpine: ; € r et cognita . n.2 Cap. 1. Emateriatum remota,tum Dub.2. id de agr Veg oxima Syllegifis To tur. Ab n CIE 3. Cap. kr Denece[fitate principiorum, i de modis perfeitatis. ^ p.1os Dub.i. Qua pra pradicétur in primo modo icendi per fe. nli Dub. 1. JEn modus inirinfecus gei in primo modo endi perje. n.1N Lia es ACT 2 INDEX INDEX RER VM ROCA B ] TORN NC Primus pumerus Partem primam, vel [ecundam indicat Inflitu ^ sionum, alter cuero marginalem numerum. A ' Bflratium, € abílratHio, | quid fit cerminus abflractus NA 1.8. abitrahen tium nà (it mendaciü 1.17. I ccidés eft veré, et pro prie vniuerfale non refpe et u fuorum in ferioram,(ed (übie et orum 1.18. eius de finitio explicatur ibid. non tantüm acci dens fpecificam, fed ctiam genericü fpe €t ad quintam przdicabile ibid. acci densaliad predicabile,aliud predicame tale 1. 21. accidentia cóia duplicia 2. 4 y. "IL Elio predicamentum definitur 1:29. quo fenfu diuidatur in immanentem, et tranfcuntem,vt in eius fpecies ibid.no eft todu et iua termini, fed tran(mutatiua ubie et i ibid, eius proprietas ibid. fumpta pro formali fübicétatur in agente 1. 30. fequiuoca. qu et fint 1. 12. quo pato zquiuocatio ab amphybologia ditferat. 14. tnalogia quid fit et terminus analo gus 1.12. v rgumentatio quid 1.8, tria requirit ibid. confequens differt à con(cquentía ibid.argumentatio, et confequentia quo tuplex 1.86. (pecies eius quataor, et qua 1.87. dilemma non cft (pccies ar tationis à cateris diftincta ibid. omnes alig reducuntur ad fylogitmum 1.88.0m nisconícquentia eft argumentatio r. . eius regula 1.90. et (cq. quando liceat ar Bumentari ex .(uppofitione 1mpoffibili 1.93.cft infttumentum (ciendi ceteris præ I.116. Ars ett circa fa et ibilia 2. 8. ars inuc niendi medium 1.123. ars bené di(putans di 1.124. i; «A [cen[ssy 7" defcen[us quid,' et quo tuplex 1.9. bu MUS ; vt! prauitas ad com pectinet,vecicas,vel falfirasad 1 quens Vis 2: ; Y J£A[a duplex ineflendo vc! in de (cendo 1. 15. ineffendo imsdtiiex 1.19. ex quolibet genere caufz. pote(l fu. mi medium pro demonflratione ibd, . Circulus quid fit, et quomodo differat à regreffu 2.2 4. non eft admittendus ibid. Cognitio intelicctiua tcia babet inftew menta directiva 1.1 16. : Cenclufio quid fit 1. 99. eft de e(Tentia fyllogifm: ibid. 1 Concretum quid fit, et quomodo dif ferat terminus cocretus ab abflra et o , Connotatiuwm quid fit 1.9. noncoin cidit cum concreto ibid. neque cum re 7atiuo 1. 10. : i Con[equens, et con(equentia quomo do differant 1. 8$. Conftquentia duplex 1.86. tenct conícquentia a. poficione in ferioris ad politionem füpertoris, non é contra 1.92. et a negatione fupctioris ad negauoncem inferioris, non € cons tra ibidem, nunquam diflinguitur confe qucntiayfed confequens t. 115. Contraria alia inediata,alia immedia tà 1. 47. .D : Éfinit10 c(t inftrumentam (ciendi. 1.126 D fit, et quotuplex. 1.127 Ol cius conditioncs . 1.128 Defenon affirmat,ütc negat. 2.19 Demonjiratio inter omacs fyllogiini (vecics,eft principalior . ZI Duplex eft propier quid, et quia. 2.31. Propter quid definitur. .. ibid. Debet cile cx veris mmediatis et c. 1. 32 D«cmótttatio Quis quad uie quouplex« Alo Vi. "Varia vtrinfque di(crimina . 1.17 JDenominatina quz. I:10 De[criptio; vide Dcfinitio . Determinatio triplex diftrahens, dimi nucns, et ccnirahens . 1.41 Di Mei enti quid fit, et quotuplcx. 1.16 |. Vt eft tertium vniucrfale Epmmrbendk " mom tam genericamyquam4 d ei Dicit partemeffentiz formalem. ibd. Differentia formalis non. pertinet ad quodquid cft . 11$ oni non eft (pecies argumentatio nis à cocteris diftindta. 1.8 ifcur Ws, vide Argumentatio, Vade mod fit et quotuplex. 1.130 modalis à Recentioribus aí fignata cft realis. ibid. id fit diflin et io formalis ex natura ci apud Scotiftas . 1.131 Quo fenfu ponenda fit media inter rea lem, et rationis ibid. uif, Ys Oral fciendi. 1.126 et quotu 1.119 ; 2s conditiones, ex ibid. E $ per accidens nequit. effc fübie B um nec przdicatum iopettiteh per fc. pev 2, 1I Finem ft (pecicsargumentationis. j Eft: irpumentatio formalis. 1.97 Enunciatio quid fit, et c uocaplex . i YA ldem eq uod popol tio, Qao sé(u dici poffit ab i [s diffrre. a. Noneft inftrumentum Íciendi,. 1.116 Error quot modiscirca predicatum vní ueríale contingat. 120 Exemplum . ít fpecies einem nis, X qualis. "E Eftargumentatio formalis. E F "A llacia quid, et quotu ^ F em giæ in E lex. I t 100 ! uatta non datur . ibid, Forms propoutiogs qu « 157 ÆRF M Envs definitur. Non dicit v ay effentiam rei ^ U partem material Lou ct fuptemum,medium Ri "3 mum ibid. Genera diuerforum prdicamentoruar nullam habent commupem differentia conftitatiuam, aut diuifigam, neque communcs fpecics . 135 Sabordinata communes habcat diffecen ve fuperiorum generum conftituti ibid. eh Metaphylici quidicantur, 1.12 H iT pesdivmvecins definitur, et cius fpecics, et affcGtioncs affi. P eftiui j nítitaitur M ober venei d bic et um fiu fit valasccidenalin iud fabftantialis. ibid. Quid fit habitus pro prima ; tm fpecie. á Habitueintellectus (unt quiuque. ud I | arca ems quien. Eius illi ibid: Indiuiduum (abütantiz eft iocommuni cabile, et indiuiduum accidentis par« timeft communicabile, partim incom me 3: Indudioclt f carre pi exemplodifferæ. 1.87: id tit, et quz eius conditiones. 1.9.4 Dicitur afcen(us, et oppo(itus arguendi: : modus de(cenfus . 1.95: Quid; et quotuplex (it vterque, ibid. Ett argumentatio fotmalis, 1.96 Jnflyumentum, fcà modus fciendiquid fit. I.016 Ea triplex dcfinitio, diui fio, argamen "tario. ibid. Hec cft alioram efficacius, ibid. Eie wiplicem | habet eee 1.85 Nihil cft in intelle et u, quod prius non fuerit e. o o "færit infenfü. s 19 Éntentio duplex;prima; et fecunda. 1.11 L LT tópicus quid, et quotuplex . 2.34 rU A Quid. incrinfecus quid . uid locus extriníecus; : 2.46 Locus à definitione.ad. definitum potet effc quoq; de monftratiuus, 137 Locus arguendi à .commwtata propor tione. 2.36 (2.49 Locusmedius, |... 1. (o y, proximé verfatur circ et terminos tales, . Ó I. M M "Ittería propofitionum que, et quo tuplex . 1.7 Metbodns non eft inftrumentum íciendi à cectcris condiftin et tum « 1.126 Modus propofitionis dcfinirur, et diuidi tur .' 1.$9 Modüs, et figura fyllogifmi. |. 1.1300 Qiondor dent. dire et té concludere, 'é et qui non, 1.10$ Suflicientia modo in fingulis figuris 1. IIO Etiam infecunda, et tertia figura darí poflant modi indire et té concludentes « I4 11I ; ) Modus (ciendi,quid, et quotuplex. 1. 26 odi dicendi. per. íe fuse. explicantur . 2, 12. et feq. Quozoam fint propo(itiones primi mo« is 2«13. et feq. Quo pacto modus intrinfecus pradicc ; tur dere ingrimro modo . 11$ Gradus primi modi. ibid, Q:z in propoütiones (ccundi modi . E 2 Qua ceriij, | 1.17 Quarius modus explicatus cum eius gra dibus . 1418 Eius diictiiená fecundo, 4.19 Explicantor modi peraccidens, 2.20 N Ecelfitas principiorum demonflra tjonis . falis, et quanta, 1.1 en dcttarcar, ..1«46 et aíus nominis nop (unt. veré nomma. abid. .. e id b o3 kh "Franfcendentia vtiq« quat etiam infini tati poffunt . rovc spe "Notiora nobis, et notiota Quaque di. cantur, 2.34 Oo Cy vitalis nos efl aQio pro. prié dicta, fed tantum zquiuoce, et grammaticaliter. 1.29 Oycratio intclle et tus triplex 1.85 Opinio quid it: ; et quomodoà fcientia differat, 18. et 31 Idem obic et um effe potefl fcibile, et opinabile íub diuerfa ratione. ibid. orte propofitionis, Vide Propo IO, jt m Oratio definitur. 1./0 pes nece(farió conflar nomine, et ver o . J Hi L] $ I Alia perfcGa;aliaámperfedia. r,$z Perfc et ta vcl non enuncíatiua, vel enun c.atiua;qua fola efl propofitio. ibid. Vide Propofitio; Enunciatio. A[fio przdicamentum definitur, ac P cius Í pecics enunciantur, 1,30 Subiectatur iti paífo, ibid, Paffio pro proprietate, Vide Proprium. "Pofitio de genere quantitatis quo pato differat à politione de genere Situs . n 33 8 Precognmtiones quz, et quot. P.acognita (unt tria ig Quid de fingulis przcognofcatur. 144. et 5. T'radicabile, Vide Vmuerfale. Tradicamentumquidfit, 1, DPeecm func rerum prædicamenta. ibid. Cuius mmeri. efficax fufficientia a(fi gnari non potcft . ibi Przdicameoti. firuGura. explicatur « M ibid. TD n" Pr«dicariinquid; et inquale quomodo differant . co cde34 Priedicataiopica quatuor. ; 1.3 T«dicatio duplexalia directa, et matu ralis, alainairecta, et nonpaturalis 1.11 Przdicatum. vniuet(ale. pofteriorifti «umquodmam it.".2,20 PramiljA demonitracionis debent eic ncccíiariz . 1.11 i; pet fe, et f ir EE LE INDEX Debent effe vetz . 2212 Primz, et immediatz . ibid. rite debeant caufiz conclu 2.23 qudm demonftrationis quid (iu, et quotuplex, (RIO «Eius proprietas. 1:11 "Tres gradus neceffi ratiseius, ibid. ADebct effe primum, et indemonftcabde oer Y, vcl falüm virualitet «2 LZ ilia propria ; alia communia . Problema d firy et quotuplex, 23 "Propo[itio dctinitur bifariam . 15 Quiz definitio fit etlencialis, bid. Ligenk, et falüias paRioncs cias fuat. ys $a. Q:z itrinfecé (unt in propofitiooe mé tali, acin vocalis icripta folàm ex trinfecé, ibid. N propelitio vocalis de rigore ícr is clt vera, vel falfa. ibid, iditur in car begoricam, et brpotitl ó ic m ficut in fi Cxicgorica dcus 1E Alia cit de fc. undo adiacemtcglia de tertio . | Eus materia, et Ein sed Wasdeclaramcut . 1.57 rom. propolitionum im materia nc, et flbili . deid.. «ctíaria, concingeàti impo in affirmatiuam, et negati uam, eram, et aliam vaiucríalem, et s "pi qualis fic 1fta diuifio . Diuiditur ir naturalem, et innaturalem, | s inabíoluam, et modalem, et hz non differuo: [pecic. 1,58 me modalis definitur, et eius imo atfiznamus. $9 Dupliciter confici poteft. 1.60 E pieds leet qualitas, 1. 61, bec et ppp vi in 1461 dodici. Wi feifus compofírus et yeu, ' modalibus, Fioorieccadefiiur ; et dsleb. € | i mitería yquamitas, et adis i. 6; RERUM Eius regula. 1.45 d and mu generis in fpecies, 167: E secar oppofitio definicur, 1.68 quadruplex. 1.69 od am atn explicatur. ibide E xplicatur contraria, (ubcontraria H L ^ fübalterna, Sola contradictoria, et contraria rie verz oppoficiones . 171 Oppofíiio fignorum quantitatis ibid. Modaliam oppofitio. 1.77 H ypotheticaram velia 1.85 Propofition:s zui; ia.quid fit,a€ ^musregulz.. 17i xS ; Pit itd fubcontratia " i 2 diquie fimplicibus ncgatius de " pradicato fito zuipollec aifirimati uz de przdicato ioiebo, et écontrà, non in compoflitis. 74 4Equipolientia modaliam quomodo frate 8 Moralis quomodo ad de inelfe redaca tür . .81 Propofitioaísconueríio quid, et quocu plex. 1$ Eius rcgulz . 1.76 Conuecrto modalium quomodo fia: . 1. 79 Pro ne expoaibilisquid, et qu ex., 2 Formaliter eft cathegorica, virtualiter hypothetica ibid. Earum oppotitio . 1. 83 Infolubilis quid et quotuplex. 1.84 Propofiiode: omni Bofteniotiftico quid t 211 Quid (it propofítio per fe . ibid. Propoütio pcr fe non conuertitur ir fitionem per fe . 21.19 Quidi fit propofitto íccundum lum. Quid prcopofitio probabilis . : T "Proprium Vt vniuctiale non diftinguitur accidente per conuesubiliter prz dicari . ):3 jattüor eius modi. 1.17 'Solüm quarto modo conft ignit vniucc fale. ibid. Conftituitar in ratione proprij per pi € dicari comucttibili cr aon anicin n E tionc vn;ucrlals, ib; Si fd sen dindih c Q NOT.4231LIF.,. ic antem Conflituitur per accidere om P idoli, et femper. ibid. Nteft quarum vniuerfale comprehen dit proprium tam genericum qoam fpecificum. ibid. Proprium prazdicatur de fabie et o in (c «undo modo dicendiperfe, ^ 4,16 id. et 25 Affectioncs autem trcs affignantur . 1, 26 . Qualitas propofitionum qua, 1.57 enti definitur, ; 112 iuiditur in contínuam, et diícretà ib. Farundübdiuifiones, et fpecies. | ibid. Eiwsaffc et ionesaffignantur. r.25 Quantitas propofitionum. m 1.f7 Qnánde pradicarentum definitur, 1.51 Eius fpecies, et atfe et tioncs a fignantur. ibid. nsfliones (ant quatuor. : a. 218 gs quaítio medij. A.19 Eduplic atio in terminis quam virta R tem habeat. 1.44 Sen(us rcduplicatiuus quófniodo rat à fpecificaciuo. "ibid. Regreffus: quotmodo differat à circulo, 2.24; Regula anteprzdicamentales explican tur, ! 1.3f Relatio quidfit, . 1.37 Alia realis,alia rationis. ibid, Ralis tres haabet conditiones. | ibid. etiam duplex cft actaalis et apti tudinalis item alia prz dicamentalis ja lia cran(cendenialis, ibid. Pradicameonralis item alia intrinfecus., alia cxtrin(ccus aducnieus, ibid. Ad rclationem quarti przdicaméti biet tuor CXiguntur conditiones. ibid, Aielaiina quid finc. 1.217 An triacenfderaridebent. ibid, «fíc;alia fccundum dici . Et rurfasalia mutu,alia nonmutua;, et . dcniq jalia zquiparamigsalia difquipa. tanus, i ibid. Res, et rciliias quomodo differant. i. Be. Lia V alitas definitur. 124 Q Eius (pecies, vgl modi funt quatuor, 5 C: datur de nouo, 1.6 Quid nr. 227 Scirc tripliciter fumi poteft. ib:d, Dittinguuarab aljs habiübus intcli é et us. 2. 8 Signum definitur. Duplex eft foraiile et inflrumeor ibid. ] Et hoc rui(us duplex naturale, et ad pla. citum. his 8 Caufa, et cfic et tus fürj (ibi inuicem fj gni, ibid. Situs prz dicamentnm definitur. 1.32 Quo paéto diftingvatur à potione de genere quantitatis, ibid. ken forte affc et iones affigoantuc, ibid, Alia quedam explicatio prz dicamenti Situs. dbid. Species duplex (übijcibilis, et peadicabi dig: : : 1:13 Jr, alc. Vtraq. definitur, id, Subi jcibilis triplex eft,fi uptema media, et infima. ibid, Pradicabilis vna tantum,f. infima ; et fpecialiffima, et hzc fola (ecundu m s . ' vniuerfale conttituit. ibid. Dicit totam eflentiam fuorum infcrio rum, 2 z " ibid. Subalternans (cientia qua fit; et que (ub alternata. 35. Sui fl antia predicamentalis quid fit.1.20 Diuiditut i0 primam, et iecundam. ibid. Singulz cius proptictates declarantur, 1.2] s "2 Superius dicitur de inferiori,' et quicquid peace dc 1pío, vt de [vbicéto, Pp dicatür de omni contento fub eo. ur Quo pado intcllizenda (t hzc regula. ibid. Suppofitio quid fit. 1.32 Sibpoliti, et iiguificatio n6 funt Ned Conucnit termino foljm in prop: ne. di. Siomode adic iuis competere poffit. : idi . 27 t.2 p 12 2 e £t uotuplxfür. . 1389 et feq. Noablie diícrimen inter Minis . dctcrminatam, et €Coofufam. ^ r39 $yllogijmns eh ciesergmenen 17 INDEX RERVJA NOT«A43. Diuiditur in cathegoricam, et hypothe ticum, : I. Quid fit (yllogi(mus cathegoricus.ibid. Quot eius principia conftitutiua, 1. 99 uid figura et modus illius, 1.100 "Triplex eft cius figura,nec datur quarta. ib. Eius principia regulatiua duo 1.101 Et vtraque idon:a, et necefaria 1. 102 Regulz generales cuiufcunque figura . .03.103. tcgulz (pcciales . 1. 107. modi carum .1.108. exempla fingulorum. 1. ' 109. füfficientia eorum. t. 110. rcdu et io imperfe et orum ad perfc et os. 1. 112.duobus modis fieri pót. 1. 113.re . de et io per impoffibile quomodo fiat. 1,114. vatig fpecics (yllogifmi cathe " gorici, 1.1 f. et feq.quid, et quotuplex tfyllogifmus expofitorius. r, 116. eps quotuplex hypotheticus.1. 118 quz diuifiones fyliog:fmi fint cíientia . les, et qua accidentales.1. 1 20.fyllogit tus topicus quid, et quotuplex. 2.3 1. quomodo d.flcrat à ropico, et clen Cho.ibid.materia cius duplex. ibid. [yl ' lozifmus fophifticus quid, et quotu plex 2.51 Cose quid fit, Vide Quando ; Teminu dcfinitur, I.I Copula proprié non efi terminus . ibid. Icc adacrbiaycóiü et tiones. et fimilia, 1.2 Nomen fübftant uum extrà propofitio nem dici potcft tetminus . ib d, Diiditur in mentalem vocalem, et (cri ptum, [3I T Mcatalis in obiectiaum,! et formalem, et hic in vltimatü, et non vItimatom, ib. et n propofitio n:étalis terminos habcat. ibid. Vocals jtem in figmficatinum j et non fignificatiuum . 1.4 Ilic ruríus vcl cft naturaliter velad pla citum fgnif:catiuus, SI Hic ctiam vcl eftcathc gorematicus, vel fyncachegorcmaticus, ve! mixtus. 1.6 Cathegorcmacicus alter. cóplexus, akcr incomplexus, 1.7 . Ethic altcr finitus, alter infinitus. ibid, lié altec eft concrets, aitec abitrattus. 18. altcr abiolutus, coanotatiuus al tcr. 1:9. Ouincs abflraéti (unt abíola lutioné contiàjncc onncsconaota 7 I3 ^ tiui (unt concreti, bid. Item alter dez nominans;alter denominatiuus, 1,10 Item vnus cóis, alter fingulars, 1.1 Ille vel ttanfcendens, vel limiratus, ifte vel determinstus, vel collectiuus, vel vagüs.ibid, Communis item vel vni uocus, vel equiuocus, vcl analogus. r, 112. Demum altct prima, alter (ccun dz intentionis. ibid. « Terminorum quidam funt pertinentes, et quidam impertinentes. 1.36 Terminorum ftatus, ampliatio, diftra et io,re(iri et :0, et a. pellatio. 1.45, et Ícq. Termini exclufuui, excepriui, et reduplicatiui, 1.44 Alij tecmini inter difputandi frequena( fimi explicantur, 1.4 $.K feq. Totum quatuplex., 1.39 Bi predicamentum definitur,ac e'us fpecies, et aflc et ioncs affignantur, 1.33 Ferbum defintur. 1, 18. Quofenfüin . propolitione neceffaria dicatur abíol ui à temporc.ib d, Infinitart poreft in trà propofitoncm, 1.49 Veritas, et faltitas (unt prorofitionisaf fc et ionemy non autem differentiz e( fentiales. 1.53 Sunt intrinfecé in propofitione mentali, extriníccé tolumin vocali, et fcripta. 144 GUN Zn:0 przdicati cum fübiecto in propo. fitione eft copula, 1.57 Vnuerfale quotuplex., 1413 Sufficientia quinque vniuerfalium, ibid. Genus,fpecies, et differentia font vniucr falia effentialta;propr ium; et accidens accidentalia. 117 Pradicari conuettibil:ter de fuis inferio ribus repugnat rationi vniuerfalis. 1. 13. et 17. Quilibet tcrminus communis, (cà vni ucríalis duo habet. fignificata immc diatum.(: et mediatum. 1.38 Sub termiao: communi fimpliciter fup ponente non licet de(cendere ; bené tamen fub termino fupponente abío luté . . jbid. V niuoca quæ fint . 1.12. Voces nedum ad placitum, fed,etiam na turaliter tignificare pollunt . et $$ e . Quefl. Trobem, a4 Faiserfam Jarift. ' Logicam. 139 CA Rc ss De varijs Logic nominibus et acceptionibus. ; 140 Art. . Define Logic . E 147 Art. 5. Deadzquato Logicz obie et o. 151 Art. 4. De effentia Logica.An fit ícientia. 76$ : Ait. s. De qualitate Logice, An fitfcien tia realis, et fpeculatiua. 171 fut. 6... Deneceffitate) et vtilitate Logicz, ciufq; partitione . 179 P 1. De modis, fen inftrumentis ciendi. 18; Quzsftio i. Quid, et quotuplex fit modus, feu ieitameetum Ici endi. ibid. Quzít. z. Qualiter inftrumenta przfata dire et ioni cognitionis inferuiant. 159 Quzft. 5. Quodnam horum inflrumento xum fit perfectius. 192 Quaft. 4. Dedefinitione. 195 Art. 1. An fit, quid fit definitio, et quo tuplex . . Art. z. Demodo conftruendi, et inucfti gandi definitionem, ü 139 Art, 5. Quznam proprié definiri poffint . z0 «w Quat. 5. De diuifione. 107 Art. 1. Quid, et quotuplex fit diuifio, exiíq; leges. 20$ Art. 2. Qd ; et quotuplex fic diftin et tio . 212 'zft.6. De ordine, et methodo proce iinfacultatibustradendis. 251 Difp.z. De vocibus, et communibus earum affetlionibus, 139 Quaft 1. Quid voces figaificent, et quo modo, .i aures, vel conceptus, et num matuial tet,vel ad placitum. ibid, d. 2. Quid immportet vocis fignifica tio, et quo.nodo cxcrceacur, 23. Quat. 5. Dc perfcétione, et imperfectio" ne vocum1aftzuificando . 2.247 zit. 4, De nomimbus zquiuocis, vni Mocisac corum fignificatis. 252 Art. 1. Exami^atur peculiariter natura zquiuocorim. pt 154 Art.i. Examinatur peculiatiter natura yniuocorum, 256 Quzft. ;. Deanalogis, ac eorum analogia o 216 Art. 1. Quid fit analogum, et analogia, et quotuplex. ibid. Art.2. Numanalogum dicere poffit cone ' ceptum vnum ab analogatis pracifum, 271 Art. 7. An, et quomodo analogum mediet iater vníiuocum, et zqniuocum. 276 Quzít. 6. Explicatur natura denominati uorum. 28r Art. 1. An denominatiua vniuocé przdi centar, et num medient inter vniuoca, et zquiuoca . ; . 284 Art. 2. De principali fimnificato concreti accidentalis, et radice vnitatis,ac plura litatis eius . 28$ Difp. 3. De ente rationis, C fecundis in tentionibus . 191 Quat. 1. An detur ens rationis, et quale effe habeat. 292 Quat. 2. Quid fit formaliter ens rationis y. et in quoius effentiaconfifta, 157 Art. 1. Ems rationis formaliternon con fiftere 1n extrinfeca denominatione, neq; in aliqua relatione cx ca refultante 1n rebus. 199 Art. 2. Statuitur, et declaratur formalitas entis rarionis. : 30$ Quaft. 3. Num ens rationis habeat caufas fui effe, et quas. TS Quaft. 4... An folus intelle et us efficiat ens rationis, et quibus actibus. 2316 Art. 1, Refclutio quafiti de potentia en tis rationis cffe et rice. 312 Art. 2. Rcfolutio quafiti de actu, quo fit ensrationis. 314. Quatt. 5. An quilibet iatelleQus poffit ens .Tationisefficere, 2329 Quat. 6. Anens rationis habeat. proprias: aífcdiones, et qua Gnt . 336 uzlt. 7. c 1 Quit. 8. D« ptacipua fpecie entis tatio nis, 3 dicitur fcgunc gap 34 2 Mt Q.iotuples fic ens rationis. x es p e | NOD £ X : at. 1. Quid fit ;. inteutió,quomodofa fus et a differat . t. s. Vbi conferuntur 2. intentiones ra primis, et ad fc inuicem. 3$4 Difp. 7i De vniuer[alibus in communi. 359 fot i. Andetur vainerfale à parte rei: Pos t; Refolutio quafiti de vniuerlali in effendo. ibid. Art, 2; Refolutio quzfiti de vniuerali irf pradicando. 368 Las igno confiftat effentia aor 3 " Vniierl Logicuni iini quid relatiuum effc . rt. 2. Relatio irieffendi vniuerfale était xui; pradícandi eft paffio . 377 Art. 5. Effe in actu, et aptitudine conftituit c dici de aptitudine M z afhió ; Cist. 3. Per quémaéctuni intelle et us fiac .vhiuerfale in adu . 358 xzft. 4. Quibus naturis poffit applicari intentio vniuerfalis. Quat. s. Ar vninerfale re et e,ac fuficien ter in quingi vaiuerfalia diuidatur ; M, Predicabilia . uéft. 6. Anhec dinifio fit generis in i ties, et immediata; bip j. DX vniuer[alibus in podia 414 ad^ 4. fjeticicré: EU Art. t. og ar definiri poffit ; et fenfu hic definiatur. Att... An definitio getieris fit re et té E: Mts. T uoniodo genus gredicetur 5 didiui uis. 428 ^ M ego varia quefita de gene4 ne eus. i. De fpeci Art.i.An fpecies Pe tiui didis, et prédici bilis re et é definiantur, 444 Art. 2. Pet qua conftitaatur'in effe 2. vni "ES m vt (ubijcibilis, vel pradicas 448 ML. an fpecies in vníco indiuiduo, et genus in vnica fpecie cónferuari poiiat, 453 Art. 4. Qao fenía, et anre et é hic dcfinta tur indiuiduum à P'orpb. 461 Quat. 4. De Proprio. Quatft. ;. De Differen 46d ET aoododa Dodo addis diuidat gc : nüs. . Att. 2. Quomodo differentia fimul Ez geitere conftituat (peciem ; vbide com pofitione Metaphyfica. 475 Art. 3. Quomodo dmn diftinguat fpeciem abalijs; vbi de mutua przcifios negeneris, et d. fferentiz, et dilerenda« rum fuperioris, et iofexioris.. 483 Art. 4. Quomado differentia pradicctur depluribus, 49d $ Art. t, Agitur de proprio in rafionc so prij,feu pro natura reali, et prefertim de diftin et tione ipfius à fubie et to. 456 Art.z. Agitur deproprio inratione vni uerfalis; $o$ Quaft, s. Be Accidente. $09 Art. 1, AD accidens potiatur ratione vni uerfalis; et vttale definiatur à Porph . et Are et ée ; ibid, rt.2. Quibus naturis conueniat vniner falitas accidentis, et refpe et u quorü.s 14: bifp.6. De Predicamentis in Communi j (A 9 antepredicamentis. $18 zíl.i. Quot fit prædicamenta, $£3 qu. 1 Cedo aman firit iri ter fe difhindta. $22 Quat, j. Quz rof, Gc duofbodo reponan tur ia [rc $ et t t. Condi Tonct epdaibilum i ti disinA nantuf; Art.z. Conítru et tio przdic. $n cehpini ^E, vel concretis determinatur '; Aust. 4. De diuifionibüs, et regulis antes pradicam. $37 Difp.7. Dt predicamentis ín particu p. iC primo de abfolutis « E Quz et . s. De Subílantid; Art. 1; De get tn (foo pon d ác cius fpeciebu Aft. Quofenfu i dioidatuf "m 5s ptimám; et fccuridam, et vtraq. híc defi niátur,ac Via alteri comparetür. 4/3 Art, 3. Declarantur ye 5 Kats uat. i De quantitaté AP A. Art. i. Án diamia conn difefécà ed (jets huimsprzdicam. s71 idfit quantitás continu, X quà K et EOJEdMXS et uz fpecescius. $34 Att. 4. Declarantur proprietátes, et at tributa quantitatis, . $5 Duzft. ;. De qualitate. 6o1 "Att, 1. Quid fic qualitas, vt eft füpremum genus huius przdicamenti. ibid. Art. 2. Explicantur quacuor: comibinatio ncs,in quas diuiditur qualitas. 60$ Art. 5. An pratata druiíto fit fuficiens, et Weregeneris infpecies. 6it Art. 4. Affectiones, et attributa qualitatis " dedarantur. $15 Difp. 8. Depradicameutis refpeGinis, TEE Quzft..r. Quidfie relacio'realis, et quotu plex, vbi difcrimen affignatur inter, prz dicamentalem, et trantcendetalem. ibid, Quztt. 2. c VE fit idepritas re lationyar cfanfcendencaliam cum rebus, 622 ^ Qr a(.s. Aürefatio'predicám fit acci dens extremis eiu s fuperadditum, et ab d$ rc ipfa condiftiactuim. Art. 1. Relatio prasdicam. eft aceidens ab axtremis reipfa condi (tin et tum. 628 A:t.z. Nomiaaliam fundamenta dirüün tur « Quzft 4. xn relatio pradicám. confticuatá? "per etfi, vel «2, vel per vtr $5645 Quz. 5. To 3 coníüderatur relatio ex " parte fubieé et tr fea fandametiei ;' "auo hi "s fubi Pie relationis Me ef ; feeas rale, et fiaitum, ità quód nequea! 'effzidfinitum. MTM. " Art An. fübiectum relationis eff: de RM hoc abfolutü, ita qued nequeat cffe refpe et tiuüm . 6; zt e In dia confideratur relatto et arte termint, ^ i "$60 Art. 7. An relatio realis neceffario petac "rpm realem, et a et ts exillentem, ibid. Art. 2. An vna, et eadem uumero relatio poffit plures refpicereterminos. ^ 663 Art. 3. Anterminus relationem terminet fib ratione abfoluta, vel paced 670 Quat. 7. Vbi confideratur relatio ex parte vtriufq; extremi quo ad corum diftin et ionem ib inaicem. 629 Quxít. 8. Quotuplex fit relatio przdica: et quz nam coaftituat quartum przdi. camentum. 684 (uut. 9. Qiot namfit. fupremum genus quicu prgdicam, et an ab Arift. it rede definitum . 63 Quat. io. Quot, et quz fiut gertera, et fpc cies relationum quarti przdicam. Art. 1. Vnde fumenda fit vnitas, vel diitin et io fpccifica reclationum, . ibid, Art.2. Declarantur tres modi relatino rumab arift. y. Mer. affignati. |/69t «Art. 3. An przfatitresmodi fufficienter affignentur,ac velut adzquata, et pro pria genera quarti przdicam 799 Quat. 17. Dcclarancur affeétiones relati. uorum. 7i Quett, 12. De vleiniis fex przdicaméntis.. . NE. Art.:. Quid formaliter dicant yltima fcx prædicam. ibid. Art.2. De fngulis fex przdicamentis . 713 Difp.9. De pofipradicamentis .' 742. iot, De oppofieis. s 5! Pid. SEA Keatiuz, et contraria oppofitio ; declaratur. . 2v 43 Art. 1. Prifatiuz, et coptrádi et oriz Op pofitio explicatur . xS HN d 3 apad 2. Dé modis prioris. 74 Arc. 1. Declarario priorifatis naturz. 7 5$ hit, 2. Quidfit prioritas origiis. 760 Quelios. De modis fini. zm Difp. 1o. De eniaiciationé. Qu'eftio v. An eniinciád fit éds reale jvel rationis . AN A 1 M Queftio: De veritate; et falfitate: ibid. Art. r. An veritasfit in conceptu. fottna ' li,veF obiéctido 765 Afr.z. An cnunciatio poffit de vera mu "rani in falfam;s e Cóntrà. Quid fortalicer fic Veritas "ronis . 223] C5 $83 Art, 4. An propofitiones defuturo con tingenti abfoluto fint determinaté vcre, velfalfe . Quattio ;. De regulis bone predicationis ad veras enunciationes cfliciendas. 795 Art. t. An concreta poffint de alijs con cretis, et de abflrad sprzdicari. 7.4 Arr. 2. An abflracta poffiat de concretis, et alijs ablltractis predicari . $01 ifp.11. De fyllogifmo in communi, E: en Mort, . 807 Ln dat icon S ba Qse EM o À À Á€ Queltios. Anaffenfus concluf. debcat effe d ftin et us ab a(fenfu przmiffarum. 812 Quslio y. n premiffe (int caufa concluf. | et in quo generecauíe . $77 Qugítio 4. An premiffe debeant prius co : gnofci,quàm conclufio. $20 Queftio y. n affcníus premiffarumnecef fitet iutelle et um ad affentum concluf. ($2 Difp.ix. De$cientits. . . 0 $39 Qoeítio :. Quid it fcientia. ibid. ucítio . Defubie et o fcientie. 853 attt. 1. Quid, et quotuplex fit fübietum fcientiz . 834 efrt.i. fn de fübie et o debeat przcogno Íci qwi« eff (cu exiftentia . 838 Ait. 3. 4n fubicctum debcat habere quid so get 4 841 art. 4. fn fübie et tum debeat continere, primó virtualiter omnes veritates fcien, «utc. $47 dirt. f. 4n abiectum debeat effe neceffa trf num $, efit.é. A fubiectumrefpiciat o.n nia confiderata in fcientia . $:3 io s. De vnitate fcientie. 357 Art. «, Vnde fumenda fit vnitas et fpeci ficatio fcientie . $9 . a^n fcientia fit vna fimplex quaii «s., 864, hic. 5. Quilis fit vnitas fcientie totalis.De fubalternatione fcientia rum . 372 afit. c. Explicantur prime dg conditio nes. j J Art. 2. Tert korr æa pd r4 (oeftio ;. üifione (cientig in pra et ti $91 Act 3. Quid fit praxis. 115 4frt. 2. Quid fit, et vadefumenda ratio pra et dici, X fpeculatiui. 431 «rt. 3. "fn. practicum, et fpeculatiuum conueniahtícientie,$ et quomodo . |.4;7 Difp.xg. De Demonflratione, 904 Queftio r. De effentia, et (peciebus demon ftrationis . 90 $ Art. r, Quid fit demonfítratio preprer quid et quia. ibid. frt. 2. Quot fint fpecies demonfítratio nis, 9o4 Queilioz. De terminis dcmonftrationis 7 914 4trt.1, De medio demonftrationis,Preptce wid, ibid. Art. 2. De medio demonftrationis pocif fime. a6 Art.2 De maiori extremo demonflra tio iis. gas Queftio s. De premiifis demon(trations T $2; . : art. 1. Explicaturprimitas, et immedia tio premiffirum, vbi de propofitione ric nota 1D1 J. pe [ 2o. Pid Art. 2, Cetere conditiones dilucidantur. 631 Queftio,. Dccirculo, et regrcffa demone ftratiuo. $36 Difp. 14. De fyllogifmo topicoy 2 elen [4 . 94A uo 1, Quid fic opinio, et quomodo à cientia differat . s ib Q:eitio s. 4n ícientia, et opinio poffint eff. fimul de eodem obic et to. 94$ Queflio y. quid fit error, et quomodo à. ientia, X opinione 91? .) (^0 (Qd ay Se qu:; Prior numerus Diíputationem fignificat, a!ter veró margina kem numerum, przterquam ín quaft. Prohoem. vbi citatur tantüm marginalis . à A [^ Büra et io multiplex 10.59. in Livni € accidentib. abf[olutis fft du UT lex abfirattio im relatis triplex ibid. et 9 €o«terminus.vltimatà abe flratius quid fit ibid: accidentalta media abflraGiione abflratia concere nunt [i generica [untypropria indiuidua,C7 Jpecies ; at [ubflantialia fo làm propria [rg ria 10.61. quomodo abfiratta pradicentur, € fubijciantur in propofition:b. reJpeGiu comcretorum 10.64. 7 feq. quomodo abftratia de feinuie "eem 10.73. 7 feq. Recidcnil V HOM € proprià vniuerfale nonrefpetiu fuorum inferiorum, fed : fabietiorum $ 191. € vt tale definitur d "Porph. $.198.eius definitio explicatur g« 199.accidens duplex pradicabile,C7 preadicamentale, et eorum di(crimen $301. non tantum accidens[ed etiam fubflatia fundat rationé quintt vniner[alis 4.1048 wo tantum accidés [pecificumyfed t genericii [pelat ad quinti pradicabile.$. 107« A et Gio predicamentum definitur 8. 198.qu0 Jen[u diuidatur 1n immanentem, C tran]euntemyvt imneinus fpecies 8.399. mon cfl produtiima terminiyfed tran[mutati ua [ubiet i 8.198.non folüm fucce[fiuayfed etiam infl antanea [peiat ad boc præ dicam.8.1200. non folum accidentalis, fed etiam fubflantialis 8. 101. A et us intelletius var 4.60. 4A et quiuoca definiuntur 2.3 1.quo0modo plura atu [ignificent 2.3 $.4quiuocum po tins dici debet vnum nomenyquam multiplex 2.36. et quiuocatio e$] in voce,non in €onceptu 2.37. quot [pecies et quiuocorum 1. 3 8. ' Analogia quia fit 1.46. quotuplex 2.47.quid analogia attributionis 2.49.qmotue plex a. 51.90id analogia proportionalitatis 2.5 6.quotuple x 2.$7. quid analogia ime «qualitatis 2, 61. in et qualitas participandi communem rationem analogiam indu €it 1.62. tranfcendentia fe fola mon inducit 2.64. Analoga quenam dicant conceptum vni ab analogatís Indeed e oe non21.68. € feq. formaliter mediant intey vniwoca,C 4quiuoca, nenmaterialiter 2. 78. Angelus eft in pradicamento fubflantie 7.11 ld Apurudo ide T; ye j :, Argumentatioan differat. d difemr(u 1 1.3.C7 7.im qualibet argumétatione triayintecedens,confequems o nota (den H.$. urea "feiemdi eve tie Pleni fpecialuer deJeruwens 1.17.6fl caterispe: fetliusibid. Fide Difcure jus, 5yllogijmus ., ' Arsyquid fit qua fl probem.38non folii dicitur de babitu fatlinosfed etia atTiug jb.42.ars mgcanica refpicit opus externuylibevalis potefl im. interno (aluarb ibid. Alfen(as com lufionis diuer[us efl ab ajJenfn prami(Jar et i q1.11.mon atiingit fore maler ajjen[um pramiJarum v1.12. efi tamen dependens ab ille ibid. quomodg "affenjus praaijJarum nece[ftet ad ijr conclufionis 31.313... 5. é ' 4 : ^ x ^ hs LAG. 1 Oniras, D" malitiaaliter conwenium alibus voluntatisyqnam veritas, et fala. juasaihibusiméelle us o4. o0 "1 fv tuositra cfle " b4 Cao ce 1 ND E X. Áufa quadrvplex materialis formalissefficiens, finalis 13.12. omnia cau« arum genera apta [unt ad demoflrattoné propter quid caficienda. 13.13.can fat ciens duplex 13.17.in quo genere caufs prenti Je fimt caufe eo: lufionis, 11.19 irculus quid fit 13.66.qwonrodo differat dregreffu 13.67. quopo[Jit aduti cir culus tam in diucr[o quam in eodem genere cau[a 13.68. et Jeq. vide Syllogifmus, Coguitio intellettiua la cæt p II. C 13: qui Mlfremi A dirita tur 1.1 $.quid fit certitudo cognitionis 12.3.quid euidétia 12:4 Quid. veritas 10.27, quid falfitas vo.40.quid cognitio quem jpeculatima 12115. ide Scientia. Compofitio Metapbyfica no eff rationis tantus Jed ex natura rei $ 136.repsgnat Deo $.127.du et cüditiones ad ea requiratur 5.130.fit ex genere, t differétia 5.126 f Conceptus duplex formalis, C7 obicé£tiuus 10.6. veritas propri? eft4nconeeptu ormali 10.7. à ^. onclotio quomodo fit de. eJentia fyllogifmi 11.6. dependet à pramuffis v 19. quo patía cogno fcatur prius, vel fimul cum eis 11.2.5. non eft et qualis certitudinis we emidehti et cum illis 13. $9vide Syllogifmus, Dijcurjuss1 ramifi et ., «Concretüm ín propofiriouc quid fignheet .94quid abfvlutà [umptum 1. 9$. ac« £identale [umit ynitatems€? pluraliratem à Jubietioynon à forma 2.97. (ub/L antia de veró wnitatem a forma,non à fabiecoypluralitatem ab vtroqs1.99.ratio difcri winis affignatur 2.102. definiri potefi per Jubie et ium, ac etiam per proprium genuss € differentiam 5. 14.0u0modo concretum pr et dicetur, fubiciatur in propofitie me rejpe et u abflratki 10.64€7 feq Connoratiuam dijfert a relatuo 853«onnotatiua a febolis ablegari non debent; 8.54. nec tamen eis abuzi ibid. Contrárictas;? Contradictio ; 7 ide Opeofiion D ell infirimentii prima operationi [pecialiter applicatum 1.16. in vone inftruméti eft imperfeélior argumentatiene jim ratione « ognitionis perfetiior. 1.151 18.nocificat [abflanrid vei 1,30«ad logici pertinetsvt infirumenta [ ciédi. 1 23quid fityC" quotnple 1:2 j.C7 Jeq.qio confituatutyet nuc [ltgetur 1.33.0105 £Óm ditiones 1.36.definitto, dc fimitum qWo diflinfuatur 1:38. modus inue stigadi de finitioné 1.40. codetitosrcs definíti 1.41«6t feq. de, ens alia adequataset cüpleta alia $nadequat 47 mmcopicta 13.38. definitio ah rs on de definito. 13.41.€t fe; Demonttratio ac x proptcr quid, Q7 quia 133 «4 demonflratio im. copmuni ad yitumq; tfl jubietium in lib. ofl vg. 1 prima dupliciter definitur 13.5. 47. 5. quid diibnfiratio quiagC? quotuplex 13.6. quomodo canjct [cichiaam 13.4. Deuejlra aiout et de [nnt |pccies jabalterng. próterquidy C7 quias €7. traq; diuiditur in 4 lias |peeies | 3. 11:qnid demonfiratio pot 14.17 medii demonflratiouisquia, efl vcl caufa remotas vel effectus vel aliquod cocum itans nece|Jar.o conuea «ure mjlvata 1323.demoniiratroni s pco pret quid efl cauja proxima, adæquata, G7 immediata 1 4.124407 boc quidem in quocumgs geuere tau[ et 13 23. medium 1n de vatione potffima cfl defnitiocau [alis paffiuus 133944 ttiam cfl. definitto fobicBli 1$.30«7 [ub vtvaq; ratione t; medii «f. v1 cauja pa[iont € vt dcfinitto ith ibidsacvidens coe ncquit efte matus cxiremh dew, osivationi pouffim et 13. 35.definitio an po[fit dc dt fiuito dcmrfi reri, J. fais CXUrcto li ch ofi rationis propter qiia. 13:4 eft neceffe d éc ner ffr. bcbeneá ve foluere vjq5 ed principia Bhiner|Aiiffima 13.$4.dc «9 dicic bus pramai(Jari dem ovjiv. 1348. vide Tramaf e, Dcnomnatio alia in r imjecay alia extrinfeca à. 90 CXtrinjesa quomodo fit rea Mis 3.17 20 fenfu dicatur. enviatienis $20. 0n datur denominatio nona rcalis fine Slaistiossnawirbaó 9.204. gu cog «D.aomiaatiuagropeià (portant concreta accidentalia 1.86. definiuntur C €0 h run !. "vurh definitio explicatur 2.87.C7 88 dua corum; conditiones a.89. funt: pradicata niuoca, fed non yniuocé pradicaniur. 1.91. quo fenjumedient anter vniuoca Q7 IMoCa 3. 91. Delctiptio, Pide Definitio. : Determinatio alia contrarietatis feu fpecificationis alia contradi et h ionis, fen "exercity, idem de indeterminatione oppofita dicendum 11.30... 1 Y) Deus non eff im pi edicamento diretié 7.7. nec redutliuà 7.17. non efl setaploy | dice compofitus $127. mon fandat relationem realem pr et dicamentalem ad creatu fas R62. nec etim iranfcendentalem 8. 6$. an. poffit efficere ens vatiomis 3.74 Differentia diwidjti in comtnunemspropriamyc? mag:s propriam $.111.€fl ad et quata diui[io 5 113. non intentionisyfed vei $.114efl vuioci in fva niuocata 5. 316.€7 potcfi dici aliquo modo generis in [pecics.$.117«quatuor af rentie munera ibid. diuidit genus (am in flaturealis exilientiu, q«aobieGiua y licet diwerfimode as fed. con flituit [peciemex naturarei per modii partis alualis. $1 16.dif jerenrie quomodo dicatur fumi à formayC" genus à materia $.136. femper efl per fetlior genere $.1 38. difliuguit e[Jentialiter [pecies abinuicem $140.50 Inclndit in fuo concepiu genus nec à cütrà $. 342. nec inferior iucludic [uperiorem formaliter dbid.€" 143. non de finuur à Torpb. inca comunitates qua eji tertium vniucr[ale $. 154definitur a nobis 4.157. quo [sam im mn quid pradicari dicatkr $. 158. mon eou[lituitwy inraticne vniuer[alis per crdinem ad [peciem fed ad infc riora fpeciei. f 161.infimayC [ube lterna non differunt in ratione vniuev (alis q.165.differemia dauifiua vnius gcuevis nequit effe diui(iua alterius [ed quelibet determinaium fibi genus vendicat 6.43.nec vuaxT cadem efi conflitetiua diuer[arum fpecierum fed vnius tantuni 6.46. $ Dirigibiltas quotnodo cognitioni conuenit 1.14. Fide isflrumentum [ciendi. Difcuc(us definitur 1 1.2.tres conditiones eius Vi.3.an differat a. fylloifmo: 114. 9 proprie cft afrenfus conciufionis vt vb c(fenjw princ piorum cawjaius 11: 4« qhié «ius nullo modo attingit primciptasfcd folam c«nclxfioxem 13. t1. C Ditlin£tio quid (it 1. $9. alia vationis,alia ex naturaret 1.6a.bc duplex vealits € formalis 1.63. difiiniio realis quid Q et eis (gna 1.64. Q7 feq. qvotuplex 1 67. Diflintiio formalis.quid € et quotrpiex 1.71.qtc1 modis |umictur identitas, €? di 5 inti io forwalis 1.862pud Scotum bæ diftin et iio efl a et ualis, mon virtualistan timyakt fundoticnialms 1.81. catuy tm:en etiam wirtuclis di(linti to spud $coti 1. É Li$lintito modalis e xirinjeca reducitur ad rcalé,modalis intvin(cca ad formu 1.86. Diflintlio rationis quias(? qroiwplex 1.87 Distin£tto vonis ratiocinate no ied on jela extrinfeca counotata 1.88.€9 idcó coimcidit cum diflintl ione ex natura rel virtuali ibid.quoana (it fundameniti difiiméitonis rationts ratiocinat et 1.89. Dj. fiii Ewnkm fcgtesm geuera a Fovmaliflis offignata veáncuntur ad pauciora 1.9 $.dt fih 10 rationis rai qeinate sy el virtralis ad quid deferutat apud Scotum «1.93. 7 I wifio (t [kn eium friendi fecunde operaticri fpecialiter applicatum v2 x€. (fe cgeris imporfctdus 1.17quid fit 1.$0«q et 0tiplex 1.$2.6ius leges 1, $4« quo fenju tradi po[jit per membra priwatiut, aut. comtradiéiorid oppofita 1. $6« quomodo Wuuet ad defmi.ticuem indagandam t. $8. Y Dubitatio, 74e 9pimio « E TUM Ns tatiosus an pojjit ac finiri 143.triplex eius æceptio 3.1. im acceptione pra E pria datursQ9 pendet im [wo effe pro Jus «b vntelletiu. 35 men confiflit inexirin 'feca de nomimativne 3:3$« neque in aliqna relatione x ipfa refultante 3: 21« aliud materi sleyaltud forma € 3.10.n€c c(t ncc e(se potefl exu a imiclletium: 5. a4« adbuc tamen difl nguitur a puro uibilo 3«2 «c oftttnit iy pev quia po[i tibt Vations 3« 27 odo medier mer ent,gg puri niu 3:7.n0 jnfficitsquou [4 re go se yj ed rq uiritur quoa ibifit ad ifi ay vcri ent3 3 18«.m quo conf ftat e Ms P f r 1 I N'D/E X31 "das 3.50. babet ev fui efse in Lege. ge caufa eo modo, quo eff ens 4. 9 'Saufa eius materialis in qua non ejl intelleiius y fed res wt cognita 3.42. Ens rationis materiale ab omni potentiavitali fieri pote[l $48. formale non nifi ab intelle et uy zr voluntate 349.quo alin fiat 3.60.7 63. intelleClus diuinus cogno vfeit entia ronis nobis facla tamen ex illius cognitione ea non efficit 3.71.an ab ola? illa efficere po[fityvel non e apris vtrumq; probabile, 3.74. ens rationis babet vy affettionts 3.91.qMomodo ei competat intelligibili as 3. 9$. non reti à di "miditur in relationem negationem, et priuationem 3299.diuidi debet [ici ens rea leyad modum cuius concipitur 5. 102.diuiditur in fundatum y «7. non fundatum $« 303.quod proprie fit fusdamentum entis rationis 3.104. Ens reale tran[cendenter captum efl vyniuocum analogum 2497 feq. non inclu «ditur quidditatiue m differenijs,[ui|que modis comtrabentibus 2.64. non ejt genus, " quaré $.36.C7 7.8. enstamcn finitum esl. genus. 2. : aad accidens multipliciter jumitur 12. 28. quo de ipfo detur fcientia ibid, E imema, J/ide .4rgum entatio Enunciatio quid fit 7 quotuplex 10.2.métalis efl fubieti im lib. Periber. 101. "enuntiatio nece[Jaria nequit ficri falfa, impo[Rbilis nequit efie verajvo1o. enunc, €otingés de prajenti certa téporispartem con(ignificans non potest mutari in falsá 30.11.contingens dc pr et fenii aut de praterito ab initio poterit efje vera, vel falfa «t contingens de prjenii indetcyminatam temporis partem fignificans poteft [uc« «e[fiue ficri vera vel falfa 10.12. contingens de futuro multiplex 10. 49. duplex | determinatioyC7 indeterminatio propofitionis deine[Je, € de po[fibili v0.5 1. enune kéijatione de futuro contingenti abfoiuto babent determipatam veritatem vel fai[i gatem 10.53. V ide Propo[itio, Veritas, Falfitas. Error quid fit 14.23. difcrimen eius a fcientia, C opinione 14.15. «CC Exemplum, 7 ide JArgumentatio. F UELAl£uo^ c ogfentando datur inpropo[itionibus 10.39. primario e in concte ptuform. .4c7 jecundarió in obielino ibid. formaliter dicit velattonem veas dem difconuemienti et 10.40quo fenfu. [u|cipiat magis C7 minus 10. 46. quid fit de ærminata falfitas im propofit ionibus de futuro 10. $0. " Fides quid fit quotuplex 14.9. dijcrimen inter fidem, C opinionem ibid. Kigura fyllogiflica mnn quotuplex. Fide $yllogifmus, € Ind. Infl Log. Fotmaiitasyvel realttas quid fitst a Ke dislingnitur 1.63.formalis diflíGiwo quid fit 1.72.4980 inter diflintlioné realemy€7 rónis mediatà dicatur ib. vide Difl indito, : Fundamentum eatis rationis;vel relationisyvide Ensvationis,Relatio Futurum contingens num babeat determinatam veritatem 10.49. €f feq. e potcfl propri? dcfiniri 53.qu0 fenfu definiatur d "Porph. $.6.quéna eius de finitio,C quoexplicada $. Y6.quomodo;genws diflinguatura Jpecie inratione. vuiuerfalis $.19.de .udiuiduis completis mediaté pradicatur, de incopletis imme aliat) 5.51.de iilis per modi generis de ifiis per modi Jpeciei. $.39.quocna fit corrte datiuuwi generis, vt eius [ubucibile $.44quo verd pradicetur in reél o de inferiori dus cfló. dicat partem efientia $. o.poteflate coutinct. fpecies, C differentias,nom aliu 5:54. licet diuev[imod? $.56.efl (pecies infima vuiuer[alis $.$8. jwpremum Cr fabaliernum [pecie uo differunt imratione yuineijalis $.60. quomodo ad eius vni uer [alitateu Logicam pluresrequivantur. |pecies $.96. quomodo ad Merapby[icavs $ 91genus quomodo dicatur jemi à mattria $. 136 t. GeueradiuerJorum pradicam. nullam babeni oem differentia conftitwtind, aut diuifi uan 9n€45€0€5 |pecit s 6.43| ubordimata c6e5 babent omnes diffevétias [upcvio" yum geucram conflitutiuas.6.42. H H? biwusyquod eff Itimum pradiccmenti communis explicatio ridicula 8.122. «liasnagis cougru1,0ued cousbiiuatur pev wniontm forma ad fubie et ium 8 | E, 2.[iu fit vnio accidentalis fiuà. fubit antialis 8. 214., Dentitas realis quid fit 1 .66.eius adequat [ignum tbid.identiras formalis quot modis (umaiur 1.86.quo Jenn comcidat cum tdentitate efjenttala ibid... 'Indiuiduuu, vt fic, proprié nequit definiri 1.48. quomodo differat à fuppofito, cr perfona $. 97.q40t modis [umatur ibid. quo patto à Dorph.definiatur $.98.0105 defi mitiones expiicantur $. 106. nedum identicé yfed etiam formaliter, € direGià præ dicar: potefi s. 109. Inhzrentia propri? conuenit accidenti predicamentali non predicabili q.105. ^ 'Inítcumemum,fesi modas fciendi quid [ity quotuplex 1.1. quodmam jpeciali« ter jpeciaies dirigat operationes 1.16.metbodus noneft inflrumcntum d ceteris cá« diflinfium ibid. quodnam [it perfettius 1. 17. [ntclle et tus agens € pofJibilis 4.$9. varus cius atus 6o. Intentio quid fit 3. 111. efl dupiex formalis, Cr obictitwa, Cr vtraq; prima, vel fecunda ibid.quid jecunda intentio 3.112. minus patet ente rationisyvelut ctia fpes. €i65 3.114. (9 etiam relatione rationis 3.1 (5. inquo fenfu fit formater ipfa come. paratio p.[Jina $.120. Q«omodo prima, €? fecunda intentto defintantur, € diffe pznb $. 12. . QUO a8 fiant. jecunda mmtentioncs 3.122. an folus intelletius efficiat fecundas intentiones 3. 113.exercità pradicantur de primis accidentaluer figni: etiam e[Jentialiter 4, 116. 7 yag.vna fundart potel [uper aliamy Qr tunc vua. fu mitur, vt quicyalía pt modus 3. 12g. L Inea efi (pecies quautatis cotinua 7.69.et cfl fpecies infimaynà [ubalterna.7.8e L Liceius fignificant res ipjassnom voces 2.3.qu0 feníu dicantur fignificare voces $bid. quom do (ubordinentur vocibus 1.4. figskeenad placitum 4. s. | Joxus uon «fl jpecies quantitatisvel " tim non difiintla à [uper fi cic 7. 70. Logica membrum Philofophi quaft. Mrenes multiplex eius nomen, 7 ac. epiio ioib. 1. alia naturalisyauta artifictalis ibid. 3. 69 bac alia docens, alia vtems dbid.4 vtens efi babitus diuer[us d aocente ibie.. quelibet pars Lügice diuiditur in docentem, 7 vtentem ibid. 1v. topica pecuitari modo dicitur vtens ibid. 111 fi mis Logic in [esr ab ;Arifl.tradita ibid.i$. tam internus, quam externus y itemm. formalis et obieliuus ibid. 17. Obieium Logice Atrifl. e(l [yllogifmus ibid. 24. Logi.e in je eft inflrumentum. |ciendi incommnni ibid.3 1. non vt dire et iiuum fed. srisbe vim dirigendi bid. 34. poc C Logica docens «fl [cieutia 1bid.40o. nen tamen ars ibid.q1vtens e$t arsynon fcié. gia ibid.tamen pajfiuà fumpta dicipotefl [cientiaibid.45. docens ex naumarei eft: fcientia realis prout ab J4rifl contexta ronalis ibid.48.cur fic ea influucrit tb.$ à, ; ^ Logica eft (ciétia [peculat ina tbid. g6.cfl Jeientia cou ibid. $9. no efl fimpliciterue ce Saria ad acquirédas alias [cientias ibid.61. efl facultas f/mpliciter organica ibus 36.c[l diretiiua operationum idealiter ibid. partitio Logice ibid.G.. Q9 feq. Longitudo, Pide Quantitas. M t GO AY Ateria propofitiouis [unt termini, C propofitiones [unt materia [yllogifmi, 10. 1. Z ide Ind. Infl. : x Metaphyüici gradus predicamentales diflinguuntur abinuicem ex natura vei formater, tranjcendentales veró tantm virtualiter 1.93 « Methodus accipitur dupliciter y fub vtraqy ratione ad Logicam fpettat 1.96. de ratione ipfius dh quod priusad cognitionem pofierioris dirigatur ibid. nian di án(irumentum ab alij5 diflinGium 1.16. cíi duplex compofitina C7 rejolutius y.100 ^ vtraq; pofsumus vti im facultatibus tradendis 1.101. me ibodus feruanda in cime tijs tradendis 1,103. intexendis quaflionibus 1. 10$, Y$5t Eo Modi rerum alij intrinfeci,aly extrinfect 1.80, | ( et 1 Sere Motus nom efl vera [pecies quantitatis contiua 7.7 1« quo fenfu motus non de« tur ad relationem pradicamenialem 8. 3$« FÆRSPCM OCT MEE A. h 1, " jl cd I Mult itado, Vide Nvmierss. N | Vara co mm«ai5 vide vaiarcfale ia eff doy duplex mature communitas, fed imdifferentia pafiziut, Qr nezatina 4.20. INece(fi:as duplex zafolut2, 7 ex, japp i tiones vel fimpliciter s [ed conjequen tis, G7 fecundum quid, fea cau(?quencia 10.56. Negatio, G prinativ moa fuat entia rationis 399 | Nuærus alter qu amtitatiauss aber tran[cendeas 7.5 3. neuter efl eus per. fe vni. 754. ideó quantitati anc mon c(l vera fpectes quamusaus 7.46. join pro mate vialt ejl aliquid reale $.$ 4. [pe Eat ad predicameniwn quantas,quia fii ex diui flne cou: inus ibid. ride Qsanticas. Oo (2 2 fcientig eil cicca qao4 fetentia verfatur 31 1.diuid tue in comple. . xum," incomplex um ibid.iacomplexum vel fwn:tur improprid pró oui ni et osquod'in fcientia con'deratue,vel propri, quod ef. fuus fient a, 13. boc ell duplex tot ale adequatum, fei attributionis, CF parttale ibid. virumque diuiditun áinmateriale, et formale 11.14. ] Exiftentia [ubietli tam partialisyquam tot ilis faltim pro (latu iflo potefl à pofl e rjorisnon d prioriin [cientia probar iyi bec [umiur pro toto proce(ju cogno/cenduns ith e facultate 11.20. de obictlo rationalis fcientie pre[uppoauur exiflentia obiettiuzy:t de obietto [cientie realis, apticudinalis, acbaalis veró aliquando pra requiritur ex parte noflri intell: Gas v2.24. quomodo obiecium debeat babere qui d vel 12.36." feq.obietIum [pecificum virtualiter continet pajones,generici veró potentialiter 12.38.q8am nece[fit atem babere debeat 13.46 quomodo omnia con(i derata in fcientia dicant ordinem ad (ubieGkum 12.49.conditiones ooictli fcienti enumerantur y 1.54.0bieCfum completum, adequatum enm fcientiam n9 eft materiale tantum,;vel formale olim, fed ex vtroq; contt tutum. 12. 18. "bic et um adequatum Logic, vide Logica, ' Opcracio. intellettus, vide Cognitio . Opinio quid (it ür quotuplex 14.2per quid [cientia differat, C fu[picione y^ : La orte Yield pertineat ad opinionem 14 | .nquit flare cum attu fcientia de eodem obietEo x 4.1 pre fenju de potentia Dei abfoluta po[fiat flare fimul. 4.18. . quid dicendumyvi habitus imporiant 14. a3. E Oppofita nd fint, eorum [pecies 94. qu fint oppofita elatiuà g.$. que con trarié ib.qual;s (it diflatia contrariorü 9.7. qualis repugnátia 9.8.quo vnu cótrariii wonnifi vni contrarietur 9.9,quimam effecius formalis contrariorit 9. Voforma ceu. traria opponitur et in gradibus remiffis ib. alia funt mediata, alia ymmediata 9. 1 Oppo[ita priuatiuà qu et [int.9.1 2.eorum conditiones ibid. quomodo à priuatione adbibium detur regrefju 9.33... . Oppofita contradiiiorià Latio Tp m cat inc omplexa ibid. inter. [.» abfolutà fumpta numquam datur medium, benà tamen inter incomplcx a cum, yæategoremate jwmpta 9. v. minquam ver) medium per participatioæm 9.16, quomodo bc oppo[iio (it omnium maxima 9.21.ad faluandam contradidlionem 4 . parte vei non. [ufficit diflinlio viriudlis, aut vationis vatiocimata 9. 23. 5 O:do dodrina quinam (it 1.97. jnterdi coincidit cit ordine natura iwid.diuidityr in comp [itiuumy, GT rejolutiuum 1.100. P A(io pro ietate vide Proprium: paff »redicamentum definitur, ac eius "jpectes $. 202.7ur diftinium confltuat pradicam, ab adio ne 8.205 Praxis » y cord eret Pb n it acbionzin auure intel edualisqug aliquo patio est dirigibili 4 volwttate lependeas «2. 100:/lu8 fit elicitay fiub impe. rata Lm ^d iiit etiam intelle ctiua va.101.requicitur quoque quod Md principio tutrinjéco eog dy cedex wi cozmitionis rezulan:is L2. 103. i£e m quo d ribera Vs. 10 4446 polumatis elicitus ce pvimarió praxis, imperaius. vero je». CHA La "A "wo y^ Fündarià 12: 105. definitur d Scoto t 2. 106. Pra et ica cognitio, Vide Scientia. : Przdicabile, ide Pniuer[ale ; Przdicamentum quid fit 6.1.5 3. efl fubief um in lib.predicam.ibid. predica: snenta pofsun£ conititui m vnum 6«2.dcbent ponirealiter diflintla 6.12.có gruitas denarij numeri illorum 6.7.quanam direi in prédicam.reponantur,ac eo vum conditiones 6.19. in pradicamento fub(lantie dij poni debent in concreto y in alijs $e etiam in ab[lratfo 6 19. vltima fex prádicamenta nom dicunt folas de. nominationes extrinfecas, aut modos meré ab[olntos 8. 192. fed puros re[peGius extrinfecus aduenientes 8. 195: i Przdicari i7 pu € inqualeg. Pradicatio alia exercitasalia fignata 5.8. € 3. 11$.alia formalis, alia identica $.107.Ó 10.62.vtraqi diuiditur ibid. prsdicatio inter abflratla, € concreta quo patto fieri debeat 10. 64; [CAN n,'Prami(fz demonfl rationis quales effe debeant 13. 48. coenofcimtur diuev[o attu à conclufione 11.11. funt uvis effettua partiales conclufionis cogno fci de bent fimul tempore ci conclufiones litet prius natura 31.25. prami[sà ncce[sarig fit apprebenfa nece[fitant intelletium ex |ui natura covfideratum ad a(ien[um con clufionis nece[fitate contrarietatisy Cr contradickionis 11.32; idem dicendum de in« telletiu;vt [ubest voluntatis imperio ibid: at etiam de prem:ffis frobabilibus, vt tullavatió falfi in contrarium appareat 31.34«. Tremifi et demonflrationis potif/mé debent effe formaliter immediate,no vir tüaliter [olim fed demofirationis propter quid virigieft probabile 13.53.pramifig demon[lrationts quo fenfu dicantur immediata s priores notiore? ceruores C7 perfettióres 13.47: et ^ fed: Prafentia localis, vide Vbi. ^ TM ) Prius, et Poftcrius quid fint 9.27. varij eorum modi ibid. quid y et quotuplex [it püioritas nature 9.19. eft prioritas d parte vei 5j non tantüm rationis 9. 33. pev infl antia natura non [aluatur contradiBtio 9.3 $ uid fit prioritas originis 9:37 pro prid, c formaliter e$t prioritas d qnoynon in quo 9.39. ] Propofitio,Z/ide Enunctat io jpropofitio per fe mota definitur 13.49potefl coflaré éx terminis nom tentum diflintie, [edetiam confusà veprefentantibus ibid. nulla vopofitto contingens proprié efl per fe nota 13. $1; vari et diuifiones propofitionis per Jenot et Tbom:flarum éxaminantur Proprium qnadrüpliciter fwmitur $17 1.confiderari potefl inrationie proprii, et . in ratione V niuev[alis s .167.definitut ia vatione propriis $: 169.definitio competit taiitum proprio quarti modi $.172. eiusyvt fic [unt tre$ conditiones $.1694nterdums canfiflit in aGiu C" non in spiitudine tantum 5: 174. tanta efl eius neceflaria cona nexto eum [ubietfoyvt boc fine illo nec ejfeyiec intelligi polit $. 17 4. in quo: genere €an[ et caujetur 4 fubietto 5.179. non diflinguitur neo 4 [ubielfo 4 fed tPhtumt aliter 4.180. C7 181.defimrur ip ratione vniuev[alis $184.20 diflinguitur ab actidente per conuertibiliter pradicari $A8$.folum propriui quarto modo efl quar« tum viuer[ale $.188.non efl vniuer[ale re[peGtu generis, « fpecicis fed inferios rum vtriu[que $.184; "3 "wValitas tripiiciter fumi potefl 2.1o3.proprià Jumpta quid fit, er ie dés Q niri debeat 7: Yo Jpecies, et modi qualitatis expiicautur 7.10 eqpr et Vilio qualitatis di fficiens 7.117. non eft proprià geucrisam fpecies 7. 1304 qualitatis áfeiliones affigmanitur 7114. ARS "Quando p..édicamentum importat jolam Mes emer extrinfecam à tem pàrc extrinjeco defumptam 8.218. quibus rebustonumiat 8. 1330« OUEST Quanias cfl accidens à [ubl aatia veadutee disbinclum 2. 44. diuiditur inconti IN D'E X. Amam,e di cretam 7.45.difcretanonefi vera [pecies buius predicam£ti, quia ned ens per [e vnum $.46.benétamen continua 5.45 explicatur e[fentia quanti «tis C» tinus 7.68.eiu[dem [pecies recenjentur 7.69.qu et proprie (unt tres lineas[uperficie ss € corpusyqu et funt )pecies infima 7.80. (pecies quantitatis dijcrete funt. dua, nue merussQ oratio 7.8 1.numeris quidem predicamentalisynon tranjcenden alis ibide non folum rerum permanentiumy[ed etiam Juccefiearum 7.85. € efl fpecies [ub alterna 7 .84quo fenfu oratio ji et [pecies quantitatis difcreta 7. 86. non efl. fpecies per je dift insta dnumero 7.88. affectiones quantitatis a[Jignaniur 7. 90. C7 feq. qua diuifibilitas fit eius paffio 7.92.quantitas infintta fi daretur, fpetfares ad boc pr et di €41.7. 95. Wiopenctrabilitas princeps quantitatis pa[Jio 7.100. Ealias, i7 Res quomodo differant 1.63. quid proprie (iguificent ibid. R Kegcelfus, P ide Syllogi]m us. helatio quid fit 8. 1.confifitt iu aGIuali referentia 8.14 s. duplex efl realisct rac àionis 8. s.relationis vealis tres [unt conditiones 8. ibid. diuiditur in. pr et dicamene galemyc tranjcendentalem 8,2,» erum difcrimen inter eas8. 6, predicamentalis accidit vebusQ? ab cis realiter diflinguitur ibid tranjcendens idemficatur cum re bus realiter 8.10.diflinguitur tamen formaliter 8.13. pr et dicamentalis non cfl [ola extremorii concomitantiayvel combinatio 8 A9.uec aliquid [mperadditii fundam et to fola ratione diflintlum 8.24[cd verum accidensreipja ab eo diflinélu 8. 19.pro duciturà folo fundamentopo[uo tamen termino 8.4 5.eji accidens diufibile in ma ærialibus 8 .44n0n potefi e[Je fine extremisymequeexirema fme illa 8.46.e[fentias liter con[lituitur per adj in 8. 1.qu0 fenfu exirema fint, C^ non fint de cfsentia velationis 8 $7n0n jolum atiualis,fed etiam aptitudimalss cfi vealis 8. 8o. Quid [ubietPumsquid fumdamentum, € quid ratio. fundandi im relatione 8.58 fnbieGium eius efl ens realesC7 finitum $.60.non folum in accidente, fed etiam in. fubflantia immediate fundatur 8.67. vna fundari potefl [uper aliam 8.69. nonsa swendatur proce[ins in infinitum 8.76. ratio fundandi uon [emper opus cj, wt [it in extremisqiurificata 8.122.fundamienta relationym primi modi 8.15 4.|ecudi mo« di $.160«tertij modi 8. 165. Terminus relationis pradicam debet efse vealisci a et bu exiflens, $. 81. quod de San [cendenti non cfl necefie $.8onec etiam de pradicam«mipcrfeiba 8.S4.nou pot eadcti plures efpicere terminosyfed numacricó multiplicatur ad eorum multitudi scm 8,38.terminat quamlibet relationem fub rane ab[olutaynon reJpecl iua 8.101. Retatio realispetit extrema realiter diftintla $.319.diditur in sntrinjecus, garrin fecus aduenienicwsprima con[linit quartum pr et dicam. [ecunda verà alia |ofex vltima8.128.qua dinifio fumitur etiam ex fundamentis proximis 8.129. Q9 comprebendit jolas predicam.8.130.diftinitio f[pecificarelations vndé [umature $.147qu«d«m eelationes [nJcipinui magis, minus fecundu Je formaliter 8.179« 7 R«elatiua quomodo conueniant cum conotatiuls KJ quomodo differant 8.33re latu alia fecundi cfse alia fecunaum dict » et 7 eorum difcrimen 8,8. bac proprie qomeidunt c et i c onnoiat iuis ibid.relatiuorum æfimitio explicatur 8. 141 .tr65 corum moda 8.1 3. pecies primi modi $.15 g.jecundi modi relationcs quada. Jecune di modi que communiter put atur rcalesyvl paternitas,C fiatioin creatis funt dantium dcnominationes extrinjece 8. 163.reiationes tevit modi explicatur 8.165» modo ifi drfjevant à velationibus prim, Jccidt modi 8.170.borum modorsé lentia 8 72. relatina qu et dam jecuudi dicy cotrariátury quada 6t [ccundu eJ $8.177v6latina ommia. dicuntur ad conuertentia 8.182.|upt famul naiura 8.184. funt [ml cognitionese? definitione S. 187.modns, quo debent definiri 8.188. Relationum quarti pradicami. genus flit nitur 8. 134» [pectes couflituantur. 8» 374. proprittaics affignantur 8. 15$. € feq. ve Kepuguantia qu [ni 9.a« dyuiduntey m oppofita, 7 difparata 93. " » ^ dh j «i A pientia quid (ity € quomodo à fcientia diferat 1.34... ; S Scientia duplex babitualis, G7 aflualis c vtraque defiuittur 12.2.ipfius condi. tiones declarantur 12.3.7 [eq.vtraq. diuiditur in totalem? partialem 12,10 4e" ente per accidens quomodo detur fcientia 12.28. c^ feq. de fingularibus nondatur ferentia 12.54. dabilis efl vna fimpliciter totalis fcientiaomnium fc ibilitan 13 $6. rationabiliter tamen cum fundamento in re in plures totales [ecundun quid e(l di mifa 12. 57.vuitas fcientie duplex intrinfeca, c extrinfeca, feu obietlina 12.68. bac non [umitur ex abflratlione à materia, fed ex vuitateobielli ad et buati 1 61. fcientia totalis babitualis non eft vna (implex quet 651, fed ad diuerfitatem fpeci ficam conclufionum multiplicatur [pzcificà 1 1.68.//1i [peciales habitus conficiunt vnam totalem [cientiamynon aggregationeyaut vuiouc per fe phylica, fed artificiali eum fundamento inre 11.77.qu et vnitas efl multiplex, vel eft [pecificayvel generis proximiyvel remoti 12.78. C7 79. Scientia fubalternanssc7 [ubalternata quid fint v2. 81. ad banc requiritur, quod obietiwunm eius contineatur fub obieito illius 12. 82. uon tamen quod jint de cijdem €onc lufionibus 12.83.requivitu? fecundo quod add at fupra obiectum fubalternantis differentiam accidentalem non e(ieutialem,vel palEoné 12. 84. bac differentia fe babet,vt pars formalis obiedi non máterialis 12.85. (cientia duplex pratiica yir fpeculatiuaia.115.quid fit fctentia prattica. 12. 116. babitis alius "i virtualiter Jratticus, alius formaliter, boc velproximé vel remotó 12. 1 17. quid fit fciétta culatiua ibid.ratio prattici,c fpeeulatiui [umitur ab obietoynon à fine 12.11 unt Efproitie diuidentes [ctentiam immediate 1 2.136.[ant etiam differenti ef Jentiales itaut nequeat idem habitus efie fimul pratticus, € [peculatiuus v3. 129, an [cientiapolJit (lare cm opinione 14.13, per quid differat a opinione 14.3. nfus, an efficiat ens rationis )4 s Simul,vel fimultas quidc quoiuptex 9.41.cuim (imultate téporis flat prioritas mature,non € contray77 cit fimultate natura (lat prioritas originis nó à cotra 9.40. Singularcnon eff obietlit (cientie 12.34.nà eft definibile x. 44. vide' Indiuidui. Situs pradicam. definitur, C7 diflineuitur| pofitione de genere quantitatis 8.112. quo con(lituat diuev(um pradicam.ab. Vbi ibidvalia congruæxplicatio predicam. Situs 8.214.probabile e[l non confluere diuerfum predicam. ab bi ibid.;mon eft modus flius quantitatis, fed efse poteft iai "yrs 8. 215. vide Ind.Inft, Ü Species duplex fubijcibilis, er predicabilis s. 62.[olo nomme conueniunt $63. »trinfq. defihitio exphicatur $.64.0mnis fpecies [ubiicibilis efl predicabilis, c7 à contrd $.70.non tamen quatenus [ubijcibilis eft vntuer[alis g.71. quo fenfn jubyci bilitas C pradicabilitas conxe£tantur in fpecie 7.78. quomodo ad eius KA ad 1x tatem Logicam plura requirantur individua $5.86. quemodo ad metapbyfica $. 917 quon. odo metapby fic componatur ex generc, e differentia q. 116. Subalternatio, 7/ide $cieutia. Suppo(i 10, yide Ind, Inff. Sub(tantia trifariam accipitur 7. 2«quo fen[n [»1 genevaliffimum primi predicamá 7.11. que partes fubflantiarum excludantur d pradicamento 7.10. quo fenfu etiam. 4x bis partibus pofJet pradicam.conflitui 7.18. "Ingelis e corpora cgl.flia funt im 0€ p, et dicam.7.11.non veró Dcus 77. buius pradicamenti coordinatio 7:13. 4uid fit jubfiantia predicamentalis et quomodo diutdatnr in pumam,C fecunda7.13 quomodo bac dtwifio explicari Puff tam pro prim et yquam d unda imtestione. 7:24« Ptraq. definitur 7.27.qn0m0do inicl Igatir, qiiod ácfirutlis primis jubftarijs €7t7.29.4H000d0 item, quod prima jub[lantia « i magis Jelflantia, qua jecu 4 7.31. [i gula. proprietates (ubjtontia declarantur 7:34.67 jeq. . Syllogi(mus 1; Cmn) d gap. PAGE 17V vi arid Gr potentialem A obs bicüum Logica "IL vifl .quafi.prolam.a4 "Adde virtialem folii cfl [ub : Ub, Prigi 31s nltipliciter Jumitur 1 15.an differat à éifenzju 11 7j)llogifmus . eirchlaris quidy et quotuplex 13.66.an poffit fieri in qualibet figura, modo ibid, circulus per quid proprià differat à regreffu Y3.67.circulus datur 1n aliquibus, no jn omnibus,t am in diuer[oqua in eodé genere caufasnon tamen im yfdé aumero rebus 13.68.regre[sus quoq. eft po[fibilis, c ytilis 13:7 0.no quidé formaliter, C proprie, ' fed materi aliter, C" improprió, 9 etiam de circnlo dici debet 15.71. Pide Ind.Infl, € Wppocn dn Quandosnon eft yera fpecies quantitatis continit 7.71» SA o Terminus, P; de Ind. Infl. i Totam; quotuplex 1. $2. Bi. definitur, ac cius fpecies affisnantur 8.211, V bipaffiuum. efl modus rela. | tiuus rea locat e [uperadditus 8.104.4nam [it proprius, € per fe terminus eius 8.108 aliud efl localey Cr aliud prejcuiisic ibid.quibus rebus conueniat 8.210, | Fide Ind, Wl. Verbum, ide Ind.Infl, Veritas duplex in efsendo,€ inGonificando 10.5.bec propri? ef in conceptu for mali in obietl iuo dependenter 4b illo 10. 7. veritas cognitionis non efl entitas atiusyvel atius, c obrechumyfed relatio vealis. 10. 27. quo patio difinguatur ap aliu cognitionis 10.30. an fujcipiat magis, € minus 10. 46. quid fit determinata . Weritas. in contingentibus 16. go. AME Vnio forma ad [ubictium tam accidentalis,qua fubfiantialis efl in pradicann /0 dabitus 8.213. 4, Vniucrfale quotuplex 4.1. vniuerfale in eftendo admitti debet 4. 3« mon tamen Tingularibus eparatumyjed realiter idem 4.8. formaliter tamen diflintium e £5t commune per indifferentiam,non per ine xi entíam 4.10. yniuerfaie im pradi cando datur tantüm per operationem intelletius 41 8p cum metapbyficum, et dogicum quomodo differant 4.16logirum intvinfecó quid relattuum efl 4.29. que T»nit as fit eius fundamentum proximum 430.qua fit vnitas vuuer [alis 4. 31. c0 flitur per clle in, €7 dici dc ejl paffio 4.36. quo fenfu id imtelligatur 4. 41« clic in atiuy C aptitudine cenflituit vong dle,dici de aptitudine tantum. eft pa[Jio 4 45 vniuer [ale quo atfu fitcr an ab intelleiu agente, vel. pc(fibil 4.64.progre[sus intel letius in formatione vniner[alis 4.73.fundatu folum m natura plurificabili 47$ qualis b et c efse debeat 4.87. diuiditur in quinq; vniuevfalia 4493. eius fufficieniia 1bid.bac diuifio efl generis in fpecies, «9 mediata 4.106. quinq. fpecies vniuerja lum funt. infima serius Torph.de V niuerfalibus in fuo Probem. deci duntur 4. 7. vniuer(ale eft fubielum tm lib. Porpb.5. 1. by Vniuoca definintur 2.3 1. petunt ynitatem conceptus fermalis, c obie£lini a. 39. qualis ine debeat vnitat conceptus obie£fiui 2. 40. debet perfetià prefciudere ub inferioribns, D" contrabentibus 2.41.definiuntur ab J4rifl. vniuoca efsentialia, fed potefl etiam conuenire æcidentalibus 2.42.aliud efi prædicari vniuoct, aliud efse predicatum vniuocum 2.91.non eft de rattone vniuoci vt fi cquod vuiformi ters j" equaliter conueniat omnibus yniuocatis 1.44. dantur vary gradus vniuo €ationts 443.[pecies vninocorum Voces res ip fas fignificant ad placitumsmon conceptus 2. 2. quomodo intelligatur ditum J4rifl. quodjit figna conceptumm 1.6. vocum [ignificatio quid fit 2.11.q0 amodo exerceatur 2.14.€arumi Gio, vel imper fecito iu. figmficando duplex 2» 18. quid dicat veritas, C fal[itas in vocibus 2.20 pofiunt voces perfethius. figni dicare rem accidenti, quam nota. it loquenti 2,23. Voluntas anefficiat ens rationis 349. ROPON UI" / ke | PROLOGVS5 Ad Inftitutiones Dialedticas. z3 JEudabilis admodum efl, «^ ab omuibus modo. vecepta con ^W/UV|| fuetude ad Logicam queflionibus contextam. pramittere.Dia L^ | le et icas Inftitutiones, qua breuiter complectuntur ea omniayqu et fuse tradunt voies d Qr arifi. in fuo Organo, vnde injer^ | uiunt veluti fumma textus totins Logica, € introductio ad ipz fam quaftionibus contextam . "Ne iguur à tam vtilirecedamus . 'confuetudine, In[titutiones logicales nos queque pro Tyronibus pramittimus, antequam difficiliores queftiones pro prouectioribus pertractemus, Quia verà fubiectum adequatum pre[ertim in Arift. logica eft fyllogifmus, vt in E Quat. proem. dicemus cum bic confidevari posit quantum ad formam 3llogifti camyQ quantum ad materiam, in qua conficiturs qua dici des circa qi am » L^ binc fit, vt in duas pracipuas partes diuidantur buiu[modi diale et iice. Inftititio $ ness Trima pars Inftitutionum ca omnia continebit, que ad formam J'logifinó o fpectant, vt Irt ce ieinl, propofitiones,ac retta earum di[pofitio in modo, et in fi, gura; Altera pars ex ijs con[rabitqua pertinent ad materiam circa quam,qua tri plex eft, necefTaria, probabilis, et r apparens, vt ibi explicabitur. Hoc autem præfertim. agemus, ne in commnnem incidamus abu[um Recentiorum, qui ad Summulas, jen Diale et icas Inflitntiones ea folum opinantur (peGiare, qua con " veernut formam fyllogifmi, vnd? d in. ijs confcribendis mi(Ja faciunt quecunq. concernunt materiam ; non tamen Tg confultó,cum enim buiu[modi Inflitutio : '^ mes parata fint, vt pereas ad JArifl Logicam paulatim introducantur Tyronesy fané nedum tali pr£uia egebant intvodutltone Libri J4rifl. in quibus agit de for sua [llogifmi, Jed præfertim €r ij, in quibus agit de materia » Et quidem "Petrus Hifpan. facilà Summuliflarum princeps, cum preuiam Introdutiionem ad Logi cam .Arifl. Tyronibus flernere cogitafset tratatus inflituit nedum de concere nentibus formam fjllogifmi, fed etiam materiam s conjripfit enim Ls fpecia les tratiatus de. fy. ofifiva Tero (7 Elencbo; licet Cr ipje in boc defecerit, wt notauit Ioan. C et [arins in [ua DialeG. in prefatioue ad trac 7 quod nullam pa« rauit Introdütiionem ineam Logica partem, qua agit de Demonflratione, cum tamen "Poflerioriflici Libri, pracipuam pro Tyronibus peterent introductio nem, imo (7 maiori nece|fitate, quam al omues, vt pote cateris difficilioress J'um $uia, vt in quaft. progm. dicemus, demonfiratio licet nou fit adequatum Logic obiectum, efl tamen pracipuum, C principale ; cur ergo prenia t (jo non parabitur [yllogifmo demonfiratiuos fi paratur Topico, 7 Elencbo ? ma« ; meat ergo ad integritatem. Summnlarum fen Logicarum. Inflitutionum ne fpetiare traliatus tangentes. formam Syllogifmis [cd etiam coucernentes males Tiam, quacunq. illa fuerit. | iet: RODA e LI z icio, rd A 00 DIAM UP, €70. Epor mt y. . d P Pars Prima Inflit. Tract 1, Cap.I. DIALECTICAR VM INSTITVTIONVM T uoP A RoE»PR P OURC Poco De attinentibus ad firmam fyllogifmi "» Ria (unt, quz fpe et ant ad formam fyllogifini, vt dicebamus, fecun IC] [J«f dum fe; et fimpliciter confiderati, vt abftrahitab hac, et illa dctermi« ( Á nata materia, inqua confici poteft, termini fimpliccs, propofiuoncs, et earum recta dilpofitio in modo, et figura: Termini funt principia DE GE remota Syllogi(mum integrantia ; Propoficiones funt principia pro xima, et recta difpofitio in modo, et in figura eft ipfamcet forma artificiofa fyllogif mi; hinc parsiíta prior diale et ticarum Inttitutionum in.tres fübdiuiditor tractatus s in primo agemus de Terminis principijs fyliogifmi remotis: In ecundo de Pro polos principijs eiufdem proximis: In tertio demum de ipfamet forma fyllo giftica, rcípectu cuiusetiam ipfi termini, et propofitiones folent dici materia ex. ua, licet abfoluté loquendo ad formam fyllogifmi dicantur attinere, vt hzc di inguitur à materia circa quam. De Terminis, et corum atfe € et ionibus. Cap. I. Quid, € quotuplex (it Terminus in communi. d V oad primum Arift.r. Prior cap. 1. definit Terminum effe illum, im quem refolustur propofito, vt adicatum,( de quo pradicatur; pro cuius debninionis declaratione aduer tit Tataret. ibid. q.1. $.. feiemdum eff tertio 1 e dupliciter, vel in la 1a fignificatione indifferenter.f. pro fubie. Wa»preditste, et copula propofitionis,. aut eterminatione alicuius illorum, vt idem fonat, quod dictio apud Grammati «os,quo fenfu cft genus ad nomen, verbum, aducrbia, et reliquas orationis part, et Bóc modo copula verbis, igna vnlueri Porro, ia, Yt omnis, nullus, ali Aquis, et c. et adiectiua adie et tiué tenta. funt termini,immó breuiter onine illud,ex quo «onftituitur propofitio, terminus dici po teftin hocfenfu, Alio modo fumi potcft 3n fignificatione magis propria attenden do vim vocabuli, quod importat vltimum, S extremum alicuius rei pro extremitatie bus terminantibus propofitionem.f.pro fu biccto, et przdicato, et fic fumit Arift.ter minum loco cit. ac omnes Summuliftc,dum «um definiunt. effe extremmo prepofituoris, quam definitionem recipiunt Recentiores. paffim Villalpand.lib. 1. fumm. cap, 1. Tolet, cap. 16. Fontec.lib.6. cap.9. Hurtad. difp.s. fum. fec. . vbi priorem termini acceptio nem renuit: quam fcunt, Blanc lib.z.difp.1.fe et t.1. C. tract.1.c.1. Fuentes p.1.fommul. q.vn. dif. 1. Conmlut. lib. 1. cap.z. de dip. 1. si fum.fec.1..Ouujed. et Poricius ibidem . Has autem termini propné fumpti defi ras, et fyllabas quia licet propofitio scfol : ugpitin litteras, et fyllabas non tamcn im mtdiate, et ideo littera, et fyllabz non di cuntur termini, etiam licct propofito by pothetica refoluatuf in terminos mediate; neon tamen immediate, fed refoluiturim médiaté ;n propofitiones fimplices ; ex quibus componitur ; poffet tamen abfque crupulo etiam propofitio fimplex appel lari terminus ; quando in hypothetica te net locum fubieéti, vt notat. Arriag. Nec obcfl illam etiam conf'are terminis, nam bené potcft id, quod in fe eft quafi totum, effc pars refpcitu alterius totius, vt patet in fca peorpore refpc et u totius ho minis; ds multis, vt difcurrenti con ftabit, Etiuxta hanc fecundam termini ac ceptionem copula verbalis, fcu verburb, vt vy verbum; fa ttm y eet (v ^ "Xe ran dicitur ammediate, ad rcmouendum litte i"A( . ütrimé de vocibus non fignificatiuis dicé m. wv d 29 De T'erminmum muliiplicitate . werbum, rationem termini nequit habere, tum quia copula non eft extremum propo ficionis, fed ratio coniungendi extrema; tum quia in eam propofitio refoluinon po teft, cum enim fit formalis, et expreffa ex tremorum vnio, fa et a eorum diffolutione manere non poteft ; tum demum, quia Arift. in allata cermini definitione meminit folum predicati, et fubiecti, et licet in pro pofitione de fecundo adiacente, qualis eft Mta Petrw: currit, ly currit videatur fungi munere przdicati, re tamen vera non tan tum habet rationem predicati, fed etiam habet vim copulz, cum faciat hunc fenfum Petru: eft curren: ; vndelicet vt gerit vices prædicati, fit terminus,nó tá vt gerit vices copulz. Et fi dicas in hac propofitione errere eff mouerily moueri, quoq eft ver bum, habere tantum rationem przdicati, ficutly cwrrere (ubie et ti, atqueità vt verba ' habere rationem termini, Refp. currere, 8c moueri effe verba tantum grammatica liter;at apud logicum gquiualét nominibus €ur[/a1, 5» motus, vnde apud logicum idem eft dicere currere eft moueri, ac curíus eft motus,vt ait Ant. And, : ..à Dubtumtamen eítde aduerbijs, coa ins nod ps quantitatis, vt omnis, aliquis. ifibus obliquis, et fimilibus,an oe termini fubire poffint eciam in fe inda acceptione : Affirmát aliqui eo quia in prepofitione t habere locum prz dicati, et fübiecti,vt fi dicatur Petr eff 4li qui1,0mnis ejf terminus f'yncategorematicus prater ejt aduerbimm er cfi coniunitio, et fic dealijs Imo Fuent.cit hac ratione tenet ét vocesnon fignificatiuas elfe terminos, nà dicimus Bliers mihsl. fignificat . Quin etiam Arriaga ob id addit litteras ipfas eff: ter minos, quando folz accipiuntur, nam dici» mus A elt littera.Verum probabilius alij æ gant,quia aduerbia, coniunctiones, et alia idganus nunquam ratione fui, et formali ter fumpta fungi poffunt munere fubiedi, et pradicati, vnde in allatis propofitioni bus fcmper aliquod. fubitanttuum iacclli gitur, in cuius virtute funguntur illa officio lubiecti, et prædicati,vt inilla propofitio pe Perros eff aliquis à parte przdicati füb intelligitur bom», et fenfus glt P2rws ef ali quislomo, in alijs à parce fub'e et ti fubin telisitar vex, vel quid fimile, vt idem pla ni fit dicere omms eff terminus Qupiceeegore muticus, aC dicere bec vox. obs eff terminus mcategorematicu:, et fic de alijs, qp eo, vel e""Edum eít ; Quod fi oppofitam opiai onem ( qui velimus,tunc cum Tatar. q :em feq A riaga,traét.i.com. 3. ad 1. dicendum clt ad hoc, vt aliquid fit fubie et tum in propofitio nefufficere, vt fit vox fignificatiua nacura liter communiter, .i. vt poffit reprzíenca re feipfam, quod eff figaificare large. Sed adhuc dubiü eft de nominibus ipfis fubftantiuis folitarié (amptis, et extra pro pofitionem, poffint ne dici cermini ; nam Arift. definitio allata videtur illis compe terefolum, quando funt in propofitione. Verum non ità rigorosé intelligenda eftil. ladefinitio, nam vt aliqua dictio dicatur terminus, nó ctt (emper ueceffe,quod actu a ig munere fubiedti, et predicaci,fed fuffiit aptitudo, vt ad cale munus poffit aí fumi, et non eam habeat repugnátiam,que reperitur in aduerbijs, eoniunctionibus, et fimilibus ; nomen fubítantiuum extra pro ofitionem dicetur terminus non in eo fen u, quod a et u extra illam exerceat officium termini, fed quia intra illam fungi poteft hoc munere, vnde dicatur terminus noma actu,fed potentia; nec aliud probant Com plut.cit. oppofitum (uftinentes. 3 Quoad alteram quzfiti partem Ter minus vniuerfim fumptus diuiditur in men talem vocalem, fcriptum,vt notat Tatar. tract.7.de fuppofitionibus com. 1.$./2c«m de (iiendum,quz diuifio fumitur ex Spi ci propofitionum frere æ tio bomo ef animal i fiat mente, dicitur mene talis,ft voce,vocalis,fi fcripto, dicitur fcri ta,cerminus ergo dicitur mentalis, voca fisve Ícriptus ; prout fubiectum, vel prz dicatum propofitionis elt mentale;vocale, vel fcriptum; Solent extrema quoque pro pofitionis mentalis términi appellari,quod quidem de propofitione formali, quz eff a et us, et fecunda operatio intelle et us, in tclligendum non eft, nam propofitio in hoc fen(a eft vna fimplex qualitas carens parti» bus,quarum vna crtbr de alia, vt có ftabit ex dicedis difp.s.de Anim.q,ro.ar.z. n.3o2. fe debct intelligi de propofitione mcatali obiectiua, quz talis dicitur, quia elt obie et umipfius formalis propofitionis mentalis, et inftituiturin etf: propofitio nis obicliuz per eam, tanquam per formá extrinfecam; itaq, propofitio mentalis in hoc fenfu,nimirum obiedtiue fumpta dici tur habcre t:rminos, et extrema,q aia in fe continet fubie et tum, et pradicatum coa ftituta ia eff calium per propofinoné for malem; mbmew 73^ enunciat hs ! a mo Inlit.T'ra et I. Cap.11. imo ejf «nimal interna, et formalis propofi tioin fe non continet fubicctum; neq.prz dicatum nec terminos, fed tantum propo fitio obiediua, vt etiam hic bene notauit Ouuied. Nomine autem termini mentalis duo poffunt. intelligi .f. res qug mente có cipitur,ac ipfa cognitio, fcà vt alij loquua tur conceptus formalis, et obicétiuus ; et quidem fiin primo fenfu famatur .f. pro re concepta, terminus mentalis à vocali, et fcripto differre nó videtur, eadem enim prorfus eft res,qua mente concipitur ; vo €c deprotmitur, et calamo exaratur ; at in fccundo fcn(u.f.pro ipfo rei conceptu dif fertà vocali, et fcripto, et diuidi: folet in vltimatum, et non vltimatum:vltimatus eft conceptus, fcu cognitio rei fignificatæ "per vocem aliquam, vel fcripturam,vt cum audita voce b»mo illud percipimus animal, quod eft rationale : non vltimatas eft con ceptus ipfius vocis, vel fcriptura fignifica tis non vltra fe extendens ad rem fignifica tam, et idco dicitur non vltimatus; fic G cusaudiens vocem home format concept non vItimatum, quia cum fit ignarus figni ficationis vocibdlaru latinorum, conci pit folummodo vocis fonum, non autem rem per illam vocem fignificatam.f. homi .mem.Porró licet Logica, proxime verfetur circà terminos mentales, et vocalcs nó nifi rationé mentalium attendat, quia tamen termini vocalesfunt clariores, et per eos innotefcunt mentales, frequentius agit Lo gicus de terminis vocalibus, atq; idco nos J 1 5 deiftis agemus, ac corum etiam diuifiones explicabimus .De Terminorum multiplicitate ratiene fgniféeationis, " X varijs capitibus folent termini mul tiplicari, et vari eorum diuifiones affgnari, ex parte nimirum fignificationis, "ex parte modi fignificandi, et ex parte rei fignificata: cx prirto capite, quantura ad | fpectat.folet in primis diuidi voca. is terminus in figaificatinum,3 non figui ficatiuam, ille efl,quraliquid fignificat, vc hzc vox homo,qui naturam fignificat hu maoam;ifte eft qui nihil fignificat, vt Bhti Yi,Buf, Baf. Sed vt ita. dinifio fit rcété tra dita intelligi debet de termino in prima ac . ceptione: ta cap. praccd. nam in fe cunda acceptione omnes termini f'ant figo ficatiui,cum effe poffint fubie et tum, et prz» dicatum in propofitione : terminus igitur vocalis in tota iua latitudine fumptus diui ditur in fignificatiuum, et nó figuificatiuü: quz diuifio vt bené percipiatur, cum ter minus vocalis conftituatur in ratione figni ficantis per fignificationem, videndum eft quid fit fignificare, et quid fit figni à quo verbum fégmificare deriuatum eft. Signü ex Auguft.:.de do et t. Chrift.cap.r. eft lind, quod prater [ui cognitionem, quam ingerit. femfibus, facit mos'penire im cognitioe nem alterius, v.g. hec vox bomo pracer fpe ciem,quam imprimit inauditu, vt fonus eft, facit nos venire in cognitionem alte rius .f. naturz humanz, vnde fignum debet effe tale,vt illo cognito per fenfus,median te illo deinde veniamus in cognitionem rei, cum qua figaum habet connexionem ; hinc B esdeade nil aliud erit, quam aliquid aliud à fe diftin et utn reprafentare potentie cognoícenti ; ex quo patet fignum dicere ordinem, et ad potentiam cognofcentem 5 cui reprzfentat, et ad rem fignificatà, qua reprzfentat, Diuiditur porro fignum in formale, et eft illud, quod abfque (ui prz uia cognitione aliud nobis reprafentat, et in eius cognitionem ducit quales funt fpe cies impreffa, et expreffa refpectu proprij obiecti, et in inftrumentale, quod prafup AU pofita fui cognitione facit nos in alterius cognitionem venire vt imago refpeótu Ce faris, ve mrefpec : euntis ; qua de Cri rg :q.9. et quol. t4. hoc fecundum fignum appellat medii co ghitum, quia vt ducatin cognitioné figna ttj prius petit ipfum cognofci, illud vero rimum vocat przcisé rationem cogno. cendi, quatenus przcisé eft qw» aliud cos gnofcitur, et non 4«ed cognolcitur . Signü autem inftrumentale eft, de quo agimus in prafenti, et quod proprie dicitur fignum, et definitur ab Augufl.cit. ea tamen defini tio etiam formali conueniet, fi prima pars dematur, et dicatur fignum effe;quod facit. nos in alterius rei cognitionem venire. Hzc tamen figni defcriptio, quamuis fit ab Augufl.tradita, et ob tantt Do et oris au thoritatem ab omnibus paffim recepta, ná recipitur à Poncio difp.1 9. Log. q.r. eamq. impugnat quoad vtramq. partem 5 qu primam quidem cum ait figaum cffe id, quod pos cognitionem, q«am ingerit fenfim: rc, cam redarguit,quianon com plectitur omne fignum, quia poffznt dari figna fpiritualia, qua ent in cogni tionem » mmm nies DeTermintrum muliplicitate: . "tionem alianm rerum ;nec poffent percipi à fcnfibus materialibus . Quoad aliam vero cparterp, in quaait ; quod fignnm facie mos "wenire $m tormitienem alteri»; eam impu matr, tanquam ab Arriag. traditam, quia obicéttim facicnos in cognitionem fui ve nire, et tamen non dicitur figaum. Ruríus D»cus ipfc facit nos venirein cognitionem anultarini rerum eas nobis reuelando, nec | tamen ab vllo vocatur fignum illarum re xum. Pratereà cognitio eít fignum rei,que " cognofcitur per ipfam, et tamen non facit nos in cognitionem venire. Sed nimis audacter: inficiatur Poncius doctrinam D Auguftini, quam omnes ve mierantar, vt communis Magiftri, vndé mi . tum effe nó debet, quod fxpius hic Auctor 4minimo rubore fuffufus doctrinam Scoti iprzceptoris zudcat impugoare ;. Optima enim eft illa defcriptio quoad omnes par : es, fi bene intelligatur, nam duz folent 'atfignari conditiones alicuius, vt alterius . ei fgnum dicatur, vna eft quod nos ducat Xx cn rei cogpicionem, altera eft, quod . iudus "emn ionem., quatenus co tramq. opti ivüdam exprimit conditienem ; vult em, quz inferüuire debet pro alterius .. igno,priusnoftris (cnfibus cognitionem fuiingercre debere, (pecificat antem fignü "ox effe deberefenfibile, quia vt gotat Doctor Doo wis 0s s. figna enfibilia(unt maxi uu mé apt: pro. flatu ilo excirare intellectum. Hs rU à fenfuum minillerio depen dentem; vt in alterius rei cognitionem ve nit; peralteram vcró. p.rtem definitionis altera quoque conditio exprimitur, contra quam nil vrgent inftantiz à Poncio addu x, quixobicétümfacit venire in cogni tionem fui, man sfcerius, ncc facit venire in €nenitionem fui, quatenus cognitum, vt fiátfigoum, fed quatenus cognofcibile. ; C xectiam Deus. hoc modo ad iaftar fieni ducit nos in rerum cogaitionem, quate aus cognitus, fed eas rcuclando, quod ad hac facere poffet, etianifi prius à nobis non cogaofceretur; cognitio deniq.eft fisuum P ricognitz. per ipíam formale, vt diccba gusnonautem inftrumentale,quod folum propriédicicur fignum, et ab Aug. dcfini e Lie cognitio propriéloqu.ndo non .. aiiturízcere nos venire in cognitionem .. mi, quam reprafentat, quia non ducit nos jnitionem illius rei, quatenus cogni !astim conditiontimv tio fieni ab Auguflino jnm per primam partem d:finitio d ^W e o$ ta, feu vc medium cognitum, fed vt ratio Cognofcendi; folum autem fignum inítru meatale eftillud,quod hic definitur . $ Et hoc fi inftrumentale adhuc duplex eft, aliud naturale, et eft., quod ex natura fua. independeater abhominum vo luntate aliquid reprefentat.vt usigué, et vniuerfaliter omnis eífe et tus fuam cau fam,qui przfertim fi fenfibilis erit, dicetur fignum caufz iuxtà fenfum definitionis al latz.An veróità é contra caufa dici poffit. fignum fui effectus, negat Hurtad. difp. 1. fe et t.4.quia etfi caufz cozuitio ducat in co gnitionem effe et tus,tamen non ell. ordina:a adillam reprzfentandum.Sed plan? non mi nus grdinata cít cognitio cauíz ad nostlu . cendumín cognitionem effe et tus à priori, quam cognitio cffe et us fit ordinata ad no titiam caufz à pofteriori, quare ratio Hur tad.parum valet. At inquiüt alij,quod licet ità res fe habeat. fola tamen cogaicio,quz r effectum habctur, dicitur haberi, per ignum, vnde. fola demonttratio à polte flerioti,qua elt per cffcctü, dicitur a figno, et ideo f'olfi effectus dici pot fignü cau(z,no et contra. Verü neq.hoc vrget licct.n.cogfit tio habita per cffe et um.velati fenfibilioré caufa,magis proprie dicatur à figno nil ta men impedit, quin et cognitto habita per caufam poflit dici à figno abfolute loquen do. Porcítigitur etiam caufa. dici figoum fui cfe et us, et pra(ertim quando fcnfibilis ett, vade à Theologis facramenta. dicuntur. ' ' figna gratiz,cuius funt caufa, icà claré col. ligitur ex Doctore. De fecundo principali fequitur. Cafil. cic. et Arriaga difp.s.fc et t 2. Aliud vero eft. fignum artifi ; 1 ciale,feu ad placitum, et eft,quod ex homi nunt impofitionc aliud repraíentat, fic rà mus eft on véditionis vini, (onus cam c panz e(t fignum le et ionis, et vox illius rei, ] ad quam fignificahdam eft impofita; Vbita . men eft aducrtendum ctiam in. vocibusip. fisnon tátum fignificationem ad placitum reperiri po(fe,fed etam naturalem, vc pa» tet de gcmitü mfirmorum, et latratu cani : et idco terminus vocalis fignificatiuus fub» diuidifokzin fgnificatimum naturaliter, et ad placitum et hic ad Dieledticiim fpes. état non qpideu e E I titatem,vt vox eit, onus quic ;caufatus,fed fecundu aho ed xcsipias fagaifcandaP e EoQ EE imr end, i,irhoc cine d pertinere dicuntur ad inlitutum Dialeó Cunsvt dicemus di(p.de V ocibus,ZW L3» 4 "nd E mE ^ S Kee MEO AMAT: "6 declarabimus ", per quid conftituatur ratio figni . D ] : 6 Deinde terminusad placitum fignifi catiuus fub4ruiditur in cathegorematicü, et fyncathegorematicum, cathegoremati cus idem latine fonat, quod per fe fignifi catiuus, et ideo per fcabfq; omni alio elfe potet (ubiec et tum,vel prz icatum in propo fitionc,vt homo animal: fyacathegorema ticus idem latin? fonat, quod configaifica tiuus, et ideo per fenon fignificat aliquid, nec poteft effe fubiectum, et przdicatum in propofitione, fed cum alterius confortio, cuius fignificattonem modificet,vt omnis, nullus;aliquis,vndé vt notat Tatar, tract 7. com.1.$. Tertio fciendu terminus fyacate gorematicus non figuificat aliquid, fed ali qualiter, quatenus fi adiungatur categore matico, eius fignificationem modificat, et facit taliter fignificare, i.reddit eius figni ficationem, ve] vniuerfalem, vel particula rem,velaffirmatiuam vef negatiuam: et di citur aliqualiter fignificare, non quia veré, et propriénon fignificetfed quia fignifica tum eius non repra'(entatur, vt res per fe, fed vt modus rei,.i. exercendo modifica tionem alterius rei qua de caufa negat Ar riag.fect.,. ef perfe et é terminum .. Addit Tatar.terminum mixtum .i. partim catego rematicum,partim fyncategorematicum, . et citille, qui impofitus eít ad fignificadum aliqaid, feu aliqua, et aliqualiter fimul, vt hac vox nibil, quz impofita eft ad fignifi candam negationem omnis entis, hzc.n.ipe fanegatio eft illud aliquid, quod fignificat, quatenus veró illam negationem fignificat .voiuerfalirer cuiufcanque entis, dicitur fignificare aliqualiter, fic etiam fignificat fubie et um propofitionis indefinitz,nam in materia neceffaria zquiualet vniuer(ai, vt bomo efianinal xquiualet huic, ommts bomo eff animal, et in materia contingenti zqui ualet particulari, vt et ems? currit zequiualet huic 44545 bomo currit. Ad hoctertiü ge nus reducit Tolet. lib. 1. cap. 12. et Arriag. e et,.omnia aducrbia v.9. /aprenter, doe, €"c.Sed non placet, quia cam difcrimen in ter terminos catcgorematicum, et fyncate gorematicum fumatur præfertim in. ordi ne ad propofitionem. itaut |]le fit, qui fine addito, et per fc poteit efe fübicctum, vel pradicatam propofitioni: jifte veró,qui nó poteft effz fubie et tum,nec pradicatumynifi cum addito, confequenter aduerbia omnia . et rüt termini fyncatcgorematici,quia (e fo Cs, finc addito nó poffiat c(f fubicdunn, Am. £x i " ; . [eo . Race . 1 re Pars Prima Inflis, TraélI. Cap.L1. vel prædicatum propofitionis, et per fe aon fignificant aliquid, fed itia aliqualiter Potiori ratione ad tertium genus termini mixti nomina adiedtiua reduci pof fent,quàuis .n.Hurtad .difp.x fect.1o. mor dicus eontendat effe terminos fyncatego rematicos, quia non fignificant per f:, fed confignificant,v.g.bomw: non fignificat per fe, et determinate aliquid, nifi addatur ali cui,v.g. Petrur bonus : Tamen fi nominum adiectiuorum fignificatio bené confidere tur, videbimus, quodlicet indeterminaté aliquo modo figaificent,ratione tamen for mz fignificat (eaum afferunt aliquam de terminationem,nam do£w: v.g. doctrinam importat,quod non euenit in fignis quan titatis emn sullut, Gc. quz nullam pror fus,rem determinatam fignificant. Accedit, quod nomina adiectiua poffunt effe faltim przdicatum in propofitioæ v. g. Petru; eff doct»; quod figais quantitatis prorfus có. uenire non poteít, ergo nomina adiectiua commodé ad hoc tertiü genus termini pof funt reuocari,quod/etiam tenent Cafil.cap. ; et Arriag.cit cum Bigniicent liquid, fv. aliqualiter,vnde remanet fola nomina fub ftantiua effe proprie terminos categoremamaticos, quicquid hic dicat Ouuied. . 2 Rurfus terminus categorema fubdiuiditur in fimplicem, feu incomple xum, et compofitum, feu complexü, quam diuifionem accom. tex p ont QV omo » c r EUR em COUR ita Roccus lib.: .introd.cap.s. Blanc.lib. 2. fe et .z. At vt'bene monet Tatar trac.:.com. 4. hzc potius I ett; [ cus .n. vocemillam appellat có plexam;quz conftat ex pluribus vocibus. et c eam incomplexam, quz conftat vna tantá, at non fic eft apud logicum, qui nonatteri dit vnitatem, vel pluralitatem vocum, fed conceptum in intellectu, cui iftz fabordi nantur, vnde etiamfi fint plures dictiones inter fecoanexz, fi tamen tn mente vnum tantum generant conceptum,terminü con ftituunt incomplexum, vt v.g. Marcus Tul lius Cicero, et é contra fi vna cantum fit di et io,conceptum tamen generet complcxa, erit terminus complexus; vt memo, mo, femper, quz zquinilent his, sillws bomo 5 nm amass, omni tesasore, Alij proindé fic explicant, quod termi nus incomplexus ett ille,cuius partes abia uicem feparatz nihil fignificant,aut nir gun "tX E 1 dam fic explicant, quod có VG pcne quod di j ^ De T'erminorum multiplicitate . iMficant illad, quod in integra dictione fi ificabant,vt "prem: eft terminus in mplexus;quia licet partes, in quas poteft iidi.(.Do; et mim»: fint fignificatiuz,tamé toto, et integra dictione hanc fignifica inémnon retinent :: Complexus veró eft ',cuitis partes eandém: retmnent. fignifica nelm,quam habebant in toto complexo, am abinuicem feparatz,vt homo ultus ; Amicus q.2 Ruuiu$ q:4. Complut. cap. ot lib.1 .cap.9.Ioan;de S.Tho. lib.i.fum. . »4. et alij paffim .. At hocduplicitcr clligi poteft,vel ita,quod rminus incó xus fit ille,cuius partes feparate non eà n habét fignificationem, quam habebat: integrá dictione etiam fygillatim fum' Fin quo fenfu Joqui videntur Auctores: iti; et hac io fala eft ; quia hic minus Agricola, Prorex, Refpublica, 8 iles,funt termini incomplexi (quicquid at Hurtad.) et tamen corum partes fe atz eandem retinent pco : im habebant in integra dictione figilla: fum E eodem modo vtrobique süt: fe: iüz., quia vt tales vot a; efe t illa romina,vt netat Fonfeca, ac e. V Visincdlign ur, quod partes ter' 'implexi te non retinent Dueqpei quad Robebun i | is RefPwblica qua in im ne fignificát totam hóminum commu tem;quam non fignificantfeparate;nec (a dictione figillatim fumpta ; ttadi | Scoto 4.d ^q. 2S. Aliter epo, vbi do' partes. dictionis nunquam figni ceptum fimplicem,quem dictio X videtur ipfius Arift.lib. 1. de Interp. t iif dicemus trac 2.c.1.Verü quia ad aliquis vrgere poffet, 9» nec €t | is, vel termini cóplexi, cát cóce 'omplcxü,qué tota oratio, aut termi tomplc xus fignificat, praftat dicere cü Ep Mn m incomplexus eft i] qui fübordinatur copceptui incomple contra veró complexus eft;qui fubor SI Mdee ees complexo in anima, etiá ca vox cffct,dummodo ad aliquod có im fien:ficádum impofita forct, quod "robat,quia alicui fmplici voci, cuius 8 fc parate non eandem retinent figni onem,poteft ore E coceptus lexus in mente, fi ad aliquod obic et tü blexum fignificandum imponeretur, ? fi littera A, (yiquit Tatar)imponere ^ wa t ? ur ad fignificandum beminem currere tung A effet terminus complexus. Pofiremó terminus incomplexus fubdi uiditur in finitum, et infinitum, primus elt, pi aliquam rem certam, et determinatam 1 gaificat,vt homo,lapis Alter eft, qui nihil determinate fignificat, fed tantü determi naté pues nó homo uon lapis,vnde ter minus itus euadit infinitus dum ei imme diaté preponitur negatio, et hic terminus non cit propofitionem negatiuam, quia negatio non cadit fuprà copulam . GA.R.V I,.1IL De Terminorum multiplicitate ratione modi fignificandi . $ TyRina diuifio termini, quz ex hoc ca K^ pite defumitur, eft in concretum, et abftractum,concretus eft.qui fignificat ali quid;vt exiftés in alio,quod concernit, vcl vt fuppofitum proprie naturz,vel vt fübie Gum, vt bomo, et album, nam bomo fignificat bumanitatem in aliquo fuppofito natura: humanz exiftentem indeterminate, /2me fignificat albedinemalicui fubicéto adiace: tem; et ideo omnis talis termiaus tialis, finé accidentalis, vt ^em fignificat nem;ferminus abílra et us fignificat aliquid ei e copulatim fumptz Ache | habens ffi: vere it confiatdc ribür e in 3 di per fe ftantis, et non alteriine fignificat. aliquidad modum compofiti, fiue fübftan. humanitatem,e/bwm habens albedi.. xiftentis, vt humanitas eft abftractum homi nis, et fignificat naturam humanam vduti à proprio sp pay feparatam, albedo eft i abftractum al, et fignificat formam albe dinis,velutià fubie et to cui inherebat;fepa ratam;abítrahere.n.idem eft; acab alio tra here,feu feparare, et ideo omnis talis tere. minus habet modum fi et non compofitum, Altera Diuifio eft in abfolutum, et con notatinum,quam aliqui ità explicant, quod abfolutus rem fignificat ad ftantis,connotatiuus veró per modum alte ri adiacentis, ita cum Tolet. Auerfa cap. 6. Complut.cap.4 Ouuied. in Summul contr, modum per fe gnificandi fimplicé EU 1 punc.s fed minus ree, quia iftæxplica | tio pertinet ad terminum concretum, et notatiuus, qui et um, cum quibus: céte gnifi, y t » i» Ed V ndi non. funtternunusabíolutus, et connotatiuus ; de^ al;j fic explicant, quod illefit termiz, Pusabfolutus;qui fe folo eft Ro uan ficatiuus,vt v.g. Petrus, Leo, et c.ille veró có ts infuafigmécatione notat terminum,fine quonon perfcóté fi gu 4 "Es "h hd gnificat primi generis funt omnia fubftan tua, fecundi generis omnia adiectiua,nam lbu: v.g.requirit alium terminum, vt ha beat completam fignificationem, itá Cafi lius lib.1.traét.1.cap. 3. vbi ait; quod licet à Philofophis foleant nomina connotatiua. aliter vfurpari,logicé tamen, et gramtnati caliter taliter víurpari debeo t quod fint talia nomina; que non habeant completam fignificatonem,nifi vel de altero predicen tur, vel alteri affigantüur, Sed nec. benéità explicantur, quia, vt liquido conftat,hzc explicatio omnmó ptinet ad terminos cate gorematicum, et fyacategorennticum, nà ille eít, qui fe folo cft perfe et é figuifica tuus, ifte vcro non fe folo perfecte fignifi cat fed vt alteri adiunctus; vt cóflat ex cap. praced. at confundi non debent terminus abfolutus, et connotatiuus cum categore matico, et fyncategorematico, quia funt diuerfa diuifiones, et ex diuerfis capitibus defumptz,vndé valdé decipitur Fuent. cit. diff.z art.z. eos confundens . 9 Vt igitur ifta diuifio;quz inter omnes: przcipua eft, et ad multa deferuit, re et te in telligatur;fciendum eft Summuliftas, Mlud dici connotatum alicuius nominis, quod non ex yi nominis importatur, fed potius datur intelligi ex modo fignificandi principalis figni ficati vt ex Scoto colligitur quolib.1 2.art.z. vnde non importatur pri mario, et directe, (ed fecundario, ' et indire €, et ideà ingreditur conceptumprei, non veluti per fe pars cius Lie modum. f. gene. ris? vel ditferentiz, fe extrinfeco,neceffirium tamen, vt perfectus rei conceptus, et quietatiuus, fic à eft nomen connotatiuü, quia licet ex vinominis, et directe folà importet comme "Élioné,tam et ex modo fignificandi principa. lis fignificati dat intelligere tcmpus vefper tinum, idq;neceffario cointelligi debet, vt . Babeatur coceptus perfe et tus,et quictatinus z. Ex qua doctrina facile colligitur ex tjo termini abfoluti, et connotatiui, nam vt docet Tatar.tra et t 7.com. 1.$.:./6i£ dm, et Brafaula q.7 et $.vniuerf. propé fi nem,terminus cof eft, qui ail cóno tat.i.qui bes gcnus, et differentiam,que funt per fe partes conceptus eius, nullum extraneum fecundario requirit cointcHi dum, quod eius conceptum quiddita 1uum ing rediatur,vt perfectus, et quicta tatiuus euadat, tales termini. funt bos,ho mo; et fimilia concreta fübftantialia przdi £amenti intiz, nam ctfi concernant 9 Pars"Prima Ifl. TraBt.I. Cap.IIl, veluti additum ab vt patet, et tamen eft nomen connotatiuü,. fuppofitam propriz naturf, tamen quf natura: cum to non facit vnum per accidens, vt forma accidentalis cü fuübie | et o, idcó totum illud compofitum e$ zquo importatur, non veró principaliter vnum et in recto, fecundarió aliud, et in obliquo . "Terminus veró connotatiuus é contra eít, 2 vltra principale fignificatum, et in rc 0, aliquid aliud dat intelligere fecunda rio, et indirecté, veluti neceffarium ad ha " bendum conceptum rei perfecti, et quie tatiuum, fic Pater dicitur connotarc filiü in ratione terrzini, accidens fubftantia in ratione fuübieóti, materia formam in ratio necompartis, quatenus hzc ommalicet fint extra f. em, et quidditatiuum có æ eorum. ; quia. ncc genus funt, nec ifferentia illorum,fpectant tamen ad con ceptum eorum integrum et perfe et tum, feurwr Scotus explicat 4.d. 2.q.1, it. Exhisfequitur omnia nomina abítracta tàm fubftantialia, quàm accidentalia effe edant ager 1 wi ge ter 3: . minus abíolatus ; non tus,idtamen itàintelligendumef quod nomimaabüra ctafubítantialiatamfecundum rem, quam, cundum modum fignificandi fiot dbí $5 t2 luta, accidentalia veró ratione tan eri modifignificandi, quia fecundum rem fi, gnifieantaliquid alteri adiacens. Sequitur . etiam non omnia pono effe conte ta,vtarbitrantur multi ; nam nomen crea tionis, et coüferuationis non eft concretü, vt docet Doctor quol. :2. art. 2. fic ctiam. nomen vitalis operationis non eft concre tum, et tamen eft coæotàtiuüm, vt docet quol.13. ad arg.prin. necé contra omnia concreta funt connotatiua, quia licet om nia concreta accidentalia. fint connotatiua, non tamen concreta fubflantialia, nifi quan, do nomine adiectiuo fignificantur, vt cor poreum,rationale, humanum, tunc enim fi gnificantur per modum alteri adiacentis ; vnde ratiene modi figmficandi funt termi. ni connotatiui . : 1o Poncius in fua Logica parua OP n14. hancnoftram non approbat exp. tionem.quia tunc nullus cífec terminus àb folutus ca fuppofita quoad nos, neq. enim poffumus habere vllum conceptum difti a» ctum; et quictatiuum de vlla re,quin necef farió habeamus conceptam de alia re; ergo fi tetminusabfolutuscft,quifigauficot rem finc dependentia ab alia rc,qua tania x ad habendurn conceptum quietatiuü eius, nullus erit terminus abíolutus ; probat an tccedens;quia fi effet aliquis terminus ab folutus, maxime homo, aut albedo, fed nec homo potcft perfecte abfque eo, quod intelligatur diícurfus, aut aliqua alia operatio propria ipfius ;nec albedo abíque €o quod intelligatur munus aliquod parti culare, et proprium ipfius, per ordinem ad . quod poft iflingui ab alijs formis, ergo nullus effet terminus abíolutus fuppofita pradicta defcriptione. Deindé coena; pro ut diftinguitur à prandio, principaliter, et perfe primó fignificat tempus vefpertinü ; o fi terminus connotatiuus eft,qni vltrà "principale fignificat aliud indirecte, coena ;fion etit connotatiuus faltim ratione tcm E fo tem . Hinc aliter explicat hos terminos . "dicendo, quod terminus conpotatiuus cft . ille,quifignificat rem relatiuam;vt relatiua r1 giaatque adcó qui connotat terminit eis; . bíolutus vero, qui fignificat rem abfolutà, ds. PA TE bfo ata cfl 5 cuius ratio eft, quod abío relatiuo, ergo conneta nus qui oppon turabíoluto, et hinc dominus, pa Of; | AM ein; idi autem cóno gens; tü "m ino c foluti album,iuftus,fapientia;humanitas,. $3 quia non fignificant formaliter relatiuum, ( quaxtadle,necrelationm, Hzctamen Poncij explicatio eft coatrà .. ommuncm modum loquendi Summulifta xum, qui paffim docent n bac diuifioneab folutum non opponi relatiuo;fed connota tiuo;non ergó per tcrminum connotatiuü idé prorfus intelligi debet, quod rclatiuus; "Tum quia licet rclatiua quandam cum con notatiuis videantur habere affinitaté, quia wtraq. dicunt quendam o;dinem ad aliud, 2dhuc ramen miagnumi inter ca vertit di : Kcrimen, vt infrà dicimus difp.8.q. 5. art. x. propé finem $. gro cemplegeuto buius art c. vbi manifc(lum fit terginum rclatiuum, et .,€onnotatiuum non cffe idem . Tum quia |. . Miquod concretum accidentale y. g. album | UR €ft tcrminus connotatiuus, et et tamen nó cít po ;vi v 2g D nead tempus vefj ; Hi veró termini funt. relatiuus, vt fatis de fe patet; quod veró sif connotatiuus;probatur, quia connc tare, vt conftat ex vi hominis, eft fimul cum vno aliud notare,non quidem ex prima nominis impofitione,fed ex modo significandi prin cipalis significati, atità fe habet hoc no men album;quod licet formaliter ; X ex ip» fa nominis impositione significet formam albedinis ; tan en quia significatur in con creto, idco rationc modi significandi) cum farma notatur quoq. fubicctum fecunda rio, ergo eft terminus connotatiuus, cum tamennon sitrcdlatiuus. Tum quiatermi nus relatiuus, vt sic, perfe primo, et dire cte refpicit aliud, et pracisé tanquam ter minum;vt pater filium 5 connotatiuus aut fecundarió, et indirecté, ac minus principa liter, hoc enim eft importari aliquid de có notato.i.non de principali significato, fed fccundario, æ veluti a ccefforié ; nec etiam refpicit aliud pracisé, vt terminum fuz de pertdentix, vt corítat in allato exemplo de albo, quod lignum v. g. vel lapidem refpi cit,vt fubiectuni,non vt terminum,fed re fpicit illud per modum annexi, et acceífo rij ex modo significandi principalis signi ficati, vt liquet de nomine coenz in ordi m. Neque rationes eius X ooo vr. ent; nam ad 1. negatur fequela antecedé concreti, tis.f, ex hac noflra explicatione fequi nul. ua for lumterminum effc abfolutum, fed omnem connocatiuum, quia fatis conftat non'omnia nomina rebus imposita aliquid consigni . boron, c gir ef ficare per modum annexi ex modo signifi. candi principale fignificatum, vnde hzc, et similia nomina erunt termini abfoluti; tü . x Mao dap podeis d. 11. Er ub lit. L. falfum eftnon poffe haberi vum conceptum diltinctum, et quietatiuum de vfla re, quinneceffario habeamus conce prim de aliare, quz non sit decius effen tia, alioquin nulla poffet à nobis affignari definitio quidditatima yerum, fed quelibet data efft per additamentum, vndé inquit Doctor, quod quamuis forma: habere ne qutamus conceptum perfectum quicta tiuum, nisi cointelligatur illud, cuius eff forma, et ideo quantumcunque cffentialia formz exprimercntur sine illo ; cuius eft forma,quamuis quidditas eius indicasetur, tamcn non effet conc ea peafectus quie tansintellectum, et ideó nec deSnitiuusi pihilozinus caufatum,quodceltinfequods dam compositum fubsiftens, sic iti jn fc, intellectus qais non " re minatiuum,. quz » fo aliud cointelligere ;  et  fic homo quiddita tiué,  et  quietajjué intclligeretur per hoc zcisé quod intelligantur partes effentia €s  et us, abíq.co quod intelligatur aliud, qued non clt de fftntia eius ; neq. ex hoc, quod heminis quidditas ex aliqua eius m ria operatione dcprehendatur pro ftatu Jie, ficut  et  alie rerum quidditates in vni ucríum, fcquitur omnia effe entia connota tua, fed tantüm ex operatione rei nos di fcurrere à pofteriori ad eius efftntiam ve fligandam,quod abfque vlla connotatione ficri potcft, non enim connotatio confiftit jn boc, quod vnum cognofcatur ex alio, wcl cum alio quemedocunq. fed itaut vnü x nominis impefitione detur intelligi, a iud vero fecundarió,  et  minus pripcipali tercx modo fignificandi principalis figni ficati, vt conflat in cxcn. plo de nomine nz. Ad z nceatur affup ptum nempé €enam;vt à prandio diftinguitur per fe pri . Pars Prima Inflit.T'rattI. CapIIT. terminus denominatiuus ille fit, qui forrh et  fignificat per moduim alteri adiacentis, in; formantis, et  dcnominantis, feà qualifican tis,  et  tale fit omne concretum accidenta. le, fubftantiale vero tunc folum, quandó nomint fignificatur adicétivo;fequitur om nia concreta accidentalia effc denominati ua, fubftantialia veró nonnifi quádo nemi ne fignificantur adic et uo 4  et  quia de De nominatiuis fusé agimus infrà Difp. a. q.6. hic plura nen addimus. ; CAPVT IV. De multiplicitate terminorum, im erdine . 3 ad res fignifcatas. "t 1 imadiuifio termini, quz fumitur AK ex parterei fignificatz, eft in ter minum communem, et  fingularem,Commu pis eft, qui aliquid fignificat commune plu ribus, itaut etiam fingulis feorm cenuce. niat, vt homo, qui conuenit omnibus ho minibus,  et  singulis. Terminus singularis. mo,  et  principaliter tempus velpertinü fi   eft,qui vnam rem singularem tantum signi dedico eæ. à ex Moa dire Bx, vel lura per modum vnius: Et tione impofitum fuit ad fignificandam co fabáiudir commu demin tr ionem,  et  folumex modo fignificandi | dentem,  et  limitatum; trapfcenc principalis fignificat innuit tempus vefper /  conuenit omni bus per c tinum,  et  ideo à prandio difli: guitur fo   do, vt Res,ens,vnu Jum penes connotàtum ; quod fícontédss   pluribus quiden aqnam per fe. primo fguificare tempus   Selpertinum, vt à prancío d;ftinguitur, ad buc crit terminus copnotatiuus quia fecun dati.  et  minus principaliter comeftionem Sgndenbir, am vemq. cr equos Bcper rimi care non poft, non enim. bsc duo talemh connexio  nem, et  zffinitatem, vt vnum per feconces   ua fuam Poncius ftabilicbat fententiam, negatur affumptum quod f. abfolutum, vt hic de co logauatur Summuli tz, oppona ptum facere poffint. Ad. aliam rationem,  tur relatiuo, nam potius hie fupatur, vt op. onitur connotatiuo,vndé connotatio ctia an rebus abfolutis reperitur ;vt conftat: in isallatis de albo, cena,  et  alijs, ertia demum diuifio cft in terminü dc nominantem,  et  denominatum, feu deno 1 díuifio grammatic alitcr ità explicatur, vt denominans fit à quo de nominatus deriuatur,vt à iuflitia iuffus,2b. albedine albus ;, At apud logicum dencn i natiua dicuntur ca vemina ccncreta,qua à Íuisabflradtis differunt in modo fignificá di /'qu.i cll fignific are per n.odum adiacentis,  et  fecundum illudyonicn adic et ivum "^ bibent virtutem d ncminandi, i. denc mi natiué pradicandi óc iubictlo .Cum ergo talem habent. inter fe connexio^ " ic homo, ille homo. Vagus; qui rem fin gularem indeterminate significat, nempe mediante termino communi,  et  fieno par n t  ticulari, vt er hemo. Colledtiuus cft, qui plura, fed in vnum collc et ta dicit. vt Po pulus, Ciuitas, Scnatus; Addunt ctiam ter minum fingulatem ex fuppofitione;vt filius $.Virginis intclligitur C hriflus ; quis fup ponitur vnum tantum habuiffe filium .  Sed obijcies, quod Petrus efl nomcn có mune fipgulis hominibus, qui hoc nomine appellantur, Ciuitas etiam,  et  Senatus plu ra fienifcant, ergo non funt termini gulares, Refp.nomen Petri vtique c] com n.unc pluribus,fed non res fignificata ad Petium, quia Patertale nomcn impofuit Filio fuo,vt evm diflingueret ab emni alio: Civitas vero,  et  Scnatus plura vtiq fighi ficant,fecd'in vnum collc et 2, et  hoc rry: dits, nc fiat terminus communis, ov: pluribus €cpucbit eem fecifin Iun ptis, fed ad» Luc e hüc erit terminus communis hoc nomen Civita, fiad hanc,  et  illam Ciuitatem có garetur,  et  non ad homines in eadem Ciui tate degentes. : 12 Rurfus Terminus communis fubdiui ditur in vninocum,zquiuocum, et  analogü. Vniuocus elt,qui conuenit pluribus fecun dumidem nomen, et  rationem importatam illud nomen ; vt homo, qui conuenit P.tro,  et  Paulo non folum (candum idem nomen, quatenus hic,  et  ille eft homo, fed ttiam fecundum eandem rationem per il lud nomen importatam,quia hic,  et  ille eft inimal rationale ; hzc.n. eft ratio illi ne nini correípondens . Æquiuocus eit, qui 'onuenit pluribus fecundum idem nomen, t nor fecundum eandem rationem illi no nini correfpondentem, fed fecundum di ierías,vt Cánis dicitur de animali latrabili, e fydere, et  pife, fed huic communi no ini eadem ratio in omnibus non correfpé et, fed proríus diuería,quia licet Canis ter lris,/ et  marinus conueniant ia eadem ra one animalis, non tamen in cadem ratio . et  defiaitione Canis. Terminus analogus equ pluribus conueniens, vel fecundum en nen tantum, vel etiam fecuadum eandé  ton Me. nd sorefpon entem, ita conuenit, vt participetur ab eis non z cra i HE cie ys Müpi 0 po pofterius, hic .n.ordo prioris, ofter f ium jg ns,6 VI PEN atu 9 9n o RUOMRMEET. e imum eft ita analogiz intrinfecus, vt be gixeur Caict.de nominü analogia cap.t, inequafi fynonima effe analogicé dici, et  teer rius, et  pofterius vndein omnibus olis femper per talem ordinem explica uit analogia, fic ri(usanalogicé dicitur homine ridente,  et  prato floreate (ecun n nomen tantum, fed prius de homine, 'oftea de prato metaphora iade transla ns analogicé conuenit fübftantiz, X ac enti fecundum eandem etiam rationem infecé ab vtroque participatam, fed có it accidenti per actributionem, X ordi | ad fubítantiam, (d quia de Vniuocis, uiuocis,  et  Analogis lat? difputamus rdiíp.z.q.4. et  s. de hac diuifione pro : hzc pauca (ufficiant. emum diuiditur terminus ia terminum lac, Sc(íecundz intentioais 5 terininus iæ incentionis cft ille, qui impofitus eft :zaificandas res, vt funt in fe indepen operationc intelle et us, vt mimi,  et  . Terminus fecundz intentionis elt il | impofitus eit ad (ignificaadis res (ub De T'erminorum muliiplicitate . Ex aliquo attributo racionis,quo non afficiun tur nifi negotiante intelledtu, vt gem: c fpecies, quod.n. homo dicatur fpecies,  et  animal zenus,hoc totum Brocdit ab opc rc iatelledtus . De V niuerfalibu:, fiue Pradicabilibus, J ees cóis vniuocus quádo in ot dine ad illa plura,quibus conuenit, cócipitur fub fecüda tt et ione fuperioritatis velut in ordine ad inferiora dicitur termin? Vniuerfalis, et  dicitur ét Predicabile,quate nus pratdicari póc,feu affirmari de illis plue ribus;quinque autem funt termini fic vni uerfales,feu przdicabiles .Gcuus, Species, Differentia, Proprium,  et  Accidens,de qui bus Porph. in Ifg03. cuius|diuifionis fufis cietia cít,quia o€,q przdicatur,aut przdi catur in quid .i. p modü nomiais fubitátiuis aut in quale.i.per modum nominis adicctie ui fi in quid, vel dicit partem effzntiz vel totam effentiam,fi partem effentiz, fic eft gos animal,fi totam effenriam, fic eft pecies,vt homo;fi predicatur in quale, vel rz dicater effentialiter, vel accidentaliter effentialiter,;fic eft differentia,vt rationa le, fi accidentaliter, vel intranfmutabiliter,  et  cum neceffaria connexiofie,  et  proprium,vt nfibile, quod licet fit extra neum ab hominis natura,tamen eft cumills neceffarió eonnexum;vel tran(mutabiliter,  et  finc neceffaria conmexione,  et  fic eftac cidens vt album: Affignamus autem diftin ctionem Proprij,  et  Accidentis per tranfz mutabiliter, aut intrá(mutabiliter prz4ica cari,nó aüt per pradicari cóuertibiliter,aut incóuertibiliter, vt multi faciunt, quianot pót Propriü conftitui in róne przdicabilis,  et  vt fic ab Accidéte diftingui per przdica ti cóuertibiliter, quia repugnat Vniuerfale in ratione vniuerfalis de fuis inferioribus conuertibiliter przdicari,de ratione enim term ni vniuerfalis,vt fapra dictá eft, eft, 10d przdicetur dc (uis inferioribus etia. eorfim fumptis,ita g» ét de fiagulis fingilla tim fumptis przdicetur, at implicat poffe ità przdicari de fuis inferioribus conuer  tibiliter, quiacum eis non conuertitur ià fubfiftend: con(cquentia . Geni elt i dicatur de. pluribus [pecie differcntibus in quid, ideft effzntialiter,  et  per modum nominis fübftantiui querenti n.quid eftho.  " me? recté rcfpondemus Apex ms  P 4 E 1 tiuum ud vniuer(sle, quod pra. ds íz . tiuum ef animal,quid eft Leo? eff animal,  licet.nhomo, et  Lco fpecie differant, con ueniunt tamen in ratione generica anima lis,ex hoc autem, quod przdicatur de plu fibus fpecie differentibus, palam fit genus . non przdicare totam effentiam fuorum in feriorum, alioquin fpecie noa different, . fed tantüm partem effentiz,  et  hanc poté tialem,  et  materialem, ac per differentias contrahibilem . Triplex veró genus diftin ui fclet,generaliffimum, feu fummum,  et  | just 4 eft illud, fupra quod aliud no extat genus, tale genus cenfetur effe fub ftantia, quia fupra fe nó habet nifi ens,q» nó eft genus,eo quia tranfcendens, eft com mune Deo, et  ereaturis.Genus medium,feu fubalternum; et  eft illud quod tam fupra fe, quá infra habet aliquod genus . vt corpus, lei € fubfítatiam, et  infra fe viués,  et  animal.Genus denique infimum, feu pro imum,  et  eft, quod infrà fe non habet aliud genus, vt Animal, fub ipfo enim im mediate ponütur fpecies,vt homo,leo,  et c. 15 Species ad duo co i poteft, vel 2d genus;cui fübijcitur,vel ad inferiora, de quibus przdicatur iuxta primam eompara tionem dicitur fpecies fubijcibilis ; ruxtà fecundam dicitur przdicab;lis, quia predi €àibilitas in ordinead inferiora attenditur, fpecies in ratione fubijcibilis definitur, quod fit ca, qwa ponitwr fub genere, quod in eelligi debet Maier, et immediaté, quia etiam indinidua fub genere ponuntur, fed mediaté, et  fpecies fub ifta ratione fubijci bilitatis eft triplex, fumma, feu fuprema, media,feu fubalterna;infima, et  vltima,que dicitur athora, et  fpecialiffima, fpecies fu bijcibilis fumma eft, qux immediate poni turíub genere fapremo,vt corpus in prz dicámento fubftantiz: media,  et  fubalterna eft quz non immediate ponitur (ub zenere füpremo,;nec immediate fub fe continct in eiuidua,vt viués, Animalin codem pre dicamento fubftantiz,Infima,  et  fpecialiffs. qma cft, quz fub fe immediaté eórinet indi uidua, et  immediaté continecdr. fub genere vltimo,  et  proximo,vt Homoin eadem: (e rie fubftantiz, qui immediaté continetur fub animali,  et  immediate fub fe continet Sortem,  et  Platonem, ex quo patet omnia £o fub fuprema contenta dici fpecies cibiles,non tamen przdicabiles, qui1 . siadinferiora compar et tur, de quibus prz C / éicantur, cimi ipscie differant, hibe rationem generis,  et  velut genera prdi cantur, Et idco fpecics przdicabibs ei vna. vx H b A E. m a zx " E oteft genus,quod non euenit in fpecie sfi st "Ee cintentic ii. Si atincrors come " Pars Prima Inflit, Tratl.1, CapJ 1] tantum jinfima.f. et  fpecialiffimz,  et  defini. tur,quod sit illud vntuer fale, quod pradica aur de pluribus numera differentibur im quid j.effentialiter, et  per modum nominis fub (tantiui,quzrenti.n.quid eít Sortes;recté re fpondemus, quod eff b»me, quid eft Plato ? eff hom», licet n. Sortes,  et  Plato differant numero p proprias differétias indiuiduales, cóueniunt tin róne fpecifica hominis : ex hoc aüt, quod fpecies przdicatur de pluri bus folum numero ditferétibus, ftatim de ducitur przdicari totam effeatiam fitorum inferioram, quia differentia numeralis not elt differentia effentialis,  et  quidditatiua ; diffzrentia namque indiui dualis non i net ad quid eft indiuidui v. g. Platonis, fed potiusad quis eft, fi .n. quzratur quis ett ifte homo? refpondetur,eít Plato. Ex quo tandem fa et tum eft folam fpeciem infimam proprie,  et  abfoluté dici fpeciem,  et  noc fe cundum Vniuerfale conftituere, quia fiué comparetur ad fuperiora,fiué ad inferiera  femper dicitur fpecies,  et  es red did  parentur, neceffirió habent rationem ge neris, et  nullomodo dici poffiütfpecies.   16 Differentia et qua res alioqui inter   fe conuenientesinaliquafuperiori ratione    Js abinuicem differunt,acdifcriminantur,  et    àPorphyrio infua lfagog.czp.. diuidituf   in communem,propriam, et  mam, Cóis eft, umitur ab a ia EM muni, fic albedo in h. d tia communis quia per cam v deu cogido: Techn qu albedinemnon habente.Propriæft, que   defumitur ab accidente proprio, fic homo, per rifibile differt ab equo, et  Leone, velut r accidens proprium .Proprijifima tandé cit differentia effentialis, rer quam vna res effentialiter ditfert ab alia; cii quaalioqui effentialiter conuenit in fuperiori ratione, fic rationalitas ponitur hogpinis differen tia, quia per ipfam effentialiter dirfert ab eque, et  leone;cum quibus alioqui conue nitin ratione eencrica animalis . Cü verà triplex fit fpecies, vt dictum eft, fumma 5; media, et  infima, triplex quoque crit ditfe tentia ; differentia nimirum fpeciei (üm iz,diffcrentix medie; ' et  di aipfimz y illz dicügtur differenti generic ; fcd ifta; dicitur abíoluté differentia fpecifica, qvia: ett ditferentia fpeciei vItimie . qua nequit díci genus,  et  hzxccum fit vt plurimum incomita ., non fui: a Porphyrio d fini t3 51092 4 De Yoteitfalibis: oara.dum dixit Difertia eff, qua pradscatur   sie ávi p "4 ms dlferéribur 2 mam differentia fpeciei infimz non pradi '€arur ; nifi de pluribus numero different "5bus,vt ipía fpecies infima; Cum igitur Dif £erentia, teft certium Przdicabile.com t omnes predictas effentiales dif rétias,tàm.f. genericam,quàm fpecificá, ali definitiode debebit d (lpos omni . bus fit Communis,v.g. ure fit illud vniuer fale 4464 pradicaiwr. de pluribus im quale sid,fiucilla plura disfcrant fpecie, fiue fo o numero vt docet Scot.q. 27. vaiuerf. fic quipp? definita tàm differentiam generic; eeide dde de itis infecr UE n, in e quid quia de fuis in. 5 vtiq. radicatur eficocidlite: ;nam dicit parcedi  e(fentiz, (ed quia dicit partem formalem, (0 gr qualificantem,ideo przdicatur per mo  dum qualis,feu per modum adiacentis,  et  . momine'adicétiuo,quarenti.p. quid eft ho mo, recte reípondemus per genus, quod (ef animal, quxrenti autem quale animal fit Uh. effentialiter;refpondemus pcr differentiam (ff ratinpdle; Ex quo patet lübijcibilia, re NES quorum Differentia v. g.rationalitas 0 EMtrtinafvniuerfale, n6effe inferiora fua . quidditatine.i.hanc, illam rationalitaté, . quid de iftis przdicaturin quid ;' et  velutt fpecies, fed effe inferiora fin fubie et,i. ípe " z promi uam conftituit, de iftis .n,  pradicatür in quale quer deSorte, et  Pla     7 tone,  et  po/süt dict fua inferiora qual: .at1  pof: di t H feri : qual . 7 pé, quatenus de. ipfis puerum in quale  .. quid;idern dicatur de differentia generica. ^» vq Proprinen,  et  Aceádenr (unt Vniuerfa. lia accidentalia," quía citra :effzntiam fuis 3nferioribus conueniunt, iu quo diftinguun tiirà zribus prioribus Voiuerfalibus, qua dicuntur Vniuerfalia effentialia, eo quia ef feiitialiter fuis inferioribus conueniüts quia tamen proprium. minus diftat ab: effentia iu tci quam accidens commune; vt poté,quod " immediate luit ab efferftia rei,ideo imme uy V düté fequitu£ poft vninerfalia effentialia Procuiüs declaratione aflfignat Porph. c.5 quatuor modos próprij ; proprium primo modoillad eft,quod accidit foli alicui fpe citi fed nonomnibus indiuiduis eius, vt hd mini effe Medtecum;vel Geometràa; pro prit fecutido modo eft, quod: accidit omnibus wm were ro "fed nen foli illi "pedo vt homini bipods; ropriü ter tio modo eft ;quod accidit foli;  et  omini, fcd: nonfemper, vt homini: in fene et tute can ; kei proprium quartó modoft, quad wes :  E L  T" | e ^ I 5 : cidit ommi, fili, fómper, vt hominietfz ri fibile;etfi .n, homo non femper rideat,(m er tamen habet aptitudinem 21 ridendá ; ait proprium hoc modo conftituere quai tum przdicabile ; quia accidit omni,foli; 82 femper, 3: e(se propri? proprium, quia có ucríim przdicatur de re, cuius eft propriü a Vndé aliud eít confiderare. propriamrin ra tione proprij, aliud in ratione pratdicabi lis, id ratione proprij vtique'coaftituitur rprzdicati conuettibiliter, rion tamea in ratione przdicabilis, quia fic przdicarg proríus repugnat rationi vniuerfalis, quod: cá cóparetur illis,de quibus przdicatur, ve fuperius fuis imfetioribus, namquam cü eis conuertitur ifi fubfiftendi confequentias fed conttituitur in ratione vniuerfalis per cess dere omni foli, e» (emper, quod idem eft, ac przdicari de pluribus in quale accidentale neccfftrio,  et  intranfmutabiliter, vt Scot. explicat q. 3 1. vniuerf.in corp. vbi explicás allatam Porph. definitionem ait, quod per ly accidit habetur rati » prædicabilis, et  mo us przdicandi;f. in quale accidentale, per ly omoi, c fóls habentur. fubijeibilia pro» prij; qua nimirum (unt inferiora quiddita tiue illius generis, vel fpeciei; cuius eft pro prium.,  et  per ly femper habetur neccfütas przdicandi, per. quam diftinguitur ab Ac cidente, quia eroprium de fuis fubijcibili bus.ità neccffarió:,  et  intranfmucabiliter przdicatur, vt deillisomninó negari ne queat licet .n. poffimus noa intelligere ho minem cuni rifibilitate, quia abftrahétium non eft meuJaciam, nequaquam tamé I fumus inzelligcre hominem finc rifibilita te vcl fub oppofito rifibilitatis aba; pre iudicio edfcatiaipfius hominis, quod nó eft verum de Accidente communi etiam infe parabili refpectu faifubief et i, quia  et  fine .€o immo,  et  fub eius oppofito poteft intel. lig: fine repugnantia; vc Coruus fine nigre dine, vel etiam ful» albedine. Hic camé ad uertendum eft, quod licet Porph. defiaierit. tantum proprium fpccificum (forte qui notius) potet ramen,  et  debet eadem de finitío applicari etiam proprio generico, ly omni, en filiintelligendo omnes,  et  olas (pcctes illns generis, cui adzquatur, | t n. hoc quartum przdicabile có» ens itur genericum y Ls med 4cutr am ar ucc denrale neetarie c intra[Furebi ita plura umero" ^ j x » fiue etiam Ípecic diffe FADE. cU mwdonujr o qiu io5 ep UO FTT 1$.4c Ld  we : 1 a6 met ) E Ya » qut v. ox w. M. | m "P. 45, fint numero folum, fiue etiam fpecie diffc ^ rentia, vtalbum refpectu Í hy. d p We » "de i4 13 Accident commune, quodità vaca tur ad differentiam accidentis pu j de. finiturà Porph.ef: qd def, e bob pra. ter (ubiechi corruptionem, quz definitio vt explicet accidens commune in ratione vni uer(alis, debct intelligi de accidente pro fe cunda intentione,  et  fecundb intentionali ter explicari, vt $cot.docet q.34.I 3 $. Vni uerf. vbiait: accidens fumi poffz primà intentionmaliter, vt idem fonat, quod inhz rens, vel alteri adiacens,  et  fecundo inten tionaliter, quomodo dicit illam fecandam intentionem,quaz attribuitur, alicui, quod fine implicantia poteft affirmari,  et ncgari de (übiedto ; itaq. in hac definitione nomi ne /uhiedi intelligitur fubiectum predica tionis,non inhzfionis, et  ly def,  et r 5e? nà fonat idem, quod inhzret, vel non inhzret. przter fubiecti corruptionem, fed capitur fecundó intentionaliter, vt idem fit, quod affirmatur, vel negatur abíq; prziudicio effentiz fubiedti,in quo accidens commus ne diftinguitur ab accidente proprio, quod non poteft negari de fübie et o abíq;dettru  et ionc effentiz illius, nam ficut ex rifibili tateredé infertur à pine humanitas, ità ex negatione rifibilitatis re et é infertur negatio humanitatis. Et hanc definitionem fecundó intentionaliter effe explicandam infinuauit Porph tem, quz ex accidentibus infeparabilibus contra definitionem oriebatur, refpondet predictam definitionem conuenire étiá ac cidenti infeparabili quia re et e intelligi po te ít (ubiectü finetali accidéte, vt /Ethiops non niger,immo cum accidente oppofito, vt JEthiopsalbus fine ipfius corruptione,er go Porphyr. locutus eft in definitione de coniundtione accidentis cum fubiecto ; vel fcparatione per intelle et um; quz non fiunt nifi fe fecundam intelle et us operationé, f. affirmationem,vel negationem. Explicat verbaccidens in ratione vniuerfalis, quia vtait Do et or cit. per totum illud copulatü T, Cr abefl prater. fubiehi corruptionem, infinuatur genus,  et  ifferentia,nempé p dicari in quale accidentale tranfmutabili tcr ; Ex quo patet accidens commune non effe quintum Vniuerfale refpe et u fuorum inferiorum quidditatimé, vt color non eft accidens refpectu albedinis,  et  nigredinis, fed refpe et tu (ubie et orum, cum quibus con tíngentem habet connexionem ; finé hac : homtnis, niuis y Jas,  et c. quia accidens quintum predica Su : pfe,qui videns difficulta. ^ "s. Pars Prima Ioflit.Tradl.I. Cap.V1. bile omprehendit accidens tàm genericit, uod .f. Qiuienie ETM Tcr deriv cificum,quod .f.in liuiduis cantua vnius pecid: competit :amverà etiam fubftantia przdicando contingenter de aliquo fubie  et o fundare poffit fecundam intentioné ac cidentis quinti przdicabilis ;affirmatiué re fpondemus in difpuc.  et  hzc fufficiant de uiaque Vniuerf. alia namq; plura deipfis icendaad quz. differimus. De Pradicementis, 6 primi de abfülwir. 19 Via non fufficit Logico folum co oícere cermíinos pradicabiles,  et  fub:jcibiles, fed etiam rectam eorum di fpofitionem cognofcere debet;vt legitimas przdicationes conficere poffit,. icà poft TON przdicabilia, ru fuht mode candi e(fzntial iter, vel accidentaliter, in uid,velin quale, de przdicamentis agere cbet,quzíuntcoordinationesgenerü,  et  et Bredicato e a. fpecieru, (eu debita difpofitio pradicat rum effzatialium [iig T iren ra vfque adindiuidua; fecundum fub, et  decem veró funt przdicamenta, ad'qua tanquam ad decem claffes,  et  (umma géne ra reducuntur omnes naturz rerum,  et  ea» rum gradus, atque císenciali ! tria prima funt abíoluta,  et  ad fe,fubítan tia, quantitas,  et  qualitas,  et  alia feptem reífpectiua, Sead'aliud Relatio, Actio, Paí fio, Vbi, Quando, Situs, Habitus, cuius de narij aumeri efficax fufficientia affignari ná poteit, fed retineridebet, vtaitScot. 4. d.15.q.1. C.  et  quol. i i. K. quia famofa eft,  et  ipíamet antiquitate probata . Neq; per tinet hzc io ad Metaphyficam, cuius roprium eftagere de ente,  et  eius (pecic us; quia agitur hic de ilis ij(dem, noa vt naturz quzdam funt (fic .n. ad Metaph. fpe et tant) fed modo logico, vt nimirum res explicantur,  et  fignificantur vocibus,  et  rzdicantur, ac fubijciuntur, fiué vt fub E fecundis intentionibus przdicabilita. tis,  et  (übijcibilitais . Sumunt vero hz de cem rerum coordinat:ones à gencraliffimo fuo.nomenclaturam, vt ferics omnium fub ftantiarum vocatur fubftantia,  et  feries omnium quantitàtum Quantitas,  et  fic dealijs, quodlibet verà yrzdicamentá tri bus cótexitur coordinationib, vna media,  et  duabus collateralibus, media quidem eit Len fpecierum, et indiuiduorum ita pofita,vt genera de fpeciebus, et ipei c radiata,   2 wt. e " Á 1 Ww € c NEIN. LESSONS ILS avv wt WY Vue we ow PU um s." 2) qua nen efi m. [ubiedia Ji x wi rA a 257 E 35 »  Kcindividuis przdicentur, et vniuerfim om pia fuperiora de fuis inferioribus,in latera libus veró differentiz (quas fzpé per acci dentia propria circümloquimur) funtcol locata, vnm .n. quodque genus per duas diuiditur differentias ad duas fpecies infe xiorcs conftituendas, vt fubftantia diuidi: tur per corportum, et  incorporeum,X cum fac differentia conftituit fpiritum, cum il corpus, et  codem modo dicendum in alijs tegorijs : Neq; inlinea laterali differen tiz fuperiores de differentijs inferioribus E fe prdicantur, fed tantum de inferio jbus ecicbus  et  indiuiduis, quz funt in edia linea, vt fcnfibile non pradicatur de  fationali,(cd de homines  et  deniq; cum ens finitum fit, quod in decem przdicamenta . diuiditur, ac deícendit, quacunq; in prz dicamentis reponuntur, funt entia finita, imjtata, talis itaque eft f'ru et ura arbo | talis,cuius figuram in textü 'zdicamentalis eft. ens ubfiftens,ideft non alteri "n quia fubftan vade uper s gea ' et o, tanquam de per fe inferiori, quia indi widux efi,u fingularis generis [afar ; wo fubiecio, fed dicitur de hielo à. caret. fubieto inhafionis, non tamen pradicatiopis, talcs fubftantia funt Ts  et  fpcéies,animal.n. licet ncn fit in bic et o, pradicatur tamen effentialiter de fubicQo, ranquam de per fe inferiori, nam dicimus homo eft animal, fic etiam homo pradicatur  ff. etialite r de Petro, et  Paulo,  nec ramen cit in hoc; vcl illo; tanquam ac cideusin fubicéto per inhafionem, fed tan. quam natura Comn.unis jn fuis inferioribus. Etcum pr:ma fübllantia omnibus fubftet, tüm .f. cundis fubfl antis, quàm acciden tibus, quia de illa hac omnia pradicantur, idco primó, rrincipalter,  et  maxime fub flare dicctur,  et  maxime emnium fub(tan tía, intcr fccundas vero fibfilant;ias magis dicetur fubflautia fpccics, quam gcnus, tü quia prepicquior cft prima fubilantiz, tum quia fpecies magis fubftat, quàm genus, "Quia eGam ipfi Jébrjciturgeneri.  Em  . ne fubie et torum, quibus inharent "icy ma 'ccundas giu ape SDireKorus TE CEKEnT bifantie la qua nec efl sm. [ubie.  ria . "Tertia/que determinate conuenit : 9s dto, mec dicit e fubicdo Æ, vel is; crab bsc aliquid ad diffeteng ; non dicitur de fübie   1j ntiz fex affignan de fubftantia, rima, que ; ibus fubftantijs,  et  pri mis,  et  fecundis, earumqj pariter differen conet fubiecto non effe, hoc eft in fu bieéto nullo hzrere, deq: nullo accidenta liter przdicari, fi fecund9 ;intentionaliter dicc: Neque id proxime ditis infine capitis pracedentis, vbi diétü. communis eft eft fubftantiam quoq.poffe de aliquo fübie  et o contingenter przdicari; quia ibi erat fermo de accidentaliter prædicari per mo dum accidentis pradicabilis, hic autem lo uimur de przdicatione per modum acci entis przdicamentalis nam fundamentum icationis huius eft vera, ac propria inharentia forma in fubie et o,de quo prz dicatur,quz DAbsati m deg re pugnet, confequenter ei repugnabit prz dicari de aliquo fubiccto Jer modum acci dentis przdicamentalis. Secunda, qua có uenit determinat? fecundis,ac earum diffe rentijs eft, vniuocé pra dicari de primis, 3. fecundum idem nomen,  et  candem ratio nem im illis effentialiter inclufam,quod etiá vniuerfalibus pgdcuEon  et  corum diffc rentijs c tit, non quidem comparatio un, ab Jed infe care tiam fecindarü, que fignificant qualequid,  vbi ifti termini MN fenfu qu ^ d. usqu vniu y | Main in quale, fed ariin i due ^ figni dise fignificarenatu ram iücommunicabilem, fignificare ver quale quid naturam inultis communicabi lem,aut numero, aut rabie differens tibus,quod etiam vniuer s accidenti. bus  et u inferiorum fuorum competit nam fuperiora in accidentibus per dif. fercutias ad inferiora contrahuntur, ficat  in fubftantia ; indiuidua vero, fcu fingula riaipfornm accidc ntium |n funt incó municabilia, quia fub fe infertora nori ha bent, de quibus predicen ntialiter,. im communicabilia fupt, quia fubie étis, quibus inherent, deneminatiué com municantur, quod eft effe mcemmuni lia, vt qæd, communicabilia,yt 2. € 3  ta, lubflantia nihil contrarium cffe, tari, prime p AD fecundg, quanmisaccidentia   cquenter contraria fint accido aque accide tis. vnius ) r bus altcrius, vt accidentia u " busigoissLocwerbidemcompetitquantià  tatibus. e . SE Lm. i wd r 16 tatibus etiarn, non .n. bicubitum, tricu bitum contrariantur, neque quatuor,  et  fcx,  et  fic deceteris. Et hoc quidem intel Jigendum eft de contrarietate proprie di €la, que vcrfatur inter formas pofitiuas fi bi inuicem oppofitas,  et  ab codem .fubie €to fe mutuo expellentes, quo pa et o con trariari dicuntur quamplurime qualitates ;  et  per hoc foluuntur rationes, quibus Mai ron. paffu 16. in predicam. contendit in fubítantijs veram ftatuere contrarietatem . Quinta, fubftantia nulla fufcipit magis,  et  minus, non,n. patitur intenfionem,  et  re miffionem, vt calor in aqua, qui modó in tenditur in ea, modó remittitur, quod fi militer conuenit quantitatibus . Sexta dc mum, qug eft vera proprietas in quarto modo proprij :  et  competit detcrminaté prime fubftantie, efl, quod vna,  et  cadem numero fit fucceffiué contrariorum quo xundam fucceptiua cum fui mutatione;tan uam eorum vltimum fübie et tum ; dicitur decent, quia fimu) contraria fufcipere nequit, dicitur cemfrariorum quorundam, 1jà opusnon eft vnam,  et  eandem fubfti m omnium effe contrariorum fufcepti uam, non .n. lapis capax eft gaudij,  et  tri ftitie,  et  fic in multis alij5, fed fatis eft, vt  'Miqua recipere poffit 5 dicitur cwm 9i mu fatiene, quia oratio contrariorum quidem fuíceptiua eft cadem numero manens falfi tatis, f.  et  veritatis, verum id nom cuenit €x orationis mutatione, fed rei, ab. co.n. od res eft, vel nen cft, oratio dicitur z. vel fal(a ; dicitur tandem, tasmpuam fS lbiedum vltimum, quia pordi qu dem a titas cíi fui mutatione contratia fuíc ere fucceffiué, vt fuperficies albedinem,  et  ni gredinem, fed non tanquam fubic et um vl um. 21 Quantitat cft accidens abfolutii, quod adueniens vei facit lam extenfam im cvdi we d locum, velánerdiue ad tempu:, vndc denominat eam magnam, vcl paruam, diu turnam, vel breuem,  et c. Diuiditur in con tinuam,  et  diícretam, continua eft, cwu; tes copulantur termino communi, vel cu  jus partes proprios non habent terminos, nec vna eít ab alia diuifa, vt [nea bipaTma yis, cuius partes palmares fupt inuicem có iunctz . Difcreta eft, ewig; partez nov c noe teymina rame cuius partes t proprios terminos,  et  funt ab inui cem folutz,fic numerus ico ure dicitur difcreta quantitas, quia pastcs eius funt homines, quorum vnus cft io " e Pani" Prima Ifiit. Tratl.I. Cap.  dinifus, fimiliter oratío, culus fyllabz fun abinuicem folutz . Continua vero fubdiui ditur in permanentem,  et  fucceffiuam, illa eft, cuius partes [unt imul, Ntlinea cuius partes fimul exiftunt, hoc eft,in eodem té. pore; ifta eft, cuins parses mom funt fimul, ed vna poft aliam, vt tempus,  et  motus uorum partes non funt fimul, fcd vna oft rg non .n, vnus dies eft fimul cum alio, neque prima hora fimul cum fecunda, Per manentis tres affignantur fpecies linea,que €ft longitudo fine latitudine,  et  profundi tate; fuperficies, quz eft longitudo cum latitudine, fed fine profunditate,  et  cor pus, s habet longitudinem ^ aticudi nem,  et  profunditatem,  et  idco trinam di citur habere diméfionem, fuperficies duas, linea vnam tantum 5 addit Ari(t. locum,ve lut quartam fpeciem loquendo famosh, Succeffiuz affignantur duz, tempus, et  mo.  tus. Et hac diuifio quantitatis. in quantitate difcreta, permanens eft no.  merus, cuius partes pi ócalis   oratio, cuius partes fluunt, dum proferun   Nei is 1s formaliter aliquid de nominat q tum, ner pé longum, itun »5 profundum, mult um, pauéum, magnum,, paruum, MEE. s A eai ed i 2 23 Alfectiones quantiratistres'afigná tur, Prima quz illi communis eft cum fub. . flantia, eft quod nullum patiatur con UE nulla n. contrarictas cft inter lineam, fue de icier riæ n : p  et  co em perma fubiecto; deindé tempori etiam nihil ui asicinm, nec bum e pus alteri contrariatur, non n. hiems op ponitur zftati, fed eorum qualitates, nec dies contrariatur noi, quatenus tempus fignificat.fed vt fignificat aciis illuminatio ncm;  et  nox illius priuationem,  et  hac cti o æm non eft contraria, fcd priuatiua, nulla item in quantitatibus diícretis con trarjetas reperitur, vt patet difcurrcndo per fingulas ; Eft folum abqua difficultas de e  et  paruo, multo,  et  pauco; breui,  et  diuturno, quz contraria videntur j. fcd facilé occurrit Arift. quod fi hzc aliquam videntur habere inter fe contrarietatem, plané ear non habent, vt quantitates, fed vt relationem fundant, dicimus .n. aliquid magoum,  et  paruum, multum,  et  paucum, non per fc,  et  abfolute, fed per compara tionem ad aliud, Et adbuc falfum ctt iffa effe contraria, alicquin de vno, X codcm contraria nunciarentur, idem .n. tc ap M a t dá À made s e LN d gi un doter nb o "7 owtVirtus Diei ONSE "4  "S De Pradicamentis. eft breue,  et  diuturnum, idem mons ma gnus,  et  paruus, ijdem homines pauci,  et  multi comparatione diuerforum, non igi tur funt contraria, fed potius rclatiué op pofita. Altera quantitatis affectio, quz ei pariter communis eft cum fubftantia, eft non fufcipere magis,  et  minus, hoc eft non pene intendi,vel remitti, quamuis bené fu ipercpoffit maius, et  minus,quod cft ma gis, Sc minus extendi . Tertia tandem, que propria ceníetur in quarto modo,eft vt fc cundá ipí(am dicantur res materiales xqua les, velinzquales in magnitudine, vcl mul titudine, vcl duratione, ita tamen vt ly fecsndum quam dicat rationem fundamen talem,  et  non formalem, vt Scotus docet quol. 6. formaliter namque res dicuntar zquales, vcl inzquales per ipfafmet rela tiones aqualitatis,  et  inzqualitatis. 1 24. Qualitas dcfinitur ab Arift. per fuum concretum, vt fit accidentalis forma abfo, peas, æc quam [ubiethum denomina. tur quale y, cuius quattuor affignat fpecies . fubalternas, vd potius modos, vt or ( explicat 4.dift.6.q.16.N. quatim prima eft P xa jitus,  et  difpo itio, hzc cfl qualita; de "E 4 deer mobilis à. [ubiedto, vt V in adole r5 . fcentc; ualitas de difficili mobilis, L 't Virtus in fene,vnde babitus,  et  difpofi . tio differunt tantum fecundum perfeclum,   et imperfc et un,s  et  ideo non duas,fed vnam . "tantum faciunt fpecie qualitatis, quia per   fectum,  et  imperfectum non variant Tpe   »€iems  et  in hac fpecie ponuntur qualitates omues, qua fuum fubiectum aliquo modo preparant, et  difponunt ad operandum, vel,. paticodum, fiué fint corpore, fiué fpiri . Wales, qua ratiene inquit Arift. abitum poffe dici difpofitionem,quatenus ad ope Tandum difponits vndé ad hanc fpeciem re ducuntar. habitus omnes, tam corporis, qcim animz ex actibus acquifiti,  et  pari,romnes fpecies imprefsz,tum Infibiles, tüm inte [;gibiles, qua licet proprié non finthabitus;funt tam. habitui fimiles, qua ^ tenus per cas excitamur  et  difponimur ad weperandum . Secunda fpecies qualitatis (ontinct omncs facilitates, vel difhicultates matures ad agendum, vel patiendum,  et  r inpaturalcm potentiam, vel im iam, qct funt duz inter fe effzatia diftincta qualitates ex nullo actu ac ?. 17 ter potens ad aliquid agendum, vel ad ali cui refiftendum, vt durities quandam na turalem potentiam fignificat, qua durum eft naturaliter potens ad fecanti refiftendü, vt non facilé dinidatur;  et  quidam natura Jem habent potentiam; et  promptitudinem ad curfum, ad lu et tam, ad paleftram,  et c. Ex quo patet erro) ponentium in hac fpe Cie omnes potentias anima vifiuam, audi tiuam,  et c. x omnes proprias pafliones, quia hicnon fumitur naturalis potentia pro facultate indita à natura, qua poteft quis fimpliciter facere, ( nifi talis a et tiua virtus pee pre à fuo fubicéto diftingueretur, nam fic ad hanc fpeciem adhuc pertineret, vt dicemus in quzfticnibus) fed qua potett fic facere, i. prompte,  et  expedite, vt DoGlor notauit in 2.d.16 q.vn. P. Naturolisimpo tentia é coatra cft quzdam cong:nita qua litas,  et  àfbaturali complexione indita, per quam ipfum redditur naturaliter impo tens, cu ineptum ad aliquid agendum, aut alicui refiftendum, vt mollities naturalem fignificat impotentiam, qua molle natura liter impotens eft ad fe et ioni refiftendum,  et  in quibufdam cft innata quzdam defidia,  et  ineptitudo ad pugillandum ad faltandü,  et c. vndé in hoc differt hzc fecunda quali tatis fpecies à prima, quodin ifta ponun tur facilitates naturales,  et  ingenite ad ope randum,  et  in illa facilitates acquifite, vt funt habitus;  et  idcó in kac fpecie repo nit Delphinus nofler in fua Diale et .cap. de Qualit, vires omnium rerum fublunarium, vt plantarum,lapidum, metallorum,  et  mi neralium omnium, nam tales virtutes red dunt ea, quibus funt ingenite, potentia ad aliquid agendum, aut alicui rcfiftendum : ac etiam omncs Coelorum infuentias pre ter motum,  et  lumen. 25 Infüper rti qualis fpecies eft paffio, et  paísibilis ra itas,que tantum ac cidentaliter inter fe differunt fecundàm perfe et um,  et  imperfectum, pafsio .n. eft qualitas illico traufiens, vt rubor ex vere cundia proueniens; pafsibilis veró qualitas eft magis radicata in fubiedto:  et  fub hac fpecie omnia continentur fenfuum extez "porum obicéta,vt lux, lumen, colores,odo rcs, oni, fapores,omnes denique tangibi les qualitates frigiditas, caliditas xc. qug omnesideo dicuntur pafsibiles qualitates,. quia in hac fpecie rcponuntur, vtnate funr immutare fenfus AM nsa llros,  et  eis pofsicnem quifita; fcd à natura ipfa congenirz, vnde wituri$ potentia «Kt quadam congenita quilras A € ali complexione alicui e qum fun redditur naturali Sekt  b t Ex 4.1 Y " H i i P  B. a aliquam inferre, imprimendo nimirum ig ienlibus fpecies fco biles,  et  cum cis effi» : € cicido Em 7. " á X^ Za Ke "Me $5 18 ciendo fenfiones;  et  ad lianc fpeciem re ducit Delphinus cit. omnes tüm corporis, tüm anime pafísiones amorem .f. odium, audium, trillitiam, dolorem, iram,timo m, fp.m,  et c. omnes item actus, fcu ope rátioncs facultatum organicarü, fiué inor ganicarum, vt fenfiones, imaginationcs, appetitiones, intelle et tiones,  et  volitiones, €o quia funt actus vltimi non ordinantcs potentiam ad operandum,  et  idcó potius fpc et snt ad hanc fpeciem, quàm ad primá, etfi Doctor vtrumq. admittat vt probabile quol.:3 € c. Arift veró folum ponitexem pla de qualitatibus fe;sibilibus, tanquam de manifeftioribus, ait Doctor ibi s Quarta fpecics efl forma,  et  figura, que in proposito pro codem fumuntur pro di Ípo:itione nimirum, et  terminatione quan titatis, «ndé in aliqua re figurata poffu mus confiderare tria .f. ipfam rem, ex qua conflat, vt lignum. et  quoad hoc pertinct ad gcsus f.bitantiz, quantitatem) eius ter mvnatam linealiter,  et  fuperficialiter,  et  fic pertinct ad genus quantitatis ; tandem ter avinationem,v«cl difpofitionem quantitatis; )g dici folct forma,  et  figura, vt rectitu, curuitas, triangulatio, quadrangula tio,  et c. et  hec conílituit hanc quartam fpe ciem qualitatis, in qua proindé ponuntur omnes figura artificiales, naturales,tàm animatorim, quàm inanimatorum. Mo nettamen Do et tor 4.d.1.q.1. S.  et  d.12.q.4. J.in rci veritate Biguram quid abíolutum importare non poffe, cum figura vltra qua titatem non dicat,;nifi relationem termino  rümncludentium partcs ad fcinuiccm; po nitur tamen fpecies cuacem qualitatis, quia habet mecum déncminzu 1, p'fdi candi qualitatis, zbíolutum ncn pe,  et  fine «xprcffarelaóone ad ahud, hon.o namque denominatione abfoluta ità dicityr à pul chritudine pulcher, ficut zb albe cw« albus; jtà Doctor quol. :$. 1. Án ; 56 Aff:  et icncs qualitatis tres zff gnan Sur j Prima c(l habere contrarium, fj r fas namque calicitati contrariatur, albedo nigredint, qua tamcn non cnni ccmpetit qualitati,nam nec celores medi adinuxcm contrariantur, cum fub eodcm e«nere pon saximé di lent,quz maxima diflantia eft dc raticne contrariorum, ncc fpecies focnfi ?biles,aut intelligibiles contrarium babent,, mec lüræn, cui ctfi oppcpátur tenebra hac tàmen nó cft cppofitio pofitiua,qualis eí fe dcbct contrarieras, fcd tantüm primati ua. Sccunda «ftjquod fufcipit magis,  et  Dars Prima Inflit, TraclI, Cap.1. minus, vna .n. qualitas eft magie intenfa, quam àlia, vnum v.g. calidum babet plures caloris gradus, quam aliud,  et  idem in di uerfo tempore cft modo magis, modó mi nus calidum ; hzc autem proprietas non conuenit qualitati in abftracto, non .n. vna albedo dicitur magis albedo altcra, quia cum per abfítraéta nomina dcnotétur quid ditates,  et  effentie rerum confiflant in indi uifibili, hinc eft, quod qualitates in con creto tantüm fufcipiunt magis,  et  minus,  et  (ecundü gradus indimiduales;hanc tamen affectionem ait Arift. non conuenire omni qualitati, quia nec quartz fpeciei, nec qua Iitatibus in abftracto ; fed quartz. fpeciei aliquo modo etiam conuenire poteft, quia vnam lineam dicimus effe magis,vel minus, curuam alia. Tertia affectio, quz propria cenfetur qualitati in quarto modo, eft fe cundum eam aliqua dici fimilia, vel diffimi lia,ficut fecundum titatem dicebantur zqualia, vndé due alba dicunturfimilia,al   bum,  et  nigrum dirfimilia, ità tamen vt ly fecundum notet rationcm fundamentalem, non veró formalem,quiahzc eftipfa rela   tio fimilitudinis, vel dfinslisadnis t "a ^ EI^ 5,De Pradicamentis refpefiiuit . ? 17 R Elatio eft accidens, quo v»a re: ad aliam'refertur, fem quo ynares a  liam evjpicit, qua rationc folet appellari re« Ípe et us, vt Paternitas eft relatio;   ft 1d, quo Pater refertur ad filium, vel refpi cit hlium,  et  ideo Relatiua, quz funt cou«  creta reJationis, definiuntur effe jll«, queri effe efl «d. aliud f et  bibere : jn quibus tria con i debent, id; d rcfertut, id quo rcfcrturjid, ad quod refertus; primum appellatur fubit Cum, quatenus eft illod;in qe recipitur relatio,  et  dicitur etiam fun amentum, vt Petrus, qui fundat pateroi tatem in ordine ad Paulum ; fecundum aut cf formale aut fundamentalc, forma le eftipfathet relatio v.g. patcroitatis.fun damentale cfl ratio fundandi relatiopem;v. g.potentia actiua generandi in Patre ; tcr tium eft terminus rclationis,  et  dicitur cer relativum, vt Paulus filiis, Relztio alia cft realis, alia rationis, hac £t ab intcllcétu'in re, que relationem à parte rei fundare nop potci, vt v. g.in Dco n ordipe ad crcatue ram; illa rcperitur in re feclufo auc cun que opere intellcgtus;t in NIMMA Or. P" E tio, Pafsio, et c. Ex quo fequitur ad re Tati .de quarto przdicaméto quatuor A exigi conditiones, fit relatio realis; ' dan  quod fit actualis, nam aptitudinales perti |. mentad przdicamentum fui fundamenti,  quodfi àfundamento realiter diftincta ob | . eandem rationem, vndé quz realiter fundamentis identificantur, dicuntur relatio 7 . westranfcendentales,non pre C de 7  et  tandem, quód fit intrinfecus adueniens, 5 ) $ » vje |.   feferunt refi TM ell Pali v conditiones ex Scoto i.d. 5 i.  et  3 quod extrema fint realia,qu. ter » " dine ad Deum; ad quam tres requiruntur ol.6. art. fint reali,  et  quod inter ea ex natura Oriatur extremorum,non yerà per actum intellectus, dinalem, quz refpicit terminum non actu exiftentem, fed aptitudine, et  fubie et o rea hter penes vt furt propriz pafsio nes;  et  hee fübdiuiditur in aptitu » quz refpicit terminum actu exiftentem, et  hzc rurfus fubdiuiditur, 2lia .n. eft (uo fundamento realiter iden t1 ficata, vt relatio effentialis dependentiz Creaturz ad Deum, alia realiter à funda mento diftin et a ; quz adhuc duplex eft;in trinfecusadueniens, quz acceflario poni tur extremis pofitis in quacuaque diftan tia,vt fimilitudo;  et  extrinfecus adueniens, que non reíultat ex fola extremorum pofi tione in rerum natura, fed vlterius requiri tur debita corum approximatio, vnde quid extrinfecü exigit, vt infurgat,  et  tales pre us vltima fex prz dicamen nam extrinfecus aduenientes fpc et ant ad vltima fex przdicamenta. Relatiua fimili. ter; quz funt concreta relationis, alia (unt fecandum effe, quz de principali fignifica . torelationem prefeferunt, et  abfolucü con notant, vt Pater,  et  filius, vadé fecundum totum fuum effe ad aliud dependere dicun tur, taaquam ad termiaum ; quod notan ter dicitur,quia licet accidens vefic habeat dependentiam ad fubicótum, non tamen tanquam ad fuum terminum,  et  hec funt relatiua huius æ creep alia (unt rc latiua fecundum dici, que de principali ab folutum important,  et  relationem folum connotant M cme 9 eæ, «t fcientia, que principaliter qualitatem importat,  et  connotat relationem ad ícibile;  et  idcó ad pitdicamentum abfolutum fpectant, Vtra que vero relatiua alia funt mutua, alia non mutui, illa funt, pterea referun ur rdatione reali, ifta, in qu vno eft ^, rthtiorealis,  et  in 1lio ratioris,nec e(t de .o pndatía reciproca hinc in le, vt Creator, «vl NA «i De "Pradicamentis  r3  et  Creatura, Et rurfus vtraque ali funt €quiparantig, que in vtroq. extremo fun damentum ctufídem rationis habent, vt fi militudo, equalitas, alia difquiparantie, que fundamentum habent diueríe ratio nis, vt Paternitas,  et  filiatio, que candem alia funt (uperpofitionis, vc Dominus erga feruum, alia fuppofitionis, vt feruus ad Dominum, 28 Atfecliones Relatiuorá quinque enu merantur. Pr.ma eft, quod in relatiuis, li cet non in omnibus, reperitur contrarietas, vt inter virtutem,  et  vitium, fimile,  et  dif fimile; fed hec nou dft vera atfectio rela tiuorum huius predicamenti, nam virtus,  et  vitium funt relatiua fecundum dici,  et  qud fimile,  et  difsimile, fint relatiua ecundum eff,tamen Contrarictas non co uenit illis per fe,  et  fórmaliter, vt relatiua funt, quia ratione relationum tantum rcla tiué opponuntur, fed tantum ratione fun. damenti, .i. contrariarum qualitatum, ia qo» fundantur . Secunda eft, quod que E fufcipiunt magis,  et  minus ratione fun damenti, vt fimile,  et  difimile, quz fun turin qualitatibus fufcipientibus ma gis,  et  minus, folemus etiam dicere magis;  et  minus zquale, vcl inzquale: verum vt notat Delphinus,id improprié dicitur,nim . zqualitatis,  et  inzqualitatis fundamentü, quod eft quantitas, non intenditur, aut re mittitur, fedexcenditur, S fit maior, aut minor,  et  ita fit maior, vel minor inzqua litas, non magis, vel minusinzquale. Sed qu ità communiter explicentur hæ uz relatiuorum proprietates ; adh'tc ta men valdé probabile eft contrarietaté pro priam competere quibufdam relatiuis fe cundum eff? ettá formaliter fecundum effe relatiuum ; ac etiam quafdam relationes ps magi s,  et  minus fuícipere etiam in uis formalibus entitatibus  et  non in fun damentis tantum, vt cx profefsó dicemus infrà difp.s. q.«:. declarando has propric tates. Tertia, qux competit folis,  et z om nibus relatiuis, eft dici ad conuertentiam, 4. quod vnum dicatur mutuó in ordine ad aliud, fiué hic ordo fit realis, fiué rationis; vt fi dt imus Dominus ferui dominus, dis cere ctiam valeat feruus domini feruus, Ícientia (cibilis (ciencia, (cib:l  (ctentix (ci  bile: ex quo patet falfum effe, quo: mu ti dicunt hanc relatiuorum conueitentiam diccre mutuam dependcntiam vnias rela tiui ab alio per relationem realem in vtro que extremo fundatam,atque ideo p re C 5 Q. Á 7 zo Jatiuis mutuis hanc proprietatem conueni ve 5 Arift. .n. ait hanc attectionem omnibits | rchitiuis conuenire,  et  inter alia exempla 2dducitillud de icientia  et  fcibile,qua funt relatiua non mutua . Oportet tamen con ucuienter a(ügnarc relatiua ad hoc, vt ad conuertentiam dicantur, fi.n. quis diceret ferutis donuni feruus, non poteft conuer tere dicendo, homo ferui homo; vndé in terdumad hanc conuenientem afsignatio ném oportet.nofia nomina componere, vt facit Arift. in textu . Quarta eft, quod funt fimul natura, hoc eft, fimul naturali exifté tia, ita quod pofita fe ponunt,  et  peretpta feperimunt;ad quam relatiuorum finulta tcm cx poft predic. cap. de fnnul d: exi guntir conditiones, vnà, quod conuertan : tur fecundum fubfittendi corfequentiam, quz fola non fufficit, quia ita fe habent fu biedum, X paílio,  et  tamen fubiedum cft pes natura'paffione; altera, quod neutrü t caufa alterius, quia caufa precedit na tura caufatum ;  et  ft dicas Patrem effe cau fam filij, id verum cft de patre materiali ter,non formaliter fümpto, vt relatiuum cft, hzctamenaffcétio non eft communis omnibus relatiuis, fed tantàm mutuis, vt Scot. docet 1. d. 2 $.q. :. F. namablato ( ait Arift.  fcibili,  et  fenfibili, aufertur vtique fcienzia,  et  fenfus, fed non et  contra ablata fcientia, K fenfu, aufertur fcibile,  et  fenfi bilc. Quinta tandemaffectio, que eifdem competit rclatiuis, eft, quod non tantum fint fimul natura, fed ctiam fimul cognitio ne,  et  dcfinitione, itaut qni definité cogno fcit ynum rclatum,definit? cognofcat,  et  al terü, quia diflinéta cognitio vnius relatiui ex diftincla alterius cognitione depédet, de qua proprietate fufius infra in difp.a. q.« i. 19 4/he ex Au et ore fex principicrum efe, fecundum quam in id, qucd fubáctter, «gere dicimnr, 4. vt cxplicat Doctor ia 4. d.15.q.1.cft refpectusipfius agentis ad pafz futh; quo agens dicirir formaliter 22285,  et dicrurnotaater fermaliter, cuizogens effcécliué non dicitur agcre 3dtione; fed fua virtute abfoluta, vt ignis cffediue dicitur agere calore, fed formaliter dicitur agere actione, vndc rotat Do£lor cit. fub P.quod aliter calidum calore calefacit,  et  aliter ca lefactione, mim calo:e calefacit, «t princi pio cffectiuo,  et  fundamentali, quo: dici ter ratio agendi.calcf Cone vcro vt prin Cipio Formali denoxinan li calidum ag ns, ita quod ly. fecundum qi dicit lab.tudi nem caufz ormalis, X forie proxi é dc bo Pars Prima Inflit. Tratl.I. Cap.V1l. nominantisagens. Dicitur sw 5d, quod /[u bácitur, ad differentiam produ et tionis, qua refpicit pro termino, non fübiectum traní( mutatum, fcd formam in illo productam v.g. calorem in aqui, atque ideo eft refpe  et us intrinfecus adueniens ad quartü pra dicamentam o rr em autem pro ter» mino refpicit fubie et tum tranfmutatum,  et  eit rcfpcétus extrin(ccus adueniens, quia vt infurgat, extremorum approximatronem oftulat, nam vtinter ignem;  et  aquam re | etus calefa et ionis exurgat; débet aqua iapproximari, vndé minus recte Delphi nus  et  Poncius refpectum productionis in boc predicaméto reponit. Diuiditur Actio velut genus in fpecies in immanentem,  et  tranfeuntem ex Scoto quol.15. D d. per im manentem intelligendo; que eft ad termi num manentem in agéte, vt actiosqua ocu lus fe immutat ad vifionem,  et  incellectus ad intellectionem, quia vifio manet in vie dénte, xc. per eixifisiteni veró, quz eft Md M tranfeuntem Man vt cale e a ignisnon fei mutat, fe andes ed ar calor peo, olent etiatn operationes vita es appellari actiones immanentes;vt vifio, auditio, iatcllectio ex Arift.g. met. 16. fed.  €quiaocé folum,  et  grammaticaliter, qua  tenus fignificantur per verbum actiuum ; alioqui funt qualitates de tertia fpecie, vt ibi diximus,  et  monet Doct.cit. Propria a et ionis atfe et io in quarto modocítex fe inferre pafsionem, non quidem illatione confecutionis, vtaliqui exponunt, quaté nus fi actio efl,valet inferre, quod etiam fit paífiojhiec.n. illatio conuenit etiam paífio ni, quia relatiua mutua, vt funt huiufmodi, inferunt fe mutuo, fed intelligendum cft de iMatione caufationis ; quo fenfu cau(a inf.rt cffe et um,non é contra,eft autem hoc proprium a et tioni in quarto modo, quia li cet qualitas, aut fubftantia vt ratio agen di,  et  principium cíffe et tiuuminferat pafáo nem, non tamen tanquam principium fore male, et formadenominans.: « .   Pa[ffio definitur ab Auctore fex. princi uod fir effectus, IHatiog. «clon; hoc elt cf 15, qut infertur ab actioné;que cft que dam notificatio Pee Pull eme propric. tatem, proprium cnim in quarto modo cit abadione inferri modoiam de clarato,melius tamé defcribi poteft ex 5co to loc.cit: quod ficit actio torimaliter de ipfa loquendo cft rcípettus agentisad paf am, fcu zranfimucaatis ad tranímatatum 5 » ya De Predicamgutis.   ftà e cotra paílio cít refpe et tus pafíi a12gés, feu tran fmutati ad tranímutaas, vndé ficut actio pro formali fubie et atur in agente;i cà paffio in paffo, Et ficut a et tionis duz affi gnabantur fpecies fubalternz ; a et tio.!. im manens,  et  seanfiens; fic daz eruat fpecies paffionis, paffio nimirum immanens, quz erit cffeétus illas a5 agente, fed non ex tra feipfum,  et  tranfiens,quz erit effectus jllatus ab agente extra feipfum; vndé quan doaliquid agitin feipfum vt cum aqua cali da fe.frizefacit;dicitur pati paffione imma mente,Quando ver agit in aliud;illud aliud dicitur pati paffione tranfeunte;  et  licet co  d hac Asin bris, nil   impedit, quin fuo modo applicetur paffio ni. Omittimus hic quio M iiodes alias a£ctionis,  et  paffionis.quas affert Au et tor fex "princip. puta in corporalem, et  fpiritualem : Vicods non funt diui(iones formaliter,  et  sn. perfe actioni;  et  paffioni competentes, fed 7 tantum rationc fubiectorum; in quibus fun dantüt;allatz atitem à nobis petitz funtà terminis, à eos FW Ren fpecificantur  et  v 21   ad ped a qui eft motus primt cceli, duplex conlürgit refpectus mutuus y vnus in tempore adrem téporalem, vt men fucantis ad menfiratum,  et  dicitur quando a et tiuum, alterin re temporali ad tempus, vt menfurati ad menfuram, et  dicitur quan do paffiuum, quod folim definitur ab Au Gore Í5x princip.cum tàmen hocnon con ftituat przdicamcntium quando, f«d refpe  et us aliqurs vtrique cominunis,quod etiam fecit de Vbi, Situ,  et  Habitu. Carautemid fecerit, dicendum, vel qaia refpestus patfiug funt nobis manifeltiores, ac magis familia res, vel etraffz non affiguando rationes ho rum przdicamentorum communes, vt po terant affignari,vt ait Do et or 4.1.10. q.1 K. De fecic huius przdicaméti aliqui di xerunt nullas habere, vt refert Doctor. t. d.3 q.5.O;  et  adhuc «ffe generaliffinam;de cuius ratione folum elt, quod nul!ü habeat füpraucniens genus, non autein, quod fub fenyllas habeat fpecies . Alij dicunt.effe temptis przfens, pratcritum;  et  facarurm, velmelusefe in tcmpore prafeati,i prz d a et ióries . Comu aüradioni, et  paffio terito futffe, et  in fifturo fore, que ctiam ex Eu . pihabere contrarium, S fufcipere magis et .  plicantur per hodie, heri,  et  cras. Atc ficuc die   aminus;non quidem per fe,fed peraccidens,  praterit im,  et  futurum, quz funt partes ^. "quatenus qualicates; quz imprimuntur ab ^ temporisnon differüt fpecic;ficut nec par. Jagentcin paffum inter fe contrasiantur,vel | testineze inter fcità nec cocxiitétia ad hoc,   .. omàgis, et  minus fufcipiunt, i. »  velillud tempus crit fpecie d'ucrfa: Itaque Nc . remittuntur, fic calefaétio d ' [fpecies huius prad:camenti erunt Quan faüioni contraria, fiue fint a et ti paf « do a et ctiuum, et  Quando paffiuam vt pariter 0 0 fuz,  et  vna res dicitur calefacere, vel ca  Æfieri magisalia. S EROS » 3t Qusdo, vt przdicamcutum eft; non aduerbialiter, fcd nominaliter (amitur,qua   «enus fieuificat cfe in tempore, fi concre     tiué fumatur,in abitrado vero dicit habi tudinem,  et  reípectum rei cemporalis ad tempus;cui res illa fubijcitur,' vnde dcfini tur ab Auctore fex.princip. effeid. qus2 ex adiacente temporis in ve temporali derelin quitur; pro cunis intelligentia (ciendum eft tempus eff: menfuram dirationis iftarü re rum generábilium; et  corruptibilium, vnde fi quzratur quantum durauit concio, re fpondetur vna hora duabus hoc autem té pus,quod elt menfurá rerum tranfeuzzium, «ft motus primi Cocli, qui quotidie confici tur ab Oriente in Occidens, per duratione .n. huius regulatiffimi motus durationis hà : runfinferiorum rerum metiri folemus,ficut  inhorologio per motum illius inftruméti, quod dicitur tempus,quia vniformis eft, et  regulatus, menfuranter njotus aliarum ro tirom inferiorum . Ex coexiiteucia vero rei ED EBCMM vx mtm " i dicemus de Vbi, Situ,  et  Habitu.Affzct:ones veró funt quod non habeat contrarium,  et  quamuis mase contrarium vefperi videa tur, id non eft rationc refpectuum, quos important, fed fundamentorum, .f.lucis, et  tenebra; quod non fa(cipiat magis,  et  mi nus; et  quod fit aptum ef: in omni co;qüod incipit effe in tempore i. quod fit aptuni denomitaare folum res corruptibiles,  et  t et » pori (ubiacentes,  et  eft proprium ig quarto modo, Aa veró ad hoc predicamentum re » duci debeat etiam coexiftétia Angeli ad zui ternum, vt facit Delphinus; dicetur in quz ftionibus; vbi etiam cxplicabrmits,quomo do fit refpectus tertias adueniens, V5: quo etiam nominaliter fumutür, ell cireumferiptia corporira lacs circumíeri ptione procedens; pro cuius d; fimitionis ex plicatione (ciendum, quod ex applicatione füperficiei concaux corpos locancisiqua dicitur locus 4 Fhv£.41.2d corpus Jocatum duplex « xurgit relpeótus, vus contia actiua in ipfa fa iecontinente, Se dici tür Vbi aétiunm: alter continent; padia a bu / y | 2 LL in corpore contento,  et  dicitur Vbi paffi uum, et  vtrumq; diuiditur in circumfcripti LEY. dcfinitiuum ; quam diuifionem for té infinuauit Gilbertus ipfe,dum Vbi diuifit in fimplex,  et  compofitü : Circumícriptiuü eft proprium corporum, quia cít cum com meníuratione rei locatz ad locum,  et  e có. tr3; itaut totus locus toti locato correfpó. ' deat,  et  partes partibus . Dcfinitiuü eft pro. prium rerum immaterialium, que eft fine vlla commenfuratione, ita quod res fit tota in toto loco,  et  tota in qualibet loci parte: 'Ex quo patet à Gilbert. folum Vbi paífiuum circumícriptiuum fuiffe definitum, cum ta men Vbi in communi ad a et iuü,  et  paffiuü, circumícriptiuum,  et  definitinum fit apex Ms prazdicamenti, illa vero Vbi fpecies illius, vt docet Do et  4.d.1e.q.1.K.  et  quol. 1 1. infra C. AffeQtiones veró funt,quod có trarietatem non habeat, quod de vera con trarietate in qualitàtibus reperta intellize dum eft quia contrarietatem in alio fenfu, qualis eft illa,qua verfatur inter terminos motus fucceffuii, habet vtique,  et  talis re itur inter Vbi furfum,  et  deorsü, de qua i Phyficis. Altera,quod non fufcipiat ma gis,  et  minus,quis Vbi non incenditur, vel remittitur . Tertia tandem in quarto modo,,quam afüignauit Arift.4. Phyf. eft, quod fit immobile,  et  explicat Or 2. 33 Situ, fcu Pofitio cff quidam partium fétus m generationis RS A As,ad ie de finitionis intelligentiam fciendum eft,quod eipblications partium loci adlocatü du plex exurgit mutuus;vnus in par tibus loci terminatus ad partes locati,  et  dicitur fitus a et tiius,alter in partibus loca ' d terminatus ad partes loci,  et  dicitur Si tus paffiuus, quem folum dcfinit Gilbert. li cet gencraliffimum huius przdicamenti fit Situs in communi, Differt verà Situs ab Vbi,vt ex Scoto colligitur 4. d. 10. q«i. fub M.qued Vbi refultat (15quendo de paffiuo) in rclocata ex habitudine ad totum locum; Situs veró ex habitudine partium. rei loca tz ad dererminatas partes loci, vndé fit w« inuariato Vbi poffit mutari fitus,vt quando vinum agitatur in vafe, manet intrà candé fupcrficiem concauam vafis,  et  in eodem Joco, at fingü!z partes vini refpondent vi ciffim diuerfis partibuslociitamen vterque reípc et tus càm f. per Vbi, quàm per Situm importatus eft extrinfecus adgeniens, quia corpus jy ifta v.g. fuperficie ncc locari, ncc fituari dicitur,. nifi prius ci approximctur, ! . a6. E. Situs vero fpecificet mod de immobilitate op ica noci lotus. tet 'ero fpecificet modum pr: Pars Prima Inflit. Tracl.I. Cap.V12.  et  fiat przícns . Differt autem pofitio hu. ius przdicamenti, vt Do et or innuit loc.cít. à pofitione de genere quaacitatis,quod hec fignificat ordinationem partium in ipfo to ' to fine refpectu actuali ad locum, illa veró ordinem a et tualem partiumlocati ad partes loci, vndé inuariata pofitione de genere SRME poteft iutari pofitio huius pre icamenti, vt fit, quando homo varijs mo dis (c componit erigit,incuruat, incumbit,  et c. tunc .n.non mutatur ordo partiü ho minis, nam caput femper immediaté adhz ret collo, mediaté pe et ori,  et  fic dealijs artibusinter fe, mutatur tamen ordo i arum adlocum, Solet fitus diuidi tanquam in fpecies in feffionem, ftationem,  et  cuba tionem, item in naturalem, quem tetigit Gilbert. in allata definitione, veluti à natu. ra inftitutum, vt quod caput fit fupra, pe desinfra ;  et  in accidentalem, qui ex libero pendet arbitrio, vt fi quis pedes fupra ca put cleuaret, fed non funt vere diuifiones generis in fpecies, fed potiusfubie et i inac«   cidentia ; quare verz ípecies huius pradi« camenti erunt Sinus actus palus: Alij veró etiam ex Scotiftis, vt Bonet. in füisPradicam.itàexplicantpredicamentü   Situs, vt fit modus quidam ipfiusVbi, fic od Vbidicat abíoluté przícntiam rei in  Velfic C iacendo, ftando, fedendo ; vir CFSASSRUS e iie a L accidens eii utatur in. Kta tionem,feffionem Mee cau in fpecies, de quo fufius difp.8.q.12.art.z. interim te neatur allata æ Viel ytcommu niorinter Scotiftas. Affectiones verb funt, quod contrarium non po lo ww de contrarietate proprié, alioquin fuse ftatio opponitur fcio, vd inbadont : rurfus non fufcipiat magis,  et  minus, non .n. magis fituatum corpus ftans, quàm fedeus: Proprietas in quarto modo elt nobis igno t2, nifi forté ponatur ordinabilitas in loco, 34 Habitw:,vcl Habere varijs modis ac cipitur,  et  quidem in lata fua fignificatione dicitur de omni co,quod in aliquo eft quo modocinque, qua fignificatione ponitur ab Arift. 1nter poflprzdicamenta ; hic ve ró fpeciali modo fumitur, vt fignificat ha bitudinem mediam inter habentem,  et  rem habitam, $c definitur a Gilbert. Hab;rus eft corporum, e eorum, quacirca corpus. fum «dsacentia leníus c1, quod cít miitua quz dam habitudo corporum,  et  corum, quz funt circa corpus adiacentia,ità quod cor pas £T E d n L  D eben Wa,  et  illa habenturà corpore iter Lcd habitudinem mediam ; vndefciendum elt, quod ex adiacentia ve ftimenti ad copus ( cuius exemplum tra ditur, quia notior eft talis adiacentia), vel cuiufcunque alterius formz ad fuum fubie ctum duplex confürgit reípectus mutuus, vnus in veftimento, fcu forma applicata,  et  terminatur ad corpus,feà aliud fubiectum,  et  dicizur habitus, feu habitio paffiua, alter in corpore.vcl alio fübiecto,  et  tcris natur ad veflem, velaliam formam habitam,  et  dicitur habitus, feà habitioactiua; vndé Habitus conftituens hoc przdicamétum eft babitio in communi ad actiuam,  et  paíliuá, quz alio nomine vocaturinharentia,infor matio, vnio,  et c ita quod omnis vnio ab foluti ad abfolutum,omnis rgfpectus fübie cti ad formam,  et  écontrà fpectant ad hoc Lr vu vt bené notat Baffolius 4. ].13.0.1. art.r.  et  Bonet. in fuis Pxdicam. libell.16. A. omnis talishabitudo eft ali quo modo derelicta ex adiacentia forme ad (ubiectum,vel eft ipfamet adiacentia ta lis; quod etiam clare Gilbert.infinuat, dum inifto przdicamento ponit album effe,  et  quantum effe.i. refpectum fubiecti ad albe inem,  et  quantitatem ; Spectes huius prz icamenti fuat. habitus actiuus, ufiitus;  et  impoit2bt refpectus extrinfecus aduenie tes, quiancn infurgunt, nifiapproximaris extremis; Aff: ctiones autem funt quod nó habct contrarium, nam effe calceatum,  et  loricat. m non font oppofita,  et  fi aliqua  informationes contrariz videbuntur,vt ef fe album,  et  cffe nigrum, hocnon erit per fe ratione rcfpectuum formz ad fubiectü, fed ratione ipfarum formarum ; Altera eft, quod fufcipiat magis,  et  minus, nam eques cft armatiorpeJite,  et  forma magis radi cata in (ubiecto dicitur mags baberi à fub iccto, quam alia minus radicata, quamuis id nó fit proprie lufcipere magis, et minus: Froprietasin quarto modo eftnobis igno tà. CAPVT VI. De Legibus eorum, qua. [unt in Pradi à caimento., 35 Vas affignat regulas Arift. in ante dueeedie o)  et  4. eoram, quz funtin przdicamento Prima eft, quicquid »radicatur eff. ntialiter de íüperiori, vt de ibiecto, deinfcriori ctiam eodem modo   przdicari debet; quz rcgula de omni prz  Micatione cff.ntiali dcbct intelligi, fiue fit H  De Predicamentis .  23 inquid;fiué in quale,vt fubftantia, vcl fen fibile przdicatur deanimali, vt dc proprio: fubijcibili,ergo  et  de homine pradica:: de bebunt qui ett inferis animalicodem mo do nimirum cff.ntialitcr in quid, vcl quale; cum hoc folum difcrimine, quod de fupc riori immediate przdicantur,  et  proximó, deinferiori mediaté,  et  remoté, Quz rce la,vt fit recta, intelligi debet de omni bos przdicatis, quz competunt fuperiori, vt conuenit cum inferiori, non autem de his; quz ci competunt przcisé fumpto,  et  quatenus ab inferiori differt, v.g. bomo e£ animal in hac propofitione quzcunque pre dicantur de animali, quatenus conuenit cit homine;vt funt fenfibile,corpus,fubftantiz, illa eadem dicuntur de homine ; qux vero dicuntur de animali;preut in pracifo figni ficato differt ab homine, vt funt effe fupe rius,effe commune pluribus fpecie diferc tibus,etc. illa non dicuntur de hominc; po teft ctiam hzc regula aliquo pacto de prg dicatis accidentalibus verificari,quia enim v.g. album dicitur de lacte ; poteft quoque de eodem pradicaii coloratum, quod dici tur de albo, licet non eodem modo, quia de albo przdicatur effentialiter, fed de la  et eaccidentalitertantüm,   Altera regula cft, quod diuerforum ge. nerum,  et  non fübalternatim poficorum, Ji. quorum vnum alteri non fübordinatur in predicamentorum fexicbus;diuerfz omni nó funt diferentiz diuifiuz, fiuétalia ge nera füb eodem tertio genere contineátur, vt animal,  et  planta. fiue non, vt animal,  et  color, hac.n. omnia diuerfas prorfus habéc ditferentias diuifiuas, vt patet difcurrenti ; Si veró de differentijs conflitutiuis loqua mur, licet illa genera, quz non fub e aliquo tertio genere continentur, diuerfas adhuc habeant Logo rr gm alia diffc rentia conftituitur colorin effe coloris, alia animal in effc; animalis, illa tamen, qua fub eodem tert;o genere continehtur, eaf dem differentias habere poffunt, vndé ani. malis,  et  planta eadem funt differentie có ftitucinz corporeum,  et  animatum ; Sed li cct quorundzm cenerum nó fubalternatim pofitorum cadem cffc poflint differentia confhtutiuz, non tamen effe poffunt c a (ves,nam cum babcant di i tferentias diuifiuas, vt dictum cft, confe. quens eft, vt ctiam corntp. fpecies ucríz, quandoquidem ex diycifis ditf. rene  tijs diuident;bus,  et  ccnrrahentibus idem genus femper diuerfa fpeeies Mosq: e Je h MAS  24 Verüm diuerforum generum fubalter Batjm pofitorum in cadem ferie przdica mentali cffc poffunt ezdem differentiz, fic tamcn st carum vna fit vnius generis con ftitutiua,  et  altera alterius generis diuifi ua v g.auis, et  animal funt genera fubalter natim pofita,  et  aliquas habent ditferentias cafd«m,licet non omnes, nam grofibile,vo latile;aquati!e, reptile, bipes ; omnes funt differentiz minas diuifurz,  et  vna iftarü eft auis conílitutiua ncmpe volatile;fic etià fenfibile «ft differentia. diuifiua corporis animati, et  conftitutiua animalis.De Terminorum collatione inter fe. 36 Vu Terminorum diuifiones jam affignata funt, qui omnes fi adin uicem conferantur, vcl funt pertinétes, vel impertinentes, pertinentes dicuntur illi, qui fe inferunt, fcu quorum vnus deduci potcft ex alio af et rmatiué, vel ncgatiué, ita quod cx pofitione vnius ponatur alter ob connexionem, quam habent adinuicem,vel remoueatur ob repugnantiam ; primo mo do termini minus vniucrfales dicütur per tinentes refpcétu magis vniuerfalium;quia ab inferiori ad fuperius confcquentia tcnet affirmatiué,cfl homo, ergo animal, fed non €contra; altero modo pertincntcs termini funt;qui repugnant adinuicem,K de eadem re codem tempore nequeunt affirmari quia €x pofitione nius ncccffario negatur z]ters Teimini veró. repugnantes ftnt duplices; alij difparati,ahj oppofiti ; difparazi funt, uii non habent inter fe maior: qi repugr.á . tiam;quam cum alio tertio vt Ecn:o,  et  afi nus, non .n. hemo mcgisrcpogrzt c mafi no,quam cum equo; oppofiti vcro dicütur, qui mágis pugnant inter fe, quam cum tcr tjo, vtalbu m,  et  nicrim magis iuter fe pu T cien cum tertio,. v.g. dulci,  et  illi t cuadruplices iuxtà quadruplicem op pofitionem ab Arift. affignatzm in pof r16 dic.cap.dc oppofitis;relatiuam,ceptrarizm, privatiuam,  et  contradidoriom y Orpofita relatiué dicuntur,cce pcr relatiencs eppo  fitasadinuicem xcfaütur,vt Fatcr K filius contrarié quaneo funt forma pef.tivz fe iouicem cx pellentes ab codcm ft bicéto, vt album,  et  mgrum, calidum,  et  frigici i psi uatiue, quádo vrü f'enificzt fermam, aliud carenttam illius fcyma in futicGo zpto ad illam habindam t caccus,  et  siócry: cce tiadictorié, oux opponuntur fccundam a£. ku Pars Prima Infit, Trabhd.) X. firmationem,  et  negationem,itaut quod a£ firmat vnus terminus, negat alter, vt ho mo, non homo. Omnes hi termini repugnantes dif, té, vel oppofité dicuntur pertinentes fecun do modo, quia ex pofitione vnius valet sé eralterum remoucre, vt in rclatjué o fiis ;hic eft Filius Petri 5 ergo non eius tet; inoppofitis contrarie hoc cft album, ergo non nigrum : in priuatiué oppofitis hic eft videns,ergo non coccns : inoppofi tis contradictorié Petrus eft homo, ergo falfum cft quod non fit homo ; in difparaté tandem repugnantibus,vt homo eft animal, ergo non eft lapis . Termini vero i iné tes dicuntur, qui nec fe includunt, nec fe excludunt,nccrepugnant,necfe mutuó inferunt,vt diues,  et  fapiens,nigrum, et  ignorans,doctus, et  iuflus, hi tertmini nullam in ter fe habent connexionem, aut repugnane tiam,üon.n. valet deducereaf et rmatié;hic   eft diues, ergofapiens,neque negatiué,hiG     elt do et us, ergonon cftiuftus.   Stein CAR IE XE De'varia terminorum fappefttione, ita cffentia ;  et  multiplicitat Términorum,rceflavegeredeeor   proprietatibus, quarum przcipua ett fupe pofitio: quia crgo terminiplura fignificare. poffunt,vt hic terminus  et o»o immediate fi gnificat naturam humanam: mediaté Petri  et  Paulum;  et  etiam feipfum fignificare po teft, quia omnis vox fe ipfam. reprarfcatat, ideó varia eorum fignificatio fclet in pro pofitione determinari mediante pra dicato aut copula ;  et  tunc dicunturpro hoc, vel illo fignificato fupponere, vndefi dicamus homo currit, terminus bomo fup ponit pro a liquo indiuiduo natura humanz, cui hoc pradicatum competit, noà pro natura hu mana immediate: fi dicamus demo eff dihio  às yllaba,tcunc (opponit yro fcipfo.Ex que patet non cffe idem fignificare. X fuppone, re fignificationem,X füppofiticnem,vt be né notauit Pctrus Hifp. traét.7.de fuppofit. nam fignificare efl fzccre vccire in cogni tioncm, quomodo furrus fignificat ionem, fed fupponere fcu fupponi cfl loco alterivs fuffci,  et  fubftitui, vt calculifuppenuntur loco pccuniz; fignificatio fit prerimpofi tickcm vocis ad fienificendum ram,feg. pofitio cft acceptio tevmini iam fgnificzne   tjs rem proalicco, wcéfignificztio pier   Gi fuppofiticne  et  fgnificare latius patet, «quim  Eu LN ] As | tra et t.vnic.cap. r.Ioan.de S.Tho.lib.2.fumm. eirca finem,  et  colligitur exScoto 1. d. 21. 2 Qæieeke  et  ideo fuppofitio definitur à |. "Mdtcit. quod fit cceprie rermimi in we o "tione pro al i | . !. Anauté fi i . pofitio fit folius cermini fubftantiui, vel . etiam competat adiectiuo adiectiué tento. negant Petrus Byfpan.  et  Tatar. cit.  et  alij.  .Summuli dicendum, De Terminorum fuppofitione  quam fyppooetetam omne id,pro quo ali qua vox fupponit, etiam feniicat non € contra, vt mus eurr t terminus :beme indifferenter fecundum fe fignificat tà naturam humanam, quam eius indiuidua, fed in hac propofitione fupponit tantum pro fignificato mediato,nempé pro indiui duoaliquo humanz naturz,  et  terminus connotatiuus, vt album, fignificat formale . f. albedinem,  et  fupponit pro materiali .f. pro habente albedinem, vt fzpé docet Ta tar.non ergo funt idem fignificatio,  et  fup pofitio . Ex quo rurfus fequitur aliud difcri  meninter fignificationem, et  fuppofitione, quod fignificatio poteft cermino conuenire ttiam cxtrà propofitionem, fed fuppofitio jlli non conuenit, nifi in propofitione, quia ex varietate przdicati, quod ci adiungitur, dicitur vario modo fupponere,  et  eius in "determinata fignificatio vario modo deter ^ minari modo iam explicato;  et  foppofitio tr nem proprié non conuenire termino, nifi in propofitione tenent $ummulifta melio ris notz antiqui, et  Recétiores, Villalpand.  Vib.s.fumm. 3.p. cap.1. Bannes lib. a. fumm. «ap.1€. quod fumpferunt ex Tataret, tract. /.  2.Com.a.S. Prime feiendum,  et  trad. 15. filz communiter. . quodf fupponere capiatur in rigore,vt ift1 faciunt, pro co nimirum, i aliquo, fed etiam EM € accipi pro aliquo, fed etiam reddere fup nS verbo, vtique adic et iua non $a .ponunt, fed copulant fuum fignificatü for . male alteri fuppofito, fed fi minus rigoro :sé fumatur, pre eo.f. quod eft accipi pro aliquo jtá fuppenere poffunt, vnd? Tatar. ipe docet loc.cjt. quod in propofitionibus pradicate cencrete etiam adiectiuo có cretum (upronit pro fignificato materiali, vt in ifla Petru: ejf «lbwsly «lbus fupponit pro re habente albedinem,  et  importatur m recto jitaut fenfustfit Petrus cft habens dinem ;ità cti tenent Ioan.de S. Thc  ma loc. cit  et  Cafil.lib.r.trac.z.cap.1.fec.2. 33 Quia igiturio voce fignificatiua duo funt, vnum, quod babent rationem matc rizliterz nimirum, fyllabz, et  earum com binatio;ac fonus, alterum, quod habct ra 2j tionem formz, ipfa nimirum vocis fignifi catio, hinc fuppofitio prima fui druifione diuiditur in materialem,  et  formalem ; ma terialis eft vfus,  et  acceptio termini pro fe ipfo, .i. pro ipfa materia vocis, vtPetrus eft vox biffyllaba: formalis eft aaceptio ter mini pro fuo fignificato, vt Petrus eftho mo,  et  ab vna fuppofitione ad'aliam argue re non licet, vndé non valet homo eft vox biffyllaba, Francifcus eft homo, ergo eft vox biffyllaba . Suppofitio formalis fubdi uiditur in propriam,  et  eft acceptio termi ni pro re, quam proprie significat,  et  im propriam,  et  eftacceptio termini pro re, quam improprié, ac metaphericé folum fi gnificat, vt cum hominem fortem appella mus Leonem;  et  crudelem Neronem . Pro« pria fubdiuiditurin communem',  et  eft ac. ceptio termini communis pro fuo fignifi cato, vel fignificatis, vt omnis homo eft ani mal:  et  fingularem, feu difcretam, et  eft ac ceptio termini pro vna re fingulari tantü, hoc fupponit omnis terminus fingu laris, vt Petrus, Paulus,  et  terminus cómu nis figno demonflratiuo determinatus, vt hichomo. Communis a tg fubdiui ditur in fimplicem, perfonalem,  et abfolu tam ; Simplex eft acceptio termini commu nis pro fuo immediato,  et  primario fignifi cato przcise fumpt o, vt itab om  nibusinferioribus,  et  ideà dicitur fimplex'g  et  ifa fuppofitio, nà terminus quilibet communis duo habet fignificata, vnum marium, feu immediatum, alterum media tum,  et  fecundarium,vt homo v.g. prima rio,  et  immediaté fignificat naturam huma nam in communi, at fecundario Petrum,  et  et  "Paulum 5 vndé regula generalis dignofcen di hanc fuppofitionem eft, quando termis nus communis coniungitur cum tali przdi cato, quod pon t di i eer ipe rius,  et  inferius, vt cum dicimus, quod ho" mo eft fpccies, vcknatura communicabilis pluribus, quz pradicata indiniduis conue« nire non poffunr,hinc eft axioma apud Sum ; muliftas, quod fub termino communi fime jose Íupponente non licet defcendere . fonalis eft acceptio terminicommiunis pro fignificatis mediatis, vt omnis homo currit, quia currere competit immediate indiuiduis, non hominiin communi,  et  citur períonalis,vt notat Orbellus trad de fuppotquiainter fi a rRpecr ponit rcl nobiera int id intellectualis naturz, quz dicuntur perfo ng; regula generalis ad hác fuppofinonem. Á » digno dignofcendam eft, quando terminus com munis notaturaliquo figno omnis, aliquis,  et c. veliungitur przdicato, quod ei imme diaté conucnirenon poteft, vt funt accidé tia communia. Abíoluta fuppofitio cft ac «eptio termini communis pro fignificato mediato,  et  immediato, et  generalis regu la ad hanc dignofcendam eft,cum terminus «ommunis iungitur przdicato, quod vtri que fignificato competere potcft,yc homo eft anjmal, eft rifibilis ;nam hac pradicata. non folum humanz natura in fe fpcétatz, fed  et  Petro,  et  «ceteris indiuiduis conue niunt,  et  ideo dicitur abfoluta, quia cá alia acceptioncs limitentur ad fignificandü, vcl ápfunivocis primarium fignificatum, vel undarium;hec ad vtrumq; cft indifferés, hinc cft axioma, quod fub termino abíolu té fupponente dcícendere licet, quid auté fát aíceníus, defcenfus,  et  quotuplex, di «emus infrà trad. s. cap 4. 39 Rurfus (uppofitio perfonalis fubdi widitur in diftributiuam,collectiuam, deter minatam,  et  confufam.D iflributiua cft, cü rerminus communis accipitur pro orbni bus fuis inferioribus,  et  fingulis cum coy u latione fümptis; itaquodprzdicatum de | Hj is in propofitione copulatiua si emnibus i werificetur, vt in hac propofitione «eis domno eff animal ) fitur pro hoc  et  i lis verum fit dicere, hic homo cft ani gafiels Dei fur.t duodecim ly Apottoliti d. ponit pro fingulis Apoftolis ícorfim fum  ptis, i. pto Mc d o,  x€; ergo Petrus,  et  Paulus font duodecim, 4ed pro omuibus collcétiue, ndé de tota folum collectione inferiorum verificari gotcft, et  idco ait Scot 2.d (iin plurali . minus accipitur pro aliquo, v aliquibus inferioribus fu is determinaté,  et  fcorfim fumptis, fed difiun et iué, vt aliquis bomo eft 5, non n. inferre licet in propofi tione copulatiua, ergo hic homo efl albus,  jllc homo eft albus, (cd folum in propo sitione disiunctiua, crgo bic homo, yel ille homo cit albus, et idc dicitur determina 12, quia determinaturad vnum, licct (ub disiunctione. Falfum tamen cít ; tion quod hic aiunt aliqui signa particularia jDs Jen ali E dESIA . homo diftributiué fuppo homine, itautde finpu xipitur pro omnibus fimul,  et  coll mé 1 ^ vt ' | d "2. q. $9, I. fignum. i inbac frppefitione debere acci  Determinata cfl; quando ter. . quis,quidam ctc.facere femper fuppesit io nem determinatam, quia huiufmodi signa deferuiunt quoq. vt mox patebit, (upposi tioni confuse, vt cum dicitur, aliquis mus eft neceffarius ad fcribendum. Con» fufa eft cum terminus accipitur pro alique inferiori, vel aliquibus fub disiunctione, ita tamen, vt nó determinate fupponat pto aliquo, in quo dif et ncuitur à fuppositione determinata vt recté Orbcllus cit. adner tit,qua talis efl; vt etiamsi disiunctiué signi ficet inferiora,attamen à parte rci datur ali quod singulare cui determinaté conueniat pradicatum cnunciatuim; et si non i tur vt si dicatur a/sqa/r. bemo cwrrit, nam aliquis homo determinaté currit, etiamsi fub disinnctione significetur ; vnde faltim Deus oftendere poteft quiínamille fit 5 .at confufa itafub disiunctione fupponit, vt nullum sit inferius, de quoatfrmari determipaté, vt si dicatur /iquis cale €i ad. [cribendum necef[arius quia de: nullo calamo determinaté dici poteft, quod : necefsarius ad fcritenduiu bene. aliquo »quodcurrat, vel Dus. 1.2 YN UGNC nr latum difcrimen iater fi Ahichomo cítanimal,  et  ic defingulis. Deus 4 i €ft;cum terminus communis ac r1" si dicas,  Cquitandü, "HN es, et singu los perf lati tamé quendam d natum € designare ots uo determinate dicere queat, c equus d ncccffarius ad equitandum, "quia 10 re pon tfl vnus magis neceffarius, namalter . At fupp MA c diinsica: lis efl namirz, quod licct ex vi ipsius non. magis competat przdicatum, quod dici tur, vni exinferioribus ; quam alteri, nam si dicatur ; aliquis equus currit, ex vi iftius propositionis pracisé non datur intelli, quod vllus vnus determinatus equus ma gis,quam alius quicunq.currat;in que cone venit Cum fuppositione confüfa ; attamen quion:nes equos videret, poffet abíoluté, etabíq. vlla disiunctior e. designare equü zefpcctu cuius propositio verifcatur, et diccre, hic equus currit,quia fuppos;ta ve ritate ilius propositionis, datur rc vera parte t " quodit ^ D d shit   DeT'erminorum fappofitiont  rei equus ille, de quo verificatur cur z fus in hoc fuppofito determinata differt à confuía,imo ob id dicitur determinata, quia hac de caufa habet magis determina tam figaificationem, quam confufa ;'  et  ra tio huius eft, Pd przdicatum,q dicitur ig fuppofitione determinata dicit determina tà actione exercitam,q petit à deterininaco principio procedere, vt cá dicimus, aliquis equus currit, fané hic curfus eft a et tio pro cedens à determinato principio; at cum in mrpoccnE cófufa dicimus,aliquis equus, neceffarius ad equitandum, hoc przdi catum non dicit determinatam actionem, fed tantüm neceffitatem conditionatá,quz de vnoquoq. equo verificari poteft pofito, quod ceteri abeffent ; Hinc fequi tur,dara hypothefi, quod duo tátüm in re tum natura dentur equi, fi de vno dicatur, «hic  et quus non eft neceffarius ad equitan, dum, non obindeé licet inferre, ergo alter ncceffario requiritur ad equitandum, P fine hoc poteft fieri equitatio inillo,  et  é . «ontrà, vndé inaffignabilis eft, qui illorum tequiratur,ex vi fappofitionis confusz;at fi deillis duobus equis cum veritate di tur,aliquis equus currit, co ipf? quod vn  . BMWorum non currat, per neceffariam cófe Mendgpos jcet infarre alterum currere, quia in fuppofi | ione d 'mina dicatum . Demum ínppofitio. diltribi fubdrtiditur' in diftributiuam pro fingulis generum,quz dicitur conie, et  proge néribus fiagulorum,quaz dicitur incomple . ' «ài primà eft acceptio termini communis oQpro fingulis iadiuiduis omnium fpecicrum copulatiué fumptis, vromneanimal mori türjhoc eft Petrus moritur,  et  Buccpbalus ; fiotitur ; fecunda cft pc eoi eel em soninibus fpeciebus indiuiduorum;vnde hic «nomine genetum intelliguntur fpecies,  et  namine fingularium indiuidua; vt omne ani malfint in arca Noe.i, ex omnibts fpecie "fius,ideó nomen lemenon habe  potiüs ampliatur homo .n. J. eft fuit, vel 27 De reliquis Terminorum proprietatibos, 4o Vzdam aliz Terminorum affe et tio æs minoris momenti folent cnu merari, de quibus hoc vno capite breuiter agemus relictis Sammuliftarum ambagi bus,  et  funt potius variationes quzdam fi gnificationis,  et  fuppofitionis per quafdam additiones,aut Con ribh ct qid ifti proprietates ab illis . Prima dicitur Status, et  eft acceptio ter mini pro fuo fignificato fecundüm illà tan tum temporis differentiam, quam copula verbalis importat, vt fcdens difputat, ly fedens dicitur habere (tatum, quia fumiturtempore determinato, quod importat ver bum principale, nimirum pro tempore pre fenti per verbum 4/ffutatimportatos vnde eit A om generalis,quod quando przdica tum aliquod nequit couenire fubiecto, nift Vei Rig exiftentia ipfius:, tunc tale Tubi um dicitur habere ftatum, v. g. ho mo eft albus ; quia albedo nequit conueni re nifi homini exiftenti, ideo hzc propofi tio dicitur habere ftatum; quádo veró prz "dicatum non determinat exiftentiam fübie  et i,tunc non dicitur habereftatum,  et  ita cft in propofitionibus neceffarijs, vtv.g. homo eft animal, qiiia animal conuenit ho mini etiam non pra(uppofita exiftentia ip t ftatum,fed erit,eft animal, verbum .n. ef non dicit exi ftentiam extremorum, fed neccffariamip forum connexionem. Sccüda d citur Ampliatio, quz ftatui op ponitur,  et  eft acceptio rermini d fignifi candam rem. fecundum plures dirferentiss temporis,quam indicet verbum principale propofitionis vt Sand; Dei videbunt ly Sa  et i extenditur ad San et os; qui fuerür (unt,   et  erunt; cum tamen per verbum princi bus hoc, vel illud indiaiduum ;  et hzc di le videbsnt fignificetur folum tempus f 4tribntio folet appellari'accomoda, quate   turum,  et  in propofitione neceffaria, vt di nusnonabíoluié,  et  fimpliciterpro omni   et um eft fübieztum ampliatur ad omnem ^ bus, et  fociis diftribuit. Prafatas ipso temporis differentiam; ex quo patct, quà . fitionzs alio modo affizaat;  et  explicarAr   incófulto 'ur Fuetites p p. (um vr riága fc et ..quia id 'Nominalifmum p 3 art. 3 dum áit ampliationem. rpra pis nzgat vniuerfalia praferre rationem. dicato conuenire, nunquam fubiecto, nam communem abítractim ex parté obicéti ab ta propofttiptpus paf cernitur oppofi ' ándiuiduis,quz immediate tur,nos tam,  et  licet in neceffarijs anpliatio cóue à communi non recedimus . niat ctiam przdicato, przcipué tamen có uenit fubicéto, vndé per ampliationé (übie "LEES me f Der 2 i,  et  pradicati fic explicari folent Homo D» ze "e Ie . ex coniun et ione cum verbo: P. x Pars Primadfit. T rabl.I. Cap. X I. eff animal i, homo a et ualis, qui eft tépore prafenti,eft animal actuale exiftens tempo fc przfenti,  et  homo actualis,qui fuit crit, aut poteft effe. Ex quo etiam patet cerminü communem non folum ampiiari ad plura cempora, fed etiam ad plura fubic et ta, 4.ad hominem przfentem, C3turum,  et c. 41 Tertia eft Diftractio,  et  eft acceptio cermini ad rem figaificandam pro alia tem ris differentia, quam iadicet, verbü prin« cipale,vt £omo eff mortuu:.ly bomo ampliatur ad tempus pratteritum, i.ille, qui fuit ho mo,XinEuang ceci vident, claudi «mbu lant À.qui erant coeci, et  claudi; poteft etià fieriampliatio ad tempus; futurum, vtin ifta Mnuchriffu: eff reprobus (ubie£tum am pain e tempus futurum, X feníus eft, mo ille, qui erit Antichriftus; Multi re ducunt diftractionem ad ampliationem, co quia per ipsa ampliatur termiaus; fed quia non folum ampliatur ad aliam temporis dif fcrentiam, quamindicet verbum principa fe, verum ctiam abillo diftrahit, ideó ad Ampliationem attinerc non poteit, qua li cet ampliet fignificatum termini, nó tamen diftrahit ; ex quo patet has tres proprieta. tes conuenire terminis,quatanus referütur ad menfuram temporis, illifque proueniüt autem ad Diftractionem reduci Alienatio, cum .f. vox addita alienat alterius fignificatum, vt hómo mortuus, leo marmoreus, nam be particulz dicuntur alienantes, et  diftrahen tes, vnde Alicnatio à nonnullis etiam Di ftractio nuncupatur;  et inea talis obferua   tur rcgula, quod non valet confequentia à termino alienato ad non alienatum, vn. non valet eft homo mortuus, ergo eftho i de fallacia à fecundum quid ad fim ter. Ls Quarta cft Reftri et io,  et  cft acceptio ter mini ob aliquid additum coar et ara ad mi norem fignificationem, quam ex natura rei illi competat, vt difcipulus diligens euadet do et tus vbi difcipulus per particulam addi tam retiringitur folum ad IA geom di fepulos diligentes, cum alioquiabfoluté fumptus etiam egligeoe comprehédat, vndé eft regula, quo valet confequentia à termino reftricto ad amplum, vt Petrus eft homoiuftus: ergo cfthomo. Refirictioni affinis cff Diminutio,cum nimirum ex ad ditione alicuius partculz fignificatio ter mini minuitur,vt doQtus in Grammatica,vcl ; ità limitatur,vt non fumatur abfoluré, fed tancum fecundum quid, vt /Ethiops albus fecundum dentes, vbi particula /eeusdwe dente: minuit ;  et  limitat fignificatum albi, uia albus fecundum dentes non ett abío albus,[ed tantum fecundum quid . Porro erfi Diminutio fit Reftrictioni atfinis, tame án eis contraria obíeruatur regula,quod né valet confequenitia à termino diminuto ad non diminutum, vti valebat à reftricto ad non reítrictum;non .n. valet;eft albus fecun dum dentes, ergo eft albus, fed eít fallacia à fecundum quid ad fimpliciter : de quibus pH : 42 Quinta demum eft Appellatio, cum vox vna aliam afficit,'ac denominat fecundü fuum formale fignificatum ; terminus de nominans dicitur appellans, denominatus vcrà dicitur appellatus,vnde ifte eft termi nus fübítantinus,vel per modum fubftanti ui fc habens,ille adiectiuus,vel habés modü adiectiui ; ex quo fit terminum appellátem femper accipi fecundum fignificatum for male,at appellatum poffe accipiinterdum fecundum materiale,  et  interdum fecundá formale materialiter tamen fe babens,  et  um denominati, vndé duplex po folet affimmari appellatio, vaa materia "Jis,altera formalis, Vt autem dignofcatur  de materiale,  et  quando formale ín. 3 catumappellaturimpropofitione,addu   camus exemplum aum tionis conftanris ex pradicato compofito, l eft cognitu appellatio ; v. g. P/«/o ei diwt iin hac propofitionc termi eriale figuificatum .f. Platonem, fed for male.f. Philofophum, et  hoc contingit quo tiesnomenadiectiuum coniungitur cüalio ex parte przdicati', vtin propofito ; cum vero terminus lans citfolus ex parte pradicati,tunc appellat materiale, vt fi di ceretur Plato Philofophus eft diuinus, nam fic dicendo diuinitas applicatur Platoni, nó cius doctrinz ; hac elt communis doctrina Summulift. adhuc tamen verum eft ctiamfi propofitjo fiat hoc fecundo modo terminü appel: KK. diminus appellare poffe iu pra Philofophum fi ex modo profcrendi ropofitionemly Philefopbus fciungatur à fubíecre  et  coniugatur prædicato, vnde nulla certior rcgula tradi poteft dignofcen di,  et  diícernendi appellaticnem formalem .à materiali, quam diligens animaduerfio propofitionis conft.ntis.ex fubiecto, vcl dicatocompofito. Aduertendum tamen bic, quod etfi ap  pellatio in materialem,  et  form:!cm fccerni con in qu: dif et cilior (hd   aróm intelligentiam exponmiin De alijs T'erminofum propriei. tonfüeuerit modo iam explicato, fola ta men appellatio formalis proprié meretur nomenappcellationis,non autem materia» lis, nam applicatio fermalis figaificati ali cuius termini ad materiale tantum eft fiim plex formalis prdicatio, vt fi dicamus Pc. trus eft bonus, vcl Petrus eft logicus ; Ap | pellatio igitur proprie dictæit, quando terminusappellans nonabfoluté conuenit fubiecto, led ratione alicuius fignificati formalis,quod appellat, fic quod media il la formalitate fubicato competat, vt fi di camus, Petrus eft magnuslogicus, /y ma £»s non abfoluté conuenit Petro, (ed ra tione logicz ; hxe proprie eft appellatiua przdicatio,ynde Appellatio definiri folet, quod fit epplicatio fignifieati formalis vmims termini ad. fignificatum formale alterius cu ius variatio magnos folet| defectus parere : 3n paralogifmis, vt si dicatur, hic puer eft .nagous logicus,ergo cft magus,  et  logi. cüs, vzriatar appellatio, quia ly maga; appellat in anteccáentc logicum, in con e fcquente puerum . EsDe Terminis extenibilibu: . 4s TNterdum propositiones c et (tant qui Se douchotelen ris qui gd rectamil vn cde,K propositiones exitpsis c €s,2c eti o ipaa fermini exponibiles: dicun tur, Hi vero fant multiplices;fed præcipui,   et  frequentiores funt exclusiui, ékceptiui, 3 » et  reduplicatiüi, rclatitios. aiitem, compa  ratiuos, fupcrlatinos,  et  alios huiufmodi omittimus, vt minus ncceffarios,  et  potius ad Grammaticam pertinentes: de Incipit,  et  Desinit egimus in Physicis difp. Ferminiitaque exclusi funt tameu, dumtaxat [ilum, Ke. qui pofsunt in pro positione determinare fjibrectum, vel prz :dicatum, cum determinant fubiectum Cipnt propositionem de fubiecto exclufo, :€el melius exclusino, vt Aldus tantum. grammaticus : cum determinant pradica Tum, et rS fne a przdicato 'exclusiuo, vt Aldus c(t tantum grammati. '€us : Cum igitur terminus exclusiuus poni turà parte pradicati, si e(t exclusiuus re ectu numeri, vt vniueríalia funt tantupi "quinque, folet propositio exponi per rcrho tionem termini exclusiui cum hac additio ne, Go non plura,  et  fenfus cft vniuerfalia "fant quinque  et  non plura : si vero eft ex 219 clusiuus rei, vt Aldus eft cantum gramm2 ticus,exponi folet per remotionem cermi ni exclusiui cum hac additione e$ wa 4/4 vt fenfus sit, Aldus eft grammaticus,  et  no aliud, aut nihil aliud,ita Scotus lib.4.de ex poaibilibus, Casilius lib.z. Appendic. de ex ponib. c. 1. Roccus lib.z.c:4.  et  alij . Sed quamuis prefato modo béne exponatur ter minus exclusiuus refpectu numeri,cum de terminat przdicatum, non tamen b:ne exe ponitur,cum eft exclusiuus rei,nam si hzc Aldus eft tantum grammaticus ità expona tur, Aldus eít ponens.  et  nihil aliud, fenfus hic eft falfus,quia eft homo, cft arti mal,eít quantus, albus  et c.  et  terminus ex clusiuus inea excludit ab Aldo aliam quà eumque facultatem à logica, nó aliam quá cunque rem, et  qualitatem; Et ideo przítac dicere cum Tatar.trac.13. com. t. $. zertie féiemdom quód terminus. exclusiuus rei à parte przdicati potcft exponi ratione alie tatis,vel alteritatis;, primo modo fenfus il lius propositionis eft, Aldus cft grammati cus, et  non eft aliud à grammatico, .i. ali guid non grammaticum : fecundo modo eníus cft, Aldus elt qualificatus grammati ca,  et  non alia facultate ; nam exclusio ra tione alteritatis excludit qualitatem eiu(de rationis, fcu ciufdem generis propinqui . Cum vero terminus exclusiuus determinat  fübiectum vt zemtum Petr: currit, signiti æta alijs fubicctis non conuenit illud pradicatum, et fenfus eft Petrus currit, et nullus alius currit, et notat Tatar.cic.quod ly tantis ex vi fermonis excludit ea fubie cta, quz (unt eiufdem fpeciei, auc generis propinqui,vnde fenfus cft Petrus currit, ez » nullus alius hono currit,  et  iftius temton heme currit Venfus clt, quod homo currit,  et  nullum aliud animal currit, interdum taz men exdudere potett alia qu:xcüque fübie ' et a in vniuerfum, vt fi dicatur, rantü ett rifibilis, excluduntur omnia prorfus, etiam ea, quz rifibiliratem participare non poffunt, Ss ^Termini exceptiui funt frater, pra. terquam, nifi, ctc, à dicuntur exccptiui, quia excipiunt illum terminum, oui addun, tur,à principali pradicato, vt omnis ho mo. prater Petrum currit, omne animal prater hominem Pina 1 animal prater hominem eft Z  hinc notat Tatar. Cit, com.2.$ prime ferendmm, duo prafcrtim requiri, vt rermiaus exce ptiuus faciat propofitionem exceptiuam, ynumcfl, quoJ terannus, à quo Ait exces N prio, Vas 3o o, fitpponat vniuerfaliter, feu diftributi ué, ita quod fit cerminus communis $üptus cim figno vniueríali vel quód fit terminus diftributus; vndeifta non cít exceptiuajali quis homo przter Socratém currit, quia excipere eft à coto genere partem detrahe tc, ab eo autem, quod eft particulare de« terminatum, nihil poteít detrahi, vade etfi andoque dicatur aliquis miles przter A chillem (trenuus fuit, Ty prater idem fonat ód vltra,  et fenfuseft, quod non folus Achilles fuit ftrenuus miles . Alterum eft, quod terminus communis, à quo fit exce ptio fub fe contineat terminum exceptum, quare hzcnon eft exceptiua. Omnis homo prater hunc equum currit;quia equus ter "minus exceptus non continetur fub ho mine . ^ "Termini reduplicatiui funt /»wpwmtum, quatens:,preut,  et c.  et  duplicem poffunt in propofitione facere fenfum, vt notat Do. uol.5.H  et  s.d.11. q.2. reduplicatiuum,  et  Prat kein ; primus eft; cum particula reduplicatiua denotat rationem, quam af ficit,e (fe caufam, vel faltim conditione, cur rzdicatum:conueniat fübiecto, vt homo 1üquantum rationalis,eft rifibilis, ignis ia tum applicatis comburit; quando re diplie caufam, vt in prima exponitur me pofitio per caufalem, et  fenfus eft, quia ho 110 eft rationalis,eft rifibilis; qu redu plicat tantum conditionem, aut concomi tantiam, vt in fecunda, exponenda eft Ferca iei Sd  et  fenfus d fi ignis com burit,eft applicatus;  et  dat Scotus regulam €x 1. Priorum c. 5 s.dedu et tam, parti cula reduplicatiua reduplicatiué tenta in fert vniuerfalem, vt (i homo fccundü quód« rátionalejintelligit, fequitur, quod omne ra tionale intelligit;id tamenintelhgas de pre dicatis conuenientibus fubiecto ti abfoluté,non fimpliciter ; appellatur etia enfus reduplicatiuus, cum particula redu plicatiua notat przdicatum eife de conce ptu effentíal; fcu quidditatiuo fubieéti, vt cum dicimus oie 5) bomo eji ra tionalis,  et  fenfus et / nd rapinæ de conceptu effentiali homihis, vnde i tur per hoc; «homo t quiddita tiué concipi fine rationalitate,  et  particula fic reduplicatiué tenta adhuc infert vniuer falem,vt patet defcendesdo fub allata pro pofitione . Porró fenfus fpecificatiuus cit, € dotetMdend Æon: illius rei, quz afficitur tali particula, non repugnct ali quod pradicatum (ubieto, vt muficus, n vÀ Pars Prima Inflit, Træl.T, Cap.XIT. uantum maficus poceft eff» logicus fenfus as d dum habet teuliczn f UoU ha bere logicam,  et  confequeater, quod logi canon repugaat muficz in. eodem fubie  et o ; vnde in hoe fenfu non indicatratio nem inhzfionis przdicati cum (uübie et to nec przdicatum effe de effentía (ubie et t, fed tà.. tum peculiarem modam coafiderandi fu bie et um, fub quo non repugnat ei przdi catum,  et ideó ab his particulis fpecificati uétentis vniuerfalem affirmatiuam infer re non licet, alioquin ex hac muficus inquá tum muficus eft logicus, valerecinferre,er« go omnis muficus eft logicus . Explicantur quidam Termini in Scholis : freguentiffimi . : 4$ pe fatis frequentes funt apud Philofophos Termini »aterzalster, 6 formaliter,'I primum adhibemus,cum fignificare volumus predicatum aliquod conuenire fubiecto non ratione forma fubie et um importatz, fed ratione mate riz, in qua talis forma itur, v.g. hzc  propofitio, albwm efl dulee, nó eft verafor   maliter, fed materialiter tantum, quatenus. materia, in qua eft forma albedinis, .f. lac,  eft dulce; tunc veró propofitio eft vera for. maliter,quando pradicatum couenitfubie   Gor NE pelipagnie: m di i importatz v.g. hzc propofitio D. gregatiumm vifus cít vera formaliter, qua tenus albo conuenit difgregare viu ra tione albedinisimportatz, in quo senfu nó hesirs ad cea «lbum cff dulce,quia fa ceret hunc fenfum;albedo eft ratio; ob qua Jac eftdulce; in idem recidunt pre per fe fr namque materiale fignificatum infinuarur, va ad rasa pei une ipe do per fe, ir per accidens, per pri mum fignificamus:przdicatum conuenire fubie et o ex intrinfzca eius natura, ac indi gentia;non autem ab extrinfeco,  et  acciden tali aliquo euentu vt fonat ly per acciden:, vnde hzc propofitio eft: per íe vera bee epe rifibili: quia rifibilitas conuenit homini ex priacipijs intrinfecis naturyz, ifta vero per accidens bomo eff claudus, Cr /urdus, uiahazcmeré per accidens,  et  cafualiter illi obtigerunt)huc rcciditeffemtialster,  ! í por Pe ; Tertio abfolute, fen jciter, 6n refpe dud, fiu ati pn) illud dicitur cale fim X JPetermiet fimpliciter,  et abfoluté, quod nulla facta comparatione cum alio. habet tale pradi catum v.g. Petrus,fi habeat fufficiente ícié tiam, dicitur abíoluté dos; illud veró dicitur tale reípectiué,cui non conuenit ta le przdicatum, nifi comparctur cum alio, v.g. homo paruus nequit dici abfolute magnus, camen Nano collatus dicitur ma gnus magnus nimirum refpeztiue;  et  fecun quid,non fimpliciter,  et  abíoluté; va» de fccundum quid coincidit fcré cum refpe iine,  et  contradiftinguitur à fémplseiter formam, vel quid fimile forma, iftud vero; teet eni Yos. i nominationem, v.g. ' 1d, € : poco! 4 frin abus interd    gtiam,vt Quod.fignificat ca. princi 1 ye lemt deve itn P jità Petrus aod .. bit, vt quod, calamus, vt quo. ER. intó formaliter, Cn virtm,liter, tunc : P aliquid dicitur formaliter tale, quando ve  . xéhabetin fe illam formam,à qua deno jna . eft in intellecti, albedo eft in X ^ménillumproducere. Sexto adiu, Cn potentia res dicitur effe  . au,curn au exiftit, dicitur in potentia ; Minen stidotado in rerum natura ; po  . séfttamenexiftere ; Rurfus ex his, qua Mar nt in actu, alia dieuntur effe talia in adtu .(  primosalia in actu fécundo, per actum pri mum intelligitur principium, et  virtus ope randi, per fccundum He ope atio qt prouenità tali principio;  et  vir tute, v.g. homo elt fcri m ivatbi rimo ; nan habet potentiam fcribendi; fed pon ibit; nec exercet'àa et tum fcribendi,eft ve  rà Ícribens in actu fecundo ; cum in actuali fcnptionefeexereet. |^ 07 |. Septimo pofrrine,  et v megatiu2,  et  primum dicitur, cum aliquid eft tale per 7 ai fitiuam, irà virtute imbutus dicitur pofiti  né bonus; fecundum dicitur, cumin fubie |.  et o faltim non reperitur forma oppofita ; fic non imbutus virtute,  et  carens quoque vitio dicitur negatiué bonus. Otauo jn achu. fignato, Qn im alTu exerci s primum cf, cum denotatur fignificatio cum accipitur pro exer "  . 'w B  "EC 4^ hU 4i, Ld oet que, Bot quod illud fignificat | dic minatur talis, fic [ipis dicitur formaliter infe calorem,à quo ilicitur Mi eaponibilibus . k'T 31 citio fignificationisciufdem; v.g.dum dici . tur Dehnitio conflare debet ex gencre,  et  differentia, tunc fumitur definitio in actu  et gnaa iom autem a et tu definimus, Homo cit animal rationale; tunc definitio fumitur inactu vigo é je d diis Nono [s fen, pies kan ám femín diui fe;primo modo fignificatur aliquid conuc» nire fubiecto cum aliquo adiunéto, vt pa ries albus difgregat, hoc.n. pradicatü de; pariete verificatur, componendocum eo albedinemifecundo modo fignificatur pre£ icatum conuenire fubiecto feiuncto ali, quo alio, vt fedens poreff. currere, eft vera de in fenfu diuifo;hoc eft, (eiun et ta feffione, nà infenfu compofito falfa eft, quia dum fe det,non poteft currere : qui termini tra et t. feq.c. .iterum cxaminantur ;  et  p.2. tract» 3. Cap.z. Rs 7. Decimo Obielliuc, 6 fubiesn? ca. funt obie et iuéinalio, quz obijciuntur alicui, dumab illo cognofcuntur, vel apt etuntury »fic quod cognoícitur ab intellectu,  et  quod amatur à voluntate; dicuntur effe obiectiué  inintellectu, et  voluntates ca vero fuut fu biectjué in aliquo, quz funt in illo, vt in fubiecto, à quo fuftentantur, fic cognitio pariete,  et  omne accidens cft in fubftantia : Quz veró et dicantur diftincta realiter,quz formaliter, " ue ratione Difp. 1.q. s.art. 2. ex profef imus, ac etiam tract. 3. huius Infti.cap.vit. 2 | pe De propofitione,  et  cius affe zn ..étionibus ne Nomine, e Verbo: Cap. f^ 46 D 1 [4 Y A quaih de propofitione a« 7^ AV gat sprisersdet de üo ) mine,  et  verbo, vtpoté Di ic ^ A 74 i " zx Íolaà funr cius enim y Msi alie m caciui,de quibus Kecufque égimifs  aad componere pcifint, tamen fo Ium tniomes,' et  verbum adtaledi compofi tionem per fe concurrunt, qàra de ncceffi tate requiranturad cam,eo quod fineillis nec fimplex eaunciatio ftaze potcft, gc é vef pattes, licec ift. lib; «. Periher. ante d tvero termini folttm quafi per accidens pro pofitionem intrant, quia fine illis ftare po teft fimplex enunciatio,  et  hac de caufa ait D. 1ho.:. Perhier. lect. 1. fola ifta duo ibi eonfiderari à Philofopho,vt partes eratio nis;feu propofitionis alijs prztermiffis ita tiam Petr. Hifpan. tract. 1. À Nomenitaque ibi ab Arift. definitur c.1. uod fit vex fpmif catiua ad placitum fine Wempore ems n wllapars feparata. fignificat, mita,  et nrella » dicitur vox figmficatina ad placitum, vt excludantur voces non fignifi catiuz,  et  fiznificatiuz naturaliter. dicitur fine temprre vt excludatur verbum, cuius proprium eft fignificare cum tempore, 4i. exereitium alicuius actionis, vel paffionis in tempore denotare, vnde licet nomina poflint fignificare cempus, vt «mme:, dies, tempus,  et  aliquam temporis differentiam, wt prateritio,  et  futuritio, vcl eam connota ze,vt cena,prandium, completorium,nun quam tamen fignificare poffunt cum tépo 1€ .j. importare exercitium actionis;vel paf  fionis, quz fit in tempore. dicitur cw/ws mulla pars,c. vtexcludatur oratio ; cuius partes feparatz eandem retinent fignjfica tionem,quam habebant coniunctz, non fic "momen, nam etfi cius partesfeparatz poí fent aliquid fignificare, vt partes iftius no sninis Dominus do, minu:, non tamen il Judidem fignificant, quod antea coniüctz, fignificabant, vt faciunt partes erationis à. vnde folutio partium orationis nec tollit,. nec mutat fignificationem illarum; at folu tio partium nominis etiam compositi, aut tellit;aut faltem mutat; vt ct videre ju ia voce Refpullica,licet at. singula eurs par tes Re;, X publica candem retincant signi ficandt vim mintegra dictione,  et  extra il Jam,vt diximus tract przced,c.3.n.7 tamé €ombinacz in vnam dictionem significant totám hominum communitatem, quam nó significit singillatim fumptzi dicitur f/s; £e, vt excludantur nominajinfinita, vt non homo;non ke, qua uon í  et  abíoluté nomina, fcd cum addito 7»fiv; 24,0 quod nihil determinatum ;  et  certum significant, et  potius quid non sit rcs. quam «uid sit, explicat; cum tam dicantur de bis, que funt,quam qua non funt, vnde licet in gredi poffint propositiosem,vt pradicatü, wcl fübiectum, vt lapis non e(l homo,nó ta men propositionem fcientificam 5 dicitur implieiter  ind ParsPrima Wflit. TraGL1I. Cap. 1. Petri,.j, aliquid Petri, vndefolum, cafug nominum funt dicenda,non autem nomina. Ex quo patet, vt bene notát Tat. 1. Perhier. q.2. et  Complutib.z. c.1.Arift. in prafenti nomen dcefiniffe intoto rigore, inquantum deferuire poteft propositioni fcientifice,Bc ideo àratione nominis excludit terminum complexum,iffinitum;fyncategorematici,  et  obliquum, humusmodi .n. termini, sicu m quid cantum, et  infufa significa. tione dicuntur termini, eodem modo no mina dici poffunt: Nec aliud probant oppo situm affirmantes, vt Hurtad. difp.8.$. 12,  et  Arriagadifp.rs.fect.. SedDices, tomen infinitum ex parte significau formalis significat quid certum,  et  determinatum;quia won bomo v.g. signifi cat negationem determinatam, .í. hominis,  et  non equi;ergo eft proprié nomen hac[.n. de caufa cgewm eft veré nomen,' quia certá ationem significat jempe vifiss,  et  non itus. Accedit, quod si ratione indeter "twm à vera ratione nominis tuc etiar mina dens forent excludéda,,. nihil determi rr enr »1 applicari unc tam enti, « eaivtincellgibile, ligit Refp. negant aliqui à teras rcs omnes indeterminaté prater illa, negationem rei si nificata: p. »nomen, adiungitur ; uim ove piel illa con. notare, veluti fabiecta, qu dunt Ruuius r.de interp.c.5.q. 5. Amic.trac; 21.q.2.dub.6. ex noftris antiquioribus Ta ares vers ea nn : miræ igitur eft affnmptum tia, licet .n. nomen inlitum dec fonmdiré certam significet, adbuc tamen remanet indcterminatio ex parte modi significandi, quia significat ipfam negationem formz, non significando quid sit ipfa negatio, fcd quid non sit forma negata,  et  in hac terminatione, quz fé tcnet ex parte modi sighificandi, consiftit przfcrtjm infinitas nominis ; ad probationem cófcquentiz nc. gatur paritas, ly enim e«cwm significat ne ationem forma,  et  simul explicat quid vet, vt excludautur cafus obliqui,qui ra.  sit ipfa negatio, vnde  et  determinatum,  et  tione fui nom funt partes propositioms,nisi^ determipaté si nificat . Ad aliud patct per casibus rectis adiungantur, vt hic libcr cft idcm, quod mominis non tam ate tendi. zioni éapikcati cr lulius Roc ee nomen infinitum deformali significare ce ibus applicati ^   potcft,  et  hzceit verioropmio,quamtras  "2 xe DEN en Verbo ^  tendi debet me fc te net ex parte rci,quam ex ea,qu fe tenet ex parte mong mel, jd igitur nomina traícen:létia figaificent quid inatum,  et  communiffimum, quia  «amen decerminaté illud figaificant, expli cant enim, quid fit conceptus ille commu niffimus, non autem quid ion fitjideó pro prie dicenda fint nomina, .. Quares, an hzc nomina tranfcendentia infinitari poffint? Negant Albert.  et  Auic. quos fequuntur Tolet. Amic.Poncius  et  alij, quia non poffunt verra indeterminatio  nem ex negatione addita, nami cum ratione  et  tranfcendentiz vagentur e omnia, nega tio illis addita potius deltruit indetermi ionem, vnde fi infinitetur ens abíolácé UNS nptum. folum de non entibus dici pote "uu tit, At potius cum Tatar 1, Perhier. qu.a. Jo dub s. fentiendum eft oppofitum,quia cui . .. libet termino cathegorematico negatio in ... finitans addi poteít,  et  re vera hzc przdi .. Catia Chj mera eft non en:, cit affirmatiua de  prazdicazo infinito,  et  ita fentiunt Louanié "es 1.de interp. vbi Sueffanus,  et  Rüuius; X. Sotas lip. 2.(umm:car.  et  alij; Adrationem .. modo indeterminato, .f. quid non fit ens ; e entibus,  et  non entibus, fed id folum có, menit termino particulari jnfinitato.  1 asNerbum ex Arift. 10. c. 2; eff vox fr n E goificetius ad placitum cum t €, cuir  . wull« pars fperata. fignificat finita, C ve das n efl femper eorum, qua de altero dicun tur, not4, primz duz particulz, in quibus verbum conuenit cü nomine, ex di  et is. Platucee tempora ad differentià no minis, quod nunquam importat exércitium actionis fub Rees differentia ris,vt verbum,  et  quando in propofitionibus ne ceffarijs, vt homo eft animal, verbum dici Mirabidia à epos non eft fentis, quod fignificet fine vllo prorfus ordine ad tem " 20 pus,quia hic modus x xw effentialis cheers ed dicitur abfolui à tempore de tctmindto, vt notat Arriag. cit. quia cum : e. ccambeni M rio pi nr RR    exiguntwniri fimpliciter,  et  abfolute,  et   nonpro tempore aliquo determinato,  et  : odepien pofitione sopuissep tb Med. . petmo determinati, .i. quíd fienegatio entis, fed. Lee .neéeffz nomen infiaitum verificar | ideó tra et .ptzced.c. ri.diximus verbum nó reftringere excrema in. huiuf nofi propofi tionibus in ordine tantum a4 diifereniam temporis, quam confi 3nificar, fed propoft tiones ampliari debere ad omne tempus . Alia particula, ew/us mull« parz féparata,  et c. explicari poteft, vt in definitione ng minis,di et am elt ex Arift dodrina,vel eum Tátar.cit  et  tra et  c in Peer. Hifp.fen(us eft, quod ei in mente non correfpondet cóce ptus complexus iuxta declarationem ter mini incomplexi,quam dedimus tra et t.prz ced. c.5.  et  applicari poteft defiaitioni no minis, quia nec ei corre(pondet conceptus complexus in meate . Sed iuxta hanc expli cationem oritur difficultas de verbo quoli bet adiectiuo,vt «ma,  et uder,  et  de ef? fecü do adiacente, vt cum dicimus Peers eff,nX hzc omnia verba fubordinantur in mente conceptui complexo, nam «war refoluitur Y eff avtan:i,  et  eff, (ccundum adiacens re oluitur per e£ en:, vnde hzc omnia verba erunt faltim implicite ;' et  virtualiter com plexa | Ad harc difficultatem Auctores va rié refpoadent, Ioann.dé S Thomalib. r; fumm:c.6. negat ex hoc ; quod verbü adie Giuum, aut fübitantiuum de fecundoadia cente equiualet copulz,  et  pradicato füb ordinari conceptui complexo, feu duplici conceptui, nam quocunque modo in pro difponitur, séper fignificat rent motus;aut actionis,  et  paffionis,  cw Me ce menfarantur, hzcáutem non int duo fienificati,nec duo conceptus,fed vanum fignificatum cam tali modo fignifi candi, vnde eadem actio prorfus fignifica turin Petro, fi dicas Petrus amat,  et  Petrus eftamans, Cafilius verà lib. 2. tra et t.t. c. 2 in fine ait nofi effe contrarationem verbi incomplexi quod correfpondeatei in men te conceptis rei compofitz, nam hoc eft commune etiam nominibus incomplexis, coena enim,  et  alia nomina connotatiuaim portant plura,nec propterea funt nomina complexa; vt ergo verbum fit complexum pluribus debet conftare vocibus. Tataret. cit. totum concedit argumentum, X ait in rigore logico nullum verbum adiedtiuum, ec fubftant:uum de fecundo adiacente ef e verbum ob allátam rationerm,fed tantuni eff de. tertio adiacente, hanc teneas; vel imam. PC LAW pre Deinde additur f/nt« 33 excludenda verba infinita,vt non currit,non Xa dem ratione, qua exclufa fimt nomina infi nitaà rationc Mat punt hinc ex p^fitionemnon recipiunt, vt Conimbric, t 2fil. Ioan.de S. Thom.cum Albert.  et  Boet. dicentes verbum intra propofitionem infi nitari non poffz,co quod negatio ante ver bum non faciat propofitionem affirmatiuá, negati :am, quare v. g. bomo mom currit, fenfus eft bomo mon eff currens,  et  ità etiam videtur fentire Scot.z. Perhier. q. 1. quare inquiunt Verbum hic dici vox finita, quia infinitari non poteft ; Sed plané Arift. eadé tatione addidit ff»/t« in definitione verbi, qua ipfam pofuitin definitione nominis,  et  ruftrà adderetur hzc particula, fi infinita xi non poteft, ficut reZ« finon poffet obli uari. Quantum autem ad hoc dubium in e ait Tatar.cit. r. Perhier. q.2. 6. Dwbstatur rio,quóàd licet verbum e£? tertium adia cens non poffit infinitari, quia tale eft pu rum Syncategorema, € negatio infinitans talibus conuenienter non additur, tamen verbum adie et tiuum, (  et  idem dici poteft dc «f fecundo adiacente), fecundum quod includit copulam,  et  fuum participium pot infinitari,  et  hoc fecundum conceptum fui articipij, atq; ita dicendo mes currit, fen i cius non elt ifte, men eff currens, (ed ifte eff mon curren:, fic quod a et usinfinitandi fe gatur ad participium, et  non ad jx vt notauit Banncs, qui hanc fequitur fenten tiam, Arift. ipfe víus eft verbo adiectiuo hoc modo infinitato, nam :.Pófl. c.,o. et  z. Cæli c.4.hunc facit fyllogifmum $£ella wos f'eimtillantes fumt propi nos planeta monfcin   7 ergo planeta funt prop? mos, punk E tillant huius fy dcbct. effe verboinfinitato, vt fenfus fit plamera. funt mon. féimtillantes, nam fi minor effet nega tiua,conclufio quoq; negatiua effc debe ret ex regulis infra tradendis. Id veró quod reípondent Cafil.  et  Ioan. de S. Thoma so feimtillare in minori fumi infinitanter vt x quiualet participio me fzimillentes no fol uit, imo potius confirmat, quod diximus cx Tatar.verbum infinitari poffe, fecundü, quod includit copulam,  et  participium, ita quod a et us infinitandi feratur ad partici ium, nonad copulam.  et  in hoc fenfu ver minfinitari poffe concedit etiam Dod. Joc.cit.in corpore quafiti dum ait,/f tamen dntelligeretur. megatto. infinitans referri ad vem verbi,con[quens. effet dscere, quod ver. bum ivfinitum. maucret anfinitum 1m oratio, in co igitur tantum fenfu. negauit ver bum infinitari poffe, fi nempé actus infini tandi feratur ad copulam,  et  hanc fenten tiàm fequuntur Amic, Ruuius,  et  alij. . nomen, aut verbum eft vox, eft ibi Pars "Prima Inftit. Træl.IT. Cap. 11. Poftea additur reda ii. i$ t et pos ris indicatiui modi,ratio eft, quiaibi Arift. loquitur de verbnm per fe poteft enun Ciare veritatem, independenter ab alio, vt notant Compl. hocautem eft folum przsés indicatiui modi, alia .n, tempora dependé ter abillo enunciant veritatem, nam Perrus cucurrit, ideo «ft vera, quia aliquando fuit verüm dicere de praíenti Petrus ewrrit,  et  et  fic dealijs . T. additur,  et  et  e femper eorum,  et c. ad excludendum participium, quod licet fignificet cum tempore,nunquá tamen effe poteft nota, feu vnio extremo rüm, et  copula propofitionis . Porró verba Heic are etiam ef? de z.adiacente, licet exprceísé extremorum nota non appareant, fed. potius extrema videantur.f przdicata, tamen re vera, vt ait Tatar. includunt im plicité notam cum pradicato, vt patet fi refoluantur ewrr;t eff cwrrent . Poffent tame adhuc participia excludi à ratione Verbi, vt notat Orbel, quiaabítrahuntàtemporis 5 To 091524 $m determinata differentia, et  cuicunque,pofs  funt adaptari, vt Petrus Phe ic 9 mans, Kc.  A ode Poftremo pro recta totius definitionis intelligentia tüm nominis, tüm verbi ob feruandum eft ex Tatar.cit. nomen,  et  bum poffe fumi primo intentionalite vere. ità fignificant ipías voces nominis, X ver ER M is vocibus attributam,  et ita bicdefiniun   intentiones, vndé bcr mis catio denominatiua,  et  fondanenedis., M ! fenfus eft, nomen, aut verbum eft vnum in  ein feu laden fecunda omm voci fignificatiuz citum,  et  Cl onde iuteotio sciendi ceosiie nominatiué przdicari de primis,vt dicimus dip.s. q.8. Hurtad. vt fingularis videatur, quibufdam. leuis momenti obie et tionibus prafatas reijcit definitiones, et  alias addu cit meré grammaticales ; ac etiam Arriaga difp.Summul. fe et .1. De Oratione quid fit, érquetuples . " | €ap. LI. ] $o Efinit Arift. vbi fupra cap. 4. ora D tionem, quod eff vox fignrficartua «d placitum, cuius aliqua pars diim" fi gufícat vi dictio non vt affirmatio, vel nega tio, dicitur vex fignoficatma. «d placitum,in quo  UT  et  wir 1 De Oratione r uenit cum nomine,  et  verbo, cum   Secwndb feiendum . tamen difcrimine,quod nomen, et  ver $ Sedpetes; cur in definitione oratio  bum fignificant ad placitum ex impofitio nis, non ponatur particula cs tempore, vcl nefui,atoratio ratione fuarum partium, fime remepere? Refp. Tatar. quia hic definitur . nunquam «n. aliquisimpofuit totam iftam oratio in cómuni ad perfectam,  et  imperfe orationem bomo eji «mima ad figificandü, Cam,  et  datur aliqua oratio imperfecta,in fed pracisé partes orationis funt impofitz   qua nulla ponitur ditio, qua fignificet cà ad significandum ratione fui;diciturautem, tempore,vt ila,  et zmo «/bu;, et  perfecta fem voxin numero fin iratione vnius for. per fignificat cum tempore; At multi hanc mz,quz eft vnitasordinis,  et  complexio una ioDets non recipiunt, arbitrantes nis,vt notat Verforiushic. dicitur cwiws« orationem neceffarió coitare debere ex no liqua pars feparata, et c. quia non eft necef   mine, et  verbo,vndé complexiones fine ver fe, quod omnes cius partes sintsignifica  bo,vt bomo «/bws, et  confimiles aiunt effe pu tiuz,fed fatis eft vc aliqua earum sicfe ha.  ros terminos complexos, qui non debent beat, aliz vero sint consignificatiuz, vt funt omnia fyncategoremata,  et  non pote(t . melius explicari hzc particula,quam dicé E. do ei Tobit. uod ado fubordinatur  . éonceptui complexo. ità quod intra ipfam |.   erationem habeantur partes componentes |» ipfam,qua diftin et is, et  feparatis conccpti ». buscorrefpondeant, qua de caufa dictiones |... . «ompositz figurz, vt een refpublica, .. circumícriptio,  et c,non funt orationes, quia refpondent duplici conceptui, fed vni ; |.   endénon oportet;ait Tat. quod partes ora |.  tionisin Fries: cb dictiones, quia si A  imponeretur ad significandum,quod eme ( eft mimal, c(fct oratio, fed (afliéit, quod à inetur c cuis citm Mo xp irur Joan.de o   amalib.z.cap.:. Vltima particula vt dj,  et c. ponitur ad denotandum, quod partes E erattoriis ad. minus effe debent. significati . uz,vtdictio,  et  non requiritur neceffarió quoésintafürmatio,  et  negatio ita quod non intendit negare, quod in As: es orationis signi opimo : negatio; nam oratio composita, feu hy pothetica habet Pastel osdfant ex af firmatione,  et  negatione, fed neceffariü cft, quod alique tius partes sint dictiones,nam etiam ipfamet aff et rmatio, et  negatio, ex qui bus conítat oratio composita, refoluuntur in partes significatiuas per modum simpli ' cis termini, vt patet de ifta Perrws ewrrit,t Paul di/putat ;  et  confulto id fecit Arift, «uia cum hic intendat. definire orationem in communi, debuitin definitione eius po nereidquod omn: orationi commune eít,  et  hoc eft habere partes, quz funt dictio nes,nam hábcere paites, qua fe habeant vt affirmatio,v«l negatjo,competit tantü ora" tioni compositz, feu hypotheticz,non au k tem simplici, ita caponit Tatar.cit. q. 3. $. cum oratione confundi, ità Hurtad.difp.3. füumm.fe et t.s. Fuentes a. p. fum. q.1. dif. 2. art.4 .  et  videtur fuiffe opinio Alberi, et  Philoponi,quod probant, Tum quia fi qua lifcung; plurium vocum combinatio íuffi ceret fine verbo ad orationem conftituen dam,tunc Celvm,T erra, lapis effet oratio : Tum deinde quía terminus complexus ha  bet quidem partes fignificantes,  et  pluri wee conceptibus,fed per mo dum partis vlterius componentis, non per modum totius compofiti, quod eft proprià orationis. Tum quia nomen,  et  verbum süt partes orationis principales,  et  neceffariz apud logicum. Tum demum quia oratio, et  terminus funt genera n et  fubordinata, quia fi oratio continetur fub termino, tunc ter minus de omni oratione przdicaretur,  et  confequenter etiam de propofitione fiter minds fup oratione,iam omnis terminus o ratio foret, ergo beme «lbu:, et  fimiles com plexiones nequeunt contineri fub genere. termini,  et  orationis, €xeo.n. quod terdum alique planta,  et  animal funt genera non fübordi. t, vtaffirmatio; nata repugnat aliquid fimul contineri (ub Falfum tamen eft orationem, vt fic, ne« ceffario ex nomine,  et  verbo conftare debe re,nam Arift, r, Topic. cap.4. fub oratione comprehendit definitionem caren« tem,vt animal rationale 5  et  quidem fi ver bum ad orationis conftitutionem neceffa la csw»teopere : Nec raciones in vrgent. Ad primam non Ig com binatio terminorum. t ad orationem, fed debét effe inuicem connexi aliquo nexu faltim grammatical:, qui non itur in C gue eie teri albus. . dam ex hoc; poo CAD ee LY [|  z rió requireretur, fanéillius definitio ab A. alata effet manca, et  deficeret particu   :6 tis ad conftituendam orationem perfestà werbo conitantem, non extrahitur à ratio int orationis;quia etiam ipfa oratio perfe € et ta fimplex ordinari poteft, vt pars ad có ftitutionem oration:s compofitz, Ad ter tiamnomen,  et  verbi dicuntur partes rincipales orationis perfe et tz,  et  propo Siionit. Ad quartam ComplutJib.z.cap.z. quinollram fequuntur. fententiam cü Co nimb.1.Perhier..cap.a Tolet. Ruuio, Anic. Mafio,  et  alijs mult; dicunt cócedentes ter minum non«ffe genus rcípcétu orationis, ncq. é contra: anos breuiter ncgamus aí fumptum, oratio namque continetur fub termino;nec inconucniens reputamus pro pofitionem ipfam peffe dici terminum, vt probat Cafil. contra Hurtad. lib 1. tract.1. cap.1. vndé terminus genericé fumptus di viditur in complexum, et  imcomplexum. $2 Diuid'tur oratio prima fui diuifione in perfectam,  et  imperfectam, illa eft, qua Sntegram fententiam declarat, itaut ani mus audientis quiefcat ; nec quicquá aliud pe quent vt Dcus eft íummü bonum; ifta €ít,quz integram fententiam non declarat, fed relinquit animum fufpenfum,vt fi Dcü vimueris,  et  vtraque fubdiuiditur j imper fe et a namaue altéra eft cum verbo, vt in exemplo allato, altera fine verbo, vt ho sno albus, animal rationale,  et  cft idem ac terminus complexus 5 perfcéta etiam eft duplex, .f. non enunciatiua,  et  enunciati .. wa: illa cít,quz licet fententiam explicet ;  et  quietet, non tamen dicit verum, vcl fal fum,  et  hac fit, vcl modo optatiuo, vt qt mam bomines faperent, vcl imperatiuo Vt difce puer virtutem, vcl vocatiuo,vt fercite, sid,vclinterrogatiuo, v1 e vadts?  et nunciatiua vero eft,que verum.vcl falfum dicit, vt bomo ef] animal,  et  ideo fit in modo indicatiuo : hinc infert Petrus Hifp. quod fola oratio indicatiua dicitur cnunciatio, aut propofitio,co quia aliz non fignificant verum, vel falfum, nifi reducantur ad indi «atiuam; notat antem ibidem Tatar. id in telligendum effede categorica, quia mul tz funt hypothetica determinat vcrz, qua non funt indicariui modi, vfi Afinus volaret, Afinus haberet alas; cum quo ité  eft obíeruandum pro iatelligentia defini tionum orationis, propofitionis; ftem mi.  et  Bmilium cop plcxorum, quod hac nondefiniuptur ia Logica pro prima inten tione, quia fic funt quzdam complexa, có lexum veró non definitur, fcd pro £:cun intentione attributa oration;, xc pro Pars Prima Infiit. T'facl.II. CapIT. "7 pofitioni vocali, quo fenfu funt quid incó  et  plexum,  et  eft ;bi przdicatio denominati i ua,ficut in definitione nominis;  et  verbi. Quid fit Propofitio, fen Emuncistio quemplex . X communi vfu Logicorem fuppo n mus Enunciationem,  et  Propoli tionem pro codem accipi,  et  tantum pe nes diuerfum refpeótum differre papsie tionem:b enunciatione, nam fi fola pona tur, dicitur enunciatio, quafi fimpliciter veritatem,velfalfitatem enuücieGatfi po    natur in argumentatione, dicitur propoft » tio,quafi pro alio ponatur, .f. pro inferen da conclufione, atque ità propofitio addit fupra enunciationem, quod proponatur infcrendum Mqie in argumentatione i hoc quantum ad quid nominis fufficiat. | Quo autem ad quid rd, Arift. Propofi   tienis duplicem tradidit definitionem, nà Priorum cap. 1 eam d tionem,  et  negationem, dicens, quod eft  eratis aliquid y upon negans,  et  i.Per bicr.c.4. cam definit per veritatem,  et  fal tatcm, dicens, quod efteratie werwr falfum fi mifican:, quam Petrus H P : plexus afhs binc Lis ab ides xq UE p iftarum definitionum quidditatiua fit, melius rem explicet,  et  quidem Alexadera  Ammoniu: fov.   due dere tur iccundan A finsionem non effe per cffentima datà,  Suæ,  et falfitas funtaccidétiapro   o! mtr a d vna, et  cadem propos   tio tranfire de vera in falfam, przferum in m;teria contingenti, nam bzc propofi tio Serres fedet, vera eft (edente Soite   et  fal(a nó fedente, idq. docct Scotus ex dm fcffo 4.d. 4. q. 2. V. vbi proindé conclsdit conceptum. quidditatiuum. tionjs rzccdere natura veritatem AK a'fitatem. dcircó ates c ul prima dcfin:tio acce patur, vt quidditatiua,  et  magis pcr effcu tialia data; ità Complut.Jib,.cap.3. Flanc. Hb cippus eit art, 1. Hurtad.  et  alij, tum quia afhrmatio,  et  negatie funt cffcntiales differentia propofitionis; vndé impelibile cft eandem propofitionem de  et ftrmatiua fieri negativam, ve] é contra 5 tim quia cffe orationem affcrtiuam,in qua teta confiflit enunciarionis ratio, formali te; ei conuenit, vel quatenus s num de :lio afürmat, vel negát ; tum quia propoftio vcra, De Propofitio [esr Eninciatio vera,vel falfa dicitur, quia affirmatiua, vel negatiua eft ;jnon é contra;non .n. affirma tur,vel negatur quia verum, ant falfum di citur,fed cx eo verum dicitur. aut falfum, quiaaffirmatur, quod non eft,  et  negatur, que elt,vel é contra; tum demum, quia af erere affirmádo, vcl negando eft de effencia  enumciationis,  et  ita illi conueniens, vt ta lis affirmatio, vel negatio in alia oratione nequeat reperiri; vnde quamuis aliqua ora tio non enunciatiua videatur aflirmsztio nem;vel ncgationem continere, vt vtinam fisideres,re tamen vera affirmatio hiiufmo di, v cl negatio nor eft affertiua, qualis eft illa,quz in propofitione reperitur; Videa tur Doctor cit.fub X, vbi eleganter docct, quomodo affertio ex vi copulationis prz cedatin propofitione affertionem proue nientem ex affeníu,vel diffenfu judicij,atq. ideà quod in ea priori confiftat propofi tionis e(fentia; id patet manifefte in a 1di fcente, ait Doétor; prius .n. aliqua coclu  fionon demonftrata concipitur à difcipulo affertionis, fecundo demon inferioribus conuenit; vndé tandem ipfe defimt propofitionem, quod fit oratio, cx vi cuius vnum de alio enuncjatur feü ora tio, in qua vnum de alio dicitur ; fic enim data definitio conuenit propofitioni, vt fic in cómuni;ac etiam infcrioribus;quia enun ciari vnum de alio abftrahicab attirmatio ne; et  negatione  et  per vtramq.fieri poteft, Poncius vero defcribit piopofitionem vo calem,vt fic, effe orationem, qua fignifica tur iudicii intellectus de aliqua res S et pro pofitionem mentalem formalem effe iudi cium intellectus de aliqua re;  et  propofi tionem obiectiuam effe totum obiectum complexum, circá quod fertur iudicium 5 uia veró intellectus habet duplex iudici erebus,vnum quo affirmat aliquid de ali quo,quod eft iud:cium affirmatiuum,  et  a liud quo negat ; quod eft iudicium negati uum, hinc propofitio vocalis, vt fic, opti mé diuiditur, tanquam genus in fpecies in propofitionem afürmat;uam, et  negatiuam., Sedquicquid fit de definitionibus prc pofitionis ab his Auctoribus allatis, im meritó quidem refutatur ab ipfis definitio . ab Arift. data per alirmationem,  et  nega tionem iam explicata, neq. enim nouum eft apud Philofophos,vt notat Ferrar.lib.:.de Anim. q.5. duplex genus dcfinitionis affi« gnari poffe alicuius communioris, vnü cft je Tircione ad ipfam applicata concipitur, vt z^ QUART MR "^ Hactamen propofitionis definitio non ND Cæ Omibd 8 Poncio orig expli E T »J catur per cam ratio pro onis, vtfic, 1 We wn s   "vtabttrahit à fuis: uo N lebe us abftsahereà rationi bus particularibus. Conf.quia definitio fu pzrioris conuenit inferiori faltim fecüda eas peni potet in definitione cuiufcunq. erioris, fed dc et pitio pradicta non rc  et é ponitur in 2cfinitione propofitionis af | s Érmatiuz;aut V6 eim airs enim propofi tio affirmatiua eíl,in qua aliquid de alio af. firmatur,velnegstur. Conf. ruríus, quia fi quis vellet dcfinire animam, vt fic;dicendo quod c(fct forma, qua effet: principium vel vegetandi, vel featicndi, vel difcurrendi mal definirecillam, fed proríus eadem e ratio'de hac de(criptione, ac de iam prz miffa ; ergo ctc. 1tà difcurrit Poncius in Logica pzrua c 1o. Tande arguit Onuied. controuerí 3 Summul punt. 2. n. 6. idco. qna:1en 'am effc aptiorem definitioné pro pofitionis, quixallata ex Arifl.explicatna turam propofitionis per difiun et tione, quz in ficri potell, in definitionevitá a cft,quia duplicem reddit d finitionem, | qnarum vna paro cuidam definiti, feü qui bufdam inferioribus rationis communis, cuz definitur,  et  altt ra alteri parti ;ícü alijs. ;nequeat alteri fpeciei, tam per puré effentialia, vt dicédo horio eft ani malrationale,animil eft fubftantia anima tà fenfitiua. ;.alterum clt, quando aliquod comrune definitur per actus (uerum infe riorím conaumergbdo illos fufficienter,vt fi définiretur animal per proprios omnium  actus; eve re : t proprius vnius fpeciei actus attribui actus infe  riorum dicuntur competere fuperiori,  et  communi,vt quia homo ridet,dicimus aai mal ridere, nontamen dicimus ridere bo uem;vel equum; inter quz duo definitionü ygus hoc prelertim diícriminis interce it, quod definitio primi generis competit fecundum omæs partes fuis inferioribus. contentis fub definito, at loquendo de al teri non cft neceffe, vt fecu "omnes pattes fui competar cuilibet contento, fed. raped in fenfu Metas et  quidem mxtà. commenem Interpre tum omnium expofitionem hoc fccub. do definitionis. genere defcripfit Arift incipid rerum naturalium wu, Phyf 4: cà pdt cffc illa, qug uon fiunt ex a!ijs;uec ex. alterutris, fed cx his omnia,  et  an mam ía ; «Co eon. Communi 2,dc Anim.24. cum ait effe prin. cipium primü,quo viuimus,fentimus, mo uemur, et  intelligimus :  et  tali gencre. defi mitionisdicunt explícari folerefuperiora n et  quidcm,vt abitrahunt ab inferioribus, ' fed potius vt illa refpiciunt:Ex qua do£tri na LER foluuntur argumenta aduerfa, uorum rebur totum in hoc cófiflit, quod deinitio data ab Arift. non fit bona, quia ex integro,  et  fecundum omnes fui partes non conuenit fuis fpeciebus nimirum pro pofitioni affirmatiue,  et  ægatiue, Deindé aduertendum eít Ariftot. non conftituiffz principales propofitionis fpecies affirma tiuam, et  negatiuam,fed cáthegoricam, Ode » quia vt mox dicemus,hec diufio direc? pertinet ad fubftantiam Pd ofitionis, interroganti namque de fub antia propofitionis, quznam fit,refpon demus effe cathegoricam,vel hypotheti cam: diu fio autem propofitionis in aífir matiuam,  et  negatiuam potius ex parte qualitatis attenditur : iuxtà quam doctri nam adbuc f2lfum cft Arift. non jtà defcri pfiffe propofitionem, vt eius definitio fpc ciebus ipfius fubftantialibus competere potlit,fiquidem tam propófitioni cathego: ricequam hypotheticz conuenjt fuo mo do affirmare aliquid de aliquo, ve! nega ye: vnde ex vno, vel altero fundamento rationibus Poncij,  et  Ouuied. cootra A rift. definitionem adduétisfacilé fatisfieri poteft : Non obid tá s«garc intendimus opositiones affirmatiia, et  negatiuá effe fpecies proposition effentialiter abiouice as, quia, ve dictuin cft, affirmatio,  et  negatio funt diffcrenciz effentiales pro. gofitionis, neque pertinere dicuntur ad qualitatem propofitionis nifi in eo fenfu, «uo ipíà ret differentia cffentialis dici x let cius I vt dicemus cap. feq. V cl tandem dici poteit cum Tatar, Orbel  et  alijs, quod perillud difiunctum affrmen:, ed y wef4n:, Ccircumloquimur differentiam effentialem nobis ignotam  et  cum propo fitione, vt fic, conuertibilem . «4. Sed quamuis verum fit propofitioné melius,  et  profundius per afhrmationem,  et  negationem definui ; tamen vt aiunt Conimb. multó accomodatius definitur verum,  et  falfum :  et  ratio redditur à atar. 1. Perhier q.5.6. ferta fGiemdum,quia bic principaliter confideratur de cnuncia tionibus vocalibus, vt funt figna concc prunm verorum vel falforum : ponitur au tcm verum, vel falfum difiun et im (ait Tat.) . fed aliquod compofitum, feu aliqui Pars Prima Infüit. Trafe.IT. Cap.HT. ad circumloquendü nobis differentiá enun ciationis, vnde illud difiun et dum verww,, ve! falfum cit paffio difiun et a propofitionis, vt par,  et  impar numeri,  et  conuertitur cum ta, quia emnis enunciatio eft vera, vel fal fa,  et  omne verum, vel falfum eft enuncia tio; Dum autem dicimus in enunciatione vocali veritatem,  et  falfitatem reperiri, id non debet intelligi tanquam in proprio ftue bicéto,  et  fundamento fic .n. folum refidet in propofitione mentali, vt notat Tat.cit.q. 1 ri Dubitatur. (ecundo, xndé veritas for malis proprié dicta eft conformitas propo fitionis mentalis, feu iudicij ad eius fignifi catum, quando nimirum it eftin re, vt per ropofitionem mentalem fignificatur,  et  faftas eft difformitas ta; debet igi tur intelligi veritatem,  et  falfitatem repe riri Jageoposnone vocali, velut in figno.   exprefftuo tudicij mentalis, eo modo, quo dicitur fanitatem contineri in vrina, qua tenus ef fignum fanitatis animalis; Signifie care autem verum, vel falfum,quod pro vocali propofitioni conuenit, eft fignis rerem effe, qualiter res fe habet,vel alite m fe habeat,  et  hoc non eft folum figni care aliqualiter, ficut fyncategorema,nec. folüm aliquid fimplex, vt ca » eft applicatio vnius adalterui quem fignificz po degye. dum ap ; i t latar. : Bor pre inguatà modo hgnifi fimplici, qui terminis conuenit. Itagime lius explicari non poteft enunciatio, vt cft communis cathegoricz,5 hypotetice,que funt principales cius fpecies, vt poftea di cemus, qua dicendo, quod fignificat obie  et um complexum, fuper quod poteft cadc re iudicium, in quo veritas,  et  falfitas cft, vbi per obie et uim complexum non folum incclligendum ef coniun et um per copu lam verbalem, quz vnit fubie£tum,  et  pra dicatum, fed etiam per copulam hypotcti cám, T a vnit propefitiones cathegoricas; nam fuper vtrumque complexum poteft cadere mdicium verum, vel falíum; oratio autem fuper quam tale [iudicium cadurc nequit, non eft enunciatio .  £x ditis fequitur propofitionem vocz« Jem,  et  fcriptam non dici veram, ve) fal fam denominatione intrinfeca, fic quod vc ritas,  et  falfitas fint in ipfa, fed (olum de nominpatione extrinfcca, quatenus fubordi patur propofitioni mentali vera, vcl falfa. Et fi quis dicat, propofitio vocalisnunquá ' j ubor NEAL d ( aur VV : i x 960$ ro Gre. ütionalem, vteü.  candi partiai;  et   (ea e 1 Tos dn yt 4 p nmmnmuum uu EREMO De Propofitione fet; Enunciatione. fubordinatur mentali, quia vel effet,quan do fübiectum dee ; vel pradicatum, vel copula, fed nullum iftorum eft dicéndü, pes quando fubie et tum profertur, intelle non format adhuc mentalem, fed fo lum in vltimo inftanti fuz prolationis,  et  tunc non eftamplius vocalis poposno. Refpondet Tat. cit. ex longa difputatione, quam de hoc habet Do et tor 4. d. $.q. 2. 6. Aliter ergo, quod nulla propofitio vocalis de rigore fermonis eft vera, vel falfa, fed folum de communi víu logicorum accipié tium ipfam, ac fi omnes partes eius effent fimul, co medo quo Mathematici abfolute dicunt A tangere planum A fi fo tangat; ità igitur de rigore fermonis nulla m fitio vocis t: eM dinatur mentali: fed folüm de communi vfu,  et  inftitutione logicorum vtentium €, acfi omnes partes eius effent fimul. . 55 Diuid;itur autem Enunciatio,tan quá in (pecies principales, in fimplicem,fed ca thegoricam,  et  in compofitam, fiué hipo theticam ; cathegorica eft, quz con(tat fu tibus przcipuis, vt homo eft thétier eft, quz conftat ex pluribus enun ciationibus fimplicibus coniun et tionc ali quem dies eft, lux eft; Petrus poet Rai q c Mit: Perlebt. plut cit. Ruuius q. 6. Mafius 2. Perih T; C.1. q.5.  et  alij dicantbdóe diuifionem non effe generis in fpecies, fed tantü analogi in fua, analogata ; probabilius camen eft cffe gene riss fpecies ;. tum quia hec diuifio dire et e ... bietto, przdicato, et  copula, tanquam gue T Dok accro 1 ies y terrcganti .n. de fubftantia propofitionis, quænam fit, refpondemus, quod eft cathe gorica, ve] hypothetica; tum quia vt no tauit Delphinus hie;hzc diuifio penes par tcs attenditur, ex quibus componuntur,  et  conficiuntur tiones, quz omninó PCI s iam perti : A o ieris quia hypothetica tio, vt talis oratio heifectizqi od con iiid fub fpecie optatiuz vel interrogatiue,aut alia rum, ergo enunciatiuz; tum demum ficut terminus complexus,  et  incomplexus vni uocé conueniunt, licet vnus fignificet rem compofitam alius fimplicem, ita cathegori ca,  et  hypotetica conueniunt vniuocé in fi gi ficando veritatem, licet vna fit compo ta et  alia fimplex,fatemur tamen cum ta li vniuocatione effe à admixtam, n quantum hypothetica conftituitur ex cz . t'hegorica, et  per prius inuenitur yeritas in cathegorica, b àm jin hypothetica ; (e quitur Ioan.de.S.Thoma cit.q. 5. art. s. $o tus 2.lib. Summul.c.6.cum multis alijs . At obijciunt Complut. non effe vniuocá generis in fpecies;tum quia id repuguat A» rift.loc.cit.vbi propofittionem cathcgoricá fimpliciter vnam appellat, hypotheticam vero vnam tantuin coniundtione, feu fecü dum quid ; Tum z.quia hypothetica non eft enunctatiua,non.n vnam propofitionem de alia predicat, fed tantum eas adinuicem connectit; quod eft vmbra quzdam,  et  fi militudo propxfe enüciationis. Tü ».quia hypothetica non continet diuerfam veri tatem, vel falfitatemà cathegoricis,ex qui bus conftat; Tum demum, quia hypothcti ca conftat ex cathegorica,ergo non eft fpe cies ab ea condiftin et ta, quia vna fpecies non componit alià, 4 qua codiftinguitur, vnde potius ditinguütur vc includés,  et  inclusü Refpondetur ad primum, quod ficut in entibus ens fimplex eft magis vnum ente compofito xd fe actu,  et  potentia, fed adhuc compofitum eft abfoluté ens vnum vnitate compofitionis,ità in propofitioni busrice fimplex fit magis vna,quàm com pofita tamen adhuc compofita eft vna vni tate compofitionis fa et tz per copulam hy pethezicam, quantum fufficit, vt abfolutà vna dicatur,  et  tantum fecundum quid per comparationem ad alíam . Ad (ecundam de ratione propofitionis, vt fic, eft effe enun ciatinam,.i.alicuius complexi affertiuam, poteft autem aliquid a(feri non tantum per dica tionem hien de CER etiam per copulationem fplurià propofitionum, que dutem dium pelm. EK æ veritatem abillis, vndé qui dicit fi Petrus ftuderet, euaderet doctus, vtique ali quid afferit. Ad tertiam negatur afsume ptum, quia hyrothetica habet propriam veritatem,  et  falfiratem à cathegorica di ftinétam, quia non fertur iudicium folum de cathegoricis, ex quibus conftat, fed etiam de ipfa coniunctione hypothetica: quantum ad. ita effe, vcl non effe, vt patet in ifta,fi homo effec afinus, effet rudibilis, nam de fingulis cathegoricis fertur iudi cium piod,,de Ses. autem Ke iro roin verum magis infra patc quar tam fi eme. neq. bina us edet. fpecies à ternario diftincta,neq.terminus incomple xus à complcxo, neque homo à corpore, et  partibus, ex quibus conflat; quapropter  potcft vna entitas fimplex alterani compo nere fpecie dicinctam,in qua habebit vti ^:  40 Dars Prima Inflit: Tra£l.IT, Cap1P, gationem mate riz, et  partis, licet in fe có fiderata fit quoddam totum,  et  fpeciem vnam conftituat, Quid [it prepofrri? Cathegorica, D quotuplex. $6 [Amdi et tum eft propofitionem cathe goricam eff: illam, qw« babet. fubie durs, pradscatum, C copulam verbalem,vt partes principales fui,quod additur propter alia fyncathegoremaca interdum concur rentia ad' propofitionis coüftitutionem : quz definitio ità à Tatar.exponitur tradt.1. fum . catbegorica eff illa, qua explicite, vel smplicità, form«liter,vel aquéualenter habet fubiehum pr «dicatum, dr copulam, tanquam principales partes [a:. dicitur cathegorica, A. przdicatiua, quia przdicatum enunciat. de fubiccto,  et  ab alijs dicitur fimplex ; quia Ífelum ex verbo, X aomine componitur,di citur explicit?, vel implicite, propter pro» pofitiones de verbis adiectiuis, vt Deus. creat, vel def fccundó adiacente, vt Deus eft in quibus implicité folüm copula coa tinetur, vt patet eas refoluendo, Deuse creans, Deus eft ens, capiendo ens partici pialiter; ponitur fermalster, vel àquinalen  fer, quia etiamfi A 1mponeretur ad figuifi candum tantum, quantum animal currit, tunc A efft propo o, quia daas : tur cunceptui complexo,cum vero propo. fitio continet formaliter,  et  explicité fubie  et um,  et  przdicatum dicitur de ef tertio adiacente, quia nimirum illa tria explicite continet, fiué przdicatüm poft Iam ponatur, fiue ante, vt in ropofi. tionibus de modo loquendi  inconíueto, vt imal c(t . Interdum autem contin re folet, quod fubic et tum fit vnica tancü i et tio, vt inexemplo allato, quandeq. vna oratio,vt homo fapiens eft bonus, aliquan do etiam vnica propofito,vt homo;qui eft " fapiens fugit peccatum,  et  adhuc iltz funt propofitiones cathegorica, ficut etiam cü ; dicimus b»mo eff animal, eff propifitio : nam in his,  et  fimilibus integra propofitio ha bet ration fubieáii,  et  copula propofitio nis illius, qua gerit vicem fubie et i, dicitur copula minus principalis, quia ex illa veri tas, ve] fal(itas propofitionisnon attendi tur, fcd. ex fecunda, qua idcirco copula principalis appellatur . $7 Solent autem in propofitione cathe quattuor, qua eti fuo E modo in hypochetica inueniunttr, vt po (tea videbimus: forma,materia, quaatitas,  et  qualitas, metaphora translata ex phyfi cis corporibus : Forma propofitioni ; eft copula,quz efficit vaionem przdicati cum (ubie et to fecandum afürmationem, vd ne gationem, quz interdum ia vnica pro ofi tione poteft effe duplex, vna priacipa is, et  alia minus principalis, vt nuper dice»amus. Materia funt obiecta, in quibus, vel de qui l bus formatur propofitio,  et  cogaofcitur per habitudinem, vel connexionem prz i cati cum fubiecto . aam fi funt neceffarià connexa, vt homo eft anumal,propofitio jn materia neceffaria: fi funt connexa con tingenter, vthomo eft albus, eítin mate riacontingenti: fi demum neutro modo connect; poff.int, vt homo eft lapis, elt ia. materia impoffibili, feu remota : de triplici propofitionum materia dantur regulz, quod in materia neceffiria afirma tiua femper eft vera, negatiua falfa, vt om nis homo eft animal, nullus homo eft ani mal in remota e contra, negatiua femper "de lapis, nullus homo eft lapis i. A "EL. vera, affirmatiua falfa, vt omnis ho: verb poteft vtraq; eff: vera,  et  fa, imas Moo (tadet;nullus commis mulushomofu  det, aliquis Romo" ftudet aliquis homo non ftudet . ] Quantitas eft,qua explicat exten vel reftridtionem propofitionis t. vel vniuerfalis, cuius nemp i terminus communis fign. minatirs,vt omnis homo eftanimal, ullus  homo eft lapis ; vel. pirticuaris ;cuius .f. fubie et um eft terminus cómunis figno par»  determinatus, vt quidà homo cur rit;aliquis homo non currit vel eft indefi nita;quz habét pro fubie et to terminum có munemnullo fizno notatum, et  ideo dici tur indefinita, vt homo eft animal, homo eít albus, quz proinde fi fiatin materia ne ceffatia, vel remota zquiualet vniuérfali, nam homo eft animal, idem valet ; qu omnis homo eft animal,  et  homo no1 eft lapis idem valet, quod nullus homo eftla pe fi vero in materia contingenti, tquiua et particulari vt homo currit;idem valet, uod aliquis homo currit ; vel deinum elt is, cum .f. fabiectum eft terminus fingularis, vt Petrus legit, vel communis o demonftraciuo notatus, vt hic homo currit, Ex quo yatet quantitatem propofi tionis atten li folum ex parte fubiccti, quo modocunque prz.licatum fe habeat ; vnde : ifta Í w^, dicendo (soft propofitionem cffe veram, vcl fal(am E. /. tionis in vcram,  et  falfam, affi  ncgatiuam, veiuerfalcm,  et  particularem f eincdesæ gEnErie M esiste po á  De propofitione Catbegorica 7 Afta adhuc eft fingularis, Petruseft homo. Qualitas propofitionis cft a et irmatio,  et  ' megatio, veritas,  et  falfitas, fed quia illa vi dentur effe cffentiales ditferentiz, ideà di cuntur qualitas intrinfeca : veritas autem,  et  falfitas qualitas extrinfeca,  et  dicuntur qualitas propofitionis, quia interroganti qualis eft propofitio, refponderc folemus effe veram vcl falfa m;affirmatiuam,vel ne gatiuam; affirmans eft, in qua przdicatum afürmatur de fubiedo,  et  negans, inqua ncgatur, vndé ad enunciationem negatiuà neceffar;ó exigitur, yt negatio cadat fupra copulam princeslétis feu verbum praci puum,  et  ideó fi negatio fit coniuncta cum nomine, f. cum fubicéto, vel przdicato  propofitio negatiua non erit fed affirmati :wa de termino cl terminis infinitis, quales funt ift, Pctrus cft non lapis,non fapis eft homo,non lapis cft non homo, neq; fi ne gatio coniunéta fit cum copula rjipus prin  . €ipali reddit propofitionem negante, qua a^ Pd acqui non fludet, eft ien débet €rgo effe ccniuncta cum verbo przcipuo on elt iners . Quid ve " pattexcap.przced. Quares, an prafatz diuifiones propofi affirmatiuam, et  ius fübiecti in accidentia, R "uiter decifionem quafiti quoad primam diuifio nem in ycram,  et  falfam pendere ex dicen disinfrà difp. 16. Q. 2. art. 2. an veritas,  et  falfitas fint. «ffentiales, ve) potius acciden tales propofitioni,adcoquod de vera pofiit mutariin falíam,  et  contrà, fi enim res átà fe habeat, planum eft hanc diuifionem non cffe effentialem, neque gcneris in fpe cies, fcd potius fubie et i 1n accidentia ; có trarium vero aff eft, fi resnon ità fe habear;de quo loc. cit. Quoad aliam di uifienem propofitionis in afürmatiuam,  et  negatiuam,non defunt exiftimantes effe ac entalem;quorum prazcipuum fundamé tum eft, quia cit diuifio penes qualitatem opositionis, qualitas autcm vi nit ef fentiam,  et  fubftantiam rcis Ni erben dicendum «ft hanc cffc diuisionem effzntia Jem, ac gencris in fpecies, quia vt fupradi  et um cft, affirmatio,  et  negatio funt cffen tiales ditízrcntiz propositionis,pam pro positio a£iimatiua 1cIpicit effentialiter idé Utatem, X connexionem rxdicati cum fu bicdto, negatiua veró refpicit cffentiali 4t ter negationem przdicati cum fubic et to;ex uo fit impoffibile effe vt negatiua tran fest in affirmatiuam,vel é contrà,quia for ma cffentialiter conflitutiua propositionis affirmatiuz eft connexio, coiun et tio, et  vni inter ex€rema ; forma veró negatiua c feparatio,disiun et tio  et  diuisio extremorü: ergo omninó compertum eft hanc diuisio nem effe effentialem : neque oppofitü fun damentum vrget, quia vt notat Orbellus, intantüm hzc dieisio dicitur fieri. penes qualitatem, quia sicut qualitas confequi tur formam, ità affirmatio, et  negatio prin cipaliter refpiciunt copulam, quz habet rationem forma in propositione : vel quia affirmatio,  et  negatio funt differentia cffen tiales propositionis, que habcnt modum qualitatis. Dices bené vransire propositio nem negatiuam in afbrmatiuam, vt cum di citur lapis non eft animal, lapis eft non ani mal, hac enim eft affrmatiua de pradicato infinito, et  illa rcgatiua,  et  tamen funt ef fentialiter cad cm propositio . Negatur qp sint eadem propositio,quia in primanega  tur animal de lapide,  et  in fecunda affirma tur de lapide negatio animalis, ac etiam quicquid non eft anima!, Dices faltim effe non poffe diuisionem generis in fpecies,vel vniuoci in vniuocata, quia zffirmatio,K nc gatio explicantur per cffe,  et  non effe, a Brmatur namq. dicendo, quod aliquid eft,  et  negatur dicendo, quod non eft, fed ad effe,  et  non «ff: nequit dari aliquod com. mune vniuocum, ergo etc. Refp. negando cffumptum, quia tám bené participat cffen tiafem rationem enumciationis, ciuíq. paí sioncs negatita propositio,a: affirmatiua z tam enim ben? poteft significare verum, vel falfum vna perinde, ac altera, nec mi nus proprie terminare potest a(fenfum, Y diffcufum affimatiua, quam negatiua; ad probationem affur pti dicendum, quod li cet inicr effc4 et  non effe nollum detur nie dium, nec aliquid comune 3b eis abítrahà offit, adhuc tamcninter significare effe, K non efle aliqua duo inuicem vnita ;  et  connexa potcít darialiquod cómune ab ftrahens ab vt108. fignificatio nimirü pro. positionglis,  et  complexa, quat conuenit propositigni, vt sic,  et  vtraq.significatio tam .É.affrmationis, quam eft ofitiua,  et  fc habent vt dug fpecies figni B casionis;vt fic, quia licet obiectum figni ficationis negatiux fitaliquod negatiuumg aétus temen mentis eft pofitiuus,  et  realis. Quo tádém ad aliam m rec c : uo. / ^ ^42.   dbi uo odio uL. i 4T fitionis in vniuerfalem, particularem, etc. fcré conueniunt omnes non effe effentiale, fed accidentalem,  et  ratio cft, quia non fu mitur penes id, quod eft cffentiale in pro. pofitione putà penes fignificationcm cóm plexam,  et  extremorum copulationcm, in quocenfillit vis enanciatiua, fed pcnes ext.nfionem fübicéi ad ca, quibus pradi catum conuenire potcft, vndé fipponit enunciastienctm iam effentialiter contlitutà ercopulationem extremorum, qua po fca extéditur ad plura, vel pauciora iuxtà quantitatem figni appofiti termino cómu ni . Dices as duas propofitiones fpccie intcr fc differre ratione folius quantitatis, vt iftz, omnis homo cft albus, aliquis ho n1 cft albus,nam prima eft falfa,  et  fecun da:ft vera folüm ratione quantitatis, Ne gatur asffumptum cum probatione, quia li cet v niuc rfalis plura obicéta refpiciat, quà particularis, tamen illa plura non funt fpe cie diucifa ab obiccto,quod refpicit fingu laris, neq.«nim emzit bomo quod cft fübie €um illius vniuerfalis, fpecie diftinguitur ab aliquo homine,qui fubie et um flatuitur 1n particulari ; neq. ex hoc quod vna fit ve ra altera falfa pracisé ratione quantitatis, bené deducitur illas propofitioncs fpecie ditliogui, quia vt diximus,veritas,  et  falfi tas ncn funt cffenüiales diffcerentiz propo fitionis. $$ Diwsiditur autem cathcgorica pro qiie yatione ppisciueot in dire et tàm, eu naturalem,  et  indirectam, feu innatura Yem: dircéta cít,in s predicatur id, qnod pradicari debet, debet autem praddicari fu perius de inferiori vt quantitas eft accidés, diftinétum de confufe, vt homo efl animal rationale, accidens de fubicéto, vt fetrum. eft durum: prose qua hunc ordincm at, dicitur directa, feu naturalis ; quz autem ordine inuerfo a£ et 1:mat, dicitur in naturalis, feu ndire et ta;vt accides eft quá tj imal rationale eff homo, durum eft ferrum . Ratione veró modi ; quo exprimi tur przdicatum cenuenire fubiccto, diui dirur in abfolntam,feu de inc ffe,  et  in mo d»lem ; propofitio abícIuta, fcu de ineffe «B, in qua abfol;té przdicatum fubicéto uibuitur nullo addite modo, quo/ti con veniat, vt homo eft animal... Modalis cft,. qua ncy tantum fubicéto tribuit pradica tumáícd ctiam modum exprimit;qto ei có .ucfiit, vt neccffe cft homincm animal:  et  quia. bac diuifio faris eft celebris apud $un.n.ulifl ideo rcka2 priori haac proíc terminare totam compofitionem,fe verum,ac dieete, qj hemo cft animal; ideo Pars Prima Toflit. Tracl.1. Cap.1V  i quamur ; an ætcm hac diuifio fit generis in fpecics, Tatar.lib.z.Perhier, q.2.6./eewn dà [ciendum, armat, quia propofitiones modales,  et  de incffe magis ditfctunt,quà affirmatio, et  ncgatio, fed hacfpecic diffc. runt, ego,  et c. Acaffumptum cft fal(um, quis .n. non videt plus differre iftas bomo cft animal,homo non cft animal, quam iftas homo cft animal, quz clt de incffe,  et  ho E mo neceffario eft animal, qua cft modalis£ potius ergo dicendum cft modalem,  et  de ine ffe non differre,nifi accidentaliter, qua tenus in vna przdicatum tribuitur abfolute fubic et to,  et  in alia fpecificatur modus,quo ei conuenit. CAPVT V. d Quid frt propofitio modalis, Cr quetuplex .^ $9 m modalis fi t membrum cathe. goricz, cam quoque pratrittimus. hypotheticz, dicitur autcm modalis, quia.  conftat ex modo determináte ipfam, mo dus .n dcfinitur,quod fit adrecen: tei deter 3j mipatio, Q modificati 5 aliqui modi de! minant tátüm extrema propofitionis,fü Gum.f.veTprzdicatum, de quibns egimu tract: € .2. Cfi dicamus Homo fhusel piens, Petrus cnrr. idfins in prima modificat, feu rei ic et um,ly veleciter in fccüdamodificat dicatum,  et  hi modi non faciunt prop tioncm modalem. àliqui vero nati o nem prgdicati cum fubie£to, vt neceffe eft bominem effe animal", aut homoneceffarió: eft animal,  et  hi conftituunt propofitionem. modalem: vndé propofitio modalisdefinis   tur,quod fit illa, qwawonflat medo determi.   nante ip[amg vc excludatur modusdetermi    nans extrema tantum ; modi veró determi  nantes totam propofitionem fex enumcra ri folebant,, vt 2pud Petrum Hifp. videre. cft; poffible impcffibile, neccffarium, cori tingens,verum, falfum, fed quia duo vltimi fuprapropofitiones de ineife nihi! addunt,. idem .n. cft dicere hominem cffc animal eft quattuor primi tantür retenti funt;vt poté qui proprie extrabunt propofitionem à ra tione propefitionis de ineffe,  et  modalcm. conflituunt: ita tamen retenti funt,vt quà uis efie fit quid cotemune ncccffario,.  et  contingenti eub vtroque dittim et um,. tàm n. néceffarivm, quàm ccrtiegcns ncn repugnat t ffe, qve cfl defiritiepefetilisvt fic, fcd contngcus vitcrius acd.t pc ffe noh Cc, De Propofitione modali  eff,  et neceffarium? contra non pof: aon e(f;nihilomiaus in przfenti poffibile fumi tur,vt coincidit cum coatingenti, y f. po telt effe,  et  non eff: : vadélicet quó ad vo cem fint quattuor modi, tamen fccuaduim rem funt tres cantüm, et  correfpondent tri plici materie propofitionum jam explica te cap. preced. naturali,remotz,  et  coatin genti ; hoc tamen adærtendum eit, quod modalisin quacunq. materia formetur, aut elt neceffaria aut iarpoffibilis, nulla cócin gens, nam in materia contingenti etiam eft neceffariía, nam fi dicamus, contingens elt hominem currere, certum eft applicatione t modi ad di et um eff: æceffariam, quia ne : Ceffz eft,vt curfus contingenter ei coueniat, E nec aliter ei conuenire potelt . Dupliciter autem poteít modus in  . propofitionc poni, nominaliter,  et  aduer  .. bialuer; primo molo ita afficit totam pro ».  positioæm, vt illam coaftituat fubiectum  dewerbo infiaitiai modi,  et  ipfe cum alia copula finita sit przdicatum,vt Petrü cur 3 nat . tiui modi, femper.n. retinet vim przdica  S APvsA .doc:t süPerhier, ca c c ad ipm . . v. 1  : » uercen:  nito,qui ) EE. erum  rere : ; PI el  sum, ^ . media copula finita ieflicilür iacdus T (005 eff poffiiles si verá modus ponatur adær 2 baalicerin propositioæ, vt cum diciturho  moneceffarió eft animzl,paries eft contia genter albus, runc modus non cft prz dica  tum, fed mera copulz, determinatio, vnie . modifica: vnionem przdicati cum fubie ' et o, vt patet in allatis exeaiplis;  et  hic etiá aliqui diftinzuunt modum,  et  di et ut di et um, nam totam propositionem, vt homo eft animal, quæ modificatur à ly seceffsrib dictum ap pellant; fedre vera in modalibus aduerbia liter formatis noa tta proprié potcft affi gnari didum, sicut u311o formantur no minaliter,  et  ratio cít, quia cum aduerbiali  ter foranatur, modus non eft predicatum. Rh. : totam propositionem immediate afliciens, fedimmediaté folam copulam modificat . 61 Porró modales habent quocunque mo 4o formentur, »rapriam quantitatem,  et   qualitatem,  et  quidem eam dignofcere in mo 1libus aduerbüliter formatis non di fizile, cum an. in his modus non ice tac, (24 folun nodificet copulam, atque idzo idemremaæat fubiedum,  et  przi 0g A « rere eft poifibile, neceff: eft hominem eff. ^ animal vade paru refertquid modus aa . teponatur, vel poft ponatur orationi infiai  fet efse modus vniuer(alis fempzr cft pofübile ) . a5 catüm, 1110d erat ín simplici, quancitis, X qualitas earum eodem feré moo v23aada erit,sicut ia propositioaibus de iazf:; ac in modalibus nominaliter formatis, cim ous prz iicetur, X,cobui aiti rioja ciatur; ad eam venandam eft aliter proce dendum ;in his igitur cam quantitas i.vni uerfalitas, ve! particalaritis,tum qualitas.i. afficinatio,vel negatio, veritas, aut falsitas ex duplici capite attendipoteftatmirum ex di et o, et  modo,fed principalius ex hoc, quát ex illo; vade si modus negatur de dicto.etsi dictum sit afirmatum, propositio dicitur simpliciter,  et  ab(oluté negatiua,  et  folum affirmatiua fecandum quid, vt Petrum cur rere non eítæce(farium,eft affirmatiua de di et o,ægatiua de modo, atque ideo sim pliciter negatiua, fecundum quid. afirma tiua;  et  ? contra fi eft afürmatiua de modo, nezatiua de dicto, vt hominem non : ff. la 'pidem eft neceffe, erit simpliciter aflirma  tiua,(ecundum quid negatiua. Sic etiam ve« ritas  et  falsitasex vtroque att:ndi poteit, at principaliter attendi debet ex modo, an si conzeuienter positus; vade fit, vt q1à uis dictum sit verum, propositio polit efe falfa, vt si dicamus contingeas eit honiné eff. animil,ia hac dictum eft veram,  et  a1 hac propofitio,eft fimpliciter falfa, qaia licét verum fit hominem eff? animal, fil fum tamen eft illi concingenter. conuenire rationem animalis;  et  ideo vt modus fit có uenienter pofitus X rcddat propoíitioné fim»liciter veram, attendi debet mater'a, qua fit propofitio, et  dictum,cui applica tur modas. 15a enin conuenienter formas retur propofitio de nece(saiio ia materia coatingenti, aut propositio de contiageg ti in materia naturali . ein Eolemmodo circa av EROS modz lium difcurreadum eít,qaà4 fimpliciter at tendatur ex quantitate modi, fecundá q folum ex quantitate dicti, vndeilla propo fitio erit vniuerfalis a e Er coitac mo4o vaiuerfali, etiam!i dictam (it parti culare, idem  et  coatra : illi autem «€ tempus,  et  t tempore, tales fuat N eceffarim Gr imp bile, nam ille rem gut pro omni tempo. re, ifte pro omai témpore tollit ; particu lares modi é contra enti ngeni en pofibite, vc hic famitur (am fi tur, vt idem e(t, quod noa rep.   k    curo is V9  » 3 Lid: entür . moi vniærfales, qui amplectuntur omæ ; diftribuuat pro omat mpif. ans, poe  VN non tua EO é contra talis dici 44 Pars Prima Infiit. Tra et .IT. Cap.V. tur omne témpus,contingens enim nó fem per accidit, ficut nec poflibile, vt contin 'entiam importat; illa igitur modalis, cu ius dictum eft particulare,  et  modus vni alis, vt iftanece(fa eft Petrum efse ani mal,eft fimpliciter vniuerfalis,  et  folum fe cundum quid particularis ;  et  idem eft  et  contra 62 Diuiditur propofitio modalisin com pofitam, et  diuifam ; compofita elt, /» 44« modus fe habetyyt pradicatum, (v dilkumyvt Lii vnde conftat ex modo nomína iter fumptos diuifa eft, iw qua modos ad wer bieliter fumptus determinat copulam, habes exempla fuperius ; aiunt quamplures hanc diuifionem ese equiuoci in ea seres alij tantum, diuifarn putant effe modalem, compofitam vero effe mere de inefse, vt Tatar. tract.1. et  lib.z. Perhier.q.2. S.qwarto Jiéendum,cum Bargio citádo,cuius ratio eft, quia modilis eft, cuius copula non eft fim plex, fcd modificata per modü, fed folà di uifa copulà habet modificatà, cópofita ve ro copulam habet fimplicem,  et ideo hzc eft fimpliciter deineffe. Alijé contra com pofitam agnofcunt pro veré modili, at di üifam inquiunt effe meram de ineffe, quia habet prorfus idem fubiectum, et  przdica tum, quod ipfa,nec in ea cernitur di et um, dequo verificetur modus. Acafferendum eft vtramque propofitionem tum diuifam, tum CREOÓ EA effc veré modalé,  et  ideà eff» diuif.onem vniuocam, nam in vtraq; oeil modus determinás vnionem pre  dicaticum fübiedo,  et  in vtraque expri ng modus, quo MER jccto,ergo vtraque veré modalis erit, per ""Bocenim fnodilis feceraitur à filio pofica calis Bs tantum,quia e sé componitur ex dicto,  et  modo, fed prat fertim quia facft fef eompofiim  et di HI ; uia facit diui fum,ita Tatar.cit trac. t. in Pct. Hifp. c. de modalibus, qui fenfus compofitus, et  diui fus licet fit obiter explicatus tractat. prac. €.ylt hictamen rurfus diligentius enuclean dus eft,vt ille,ex cuius intelligentia pendet folutio multarum difficultatum in Thcolo gia,vt notant Complut.lib.2.cap.8.  63 Senfus itaque Md ein perpro fitionem modalem fit,vt docet Tat. dda ciendo modum pradicari de tota propofi tione correfpondente dicto, vt fenfus iftius [A eed pojfibile eff album effe nigrum m, hac propofitio, album eft E ix nigrum, eft poffibilis; ratio eft, quia cum modus cft przdicatü in propofitione mo dali,tüc totum dictum veré eft fubie et tum,  et  cófcquenter de partibus eius fimul sum ptis,  et  per modum vnius prædicatur mo dus,  et ideó sefus erit formas importatas per extrema dicti effe fimul compoflibiles in codem fubie et o, et  pro codem tempore, in quo confiftit fenfum cffe compofitum ; quapropter cum modalis compofita fem . er vniat inter fe formas importatas per extrema dicti,  et  de illis fimul füumptis prze dicet modum, hinc eft, quod femper facit fenfum cote, ex quo infert Tatar. ex Scoto z.d z. q.9. modalem compofitam de rigore fermonis non bene diftiagui fe cundum fenfum diuifum,  et  compofitum, quia formaliffimé reddit tantum fenfum compofitum; quód fi fequédo comihunem; vfum velimus eam exponcrein fenfu diui fo,tunc ex modali illa compofita duas for  mare debemus cathezoricas,vnam de inef fe,  et  aliam modalem de aduerbio;  et  fic al lata modalis compofita poffibsle efl al et um ef.  fe nigrum explicatur per has duas,. hoc. Yn  et  hoc poffibliter eft nigru eodem inftanti tribuitur albedo c bilitate ad aigredinem,que duo.n gnant,quia vna forma non exclu t poten lum c ità Scotus 1.d.39 fub G,v fum compofitum, et  diuifum.Hincfitquod   fen(us diuifus eftille, qui fignificatur per modalem diuifam,cum n. in €a modus íolà. copulam afficiat,  et  non totam propofitio nem, denotat fubiecto conuenire illum mo dum,non autem ipfis formis pradicati  et  fubiecti fimul conuenire,  et  1deó ficut fen fus iftarum compofitarum,migrwm ejfe «lbs eft poffibile, [lVantema federe ef poffibile,eft co ficus,  et  fignificat,'quod coniun et io fe dendi, et  (tandi eft pofíibilis;ità fenfus iita rum diuifarum, (edens pofhibiliter ftat,feu Sas ftare, album poffibiliter eft nigrum, cu potelt eiTe nigrum;eft diui(us,  et  fignifi cat,quod fubiedto f(edenti conuenit pocen tia ad ftandurm, non tamen ad ftádum fimul cumfcfsione;toram banc.destrinsm de. mo dalí diuifa, et  compofita,  et  de fenfu diuifo,  et  compofito recipiunt  Complut. cic.  et  Toan.de.S. Thoma lib 2.C.29: Vt communem »  et  explicatur fic per vnam. Thomiftarum, et  valdé notapda elt pro d'it ficultatibus tcologicis ia matecit de prse e :id cd poteft effe nigrum,  et  fic in fenfu diuifo eft  vera propofitio, quis eidem fubiecto ied o A oexiftentiam, et  fimultatem cum illa,   f "pep nra COMER : 'abalia dependet,  et  . ^ De Propofitione bypothetica  deftinatione, et  diuinis auxilijs; ità etià ex Les Bargius (cnfum compofitum,  et  diui um in t;d. 39.ad S. Ex s/fo fecwndo patet ter tium ex codem Scoto 2.d.2.q.9.de hoc vide etiam p. inflit.tra et . 5. c.z. vndé immerito hánc do et rinam inficiatur Poncius cap. t4. paruzlog. Quid [it li ypatbetica propofitio, Cn quotuplex. 64 Ypotheticam cap. 3. diximus effe H viupoliiosdin ex pluribus fimpli cibus conftantem coniunctione aliqua i1 ter fe connexis,  et  hz vel funtambz perfe Gz, et  confticuunt hypotheticam copulati vam fi per particulam.e»,conne et tantur, vt Petrus dormit, Paulus ftudet: fi veró per articulam vel;conftituüt diun et iuam, vt E i vel dies eft,vel nox eft . Aut vna propofitio feu vnius veri lituunt hypo dee altera impf. . theticam conditionalem, quz illas duas . continet inuicem vnitas per particulam fi, tfi. curric,Petrus mouetur. Ex quo . coftat!copulam hypotheticam bum,íed iod rcr fed pe fim .. plicesconiungentem, v. g. Et, Vel,Si;atq; roo SÆI [Nep cue ces przdicatur de alia,fo lum n.verbum eft nota eorum, qua przdi eantur ; conftatetiam effe principales fpe cies hypotheticz, .f.sonditionalem, copu latiuam,  et  difiun et iuam, ad quas aliz mi 1inchidit rationem difcurfus,  et  ha  bet vith illatioais, ita quod vna fimplex in fertur ex alia, ideo ad eam reducun tur rátionalis, fcu illatiua, qux con flat particula 2o, vt Sol eít, ergo diés eft, ac etiam cauíalis,quz cóftat particula 44/4,  vt quia Sol eft;dies cft; Immo vt notat Tat, traét.i eed prop. hyp.fi particula// non fumatur ilatiue in rigoresvt denotat con fequens (cqui ex vi antecedentis, fed largà vtimportet concomitátiam antecedentis,  et  confequentis conditionalis funda tam, non quidem in bonitate illatio nis fecundum fe,fed fuppofita aliqua pro mifstone;aut propofito, vel alia caufa;ratio ne cuius posito in effe antecedenti, pone retur etiam confequens, vt si veneris ad me, dabotibi equum, si haberem libros, libenter ftaderem, werden dicitur yeómiísiua, altera Lbs ionalis, ifta nó efft ver. 45 nalem reduci: non tameasi ly,.si, n rg iz e fumatur, quia licet iftz in antecedenzi ha beant caufam confequentis,non tà rien ne ceffariam,  et  ideó dicuntur conditionales imperfedz quam doctrinam recipiüt So tus lib.;.(um c.8 Jedt.;. Compllib.z cap.4. Casil.lib.: .tradt.a. c. 1.  et  alij ex Societate : Condirionilis vero fecundum vocem tan  tüm,in qua mimirum conditio posita iu an tecedentc nullo modo eft caufa confequé tis ; fed penitus difparate fe habent, vtsi Coelum tonabit, P.:rta filabic;nullo modo ad hanc fpeciem reduci pote!t, (ed eft mera copulatiua importants (olam temporis coe . Xiltentiam antecedentis cum coníequeati, non cauf(alitatem . Ad copulatiuam tádem, vt notat Tatar.cit. non ad conditionalem,. vt quidam putant, reducuatur omnes pro. ositiones per aduerbium temporis, v oa, vel similitudinis, vt Petrus dormit, quando, aut vbi Paulus ftudet, Plato fuit dostus;sicut Ari(t. et  alie consimiles, nam fenfus, eixrum eft Petrus dormir in ifto cera pore,velloco, et  in eodem Paulus ftudet, K sic de alijsifequitur Casil.cit cum alijs. gj Verüm cum iem definitio hypotheticze ropófitionis, quod fit coftans ex pluribus jx Cibus coniun et tione aliqua. inter fe connexis,  et  eius diuifio in conditionalem, copulatiuam,  et  difiundiuam fit omaiuax Summuliftarumcommunis, vt pote qux manifefte traditur ab Arift i. Periherm c. 4» Vbi propofitionem nypotheticam vacat coniundlione vnam,nihilominus non reci nó diftinguit hypotheticaa à cathegorica quia Fees di fubiecto,predicato,  et  co nus Tio udi rionam di quia.n. condi « pitür ab Hurtad. difp. 5.fec. 5. vbi proindé tio pula, tanqitam partibus pracipuis, illa ve ro plu enundiationibus. fimplicibus coniunctione aliqua connexis; q  ipfum tenet etiam Ouuied.controu.s.funi mul.punc.4.quia, inquit, omnis propofitio fiu et 'eategorica,fiué hypothetica conftat z qué primo,  et  per fc fubic et o,  et  predica to, tanquam partibus proximis, nam.om nis propofitio eft enunciatio vnius de alio, ergo in omni propofitione datur vnü quod enunciatur, predicatum ;  et  aliud de quo enunciatur,  et  eft fubie et tum; crgo om nis propofitio conftat fubie et to, cato . Conf. omnis propofitio cft iudicium, uod effentialiter eft cognitio,qua coguo itur conuenientia duorum extremorum; ergo omnc iudicium, feà omnis propofitio dicit vnum extremum, cui aliud conuenit, ctiam potiunzad hypotheicam condiigs ik aljid quodeonucnit, quorum ho pre E nr MP wd; 4€  fPariPrima InfliTraflII. Cap. VT.  dicatum, illud fubie et um dicitur. Nec iuuat dicere hypotheticam habere (ubiectam,  et  pradicatam remotum, quía iudicium im mediate enunciat vaum de alto,  et  imme diaté fertur in conuenientiam extremorü ; ergo refpicit extrema, tanquam immedia té affe et ta copula e ; ergo tanquam partes immediaté componentes propolitioné om nem.Nó ergo ex hoc capite voluat hypo theticam à cathegorica fecerai, fed exeo, quod cathegorica abfolute,  et  fe fola e(t fi gnificatuia, hypothetica vero minim?  d in faa fignificatione pendet ab alia, tanquá à coditione, vt ff Sal Lucet,d;e: ef, hic enim exiítentia predicatur de die, non abíolutàj fed dependeater ab cxiftentia conditionata Solis, vndé (eafus eit, dies eít exiftens, fi Sollucet, vbi additum illu // $2! /wcer,pre,. dicato appofitum facit propofitionem ni hil ponere in effe, fed tantüm fignificare conriexionem (ed dependétiam inter fubie Qum,  et  predicatum . Ex quo inferunt hy potlieticam differre à cathegorica ratione additi, fi,afficientis illius przdicatum,ex vi cuius copula eff, y. exiftentia ex feimportat, illam tantüm dicit condi, tjonatam ; ac proindé etfi forma propofi : tionis cathegoricz,  et  hypotheticz fit co pula efl, hz propofitiones inter fe diff:rüt effentialiter;quia copula eff ia hypothetica ratione additi fe Cenentis ex parte przdica ti contrahitur ad figaificandam exiítentia conditionatam prædicati, quam abfolacá ex fc nullo appofito addito in cathegorica propotiioncligniar . Exhoctandem in» erunt nullam propofitionem effe proprie icam, nifi conditionalem; copula dan vero,  et  difian et tiuam eff: fold plu .   xescathegoricas fimul iitioca :   quiaiahisomnibus exillentta pr ti ab enunciatur, et  illam importat fecua.. d dum exiftentiam copula «f ia propofitio ne appofita . Deia lé propofitio ene UM j ua Petrus crrit, e» Io«nues «mbu!at,  fimplex propofitio, fed duplex cathezo . ca,ergonon eft hypothetica, probat ante  cedeas Ouuied. quod q'tia à nobis non ne : gabitur, fuperfluum ct eius probationem r adducere;ità loc.cit. difcurrit hic Au et or. j Hac eít contentio feré tota denomine,  et  modceloquendi, nam quoad rem negari. x » quia hypochetici quoque ea nifiz ad modum cathegoricz,itaut copu poütionis,  et  fuo modo poffit aífigaari ia   et  pradicatum,aon quidem   € ! fatemur etiam proprié,  et  in rigore philo famartificiofampropofitionum hypothe  eit fit forma ipfam cóltituens in effe pro  pula abíoluté fumptum, fed peraliquam condi ! tionem relítrictum, vt patct in exemplo ad duco ff $4 lucet, dierejt, quz ità refoii taur,dies eft exiltens, fi Sol lucet; imó vt ve rum fateamur, hoc modo, refoluta magis habet rationem prop ofitionis, nam primo modo potius fabere videtur vim argumé tationis,  et  illatioais, quia fic (umitar per modum antecedentis,  et  con(equentis ; vn dé ben? per hoc difcerni potelt cathegorica ab hypothetica, quod in illa przedicacá af firmatur de (ubiecto abfoluté loqueado, in. ilta veró minime,(ed dependenter à condi tione,quz afficit,  et  ceftrin git prz licatum; fophico, licet non dialectico, (olas condi tionales eff hypotheticas,tàm ob rationé ipfam aominis, tum quia copulatiuz,X di ua et iuz porn commodé explicari per plures cathegoricas;  et  hic dicendi modus re vera breuius,  et  clariusaperitrarionem   propofitionishypothetice,vtàcachegoris  ca iecernitur,minufq. coafandit Tyrond mentes. Attamenattendendo ibradurà ip  X ticarum benéloquuntur Summulilkz, dunt  aiunt formam conílitutiuamA^lllarum non  eff:copalamef,(ed aliquod aduerbium, velnotans pluresfimplices.comiunzentem  v.g. $i Vel, qua ratione dixit Aiit. loc... ; cT DEMO hypotheticam e(f: vnà  coniundtione, vadétam propofitiones co   pulatiuz,quam difiunctinz funt reueracós   ws lexe,quatenus colant duplici copula ver»   ali ;  et licet coadirionalis fit minus omniü compofíta, quatenus veritas reperiturfolü in vna,  et  altera fe habet,vt mera coaditio, adhuc tamea dici potelt, ac debet propofi tiocomplexa,  et  compofita propter dupli   cem propofitionem, vnam tamen ab alia. ndentem, nam hypothetica illa /f $t eff, dies eft, incladithas fi mplices, quz am bz forent verz ex fappofitione exiftentiz Solis (aper Orizontem 5$»! eff, ac dies eff; Irem atr do ftru et uram artificiofan copulatiuarum, et  difian et tiuarum bené ita tuunt Sammaliftz illas effz y. once e ü  et  à implicibus effentialiter diltin et tas, quia opulatiuz, et  difiun et iuz,  et  iudi z. ut AN ea veritas cop cium, quod fertur de ipfis, diuerlum clt à veritate, et  iu licio, quod fertur de ipfis ca thegoricis ab(oluté prolatis,  et  fine cóiua  et ione, vel difiun et tione; hoc patet de co àiciua, nam ipfa fignificat illas fimplices, ex quibus componitur, e(f: (imul veras, qua Miu aa Agnifcir dueilia   Hn MTM EU i fonte,  et aliorum. x ei PAypetbetics eopoftione fue etiá ..  "modo inuenithr materia, forma;quantitas, i He Vut alitas;. mr x E ^ snápropofitio cum alia;ficutin cathegori De. Propofitione bypotbetiea simplices,non atz; tum quia foluté fumptz vna poteit cffe vera;altera falía,ied dum funt copulatz vna. exiftente falía;tota coniunctiua cít falfa, vt pofteà ex cius regu lis conftabit;ergo cft diuerfum iudicium, et  diuerfa veritas de vnaquaq. propositione cathcgorica feorfum, quam de vtriufque simultate, quia si feorsim fumantur, vna verificatur, vcl falsificatur independenter ab alia, at copulaté veritas vnius dependet à veritáte alterius ; hoc etiam adhuc magis p in disiun et tiua, nam altera parte exi ente falía, tota disiunétiua eft vera, aliud. ergo elt iudicium,  et  alia veritas totius,  et  alia partis,per qp patetad rationes Quuied. ino posit,  et  adhuc magis patebit ex di cendis in fine hnius capitisn 67. vbi de hac re fermo redibit. Quia ergo hic prefertim   « explicarc intendimus formaliter itructurá ... '"attificiofam hypotheticarum,X non mate  xialiter tantüm, relinquendo modum dicé ... di Reeentiorum, profcquimur declarare hy de jeticas de more Summuliftarum no rorum ; Parisiensium Tatar. Orbell. Ioan."PA i a f Forma ejus eft copula, qua am; : ^ rbd iu Ma geiesiperirio cathego ENS b t copula vniens przdicatum cum . "fubiecto. Materia eft connexio;quam habet.  ærat cennexio', quam habcbat pradica tm ccm fübic et g,  et  etiam ipía poteft effe naturalis,  et im ini s oai ful v rn c js  Tisetit connexio propofitionum. ; v due contingcntes, fimplices neceffario c5 .. "ecdantur, etficicoc hypotheticam in mat c xia neceffaria, vt fi Homo currit, mpuetur, ré non ex materia cujuslibet fimplicis orfim, fed cx eo quod € itur, vel neéatur pet i int 1 hypothe ticam,atfcadenda c eiue Ha Chin  tas cius cft, qua inuenitur jn. vtraque ca theporica, vndé fi vtraque cft vniuerfalis, vel particularis,tota hypothetica talis erits fi vna vnitiefalis,  et  alia particularis, erit mixta: an vero étiam fecundum fe poffit aliquá habere quantitatem,mox dicemus. Qualitas demum eius erit veritas,v cl falfi 25, rmatio,yel negatio,vt de cathecori «a diee, Quz vt magis innotcícat . Ciufdcm regulaslubiurgimus. 66' Pro veritate  et  falfitate hypotbeti carüm geret fequentes regula font ebícrüande, Ad veritatem conditiepa'is  4? affirmatiuz flri et té fumptz requiritur, vt coníequentia fecundum fe fit bona,.i.quod ex natura antecedentis confequens dedu catur,fiueantecedens,  et  cenfecucas ife sint vera.vel falfa, siuepoffibilia, ftue im poffibiila, fiue ncceffaria aut contiagentias vnde ifta conditionalis eft vcra, fi homo eft asinus, homo clt rudibülis 5 erit autem falfa si antecedens poteft. effe verum con fequente exiftente falfo, fcu si conftquens non neceffario cx antecedenti inferatur : vnde quia confequentia fecundum fe bona femper eft neceffaria,  et  (ecundum fe mala femper eft mala,  et  coníequenter impoflibff lis, ideó omnis conditionalis vera ftricté fumpta, vt habet .f. vim confequentiz, eft neceffaria, et  omnis falfa impoffibilis, et  nul la datur talis conditionalis contingens . Ad veritatem rationalis vltra bonitatem con. fequentiz requiritur, vt antecedens sit. in fe verum,vnde hac erit fala, homo eft asi nus;ergo rudibilis eft. ^d veritatem caufa lis vltra bonitatem copfequentiz,  et  veri tatem antecedentis in fe,adhüc requiritur; quod antecedens sit caufa confequentis, vnde hac efit falía, quia homo eft risibilis, eit rationalis, quia fumus efl,ignis eft ; Ad veritatem tandem pure conditionalis,  et  promiifiuz requiritur,vt veré exiftat a par te rei fundamentum illius concomitantiz antecedentis,  et  co: equentis, vnde vt hzc... sit vera,si veneris ad me,dabo tibi equum,. neceffe eft tunc adefle propositum i equum etiamsi poftea non impleatur pro. miffüm, quod si tale propositum nó adsit, erit propositio falfa, etiamsi poftea pro miffum adimpleatur,vt bene hie Complut, aduertunt.    A3 veritatem copulatiue requiritur vtrà. que partem effe veram;quod si altera pars, vel vtraque sit faifa, falía erit tota copula. tiu; ratio elt, quia cum vtramque partem.  coniungat, significat vtramque ita (e habe re;,sicut enunciatur, vadé ifta cft falfa P. trus cfthomo, et  homo cft lapis : enin dicatur neceffaria, vtraque talis effe debet  et  si vna fola cit contiugcns, tota copulati. ua cft continzcns;ratio cft,quia hypotheti €a coy ulatiua on folum affirmat hanc par tem, vel illam, fed «tramque, atq; adcó ra. tione vnius partis contipgentis it toe tà copulatiua aliquando cffe vera,  et  ali quando fa3l(3; atqueadtó coutingcbter ve« r2; vc] falfa, ergo vt neccffaria sit., verdyi ue eed abe tequirit. Vt Mic stp isnon vtramque partc 2x d » E? Je  di "WE CH c0 ) um 43 effe poffibilcm fed requiritur ctiá, vt sint compoffibiles hac, n. propositio Petrus lo quitur; et  non loquitur,conflat ex partibus pofüibil ibus fcorsim, fed quia funt incom flbiles, tota propositio cft impofübi s Ad veritatem disiunctiuz ftridlé sumpre requiritur alteram partem cffe falfam quia disiuncliua in rigore continet exclusionem alterids partis,  et  reddit hunc fenfum alte rum tantum iftorum «ft vcrum,  et  sic fem altera pars debet effe falfa: si veró lar» gà fumatur,vt ide valct;ac /a/rem, vel a4 miu:,sic vtraque pars poteft cffe vera,nàá reddit hunc fenfum, vnum faltim iftorum eft verum, quo disiunétiuo loquendi modo víus e(t Chriftus cum dixit vb; duo, vel tres fnerint congregati,  et c.ita Petrus Hifp.tract, 1. et  per hanc diflinctionem fedatur grauis contentio de hacre inter Modernos . Ad eius neceflitatem requiritur, quod vna pars sit neceffaria,vel si vtraque contingens cft, vna sit alteri incompoflibilis, vt Petrusle git,vel non legi quare si ambz sint contin gentescompotlibiles, vt Petrus ambulat, vel legit,tota difiunctiua erit contingeus ; Tandem ad eius poflibilitatem requiritur, quod vna pars eius fit poffibilis, ad im. poffibilitaté quod vtraque fit impoffibilis, Pro afirmatione vero,  et  negatione hy potheticaruni hxc regula pro omnibus tra di folet, quod tunc funt affirmantes, cum €oajunétio vtramque «oniungens propo ionem cft capire  tunc ncgantes,qua do cft ne2ata:ratio iabzcfe habet in kic cer, vt copula in cathegoricis, lrzc eritaffirmatiua., finullus homo currit nullus homo mouetur quia cóiüctio fif uo eft affcéta negatione ;hac vero eritne gatiua,.Né fi homo curritj,homo mouctur, quia c6iüctio f afficimur ncgatione;Scd quà. . uisprazdi et ta regula pro dignofcédis aifir matiuis, et  negatiuis jn caufalj,  et  códitio nali locíü habcat, attamé nó videtur fatis có grua in rationali quz vt negatiua fiat, prz poni nó folet negatio particu iug er £6,nequeinconiun et tiua, quá dum volumus negantem facere,non praponimus parti et  et  negationem dicendo. Nom, 4» Pctrus Kinder em Penins fl'udes,(ed dicimus,  et  Pe £15 won ftudet.,  et  Dawlus nonfudet,  et  etiam de difiunétiua eadem dubitatio cur nt: Dicendum tamen cft,quodlicet huiu modi hypothetiez poffint fccundum rem alio modo negatiuz reddi,quàm per ncga tioæm prapofitam particula ncgatiuz;ta Pars Prima Infiit J v4 Quares;an diuifio propofitionishy pothe coniun TratL IT. Cap.V T.   men fccundum rigorem logicum ita debét negari, vndé hacerit rationàlis negatina fccundum regulam affignatam Pejrws eff bo.  mo non ergo Peirusefl equus, et hacnegatio  ua coniunctiua Nec Petrus fludet, mec Pas lus fíudet nam ly mec, proprie eft particula nep  et iua tamen nà : videtur fieri poffe negatiua, nifi per nega 1 tionem partium . Pro quantitate harum propofitionum nulla peculiaris zffignatur regula, eo quia diucrfam quantitatem non habcant ab ca, quz eit in partibus,cum.n. quantitas fuma tur ex fubicéto, vt dictum eft fupra,  et  hy potheticz nón componantur ex fubicéto, 1428  et  przdicato, indé fit proprié non effe vni uerfales,aut particulares:vbi tamen aduer tendum eft copulatiuas, et  difiunc et tiuas ali quo modo vniuerfales,  et  particulares dii poffe, quia particula coniunctiua nata eff effe nota vniuerfalitatis, et  difiun et tiua par ticularitatis,vndé ratione iftarum poten fecundum fe dici vniuerfales,  et  a ves,vtinfra cap.g.magis explicabitur.     tic« in conditionalcn  et  difiun et tiuam fit proprie gene cies? Negant quan, æd s ! copulatiuas ps diírunctiuas « fimplices, nec diftinétam verit: h r^ re, aut falfitatem à simplicibus, ex quibus  eir 2 etiam, isis fenfus eft  simplex,  et  per vnam cat oncth n expli catur eofüs n.v.S. lius ciiun et li o et Pe trus,  et  Paulus fludct,cft hic, vterqui "Hos UR" detfenfus iftius disiun et iux,vel Petrusflu.  det,vel Paulusfludet,cflhic, vnusiftorum ftudet;immo ncque. conditionalis iB des verahypothetica,cum.n.indludatvim di  fcu; : significat veritatem, fed cófe iw qpcion dtque Rus crit argumentatio po tius,quam othetica propositio. Dicen Mim cobdic dum tamen eí nalem, quam coni ü disiun et iuam cffe proprie  hypothceticas, ac proinde diuisionem tam c enerisinípecies,ità Tatar. cit.  et    fcquitur 1oan.de.S.T hom.q. s. art. s. licet cum aliqua analogia, quia vt patet cx và »psius nominis propositio hypothetica prius dicitur de conditionali quàm dx cz teris. Ad rationem in oppositum dc con iun et tiua,  et  disiunctiua "cgoturafam pr » nam habent veritatem,  et  falsitatem pr priam à simplicibus prorfus diuerfarn « KC diuerfum fit iudicium de ipsis,ac de sim plicibus,ex quibus conflant;vt patet x i) gu  penus pro earnm veritate difcernen. ; funt etiam propositiones veré comsplexz; quia conitant duplici copula vcrba i,nec dicuntur vna, nisi coniunctione, vt inqüit Arift. Quod autem pofsit designari earum veritas p«r vnam cathegoricam, ve .lutin actu signato, non tollit,quin veré in  et étu exercito veritas earü sit hypothcetica 4n copulatiene,aut disiunctione plurzü pro positionum cósiftens; immo,  et  veritas ip sius conditionolis ità exprimi poteit per xnam cathegoricam 1n aétu signato dicen do,quod eft coniundio plurium simplici per particulam ff. Ad aliam de conditjonali concedunt Conrlut. cit. non participate rationem propositionis nisi fecundü quid, effentialiter vero effe tátü argumétationé. Sed dicendum eft conditionales multoties   gon tátüm habere vimillatiuam, fed etiam  s affcrtiuam, cumnimirum fub conditione .   « aliquid af et rmant,vel promittunt, vt patet de ila fi. bowro effet equus effet rudibilis,nam  de ifta fertur iudicium  et on tantum quoad   .dllationem;fed etiam quantum ad affrtio  jnem,i.quátum adità effe,vc] non efft, at  que ades wt sic propriam veritatem ha wbebit' or. 3  et   m  . «effe simulargumenttio,  et  propositio, cü (0 hac effentialiter sit oratio enunciatiua; cui ^ conænit cffe veram,vel fiip auti. gala;cum non fit enumciatina, fed illatiua ?   Refp. non eff: incomueniens, quod eadem, oratio materialiter fub diucrsis formalita ; tibus pectineat effentialiter ad orationem " enunciaciuam,  et  illat uam,  et  ita fe habet  in propofito conditionalis hypothetica ;  quatenus.n.includit vim confequentiz, di  citur illatiua, et  quatenus ét przcifa vi có fequentiz affcrit aliquid ita effe, vel aon ei,non quidem per prædicationem vnius de alio, quia id pertinet ad cathegoricas, ^ fed per Conexionem plurium. fimplicium  .faSam per copulam hypotheticá,' dicitur enuneiatiua, :  tatio aucem folumdici pote i De oppofitiome Cuthegoricarmm fimplicium, .63 Ognita effentia,  et  muliplicitate  propofitionnm, r rhe 1 ptictares explanare tO tio, opc E E tione, € al1Js, huc prius dcoppofitionc cathegoricarum "e 9"  EE A. 71 De Propofitione bypothetica. $ed dicesquomodo eadem oratio poteft. ! u«9 fimplicium, deindé modalium,  et  hypothe ticarum. l Oppofitio itaque eft durum propofitio pum vtroque extrem participantium: codem erd;ne fecundum qualitate, velquantitaterm, vel vrramq: repugnanti, cx quo patet, hic nos non loqui de oppofitione reali reram, qualis cft ca,quz int et r calor:m;  et  frigus verfatur, nec dc illa,^ quz inter terminos reperitur, nam de hac egimus tract. prz ced. ape fed deilla przcisé, qug iutet propofitioncs verfatue; neque oppofitio. nem hic accipi in toto rigerc;quia talis pg nes qualitatem tantüm attenditur in pro poficionibus; ita quod vna fic affirmans, al tera nezans, vna vera, altera falía, non au tem penes quantitatem;, non.n. inrigore vniuerfalis,  et  particufaris opponuntur, cü vnacoatincatur fub alia, fumitur ergo fue, sé pro quacunque diærfitate propofitio num fecundum qualitatem, vel quantitaté, K dicitur repugnautia d uartm propofrtionss, nam eadem caunciatio fibi ipfi non aduer fatur. dicitur vtroque extremo participantium, A. eodem fubiesto,S przdicato, hzc náq. funt extrema propofitionis,  et  codem mo do in vtraque acceytis, ica quod non varie tur terminorum fuppofitio;appellatio,am p'iatio,Xc.fed in vtraque fumantur pro co dem fignificato re,  et  nomine, vt feruetur terminorum vniubcetio cum cademintee gnitate;ne aliquis terminus ponatur in v na,qui non fit in alia, pro eodemloco,  et  tempore, vt docet Scor.z.d 2.4.9. fub S, vc ia (umma fola variatio fit in qualitate, aut quantitate propofitionum, in czteris func proríus vniformes . dicitur eode» ordine, qura propofitionum vtroque extremo par« ticipantium, aliz participant inuerfo or« 'dine,vt homo eft animal,animal efthomo; aliz eodem ordine, ita quod fubicétim in vna fit etiam fübiectum in alia,  et  pariter icatum vnius fit quoque pradicatum alterius, vt homo eft animal, homo non eft animal,  et  hoc fecundum requiritur ad op pofitionem. dicitur fecumdwm ;qualitatem, vel quantitatem,  et c. quia fecundumaffir mationem,  et  negationem, vniuer(alitate, aut particularitarem repugnantia propofitionum attenditur. Poff:nt autem quadrupliciter pro pofitiones adinuicem repugnare, repugnantia maxima;itaquod oppo nut cin quate inqualitate,  et  hac dicitur contradi et oria oppofitio; vel effc poteit min nem oM in fola quantis : tatc »9pe £ d ANEREUEUI E usas $0 Pars Prima Inflit. Tra et l.1T.. Cap.VIT. tate repugnent, in qua non daturrigoroía,geffe; in propofitionibus autem contradi » 1 oppofíitio,  et  hac appellatur fubalteraa, vel medio modo repugnare poffunt, .(.in qua litate fola, in qua attenditur vera oppofi,tio,ia quantitate autem conucaire, quz fi fuerit vniuerfalis dicitur oppofitio cótra ria, fi particularis ; dicitur (ib coatraria : ex quo fequitur quadruplicem eff: oppofi tionem, contradictoriam, contrariam, fub contrariam,  et  fubalternam, quarum pri ma cft maxima, vltima minima, aliz duz mediæ,  et  fingulz (unt explicanda eum fuis regulis,  et  legibus . Vt autem tota hzc do  et tina de oppofitione cathegoricarü fim  eese MTM percipiatur fübícriptá guram folent illis proponere Sümuliitz. Omnis bomo m  Nullus bomo  efl amimal Contrarig  eft animal  a E 7 u^ ^,  v e S cd I T, e » t [2 ln! 9   9. e m e b E z C o z Im, P Aliquis bemo]: Aliquis bemo Ud «rimal  Subcontrarie mow eff «mima: . Centradi et oria oppofitio eft repugná tia duarum »propofitenum in quantitate,  et  qualitate fimul, itaquo vna fit vaiuerfalis afirmatiua, et  alia particularis negatiua; vt omnis homo eft albus, quidam homo non €ftilbus,vel vniuerfalis negatiua,  et  parti latis affirmatiua, vt nullus homo eít alb, quidá homo eft albus;vbi notád( cà Tat .tr. 1.hic definiri cotradictoriá itioné de fubiecto communi, ideà licet iftz Sortes currit, Sortes non currit,non fint vn:uerfa. lis afirmatiua,  et  particularis negatiua, ta men funt verz contradi et oriz,nam igne 1 em larisaftirmatiua,  et  fingularisnegatiua pcr coatradi et torié opponuntur, vt docet Aufl. 1, Perhier, cap.s. Lex veró contradi  et oriarumindifpenfabilis epar : funt fimul verz effe,aut fimul fal(z,(ed sc per vna eil vera, altera falfa,  et  fundatur in illo gyacrali,  et  irrefragabili principio, SMem de evdem fimnl nfirmari ér negari mn 'to'hoc modo bewo Gorijs idem prædicatum eodem modo có paratur ad idem fubicótum in vna affirma tiue, in alia tegatiué, erzo impollibile eft vtramque effe veram . Dices ilta contrad:cunt album,  et  noa album,  et  tamen homo, inquantüm homo, nec eít albus, nec non albus, ergo inter có tradictoria dari poteft medium. Refp.aliud eff: loqui de teminis ;aliud de propo'itio nibus contradictorijs, nam inter terminos, ] feu contradi et taria incomplexa, fi fumátur cum aliqua determinatione, vel fyacathe goremate, vtique dari potefl medium,vt probat argumentum, fi camen fiant propo fitiones dicendo, homo nquantum homo eft albus, homoinquantüm homo non eft albus ( fic .n. formari debcnt, vt fint con tradi et oriz,vt quod affirmatur iu vnanege tur in alia ) prima eft vera.,altera falía, ita Do et or 1.d.2.q.7 infra  et  K,  et  d.4. q.1. fub  E,  et  d.5.9.1. fub L.  et  albi fzpé,  et  malé ncgat Cafil.cit.c.. prefatas propofitiones : effe contradictorias,licet.n.itenon contradicant, bmp inquantum bomo eff albur,. hemo inquantum hino non ejf albo:, quia quo9 affirmatur in prima nonnegatur in ecunda,  et  cum ipfafitafrmatiuadeprzdicato infinito, negatio ramen przpofita ..   copula negat in fecunda, quod affirmaba ? tur in prima,  et  ita conftituit illam contra  diétoriam pr:mz, nam illaaffirmata albe.   dinem effc dc effearis bominis quod ila directé negat, vnde n.eít, quodait   Ca4fil. hanc fecundam 'carentiam,  hominis, quia hzc fecunda propofitio eft negatiua de pradicato finito, vt autem af. firmaret de homine carétiam albedinis de beret effe affirmatiua de przdicato infini i homo efü woo  «lbu:.Eadem de malé negant Arri. difp.z.n.s6.  et  Ouuied. has effe petii, dc z : ctorias Petru: effemtialiter eff albus, Petrus .? effentialiter mon eft albus, ca frztusratione,  ia vtraque falfum affirmat prima albc inem effe de hominis effeatia, i fecunda negationem illius, Nam re vera fecunda propofirio non eft affirmatiua,fed negatiua £ius, € prima. Obferuandum tamen eft meliorem mo dum contradicendi,æ deceptio contingat, effe,fi in negatiua propofitionc negatio nó folum copulz preponatur, verumetiá ad uerbio,  et  cuicunq; syncathegoremati, z iuam Micibit, ita in. fiet, vt vc, oppo s  Pet, sues, UE te M ? 46 ^i tur,  et  quidquid in vpa affirmatur, in alia negetur, nam de rigore re fcrmonis ncgatio folum negat, quz poft fe inuenit, non quz ante fe : Hac de caufa hz non có tradicunt Petrus femper fiudet, Petrus fim per non. findet, cum poffint fimul cffe talíz ex hypothefi,quod interdum tludeat; inter dum non, quare potius funt contrariz, vt jeitür contradicant, fic debent fieri Petrus fempur. findet, Petrus mom. femper. finder, namcum »em fcmper zquiualeat aliquando gon, sicut »en omni: aquiualet «//2sis nem, fenfus fecunda eft Petrus altquamdo mon. fts det, quz. deo opponitur primz, qua facie ' bat fenfum vniuerfalem quoad tempus,  et  (99 fe. ^ v€rà ncceffaria, aut impo  laris; v.g. ex  falfitate pr ideó nunquam cffe poffunt simul verz, vcl falfz. Dices hz poffunt effe simul vera /o mo femper ftudet, bono mou femper fiude^, si Petrus v.g. femper ftudeat,  et  Paulus i6 femper fludear . K cfp. id verum efse, quia illa propositiones funt fübcontrariz, quia terminus eft communis, qui in materia có pns eiusd particulari, ac proindé ambz verificaci poffunt, cum non sint de eodem fubiecto 5 quot autem conditiones rcquirantur, vt dug propositiones inuicem contracicant, vide Tatar. lib, 1. Perhier.q. $.dubit. 1.  et  a!jos Summuliflas.  /,70 Centraria oppositio cft SERUEnAD tia duarum propofitionum vniucrfalium inqualitate, vt omnis homo cft albus, nul Jus homo eft albus,  et  ad hanc fpeétát pro. "pofitioncs indcfinitz, fi fint in materia ne ccffaria,aut impofhbili, quia fic zquiualét  vaiucrfalibus, qux autcm conditiones re quirantur, vt duz fint contrariz, vide Ta tàr cit.dub :. Lex ifiarum eft, quod in nul. la materia poffunt an.ba fimul éffe verz,be 1é tamcn fimul falfz in mate ria contingen ti 1t patct in goes æos jn materia ibili femper vna eft vera, et  alia falfa,vt omnis homo eft ani mal, nullus homo cft animal 5 non poffunt ambz fimul effeverz, quiaalioqui contra di et toriz poffunt effe (imul verz, nà fi duz allatz effent verz, etiam hz duz effent ve. rz,omnis homo cft animal,  et  aliquis ho mo uon cft animal, cx vniucríali fi quidem jua vera,nullus hono eft animal, N: ceiioferi ti culatis negans, aliquis ho mo non e(t animal; poffunt tamen cffe fi mulfalíz in materia contingenti, i.quia ex opofitionis vntucrfalis non re  et é inferturin tali materia falfitas particu hacfalía otrnis homo «ft al bus, non fequitur hanc. cffe falfam aliquis De oppofitione Cathegor. fimplic..  $i homo cft albus;quia pradicatum contingés potcft conucnire vni cx inferioribus fubie  et i, licet non orrnibus : in neceffaria vero, aut im pc ffbili non poffunt cffe fimul falís, quia in his prxdicatum cmmbus conucnit inferioribus,aut nulli . Scd dices, contradi Goriz in nuJla materia queunt cffe fimul verz,vcl falfe,quiaafirmatiua totaliter per ncgátiuam rcmouetur, fed koc ideminco trarjjs euenit t€ hac propofitio omnis homo cft animal tctaliter per hanc remoue tur pullus hon.o cft animal,  et  inter eas nul lum relinquitur medium. Rcfp. a et rmatiuá vniuerfalem vt fic, non rcmoueri totaliter per negatiuam vniuerfalcm, vt bcré bic no tarunt Complut, nam intcr omne,  et  nullü mediat aliquis, atque ita vniucrfalis aff r matiua,  et  vniuc rfalis ncgztiua vcré babent medium interdum tamcn raWone materia, naturalis .[. vcl impe flibilis mcdium non admittunt, vt patet jn exemplo allato in argumento, eadem .n. ratione, qua vcrum eft aliquem homincm effe animal, veiü cft; etiam ratione matcrie omnem homincm eff: animal, hinc dicimus in materia impof fibili, vel naturali duas contrarias non pof fe effc fimul falfas, Subcontraria oppofitio eft repugnantia duarum enunciationum particularium. in qualitate,vt cuidam homo e£t albus, quidà komo non cft albus. Lex earum cít poffe cffe fimul veras in materia contingenti 5 vt patct in allato excmplo :  et  ratio eft, quia idem przdicatun non afbrmatur,  et  ncga tuy de codem fübiecto determinato, aliter effent contradi et toriz,. Non poffunt tamen fimul efse falfz;alioqui fequeretur contra dictorias fimul cffe falías, nam cx falfitate pru reété jnfertur falsitas vniuere,€o n.ipfo quod przdicatum remouce tur ab aliquo inferiori fubiccti, nó amplius . conuenit illi fubie et to vninerfal:ter (umptos ergo ex his duabus fub. contrarijs aliquis homo eft albus, aliquis homo uon cft albus inferr.nnirbz contradictoriz: fimul fal(z, omnis homo cft albus,  et  aliquis bomo. nó cft albus, tuni quía vc affirmatiua císet fal f? nullus hamo deberetefse albus,  et  fic negatiua tunc cfsct vera, Subaltcrea denique oppofitio cft repe guantia dvarum p ropofitionü in folaquan« titate,vt vniucifalis af et rmatina cum partie lariaffirmatiua., ve! votuerfalis ncgatiua ci part:eulari ncgatiua lx earum ett, " . fi vniucrfal;s si et  vcra, particularis etrá eri vera,non tamen € ee ga in atc ria  SR LI  $2    Par Prima Inflit, Tract.IT, Cap.TI. neceísaria : ratio cft, quia ex vniuerfali ve ra poteft mferri particularis, non é contra, uia siprzdicatum conuenit omnibus in. ertoribus fubiecti, conuenit etiam alieui ex inferioribus,non tamen é contra,si con venit alic::j, ergo omnibus ; quia non valet aliquis homo cít albus, ergo omnis homo eft albus. Quod si hzc eft verz, quidam ho mo cft animal,crgo omnis homo cft animal, hoc non prou: nit ex parte forme, cumin simili forma detur antecedens verum,  et  confcquens falfum, fed ex parte materiz, uia eft neceffaria. Deinde si particularis sit fal(a,etiam vniuerfalis erit falía,uon ta men é contra, racio cít,quia si prezdicatum xemouetur ab aliquo inferiori,iatn non có uenit omnibus, non tamen si remouctir ab omnibus simul fumptis, ideó remouctur abaliquo determinato 5 quod si contingat 3nterdum ex vniuerfali falfa fequi etia par ticularem falfam,vt in hac,omnis homo eft ris, ergo quidam homo cft lapis, id fol €x parte materiz, quz eft impoffibilis., eadem. n. ratione, qua impoffibile c(t om nem hominem efse lapidem, eadem etiam 3mpoffibile «ft aliqué hominé efse lapide. 71 Quares an omnes fupradistzo sitiones sint verz oppositiones? kcfp. fo Tam contradidoriam,  et  contrariam efse veras oppositiones, non.autem fuübcontra riam,  et  fubalternaui, ità Tatar. x. Perbier. S. Primo (ciendum, fcquitur Fonfeca is. dialect inftit.cap.6. Blanc: lib.e. £cét. 13. Arriaga difp.z.n.22. Amic.lub.:.  et  alij quamplures,  et  eft exprefsa Arift. (cntenga » ier.cap. $. et  1. Priorum cap. s. Ratio . eft, quia veraoppositio cft eiufdcm de eo dem, non nominis tantum, necrei tantum, fed rci,  et  nominis simul, ergo quia (ubal fernz nonopponuntur fecundum affirma "tionem,  et  negatione m,  et  pofsunt amba  efse simulverz, et  simul fal(e, vt patet cx lis caruni;immo vna illarum, vniuer is continet aliam', pus cftparticularis, funt quin. afserit omnem bominé ese animal, cenícquenter afserit aliquem hominem ef fe animal: (ané non erunt veré, X in. rigore positz . Et parum xefcrt,quod vna sit v niuerfalis,altera pasticularis, quiain qusa titate non datur. vera oppesitio,  et  quanti tasmaier minori non repugnat, quare füb alterna dici debent: pottus diueríg quanti tatis,quam oppositas vndé,  et  contradi rz ipfg non veré dicuntur opponi xa uantiratis vniucrfalis,  et  particula one qualitatis ; afrma : "ET Ps  ; LEUTE Eu e doo zc tionis nimirum, et  negationis, falfitatis; et s yeritatis. Quia veró fubcótrariz, licetsmt affirmantes, vel negantes, non tamen funt. de vno,  et  eodem fubiecto fecundum rem, fed tantum fecundum vocem, alioquin non pofsent efse simul vere,cum de code fübie« tio nó poffit idem affirmari, et  negari, ideó non funt veré oppefite: vndà quando dici mus qwidem bomo efl albus quidam bomo non eft albus; cft idem iubiectum in vtraque tà tum fecundum vocem,non tamen fecundü rem, quia; in prima fupponit v. g. pro Pe tro, qui eft albus,  et  in alia pro alio.f. Pan loqui non eft albus . Quod si fuppenerent ys eodem homine yo non £i fub contrarie, fed contradictorie propositio nes, nam affirmatio,  et  negatio de fubiecto singulari pertinet ad oppositioné cótradi  et oriam, vt diximus,  et  facerent hunc fen fum, hic homo eft albus, hichomo non cít albus. Ex quo fequitur duas tantum effe Dn oppofitionis in rigore, .f.ccntradi riam.  et  contrariam, n his.n.folüquod   vnanegat, altera affirmat; nihilominus Pe trus Hifp.  et  ceteri omnes Summulifte in ter oppositiones recenfent etiam fubcon trariam, et  fubalternam,eo/quod infertiant. ad conficiendam figuram oppositarum,  et  quia fumunt oppofitronem late pro qua cunque diuerfitatz,vt nomt Cafil.cit.cap.7: m In finc eb[cruandum citfigna quantitatis propofitionum, que fint quattuor omnísy nu!lus, quidam,quidam non,ex quibus priora funt vniuerfzha, aljà duo pofteriora particularia, inter (c haberc omnes oppofi  tiones, qug in enunciationibus rcpeniri va lent, nam emn, e nwli«s funt notgcon trarie, aliquis (p aliqui: mon, (ubcontrarie; emmis, à aliquisnnlus, Cn aliquis nin, (unt fubalternz, demum emaus, o al iguis non, ntllui n aisquis, contradicentess Ac ctiam in fi nis mixtis ex.vniuerfali,  et  particulari fuo modo reperitur oppofitio, quia .n. alia magis vniuerfalia, vt vterque,  et  neu ter, ala magis particularia,.v£ alser, altcr non,idcó vterque,  et  neuter eppenuntur contrarie, neuter vero;  et  sede fimiliter vterque,  et  alter nen, contradiétorie, alter vero,  et  alter non, fubcontrarié, denique vterque,  et  alter ; autncuter,  et  altez non, fibi]terné € übtur. De Æguipollemtia, y Conuerfione catben M gericarum zov, 7 JE eene cxplicandas pro pofitiones obícuriores C o HEEL  LA dnnsddikensdüb i.   Au .  düiiiiteaà;EPERAHME o "gm LL.AI  De equipollentia, eo conuerf. Casheg. fimpl. .dignofcendam vnius propofitionis ad alte  gam;cui gquiualetin fignificato,etfi verbis confequentiam,  et  definitur, duarum propofjtionum oppofitarum entia in (iguificato cb negationem [u rum parer »»el pollpofrtam, vel . fit diuer prapiftam, PM pte fimul vnde i cs tio cfl, quz propofitiones oppofitas reddit in fenfu zquiualentes,cum .n gnan tisnaturz, vt aiunt logici,  et  collat, quic quid poft fe inuenit, hinc eft, quod fi inue git propofitionem affirmatiuam; reddit ne gatiuam, fi vniuerfalem reddit particularé,  et  écontra,dummodo neganter accipiatur, .  et  nonipfinitanter atque ita facit propofi tiones oppofitas zquipollere,  et  diuerfi modeé iuxta diuerfam difpofitionem illius . eirca fubiedum illarum,nam przpofira fa cit vno modo zquipollere, po£pofita facit equipollere alio modo,  et  ideo ad digno fcendam variam propofitionum zquipollé tiam tres folent dari regula hoc vao verfu contentz. Pra contradic, Pofl contra, Pra pique fuhalter,  . Pra eontrad ic fignificat primam regulam, quod negatio Prápofta fubiecto propo fitionis, et  illius figno, reddat illam [x có tradictoriz Agppollcueite vt hac omni: huno eff «lyus fit xquipollens huic «lgwix Boma non ejf abut, fi przponas negationé,  et  dicas mon omnis bomo eff albus,  et  fi huic propofitioni, aliquis homo non eft albus, puepons negationem dicendo, nen aliquis omo non eft albus fit zquipollens fuz co tradiétcriz, quz cftjomnis homo eft albus; ratio cft, quia negatio, vt dicebamus, dc f]ruit onine, qnod poft fe inuenit,  et  oppo ftum ponit. P»ff cemtre fignificat fecun dam rcgulam, .f. quod popeno poftpofita fübizé et o vniuerfalis facitillam zquipellen tem fuz contrariz,y.g. omnis homo eft al bus, fi poftponas negationem fubicclo di cendo,omnis homo non effálbus, zquipol let fuz.contrariz, qua eft, nullus homo eft albusJ et  bac alia,nullus homo eft albus,. fi Íubiecto poftponas negationem dicendo, 'nullus homo non cft albus, zquiualet illi, omnis homo eft albus, quz cft fua contra rjj. Prepellaue f Lowe lignificar tertiam regulà, f. quod ncgatio przpofita, et  poft. pofita fubic et o facit illam equipollere (ub alternz,. vt omnis homo ett » sieius fübic et o przponas,  et  poftponas negatio nem e non ar bor o non v al zquipollet fue fubalterne;c jqui« homo c(t albus,  et  bec i fusil £qui 53 ollet, si eius fubiecto preponas,  et  poft phu negationem dier db n6 milia ho mo non cit albus ; vt autem facilius equi pollentia propositionum dignofcatur,  et  memorie mandetur, notarum, feu signo« rü propositionis aduertere debemus equi pollentiam, que his versibus coatinctur,  nam illæx ifta dependet. Non omni:,quidam nón, omnis mon, quafi nullu; Non nwllu:, quidam, [cd nullus nom, valet omnis Non aliquis nullus, mon quidem mon, valet omnis . Non alter, menter : netter non, pras fiat vier2y 73 Reflat tamen adhuc difficultas de modo, quo fubcontrariz fieri poffint equi. pollentes, Casilius càp.8. cum quibufdam alijs :nquit pro €quipollentia fubcontra,Hiarum deferuire poffe regulam datam pro €quipollentia contrariarum;quod riimiruur poliponatur negatio ; Ati regulam illam applicemus, inutilem effe patebit, accipia mus v.g. has duas fubcontrarias, q4/44m. homo currit, quidam licmo pon currit, fi nc  gationem poltponamus fubiecto prime di cendo, quidam homo non currit ; iam non erit equipollens, fed penitus eadem cum » fua fubcontraria, fi fecundg poftponas nc gationem, ncque ob id equipollendam cü prima adinuenies, fed fic c inutilis repetitio negationis diccndo quidam homonon, non currit, ergo ncgario poftpofita inepta eft pro equipollentia fubcontrariarum. Sed  neque valet przpofita, nam fi prgponatur primz dicendo, non quidam homo currit ;. Adem erit, quod nullus homo currit fi pre ponatur fecunda dicendo, non quidam ho mo non currit, idem erit, quod omnis ho mo currit. Neque tandem fi przjonatur,,  et  poftponatur fimul;nam fi id fat in prima dicendo, ron quidam homo non currit, ide . valet, quod omais liomo currit fi fiat in. fecunda, fi: inutilis repetitio negationis . dicendo, non quidam homo non, nen cur rit, erge quocunque modo difpofita nega  tio nequit tacere tubcontrarias £quipollen tc55 bac de caufa Summulite communiter negant €quipollentiam m fubcontrafijs re eriri poflc, it Sot. Iib.s fumm.c. Vil E. lib.2.cap. $.Icz ne $.1 hom.C.18.Roc cuslib 1. cap.14. Hicren. Pla.  et  alij... Scd cum €quipollzrtia commuhitcz in« ter proprictates propofitionis cntimeretur. plan? omnibus conuenire debet, pets ex S A » $4 enitendum erit inuenire modum applicandi vnam ex tribus allatis regulis pro equipol. fentia fuBcontrariarum, y abfoluté ne gare proprietatem hanc illis conucnire;po teritigitur applicari fecunda regula poft. ponendo n mirum negationem, non aduer bialiter, fed nominaliter. f.mwllum,vt aduer tit Fonfec.cit.cap.7.  et  fequitur Blanc.fcct. 18.fi .n. (ubcontfarieaffirmanti v. g. quidá homo cít albus apponas poft eius fubicctü negationem sJ/hew faciet, banc qwid«m be sno wullum eft «lbum hec autem f uipollet Alli quád aon hem mon ef albus,  et  Tui fub contrarie negant pollponas negacionem zullum dicendo,quidam homo non nullum eft album €quipollct affirmanti quidam ho mo cít albus; Quod fi ctiam poftponcres negationem verbaliter hoc moo quidam bomo non cft mon albus adhuc zquipollcbit alfirmáti quiam bomo eff «lbu1, a que ità per tres prefatas regulas habemus modum jnucn;endi equipolentiam in omnibus propofitionibts,  et  74 Qi «ares, an prepofitio affirmatiua de przdicato infinito aquipolleat negatiuz de prz.'icato finito,  et  € contra, "ita quod ex vna poffit ali2inferri ; vt Petrus non elt uftüs,ergo cft ron iuftus, X é contra.Refp. quod Aritl. : .Perhicr.c.: 1ta docuiff: vide tur, namibi abfolute dicit ex negatiua de przdicatofimtoiafcrri poffe afirmatiuam depradicato infinito,  et écontra, tamen poftea 1 .iriorum. c. va c illam regulam li mitat, quod ncn valetin pradicatis com pofies, nop m ualet, lap:s non eft lignum album,ergo eft lignum non alburr: qnia 2f firmatar hgnum in fccunda, qvod có affr snabaturin prima: quam limitationem ex Atitl. etià Scotus memorat i .d.4. q.1. ad 3. f. eA 1. fub G, docet etiam non va Jete in pradicatis fitmplicibus accidentali bus arguere à nesatiua dc przé:cato finito adaflirmatiuam de infinito v. g. Antichri, ftus non eft crudelis, creo eft non crudelis, fe cunda ratione armata ccpulz,  et  redicati contingentis tmportat exiilen tiam fubie et ti, vbi prima deexiftétia fubic  et i nihil curat à fubdit tance poffe confe entiam tenere fi in negatiua arguatur cü eafiic ia fubicéti hoc Motte. 'Aünebriffus non cf? crudelis ;  et  Antichriftus cft, erga cft non crudelis; vnde o1:a in prépofitioni bus in materia neccffaria, vel remota non Jute confequentiz ex na ad alizn,v.g.ho mo non eft anirral crgo homo eft non zni .bus, et  impe Pars Prima Infhit . TrælH. mal,homo non cft lapis, et  hec eft corraiuc nis do et trina Sun mul;ft. Tatar. tamen]ib.z. Perhier q.1.$.4ubtatur primo, inquit, quod etiam in pradicatis fimplicibus accidétali bus confequentia tenet à negatiua de prz« dicato finito ad affirmatiuam de infinito, quia licct album v.g. aut nigrum phe €xiftentiam fubicéti, non tamen illud ne ceffarió fupponit non album, et  non nigrü, immo funt ncgationes extra genus conue nientes indifferenter tàm «nti, quam non enti, vnde dum dicimus, Chymeranon cft dr Chymcera eft oon alba, fenfus cft, quod Chvmcera cft ens, vc] non ens, quod €ft non album.,  et  hzc doétrina videturà Scotoinfinuata 1.d.28.q. 1/6 4d arg. bwins quail ionis, vbi ait in fimplicibus afbrmati« vam de pradicato infinito fequi ad nega tiuam de przdicato finito, vbiillud predi catum infinitum fignificat negationem ex4.  tragenus ; quid autem fit neganio in ge» nere, Kextrágenus,  et  quomodo dif ferant OE Doétor cleganter p. d. 23.  . vn. LJ v H:nc fententiam. fequuntur quicunque affrmant nomen infinitum vcrificari tam de his,qua funt,quam quz non funt iuxta illa, quz docuimus de nom:neipfinito c. 1. hnius trac.  et  fuit doctrina Arift. ;, deinterp. c.1« dum inquit. sem beo nem efl mtmen,quinfi militer in quo! ibet eft Ge quad efl v qucd mom eff,  et  probatur ex raticne ipfius nominis ii finiti, quia hoc ncn ponitiníübiecto nift.   negationemillius,cui adiüngitur ncgztio . fed negatio, vt venficetur, non cxigit exi«. " flentiam,aut poffibilitatem fubic et ti, quia nihil prorfus ponit in coergo, et  c. et  ita «6 tiunt de ncmineinfinito antiquiores om nt s Boet. Ammon.D.Tho.1:. de interp. c. x.  et  reccntiores feré emnes ibidum To] Ruu. Amic. et alij ;  et  videtur ctiam ita fentire Scot.:.Perhier.q. $.in fine; vbi ait 2fürmati uam de przdicato infinito tot modis vcri Écari, quot ncgatiua de pra dicato finito, €ffe .n. nog hominis non plus ponit, quam non effc hominis  Sed obijcitSotus lib.s. Surim.c.1.nomé infinitrm non verificari de ncn cxifienti ibilibus,quia fecundum regu Jam Scmmulift. propofitio a et rmativa de, EO nen füpponente, .i. non cxiftente cfi falfa; et  1.prio.c. vlt. docct Arift. valere confccucntism à propofiticne de 5 2diacé Qum .€n cxiftcrct quia eft z.adiacens dicit, . requiritur exiftentia fubietti, vajebitabfo  tc  et d 2 adisctns, ncn valeretaüt,fifubie exif etiani fubicái, Addit ATA tr £. E E^ T LÆ  (y tht   adiacente ad z.1 De equipollentia, eo conuerf Cathegfimpl. fe. 3. quod licet poffit de chymera  dici, quod son e/ homo Eo tamen zs po tcít,quod eff sen bomo,quia id fiznificat eí Yealiquid, quodnon fit bomo, hec.n. ne gatio confuse dicit omnia alia ab homine, €himera autem neq. eft homo ; neq. aliquid ab homine diftinctam . g.Regulam illà Summul. valere tantum án propositionibus accidentalibus, in qui bus copula vnit fubiecto Formam aliquam positiuam fecundum actualem exiftentiam extremorum,non autem in propositionibus neceffarijs, auc illis, quz simplicem enun ciant negationem,  et  nihil positiuum po nunt in fubiecto, vt eftpropositio confti tuta ex nomine infinito, sic etiam cum ait Arift. valere confeq. à propositionede 5. uitur de illis propositio Ribus accident?libus, quia accidens nó po teít conuenire fubiecto, nisi exiftenti. Ad Arriag. falfum eft nomen infinitum, vt sos bomohgnificare omnia alia ab homine,quia formaliter aon fignificat, nisi negationem  rei fignificatz per nomen, cui adiungitur : poteft camen concedi, quod illa omnia con .. notet materjaliter tanquam fubieéta, qui« bus applicari poteft. ' ^75 Conuerfio propofitionum eft per ex . trémorum commutationem fubiccti in prg i ; dicatum,  et  przdicati in fuliectum. vnius ad aliam neceffaria. confequentia feruata cadé femper qualitate, et  veritate, .i.quod maneat copula aflirmatiua,  et  negatiya vtro bique,  et  vtraque fit vera, vt v.g.aliquis ho mo cft animal,fic conuertitur, aliquod ani mal eft homo ; propofitio, quz conuerti tur, dicitur conuería, altera, qua ex illain fertur,  et  in quar. conuertitur, dicitur có uertens . Triplex folet affiznari conuerfio, fimplex ; per accidens,  et  per contrapofi tionem,prima fit, quando nec quátitas mu. tatur, nec qualitas,  et  ideó dicitur conuer fio fimpliciter,totalis, et z mutua,  et  hoc mo do duo propofitionam genera conærtun tur, vniuerfalis negatiua in vniuerfalem iuam, vt nu!luslapis eft homo, ergo homo eft lapis:  et  particularis adir matiua ia particularem aff rmatiuá,vt quida homo eft animal,ergo quoddam animal eft homo.$ conueríto fit mutata quan tirate vniuerfili in partic »  et fic duo um genera, conuertuntur, vni. alis affirmat.ua in Nen affir matiuam,vt omnis homo eft animal, ergo aliquod animal eft homo,  et  vniuer(alis nc gatiua in partic avt nullus homo eít lapis, ergo quidam lapis noa cít homo,  et  ideo dicitur conueríto partialis,  et  non mutua : vbi nota vniuerfalém a et r matiuam poffz etiam fimpliciter conuerci in terminis coaærtibilibus,vt omnis homo eft rationalis, ergo omæ razioaale eft ho mo,  et  vniuerfalem negatiuam pof: íim plicitzr coauerti,  et  etiam per accidés,quia particularis continetur fab vaiuerfali .Ter tia fit,cum iafiaicantur extrema,  et ideo di citur per contrapofitionem;quia fit per ter minos infiaitos, qui fiaitis cotraponuntlr, et fic conuertuntur vniuerfalis affirmatiua in vniuerfalem affirmatiuam,& particularis negatiuaio particularem negatinam, vt om nis homo eítanimal,ergo omne non ani mal eft non homo, aliquis homo non eít albus, aliquod non album non eft non ho« mo, et proprié non eft conueríio ( nifi fe. cuadum fenfum )qüia non manent extre4 ma eadem. 76 Regula communis omnibus conuer fionibus vt bené fiant, cft, quod in vtraque propofitione, .i. conær(a, et conuertente, feruentur femper eadem fuppo fitio,X aliæ terminorum atfectiones, propterea vitiofaz funt hz conuer(iones;aliqua fpecies citlco, »: ds aliquis leo eft fpecies;ali quis dormiég eft excitatus;ergo aliquis excitatus cft dor. miens in prima.n.variatur fuppofitio;ia fe cunda variatur ftatus, fic de alijs;vt veró hzc omaia faciliss intelligantur quattuor vocales defignate funt. A. E, I. O. quarum rima fignificat vniuerfalem affirmatiuam, ccunda vniuerfalemnegatuiam, tertia par ticularcm affirmatiuam, quarta particularé XM a quod his carminibus exprimi olet . "Afferit A, negat E, funt vniuer[aliter am  3, "Affert. I, negat O, [amt particulariter am be Ex his vocalibus quiba(lam adie et is cá. fonantibus pro iacegritate dictionum tres fnat conftitutz dictiones Feci, Eu, 4/fo,in gut omnes comprehenduntur conuer ones,  et his verfibus indicantur. Feci fi splicster comuertitur, Eua per acctys "Alo per contra, ic fit comazrfin tota. ud ly Feci, d:notat, quo. vniuerfalis. negatiua,  et  particularis atfirmatíua fins pliciter conærtuntur, E««.figi uod vniuerf;lis negatiua poteit etiam per acci dens conuerti, vniu?rfalis autem affir.mati « ya per accidens folum loquendo vniuerfali. ter. Aff demum fignificat, quad vntuerfa LA s $6 Pars Prima Inflit. fis afirmatiua,  et  particnlaris negatiua có uerti poffunt per contrapofitionem. Ob feruandum tamen eít in conuerftone fim plici, quod fi prædicatum implicité conti neatar in copula, vt accidit in propofitio nibus de z.adiacentc, tunc refolui debet verbumin füum fignificatum hoc modo, omne animal fentit,ergo omne featiens cft animal, equus currit, ergo aliquod currens eft cquus : in propofitione vero conftante terminis obliquis debet etiam fieri aliqua circamlocutie hoc modo, vt v.g. hic liber eft Petri, ero aliqua res Petri elt hic liber. Quares quomodo conuértantur propo fitiones fingulares, ac indefinitz ? Rcfp. quod conuertütur fimpliciter, vt v.g. Petrus currit conuertitur in hanc ali quod currens ef! Petrus idem dicendum de indcfinitis, quarum fubie et um eft terminus communis fimpliciter fupponens,  et  pro fuo immediato c penc animal eft ge nus, ergo aliquod genus eft animal ; homo e(t fpccics, ergo aliqua fpecies eft homo. Deoppo[ttione, aquipollentia,  et  ecnnerfione catbegoricarum madalium, ac etiam hypotheticarum, 77 Cy in modalibus attendi de Mon bet penes modum, fi nimirü fue ric vniuerfalis, aut particularis . affirmati uus, vcl negatiuus, diximus autem fupra cap. 5. quod seeeffz eft modus vniuerfalis, afhrmatiuus, vnde affimilatur figno omni: impo [fibile eft modus vaiuerfalis negatiuus,  et aflimilatur figno mellu; : contiwgen: au tem feu poffibile cft modus particularis af firmatiuus, X affimilatur figno «ligwis,  et  candem foffibile nan, (cu contingens wn eft modus particularis negatinus,  et  affimila tur figno «ljgwis mor, quod brcuiger his ver fibusexprimifolet.  Omnis nece[fevalet Anpoffibite nullus, poffibsle quidam, quidam mon, potfibile na, Cumigitur hi modi per omnia affimilé. tur radiis fignis,confimili ctiam modo contingit in eis oppofitio,  et  ideà ficut có trariantur ops»/r,  et  malls, ità »ecafe, X smpoffi bile,  et  ficut fubcontrariantur 44/44, K quidam non, ità fübcontrariantur peffi bile,  et  piis non,  et  rurfus ficut contra dicunt sallus,  et  quedam, omues, quidam » »,icà contridicunt swpoffible,  et  poffi lile, (ed contingens, item neceffe,  et  poffbi le ntn, fin cemt,npens, non, E tandem licut  Tratl.H. Cap.IX.   omnis,  et  aliquis nullus,  et  «liquis mon fub" alternantur, ita etiam p d, et  pfihiles, fou conting mi, ac mpo[fnle,  et  poffssle mis feu comtingen: non, Excmp'um fit in moda lide di et o fingulari, vt respercipiatur fa cilius, contrartz fant, Petrum currere impoffibile, Petrum currere eft neceffe, quia prima eft vniuerfalis negatiua, fecun da vniuerfalis affirmatiua ; contradictoria (unt Petrum currere eft impoffibile, Petrá currere eft poffibile, feu contingens, quia hac eft particularis affirmatiua illa vniuer« falis negatiua ; fübcontrariz funt, pofibile eft Petrum currere, poflibilenon eft Petrü currere, quia ambz funt particulares, prie ma afirmatiua,altera negatiua ; fübalternze demum funt neceffe eft Petrum currere, offibile eft Petrum currere, quia ambæ unt afirmatiuz, vna vaiuerfalis, altera par ticularis. Pariter in modalibus diuifis vt fiat oppofitio, attendi debet. quantitas mo di,  et fi færit modalisdiuifa defubie et to   communi debebit etiam attemdi quantitas   didi, Vtautem dodrinahzc de oppofi   tione horum modorum facilis percipia tur, hocíchema proponitu r.  o Mo  necefie  Contrary)  née e ac T Ow. Tu En  e M. à  3 C, QUAS vl I» " 2g SV t t " 9 4 ab E] P d 9, e m z € 7 z JEquipollentia in modalibus fit ficut C P eie tieni negationem  x vel poftponendeo, vel przponendo, X polt ponendo fimul, tunc autem in dod Jibus. Paper negatio, gei negatur   us, tunc poftponitur ndo negatur dt Gum,tunc demum pollooniti  et  [e tt nitur,cuni negatur vtrumqüe, conttituen don negationem ex dici et  mo  . di fianul; v.gcha funccoltradidoria pote ex fibie cit Petrum currere? impoifibilc cit Pe. adeo 2 "ad. a De eguipollentia, 69) coniuesfCathegfompl.   $7 trür currere, fiin prima negationem pre ponas dicendo, non eft poffibile Petrum currere, tunc zquipollet fecundz, quod fi  fecundz przponas negationem dicendo, non eft impoffibile Petrum currere, ftatim zquipollet prima, fic etiam contrarias, X fobabemas zquipollentes inuenies, fi alias regulas applicabis . Vt autem iuxta przdi  et as regulas quifque dignofcere poit. op positionem, et  zquipollentiam modalium, . aifignar folent quattuor dict ones. Pwrgs  rea, llliace, Amabimus, Edentuls, in quibus notandz funt quattuor vocales A.E I. V. ' fam prima indicat propositionem modalé af et rmatiuam de dicto,  et  modo, fecunda ne gatiuam de dicto,. af et rmatiuam de modo, tértia afürmatiuag de dicto,  et  negatinam de modo, qüarta negatiuam de vtroque", quod his exprimitur carminibus . si Defirnit V tofum y fed A eorfirmat vtriia; ^ Deftruit E ditum,defirmit I 4; modum. .. Anfuper in ynaquaque ex. fupradictis di  et ionibis quattuor reperiuntur. fyllabe . quarum primain sisguiis.petit modü poffi  bile, fecunda Lm ye » tertia impoffibi. : (1 Pur. $5.  pu. Fettum nó eurere nó e(t poililsile,   e re ni Petrum noa currere e 2n £ofrere eft. necefle fbile  Yes 132354  MÀ ITE YU. 2 1:Ó aMroA A 3t ; WE TÆ 0 78 eu dila E ido t^tas) "p. ES ot E ici ab 38, Boro :oodobapduiot A9. . B. 5 : : ' idit 8 aro sifaoeustáun ; | íi 8 1  0:23 o 1586 209):252550G€9 du : 2 " ALS s iy: PLA id pirrümcurrrscftpolmbile ^ ^ Ho . Pcttum non currre eft poffibile  ; ^ Weuumcwreei contingens 5]. 573 20 Peirüm non currete eít contingens Au. Bop ulrrer: non eftimpolibile .Subcontrarig  '^ Petr nó currere n6cft smpodisbile i Jer genis Sàg cutcu. ni ef aleeds C mus Nib4 qu "Æm quio nan ofi eie E " 4,77. Conuerfio tandem modalim eftea  uerfione fimplici in hànc co nuertitur, ali P deni feié; ic conuerfio impheiuml;mam ge quod' album effc hominem eft poffibile,  et  » . féraliter loquendo conuer ratione fic déalijs, alia de modalibus mifi faci .  ' $i; nohratione modi, vnde regulariter modi imiariati manent tàm in módali cóm pofita; quàm dülifa,  et  fola dicta variátur,  Wideo ull im affiznatz pro conuer   . Pone fimplicium inferüire modà poffint pro conuérfione ft;odalium, et  fic hzc vni verfalis aftirmatiua omnis homo nec rakkidens :  et  hec particaliris a£ tli afiquem homiachs CC Spon b Pctrü non curzere ná gem Contratix .  THtanimal,quz tft modalis diuifa,conu  mutcrne s M le,quarta neceffe; vt autem red ex his di  et ionibus conftituatur fisura' modalká qua tuor etici debent anguli, itauc in duobus fuperioribus sint Pwrpsre«,  et  fili«ce cum modalibus eis correipaa E iiic i in ferioribus J4ma«bimps, ac Edentuls, sic .n. facile dignofces oppositionem; et  equipol entiam modalium, omnes.n. propositio nesfub eadem dictione contentz [vat in ter fe zquipollentes, contente vero fub di uers;s dictionibus inuicem opponuntur, n et  propositiones, quz fiunt in Purpose  et  Illiace opponuntur contrarié,qux in Ama bimus,  et  Edentuli fubcontraric, qua in Purpurea;  et  Edentuli., ac pariter, quz in llliace,  et  Amabimus contradictorié,  et  tandem, quz fiunt in;Purpurca,  et  Amabi mus; et  similiter,qua in illiace,  et Edentuli opponuntur fübalterné . Ad cuiusrei maios rem intelligentiam pro Tyronibus propo nimus hic figuram conflruéctam'n didis de termino singulari pro modalibus compo sitis, quw vtinferuiat pro diuisis conflitui debet in distis determino communi, 4, i  ;j Petrum currere no 3 cft po Yibile Pet rum curr;re non eft co.:tingens  Petrum currcerz eft impo lib.le ' €€ Petru m non currcre eít necetle ono teda tcd oris at li mus,vt inutilia  et  potius deterrentja Ty ronum ingenia quam iuuantia; folum tra  "demus régulam iu fine. cap. eas reducendt ur Sh " pofitioni: .,58 De Hypotheticis verà propofitioni  tie Rud cir dion cina faber rro phd er i liftis in nifi oppofitio contradi et toria folet a( B onc tjonem toti propofition; taut. cadat fü g rcopliem Spe principalem, vt v.g. Si Petrus Budesoitdedussconzadii hic, Non f Stadt, ert dochunegbgpadic hoc, Nux "d $8 Petrus ftudet erit doctus,  et  ità przfertim Delphinus adnotauit de interp. cap. de propoppof.vbi proindé negat poffe hypo theticas contrarié opponi, (ubcótrarie aut fubalterng.Sed quia cap.cit.diximus copu latiuas, et  difiunctiuas quodam modo pro priam habcre quantitatem, quia e» cft nota vniuerfalitatis, vel eft nota particularita tis,nam fi dicimus, et  Petrus ftudet, et  Pau lus ftudet,frzc propofitio reddithunc fen fum vterque ftudet;hoc autem fignum mix tum redi e vniuerfalitatem, vt dictum eft cap.7 infine; fi vero dicimus, vel Petrus ftudct, vcl Paulus ftudet, hzc frorodiid reddit hunc fenfum, alter illorum ftudet ; hocautem fignum notat particularitatem 5 Hac de caufa 1n copulatiuis, et difiunctiuis preter contradictoriam aflignari etiam po terit oppofitio contraria, fubcontraria, et fubalterna, qualis reperitur in fignis mix tis,quibus zquiualent;ifta igitur, et Petrus. findet Po Paulus finder, erit contraria huic, pec Peirus Hudet,nec Paulus fludet., quia rima eft vniuerfalis affirmatiua cuius js us eft, vterque ftudet, fecunda vniuer(alis negatiua, cuius fenfus eft,neuter ftudet: ex dictis autem c.7. hac figna opponuntur c$ trarié:erit veró contradictoria huic,vel Pe trusnon ftudet,vel Paulus non ftudet, nam fenfus huius eft,quod alternó ftudet, quod eit fignum particulare negatiuü : et fic etia adinuenies oppofitionem fubcontrariam, et (abalternam, fi coafideraueris oppofi tionem fignorum mixtorum c.cit. expf/ca tam,& examinaueris, quibus eorum zqui ualat hypothetica latiua, vel disiun &iua, vide apud Cafil lib.z. tra&t. 2. cap. z. : de oppofitione harum hypothe ticarum, )/ De JFquipollentia hypotheticdrum parü curant Summuliftz, tum quia non omnes propriam habent fitionem, et confe. quenter neq;zqui tiam; tum quia ze quipollentia inuenta eft ad declarandam O bícuritatem nubem alicuius hypotheticis obícuriores vtique r ropofitiones de nouo ' atin orent » quam il. pro quarum declaratione fizrent zqui pollentes. Sic etiam de conuerfione €arum funt admodum folliciti, quia in hy potheticis non v., nam f conditionalibus conuerti nequit conditio. in conditionatum, et in atiuis, et di. siunctiuis identitas terminorum feruari nó. oteft, cum sint diuerfz iti Pars Prima Inflit. TraflI. Cap.IX.. et idco de fola cathegoricarum cormersio ne dcbemus effe follicitt. " $1 Quares, quz regula sit obferuanda in reducendis modalibus ad fuas de ineffe ; Refp. reduci per officiantem de ineffe hoc modo, prius Formari debct propositio de ineffe implicata in modali,deindé oftendcn dum eft, quod illi conueniat modus in pro positione modali positus, hoc totum decla ratur exemplis, hzc modalis composita, contingen: eft. Petrum currere,reducitur sic ad fuam deineffz, bac prepofftso, Petru: cur rir,e[l contimgen:, et ilta vocatur efficiams il. lius modalis,quatenus inferuit, vt peream  . probetur dcineffe in modali implicatz, .£ Petrus currit,conuenire talem modum, .f. cotingentizs Sic etiam hzc is diuifa petrus nece[farso efi bomo., ità reducitur fuam deineffe y aber bac pro» gofitio, Petrus mo,eff necefiaria s itaque acini modalis ad fuam deineffe fuf. ficit yer officiantem oltendere, quod dei neffe in modali veneno talis modus,qui ih modali ponitur, : De propofitionibus expomibilibur 8o   dps dfolubilibus. uem $z pigsene exponibiles dicuntur illz,quz ratione alicuius figni ime   portantis fenfum obfcurum pluribus pro pofitionibus debent exponi, et declarari, qua ratione illz dicuntur exponibiles, iftz exponétes;funt autem triplicis generis ex clufiuz,exceptiuz,& redigit fccü dum quod conftant fignis exclufiuis,exce tiuis,vel acr situm iR e ex nor gnorum explicationc pendet propofitio ape i rp intelligit » cum fatis fuerint explicata trac.przced.cap 12.mo dà de exponibilibus propofitionibus nihil momenti (upereft declarandum, nifi cuius fint geæris ; num .f. fint oricz, an potius hypotheticz ? Refp. formaliter effe cathegoricas; fed virtualiter bypotheticas, quatenus exponuntur per plures cathego ricas,quaz faciunt vnam b cam co pulatiuam,aut difiundtiuam,aut coaditio nalem,vclcaufalém iuxtà. copulatiuam theticam Perrw; eurrit readiness P ; T«f ye. 4 eft rsabites vene edlen ie bemo ef ratA esrrit, exponi ris. plicatiua, vt&e wf rifMlug üccecatem dnargumcento ; De propoftt.expowibil.  infolubilib. risidicuntur ergo virtualiter hypothetica, €o quia virtute continent hypotheticam, et ci zquiualent in fignificando Tatar.tame trac.1 3.com.1.$. fecundo fciesdwm conten dit ex ponibiles not zquiualere hypothe ' ticis in fignificando,fed tantü in inferendo. : $3 tur etiam in iftis oppofitio contraria, íübcontraria, contradictoria, et terna, quarum figuram ; velrotulum (vt vocant) contextum afferunt. Tatar. or vg cie rr c.1.& alij Sum muliftz;(ed grauis eft diflicultas de (fructu: xa contradictoriarum aiunt n. in. exclufiuis bas inuicem contradicere fats Petruitur sit, non tantum Petrus currit, quod non vi detur bené di&tuni, cum ambz poffint e(fe falíz ex hypothefi,quodnon currat, fic .ri. falía eft prima;vt de fe patet,;item et fecun d3,quia ex hypothefi nec folus currit, nec ... eum alijs sffociatus.Sic etiam iftz duz funt falfz Tamium eff malus, mon tantum Deus. eff malui quia ifta fic refoluitur Dewz efi malus, et aliquis alius prater Deum eff salu, Ref] t Summulifiz in his pro pofitionibus femper fecundam cffe veram, nam illa som tawtum Petrus curritità expoó qituryel Petrus non currit vel aliquis alims eurrit quare Petro non currente, fi tamen alij.currant, verum eft dicere mou tentum Petrus currit; vndé de rigore fermonis con cedunt etiam illam, vt veram, won tantum Dens eff malu:,quia non eft refoluenda, vt dicebatur, fedin rigore logico ità debet €x poni, vel Deus mon eii malus, vel «liquis ulus efe malus. Ratio autem,cur1tà refolui dcbeát iftz negatiuz;eft, quia propofitioni copulatiuz contradici debet per difiundli nam de partibus contradicentibus,.i.fi par tes copulatiuz funt affirmatiuz, partes disiundtiuz effe debent negatiuz, fi autem copulatiua fit de vna parte affirmativa, et akera negatiua, prima pars difiun&tiuz erit negatina;altera affirmatiua ; et ideó cumin calla exclufiua ratw» Petrus currit equi ualeat huic copulatiuz, et Petrw: currit, et memo aln eurrit li bené contradicetur di cendo,vel Petrus mon cu rrit;vel aliquit alius ewrrit, Verü doctrina hzc multum difpli cet Hurtad difp 4.Summul. fc&.14. et Ar riag;m.z8 qui nullo modo volunt illam ad. Sæc ihr, ge uite ecu i, vt zquiu tua D ben cencluduac il hs sg Sep Rear ea tantum; atque ide? cffc fimul fal(as; cur autem fint contradictorig,ip : contrariz potius,quam $9 fi de e copitür;fed quia liseft denomi ne, et modo loquendi, non vltra profequi mur; teneas, quod maps placet. $4 Propofitiones infolubiles dicütur que nullo modo exponi poffunt, vt in aliquo fenfu veritatem habeant, quia ipfzmet fe falfificant, ac fuam deftruunt veritate, hoc autem toties contingit, quoties cx ipfa met verificatione propofitionis, .i. quod ità fit, vt per ipfam fignificatur, fequitur, qued fit falfa, vt fi dicatur, smwlla propofítio eff négatiua; nam cx co, quodità fit, vt per ipfam enunciatur, feipfam deftruit, et fal ficat;cum ipfa fit negatiua, eadem ratio ne hac etiam feipfam deftruit, Gmwis pro pofítio eff megarima, cum ipta fit afrmatiua ità Tatar.tract.infolub. $. /éqwitwr de ver; t&te, vbi propofitiones (eipfas falfificantes ait effe duplicis generis, quzdam .n. feip fas per fc, et immediate falfificant, et nul locafu pofito, vt allatz; quzdam per acci» dens folum ; pofito nimirum aliquo cafu, m aliàs in fe poffet effe verz, qus claratur exemplo ; f rri etrü có ueniffe cum Paulo de dádo illi equo,fi pri ma propofit s L v» ipfe Paulus pr rit, fit vera, et quod prima tio lata a n fit fa verra m dabit wit equum,hxc propofitio, quz aliàs poffet ef fet vcra, boum falfificat ex ar pofito, quia conuentio procedere non poreít de propofitione, qua fit dcftru&tiua pati, qua'is eft allata . : Quazres, cuius generis fint propofitio nes infolubiles, an cathegoricz, vel potius hypotheticz ? Videatur Tatar. cit vbi fol uit hoc Tee .& mylta dicit curiofa de infolubilibus,quz quiz non funtadmodum neccffaria, dimmitimus; hoc folum eft ad uertendum, quod propofitiones infolubi lesquocuzque modo fefalfüficent, funt fimpliciter EA licent habeant veri fcationem, et ità fit, vt per illas enuncia tur, quia tamen exhoc ipfo ftatim fale redduntur, non poteft verificatio illa dici veritas fimpliciter, et abfoluté, fed potius falfitas, quia cx vero fimpliciter nunquam Ícquitur ex dicend,s tractat. fequet.. Cap.3 Ho: TRA 6o: ir. Dc Argumentati one; et cius af fcé&ionibus. Quid, € quotuplex fit aggumentatio, Cap. I. 85 1C füpponendá eft ex lib.  RN. deanim.triplice «ffe intel Icétus operatione, prima eft fimplex rerü apprehen fio, qua nimirü res appre4 bendimus nihil de illis armando, vcl nc £ando ; fictrt oculus corporcus nihil affir» mat, vel negat de colore, quem vidct ; fe curida vocatur compofitio, et diuifio, et commürii nomine judicium, quia per cam jntelle&tus iudicat de re componcndo, aut diuidendo, i. affirmando, vel negando ali^ quid de ipía, vt cm cognita hominis na türa iudicat ipfum effe animal, et non effe lapidem. Tertía vocatur diícurfus, feu ar gumentatio, et ratiocinatio, per quam .f. jntellactus progreditur à cognitione vnius P cognitionem alterius,vt cum cognofcit omine effcanimal, et ex hoc infert, quod elt (ubftantia.Oratio igitur vocalis,aut feri pta qua huic duplici cognitiom fubordi ^ patur quarum vna infertur ex alia, voca^ tur dií(curfus, et argumentatio, c ideo de finiri (olet,quod fit, orat/e, 4m qua y wm ex alis deducitur, vnde colligitur tria ad argu gentationem conuenire; are ce dem;, q et illa propofitio e a alia fequitar, eonfequen:,, quod ait illa propofitio ; quz fcquitur, et moram ilatiopis, qualis eft por, ticula ergo, vel seitwr, aut alia fimilis, per quam denotatur effe connetum. confeques rrr edente, vt v g.Sol cit, ;ergo Ex quo patet confequens à confequen tia valde differre, nam confequens cft pro pofitio,qua fequitur polt notam itlationis; confequentia veró eft illatjo illius, feu ha bitudo.antecedentis ad confequens, vnde eum óptima confequentia ftare potcit fil. fitas confequentis,vt (i dicatur homo eft z finus, ergo homo cft irradionalis . Et hinc €ft,quod diuerfas habent quo ue ditfcren tias diuifiuas, nam conícquens dividitur in verum;sti falfum; non fic confequentia, fd ;n bonam, et malam; ratio cft, quia confe quéntia non cft propofitio, ad quam folum ParsPrima Inflit, Tratl. III. Cap:I. pertinet verum, et falíum, í ehe ; aut negat, fed eft connexio illatiua propo fitionum, ad quam pertinet debita difpofi tio, et conueniens connexio ; conueniens autem, et inconueniens faciunt bonum,vcl tnalum, non verum, autfalíum ; Confe: uentia bona eft ; inqua vnum exalio re e infertur, vt Petrus efthomo, ergo eft ; animal : mala, et vitiofa é contra eft, cun vnum ex alio non rité infertur, vt Petrus, eft homo, ergo dies eft, vndé veré, et vai uocé ríon cft confequentia, vt notat Tatar, trac.6. COm, 2.$, tertio: fciemd um, cum. de. fa&toin ipfa vnuntex altera non. infera: tur, fed folum apparenter, et zquiuocé quatenus duplici conftat enunciatione ; &. nota coníequentix. Yer $6 Duplex'eft argumentatio, redta) && vitiofa, re&a;et, quz bonamcontinetcó fequentiam; vitiofa, quz malam, x ide  ficut malaobfequétiaabfolutécenfequé2  tia non eft dicenda, fic vitiofaargumentæ  tio nuncupari nequit i. priorum c, $. et t« Elench.c.t Rurfus argumeritatio pa ind verdinfert, duplex cft. materials, et ettilo  la,quzconfequentiammaatérialem comti  net, X formalis, qua nimirum continttcü.  fequentiam formalem; Confeqæntia mæ  tcrialis cft, quz vniuerfaliternontenetfed hic, &puncfantum ratione materiz, im  qua fit,eu rationc cermindrum,cx qubus » argumentatio conjtat,v.g. hec confequena  tia.Omnishomo eft animalrifibilez ergo  omne ani ifibileefthomo, nontenet   gratia, formz, hzc.n. eadem difpofitioar" gumentationisalterimateriz applicatanó infer conclufionem, vt v. g. omnis homo eftvimensfentigns,ergo omne viuenssé  tiens cft homoffed tenettancum gratiama  teriz, quia nimirum fit'in terminis conuer^  tibilibus. Confequentia formalis eft, qua vniuerfaliter tenct in uc materjà etiam falfa, quia conlequens infertur ex antecedenti gratia forma .i. ratione fitionis extremorum, taliter vt eadé difpo: fitio x. Aun, cuicunque materia ialerat conclufionem, yt omne animal eft fubftatt tia,omnis homo eftanimal, ergo omnis es a am ar hzc enim eadem difpo itio applicata cuicüque materiz etiam ime pofi:bili conclufionem infert, vt v.g.omne animal eft lapis, omnishomo efl animal,er go enis homo eft lapis : vndé regula ee nerzliseft, quod quando feruata eadem forma;n alia materianonhabetur veracó  €lufto, talis confcquentia non cft formalis, irà 4,  liinferatur immenfitas, q Quid, e» quituplex fit argumentatio. $tà communiter exponunt Summuliftz có fequentiam materialem, et formalem,pra fcrtim Tatar. tract. 4. declarando quatuor modos prime figure, iuxta quam expofi tionem volunt quamplures folum fyllogi Ífmum effe areumentationem formalem, quia in co ratione forma fyllogifticz nun quiam negari poteft confequentia, ceteras veroa tationes effe materiales, ità Ponc.cap.17. vndé Tatar. cit. inquit ; quod nulla confequentia przcisé tencas pcr lo cum diale&icum eft formalis coníequen tia, et ficargumentatio ilta, omnis home eit animal, ergo quidam homo eft ani joel, tenet percoufequentiam materia Verum tantus rigor non placet, nec ne ceffarius eft, immo fecundum communem víum loquendi tuncaliqua cenfetur effecó fcquentia formalis, quando innititur me dio ex fe directe, vniuerfaliter confequé  tiam inferenti, quomodocunque termini difponantur 5 et illacenfetur materialis, ^ quzianititur medio habenti vim inferendi non ex fe,fed pracisé ex fubiecta materia,  . inquaarguitur, et acceptio ifta confequé tiz matetjalis, et formalis ab omnibus re  cipitur Thieologis, dum p.p. difputant, an ex omnipatentia Dei confequentia forma nimirum om nipotentia medium ex fc precise abftrahe do ànatura infinita, vbi reperitur, valens inferreimmenfitatem, et plané confequé tiailla ab vniuerfali ad particularem, dice re, quod folum fit materialis, videtur irra  tionabile prorfus, quamuis .n. ex particue lari nonJiccat ipfcrre vniuerfalem, nifi in materia neceffaria, vt v. g.quidam homo eft animal, ergo omnis homo eft animal, et ide hac confequentia fit veré materialis ; tamen é contra ex veritate vniuerfalis, aut falfitate iaferre particularem valetin qua «unque materia ratione fubalternationis propofitionis particularisad vuiuerfalem; ità fentit Sotus lib.6.cap. 1. de fyllogifmo led.a.vbi ait omnem confequentiam tené (em per locum diale&icum effe forma .   Demum argumétatio rurfus duplex eft, 2a illatina folum, alia illatima, et probaü va fimul, prima ft, qua folam habet vim infercnd;, (ed non probandi quia vc] con ficitur ia terminis non fignificantibus, aut in mat eria falfa vbi non concludit nifi. ra tione forma, vel fi fit in materia vera, ta men 3ntccedens noa eft notius confequen 61 te,cuius defe&tu antecedens non habet vim probandi confequens, &fi ratione conne xionis neceffariz cum illo habeat vim il lud inferendi . Hiatiua veró, et probatiua fimul eft, qua habet vimrinferendt, vel ra tione formz, vel filtim matertz connexa, ac etiam habet vim probandi,qu:a e pro pofitio eft notior alia, ac proindé ex noti  tia illius bené deducitur notitia alterius, vt cum ex definitione cócludinus definitum, aut paffionem de definito monttramus; So let ctiam argumentatio diuidi ex parteno te illationis in caufalem, conditionalem, et rationalem,nam nóta illationis effe po teft quia, fi, aut ergo, quz diuifio facile in tellgitur recurrendo ad dicta c. 6. praced, traét.de propofitione hypothetica . De fpeciebus argugientationis, 87 Vatuor folent affignari argumen tationis fpecies ex Arift.2. Priorü cn 9.& deinceps 5 Exemplum, Indu&io, Syllogifmus, ac istis] ; Exemplum eit argumétatio, qua aliquod fingulare pro bamus ex vno, aut paucis fimilibus, vt " Deus pepercit Niniuitis penitentibus, er go et nobis parcet fi penitentiam ageri mus :vnde medium, cui innititur tota vis mpi ad concludendum,eft fimilitudo fingularium: hinc Tatar. tract. 5. explicans hanc fpeci i rwocapus aduertit, Q» excmplumnon eft bona corífequentia, nec probatiua, nifi inantecedente, et confe quente exprimatur terminus fimilitudinis, vt hec exemplum non eft bona argumen tatio, Ianuenfes funt diuites, ergo, et Ve« neti font diuites, quia non exprimitur tere minus fimilitudinis, ob quem antecedens eit verum .f. propter portum maris . Dcl. phinus tamen ait fuf&cere, fi fübaudiatur 5 dicitur autem exérlo probari aliquod fin e, quia licet interdum confirmetur a iquod vniucrfale,tamen ex fua natura. or» dinatur ad confirmandum fingulare 5 et in» ter omnes argumentationis fpeeies hac eft debilior, quia folum tenet per modum fi militudinis, modo talis argumentatio mul tis claudicat, vt potat Tatar. z. Priorum ip finc, et idco hac fpecics potius ad Ketho res Ípc&tat, quam ad log;cos . E Induétio, vtcolligitur cx Arif. Fopic. C10, et 8.t0p.c, 2. X 2. Priorum c. $3. Mtpro. gillio a finguLaribus fufcictter. enumera i NETS LN x. 62 tis ad vniuerfale, v.g. hicignis comburit, &ille comburit, et ità pariter fe habent ce teriigries, ergo omnis ignis comburit ; vn dé obferuádum eft debere fieri progre(fum ab omnibus fingularibus,quz fi facilé enu merarinon bens ; addenda eft illa. parti cula, (9 /rc de ceteris, vel alia fimilis, quz articula fi negetur, petenda eft ab Aduer ario inftantia, vt Arift.docet à.Topic.c z. uam fi dederit, indaclio erit firma, et có ans argumétatio,qua de caufa ex recétio ribus quam plures negant inductionem ef fe formalem argumentationem,de quo po Ífteà: Ex quo patct indu&tionem non effe proprie fpeciem argumentationis ab exem plo diftin&tam, fed differre tantum penes perfectum, et imperfectum, nam inductio €x pluribus particularibus procedit ad vni neríale,à qua perfectione deficit exemplüs uod ex debilitate antecedentis fingularis olum colligit aliud fingulare, cum tamen fiadderenturalia, etiam vniueríale colli eret, fieretque perfecta indu&io, et sx fic Arif fententia 1.Poft c.1. vbi exempla pellat inductiones imperfectas; fed quia e inductione 4. fpecialis erit fermoad a lias iwar tranfimus. SyMogifmus eft argumentàtio tribus pro pofitionibus conftans,quarum tertia fequi tur ex duabus primis, prima dicitur maior, fecunda minor, tertia conclufio, de quo poítea azemus ex profe(fo.Enthymema eft argumentatio duabus conftans propofitio nibus,quarum vna ex alia infertur,vt Deus €it bonus, ergo eft amandus,cui fi addas,p pofitionem, Omne bonum cít amandum, efficies integrum fyllogifmum,ex quocol figitur Enthymema cffe fyllosifmum trun «atum, et imperfectum, vt ait Arift. 2.Prio yum c.27. ideo à Syilogi(mo fpecie non Addunt quidam fpeciem aliam argum& tationis, quz dicitur Dilema,& diit ar 10 bicornis, eo quia duas conti nct partes, ità difpofitas, vcneceffirio co, gatur refpondens aliquid cótra fe admitte xe, vel negare, vt fi quis affcrat tanquam verum fe per totam horam efapfam in fo ro fuiffz, æc ibi hiftrionem vidiffe,& alius jtà eum impugnet ; Vel eras in foro bora iam elapfa, ve! non eras, fi primum, erga mentiris dicendo tun non vidiff: hiflrioné, qui tah hora venitin forum, fi fccundum, mentiris adhuc dicendo te toza illa bora in foro permatfiff.jatque ità cx cónceffione, vcl negatione cuuislibet partis refponfor " 1 eene minori extremitate, vt Sortes Pars Prima Inflit. TraciHI. Cap.H. conuincitur mendaci j Sed re vera talís ar gumentatio non cft ab enumeratis fpecie di uería, cum in Syllogifmum formari poffit, fi pro minori addas, /e4 mewtrum dies poteft, et poteft etiam formari in enthymema, placet, immo vt notat Cafil in prolus. ad Summ. c.; . Dilemma non eft reuera vna ar gumentatio,fed duplex pro duplici parte, quam impugnat, vt in exemplo allato rimentum fieri poteft; et re vera eft f cics fyllogifmi hypotheticiex difiunctiuis ex dicendis cap.r1. 88 Quares,an enumeratz argumenta tiones fint propriz fpecies, et ab inuicem effentialiter diftinétz ? Affirmar Mafius. r. ' Prior.q.5. et Lemos.ab eo relatus, et vide tur fuiffe opinio Tatar cit.Complut, verà  lib.3.c.1.quos fequitur Io.de S. Thom. lib. 2.C.5.& lib. 3. c.2.'volunt in rigore loquen do duas tantum effe fpecies argumétatio nis.f. fyllogifmum, et inductionem,ab his vero enthymema, et exemplum folum di  ftingui, vt perfectum, et imperfectum ine tra candem fpeciem modoiam explicato..  $ed plané fi 1n rigoreloqui velimus, po tius ob eandem rationem dicendum eft ne v ue indu&ionern confhituere fpeciem cí ys intam, quia v. tam enthymema, quam exemplum, &in     entialiter à fyllogifmo dift du&tio ad fyllogifmum reducuntur, wtar  gumentationes imperfedtze 2 vt Arift. docetex profcffo a.Priorum cap. 12.& cum eocateri feré omnes, et quidem  eeriÀ ra aiam : fc clarascxem phum verà reducitur ogifmum accie piendo terminum Mor EE fimilitudi nem pro medio, et przdicatum conchufio nis pro maioriextremitate, et fubrectum pro minori extremitate, et fic exéplum i& pofitum reduatur, omnes habentes portür maris funt diuites, Veget; habent portum maris, vt lanuenfes,ergo funtdiuites, vt.   illi; Indu&io ver reducitur, accipiendo fi nenbee pro medio,& pradicatum con cluíronis pro maiori extre mitate, et fubic ut, Platocurrit, &ficdealijs, ergo omnis honio currit, fic reducitur, omne ; €p eft Sortes, vel Plato currit jommshomo cit Sortes,vd Plato, ergo omnis homo cur rit fic fieri redu&tioné exépli,& inductionis ad.Syllogifmum docet.T at.cit trat. s Jcet ibidem, vt fuam defendat opinionem, cat hoc non tollere, quin fint fpecies difta xà Xxhts e,Qu'a vnam arguncpta tionem reduci ad aliam ue dpi (e) aliam H Ws 3 ; 4 S ax. T 8 $odbéfpeddur editis: dlen,icd d ipfam probari per aliam per edliorem argumentationem; Sed id cít mi nusrcáé dictum, quia re vcra talis redu io demonftrat exemplum, indu&tionem ; ac Enthymema effe amperfectos fyMogif mos,quare ficut homo, cui manus vcl bra chium deficit, fpecienon dicitur differre ab homine integro . fic neque a enta tiones iflz fyllogifmo, et híc modus dice di frequentior ell, quem (equitur Faber ia Efe(apb.Iheor. 1 Auer(a, q. 2 5.fe& 4 . et ij paffim. t obijciumt Complut, et Io. de. S. Th. quod fyllogifmus, et inductio fint fpecies argumentationis effentialiter diftint zs tü quia modus procedendi vtriufq; eft efzn tialiter diuerfüs, nam fyllogifmus procedit à toto ad partes, feu ab vmueríalioribus ad rona » et ànotis natura ad nota no bis, induclio vero procedit modo oppofi to; tum quia vis concludendi can s eft effentialter diuería, nam tota vis fyllogif mi cóMiftitin vnione duorum in vno ter tio,quod in przmiffis affumitur, vt mediü, vudé poftea in conclufione infertur vnio eorum inter fes vis autem concludendi in inductionenó pendetex vnione extremo rum in tertio, fed ex pluribus fingularibus fficienter enumeratis infert vniuerfaliter fic fieri in omnibus, quas duas effcntiales differentias infinuauit Arift... Priorum c. a yillis verhis Quodammodo opponitur. indu 4Ho fyllogi[m» bse.n.permedium probe extre. mum dc terti», Mla vero per tertium probat extremum de medio :naiura jeitur prior, e motiar eft fy logifmus qui frr per medium, no» lis weroenidentior cfl qus fiy per induéchsoné, cumergo ex Aritl.(yllogifimus, et inductio t iormasargumentationis effentiali ter diuerfas erunt copícquenter argumen tationes effentialiter fpecie diuer(a . fatis oftendere illas duas differntiasab Arift.cit. infinuatas in ter inductionem;& fyllogifmum effentialcs non effc,fed meré accidentales, et materia . les, et quidem primam differentiam ex va rio dew procedendi petitam ab vniuerfa libus ad fingularia,aut é contra, etiam ipfi. met Com  sæ ape uer lemjquia et fy pimus roceédere Perth vulpe tut; et 4^ iot contra, eam ipfos  enia deícenfus rupem ia in f; frequentius vtizur me MI EDI M; raró inf. a 6; dimus à fingular a4 vaiuerfale, quà dcfce damus jidco Arift. Dialcdici ab 0, q iod frégucntius accifit«n his irgumentat jni bus, folent denominare illas aff:rentes in Uispimo procedi à coto ad purtes,ia. a ud oncé contra, quá refponitorem eratis admittuat Complur. cit $cd nejue alia diffcrentia eifzacia!is eft,ve ipfi patát, quia et finon apparcát ibi extrema intet fe vni« tà €x vi Vionis, quani often daturin antes cedéte habere in tertio,re tamen vera sub intelligitur ta'is vaio, quiaomnis difcur fus ianititur illi principio 494cwsqze font eadem vni teris fnnt cadem inter fe vtpo ftca dicemus, et i quolibet difcurfu cally vnio interuenit faltim implicite, et virtua litzr,& quo modo etiam in inductione ipfa interueniat,patet ex iam data regula reda cendi ipfam ad flogifoium » quodautem explicité, et formaliter in ipfa aon appa reat,non infert effentialem ditferentiam in teríyllogi(mum,& inductionem quoad for mam argumentationis, alioquin etiam en thymema effet fpecies effentialiter à fyMo gifmo diftin&a,quia in co formaliter,& ex. plicité talis vnio nonapparet ; cum igitur in omni argumétatione requiratur medius terminus, ue implicitus fiué explicitus,ra tione cuius teneat confequentia, vt aduer tit Cafil.lib. 2.tra& 5.c.6. cófequenter om nis argumentatatio eft fyllogi(mus perfe &us,vel imperfcétus . 89 Quares, an faltim fit aliqua confequ£ tia. ur non fit areumentatio, vcl fyllogif mus con'mbr. i.Priorum c.i.q. 2. art.3. et For fecalib.s c.7.Morifan.1.Priorum cap. 2.dub.z.exiftimant non omnem confeque tiam cff: argumentationem,fed quid fupe riusad cam,& ab ea diftingui, co quod có equentianon dicat meditim terminum, vt icit argumentatio, vndé ifla eft cenfequé tia bona i Fonfeca) ex regulis conuer.. fronis deducta,om i: Loro efl animal, ergo «lsquod «»imal eff bomo,tamcn quia in ea nó cft medium,non poteft dici a Dicendum tamen eft omnem cófe quentiam re vera eífe argumentationem, immóin omni confequentia fyllogifmum includi virtualiter,fy!logifmus Re eren mayis patebit, tribüs terminis trei pofitiones conflituentibus, &ità inter lea difpofitis,vt in primis duabus;lle termi nus,qui dicitur medium,modà cum vno có see: ouis extremo,modo cum altero, ex vi cuius conne&tuntur tandem alij duo termi nijqui dicuntur extrema, in vltima propo   fiipoe, mentatio. (64  fitione,quz dicitur conclufio ; fed omnis confequentia tres terminos includ.t, cum fit connexio confequentis cum anteceden ti ratione alicuius mei), ergo re vera om nis ccní:quentia clt argumentatio, vel fyl logifmus faltim virtuahter, probatur mi« nor quia fi omnis confequentia recte per pendatur, concludit in. virtute alicuius medi), ve cft videreetiamin iila, quam fa cit Fonfeca,& ait carere medio, nam rc ve ra mediumillius cofequentie eft hoc, quod aliquid repertü in tota collectione anima ' lium eft homoslicet voce non expriaiatur, vndé fic poffet illa confequ. ntia in fyllogil mum cfformari, aliqui, quod reperitur in tota collectione animalium, eft homo, fed aliquod anima! reperitur in tota collc&tio ne animalium,ergo aliquod animal eft ho mo;& vt vno verbo dicamus, regula om nes,n quarum virtute tenent fimiles con fcquentiz, putà ex vi fubalternationis,z quipollentiz,& conuerfionis, funt ip amet meia illa illarum confequentiarum.Dices,multoties conuertens eft zqué nota, ac có uerfa,vndé deducitur,non .n notior eít ita conuerífa,nullus homo eft se .quamcons . u uertens ex ea deducta, nulluslapis eft ho mo,ergo conuerfio non elt argumentatio, quz eli difcuríus à notoad ignotum. Refp. neg.confeq;quia argumentatio abfolute s pta elt oratio, in qua vnum ex alio deduci tur, quod autem ralis dedu^iio fiat ex no tioribus,peculiareeft argumétation s pro batiuz vt patet ex c.r. huius tra&t. vnde in tali cafu vtig; conuerfio non eft probatiua argumen CÁPVT IIL qperegulis communibus bom argumen, fA ONE, «v] Jio MY forté plüresquá fit opus, : folent afferri regulz à Summu iftis pro bonitate confequentiz, nos verà €x his pluribus vtiliores, ac vniuerfaliores felegemus.   ; Prima regula eft, quod ex antecedenti veroinbona confequentia femper v ed tur confequens verum,ex poffibili poffibi Te,& exncceffario neceffarium. Fundatur vero hac regulain illo vniuerfaliffimo prin cipio apud Diale&ticos, Nom potefl im bona con[équemtia dar) antecedens yerum, conféquems falfum, [ed fi antecedens ef. ve rum etiam Co cov[equen:, quod priucipium I " Pars Prima Infiit. Tratl. IH, Cap.IIT. . antecedens verum,& non verum, quz funt eft naturz lumine notum, nam cum con». fcquens trahat poft fe antecedens ratione connexiouis,quam habet veritas cófequé tis cum veritate antecedentis, idem plane cft ponere antecedens verum;& confequés fallum, quod ponere antecedens non a fo luté verum, fcd ex parte falfum, quia con^ fequens eft quafi pars quzdam eius, et cum eo connexum, quare fi daretur antecedens verum,& confcquens falfum, iam daretur contr adiétoria. Eadem etiam ratione fi an tecedens cft pofübile, poffibile quoque erit confequens,nam fi antecedens eit poffibile iam poterit effe verum, ergo confequens nequit effe impoflibile, quod nunquam ve rificari poteft; alioquin in aliquo cafu pof fet dari autecedens verum., et confequens falfum. Qua demum de caufa fi antecedens cít nece(sarium, ét confequens neceffarium erit,quia fi antecedens eit neceffarium fem.  per eit verum, ergo et confequens er debet. effe t iq Pee A aliàs poffet in aliquo cáfu dari antecedens verum,& confequens f; tdi S2" Sed obijcies hos fyllogifmos, quibus ex antecedeati neceffario deducitur confequés. contingens v. g. omne currens mouetur y a omne currenseft corpus,ergo aliquod cor pus mouetur.Item omne albumveftcoloræ  tum,omnealbumeitcorpus,ergoaliquod  corpus eft coloratum, iam patet in'his sq ry logifmis przmiffaseffc neceffarias et con»    clufionem contingentem. R. propofitioné de tertioadiacente in materia contingenti  fupponere exiftentiam fubieéti, qurexplie   catur per aliam propofitionem do adiacente, vt v. g. Petrus eft albus, fenfus eft, et Perrus eff fci cxiftit, &n eff albus, vno   dé qualibet talis itio in materia có» cingenti eft remo son dear verà .6. diétum eft ad veritate, et neceffitatem copulatiua requiri partem effc vcram, et neceffariam; quod fi vna see fit falfa,vel contingens ; talis etià eua t tota propofitio ; cà igitur ille pre miffa fint in materia cont ngenti, vt patet donee copsatuzs clique € virtualiter. iuas,& illá qui ualerehuicj6 omne current Epit v (v àmnetalemoucturi& cum primaparstas   liscopulatiuz fic contin,tota copulatia ! ua crit contingens, et fic de alijs pramiflis difcurrendum cit, ac negaadum,quod fint necc Wu. iln ^ r 91 Secunda Regula cít, kis De regulis oe diqumentationis,  65 dente falfo in bona confequentia fequitur fal(um, et «tram interdum fequi potuerüt ; exemplum primi,vthomo cft afinus, ergo tft rudibilis, exemplum fecundi, vt homo efl afinus,ergo cft animal ; fic etiam ex im bili fequitur impoflibile, vt homo eft eo,ergo cit ruggibilis; interdum fequi tclt poflibile, immo, et neccffarium, vt ho mo eft equus;ergo currit vel cft animal,Sic demum ex contingenti fequitur contingés, yt Petrus currit,ergo mouetur, vbi confe quentia eft vtique neceffaria, fed confc quens in fe fpectatum eft poffibile tantum, et contingens, fed interdum etiam fequi po teft neceffarium, vt v.g.Petrus fentit; ergo eft animal,nam przdicatum, quod contin genter conuenit fübie&to antecedentis, et eft médium in confequentia, poteft habere neccffariam connexionem cum przdicato confequentis, fic illud inferre, vt patet in allato exemplo.Hic tamen aduertendum eft,quod quando ex falfo fequitur verum, ib: Wibile, et ex contirgenti neceffarium,id non ità fit, quafi przmiffe faí(z,impoffibiles, aut contingentes, veri tatem, poffbilitatem;ac neceffitatem deri uentin conclufionem, nemo .n. dat, quod non habet ; fed fit ex cera earum difpofi tione,nam fic, et fic difpofitis premiffis fe quitur confequens verum,;pofübile, aut ne ccffarium, cuius fequela vtique pendet ex ilis pramiífis, non tamen eius veritas, aut poffibilitas,vel neccffitas, fed aliunde1n fc verum cft, poffbile,vel neceffarium;vt pa tet in exemplis allatis . 92 TetiaRegula, in bona confequétia, ficut pofito antecedenti. ponitur coníc quens,non € conta ità ablato confequéti, aufertur antecedens,non e contra, quod a Jijs verbis dici folet valere confequentiam à pofiticne inferioris ad pofitionem fupe " 3ioris,non é coptra ; et rurfus valere à ne gatione fuperioris ad negationem inferio xis,non € contra, v. g. homo eft antecedés, et inferius re animalis, animal cófe quens, et fuperius ; valct vtique dicere, cft homo. ergo eft animal, non t;men é cBtra, uia potcft effe animal, quod non fit homo, d equus, aut 1co; rurfus valet dicere, non eft animal,crgo non cft homo,non tar;cn et contra, non cft homo, ergo nó cft an: mal, uia in plus fe habet animal, quam homo ; cum hec recula fit tritiffima mirum eft, quomodo Blanc.lib.7. fe&.;. fit halluaina tus diccneo, quod ficut pofito antecedenti ponitur confcquensjità ablato antecedcp u aufertur confequens, quafi arguere va lcat à «gatione inferioris ad negationem fuperioris . Quarta Regula, in bona confequentia quicquid fequitur ad confequens effentia liter fumptum, et abfolute fupponens, fe quitur, et ad antecedens illius ; quod alijs verbis dici folet, quod valet confequentia à primo ad vltimum ; quam arguendi for mam Graci vocant acerualem; nam fit acer uatum tribuendo antecedenti przdicata qua competunt confequenti,v.g. homo e animal, animalcft corpus, corpus cft fubftantia.&c. ergo homo cft corpus, fübftan tia,&c. et fundatur hzc regula in jlla ante predicamentali, quando;alterum dealcera pradicatur, &c. et intclligitur ficut illa. Quintatandem eft, quicquid repugnat conífequenti effentialiter fumpto, et abfo luté fupponenti in bona confequentia, re» pugnat et antecedenti; quod alijs verbis di et folet, fi ex antecedente fequitur confe quens, ex oppofito confequentis fequitur oppofitum antecedentis . Ratio eft, quia fi €x oppofito confcquentis non fequitur op pofitum antecedétis,ergo poterit ftare op pofitum So Nenci ins, quod.verum fupponitur,cum ifto antecedente; et fic da bitur antecedens verum, et confequés fal fum, et hac regula frequenter vtimur ad oftendendam bonitatem cófequentie pro cedendo à contradictorio confequentis ad contradictorium antecedentis . $3 Vetes, quando liccat argumentari ex fuppofitione impoffibili, Scotusin 1. d.11. q. 2.füb A. docet modum;quo licet vti hu iufmodi argumentandi forma, effe quod fuppofitio impofübilisita fiat, vt aon fe quantur ex ea contradictoria per Jocü in. trinfecum ( nam ex fuppofitione impolffis bili contradictoria aliquo modo fequi feme per neceffe elt) fed vna pars contradictio nis per locumintrinfccum, altera veró per locum extrinfecum dumtaxat ; ratio huius eft quia vt talis forma argumetandi fit bo na,rcquiritur conflantia fuppofitionis, feu confiftentia, non confifteret autem, fi ex ipfa per locum intrinfccum ftatim fequatur vtraque pars contradiclionis, v.g. ex ifta fuppesitore impoffbili,fi Petrus sen effe uximal, fet komo, pon poffumus arguniéne tari, quia &cwe formaliter, et intriníccé in» cludit 2nimal, at que ità ex i!Ja fuppositio ne per leceim intiríecum fequitur vtraque pars centradistionis, .f. amimal, (y nen amie x«l, vndenon poneretur Wo cafu cone fans uc "ull wtiWN 66 ftantia Wronrhag e ci formaliter, et in trinfecé feipfam deftrrueret; inquit igitur Doctor,quodlicctpositio, quz ftaüm ex antelleétu fuo includit contradi&oria, non poffit admitti, qualis cft allata, tamen illa uz ex intellectu fuo tantum vnum cótra i corium includit,& aliud non;nisi per có Ícqucntiam accidentalem, vel perlocü ex trinfecum, bené videtur poffe admitti,quia tali positione posita poflunt fuftineri regu Iz difputationis, potcft .n. concedi fequens coníequentia effcntiali,& negari repugnas; Siautem inferatur aliud repugnans fequens per locum extrinfecum, vel contequentia accidentali, negandum cft illud fequi, quia propofitioilla,per quam talis confcquentia teneret;dcftrueretur ex positione : vndé ex ifta füppositione impofkbili,/f Petrws so effet rifibilis, eff: t bomo, poffumus argumen tari,quia circumícripta risibilitate ponen Petrum in effz hominis non ponuntur contradictoria ex primo intelle&u positio nis, fcd tantum altcrum, f. quod Petrus sit homo. reliquum ver, .f. quod non sit ho mo non ponitur,nisi cx confequentia acci dentali, et pcrlocum extrinfccum cxremo tjone paffionis rémouendo íubicdtum, et 3dcó ilta positio non sic includit opposita, quin poflit admitti, et hunc dicendi modü amplcótitur Hurtad. difp 15. Mctaph.fcét. 9.8. 114. Ruríus aduertit Doctor ibidem, quod €tiam ex remotionc impofíübili vnius pre  licati effencialis,quod nó sit ratio inhzrene tiz alterius pradicati, poffumus argumcn tar/;quia adhuc contradictoria non fcque . yentur per locum intrinfccum,v.g. ifta fup tio eft admittenda, fi per impoffibile non effet animal ; et effet rationalis, adhuc difcucreret, et ab equo ditlinguere tür ratio cft, quia efto anin;zlitas fit predi «atum effcntiale hotnin:s, tamen quia non ( principium formale diícurrendi, nec diftintiuum à brutis, idco ctiam tuppofi ta animalitatis carentia bené adhuc infer tur per lgcum iatrinfecum quod homo di fcurreret;& ab equo diftinguerctur altera ahtem pars contradictionis,.(. quod non .difcurreret, nec ab equo diftingueretur, pon infcrtur,nifi materialiter et per locum extrinfccum,cx idcntitate.f. animalicatis cü rationalitate, cx qua per concomitantiam fequitur,quod fj homo non «ít animal, ncc etiam ft rauionale;& per confequcns,quod non difcurreret, necab equo diltingi re tur 3 et fequitur hunc dicendi uodun. Val Pars Prima Inflit, Tracl. HT, Cap.1T. uez p.p.difp.147.c.r. Vtrumque vero ap kar 4 7v Mid examen Cáfilius sm tract.z.c.vlt. quia re vera vterque recidit in idem, et huc collimat, quod valeat argu mentari €x M disi impoffibili,quan« do ex eanonfequuntur contradictoria per locum intrinfecum : valdé autem notanda eft hzc arguendi forma;quia finis eius eft ; vt Vafquez aduertit, perfcrutari rationem formalem rei,vndé apprimé inferuit ad di funguepdam caufam formalem;X pradica tum quodcunque intrinfecum à conditio nibus, X przdicatis extrinfecis. CAPVTIV..  De indudtione ybi de afcénfu,« defcenfn  94, WViainter omnes mentationis fpecies Inductio, et Sy!logifmus principem obtinent locum, intantum vt aliqui eas agnouerint pro veris argumen« tationis fpecicbus abinuicem effentialiter diflin&is, idcirco de his fpecialicer age mus, de Indu&ione quidem in hoc capite 5 de js ves autemin fequentibus.  Inducti illatio propofitionis vniuerfalis ex futs fin» gularibus, vbi fingularium nomine ; vt no tat Tatar.z. Priorum Mes MN mo jintelliguntur non folum ea ; qua funt veré fingularia, fed etiam qua: funt minus   vniucrfilia refpcétu magis vniuerfalium, et partes re(pgctu totius ; ficut enim à fin« gularibus rrogredimwr ad vniuerfalia hoc modo, hicigniscalcfacit, et ille ignis, et fic de cateris, ergo omnis ignis ca Jcfacit, fic etiam progredi poffumusà mie nus vniuerfalibus ad magis vniuerfalia,& à rtibus ad totum hoc modo;omnis homo entit,& omnis bcíftia sétit ergo omne ani fentit; et ctiam, caput valct, ftomacus valet, et fic de alijs membris, ergo totum animal v;let. : Vtautem 1ndu&tio fit bona confequen tia, et rité inferatur vni is ex. fuis fin ularibus duz prafertim requiruntur con» ditioses.Plina cfl, quà tradit Tat.cit.quod inferatur mediante i(la particu!a év j;e de «lj:, velaliquafibi aquimalente, et hoc quando ron erumeratur omnia fingularia; quando autem enumerantur, ponitur bac ilia particula, de zm fmt plura jadhibitis.n. iftis parc;culis redditur bona confequen tia, quia tunc yw » itarinfts  Et fi quis pctat;quid intclligatur per illam pa euam, jede olgulcipTacar qudin ! tci oitaque, vt diccbamuscap.s.eb   De Induclione afcenfu, eo defcenfu, telligitur vna propofitio vniuerfalis figni ficás effe, ficut fignificatur per alias fingu lares formaliter expreffas,vt Sortes currit, ZPetrus currit,& fic de alijs &c.seíus eft, &, quilibet homo alius à Sorte,& Platone cur Tit, ergo omnis homo currit. Et fi quis di  €at, ergo in inductione proceditur àb vni ueríaliin vniuerfalem.. Refp. Tat, quod il la vniuerfalis in antecedente dicitur fingu laris rcfpectiué quia eft minus vniuerfalis, "quam illata in confequente :, Alteracóditio,quam idem Tatar.affignat a. Phyf.q. 2.8. Guarthfciendum ex Scoto in 2 d 2.q.5.k.eft quod vt vniuerfalisex fuis fingularibus infératur, non fufficit, uod omnes fingulares fint verz, fed vlte rius requirirur, quod omnes fint compoffi biles, cum vniuerfalis zquiualeat fingula ribus copulatiué,vel copulatim fumpüs v. .omnis homo currit,zquiualet his fingu faribus,& Petrus currit et Paulus currit, et fic de alijs vel Petrus, et Paulus, Franci fcus;& alij homines currunt. Ratio eft quia multoties contingit, quod fingulares sint verz, tamen quia non omnes funt compof fibiles, ideo non re&te inferunt vniuerfalé ; rem   or cit. : pcne exemplo; ponamus;ait,quod hic fint decem Or cur in pondere equales, et quod Petrus non poffit portare hos decem lapides fimul, fed nouem tantum, ifta propofitio vniuer falis poffibile eft omnes hos lapides portari a Petro falfa eft, non quia aliqua fingularis in fe fit fala, quia verum eft, Petrum poffe portare hunc lapidem, et illum, et illum,fcd uia aliquibus determinatis, eit aliqua in ditermigstsincopdile uügicunque.n, nouem fingularia funt compoffibiliz, et de cimum indeterminate eft "pte il lissoportet igitur ad rité in jK col ligendam vniuerfalem, quod omnes fin lares fint verz,& fimul com iles, tàm fingulares determinatz, quà indetermina tz;quia fi omnes determinatz effent com sÀlibilcs fed aqua indeterminata eis re pugnaret, adhuc nó re&é colligeretur vni uerfalis,vt c inallato exemplo, fedcó  ]a mitteretur fallacia fizurz di&ionis(ait Do &or) arguendo à pluribus determinatis ad vnam;qua doctrina vrimur difp.vo.Phyf.q. 3 ad fo arguméta Nominalium, qui bus conantur oftendere continuum poffe à Dco fimul. diuidi in emnes fuas T, illam diuidere,& fic de finzulis ; et pari ra 9 da ^! 67 producere;quia in hocinfláti retít à Deo produci hic homo, et ille, et ille, et fic de fingulis. 95 Hisobferuatis cenditionibus modus arguendi per iaductionem eft optimus, et vocatur Alcenfus,quatenus pcr eam «éfim à fingularibus aíccndimus ad probationem vniuerfalis, vnde afcenfus ordinatur ad in ueniendas, et probandas veritáte« vniuer fales,vt vniucrfiles funt,.i. inquatum con ftant ex fingularibus fub eis contentis, non,n.melius probari potell; quo aliquod vni uerfale sit talc, nisi quia eius singularia süt tilia, Defceníus vero eft modus arguendi oppofitus induélioni, clt .n. progreffio ab vniuería^ ad fingularia, v.g .omois ignis ca« lefacit,ergo,&hic ignis, et ille ignis cale. facic et ideó folet etiam dici reductio, feu deductio,& przcipué ordinatur ad often dendam falfitatem vniuerfalis,vt vniuerfale eft,optimé.n.oftenditur falfitas vniuerfalis deícendendo fub illo,& oftendédo aliquod fingulare non effe tale. Verum tamen eft, quod fuppofita veritate vniuerfalis inuen tà per cenfum, comprobata, etiam de fccnfus defervire poteft ad oftendendami correfpondentiam vniuerfalis ad fingulatia fub eo contentasex quo colligitur afcensi, et defcenfum deferuiread oftendendam ve ritatem, vel falfitatem propofitionis vni u erfalis . ^^ Acéníus, et defcéfus eft quadruplex co latinus, et copulatus,difiunctiuus, et di« un&us. Copulatiuus eft qui fit per con iunctionem ev,aut fimilem copulatiue ac ceptam, .i.Copulantem, et coniungentem ip as propofitiones, non terminos propo tionis . Copulatus vero eft,qui fit per eà dem particulam, copulatim fumptam, i, eoplantm Jæn vnius extremi,non auté ipfas propofitiones ; Difiunctiuus fit particulam »e! difiun&tiue fumptam, i.iun p propofitiones . Difiunctus cft,qui t per eandem particulam difiüctim acce ptam,,.i. jungentem vnius extremi 3 Ex quo patet defcenfum, et aícéfum copu e em € 0, to n in $ fcenfus,vel afcé(us per h icam pro posco nm icis conftá tem;in iftis véró fit enumeratio fingularium vnicam propofitionem cathegoricam, ied Ü conftat omnibus 'cuius alcerüm extremum » in defceníu quidem, aut afcé fuc cto Xa Hoc   LE E ductum: S " TE wt 68 Pars Prima Inflit. TractIII. CapIV. Hoc totum manifftatur doce1do mo dum refoluendi termiaos : fi cerminus diflributiue fupponit à propoficione vmi uerfali defcenditur ad plures fingulires copulatiué, vel ad vaam dez copulato «x tremo, X verbo fingulari, fic,o nnis homo eftanima!, ergo hic homo elt animal, et il lc homo cit animal, vel fic, ergo hic homo, &ille homo, et ille c(tanimil; nullus ange lus eft corpus ; ergonec Michal eft cor pus, nec Gabriel eft corpus, vcl fic, erzo ncc Michæl,nec Gabricl, nec Raphacl ctt corpus, afcefus veró fieri debet é cotra. Si aüt terminus fupponat colleétiué,tüc aíce dendum elt, id defceniendun copulatim fic, 2mnia elementa (unt quatuor, ergoi gnis, &ær, et aqua, et terra funt quatuor, nonautem ignis eft quatuor ; omnes Apo ftoli funt duodecim, ergo hic Apoltolus, et hic, et hic &c. funt duodecim, aut é con tra, fi visafcendere. Si veró terminus de terminaté fupponat, deícenditur à propo fitione particulari ad plures fingulares di fiunctiué fic, aliquis homo currit, ergo hic homo currit, vel ille homo currit, &c. aut ad vnam de difiun&o extremo fic,ergo hic homo, vel ille homo &c. currit: et écon tra afcenditur. Si randem termirius fuppo nat confuse eodem modo defcenditur, et afcenditur à termino confufo ad fingula res,& é contra, quz omnia melius perci pom recolendo dicta. de fuppofitioni us tract. r.c. ro.Et hic aduerte,quo4 vcri tas in defcenfu copulattug z(timatur ex (in gulis parribus, quz copulatiué enumeran tur, inco onon ex singulis, fed ex omnibus simul collediue fumptis partibus &€x tota carum collcé&tíonesin disiuntiuo attCJitur ex vnica determinata parte jlicet fub disiüctione significata; in disiunéto de mum ex omnibus cófusé, aut ex vna parte Íola prorftistamen indeterminata, et vaga à par e rei,qug omnm conttant ex diclis de fappofit. loc. cit. quod fi plura defidcras vide tractat. de Defcenfu apud Tatarer. ' 96 Quares,an Induétio sit bona,& for malis con'equentia,feü argumentatio? Ne gant Conimb. 1. Priorum c.4.q.a.art. y. A micus tractat. 2 5. difp. 1. qu. 2. dub. s. Ioan, de S. Thom. p. p. log. q.& art, 2. confentic ex parte Tat. 2. Priorum. qu. vlt. $. Dubita. tur. fecundo, et Poncius cap.2z. Log. par uz et quidam alij, quod eo magis afferunt de exemplo, ac imemate. Dicendum tamen eit effe bonam, et formalem coní.« F féruari IM conditionjbus ajJatis, ità 1. A: T !   communis, et probatur autoritate Arift. 1 Top.c.12. vbi habec, quod inductio cft inftrumentum aptius fyllogifmo ad perfua dendum, X apertius, et fecundum fenfum notius: Tum 2. ratione quia efficacius pro» bari nequit vniuerfale cfle tale,quam olten dendo fingularia effe talia, fic veró proce dicindudio . Tum 3.quia confequentia ab zqui;ualenti ad zquiualens formalis eft, ac efhcax 5 fed ità procedit inductio ex fingu laribus.n. copulatiué fumptis infert vniuer falem 1llis zquiualencem ; Tü demum;quia vt diximus c.z. tàm Inductio, quam enthi mema, et exemplum habent fuiim medium, ratione cuius concludunt, et funt virtuali  ' ter fyllogifun; crgo funt argumentationes forinales, et ex vi formx concludétes, quia eft virtualiter fyllogiftica, atque ità defen dunt Mafius hic q.5. et Blanc. difp.z. Pla. difp.de indu&t.q.4. licet neget de exemplo. Sed contra PUR; quod non fit for malis confequentia, immo nec bona, quia vis probatiua indu&tionis tota confiitit in roceffu à diftributiuo ad collectiuum, fed ic proceffusin multis vinofus deprchen ditur, non .n. valet, poteft homo viuere fi» ne ifto cibo, et finc illo,& illo, et fic de alijs fingillatim fumptis, ergo viuzre pozcit fine omni cibo ; poteit effe (ine ifto loco,& fiæ illo, et fic de alijs diftributiue fumptis, er» go fine omni; poteft vitare hoc peccatum veniale, et hoc, et hoc, ergo omnia: poteft Deusin hoc inítanti facere hunc, et hunc hominem, ergo et omnes ; potcft diuidere. continuum in hanc, et illam partem,& ill, ergo in omnes, et ità in alijs multis argue re poffumus ; imó fecundum logicos à di ltributiuo ad collectiuum non tenet confe quentia, nam przdicatum, quod tribuitur terminis in Íu copul tiuo, nequit trt^ bui termino commuüni a4 quem fit aícenfus; fupponenti copulatim, quod eft (apponere colle&iue, et ratio elt, quia fubiecta afcen fus copulatiui funt. fingularia feorfim fum pta, et fingillatim, fubieétüm veró eopula tum eft collectio, feu fingula fimul. Tum quando etiam teneret talis confcquentia y tamen eft prorfus inutilis, co quod nó plus, immo mins, et peiori modo cogaofcamus rem in conclufione jac in premifhis,co quod in ijs diftiaée, inilla confuse rem cosno fcimus., Tum 5. quia in 'nduclionc nibil có cluditur vi formz, quia non habet certum numerum pramiffarum, fed modo plurcs ; inodó pauciores, Imo ctiamfi emnia enu merentur fingularia, adhuc non crit Iram LE " d fd lc OPI EL. CN. : De Indu£lione, afcenfuy eg] defcinfu . 'fis'argumentatio', quia nihil diuerfunr cric "inconclufione ab co, quod eft in prauitüs . "Tum 4. Arift ;. Poft aitinducentem non dc nionftrare ; ergo non neceffario inf zrt, et idco non eft formalis argumentatio. 1an denm, quod tanto minus excmplum, et £a thymema fint argumentationes formales 'probatur, quia ad formalem argumenta tionem requiritur, quod nullus cerminus "fitin confequenti,quinon fit in anteceden ti, et in antecedent fic aliquis, qui non fit "in confequenti, alioquin ex quolib.t ante cedente poffet inferri quodlibet conte quens, v.g. homo eft animal, ergo eft irra «tionalis, fed jn Enthymesnate aliquis tcr 'th:nus ponitur in coaíequenti, qui non erat in antecedenti, v.g.omnis homo eft animal, "ergo eft fenfitiuus, ly. fenfitiwu:, quod cft $n confcquenti, non elt in antecedenti ; fic ;etiam in exemplo v. g. Salomon inucaire "fion pocuit felicitatem in omni gloría fua, er&o neque Alexander inueniet . "o €$ ad primum;quod quando commu niter dicitur vim Indu&ionis confiftere in "proceffu à diftmbuciuo ad colle£t:uum, non accipitur diftributiuum, et collcétiuum ia rigore, diítributiuum nempé pro folo aícc fu copulatiio, et colleétiuum pro termino fcpponeute copulatim, quia fit inductio tà afc:nfu copulatiuo ad terminum di(tributi we (apponentcm, quam afcenfu. copulsto ad terminum fupponeptem ;collcétiue, fed per proccffum à diftributiuo ad collecuuü jntclligunt proereffum à fingularibus zd v miuerfale, quocunque afcenfa fiat t vt veró talis progreffus fit bonus, X efficax, obfcr vari debeut dux conditiones fuperius mc morarz, nam defectu f(ccimdz fapius non  tenet, et ità contingit in confequentijs in argumento allatis, licet .n. inillis onines fingularcsfint verz, et etiam omncs deter minatz fint compoilibiles, (emper tamen ulta indctermipatz,vel faltim vna illis re gnat, vt patet in exemplo decem lapidü prà ex Doctore allato, quz repugnantia attendenda eft ex particularibus materijs, in quibus arguitur, vndé ft inductio quan doque non tcnccdcfe&us proucnit ex par te materiz, non ex parte forma: hanc di f ficultatem fuse pertractat. Cafilius lib, r.  «rac s. c. fe&t. s. vbi varios refert diccndi modos pro hac re declaranda: fed rcfpon fio data fufücit. . . Ad fecundum negatur affumptum, quia inductio valde vtilis eft ad fcientias, nam agunt de vniucrfalibus,.ad quz per indu LAUS e 69 ctionem. manuducimur, Ad ( robatione n dicimus, quod faltim fcitur de nouo diltin dte, quod multitudini conueniat przica tum, quod fiagulanbus rantüm coau nite Íciebatur, et ft argu nencai coacludit;pro baret etiain à definitione ad d. fiattum nog effz bonam confequentiam; quia arelius co. srl res per d: finitioncin, quan, per «finitum .. Ad tertium hzbeciaductio au tecedens, X confquens, et antecedens vnà totalem preniffiir conítituit ex multu fiu« ularibus jntegratam, et duas przaiiffas t, dum eformatur in fy:lozinum 5 et in conclusione fcizur iden, q304 in prz mif(lis,fed diuerfo modo; inimo dicere pof fumus (cin etiam aliquid diuerfum, quia in ea (cimus conuenire tori vallectioti quod in przmiffis fciebamus conænire xingula tib .$ singillatim; collectio autem; eft quo modo effectus particularium compo nentium ipfam collectionem, X ideó quid piam ab eis aliquo modo diucrfum. Ad quartum negatur confequentia, quia neqs omnis, qui fy'iogifmo vtitur, demonftrat, et tamen non negatur fyllogzifinum cffz ar gumentatrionem formalem : demonftlratio igitur y)tra argumentadonem formalem habet, quod neceffirió probat, et infert, non folum ratione formz, fed ctiam ratio nematcriz. Ad quintum negatur minor, nant implicite, et virtualiter fe habent «n thymena, et exemplim sicut fyllogifmus, et habent mcdium, rat;one cuitis conclu dunt, vnde ip enthymematt allato in argu mcato medius terminus eft eva! deettn. vitia propositio in voce, qua ramen habetur in mente,  f. emne ampmal efl fenfitiuum, sic €t i1 exemplo allito in argumento fub intclligitur medium quad erit hoc, Salo mon tt eiufdem raidonis, ac aliis kcx ; ve rum tamen eft exemplum ab alijs fpecicbus Ra ldctnme. es valdé deficere. . Dices, informa enthymcmatis multo ties dari antecedens verum ;& confequems falfum;vt patet in hoc, emn; boi» eft. ami m «l, ergo omnti bomo esi doctus, crgo not eft argumentatio formalis, ad quam exigi tur, quod nunquam in fimili fora argue. di reperiatur antecedens verum,& quens fal(urz.R efp.ob id Iccenti plures Blanc. dilp.cit fect.o.Plgdifp. d de en thym.q.5. &alios velle enthymema tune tantum cff. formalem argumenrationem, quando difponitur in terminis fabalterna tis, yt omnis homo c(t animal, ergo quida homo citanimal; tunc.n. cít Hunc Ic SU .70 formalis ratione fubaltcrnationis, aliàs nó . Sed praflat dicere. argunientationem in ebielliooe zddu&tam non effe enthyn.ema, quia ad hoc conficicndum non. fufcft affu mere pro antecedente, X cófequente duas propofitiones quon:odocunque, fcd tales quod vna infera.ur cx alia, et poffit reduci ad formam fyllogilticam addendo aliam propofitionem, q: od non reperitur in ar gumentatione allata in obicctione, CAPVT V. De 8yllegifmo, 6. eims principiis contisuti u15,"vbide figuris eiufdem, 9$ Dee trad. przced. enunciatio nem diuidi in fimplicem, :& com pofitam,fcü cathegoricam, et hy poe. cam, et ruríus cathcgoricam in abíoluram, et modalem ; eodem pacto fyllogifinus di uiditur in cathegoricum,& hypothcticum, et cathegoricus rurfus in abfolatum, et modalem, prout continet propoíitiones fimplices,vel coniunctas,abíolutas,ve! mo dales; prius igitur de cathegorico eric fer nio,& fpeciebus eius, de hypothetico po ftea,& mixto . Arift. it.q. 1. Priorum c t. propé finem, et 1.Top.c. «.fyllogifmü de finit, quod fft oratio, rm 444. quibu[dam pofi t1 alterum quid A pofitis neceffe eff contin  gere,eo quod bac fint, dicitur eratie non au tem argumentatio, quia argumentatio re vera non elt genus je Pp, indu Gioncm, &c. wt dictum efl c. 3. et dicitur eratio in numero fingul,ri. vel quia eft vni .capropofitio hypothetica, vt ait Tatar. tract.4. vel potius,vt aiunt Auer. Philopon. et Euítatius ratione vnitatis medij, in quo .yniuntur extrema in przmiffis, et vnitatis forma fcu difpofitionis cerminorü, et ctiá ratione vnius finis,quia ambz przmiffe or dinantur ad vnicam conclufionem inferen dam; A: deed a in plurali, quia cx vna opofitione, ex qua alia infertur, fyllogi(mus non conficitur, fed alia argumentatio imperfe&a, .f. enthymc ma aut inductio, &c. debent igitur plures ; LH herir affumi,noa que, ácd positz,.i.difpositzin modo,& figura ; et vt notat Tatar.non debet addi particula, € conce(115, quia siué pramitfz sint vera, siue falíz, nihil refert ad fyllogifmum sim pliciter,feu fecundum formam considera tum,qui híc definitur, dici tur «/reruo quid 4 pofitis nc.ad denotandum quod conclu ioyquz fequitur ex pramifiis, cft alia pro. .tenus omnes, vt neceffariam, et forma Anfcrant confequentiam, indig ent Sa or rd Pars Prima Inflit. Tra£lII. Cap. positio ab illi s,& ab eis æceffarió illata: ob illarum difpositionem, vade ly mece/?e, vt notat Tat.& Alex.non sigaificat necefütaté cenícquentis,quafi conícguens in omni fj logi(me debeat effc ncccffarium, cum «cffe potfit contingens, vcl falfum, fed tautum neccffitatem confequentiz, vt ex przmií sis neceffario inferatur conclusio, etiam si. illa non sit neceffaria, qua erit de effentia fyllogifmi, sicap.atur pro aggregato ex przmiffis, et coaclusione, non autem sí ca piatur pro folis pramiffis difpositis, vt cæ pit Arifl.2. Priorum, ità docet Tat. 1. Prio rum q :.in fine, mu : Senfus igitur prafatz definitionis eff, quod fyllogifmus cít oratio difcursiua, in qua posita maiori, et minori propositioe ne (sic.mappellaatur przmiffz, vt mox di cemus) aliud, f.cóclusio.ab his,quz posita sür f. qur,.i. deducitur ex vi difpositionis terminorum in przmiffis, v.g.omne ani eft fubftà tia,omnis homo elt animal,ergo omnis homo cft (ubítátia hzc tertia ppo:i tio,quz dicitur conclusio, fequitur a  farió ex difpositione duarum priorum j vn« debreuius poft dcfini:i fyllogifimus, eft oratio diícursiua conftans io cum ex«. tremis difpofito, vt elt videre in. Íyllogif " mo allato Sed dices, hancdcfinitionemnoncon uenire omn'busfyllogifmis, quia nonbys   sitorio,de quibus;infra,    pothetico;& ex Ap prm effe Ari(t. mcntem fui(f hic finire fyllogi(mum cathegoricum et hüc. termino communi conítantem; adhuc timé poteft etiam hy potheticus. hác definitioné . . participare,qratenus, et ipfe cathegorici habct regulari, et oricum reíolui;potcft etiam applicari fyl ogifmo expofitorio,& omnibus alijs, quam, a'em tione terminorum,& propositionum Íyllo gna iam declarata, et amplius declaran, et omnes eiídem communibus princi pijsregulari debent,quz omnia ex dicen»   dis patcbunt. 99. Quia verà fyllogifmus eft quoddam . compos;tum rationis, ideo habet fua prin» cipia conflitutiva, quz fuptduplicia, alia materialia, alia formaliz; et materialia, alia proxima, vt mropsítuone la remo tà, vt termini propobtionum,qui in quoli« bet fyllogifmo (unt tres, ex quorum cóbi nationc trcs quoque formantur propofie  ti9pcs, et idco neceffe e(t vnumquem«. bis  . TFepet,  "4 perprincipia  pétincathe   JSEEE A ás vts E AI 3   emnis homo cft fub I : 4 i  4. locumin fyllogi(mo : fecunda mimor,tertia " E  za ? Y x: .De Syllogifmo, eiu[que Figuris. E" 5 ratio eft, quia in fyllogifmo dcbct inferri duo extrema effe fimul connexa ob connexionem,quam habent cum aliquo ter tio,prius ergo debet vnum extremum có necti cum illotertio, et erit prima propo fitio,deindé debet alterum extremum cum codemtertio copulari, et erit fecüda pro pofitio,denique ipfa extrema dcbent in có clufionem inuicem conne&ti, et erir tertia ropofitio; hinc cóftat illud tertium, quod emel in vna, et femelin alia pramiffarum ponitur,vnum faccre terminum,duo autem extrema conclufionis, quz femel in pramif fis cum illo tertio, et femel in conclufione inuicem connc&untur,alios duos terminos erc; hoc totum manifeftatur exemplo, fi velimus oftendere hominem effe fubftan  tiam,excogitandum cft aliquod tertium,cü  quotüm homo, tüm fubftantia coniungan tur, quod erit v.g.animal, fi igitur fubf tiam, et femel hominem cum animali com ponis,duz propofitiones rcfultabüt, nimi  rum omne ar imal eft fubftantia, omn: s ho mo eft animal, poftremó ex his inferendo hominem, et fübitantiam €ffe (imul conne xa, tertiam conficies propofitionem, ergo itia: prima propo fitio dicitur meer, cum .n, denominatio maioris fit quzdam dignitas, optimé illi tri buitur propofitioni, qux primum obtinet «onclufio,que ponitur poft notam illationis, vnde coníequens ih plus fe habet qui con    elufio,quia omnis propofitio, quz ponitur l notam illationis, dicitur confequens ; . fed illa, quz ponitur poft notam illationis . in fyllogil mo, d:citür proprie conclufio, ex  terminis vcro ille;quibus fumitur ante con  clufionem, dicitur medswm, qui iungitur cít medio in maiori, dicitar marer extremitas, qui vero in minori, dicitur minus extremis : "Sed quamuis hic explicádi 1é,& minoré propofitioné, ac ét maloré,& minorem cxttemitatem fit Summuliftarum communis cum Petro Hifpan:tra&t.4. fuper lib.Prior. et Arift: ibidem. Owuuied. tamen €ontrou.4.Summul. pun&. 5. Poncius es  20. Log.q.,. Auerfa q.z ;.fect.7.(quem fal. Ío Ponc.in oppofitum IGHUE alij Recen tiores inquiunt non ex, eo dici propofitio nem maiorem, vel minorem, quod prius, pofteriutue proferatur y fed illam dici ma. jorem propofitionem, in qua medium eft fubic&um, et altera extremitas eft pradi  catum, et minorem é contr3, in ua medü  ^ pradicatur, et altera extremitas fubijcitur, "or " gL dus maio  71 et fic pariformiter maius extremum effe, quod in propofitione predicatur de medio, et minus extremum, quod fubijcitur, Hur tad.etiam difp.10.Log.fe&t.1 1. $. 70. aliter explicat,vt nimirum maior extremitas fit y quz continct fub fe plura, minor,quaz pare uiora. Attamen recedendum non cft à có muni, tum quiá ità fignificarunt Arift. et Petr.Hifpan cum alijs Summulift.tum quia ex ges modo dicendi fequitur in fe« cunda, et tertia figuranon poffe afhignari maiorem, vel minorem, quia medium in vna femper fubijcitur,& in alia prædicatur, quod licet gratis concedat Ouuied.hoc ta men concefli abfurditatem non tollit. AtPoncius obijcit primó Arift. qui r. Prior.cap. s. explicare volens maiorem, et minorem extremitatem ait dco asfem me jorem extremitatem in qua medium efl ( i.fub qua medium eft ) minorem voco, qua. 4 f» medio, crgo propofitioilla, in qua fubijci tur medium;eft maior propofitio,& in qua rzdicatur eft minor, hue primoloco pro« eratur,fiué nó. Deindé arguit ratione;quia ex maiori particulari nihi] infertur bzne in fecunda figura;at hoc effet falfum, fi maior eit,que primo loco ponitur, nam hic Syllo giímus optime concludit, aliquod animal eft quadrupes,nullus homo eft quadrupes; ergo aliquod animal non eft homo . Refp. ArifL.ibi,vt ex contextu patet,explicare il lis verbis,quanam fit maior, et minor ex  tremiras in prima figura przcisé, non au té in omnibus;ait enim,» prima figwra me dium voco,quod eff im alia, o alind im ipfo extremitatum yero alia efl que pf eee im quo aliud, Ad aliud, fyllogiimus ille non. concludit in fecunda f gira, nifi indirecte cum auté dicitur cx majori particulari nihil inferti in fecunda figura ; id cft intelligen dum de conclufione direéta. At inftat Pon cius ex hoc (cqui etiam in fecunda figura affignari debere modos indire&té conclu dentes quod eft falfum . Negatur falfitas, vt conftabit ex infrà dicendis cap. et n.111. Solet hic quoq. difputari, an conclufió fit de effentia fyllogiími, qua cft feré qua ftio dc nom ne,quia iuxcà varias Ayllog acceptioncs vtrumq. «fferi poteft; v dicetur difp. 11.q. 1. Breuiter tamen dicei dum conclufionem cffe de effeatia fillogif mi non minus, quam przmiffas, prout ab Arift. hic fumitur, et definitur, quia ait fil logifmum «ffe orationem ; in quatit. ijsfe  funt propofitioncs,quarum vna ex quitur, pct quoddignificat ad eurem de ; gif imi  tinfrà dicen por MTEPETIPPSCNMC US IAMENE S CCCANTONCEPP ^ Www.  72 Pars Pria Inflit. Tra&l.I1I. Cap. logifmi fpe&are tam przmiffas,quam con vlufionem,& zqué ex vtrifq. conftare nam xe vera ad firucturam fillogifticam tres re «uiruntur propofitiones . Conf. ratione, quia fillogifmus eft effntialiter confequen ti2, omnis autem confcquentia includit cí fentia'iter antecedens, et confequens,crgo conclufio,quz eft illatum, et confequens in fillogifmo eft de integritate, et comple mento ipfius. 100 Formalia item principia funt du plicia, duobus nimirum materialibus cor zefpondentia, et quidem cum forma fillo giími fit ordinatio, feu difpofitio materia €ius,illa difpofitio, qua ordinatur maxeria xemota,(cü termini,dicitur ffgwra, et illa, 2 ordinatur materia proxima, .f. prope» . tioncs, dicitur Medus ; figuraigitur, qus eft forma materiz remotz, ef «pt di/pofi gio teyminarà fecudsi (ubieclioné, predica fticnc. Mod? qui eft forma materiz,pxime, efh apta d ifyofitio propo[itionsi im dcbita quan ditate, Cv qualitate, debita quantitas eft, vt non omnes przmiffz sint negatiuz fed ali qua sit afrmatiua; debita qualitas eft, vt mon omnes sint particulares, fed aliqua sit vwniucrfalis. Et quia recta combinatio me«  . dij cum extremitatibus, in qua consiftitió figurz, eft criplex, triplex ét datur figura, mà ve! mediü fubijciturin vna,& predicatur inalia,& sic habetur prima figura; vel pre dicatur in vtraque, et sic habetur fecunda; velin vtraque fubijcitur,& sic habetur ter tia; quod eo carmine oftendi folet . $sb, pra, prima: fecunda bis gra: tertia, bis fub.   Quaresan admittenda sit quarta figura, € tribui folet Galeno, et Auicennz? Mc« ici eam admittunt, et quidam alij etiam €x noftratibus, vt Tat. 1. Priorum q. de fi 45 fyllogifmorum $. dwUratur primo, Roccus lib.2. c 16. vbi proindé recenfent modos quartz figure, et Camerar. q. 15. Log. Ratio fundamentalis huius opinio nis, ommitlis alijs minoris momenti, eft, quod tor funt figurz, quot funt difpositio nes medij termini cum extrenus, fed datur quarta difpositio mcdij cum extregis, er &c. probatur minor, quia poteft ità di pont, vt predicetur in maiori, et fübijcia tur in minori, vt patet fic arguendo,oimnis homo eft anima!, omg animal cft (u^flan tia, erz0 omn's homo eft fubftantia, quz eft forma arguendi valdé familiaris, qua ra tione conuictus Blzuc. lib.z.fc&. 7. quartá figuram cum Medicis libenter amplectitur, .trium terminorum fic fe habentium, d Verüm peripathetica fchola numquá hác uartam admifit figuram, vt à prima ef entialiter condiftinctam, et eft manifefta Arift. fententia, qui 1, Priorum c. z. con cludit neceffe effe feri omnem fyllogifmü per tres przdi&as figuras,& fequugturom nes Scotus 1. Prior q.34. Auerr. r.Priorum c. 8. Zab.liB.de 4. figura, Conimb.& Com plut. Fuentes,Cafilus,Poncius,Morifanus, Hurtad. Auerí2, Amicus ; et paffim alij Re centiores; et quamuis varijs modis, et qui dem vt plurimum inutilibus, vt oftendit Auería q.2 $.fet.2. reijci foleat ab Aucto ribus citatis, nempe quia inferat condlu fionem innaturalem, et indirectam; aut : przdicationem eiufdem de feipfo;ratio ta : men à priori eft illa, quam Scot. cit.affi " gnàát, et ex ipfo Arift.deducitur,quianimirum difpofitio medij nonpotefteffentiali ter diuerfificari, nifi illis cribus modis re e latis, quod .f. vel in premiffarü yna fubij m" ciatur, et in altera przdicetur, vel iavtrde  D. ue predicetur, vcl demum in vtraqué   füblyciatur,ergocum in quarta figura à   Medicis affignata habeat medium primam difpofitionem,plané non crit à prima figue ( racondilmóta, quz in eo pracisé effentia liter confittit, vt habeat mediü in yna pro pofitione fubie&um,inaltera predicatü, Refp.Tatar. quod prima figura poteft capi  dupliciter, largé nimirum, vt eft difpofiti medium fubijcitur in vna przmi ra dicaturin alia,fiué hoc fit in maiore in minore ; et fic concedit quartam fig 2 non effe à prima condiftinctam 5 alio modo. capitur fpecialiter, vt eft difpofitio trium terminorum ficfe habentium, quod media  fubijcitur in maiori, et pradicaturin mie     nori, et fic cffe condiflin&tam . E erp Hac folutio nulla cft, quamuis.n.verum. .  fit medium in prima figura, itàcommuni  ter difponi,quod fit fübie&tum maioris, et  przdicatum minoris,idtamen non efhci  tur, vt in prima figura (yllogifmus fiat, fed potius regulariter, vt directé concludat, uià non minus in prima figura foret, fita. ifponeretur,vt medium effec pradicatum maioris, et fubiectum minoris, hoc.n prz cise primam conftituit figuram, quod me dium in vna fit fubie&tum,in altera prxdicatum, qualifcum que hac fucrit, hocfi: quidem penitus accidentarium eft aBpri  ma figurz conflitetionem: Et quod diuere fitas difpofitienis medij, quod inmaieri   Íubijciatur, et in minor przdiccuir « acre cone / ^ Ev 4. v qus). 4»   wnitertioysut eadem inter fe;  De principis vegulatiais fyllorifi 75 eontra, non variet primam figurám effen tialiter patet ex Arift. loc.cit.qui (zpé trà e pramiffas, vt magis fyllogifmus có tur primz regule antepredicamen tali, vbi tamen nulla ratione dicendus eft voluiffc re exempla quarta fimurz, quam rpíe nunquam agnouit ; ergo fignum eft talem variationem düpoltionis nedij effe prorfus accidentariam, nec fufficere adconftituendam figuram aliquam à pri ma effentialiter diuerfam. " Ex hoc patetrefponfio ad fundamentum oppofitz fententiz, et quecunque in op E tum obijci folent, quamuis .n. poffint eri, quattuor combinationes med:] cum extremis, illt tamen duz, qua medium íu bijcitur in maiori, et przdicatur in mino ri, auté contra, non funt effentialiter di ueríz,immo quia hec combinatio,qua me dium pradicatur in maiori, et fubijcitur in minori, facit fillogi(mum concludere in dire&é, vt patet in exémplo ab Aduerfa rijs allato, vbi minor extremitas przdica  turde maiori in conclufione; quod cft có cludere indirecte,vt poftea dicemus, debc ret: figura f fi daretur) ad primá re duci; ficuc fillogifmi concludentes indire  &é reducuntur ad dire&tos ; maneat ergo quartam figuram non dari, aut non effe à 7 prima efsentialiter diuerfam, et fillogifmü ma figura, quia habet medium fu m in vna et przdicatum in alia, ctfi non ità difpoficum, vt t» conclüdere dircéte ;  poteft tamen facili negotio jta difponi tvafpenendo pramiffas abíqs vlla penitus alia mutaticne dicendo,"Omne animal eft fubftantia, emnis homo eft animal, ergo omnis homo ft fubftantia, De frinciphs reguletiuss 'yllotifmi . 301 "A, T Omine principi regulatiuilfyllo N Gifini inécilg anas gei à «ua fyllogifmus habet fuam certituding, K cuidentiam ad concludendum ; funt aute principia huiufmodi; Primum eft gene ralifimum pro trosungue fylogifmo,etia expofitorio, caius medium eft terminus  fingularis, cft antem tale, Qua fmnteadem jy. ; quorum ynii   efh idem, cum tertio,eum quoalterum num eft sdem non po[[unt ejfe cadem inter fé quoad ab Adueríarijs allatum re veræfse in pri $ (0. primam partem valet pro r dis affr : . mutiuis,quoad valet pro ncgan . dici de nullo; quoad primam partem valet uis, et hoc principium eft tantz efficacita tis í vt m ipfo fundetur vniuerfa ftructura fyl'ogiftica,vt teftatur Do&tor p. d. 1. q.7. Li.in folut. ad 1.princ. pro 4. q. et declara tur fic ; propofita quaítione v.g. an anima fit immortalis, ad cognofcendum num hi termini fint cónex:;aduertendum eft, quas habeat anima proptietates, et pradicata intrinfeca, et reperto animam ctfe incor poream, ruríus eft inquirendum, an incor' poreum connexionem habeat cum inimor tali; et reperto ità cffe,tunc re&té poffimus inferre ex hoc ; quod illi termini funt. curn hoc tertio f. incorporco coniuncti, cffe etiam inter fe coniunctos;Quod fi é contra reperiatur incorporeum cum immortalt non poffe connecti, tunc negatiué conclu deidom effet nec animam cum immortali cffe connexam,quia incorporeum, quod fupponitur cum anima effe coniun&tum,nó coniungitur cum immortali ; atque ità ex hoc patet, quomodo ex connexione extre. mitatum cum medio infertur propofitio firmatiua, in qua extremitates vniuatur in ter fe, et quomodo ex affirmatione vnius extremitatis cum medio, et negatione al : terius infertur conclufto negatiua, inqua vna extremitas negatur de alia. Et quamuis' hoc principium fit omnibus fyllogiimis co mune;eius tamcg vis im expofitorjo luculc : tins apparet, quia tertium illud, .f. termi  nus, quieft medium eft magis vnum, cum fit terminus fingularis, in diis ero coni munis, et ideb hec genus fyllogifmorum eft omnium perfpicuiffimum, vt pote,quod' ' eft alienum àmultiplicitate præceptorum de diftributione,& fuppofitione medij, cü fit fingulare; vt patet in he niscft Deus, Chriftus eft Filius Virginis ; ergo eft Deus,vtinfra magis conftabit. Alterum principium eft,.Djci de omn; d$ pro zegulandis aftirmatiuis, quoad f. pro negatiuis: dici de omni cft, quicquid  viu ter. dicitur de fubie&to abfolute» fupponente dici ctiam de quocunque coa : tento fub illo,. vt fi omne animal eft füb b crgo et homo, qui fatiebaiqE. fubilantia. Sic dici de nullo eft, quicquid  vniuerfaliternegatur de fübiecto, negari etiarn de quocunque contento vf nullum anima! eft iapi di intense ftat (ub animali,criclapis, loc autem cipiumnon eft ità vntuerfale »' quia non deferuit ad fyllogi " torjum, vt notat Tat. 7. sum cial rn oc : Filius Virgi pergeoer?ó. movet 74 et 5. fed tantum ad illum,cuius mediü eft terminus comm unis,cui termino dumtaxat applicari poffunt figna vniuerfalia emis e aullur hoc principium conftrucntia, vt il lum diftribuant pro fuis inferioribus; Et quamuis paffim per hoc principium dican iur przcipué regulari modi perfecti prima figurz, non propterea negari debet ctiam ccctcros rcgulari,per illud .n. tantum nfi nuare volunt folos modos perfeétos prima figurz immediate regulari per ipfum,ad huc tamen, et alij poffunt mediaté regula ri,quatcnus omnes ad perfc&tos poffunt reduci,vt poftea dicemus, Aducrtendü au tem hic d hoc fccundum principium re gulatitum à primo dcpendere,quod vniuer falius eft, et ab eo vim regulandi defuere, vt difcurrenti patebit, immó notant Com plut.lib. s.c. 4. hoc fecundum principium à primo non differrc, vifi penes hoc, quod primum fumitur in ordine ad cff iftud ve roin ordine ad pradacari ; et quidem vnum affirmari de alio fundatur fupra identitate 3llorum;,ficut vnum negatur de alio ob co yum diuerfitatem et idco liquido patet hoc. fecundum principium vim fuam à primo ac cipere Conf.ideó .n. ex hoc, quod omnis homo currit per d;ci de emn!, rité conclu ditur. quod Petrus currit, quia tupponitur probatum Pctrum efsc hondæm.s confe quenter coniungitur cum hogiine Petrus, et curfus; et idem cernitur ctiam in altero.  tas reas ipfarum interfe; nó quidem reas; iedior tmn ds i Aun ad^ yllo principio dieidé mulio. x  1o Verunn.vcro quen hzc doctri nà fit ci uni Summul;Rarum calculo. pro bata nihilominus Mol.p.p.q.2 s. art.. difp 2. Vafq.p.p d.123 pricipii iilud primü, $u« Tore yi tertio.Cre, tàquá uiro ü re Ípuunt,& non vninerfaliter vcrum nifi re ucatut ad dicium de omni,& de nullo, fc. «itur Cafilius lib.3 tract.a. c.2. Fandamé tum corum vnicum «ft,quod talc principiü in divinis claudicare vidctur, quia cx idcn 1itate resli diuinarum perfcnarum cum di uina effcptia non poteft inferri realis iden tits earum inter fe ideo hic fyllogifmus nun valet; cff.ncia diuina cft Pater filius eft hec «(fentia diuina,ergo filius eft Pater; Vn dé vt hic, et fimiles Íyllogifini cxpofitori) in diuinis riteforn:éur,vt notat Scot.1 Prior. 4.7 .& oncl.4.pcr diétüm de oi,& dictüde nul Jo regulari debent, ità quod medius termi. 1 nus fi fingularis diftibuatur hoc modo, Quicquid cft cffentia diuina cfl Vat r, filius elt «(l«ntia diuinz, «rgo Xc. nám tà confc quentia tenet fcd maior cft (21125 Cum cr  Pars "Prima Inflit, Tract. HT.Cap T. o primum illud principium s we /snteas lem vni tertio, rc.non teneat in diuinisni fi cum inultis limitationibus, quz tandem £iciunt illud recidere in aliud. principium, didum de ómni, X cumé contra fecundum, quocp aptum fit regulare etiam £yl» ogifmos expofitorios in diuinis, vt patet; in  xemplo allato, concludunt Vafquez, &, Molina,Dictum de omni, et dictum de nul»  lo, effe vnicum principium regulatiuum: omnium fyllogismorü. Addit Cafil.princi pium illud $4 funt eadem vmi, crc. poni ab Arilt.7.Top.c.i.non autem t. Pnorum: 5; vbierat locus agendi de principijs regulæ tiuis fyllogifmorum; fed ibi cátum affignafs fc principium Dic; de omm, 6c. ergo hoc, tantum €fit abfolute principium. regulati«: unm fyllogifmorum . T Sed fruftra laborant, nam veritas illius. principij eft vniuerfaliffima, et etiam valet. in diuinis, et qnamuis D.Th.p.p.q.2 4.art.3«; et Thomiftz cum ipfo aliquas atferant li mitationes,vtetiamindiuinisverumfit ; Scotustamencit p.d. .q.7. profertillud,; vtabíoluté verum, itaquod femperygum,   hal " eft,qux funteadem vnitertio,effe quoque inter fe eademilla tal; identitate, nontamé,   maiori,quia non poteft cócludialiqua idé»  2i titas extremorum inter fe, mifi fea M RA P. illamidentitatem, qua funtcadem medio,   &ficjinquitDodtor,exidehtitaterealiper  fonarum in effentia inferri poteft identie, ?h identitate cum effentia funt idem; fyllogif;  X mus autem allatus, et fimiles,indiumis non;  tenent,quiaafferuntur,vtexpofitorijicum  tamen re ycra tales non fint, fed foplu/nte ga ta,vt Doctornotatibidem,& fequitur Amas   jii p.difp.io2 c.1.ratio cft,quiamedium. in fillogilmo expofitorio ita dcbet cff« fin ulare,vt fit fioc aliquid, et incommunicæ ble vt quod, qualis non cft effentia diuino, et ideo ipfa non etl fuficieas mediugr pro. ^  fillogilmo cipoivonio, et quando etiam illi, fillogifmi effent expofitorj, prorfusfalsb . eft polle regulari perdidum de omm, S. dictum de nullo, quicquid dicat Poncidls ] difp.:o.Log 4. vlr.quia hoc princip o folum regblantur difcuríus, qui procedunt ex vi slicu:us ternini difl ributisrepngnat autem prorfus tcimino fingulari,quf cftmedium in expofitorio;difiribui;cum infzriora non habcat,diftribui nomqifeu accipidifiribtt  tiué cfl idcm, acíupponere pro füigilis fpisinfcrioribus;:N.cScomuscit.Trimü,  q.7 1 EM CN f^ ' 16. Arriaga difp.s.fumm. fect.4.& De prindipijs rtgulatiuis $yllogifmi 3. facit at&oritatem,fe ftandum eft do ring quam habet in lib.fent. Ari(t. autem t.Priorum folum fecüdi prineipij exprefsé meminit, quia ibi folum loquitur de fyllo gifmo, sind fumitur terminus có munis,vt poté qui magisinferuit ad cogni tionemfcientificam comparandam. ' Quamuisergo magma fic necefficas fecü di principi nam illo deficiente deftrærc tur defceníus ab vniuerfali ad particularia, uia virtute huius princípij tenet talis de cenfus,omnis homo e(t animal, ergo Pe trus eft animal, et Paulus eft animal ; immó negato hoc principio duz contradictoriz ent fimul verz, nà ci veritate iftius vni uerfalis, oishomo eft animal,ftaret veritas huius particularis,aliquis homo aon cft ani mal,quz illi contradicit. Nihilominus faté da etiam eft neceffitas illius principij Se fint eadem,&rc. et dependentia huius fecü di ab illo, nà ex co przdicatum de quibus uis fulveo contentis przdicatur, quia ipfis aliquo modo identificatar, vt difp. de vni. werídicemus;ergo dici de omni neceffario c (upponit identitatem fubie&orum in prz dicato,& dici de nullo feparationem, quod bené demonftrant Hurt. di Pæog. lcd. alij Do &orem noftrum fecuti, et nuper Ouuied. controu. 4.fummul.punc.1.Regula generales t fpeciales cuiufcunque f  gura«[Bgmantur. 103 T2Xprincipijs regulatiuis syllogifmi c.przced.declaratis quinque dedi  «untur regulz omnibus tribus figuris com   4 munes.Prima eft,qp ex gwrsr megatimis nibil fequitur,vndé hzc coníequentia non valet, Nullus homo e ft irrationalis, nullus equus eit homo, ergo nullus equus eft irrationa lis,ratio huius eft, quia non poteft conclu a ;€o quod medius terminus qui eft tota ratio coniungendi,cum neutro extremo eft coniunctus, nec etiam negati ué,quia ad hoc,vt vnum extremum non iü cum alio medium, debet idem £nedium cum alterutro extremo effe con junctum ;nam fi vnum extremum ab altero difiungiturpropter medium, debct hoc oriri ex co quod difiungatur à medio, cum coniungitur aliud extremum, et ita ip extrema erunt inuicem difiuncla; fi au tem medium cumnullo extremo iungatur,, moncritratio neque coniungendi, nequc feparandi ipía extrema, vnde patet hanc re« gulam fundariin primo principio rezula tiuo, Aduercendum tamen eft przmiffis in. terdum videri affirmatiuas, cum tamen re verà occultam contineant pegationem, et ideo aon concludunt, vt in hoc fyllogif mo,omnis homo differt ab angelo, omnis fpiritualis fubftantia differt ab homine, er go omnis fpiritualis fabítintia differt ab Ángelojomnes hz pre.niffe (uat negatiug, quia ditfzrre eft idé,ac vnu n no ef: aliud,. et ità (c habét omæs propofitiones;in qui bus elt relatiuumr diuerfitatis . Sed obijcies, hac confequentia eft bonz,. quodnon mouctur,non currit, Sortesnom moxetur, ergonon currit, et camen eft ex risnégatiuis.Refp.nos hic tradere regu $ de fyllogifmo cathegorico, allatus aut& eft hypotheticus, nam illa maior huic con ditionali zquiualet, fi non mouetur, nom currit, et przterea fundatur in hac, affirma tiu3,0mne currens mouetur.Dices, hic eff cathegoricus, Omne,quod non elt animal 4 non eft homo,lapis non eft animal, ergola pis noneft homo, et tamen con(equentia tenet ex puris negatiuis.Refp.maiorem ef fe vniuerfalem affirmatiuam, nam zquiu2« let illi omiac non animal eft non homo,id que patet ex regulis cóuerfionis, nam vni uerfalis affirmatiua conuertitur per contra pofitionem infinitatis terminis, ac etiá, etft. raro fubie&to infinitato, et hegata copula, vndé hzc propofitio,omnis homo eft ani mal, fic conuertitur, onifíe non animal eft non homo, velfic, omne non animal noi elt homo,vi4e Cafil.lib.s.tra&.z. cap.6.. 104. Secunda Regula eft, quod ex puris particularibus nihil fequitur ratione for» mz non.n.valet,aliqued animal eft homo, aliquis equus eft animal,erzo aliquis equus efthomó, et fi interdum fequatur ratione matériz, vt Miquos animal eft fubftantia y aliqüis homo eft animal, ergo aliquis ho mo efl fubítantia . Ratio huius regulz eft, quia in propofitionibus particularibus medius terminusnon complete diftribui tur, .i. nonaccipitur fecundum totam stiá latitudinem,& vniuerfalitatem, fed folum 1nadzquaté, i.fecundum partem;hinc fit,vt ex»vt connexionis cum medio noa fequa tur ioter duo extrema connexio, quia ex his extremis potefl in. maiori cum hoc medio councéti fecundum vnam partem, &alterümextremum in minori c  cum codem medio fecundum alteram par^ tem, vt patet in allato exemplo, in quo li« Ka ce we ua 36 €et homo, et equus connectantur cum ani mali,non tamen fequitur connecti inter fe, quia animal nó diftribuitur complete, hiac exttatillud preceptum, quod med:um in aliqua faltim przmiffarum debet dittri»ui, vt fic perfecte poffit con ungi, vel difiuagi ab extremitatibus, alias non regularetur fyllogifmus per dicideomm, vel dici de nullo, in quo principio hzc regula funda tur ; aduerte tamen,quod quando medium eft (ingulare, vt in expofitorio fyllogifmo tunc re&té cócluditur,quia fumitur in vtra que przmiffa fecundum fe totum. Scd obijcies,hzc eft bona confequentia, fi aliquis homo currit,aliquod animal mo uetur,fed aliquishomo currit, ergo aligp animal mouetur, et tame elt ex puris pen cularibus.Refp.hunc fyllogifmü effz hy thetict& praterea maiore effe vniuerfalé implicite,& zquiualet huic, quotiefcunque aliquis homo currit, aliquod animal mo uetur,nam ly aliqui: bom (ubiectumin ma fori, an; pliatur, et fit terminus vniuerfalis r illam conditionalem //, quz zquiualet ni qoot cunque aliquis homo currit, &c. Dices;hic eft cathegoricus, quod lucet vi dco, Sol Licet,ergo Solem video, et tame eft confequentia bona ex puris particularibus, Refp.maiorem poffe fumi vniuerfaliter,vel particulariter, primo modo zquiualet illi, omnne,quod licet, video, et cofequentia eft bona,fecubdo modo zquiualet illialiquod, uod lucet, video, et tuac confequentia non eft bona, quia poteft lucere cla, quam pmonvides. Tertia Regulæft, quod conclufio fequitur femper debiliorem partem,quare fi vna przmiffa erit particularis, vel nega tiuz, etiamfi altera fit afirmatiua, vel vni nerí(lis,conclufio erit particularis, vel æ tiua, quia negatiua eft ignobilior affirma u1,& particularis vniuerfali . Ratio huius regula eft, quia fi vna prxmiffarum cft af firmatiua, alteranegatiua, tunc ypum ex. tremum coniungitur cum medio, et alterü ab codem medio feparatur in premmiffis ; p autem aliqua duo ità fc ha t,vt vnum conne&tatur cum aliquo ter tio, et alterum ab ecdem tertio feparetur, non poterunt non effe inuicem feparata, ex b .n, quod Petrus efthomo, et equus non homo, non poteft inferri nifi Petrü non . eff: equum. Idem dicendum,fi vna przmif farum fit particularis; quia ctiam(i in pro pofitione vniueríali vnum extremum vnia furi fecundum fc totum, ia par Nt DM Pars Prima Inflit. Tra£l.1IT. Cap./T1 ] ticalari, tamen alteram extréfum vnitur cum illo tertio folum fecundum partem, 8e ide3 aon poteft infzrri e£: inuicem coane xa extrema, ni(i fecundum parce, vt om nis iuftas eit anandus, fed aliquis hom» ei iuítus, ergo aliquis homo eítamandas, non potett iaterri,omnis homo eft amans dus ob rationem allatam ; ex quo patet hác regalam fundari in primo principio regue latiuo;quia extrema in cóclufione nequzüt habere iater. fe maiorem coanexioæm,quá habuerint ia pr emiffis cum medio. $:dooijæs, fyllozifm1m Arift.z. Cose. li c4. O næs (telle, qua non fcintillaat, süt propé nos, Planet aon (cinrillant,ergo pla netz (unt prop? nos, minor clt nega: iua. Sc tamen coacluto eft afirmariua . Rurfus ex regulis boaz coafequentiz traditisc 2. ex falfo fequitur verum, vt pes fic arguens do,omats equus eít animal, omnis homo eft equas,ergo omais homo eft animal, ergo noa femper fequitur coaclufio debiliorem Cum plares caufz cócure partem . Demum, et vaa eft per^ runt ad eundem ed &aum, fc&ior altera,efz&is affimilatar perfe»  &ori, et fuperiori, vc patet de duobus idé on Jus trabentibus, quorum vnus eft po»  teatior altero,nam tractio ponderis fequie tur virtutem potentioris,erzo &c. R Ad m. minorem illius fyllog.(mi effe" affirmatiuam de przdicato infiaito, ac fi diceret, plane» tz funt ftella no (cintilantes, vt patet ex di &is c.3huius trat. de infinitatione verbi. AÀ2. cum Sammuliftz dicant co nclufionE . fequi debiliorem partem,loquuntur quoa: attributa propofitioais ad puram fxrmam  fyllogiími atcinétia, qualia (uat affirmatio, et negatio, particularitas,& vniuc alitas non autem curànt de attributis on bus materiam, qualia funt veritas, ' falfi tas, contingeatia, et dee namforma   aluitur etiam  bonz confequentiz optime falu in materia fal(a5 quidautem dicendum fit etiam de attri^utis fc tenentibus ex parte materiz, di(putant Theologiin prologo de facra doctrina, et in. materia de fide: vide Cafil.cit.fusé de hac re difzréntem, et A». mic.tradt.2 .di(p.4.. 11. Ad s. negatur fumptum,potius.n. rese contra fc habct y uod cum duz cau(x fübordinatz ad cune m concurrunt effc&um, etfe&tus formæ liter magis adimilatur inferiori, uamfu periori, vtapad omneseft in confcfo, et notat Scot.pd 3. q 7. füb A a. et patet de Sole cum caufis inorioribes concurrente; paritas dc duopus pondus  fumpta noit valet, quia iftz funt caufz per accidens fubordinatz, nam quilibet illorü oteft aliquid illius ponderis trahere, at przmifz (unt caufz per fe fubordinatz, "quarum vna nequit fine. altera ctiam mini mam conclufionisparticulam caufare . 106 Quarta Regula eft, quod.medium nunquam conclufionem ingreditur. Ratio eit manifeíta, tumquia quilibét terminus bis tantum ponitur in fyllogifmo, ergo cà «medium eft bis pofitum in przmiffis, iterü in conclufione poni non valebit ; tum quia fi in ea poneretur, non differret conclufio à pramiffis, contra finem fyllogifmi, qui,vtex. coniunctione, quam habent duo extrema cum medio in przmiffis, infcra tur connexio eorumdem exclufo medio . Sed obijcies, hi fyllogifmi tenent, cum tamen medium etiam in conclufione ha beant; omnis homo eft animal . fed homo eft homo,ergo homo eft animal . Item om« nis Angelus eft fpiritus, Michæl eft Ange lus, ergo aliquis fpiritus eft Angelus. Refp. in primo fyllogifmo: medium ingredi con iam Íub. ratione extremitatis,nó fub ratione medij; ia fecundo conícquentia te netex regulis conuerfionis per acc dens, nam conclufio particularis eft propofitio conuertens maioris, quz eft vniuerfalis af firmatiua, non auteni tenet ex vi formz fylogitticm.    Quinta taadem eft, quod tàm in medio, Quam 1n extremitatibus non varientur pro priefates terminorum excepta fuppofi tione, quz prouenità fignis, vndé tàm sedium ; quim extremitates non debent effe termini zquiuoci, nec in vna propo f£sionc amphari,& in alia reftringi,quia tüc retur à termino magis amplo ad cü dem minus amplum,aut é contra:nec in có: clufione diftribui debet aliquis terminus, aui nà fuerit in przmiffss di ributus ; quia tunc argueretur à non diftributo ad diítri butum : vt verbi gratia, fi diceremus, omnis 5omo efl animal, nullus leo eft ho mo,ergonullus l«o eft animal,nam animal in maiori non eft diftributum,i. vniucrfali ter fumptum,fed accipitur folum pro eo, quod elt in hominc. nam fignum vniuer(ale affirmatiuum non habet. vim diflribuendi terminos remotos,fed tantum proximos .i. fubiedtum non prædicatum, in conclufioæ veró dillribuitur;& accipitur etiam pro eo, quod eítin Jeone, nam fignum vniuerfale zegatiuum vim habet diftribuendi termi nos proximoes,& remotos; Er ratio vnius De viguli [pecialibus gy) cnn figira:  727 falis huius regula cit quia fi oppofitum il lius,quod in hac regula przcipitur,ficrcet, tunc effent in fyllogitmo quatuor termini, et dari poft antecedens verum, et coníc quens falíu,quod eft formalitimum iudi« cium malz conícquentiz. 107 Ex regulis generalibus c. praced, declaratis defuimitur pro vnaquaque figu ra fpecialis quzdam regula . Peculiaris 1ta que regula pro prima figura eft, quod ia ghacinque iyllogifmo eius direct có ente,vt confequentia fit bona, nec debe: effe particularis,nec minor negati Ratio elt, quia fi maior efft particularis s medium innulla przmiffirum. ditribuere« turcontra preceptum datum in fecunda regula generali 5 non effzt diftributum im maiori;quia effet particularis, neque in mie nori,cum,n.in ea medium przdicetur,& fit vniuerfalis affirmatiua (alioquin foret ex puris particularibus) confequenter neque in ea diftribuitur.quia vniuerfalis affirmat uanon diftribuit, vifi fübiectum, &ideó hzc confequentia non tenetjn prima figu r2,aliqua fubftantia eft angelus, omnis ho mo eíl fubftantia, ergo aliquis homo eft ane gelus . Item minor negatina cffe non de bet;quia runc ia conclufione ditribueretur aliquis terminus, quinon eff:t diftributus in przmiffis,& argueretur a non difltributo ad diftriburum contra quintam regulam ge neralem, nam maius extremum. non diftri« bueretur in maiori, quia effet vmuerfalis affirmatiua, ia qua przdicatum non diftri buitur, in conclufiorie autem diftribue retur, que effet vniuerfalis negatiua, ir hiv perfignum negatiuum diftribuitur tà ubicctum,quam przdicatü, quia negatio y vt aiunt,eft malignantis nature, X negat de fubiecto,quecüque inuenit poft fe, vt nul« lus homo eft lignum aut quidam bomo nà eft lignam, i neque hoc lignum neque illud lignumyneque iftud, et propterea vniu lis negatiua conuercitur fimpliciter., noa autem vniuerfalis atfirmatiuajhac igitur de caufa hec confequentia non tenct ia prie mà figura,omnis angelus eít(ub(tantja,nule lus homo eft angel nullus homo eft fubftantia, Aduertendum tamen, quod conclufio effet indirecta, poteft interd maior cíf particularis,& minor negatiua y quia tüc ccffant rends, vrinfra conitabit de quibufdam modis primz figus rz indirecté concludentibus einbici Bare fyllogi(mum effe bos num, et i tin prima figue .28 r3 maiori exiftente particulari, v.g. aliquod rationale difcurrit,omnis homo eft ratio 7 nalis,ergo aliquis homo difcurrit . Refp. concludere, tátum ratione materiz, nam fi cócluderet ratione formz,hoc etiam aliud argumentum valeret fub eadem forma;ali quod animal eft irrationale, omais homo eit animal,"ergo aliquis homo elt irratio nalis..   Regula pro fecunda figura eft, quod ex ris affirmatiuis nihil fequitur, vt patet ia foc fyllogifmo, omnis homo eft animal, omnis equus eft animal,ergo omnis homo eft equus : Neque ex maion particulari, vt patet in hoc alio;aliquod viués eft animal, nullus Angelus eft animal, ergo nullus Aa £gclus eft viuens . Ratio eft, quia fi ambz przmiffz effent affirmatiuz, cum in hac fi e medium fit predicatum, in neutra di ibueret contra przceptum datum, quia in propofitione vaiuerfali afirmatiua qu  ies funtillz, przdicatum numquam dillri buitur, quia cum dicitur, omnis homo eft animal, non eft fenfus, quod fit omne ani. mal, fed tantum illud animal, quod eft ad humanam pce coritra&tum;vel aliquod animal confuse. Si veró maior eft particu laris, tunc in conclufione diftribueretur ali quis terminus, qui non effet diftributus in pramiffis, nam vt patet inallato exemplo, maius extremum noa diftribuitur in ma tori, et dillribuiturin conclufione, et fic daretur antecedens verum, et coníequens Regula tad i gura et R tandem pro tertia H conclufio parzicularis eff: debet, et eid affirmatiua;Nam fi conclufio non effet par «icularis, iam aliquis terminus diftribuere tur in conclufione, qui in przmiffis di(tri butus non effet,vt patet in hoc fyjlogi(mo, omnis homo elt rifibilis, ois homo eft ani mal,ergo omne animal eft rifibile, vbiani mal diftnbuiturin conclufione, et non in premiffis . Sic etiam idem fequitur incon. ueniens,(i minor fit negatiua, vt patet hoc alio fyllogifmo, omnis homo eft animal, nullus homo eft equus, ergo aliquis equus non eft animal, vbi animal diftribu tur in conclufione virtute negatienis ante copu lam pofitz, cum tamenia maiori ditriba. tumnon fit, quia eft vniuerfalis affirmati ua, inqua przdicatum nunquam diítribui tur; et hz regulz funt valdé nocatdz, quia iuuant ad cognof(cerida vitia [yllogi(morü inutilium, ia quibus fccder innétür ali qusdefedusdillrbugonis. Inl. T afl IT. Cap.VAI. A ffignantur midi cuiufecunque fgurd cum eorum exemplis, 108 Corde modis poffunt in qualibet figura propoítiones fecundam quantitatem, et qualitatem. variari, nam fecundum quátitaté quattuor fuat cóbina tiones,poffant .n. ef: am5z przmi(fe vni uerfales, velambz particulares, vel maior vniuerfalis, et minor particularis, vel ma« ior particularis, et minor vniuerfalis; et ruríus harum fingulz poffuat fecundum qualitatem quadrupliciter di(poai in fin» gulis figuris, aut .n. funt ambz przmiffz affirmatiuz, autambz negatiuz, aut ma ^ ior affirmatiua, et minor negatiua, aut de mum maior negatiua, et minor a ua. Ceterum ex hac tota multi tudine fo lum nouemdecim moi vtiles funt ad re &é inferendum,fexad 3s. figuram  tes, quatuor ad 2.& nouem ad 1. quorum primi quatuor diredé concludunt, alij quinqueindiredé ; ille autem modusdicie  tur diredé concludere, in cuius conclufio. ne maior extremitas de minori ic tur, et é contra ille concludit indiredà, in. cuius conclufione minorextremitasprzdi. catur de maiori : porró omnes, et finguli  modi tiles cuiufcunque fizurz his verfie    bus comprehenduntur . : Barbara,Celarent, aro Ferio,Baralsptom, Celæntes, Dabitit, Fapefm2, Frife fom»romz Cefare, Camefires, Feflsno, Baroco, Dara. pui, Felapton, Difamis, Datifi, Brocarda, Feri em. Quorum fenfus difficilis non erit,fi re colantur, quz fupra diximus tra&. prz« ced. cap.s. vocalem fcilicet A vniuerfalem affirmatiuam denotare, E. vni nes gatiuam, I particularem affirmatiuam,  O particularem negatiuam 5 ille igitur dictiones fingulos iadicant modos fyllo pilipomm cuiufcunque figurz, et voca» es contentz in tribus primis fyllabis des notant tres propofitiones fyllogifmi,qua« les, et quantz effe debeant, fi quz verà aliz vocales fuperfunt in qui i &ioni ntur metri gratia . Primi duo verfus explicant nouem modos vtis les primzfigurz, quatuor primifunt di rade Auouc alij indirc&i : quatuor pri mz dictiones tertij verfus indicant qua tC Démodistiofue fps. ^ pp modi tertiz figurz . Erit igitur fyllogifmus 1 Barbera, fi medium t uio fabi jeia tàr, et in minori przdicetur, fintque tum przmiffz, càm conclufio vniuerfales afür mátiuz, vt omne animal eft fubítantia,om iíis homo eft animal, 2 omnis homo eft. fubftantia. Erit fyllogifmusin Ce/are, ac iii fecunda figura, fi in vtraq; przmiffa me dium przdicetur, et maior fit vniuerfalis negatiua, minor vniuerfalis affrmatiua, et conclufio vniuerfalis negatiua, vt nullum vitium eft amandum omnis virtus eft amá da, ergo nulla virtus eft vitium; Erit deni que fyllogifmus in Derapri, ac in tertia fi. ra, fi medium in vtraque nm fubij catur, et przmiffz ambe fint vniuerfales affirmatiuz, conclufio vero particularis af firmatiua, vt omne animal eft viuens, omne animal eft fübitantia, ergo aliqua fubftantia eft viuens ; et in tribus figuris tria protul f fc exempla in primis cuiufque modis fuffi ceret, fed ad maiorem Tyronum cómme. ditateminfingulis modis afferre exempla iuuabit;in primis itàque quatuor modis Pe 32 gd dites cóucladentibusità fyllo gizatur. Bar Omneanimal eft fubftantia ; bes Omnis homo e(t animal, r« Ergoomonis homo eft " z Ce Nullum animal eft lapis, 1« Omnis homo eft animal, rent Ergo nullus homo eft lapis  B« Omnis homo eff: rationalis, r5  Aliquod animaleft homo, . j  Ergoaliquod animal eft rationale E Te Nullus fpiritus eft corpus, rj Aliqua fubftantia eft pirkus s &»  Ergoaliqua fubftantia non eft corpus . 103 Hac allata"exeipla funt pro qua tüor modis primz figurz directé concludé tibus, vbi vt vides, primus continet tres 3 Lo. pars vniuerfales afrmatiuas ; fe s conítat maiori vniuerfali n:gatiua;., minori vniuerfali affirmatiua, et conclufio ne yniuerfali negatiua; tertius habet ma iorem vniuerfalém aflirmatiuam, minorem, et conclufionem pirticulares affirmatiuas 5  quartus denique habet maiorem vniuerfa firmatiuam, X conclufionem particularem negativam ; in alijs vero quinque modis huius prima figurz indireQé concludenti., bus ità yllogizatur, vt in fequentibus: exemplis .  1 B« Omnis fpiritus cft fubftantia, r& OmnisAngelus cil fpiritus, li Ergo aliqua fubftantia eff Angelus z Ce Nullum animal eit lapis, l«n. Omnis homo eftanimal, tet. Ergonulluslapis cfthomo, 3 D« Omnisleo eft animal, bij  Aliquod rugibile eftleo, tis Ergo aliquod animal eft rugibile . 4 F4 Omne animaleft corpus, Pf Nullum elementum cit animal, 1 m» Ergoaliquod corpui nó elt elementü. $ Fri Miu homo eft muficus, fe Nulluslapis eft homo, ; [e  Ergoaliquis muficus non eft lapis. Exemplanunc adducta funt quinque mo dorum in prima figura indirecté concluden tium, vbi vt vides, primus conftat ex majo  ri, et minori vniuerfali;2ffirmatiua,conclu fione veró particulari affirmatiua ; fecundus. conftat maiori vniuerfali negante, minori vriuerfali affrmante, et conclufionem vni : uerfalem negantemzcolligit ; tertius conti« net maiorem vniuerfalem affirmatiuam,mi^ norem particularem affirmatiuam, et fimi lem omninó conclufionem deducit;quartus habet maiorem vniuerfalem affirmantem, minorem vriuerfalem negantem, et conclu fionem particularem negantem ; quintus tandem conftat maiori particulari afhrmatie  ua, et minori vniuerfali negatiua, et colli  git concluftonem particularem negatiuam. Modi fccundz figurz funt quatuor fe uentes,qui tantüm vtiles (unt ad colligen dis conclufiones ncgatiuas, et in eis iti] fy. Togizatur . 1 Ce Nullumligoum eftanimal [4^ Omnis homo eft animal,   re Ergo nullus homo cftlignum KuND C4 Omnishomoeft animal,. »ef Nullum lignum cft animal, tres. Ergo nullucitignum eft homo; 3  Fe: Nullum ligaumn cft animal "ex fi  Mhquishomo cft animal má Ergoaliquis homo pon cft lignum  3 rwn Wu CC MSRP P E ^. lemnegatiuam, minorcm particularem af U ' : B4   Mo C A v é MA  S. A $0 Omnis homo eft animal Aliquodlignumnoneftanimaf, Ergo aliquod lignum non eft homo. £xempla nunc adduéia funt modorum fecundz fieurg, vbi vt vides, primus cone ftat ex maiori vniuerfali negante, et mino xi vniuerfali affirmante, et conclufione vni ucríali negante ; fecundus habet maiorem vniuerfalem zfirmatiuam,minorem vniuer falem ncgatiuam, et fimilem prorfus con clufionems tertius continet maiorem vni uerfalem negatiuam, minorem particula rem affrmatiuam, et colligit conclufionem particularem negatinam ; s denique conftat maiori vniuerfali afirmatiua,mino ri particulari negatiua, et fimili prorfus. conclufione . Moditertiz figurz (unt fex fequentes, qui omnes 'tantüm vtiles funt ad elicien am conclufionem particularem, ac ih eis ità fyllogizatur . Li Omne animal fentit; . Omne animal eftcorpus;   Ergo aliquod corpus fentit; D« v4 pn " F e 6p gon "Di fs mi É Nulla planta cft fenfitiuay Omnis planta eft corpus, Érgo aliquod corpusnon eft fenfitiuü, 3 Aliquod animal eft homo, Omne anímal eft fubftantia,. Ergo aliqua fubftantia efthomo  Pea: J JD« Omne animal eft fubftantia 125  Aliquodanimal eft viuens, Jf ^ E:go aliquod viueas eft fubftantia. ^ 9v s Aliqua plantanon eft lapis, Omnis planta eft viuens,  Ergo aligjtos yiuens non eft lapis Bro ear do 6 Te. Nullum inima! c(Mapis,  i . Miquodanimaltft corpus, fin 'Érgo aliqdod corpnsnon cftlapis.  Hzc modó ad funt exempla, vt di €ebamus tnodórüm tertix &gurz,vbi vt vi des, prinfüs conftat ex maiori, et minori v niue;fali affirmante,& concluftoné particu lari affirmante 5 fecundus cofif'at ex maiore vninerfali negatiua,zhinore vniucríali afr matiua;& colligit conclufionem particula yem negantensstertius habet maiprem paz tícularem affirmatiuam, et minoré vniucr em a f firmatiam ; ex quibus colligit có maiorem particularem, et qui Pars Prima Inffit. Tract. III, Cap.V11r. clufionem particularem affirmatiuá ; quar, tus gaudet maiori vniuerfali affirmante, minori particulari affirmante;& fimili pror. fusconclufione;quintus contiæt maiorem. particularem negantem minorem vniuer falem affirmantem, et conclufionem parti cularem negantem. Sextus denique conftat maiori vniuerfali negante, minori particulari affirmante, et deducit conclufionem particularem negantem : Hos autem omries. trium figurarum modos effe legitimos ex. €o conítat,quod i ijs nunquam dari poteft. antecedens verum, quin etiam confequens: verum effe deprehendatur ex vi anteeeden.. tis: qued fi detur aliquis argumentan modus, in quo ex antecedente vero fequæ turaliquid falfum, noneritlegitimus.   '' 110 Sufficientia veró horum modorum: in ftmt figura facile deducitur ex re. ga 1s earum affignatis tàm gencre ous,tüm   pecialibus, nam in prima figura ex. fexde« cim cogibinationibus reijci debent omnes. quatuor purz negatiuz, et omnes quatuor" purz particulares ex duabus primisregulis generalibus,& ex peculiari gurz rejjcidebent omnesmodi,qui habent   noremncgatiuam,.vndé quatuor modi taxat remanent legitim: in prima figura di redté cencludentes ; quia veró diximus re gulam fpecialem prine Gigure folum r. uie " riad concludendum direct2, idcirco adhuc. in ea poffunt admitti alij modi indire&é e. cludentes, in quibus etiam interdum poffit. maior effe particularis; aut minor negati u2, vt patet inFapefmo, € Frifcfomorum,  Sic etiam in fecunda figura ex duabus pri mis regulis generalibus excluduntur octo combinationes, .f..ex puris nezatiuis, et puris particularibus ; et ex peculiari eiufdé regula exchiditur combinatie €x vtraque prami(fa affivmatiua, vel ex majore parti culari, et vtraque ifta combinatio poteft bis fieri, .f. vtraque affirmatiua cá maiore par ticulari, et minore vniuerfali ; vel é contra,  et vtraque maior particularis exiftente pri. mapramiffa affirmatiua, et fecunda ncga tina, ve[ é coatra, vndé remanent tantum. quatnor modi vules fecundz figura. Sic denique in tertia figura ex us allatis regulis generalibus o&to excluduntur come binationes etiam ab alijs figuris exclufa : et ex fpecialiregula eiufdem, quod minoti exiftente negatiua nibil conclud'tur fiue maior fit particularis,& minor vniuerfilis fiuc € conu, et fic c. i  come   prümgü. ^ habent mie   AU y E. tur alim dum   et ^ mnznnmdb s SRM $1 voc Demodiscuinfque fegura combinationes, vnde fex tantum rémanent modi in tertia figura,ex quo tandem fequi tur modos vtiles fyllogizandi effe nouem  decim,cateros vero inutiles,& vitiofos,co rima eis aliquis dcfe diftributionis ; de hac fufficientia vide Scot.1. Priorum q. 22.23. et 24. Contra fuficientiam modorum primz figurz obijcies, Primó quod fint plures af tis, tum quia poffunt in ca dari alij : modi direc? concludentes;v.g. Barbari, et Celabo, quorum primus ex przmifüis vni verfalibus affirmatinis concludit particula larem affirmatiuam, alter veró ex maiori vniuerfali negatiua;& minori vniuerfali af firmatiua concludit particularem negatiuá: Tum quia cum quarta fi ex dicis non fit diftin&raà prima., eius modi, qui funt Y. Bamana,Camene,;DDimari; Fimeto, ad ipfam  pertinebunt,cum bené concludant, Deinde vrgcbis ex alia parte, quod fint pauciores ; or Arift. 1.Priorum c. 5. folum duos mo s indirc&tos enumerat in prima figura,  Refp.adprimam duas illas combinatio nes contineri in Barbara, et Celarent, quia fub vniuerfali particularis contin etur: hinc 14 m nec Petr. Hilp.horum meminiffe. modorü, quia Arift. ait, quod omnis fyllogifmus, qui poteft inferre. conclufionem vniuerfalem., poteft etiam in i riub alternationem iflius ad. illam . d AR Od monet Scot.r. Priorum q. 22. diuer firatem modorum attendendam effe penes p premiffasnon autem penes conclufionem, vt patet. ex multitudine combinationum allata. Modi autem proquarta figura in uenti nen differunt à modis prima, nifi ex fola tranfpofitione premi me sréiticoMi, ix dues talis Stanfpoliio non diuerfificat c iter quartam ngu. ram a»prima ex ditis t.e DÀ nds i .. Égura variabit cffentialiter modos . Ad  : fieoskerm parte Tatar. 1, Prierum q fe  o  Ta ME » LJ pfig.art.1.6. primo fcsendum.,quem Conimb.ibi c.7:q.3. art; 1. inquit Arift.enumeraffe tantum modos, qui dif ad untur à directé concludentibus non fo m in conclufione, fed etiam ex parte pez miffarum,quales funt tantum illi duo; alios tres non enumcrat,quia non multum dif ferünt rw, cum illis fint áamiles in miffis . a .. Deindé contra fufficientiam modorum fecunda, et certig figura obijeics,quod.in es »6 ux S notat Sotus lib. s.c.4 lec.vn.not.s:nec Arif.  : ipfis poffunt affignari modi indire&é con Cludentes non minus; in prima, ergo. funt multó plures enumeratis; probatur af fumptum, tum quia nedum Scotus cit. et cüeteri communiter ità docent, fed ctiam elt expreffa Arift. doctrina 1. Priorum c. 8, ibi n. loquens de duobus modis primz fi, gurz indirecté concludentibus Eapcfmo, et Frifefom,fubiungit fieri poffe confimili ter, et in alij5 figuris, hoc eft poffe pariter in illis indire&écóncludi, vt ibi Aucrrocs exponit; tum quia ipfa experientia vrget, vt Doctor oftendit loc. cit. nam 1n Cefare et Cameftres in fecunda figura, Darapti, Difamis, et Datifiin tertia cum eadem di Ípofitione, et ordine przmiflarum poteft conuerti conclufio, et à conuería ad cou uertentem eít bona coníequentia, in tali autem caíu minus extremum pradicatur de maiori, quod eft concludere indirc&té; Cocteri ctiàm modi earundem figurarum, .fFeftiuo,& Barocco in. fecunda, Felapton, Brocardo, Ferifon in tertia poffunt indire. && concludere per tranfpofitionem prz miffarum; traa(pofitis.n. przmiffis.conclu fio, quz prius erat diretta, ficindirecta, Xc. e Refpondent aliqui, quibus confentire videntur Fonfec. lib.6. Inft. cap. 13. et Co nimb. t. Priorum c.7.q. 3. Poncius difp. 20, Log. q.5. n.$5. negando affumptum ; quia Bis indie etenocudineumy radicatur minus extremum de maiori, fcd id. contin ere nequit in fecunda, et tertia figura, in is:n figuris defignari nequit maius, et minus extremum ex coniunctione cum me dio in przmiffis, fed tantum in cenclufione ex coniunctione ipforum adinuicem, quia jn illisvtrumq; fubijcitur in fecueda fgu 1 ga,vtrumq. pradicatur in.t siu ego uris, in erit maius cxcremum jin his fig «onclufione pradicat inus, quod in ead. m fubijcitur ;quareimplicabit in adie &o;dicere poffe n his figuris minus extre müm przdicari,& maius fubijci; Confirmát Ad ex Arift. qui 1, Priorum c. 6. hoc pacte videtur in his figuris maius,, et minus ex eremum defigr fodumak is extremi. in fecunda gura effe, quod eft magis pro pinquum medio, minus, quod cft m " s. di ro motum,.& é eontra sesedqe .€,j maius extremam effe, quod Jongi ftat à medio, minus, quod cft m. Ü inquius.Con rmant tandem,lga eioxrue fSu non hab dielioncs i modos indire pier Op 05; indicantes modos. T 4 v4 ": ", [DN X ^v. $22 Pars "Prima Toftit. Tra. TIT. Cap.VIIT. &tos, ficut in prima, fignum euidens non   fiogis fimplicis.Si vero concludatur iadire" dari incis modos 1ndire&é concludeptes, été per tranfpofitionem pramiffarum, vt ficüt in illa . in cateris modis fecundz,& tertiz figure» 111 Oppofitü tamen verius eft,vtoften adhuc modu$ indircctus non erit effentia dit ratioallata in argumento ; et funda  liter diuerfus à dircéto, quia ordo pramif mentum eorum falfum eft, maius .n. et   farum non fufficit diftinguere modos fyllo minus extremum generatim loquendó de gifmorum:Itaq;ad argumentum principale fignantur in przmiffis ex coniunctione cü concedendum cft affumptum, neganda Íe medio, non in conclufione ex coniundio quela ob rati onem modo allatam. E31 ne corum inter fe, vndé illud dicitur maius n extremum, qe digniorem d in przmitfis, .f. in maiori cum medio, i . SU extremum, quod obtinet minus di De Reduttione Preis snper fallen, gnum f. in mipori ; tà docuimus ex com ivt x 7^ Le e STR c.s. ergo etiam infecüda,&  11a A EETOEM c.1.in fine. diftin tertia figura dillin&io maioris, et minoris guit penes formam duo fyllogif extremi fuméda eft ex ordine premiffarü, morum genera, perfectos, .f. et imperfe nó veró'ex fubie&tione, et predicatióné ip  &os,illos appellat perfectos;qui nullo indi forü in cocluf. Neq. oppofitü docuit Arift. gent, vt eorum vis, ac neccíliras i conclu cit.nam longe diucríus eft fenfus verboó   dendoappareat, et huius generis funt tane rumi ciuab eo, quem, Aduerfarij praten tum quatuor modi prime figurz,in. quibus dupt,vtibiexpoait Sueffan com. 45.ab A  euidentiffima eft «is cónclufionistiniperfe uerfa rclatus q.2 5 fe&t. 8. et textus ; vtíó tosécontrdyocateos;qui indigent "n nat jit obícutus eft,vt non magispro'eis, probatione,vt corani nélefh  pronobisaddnciqueat.Non fuitau diéuidemtérappareat, &huiu$generissüt  ^ m c  4 dicantcs modos indirectos fecundz,X ter concludentes,quam cete figura tizfigurz,vtfa&tum eftin prima, quia vc. rum, elle dirctte concludant, nam c. 'üm vem neceffe diftinétas dictiotiesaffignarein   tám reliqui modi sees eder o riakarum notat Auerfa cit. longe maiorem habent   neccffitas cencludendi non eft ttà i, differentiam modi indire&tiyrimz figurz a  drfin indi&eat aliqua probátione 3 Ex. directis,quarnin caters; rationem affignat  pdttt fyllogifimum imperfectum hic n Scot.cit; quia fi concludatur ind reci? per zceipi cá modo,quo dicere folemus Enthy conuerfionem conclufionis, vt ft m Ctfa  menta effe f eni imperfe&un:,, ! 5e; et Canieílres fecündz figutz, Darapti, nimirum cric pars intrinfecá,S effcotia Difamis  et Datifi tértiz, fuf&étupt ijdem   Irs ad fyllogifiunrneceffaria., pur, "modi,nam frin fecida fizura fic condiada  fenfu fyllogifmi cuiufcunque figura funt ^ mus indire&é, Nullus lapis eftáimmal,om perfecti, igiturin prz£ nti üllogifmusime  mis homo cft aninia!, ereo nullus lapis «ft. perfc&ns pro eo fumitur:, cui Squid eui fiomo;adhuc ite fyllo jmuseftin Cefare, déptis de ; vtiudicetür enide:ter con fic etiam fi in tertia fiZura fic conéludamus ludere: ; hataiitem elt imperfcttio qu  44 (4 E Fatal éftviucns, omne dam áceidéralisdummtaxit, itànótàcTatar.   eft fubfizntia, sd bucifte (yllogifmus ctin. fie.Solia atormodrprim figura. "Darapti: et ratio eft quia vt docct Arift. 1. dicuntür perfcáti;& euidenter ce $5 "Priorum de fyllogifm. poteftatibus, ficut vt'ait Tátar.Ge, .4sdraiur C cundo quia fo. ogifius inferens conclüfiooém vniter  ?i ipfi regulanturimmediaté per Lenin ME l«m poteft etiam inferre particularem   dies de emwi, C dsei de mullo, qua inc '€x vi confequentiz fübaltermationis, ità  ejsfit eai applicatio eorum, quz di quiinfyrt vnam conctufionem inferre pote cunras vel ægantur vn:uerfaliter, adea., nit ftm vides ex vi cónfequentiz "quz   rere ra p reno conücrfionis, Cefare infertdire pam in eis perfecte diftribuitur me $0 illam mio ræ tiegathaleh e Sadirée, omne "animal cft fubftantia, ergoaliquod viueris Sel æm a rüfilendumjnfi  » potent jnyieri jn qua flat vniucrfiliter cy parte b» uertntem, et fi  fobic&ti; cü pofteain minori przdicetur,   Darapti fest duci illam: larem hecipfo emdcnterofteoditurillud, dequo     d tiwfer  pradieatur contineri fübeius «miuerfalitas   fusmqonuertentem ex legibus conuer   te,& confequeptcr conuenire illi id qm B. 3 I M !  LER z: ! "I " £ 2, A De redaélione modorum impevfz&lusad pevfePlus. 9.3 de.t4li medió. vniuerfaliter pofito przi. eabatur i maiore, vel ne ur, quod eft immediaté regulari per dscj de omms et disci de nullo; alij veró modi dicuntur 1mperfc, €i, et minus euidenter concludentes, quia fon immediate regulantur per hoc princi pium, nec in eis fit euidenter applicatio fu» pron: ad ea, quz fub ipfo contiæntur, fed regulamtur mediate, et idco reducuhtur adillos modos perfectos, et per cos pro tur? vndé vt monet idém Tatar. aliqué modum reduci ad alium non eft de vao fa. cere alium, fed eft confequentiam, vel ine. üidentiam vniusoftendere. per confequen tiam, vel euddentiam alterius,,113. Duobus autem modis imperfe&i [roni adpe eas reduci poffunt,pri. mó en Ey Kinda 4. impoffibile; pri reductjo dicitur oftéftua, quia per eam, apum nd dimus, et 3 ide monftramus fyllogifmum aliquem regulari ' dici de omni, X dici de nullo;altera di itur ad impoffibile, quia per eam dedyci. 1 conlequenciam fyllogií(mi vallée dior olopofi Pes VU ARSQUTSDENS VL IDPORCICSK gulatio per dici de omai, et denullo.  Vtautem ácilius, et line frere ges Ulis red Aia exercinnta g [unt litere. initiales fingulorum Let ur nia ^n. oftcafiue illi fylogi finrad modum pri ma figurz, qui a ; m litera incipiunt . xtParalipton ad Barbara, Cefare ad Cela bon aia 2d Datis [tina t, Darapzi ad. ino ad Ferio,& fic de 5; aduerteniz funtinfüper qua tuor aliz confonantes, quiz in medio, y fiæ nominis fingulorum imper. iegoctpn rgeg enun vt S.P.M, C gam li tera S cat propofitionem indicatam Mn fibi immediaté przcedentem conuertendam effe fünpliciter, P perac cidens, M defignat conuerfionem  non fuf ficere, fed przmiffas tranfponi, debere. fa ciendo de maiore minorem, et € contra. C demum. " dendi aliquod impoffibile, Me eder des ed ararur :Æduetto Miua fit per cóuer. gensis sepe Miner fi wif matis Worms mem. e deo. "RES » I : Me. suben utjunca cono re quatür per conuerfionem  t Isa. $ vult fimpliciter perti, D vera p v acct, COM wult tranfponi, C pr tmp[fibile duci. Q 1^ad adhuc vlter us exemplis declara tur, Cefare qui eft primus mo jus imperfe &us fecandz figurz reducitarad Celarét, vt indicit litera initialis C conuertendo fimpliciter propofitionem indicatam per, E,quzimm:zdiaté pracedit S, ni nirü ma iorem yniueralem ncgatiuam, vt v.g. hic. fyllogifmus factus in Cefare, aullum ignit elt animal, omnis homo efl animal, ergo nullus homo eítlignum, reducitur ad Ce larent, fi dicamus in maiori propofitione y nullum animal eít lignum . Darapti, qui eft. primus modus imperfectus tertiz figurz,, reducitur ad Dari], vt indicat litera initiz, lis O fada conuerfione. minoris per acci dens, vt denotat litera. P. quz immediate equitue minorem, vaiuerfalem affirmati, uam, vt denotat litera A, vt v.g. hic fillo' i(mus fastus in Darapti omne animal eft ubítantia, omne animal eít viuens, ergo aliquod viuens eft (ubítantia, reduciturad Darij, fiin moon dicamus, aliquod viuens elt animal. Baralipron, qui eft modus indi Lus primz figurz reducitur ad Barbara, vt petit litera prima conuert endo conclu onem per accideus, vt poftulat litera P, quz reperitur poft vocalem I pofitam in. tertia fyllaba, cui refpondet cóclufio, et ita. hic fillogifmus fa&tus in Barálipton, o ducitur ad 2; fi in conclufione dica. mus, omnis horto eft fubítantia : vbi tame notandum eft cum Tatar. tra&t.5. conclufio nem d Baralipton non poffz in hac redu Gone dici proprié conuerfam per accidés, quia particularis affirmans ex. regulis con uerfionis fupra traditis non comuertitur int vniuerfam a em, fed in particulare, fed pocius reductam ad fuum ftatum natu ralem, quem feruat conclufio de. Barbara quz cum fit vniuerfalis affirmatiua, o timé conuertitur per accidens in particularem tem, conuertitur vel potius reducitur conclufio. de Baralipton in vni Bev pec aou nam cum iint ezdem O0 lipton, et ad c à de Biburs fes ralipton fequitur particularis 12, a ARN id (equitur ad confe [ep Wurepuy uitur etiam antecedens ; ex his exemplis auno Ambien B BLA LLL oochab!OssBrlb LIL,LUL. .LNAT"ouscob. a  difcere redu&ionem aliorum modorum, nam Dabitis efficitut in Darij conuerfafim pliciter conc'ufionc, vt petit litera S, Fa pefmo manet in Ferio maiori conuerfa per accidens, vt petit P, et minori fimpliciter, vt petit 5, et facta prxmiffirum tranípoft tione, vt petit M. et fic de fingulis . Bonitas vero reductionis oltenfiuz per conuerfionem propofitionum,vt notat 1dé Tarar.fimdaturinilla regula generali fupe rius tradita, quicquid fequitur. ex: confe qucnti bonz confequentiz, fcquitur etiá ex anteccdente, cum ergo fit bona confe quentia à conuerfa ad conuertentem;quic quid fequitur ex conuertente fcquitur ex conuerfa, tlis au'em conclufio fequitur ex conuertente, vt patet in fyllogifmo perfc &o, ergo eadem conclufio bcne infereba tur ex conuerfa, q erat przmiff fyllogifini imperfc&ti,& ob eandem rationem infyllo gilmo rines non femper infertur eadem omninó conclufio, quz fuerat in imperfe &o, fed conuerfa illius vt in Cameftres,nam cum conuerfa poffit inferre conuertentem, füffcienter hoc. modo probatur conclufio' jniperfcati fyllogifmi: Diximus autem omn' nes modos imperfe&tos poffe reduci often Ímé ad perf&tos exceptis Baroco, et Bro cardo, quia cug altera pramiffarum in eis fit particularisnegatiua, quz conuerti non contrapofitioné, teft, nifi in fei x d altera vniuerfalis affirmatiua, quz taptü   ri fireducere conuertitur per accid.ns, tur oftia, fieret Mog; Ts $ ex puris ticülaribus,  poen "114. Reduétio per impoffibile fit cum ne gàta confequentia, feu conclufione fyllo £iími ab Aduerfario (fub pratextu, quod rion fit informa ) fit ptopofitio contradi &oria conclufioni negate, cx qua cum alte ræx propofitionibus conéeffis fiunt tales pramiffa,ex quibus inferátur concl.fío có tradistorta alicui ex pramiffis iam concef fis, vnde cogrrür Aduerfarius vcl ticgare; quod 1anr concefferat, vcl cohcedere düo contradittoria fimul cffe veras et fundati r bic reducendi modus in illo principio, /» Vena con[équemtia ex contradiflorio confequ£ gis fequitur contradsclorium. antecedentis : et hoc genere: reductionis pcffunt. reduci ogincs modi imperfedti cumfcunque fuc zintfigure ad perfc&tos,vt docet Tat.tract, sin apenidn fecuridz Brei tris u e 1e figi $.Quarrs,X ra tio eft, quia in omni modo vtili ;1n quo nc gatur confequentia, debet concedi comtra E Pars Prima Infiit. Tratl.1ll. Cap. Ix. antem, Darij, O particularém negancer EXON U. W «. » 9 dictorium e us, quod negatur, ex qua con. trádictoria conceffa, '& alcerà przsuffa co ceff; cquitur contradictoriü alterius; fpe cialiter tame: Baroco, et Brocard» dicun tur per impoffibile reduci, quia alio mo 1o réducibilss non funt: Vt autem rité calis re ductio fiat; hoc datur zenerale preceprumj  vt fempcr atteodatur ad conclufioæm illa tam, et famatur cóntradi&orium eius,deia : dé ponatur illa pro vna e prmiffis cit ale tera, et inferatur conttadittóriut,vel cona trarium alterius przmiffx conceffz, fic .n. deducetur Aduerfarius ad impoffibile ; qued eft duas contradictorias, vel contra rias concedere. Sed vlrta hoc Umum przceptüm tra« dit Tar.cit.etiam Merian regalas pro fin gulis fizuris, vndé ait, quod modi [ren figura reducuntur per imp ^ffibile fumendo contradiétoriàm concluftot;s pto minori, et retenta eadem maiori infertur contra   ria, vel contradictoria minoris conceffa;  modi terti figura, reducuntur pet imp« fibile fumehdo contradi&torium concla nispro máiote, et retenta eadeth minori fertur contradi&torium, aut cgntrafiüi mæ  nbn iem d gaitcu r ntc étianrreduci pi : le fikicódo nca Anda ) ro maiori, et ponendo maiorem t oris conceffe . Vt autem dignofcatur ad im: ipepiiore inn Eme beat reduci per impoffibile, n ft habendá cao tnitialis Ski eru fuperic eias Moy fire. ocardo,quí reducantur dd Barbara, fünreridó conrradi Proerætee UA hr ser falis affirmatiua) fed'obferuande fiut qua  taor dictiones à Dialecticis inuenta, Me feiebatir, Od iebawi, Letare, Romanis in qui bus quatuor vocales reperiuntur A, que fi gnificat modum perfectum vniucrfalém alfirmantem, .f. Barbara, E vniuerfalem ne gantem, .f. Celarent, I particularem: affir icm iind ime lee y entibus: qua : focndg quis eoa ic oer eb focinde Sgurg crtias Pei  cóficeffic, non quideai i animal etl rifibile fi  De'velullione modorum impefadpof.  $3 libusjque fex tertie figure nodos defignit, itaqüe modus impettectus refpondens vo «ali A réducitur ad Barbara; rcfpondens E ad Cclarent, refpondens I ad Darij.refpon densO ad kerio ; Vt Vcró regu.e tradite pro fineulis figuris memorie mandeatur, notanda fant quatuor carmina, Quorü duo prima feruiunt prin e figure  Maior fit mimór, frt contrádiflio mor, CC Dempto'Celantes iniquo conuertitur érdo, eruat maiorem, "variatque feewnda ii norem » J " » Tertia maiorem ariat, feruatque mimo  Vbi variare maiorem,vel minorem eft lo co maioris; vel minoris fubftituere contra di&toriányconclufionis i di if mi; uxtà ML po zm leni in quacunque figura 5 ic fyllogif Pis i» Ralipton, Omne animal eít (ub ftántia;oniínis homo eft animal, ergo aliqua fubftantia eit homo, fi negetur coaclufto, fümatur c ofitio'lli contradicto» peti eritnlla fubftantia eft hómo;tunc Jllatur: níj&or, et pto'ea fubrogetursmæ ior, et fic inferaturin y 1 ftantia eft homo; omne animal eft fublan tia, crgo nullum animal eff homo; iam jftà  propofitio contradi&oria eft minori, quam mmediate, ne   beh : Iyltoa m romero accidens. 'Fiathic efare Nulhis honio eft rudibilis, eni dioesed ruéibilis, ergo nallus afintts efthomo,fi nez k f conclufto, affumatur €ius €ontradi "Qhoris; que eft; aliquis afinus eft homo ; et fétenta piajore ponatur i(là propofitio pró mirióre, deindé inférütur conclufio in. Fe rio, hoc Pacto, nullushomo eft. rüdibilis aliquis afinus eft homo; ergo Mi quisafinue tionc ft rüdibilis; qua conclufio eft conrra  di&toria minori taii cenceffz;. f. omnis afi ris eft rudibilis. ' Fiat tandem hic Mare. musii Darapti, omine rationale eft rifibile, émie rationale éft'animal ; ergo aliquod erhzc conclufio, fumatur contradictoria eiusque erit, nul. ]um animal eft rifibile, et ponatur pro ma jore retenta eadem minore, et fic inferatur  s ori Nullum animal elt rifibile, om rationale eft animal, ergo nullum ratio nale cft rifibile, que conclufio eft contraria maiori conce(fz, et virtualiter contradi squia fub vniuerfali continetur parti eularis: exempla de Baroco, et Brocardo ^os adducimus, tum quia yeffim adducun ^p türab alijs, quáfi non agnofcant alios mo dos per impoffibile reducibiles ab iftis; tum quia; et tpfi feruáat leges pro f:cunda, et tercia figuraaffignatas. ^? Denique Arilt, i "Prionit c:6. docet ali modum probandi fyllogifnios imperfe&os f. per expofittonem, fer perredactionem ad ívlloci(munr expofitorium; qui folá iu. feru:t sis modis tertiz fizure, et pra&i catür fic,vt docet Tatar cit. fub medio có muni fumitur terminus fingularis ( qni eft médium ir éxpofitorio,vt poftea dicemus) cui vtrumque extremum tribüitur, indé que elicitür eadem conclufio, qui erat in Íyllogifmo ex medio communi, vt v. g. fit xalisfyllogifmus in Darapti, omnis homo eft aninial, omnis homo eft rationalis, erga aliquod rationale eft animal ; fi quis hanc cónfequentiam reget, próbari potcft fu mendo aliquod fiogulare fub! homine hoc modo, fi omnis homo eft animal, Petrus eft "animal,fi omnis homo cft rationalis, Petrus eft rátionális, tanc fic ar&uitur, Petrus eft "amimal Petrus eft rationalis, ergo aliquod rationale eft animál ; et quia quicquid fe wuitür ex confequénte, etiam fequiturex antecedente, eum conclufio bene fequatür "ex pramitfis fiagula ribus ;qua inferebán. tur ex vniuerfafibus, e itur eandem con élufionem bene fuiffe illatam ex pramiffis  iniüerfalibus, et hac de caufa hic modus ndi fyllogifmos vocatur per expo tione RAN: oftchdituf valere confe ii 'ttia qiodammodoad fenfum, quia (ub ma "dio cotmmuri fumiturfingulare fenfibileg "defe ruit antem hic niodas determinate pro terti : gis,quia cum hzc habeat omnes 'conclufiones particuláres, et propofitio particularis bené inferatur à fingulari, v.g. Petrus currit;ergo aliquis homo currit, fa tis congruenter per fyllogimum expofi Toriumprobatur. ^ ^ EEUBMI De varijs fpecicbus fyllogifmi catbegorici, 1$ A IK n E Re TER DR Ípecics cà»  " thegorici fillogi(mi . iA theg  Prima fpecies eft eoruin, qui € 23 ^ medio, Motmceiie, communibüs, hucuf gi Orcs re» See fint eradites Megdeo uifq: 1fto rum dicitur fyllogifmus commdüois.. ^: Vipeve eg sus Tihy ondes ex medio,&alijs cerminis fiæ fin po $6 pofitorij', eft autém (yllogi&mus expofito rius, vt notat Latar.tra& 4.affiznando ino dos tertiz figurz;& i. Priorum q. t. $. Dw kitatur tertio, ex Doctore 1.d.2,q.7. Li. in fol. ad i.prin.pro 4.4. euius milium efi ter minus fingularas fingulariter, &p wniuscé tentu:, et idco diftribui nequir,nec vniuer [alizari, (cd otius perfe&te dz bet fiagula rizari, nam fi perfcdté, et complete non fic fingularizatus, vitiofus eric fillogifmus, q» maximé obferuandum elt, ne ecipiamur fillogizando in terminis diuinis ad abíolu tà pertinentibus,vt v.g. funt De»; e effen tia dinina,quia.n. non funt completé fin gulares, (ed zquiualent communibus, eo quod reipia p pluribus perfonis communi,cantur, ideo non funt apti ad fillogiflmum .expofitorium, yt fupra c.6. docuimus cum Do&. cit, et tenet Auerfa tra& 4. cap. 15. et ideo non valet, hic Deus eít Pater, hic Deus eft Filius, ergo Filius eft Pater, quia medium non rfe € tur, vndé tendum eft illo tanquam termino commu ni,& perfc&é diftribui, vt confequencia ponet. bac mado, omne quod eft Deus, icquid eft hic Dcus, eft Pater, quic dud eít hic Deus,eft Fi ii ergo ef  Y qol cquestia tenct, fcd przauifz Íz; quz etiam eft communis dei miftarum Sot.lib.5.5.p. c. 1. Bannes Ti c.9. Complut. fuma. lib.5. Ioan. de S, Thé. lib.a.cap 8. Season pq. 24 art 3. qua T. .xe hac erit r tin filloz . Mk avo ro V a dia. seiete di diltribui ex (upradictis,ità bo €quentiz Js ifmo expo yos ri uar ace mediü, effe per fe&? fingulare, et incommuaicabile, Dici tur autem hic fillogifmus expofitorius (vt cn Mn quid nominis explicemus ) eo quod Ípicuus, ac euidens, quia elt de. pice 1 ; s nobis notis, vt. rem veluti an te oculos exponere videatur, 116 Duplex vero eft expofitorius fillo gifmus, a. tiuus, cuius .f.ambz prz milfz funt afirmatiuz tiaDA, cuius "f. altera prziniffarum negatiua eft,& con fequenter concluíáio; principium regula tiuum pro afüirmatiuis, vt notat Tatar. cit. yes psp (eidem fint es ipfa snter fe funt eadem, tt. uis eft aliud, $««cunque ne, prónepi od "tertio, illa megantur de fe inuicem, &idim. merità nezaat Conimb.i.Priorá c.6. q. va. art.1. quos vga rou 3. Ct; 'um quiahac cit d ina veterum 3um 9. ; " . Pati Prima Infli. TF. rac LE Cáp, X. Y mulift, communiffima, tum qnia C6 (tens dimus vim illius geminati principij i apparere in fillozifmo expofitorio denn in alijs, vbi etiam íolutz (untdif&cultates    in oppofitum . Quamuis autem poffit hic fillogifmus fieri in. quacunque figura fer uata femper affirmatione, vel negatione, uam defignant moi,nam in prima poteft 1C fillogizari)hic homo eít Rex,, Petrus eft hic homo, ergo Petrus eft Rex 10 fecunda fic, Petrus eft hic homo Paulus non efthic homo, ergo Paulus non eft Petrus »frequé tiustamen,& congtuentius fit. in tertia; in qua medium fubijcitur, q maximé.con D uenit terminis fingularibus fubijci in pro pofitione;vt Petrus eft albus;Petrus mo, ergo homo eft albus, acideo Arift.de    hisin hacfolafigura meminit. r., Priorum c7. Cauendam tamen eft, cü fiunt in ter» tia, ne minor fit negatiua iuxta regulá ter« tiz figure, vndé non valet.,Petruseít ho« mo, Petrus non eft Paulus, ergo o  eft homo, variosauté   di hunc fillogifmnat in 2 S recenfet Auerfa trad. pd bone y j gom ; IM i i a sonum. y,quiconfant x t ^ 2t d et vtr pé tts quadam f M. 2x pns ilbrequia talis tien differt ab ib eoisinien  dor i ras aas 5 MA gaps vd vriqieen e lare,vel vnum fit cómune,& ali TX,; et quidem in omniu L s e CR. icfformari, in prima mi efformari, in Veg omnis homo eftanimal, Petrus ud : ergo Petrus e Dem imd nep homo eft xat hone 2 Hw sooneilais " d are cadres vi Pene Petrus ; in tertia [1 ata nis homo eft animal,quidam homo ci Pe o Petrus elt animal: videatur Auer fa facit vbi Cap.16. etiam varios modos gnat conficiendi hunc fillogiímum. in fin   figuris . MÀ fpecies eft eorum, im, quorum ali», vel M pa int c P   /CoDe fptebis Syllügifi cadagiria,   $7 Lent ed t fe famptus, poffit fubijci, vcl  przdicar;, omnis propofitio ex obliquis conítans ad ipfammcet ex re&tis conftantem reduci debet; et tünccláré patebit;an recté Bloginne cx talibus propofitionibus con atus concludat, id, quod Arift. docuit z. Priorum c.357. v.g.hac propofitio, hic liber eft Francifci ad hanc reducitur; hic liber cft aliquid poffeffum à Franci(co, et hic fillo £iftus,omni calori contrarium eft ee quzdamqualitas.eft calor, ergo cuidam ualitati contrarium eft frigus, ad hunc re ucitur, Omnis calor habet contrarium frigus, quzdam qualitas eft calor, ergo quzdam qualitas babet contrarium frigus, vel potius, calor et frigus funt contraria, . quzdam qualitas eft calor, ergo quedam emer Uia funt contraria ; itaque uiufmodi fillogifmi ex obliquis reducun tur ad 1ectos, et intantum bené concludüt, inquantum confici poffunt in terminis re €tis; aduertetamen in his, et fimilibus fi' logifmis obliquis feruari debere regulas F^ age ; et formari poffe in qualibet i17. Quinta  fpecies dicitur fillogifimus modalis ;& eftille qui e vtraque pra miffa modali:,: ve! altera tantum, fiue fit modalis diuifa, fiue compofita, et confici poteft fecundum omnes quatuor modos nempe de poflibili,contingenti impoffibili, ac neceffe, &in quacunq. figura,vt v. g..in prima, neccffc eft omnem hominem effe auimal,néceffe eft omne rationale efft ho « minem € oniris homo eft rationalis., er  gont cffc cftomne rationale effe animal ; mi fecunda figura neceffe eft nullum lapi dem efft animal., ncceffe cft omnem homi pem e(feaninz], vcl omnis homo cft ani mal ergo üieceffe cft aullum hominem effe Japidem 'ititertia neceffe eft omnem ho minem cffe atítiia], neccfc cftomæm ho ^mmnemeffe füb(rantiam, vel omnis homo. [ubftantia, ergo néccffe eft aliquam fub Nin ef animal ; frequens ramen. vfus huius fyllogifmi eft cum altera: moda!i tà tum,vt omnem hominem currere eft pof fibile, aliquod animal eft homo, ergo ali boe einmerin ett   M eft. éritia; y ratio eft; quia maior propófitio serere huic,onin;s homo po: teft currere; cum qua, et minori, et coníe quentia conficitur fyllogifmus in Darij, vndélicet totum:diétü dicatur à Dislecticis efftfübie&ü foli ram bom reipfa eft fubie poffibilis curfus .. ..  Gum, dequo pradicamur LU ' Poffunt. antcm. tiones modales cum alijsde incffe ad conftituendum fyl logiímum modalem quintupliciser 'com binari,vt notat Tol et.lib.4.c.16. primó cum vtraque, propofitio eft de modo neceffa rio. Sccundócum vna eft de neceffario jal tera deineffe, Tertiócum vtraque eít. de contingenti. Quartó cum vna cft de contin genti, altera de ineffe: ;Quintó demum Cum na eft de contingenti, alterade ne ceffe,& iuxta diuerfitatem combinationum diucrías feruant regulas,immó eadem có binatio interdum in diuerfis figuris, et etia in diuerfis modis eiufdem figure peculia res habet rezulas;cx quo factum ett; vt fe rétot regula congerantar pro fyllogifmis modalibus,quot fürit modi figurarum,quas roindé recenfcre nimia foret prolixitas.& 1deó breuitatis gratia paucas quafdam ge nerales,& aliquam fpecialem magis neccí fariam adducemus ; Et prima eft;quod fi in fyllogifmo iu quacunque figura confeéto ambz propofitiones fint modales, conclu fio quoque miodalis erit, vel faltim calis de duci poterit, nam fimiles propofitiones confimilem inferant conclufionem; fi vero altera tantum fit modalis; non fequiturne ceffarió conclufio modalis, vt docet Do Gor p. d.55. ad 1. argum. z. q. vbinotat ex vna de ineffe, et altera de poftibili i, vel con tingenti non neccffarià inferri conclufio, nem de poffibili, vel contingenti ; &hoc preíertim verum elt., quando maior cftde ineffe, quod manifc fto oftenditur exemplo in prima figura,fi maior fit deine(fe;& mi nor de neceffe fic arguendo, omne animal curric,neceffe elt omne hominem effe ani mal, ergo omnis homo currit, ac etiam in fecundaarguendo in Cefare cum maiori ncgatiua de ineffe, et minori affirmatiua de neceffe tali paéto, Nullus angelus eft cor pus, neceffe eit omne coloratum effe cor pus,ergo nullum cóloratum eít angelus: ex uo patet hallucinari, qui dicunt effe de c( entia fyllogifmi modalis, quod inferat có. clufionem modalem, et ad hanc neceffzrió. inferendam fufficere fi aliera pramiffarum fit mod:lis.Secunda eft qvod in quacunque. figura,fi vtraque prznuffa fuerit de fe,conclufio poe neceffe, regulatur .n.talis f^ i rprincipia de cmn dde isi Piedicaum M NEN ineit. omni medio, et mediü neceffario inell omni. . fubie&o,& prædicatum quoque ncccffarió: incrit omni fubic&to,& hoc patet in cxcin plisfupra allatis.de neceffe. in. cS eia PM $8 D figura Tertia demuff eft, quod ex vtraque dc contingenti in fecundafgura non bené concluditur, vt patet fic arguendo, contin git nullum rifibile ambulare, cótingit om nem hominem ambulare, ergo contingit nullum 'hominem effe rifibilem : alias fpe eiales regulas pro fingulis figuris,& fingulis earum modis vide apud Tatar. 1. Priorum tra&t.];. q. de confequentia ex modalibus, Conimb. i.Priorum c.8.& deinceps, Tolet. cit.Cafilium lib..trac..c. s.vbi breuius, et clarius, quam alij, eas recéíct,& docet mo dum.reducédi imperfe&tos ad quatuor per fe&tos primz figurz. Sexta demum fpecies cft fyllogifmus ex ponibilis in quo.f aliqua propofitio expo fibilis,vel plores reperiuntur, v. g. animal rationale tantum cít rifibile, homo tantum eft anima) rationzle,ergo homo tantum eft zifibilis, ad quorum fyllogifmorum boni tatem percipiendam conducit multum ex ponibiles przmiffas ad exponentes redu cere modo fup.declarato c. vlt, tract.przc. indé enim facilé patebit benitas;vel praui tas fyllogiími exponibilis. : Quzres, an detur fyllogifmus conftans €x propofitionibus non fignificantibus, .i cuius partes fiot termini non fignificantes, ac proindé nec fint veranec falfa ?Qui exi flimant poffe dari enunciationem conzan tem terminis nó fignificantibus, confequé tér affirmant poffe dari fyllogifmum ex ta libus propofitionibus conftantem, contti tuuntque huac fyllogifmum omnis fynda píus eft mindria,fed Dac eft fyndapíus, ergo Dac eft Mindria; quod etiam confirmant ex Arift.quiin lib. Priorum omnes ferc fülc giímos efformat in elementis, et terminis non fignificantibss, igitur admitti debet hzc alia fpecies fillosifmi, et ità (entit Tat. 1,Priorum q.1.8.Dsbrtstur primo.Qui veró non admittunt enunciationem conftantem terminis non fignificantibus, confequenter negant talem iem fillozifmi, et quia banc opinionem magis probabilem iud:ca uimus tract. 1.c 1 .nam cum dicimus Dac eff fllabs, ve veta fubiedum huius enuncia "tonis non eft D«e (ed alius terminus figni ficatiuus fubintellectus.Chzc vox, hzc di. €io, Dac autem cfl res fignificata, vt ibi di ximus, 1deó confequenter ad hunc dicendi modum neganda erit hzc fpecics fillogif. mi; Arift.autem vtitur literis,fen clementis in efformatione fillogi(morum, non quod «elicfillogifn um ex elementis confectum «E: veré fllogifmum, fcd vc oftendat fe cs Past Pria Infit. TrafiIIT, Cap X. non agere de fillogi(mo certi materig 2p2 plicato . De 8 yllorifmo b ypethetico, C ali: f'yllogife morum fpeciebus . QCYllogifmus hypotheticus dicitur y ui ex propofitionibus hypotheti» cis,vel (alim iqua bypodesiq en » et quia propofitionis hipotheticas tres süt fpecies principsler; Le oN Hi dox ME : iua, et copulatiua, vt patet ex c. 6. trac, rzced. hinc triplex etiam erit fillogi feponeritus s vnus conflans ex conditiona libtsalr ex difiunctiuis,& alter ex copie. tiuis . i Sillogifmus conftás ex conditionalibus eft duplex;alter ex toto hypotheti i nimirum propofitiones omnes, €x qui conftat, funt hypotheticz;, altcr ex parte quia non omnes funt hypotheticz, fed alte ra tantumifillogifmorum ex to ticorum quaraor folent confitui modi à  Summuliflis.Primus,gwe'ex /ffente quid cff vt fi es homo, esanimal, fi eslogicus, es ho mo ergo fi es logicus es animal, per explicatur ly que ea iffente quid eff, nam ali quis exifiés homo cft animal. Us quo exiflente quid non eff, vt ficshomo;non es ? brutum, fi eslogicus, es homo, ergofi. es logicus,non cs brutum; Tertius,gwo mop exg   fente quid est,vt fi Gabriel non cft corpus cft fpiritus,fi Gabriel cft angelus, non eft ritus Quartus, qwo nc». exisfente quid effi es, ipe non cs fapiens, fi vagaris,  non ftudes ergo fi vagaris, non es fapiens; et huiufmodi fillogifmi d k iam foli K argumentationes à primo ad. vItimum ;. facilereducuntur d cathegoricos perfe &os prima figura, nam primus, et tertius   atfirmatiué concludentes ad Barbara. redu cütur conficiedo ex illis hypotheticis vniuerfales cathcgoricas,vndé primus modo piacinr pns homo cít animal, omnis Loc icus mo, omnis cus cft animal,tertius s emi corporcá cft fpiritus,omnis angelus eft in forpouubcNgo omnis angelus eft fpir tus, Secundus veró,& quartus,qui pegatiué cludunt;reducuntur ad € elareot; hoc medo, Nullus homo eft brutum omnis logicus cft bomo, crgo nullus logicus ki brutum; quartus hecruodo, Nullumnoa ftudens cft fapicps., emne vogoos ci nte gu. corpus,ergo fi Gabriel eft Angelus eft fpi» num ^  pt oct  zx. bo e TM d ss ! n Wee. A br s ew et L w Oei qs 4 H val m e e E  T i^ De Syllogifsmo bypotbet.eoalij fillog.pecieb. fludens,ergo nullum vagacs eit fapiés.Syl logiími ex conditionalibus Bipetietid £a parte dicuntur, qui conftant ex maiori hi pothetica, et rcliquis cathegoricis,& ho rum Uus MS duo conítituuntur mo di, vnusà pofitione antecedentis ad pofi tionem confequentis., altcr à dcftructione tis ad deftru&tionem anteceden 'tisantecedens in propofito eft illa prior ca thegorica,ex qua conftat maior hipotheti ca,confequens eft pofterior cathegoricain . ttgrans cum prima hipotheticam vt in hac rone fi eft homo, cítanimal,. e£ ! dbomo dicitur antecedens,e animal dicitur &onfequens ; pofitio fit per conceffionem antecedentis,fiué fit afirmatiüum, fiuene gatiuum, deftrudio fit per negationem, fi propofitio eft afüirmatiua, et per affirma .tionem, feft ncgatiua ; esce pim primi modi, fi eft homo, eft animal, logicus eft  homo ergo logicus eft animal,exéplum fe adi,fi et homo,e(t animal,lapis nó cft ani mal,ergo nó eft homo ; et facilé fyllogifmi  xtriuíq;modi ad cathegoricos reducuntur, nà primus reducitur faciédo maioré cathe goricam illi port zquiualentem, omnis homo eít animal, logicus eft homo, ergo, Xc. fic etiá proportionaliter fecüdus. . .319 Secunda fpecies hypothetici fyllo giími eft conftans ex difitictiuis, cuius cipué duo affignantur modi,vnus à fuftcie rtium enumeratione cum deftru&ione vnius vel plurium partium pro conflitutio ne remanentis, vt veles ciidos, veltepi dus, vel frigidus, non es calidus,. nec tepi dus;ergo frigidus;vcl es mertalis,vel ater nus, non es zternus,ergo mortalis. Alter modus eft, dum propofitio difiun&iuæft de oppofitisnon natis de eodem verifica ri,tüc.n. arguere poffumus à pofitione vni ad ceftru tionem alterius, vt numerus, vel €[t par vel impar,eft par, ergo non eft im par; et etiam hi duo modi facilé reducütur ad cathegoricum, quem femper includunt implicite,vt. v.g ifte fecundus fic debet re duci,oppofita de eodem verificari non pof funt, fed par,.& impar funt oppofita circa gumergade codem numero verifica non poffunt atque ità fi quis numerus eft iequit P dmpax ». Et ad hanc fpeciem "logilmi hypothetidi pertinet. illa. fre quens, et elegans argumentatio bicornis, P^ dicitur Dilemma, de qua mentionem ecimus fupra c.2. Notandum 'amen quod ái lla, vel teneretur difiunctim non elt ncxus propolitionum, fed partium vnius totalis ueni Gibiedi, vel przdi cati ex diclis c.4fyllogifmus hypotheticus non tenetyram fic arguere non valet, vnus vel alter equus requiriturad equitandum,. bucephalus eft equus, ergo requiritur ad equicandumyitem hic,vel ille oculus cft ne ceffarius ad videndum, oculus dexter eft . hic,velille oculus, ergo oculus dexter cit neceffarius ad videndum ; neuter fyllogif mus valet,nà ly vnus, vel alterequus hic, vel ille oculus, qui cft medius terminus, zqui ualet a/i29: Bc fic cum przmiffz fint parti culares,nuuquam eft diftributus, ficut aon valet hic, aliquod animal eft equus, homo eft aliquod animal,ergo homo eít equus. Tertia fpecies hypothetici fyllogiíni €ft,qui conftat ex propofitionibus copula tiuis,cuis duo præcipui affignantur modi, vnus pro copulatiuis ex affirmata copula, vt v.g. omnis homo;& omnis equus currit, Sorteseft homo, et bucephalus equus, er . go Sortes,& Bucephalus currüt ; qui fyllo giímus duos continet cathegoricos in Da« fij, et ad hunc modum fpe&ant regulariter . fyllogifmi ex propofitionibus complexis y. vt arpumentationes à pari, $icut fe habent; duo ad quatuor ita quinque ad decem, fed duo funt pars dimidia quaternarij ; ergo quinque funt pars dimidia denarij, et aliz confimiles, namin huiufmodi argumenta tionibus femper 1mplicantur plures fyl]o. gifmi cathegorici 5 et hicetiam eft aduer... tendum;quod fi ly e accipitur copulatim, tunc non fumitur diftributiué,& confequé. ter debet repeti ly é in minori v. g. Pe. trus, et Paulus funt duo : hic homo, et hic funt Petrus, et Pau'us,ergo hic,& hic funt duo; fi autem fubfumeretur,hic homo eft. Petrus, ergo hic homo eft duo, malé con cluderet, quia medius terminus in maiore accipitur copuladm,in minore acciperetur, diuifim, et fic non effet totale extremum .. Aker modus. affignatur. pro 'copulatiuis. negatiuis, in quo ponitur vna pars propo fianie cvi alteram dà ALES citur ex negatione copulantis cum pofitio ne vnius partisin minort ad deftructionem. alteris,vt non homo currit fimul, et fedet. (accipiendo ly non in fronte, vt negar to tam propofitionem, non autem vr infinitæ. terminum Ape quia fic propofitio affirma tiua foret de fubieto infinitazo ). fed cur. Bipergo non fedet, vndc illa maior zquiua thuic di » vd non currit,. v&l ficurrit, non fedet.: Yieanas à P ns 5d. aduidemb a 90 eft fimul fapiens, et ignarus, Socrates cít fapiens, ergo non eft ;gnarus; et hic mo dus reducitur ad fyllogi(mum cathegoricü, velut fecundus modus fupra aífignatus fyl logizandi ex difiunctiuis . Ex his apparet huiufmodi fyllogifmos hypotheticos, cu iufuis fint fpeciet, fiue fint ex parte, fiué ex toto hypothetici ; non concludere imme diaté ratione debitz difpofitionis, et alia sum legum fyllogifmorum, fed folum me diaté, eo quod implicent vnum,vel plures fillogiímos cathegoricos, et ad eos redu cantur, cum non habeant ex fe regulas lo gicales iam tráditas . s. Denique aliqui prater fyllogi(mum ca thegoricum, et hypotheticü addunt quod dam tertium genus fillogiími, quod appel lant mixtum,co quia fit argumentatio que dam ex fillogifmis cathegoricis, et hypo theticis contexta, ab alijs vero dicitur fil logifmus ducens ad impoffibile;conftat au tem ex tribus difcurfibus, nam primó ac cipimus contradictorium illius, quod pro bandum eft,& ex eo infertur aliquod aper téfalfum. Secundo ex conclufione aperté falfa infertur falíitas eius principij . Ter tio demum ex falfitate illius principi) con cluditur veritas illius, quod erat proban dum; v. g. probare volumus, quod «ila glanta eos fillogifmo mixzo, feu ad im ffibile ducente, accipiendum eft contra i&torium illius propofitionis, quod erit hzc piorotii ed planta. fentit,ex hoc inferendum eft aliquod manifcíté falfum, v:;g. fi aliqua planta fentit;ergo deleatur, Secüdo ex falfitateifttus confc quentis co cludenda ett falfitas fui princip:, fcu ante cedentis hoc modo, at falfum eft plantam aliquam dele&tari, ergo falíum cft plantam aliquam fentire. Tertio tandem ex falfitate huius contradictoriy inferenda eft veritas rima propofitionis, qua huic contradi rié opponebatur, hoc modo, falfum eft Lic lantam fentire, ergo verum eft nullam plantam fentire, cum à con ditoria rum ea fit,vt vna fit vera, altera falfain quacunque materia; fed quia hic modus fillogizandi rarus elt, et valdé per pléxüs, ipfum innuiffe tantumfaterit.   110 Qustres, quanam fint allat£ diui fiones fyllogifmi in cathegoricum, et hypo theticum; cathegorici in communem,ex pofitorium em,&c. et vndéfint tendz ? Refp.cum fillogifmus habeat fuo modo materiam, et formam ex ditis. 5. et materia fit duplex, vna ex qua; vt tcrmis Pars Prima TIoflit.   ni, et propofitiones, altera circa quam, ve res,& obiecta pcr terminos, ac propofitio nes figaificata ; ex vtroquecapite poffunt defumi duifiones, et diuidi poteft if mus per duplices differentias, vt notat T2 tar. 1. riorum q.t.$.dwbitatwr primo, f. per formales; feu formam fillogifmi confequé tes et per Rz iacy coe nempé materianr cófequuntur, vndé fillogifmus ratione ma. tcriz ex qua, .i. enunciationum,ex quibus componitur, diuiditur in fimplicem feu cathegoricum, et in hypotheti cum, feuconiundum, et rufuscathez quee in communem, expofitorium, ab olutum, modalem &c. ratione verà formæ. diuiditurin fyllogifmum prima fetundz y et tertiz figura idq;varijs modis,vt fupra. Denique ratione materiz circa quam di diturin fyllogifmum demonftratuum, feu   neceffarium, topicum feu probabilem, 8 fophifticum,feu apparétem, dc qua diuifios ne agendum in pofteriori parte Inffitutio num: ex quo patet diuifiones hucüfa; allaa tas petitas c(fe ex parte forme fyllogifmi, aut materia ex qua . Quares, vurfus an diuifiones fylogifmig que cx his tribus capitibus peti nes fint cffcntiales. Refp. Tat.cit. videtuf velle,quod diuifio fumpta ex parte forme  in diuerfas figuras,& modos fic effentialis, vndénon tantum fyllogifmum vnius figure. À fpecie dillinguità fiilogifmo alterius., fe iun fyllogifmum vnius modi à fillogi alterius modi in eadcm figura.Sed quamuis.   primum dictum poffit vniuerfaliter admit ti, nimirum quod en voius figurz  fpecie diftinguantur à fillogifmis alterius in forma fillogiflica, quia habitudo: medij adextrema in vna ue figura eft c(fcn tialiter diuerfía;& i co vis inferendi,Kiu dicium illatiuum in diberfis figuris videtur   effe diuerfa fpccics, ex quo oritur aha acci denralis differentia pocnes maiorem, vc minerem cuidentiam illationis, vt diximus cap.9. alterum tamen jim at E fillogifmi in diuerfis modis exwídem effcntialiter diferant,non eftvniuerfaliter admittendum;fed tantum: fi vnus fuerit af firmatiuus, et alter negatiuus, quia mod eft debita difpofitio propofinenum  in uantitate, et qualitate, at quantitasnon Yfünguit cffentialiter propofiticnes, fed fola qualitas iatrinfeca,vt «ft iid ncgatto, ex dictis tract. z.c. s. ergo fi dut modi eiufdem fieurzità fe habent, conftent propolitionibus in bera 3 De Syllogifima bypotbitico, eovalijs fyleg[pec.. . 91  uerfis, erunt effentaliter diuerfi in cadem cfigura, ficut Ls sen ri ex quibus con. : flant, atfi conitant propofitionibus fola  quantitate differentibus,non nifi  taliter erunt diuerfi, Y 121 Diuifioncs fillogifmi ratione mate riz ex qua in afirmatittum, et negatiuun, cathegoricum,& hypotheticum funt cf sé accidca  . tiales;ratip eft, quia ex didis trac.z. cap.s.  L4 )S n ^ f "ueE eT uo»  H H ! f.v4 x3 pe 1   munis, et expofitoriusnon. differunt, nifi ! quibus po  seritatem com » pofitiombus i  quin affirmatiua fpecie effentiafi dif negatiua;& cathegorica ab hipothetica, ergo pariter fillogifmi afürmatiui, et negatiui;cathegorici;& hipothetici eodem  modo differunt inter fe, quia conftant ma teria diuerfa fpeciei,atque ideó prefate uifiones erunt effentiales,& penes in fpe cics. Dinifioncs veró fillogiími in commu :nem,& expofitorium,in abfolutum,& mo  dalem,in obliquum ; et re&um, funt acci  dentales ; ratio eft, quia fillogifmus com ratione quantitatis propofitionum, et có munitatis, ac fingularitatis medij ex füpra dictis; at propofitiones penes quantitatem non d'fferunt effentialiter, quia effentia fitionis confiftit in copulatione ex n Qe ees affirmando, velægando; quan titas vcro dieit extéfionem fubic&i ad ea, us poteft conuenire przdicatio ; vndé fupponit enunciationem conflitutam,& eí 'fentiam propofitionis significantem ipfam reritat plexam;quz per copulatios nem extremorum conflituitur. ftem pro :positio modalis, et abfoluta, fei deineffe . non differunt, nifi accidentaliter, quatenus in vna przdicatum abfoluté tribuitur fubie &o, et in alia. fpzcificatur modus, quo ei, conuenit ex dictis tra&t..c.,4: fic ctia propofitio conftans ex terminis obliquis tan tum accidentaliter differt ab ea, quz con ftat ex redlis, quia idem effentialiter eft fen .. fus vtriufque, ergo fillogi(mi ex his pro  conftituti non nifi accidentali er erunt inter fe diuerfi ; sillogifmus verà bilis à non exponibili poteft interdü accidentaliter tantum,interdum ét taliter iuxtà ditferentiam propofitio ex quibus integratur, nam exponibi. lis propofttio à non exponibili differt qua oque accidentaliter cantum, vt homo tan . tum eít rationalis, ab iita, homo eft ratio bo . malis,quia idé effentialiter eft fenfus vtriuf m.n. rationalitas fit diff rentia ho«  minisconftitutiua, ipfi foli conuenire po ..  teft;atsi expoaibilis sit de przdicato có ingenti, quodalijs conuegire poteft, vt di dif homo tantum currit,cunc ft eidfcatiali ter differreà non expoaibili, vadé iem iu dicium erit ferendum de fillogi(mis ex his propositionibus conflatis, 122. De vltima diuisione sillogifmi fum A ex parte materiz circa quamin demó ratiuum,probabilem, et elenchum ait Ta tar.cit. effe effencialem, et generis in fpe cies, fi per (ophitticum sillogifmum intel' ligamus illum, qui vantum in materia pec cat,quia fophifticus peccansia forma re veranon eit sillogiímus . Oppositum tenet Fuentes 5.part.Summul q. :. dif. 1.art. 2. Poncíus di eo Mos q.4. Amic. tra&. 15. p:2q.3.dub. 5. Niph. 1. Prierum cap. r. et alij, quorum ratio eft quia hzc diuisio datur per ditferentias penitus materiales, nam ifti sillogifmi eandem proríus forma participant sillogifticam, nec differunt;nift quia diuerfas connotant materias, in qui bus formantur, et videtur mcas Scoti lib.r. Priorum q.6.quia igitur hzc diuisio nó da tur per differentias formales, ideo negat Fuentes e(fz effentialem cum Do&ore ibi dem. Refp.tamen facilé cx Tatar.cit. quod sillogifmus plures poteft habere fpecies, g dam;quz conftituuntur id differétias ormales,.i. eonfequentes formam sillo puo ; feu difpositionem propositionum, quafdam, quz conftituuntur per ditferé tias materiales,.i. conf: si tiones ipfas,quz tamen adhuc dici [A et poffunt differenti effentiales,(olet siqui dem effzntialis differentia actuum intellc &us,qualis eft difcuríus sillogifticus, prz fcrtim peti ab obietis ex 2.de Anim. Ad uerte ramen ( inquit Tat.) quod fpecies, quz conf(lituuntur per differentias mate rialcs, mcludunt, feu przíupponuntalias fpecies formales, nam non pot«it effe sillo giímus demóltratiuus, aut dialecticus,quin sit in modo, &in figura; et id forte vulc intendere Doctor cit. in lib.Priorum, quod f. diuisio sillogifmi per ditferentias mate riales non eft omnino prima diuisio, nam przfupponit diuisionem priorem datam per D diede formales ; fed quicquid sit de hoc, Scot.in illis libris (si funt eius ) te nué facit auctoritaté,vt dicemus in q.proh.. De arte. inueniendi Medium, ac bene difputand;, entes pro ed 123 Via difputatio inter duos verfa tur,quorum vnus arguens, alter M i   dcn 91 defendens appellatur, munera vtriufq..hoc vltimo capite funt aperienda,vt difputatio bené procedat 5 fpropofita igitur à defen dente conclusione diíputáda debet argués adinuenire medium, quo/cam impugnet ; Artem adinücniendi medium ftradidit Arif, 1.Priorum c. 9. quz à Summuliftis Pons afinorum vocari confueuit, fumpfit appel lationemà ponte, yt notat Casil. lib. s, tract.2.cap. 9. eo quod sicut pons eft ratio connectens vtramq; partem ripz,ità mediü cft ratio conneétens vtrumque, extremum; et dicitur afinorum;quiain inuentione me dij difcernuntur ingeniofià rudibus, nam ingeniosi pollent folertia,quam dieit Arift. x.Poft.:7. effc fubtilitatem inueniendi me diumin non perfpe&to tempore,& qualibet propositione posita, et negata, extrema per illam negationem quasi interrupta ipsi illico per mediü quasi pótem connectunt ; Et quainuis antiquitus hzc ars inueniendi medium difficilis admodum iudicaretur,mo dótamen ad facilem methodü redacta eft . Duplex itaque affignatur via indagandi medium ad aliquam propositionem probà dam,& fyllogifticé inferendam, vna eft ge neralis non determinatis regulis innixa, fed folo lumini, et iudicio intellectus, ex cuius dictamine femper pro medio id affumendü eft, quod eft caufa, et ratio, cur predicatü conueniat fübiefto, vndépro concludenda affirmatiua conclufione pro medio affumé dum elt id, cum quo extremaidentifican tur, et pro concludenda n:gatiuaid, cum uo vnum extremum identificatur, et aliud ecernitür, At Complut. lib.z. c. vlt. et Io. deS.Th. c.9. hanc viam generale reijciunt, vt prorfus inutilem, et manifeflé princi pium petentem,nam hoc cft;quod inquiri mus, quid fit illud,in quo extrema identi ficantur, vel vnum eorum focernitur ; et quid eftillud, quod eft oratio, et caufa, vt LS sene coüueniat fuübiecto. Sed fané dit regula generalis inueniendi mediü, quam docuit Arifl.cit. r.Poft. c. vIt.nam ibi hominem folertis ingenij, et fubtilem in inueniendo medium appellat, qui ftatim digno(cit, et penetrat propterquid coaclu fionis,& cauíam,cur przdicatum conueniat fübie&o, et quamuis hac via in particulari non doceat per regulas fpeciales,quodnam medium fit affamendum pro hac, vel illa propofitione probanda, non idcircó petit principium, fed tantum in generali docet, quodnam pro medio fit affumendum pro quacunque conclufione ; relinqugns dein Pars Prima Inflit. TracETIE. Cap.XII. 224   ceps explicandum: regulas fpeciales quanam media fpccialia íumi debeant pro certis conclufionibus, et hzc docentur ab alia via fpeciali determinatis regulis inni xà . Altera igitur via fpecialis docet inuen tionem cert; mcdij pro certis coaclu&oni.. bus inferendis,quz in vniuer(um effe funt, vel vniuerfalis affirmatiua, vel vniuer falis negatiua; aut particularis affirmatiua, aut part icularis negatiua, et quatuor prz cipuis innititur regulis ex Ariit. i 1 Priorum c23;vt notat Delphinus c. de ar te inuen.med, Prima regula eft: ad concludendam vni ueríalem afnrgatiuam, quod folum fit in Barbara, pro medio fumendus eft terminus coníequens ad fubicétum, et antecedens ad przdicatum illius propofitionis comæ dz; terminus conlequens ad alium ille di citur" qui exillo alio infertur et lic fupe rius dicknr coníequens ad inferius,quia ex ipfo infertur, et é contra ille terminus die citur antecedens refpedtu alterius, qui illü infert, et fic inferius dicitur antecedens ad fuperius,quia illud infertz; in terminis ver ' zqualibus,& conuertibilibus, quia fe mue tuo inferunt, poteft quiuis refpecu alte rius dici antecedens, et confequens ; igitur ad condludendam vniucrfalem affirmatiuá det (umi pro medio aliquis. terminus cou fequens ab fubie&um, et antecedens ad przdicatum,.i.qui inferatur à fübie&to ., et inferat icatum ad concludendum v.g. omne ee æe (umi poteft cer p»: pro medio, fic o, omnecorpus eít (Sbftantia, Mmi d cem eft ie omne animal cft fubftantia, vel fumi aliquod conuertibile cum fubicdto,.f fenfi bile,ficarguédo,omne fenfibile eft fubftà tia, omne animal cf fenfibile, ergo animal eft (ubftantia, in quibus eei id confhat medium effe confequensad fubie G&um,& antecedens ad catum, ^. Secunda regula, quia particularis affr matiua concludi poteft in prima, &tertia   figura (in fecunda nequaquam) ad cam .có cludendam in prima, .f. in Darij fufficit idé medium,quo ytimur ad concludendam vni uerfalem, quia fub vniuerfali continetur particularis, f. terminus confequens fubie &um, et antecedens przdicatnm, vndé ad inferendum in Darij, quod «/jqwed: animal . eff fubliantia, adbuc inferuire poteft pro medio /enfibrle, quod infertur. ex animali, et infert fubftantia, et fic argeuendum erit. Omne fcnfibile eft fubítantia, aliqnod æ . X L tIu Sæe m AT! ilo E Tx .. .Jusapis.el o tecede 0JT onera i iE CT hal eft fenfibile, ergo aliquod animal eít fubflantia. Sed ad eandem concludendam án tertià figura neceffario fümendus eft pro medio terminus antecedens tàm fubie dus; quam przdicatum, vndé ad conclu dendam candem, qaaddam amimal eft [ub  flantia, in Darapti, aut Difamis con ucnics medium erit mo, quod infert vtrumque, . f. animal; X fubítantiam, et fic azguetur in Darapti,omnis homo elt fubftantia,omnis homo cit animal,ergo aliquod animal cít fubftantia. ; Tertia Regula eft,ad concladendam vai : werfalem negatiuam fumendus eft pro me  dio terminus confequens ad fubiectum, et . extraneus ad przdicatum, aut é contra có "fequens ad.przdicatum et fubie&to extra peus, ille autém terminus. dicitur alicui extraneus,quod de illo affirmari non. pc «eft,vt homo refpectu equi: vg.ad conclu . dendum in Celareat,& Cefare, quod nullus "homo eft lapis fumendum eft medium con Áequens ad fubie&um, et pradicato extra  neum, vt ánimal,vel rifibile; fic arguendo, Nullum aaimal eftlapis ; omnis homo ett «anmal;ergo nullus homo eft lapis, vcl nul animal,omnis homo elt animal, 'ersónullus homo elt lapis ; ad concluden  dum verà eandem in Cameflres, vcl Cclan tcs indirecte fumendum eft mediam ext. a geum ad fübiectum, et confequens ad prz dicatum, v. [3 imanimatun: fic arguendo, omnis lapis eft inanimatus,nullus homo eit "jnanimatts; ergo nullus homo eft lapis, vcl "nullum inaniinacum cít homo, omuis lapis eft inattiratus, ergo nullus ion:o cft lapis. o Qwarta Rcgula, ad iaferendam particu farem negatiuam fümerdum ett medi an nsad fubretum, et extraneü prz,& hzc regula valet pro quacunque . vt notat Delphinus, vnde fiin prima volumus inferre hanc particularem negati iiam,4/iduod animal non eff bom:, conuce  miens medium erit rato»,quod cítantece  dens ad animal, et homini repugnat,& in Fe.  rio fic arguetur, Nulium brutum eft homo ; imuod animal cft brutum, ergo aliquod 3nimal non eft hon:o 5 in fecunda fic in Fc $tno,Nullus homo c& brutum;aliquod aui gal e(tbrütum, Pliquus amnalnon apton, Nullum brutum. rano omne e. ox us " 'ergo aliquod animal non no; séialzs. shemoriter tenendas eric Summuliftz quafdam dictiones vno, aut alio carmine comprehenfas, quz plané dif De arte inutmiendi sedium, ac beni difgur 25 ficiliores funt, vt memoriz manden tur,qua ipfe regulz;videri poffunt apud Ta t.1 .Prio rum, et alios. His itaq.vijs adinuét o medio. 124 Munus Arguentis eft argumentum (uum proponere in formam fillogifmi,aut quod magis fapit,in enthymemate;quod ci breuius, et concifius procedat., et minus manifeltet vim latentis illationis, maiore vtique re(pondenti incátit difficultatem, tí quia eum tenet jncipiteg ; tum quia parü temporis ei concedit ad cogitandum re fpon(um; dum autem impugnat propofita conclufionem v. g. Cegic« cff feientés, de bet initio difputationis aliquam i1 ante cedente affumere propofitionem, vndé iu ferat oppofitum conclusionis, qui impu gnare contendit,non .n. l'icet ftatim oppo fitum affumere in antecedenti dicedo £ega ca n2n e(l. fcientia,ergo felfa. concloffo, nam hec cff:t manifefta petitio priacipi), quia afi meret pro vero, vcl cóceffo, quod pro ponizur difputandum ; Et quamuis Tyra nibus coaceJatur non ftatimn difputatio nis initio cardinem diflicultatis proponere, fcd liceat per quandam veluti argumentorü féricm, et catenam longius inchoare, vitá dz tamen funt pueriles argumentationes, v.g. illad non eft afferendum, ex quo fequi tur inconueniens, fed ex propofita conclu fione fequitur inconueniens,ergo Xc.Pro batur minor, tunc fequitur inconueniens, quando féquitur aliquod falfum,fed &c er go Xc. Viriliterergo proponat argzumen tum, et quantum fieri poteft in difficultate propofíca persiftat profequendo femper ide medinm per fuas caufas, et principia, vel sd inconueniens deducendo, non vero di uertac ad alind mediá, nec repetat proba tionem feme] propofitam, aut eifdem,aut "alijs verbis hoc .n. indicat ingeni] fterili tatem, et valde tzdiofum eft auditaribus. Cum vero fuerit illi negata aliqua pro . pofitio, ftatim eam probare tenetur, itaut negata propositio sizcoaclusio noui fyllo« gifmi, vcl confequetis noui enthymematis, vt si propofitio ncgata fithac Perrws cwra rit, sic erit probanda omnis homo currit o Petrus currit; et omaino iaful(um ad probandam propositionem negatam in fere ergofa'fa zia vt vero qui promptus sit ad negata probandum,  conducit, antequam in arenzm defcendat, priuazo ftudio affucícere adsingulas pro positiones probandas, nam inte ac ccdens ad difputationem noa (cma harc re, atque perplexum effe cogcpitqueq S 794 dé indecorum eft. Si veró defendens argu métum foluerit diftinguendo propositio nes, debet (latim. arguens parte dittinótio. nis negatam,quz faluit coaclu donem, im pugnare,vel probare,diltinctionem allatam mon valere fic. n.femper 1mmediaté arguet contra refponfionem, quam refumere aon debet, antequam impugnetur, vc aliqui fa cit nam ex ipfa impugnationeillico con flabit, nam arguens refponfionem datam pereeperit, necne 5 Licetetiam arzueati intcrdum a refpondente petere rationem ncgationis alicuius propofitionis, aut in ftantiam in aliquo. fingulari, fi prztendat propofitioné affumptam effe vuiuerfaliter veram, et aliqu ctiam explicatronem alicuius diítinétionis,velrefponfionis, ac . demum quoque intelligentiam zn con fionis vt eamimpugnare poffit in fzafu defendentis,&in his ca(ibus ténetur refpa dens arguenti in omnibus fatisfacere qua maiori potuerit breuitate,& claritate. 125 Munus Defendentis eft audita argu menti propofitione illud integre, ac fide liter repetere, ad quod multum coaducet gero quando argumenta repetenda unt plura contra plures concluftones) ob feruare medium, quo vtitur arguens con tra hanc,velillam conclufioné, quia ex me moria, et intelligentia medi facilis eft to tius arguméti repetitio;interim veró dum argumentum ex integro prima vice refi mit, perpendere debet qualitatem przmif farum, aut antecedentis, fi eft enthymema, &illationem conclufionis, aut confequen tis, fi bona fit, vel mala; femzl ex integro oarguméto przuii tali animad uer(tone, repetit iterum argumentum non "ex integro, fed refpondendo ad fingulas eitis partes,negando maiorem, vel minore, aut antecedens; fi (unt fal(z, concedendo, fi ant verz, diftinguendo;fi (unt dubiz, vel zquiuocz, permittendo per verbum tr«s Jeatyvel vare fit de hac, fi fintimperti nentes ad inferendam coafequétiam, dein dé ad conclufionem deueniendo, fi eft con. cedenda,dicat,concedo confequentiam, fi neganda, dicat, nego confequentíam, non autem conclufionem, quiailla propofito dicitur conclufio, quz neceffarió infertur ex premiffis ratione formz, et fic negari non potett (ub nomine coaclufionis;fi auté eft diftinguenda,non dicat, dillin zuo cófe quentiam, fed coa(equens, (q0d etiam in eathymemate bo uid debebit) coníe t quentia.n. cus confiftat in ipfa illationca Pars Prima mut. £ract 4L H. vcró in affertione veritatis, nost poteft di ftingui, quia diftinctio cadit fuper zquiuo cationem ; aut ambiguitatem pfopofitio nis,quatenus habet diuerfos fenfusin figni ficando, (ed tantum negari, vt mala, et in conueniens, vel concedi, vt conuenicns, 8c bona; aduertat tamen nunquam diftinguere confequens, nifi prius diftinxerit aliquam ex przmiffis,'vt faciunt quidaminexperti, .   ui concedunt maiorem, et minorem, et di [tinguunt confequens ; quid autem interfit inter con fequens, et confequentiam dictum eft c. 1. huius tract.ex quo etiam magis pate bit confequens, bené poffe diftingui, non ; autem confequentiam; Si argumentum có 4 ftet propofitionealiquahypothetica, vtv.  " fi corpus naturale. eft opie&tum totius $1 hilofophiz,etiam in lib. de anima obiestü effet corpus animat,cofequens eft falfum, zi ergo &c.fi illahypotheticanoneftvera,nó . debetabíoluté negare maiorem,fedfeque lam maioris, quod fi poft integrum d mentum fuüb(umeret limbs heiss ul propofitionem,vtindéinferretaliam cófe   quentiam, tunc toto priori argumento có "t ceffo poteft illàpropofitionem negare füb   nomine fubfumpti, vel minorisfubillate,  et talis nuncupatur, quia pro maiori  inferuit illi totum przcedens argumen  tum. v Debet autem prz omnibus curare de   fendens,vt fit fuccin&tus in refponfionibus, 5. et quantum fieri poteft, formz À 2 alligatus quod facileerit, fi duo obferua   bit,primum eft, vt nó fit follicitus reddere  rationem de armen sn dicit,nifiabip . Ío piove petatur, fedtotum onüspro  bandi relinquat arguenti; Alterum eft,vt sé per ante oculos habeat commune i inter dilputanres fes? mega, rarbdilingat,  nunquam copcede,primuni& fe (Art E Cumentum nos monenttutiuseffe negare    ropofitionem, fiin omnifenfu veranon  t, quàmillam diftinguere,necaddiflin  &ionem effe recurrédum, nifi manifefta vr  geat neceffitas, aut di(tin&tio calis fit, quæ lum argumentationis omnino adærfario przcidat ; pertertium veró documentum  non prohibemur concedere propofitiones veras,& quz nihil obfunt, fed tantum pro». digalitatem vetat in concedendo : interdü   enimeuenit,vttantz liberalitatis defendé tem peniteat, dum videtíe ex conceffisab  ria: Hin cea ; Quod fi obiedta  erit aliqua auctoritas, quam negari non licet, cam breuibus explicare tencturapes  Diu. Ww ^ turtria tantüm  Logica f. Dcfinitionem, Diuisioné, et Ar LU effentia, ^ :: mi 2 (0 Déait inuéniendimedum e lent difpu: sriendo mentem Auctorisin fenfu, qui (uz eonclufioni minimé contradicat,   Poftremó munus Patroni, X Prafidentis difputauonis eft attété totum progreffum argumeati et difputationts.comprehendc  fe, providé rcípondenti fuggerere,nega tioneni, concefionem,explicationem, aut diftinctionem propofitionisiiple vero pau ca, et cum grauitate loquatur, certus fuum Defendentem plus honoris adepturum ex Afhítentis filentio, quàm cx multiplici eius interpellatione,& colloquio cum arguente, nam ita indicabit illum ita fe gererq in con clufionum,VtA e non egeat 5 ü rà quia fupponitur difputationis Patronü virum 54€ proinde de fuis par tibus omnino certum, alia de addenda non funt. De Modis, fef Imfrumentis femnai 326 amuis de Modis, feà Inftrumen . tis fciédi fusé acturi fimus dif. 1. Log.per totam, attamen ad calcem huius primi Tra&atus ad;jcere placuit hoc Capuc de Modis;& Inftrumentis fciendi, vt de ip fis vt poté qui pracipué a4 facultatem Lo gicam fpc&tant, Tyroues etiam in hac par ua Logica aliqua przlibare poifint :. quaré hic veluti compendio: complicabimus de hac materia, quz loc. cit. fusé dicturi fu. mus; nomine itaq. Modi ;fzu. Inftrumenti Íciendi intelligi folet in fcholis via diftin &é cognofcendi id, quod anté confuse co Ese,; vnde à Summuliftis definiri olet, quod fit eram manifeflatiua «l icuius ignoti, fiué id faciat via illatonis, fiué alio eius munere . modo per quod excluduntur voces sim lices,& incemplexa quia fufficientes non unt ad explicandam rem diftincl?,& expli. cité, fed tantüm confusé fignificant,vt tra didit Arift.in prohem. Phyf. Hinc deduci effe inflrumenta. fciendi gumentationem,vt docet Scot lib.s.Prior. 42. quod breui, et evidenti difcurfu ità fair: iadet Tatar.quarit. i. prramb. Logicz;mo dus fciendi eft oratio manifeftatiua igno tí. hocautem vel eft complexüm, velincó plexum, stincomplexum, vel id cft effi ntia .. reiintegra, et hzc per dcfinironem expli   €xtur, vel partes cius, et bz per diuisionem tur,vt v.g. siignoretur hominis manifeftatur hac definitione ef TAtjon4le, si ignorentur partes cius; 95 manifeitantur hac diuisione, bomum;; «lj« . Cu pars efi aminta «lia corpus si vero quod E iis ; ratur eft quid complexum,vt v.g. quo ma fit rifibilis ttatim manifeftatur per hanc argumentationem, Omse «mimal rationale ejt rifibile, omnis bamoeff animal rationale, ergo omnis bomo eft vifibilis, ergo) sicutnul« lumaliud datur ignotum, quod manifefte tur,ità nullusalius datur modus fciendi, qui manifeftet . Alij ad hzc inftrumenta fciendi Enunciationem addiderunt  et alij methodum fumendo methodum pro ordi. .. ne, qui in fcientijs obferuari debet, vt di ftin&ée tradantur, et sine confusione. Sed vt dicemus in quzftionibus, enunciatio re vera non eft initrumentum fciendi;quia de ratione enunciationis, vt sic, eft tantum . enunciare vnum de alio, non autem ignotü ; manifefkare diftin&té;, in quo consiftit radio modi (ciendi ; neque propositio valet hoc munus obire, nisi virtute definitionis, di uisionis,& argumentationis, si nimirum in illa tur definitio rei, vel per illam ef fentia rei in n Ueton vel de nique per eam difcursiué procedatur ad co t gnitionem rei; Methodus autem, fiué ordo in fcientijs tradendis; quamuis valdé iuuet. mentis ionem, non tam eft inftrumen tum ab illis tribus ANULUM CÓ. munis illorum re&a quadam diípositio, vt bené dirigant cognitionem noftram, vt. ibi declarabitur; maneat ergo tria tantum effc inftrumenta fciendt proprié loquendo Definitionem, Diuisionem, et Argumenta tionem, et horum quidem przftaotius, et . efficacius effe argumentationé,vt poté que procedit per vim illatiuam ad manifeftan dumignotum, de qua xa fusé tractatum eft inTuperioribus,alia hi tet,íed folum de definitione, ac diuifione. 127 Dcfinitio diuidi folet in definition&. quid rei, et quid mominisilla explicare con tendit rei efsétiam, et quidditatem vel per effentialia, velfaltim per accidentalia, hzc veró non tam explicat rei effentiam, quam ; ipsius nominis cthimologiam, et sicuifica tiopem, et per hanc indicat à longe, et confufo Diod ipfami rei effentiam, vt cum definitur mulier, quod sit mollis ær, lapis. quod ledit pedem &c. itaq. dim ffa defin: tine quid nomini:, vt parum explicantecf fentiam rei, definitio quid rei tur ab Arift.i.Topic.cap 4.& z.Poft. cap.ro quod sit oratio quod quide]? effe vei fiesiff CAD, o oratio explicans e(fentam,& naturam rei et eratia, quia neceffarió plurcs c x c addere nó opore, COMNIS 96. Pas Prima Init. Trati.IT.Cap.XHL fios vocales, vel mentales continere de bet, vt nimirum cx vi vnius definitum cum alijs conueniat, et hoc habebit rationem eneris, vel quasi generis, et ex vi alterius atacar ab alijs, et hoc habebit ratione diffcrentiz,vel quasi differentias sic in ho minis definitione, quod eft aximal. ratima 4e, nomen animal,vel conceptus illi corre fpondens commune eft omnibus brutis, ra» tjonalem autem animali coniunctum ef differentia ipfum difcernens à quocunque alio,' quod non eft ipfum ; dicitur autem qnod quideft e[fe res fignificams, Nt per has particulas fecermatur definitio à cgteris orationibus effentiam rei non explicanti bus, et ab alijs fciendi modis,à diuisione idem, quia ipfa non explicat integram, totalem rei effentiam, fed partes ; ab ar mentatione ver^,quia neque hzc mani at naturam rei, fed an aliqua proposi tio sit vera,vcl falfa . Quia vero per defini, tionem poteft effentja rei dupliciter expri mi,nimirum vel per partes effentiales, fci principiaintriefecé rem conttituentia vel per proprias pathiones,& accidentia extra nea; definitio quid rei diuidi folet in effen tialem.fcà quidditatiuam, et accidentalem, fe deícriptiuam ; definitio effentialis di citur, quz dátur per partes effentiales,que si fucrint physicz, «t quod homo elt 1d, uod conftat ex anima, et corpore, dicitur deftitio effentialis physica, si fuerint mc taphysicx nempé ecnus, et differentia, erir. definitio effentialis,.& metaphysica, vs cit dicimus, quod homo cft animal rationale ; "definitio accidentalis cft cum effentia rei per extranea exprimitur, et circüfcribitur., :1328 Rurfus dcfinitio cffentialis; et quid ditatiua duplex eft quzdam puré quiddita tiua, alia vcró per additamentum dataipri ma dicitur puré quiddiratiua, quia. omues in ea contenta discüte, et per fepri mo pertinent ad quidditatem definiti, irà "definitur homo, quod fit anlmal rationale, ac paritcraliz fubltantie éompletz, quia earum entitates adeóabfoluuntur ab ordi ne ad aliud extrinfecum ipfis, vt perfecte in fe cócipi poffint abí q.vlla tali babisudi, me, alia vere dicitur quidditatius non pu 1€, Ícd per additamentum data, quia ad perfc&am rei notitiam pariencam vltrà effentiales partes. definiti additur in dcfi nitione aliquod extrinfccum, ad quod dcfi nitum dicit ordinem (3ltim tranícegdcnta lem, que paéto materia definitur ptrordi nem ad formam, anima. ad.corpus. ai de A : Doctor i,Priorum q.5.X 4. d. 1. qa. et doc nim.accideas per ordinem ad. fubieGum ey. .2Metaph.& alia huiufmodi, cum etim sí entitates non omninó completz', fed eiiín tialiter imperfc&z in fuo conceptu perfe Go, et adzquato pendent ab aliquo extrine feco, de qua duplici definitione videatur « 12.q I. P.& Tatar q.1.de genere, $./e/eme dwm. Dcinde defimtioaccidentalis quoqe. poteft fubdiuidi iuxtà varios modosexprie  mendi effentiam per extranea,nam expri mi poteft per proprias paffiones,vtdicene.    do,quod homo eft animalrisibileevel etiam peraccidentia communiaquidem;sifeore.. sim fumantur,fed propriasifumanturcóe   junctim, vt si dicatur quod homo: eft ani mal bipes, habens.caput ercétum &c.. definitio dicirur puré accidentalis, quia. peraccidentia communia affignatur? po  teft deniq.rei effentia cpi ^ extrinfecas.f. afficientem,& finalem,vt.di   cendo quod ^ 3 animal  d Dco propter beatitudinem, qua definitio.dicar calis extsnlécá gia dauir VIP caufas extrinfecasdefinito. €onditiones quzdam bonz, ac legiti mzdcfiitionisfolentaffipnari,quz prz   fertim ad quatuorreducuntur;;prima,aC: inter omnes precipua eft, vtconfletgenee   re,& differentia, vel faltim:fupplente vices illorum, quod additur obdefinitionem ac. cidentalem, in qua genus,. ac differentia: [oes non reperitur, et ratio eft Ub iam upra inauimus, quia ex vi definitionis de bet definitum conuenire cum: omnib. quz cum ipfo fub.eodem genere continentur, et ab.3lijs omnib:difcerai, qua funt füb di uerfisgenerib. primum habet merito gene» ris,aliud veró merito differentiz 5 fecunda.  mo eít;vt conuertaturcumdefinito,jtaut de  quocumq.dicitur definitio dicatur et defi. nitum,&é contrà, sic animal rationale. conuercitur'cum homine, et écontrà, ratio:   huiusconditionis eft, deducitur ex prece.denti,quia definitiotaliseffe debet,vtper . ipfamdefinitumadzaquatéexprimatur, ac  ccernatur à quocunq.quod non eftipfum, arnonsicexprimerct, necdiftingueretil lud si cum ipfo nonconuerteretur,fed'alijs   prater ipfum conueniret ;. vel é contràter  i tia conditio eft, vt sic cla»ior dc fmito iunvit Arift. 5. Topic. cap.s. loc. 17. v 5 ito i A bidie  definitionem tradidebere per priora, et notiora ; et ratio huius condit;onis deduci E 3 tur ex ipfo definitionisconceptujipfacnim datar ad explicandam éifntid sci een. b. : Es ibeqes confuse folum, et indiftin&té per sdefinitü importatur ex probem. Phyf. tex.  4«ergo debeteffe clarjor definito . Quarta denique conditio cft, vcnon fit diminuta, néque fuperfiua ; non diminuta, quia tunc mon explicaret totam rci cffentiam, vt. fi 'dcfineretur hemo;quod fit animal, non ef fct bona definitio, quia non explicatur al tera pars effentiz, qua per ditferentià im »portatur; neque debet cffe fupcrflua cuius defc&lu non eft bona hominis definitio Jg» fit animal ratioriale mortale ; alie folent addi conditiones, fed ad iftas quatuor fa &ilé reducuntur, et in illis virtualiter con tinentur, vt difcurrenti patebit. Quz auté, et quot fint conditiones rei dcfinibilis ex plicabitur infrà difp. 1. q. s. art. 3. interim videstur Doctor 4. d. 1. q. 2. vbi quinque  &xigitconditignesad hoc, vt aliquid poffit gehairi definitione císentiali, et proprie mentum logicum, à diuifione phyficano men traxit, nam diuilio. phyfica eft quada partium feparago, qua antcà vnitz totum conftituebant., vt cum lignum in duas fe catur partes, dicitur diuidi; ex hac itaque diuifione Dialectica diuifio fupe. eft,que ell oratio tstum im [nas partes difiribuens, 4i.oratio dil) ibuendo manifeftans multi plicitatem, (cü confufionem totius, talis eft actus, quo mente, vel voce diuidimus animal,vt totum potentiale, in hominem, et brutum :dicitur era£/o, vt fecernatur à diuisione physica, que Rt re, et in effc &u, non autem mente folüm, vel voce, vt fit diale&ica diuisio 5 additur dfiribuems fotum. dm [uei partes loco differenti, quia per hoc ditlinguitur ab alijs inftrumentis fciendi. nam definitio explicat quid res fit, "argumentatio quis sit, .f. rei proprieta tem;ícü rei qualitatem, diuisio vero quan «ta res xy quantitatem .i.quantüm con tinentia fua fe extendit per partes; vndé .efto diuisio etiam vidcatur per partes ex plicare rei císentiam;hoc non fit per fe pri mà virtute ipsius, quemadmodü facit de finitio,fed coníequenter; et diuerfa quo modo id per vtramq. contingit, quia def nitio pxplicie tfsentiam rei etus partes có iungcn 0,K totum componendo : diuisio vero id facic disiungendo il as, et feparan do, vnde dirccté, et per fe ordinatur ad ex plicandam confufionem, et multiplicitaté partium totius, non autem quidditaté cius, ^^ Quamuis aotem varia diuifionum gene Apt didaJ .  Diuifio, Mus aliud inftru I N s : Dé iri ipiéniendimedii eren fp;   93 ra affiz mari foleant., triplex tamen diuifio przcipué traditurà Philofophis, prima diz citur totius potentialis in fuas partes fuz biectiuas .i. fuperioris in inferiora v. g. generis in fpecies fpeciei in indiuidna: vni^ ueríale namq.refpe&u fuorum inferiorum dicitur totum potentiale,quia non illa actu continet,ráquà cóponaturexillis,fed poté tia,& diuiditur in illa,táquá in partes fubie &iuas prx dicando de qualibetillarü;altera dicitur totius actualis in fuas partes.a les,.i. acu in eo contentas, fiucha m" integrales fint, vt manus, et pesreípe hominis, duo palmatia refpc&u ligni, fiué fint effentiales .i. non fpectantes tantüm ad rci integritatem, fed efentiam quoq. et quidditatcm,vt funt partcs hominis phyfi cz anima, et corpus, vel metaphyficz ani malitas.f,& rationalitas;itaq.diuifio totius a2&tualis in fuas partes eft oratio, ex vi cuius diuiditur totum, in partes quas actu continet, fe ex quibus actu conftituitur, fiue illz partes fint integrales, fiue effen tiales,fue phyfica fiue metaphyfica: s vt fi diceretur, partinm hominis integralium alia eft caput, alia manus, &c. effentialium alia eft aninia;alia corpus ionihdo phyfice, aliaanimalitas ; alia rationalitas loquenda Mctaph. Tertia tandem dicitur diuifio fu bic&ti in accidentia, vel proprius fubiecti per accidentia, vt fi dicatur hominum alius eft albus;alius tiger, in qua diuifione plura aifignatur fubieéta eiufdem rationis varijs  accidentib. afcéta, et fit fuo modo diuifia alicuius totius in fuas partes,fic enim diui ditur tota hominum collectio, vt aggrega tum qu,in fuaspartes;ex quibus ag» g'egatur, ac Solent prztereà plures affignari condi tiones bona diuisionis, quz ad tres redu cuntur; prima cft vt singula membra diuie sionis sint minora toto diuiso ; fed simul fumpta illud adequent, quod alijs verbis dici folet totum d:nifum latius patere sin« gulis membris diuidentibus, non tamen omnibus simul fumptis;ratio humus condi" tionis eff lumine naturali nota, nam totum eft naiusíua parte., ergo totum diuifum debet neceffarió excedere singula. fua mem bra sigillatim fümptas item totum prafcr tim sincathegorcmatice fnmptum, quo s& fu fub ciinpoe caditnihil Ac irà om ncs partes simul iumptas, ergonon patct furipa iis simul foibpds 5 hac dec nbA bené diuiderctur animal in esee d à sibilc, cuntéighla mpesibra vidue) : ; »$ tul (umptá tiófi adzquent diuifum ; cum dentur aditnalia ; quz riec fünt rationalia j ncc nidibiliá neq € cohttà beé diuidere: tur in fensitiuum,& ittationale,quia feüsi juum a qué patet,ac ahitnal ipfum, cum sit fferentia ipsius cohflitutiua j Secunda có ditio eft,vt tietmbta diuidentia aliquo pa €to adinuicem opponahtut .i, sit ità ifiter fc diuería, ac diftinta, vt in eo fehfu, quo funt membra diuidetitia non inuicem coiri cidant vel vnum iricludatur in alioi et ratio eft,quia tubc nori cffcnt membra diftindla, Tettia conditio cft, vt ditiisio tradatur pet membra proximiora, quantum fieri poteft, ne getietetur cófusio, vt cum díuffum plu« rà (ub fe contitiet mernbra. prius diuidatur in propirqtiora, et hac ruríus in alia, vt animal it tationale,& irrationale,& hoc in aquacile, volatile, et terreftte, et hac rur fus in alia inferiora magis remota, de quo fusius in quzftionibus.. : 130 Sed pis nou midus diftinctio, quà diuisio valdé iuuat ad manifeftandam rerü thultiplicitatem,& confusionem,in fine hu ius capitis non eritabs re aliqua de diftin &ionibus,& identitatibus fubrungcre,quá tüm fert Tironum capacitas,«xacta namq. de his tractatio ad Metaphysicam fpe&tat . Thomtftz paffim duas fo'iim.affignant di ftin&iones realem .f et racionis, illam effe dicunt, qa inter plura reperitur prater opus intellc&tus, fcü nullo intelle&tu cogi tante, vtinter hominem, et equum, Pc trum,& Paulum ; diflinctionem veró ratio nis aiunt illam effejquz inter plura repe ritur per folam intellectus operationem quz diftinétio si aliquod habuerit funda. mentum ín re,dicitur diftin&tio rationis ra tiocinate, siué cum fund; mento, et tunc contingit, quando intelledus rem fimpli ciffimam diftinguit in pláres cum funda mento quod habet in ipfa re propter aqui ualent iam,quam babet cum multis, et sic diflingui dicimus in luce folari virtutcm calcfactiuam ab exsiccat.ua, quatenus ea : dcm virtus s;mpliciffima lucis zquiualetil Iis duabus, quas hic in iene videmus diltin &us ; Si vero diftin&lio illa ratienis nullum habuerit in rc fundamentum, illam vocant diftincttonem rat onis ratiocinantis, et ità difiinguere folzmus 11em à fe ipfo abfq. fundamcnto in re:n pradicatione identica dicendo, Petrus«tt Petrus, consideratus en:m fub fecüda intendione fübieéti difin guitur à fcipfo considerato fub ratione pradicati.. Modo difficultas cft, an écbcat Pars Prima Inflit.TracLlII. Cap.XIlF.,opusintellectis, propriétamenloquendo n .es, et modus realiter, ac entitatiuné dari aliquod tertium geritis diftinctienis.; quod tiec proprié sit realis nec rationis, et amuis Thomiftz id conftanter negent, $uarcz tamen diíp.7.Metaph.fec.1.cum cz teris Recentiotib.fua Societatis tertiam quandam diftinctionem affignant mediam intcr realem, et rationis, quam appellant tnodalem, et reperitur inter rem, m fei ; homitie autem modi intelligunt. minie mam quaridam entitatem vltimó determi nantem fubiectum quz non poteft effe si ne tali fubiecto,bené camen fubieccum sine illa;& hoc genere diftinctionis difinguitur fcffio à (edente ; actio ab agente, vnio à re vnita &c.. hancautem dicunt poni de tnediam diftinctionem inter realem, et ra9 tionis,quia certum cft illa enumerata pluse qun ratione abinuicem diftingui,quiá abe oluté loquendo vnum effc potcít siriealio y licet non é contrà ; nec etiam dici poffunt. diftingui realiter,quamuis enim poffet dicididlinctio realis,vtexplicaturà Thómiflis,. proilla quz reperitur inter aliqua prater. de diftin&tione realiacentitatiua,nequeü£ muc mo ^ édiline. guiquia difin&tiorealis proprié dida vers    aturinterrem,& rem;.iinterea,quzTede liter Ac de poffunt,& vtrumq.fefoloexí fterefaltim per Dei potentiam, quopadla  difunguuntur duo homines,amma, et cote pus. Nc. ) e 9 2G . Verüm efto cum Recentioribus iftis fæ teamur neccffüitatem diftin&ionis mediz interrealem proprié didtam, et rationis;     nequaquam tan€éad hecmducimurexfun   damcnto ipforum,nam inprimis fa'fum eff,   quod i dicunt, ad diflinétionem realem. interaliqua opuscffejquod sintabinuicem   lcparata, vel fcparabilia hoc enimmeq.in creatis,ncq.in diuinis verificari poteft ncn quidcm. in diuinis, nam perfonz diuinz nó. poffunt feorsim feparatz cxiftere; com.vna. sitin a'teracircuminceiionem;,vt inquiunt. Theologi, et tamen realiter diflinguuntur necctiam in creatis,quia hie multarealiter.  diftinguuntur diftinctione rcali proprie di €a qua tamen nequcunt abinuicem fepa ran,vcl feparata exiffere; sic aiunt Sconltz j totum pscunuk eius partes vnitas rea» liter d ftingui inter fe, non tamen vnum Íc ab alio feparari, sic ctiam Thomitta fue bic&ur: à p. fione realiter diftinguunt,ine ter quz tamen ncecffariam agnofcunt con» ncxionemindifpenfabilem;Deindé,quando «Gan hoc totum concedercuir requiri ad rc 2.5 Demollis,feis infirumentis find à gealem diftinQtionem, vt.(.vnum fit (cpara bileab alio, adhuc tamen falfum eft hanc feparabilitatem deber effe mutuam ex parte vtriufq.extremi,t.f hoc fine illo,& e contrà exiftere poffint;nam fufficiens ftgnü diftinctionis realis, ac entitatiuz inter ali. ua dito eft,quod vnum poffit ab alio diuel iyquomodocumq.id ier cis vndé crea. tura adhac realiter à Dco diftinguitur,ctiá fi fiæ ip(o exiftere nequcat, et actus vitalis realiter diftinguitur à potentia, et tamen in fententia prafertim Recentiorum nequit ab ea diuclli;& fe folo conferuari;non erze ad realem diftind;onem ncceffaria eft mu  tua feparabilitas cxtremorum;atq. ideó di ftinctio illa,quam ipfi ponunt inter rem, et modum eius extrinfecum (nàm de diftin &ione reià modo fuo intrinfeco) aliter sc tiendum optime reducitur ad diftin&tionérealem, cum abfoluté loquendo res poflit à fito modo feparari,lic:t non &contrà; tum uia vt ait Doctor a.d.p.q.5.9. qwod ff ad^ c, licet modus re extrinfecus, vt feffio, vbi,vnio, Kc. non fic ità res,licutilla, cuius eit modus, non camen nuila res eit, ficut nec vllum ens, quia tunc nihil effet, quod  repetit quol.5.ab initio, vnde concludit . ibid, hanceffe de nomine contentionem, num f. dillinctio inter reni, et talem mo dum fit dicenda realis n us modalis, quia iuxtà varias entitatis, et rei acceptiones po teít hzc diftinctio vocari realis, sica d lis, vt fufius in.quzilionibus .  131 Ex alio itaq. folidiori fundamento admittenda. nobis cft diftin&tio quadá me dia inter realem fimpliciter didam; et ra tionis,cum Scoto t.d.z. q.7.:$. Sed bie re fat, et d.8.q.4. qua dici confucuitin noftra fchola diftinétio ex naturà rei formalis '; dicitur quidem diftin&tio ex natura rei, vt fecernatur à diftin&tione rationis, quz fit opus intclle&us ; dicitur veró forma Low fecernatur à diflinctione reali, ac en titatiua proprie dida ; quz ve inter rem,& rem, at hzc media, de qua loqui nv æ   ;& o, malitatem,quaz plerumq. in eadem re phy fica snæ mda indin per sedie Me: titatetn, qua ratiene etiam alio nomine di cuntur realitates deriuato à re vocabulo cum diminntione, vt oflendatur illas non cffe proprie rcs diucrfas, quia non habent dmerías exiflenzias, fed potins plures ewf dem rci realitates, et aliquitatcs, quz cum adhuc habeant diuerfas rationes concepti «vt per hoc oftendaturnon c .99 intelledias, non «pim «ffe in intellecta. éac illiseationem formalem quidditatiuá, fcd taleri habent à parte rei, vt habct Doctor wol.1. lic. Q. confequenter ctiam fundare dicuntur diftinctionem ex natura tei for malem,n aioreim quidem diftinctione ra tion:s, quia habet etf: przzer opus intdlz &us, (z1 minocem ditbindhione reali, quia non elt inter rem, X rem rinter aliqua duo, quibüs diuer(z corre[poadcant exiftcatiz, fed inter realitatem, et realitæem, quz li €t habeant proprias rati»ncs formaies co cepubiles, noa camcn hab :pt diucrfas exi ikteacias, fed fürulz vnica cxi fluat exiften tia, hirnirum ilitus rei, cui 4dcncificantur . Confirmatur adhuc, et magis explicatur hzc communis doctrina Scoriftarü ex Do &ore defümpta z.d. 5. q. 1. nam in vna, aé cadcm rc phyfica. multa reperiuntur for malitates, X realitatcs immcríz per 1den titatem,vt v gn homine rstio fubftantie, corporis, animalis, rationalis, rifibilis &c. quz etiam dici folent gra dug netapby fici, proprié res diuerfas,fed potius plures eiu(dem rci gra dus; itli veró gradus in homine licet pto rias non habeant cxiftenzias, fed omncs, fagul cxiftant adexiftentiam ipfius fio minisideoq diucifz res dicrnequeant,nec proprie fun Járe difhioctionem realem, ac entitatiuam; adhuc tamen habent. díuerfas rationes corceptibiles,& definibiles, vt có "ftat deanimali, X rationali, neq. enim duo diuerfas habent. rationes, quia ficap rchcadunturab intellectu, fed potius ab "intellectu attinguntur, vt in fuis conccpti bus diuerfa, quia tali1funtà parte rei, vt aiebat Do&tor quol. 1.Q. ergo inter tales réalirates, et formalitates rationabiliter a lia diftin&tio poni non poteft, quam fo rma lis ex natura rei; non enim «ffe. potefl di ftin&tio rationis, quia ditlinguuntur citrà omnem intelleétus operationem, neq. di ftinétio realis,quia non elt inter plures res, fcà plura entia propriam exittentiam ha bentia,erit ergo di(tinctio media inter vtrá» que. Neque viles quod od folent dicere Tho miftz inter hac fufhcere diftindonem ra tionis ratiocinatz, et cám func to in re; Quia hzc diltin&tio non datur actu, et formaliter à parte fei, fed tantüm funda mental:ter,& virtualiter; completur vero, S actuatur ede se intellectus; at aradus metaphyfici prædicti, panter fübicctum, et paflio diftinguuntur actualhter prater biles, et definibiles (cclufo quecunq. opere Mei scpusc usteucenigt esæ p " 2 100 tellectus operationem alia formaliter eft  ratioani nalis, alia ratio rifibilis, vel ra tionalis, dumitaq. quod fi per diftinctione realem intclligamus illam, quz immedia té, &à toto generc feccrnitur à di(tinctio ne rationis, vt nimirum eft illa, qua datur €x natura rei, et prater opus intellectus, fic inter diftinctionem realem, et rationis nulla datur media diftinctio, quia diftin ctio formalis ex natura rei continetur fub diftinctione reali fic explicata, vt quedam Ípccies ; At fi per diftinctionem realem in tclligatur illafic proprie dicta, Te vere fatur nimirum inter rem,& rem,ícü inter extrema diuerfas exiftentias habentia, fiue abinuicem feparari poffint, fiuénon ; fic vtiq. inter diflinctionem realem, et ratio [] C aunpoffibilis,vtdixgm, nis adn iztcnda eft diftinctio medía ; quæ verfatur. inter plurcs realitates,feü forma litates eiuídem rei modo iam explicato à et fic dantur tria genera dillinctionum, ad quz alia omnia excogitabilia red..ci pote runt, nempe genus diftinctionis realis, di ftinctionis formalis, et d:ftinctionis ratio ni5; diftinctio realis conftituitur in fuo ef fe per diuerfitatem, fcü alietatem exiftenz tiarum in fuis extremis; diftinctio forma lis per diuerfitatem. rationum forimalium y Ícü conceptuur obiectiuorum; et tandem diftinctio rationis per diuerfitatem confi derationis noftrz, fiué cum fundamento in refiué non: et hzc attigiffe fufficiat pro capacitate Tyronum, de quo fuséagemus infrà difp. 1. qu. 5. art, a. et fufius adhuc difp 6. Metaph. d a, H I. » trei potradi.3.e dutem nec Petrus. Hofgan. nec alij : ummulisia im Leeieis im/ist, de fyllori/mo wp Vice Jf mij 4. my agere félexnt, tam dic; eft 5m rrolog, ad bes !nfistdbec min fugff mifierinm,' fei «t3. ides in boc vefljeus corum nem efi herendum,fed [pecialis quoq. dehet smflitui traitutus de Jyllsifmo demsnfratimo, ficur ro dmt Dial: træ 7 Erde TRACTATVs L ' auæ fyllogifmo demonfratiuo. De pracognitionibus, et precognitis, C 4p.  I. : 1 Nter omnes. filloeifmi fpe : ciesprincipem locum obti net demonflratio, vt poté X qux ia mat.ria neccffaria j «conficitur, et quia ex tcr minis, et propofitionibus coafat, ficut ca teri fillogifmi,non tamen ex quibufcüque, n erit dc condition;bus terminojü, enfissitwr. de Topsee jew Ele ncho, vtbené aduerso, Cao  et propofitionum dcmonflrationem inte   Brantiuni,ac de ipfa demonftratione, eius que cfícóhn,qua eft(cientia;& jurc merie t6,nam omnis doctrina, et omnis di(crplina difcurfiua, inquit Arift. in prin. Iib. Poft. fit €x przcxiltena cognitione, ideft omnis co £aitio illatz propofitionis, et conclufionis prefoppont cogaitioué alterius propofis tionis inferécis, ftcut süt przmiffz, in qbus. virtualiter cótiætur céclufto, cü difcurfus. fit illatio alicuius ignoti cx notiori; quapro ptér ad exactam cognitionem adipifcen dam conclufonis demonftratiuz aliqua  pracognoíci dcbent, vt functermini, et premiffe cxillis formata,  cit. l9 pi DIALECTICARVM INSTITVIIONY De attinentibus ad materiam [yllogifmi. et Va ad, firmam filleeiflica fpeBl at explicuimurs reflat,vt v. qua confres folct epfe f'slopi[mms, qua. vatione materia circa run. upatur declaremui.Cr quomiam thsplex ejl, mece[far 4 «, contim uid yup. tra 2. c. vnde dam eres fillogifmi ratione rnateria puta filloeifnus demonjiratiuus in TI& vcce [aria topicus immateria contingenti, C fophictieus, vel ret in materia falf' feu impc[Bbsls, vtimnuimus 1 Min 1deireo pars ifla 3m tres Tradfatus pariformiter. (ubliuiditur, Guamuis igkur primó,que debeant effepracognita, et quid de illis przcognofci. 2 Precognitio fumi poteft duplicfter,  velformaliter,& fic dicit cognitionem ali cuius neceflario. prarequifitam ad cogni tionem altcrius, vcl obicctiué, et eft . obiedum tcrminans talem cognitionem, quomodo fignificat modum. coguofccndi rem aliquam ab intellectu, et ficiamitur in afenu. Quinque autem funt modi cogno Ueiprimus edt quid nomini:, fecundus, n res [rt,certius quid re: fit,quartüs, quali; res (it, Quintus propter quid res fit, quorum pofterior przfupponit priorem, vt .n. fcia mus,quod homo fit, debemus przcogno Íccre, quid importctur per hoc nomen 4o m?,vnde quia modus przcedens refpectu fequentis eft przcognitio, et fequens eft quaflio, fit quíod primus modus, q»d no» minis, dictus femper erit przcognicio, X yltimus modus crit qu&ítio,nunquam prz coguitio;quatuer igitur in fpecie erüt prz cogritiones,fed poffunt ad duas in genere reduci, vt facit Arift. 1.Poft.cap. 1.94 eff, «ed eft, primus modus fubdiuiditur 1n ^ Suid eif nimimii,& Quid ejl rei ; ctenim de vy LH $e XT Ns  dnos fignificat  re aliqua duplicem pofumus habere defi nitionem,& conceptum, confufum (cilicet, ipri icitur Quid et dif pru ' ] porm sire Secunus modus fubdi uiditor,i di pa gii ica p cntiz,fiue aptitudinalis,fiue actualis... et 20 $n Quod eff compofitum,Uy complexum, figni ri ficans «critatem propofitionts ; et przmif . farum . . Dices quatuor süt quzftiones ex z.Poft.  €ærgo quatuor füppofitiones.fcu przco gnitiones, quia quallio vnum quarit, et aliud prxfupponit ;Tum quia tria funt prz  ' cognita cx t. Pofl.c.1.ergo tres prxcogni tiones,quia pracognitio, et prxcognitum funt rclatiua. Rcefp. cffe quatuor in fpecie ; et duasin genere. Ad z.negatur confequé fia; ad probat. dicimus przcognitum, vel dicit denominationem ex actu, cognitionis proucnientem,& fic cognitio, et obic&tum  €ognium poffunt dici relatiua, et tot effe a&us, quot obiccta cognita 5 vcl dicit rem coguitam,& przcognitio modum cogno fÍccndi,& fic proprie nan funt relatiua,nam idcm modus pot«ft pluribus re&us conucni rc, et eidem r&i plures modi . me itum dupliciter fumi po:eft, Primo,vt dicit obicctum termipans przcognitionis, &hoc medo Qvid ef, et 7 De Syllogifmo demonftratiuo . rÓI Quod est, przcognita dicipoffunt; fecvn lo, vt dicit rem illam quam intellectus conci pit fub modis cogno(cendi aflisnatis, X de cu percipit Quid eff,& Quod «4, &inhoc «nfu fumitur in przfcna ; et funttria fu biectum.paflio,feu pradicatü, et dignitas, fiue principium ; ratio huius clt, quia con clufio demontlrationis potiffimz (de qua loquitur Ar:ft.dum przcognita enumerat) conflat ex fubiecto et paífrone, erzo quia cognitio terminorum przfupponitur co nitioni propofitionum,fübicétum, et paf o ante conclufioncm debent przcogno fci: et quia conclufio ex principijs infertur etiam przmiffz debent effe pracognitz, quz dignitatis ey modo dicuntur, di gnitas.n.proprié de primis principijs di citur . Inftabisante concluf. debent przcogno fci conflruétio demonflrationis ii modo, et figura, visillatiua,& medtum;ergo plura recognita quam tria. Tum z quia fubie vei A paflio integrant principia, ergo à funt prxcognita ab illis diftin&ia. Tum 5. aliquando in deniomftratione concluditur aliquod przdicatum «ffentiale, vel accidé tale per aliam caufam tanquam per mediit, vel per paffioné ipfam, ergo páffio non cít femper przcognitum. Refp.ad 1. hic loqui de przcognitis ad materianidemonftratio nis pertinentibus, non ad formam, is eitconftruétio in modo, et figura, et vis il. latiua: Medium autem, cum fitin demon.  ftraticne potitlima definitio fubicéti,potius erit przcognitio, quam przcognitum, vt dicenius. Ad 2. quamuis integrent. princi pia, non tamen eadem pracognitione pre cognofcuntur vt in principijs vnita, et eor fim fumpta, vt ftatim declatabimus. Ad 3. affignara przcognita funt demonftratiohis potifima, in qua paffio femper per fuawa caufam cócluditur de fubiecto.V el dicimus idcirco 2tlignaffe nos fecundum ptacogni tum tffe paffionem, aut przdicatum ; nam r iftud intelligitur omne id, quod dcfu Dicto in conclufione demonttratur . 4 Applicando przcognitiones przco genitis; dicimus primó . de dignitate nó dc bere prxcoenofcinifi Quod frt complexum; I. quod fit vera; ratio elt . quia X fi digui tas, vt icit vnam fecunéam intentionem pofitionis ; fit quid incomplexum  et abeat quid nominis, et qu d rci: attamen fi exercire fümatur, vt dicit ageregarioné illorum erminorum per copulam vnito rum; non id et fiuc aominis, fiu rei, La o 3021 tei, neq. Quod eft fimplex, hzc .n. omnia incomplexisconuemunt, &in tali acce ptione fum;tur, cum inter przcognita nu meratur, quia vt fic inferuit conclufioni, nó veró vt dicit illam fecundam intentionem, ita Do&or 1. Poft. qu. y. neceffe cft igitur przcoenofcere, quod principia demoftra tionis fint vera, et etiam principia illa có muniitfima abomnibus conccffi, qualia funt De quolibet verum e affirmare, vel megare, neceffe est. quodlibet vel efe vel nón effe; ad quz principta,omnia alia refoluütur,vtra que.n, intellexit Arift. nomine dignitatis. De paífione certum eft, non debere pre Cognofci Quod frt complexum, neque Quid rei, quia in definitione paffionis ingredi tur fubiectum,& explicatur inharétia paf fionisin fubie&o, hoc autem concluditur pcr demonítrationem 5 deinde certum eft pracognofci de ipfa Suid nominis, hzc .n. eft prima omnium prz fuppofitio, neq.po tcfít dealiquo vlla quzftio moueri, nift fal tim confusé cognoícatur,quid per tale no . mcn intelligitur . Dubium tamen eft,an de beat pracognofci €«o4d fit incomplexum, fcu ipfius cxiftentia: et quidem in aliqua demonítratione eft euidens przcognofci, vtcumà Rut, et per fenfum cogno fcimus effectum, v.g. echlypfim, et poftea per caufam à priori demon(tramus ; atta men noneft hoc femper in omni demon ftratione neceffarium, eo quia poteft ali quando dubitari de paffionis exiftentia, et tamen de fubie&to demonftrari,vt eft ater itas motus, diuifibilitas quantitatis in in pitum,Kc. qua ratione Arift. affcruit de affione Quid nominis pracognofci,, quia tus eft de przcognitione, quz in om nibus interuenit demonftratíonibus, non ncgauit steiquia aliquando etiam «» frt de paffione przfupponatur . Dices, de fubiecto in tantum przfurpo nitur an fit,quia nemo quarit, an ipfi t. lis pafio conueniat, nifi ipfum fupponeret pron ;trgonemo quzreret, an paffio ubie&to conueniat, nifi vt pefibili pra cognofcatur . Tum quia quid eft prefuppo nit an fit, ergo fi dc paffione przíupponi tur Quid cft,etiaman fit . Tum 3. in maiori propofitione paffio vnitur cum medio ter. mino, ergoanteconclufioncm przfuppo nitur exiftere. Rcfp.ad 1. hefiade parita tem;quia (ubic&um eft id, de quo quzri tur, €ideo przfupponidebet habere ali quod effe;at pafíio, feu pradicatum cft id, quaritür, an conucniat, fubie&to,  definitio hominis, quz eft animal rationa Pars Secunda Inflit. Tra&Ll. Cap.I. tura,eo vel maxime quod exiftentia paffio nis eft inexiftentia in fubie&o, vndé nó teft rc&té pra fupponi effe, nifi in fübietto Ad z.affumptum eft verum de Quid eft reí, non de quid eft nominis . Ad 5. talis cogni tio non conuenit paffioni in fe, et abfolnté, fed in ordine ad propofitiones, et pramif fas, ideoq; non d: bet affignarivt przco gnitio propria paffioni, vt diftindum eft pracognitum à przmiffis.Expeditius tamé erit affercre de paíhone debere etiam «m ff przcognofcere (alt:m confuse,& Arift. td circo przterijffe, quia in demonftratione diftinde oftenditur, et p: rfc ipfius inexi ftentia in taltfübicéto ; quod etam malti .: tenent, vt Morif.difp.z.Log.q.s. et iafinüát (d Complut.difp. 17. q.2. « 5 Tandem de fubiecto non prafi e tur,quod fit complexum,fed quidnomini$; deindé quod fit incomplexum et V tein LS flentia,namanficprecedit qualéfit;& pro pter quid fit ; tum quia fübic&tum eft bafis,  E :4 H », . et recie 2 n Mm €rgo pt oni debet exiftere. a 1 FIRMME Quote Qujd rei in demon(lratio     ne potiffima, nam in hac medium eft quid. x ditas,& definitiofubic&ti,vtdicemus,ersgo debet ante przcognofci : nom w$ tamen,quin in demenftratione à pofterio ri,& quidditas, et exiftentiafübietti poffint effe quaftiones,vt dicemus in difputaties nibus, cum de conditionibus fubie&tifciem  tizloquemur, "V Poteft igitur hzc tota do&trina exer declarari : fi quzreretur,an homo fitrifibis lis, vt talispropofitio probetur,oportet . pracognofcere quíd fienificetur per ifta nominahomo, &rifibilis& quod homofit  ens v vil flbile;deindéquiamedium  demonitrandi rifibiliratem de homine eft: ideoque poteft lubirarian fit inrenimmaz "EQ UO UE le, ideo dcbet etiam de homine przcogno fc quid rei . His przacceptis intcllc&tus procedit ad formádam demonftrationem: demonftrando conclufionem per premi fas, de quibus debct effe certus, quodfint  verz,& non falfz,nam ex falfis nequit oft&«  di verum, ex diclis p.p. tra&t. 5. ! OH. 99d De fcientia demenfiratenis effetfn, m^ 6: wram, &preprietatesdemore  Mime is cogno ipi fiitequod c& notitiam parcic De Scientia. nueftigare debemus . Ft primo, quod de tur in nobis de nouo notitia certa, et fcien tifica de aliqua re, probatur aduerfus fo phiftas omnem fcientiam negantes, et con tra Platonem admittentem quidefn fcien tiam, fed non de nouo : putabant .n. anitmá moftram ab initio fuz creationis omnibus Ícientijs fuiffe decoratam, at in infufione in corpus ex coníortio fenfuum omnium oblitam, fed paulatim indé fuccedentibus occafionibus ab externis excitari, et eorü, uz Íciebat;teminifci, vndé inferebat no fen fcire effe quoddam reminifci. Quod detur, probatur experientia, áliqua n. cer to fcimus etiam per caufas, cognofcimus €tiam certo aliqua principia, ex quibus deindé alia euidenter deducere poffumus. Tum quia habemus naturalem appetitum ad cognitionem rerum per caufas,ergo nó Gebet cffe totaliter fruftra, vt nullain no bis detur fcientia. Tam quia, vel hoc, quod tít nos neícire omnia, certà fcitur, vel nó, f (ccundum, ergo non dcbet rotaliter ne. MNA primum, ergo iam in nobis certa,& euidens notitia noltrz igno rantiz, et confequenter fcientia, quia « fct notitia alicuius per caufam. Deindé quod dcnouo generetur, prater quam quod eft de fide quia anmmanoftra in coinftanti, in quo creatur, corpori vnitur, vt determina tum fuit in Conc. Later. fub Loore X pro batur adbuc, nam quorum reminjfcimur, non folum recordamur de illis, verum etià   fzpé deipfo cognitionis actu, at nunquam ínacquifitione primaria notitiz rerum re cordamur habuiffe. de illj: cognitionéali quam . Tum quianullus pofft cffe errorin . intellectu, quia phantaíma folum excitaret fpecies ab initio infufas, quz non nifi verá cognitionem neri poffent . Qua propter intellectus nofter à p pee tanquam t: bula raía, in qua nihil cft depictum, fed in fenes ad omne intelligibile, ficut ta bula ad recipiendam quamlibet picturam ; et potcft vel totaliter ab intrinfeco, et jp prijs viribus acquirere fcientiam alicuius rei,vt cum ip(e folus per inuentionem ali qua cognofcit ; vel partim ab extrinfeco, uando .f.non eft bene difpo(itus.&indiget Dore tanquam excitante, et applicante rincipia ad igferendam conclufionem. Obijc. quód non detur rerum fcientia, Tum quia (ntcllectus mouetur à fenfa; fen fus autem Fillitur, vt patet. Tum 2. quia fcientia e(t de ztemis, et certis, res verà funt corruptibiles, Tum 3. quia nonattin 105 m naturas rerum, fed potius per quaf am fimilitudines illas percipimus,ergótió habemus veram de ipfis notitiam . Tum 4. ww de omnibus dubitari poteft etiam de illo primo principio .f. Quodlibet neceffe eft effe,aut non effe, nam multi boc nega runt, vt refert Ajift.4. Met.9. Refp.ad 1.nec femper fenfum falli circa proprinmobie &um, quando eft bene difpofitus ; nec in tellectum neceffarió fequi apprehéfionem fenfus. fed proprio lamine, et aliorum fenz fuum ope poffe errorem alicuius corriges re. Ad z.non concludit vniuerfaliter,nam dantur res zternz, et adhuc dicimus nó re uiri ad fcientiam zternitatem rerü in exi endo, fed in effentia, puta, quod propofie tiones fint fempiternz veritatis, vt infra. Ad s. rti intelligibiles funt rerum fi militudines naturaliter reprafentantes, ideoque es ipfas veré naturas rerum attin« gimus. Ad 4. non debemus ob aliquorum imperitiam,1mmoó petulantiam negate ome nem notitiam certam, et euidentem . Obijc.2. quód non detur fcientia deno 105 nam cum aliquid quzrimus, vel illud fcimus, et fic nil de nouo cognofcimus, vel illud ignoramus,& fic nunquam poterimus cognofcere, ficut fi feruus alicuius aufugee rit, fi quifpiam antea illum nouiffet, inue niet,fi occurreret, at fi nullam habuit dioti« tiam;etiam occurrentem non cognofceret, Tum quia fi conclufio fcitur per prarmif fas, aut fecundum fe, aut applicatas in mo do, et figura; non primum, quia fic fcien tia nen habere er demonítrationem, nec fecundum, quia talis applicatio, vell eft nota ante demonftrationem addifcenti,  et fic ipfi nota quoque erit conclufi», vel ignota ergo non poffet ducere in cognitio nem couclufionis. Refp. ex Arift.1. Poft. 1; quod conclufionem ante demonftrationem nofcimus confusé, et imperfe&? in fuis  principijs, in quibus virtualiter cótinetur s et virtute luminis intellectus fitnota per fecté, et diffincté, ficut res, quz non eft, virtutéalicuius caufz producitur in effe. Ad s. conclufio fcitur per przmiffas appli catas, quz applicatio fit nota intellectui prius natura, quam conclufio, ftatim .n. ac iwinor additur majori, intellectus deduci turconclufionem, et pramiffz not fiunt ex terminorum cognitione 5 omnis n. do ctrina, et difciplina difcurfiua ex pracxi ftenti fitcognitione. EA  HCM 104 vem per cau(atopnofcere, propter q «amres, quod sllies ejf caufa, P non contingit a iter fe habere 5 hac eit definitio fcientie qproprijffima dicta, fcire .n. tripliciter po. teft accipi, communiter ; et dicit euidenté comprehenfionem veritatis, quomodo ad contingentia fe extendit,vt cum cognofci. tur Petrum currere,fecundo proprié,& di cit euidétem comprehenfionem verz pro pofitionis,qua nequit effc falfa, et fic (olü neceffaria Íciuntur 5 tertio proprijffimé pro cuidenti cognitione alicuius veritatis neccffariz per cau'am, et fic fumitur in praíentisly eegno/cere tat loco generis,ex tenditur.n.ad quamcunque cognitionem, etiam fenfitiuam, additur ger c«w/am, ad differentiam corum quorum cognitionem non habemus per caulam, vt eft cognitio principiorü,& cognitio à pofleriori, et P effectum; additur propter quam re; eff, quia multa iuntcauíz, fed adícientiam folum €ücurrere débet illa caufa, quz cft propria illus rci; et proxima,qua pofita ponitur ef feétus,& qua remota remouctur, (ubditur quod silins e eua, quia nedum oportet, quódilla caufa fit caufa proxima, fed requi ritur quód intelle&us fciat effectum à tali caufa pendere tandem additur, € pon con tjngit aliter fe baberequia requiritur,vt in. tellectus nullatenus dubitet de. cffe&tu, quod a tali caufa proces ; imó quód fit roríus impoflibi ientia nollra dicitur notitia certa,cuidés, er caulam proximam, et nata ficri per di edi filogifmum. 1.9 Mitam fcientiam Arfft, 1 Poft.cdt. fe  Cernitab ali js habitbus intelleéis, Sc co nitionibus jX primo differt à. cognitione tiua,quia fenfusctt (ingulariuai5 (cien tia veró yniueríalium,quz fub fcnfu non ca dunt. Secundo dilfertab opinione, quia fcientia eft de ieccffatio, quod non poteit alitcr fe babcre, cftque affcnfus conclufio nis fine formidine de oppofito, opinio ve ro cft de contingenti, quod poteft aliter fe habere, et dicitur affenfus conclufionis. cü formidine de oppefito. Vcrum cft tamen, quod licet idem intejlectus nequeat fimul habere fcientiam, et opinionem de eodem 16,1cfpcétu eiufdcm,quia implicat fimul exi fimare aliter,& nen aliter fc poffe habere; teft tamen idem obiedtum effe. fcibile, k. opinabile diucría ratione, vt homo cit fcibilis fecundum rifibilitatem, opinabilis fccundum Auftitiam, D.fíert.etian ab alijs hab itbus jntellcctiadibus,quii que .n, funt  )  T  Inflit. Tract.1, Cap. IT. E  fcientia, prudentia;& ars,ars cít circa facti evt aliter fe habcat: binc habitusintelle&tus.Clntelledus;fapientiqbilia,& externa opera, prudentia eft. circa agibilia iri eodem DonrYh recepta,vt vel le,cogitare, &c. et ift: habitus verfantur circa contingentia;cateri circa neceffaria quz vel (unt deducta ex principis ; vt funt. conclufiones,& eft ícientia, vel (unt princi. pia,& hoc dupliciter,vel funt principia de  monitrationistih, et cognitiohorum vo» catur intelledus, vel funt principia etiam entium, et ficeft fapientia, quz nonfolum  principia complexa communiflima conté : platur, fed etiam altiffimas cauías confi derat . Tu. Quia veró habitus fpccificantur ab a&i bus,& actus ab obie&is, hinc fcientia fuas conditiones,vt vnitatem,certitudinem,nos  bilitatem, &c.fumit à rorric ob T vt vnius obie&ti,vna imtia,& quzeft de scr gia Sagio magisà materia  fenfibili abftracto, nobilior,& certioreft. ; ca,qua circa obiectum puræ ; et minus à materia fenfibili Cumvets  faturi fic EN mathematica certi ^ süt naturali philofophia proptet Mes magis abftradum ip i5 P ede itas, et aritmethica cft certiór mufica, quia illa có fiderat numerum fimpliciter, hecnunie: fonorum.Et quia obicdtialiafunt.difpara  ta;alia vero fubordinata ad 1uicem, hinc   etiam aliz fcientiz funt omninse nM E vt arithmethica,X medicinazalize die  natz et quz cft prior, dicitur fubalternás 5. quz poferior, dicitur fübaltermata, illa  probat principia int E "n accipitiua principiaabilla, quibus proce» dit ad alias conclufiones demoni E A fcd dc hisomnibusfufiusinquaftionibus. Verum quia oppofitorum eadem eft. : difciplina,& quod x Íc pofita magis clu. cent, cum 1gnorantia fcientia E piat eni TOC eius natura, et caufz erunt explicandz,vt  facit etiam Arift.in 1.Poft.c. 12. et 13. Du plex eft ignorantia;alia pura M persi  efl priuatio, et carentiafcientihcz cognitionis;alia prauz difpofitionis,Sceft Mi nia va; et praua mentis afíc&io, qua opinamur oppofitum veritati,& vocaturcerror . Hæc caufatur in nobis,vcl per erroneá apprehés fioné,vt fi quisapprchendat. auricalcum ;. vtaurum, vcl perfophifticum fillogifmiü vt cum quis faifz affcntitur conclufioni $ Ignorantia purz negationis Joterdum can aturob defectum alicuius fenfus à natiui tatc,nam Cacus natiuitate licet poffit ha bcre, n  prior,per  : Dese piaté primal terim, ep md. per obere notitiam aliquam imperfe&tam,& có E,nüquam tamen perfectam, et diftinctam, ratio eft, quia fcientiam non habemusnifi per ínductionem, vel demon 'ftratiotiem,& vtraqsa fenfu dependet, nam áanductio procedit cx fingularibus, qua fen fu cognoícuntur'; demonftratio ex vniuer falibus, quz per fuas fingulares intellizun tur, ergo deficiente aliquo fenfu, deficit fcientia perfe&ta obie&iillius fenfus. Hinc deducitur illud axioma, N/bil eff im smielle din, quod priui non fuerit aliquo modo in fem f95 et dicitur aliquo »odo, quia non requiri tur, vt resiu feipfa fenfu percipiatur, fed t vel per fuos effe&tus, quomodo co goce per creaturas, vel per fimi tudinem ; vt Petrus abfens per Paulum prifentem eiusfratrem, vcl per partes, . quas intelle&tus poteft coniungere ; vt qui viditmontem, et aurum, poteft effingere montem aureum vel aliquo alio modo, de quo Do&orin p.d. 5.4.1.OTIL De nece ]fitate principiorum, ybi de modi: utri n s PREIAHAUS  10 TyRinci demonftra  1X turab Arift, 1. Poft. c2. propofitio jmmediata,qua.f. non Uu  tionis defini" fit altera omne animal: rationale eft rifibile ; quod principium eft duplex, vnum dicitur digni .Ia5, alterum dicitur pofitio, dignitas eft propofitio immediata,! et indemonftrabilis, quam neceffe cft nofcere,qui aliquam fcie tiam vult addifcere, tales funt propofitio nes per fe nota : dicuntur dignitates, quia propter naximam evidentiam, quam con tinent, digniffimz funt,vt ab omnibus tan quam verz wm eai etiam ma xima, quia ad pro uáplures pro fitiones infermüt, huiufmodi font in M. phyfica De quilibet p erum affrmare,  megare de mullo ambo fimiliter in MR "tica omne totum eff mains [ua parte fi abaqua libus a47alia y qua anos sip li«, Pofitio eft propofitio immediata,& in demonftrabilis,quam (cire non cft nece ffe, v ken inftituit, ed fufficit,vt à Mag iftroillam accipiat, vt addifcens philofopisianon eft opus,vt fciat diffinitiones naturz,motus, corporis natu ralis.&c.Veriim eft tamen quod pofitio nó folum hanc propofitionem indemonftrabi Jem,fiu£ afiymatiuam, fiue negatiuam figni R3 7 C ivre, y05 ficat;fed etiam definitionem;quæ r: q4:, ditatem explicat abíq.affirmatione, 5: mc» atione definitio .n. etfi vt in propofitione umitur, affirmat, ycl negat, attamen fi in feipía fpc&etur,nullam dicit afirmationé, vel negationem,fed tantum genus, et ditfc rentiam, vt definitio hominis dicit a»imaz faticnale; dicitur quoq; definitio pofitio, e in initio fcientiarum ponitür ad inftz uppofitionis, qua poftea vtendum cft in nmm lg 11 Pracipua proprietas principiorum deuoüfltationis ^ squod Aia neceffaria nam fi conclufio,& fcientia eft de neceffa rijs, etiam principia, quia licet ex rzmiíf fis falis contingat coll;gi conclufioné ve« ram,& ex non neceffarijs ncceffiriam, at» tamen id fit non tanquam ex falfis, et non neceffarijs, alioquin effectus nob'tor effet fua caufa, fed propter formam fillozifticá . Hanc neceffitatem, et proprietatem d rat Arilt, c.4. ponens tres conditiones, vel potiustres gradus neceffitatis concurrene tes ad conftituendam neceffitatem princi pij demoaftratiui . Prima conditio, Ícu primus gradus nez  ceffitatis eft, vt fit de ema, propofitio de omni eft,in qua predicatü dicitur de quo libet contento fub fubiecto, et pro quo libet tempore, vt omnis homo cít coloræ tus, ifta vero omnis homo difputat, omnis homdó comedit, non funt de omni, nà pri mz deficit prima conditio, et fecundz íe cunda; vnde licet ad propofitionem de ome ni prioriflico fufficiat vniuerfalitas fubie &orum, tamen ad propofitionem de omni pofterioriftico vitra illam, requiritur vni» ucríalitas temporis. Secunda conditio, feu fecundus Meidw neceifitatis eft,vtfit per /e5 pro o per fe eft, in qua przdicatum perfe conuenit fubiecto, non per accidens, quz conditio vtexplicetur,adnotari debent quatuor mg wel didictndi per fe ab Arift.c.4. "  prius fupponendum, quod pradicatio eft duplex, alia directa, et naturalis,& cft cum id, quod à pa:te rci fubijcitur, eft etiam in propofitione fjbiectum, et quod a parte rei incft illi, eftin propofitione przdica tum,vt homo eft animal ;: indiredta,& «pon naturalis,cum é conuerío,quod re ve ra fubeit, in propofitione przdicatur, et quod incft, fübijcitur; et ratio huius eft uiain propofitione pradicatum tribuitur fübicdto, illigj conuenire ennnciatur, ergo fabiecium fe tenet in peine perm E 106 dum abentis, et continentis, et przdica: tum per modum habiti, et contenti, ergo illa propofitio erit dircéta, et naturalis, qua Conformis etit rebus; vt fc habent a parte rc), et vt funcofdinatz ; Rurfus accipien dum ex Doét.2.d. 5.q. 4.fup.E.& $,d.7. q.1. D,& d.33.M4.d.1:.q. 3. FF. € quol.13.A 5. quód quando aliqnid eft i fe tcpugnans, vcl ens per accidens, non poteft de aliquo dici perfe, nec deipío aliquod pradicatü pcríe poteit. enunciari, vnde itg propo fitioncs nort erunt pcr fe ; hotno irrationa« lis eft animal, homo albus cft. tationalis ; homo efl animal coloratum, &c. et ratio cft,quia quod in fe «ft rcpugnans, vel pet acctdens,femper erit talc cuicumque com» parctur j nam comparatio non tollit re1có« parátz,quod intriníece, et formalier illi conuenit, ergo fi cft impotlible, i repu grians,vcl per áccidens, nihil deipfo dici tur poífibile, et perfe; Verum cft tamen, quodillz propofitiones, in quibus explica», tur natura horum impoiib:lium, vel en tium pet accidcus, rcdué&tiue poffunt dici per fe,vt chymcra eft impoflibilis, vacuum elt nihil, homoalbus cft cns per accidens; ratio cft, quia ficut ifta ertia dicuntur ha^ bere propriam náturam, habita compara tione ad vcra entia, € fimilitudivanrie ica «tiam fuo modo poffunt in, ipfis ficri prz dicationes pcr fe, His przaccepus. 1 11 Primus modus dicendi per fc eft, cü adicatutm «ft dcfinitio,vel ingrediens dc itionem tubicéti,ex que aliqui deducunt: omnia praJicata, quz definitionem ingr c». etiuntur tàmin recto;quàm in obliquo, fiue. fiat de cffenuia dcfioiti, fiue aliquod addi tum,per fc predicari in primo modo de de« finito, vnde concedunt. has cffc pcr fc pri mi modi, home eft animal, hómo conftat exanima,& corpore, quz funt partes císé fialeshomiais in obliquo c ipo pradican tcs, rifibile cft bomb petecalt fi.j patcr, et fimiles, nam h omo ingreditur, vefubicétá dtfinitionem r fibilis, et filiusvt corrclati tum in defimtione patris ; et probant ex ipfo Arift. qui atferens excn. pla primimo di,ait, vt cun: linea pradicaty dc. triangu lo,& punétun: dc linca; at quamuis linca fit. seffentialis trianguli, et inclliquo de pfo dicatur, punctum tamen noncft pats. «ffertialis, nec de cffentia linca  et foli de fiiitionem linex. ingreditur tanquam tcr niints,i quid cxtiinfecum, ad quod effci tial n: dieit habitudinem;crgo quia quod hbet accidens effcntialem dicit ordincm ad Pars Secunda Inffit. T'ra£L4. Cap.IL 5 Íubiectum per quod dcfinitut,& relatiuut ad correlatiuum, fta propofitiones erunt in primo modo. Infuper quia non efl.maior identitas, quàm Pr fit ad feipfum, hanc propofitionem homo «ft homo, in primo:  modo collocant ex Arif. $,Met.25.X 1, Desi ber. c.4 vbi bonum diciteffe per fe bonit, ] et citatur Scotus 1,Poll.q.19,& Tromb.ca    I Formaliftisin tract.de Form.art. 3.Tandem e quiá natutz communcs funt de cffcntia fin gularium, de ipfis prædicantur etiam it primo modo, m"  Alij ex oppofito non. folum negant,  quz in obliquo definitionem ingrediun ad hünc modum pertinere ; fiue fintds ei. fcntia, fiue quid extrinfecum, verum eti Segapt tranícendentia. in  primo. ] dus cani dcinferioribus,quianonfehæ    tad modum formz inexiftentis, pro pofitiones quoqueidenticas eadem ratios   ne,&quianoníuntpaturales, neque de»    monftrationi poffunt. inferuire, cum non explicent as can cur przdicatum fübies Goconueniat, et demonflratio procedat   ex caufis: predicationcs itein p rfaliüt  de fingularibus femouént ab ifto 'm quoniam non funt de omini, cumfintpartis   culares,omnis autem propof:tio periedes beteffe de omni poflcrioriflico ficut fees. dus gradus neccflitatis prafupponit mum,folum ergo popali en aS Mene finiaue artes dc finitionis in re« ) o pradicantur de propro:defimto; v& funt genus, et dtxudpei petia Ípeciis   inhoc primomodo reponunt, : 5 .; 14 Dicimus tamen,quod proprieloqué doillz propofitiones crunt per fe prinmymo din quibusptzdicata funt de effentia fue   bicéü vniuerfalis fiue in re&to;fiue inobli quo, fiue p radicamentalia finr, fite trans fcendentra; at quando non funt de cffantia, quampis ingrediantur definitionem,non confciunt propofitionem pcr fe: reductiué veró ad hunc modum fpectant przdicatioe nes vniuerfalium de fingularibus, ciufdem de fc ipfo, et propofitioncs negatiua, in quibus remouentur à fubiccto pradicata: oppofita pradicatis ill: conuenientibus in primo modo : explicantur, probantur fin gula; et primo quod pradicata cffcotialia in rccto per fe m primo modo pradicétury atetcx communi coofenfu, S ex Arift, Ic, et cx Doct. 3.d 7.q.1. D. et 1. Poft: q.19.. €o quia hac cft vaior necefitas, quz pof fit intcrpradicatur: » et fübiectum repe fübieéti 2 De necefsitate principiorum, dt. [er de prádicatis effentialibus in obliquo di cendum,& de tranfcendentibus etiam,qua le efteus, quod veré in quid de fuis infc . rioribus predicatur, vt docet Do&or 1. d.8.q. 3. Y. et veré ens concipitur adinodü dique fermz Metaphyfice inclufa in fuis inferioribus quidditatiué, ficut cetera pre dicata quidditatiua . Secundo quod quando non funt de ef fentia, licet ingrediantur definitionem, nó faciant propofitionem per fe priini modi, habetur expreffcà Doctore i. d. 3.q. 3. G. vbincgat ensin quid, X ia primo modo de fuis paffionibus dici » quod probat, quia Sradicibni in primo modo eft de effzntia flecti, at fubiectum non ponitur in de finitione paffionis vel accidentis, nec cor gelatiuum in definitione relatiui tanquam quid effzntiale, fed vtadditum, et extrin fscum; eo vel maximé, quod (pé funt al zcrius fpecici,imo& predicamenti . Tum quia x U'oft.s s. pradicatio per fe aon con ucrtiturin przdicationem per fe, f«d paf fio per f prædicatur dc fibiecto., ergo fübiecim aon pradicabitur per e d : paf fione. Tum quia in tántum przdicatum per fc dicitur de fubiecto, quia in. fubiecto eft caufa, et ratio formalis inhzrentiz. predi chti Cum fubiecto, qua ratione tunc fit di recta, et naturalis prædicatio, quando id', quod ineft, przdicatur, et cui incll,(ubijci tur; fed in paffione nou. eft talis ratio, nec fuübiectumineft paffioni, nec correlztinum  rclatiuo, ergonon poffant conficere pro pofitionem perfe. Solum poteft inferri, g» cum paffio, vel accidens dicat efcatialem prdinema 1 fubiectum, qu ordo circum Ícribit nobis effentialem differentiam,id circo non fubiccrum, fed ralisordo vt fic . circeamícribens diceturin primo modo de acc denti 5 et in hoc feníu intelligen Jus eft Arift. dum hic affert exemplum dehnea ex puuctis conflante, punctum .n. cum non fit parscffentialislincz: fed terminus neccffa rió requificus, non dicetur de linea, neq. in obliquo in primo modo, fed habitudo li nez ad punctum,vc explicans dif:rent am eff.ntialem ipfius, erit praicatum in pri mo niodo . Hinc colligitur ; quod non füffi cit dicere;prædicacü primi moj :tt, quad ingreditur dcfinitionem fubicct fed requi ritur adhuc; vt inzr«diatur tanquá aliquod €ffentiale, non tauquam additum ; infuper quando vna icfinitio ef«nt:alis prg catur de altera eiu[Je d.fiaiti, eft ve ra przdicatio per fe prizi avodi, vt animal 167 rationale eft.ens fu ftantiale coiporcum  conflat ex corpore 4 et anma, rimlicc, vna d. finitio non fit de conceptu altcrius, fuiEcit, vt fit de effentia definiti, pro quo fupponit . 14. Tertió, quod illz propofitiones enu meratz in coaclufione po ad hune mo düm fpcctare taltim rcdu du?, probatur ;, non.n. proprie fpe&tant, vt patet ex didis referendo opintonem oppofitam dc prædi cationibus ciufdeni dc feipfo,& vnmerfalis defiagularibus: quod ctiam dicendum eft de propofitionibus negatiuis, quia iN ets radicatum remouctur, non Arn fu icdlo,ergo non poffunt dici propric in pri mo modo ; tum etiam quia ncgatrones'ne queunt eff: de effentia, et conflituere ens pofitiuum . Reftat igitur,vt folum reductis ué pertineant, quia vniuerfalia funt de cí fentia fingularium,& fi 1fta dcfiairencur, no nifi pcr vniuerfalia ; ergo iftz pra dicatio nes crunt m primo nodo, et ncceffariz. Si militer fi perfcitas propofitionis eft, quia radicatum eft in fubicéto non per aliud, itaut quantà fübiectum eft minus aliud à rzdicato, tanto magis propofitio eft per c, vnde niagis eft p fe jppofitio, tm qua tota d«fiiitio przdicatur de definito, d fi pars zdicarctür,cü nó fit maior idétitas, quam tiufdé ad fcpfum, identicz propofiriones poffunt dici per fe, et non nih in primo E do. fnfoper quod propofitiones negatiuz, &c.ad hunc modum reducantur, patét cx di&isin Phyf.difp.,.q. i.art.1.vbi cum Do &ore qaol. 4.E offendimusnezationes prz dicitoium ftmpliciter repugnátium alicui, S conflitutiué non pertineant ad ef entiam illias rci, confcqutiué tamen. ípe élare.quatcnus neceffario confcquuntur ad pradicati propria effzntialia, crgo quia negatio irr2tionabcatis v. g. confequitur in homine ad rationalitatem quz ri primo modo dicitur dé homine, etiam talis negri tio ad talem mo lum reduci debet, vt hzc homo non eft irrarionalis,fno modo fit per fe p po aov Doctor,cum 1. poft.q.: y. affcrit',; quo atn pro bed ci ded puimój. per fe fed raa en 4 tvrabaffigmatiua.Et ex his breuiter diluci da fiunt,qua fuse dilpatant Formal no ftri trac. Formalit. part 5.a:t.3. 3e diftinstio ne formali, circa propofitioncs fpe&taotes ad primum hunc modum dicendi per fe,vbi prafcrtim contenduut de pradicauone 1dentica,& vniuerfalis de ting'ilzri, de quo plura Aretin uni Aper qinn ex di 1 ctis Aa A, P " E: sl. "S" Z  108 €is breuiter conciliari poffunt. 15 Dubitaii tamen poteft de modis in trinfecis, an in primo modo pradicétur per fe de re, cuius tunt modi, quales funt infi nicas, et neccffitas refpectu Dci, finitas, et contingentia rcfpectu creaturz, intenfio, et remiffio graduum in qualitate; non.n.vi dentur fpectare ad 1. modum, in quo paffio dicitur de fubiecto,vt infra, quia modus in trinfecus intimior eft ipfa paffione, nec fa Cit vnum conceptum per accidens cum re, cuius eft modus, vt facit paffio cum fuübie cto,cx Doct.quol. s. C. Refp. cum Smifinc. tract.2 difp.1.pu 4.vbi citat Tat. et Pofnan, ob rationcm allatam modum proprié non ertinere ad 2.modum,fed ad primum mo um,quia aliquo pacto pertinet ad quiddi tatem rei,quatenus perfecté, et adzquaté quidditas nequit concipi non intellecto modo intrinfeco; non tamen attinet ad primus gradum perfíeitatis primi modi, nam intimiora funt rei przdicata quidditatiua, quam modi intrinfeci . Vndéin hoc primo modo dantur gradus, primus eft, quando totà dcfinitio przdicatur de definito, fecü dus quádo pars definitionis pradicatur de definito, tertius quando modus predicatur de re,cuius eft modus, et ad quartum gradíi (usine pepe tn des quz reductiue in oc primo modo collocantur. Dices, animal non eft de ratione ratio nalis,fed hzc propofitio eft per fe,rationa le cftanimal, et nó nifi ad primum modum reduci videtur, ergo falfum eft przdicata primi modi debere effe de effentia fubiecti, min.prob.quia eft ncceffaria,& non per ac cidens;ergo per fe;tum quia bené fcquitur, omnis homo per fe c(t animal,omnis homo per fe eft rationalis, ergo rationale per. fe eft animal,quia ex propofitionibus per fe non fequitur nifi propofitio per fe, non per acc dens.Refp.ex Sco.4.d.ij.q. 3. FF. quod nec gcous de differentia;neq; ditferétia fe predicatur de genere,quod ctiam docuit 3X.Potl.q.2 5.quia neutrum per fe includitur in altero;aliter vnum ipforum effet tota de finttio,& licct fit neccffaria, non tamen per fe propter carentiam inclufonis, fed folum eft neceffaria propter jnclufionem/in ter tio,.f.in fpecie.Dicitur quoque per accidés logicé,vt i0nuit Doctor in 3.d.7 q.1.D.qua tenus przdicatum ef extra conceotum. fu. biecti, non ia iM quafi q vnü acci dat altcri,vel ambo tertio. Ad aliam proba tionem refp .Tat.hic negando con(cq. quia non cft neceffe;quod fi extremitates vniun Pars Secunda Inflit. Tra&l.Y, Cap. VIT. tur cum medio fub aliquo. modo fpeclalc radicandi,feu cum aliqua determinatione los denotante, quod etiam fic vniantur ine ter fesimó committitur fallacia accidentis, quatenus non Quicquid conuenit przdica to, dicitur ctiam fubiecto conuenire, eo quod przdicatum non eft omnino idem cü fubicéto, vide Do&orem p.Poft.cit, plura.  circa hoc docentem . n. 16 Secundus modus dicendi per feeft, cum fübicctum eft de definitione przdica  tij fed hoc non fufficit, aliter hzc propofie tio animal eft bomo effet per fe, cum anis m4l fit de definitioone hominis,quod tamé eft falíum,vt habet Doctor 1.Pofl.q (3.8€.  in 4.cit.eo quia eft przdicatio innaturalis non ia(eruiens demoriltrationi, et faciuat ad hocque füpra diximus oftendendo hác. propofittonem, rifibile eft homo, non effe per fe,Quare requiritur adhuc,quóàd fübies €um fit de definitione predicati, non vt. ars effentialis,fed vt additum . Sed E oc fufficit,aliter accidens commune in ft cundo  de fubtecto erac,&fa ceret propofitionem per fe, non Feld va Ari ic £uapropver ex etiam,quod inter illa fit neccetfaria: do caufz ad effectum, ita vt fubic cauía omnei habitudo, vt faria,non debet effe in genere Y ; rialis, nam hac datur refpe&tuaccidenti communis, et quia hac indifferenseft ad formam,& priuationcm recipiédam,quá«tum eft de fc,vt habet Doctor in 1.d.33p 74 S,& 2.d.15:C.fedingenere caufz efücientis,non cuiufcunque;fed Wires 1 nationem caufat, et propriam refultantiig vtexplicauimusin Phif.difp.7.q.2.quale eft füb:c&umrefpectu propriz paffioniss  cateri.n. cffe&us non habent neceffariam s" connexionem,& habitudinem cum fuis cau " fis.quam doctrinam tradit Scotus :.Poft.q. 1 5. hinc alij breuius dicunt icationem fecundi modi eff, cum paffio de propria fubie&o prazdicatur. 1d Ex quibus deducitur primo,quód fi paf sio przdicatur dedefinttionefuübiecti, vel  vid ciue conflitutiua,talisprzdicatio  eritin fecüdo modo, quia expMicité aflignas tur ipfius caufa,tta Doctor 1n s.d.1 1.q.5.B. Secüdo, quod paffio inecundo modo przdicatur de inferioribus proprijfubic&i,  vr cum paffio generis dicitur defpecie; 8  pafsto fpecici de indiuiduis;licetnoimmee   diaté,& primario, (ed mediate, et fecunda rio; X hoc fibi vulc Arift.cum 1. Poft.12 ait,inhz De ntcesitate princip. eo modis pe[italis.   eo ionem generis per accidens conuenire 'eciei,. iion immediaté: ratio elt, quia in inferiorib. veré reperitur cau(a ilhus paí fionis. t ertio quod páffio inferioris nullo modo przdicatur per fe de fuperiori, ita Doctárcit.vynde hzc non eft per fc, animal &ft xifibile, quia non conuenit illi definitio huius fecundi modiineque ifta eft per fe, nu merus eft par, linea ett recta0b eandem ra ionem.Quartó,quod pafsiones inferiorum fub difiuné&tione per fe in fecundo modo pradicantur de fuperiori, vt numerus, vel . elt par,vel impar,linea, vel re&a, vel curua, quoniam hzc duo fic accepta, cum (int im m«diat neceffe cft alterum incffz,fe habec enim,ac fi contradiStori&'opponerentur,& fimul cum difianctione fumpta conflituunt vnum proprium de genere enunciabile;idé dici poteft de ifta propofitione,animal, aut £ft rationale,aut irratioale, quia diuidi in fpccies per differentias eft proprietas ge neris . Dices accidens femper przdicatur acci . dentaliter;ergo per accidens, non per fe . p.fi lyaccidentaliter determinat inhz rcns jidelt denorat przdicatum effe ens ac peirisy,ett Mise vuÁ À et fed "es: confeq quia bené potcft aliquod accidens neceffario conuenire fübiecto;fi determinat zrentiam, et coünexionem ; . confeq. Solent hic s notari dif fcrentiz inter primum, et fecundum mo dum dicendi per fe et M enumerat Are» tin.cit,com.7.fed per hoc: brcuiter diftin gui debent,quod predicata. primi modi süt eifentia,& quidditate fübie&i,non auté przdicata(ccundirhodi ; et ideo illa funt priora fubiecto, vt conftitutiua illius : ifta veró funt pofteriora,ex quo oritur alia dif ferétia, quà hic affignat Lynconienf.quod przdicatum.primt modi eft caufa. fubic&ti quántum Ad; effe, quia eft conftitutiuum ciussfed icatum fecundi modi eft cau mt biecto,quia dimanat, et pullulat ab eo .. 37 Tertius modus communiter dicitur, nonffit modus pradicandi,fed modus per fe edi,& varie explicatur à Docto ribus ; Quidam .n. dicant effe modum per fe effendi, hoc eft folitarié exiltendi, quo fcnfu potelt etiam. conuenire accidena, euando non eftin fubiecto ; quam expofi tionem recipit Doctor quol.9, A. Alij hunc modum per fe effendi magis coarctant; vt excludat modum effcndiin alio;vt in fubic cto, fiuc actu fiuc aptitudinc, quo feníu competit cantum fubftantijs tàm primis, quàm fecundis. Alij adhuc magis coarctár, vt excludat modum effendi n alio,non fo lum vt in fubiecto, fed eriam vt in inferio ri; quomo :o cancum primis fübftaatijs có petet,nam fecundæ fuat ini primis tanqus in inferioribus, vnd& Arift. de iftis tantujs exeniplificauit . Zab. verólib.r. de propof. neceff. contendit hunc effe quoque mo. per fe przdicandi, à vc eff:, féu exiltere per fe dicatur de fubftantia in propofitio ne de fecundo adiacente, eo quia Logica non confiderat modos effcadi, qui funt reales, (cd modos intentionales, et przdi candi, qui demonftrationi inferu unt, qua tenus per fe eff? enunciatur de fubftantia in pepe ; quz omnia probabiliter futtineri poffuat . s 3 13. Quartus modus per fe ab aliquibus appellatur: modus mon per fe prz.licandi, fed per fe caufandi : at Arift.in tex.& Doct, 1. Poft.q. 5 z. clare illum enumerant per ma dos per fc przdicandi fundatum tamen fu per modam per fe. caufandi, et vt ait Doct; 3.d 7.q;1. $. uuinto videndum, quando ia fabiecto includitur proxima ratio inhzren tix przdicati,licet inter ipu fubiectum; et przdicatum non fit neceffiria hiabitu do,fcd contingens, vt cum dicitur, volütas vult,iugulatus interjit : ex quo deducitur contra Caict. hic non (umi caufam, et effa ctum potentialiter, fed in actu nam fi tentialiter famerentur, effet in illis necef fariahabitudo, nec à fecundo modo ditfer ret, vt fi diceretur, voluntas eft volitiua, calor eft calefactiuus; bac .n.przdicata süt aptitudines, et pailiones fubiectorum 5 et quamuis etf«&us inactu cótingenter vnia tur propriz caufz in actu' quoad efi, per fe tamen vnitur quoad caufanr, quia abip fa! effzntialiter dependet, et hec (ufficit ad conftituendam propofitionein noi omninàó per accidens, fed aliquo mo perfe,/Dez ducitur etiam per caufam hicintelligi non intrinfecam, et cff:ntialem, quales funt materia, forma refpectu compoliti,quia iftz pertinent ad primum modum, féd' ex trinlecam,fiue efficiens, fiue formalis, fina lis,aut materialis fit: etenim forma accidé talis, vt albedo dicitur caufa foralis ex trinfeca hominis al5i, pro qianto tion elt deeluseffentia ; et ifte modus fecundum Scotiftas habet tres gradus 5. primüs eit, ando effectus formalis pradicatur de fübiécto mediante fua caufa formali,vt ho ^ mo albedine eft albus, albus .n. eft e Deegi or ^. 4710 formalis albedinis, et ip(a mediante dicitur ' dc homine. Secundus, quando actus cgre diensà fua caufa formali prxdicatur de cf fectu formali illius caula illa mediante,vt album albedine difgregat, interfectum in terfectione interit, interire .n.eft actus in «terfecticnis, ficut diíeregare e(t actus al bedinis, et cffectus interfectionis cft nter fectum effe,vt album eft effectus albedinis. "Tertius, quando etfectus predicatur de fuo immediato principio, vt intellectus intelli git, voluntas vult . At hic oritur difficultas, quia tunc quar tus hic dicendi modus non videtur differre à fccundo, nam fupradictum eft; quod cum paffio przdicatur de definitione fubiecti, yt cum dicimus, quod animal rationale eft rifibile, hzc eft propofitio fecundi modi dicendi per fe, fcdin hac propofitione ef. fectus przdicatur de (uo immediato prin cipio productiuo. nà rifibilitas eft effectus, et animal rationale cius immediatum prin cipium productiuum,ergo hic quartus mo dus non videtur differre à fecundo;Lynco nienfis hic videtur concedere quod primus, et quartus dicendi modus inuicem confun dantur in quibufdam corum gradibus 5 "ITrombeta veró tract. Formal. art. 5. $. pre declaratione, vt affignet horum. modorum difcretionem adinuicemità difcurrit; pre dicatum aut eft incrà conceptum formalem " fübiecti, aut .xtrà, fi primo modo, fic eft radicatum pertinens ad primum nodum licendi per fe, pain tali modo przdica tum eft dc intellectu fubiecri; fi veró pra tum eft exrrà intellectum fubiecti, aut habet caufam intrinfecam in fubiecto, aut non; ft primo modo, aut illa caufa enuncia tur fæéu difticté,feu ex plicité, aut non; fi primo modo,fic habetur quartus mo dus dicendi per fe, quia. in illo exprimitur caufa prædicati, vt dicendo interemptus intesijt perimteremptionem s. fi vcro cau fa.non enunciatur exprefsé, fic habetur fe cundus modus,vt dicendo,homo eit rifibi lis, vbi refpectu rilibilitatis non exprimi tur caufa; qua cft animal rationalc.Sed hzc doctrina dificu'tatem nó foluit, quia etiáfi exprimatur talis iminediata caufa rifibili tatis dicendo, animal rationale elt rifibile ; adhuc propofitio pertinet ad fecundü mo dum dicendi per fe., aon ergo. bene per il lud fecernitur hic quartus modus à (:cun do. Hinc idem Tromb. ibid.qu.fi hanc dif ficultatem friatunca am drea [ubdit iater quartam, et fccun    e Paré. Secunda Inflit. TraclI. Cap. Hf. diim dicendi per fe, nam in feeundo modo in fuübiecto non tantum includitur proxi ga ratio inharentiz formalis prædicati ad uera 5s : Pisæ ge  inhzren tiz cft (impliciterneceffaria refpectu 1 dicati: fed in quarto modo hoer ici in fubiecto proxima ratio inhzrentiz, illa tamen propofitio non eft neceffaria, fed contingens, et ifto modo dicimus, quod" illz propofitiones, calidum calefacit, vo luntas vult, funt per fein quarto modo;vbi pradicatum non neceffario competit fübie cto, fed contingenter, quam folurtionem recipit Aretin.com. 2 cit. et aiteffedoctri.   nam Scoti loc cit. 3.d 7.q. 1. vbi ait, quod propofitiones huius quarti modi benéfünt. per fe, (cd non femper neceffariz,& exem lificat deifta, voluntas vult, calidum cas   feacie, quz funt contingentes, voluntas " enimnon vultneceffarib,fed contingenter,  quam doctrinam rurfus habet Tromb. 5. Me. q.2. L Scd neq. hzc folutio fatisfacit,& doctri nà jn ea contenta, quamuis innuaturà Do   Hier 9 vam ietm viec. Mee intelli 7 endæft, quia omnis perfeitas min fert berebtatoml,nam perfe escis "t accidens,quod importat conting: ntiam, fi.    u ergo propofitiones quarti os Ma d E. Y uo pacto per fe, debent quoque ei ena neceffariz ; et quidem hoc negari m otcít quia vt dicebamus contra Caiet. muntur caufa, et e jn hoc quarto modo potentialiter ; nec caufa potentiali ter, et effectus actualiter, fedambo fumui tur in actu adeoóut effectus: cóparetur fæ, vt ftat fub ipfa cav(alitate, vt conftat in e exemplis allatis, calidum calefacéi S HU ione ca. lefacit, interemptus per interemptionem  interijt: quamuisergo incaufiscontingene   tibus, et liberis etfcctus neccffariam non habcat connexionem cum caufa abíoluté fumpta, habet; tamen neceffariam: conne xioném cum ea, vr ftat fub cau(alitate;quia vtait Arift. z.Phyf et s. Metaph. caufa in   actu, et cff cctus in actu; fimul funt ;, et non funt, et ideo fuprà dicebamus, quod licet effectus in actu contingenter vniatur caus fx inactu quoad effe; per fetamen, et ne eeffario vnitur quoad caufari, «ndé etiam ipfa voluntas, vt ftat fub volitione, dicitur neceffario M irsiooe ^ ergoin propofitionibus quarti modi per critür ropor tionata neceffitas, t pedi it Amic. tract.26.difp.1.q. 12. in lib. Poft. Itàq. ad propefitam difhcv)tatem o ccurren dum do Y £x modo dictis, quodinifto quarto modo üsin actu przdicatur de fuo imme. . diatoprincipio productiuo, non autem cf fectus in potentia, velin aptitudine,fi enim inet.ad fecundü modum dicendi per, et ideo illa propofitio animal rationale e(t rifibile, ad fecundum modum pertinet, pon ad quartum, et hanc potiffin:um diffe «rentiam inter fecundum, et quartum modü dicendi per (e inter alios adnotauit Vene tus,quem fequitur Amic. cit.q. 11. dub. 3. et Arctin. cit. .39. Quari hic etiam folet, an propofitio r fe conuertatur in propofitionem. per €,& difficultas procedit przfertim de pro pofitionibus primi,& ecundi modi, quo« modo inuicem conuertátur. yecon vniuerz laliter Scotus i. Poft.q. 18. et 1.d.5. q.5.lit. G.Trombet 3.Mer.q.s. et trac.Formaht,loc; cit.Faber theor 8. et alij Scotiftz paffim ; Caiet.autem 1.Polt. cap.4. ait aliquas con uerti,& aliquas non couuerti ; quando ter» mini non reciprocantur, ait ipfasnon con uerti vtifta eft per fe,homo eftanimal;non tamen hac, animal eft homo; at quando ter minj.reci, tür:, inquit propofitionem perfe conuerti in deo cwm per fe, li cet non in codem modo, addunt aliqui fed Pes funt primi modi cü cóuertuntur, fiunt «cundi modi, et € contrà,v.g.enseft vnum, homo cll rifibilis, funt ofitiones per fc íecundimodis qucd ficonuertantur di cendo,vnunveftens,rifibile eft homo funt propofitiones iam primimodi ; funt quidé propoficiones per fc, qu'a funt propofitio ncsneceffariz;& omnis propofitio neceffa ria cft per fc;fpe&tant vero ad primum mo dum; quia inillis conuertentibus przdica tm eft de ratione fubiedti, eo quia fubie (inm cadicin definitione pafsionis ;:& hoc cfl totum Caiet. fundamentum : fitum tamen cum Scoto tenendum loc.eit quod aperté docuit Arif.ipfe ex pro feffo 1Poft.cap. 1$.dicens:in propofitioni bus per fenon dariconuertentiamineq.va let dicere. Arift.efle intelligendü,quod pro pofitio perfe non conuertitur in eundemmodum,bené tan in diueríum;nam Arift. ibfoluté loquitur et non cemparatiué, et vt €o pofteà' foluendo amecntum €aiet. falíum  ef! etiamin hoc fenín vnam propofitionem per fe poffe conuerti in aliam; Dcindé probatur ratione ex Tromb. cit. cuiufcumq. propofitionis przdicatum de pendct à fubiecto quantum ad rationcm formalem intzinfecam fubic inhazentiz intii Dt fiecefiruti princip. 6) mod. pesféiinis, tia &o, fübie&um ipfius non poteft confimily dependentia dependere à przdicato;fed i. ena fitione per fe icatum c dependet à fübie&o,ergo € contrà fübie Gum non potcft fic dependere à pradica to, ergo perfe non conuertitur in perfe ; maior patet ex Phyficis, vbi probabitur nó daricirculum in dependentia effentiali in eodem genere caufa probatur minor,quia ifta dependentia videtur cffz ad aliquid in ratione priné;pij formalis, quia omnis de eese quz cft fecüdü rationem forma em intrinfecam, reducitur ad genus caufz formalis.Nec rurfus dicas;non fequi circu lum ; quia propofitio perfe conuertitur in per fein codem modo, fed in diucrío, nam mox patebit id effe falfum,tum quia quan do etiani id concederetur, adhuc daretur circulus in dependentijs effentialibus in eodem genérecaufz, quia fiué jore fit perfe primi modi fiue fecundi, perfei« tas, et dependehtia effentialis pradicati à fubiecto exercetur in genere caufz forma lis, Demtim jamfüpra dictum eft, concedi turq. abipfo Caict. predicationem per fe debereeffe dire&tam, et naturalem ; fed propofiionés conuertentes áffipnatz ab ipfo continét predicationes indirectas, et innaturales;vt conftat, ergo &c. Conf. ad hominem.quia ipfemet Caret.ibidem ea ra tione negat effe propofitionem per fe, cá inferids przdicatur de füpcriori, vt cum dicituf, animal eft homo, quia hzc przdi catio;eft contra naturam, fed tales quoque funt propofitiones ab ipfo affignatz, cum fübiectum predicatur d. fua P ssicey Ur fpccies de differentia, namdifferentia, et paffio infunt fpeciei, nó é contra, ergo &c. Fundamentum veró Caiet. facile labitur; falfum cnim clt propofitioncs illas conuer tentes ab ipfo adductas, rationale cft ho mo,, rifibilc eft homo, cffc propofitiones períe ad primum modum  fpeétantes ; nom enim in primis funt bcn per fe, uia aon funt naturales, et directz ; neque pectant ad primum modum, quiam de nitione paffionis fubiectum non cadit, vt de cius quidditate, fed vt additum ex 7, Met.tex. com. 17. et 19. quod eft eff ex traneum à ratione etus formali, atq. ideà propofitioilla ad primum nequa uam fpectare poteft . Cum veró aiebat Caiet.1 las propofitiones cffe n. ^ atque ideo effc per fe, ueganda eft confc uentia, quia propofitio de omni eft necef furia et tamen non eft per fe;cuia p 10 W ditm i dicit vlteriorem gradum necefítatis ; neq. ab codem habet propofitio neceffitatem, K períeitatem, s ex diuerfis capitibus, wt i notat Tromb.5. Met.q.2.ad r, prin. nam propofitio dicitur neceffaria, quando extrema ipfius funt immutabiliter «nita in quocunque effe concipiantur, fiué in re, fiue inintelle&u, ita quod neceffitas pro ofitionis oritur ex immutabili terminorü abitudine: fed propofitio eft per fe,quan do in fubie&o includitur ratio formalis inhzrentiz pradicati ad ipfum ; modo ftat aliqua extrema propofitionis effe immu tabiliter vnita, et habere neceffariam habi tudinem adinuicem, et adhuc vnum non includere rationem formalem inharentia alterius. Dices, ilz propofitioncs no funt per accidens, inquit Caiet. ergo per Íc. Reípondetur Doctorem loc.eit.1. d. 3. q.3. concedere illas effe per accidens, vbi tame tiotat Bargius id intelligendum non effe jn toto rigore,quoniam propofitjo per fe, et per accidens proprie loquendo diuidunt gropofitionem naturalem,quando .f.fubij citur quod dcber fubijci,& prgdicatur,q» debet iv vt habet Doctor q.penult. vniuerf.& x Poll.q. 18 in folutione ad ar umenta, vbi per totam qua onem bcné eclarat, quo pacto propofitioncsille di cantur per accidens; breuiter tamen dicen dum cffc per accidens, nonquidem ratio ne obiccti, quo fenfu hec dicitur per acci dens, homo cft albus, fed dicitur per acci. dens ratione modi connectendi, vt docet Aritt.1.Poít. 35. et 34: et Them. com. 35. 2 przdicatur qued doberct fubijei, et contrà . Ex oppofito totidem modí per accidens pradicandi asignari poffunt ; Primus «ft, quando pradicacum non cft de effintia fu ^ picéti, et elt oppofitus primo modo dicendi p:t fe;quo feníu hzc propofitio homo cft rifibilis poteft dici per accidens. Secundus oppofitus fecundo do przdicatü ne dumnon cft de effcntia fubie&ti, fed nec proprietas cius, vt funt propofitionesom nes in quarto modo. Tertius oppofitus ter tio ( juxta ponétes illum inter modos pre dicandi, quamuis ab Arift.non numerctur) «ft, quando effe predicatur de accidente, vt albedo efl . Quartus oppofitus quarto «ft, quado cffcétus non pradicatur de fua per fe caufa, fed dealiquo per accidens fibi coniunéto, vt muficus zdificat, accidit.n. a dificateri,quod fit muficus, nec zdificat vtmnuficus, fcd vt edi&cator . E . Pars fecunda Inflit.Tra£]. I. Cap.1IT. 20 Tertia demum conditio, feu neceffi tatis gradus eft, quod principiumdemon ftrationis non folum fit de omni, et per fe, fed quod vniuerfaliter pradicetur ; predi catum vniueríale cft ; quod dicitur de oni ni, per fc, et fecundum quod ipfum;vbi hot, quod vniuerfale non. fumitur hic pro tere mino multis communi,vt in lib. przdicalb fed pofteriorifticé, pro illo .f. predicato:, rag eræ conuenit fubiecto, et fecundü ipfum, ideft adzquaté, et conuertibilitet: in hoc .n. fenfu fumitur ly primó, non ve ró vt fonatacimmediaté) vteft rifibileres fpedu hominis, vel ciusdefinitionjs 5:at  hzc, homo eft fenfibilis, non eft predicato À vniuerfali, quia fenfibilitas non conuenit homini, quatenus homo c(!,fed quatemr$  animal, neq.ifta, homo eft animal; quia   non conuertibiliter, et ada quaté dicitur de  homine. dii soc oefs MCA E Vt auté clarius percipiatur menor u Reeve ; debemus cum Arift. 5; Poft.c.5. patefacere errores,quos j committere circa przdicatum vniuesfale ivtillos perder modis poffu mus errare ; Primo hi ext vno tantum? Ze indiuiduo vniais fpecici,putaret quis,quod  €f predicatum pcr fe,& vntuerfale fpeciei,  conuenire huic indiuxitto enus« ft tale IZ. indiuiduum, verfi quiscxiftimarethuicLu nz quatenus hzc Luna clt ;conüenire ecl pfari,crraret, quia etiam altexie iret, dori pi am hocprzdicatum noncon uenict Lunz, quatenus n "d ticulari (ed qpatenus. merfal,   Sécundo, quando funt pluresfpecies, qnibusfecundumrationem communem eon wenit przdicatum, quz cum fit incognita, putaret quistale przdicatum illis comes  nire fecundum proprias rationes peculia res,vt fi quis exiftimaret localiter moueri yationcs fpeciales,cum tamen cóueniat fecundum rationem cómunemanimalis per^ eh æ fupponitur innominata . Tertio, fi quod eft fpeciei, putamus conuenirege neri, vt fi effet tantum homo in rerum na tura, et quis putaret homini conuenire effe rationale,quia animal, erraret . Quos erro. res,vt cuitemus;affignat Arift.cit.hancre gulam, vtverum vniuerfale przdicatü co, gnoícamus.$i pofitis omnibus non talc przdicatum, et ablatis nen au. 5  pum cft pradicatum illud non conuenite  febiecto fecundum illasrationes: Sedíecíts  À : eu d] uim cam rationem erit prz M. 7De emonflratione propter quid. gerfale.fec dum quam primo, et conuer uertibiliter ità conuenit ; vt illa ablata ab jntrinfeco, et per fe aufertur tale pradica  fum, et illa pofita ponitur, vt pofita ratio nalitate in homine ponitur rifib litas, et il Jaablata, hac etiam aufertur .  Hi funt neceffitatis gradus, quos requirit Arift. ad principia demonfi ratioriis, quorü vltimus prafupponit fec undum, et prim&, Loy n. de przdicato vniuerfali eft perfe, et de omni, fecundus prafupponit primum, fed non contra, vt patet intuen ti. Verum eft tamen, quod non omnes mo di per e demonftrationi inferuiunt, fed fo Tum primus, et fecundus,in quibus pradi catum nunquam poteft fubicéto nó ineffe, quamuis etiam quartus poflit aliquando infernires tertius veró modus, quando exi ftentia demonftratur de fubie&to, dumtaxat infcruit. :  Dices, bonitas, fapientia &c. demonflrà tur de Dco, et tàmen iftz propofitionesnó funtde omni, epe fingularitaté fubie Gi: item eclypfis de Luna demonftratur,in qua coneluftone non adcft vniuerfalitas t& poris ; demonflratur etiam in hyeme effe nlues,in aftate grandinem fieri, &c. quz nullam habentpeccflitatem, ergo falíum efl,quod principia demonftrationis debent hcs gradus neccffitatis habere. R cfp.quod vniuerfalitas fubiectialia eft pofitiua, vt quando fubiectum eft commune pluribus, uibus omnibus conuenit pradicatum ; a Jia eft negatiua, vt.cum efto nihil fit fub fubicélo, tamen nihil cft fumere fub illo etiam per impoffibile, cui tamcn non con ueniat pi edicamum: item plures dantur gra dus neceffitatis, quzdam .n. propofitiones dicuntur neccffariz,quia vt plurimum ve  yificantur, fed/falliblliter, vt quód dentur E nióes in hyemes quzdam aliquando, fcd infallibiliter, vt qnod tali tempore.& pofi tis talibuscaufis eclypfisLunz contingat 5 quzdam, vt fint fcmper, et infallibiliter na turali potentia, vt quod oriatur Sol queti dic,& occidat; quadam femper; et infalli biliter fecundum omneni potentiam, vt quod homo fit rifibilis :ad arg. refp. quód propofitiones dc Dco peffunt dici dcom ni,quatcpus fibic&tum potcft dici vniuer fale vriuerfalitate negatiua quatenus niil effet fub Dco, fi effet poffibile, cui nó con ueniret bonit;s et it: alix propo fitioncs fccundum quod funt neccffaric;di cuntur demonftrari, et magis funt ne ecffariz;co perfcóliori tionc de ft5 monftrantur, et quia demonftratio potiffi ma eft €  prre,& ^e ipfa pracipue loquitur .qua propofitiones maximé neceffariz dran iui tdcirco dixit principia demorftrationis effe debere taliter neccffaria, vt fint de omni, per fe; et fecundum quod ipfum . í . De demonfiratione Propter Quid, 21 Emonftratio ab Arift. r. Poft. c:102 diuiditur in demonflrztionem pter quid, feu potiffimam, et in demonftræ tionem, qw;, prima eft, que per caufam proximam, et adzquatam procedit tanquá per medium ad démonftrandám douciatas nem, fccunda, qua à nontali caufa proce dit; prior dicitur potiffima, et à priori pro pter perfe&tiffimum modum proccdendi,8a perfeéiffimam fcientiam, quam parit : de qua Arift. c.z. duplicem dat definitionem. Prima definitio cft ifla, Demenf/ratio ef fy llegifmas faciens fcire,leu eft fyllopifmus ym us dcfinitio conftat ex genere, quale eft /!logifmw:,& ex differentia, quà circumfcribit nobis ly faciem: fcire, per quod a topico, et elencho diltinguitur ; et confe quenter poteft dici hec definitio for malis,quatenus datur per caufam formalé, ualis cft differentia ; geret quoque dici nalis, quia datur per fincm demonftratio nis, qui eft ícientia, propter quam cít infti tuta, Verum cft aduertendum;quod fi. fcire, hic fumitur lato vocabulo, vt ét ad fcire à pofteriori extenditur, fic talis definitio erit demonftrationis in communi, non demon« ftrationis propter quid at Arift. per faire intellexit fcientiam proprijffimam ; quam fupra. dcfinierat,vndé in tex.9.ait fcientiam demonflrasiuam effe ex prioribus; et conclufionis .  ! Secunda definitio, quz materialis dici folet,quia datur per conditiones principio" rum; et ex definitione fcientia illam de xit Arift.cft ifta, Demonlratio efl llogsfmus confans expert, primis, 1mied 1Af i5, not ito ribus, pruoribus, C ceu[is conclufiomis . Ab ifta dcfiniticne parum differt fecundum ali s ia quz 1. Top.c.i. traditur, e& /l i[mus conslani ex principis verit aut prio mis aut Talibus,qua cx promis na copPilite mi:  pfere principium ; (cd melius dice tur dcfinitioncm competere demon flrationi communi ad propter quid,& quias vt omnis demenftratio à s Lapin topi " c hcm II4. €o fecernatur, fignum huius erit, quia da tur per difiunctionem veri;, «uf primis, nà rincipia demonftrationis €»ws« (unt vera, Do non prima, necimmcdiata : pto de claratione igitur huius definitionis fingule particula font expendendz. : 21 Prima conditio cft, vt fint przmiffe eera, quia conclufio eft vera, ergo et pra miffz, nam licet ex falfo aliquando fequa  tur verum ; hoc eft per accidens, et ratio ne forma fyllogifticz,non per fe,& ratio ne materiz, imó quamuis conclufto illa fe cundum fe fpcétata fit vera, attamen vt de duca abillis pramifüs eft falía, quia vt fic includit vim 1illatiuam, et caufatiuam prz miffarum refpectu conclufionis, quatenus conclufio eft éffcétus, et pramiffz cau(z ; at falfum cft conclufionem veram effe effe um falíz premiffz, non cns.n. quale eft falfum, nequit effe caufa entis, quale cft vcrum, quapropter hoc totum.f. conclu fio in íe vera cum relatione cffe&tus ad pre miffas falías vt caufas cft quid folfums tum quía noncns non poteft fcir:, falfum. eft on ens, ergo nequit fciri, et illi affentiri intelle&us ; hzc conditio conucrit ctiam fyllogifmo tepico. Diccs,ex æternitate motus,quod cft fal fum, Arift. colligit &.Phyf. exiftentiam pri mi Motoris, quod eft verum, et in demon flratione ducente ad impoffibile vita pro pofitio eft falfa .'Tum quia de infinito,va «uo, et ente zationis multa demonftrantur, qua funt non eitia, et falía . Refp. ad v. pa tct ex dictis,cohclufionem Arift. de cxiften tja primi Motoris fequi pcr accidens ex motus aternitate, vel quod etiam conclu fio fit falla modo explicato ; in dcmonttra tione autem ducente ad impofibile conclu litur tcgatiué, et pramiffa fal(a affumitur fub conditione, fi effet vcra, tunc autcm non deifta demonflratione loquimur; fed de oftenfiua, et "pre ter quid. Ad 2. denott entibus, et falfis datur fcientia negatiua, quatervs cognofcimus infinitam non dori, vacuum non exiflere, ens rationis non effe vetüm cns, fed falfum, non veio fcientia pofitiua afbrmando de illis aliquid verum, &rcale predicatom. Secunda conditio eft, vt fint froma, et dm mcd sata, Viæ .n. particul&, quamuis ab aliquibus diftinguantur, communter tan .protodcm fun.untur, et in tantum Arift. appcftit ly pmmedsanis, vt infipuarct, non fumi in codem fenfu ly primis, er griri bv;, vnde tex.10. I 13. candem fignifica b. d E: Pars Secunda Iflit.TratlI. Cap. TV. tionem ambobus tribuit; hec igitur condi tio denotat, auod principia demonflratio nis debent effe immediata, feu i ne firabilia per aliud medium à priori, et in codem gencre; dixigus 4 £rir;, quia non officit, quodà pofteriori, et per effectum: demonitrentur : diximus s» eodem gemere tiam poteft vna cauía demonflrari per alia alterius gene:is,& tamen dicetur prima,Sc immediata in Eon genere, et ratiohu ius conditionis eft, quia f principia effent  demonftrabilia,& cuidentia peralia, et illa.  peralia,procederetur in infnitum, quod  eft cuitandum,ergo ftandum eft adaliqua t principia immediata indemonftrabilia EV aliud medium prius, et intimius fubieét EC i Verum eft tamen,quod aliqua dicuntur in P demonftrabilia formaliter,quiafeipfis süt. taliz,alia virtualiter,fi.f.euidentiam hæ. beant abalijs principijs prioribus,per   uepoffintdemonflrari,conficienstamem  demcnílcilionem cit illa re. Fnprio 0 ta principia ; quamuis autem ad fimam demonttrationem requirantur prirr cipia formaliter immediata, tamenad pere etiam demonftrationem fuffciunt prince   piz virtualitcr immediata, aliter siis la retur fcientia fubalternata, We e ge ^ men priora principia fint nota fcienzi, ali^  ter non effct demonftratio, fed c topica in:pfo, Hviufmodi propofit poffunt effe tàni affirmative, quàm ug,affirmatiue precipue erunt,que no bent caufam, cur MI &o,vt quando definitio € jat rim genus, vcl differentia predicatur de Hefinitoy 8c cutm prima palla de defnicione S dicitur,& vhiuerfaliter quando effe&üsdis  citurde fua proxima caufa, v homo eft animalrationale, bomo eftanimal, eft ra^  po er dna ra onse en «^$ ifcurfiuum,&c. at hec dert ; "D non dicitur immediata, qua po reüd á peranimaldemonftran. Negative eruntjjn  quibusextremaíeipfis difünguunturl,non  peraliud medium, vtanimalrationalenon  eil hinnibile,hec veró]homo noneftpláta,  non dicitur immediata, quiapoteftoften  dt per animak. Et ifte due conditionescó ucniunt premiffis in [c,abtoluté, et pofitiones junt, fequentes veré in adconclufionem, vc principia illius.   .13 Addit dcinde Arift. tres alas condi tiones corucnientes principijs compara tis 2d conclufionem nud T priorións, notioribus, cau foue conclmfiom, epe A ^ tea 3  tantüm in cognofcendo poteft De demonfiratione propter quid 1 mb vltimam explicat,à qva coetere pro ueniunc, debent igitur effe caufe conclu fionis, quia (cire eft rem per caaíam co guoícere, vndé medium debet eíse caufa inhazrentia prædicati cum fubiedto in con. clufione, ergo przmiffe talem caufam de bentcontinere. Pro cuitis notitia commue niter dicitur,quod cau(z alia eft in cogao fcend»,qua (.eft racio, cur aliquid cogao Ícatur,quo fenfu cum per effe&tum cogao fcimus cau(am, efe&tus refpe&tu cam(z di citur cauía in cognofcendo,alia eft cau(a in effendo;à qua aliquid in eff cau(atur, que etiam caufa in cogno(cendo dicetur, fi per ipfam cogno(cimus effe&um ;j& hzceft du pleit formalis, feu propria, qua.f. veréeft cau(a effectus, fiué phyfica,fiué metaphyfi €3j1lia virtualis quz propri non eft caufa, fed taliter fe habet in ordine ad aliud, td fi illad cau(aretur,non nifi ab illa cau a proueüiret, quomodo ticompreheafibi litas Dei ab infinitate ipfius prouenit, et quia hic definitur demoaftrario propter tid,per caufam non intelligiturilla, qua ^ Fare ondes eítin dudhoftendo  fed in: imeffeado,& fecundum rem, fiuà formalis fit,fiue vircualis, vt demon(tzationes, quz fiunt de Dco,verz poffit d. iones dici,quod confonat Scot.quol. 1.art.z, Sed hoe disum de caufa virtuali non placet Amico tra&t.36.q.6.dub. 1, vndé ne gat demonftrationes de Deo, et aliquas ma thematicas fub demóftratione hic definita contineri, co quiacaufz virtuales nó funt, nifi (ecundum nos, non áparterei, ergo ft intelligitur res ab illa caufa caufari, in tellizitur falfum : Tum quia etiam caufa dici caufa virtualis,& fic demonítratio ab effe&a ef fet demonfiratio propter quid : Tum etiam quia de principijs daretur ícientia,nam ap prehenfto terminorum pote& dici caufa vircualis cognitionis principiorum, quia fi offet caufari, ab illa caufaretur, Verum tantus rigor non placet ; fi.n. pef caasa virtualem intelligitur id,à quo pro prietas aliqua dimanat,& pullulat abfq.alia dependentia, et imperfe&tione, quo fenfu Patres Grzci nomen caufz admittunt in diuinis, et conuertitur cum principio, po teft pro medio affumi in vera, et propria demonftratione propter quid, quia fufficit Exec pent Q9, et parum re ert, q» veri dependentia, e. &iont. Nec obiectioncs aliquid valent:non NES virtuales ctiam a partc 115 rei funt tales, quatenus à parte rei vnum pullulat ab alio, vnde non intelligitur tfalíum, fi à dependentia preíciadatur. Non fecunda, quia caufa non prouenit ab effe&u ideoque effedus non erit caufa vir tualis. Non tertia, quia hiceftfermo de caufa inhzrentiz przicati cum fuübiecto, bo^ fenfu apprehenfio terminorum nequit ici caufa priacipiorü,neque termini prin cipioram habent aliam caufam,cur adinui« cem connestantur,cunt fint prima,& imme diata;quare de ipfis nó erit (cientia. Verüm eft tamen,quod Arift.przcipue intellexit de cauía proprie dicta, vndecft feré quatftio de nomine. A 24 Exhoc probatür,quàd przmiffr fint priores (quz particula ditfercà ly primis, dicuntur.n.przmniffz prima,quia non habéc alias priores;dicuntur priores refpe&u có clufionis) co quia mL elt prior ordine, 8 natura ipfa concluüone,(icut quzlibet cau fa prior dicitur fuo effcóta, Ec quia funt cau fx 10 effzndo,& cogno(cendo ipfius conclu fionis euidentiam.n.,& certitudinem con clüfio habet cx præmiffis, fequitur, quod nótiores fint ipfa conclufione,quod probat Aiift. per illud axioma, Pregrer qud vssm quodque tale, illud magis, vt ivolumug medicinam propter fanitatem, magis volu mus fanitatem, fcd affentimur e æra propter przmiff;s ergo magis affentimur rzmiffis . Pro exacta tamen cognitione huius axio matis multa folét à oribus afferri,vt ip fius veritatem faluent,quamplurefque co ditiones, et limitationes ad ducuntur:breui ter tamen dicimus, quod ifta propofitio cft caufalis, vnde verificatur in his,qua fe ha bent,vt caufa, et effectus; et fundamentum fumit ex hoc,quod nulla caufa producit ef fe&um feipfa nobilierem;fed femper caufa totalis,faltim vt caufa, et iadependens eft,  dicit maiorem perfs&ionem, quàm effe &us,nam independentiz dicit perfectione,dependentia imperfectionem ; hinc. condi tiones reqiifitz ad veritatem iftius axioma tis,przcipuz funt, quz ad faluandam ma ^ jorem perfe&tion&cau(z refpectu effzctus requiruntur, Prima igitur conditio elt, vt caufa fit totalis,& per fe refpectu illius effe &us,qua ratione naa valet, compofitum eft ensin actu propter formam, ergoforma eft magis in acta, nam compoficum eft eas  in adu fubfiftens forma elt a&tas informis, nec forma eft totalis caufa aztualitaris eó pofiti fed ctiam propria i s : funiliter 1 DOR E ed a 116 1o valet, celiinfluunt propter motü, ergo motus magis influit co quia motus n6 cít p fc caufa influxus fed p accidés, Sinftrume talis.Secunda, vt pradicatü;t quo fit cópa ratio,conueniat formalizer ca.n caufa,qui effcctui,vnde nà valet,ær elt calidus prop. tcr Solem, ergo Sol eit magis calidus ; Pe trus odio habet peccatum propter Deum, ergo magis Deum odio habet;homo deam buiat propter fanitatem,ergo fanitas magis deambulat.Tertia,qua ex prima deducitur, vt id,quod effc&um denoiinat calem,cau fctur à caufa quatenus tali,qàa rationenon valet, domus cft alba propter edificatoré, ergo adificator elt magisalbus, quamuis ip fi etiam albedo cóueniat, quia albedo zdi ficatoris non eft caula albedinis domus . Quarta, quód forma,in qui comparantur, fuícipiat magis, et minus, hincnon fequi tur, Petrus eft homo propter Franci(dit;er go Francifcus eft magis homo Fílius in di uinis fpirat Spiritum Sanctum propter Pa  trem,ergo Pater magis fpirat ; Fàdem quàd ly mazis,& minusmon neceffarió dicit (em per intenfionem,& remiffionem graduum, fed aliquádo maiorem perfectionem quo ad mod pe talem formam, quia.f. magisindependenter, et àfortiori, vt fi ær vt quatuor calefaceretlignum vt qua tuor,fi inferretur, ergo ær elt magis calid?, ly magis nó diceret maiore intenfioné calo ris in ære,quá in ligo ; quia ambo funt vt quatuor; fed perfectiorem modum poffi dendi,quia magis independenter, et nobi liori titulo poílidetur calor ab acre, quia ett caufa, quàm à Hino  Cà his co3litionibus intellectum i'lud axioma femper ett verum in qnocu1que genere caufz, vc bené hic aducrtunt Tatar. et Iode Miriftris. lices,ràám obicdtam, quàm fpecies ip fius (unt mcelligibilia, &tamcn noa fequi tur obiectum intelligitur propcer fpeciem,, ergo fpecies mais intelligitur; infuper fi iter, Se filius effent parui, aon fequitur fi ius cfl paruus propter patrem, er20 pater. elt magis paruus:ité conclufio eft fini: pi et miffirnm,ergo funt propter conelafione, ergo concluíto erit magis euidens, et nora Refp.fpeciem nec cffe caufam tocalem intel Jedtionis obic&i,nea; cocurrere,quatenas eft iucclligibilis vt Quz, (:4 potiuswt Q ia reprz(cotando f.ob:cstan, vnde deficit pri ma, et tertia contio. Similiter fzcundo exe plo dficit prima conditio, paruiras.n cum fit 1«fectio,& nezatio,non eft «tízccus per Íc, fcd per accideas productus: D.mum cer Pars Secunda In[lit. Tra&l.I, Cap. 1V "tur circulus ia demonflrationibus;idem ef  peer noa tio exemplo deficit tertia conditio, aam cenclufio vt finis non caufat in przmiffis. nofcibilitatem, et euidentiam, Li appe t:bilitatem, vade fi przmiffe folammo doproptcr couclufionem, et non ex alie. capte amarenrut, mags Cif.t amata conclufio. Jd 25 Sedcircanofcibilitatem principiori duo füeruat errores antiquorum,quos re  fert, S rcijcit Arift c5 nam aliqui negarüt  fciri poff, aliter fcircntur per alia princi  pia, 5c id infinitum ; alij dixerunt fciri per demonftrationem circularem,vt.ficoms  Clufiofciaturperprincipia, et hecdeinde . persondighonemæ non eft in ME E ocedendum.Primum errorem,quiæui  Dis elt, nou confucat Arift. fed (lá foluit ; "S rationem ipfius,nempé quod quamuss noti, tiaprincipiorumnon fitnobisiudita á pa ;tura, &intellectui noftro congenita, €o quia intellectus nofter e canquam tabula ra(a;in qua nihil elt depictum, di&untur ta : men lumme naturz cogno(ci, et no per alia. . principia y quatenus percipimus fenfibilia .  per fenfum, ex fenfu fiunt inaginationes s; et phantafmata, ex quibus efficitur. mento ; C Tu rja,& ex multis mempofijs experientid, ca dem ab experienta pluriem fingulari colli zit intcllzétus propofitionem vg lem,cui vi ]umiois natüralis,Scindatztd nationis à natara clarum, certum prebat affzofum,& inhoc principio wins "T tcllectus noa procedens vlcerius,  j tius cx co colligens conclufionessvnd Mh  eít coznitio fcientifica,& per canfam, fed à fimplici apprehenfionc terminorum origis natut,at de notitía primum principiorum.  plura vidc difp.5 .Mét.q.2.Secundum erfo rem refpuit quia cum d«moaftratio circu larisia hoc differat àregreffi, vtilla fem  v ead.m via procedat,.f pronti quib M caufa ad effectum,hic vero. diuerfa via,' primó a pofleriori. et ab effectu fecundo priori, et à caufa; fi omnia per. dem lel tienem propter quid fcirentur, itaut fet notius, et ignotius natura refpe&tu . ciufdem,quo4 contradicit; prebatur. feque lanam demonitratio propter quid proce dità notioribus natura, et in fe, qu fuat principia,ad igaoziora natura, quz «il con Clafioserzo fi principia deinde per .cenclu fionem demosft farentur demonttratione.. . propter quid,iam conclufio cfctnotior na tura, in ferefpedtu principiórü:qua pro«  cit admittendus circulus y M e 3 . experfeinharen :  De demtonslvatione propter quid . refus, ita vt cum ocipiidenionftramas 'couclufionem 5. calis demóftratio nó cft poer quid,& à priori,fed quia, &à no erjori per c mnobis notiorem, fcd ignotiorem.natura, adeaufam notiorem na tura, et nobis ignotiorem 5 Notioranobis, funt fenfibus propinquiora, ignotiora à fenfibus rematiora, queriam noftra co itio ortum ducit à znfibus ; et quia ef fedus vt plurimum funt propinquiores fenfibas, cau(z veró remotiores (intecdum An.res é contra fe habeat, vt patét de Sole, i propinquior eft fenfibus quibufdam cf ias ipfius in vifceribus terra) illi erant nobisnotiores,iffz ignotiores; notiora na turaé c o,quz funt minus fenfibilia, . vt vniuerfalia, igaotiora natura, quz funt  magis fenfibilia, vt fingularia, de quo vide dfp.s. Metaph. qu. 9. art,. vbi de hac re: agitur ex profeffo.; /  2 T  26 Ex hispatet definitio demonflratio nis materialis, et códitiones przmiffarum, ex quibus aliz códitiones oritur, vt gp fint neceffiriz,necefficate in pracedea cap. de clarata,quz à doctoi;busponitur potius vt patfio cónueniens przmiffis ratione termi norunex quibus conftant, quam conditio ipfaruni.vt przmiffz (unt ; item,quod fint ;ex vniuerfalibus ;& . «ternz, non quidem zternitate incomple xa,vt eit Deus, fed complexa, vt nimirum . fint propofitiones zternz veritatis; et tan dem quod fint propriz,non communcesiná principia alia funt propriz,que ad ptopriá, et dctérminatam (cientiam fpe&ant, ália : non propria;vel quia aliena:omnino, X alte :  rius fciotiz vt principia Geometriz refpe :: &u Medicinz;vel quia cómunia omnibus., aut pluribus fcientijs., principia ergo de bent eff propria, nonaliena ;,: qitia cau(z os ANKE ad certos piotdt, ergo roprias :caufas,Xnon per de ert e cona debent; non debent €ffe communia, quia iftanon faciunt (cire fccundum quod ipfumx.vedictum cft4upra, : ta terminos fpeciales:, et proprios iuícunq; fcientiz'contrahantdr ., vt hoc priacipium,fi ab € qualibus zqualia demas, quz remanent,fuat zqualia, eft commune Geometriz lineà confiderarit, et Arithme « ticz;que eft de numero, potcit fieri pro prium Artthmeticg,fi dicas, fi ab anqualibus nuyeris; Xc. proprium Gcometriz,fi ab e bus linetsy&c; Hinc fi fcientia funt.di fparatz,non licet de(cendere de: generein.  ;hoc eft,non licet per principia vnius ES 117 fcientia oftendere conclufionem alterius, quia fcientiz fuam. vnitatem fimunt ab obiectis, et obiecta harum fcient arum funt omnino diuerfa, et diftincla, at fi ícientiz fnt fübalternz, licet quodammodo tran fcedere de generein genus, quia conclufio ncs fubalternantisinferuiüt pro principijs in fcientia fubalternata propter fübordina tioné obiedtorum. Haxconnia tradit Ariff t.Poít.v(qiad ro.cap. :  De Dem: nfiratione Suis. 27 Tyra Quia eft illa,quxà d ] caufa propria, et adzqrata proce dit ad demonitrandam dub s, qua ratione:dicitur,demonftrationem propter quid tacere fcire propter quid res fit, nang perfcété quietatur intele&us per ipfam, demonítrationem vero Quia folum facere Ícire quod res fit, nam licet euidenter de monttret przdic atum conucnire fubiecto, noü tamen perfede quietatur ihtelleátus, fed vlterius procedi ad inucüigandame propriam caufam . Multipliciter antem poteft Reri hzc dej moniratio,Primo quádo per effe&£tum de meéllratur effe; circa quod. eft not. quod effeQtus quandoq; eft cum. fua, cauía conuertibilis,& tunc ex negatione, vclaf Éirmatione effc&us potcft concludi ncga tio,vcl affirmatio caufz,, et poffumus dein de progredi per demonfirationem proptec quida caufa ad effe&um, ità fe habent rifi büe.X rationale;quandoq;non eft conuer tibilis; fed inadzquatus, vel quia excedic cau fan, fi poteft ab alia produci, vt calor refpectu igois, qui poteft a fole quoq. gene rári, vcl quia exceditur à caufa, vt fieffc &us quando elt, femper à rali caufa prouc niat;non tamen femper ab illa caufetur, ità fc habet reípiratio refpeótu animalis, nam Bintznos doloidpn, non tamen refpirant, c fénfibilitas refpectu viuentis, animal.n. eft caua réfpirationis, et ratio viuentis eft caufa fenfibilitatis, non tamen funt caufe adzquatz: ab effectu, qui exceditur à cau  fa,poteft fieri demonftratio affirmatiua, vt rcípirat ergo eft animal, non tamen negatis ua;non rcfpirat,ergoaon eft animal:ab ef feétu vero excedente caufam potett esci: demoaflratio negatiua,vt non eft calor,er. . gonon eft affirmatiua ; ctt  Los o B ghus. Hac daponffbelie dh ergo .Haxc m ( l5 citur quoque deronftratio Li E d 11$ quia procedit pe aliquid poftcrius ia re, qualis eft effcétus in ordinc ad caufam, Secundo, quando per caufam remotam", et non propriam demóllratur cffectus, per caufam remotam intelligitur caufa inadz quata,& cunc fi excedit cffeéctum, à nega tione caufz concluditur negatio effectus, vt non eft animal,crgo non refpirat: ft exce ditur ab effectu, concluditur afirmatiué à pofitione cauíz ad pofitionem effcétus, eft 1iguis,ergo eft calor.Hac demonítratio po tef dici àpriori, quia procedit ex priori bus, quales funt caufze 5 hinc quande dici tur demonftrationem propter quid effe à priori, et demonftrationem Quia à pofte riori,anthonomafticé hoc debet intelligi, uatenus omnis demófítratio propter quid a à priori, et omnis demóftratio à poíte ' piori eft demonftyatio Quia, non tamen eft vniuerfaliter verum, quia datur demon ftratio à priori, quz non eft propter quid, fed Quia, et demonftratio Qyia, quz non eftà pofteriori. Dices datur caufa remota,à qua per de móftrationem propter que proceditur ad effe&um, ergo falfum eft demoní(trationem Quia P cre à cauía remota ; dntec. prob.hzc eft demonftratio propter quid, . omneanimal rationale eft rifibile, omnis homo eft animal rationale,ergo omnis ho mo eft rifibilis, et tamen incer animal ra« tionale, et rifible mediat effe admiratiuü, quód elt caufa proxima rifibilitatis; et vni uerfaliter quando eftordo inter paffiones, et effcétus,ita vt pofteriorà priori proue niat.Refp.caufam remotam poffe fumi du pliciter, vel vt diftinguitur ab immediata, et proxima, quo fenfu animal rationale erit caufa remota rifibilitatis,íed adzqua ta, &conuertibilis ; vel vt diftinguitur ab inadzquata, et non conuertibili, quomo do animal rationale non erit remota catt fa rifibilitans,in hoc fenía fumitur in de finitiope demonftrationis Quia, vnde nega tur anttc.cum fua probatione.Verum eft ta men,quóàd aliqui per caufam remotam vtrà: que intelliguat, vnde ncgant demóítratio nemallatam effe propter.quid, fed oppofi ta fententia eft commuaior, et eft quaftio nomine . Tertio, poteft fieri à figno aliquonatu Hd furiam habeat connexioné cum alio x s inuicem fe confequütur, non tamen fe t vtCauf2., et ctfcétus, vnde dici folet à concomicanti, vt cft ie bile, crgo cftaifbde; et hic modus, quan Pars Secunda In[lit. Tratl.l. Cap. V. uis exprefsé nonlaffignetur ab Arift. tamen quia eít certus;euidens, et ncceffarius,. ratione hzc propofitio, flebile eft rites. non eftomnino accidentalis, fed reducibi. lis ad fecandum modum perfeitatis, quate nus rifibile dicitur de homine, qui datur  intelligi per ly flebile; hinc poterit dici modus demonílratiuus reducibiis ad mo« ^ dum arguendi à non caufa. Ad'rítum modis  quoque reduciporeft Inductio, quz eft à particularibus [ufficienter wr funt pofteriora, ad vniuerfale, quod.eft prius. Demonítratio veró ducens ad im  poísibile eft reducibilis tàm ad demonftra tionem propter quid, quam ad demonítra tionem Quia,nam fi procedit àcamía pro«. xima,c(t demonftratio propter quid, vtfi equus eft rationalis, eft rifibilis, fi verà à à tali caufa nón procedit,erit demon(lratio  Quia,vt fi equus eft rifibilis, eft rationalis 27 Ex his deducitur demonftrationem  ropter qud à demonftratione Quia dif erre multipliciter, namilla procedit fem perà caufa proxima, adzquata,& à priori, ; polieciadi dii pestinst ai dam UT eriori: illa pertinet ad Ícientia d 0 hrec d dee, cum fic funeri EN M^ caufam principiorum fcientiz fubaltema tz,& ca probatà priori;ifta veró fpe&tat ad fcientiam fubalternatam, quz epiusab effectu procedit: illa nobilior eft, : pliciter magis facitícire, et à quod j ipfum. Infuper deducitur demonftrationü  aliam effe a! tiuam, aliam negatiuaim,, fed illam perfectiorem effe,quia d i tio iua non iadiget pro ic negatiua, z demonliracio negate didiget "affirmatiua Propose uer E Do o gatiuis nihil fequirur;ficetiam demonfira  to oftenfiua.dignior eft demonflratione  ducente adimpoffibile, namilla procedit   ex propófitionibusveris,iftafaleemex vna  falía. Tandem colligitur, quod interfiguras fillogifmorum tertia non eít "it ftrationi, nam fcientia eft vn apti deme » tertia autem figura particulariter i dit; fecunda quamuis poffit inferre des  monítrationi negatidz, aptior tamen et  primafigura, &jinter omnes modospri  museftaptiffimus, nam prima figura non  ndiget alijs, fed aliz figurzindigent pri.  ma, qua ratione nobi  rimus modus concludit quomodo: . monítrat;e propter quid. Av £i i238 pos D I wm www» hut OCAPVT VL Par mt mio demonfirationis, 28 pyRacipia difficultas conficiendi de Ti daadoqen confiflit in inuen tione medij termini, per quem conclufio dc atur, hinc non immerito Arift. totum feré s. lib. Poft. confumpfit, vt ex plicaret methodum, et viam inueniendi medium demonfrationis, quod innuit in fine primi libri, dum definiuonem foler tiz a(lignauit, dicens, quód folertia eft ilit«s inueniendi medium im nom perípe 4o tempore, idcfteft vis velociter penetrá dià cauía adetfe&tum,velab etfcétu ad cau, fam in paruo tempore, nam omnis demó ftratio procedit, velà caufa ad effectum, vel é contra. Vt igitur tractationem med;j ag ediamur,cum;pfo Arift. numerum quz € debemus przmittere . 2i  «Quatuor igiturfunt genera queftionum e neeirii mda (9 infinitz fint quz: iones, ficut fcibilia(unt numero infinita an fit "x » quid fit res, konras res, Md qualis fit res, et propter qui res, vc de homine. Primà dnetitur an fic; an .f. habeat. aliquod effe . Secundo quid fit in epo illud effe,quod habet. Tertio quale fit,ideft quam proprietatem babet in fe. Quarto proprietas, prima dua tali tur fimplices, quia fiunt per Sita t  cuntur de fecundo adiacente; pofitz, quia fiuntin tionibus de ter tio adiacente, et verbum eff determinatur  ad peculiare erzdicatum . Sufficientia veró aser j affignari poterit, quia de se aliqua;vel quaritur entitas, vcl proprie t25; fi primum, vel qugritur de entitate rei in generali, et in vniuerfali, an res exiflat, . et habetur primaquzflio, vel in fpeciali, quam ficilla entitas, et NE : ritur proprietas, vel quazitur in Meis ip in fubicóto, &c labetür ter tia, vel caufa tális inhzrentiz, et habetur quarta quaf!o . » . Dices Aríft.1.Top.alias affignauit qua fliones iuxta numcrum pradicatorum, .f. gencris,definitionis,proprij,& accidentis, ergo quafliones plures quam quatuor. Yü quia in on.ni quaflione quar itur predica tum, et fupponitur fubicéium; ergo fi eft fubic&ifemper eft precognitio ; nunquam queílio . Refp. duas primas qua flones ibi affignatas contineri in quaflicne quid cft dps  jus Tract. AX De médiodeniwfrarionig: ^ vay ditatem rei, reliquas cótineri in tertia qug ftione ; Ada. tum cffe verü de alijs queltionbus non de prima ; in qua queris! tur ipfum effe dere, à ifti preíupponitur folum quid nominis,vt diximus eap. 1.hu« 29 Omncs ifte quzftiones, inquit Arift; reducuntur ad vnam,.f. ad quzftioné me dij, eo quía omnis queítio eft queftio me dij,quod probatur, nam omnis queflio etf propofitio dubitabilis,fi .n. non dubitare tius de aliqua re, non effet inquifitio de il lare,fed euidentia, et certitudo ; aromnis ropofitio dubita lis per medium demó atur, et quando meditm fecimus, Ue mur; et ceffat omnis inquifitio, quod patet (e nam 1dco de edypí unz uerimus anfit, et propter quid fit, quia cem caufam, at Michsiopra NR et videremus ipfam intrando vmbram ter re deficere, nec quereremus dc. eclypfi an fit, nec propter quid fit,quia perillud me dium.f. per ingreffum in vmbram terre hec omnia nabis mnotefcerent ; quapropter omnis queftio eft de medio, pcr quod pof fit illa propofitio dubitata demonttrari . Verum eft tamen, quod folum quarta que ftio explicità, querit medium, ac coetere quefliones faltim implicite, et virtualiter $ querunt medium,quatenus omncs ca runt, uam poffint oflendi. P Cunifitir omnl queflio querat cau.   fam, per quam tanquam per medium de monftreturs fcire an.eft rcm per caufam co gnofcere, vt clarius pateat ; quenam caufa poflit in den; tione pro medio infer uire,aduertendum, quód caufa eft, à qua res accipit effe,& que dat eff? rci, eft qua truplex,dua intrinfece,due extrinfece, in trinfeca caufa eft,que conftituit caufatum y tanquam pars in caufato inexiltens, et vna eftmater;alis, ex qua aliquid fit tanquam ex fubiccto in fc rccipiente alteram parté, JL formam;st corpus eft. materia bominis quiain ipfo eft, et animam recipit ; altera caufa intrinftca cicitur formalis, et defini» tur, quod fit quod quid erat effe rci, ideft quz ita dat cffc rei, yt eonftituat eam actu jn certa, acdetermigata renum fpecie,ita babet apima rationalis refpeétu homi nisscaufa extrinfcca eft qua caufat effcétüs fcd in illonó manet,& vna dicitor cfficies, quz £. producit cffc&um, fed vt ait Arift. qua aliquid primum nonet, vt Deus dicis tur caufæff cicns omnium, altcra eft fina Jisin cuxus gratia aliquid fit; fic (anicas di citur E 126 gitur caufa finalis deambulationis . 30 Ex/quolibet iftorum generum póteft fumi medium pro demonfltratione, et ma ximé ex genere caufz formalis, nam inde monfítratione potiffima medium eft dcfini tio fübic&ti, quod fufius declarabimus in difp.folum hic aduertendum,quad illa cau fa debet pro medio infeiuire,qua tempore. ncn antecedit cffcétum,aliter ex caufa non inferretur nc ceffarió effcétus, eum poffit effc fine illo, licet ab effcétu poffin: us argue re caufam, vt diximus c. præced. Infuper fiot.illam caufam debere poni pro medies quz in quzfito quaritur, non vero quz cf ex vi quxfiti nota vt fi p quzrerct,qua« vé pulfantur campanz, ft reíponderemus: ; quia trahuntur,vcl mouentur, non fatisfa cimus quafito, nam illenon quzrit cau fam mouentem,& eflicientem,fed finalem, quia v. g.aliquis Sacerdos eft celebraturus . Deducitut tandem cx ifta doétrina;quod cunt idem effectus poffit habcre plures cau. fas, poterit per plura media, et plures de moníirationcs oftendi ; et quia multe res, mutuo fe generant, etfi non ceádem numee xo faltimfpecie,fequitur poffe admitti de tnonfi rationes aliquas circulares jin quibus femper à caufa ad effe&um precedatür, v. g.cx terra madefaéla fit vapor, ex vapore mubes;ex nube pluuia,ex pluuia itcrum tcr ra madcfaéiio, vnde valet infcrre cf. terra gnadcfactio, ergo cft pluuia, à cauía ad cf fcBum, et deinde eft pluuia., crgo tcrra madcfa&tio,etiam à caufa ad effectum, que demonftrationes quamuisnon fint potiffi. y» € ncceffariam cbonexioncm «auíz ctm effectu,non fnnt tamen vitiof 2, seque ja illiscommirtitur proprie circu fus, quia non redituz ad idé numero,fcd ad ide fpecie, vnde nó fequitur idé oino fimul effe prius, et poftcrius refpeétu eiufdem . Quoniam veró mcdium in demonflra« tione cít definitio,tra&at Arift.in a. loft. de definitione, docetque modum eamycnádi, et covftrucndi;ícd quia de hoc fusé agimus infra difp. 1.9.4. hic al'anon addimus zd fc «undum Poficr fpe&tátia, hzc cnim omnia ibj cx profeffo tradenius. A. De Syllogifmo Topico . pe materia tüm rcnicta tiia proxima fyllogifmitopick, . ft tractatum de fillogtimo: demon firatiuo, de fillogilino copico occur Par: Secunda Tn[lit.Tratl. V. Cap.V'T, "wisteram logicam fignificet,peculianter  rit fermo, ficut.n. demonftratio eft ceteris.  nobilior, quia fcientiam generat, quz opi nione,& errore eft przftantior, ita fillogif mus topieus debet clencho, et falfigrapho. praferri;quia opinio, quz effe&us eft topi ciJongé fuperat errorem, qui ab elencho generatur; Sillogifmus topicuseft,qwiex. probabilibus collisitwridelt q xexpramuffe  non neceffarijs; fed ProWbi libus infertcó.  clufionem etiam probabilem; vnde nó Íci&: tiam,quz eft cognitio certa, et cui : opinionem parit, quz eftadhafio intellezs ctus alicui propofitiont cum formidine oppofito;non requiritur auté,qnod vtraqs. pramiffa fit prebabilisfed fufücitvnayquià lufio fequitur femper debiliorempar  t t b ;ficut ad inferendam conclufioné fal«, fatis eft vna pramiffarum falfa, Pros bilis propofitio cft, quz videturvera,veb   ornibus hominibus, ràm rudibus quàm: fapientibus,vel plurimis, vel fapientibus fb« ]om,& his, velomnibus, velmaioriparths  vel preftantioribus: hec antemapparentid:   2 J veritatisnon fe tenet ex parte rei ; k detur aliqua propofiuo, qurinfemec veritatem habeat, nec falfitatem, hoc n, implicat,cum veritas, et falfitas « &orié oppenantur,'fed prouenit ej intellcéus,eo quia veritas, vel falfitas) propofitionis mon 1ta cuidenter percipi ab intelle&u, quapropter vpi int propofitio illa propter: voi parct vera, alteri vcrivcx alijs cap paret falía; hinc pót cffe, ? i tio fit in fe neceffaria, fc non cuidepter percipitillam ne« nexionem, ignorans caufas illis ne tis, fed tantum ex vorifim;li quadam. arenti ratione mouetur ad affenti ET tn,necdiecturia pros  fitio neccffaria fed probabilis. Ex qui» s pstet; quomodo fy llogifmus topic dosi demonfiratiuo differat, et ab a enim ex fitionibus veris, certis, et cuidenti s procedit; ifle ex p io nibus in fefa!fis,.quz'verz. irpo non fapientibus,neq. cum aliquo fundamento  veritatis; at to procedit ex probabie  libus apparentibus veris ipfis fapientibus proptcr fundamentum aliquod, et confi milcm rationem veritatis; dicitur ifie fyl logifmus dialeéicus, nà dialectica,quam  tamen huic parti aícribitur, «o quia hac paite nidi de ebnsomuijuspirbabi 1 De materia Jllogifsn) Topic... fibus, £ incertis copiofam difputationcm infituere acte ip tit Prud topicus, nam £pos apud gracos fignificat idé quod : focusspud latinos, et hzc pars logicalis locos omnes tradit, à quibus media defu mimus ad probandas probabiles propofi tioncs, de  Materia huius fyllogifmi, ficut &aliorü, duplex eit, remota, et proxima ; remota süt termini, proxima propefitiones, de vtraq; agit Arift.  Top. hanc ait effc problema dia Je&icum,& propofitionem dialecticam;;l lam ait effe pradicata topica, non quod propofitiones dialecticz ex folis Ue lca tis conficiantur, conftant .n. ex fubiecto, copula, et przdicato, fed de przdicatis tantum mentionem fecit, quia ex diuerfi tate predicatorum fumitur problematum dinerfitas, vt infra; prius igitur de materia remota, dcinde de propinqua agemus. 32 Pradicata topica quatüor affignátur ab Arift, i. Top.c.4. Definitio;feu terminus, genns, proprium, X accidens. Dcfinitio eit oratio explicans effentiam rei, et dicitur terminus, nam ficut terminus agrorü,quic uid pertinet ad a2ros jin fe claudit,ita de nitio continet quicquid eft de quidditate dcfiniti,de qua dcfinitiope ex profcffo age mus infra difp.1.q.4. Genus elt; quod de pluribus differentibus fpecie in quid,  len dicatur : Proprium eft. quod nonindicat ei effentiam, foli autem ineft, et conuer pradicatur; Accidens eft, q» nec eft de finitio,nec genus, nec proprium, fed pcteft ineffc; et non ineffe rej, ex quo loco süpfit Porph. dfinitioncs przdicabilium. Ex quibus definitionibus colligitur 5 vt re&té notauit Auería q 55.fe&t. 5 .malé Ru uium zfferuiffe hic n. 8. et 9. przdicatum accidentis omnia illa fub fc comprehende r6, quz de fubiecto quzruntur in proble mate, ie €o quod cxplicité quzratur modus, fi .. conueniant fubic&to tanquam gehus, vcl definitio, aut proprium, v. g. fi quisquareret yan animal conueniat homi ni tanquam genus, tunc animal contiretur füb przdicato generis, fed fi abfoluté quz yeret, an homo fit animal ; ait Ruuius, ani mal tunc continer: (üb pradicato acciden tis. Hoc autem cft falfum,quia przdicatum accidentis fecundum Arift. poteft non inef . fe, animal sutem, definitio, et proprii ne O4 non ineffe;quaprojter quam;uis ali, 2x explicite nó quzratur modus pre cati, implicité tá queritur, et fic animal 'séper fub pracicato gencris cotincbitur . Tig pim ki LEX: Sufficientia horum przdicatorum tangi tur ab Arift.cit. nam omne pazdicatum vcl conuenit fübiecto conuertibiliter, vel in» conuertibiliter fi primum, aut eff.ntisli» tcr, et fic eft definitio, aut accident. liter. fic et proprium, fi fecundum, aut cffentia liter, et fic cft genus; aut accidentaliter, et fic eft accidens. Dices, tot funt predicata, quot przdi cabilia, fc habent enim vt actus, et poten tia, przdicab le eft, quod poteft predicari pradicatum,quod actu przdicatur, fcd przdicabilia funt. quinque. f. genus, fpe Gies, ditferentia, proprium, et accidens, er» go, &c. Tum quia tranfcendentia, &indi uiduum non continentur fub iftis prædica tis, et tamen poffunt de aliquo prædicari. Refp.Tat. hic, et cum co fcré omnes Re centiores, przdicatum in communi differ re à przdicabili, vt atum et potcutiam;at przdicatum topicum habere vltra hoc, quod de aliquo pradicetur,modum illum predicandi conucrfim,, vel non conuerfim, quapropter fi m dan fpccifica confide ratur in ordine ad fpeciem, et generica in erdine ad genus, non erit przdicatur di ftin$tum à definitione, quia vtr3q; pradi catur conuertibiliter, et effentiafiter, fi ve ro camparantur ad inferiora, reducuntur ad genus, ad quod reducitur etiam fpecies, et tranfcendentia, quia ifta omnia przdi,cantur effentialiter non conuertibiliter : 82 quamuis dcfinitio non aifigactur à Porph. inter przdicabilia, hoc etl, quia nemis de incomplexis omnino in ordine ad catheg o rias mentionem fecit,in quib.dcfinitio non collocatur, Arift.veró locutus eft de przdi €tis in ordine ad problemata topica 5 Sed plenius adhuc fatisfsciédum eft huic dübio: infra difp.4. q. 5;nó inficiamurtamen,quin aliz poflint fubdiuifiones fieri, et fic multi pl:cari pra dicata aifignando differentiam, et fpecies, vt przdicata diftincta.Indiuidnü tandem potius natum clt fubijci, quà prz dicari, de trafcendentibus non (unt fpecias lia probl.cx Sco.1. d.8. q. 3.5. 35 Problema dialecticum eft quaftio dg vtraque parte contradictionis, vel contra . rietatis, vt an homo fit animal, an non, an terra fit frigida,vdl calida;propcfitio diales ctica cft interrogatio ce vnà tantum'parte quaflionis . «tan terra fit frigida, vnde ppebicma, et propofitio dialectica d'fferüe cut pars, et totum, nàm problcima GM cité vtramque partem quarit, propofitiá alteram explicité;alterà im Bee E à por 121 poffunt primóà iuxta. diuifionem przdica torum, vt aliud fit problema definitionis, in quo definitio quzratur de dcfinito;aliud fit problema generis,&c. Secundo diuidü tur juxta diuerfitatem materiarum, quzin fcientijs pertractantur, vt aliud fit proble ma morale aliud fpeculatiuum;aliud phy ficum aliud metaphyficum; &c. Tertio di uidi poffunt c x parte illorum;qui illis afsé tiuntur,nam aliud eft;quód eft equé incertü tüm vulgaribus, tüm fapientibus quoad vtramque parté, quia nulla ratio vrget pro aliqua illarum,vt an numerus ftellarum fit par,velimpar 5 aliud, in quo vulgares opi nantur contra fap:entes, vt fitne Sol maror terra,an non 5 aliud,in quo etiam fapientes difcrepant,vt an celum conftet ex materia, '& forma vel non; ybi aduertedü,q» ad hoc, staliqua propofitio dicatur, dialectica, &' roblcma dialecticü,requiriturs vt fit pro abiti per rationes aliquas generales, nom demonftratiuas .Dicütur aatem problema, et propofitio dialectica materia proxima fillogifmi topici;mon qnod ipfum formali ter ingrediantur,non.m. fillogifmus conftat ex propofitionibus interrocaciuts, fed vel affirmantibus,veI negantibus ; fed materia dicuntur, quatenus continent duo extre m cx quibus conficitur conclufio illius fil logifmi,qua erit altera pars, vel affirmati vu vc) negatiua problematis, vt fi quara turn tcrra fit altior mari, fillogifmus con £ludct,vel quod fit altior, vcl nó fit altior.De locit Topicis .,34 Dus problema cffc materiam fi] 4A 7 logifmi copici,eo quia in fe conclu  fcncm continet, et duosterminos, qua propter cum fillogifmus ex tribus terminis ' «onllare debeat,medinm terminum imieni re oportet ad probandam conclufionem ;, ro cuius inuentione quzdam affignantur 2 Doctoribus loca topicanuncupata, ex quibus,tanquam st ptomptuarijs, media extrahimus ad offendendam conclufioné . .Definitur n.locus topicus,qwed fir fedes ar qnmenti vel illud, à quo cemneniemi elicitur argumentum ad propofitam quefiiemem, per argumentum hicinteligitur medium topi cum;in his.n.locis reponütur quzdanrma .Ximz, et vniucrlales propefitiones tantz, dignitatis vt ab omnib.concedüir, in qui bus aliz propofitiones virtualiter continé. tur, et accipiunt vim inferendi conclufio » riem, ficut locus naturalis dicitur habete! virtutem conferuatiuam locati. Solet a Summuliftis diuidi locus in locü maximam,& in locum differentiam maxie  mz, locus maximus eft propofitio illa vni uerfalis, qua nulla eft prior, et notiorin illo genere, fed eft ex terminis nota, ipfique   multz argumentatiónes innituntur, vt Pe quocunque dicitwr definitio, dicitur etiam definitum, De quocumque pras icatur [peciet y pradicatur etjam genus, quibus innituntur 1ftz argumentationes, animal rationale eft. ^ rifibile, ergo homo eft rifibilis, Petruseft homo,crgo eft animal : locus differétiamæ ximz funt termini jlli, quibusavaximz differunt inter fe, et ex quibus conficiücur, fic definitio, et definitum,genus, et fpecies dicuntur loci differentiz maxmmz,per  quos terminos maxim a inter fe diftinguüe tur, vnde prima dicitur cffe inloco a defini tione ad dcfinitü,ilteraà fpeciead genus, Iniftismaximis duos terminos repe rics,quorum vnus dicitur inferens; &cít ui folum in antecedenti ponitur, nó in. c& cquenti, aliter dicitur illatus,qui cóf: ingreditur fic in'exepl:s adductis terminian fcrétes süt definito; et fpecies, termini illa ti definitum, et genus, animal rationale erit inferens,homo eritillatussterminus vero, qui tam in anteccdenti;quàm in confequé ti penitur;dicitur terminus communicanss locus differentia maxima non fumit fuam denominationem, nifi a cerminisinferen te, et illato;ab inferéte vt à curan" » abillato,vt à termino ad quem, vnde folet dicilocusà definitione ad definitum,à (pe cie ad genus,&c et quando ifti termini di uerfimodé denomrnantur,& diuerfis nomi nibus,terminus inferens ponitur in ablati  vo jillatus inaccufatiuo, vt patetinexem lis adductis,quando veró ij(dem nomíni lus denominantur,ambo ponuntur in abla tiuo plurali, snde non dicitur locus ab op pofito ad oppofitum,à repugnante ad re« pupeiæ fed ab tis a repugnan tibus . Ti Locus differentia maximz prima fui di vifione triplex cft, intrinfccus;extri s et medius,quorüquilibetaliaspatitur (bs diuif£cnes, dequibus omnibus breuiter agendum 5 ex his diuifionibus habentur drifiones loci maxima nam maxima diui duntur ivxta diuerfas habitudines,quasha bent ititer fetermini, vt alia eft habitudo inter definitionem,& definitum, et alti sn tcr fpeciem ; et genus, et amc ^ s De lids inten itas habitudines variz formantur maximz illas explicantes n  De lecis inirinfecit. »6 Ocus intrinfecus eft. quando argu dL, menta fumuntar ab his, quz ad rei " Áubftantiam, feu effzntiam pertinent (fub ftantia .n. hic aon accipitur pro przdica mento;íed pro rei quidditate, quomodo ac €identibus ctifm conuenit)vel fubftant'am Comitant ur;qui locus e(t duplex, vel à (ub flantia, vcl à comitantibus fubítan tiamr. Locusà fub(tantiæft, quando ar gumentum fumitur ab his, quz ad. effzntiá. artinent;& conucrtibiliter fe inferunt;talia fun: definitio, definitum.Diximu$ comær tibilirer fe inferunt, quia fi folummodo lo cus à (ubRanua explicetur, quód fumatur abhis,q ad effencia attinet, vt facit Ruuius, fic (ub itto loco non tantum locus à defini tionc.fed à gencre,à fpecie,à partibus, &c. comprehenderegtur,cum tàmen a Summu li&istfta loca; füb. loco à concomitantibus fubftantiam ponantur,eo quia non explieàt eff:ntiam coauertibiliter, vt igitur à com muai fententia nó rccedaznus, locus à fub ftátiaproprié cítlocusà definitione ad dc finitum,per definitionem non folum poteft iatelligi definitio proprie di&ta, qug per ge nus, et diffcrentis folum icat effen tiam réi,verunretiam defcriptio, et incer pretatio nominis; deferiptioeft oratio ex4 plicans e(fentiam rei per genus,& accidens: proprium, vel plura accideritia communia circumícribentia propriam ditferentiam,vt ' homoelít animal rifibilis, homo eft aai mal bipes ad. beatitudinem ordinatum, interpretatio e(t explicatio nominis, X duplex: quzdam, quz cum interpre tato conuertitur, vt theologia eft fermo dc Dzo, quzdam quz noa conuertitur, vt lapis.i.lzdens pedes,nam multa lzdunt pe  des,qua non (unt lapides ; in przíenti de prima cf (crmo.  ;37 Locus igitur à definitione ad dcfini tum eft habitudo idéritatis,feu coauertibi litatis ipforum ad inuicem . vnde quatuor : maximz ab iítis eruuntur,duz affirmatiuz, et duz negatiuz.Prima eft De 4. pra. dicutmr definit » pradicatur dcfimium,vt pe trus eft animal rationalc,ergo cft homo . Secunda affirmatiua eft Qucqmid pradse atur de definitieme predicatur de defimto, vt ani malratioaalc cít mobile ergo homo c(t mo Um lent modal: 113 bilis . Tertia negatiua ; A'4wsc«maue reme utitur definitio, Cn Acfinitum remonetur,vt albedo non cft animal rationale ergo albe donon eft homo. Quarta ncgatiua uie quid remonetur à defimitiene, vemcuztur. definito, vt animal rationale non cit lapis, ergo homo non eft Jzpisinprima,& tertia definitio eft pre ficatum, in fecunda, et quarta eft fubicctum .. Idem dicendam de interprctatione,& interpretato, de deíczi prione, et deícripto . Qaoniam autem dcfinitio, et defiaitum conuertibiliter dicuntur, p funt alie qua tuor maximz formari à dcfinico ad defini tionem, dicendo De 4»ocum2ue pr adscatwr. lefinitum,pradicatur defrmitio, Kc. itavt definitum fit inferens, et definitio illatum : propter quam conuertentiam fimiles ma ximz confici poffunt à difcrentia fpecifica ad fpeciem, et a proprio ad fubiectum, et € contra mutatisnominibus . Not. cft tamen, quod duo przcipué re quiruntur,vt itz maxim verificencur, pri mum, vt termini non fupponant njateriali teraut fimpliciter, fed tormaliter, et abfo luté,vel perfonalitcr, vnde non (equitur ani mal rationale eít oratio, ergo homo eft ora tio;animal rationale efl dchaitio,ergo ho mo eft definitio: (ecundum,quod non acci piantur in propofitionibus,; in quibus in uoluitur actus interior intcl!e&us 5 vnde non fequitur, Í(cio P. trum cffe hominem, ergo fcio Petrum effe animal rationale, hoc n. poteft ignorari, ità Tat. ia Summ. tract.4 item quod accipiantur in propofi tionibus deincffe, non vero inillis propo fitionibus, quz fecundum aliquos zquiua s, vt demon'lrabile eft ho minem effe rifibilem, ergo demonftrabile eft animal rationale effe ritibile, hoc cft fal fum, quia eft principium demoaftrationis iramediatum,& indemóftrabile : ita Nicol, dc Orb. in tra&t.de locis . Ruríus hic aduertendum eft hunclocum à definitione non folüm eff topicum, vade «f. poffit argumécum probabile deduci, fed etiam deronftratiuum ; et idcó dicendum eft hunc locum tuac deferuirc topico fyl logifno, quando vel non conttat eíse ve ram, et propriam rei definitionem, vel de fcriptionem;quz pro cali afsumitur, vel n8 conítat pra dicatum conclufionis conueni rc definitioni: fubieezi, auc definitionem pradicati corclufionis conuenire fubiedto ciufdem, quod etiam proportiorialiter in telligendum eft de alij1ocís topicis, à qui. Qi bus 124. bus deduci pofsunt argumentaneccísaria, 38 Locus à comitantibus fubltaneia de famitur ab illis terminis, qui non conuer tibiliter idem important, fed vnus incladi tur in alio alique modo císendiin, et funt oto, toto, À partc, A caufa, Ab effectu, A generatione, À corruptione, Ab vfibus, et A^ communiter accidentibus ; nam pars eft in toto, et totum dicitur effe in parte, effectus etiam dicitur effz in caufa, &ideo fumuntur duolocaácau(a, et ab etfectu : generatio dicitur effc in re genita,quia cit via in formam, et corruptio vnius eft ge. neratio alterius, vfus etiam dicitur finis rei, et res eftin fuo fine, et candem commu« niter accidentia funtin fuo fübiccto . Totum quia r:latiué refertur ad partem, quot modis dicitur totum, tot etiam dici tur pars, vndé locus à toto, et à parte diui. iturad diuifionem totius, et partis.Totum eft multiplex, .f.vniuerfale,integrale,quan titatiuum, in modo,feu modalejin loco,feu Jocale, et in tempore,fcu temporaneum,to tidem etiam diuiditur pars . 39 Totum vniuerfale efl omne fuperius, et magiscommune in linea przdicamenta Vi, pars huius totius eft inferius, et minus commune, et dicitur pars fubrectiua,à to to vniuerfali ad!partem fubiectiuam valet arguere deftru&tiue, feu à negatione fupe rioris ad negationem inferioris, &eft ma xima, 4 qwecumqne remoueiur totum yni uerfale, quelibet esus pars remouetur, Xt non elt animal,ergo nec homo, nec Leo, &c. ratio cft, quia fuperius effentialiter inclu diturin inferiori, vnde vbi non c(t fuperius, nec inferius poteft effe; et hoc cft verum, fi totum fe teneat ex parte przdicati; at fi cit fubic&um, non quicquid remouetur à toto vniueríali remouetur ab omnibus eius par tibus, nifi in propofitionibus negatiuis in primo,& fccundo modo perfeitatis 5 vt ani mal non eft lapis, ergo nec homo cft lapis, nec lco,3Xc. in alijs vero propofitionibus remouetur non ab omnibus partibus, fed ab llisfub difiun&tione acceptis, vtanimal non eft racionale, ergo aliqua cius fpecies non eft racionalis, f. vel equus,vellco, &c. A toto vniucrfali ad partem fubicétiuà af firmatiué non valet, nifi in propofitionibus per fe,fiue fit fubicétum,;fiuc predicatum,in alij «nonaifi fub difiunétione, vt modo di cebamus, vt animal eft fcnfibile, ergo ho mo eft (cafibilis,Ico eft fenfibilis, &c. ani ma! currit,ergo vel homo, vel leo currit:vn dc diccbat Azilt.z. Top.c. fi genus przdi catur dealiquo, neceffe eft aliquam eius fpeciem de codem predicati,vt hoc elt ani mal, ergo vel cit homo, velleo, vel equus; ex quibus patet, quod à toto vniueríali ad partem fubiectiuam non poífumus habere rcgülam generalem nifi primam; toto fete nente cx parte ptdicati, at alio mod sé pcr illa regule timitantur,figaum euidens, quod nou teneat gratia formz, (ed gratia matcriz . Dos A^ parte fuübicctiua ad totum vniuerfale: non ten.t deflru&tiue, fed conftructiuée, feu affirmatiue, fiueiaferius fe teneat. ex parte fabiecti,fiuc ex parce przdicati, vndefunt duz maxima: Quicquid predicararde infe esori,predacatur de. fuperiori, vt homo cure rit,ergzo animal currit : de qu» d;cirur jnfe rins dicitur [mperiu:, vt Petrus eft homo, ergo eft animal : ratio ell, quia inferius feme per continet in fc fuperius, nec fincillo re« met potcít, at ne dann potett elf fine a iquo inferiori, vnde non v let, nod eft hos mo,ergo aon cít animal,quia animal poteft faluari in alijs fpeciebus . vet. Dices,valet;et ens,ergo eft Deus, eft nu«. merus,ergo elt binarius, ergo à fuperiori ad inferius tenet confequentia. afirmatiue. Tum quianon valet, SocratesdiffertàPau.   ep differt ab homine, Socrates incipit:  effc albus, ergo incipit effz coloratus, füp fito, quod prius fuerit niger, ergoabin eriori ad fuperius non tenet à tiué. Tum 5.quia valet dicere homo non currit,: ergo animal non currit, ergo ab inferiori: a1 fuperius nó folum afürmatiué tenet, fed: etiam negatiué. Refp.ad 1.illam  tiam Mee ia ERE Mw ver » Fn eft omnis entis creati vel. ens fupponat pro ente in vntuer(ali,tenet gratia tior rot fummam Dei necef fitatem in effendo,non gratia formz, exem plum de aumero valet per locum à toto in tegrali, vc infra. Ad s. propofitiones illæ funt virtualiter negatiuz;nam eft fenfus So crates non cft Paulus, Socrates nunc eft al« bus,antea nonerat, ideo non tenet confe uétia. Ad s valet illa confeq; vt.notat Yat. uobus feruatis, primum quod ier coní& flat, ideft quod veré à parte rei fit illud 2n feriusa^íq. tali przdicato, wndé ft dicere tur Adam non eít albus, ertobancatent €onfrftentia albus,non valet,quia non artis nam Adarn non folum non eft albus, . ed neq; exiftit : fecundum, quod tótum non diltribuatur pro omnibus, et finculis infe M De locis intrinfecis "poteit procedià parte fubie&iiua ad totum negatiué. : 4o Totum integrale eft corpus conftans €x partibus quantitatem habentibus, vt do mus, aut huic corpori fim le, vt eft totum phy ficum refpedtu partiá effcritialium; par tes integrantes fuat partes cóponentes hoc totum,qz funt duplicis gcneris,aliz priu cipales, fine quibus totum nequit confi(te re, vt caput, cor, refpectu hominis, paries, tectum refpz&ta domus ; aliz rainus princi pales,fine quibus cotum poteft effe, vt £e neftra in domo, digitus ia homine. Locusà toto integrali ad partem, et à € ad hoc cotum cft habitudo ipforum : et à toto ad artes principales conet affirmatiué,argué de cft 2.a iacente ad eft z. adiacens, vcl arguendo de przdicatis neceffarió confe entibus eft z. adiacens, non in alijs prz icatis,vt bene notat Tát. cit. vt eil Lun ergo eft paries, domus eft siquidiergo pi ries elt aliquid,quia ly 4l4»d, cum fit trá dens,confequitur ad pit 1.adiacens,non tamen fequitur, domus valet centum, ergo paries valet centum. Maxima ett ifta, Po/rr toto jmtegrals, ponitur quel ibet cius pars prim cipilir; nam minus principalis non neceffa rió T  Non tanien tenet negatiué, nó eft domus, ergo non eft paries, quia licet ad pofitionem pofterioris euo pofi tio prioris, non tamen ad deftru&tionem pollerioris neceffirió fequitur deftructio prioris . A parte integrali ad totum tenet nega. tiué jn eifdem terminis, quos retulimus de toto integrali,vt non eft paries, ergo noá eft domus,non tamen fequ'tur, paries fion valet cencum, erzo neq; domus Maxi ma eft Dejfru^1a parte integrali. principsli, defirwitur totum, quia ad deítructionem prioris fequitur beteyy c7 Moe id it matiué veró non tenet, nifi popáturipartes omnes, et vnitz, vt (unt paries, tedum, et fundamentum inter fe vnita, ergo cft domus . 41 Totum in quantitate eft terminus có munis cum figno vniuerfali, vt omnis ho mo nullus lap:s, pars in quantitate'eft ille terminus cum figno particulari, vt aliquis homo, vel inferiora contenta fub illo com muni termino,ex fequitur,quód totü,, et partes huiuímodi Íupponere. non materíaliter,fed perfonaliter,vt optimé no tat Orbellus: à toto in quantitate ad partes tenet confequentia tàm affrmatiué, quam ncgatiué fiue fit fubiectum, Subqe dicas  Ns 'fub termino communi, fcu 125 tum,co quia totum hoc diftribuit pro om nibus,& fingulisinferioribus; et formantur dux maximz in genere,'vel quatuor in fpe Cic Quicquid affirmatur, hei ee 4e toto in quantitate armatur, vel ncgatar deom nibus ^p (Pm uls; partihus, vt omnishomo currit,ergo Socrates currit, Pctrus currit &c. Secun la, D» qu2n/fie matur vel megatur totum in qnantitate,affrmantar vel wegame tur ein: partes, vt lapis nullum hib:efen fum,ergo nec hahet vifum,nec audi: ü, &c. Dices,non fquitur,omnes Apoftoli funt duodecim,ergo Paulus eft duodecim ; item omæ animal futtin arca Noe, ecgo Buce phalus fuic in arca Noe   R.ex ditis r. p tract.i.c.10.K tra&.s. c. 4. quod defcenfus illatio có(equé tiz àtoto in quantitate ad parces, debet fieniuxta. fuppofitionzm illius termini in tali propofittone;hinc quiain prima fuppo nit collz&tiué, debet illatio fieri ad partes fimul fumptas ; et quía in fecunda fuppotit diftr butiué pro generibus fingulorum, de bet inferri defceníus tali fuppofitioni ac cominodatus, A partibus ia quantitate, fi omnes fimul fumantar, t: netad totum tàm affirmatiue, quàm negatiué,tàm à parte fubiecti, quàm à parte przdicati, et funt lux maximz, vt de toto diximus, Quicquid affirmatur, vel nesatur de omnibus partibus famml fumptit affirmatur vel necatur. de toto im quantitate, Vt Socrates currit, Petruscurrit, et fic de alijs; erm&o omnis homo currit. Secunda, De quo afjirmátur,vel negátur omnes partes fémnl [umptg, affirmatur. pel negatur totum gn qu imtitat,vt Petrus habet vifum, gufti, &c.ergo habetomnem fenfum, 42 Totum in modo elt terminus com munis fine aliqua écterminatione fumptus, vthomo, Philotophus,pársin modo ett ter minus communis cum aliqua determina tione acceptus,vt homo albus; homo dici tur totum,quia ad plura fe extendit, quàm modi per album, vnde totum vniuer fale diftinguitur à toro in modo, quia illud refpicit inferiora effentialia,:ítud inferio ra accidentalia, vt homo, vt totít vniuerías le, refpicit Petrum,' Francifcum, &c. praícindendo ab accidentibus » fed folum vt homines funt; homo veró vt cotü irj moÜ quatenus ditermina ta et diftincta per aliquas accídenrarias de» Ro eres deg hominem album, homi nem nigrum, 3 cans eans terminum communem eft triplex;alia eft diftrahés,feu alienas quz repugnat (uo determinabili, et tollit rationem fui dcter minabilis, vt homo mortaus, pictus,irra tionalis,&c. alia eft diminuens,qua: nó tol lit omnino rationem :lltus,cui adiungitur, fed partim diminuit,vt homo cognitus,al bum (ecundum dentes;alia eft contrahcns, feu reftringens,& eft,quz non tollit;auc.di minuit fignificatum termini cominunis, imo ipfum M mee facic camen (tare pro paucioribus fuppofttis, vt homo albus;vt re&té arguarur à toto in modo ad partem, et é contra, modus debet fumi in tertio se fu, nam non fequitur, cadauer non cft ho mo,ergonon eft homo mortuus, Petrus nO eft homo mortuus, ergo non eft Homo; ne que fequitur,rofa eft cognita;ergo rofa eft; zthyops eft albus fecundum dentes, ergo eft albus. Attamen vt recté arguatur à toto in modo ad partem fecundum. determina tionem contrahentem, requiritur adhuc, quod copula zqué primario afüciat tàm terminum, quam modum à parte przdica ti, et ratione vtriufq; per copulam tribua tur fübiecto,vt Petrus fit homo doctus,er fit homo non valet, quia ly f/ non affi cit hominem .fedly do&tum ; his obíerua tisà toto in modo ad partem, tenet æga tiué tàm in fubijci,quam in przdicari, vt Pe erus non eft lignum, ergonon eftlignum album, homo noneft lapis, ergo homo albus non eft lapis, non tamen af6rma tiué, vt Petrus eft homo, ergo eft ho. mo albus, homocurrit, ergo homo albus currit;nifi in ordine ad przdicata primi, $c fecundi modi,vt homo «(t rifibilis ergo ho mo albus eft rifibilis; quz cófeq; tenet gra tia materiz quamuis propofitio non fit per fc, vnde maxima Dojrudle foto.1n modo,de. férmitur qualibet ess pars, A parte in modo ad totum tàm fubijcié do,quàm przdicando tenet conítractiué, dummodo termini non (upponant fimplici ter fed perfonaliter,vt homo albus currit, ergo homo currit, Socrates eft homo al bus, ergo efthomo: Maximz (unt i(tz, £wicquid prpdicatwr de P aec medo, Ira dscaturde fmo toto : et de quecunque pra dicatur parr sn mido, predscatur, C [uum ferum . Diximus, fi fuppofitio non fit fimplex ; nam non. fequitur, homo bus eft ens peraccidens, ergo homo eít ens peraccidens,ly homo fupeonit fimpliciter pro illo aggregato 5 et ide om. jio diccidbe ic) 74 p snm diximus dc, fam efficientem. Peffta, vel ramota cam fmefe  loco à par:e fubiectiua ad totum vniuerfa le, quomodo fcilicet po!lit ctiam negatiué procedi: . : 431 Totum .nloco eft di&io comprehen deis aduerbialiter omnem locum, vt vbi que, nullibi, parstotiusin lococit dictio comprch:ndens aliquem locum aduerbiali ter, vt hic, illic; Similiter totum in tem pore eft dictio aduerbialis comprehendés omne tempus, vt femper, nunquam, pars totius in temporc eft dictio aducrbialis fi ees aliquam partem temporis, vt ho ie, heri, &c. abiftis totis ad partes tenet coníequentia tam affirmatiué, quam neza tiué, vt Deus eft vbique,ergo ctt hic, Anti chriftus nullibi eit, ergo non eft hic, Deus eft (emper, ergoe& hodie, Deusnunquam fuit malus, ergo neq. hodie eft malus, et funt duz maxima . Cwicwnue conuenit. tos. tum in loco, velín tempore, conuenit etiam (pars: quoeung.remouctur totum jn loco, vel. 4n tempore, remouetur etiam pars, ? i A partibus veroinloco, et ia tempore ad totum femper tenet negatiue, vt Cafar non eít hic, ergo non eft vbiq.non eft hodie, ergo non fuit (emper: et fit hzc maxima.  d quo remouetur pars sn loco, vel im tempore, remonetur tatum in locoyvel in tempore hzc tota poffunt reduci ad totum in quanrita te, et eifdem regulis omninó poffumus vti . 44 Locus à cau(a ad effz&tum,& ab effe Quad cauíam eft habitudo, quam habét ad inuicem hi termini,& ficut caufa eft quadru pes eficiens,materialis,formalis, et fina 15, vt diximus tad pri M loca poffunt à caufa, et ab effe&tu iy. et primo à caufa efficiente ad effectum fit argumentatio refpectu horum przedicato rum efi. ff?,bemum, et ma«lum,proportionali teraccomodando iuxta cxigentiam habi. tudinis caufz ad effectum, et é contra, ideft fi eft (crmo de cau(a in potentia, arguatur ad etfe&tum,.xt potcft effc., fi de cau(ain a&tu;ad effectum, vt eft in actu, et fit,ve Phi  lofophus eis cigo poteft docere, docens actu eft,erzodiícens actu eit:, domificans eft bonus,ergo domus fit, vel erit bona, eft e erit mala; quod non eíl intelli  gendum de benitate, aut malitia morali,vel entitatiua, nampezccator potelt effc opti musartifex ; fed debonitate 5 et malitia cauíz, et effectus iin quàtü caufa efficiens eft, et nó addit impedimétü ex alio capite ; et dátur maximz á caufa cfficiéte ad effc &à, et € cotra aliz duzab cffeóta ad cau fiein iemte im putensa vel in ado, pemitur, yel vemiuetur cfe tui im petétia vcl in adiu; Sc cunda Poft cam[a efficiemte bona vel mala, ponitur effechbus bonus vel me«lu:;ex parte cí fe&us Pofito,vel remoto effect» im potentia, gel im adiu, ponitur vel remauerur can(a effi ciens im patentia vel im «(tusSccunda, Pefito bono effe&im,vel malo, pomumr caua efficiens bona vel mala . Caufa materialis ell duplex, vna perma nens,vt zs'in ftatua znea alia tranfiens, vt femen in arbore, farina in pane;abifta caufa fumuntur duz. maxima, 1. Pofíf« cew fà materiali, pofi bulis eft fuus effectus vt pofito ferro bilis cft gladius, 2. Remofa cena ped yremouetur effeitu:,vt remotis lapi dibus,lignis &c.remouetur domus, Ab cf fc&u quoq; ad iftam caufam duz maxima fumuntur,t.affirmatiua, Pefifo effectu. poni tuy materiam permanentem effe Cr tran(eune gem fu iffe: 2 .negatiua, Remoto effeftu, rema wetur e ufa materialis inactu, moutamem im potentia . ' N caufa formali in au funt duz maxime ad effe&um;& econtra, inferütur.n. ad in micem, Pofifa,vel remota caua itpduqer tur vel remonetur effectus formalis, vt albe. do eft, crgo album eft;albedonon eft, ergo album non eft ;ab etfcétu quoq; fimilis ma ird Pofito vel remato effectu, po itíér, vel remouetur ca (a formalis, vt albü eft, ergo albedo eft;diximus à caufa formali in a&tu;quia peteft effe aliqua forma fepa rata quz nullum a&u effectum caufet, vt anima fcparata, et accidentia in Sacramen to altaris a qua caufa non valet inferre cf. fectum. ) us A fine ad cffe&tum fumitur locus in ordi. ne ad ifta pradicata bonum,& malum;& te net affirmatiné;& negatiué ; idem dicendáü delocoabtffectu adhanc caufam:, vnde funt ifta maxima, Cw: fimis efi bomu:r, vel malus,effeus efl bonus vel malus,K fi effe dui efl bonus,vel malwsfimis esus erit bonuss  vel. malus;vbi nor. quod effectus finis prz cipué funt media ad confequendum ipfum,  que funt duplicia, alia; que ex fua natura habent proportionem, et ordinationem ad 3 rs. air att. fecundum rectum di "&amen rationis, vt operationes meritoria ad confequendám beatitudinem, medicina ad acquirendsm fanitatem; alia,qua Here cidens,& non fecundum prudens dictamen rationis ordinantur ad finé, vt fi quis eger potum aquz affumcret ad lánitatem acqui rendam, aut furtum propter cjemofinam ; 127 regulz datz intelliguntur de primis, non dc íccundis . is 45 Locus à generatione eít habitudo generationis ad genitum, generatio hic ca pitur pro acceptione cuiuícumque effe, fi ué fubftantialis finé accidentalis, et fitare eec reípeétu przdicaterum boni, mali,& eft talis maxima. Css gemerateo bona efl genitum bsnumeeff, cusas generatio mala qo malum cff, et éconuerío poteft arguià genito ad generationem,v aurum eft bonum, ergo generatio auri bona;generatio furis eft mala, ergo fur malus, et hoc fequitur, quia generatio ter minatur ad effe rei, quare fi illud effe erit benum;bona erit generatio,non mala . Corruptio cft deperditio alicuius effe et quia non terminatur ad cffc rei, fed ad non effe, hinc defumitur talis maxima Cw» cov ruptio eif bona corruptum esi m.lum, et cu $us corruptio efi mala,corruptum cfü bonum nam fi effe rei eft bonum;carentia ipfius mala, fi malum,erit bona, et codem mode arguiturà corrupto ad corruptionem, vt hzretici funt mali,ergo illorum corruptio eft bona,Doctores ecclefiz funt boni,ergo conim corruptio eft ecclefiz mala. Dices,mors Chrifti fuit bona ecclefiz, er o Chriftus fuit malus ecclefiz,quod eft fal m;ergo fal(a illa regula. Refp.hanc regu lam vntuerfaliter valere,quando ex oppofi toab effe geniti arguitur generatio mala, nam tunc re&é infertur, quod fi generatio eft mala, corruptioillius e(t bona, quando vcró ex bonitate corruptionis nequit argui malitia generationis,fignum erit, quod ta lis bonitas corruptioninon ex fe,fed ab exe  trinfeco prouenit, vt eft in cafu, in tantum .n.mors Chrifti fuit bona,quia fuit à Deo ad noftram falutem ordinata;fic Sancti funt boni, et tamenipforum mors dicitur in Pal. pretiofa, quatenus à Dco ordinatur yt meritoria vitz zterrz.. NÍus cft exercitium alicuius rei, qug res dicitur vfitata,& ab vfu defumitur locus,vt à caufa finali refpectu mediorum in ratio nc boni,& mali . Cus.. v (us bonus eff, tP fom bonum efisquare nihi] de nouo occurrit dicendum. : . Tandem communiter acci funt duplicia;alia,qua non femper fe con ps tur,vt effe album, do&tum,alia,qua fe in ferunt faltim vc plurimum, et hoc duplici ter,vcl pro eodem tempóre vt cft interpo fitio terrz, et eclypfis Lunz, vcl pro alio tempore, vt funt imors, et vita, partus, et  con 129 ceptio ; à primis non poteft defumi locus, fed à fecundis, et fi adinuicem infe runtur pro eodeni tempore, tunc ab vno adalind tenet confeq.tam affirmatiue,quàm negatiué, et é contra, vt in. exemplo addu €to de eclypfi; atfi pro diuerfis tenpori bus fe inferunt, tunc afürmatiueé 2 pefitso me poftersoris fequitur pofitio prioris, non contra, vt peperit mulier, ergo concepit, mortuus eit, crgo vixit ; torquetur, €rgo commifit errorem ; Negatiue veró argui tur A deflructione prioris ad defiruchyonem pofierioris, nó vixit, crgoneq. mortuus eft, Dices penitcre fupponit delictum, et ta mtn non 2c ; Ghnflurcyit penitentiam, ergo deliquit. Refp. penitentia proprie eft dclor de peccatis à fe commiffis, et hic do lor fupponit delié&um, quam pgaitentiam non habuit Chrifius  De locis estrinfecss 46 T Ocusextrinfecus eft,quando termi nusinferens non cft; in illato fecun dum aliquem modum effendi in, fed omni no eft extràillum,& funt ifti, Ab oppofitis, A maiori, A minori, A fimili, A proportio ne, A tranfumptione, et Ab authoritate. Locus Ab oppofitis cft habitudo vnius oppofiti ad à]iud; et quia oppofitto eft qua druplex ex diclis ». p. traét. z. c. ». fcilicet rclatiua,contraria, priuatiua, et contradi Coria, ab hisomnibus fümuntur loci, et maxim. Attamem de oppofitis in commu ni funt duz maximz ommbus conuen étes; Prima, De quocunque afffvmatur vnum oppo fitorum, megatur alterum v. [jen eiufd m, C fecundum idem, quod ponitur, quia idé p eff: filius, et pater rcfpectu diuerfo m, idem poteft cffe mobile, et mouens fcípectu ciufdem forma:, vt cum aqua fe fcducit ad pr flinam frigiditatem,fed non fecundum idcm,nam 2qua cft moucns,s t cft in actu virtuali, et potcntiam habet actiuá, eft mobilis, vt «ft in potentia formali, et piffiua . Secunda, Op/offra   conue minnt,ytfi pater cít fuperior, filius eft infe rior;fi virtus cft bona,vitium eft malü. Tria veró ex Morif. hic requiruntur ad veritaté buius rcgulz,pr mum,quod propofitio an tecedens fit pcr fe, vndenon valct, album eft dulcc, ergo nigrum cftamarum ; fccun dom,qued quando termini antceedentis fe habent vt inferius,& fupérius, in cófequen ti eppofitum à e contradictorium ponatur à parte fubiecti,vt homo efl ani Pars Secunda Iofin. Tabl. Cap.IV. mal,non fequitur, ergonon homo eftaos. animal, fed non anima] eft aon homo; Ter" tium, quod illa contraria non oppenantur fub eodem genere per exceffum, et defe &um, vt non valet, auaritia eít, ergo prodigalitas eft bona . : re A rclatiué oppofitis arguitur tam affir» matiué, quam negatiué quoad verbum elt de fecundo adiacente, vnde eft maxima Pofíto vel remota ymo relatiuo, ponitur, Sel remouetur alterum, vt fi pater eit, filius ci, fi pater non eft, filius non eft . 47 Contranorum alia funt mediata,quae medium habent fecundum formam,.vt al« bum;, et nigrum inter quz funt medi) coe lores 5 alia immediata, inrer quae for. ma mediatper participationem extremo rum, fed (olü fubie&tum vtriufque capax» A mediatis tenet atlirmatiué, Po[rte ymo con frariorum 1n fnbselo, vemouetur alters, Nt eft album,ergo non eft nigrum, non tamen é contra, non cít nigrum,, ergo eft al bum, quia potefteffe viride, Ab ia tis tenet etiam negatiué, vk Kemoro ymo 1n fobiedlo e xiflente, Qr capaci. ponitur ulteri, vt non eltfanus;ergo cll zger; diximusin fubie&o exiftente.quia requiritur c tia fübicéti ; vnde nó fcquitur Antichriftus non eft anus,ergo eft zgers diximus in fu bicé&to capaei, quia fi non cft capax, nec etiam valct,vt lapis non efi (anus, ergo et zocr; et hoc quia ifta contraria annexa hax bent oppofitiorem aliquampriuatiuam, A priuatiué ep pofitis tenet c affir matiué,vnde Poffto vno in fubicdlo, remme tier «lterum, negatiue tanen.non tenet nift fit conítantia fubie&ti, etus capacitas, vt de immediate contrarijs diximus, et tépus de   terminatum, quia Catulusante nonü diem non efl vidcns, nontamen cft cecus, quia non habet determinatum tempus à natura ad videndum. Sed e& hic not.quodaali do priuatie negat a&tum;vt tencbra;aliquá do negat etam principium illius actus, vt cccitas, à Prima valet femper arguere'ne gatiu? Remoto yno. prinatiud ponitur iei m vt aer non ft lucidus, ergo efl te nebro(us; à fecüda vcró non valet arguere à fimplici negatione actus ad priuatienévt Petrus nó vi v mehwpare «i terra o 4$ ContradiGterié oppofita, alia süt in complexa,& funt tcrmint, quorum vnus cft epe teh . homo,& non ho mo;aNa complexa, vt funt propofitiones affirmatiua, recu deeifüen: nini in primis potcft dari medium irf propofi tionis  " De loci s extrinfecis . 1219 &jonibus fumptis cum aliquo fincathego go,& ys nam quamuis videatur arguià remate, vt cum Do&t. diximus p.1. tract.a, €.7.& 10.& ideo non valet femper arguere à pofitione,vc] negatione vnius ad pofitio nem,velnegationem alterius : in fecundis nullum potcít dari medium, et ideo poteft in ipfis argui tam conflruétiué, quam de fi ru&tiué refpe&tu horum przdicatorü ve ri, et falfi; vnde cft maxima 5; »nwm contra di lerium eji perum,alterum eft. fal/um 5 vt falfum eft me legere, ergo verum eft me non legere. Prater ifta oppofitorum genera dantur etiam difparata, quz ad inuicem nó poffunt verificari,vt homo,& afinus, ab iftis argui tur affirmatiué; vt eft homo, ergo non eft afinus, non tamen negatiué, vt non cít ho mo;ergo eft afinus ; Sed debent adeffe dux conditiones,vt notat Tat. hic,prima, quod ifta difparata non fubijciantur in propofi tione,aliter non femper recte arguercetur, vt homo eft animal;ergo afinus non eft ani mal; fecunda, quodin accidentibus argua tur in terminis abítractis, quamuisin fub ftantijs poffit argui ctiam in terminis con eretis, vnde non valet, lac eft album, ergo non eft dulce . 45 Locusàá maiori ad minus, et à minori 2d maius eft habitudo iftorum terminorü, vbi not, cum Tat. hic per maius intelligitur illud,quod habet maiorem apparentiam, et probabilitatem effendi, et conueniendi ali €ui fubiecto ; per minus intelligiturid, q» habet minorein apparentiam conueniendi, v.g. facilius eft fupcrare decem, quàm mil le, facilius eft expugnare vnam ciuitatem, quàm regnumyideo illud dicitur maius,hoc minus, et potcft tripliciter fieri compara tio,vel vnü przdicatü ad duo fubiecta cópa ratur, vt dcbellare prouinciam refpe&u ve gis, et militis, vel duo pradicata ad idem iubicctum,vt fcrre centum, et ferre decem in ordine ad eundem hominem, vei tertió duo przdrcata ad duo fübiecta vt ferre cé jum.X fcrre decem refpectu hominis adul ti,& paruuli : A matori ad minus tenet ne tiué,& fit maxima, Si sd, quod magis vi [9m smeffe,mon ineft, neq. quod mini ui detur ineffe, erit, vt ft homo adultus nequit ferre decem, n«q; paruulas poteri: ferre «entum . A minori ad maius tenet affirma, tiué, et eft ifta maxima. Si 4wed minu: wi. detur ineffe, € inefl, ergo quod magis wi detur ine [Je merit, vt fi miles poteft ciuita tem debellare, ergo et Rex ; in hoc tamen tion fcquitur, milcs potcft facerc decem,er^ minori ad maius propter maiorcm Rcgis potentiam, re vera tamen arguitur à majo ri ad minus, nam probabilius eft militem XY maiorem laborem fullinere, quà poí t Rex; quia vt diximus per maius, € mi nus intelligitur maior, vcl minor probabi litas, vcl facilitas rei, 49 Locusà fimili parum differt loco à proportione, fi accipiatur fimilenon pro conuenienua folum in qualitate, fed pro quacunque, et tenet tàm affirmatiué, quàm negatiué, fi arguatur quoad illa, in quibus cft proportio, et fimilitudo,& eft maxima, De. (imilibus, dr proportionalibus ei idem 19 dicium, vt ficut fe habet Rex in regno, ita Generalisin religione, fed Rex debet effa prudens, et fapiens, ergo et Generalis, di ximus, ff arguatur illa, &c. namnes valet, Rex debet habere milites, crgo; € Generalis . » Ab iftoloco fumitur modus arguendi à commutata proportione, in quo funti(lg rcgulz, vt notat Doctor in 1.d. 36. K.in 4. d.43.0.3.G. Prima, quód accipiantur qua tuor termini, et primus comparetur cüm fecundo, tertius cum quarto . Deinde com mutando, vt primus comparetur cum tere tio,& fecundus cum quarto, vt ficut fe ha bet duoad quatuor, ite tria ad fcx, ergo commutando ficut fe habet duo ad tria;ita quatuor ad fcx; fed duo ad tria cft ptopor tio fexquialtera, quia includit duo,& mee dictatem ipfius, creo quatuor ad fex eric proportio fexquialtera . Secunda regula eft, quód quando fit in alijs rebus à quanti tate,fiatin terminis conuertibilibus,& có tradictorijs, nec vnum fit fuperius alterum inferius, et hoc vult dicere Doctor ibi, cü ait argumentum à commutata proportio ne tenere in omnibus quantum adcontra dicere, et conuerti, inalijjsnon neceffarió tenet, vnde non valet.,/ficut fc babetfuper ficies ad hanc luperficiem, ita color 3d ile colorem, ergo commutando ficut fe habec feperficiesad colorem jita hac fuperficies ad bunc colorem, erficies nequit ef fe fine colere, €rgo neque hac fuperficies fine hoc colore non valct, quia termini nà contradicunt,fed funt pofiaui : fimiliter n& valct, ficut fe babet homo ad non hominé, ita animalad non animal; crgo commutan do ficut fe habet homo ad animal, itacon homo ad non animal, fed quod eft homo,. eft neceffario animal, ergo quod cft nóho mo, cft neccífario non m » non s : quia licet termini contradicant, fe habent tamen vt fuperius,& inferius, vnde in hoc cafu, inquit Doctor, non debet comparari fecundus cum 4. fed quartus cum z.quia ab inferiori ad fuperius non tenet negatiuée, fed bené à fuperiori ad inferius, hinc extre ma contradictoria non habent eandem vim Íe inferendi ad inuicem, ficut fua oppofita, wt patet cx dictis quando ergo feruantur iftz duz regulg, valet commutata propor tio non folum in quantitatibus, verum etià in alijs rebus, vt ficut fe habet homo ad nó hominem, ita p ad non rationale, ergo ficut fc babet homo ad rationale, ita non homo ad non rationale, fed Brunellus &ftnon homo, ergo eft non rationalis. $o "Iranfumptie eft duplex,vna,quando aliqua vox fumitur ad fignificandum figni ficatum alterius vocis propter quandam fi militudinem, et analogia in illis rcpertam, et diciturmetaphora,vt cum rifus tribuitur fiorere pratorum; altera.quando vnum no men minus notum declaratur per aliud ma is Rotum;,& hoc modo fumitur hic, et dif L ànominis definitione, quia definitio nominis conuertitur cum definito, et in Pe accipitur expofitio nominis, vt philo ophus..;. amator fapicntiz, at in tranfum ptione folum accipitur nomcn notius, vt fi quis pro Philofopho vtcretur fapientis no mine;K tcnet affrmatiué, et ncgatiue, eftqs maxima, flwicquid alicut comuemit, vel di féemuenit [45 nomine magis moto, conuenit, ! gel difconue nit ill [ab momine minus noto, st fapiens fiudet, ergo philofophus ftudet : €x quo dceucitur, propric bunc Jocum nó effc cxt fecum, quia hac nomina eandem zem figmficant. Tandem authoritas cft iudicium fapien tui in propria fcientia, et locus ab autho ritate habct hanc maximam,Cwieungque ex gerto im fua f[cientiaesi credendum; et quo magis cfl expertis, cominus falli poreR,& &onfequenter maiorem inducet probabili fatem, et qui? Deus non poteft falli, aut mentiri,idcurco authoritas diuina maxinià inducit certitudinem at homincs;quia funt fallibilcs, quamuis fapientifimi, non indu «unt firmum teft imcnium,nifi aliqua ft ra tio illud comprobans : locus iflc tenet af firmatiué, vt Mlirologus ait coclos mobiles «ffc,crgo funt mobiles ; negatiut tamcn nó tenct ib authorirate ncgata, vt Arift.mon dixit cxpicffe animan, rationalem cffc im sortzlcm, ergonon eft in mortalis ; non tenct,valctautem ab author jtate ncgatiua; uando exprefse ab aliquo fapiente negs Ra quid, vt Arift. negauit NER go non datur. De loci: meds: . $o Toe medius eft, quando termini inferens, et illatus partim conuee niunt, et parcim differunt, vcl fe habcnt vt membra diuidentia, et funt tres.f. A cun iugatis, A cafibus, et A diuifione . I: Coniugata quaft idé jugum ducentia süt denominantia. et denomimatiua, quz idem habent fignificatum principale, licet: in modo fignificandi differant, Ab his parum differunt cafus, nam coniugata funt nomi« na ab vno prouenientia, vt fapiens à fapi& tia, cafus verà funt fiué nomina, fiué verba, fiué aduerbia ab vno deriuantia,vt bonum, bené à bonitate,fapiens,fapicnter à fapien tia . Abifliscrgo coniugatis, et cafibus ar» uitur tàm affirmatiué ; quàm negatiué per illam maximamQ wrcquid comwenstvel repm gnat Gui coniugatarum,vel cafum, cóuenit, vel repugnat reliquo, K.Cmiinefl, vel mom. sne[) ynum comragatoruw, C cafuum, ineft, vel ncn inejt reli2ws 7, vt album eft colora tum,ergo albedo cft color, iuftum eft bos num, ergo quod iufté fit, bené fit. ! Pro veritate tamen huius argumétatio nis affignantur plures regulz ; Prima,quod nó fiat in tc rminis, vltima abflra&tione ab flraétis, vt notat Doct, 1.d. 5.0.1. vnde non valct,albedo eft color, ergo albedimeitas eft coloreitas: homo eft animal, ergo huma... nitas eft animalitas, Secunda, quod fiat in przd catis Y fe, maxime fi afürmatiué ar guatur, vcl fi ncgatiué ab abilra&tis ad có creta, vt Ron valct, album eft dulce,ergo al.  bedo cft dulcedo, vcl albedo non.eft 5 rni do, ergo album non elt dulces quamuis à concxctis ad abftracta negatiue Và leat: Tertia, vt non fit factum ali mira culum circa formam, idcft fi albedo effec à fubic&o fcparata pom valet,albcdocftco  lor,ergo album cft coloratum, tunc .n. non. datur concretum ad fubiectum. Quarta, ge fiat in diuerfis pradicatis : et nominacum  nominibus, aduerbia cum aduerbijs copu lcntur vnde non valet, album eft coloratü,, crgo albedo efl colorata,fedalbedoeftcos  lcr,& ivflum eft bonum, ergo tuílé agere  bené elt.  Diuifio eft deplex pronunc,yna,que dae. turpernegationem, vthoc veleft ens ; vel A ) eh at non  ; Ct e P"   De lids mdi . fion ens, (ed aon eft ens, ergo eftnon ens, et datur maxima, $/al/24« duo dimidunt «li. « quod tertium, fi s tertio tnefl vnum eorum, pios ine[! «lteru vt patet in exéplo adducto. Altera diuifio eft, quz datur per atfirma tionem, et eft duplex, alia pzr fe, alia per accidens, prima eit triplex, vel generisin fpecies pec differentias,vt animalium aliud rationale, aliud irrationale, vel totius inte gralis in partes, vt domus ia csctam, parie tem,&c. vel vocis in fua fiznificata, vt ca nis alter celeítisalter cerrettris,Alter mari nus . Secunda diuiftc eft etiam triplex alia . fübiedti in accidentia, vt animalium aliud album, aliud nigrim, alia accidentis ia fu bieda, vtaliud nix, aliud papirus; Tertía accidentis in accidentia, vt dulcium aliud album, aliud nig cun . Locus à d:ut'toae tenet tam conftru&i ué,quim dzftru&iue,& dátur ifta maxima Mb aff matione dimi(i de alique cum negatio ne alterins membri em, velomnis dem pro vsiad affiemationg alterius tnetconfeq; dicitur 45 4ffirmatione dimifi de aliquo, quia  fübiectm debet contineri f'ib Jiatfo,& fub illo z2nerc,vne non valet, lapis nó eft ani mil rationale, ergo eft ania irrationile, dicitur, vel ogsmium dempto v»?,quia fi diui fum liabet plura membra;à negatione vnius non equitur affirmatio alterins vt eft canis, et non elt celeftis, ergo marinus. Secunda Poffto vw) membrorum diuidentium im aliqno fobbiedlo rt myuetur a!trum, vt homo eft ra tionalis,ergo àon eft irrationalis; dummo dó tamen membra non coincidant,fed om nino fint diuerfa. De Syllogifmo Sophyftico. De fallacysingenere.  Sg Emanet [^ complemento harum laftitutionü Logi dM calium, vtde fyllogifmo Me  litigiofo, feu ophi(ticoa EE gamus.nó quidem vt po( einde .utputando aliquem fal'ere, ignum eft.n. fcientifico viro, fe vt fcia mus infidias, et fophiftarum captiones cui tare; cuius notitiz canta cít vtilitas, vt no fter Ocham in 4. p.partis tertiz Lozic.c. r. afferuerit, neminem fiue naturalem philo /flue moralem,ius ciuile,aut cano  Theologiam per aed 13t fcéte acquu'ere poffe finenotitia fallacià rum, imo neccffada ifta ignorans in multos rolabitut errores ; nequit.n. euitari ma um, fi non coznofcatur. ] Syllogifmus itaq; fophifticus cft fy'to fms dcceptorius cx apparentibus cóclu cns errorem,q ae tamen vera noa sut; vn de ficut in r:bus dantur celores apparétes, vt ia collo colum5z radijs Solis expofitze fimiles veris coloribus, ita fyllogifmus ap pen non eft verusfyllogifmus, fed fimi is illis quapropter fyllogifmusille,qui ex euidenter falfis coníitat,non diceturíophi fticus propter non dpparétiam Tripliciter auté hic fyllogifmus poteft dici à vero de clinare,vel quia peccat in forma, quia .f. fà fit in modo, X figura; velquia peccat in ma teria,fi terminos zquiuocos cótineat, quz deuiatio implicite arzuit primam, nam cít terminus zquíaocusfit ous i nó vnus, confequenter nullus fyllogifmas ralis erit ex tribus terminis,fed ex quatuor ; vel tan dem, quia peccat in vtroq; de defectibus circa formam fatis diximus in i. p. tract.5. dum regulas veri fyllogifmi atfiznauimüs, reftat, vt defectus circa materiam aperia mus,fallacias communiter nuncepatis.   $2 Fallacia igitur, quiuis multas habeat acceptiones, in prafenti fumitur pro loco fophiftico, (cà illa  eoi in qua fut dantur frllpsitmi eptorjj, et qui cófe uentiz fal(z oftenduntur,vt verz,ficut .n. "dantur loca topica,quz maxima, differ& tia maximz dicuntur? quibus probationes ecauuntur ad inferendam conclufioném pro babilem,& dicuntur locus à fubftantia, lo cus à dcfaitione, &c.fic dantur loca fophi ftica et ab illis maximis denominantur,vnde dicitur tallacia zquiuocationis, fallacia am phibologiz &c. et in qualibet iftarum da tur caufa apparentiz,quz mouet ad crede dumillud, quod non eft, et caufa deceptio nis,quz facit creditum effe faifum, et latet in cau(a apparentiz,  Fallacia in communi diuiditur in fallacia is in dictione,& in fallaciam extra dictionem, fallacia in dictione eft, cuius caufa apparen tiz fumitur ex parte dictionis, quatenus.f. ijdem figois non fiznificatur vnü, fed plu ra, et dicio hic accipitur tàm protermino incomplexo,quà pro cóplexo, et oratione: uius fpecies [unt fex, f.fallacia € quiuoca tionis,amphiboloziz,cópofitionis diuifio nis,accécus,& fi yurz dictionis Fallacia ex tra dictionem eft »qua& caufam apparenti Íumit ex parte rerum v sonam 2 plu. "uU Ww oc€w 132 Plurium habitudinum, quas habent ad inui Cem,non quidem vt fic, (ed vt tales res per  voces fignificátur, X explicantur, vnde pri ma fümit caufam apparentizex parte mul tiplicis fignificationis dictionis.fzcunda ex arte multiplicis habitudinis rerum figni anos ; et huius funt feptem fpecies .f. Accidens, Secundum quid ad fimpliciter, Ignorantia, Elenchi, Petitio princtpi), Con fequens, Non caufa vt caufa, et secundum plures interrogationes vt vnam, De fallaci t in dictione . $3 T)Rima fa'lacia in dictione eft fallacia zquiuocátionis, quz eft idoneitas decipiendi ex vnitate vocis diuerfa omni no fignificantis, vnde caufa apparentia eft vnitas vocis, caufa deceptionis eft plurali tas fignificatorum, et tripliciter potcft co iungzere,primo quando aliquis terminus eft zquiuocas à cafu,vt cum plura immediaté fignificát abíq; analogia, in via przmií faruríi pro vno fupponit, in altera proaltc ' Yo,vt in communi exemplo de cane celefti, et terreftri,omnis canis currit, fydus cele fteefl canis, ergo currit; vt premi ffz fint verz, in maiori ]y canis fupponi debet pro terreftri,ia minori pro celetti, et (ic argu métum eft in quatuor termini,vel fi pro al tero tantum fupponit;vna illarmm eít fal(a Secundó poteft contingere,quando aliquis . terminus elt zquiuocus à coafilio, et cum analogia admixtus plura fignificans ordine quodam quatenus vnü proprie fignificat, alterum verb per tranfumptioné,& metha,phoram, vtquicquid currit habet pedes, aqua currit,ergo habet pedes.Tertió quan .do vna dictio per feacccpta vnum fignifi cat;fcd fumpta cum alia plara fignificat, vt mortale fignificat,quod pót mori, at süptü cum prapofitione /» potcft fignificare, vcl €» p5t non mori,quonrodo negat acl. mo riendi,vel quod non potzft meri,quomodo negat actum, et potentiam ad moriendum, fi d ren pad age eft zternum, quod poteft non mori,c(t immortale, crzo quod poteft non mori, c(t xternum, in ma. immortale negat actum, et potentiam, in mi.negat actá;ité ois iniuftus eft pani&dus, ps eit iniuftas,ergo puniédus in ma.ly in« iultus dicit nó càtü negationé iuflitiz, fed €t priuationé iuftitiz,imó habitü pofit.uum imuftitiz,in mi.dicit fimplicé ncgaticné 5 huc fpectat equiuocatio jpueniés cx amplia T ^ Pars fecunda Inflit. Tra&l.IIT.  tione nominis, fi cum in yna terminus pter copulam de praterito fuppoaat pro his,qui fuerunt,in altera qopear copulam de przícni fupponat pro his, qui nunc süt, vt quicquid currebat, fedet, ambulans cur rebat, ergo ainbalans fedet,nam ly ambu lansin mmn.íupponit pro his, quinunc am bulant, et qui prius ambulabant, at in con cluf.(upponit pro his, qui aunc funt ambu lantcsracioneprafentistemporis $4. Amphybologia differt ab zquiuoca tione,quos zquiuocatio dicit multiplicita tem fizaificati cum vnicate vocisjamphybo logia veró pertinet ad toram orationem,vt cum vnica cit oratio fecundum materiam, et formam,fed multiplicem habet fenfum, ropter vnitatem orationis elt apparentia dinis fallaciz,propter multiplicitatem sé fuum eft deceptionis cau(a; et poteft etiam tripliciter euenire, vt in zquiuocatione, ná teft e(f, quod oratio aliqua ex fe plures abeat fenfus, vt hic liber ett Arift. peteft .n. dicere ly eft, vel habitudinem poffeffio nis,vel habitudinem caufz efficientis, et c fe&tus,vnde non valet, quicquid eft Ari poffidetur ab Arift. hic liber eft Arift. erzo poffidetur ab Arift.z. poteft cotiugere per tranfumiptionem,& prouerbialiter,t late rem lauare fecandum propriumadeafum et aquam in lateré immittere, fed impro. prie, et prouerbialiter fignificat etiam in aliqua re operam inutiliter perdere, hinc non fequitur, quicung; lateré lauat, infun dit aquam inlaterem, quicunque infanum docet,laterem lauat, ergo &c.Tertió tande . fi vna oratio ex fe habeat vnum fenium,fed cum alia aliud fignificet, vt hzc propofitio 3d cognof(cit, fi Pes » fumatur in nominati uo, facithunc fenfum, quod fit aliquod cognofcens, fi in accufatiuo, facit alium, nempé quod fit aliquod obiectum cogni tum, vnde non valet, quod quis cogno fcit, 1d cognofcit, lapidem Petruscogno feit,erzo lapis eiprot,nam vt maior fit vera, ly £4 (umi dcbet in accufatiuo, fed in conclufione infinuatur quod fumeretur ir nominatiuo . : sf Fallacia Pur vprt s, et diuifionis cadit in illis propofttionibus, quz poffunt admittere séfum composi ld ifum,ita ur fecundum vnum fenfum funt iro dum alium fenfum funt fal(z,nam fi fecüdü vtrun3;feníum cffent verz, vel elis onpal fent decipere, quia vel nó haberent falfita tem, vel non haberét apparétii: cópofitio ergo ad fallaciam rcquilita eft corum,quz   ia debe sr A SUE t  De falladfi "deberent feparari, falfa vnio, et diuifio ett corum,qux deberent vniri falía feparatio ; fallacia compofíitionis eft cum ex oratione vera in séíu diuifo infertur. conclufio falía in séfu copofito,fallacia diuifionis eft cü cx oratione vera in scfu cópofito infertur fal fain sé(u diuifo, caufa apparentiz eft ma terialis 1dentitas propofitionis ; propter uam videtur vera in quolibet feníu : cau 4 deceptionis eft multiplicitas fenfuum, quorum vnus eft verus, alter falíus . Tripliciter auté cotingere poteft propofi tioné aliquà hos fenfus admittere, vel quia eft modalis et de ifta ià diximus in «.p.trac. 2.C $.quomodo .f.expl icétur modales in é fu cópofito, vel diuifo, et in iftis poteft có mitti fallacia cópofitionis, vt qu&cüq; pof fibile eft eff? albü,poffibile cft, quod fit al . bus,poffibile eft nigrü effe albü,ergo poffi bile eft,quod niger fit albus;procedit à mi nori vcra in sé(u diuifo ad cóclufioné falsá in.séfu cópofito : cómittitur etii fallacia "Wuiftonis,vtimpoffibile eft fedétém ambu lare,Petrus fedet,crgo impoffibile eft Petr ambulare,;procedit à maiori vera in «cfu có . pofito ad concivfioné falsi in fenfu diuifo . Poteft ctiam Secundo eif2, quod aliqua propofit:o a 3mittat hos fenfus, quádo cius partes cojulantur fimilibus coniunctionibus et particulis, &, vel, mec, «st, Xc.quz particulzfi determinant vnum extremum propofitionis, fumuntur coninn&im, vel difiuuctim,& faciunt vnam: propofitionem cathegoricam de fübiedo, vel praedicato compofito, vnde fi1ciüt Compofitum fens íi; fi veró determinant totam propofitionem, fic fumuntur coputatiué,vel difiunctiué, et faciunt plures propofitiones hypotheticas, et fenfum diuifum,v.g.emne animal ratio nale,vel irrationale eit homo,fi ly vel cadit fupra fübiectum,fumitur difiunctim, et fa cit hunc fenfum compofitum,omne animal, fiue fit rationíle,fiue irrationale, eftho mo, tft falla propofitio,fi cadit fupra to tam propofitionem fumitur difiunctiué, et generat fenfum diuifum, .4.vel omne ani ial.róngle eft homo, vel omne animal irra tienale eft homo; imiliter,duo, et tria funt quingue,ly etf (umitur copulatim.facit sé 1 compofitum verum,nam elt fenfus, » iscmid tria fimul süpta faciunt quinq;  fumitur copulatiué, facit fenfum d,uifum fitfam,elt.n.séfus,quod tám duo cít quinq; quam tria eft h ico en non valet omne 'animalrationale,vel irràti eft homo, animalirrationale,ergo eft homo; indilliont.   . t33 duo,& tria funt quinq;duo,& tria funt pas, et impar,ergo quinq; eft par, && impar. Tertio poteft aliqua propofitio ytrrum« que fenfum admittere,quádo aliqua dictio, íeu aduerbium potelt cum diuerfisconiü gi et fi corangitur cum illo,cum quo jprius videtur conftrui,facit fenfum compofitum, fi cum illo,cum quo minus apté, I conge nienter conRruitur, facit fenfum diuifum, aptius tamen, et conuenientius eft przce dens, quàm fequens, et proximum, quam remotum;vt quicquid viuit femper eft,fi ly fimper coniungatur cum ly vit, facit (en fum compofitum, et eft vera propofitro, f£ cum ly eit; facit fenfum diuifum, et eft fal fa:quicunque litteras fcitnunc didicit eas, fi ly mene conftruatur cum ly /eii: eft cópo fitio vcra, fi cumly didicit, elt compofttio falfa, vnde non fequitur, grammaticus fcit litteras,ergo nunc didicit eas. $6 Accentus hic capitur pro modo pro ferendi,vel (cribendi didi onem aliquam, et quiaex diuerfitate huius moii aliquando. prouenit diuerfitas figniRcati iilius dictio nis,hinc committitur fallacia accentus,que eít deceptio proucniens cx identitite ma teriali dictionis, qus: cft cout apparentiz, et diuerfitatc figniticati illiis di&tionis ex modo diuerfo proferendi,vel fcribédi,qua elt caufa erroris variatur autein dictio, vel ex variationc aípirationis,vt ara fignificat altarejhara vero cum afpiratione fignificac porcorum ftabulum, vnde non valt,ara eft 'in templo.fiabilum porcorum elt hara, er go eft intemplo: vel ex variatione diphton gi,vt aquus fignificat iuftum, equus verà gaificat animal innibile,& non valet;equi funt innibiles,s3cti funt zqui, ergo fantin nibles, vel ex variatione accetus, et quan titatis y li3barum, vt populus fi habet pri mam longam fignificat arborem, fi breue, fignificat gcntem,;hinc non fequitur, omnis populus eft arboc, gens. Itala cft populus, ergo gens Itala ett arbor; vel tandem,quan do ea io modo profertur vt «na,. modó vt plutes, vt inuité fignificat coacté vt vna dictio,vt duz dictiones fignificát ar borem vitis, hincnonre&é infertur, nihil, fit à Deoinuité, racemi fiunt in vite, ergo raceminonfiuntàDeo.   5. $7 Fallacia figurz dictionis eft. o proueniens à fimilitudincapparenti dictio"   num,vcl in voce, K definentia, velin fiam   vel in modo figni  ier in ali uo alio, cum tamen;re ve erant ; q» Gipliciter effe potcft; Pria fi Wiégedi à 134 ret d'ctiones omnes fimiles in voce, vel definentia cffe ciufdem generis, vcl inafcu lini, vcl foeninini, vel ncutri,vt o.nnis füb ftantia cft bona, poeta cít fubitantia, ergo pocta ett bona bd quia tam fub'tantia, quà poeta definüt in a,pofft quis credere eiuf dem generis foe minini eff: ; idem poteft in verbis contingere, vt calcfacere cít agere, calcficri eft pati,ergo intelligere, et videre eft agere, intelligi, et videri eft pati. Secundo contingit, quando fub termino diftributiuo vnius przdicamenti fubíumi tur terminus alterius predicamenti,vcl fub termino diltributiuo fpeciei vnius przdi camenti fubfumitur terminus alterius ípe Ciei ciufdem pradicamenti; pro quo nor ex Och.& Orbel. hic, quod ficut diuerfg inter rogationes conueniunt diuerfis przdicamé tis, fic ctiam diuer(a diftributiua illis com tunt, v. g. fi de Petro interrogetar fub acá. et quidditas, interrogatio fit per quid, dicendo, quid cft Petrus ? et refp. per terminos explicantes propriumgenus, et propriam differentiam; fi quzratur magni tudo, interrogatio non fiet per quid, hac .n. propria eft przdicamenti fubilantia, fed per quantum, .f. quantus eft Petrus ?& re fpondetur per terminum zxprimenté quan titatem continuam, non diícretam,quot n. eft interrogatio ad quancitatem diícretam attinens, quale ad qualitatem ;quando ad przJicamentum quando, vbi ad przdica mentum vbi, €c. vnde fecundur gfiunt incerrogauonés debet refponderi per ter minos proportionatos, et conuenientes : pariformiter diuería funt diftributiua,nam diftributiuum fubflantiz cft 28/c4254, quils  Let, diftributiuum quantitatis continuz eft quantumcusg; quantitatis difcretz, qwar «una, qualitatis, qwelecung; radicameati vbi hoc fiznum sb;cung; pra diciméti 2e do, quan Gcn»4; &c. Verum eft, quodly, wiequid, nontolum eft diftributiuum fü anti, fed cuiufeunque termini abfoluti,  etiam fi accidens fit, eo quia correfpondet interrogationi fa&z per quid, qua ctià fit  deaccidentibus in cermiais abíolutis, et fi ne ordine ab (abiecta, quomodo explican tur quidditates ipforum, non in terminis connotatiuis, K inconcreto. Quiádo crgo fub diltributiuo alicuius pre dicaméti fub(umitur terminus alterius prae dicamenti, vel fub diftributiuo vaius fpe ciei lubfumitur terininus altcrius. fpeciei eiuídem Lio yocp ; comnuttitur falla cia figurz diclioais, eo quia propter funi ». Pb N &. Pars Secunda Inflit/Tvacl. LI. Cap. II. litudinem illarum dictionum credit. quis licité agu.nentari poffe in illis terminis,vt Quicquid emiíli comedifti,carnem cru emtfti, er?o carnem crudam cemedidti, ly uicquid eft diftributiuum fubititiz, quod Cbfumitur, cft terminus complectens vnü terminü fignificantem rem (uam per modà fubltantiz, et alterum per modum qualita tis..ly arudim. Item Qicquid Deus facit medijs caufis fecundis poteit fe folo face. re, Deus cum caufis fecundis facit actd me ritozium, ergo fc folo poteít facere acti me ritorium, quo eft (alíum ; quia Deus non meretur, cuin noa habeat legem aliquá. fu jesioduón cóformetur,vndé committitur zc fallacia,nam fit tranfitus à diftributiuo pradicament i fubftantiz ad. terminum de przdicamento relationis, qualis eft ly me ritorius: fimiliter, quandocunq; fuitti Ro mz,fuifti homo bis fuifti Roma, ergo bis fuilti homo, fit tranfitus à przdicamento. Quando ad quantitatem difcretam:Vbi ad uerte ex Tatar. híc, quod huic diftribuciuo qusndecunque zquiualet interdum E : «un1; i íumatur pro qualibet temporis dif ferentia, fed interdum fignificat partes té porisdiícretas,& interruptas,quomodo eft dittributium quantitatis difcrctz 5 item quanto(canq dígitos heri habuifti, hodie habes,decem dig tos heri habuitli, ergo de cem hodic habes, quod «fct falíum,(uppo  fito quod vnum amifetit,eo quiain maiori. cit (ermo de mole, et conzinua quantitate  digitorum jin minori de numero ipforum, debet ergo fub(umi terminus aptus ad fa tisfaciendum interrogationi illius predica menti v qualecunq; currit, difputat,fi fub. fumatur fortes currit, ergo difputat, non valct,íed fubfumi deber, album currit, ergo dilputag rurfus quandocunq; eft pater, eft filius,Petrus eit pater,ergo eít filius, noa valet, (ed debet (ubíumi, in hoc tempore eft pater, ergo in hoc tempore cft filius . $8 Tertio committitur hzc fallacia, vt hàbet Sco.:.d.z 3.7. HL. et quol.s. d. quan do qualequid mutatur in hoc aliquid, vel é contra, vc quando commune, quod di citur qualequid,mutatur in fiogulare quod eft hoc aliquid vel cótra, quo cafu variae tur fuppofitio illius termini; non camen ad variatonem cuiuslibet fu tionis có mittitur hzc fallacia, aliter hic fillogif(mas non effzt rectus, omnis homo eft animal, Petrrus eft homo,ergo e!t animal : vbi ly homo in wa diftributiué in. min, determinaté, ícd folà quàdo vaziatur gr po pe fallaci extra diclionem pofitio ma terialis in formalé, vel fimplex in perfonale, vel cófufa in determinat, vn de non valet ifti fyllogifmi,homo eft dictio ifyllaba, animal rationale eft homo, ergo Sc.hic homo in ma.fuppooit materialiter, in mi.formaliter;hon:o cft fpecies, Petrus «(t homo, ergo &c. híc homo fupponitin ma. fimpliciter ; in mi. perfonalicer; ín ifto alio eft eadem variatio, Socrates eft alius ab homine, Socrates efthomo, ergohomo eft alius ab homine : omnis homo eft ani mal: ergo ois homo eft hoc animal, ly ani mal in antec. fupponit confusé, in confeq; determinaté, Committitur ctiam. hac fal lacia, quando arguitur à pluribus determi natis ad vnam determinatam,ideft quando in antec.terminus communis fupponit de terminate cy omae partium totius in quàá titate;qualia [unt inferiora termini commu  Bis, in confcq; veró fupponit dcterminaté reípe&in totius zquantitate, quod cft ter minus communis cum figno vniueríali, vt animal cft Petrus, animal eft Paulus,. et fic . dealijs, ergo animal eft omnis homo, ly animal fupponit pro vno determinato in antec.in confeq;pro pluribus inatis . De fallaciis extradidlionem, 59 TNtcr fallacias extra diclioné prima cft fallacia accidétis,vt pote ceteris efficacior ad decipiédü, pro cuius notitia not.quod triü terminorü fillogifmü ingre di&tiü medius dicituraccidens, no gua fit sép quintü prz dicabile,nó.n.taliter fu mitur accidés,íed fumitur jp,extraneo, qua tenus eft ex parte idé, et cx parte diuerfum «um alio termino,cui coiungitur,& de quo pradicatur, et fic tàm fuperiora dicuntur accidentia sefpeétu infertorum,quam infe riora refpeétu fuperiorum,propter inddz atamidentitateminteriila;minor extre mitas dicitur res fubiecta, et maior dicitur attributü,eo quia minori extremitati attrj buitur in cóclufione. Fallacia igitur accide tiseft deceptio proucn:és ex iradzquata, partiali idétitatc acciaéus cá re fubiecta, qua identitas cft apparentizin fillo gifmis athrmatius, et diucrfitas eft caufa erroris; in negatiuis é contra, itaDoctor in p d.1.4.5. 1 I. à : ribns n:odis poteft hzc fallacia commit ti;primus eft, quando cx ccniunéi;one cx tremitatum cum medio in przmiffis, infcr ^ tur coniunciio i in mando vnum dealtero, vt effentia diuina eft pater,filius cft effcntia diuina, ergo fi lius eft pater, committitur fallacia accidé tis,quia inquit Doctor,maior identitas có« cluditur in conclufione, quà fuerit in pra miffis affumpta,in premiflifi.n. erat ferma, de identitate in cffcnt'a, quz fi conclude. retur in conclufione;effet vera, filius .n. et idem cum Patre cffeatialiter, at concludi  tur identitas perfonalis; qua propter expli canda «ft illà propofitio £ua unt eadem qni tertio [unt eadem inter fe,.[ cadcmice titare,qua in tertio conucniunt;huc fpectát fillogiini in fecunda figura ex puris affir matiuis, vt homo cft anima!,lco eft animal, ergo leo cft homo. Secüdus modus, quando cx nó idétitate extremitatü cü medio in przmiilis argui tur nó idétita: ipforà in coclufione,vtc quà do arguitur cx paris negatiuis, nullus ho mo elt afinus,nullum rudibilectt homo,er go nullum rudibile eft afinus, nullum ani mal eft lapis, nullus homo eft lapis, ergo. nullus homo cft animal, arguitur maior di ftin&io in conclufione inter extremitates, quam fit in przmiffis cummedio. Tertius modus eft, quando ex aliquibus diurfim acceptis in przmiris infertur inde bira coniunctio ipforü in cocluf. vel quàdo áb aliquibus coiurctim süptis in przmitfis infertur indebita diuifio in coclufione, vt, ilte cft albus, et cft monacus,ergo cft mona cus albus, ifte canis eft pater, et cft tuus, €rgo eft pater tuus;ifte cft homo mortuus, ergo cft homo, et clt mortuus : diximus /». detta conimndl i2, ucl dimifío, quia à. diuifis ad coniuncta valetinferre, et € contra, v6 ifteeft animal et cft rationale, ergo cit ani mal rationale jifle eft animal album ; ergo eft animal et eft album, quapropter cft vi dendü qfi fit indcbita coiunétio, et diuifio, 6o Not.igitur ex Tat z Periher. c.2. q. r. 6.5 JGiendum, et vr nimiis. arguere à diuifis ad cótunéta elt arguere ab antec. in quo ponuntur duo predicata mediante par» ucula coniunétiua,6n,ad cofequens, in quo przdicata reponuntur fine aliqua coniun &ione,N ad des tria requiruptur,primum, quod illa pr&dicara diuifa fc habeant vt de tcrmipabile ;& determinatio, fcu vt fubilan. tiuum, N adicéiunm, fic fe habet animal  rcípectu rationalis a! bi mufici, c. defectu cuiusnon fcquitur,ifte eft monachus, et al bus, ergo elt monzchus albus, quia albedo nó eft determinatio illius przdican n.ona &à ; fecundum quod determinatio nó fuu.a tur t36 tur zquiuocé,& fignificatum varietur, qua rationc non valet, ifte canis eft genitor, et eft ruus,ergo cít E tuus, namly tuus in antec.denotat habitudinem pofftfiionis, in confeq habitudinem effe&us ad fuam «caufam efficientem; tertium, quod non fe quatur negatio, neque fiat oratio impro ria,vt Petrus eft homo,& animal, ergo cft ro animal, vel eft homo, et rationalis, ergo eft homo ration:lis . Arguere vero à coniun&tis ad diuifa, eft arguere abantec . in quo ponátur pradica ta fine coniunctione ad conf. in quo fint predicata cum copula coniunéctiua;ad quod «tiam duz conditiones requiruntur ex Or bello hic; Prima, quod determinatio nó fit diftrahens, vnde non valet, Sortes cfl homo mortuus, crgo cft homo, et cft mortuus, «hymera eft ens impoffibile, ergo eft ens, et impoffibilis; Secunda,quod vnum prsdi catum ex fe,& fimpliciter conucniat fubie &o;non rationealterius przdicato,vt hz confeq. non valent, Camaldulenfis eft mo nacus albus, ergo eft monacus, et albus, quiaalbedo conuenit illi ratione habitus . Francifcus eft bonus artifex, crgo cft bo nus, et artifex, nam bonitas illi competit ratione artis 5 cffcntia diuina eft pater ge nzrans, ergo cft pater,& eft generans, ge nerare .n. dicitur dc illa ratione paterni tatis . Quandocunque igitur deficiunt ifta condciuoncs;fit indebita coniunétio, vel di uifio,& committitur fallacia accidentis . 61 kallaciadefecundum quid ad finijli titer cít afiniscum przcedenti, pro cuius notitia recolenda funt, qua: dixiv:us tract. praced.c.s.de toco,& parte in medo, diétü n. fimpliciter cfe t«iminus cezn:unis fo litaric iumptus,& diciturtotum in modo; dictum fccundum quid eft terminus ille cü determinatione, qua dicitur pars in modo; fedin propofito vt cemmittater hac falla. . £12requiritür, vttorüm fit determinatum ab al.qua determinatione, vel diitrahente, vcl diminuentc, nó veró reftringente, vnde non valct, cadaucr eft liomo mortuus,ergo «Íc hopo, cthyops cft albus fccüdum den tes, eigo cít albus,valet autem, Soites eft homo albus,ergo eft hon:o,co quia ly mor tuus cft determinatio diftrabens,1y album fccundum dcates: cft dimmuens,& ly albus eft reltringens : quapropter fallacia ifta cft deceptio proueniens à conuenicntia appa renti d.&i fecüidum quid ad di&um fimpli  &iter; et poteft etiam € conucrfo fieri falla €ia à $mpllicitez ad fccundum quid,yt Soe «9» Pars Secunda Inflit. Tratt1TI. Cap.1IT. tes eft homo, ergo eft homo mortuus. Hacfallacia multiplex eft iuxta multi plicitatem additi diminuentis ;nam vel eft diminuens fecundum totum qualis eft có» ditio diftrahes, vt exéplificauimus de mors tuo homine;vcl cít diminuens ssh parte, et hoc eft tripliciter, nam vel hzc determina tio eft (ccundit maiorem partem, vt cü par ies fecundà maiores partes eftalbus,vcel fe cüdü certà,& determinató parté,d fit pro rià fubiectf illius coditionis, vt fimitas re pe&u,ná fi,& cx iftis valet arguere à parte ad tot,fequitur.n.partes fecüdum plures rtes eft albus,ergo cít albus ; Sortese mus fecüdü nasü,ergo e&t fimus,negspro prié dicitur coditio diminués;vel eft fecüdü parté minor£ nec determinatà, vt gthiops cft albus fecidü détes,nó fequitus;ergo eft albus:vel tertió eft diminuens fecüdum lo cum,vt nó licet in mari audire facrum, non. fequitur ergo nó licet audire facrum;quar to vcl cft diminucns fecüdü tempus,vt non licet vefci carnibus in quadragefima, nà va let,.ergo nonllicet vcíci carnibus tandem. vel eft diminuens fecundum vfum, vt male vtentrnon expediunt fcientiz,nom valet;es. gononexpediuntícientiz.   62 Dices, in ifla propofitione Petrus eft perfectus latro,cil monachus alus,&c.  ly perfc&tus,& ly albus funt códitiones rez  ftringentes X tamen non fcquitur, € e perfeétus, ett albus, ergo malédicisur quod à conditionc rcitringente nó commit titur hzc T sd ka paite eft ho mo mortuus,licetn offit inferri, crgo eit iE, poteit wen inferri ergo eft mortuum,crgo arguendo à conditione « ftrahcnte non committítur hac fallacia .. R cfp.ad 1.non fequi confequentias illas,nó quia committatur hzc fallacia, aliter nun quam valerct arguere à termino determi" pato per conditionem reftringétem ad ip sá fimpliciter, fed quia committatur falla ciaaccidentis; quatenus non ad(unt omnes. conditiones requifitzad hoc vt poffit fieri bonus proce fus à coniun&tis ad diuifa, v& nuper dicebamus, vcl dicédum, quod licet in iftis cafibus non fequatur,eo quia vnum predicatum conuenit propter aliud;in alijs tamen fequitur. Ad 1.concedimus,qua elt determinatio diftrahens, poffe fieri pro gicffum ad determinationem, nontamen   ad ipfum determinatum, quodfehabetvt fimpliciter dictum; quádo verà eft condi tio rcftringens,poteítfieri progreffus ad vubq; dümodo adíint coditioncs af&g nata in De fallacijs extra Bibi, it tertio modo przcedenus tallacie . Quod di&ü eft fccüdà quid, &fimplici tcr, yt fe tenét ex partc przdicati, propor tionaliter eit dicédà deipfis, vt fe tenet ex párte fubiecti, vc homo mortuus eft cada ner;non Ícquitur, ergo homo cít cadauer, xofa cognita eft1n intelleétu, cr; o rofa eít 3n intellectu; at fi eft conditio reítiingens, tenet coníeqs vt homo albus currit, ergo homo currit, dummodo non comparetur. ad aliquod przdicatum conueniens illi toti, wt totum eft, et confquenter facicnsillud toti fupponerc fimpliciter, vt homo albus eít aggregatum per accidens, ergo hoaio eít aggreg;tum per accidens,non valet . Specialiter autem poteft hzc fallacia comnutti,vt aduertit Ocham in p. 4. partis tertiz fuz logicz c. 5. quando arguitur ab eff: de z.adiacente;ad ipfum de 3. adiacea te, vel écontrà.tàm affirmatiué,quam nega tiué;tunc ab «(fe de z. adiacente ad effe s. adiacens atlirmatiué fit hac fallacia, quan do additum non neccffaiió competit fubie €to,vt homo ct, ergo cft albws;at fi neceffa i9 conuenit, cít recta illatio, vt rofa » o eft ens, eit. poffibilis &c. tunc negatiué fit hac fallacia, quado addi tum eft przdicatum neccffarium conueniés fübicéto,fiué exiftzt,fiué non, vt rofa non eft,ergo non ett pv flibilis ; fi vero additum fic pradicatum fupponeas neceffarià exifté tiam fübiecti,recté arguitur,vt rofanó eft, non vidcturE coritrà ab cffc de rertio adiacente ad ipfum de fecundo affirmatiué cov mittitur hac fallacia,fi additü fit prz dicatum neceffarium; noo committitur, fi fit przdicatüm centingens prafupponers conftantjam, fea cxiftentiam fubiecti, vt fequitur,' Sortes eft albus, ergo eft, non fequitur Sortes eft poffibilis,ergo eft. Ne gátiué vcró femper committirur hac falla cia;przterquam in przdicatís, quz exifté tiz opponuntur;nam fequitur chy mera nó eft poffibilis.ergo ecd eio tamen fequi tur homo non cft lapis;non eft albus, &c. €rgo hon:o non cft. 1 65 Fallacia ignorantiz elenchi prouenit €x deceptione, qua putat quis elencur fiL um habcr omnes conditiones,fillo ifmus elencus eft. fillogifmus: eontradi. orius;ideft oftencés contradictoriü etus, eft à rcfpondéte conccffum, vndé re quirit primó omnes conditiones optimi fil Ími in modo, et 1n figura. 0, quod conítet cx propofitionibus veré contradi ctorijs;ad quas requiruntur quamor €on 157 ditiones, quod fint ad idem, fecundum idem? fimiliter, et eodem tempore., quibus addt potcft identitas loci, nifi velimus hanc re? ducere ad fecundam. Poteft igitur ignorari clencus fillogifmus, vel quo ad prirfarias conditioncs,fi.(. quis putaret illum fillogif« mum cffe in modo, et in figura, cum tamen non fit, et fallacia huius ignorantia eftmis mis ampla omnibus fallacijs coueniens; vel potcft ignorari quo ad (ecundarias condi tiones fi cxiítimarct aliquis propofitiones illas effc veré cótradictorias, cü non fint, et dc iita eft fermo,quz tot modis poteft eue nire quot funt códitiones contradidtoria rü, vt quinq; eft med etas dcnarij, gon eft mcdietas binarij,ergo elt medictas, et nom medietas,non valet, quia nó süt ad 1€ : lie gnum ctt alteri quale, feundum loagitut din, nzquale fecudü laitudiné, ergo elt, et nó eft quale, nó valct, quia nó süt fecüt dü ide : homo clt fpecies, nullus homo eft fpecies, ergo eft,& nó cft fpecies, nó fcquie tur,quia non eft fimilis,& eade fnppofitios Petrus hodie nó currit |; cras currit, ergo currit; et nó currit,nó valer,qa deeft idéti tas téporis; Petrus audit Sacrumia téplo,: noi audit in cubiculo,ergo audit, et nó au» dit, eft déf&us idencitatis loci, dica '64 F.llacia petitionis principij eft, quá. do id per feipfum protitars boc iyf dem omninó verbis, et dicitur petitio priu cipij ftarim,vt hono ETRAS homocus rU hzcnoa eft in vfu. vel fub alijs verbis, et hoc multipliciter vt qu quis vtere tur fynonimis verbis, vt gladius cadit, ere go efifis czdit, ve! cum parti&ularis probas tur per vniuerfalom,& € contra, vel cum definitum oftéditur per definitionem et vni uerfaliter quando id, quod debet probari, oftenditur per ignotius, vel zquenotum 3 Vérum cft tamen, quod proprie   . et ex natura rei in his catibus ron spe : committitur petitio principi], nà et tio notior efi m fe definito, et totum partis bus; aut écontra ; poteft tamen committi ad hominen,fi.f.refpondenti zque ignota fint definitio, et dcfinitü, totü, et partes 8 tunc rcfpedu ipfius refpondentis cómitti tur petitio principi) quia zqualiter negabit Cc v Sce affümptá ad probationem, h qua v. g.ponitur definitio, ficut antea ne gauerat antecedeps in quo e;at tum, quia zqué ignorat vtrumque. . 65 Fallacia cófcquéris elt d ueniés cx apparéti conucrtibili conícquentiz cum prima jit $ ^ | ápcétànt fim Tr 158 eft bona,ita putetur effe fecüda ; ex quo in fertur,quod ad hanc fallacià seper (unt dug confequentiz, vel explicite, fi arguatur en. thymcmatibus, vel implicite, fi arguatur €x maiori hypothetica conditiormli, et pcr antecedens, et confequens hie intcllfgitur gropofitio,i qua affumitur inferius in or dine ad fuperius, vcl é contra; hzc enim fal lacia fit in terminis non conucrtibilibus,vt funt fupetius,& inferiussidcirco tüc come mittitur huiufmodi fallacia quando nó re € à fupcriotiadinferias, vcl é contra ar gümétamur j duobus aut& módis nó recte arguitur, ficut duobus etià modis cpun.é intcrtur,nà à fuperiori ad inlerius stf1ma tiué ó valet,fed e cótra ; ergo à pofitione €bícquéus ad pofitioné antececetis cómit titur hzc fallacia, quáui$ arguédo à pofi tiotic antecederitis rccté pofitio conícqué stis inferátuf; pofitio cft affumptio eiufdem propofitionis, defttuio cft sffumptio cé ttadictoriz pofitionis, vidé in hoc difcuríu €ft homo, crgo cfl animal, cft animal, ergo homo, comtoittitur fallacia conícqucn tis, quatenus fecunda conícquentia putatur zcéta, ficut prima, et cft à pofitione confe quentis, f. ab affumptione illius confcqué« tis eJ «mimal, ad affumptioncm antecederi tis. Dciride à upetiori ad inferius negati né tehet, noi é cóntra, ideo à deftrüctione antecedentis ad defiru&tionem confequen^ tishoti valet,vt fi efl homo,eft animal, noa €ft homo ; ergo non eft animal ; hüc etiarb iles (yllogifmi, Qui dicit te effe » dicit verum, qui dicit te cffe afinü, dicit tc effe arimal ; ergo qui dicit te cffe tn, dicit verum, in hoc arguitur à po« fitione confequentis ad pofitioncm ante ccdentis,fci à fuperiori ad inferius afirma« fjué, ab cffc animal, ad cffc afinum. $6 Fallacia fecundum non caufam, vt aufam eft deceptio prouehicns ex aPp4 tentia, quam liabet vna propofitio ad infe endam aliam, ac fi cffet vere illius caufa, teft dupliciter euenire, primo Lo ax dupkci progireffus, vnus ig quo : | Fou «plemento Inftit. Dialc&l. vt facilius Pars Secunda Toflit, Tra&i.IIT. Cap. 111. concludirur conclufio falfa, alter', in qua  affignatur pro caufa falfitatis conclufionis aliqua pramiffarum, quz veré noncítcau fa, Secundó vt colligitut ex Sco.1. d.3. q.7. R. quando infettur falía conclufio ex vn& propofitiorie, qua tanquam caufa affumi tur illius falfitatis, cum tamcn rcucra non fit vt vinuth ibcbriat, crgo cft cbrius, ines brafe cnim non «ft caufa ebrictatisin vie no, fcd in alieno foppofito. 67 Vltiva fallacia eft fecundum plures  intcrtogationes vt nami quatrupliciter ne potcf fieri ihterrogato : Primó, quando vnum dc vnó quaritur, vt eft ne Sortes ho. $0? 4, quando vpum quaritur de pluribus,. vt cfl ne Sottes, et buccphalus rationalis? 3. quarido plura quaruntur de vno, vt eft ne Homo anirhal, et albus ? 4. quando plura dc plutibes quatuntur conunéüim, vt an, homc; et talpa funt videntes, vel cocci? ia his 6m ntbus modis committitur hac falla. Cra, prater qnam in primo . et fit cüm vnica  rc(ponfióne tatisfit plutibus ipterrogatioe. nibus apparenzibus, ác fi cffent vna intere. tógatio. cüt tamcn pluribus durquSn : tum illud refponficn;bus, vt fi effent duo  hotnihes,vnus coecus;alter furdus; et quae: feretur an effent cocci, vel furdis hrdpon deretur; quod funt ceci, ergo furdus érit   €gcus ffi furdiergo cecus erit fu duplici rcíponfione dcbet huic qu tisheri, .(. ifle cft cecus, et ifle eft furdus, && dittin&tione vten qued licet rcfpondens affirmatiué. fe(pone eridó ducatut ad inconueniens,vt patet in acus etae fi tamen ncgatiué re« fpohideat dicerido,noh funt ceci eianuiune. i, folum apparentet ducitut ad ue ticns,nen enitn fequitur,erZo nullus eft c&« cus, et riullus furdus,nam fcnfus illius tefpós fionis eft quod nec ambo funt ceci, aec am furdi; et hzc di&a fufficiant pro com TO ncs ad Logicam magnam, et hanc quz'flioe nibus contextam gradum faccre pollins » PP oW " Ww X    d desgus im . Hic notat Odd mÍDUxLÁUT..1 UV E Ad vniuerfam A emm Hilofophia olim fapié | tia vocabatur,&qui re 3| bus cognofcédis incü Cx] bebant, fapientes : at "l| quianomé hoctumo | rem,& iactátiam pre., fcferte. videbatur, vt Scotus refert 1. Met.fam,p.cap. 2. Pytha rs noluit fe fapicatem appellari, f: hilofophum, ioc eft, fapientiz amavo rem, hinc nomen fapientis in nomé Phi lofophi eft matatum,& doctrina, qua (a pientía dicebatur, Philofophia caepit nà eupari; Dcfinitut ab Acift. 1. Met. cap.3. Cognitiorérum vt Junt fiue per [uas  €dufa5 ; cum egim omnià crcata habeant : ele per caufas; tunc vti funt, intel   liguntur, cu;n per fuas caufas cognofcun tur) et hac ratroncaíebar Plato in Thezt. et Arift.1: Met.c. 2. homincs ex admira tionc philofophari ccepiífe, hoc eft, ex notitia cffe&uum, et igaoranria cau(arü inae(tigare cepilfe rerum caufas ; ex quo deducitur. Philofophiam effe reram co gnitionem per fuas caufas, X Philofophü eife, qni rerum cognitionem hoc modo cít afiecutus . : Diaidi folet in hac amplitudine fum a in Naturalem,Moralem,& Rationa m; Naturalis Phy (icam comprehédit, et Metaphyficain, quibus addi folet Ma thematica; Moralis Echicam, Rationalis Logicam,(cu Dialcéticam; hzcq; trime bris diuifio Philofophiz non foiu cói cal culo Stoicorum, et Platontcorü receptafuit, vt; videre ett apud Eufeb. lib. 2. de prz par. Euang. Alcim. de doctrina Plat, €3.Cic. lib. 1.dc Orar. ad Quint fratré, fcd Aritt.1pfe eà amplexusceit 1. Topic. €:12« vbi faa diuifionc problematü in ..  Naturale, Morale,& Logicum, fübdit ad philofophbiam igitur sm veritatem de bis iandum cjl dialettico autem modo. «d opinieuem Bam quoq. amplettitar  STIO PROOEMIA 13$ LIS rift. Logicam . De Natura Logica. D. Aug.lib.8.de Ciuit.Dei c.4. et eius fuf ficientiam. ex profetfo probat, P'hilofo phia namq;ad hominis fcelicitatem ordi natur, quam in hac vita confequt potcft, hacautem tum in contemplarioae veti« tatis conliftit, tum actione veritatis con» fitit tum a&ione virtuti confentanea, vt docet Ari. lib.1. Nichom.c.7. et 8. fta tuenda igitur eft fcientia,qoz cerum caus fas,& arcana natare (cratetur,& conté plationi folius veritatis incübat, et hzc erit Naturalis philofophia Phvficam, et Mctaphyficá comple&tens: Altera dein de pars Philofophiz eft a(fignandi, quz incumbat moribus in(lrsendis, et sdci uilem vitam intítuendam, et hec ck Mo ralis. Quia veró hzc omnía non nifi di fcutrendo,& differendo comparatur, et intelle&us nofter (pé decipitur, X errat in dicur(a, conftitacada deniq ; eft aice ra Philofophiz pars, quz mentem dirigat io fuis operationibus, et hzc eft Ratio» nilis.Hanc denique trimembrem diuifio né recipit, S. T h. initio Ethic ad Nichom, . et quicunque tenent Logicam effe fcica tiam, et partem Philofoph:z,Conimb. ity prooemio ad lib.Phyf. Mori( initio Lo» gicz, Complut.difp. 1.3.6. Amic.tract.t. q.4.dub. 1. et alij quamplures; Verum tamen cft;quod notar Pat: ualig. ia Mete 1.p.difp. 4. (e&t. 3. pote haac trimembré diuifionem reduci ad bimembrem, .(. ad Naturalem,& Moralem, accipiendo na 1üralem non prefikc,vt dicit fi o mess plationem de natura, (ed largé prout có ple&itur res omnes intra ordinem natu« rz Dom (ab quacunq. abftra&io neilla fint, fic.n. accipiendo naturam, res à Logica conlideratz non erüt extra. ordinem naturz, arque ità fpe&tabit ad philofophiam ipfam naturalem . Vuiuer(am itaq; Philofophiam iyxtà "Scoti principia, et Arift. dogmata, vb ücfire non obuiant fidei, contexere inc&  LEN i. S NN ' » ^ A&Ww"wwW€.YaXm rl." 140 dentes: ab ea parte, qua. liationilis dici tnr;exordiom fummis, quia hec ipa pars. philofophie eft inftrimentum refpectu Cceeterarum,part ium Nataralis nimirum, et Morilis, quz non nifi diierendo, et difcurtendo acquiruntur ; modus aü: di( ferendi, et difcurrendi à Logica docetur. Hanc igitur prooemialem quett.de nata: ra Logica ditierétem in plurcs dittribuc mus articulos, vbi de varijs Logice no. minibos, et acceptionibus diileremus, de cius Bincyobic&tg,clientia, qualitate, ne cc(litate,partitione;ac deni]; de eius vni tatc, et à ceteris facultaubus dittictione: De varijs Logice nominibus, et acceptionibus . 2 Voad ptimum;facultas, quam ag gredimur explicandam, Logica patti m appellati folet,& quidem Logica dicitur quaf fermocinalis, vel rationalis facultas cx co, quod fermonem verá vel fal(um contiderat, vel quia ratiocinari do  Cet, logos.n. vox graca vtrumque figni ficare poteft,fermonem, .(. et rationem, melius tf, inquit Scotus e. 1. Pre d:cam. dicetur Logica fcientia rationalis à ratio ne,quam fcrmocinalisà fermone, quia p hunc loquendi modum figuificari vide retur Logicam veríari circa fermone, et voces, tanquam cius obic&ü, qued falsü e(Te mon(tcabitar infcà. Dialectica euam coníucuit appellari, hoc cít facultas di Éceptatrix, vel difputatrix quatenus dit fcrere, ac di(putarc docet, eít .n. nomen gracü deriuatü à verboydialegome,quod Aynificat differerejac difputare:quamuis auté apud antiquiores. Philofophos Dia. le&icz nomeu víurpatum fuerit pro ca nt x ap) M" rel. tradit lib. 1. de natufa Logi € c.9. et Arilt.ipl  non femel infinua uit,qut 1. Topic. 1Elench.3. Met. et aubi per Dialecticam intelligit (là par Queflio Probem. de Natura Eogica . tà Logica patte ; quz dicitur Topi enia de (yllogiimo probabili, vt tu 5 runtur argu:menta, abfolatd tamen figni ficat quocunque modo difzurrere, et ex notis ignota manifc(tare, et quide apud etiam Acift. réperitur hoc nomen Diale Guce vniucríaliter víarpatum pro tota Logica,vt videre eft 1. Rethor. c. 1. 1. Met.tex.8.& àlibi (epé,vc Fonfec.notat | 2. Mct.c. 3. q.i. feCb.3. Deni Atift.opus fuum Jogrcuin, vti conflat ex .vulgari in | (criprione,Organür nuncupauit;ad (igni ficandà logicam veluti inibrumentüinfer  V. uire ad aliarum fciéuarum acquititione . 3 Quoad 2. Logica in primis diuidi folet in naturalem; et artificialem, N'átü ralis cft ipfum naturale lumen nobis có genitum di&tans modum re&é apprehen dendi, iudicandi,& difcurrédi, fiu iflud . naturale lumen, fit nuda potentia incel lectua, fiué intelle&us cum  habicu: principiorum, quzfüntnaturaliternos » tàvt Complut. contendunt difp. 3. Log,  q.1. Aruficialis auté eft habitus ftudio. comparatus,quo«ntelle&tus in(trutur, S dirigitur, ncerretin fuis operaiombus  exercendis; traditar autem hc diuifioab. Arift. etb.c. 1. et 1. Elenc.c,8:& i ab omnibus eft recepta. ucfus arti v lis diuidi folet in vniuer(alem, et particue larem,quam diuifionem tradidit Aucr.2,  Met.com.r$.& rElench.q 1,& 2,vtno  tar Maurit. nofter q.1.praedicab. Vnigers. falis dicitur4qug docet przcepra cóia om . nibus (cienc;js, vt quod dcufoftratio có . flare debeat cx nece flarijs, defintiotras  denda fit pe: eilentialia, Particularísdis  Ciur,qua tradit przcepta applicata ma  teriz huius, vel illius fcientiz, vt quod ig Mct.definicndum (it per genus, et diffe r&uam,in PhyCper materiam,& formas   alio modo cxpitcatur hzc d:uiioàZab,. lib.z.de nat.log.cap. 1.fed allata cxplicae | tio communtor efl,& magis congrua.  d» 4 Frequentior t adhuc, et magis fa A mofa cft illa diuitio logicae arcificialis in,  E docentein,& vcéteintàm apud Latinos, ae quam apud Grgcos,licet (üb alijstermi  temtopicam: modo tamen communiter   nisdocentem,n. vocantlogicamà rebus. toti Logicz tribuitur; quàmuis .n. dific   auulíam, vtentem veró rebus coniun, y perc, et dilputare proprié figmificet ex   vt lhilop. refert in praefat. ad lb. Prior.   grobabilibus difcurrerc, cum nimirórpro   Logicam docentem vocant ipíammet do s US qufbonis qum prooibiMKado,. api NgUNAUE Fürst Je ndia. Sa^ « gie Pe Y [, k we " ; fr x x  r Dg ^ et De varijs Logice wominib. eo acceptionib. crt. I. 1 4  K certas regulas in; quacüque fcientia ob faandas in definiédoyliudendo, et di fcarrendo, vtentem vocant earunde regu larum víum, et exercitium., fcu potius à ntenmquatenus.in v(ir pofi tam, et huic, vel.llfcientig applicatà per a&uale exercitiü definitionis, diui(ionis et argamentationis. Hinc aliqui deducüt logicam vtentem non. effe proprié logi cam;led fcientiam ipfam deterfninatam;. Phyficamnimirum.Metaph. Moral&vel aliam; cuius c(t materia diícur(us, et (ic dcfinitio,diuifio, ycl fyllogifmus in. mate: ria phy(cadicitur logica vcens,eo quod tunc vtamur regulis, et pracepxis logica docentis ; ex quo tandé interunt non eífe proprie aliam logica,quam docentem. At Afti manifefté fallücur, tam quia ficucin materijs aliatü iciétiarum datur vías lo ica, itdetiam in ipfa materia logica;dcfi . niendodidendo et arguendo, ergo fal ... timinhoc(en(u,cum nimirum (eipía vti ex tur; dari debet proprie logica vtens ; tum ^. quia ctià quando exercetur ip alijs (cien . Vijssquamuis actualis ví(us fyllogiimi v. g« quoad materíá (pectet ad illas (cientias » adhuc tà quoad formá, et modü ad logi cam attinct;tü denique quia adhuc in alio &níu magis proprio przfatam diuilioné €Xplicabimus,stn quem neceffarió con cedendus eft habitus, qui proprié dica tur logica vtens. it Sed circa allatá diuifioné daplex ori tur dubitatio. Prima eft,quomodo diftin guantur logica docés,& viés,an.f.impor tent vnum,& cundem habitum,an potius plures fpecie;& numero diuetfos.: com munis fentéca Thomiftarü affirmat cífe  vnü, et cüdemre&liter habitum ex diuer fis munetibus ti, et diuer(is contidera tionibus hzc nomina fubcürem,vndé di £üt;quo d idem logica: habitos, quatenus. : tradit precepta dcfinicndi, diuidendi, et  difcurrendi, dicitur Logica docens, qua tenus veró alijs (cicoc;js applicatur per LS praceptorum, et regularü |: oec coat pers vtenSita Có if p. rLog.q.4.$.2. Soto q. 2.proc mnia. Sáchez lib. 1.Log..6. Mafius fcét 1q. 4. Didacusà Icfuq. $. Ioan. de S. Tho.p.2.Log.41 art. $. Aucría q1. Log» (c&.2.licet concedat actus logic doce tis,& vientis e(fe realitet, et c(Tentialicer diftin&os. Ruuius q.3.proem.& alij paf fim; Sed preter Thomiftas videtur ctiam cómunis opinio Scoriftarü,nà (atis aper téeà inlinuat Do&or q. 1. ptedicab.vbi nó nifi cx diuerfa. cófideratione videtue fecernere logicam. docentem, et vtene tem, et (equicur Faber Theor.t.c.1. Pon cius difp.2. Log.4.6.Fuentes q. 4. diff. 2. art. 1, et alij patlim. $ Dicendum ti eft, quod (i de logica vtente proprie fit fermo, importat habi tum realiter dittin&um, et fpecie diuer fam ab habitu logicae docentis . Conclu fio hzc priusexplicatur 4 deindé proba« tur, Logica niqi vt ens,vt notant Mauri tius q1.vniuer(.$.6. difficultas, et Tara« rct.qt.prohe m.Log.$.1. ferendum ;. teft accipi dupliciter ; vno modo pro ha bitu (ciétifico logico. per demonttratio né acquitito)quo vtimur in fingulis fcié tijs definiendo, diurdendo,argucdo ; alio : modo pro habita acquifito. cx trequentt exercicio definiendi, diuidendi,arguendi, ex iftis .n.actibus frequentatis. generatur in ioteliectu promptitudo quzdam ad li miles actus elicicndosquia sin Do&oré 3.d.33.ex oL actu voluntatis . velintclle Gs potett generari habitus, vcl prompti uxdo;; (i logica vtens primo modo fuma turno eft diftinctus habitas a logica do céte, fed e(t ipfamet logica docensin víu pofita, et alijs fcientijs applicata,ynde in hocfeníu improprie dicitur vtcns, cum potius dici deberet vía fcü vlitata,vc no tat Maurit. cit. et Anglicusq. 1. voiuerf,   et ità loquitur Auerr, 1. Phy(. com. 35. Acin z[eofuett habitus procíus diftin us à logica docent, nam docens cftha bius fpeculatiuus, et cótemplatiuus, vtes. veró practicus,& operatinus, ac proinde roprié dicicur vtens aQtiué, nam eftta«. 15 habitas,quo quis inftructus prompte et taciluer vutur logica docente, ciufq; rcgulis;& precepus,& dittindtiologicg docentis, et vtétis in hoc feníu coincidic €um ea» quam alij craduntin logicam co» "templaciuamy ra&tiuamycontemplatiua. 4D.cft docens factiua vero vtcns. 6 LHocautem modoexplicaia conclu. ' $5 fo^ » ]  amxT Ys 141 fo facile fuadetur ex co,g ait Scot. q. 4. Prclog. in folot. ad 2. et 3. Bb. docec.n. ibi, quod vbi cognitio aliquorum nó cft propter fpeculari fimpliciter, fed ét ali quo modo. propter opcrari, tüc refpeétu corü duplex cft neceffarius habitus in in telleétu noftro, vnuserit vniuer(aliü, al ter vcró particularium ex. particularibus a&ibus genitus, fic rerum operabilium fcientiam moralem habemus, quz ett co guitio quzdam vniucríali,& prudétià, quz cft particularis quidam habitus gent tus cx pluribus egiffe; et quo in parricu lari cognofcimus,quomodo talis aio fie ri dcbcat; cum igitur cognitio inftrun et torum logicalium nó fit propter [zipfam fimpliciter, fed ad dirigcndas opcrationcs intellectus,. fic duplex refpeétu cius po ncndus cft habitus in mente noftra, vnus erit vniucr(alium, quo generalc$ regulae dcfiniendi,diuidendi, et arguendi agno fcimus;alter vetó particularis habitus qui dam genitus cx ftecqucti applicatione om mium illarum rcgularum ad certas, et de .terminatas ma:ciias in particulari, vnde ántellc&us habilis, et promptus redditur &d defi nicndum,arguendü et c. Con£ta tio excói natira omriium facultatum or ganicarü cius n. natui& funt omncs ifta, vt quzlibzt diuidatur in docentem,. et vientemyfic «n.diuiditur frene£a&tiua in Érencfa&iuam docentem, et vtentéj(cri ptoria in docentem, et vtentem,medicina dimniliter, et alie confimiles facultates; fed in his omnibus facaltas docens reali tet áb vteme diftinzuitur, et diuetfos im rtant habitus;crgo fimiliter in Logica, difciplima organica ctt;dicGdü crit; tobatur minor,quia v. g. fcriptoria do «ens cít habitus ille, qui tradit regulas benré fcribendi, vtensett,qui acquiritur €x frequenti fcriptionc, ficut Gt medicina docens cft habitus trades regulas, et prg &cpta medendi, et (olet dici Thcorica zs, gtcns cfl alter habitus, qui acquiritur ex actuali vfu mcdicinz docentis, et dici fo lct Pra&ica, vndé fempcr prius acquiri tur babitus facultatis docentisyqdá vten tis, ilc acquiritur ex aud:tu Magittri  et fludio regularum, X prz ccprorujifle ve 1 ex a&uali v[u4& cxezciuo illorum; fic Quali Proem.de Natura Logic, 7 igitar etiam de Logica dicendum erit, d decens cft habitus ille, qui acquiritur ex auditu magiflriy Icétione librorum, &c, vtés vero cft; quem deinceps acquirimus cx frequentatis aGtibus definiendi;argué di, &c. et multoticsfuenit, quod aliquis habct Lcgicam docenrem,& non vtenté, vt patet 1 Tyronibos, q regulas logicales raxiné callent,fedin coficiédis (yllogit mis (ont adhuc imcxpesti, et incxcrcitatie 7 kx hine rüríusalia deducitor confit mato . quia peflouam de recenti intelle &us infiuctus cft habitu docentis Logie ca, dcfinit,diuidit. arbuit conformiter ad illas regulas,& przcepta,fed cumaliqu& difficultate,non expedite, et prompié: ve rum frequentanco hes actis acquirit fa cilitatem quandam, et prompcitudinemn ad ilios promptius, f&tilius, et ere i fcium inditium habitus acquifiti, cüalie quid operamuür prompte, et cxpedité, 9 prius difficulter efficicbamus ; Probatur aflumptum, quia eti Tyroncs optimà  ze : LEE M o Íciant defipitioncm conflare debere ex.  gencre, et diff rentia, quod inc dis[yllogifmis medius terminus cien dui E d prima figura debet habere locum pv m X ma. tf antequá fapius feexcrcucrint, dif ficultatem fentiunt in conficiendis fyllo gil is in hac, vel illa figura ; quare cum applicatio przceptorun Logicz ctiam poft cxa&am corum cognitionem bené;, » vel malé fieti. poffit, fané requiritur fpes eialis habitus inchnans ad eam rité. fa ciendam, et hic erit Logica vrens. Hinc. aicbat Arift. 1. Priorum c. 28. non folum. sioruin canfiderare,qp fit per Logi cente, fed criam is eflatsm baberet fa ciendi, et bic cft habitus Logicz vtentis« Rcfpondent negando intellectum Lo. ica docente imbutum indigere di(tindta. acilitate, et habitu propter a o nC,cognitis.n. rcgulis,& pra ar ogi ca:,non eft vlla diffieultas.in applicatione, et v(ucarum adtalem,& talé imareriam fcd folam indiget appofitione matcriz'; ad quam ipía regula :finc noua difficul tate Yincenda cx parte füi applicantur, et &7 P «t g oportere Logicam generationes fillogif cido Ccx  Cr $1 cffi ciendos, ergo acquirit   a ab illore.liter difüin&tü,boc.n.eftmanie   F ww . j | 2 Er   v 9t T  extenduntur, vnde tota difficultas con(i flic ín cogationc,& ordinatione regula zum, qtia adepta applicatio ipfa non ha bet (pecialé difficulraté, quia intellectus muraliter tendit ad obic&a femc! prco : pofita,& applicatio ip(a fit »d res cogni 'tas per actus naturali repra(entatione,&c teadentia refpicientes obiecta,nó mora Ai,fcu voluntatia motione,'vn4e cognito precepto logico,v.g. pa(Tioné przdicari debere de fübiecto, ftatim ac Phyficus dicirque'tit pa(fio, et quod fubiectum ; nulla difficultas remanet, cur fieri ne. » queat propofitio; Hiac Ioan.de.S. Th.ne gat paritatem affomptá in argurméto prin cipali de Logica, et Moralijqu:a in mora li poít iudicatum, et cognitü bonum, re ftat przcipua difficultas in. applicanda voluntate proptcr eius libertate, fcu in . ditfcrenria,vel cefiftentiam ad. bonüre gulatü,vnde preter Syneíim,& Eubulià,  quz bcné:udicát, et cólilianturyrequiri tur diltinctus habitus,. qui imperey  et . atur,& h:c eft Pradentia. Ad Con firm.demü eiu(dem argaméci deductam   ex natuta £icultatüorginicarum cócc(fa iat Low ducis ncgat miaoré, citharzzdus .n.vcl muficus,fi poft artis perte&tá. cogniuo nem digicbs moucre non, vcllin. "guam, et palatü;aut nonítá expedite, ad í xa c difficultaié vincendá noua artc non De varijs Log.uominib.g accoptionibodri.L. 145 ruüt,ná poft exactiffi mà losicorü prece prorü cegnitioré adhuc manere difficul tatem ad. iilis vcendum ipfa experientia docct in Tytonibus, (icit et facilitate ge ncrati ín eidem ex frequenti víu (yllogis zandi;Et parü refert,«uód intellcórus fie potentia na'urals, et naturaliter tendat ip obie&a propofitas qaia hibitus admit tuntur no. folü proptcr imdecerminatio nem potcotiz (alioqui folum darétur im potentijs liberis) ied etíam ob. difBculta tem, quam interdutn habent ad aliquas operauones,vt dicemas in lib. de Anim. Cum igitur hanc reuncat intellectus ad applicationem przceptorum logicalium edam poft cxactam corim cognitione s coníequenter nouo indigebit libitu ad cam tollédam. Nec valct,,quod ait Ioan. à.S, Th. hanc difficultate tolli excrcitia fyllogiZand;, non pcr genctationcm noui habitus fed per folam impedrméti remo tionem, icut in Cithira0 pott apprehé fionemartis difficultas applicandi digi tos intlromcnto paulatim collituc cxecci tio, non per generationem noui habitus in digiuis,fed périmpedimenti ablauoné, quod crat in digitorum nctu;s. Nó valet, tum quia in priiis lic refpondendo iam fatetur;poft apprehentienem. precepto rum log ce,& appolitionem materie ad huc manere difficultatem, quz tollituc "s ^ indiger, fed exercitatione corporalt, aut i 5 goes qo tollatur przd:ótam impedi e mentun,& itg qoi expedirus mouet digi tos,no t nouam ariem;fed impe «7 Mimétü eXerauj ciustollis(ic intellectus paulatim exercit io,quod prius negabat tü quia gf cciá facilitas adoperandum in mébris externis non eíiet proprie habi tus,vt multi fuftinent; facilit:s tamea ad opcrádü in intellectu, et voluntate impor 1 ainande excreerucin (jllogizándo circa  «Xucrf: as materias, vcl (ciétias,nó acquirit nouam artem, (cuhabitum druecíumab ipfa do&trina logica,/ed expeditioré vsü. d&uuius veconegat paritaré,nà artes,que | per externa meinbra excrcencar, duplicé vtique facilitatem petunt, vnà in intelle &u;in qdo funtytanquam in fubiecto), al teram in mébro externo, per qtiod cxer^, C&ur;ars veró logicae, icut nó exercetur memb:a cxtcraa,ted pec Colüiiniclie Gtüyità nó petit niti faciliacé intcile&us, Mm sic a idein habitus,quo cogao ut regale logicz,& applicantur . 8 Scd (olutiones iftz cx. dictis cor ty  tat habitü $ffi cócm,ac magis receptá fen tentis ü quia fi ad. difficulcarem tollen dàm,& expeditior vsü. initoducendam fola (atlicit icnpedimenti remocioyin nl 'la potentia con(tituendus eric habitus. ad faciliter operandum,fed (ola tmpediinéd: ablatio ; Et per hoc ctiáre joie Raniif folutioguis.n.ars log:ca pc: £01 intellc &à cxercccatur, et no pccalià posean y qua difpon debear; jura iicelLiétas d plicca tentit didiculiacem, voa nin co gao(cendo pracepta logicalia, akerd m applicandosiwa duplex ficilicas,vcl habi tus in code debzbic ad niin, vaus, qao  priorzoliatur di iicultas; cr;clogicado $..4 Cceni 144 €ens, altcr,quo pofterior, et eiit vrens. 9 Denique actus vtent s Logice mul tiplicati generant aliquein h ibituay, non Logice docentis,quia nó (anc a&us (cié tifici& (ic non gncrant, neq; augé: fcié tiam,qualiseít Log ca docens, ergo al.ü à doccnie ditlinGt im. Ref». KC uuitss ipsá mcet Logicam dócentém perfici ger excr citum c fliciédi (yllogi(imos, nà vt fcien tiam,led vt artem, vulc.n. g» idémet ha bitus Logic, prout dac regulus, et pra cepta Logica, cít (cientia, et dicituc Lo gica docens, fed inquantii cfficic (yllogi( mos (ing ilarcs;eft ars,& Logica vtés vo catur. At (latim cerjcicar hzc (olacio;cum quia implicat vaum, et eund hibirü effe fimul, et femel practicam, et (peculatiuüs cum he fint diffecentiz eifencialitec ha bitum d uiden:cs,vt dicetur in Iib. Poft. at Logica docens hibitus eft fpeculuuuus, vrens practicam redolec,rum qaia per fe cunlam rcg4là anteprzd. diuerforü ge nerum, et noa fübalternatim pofitorü di  ucríg funt (pecies,& d'ffercariz » (ciencia vero, et ars diuer(acon(ticuunt gencra . Nec dicere iuuat, quod licéc Log:ca do €cns, ac vtens fint idem babicus, tà sm diuerías raciones cfTe poc ars, et fcientia, nimirum quatenus docens eft (cienciasars vcró, quatenus viens . Quiacum Logica interior (it ad fciéiam,vel artem, qui süc habitus (upcriores, plané per rationes do centis, et vtentis non poteri concrahi ad eife generis (uperiotis, ficut per rationa le, et itrationa!c non. porc animal con  trahi ad e(fz« corporis, vel viacniis, ergo dcbc:mnas dicere Logicam docentem, et vtentem importare diuerfos eilcaualicec hibitus tub diucrtis generibus. colloca tos,nimirum fcienciz, et artis. Rcefp.Ioan.de S. Th».q 2é&:s Logicae vtécis generant quanda taciliracé perqno. du n diípofition;s, et expeditionis io ap uoto materia, «quz nó cft nouas ha itusy(ed aliquid iinpecfe&tit in tali genc rc inicruicns velut difpolitio, feu ex,edi tio quzdà iu ipfo exercitio artis; d cefpó fioué pluribus declarareconatur. »cd tcu ftrà pror(us,& Qttio euadic noaimalis, an ficilins de nouo gs nica cx actio Logicae vienus habitus, vcl di po/itio dici dcocat,  Quiflio Proem. de Natura Logica. fufficit nobis, vt noua qualitas generetur intclle&um reddens promptum, et cx peditua ad definiendit, arguendum, &c, 1o Conia hanc conclufionem obij. cics t. Auchorirarem Scoti qu. t . vniucrfz vbi inlinuat log:cam docenrem, et vren tem non ni(i ex diaerfis muneribus, et có (id :radonibus dritingur. Tan 2. ratione, quia po(ito hibics logicae docentis, et co gnitione mater zin qua exerceri deber, nulla v:detar remanere difficultas, jua n po (Ii nus facilé deánire, diuidere ; et ar guctc, ergo non ctt ponendus nouus babi tus ad eliciendos a&us logicae vcentis. Tü 3:ad log cam docentem pertinet non fo luii cónüdcrare cegulas re&z operatio nis (ecundum fe, (e4 eciam iudicare,an bene fint applicat hic, et nuac in hac, et illa materia, ergo faperfluic alius habicus ab ca. Tum 4. habitus v:ens idem fonat, quód habitus regulans, et dirigcus, fiue : quo inccllectus per modü regula vricums  Ergo logica vtens non cft habitus fecun dum rea diaec(us à docéte. Tum s. di Tyrones inci piunt argaere, definire, Sc ap plicace regalislogicas doceas uli ". mi a&us (unt logic vreaus, ums adhic genitus non e(t in illis nouushabi   tus,ergo non cít à docente dilfinctus. Tà tanden hab:tus logicz. docentis inclinat ad defiaiendu m, et fyllogizandum, et fa cilitac intelle&umn ad v(aa inttrumcentos rum logicalium facilior e(t enim &us ad :onficiendum (yll fmimgoll, àm cogaouit quid it, quow ) cà u tá debeat,quam antca,ergo eft vnus, S idemhabitus, quia quatenus cradit regu« las, dicitar docens, quatenus docendo  ad víum (acilitat; dicicuc vtens;ita Dida cusá Ic(u. 4 Refp.Doctorem ibi loqui delogica.a Ntence in primo feníu,quo modo non di ftinguicur à docte td eít ipfa in v(u po lita,q» 1! Doctor ibi(vt verius eft) perlo: £icain docentem fumit habitum procedé tem ex necetfarijs, per vtentem fumit ha bituin procedenceg ex probabilibus,qua liseft f opica, au&oritas eft ad oppoti tum, nam concludit dittin&tionem, aon idenutatein « Ad 2. negatur affumprad nam fuppolita logica docente 5. et cogni uone à r: ' MR D: varijs Log.nmm:n.. eov 4ccep. e hit.T. tione materiz,v.g phylicz, remanct ad Tuc difficultas applicátionis logicorum preceptorum ad materiam phy (icam,que per habitum logicz vtenus tolli dcbet. ; Ad. negatur (equ. quia preter habitum facientem dignoicere errores, qui con tingere políunc in operationibas intelle &us, dcbet alter admitti reddens intelle &um promptum, et cxpeditum ad recté hic,& nincoperandum . Ad 4. quod ctt Aueríz negatur affumprum.nam nifi ve limus vocabulis abuti, habitus vtens non cit, quo vrimur, fed quinos facilitat,&c proi» pios reddit ad víum logicz doccn us. Ad 5. illi primi actus (ant logice vren ti5 non quía procedant ab habitu? ;gicae vtentis;(cd quia funr gencraciui rlisus,  cut vniuet (alicec in moralibus actus dici tur ad aliquam (pectare virtuité, quia vel generat,llam;vel generaturab illa,illi er. go priorcs actus producunturab intelle. . € mudo cum (olo auxilio regularum lo g'cz docentis, quz Lolumn regulauué có currit ad eos, et idcó cü difficultate pro ducuater, qua dcínde tollitur ab h.bitu logica vtenus, quae paglacim iliis actibus acquirituz. Ad 6. quod maus vrg«t, dici mus omnioo dft inguendos elfe àctus,qui bus addi(cimus reguias;& praecepta logi cc, et qu;bus ilis vamut definiendo, ar  gaendo, Xc.aétus primi generis fant (pe Culatiui,fecundi Íunt operatiuiyprimi Süt gencrauui Ícienaz, fecundi: artis, logica itaque docens inclinat, et facilitat phvti € ad actus print genetis.[.ad tradenda s Peeptasad actus vecó fecundi generis fací litat folà idealiter, et dire&tiue, quatenus intellc&us,uo magis log:«ca docente in firu&us cit, minus cxponitur ertoribus inarguendo, at quaacumais regulas cal lcat io3icales ; (einpec a'iquam | patietur difficultatein, quouf:juc per exercitium aufcratur . . Sed dices, vt quis 5cnz arguat in aliqua fcientia particulari, v.g. phytica,non atto habita indigere videcuc, quam lomca, vc dirigente actum fyllogizandi& phyfica, Vtelicieace a&in, ecgo (apeclluit alcee hibitus,quia ad dirigen lum fufficit logt €: docens, ad cliciendum Phyfica . Refp. faflicere vti ae illos dos habitus) vt bene. 145 arguatur in Phylica;at vt facilirec, et pr pte argaatur;cx igi alü habit, Serit log. "viens, concurrés ad illum actum, non quf dem dite&tiue, et idzaliter qu'a hoc gecit logica docens, fed elicit'ué, non quidem quantum ad materiam (yllogifmi,quia a hoc prz (tatar à Phyfica,1zd quantuimad formá iyllogitticam, et (ic inzalrcalüzres habitus «idem a&ui correfponderemha bitus logic docens concarrererregula tiué, et directiué, habitus logica vcentis elicitiué quantum ad formam; et habitus Phyticz clictuué quanium ad macectam, qus quamuis ab/urdum cíle dicat P. Di ac.q. 1. Pcoz:n coucl. ?.14 tamen nó pro bat. Nitatur (u93 Poacius dilp.2.cit. qu. :6.a 04$ 9. noftram oppuanare lencencia, actationes dilaere; [cd 13m dif p.1. Met. q.3.à n6 j. omnibus eius infbantijs abun dé (atisfactum ett,adeour | lura h:cadde Tc non iic opus; Ec ex eadem duétiina oc Curreadum eit Ouured., cóc:oucrf. 2. Lo  g C.punc.2.vbi cx eisden fundai&os n93 iinpugnat, Expediterelia diffcultas.  II Ltera difficultas, quae contigit : circa allaramn dimifionem;ctt, an hzc dittin&io cadat i omncs, tingulas logicz partes, an in quafdamtantum 5 cui diflicaltari agíam prebuerüc Angcli cus, et Subtilis Do&or, ille (i:qu:dein 4. Met le& . j apertis verbis ncg utit in par te demonltrauua logicam vcncem, ifte veróq. t« vniuerí. in corpore quactiti (olà  partem Topicam affirmatelíe viécem, vc notant Maarit, et Faber;quare Auctores quamplures ranta aa&ocicace (uffaiti ne,gint hanc dimijionem tori logici conue nire, et fingulis cius partibas,ità Coplut, qu. 4.prozn.Coninb.3.4.art. 2, Fonícca 2, Mec.c.3.q.1. (ect. 6. et Mauricius qu. 1. vniuer.qui in hoc maximélaadac dictam D.Th.fed his non ob(tancibus. Dicendam eft cam cóiorishic diuifio nemtoc logicz cóuenice,& tn gulis cius pattibus, licec peculiari quo dà modo có ucniat Topica quod dicatur vens ; cóc, hanc docuit $coc. ex peofeTo qu. 1. et 24^ Elench. et fequitur Auglic. q.1. vniuzr( et probabilein purac Marc cic. et eit paf. fim tecegia à Rscentiocibas I auio, A uccta r]  146 uer(a, Didaco, à Icfu, Ioan. dc S. Tho. et quidem logicam docenté reperiri in om . ni parte logice omnes ferd concedunt., quia non folum docet (cienufico modo conficere J'emonfltationem,(ed etiam fl logifmum probabilem, et apparentem, QQ iod ctiá in omni parte polfit dici vtés, piobatar, quia cecera: ícieotize vtuntur ncdii modo probabili arguendi à logica uadito in lib. Top.fed etiam demoníttra tiuo,quem docct in lib. Poft. ergo ctiam in parte demonftratiua dabitut logica v tés,& in primo; in fecundo fen(u huius di(tin&ionis ià explicato; Accedit, quod inipfamet parte demonftratiua non (olü datur do&trina de demonitrationc, verü etiam datur víus ipfius, quiz inexplicaa da cius natura multas confici: demonftta tioncs. Denique logica sm fe totam dici tr fcientia cois, vt docet Scoc.q. 2. vniu. et 1. Mct.tex. 15. quia in omnibus (cien. tijs exercemus partem demonitratiuam, . dcünitiuam,dilputatiuam, &c.ergo logi ca viés per omncs partcs diuagatur im v tro3. fenfu di(lin&ionis,ia primo quide, ' quiaoibus partib? logicz vtimur in alijs fcientijs m 2.vcro, quia (zpius definien do acquirimus habit operatiuü nos pró pros reddcntem ad confimiles a&us y lic dcmoftrádo,aut probabiliter diíputando. 12. Addita $cot.q.1.Elench.quod li cét tota logica fit cois quoad do&triná, diuer(us t cft vfus do&trinz;qui traditur in Dialectica, 1. Topica, et in deinonftra tiua, nam Diale&ica cít ex coibus, &.in fingulis (cient!js ad proprias concluuo ncs ex cóibus arguit,nam oflcadit, quod amor, et odium (unt in eodem (ulcepti bili, non pet proprietatem amoris,vcl o dj (ed per hoc meditím,quod contraczia mata (uni ficri circa idem,vndé «x coibus arguit ad proprias conclufiones, Hla aucé pars logicz, quz c(t demonttratiua, &fi 1n do&tcina tradatur de cóibus, putade fyllogifmo demonftratiuo, et de attribu tisad iplum, quz sit cóia cuilibet fcicn tiz, cá 1n ungolis [ciennjs arguic per. pra "prum mediaun,nam Geometra vtitur ra tione dcinonitratiua, vndé accipit pri mas, et vcras caulas conclutioais ; et per proprium mediü argiutad propaa. coc.  ueflio "Proem.de Natura lorica  fed arguens diale&icé aliam, et aliam có» »clu(in alia, et alia fcientia pec idem me dium potcít ofteadeceyhzec Dockor. hac igitur de cau(2,inquit ipfe, peculiari quo  dam modo Topica dicitur vcens, quia ti cocm attendimus loqueadi modüm;tunc aliqua ce vti poile proprie dicimas, uan., do cam in hàc rem, vcl illam potfamus có fumere;vt bcne notauit P. Didacus, quía ergo hec indcterainatio, et hic indcHe rens in hanc, et illam (ciéiam vfus folum in cebus Topicts, et probabilbus imucni tur cx locis.n. Top.cis à dcfiaitione,d di uifionc,à coniagats,à totojà limilibusà paribus à diiCcaneis,ab oppofitis &c. pof fum. argiinéca de (umere probabilia ad quamlibet concluü onem inferendam im fingulis (cienrjjs, quod uon inuenitur in rcbus accetlar;js,& demonftrabilibus, d ad vnà tatum partem determinata funt y hac rone nomea víus, (cu logicae vtencis peculiaraer parti Topice Mi pisi cn d .13 Contra hanc,conc'utioné obijciüt Complut. probando, quod in parte demó trauiua non detur l sica vrens; quia fi io gica haberet víam re(pc&tu paruisdemon Iteatiuz,vcleifecim materia neceiíatia.a   ltarum (ci&iarumvcl'in imaceria propria, non primum, quia quzlibet (ciétia confi». cit (uas demo ttrationcs per directionem . logicam, vnde tales semonttrationesnà » procedunt à log;ca,(cd ab ipus fcientijs, aliás ii lola logica omnes cfficeret demó firationcs, ipia (,la eífct (cientia, quod eít abfürdü. Neq. 2. quía vfus, de quo hic lo quiaur,& à quo logica denoannarur, y« reas,debet eile di(tin&tus à do&trina, vt logica per ipum vüm formaliter nó do ccat fed potius recipiat doctrinam, et 0» perccur iuxta illam;aliàs confi derationes logica docentis, et vtentis non etlenr. di ueríz, (ed v(us in materia demonttratiua logica nó diftinzuitur à do&trinay(cd po uus per talem v(um formaliter docemurs Vt patct; ergo àb co logica nequit dici v tcs. Tum quia fi logica re(pe&ta faz ma. terige necc(ariz dicerecuc vtens,iam non cilent idé logica vtens, et logica rebus co cretaj;neq. fimiitecdogica doces, € logt caa rebus auul(45logica.n.dum cit in ma teria propria, et aou delceadit ad extra» neas  OA ALL EDT UM TT w/riculus Secundus, de fine logica . itas materias, (emper cft a rebusauulfa., ergo reípe&u proprig materie (emper docens, et non vtens. Refp.logicam habere vfum vttoq. mo  do refpc&u partis demonflratiue,cft vtés patfiué in materia aliarum fcienaarü, dü ille in (üis demonflratiopibus conficien dis vtuntur przceptis à logica traditis in lib.Poft.cft etiam vtens actiué dü habitu operatio logico pexercicium fepius de monítrandi acqui to cócurrit etiam phy ficó& clicitiue ad demoaftrationcs alia zum (cientiarü quantum ad parté demó flratiuam, vnde falfum eft, quod demon flrationes aliarü fcientiarum non proce dant à logica vtéte clicitiué; neq. ex hoc fequitur folam logicam efle Ícientiam, uia etiam alia (cientig concurrunt phy dice ; et elicitiué ad proprias demonílra tioncs.quantü ad materiam, vt (upra dixi mus, vnde demonftrationes illz ex parte materia ad illam particularem fcientiam Ípe&ant,fed ex parte formz (pectant ad De fine Logica. 14 v1 obieétum logice docentis eivf " quc naturà inucftigemus, cóínl to exord!1mur à fine illius, (i.n.verum cft finem intrinfccum fciétiz coincidere cü Obicé&o,vt notat Faber 7 heor. 1.in fine, et obiecti ccgniuoncm in praéticis maxie mé cx fine pendere, cum lcgica, etfi pra Ct'ca non fit,íe camcn babcat ad modum pra&icz facuitatisvt poté quz difciplipa organica cft, maxime iuuibit quzfic rié dc eius fine pi emittere tàm fecundum fe et petits iadineia fuam confidera taquam vt ab Arift.tradicz ; Fátétur om ncs fincm, fcopü logica,in qué tora col limat,c(fe dirigere inteile&um in fuis ope rationibus, confentancum.n.erat vt que admodum int ituta crat fcientia ad dire tionem actionü voluntatis, que cft Echi Cà, à alia inftitueretur pro directione epcrationum intelle&us,cum non minus logicam,dire&iué ad docentem;clicitiud "^ fit errori expofitus,quà voluntas,prarfer ad vtétem.Datur ctiam vfus parus demó flratiuz in materia propriaydum cienti fico modooftendit logica modum ftrué di demóllrationem,vnde negatur aflum   "ptü etiam quoad alteram partem ;ad pri má probatione, vel ibi fermo eft de víu,à quo logica dicitur vtens paffiué,& fic ve ra cft minor,quia ficut logica vtés in hoc   fenfu nó ctt habitus à docete diftin&us, ira hic v(usnon diftinguiturà do&tr:na,& pcr ipfum formaliter docemur;vel (ermo eft de vía, à quo logica dicitur vtésacti . u&& fic tala eft minor; quia ficut logica vtens in hoc (cnfa ett habs operatiuus realiter à docente diftin&us, ità hic víus zcaliter dittinguitur à do&rina;nec p ip sü formaliter docemur;(cd per ipfum ope ramur, et ab hoc víu proprié denomina tur logica vtens. Ad dera probatione negatur confeq.nam logica etiamfi in do  €endo vtatur (uis regulis, et praecepus., Quia tamen hoc cít n;cré per accidens, et libi ipfi infcruit.ac fi penitus etfec diftin €ta fciéa, hinc eft;gq; quamdiu ad extsa ncas matctias aliarum (cientiarum có de &endit, (emper ccofetur à ccbusauulfa, tim pro ftatu ifto in quo in rerum cogni tione dependet à fen(u ; quifzpé (zpias decipitur, ita notauit Antonius dc fantis ration.art. 2. diff. 12. hzc autem cft logica,vt notat Scot q.4. Prolog.arc. r.8c Ant. And.6. Met.q. 5. quz hacrationeab Arift.dicitur smodzs [ciédi 3, Mct.1 5. &c definitur quod fit jcientia rationalis di fcretiua veri à falfo. Verum cü tres fint intellectus operationes, fimplici appre henfio,iudicium, et ditcuríus;di flicultas cft,an hzc dirc&tio per fe intenta à logi ca fit omnium, et fingulorum operatio num,an folius tertiz ad quá prima, et fe cunda ordinantur;& ruríus an hac dire io tit pcr (e intentain quacunq. mate riaytam .f. probabili, quam demonttrati " ua, anpouusin demonfirariua tantum . Quanrum atunct. ad primam difficulta tcm, multi tenent adaxquatum logica fi ncm cte dirigceretantum tertiam operas tionem;qua cx notis inneftigarurignorüy ita opinatus videtur Zab. lib.i, de natura. log. cap. 18. et quicunq.tenent(yHtogil mum cfe ada quatam cbicéum 1n logi €ain tota fna amplitudine. Quantü acu» nct ad (ccundam, tenent quaaplurcs fin. LY logica . 348 logica eífe dirigere cognitionem noftram in materia tantum demonftratiua, ita fen fifIe videt &uic. p.p.log.cap.2. Ammon, prafat.in predic, Plilop& Alex.prafat, in Prior, 14 Dicendütí cft;quod fi loquamur dc lcgica intota amplifudine fua, finisa daquatus cius eft dirigere omnes, et fin &ulastres intclle&tus operationes in qua ^ «uq. ma!cria; fiué probabili, fiué necefla ria ; fi vcio fermo fit de logica ab Arift, tradira,vtique finis eius ada quatus eft tà Uim tertiz operationis directio .. Concil. cfi Scou r.Priorum q.3.6. Quantum ad tertium :& probatur primó quoad primá partem . quia o€s tres operationes funt p. fe dirigibiles in Qquacunq. materia,crgo lo £ica [ecundum (c ordimatur ad omncs, et fingulas dirigendasin quacunq. materia; FProb.afiumptum, quia qualibet indepen dcnterab alia proprium pore ft participa IC ertorcm, quia li implicarec dati ter tiam opcrationem,adhuc darentur prace pta de (ecunda,vniucríalem v.9.negatiua dimpliciter conuerti affirmariuam in pat 16,&c.& fi implicaret dari (ecundam,ad huc darétur przcepta de prima, v.g.quod ad difin&é quidditatem apprebendendá Oportet concipcre genus, differentiam obicéti . Et quáuis vna operatio indigeat maiori dirc&tione,quamalia, vt tertia., quam fceunda,(cconda,quam prima, nó tamen hinc fit eam, qua indigcr mmori dircctione, pct (c ad log:camnó pertine Fcyquia hacc dircétioqualiícun;. t, non. ni(i adlogicam pcrtincre potelt Nec fatisficit dicere eum Aduerfarijs. perüncre vcque, fed indire&é, ac redu »quatenus prima,& fecunda reda «untur ad 5. Nam licet prima conferat "ad 2.& fccunda ad 3. tf fingula pcr (c ha bent fuam re &itudin e et (unt capaces di xcé&ionis habcntque fuas regulas, et pre cepa diffincta, Qd vcró voa magis cá pX lit, a jnd'zeus dircétionis, non c ffi €it; quiu cmncs per fe,& dire&é int à log:ca ditigendz per inflzumcnta pro pria, (ed toium gv dircétio vnius magis principaliter intendacur, quàm glterius ;. vnde concedendum vitró ctt,quod. Log: €à cti adz:quaté lt. inuenta ob dircátio ' Quaflio Proem.de Natura Logica. nem trium fimul operationü intelleGue in quacunque materia, principaliter tamé inuenta eft propter dire&ioné tertia opc rauonis& in mareria neceffatia,quia in. ter operationes intelleus ca eít diffici lor,& idco pracipuos finis Logica etiam in tota fua latitudine erit dirigere dein 6 flirationem, .i. fyllogiímum 1n materia ncceflaria, non tamen ada quatus, 16 Quoad alteram partem etiam pro batur,quia vt ait Scor.cit. Arift. péfücic rauit de diuifione ; ncc egit de dcfinirio nc; nifi quatenus inferuit argumentatio ni, et dcmum totam fuam Logicá in tiam argumentationis compofuit, vt te inftrumenti caeteris omnib. perfe&tif fimi, quod ctiam probat Do&or ibidem tali dituría » quicquid tractat. Arift, in fua Lozica;in grat;à argumétationis. (eu cius cft dire&io folius tercia opcratios nis; l'robatur a(lamptum, principiaenim cius.tám proxima, qvàm reniota in lib. Pradic.&Petiher. declaratur, rationem cids in communi,& quidditatem, quzué ipfi in communi accidunt; in lib. Priori manifeftauit, et tandem partes (ub;e&i uas inlib.Poti. Topic. et Elcnch. quibus traclatibus tota abíoluitur Arift. Logica. Immo Arift. ipfe in fine. Elench. volens fc oftcndere inuentorem DialeGticz, di xit fe dc fyllog:fmo tractafíe . quafi tra &atio de iyllogifmo fit tota Logica ab Atift.contexta ; hine Do&or ctiam Prolog.ar. i. inquic finé Logica cffe gcreintelle&um in actibus di(currendi y liec? ením dici poffec ipfum de fine prz &ipuo Logice in fc tuifíc locutü,veritimi letficft de Logica ab Arift. tradita verba fccifíe . Hic tà addendum eft, qnod etfi Logica Aiiti tit ada quaté ipflitura pro dircctione di/curfus m quacunque mate ria vt patct ex ciusdicto in fime Elench. nunc rclato, priecipaliter tü cfl inftjtuta ob dircttionem eius in. materia ncccíla ria,vt claré cciligiut cx 1.Prror. c,5. vbi proponit Íc prupum .i. precipue tra rurür de demorfliatione, quod dicit fe issu in I. d  17 5cd quain dilciplinis organicis, dc qu«rünurcro eft Logica, aliji ue fa» culta [yllogilmi zraétat, crgo adaquatus finis d ^ et erticulus fecundus, de fine Logica . eultatibus adminiculatiuis duplex folet finis diftingui, internus nempé, qui attin gitur abipis, et externus,qui non attin gitur ab iplis «(ed ab alijs facultatibus, quibus in(craiunt, vt pacet in fcenefacti ua, qug famulatur equeitri, nam cius fi nis inrernus cit Érenam externus veró eft directio equi, ad quam frenum ordina tur,qua dire&io folü atingicur ab eque ftri . In propo(ito dire&:o operauopum intellectus 1n effe exercito noa cft. finis iatcimlecus Logicz,(ed excrinfecas cancü quia etii Logica tit directiuay hoc non fa cit eliciendo operationes ipfas dire&tas, quia hoc pertiner ad. particulares (ciécias fimul cum Logica vtente, fed «m elt di. reétiua exéplaricer, et idealiter, quatenus contemplatur in(lrumenta, ac tdcas, ad quaram imitationem fieri debent opera tioncs ipfze,vc fint re&a; et quia finisin ternus adhuc duplex cít, vt notat Scot.q. 3. Prolog.(upra T.tormalis,.f. et obici  uus, vel vt alij lo.juuncur, Q«o,& Qo!,vt patet In ipfa trznefactiuay in ip(a. finis in ternus ob.e&tiuus, et Qu eft ipfam fcz numyincernus formalis Q) i5 eft perfe &a cognitio ipfius Ereni, et vniucrfaliter cognito perfecta fut obiecti in vnaqua que tacuiace, vt docet Dot. cir. In pro puo finis Qao, (cu formalis mcriníecas ogicat in «oia fua lacitadiae eft cogni tio modi, quo dirigantur omaes, et fing . "Ix opecaciónes «atellect? finis yerà Qiii et obicctiuus c(t modus iile cognitus, nà wniuerlaliter loguaendo finis fotmalis in tnnfceus cuigícunqne.| habitus. eft cogni tio, quz immediate ab co eliciemr circa proprium obiectum, fins vero. Qui ctt id;ad quod terminator finis quo, f. co go1uo ipía; et fic demum feruata propor tione dici dcbet de Logica ab Aiit. tca dita;quod fims internus eius formalis, 8 Quoectt cojnicio dumtaxat argumenta Íeu (yilogifini, finis obicctiaus, et ü eft [yliogianus ipfe « A8 In oppofitum obijcitar Primo ad probandum dirc&ioné operationum in icllectus nuilo aiodo etc potie finc Lo gicz. Lum quia efficere QUOUoRs Hos ctas in cogniuione rerum; verumque à fo epu pettincs ad fingula fcien | ng d49 tias, ergonon ethic peculiaris Logicae finis, Tum quia (i effec hic finis Logicz, ergo foret quo.j; dire&tiua operationum fua.um,quo4 faltum ett ; quia cunc pro cc detetacin infinitum, Refpon..ex Batfolio q.8. Prol. art.2. quod efficere operaciones rc&as eliciti ud, et in e(l Aexeccico vtiq; ad alias fcien tias fpcétar circa propria obie&a, fed ef ficere operationes rcétas exemplariter,&c idealiter; ac in e(fe qua(i fignato ad fola Logicam fpectat. Sic eciam dilcernete ve rüa falfo formaliter (pc&at vtique ad fin gulas fcientiascitca propria obic&ta, at difcernere verum à falío inftrameatali ter ad (olam Logicá pertinet ; quatenus ipfa fola dat vegulas diguolcendi ercorcs, et euitandi.in quacunque opératiorie ín telle&tiua v: norat Zab.lib. 1.de nar. Log. €. 3» Ad 2. negatur falficas conícquenus, et proceífs in infinitum, quia incellc&tas pet cadem przcepca,quibus dirig:c actus aliaram (cient iaram, dirigere eia potett actus Logica liae implicite, (iud cxplici té ex.vi relexiua quam habet lupra fuos actus; vad preceptum fyi logifmi, quod habeat rres tetiminos, elt (afficiens ad di rigendum intelle&um non (olum in inz teria Phy áca, (ed ctiam Logica. Secundo argaitur ad probandi,quod fi finis Logicz e(t dirigere, hoc cit cantü inordine ad 3 .operauonem, quz fola in» dige: directione, nam prima operatio cít apprehentio obicét: reprz(entrati per Ipe ciem y quz neceifarió reprz(enrát «qua. rationc g22at Art. concing:re falticacé in prim operatione ; fecundi v.ro ope ratio, vel e(t crcca obiectam aotü cx ter^ minis, itauc propolitio tit per fe nora,, non indiget dite&ione Logica, quia fads ett lamen intellectus, et apprchéüo tec mino:um, fi vero iit ctrca obicztü igno tü,iam nouficari debet ex vi teria ope rationis,vndé non dirigitur, vc (ecunda fed vt teitia. Quin cà Logica nó haber. dirigetc ip(am tettiam operaciouen, mifi : in materia nzccífaria; nam Logica dicitur; inftrumentum íciendi, at (Zicucia habctur tantum per demonltrarionem . tss 19 Reíp. negando atfumptum, oftca dimus,n. primam, d icemRip ciclo x  m 1jo nem cffe per fe dirigibiles; ad probat oné dicimus, quod licet in prima operatione non rcperiatut fil(itas complexa, potetk tamen interuenire interdum faliitas incó plexa talis nempe defc&us; quo conci pit intellcétus rem aliter  .juum lit ; vt cum apprchendic anzclü.tapquá corporeum, vcl obícuré,& tmplicitéter aliquam ap prehendit, non per fc cotiderádo omaes, et tingulos gradus e(lentiales cius, vcl in dittincté, et cófusé cócipit vt vni quid, quz diftinguenda funt, propter quos, et fimiles defe&tus indiget intellectus dirc €tione ctiam in prima operarione ; et cá dicitur, quod in hac operatione intelle Gus necetlario coformatur cum obiecto repracfentato per (peciem, quia fpecies necefiario repra(eotat, verü.n eft (peeié ncceífario reprafenrarc, negatur tamen Séper reprafentare re&tà, (zpius.n.eX ma là contlitutione feníuum internorum, aut etiam aliquo defectu externorum protie nit mala reprazfencatio fpecierü inrelligi bilium; ex quo fit veritateasvel falfitaté incoplexà in hac operatione attédi debe re cx cbic&to non vt ceprz cntato, fed vt cft in fe, dc quo fuo loco agemus in lib, dc Anima; Secunda quoque operatio cít erroris capax, deficit n. (epe intelle&us in enunciationibus (altim noa per fe no tis, et adhnc initlifmet indiget directio nclogicasquae dat regulam ordinaté cop mc&endi prazd'carü cü fuübiecto,fiug có nexio fit nota,fmé ignota, talis .n. cónc xio fit nó inurendo obie&tü ; (cd rcgulas logicales;qnod fi obiectü norificetur per tcítiam, adhuc tamen directio (ecundz elt diftin&ta à dircétionc tercia et pote ít infe re&ificari abftrahendo ab omni ter tia. Tertia denique opcratioyvt cft erroris "paa in quacüj; mazecia,ità dirigi babet à logica in omni materia, et non in necef faria tantum, et quando logica dicituc infiramétü (ciendi, non fumitur verbum fciendi i rigore pro cogniuione pet dc móftrarioné acquilitajíed pro quacüque cogsirione,quocü ]; modo fit acquifita ertió arguitur ad probandum finem etiam logic Arift. efie directione cuia Ícüque operatiuais, et non foliustertiz, quia à cosa percurtatur Arilelogica vide Queflio Proem.de Natura Logica. bimus di(tin&os compofui(fe libros pre. dire&ione cuiufcun3; operationis ligilla tim;edidit.n.librü praedicamét. nc íntel lcétus in apptehenione rerá cófiadere turfed habédo ance oailos ferié omniü rcrüdi(tinctà diftin&é,ac fine confu(io ne ré vnàquáque concipecet ad cuitádos auté crrores, quos potcft committere in córügé o terminos apprché(os datae funt rcguiz in lib. Periher.ad euitandostandé etrorcs in diícuríu contingere natos tam quoad formá,quá quoad mater;iá ceteros cópofuit libros Prior. Pott. Topic.& Elé Ch.ergo finis logice Arift. no eft tárü di» rc&io tertic operationis)fed cuiufcüque. 20 Rcípondetur concedendo Logi Arift, euam partici pofle iuxta tresintel le&us noftri operationes, vt docet Ants And. initio Periher. et in lib. Przdicame et Perhier. deditfe regulas pro diredtio ne primz, et (ccundz operationis, fed. quiaterminos, et propofitiones ibinon. confiderauit propter fe, (ed tantü vc (unt: parces,ha proximz, ille remotz fyllogif. mi, vt ibidé docec Ant. And. et Scot, cit« 1 Prior.q.2.hinc ficquod fimplicicef, et abfolute inis adzquatus logice Ari «it: dire&io tantum tertiz operationis,  Quarto obfjcitur ad probandumdi.  re&t;onem operationum intellectus efle finem logicz nedü extrinfecü y fed et ine  trinfecuio, Tum quia finis intrinfecus be bitus dire&iai eft dirc&io,fed logica e(t e(fentialiter babirus directiuus,etgo &c. Nec dicere fufficit logicam elfe Tnbirür directiuam idcalirer rancá,& in eíse fi gnato,nonclicité, et ine(feexercito, 4c proindé quod finis intrinfecus etus ett dite&io tantum idcalis, quz non eft, ni :  cognitio ideg, ad cutus exemplar fieri de.   bet opetatio,vt re(ta fic. Non (uffici nà  conrra hoc eft, quod logica eflicit, et eli cit operationesrectas in propria mare ria, ctgo attingit dire&tionem etià ineffe exercito. Tum deinde probatuc exem plo (zpius addu&to frzacfadtoriz, quae non folü refpicit inirinfecé cognitionem frenifaciédi,(ed ip(am quoque dire&io né,qua c miytn rc&tü. Nec  (uffra gatur,quod directio equi non refpiciatut liste iaiteé cd cies M Cac  €, quia frznefaGoyia non cft dirc&iua equi,cum hoc fr munus equeftris, at Jo . gica eft dirc&biua operationum . Re(ponaáctur ad prin;ü folutione data inter arguédü, ad re plicá dicimus logicá per accidens. fciü Poi sg dircétione in . efle exercit: nó per fe, et quatenislogi €a cíl,accidic.n. libi quod nrlogica inta licala; et hoc cxercct manus, veluti Eflet fci&tia diftincta: Cui accedicy.juod eram in prepria materia dircét'o in cíle exer cito attirg tur à logica viétejn6 docéte, Ad alccrü rcípódeturs quod fi fienefacto Xia contiderecurs vt f! habitas in intclle € docés niodü rc&e faciendi (renum 5 uo s€ía (pcétari debet, vt valeat paritasy filsü cft dircétioncm in efíe exerzito cffe '€ius finem intrinfccü; nó.n. artingitur ab ip(a, (cd ab alio habitu in potérjs exter" tiis rcfidétesqui dicitur Ereneractiua vtés, hz«c.n.eít, quz conficit frenum iuXta re . gulas à docente pra iccipias,  De adequato Logica obieffo. 21 f^ Onftituo finc huius facultatis tá 4 intcin(ccoquàm cxcrinfecostà a &ih [e cólideratasquá v: ab Arift. cófcri piu,ciuídé propri et ade uacü (ubrectü in vtraque cofideracione. venari. difficile nó ctit; At quia bomé fubicéi multas ha bet acceptiones,vt docet Scot. 1. Prior. Q4. qu&ádoque pio fubicé&o imha ions, qu&doque pro (ubiccto propouitionis, X alijs modis, futmiror im praeséti pro co, cir Cà quod vnaquaeque fcrétia verfatur, quo fcnfu 1. Poft. 25.vna fciencia. dicicur etie vnius genens fubicéti, et appellatur fubie €um confiderauionis, X età obiectum, ucd potétic, vel habitu' obijcitar cogoo cendum, quod cum'iteruu: lam. potat vel fusé pro omni re coniiderata n (G€ tiajaut arte; quo fcbfu in medicina, v. g. non folum corpus humanum, v: fanab:le, fcd cttam omnia nm edicamé:a, et inflru menta dicuntur (ubicétü circa quod aris medicz et quicquid demü in (Cientia tra Ctatur; eius (ubic&tum vocatur ; vcl pto prié, pro rc non quocunque modo, (cd pet ey primo cohderara in fcienua;lile efriculus Secundus, de fine Logica. 151 loquimur de ftubic&o cófiderationis in fccüdo fen(uj quod cum iterum diuida tur in fübie&tum adzquatum,feu totale, et in lubic&tum inadz quatum, fcu partia lejquód deinde diu:ditur in principale, et cft principaliter pars fubic&ta earü, quas fub fe toiale (ubicétum cogprchedit, et minus pr.ncipale ; et eft pars tubicétiua inf.tioris condicionis eiufdem fubic&i totalis, lic loquimur de (obiecto totali& adequato, g cflita primo per fe confide rain (ci£aà,vc tota artificis cura in eius coréplauone fita fir, ac proinde cacera omnia in (cienria cofiderata reuocentuc ad ipfum, et habcant atiributtonen: y qp proindc fübe&ü attributions appellari confacuit, licctid à Modeicis quibufda fumatur pro fubicéto princi palitaus. 1; Q'àvisáutcm fübicé: hoc modo furnpu vig» ac muluplices enumerari foleam cód.tioucs prac puz ramen, ad quas ciera ces rcducuntur, funt, quas enumerat L'o&or q.3.vniucrfal.quod de €o in (ciencia prae fü pponatur quid eít, et quod eft; quod jereiusquod quid cft de mouoftrentur affcétioncs de co in illa (cié tia, et tandem quod omnia determinata in (cientia reducantur ad 1pfüm, et pro pier iptum contiderentur;vcl canquá.ciu$: principia vel tàquam partes, aur fpecies» vcl proprietates eius, vel alia coninnili ratioae,qua lub céti conditiones, veluti necetfiria& (uffici ntes recipiürur neg fiin ab Auctorib Complut .difp. 1. Pro €n.q.2. Didac.à icfü q.3. Poem. et alijs, et exprcisé deducuntur ab Arrtt. 1. Pott. tex. 2, 25.vbi docet fubicétü efsc iliud cuius pripcipidpartes,& pa (fioncs in (cie tia 1nqutrütur;neceffitaté vero barücon diionü cat; (ufhciéuá oftéderc no cft bu.us loci, nà cx profelso tractabitor in« fta di(p.de (cientia 12.q. 2. Et quia ét vt ibidé trademus,fibicctü adequacü e p.rte mareriali coll ac focmalt, re. . fiderata,& modo cótiderádi, cx quibus in eíse (cibiti cóponitur vnü fübie&um Quod iouus fc: Gcistsde vtraque parie fü bicéti logica: cric bic etia diiserendum Hac yiqanísa dottrima(quá ad pre íens (ufficicnà de hoc fuse infca loc cit.) detusiri (ubisQé sie quot iclnu quae P^ "d t  x a 4527 dó defcendimus ad quzftionem pro pofi tam de fübicéto adzquato logice. Et quidem mirum eft, quanta fit Auctorum vatictas in huius facultatis obie&to affi grádo;rà viginu& an plius fentétie te citátur de hac rcjnos celebriores refere mus;que ad duas claíses reuocatzi pofsüt ; Vna crit coi ü,qui ponütdogicà eísc [cié Già realé,ac proinde obic&ü reale ci atli gnàát; Altera eft eorü;qui eam faciüt (cie tiam rationalensac proinde aliquod cns ratiofiis obicétum eius ftatuunt 13 Aué&torü prima cla(;s Prima Opi nio c(1 corumsqu: ftatuunt ob:edtum lo gicz rcs onines, fiue omnia entitas 5 non tamcn quatenus entia funt in [eipfis, et a patte rci, fic enim de cis agit Mcta ph. fed quatenus fünt ab intellectu cogno fcibilia.Sccunda a(lerit nó es,(ed voccs, vt rerum fignificatimascflelosica obie étum; qui opinio communiter tribui (o cc Nominalibus,& c(t Aurcoliin prolog. art. . Tertia afferít rnodum, fcu intiru mentum (íciendi reale etfe (ubie&ü in lo ica, vari tamen auctorcs infltrumétum Ícicndi acceperunt; Q iidam.o.(umpferüt illud in toto rigore pro fola, demontlra. 1ione,qua eft inftrumentum fcicntiz jp dluctinum proprij(Tim? dicte jita mulu ve teres, Alij fümp(crunt latius pro fyilogit mo,vcl argumentationc, et quidé pro pri ana incention?,quo fenfu tancum (unt in flrumenta realia. Alij démumlauflimé ac ccperunt inflrumcncum (cicndi re;le, p ut.(. complectitur definiuonem, diui nio nems,& argumétationem pro cóccpubus Obic&iuis,fcu pro prima intenuionc ; ita nimb.q. 2 l'rodem.qui cá procettauur fe loqui e logica sm fe conliderata, non prout ab A uft.tradicasita «n. folamargu . Imentauoné aflignant pro fübieéto ada quato; Quarta (encentia,qua cóis eft in zer INcotericos, non ipflrumenta directi uia,ícd potius opcracíoncs intelle&tus, ad quas hec ordipaptür;aflerit effe fubre&tü, vndé ftatuunt pro (übicéo,, vcl vrcsepc rationes intclicétus..;wacenus dirigibiles, vcl vt (pecialiter loquitur Aucrf.q. 2. (ec. ifogoitioem inccllcdtiuum comprehé icm utes actus noflri iatclIcétusquate« vus dirig.bilemyjitaw illud tit materiale j l.i " LI Duaflio Proem.de Nara Lopicá:  hoc vcró formaicjità Auerf.cit. Amic. im log.trac. 1.q. $.dub 4. Blanch.difp.1.qu,. 9. Didacus à Ie(ü q.3.proem. Arriag. dis fp.2.log.n.54.Oauied, contr. 2;log.punc. ' 1. Ruuus q.6 .(ccuti Suarez p. tom. Meta: n t. lec.a. " í ó (unt pauciores opinionesinter Au &orcs fccundz claffisycorum.n.qui entia ratiohis pro obic&to afl;ignarunt,Quidam putarunt cns. rationis in fua cóitate (ume ptum debere ftacui obiectum . Alij hinc Opinioncm coaréctantes non omnc cns ra tioni$ponünnt obic&um logicz, Ícd rans tun: genus quoddam entis rationis uod: appcilan: ens raNonis logicun:, et fecun dam in:éc onem, et eft illud ens rationis, qvod tignificari folet pafliminlogica p terminos logica!cs ger.us, fpecies, (übie &um pradicatun «dc finiti. enünciatio, . et alios fimiles,ità 1 homifle omnes« a« ict.c.de gencre p.2.Scctusqu. f; Progme Mafivs hic (ec. 2.q. 1 3, Sanchez lib.z; qué. 17.lauel.trac.1 log.c.3.Niger q.12. Cli peiComplut.dif:.1:.3.102n.de S. Tho, p.2log.qu 1.art. 3. G.lleg. Petronius, et alij» ur pro hanc fentenaa citant vcteres on.nes 1 homiftasAT:j 'ádem ad . gis fc rc ftingcntes;pcc interlog fcs& vt ab Arit.rraditam diftinguente$, fübicéctum legice ftatuerüt illud ensrario.   ni$, uod per orguinentationcm tporta | tur,vel ceré fyllogiímum, quam fenten tiam de fyllogiimo docuit Scotus cx pro fcio q.3. vmuerf. et fequumur Scouftae. paflim in cum locü Mautit. Anglic. Bras. (aul. Sarnan.F aber. Theor 6. loccus que. roem. j. Fuentes q.3.diff 3, art.6. tàquá, Dottor ibi locutus fuerit de fübie&to. gicz quocunq.modo fumptz ; Faber ta men €. 3. inquit ibi Doctorem a(l; gnare. Íubieétum logic: Ariftotclicz, Refolutio dc obie&io lcgice Jariffotel. 24 Icendum eft;in logica, prout eft D ab Arifi.tradi i b aliquid rea le eiie obic&um,fed ensrarionis;nó quis dcm in tota fua coaate;neq.vt loitatum adens rationis lcgicü, bué (ccundam ins. 'nuopcmyíed quatenus ad a! gumemacio nem, ícu (yllogifmum coar&tatr . Cona clufio eft Scori q. .vniuecí.& et i. Prior; ] qa Pn €.  Deadeiuato log.obietlo e/Are YI; Ag. i.vbraliud flatuit (übiectam in logica, tab Arift.tradita,& in tota amplitudine fua confideratur;eft communis inter Sco tiftas cw ditcrejáte vno Pu i6 . cio qtii difp. 2:leg.g?s. parum curás Sco vibra  aen Scotiftarum, aff;gnat logica etiam prout ctt ab Arift. siadiar P obic&um rcale  et fyllogitmum pro prim: intentione captum; et proba, Mrquoadomncespartes.   : Primó quod in logica Arift. non fit ali quod reale fübic&um,fuadetur,tuim quia quzcunq. traduntur in logica Arift.(unt entia rationis,& fectinda intentioncsio cales,vt Lie ANDR diea. ana jprzdicamentü; propo itio, aqui pollent amrecedens, mr » fyllogif Anus, figura,fübiectum,predicatum, &e. tum quia hac ratione dixic Boctius logi .€am cffe dc (ccundis intentionibus appli «atis ptimis, quia Ariftitotam logic [uà tradidit füb terminis fe cundarum inten dusramócóld qe hac ratione dicia it (cientia rationalis,& (eclufa à nume o fcientiarü realium;yt netat Scot. q. 3. Prolog.lit. I.S fuit perpetua;& conftans fentétia omniam Peripateticorür, qua et rone Grámatica, &R hctorica diftinguü tur conta fcienti les, quia tradüiur füb terminis fecund intentionum;vt fünt nomen, verb&sparticipium,&c ergo ens rationis, no autcm ens reale fnbiectü 'erit logiez Arift.quia per ens rauonisdi Ringuitur à czteris (ciencije . Reip. Auerfa q.2.fcc. 3.negando afsü. ru quia potius logica Ait. in ommi us (uis libris, trattaubus agi deenti busrcalibusinlib. Periher. i rreróm,& &xuécbus perfe" agitur de a&tibus noflri intellcétus dc enunciatiene,ditcur(u &c. ncc per fe quarinux [ecunda intcntio nes;q cx illis actibus refuiiát; in lib. dicair..pcr fe conliderantur,& certis Tocis  difponuntur natura rcales cxclufisenti bus rationis. In lib.ctiam pradicab.quam Wis ttaétctur de gcnerc,aificrenuay et 16 Jiquisquz videntur entia rauenis,tf tra atur de illis, quaicnüs nnportant cnua scalià, et vmucríairier icà procedit 1012.5 ^Arilt. logicasca.niqua docet, verificaur de cnubus realibus,uon rawonis, docct.» LI CEN 153 genus predicari de [pecicbusfpeciem de ind: uiduis, at non valet vtique predicare dicendo fpecies cfl genus, indiuiduum eft fpecics, (ed bonio cft animal ; l'etrus cft homo ;docet prgdicacü affirmari de (obie &o0,at nó valet dicere fubic&tü c ft pdica t,fcd bene Petrus eft albus,cft homo. Scd hec foluiie facil é rcfellitur, falfum m.cft;g in lib.Periher. et Frior.2gaur p Íc de actibus nof: ri intelleétus, nuncia tionc;& difcurfu, (ed agitur de regulis, et przceptis, quibus opcracionesillz dirigi dcbent, et iig rcgulz caduntur per ter» minos fecur.darum mienuonü, oj pradi catum affir matur de l'ubie&o, gp :n prima figura maius extremü przdicatur de me die termino, mcdius ceri inus de minori extremo, et in cóclufione maius extremi de minori; falium cft in prz dicamétis na turas reales per fe confideruri, ná de tube ftatitia,enantitare,qualitatcsal j(q. predi camcotisagit logicus sth Q n c5 atténdi tur fübijcibilitas,& pradicabilitas, vt ve ró fant partes entis realis peruretad Me taph. et fic et diccndii de naturis cóibuss quas im portát genus, et (pecicsceteraq.. pradic.: bilia, qj per (e ad legicum nó (ye Gant;ícd fccunda intent;oncs voiuetía tatis, quas fundant; Nec cft ncccfl'ey ca. docet infccüdis intentionibus verifi dc cifdé pdicationc excteita, trita eft «m, losicalis teguliquod qua bgnàátur in fe cundis;excreentür in primis, non veró in  cildcm feciindis,& ideÓtota hac refpone fio falfacf, rà 1$ Sccundo quod cns rationis in tota fua cóiate non fat fübie&tü logica Arifte telice;nulla indiget probationc;tum Quia; et Grammatica Foeticay& Rhetorica» fua babent cntia rónis, tà quia Complute ipfi teftzbtur ceruffimum efie cns ronis. vmuerfáliter fuv. ptum non cffe obicctum. logica, ncc aliqaero T homiftarum oppo Inum aflererc, am logica nó contiderat rclaionem rópis dextri, et bniflri in co» luna, ncc relationes ronis quibus Deus. ad creaturas refertur.Sed qp ncque fübie Gum fit cnsrénis iog;cum ; fcu fecunda, intentio qua cft veritaus manifeftatuay qualis cít fola (ccunda mtentio logica; p» batur; Tum quia in qualiber [cientia daltige T  gkodum  »! 154 guendum cft fubieétum cóxatis à fubie attributionis, neq.hoc coincidit cum illo fccanda aut intentio in lozica eft fu bicétum cóiratis, quia pra dicatur effen tialiter de (übic é&o, pra:dicatn,copula,ge' ncrepropofiuone, et c.ergo nó cti fubie &üactributionis. Tum quia iuxtà hac s tentiam non contradiflinguerencur in lo ica principia,paffioncs,& (ubicéum vt docuit Arift.1.Pott. 26. quia hze omnia €onliderarentut,vt fpecies,cum intrinfc €é imbibant conceptum entis rónis logi €i et locunda intentionis. T ü quia Ct (1 A. zift.in fua logica confideraret. ocs(ccun das intentioncs veritatis oftenfiuas(.uod .thnon fecit) non proinde dicédum toret con(iderari. omncs per fe, et dirc&é; velu: ti fpeciesobicéti totalis,fed indite&é, et xeductiué,& (ic de fa&o confidcrauit ter minos, et propofirioncs, vt principia fui obici, aliquas ver fecüdas;ntentioncs: vcluti affe Guoncs eius « : Hinc deducitur nom conucoire fecun «az intentioni conditiones obiccti (cien tia (upra recentitas, et à Compluc. cate zilque Thomiftis receptas,. nam vna illa gum cft ctiam iuxca corum do&r iná, gq &ontincat omnia; quz tractantur in fcié tia;ita vt adipfum omnia reuocentür,vcl. aquam principiasvel partes,vcl (pceies,. yc! proprietàzes cius;altera cfl, gp (it y de potifTima.cura e(E in tali (cientia, &.  10 (fi aliqua fuerint ),tradantur prz &cpta;j at prima conditio fecunda. inten. tioni non conucnitquia omnia.confide rata in logica rcducuntur ad ip am; vt (pe. €ics,non vt principia fübiccti nc:.vt pro: ttate "fecanda,quia:tota. A ift. cu: Ia fuit agerc de [yllogi(mo; vtipfe tefta mur evit. 2, Elench.ciufq, regulas, et pra ecpta diíerté tradidit, de (ccundis autem: Antenuonibus, nec peculiarem tsa&tatum: eonfccitncc pa(Tiones aliquas de ipis de: móltrauit,g tfi necetfarium cracyfi fecun. da inicntio tun.Cdacrat pio fubic&o; Ac €edit.gp de dcfinit.one,& divifione cx ;p fcio non egit, ergo fecunda intentio vc niausoftcnfiua. non cftin. Arift. logica adaquatum (ubic&tü,cü non o€s talcs in 4 RUOncs inca conidercatur .  Ref. Complut, Q quamuis Arift, cx Cuaflio Proem.de Natura Logica; à fo; ta eft fermo; et parui rcfcrt ' Kctatationc aliarara opinionur profcíio non c gcrit de definitione  uitioie, hoc Decr non cda e^ tur füb obic&ologiez,[ed vel quia dede   finitione iam egerat Socratesde diuifio.   Ane Flatoyac nuilusveTperfanétorié dear  te ÍyIlcuifkica y et lic eam fü Anft,. fcipi eX prcfeílo ex plicrdemevxl bcd qs : vt inquit Laeztjus lib. $. in víta Arif. d E cfinitione, et dioiiionc nones tide rat volumina;quae tóuninria temporispe Lieruntjmmoó cunrArift.rcferente Laete tige logica fcripferit 1$ oc bre »fortd € alijs intentionibus logicalip.ex;  dioe Sod lus folutionc ottendítur lim traétaius de defininone,& diuilione: cx natura rci ad.logicze obs Qum fpe tas re in'totafaa amplitudine, gp grati  .cedimur;at hic L logica DAL cir naalia cdideric de dcfin tione,& diuifio 'Desqua pericrunt,quia qua ftio eft de Ariftquaz nunc extat, euifg. ip p Acntiquarimusobietum «,..26. Tertio tapdcax, ginlogi fubic&om adzquacum ic iyllogilm argumentatio, probatum manct. cum c& dictisaruculo pracedenu, vbi tum ett finem logicat Alt I te Uonis, qp eit arsumentatio » v o5 mus;finis autem ;mernus cospcidit c& o bicétestum.candem pacot ex ptigretiu ip pusAnft.conftai.n.fyllogmamineius   logica ommbus potiri códiuomibusad Os ^  bicétum fcientiz.defideraus, gaudet pris main rs fupponuure(ic,& DOG HS f €tationem de puipcipijsrcmous et prc  pinquisis lib. pra dicam, et Perer Ha. e tim ap lib. Prier. pramiut definituonem ciu5; 2audet (ccüdas quoniaman cifd lib. Fuor,muliz pa(Tiones de lodemólrá. . tur per predictam defimtionem, vt efie in modo? in figura y contare ca tribus term iniscoucluderc vniucríaliteryparti culatitcrnaffiimariué)& negauués gaudet d. niq.tcua;quandoquidem.omniasquae infccnuacraétiur, vel (unt principia byl leginiy& bc habentur lib pradicam. et Feiiher. ycl íani propiietaieseius, et i habétur libri Prioium,vel [pecies P^ WT, sbétar lib. Poft. Topic. et Elench.ita di curtit Do&or 1. Prior.q.1. .. Inoppofitü obijcitur Primo cü Nco tericis p aliquid reale;& nó rónis; poni debeat obiectum in logica, Tài quia que Tibet fcientia realiter caufatur ab obicáto fuo partialiter,& ab codem in perfc&io ' nemenfurarur dicit.n. telationem ad ii lud,yt ad mé(ürá ex Acift.c. de relat. (cd mullum ens rationis poteft cau(ure (cien tiam,que cft realis qualitas, nec cius per fe&tionem menfüurare, cum fit imperfe &ius illa, crgo'&c. Tum 2.quiaobic&um fcientia dcbet effe fcibile,& perfe intel ligibilid autem enti ránis conueniceng eft, cum inzelligibilitas fit prima paf Eu tealis. Tum 3 .quia fabie&tü de bet continere virtualiter notitiam fuüarü a(fionum,qu£ f. ipfum formaliter con leiduur cx Scoto q. 3. Prolog. at ens ró ' misnó pot caufate notitiam füacam paf L'A vpR une notitia cs alitas realis. à 4.quia li logica ageret de ente rónis, dco eller, quta tra a de genere fpecie, (ubie&o;pred'cato, et alijs fimilibus inté tionibus, (cd hac etiam dicunt entia rea lia,quia in hac propotitione,bonmo eft a mimal,a&us iütelectus corre(pondens il li termino bomo, oon tepre(entat naturá humanam pracisé, fed vt [ubrjcitur ani ' mali, ergo nón folum rcprzí(cntatio ho minis,fed modus etiam reprafentandi il lüm,vt id, de quo dicitur animal, eft quid rcale. Tut $. f1logica eft de fecundis in tétionibus vtiq.no crit de ipfis in abftra &o;fed in concreto,vtapplicate süt pri rhis,atq.ita logica herét i gatum per accidens. Tü demü d uo;qnz efl fubiect i principale m Togica, confideratur in eà, vr quid reale ergo ctia fübic&um adequatum, füb quo contine tür,reale erit; probatur affumptum, quia )nfideratur à logica,vt elt effec&trix fci ties fed vt talis non poteft effe ensrónis:, ergo &c.  27 Refp.ad t«g ficut non eft dc efsen E. :&ti effe motiaumy& mehfuratiuü actus in perícctionc, ita no elt dc ro  ' ne (ctentizs Rd fot obie&to, et ab in co pe Ofie meiure turyyt ex Do&tore: itat 4.1 qup. De adeguato Log. obiecto vArticulusTértius . 7 fs fubjS.fed ui;de rónc [cientie caus, ua lis noneftlogica,vt eft ab «r tt.tradita, et conicxta, quz caufatur non ab entetó nis,icd à fondamento, quod habet à par te rci,'tà Maurit.q.3. vniuer(al.S.6. dubi tatur yin fol.ad es addit etià poni pof fe totalem caufalitaté habitas logicalis ex parte intellcétus, nam licet ina bireéto obiectum fit caufa partialis, et hoc prima 'riumyin a&u tf reflcxo porcfl totalis a €tiuitas tribui potentiz, et quamuis ens tónis ncquceat cíIc menfura fcientize quam tum ad períc&ionem, pores ch effe mca fura foi a&us quoad vetitatemyquatenus notitiaintantum vera e(t inquantum exe rimit obiectum, ficut cft,quo séía dere ione men(urabilis ad menfaram vides tur Scotus loqui quol.1 3.M.& O.& pro prié dici folet relatio coformitatis actus ad obic&um. Ad 2.negatur minor, quam uis.n. non habeat intelligibilitatcmobie &i primarij.bzc:n.cft paffio encis realis, habet ti intelligibilitatem obic&ti (ecua darijj, quatenus ficut entitatem habct ad modam enrisrealis, ita fcibile cft ad mo dum illins. Neq.dicas ex hoc fequi, quod WI ab Rp  Mpdcer » Quia ficuc eius a in hoc fitaeít, quod cogno Ícatur ad modíi entis edis per íccon ucnit illi, quod (ciatur ad modi alterius, dc quo fufiusipfrà di(p.5., Ád 3.ait Maurit.cit. qiod contin£tia virtualis, cuius meminit Do&or,'conue nit tantü (übiecto fcienuz realis, dc quo jbiloquitur; vel quod conuenire potett ét enti ronis fundamétaliter; Sed ez peditius obiccto db »dici poffet, quod ideo (ubie&tum d:citur Lr» continere virtualiter patfionces fuas quo «d c(Te cognitum, nó quiadubiectum i p füm,vt fic,cau(et notitiam pa (Tionis, fed: quia (ubiectum, vr cognitum, fiué noci: tia fubie&i caufat nottcram palliopis,quo eft etiam competere cognitio cit cns rea fcnfu hoc mnaus entirónis,quia |  le. Ad 4.negatur minor,nà licec repraien tatio hominis in ea propofitione fir teas: lis, cà tá [übicétio in propofi cione nó eft uid reale, fed deuominatio € deccticta ab a&tu re&o intellectus, quae fit ens rónis, et fecunda intentio formalis. tct pec a&tum rcflcxum. A d 5.vti |. logica: TR dps" wr ? 156. eft de fecüdis intentionibus in concreto, nimirum,vt applicatis primis, (ed non id Circo eft dc aggregato per accidens, quía res prima intcnrionis non cadit in intel. le&u fecundz,vcluti pars,fed vt terminás re(pc&um co modojquo accidens, qua do intelligitur dependere à (ubie&to, non intelligitur vti vnum per accidens. Ad 6. demonttratio poteft (umi, vel mareriali ter, et pro prima intentione, et fic ett illa materialis collocatio propotitionü, qua medius tecminus ità ordinatur, vt in vna fubijciatur& in altera przdicetar;vel foc maliter, et pro fecunda intentione, et ctt relatio, vel relationes ab intelle&a fidt antecedentis, et cófequentisymaioris,mi noris,&c. occafione defumpra ex illa rea li ordinatione;primo modo caufa: fcien tiam realiter, et exercité, fecundo modo fignare,& fic confideratur in logica Ai ftot.& ab co definitur, quod faciat fcire, Poncius cit. difp. 2,q.5.aducit cum Auer fa nonnullas rones quibus oftendere niti tur Log. habere obiectum reale imo có trà coém negat genus(peciem,(ubie&tü, predicatum yllogi(mum, et alios huiu( modi effe terminos (ecunda intentionis; Scd rónesilla non cgent fpeciali folutio nc,quia ad fummum probant quod infra dicturi (umus art. $.logicà cx natura rei, et sin (e con(ideratam effe fcientiam rea lem, at id non probant de logica, prout fuit ab Ariít.contexta, qui cam exprefsé. docuit (ub terminis fecüdaram intentio  num,in quo feníu híc loquimur, € quod ilii termini fint 2. intentioncs patebit in fri difp.1.3.8.arc 1. et difp.2. Mer. q. 9. art. 1 m4. 28 Secundqyobijcitur cum Thom. ad, obandum,quod cns róais fcu fecunda antentio fit fübie&ium . Tum quia log. di citur (cientia ronális hac de cau(a,quia eft dc ente rónis, vc de obiecto, alioqui in. trinfccé e(t qualitasrealis. Tum 2.quia (i. cut datur vaa (cientia,quz tra&at de ca tc reali in vniuerfum  et eft. Metaph. ita dabitur alia, qua tractet dc cnie rónis in vniueríums& ccit log. Tum 5. quia quz «unq.tra&at logica, (unt entia róns;ac ia aentiones fecunda vt termini, enunciatio cs, yllogiimi)figure,&e«X bac roue aic Quaftio "Proem: de Natura Loglcaz.  bat Boetius, quod logica eftdefecundis  intentionibus applicatis primis. Tü 4«uia, "n enti rónis, et fecandz intentioni conue » niunt conditiones (übie&ti, qui& predicá  tur deomnibus,que in logica tra&tantut, aliaj. ad ipfum reducuntur, veltanquam partes,vel principia vel pa(fiones. Tüde  mum quia omnes fecundzin:étiones, de  quibuslogicattadtat, (unt veriradisoften  fiuz, et períe conducuntad dirigendas   operationes intelle&us,ergo omnes in diffecenter cótinentur füb obie&o adz quato cius, quod crit ens rónis logicam, fué Íccunda intentio veritatis oftenfiua 7. confeq.patet, nai omnes participant ró« nemobie&iuam,perquamlog.fecernitur nó folum abalijsíciétijsrealibus, fed etiam rónalibus, quales süc Grammatica, et Rhetorica, quz confiderantfecundas intentiones oftenfiuas congruitatis, vel  incongruitatisfermonis,non autem veri tatis, et falfitatisità Complut.cit., Refpaad 1.logicam abíoluté dici fci& tiam rónalem, quia efl diretiua rónisin fuis a& bus,logica veró Arift. àdhuc f ciali róne dicicur rónalis, ga nimirui dc ente róais, vt de obiecto, hoc. non cít fubic&um eius in quacui tein(pc&um;fcd vc (upponit pro; mé mg tatione; vel (yllogifmo.Ad 2.enstonisim A3 communi pert (c primo, et dica dmi A mmm lam ícientiam pertinet,fed idi cm ou &8,& rcdu&tiué pertinet ad Met. nus sif c('enciam füam eft eB ADDS X" quia ciufdem fcientiz eftcon(iderare id,   € cít tale, et q videtur tale 4. Met. tex. 4» Ad 3. concedimus totum, quia logica "Arift. 1radita cft (ub terminis fecu rü À intcntignum,& diciturefledeíecundisim tentionibuseo modo;quo Philofophiadi   citur cfle de rebas naturalibus qd, cC quod omncs proprié funt (abie&tumátttis,   butionis. Ad acis a appe i non cft dc rone fubicéti,quod fircomma.  nc oibus in (ciencia confideratis per prae dicationem, (cd vrsmioncn, c, oiircducanturad illud veltanquam pat» tes,vcl principia, vel paífiones,at omnia   coníidcrata in logica; dam intentionem, vt nus, Ad j.conceíjo | Deadequato Log.obiello. c/Articulus IF. confe tia,nam fi prz:cipua condi  obiecti (ciens cft, vt itid, de quo potiffima cura e(tin tali fciétiaj& de quo traduntur precepta; vt Complut, faten tur,plané poxiffima cura Arift.fuit in fua logica clucidare (ccundam intentionem, eft veritatis manifeftatiua per virtu tem illatiuam, vt conftat cx vcrbis ipfius Philofophi 2.Elench.c.vlt.hac aurem eft io, (cu fyllogifuus, de quo ét rareliquit pracepta «  agpéemerstinia, q obie&um adzqua tülogicz Arift.non bt fyllogiímus; Tum ía non folum egit Arift. de (yllogifmo, de czteris etiam (peciebus argumen tationis,inductione, Enthymemate, et e xéplo,cr, tius argumentatio in cói €» ric obiecta. Tum (ecundo;quia non fo lum cgit de arguméatione,ícd diftinétos libros etiam«ompofuit pro dircctione primz, et fccunda operationis,vt lib.p dicam. et Periher, et de definitione lacé tra&at 2. Poft. ergo potius modus (cien di in cói, (cu in(trumeétum direétiuum in "fua amplitudine erit obic&um. Tum ter tio;quia dicere non valet cerminos, et jp pofitiones Arift.ibi non contidcraile pro fesfed tantum;vt funr partes fyllogif mi; quia &fi ho€ modo fint confide: lest non obftat, quin etiam per fe, di rc&té contidcrentar (ait Auer(a fec. 4. et fuit argumentum Aurcol.in prolog. art. $. ) ficut in Phyfica, licet elementa con currant ad conttirnédum mixtum, tamen : Fhyfica non agit per fe folum de mixus,  neq, corpus mixcü cft adequatum obie Gum cius,(ed per fe eriam agit de clemé tis,& corpus cóc mixtis, et elementis cft obicétü Philofophiz. Tum deniq.quia;vt vrgent Complut. fi femel adaittimus. in obiedis particularibus alicuius (cientia, lbet otdmem vnius ad aliud exclu dere illud, quod fic ordinatur, à ratione E iay& immediata obic&i,tam in qua fcientia obiectü principale e(let a 'daquatum po(lemu(.dicere Deum, aut igentias clic obiectum ade quatum i | | 153 ml ens, et quz in Philosophia, ad homi nem» qui eft precipua fubftantia materia lis, et quein logica ad Demonftrationé, quz cít genuinum inflrumentum (ciédi, ergo licet intentio generis deferuiat defi niuoni;& intentio pradicati propofitio» ni, et hzc argumentationi, non ideo in tentioncs ifte debent excludiab obic&to per fe; et immediato Logic . 19 Rclp. ad primf argumentation£, et tyllogi(mum non dfferre,& induétio nem,& cxempiü,ac Entbymema non có ftituere fpecies à (yllogilmo eflentialiter di(tin&as,fed ad ipfum veluti imperfectü ad perfectum reduci,quia funt fyllogifmi imperfcé&ti habentes totà vim inferendi à fyllogiímo,vnde et in fyllogifmum tranf ucru facile pofiunt,&ad aliquam trium figurat ü reduci, vt Arifl.docet in poflrc ma parte 2. lib. Pris erudité demone ftrat P. Faber Theór.6.c. 3. et nosoften.  dimus 1.p. inftit.trdc. 3.c.2Ad 2. ait Do Gor.1. Prior.q.2. terminos, et propofit. in illis libris cófiderari inordine ad fyllo giímü,cuius funt partes proxim z,vel re moz ; de itione vero z. Poft. lo quitur in ordine ad dcmoaftrationé,qu& ingreditur,vt medium, vt omnes farétur, Ad 3.potuit vtiq. Arift.logicam (uam ita inüituerc,vt termini, et propoütiones p fe contidcrarentur, ita quod dire&té in cluderentur in obiecto logicz, vcluti fpe €ics eius, ficut clementa confiderauit in narurali philo(ophia:fed nó ita fecit ;quim potius vt patet ex progre(fü operis, con fidetauit ca indirecte, et redu&iué p or dinem ad fyllogifmü;quem contt itaunt, uia folum de dire&tione difcuríus fuit ollicitus. Ad 4.concedimus nó quélibet ordinem vnius obic&i partialisad aliud excludere illad;quod tic ordinatur, à ró nt propria, et imiediata obiecti, ted fo Id quando ita có(ideratur in ordine ad ill lud,vt nullo modo propter fe, S direct confideretur, fed indircdté penitus, et in grati& alterius, quod nó cx natura rei pé ed. fed cx progrelta fcienua, et Au&oris cius, fic auiem ri tere piopolitiones,nimirum in gra» tiam M in ome a »vt partes cius,in logica MNT pota E tores, Bis " is &orcs, ipfe infine 2Elench; Ne. binc € onfunditur (ubicé&um adzqyationis c fübic&to principalitacis; vel via difcerné di vnum ab alio przcluditur ; quia (ubie €&um adzquauonis femper illud.erit, ad quod redacüxut omnia cóliderata in4cié tia,vel vt parces,vcl fpecies,vcl principiis aut alia cofimilí ratione, fubicétum veto p'incipalitacis erit. quod'e(t nobihus, pra ftazius cocentü fubobie&o adarqua tionis,quod vtique in logicaeft demon frauio;quia ett fyllogifiusin materia ne eciTaría confeótus;ac proinde fciétiz ge neraciuus, S incer. omnes prae (Láci  3o Quarto tàádcmarguitur ad idé Tü T. nilul eft (abiedtum totius, et parcis. fyllogiímus eft fubiectü.in lib: Prior.. ergo; Tum 2. quianulla fciétia füü.cofr cit (ubiectum;fed logica conficit fyllogif mi. Tüm3. nulium complexum potcft effc (übicctü, quia dc (ubic&o prasfüppo mitur,quod'etb incoplexi,ac (yliogimus. &fi quid cóplexam; T ü4. quia.a (fi gnádo fimpliciter,S&abfolucé (yllogifi pro fu: biccto;aflignatar táruni pars materialis. ergo dimiautas.efe Doctor nóatfigoado: etia formalé;nmmex vtrique: cosle(cere dbe:iubiectim adazquatum (cienuz. Reí pondetur ad primum cx: Doc.q.5.. Vnuaerí: maiorem efleveram codé mo do;ac druerío idé etie poteft (übicétiü co eius], et partis; cin propohro fyllogif mus ctt íubiectum.in lib. lr: er& quoad T aisi writ ircialem.t«quame tüadproprierates ipfum formaliter có Écquentcs;eft vczó (übiectii cotiusquo ad.có;incntiamvirtualem., et potentialé fimul,..i. prout füpponit ét pro» (uis (pe €icbuss GCnop;pro feipfo tant üi incom muni. Ad'1.non eft Logica ducens, qua . «onficit fyllogifmum;led vtens,, illa tan vun regilas tradit, et praecepta recte có» jAccedisnó seper opusceífe.quod: fübicétü ur pnus (cientia«quácua adef fe a&tuale,ícd poffibileAd. 4. fi fyliogi muscxercité fiunarur pro aggrcguto.f. mera Jet Veg tare um ^m p de ipo» yretupponi nequic, g»etk (implex,nec fta. 201 (ubic nura o fi lümatur pro ; inrentione in ilio aggpegato fun» daa poicft oai (ubicGtü à dc ipfo fup Quaflio Troezwm. de Natnra Logicá poni,quo: fimpiex. inhoc enimséfü eff. uid incomplexum.. Ad 4. ait. P. Faber: or.6. c. 5,4u9d quando fubie&tü ma teriale in Íciécia cófi deraur omnibus. mo É dis, quibus ett cóü icrabile, cunc nece(fa. ' riaminon etfe addiuioné partis. formalis,, ue (olim additur ad.settriogédam coli, "aar obiecti materialis, et ita imquig contingete de [yilogifmo.in logica quia confidetatur ab.ca omnibus. modisquis bus eft coniiderabilis.Sed forcé in. fylloe. giao aliqua s cóliderari poteít,.quag non attingitut à logjco, quia ratio.genee rali(fima € at uen cis ipfo: imbibita fpe&at ad. Metaph. et Iamitesdogicz ex« ecdit,ficur et cómunisracio(ecüdz int&e tionis, quz etiam vagaturpetGeámmas. ticam,& Pocticá; certibett logici pce fertim confiderare (ytlogi(imü qnarenus habet vim inamifcítandi ignota ex notig  per vimallatiuam;, et hanc eiletati eas formaléobicóniuacius, Itaqueratiofore   malis obie&baa in logica Acitt.a(Tis  32 dacrit, veinalijs(ocnjssvndemeutig Philotophia naturali pomuur(übiedtam  corpusmarurale, quatenusimaturale, im Mzaph.ens, vc ensi Theologia Deus,  vt Deusyitain Aci; Logica eric fyli P". mus^juaemustalis,..quacenushabet vim,  dicigedi intelle&tüininueftigaioneigno  rorü cx.notis.ira.n.Ípecificauur ratio fot»   malis,sri.quam có(deratur atque itaná   cit dimvnurus DoGtor, quia imtellexi (y] logi&nüquatenusfyllomfnd,cfféiubiee Guun.Videaliaargamentaapud Do&,  Refolutio de obietto Logicein Jg. | »r S! de Logicafécüdüíeloquamutk. proutadzquaté inítitui.poteft (e | Mn eh Mer peau cs : eius partes, ad quas fe excerdere dC pM cocti neqiie usct modastoéds d netu mint feni itii utota amplitudíne(u» vt nimi SEM D tw cesiongme me mms 93s t'a ionem, et 6 quz alia funt inftrumenta . adhoc munasa (dc quo difjs.feq.) ka Scoc. x.Pri q»2 .en& Fonfec. 2. quic oaa, MT REI €mLog, «fs Tat q.3.. T Áenüt Fabet c. 5 i& alij Scati grs etie: babi,De ádequato Logica obieflo Atrt.TIf. babilé patat P.Fuentesq. 3. diff. 3. art.5. q.26.& fi ratio quáibi ad hác conclufio né probandam adducit, nihil concludarj, quia (ofum probat inf rumentum (ciédi effe iubie&um przzdication's . Quamuis autem P. Faber Thcor.6. cáp. 3. et alij Scoriftz negent illos libros: Priorü effe Do&oris, quia.nimirii plura cótinér,que rO (unt cofona di&is cius ini. Vruucrf.in Metaph. et lib. Sent. vbimaiorem haboc an&Gotitatem 5 Tamé vt bené norat Fac te& cit.id non (t (ufficiens argumétü, vc ncgemuscos libros.etie Doá&oris, quia £adem ratione poffemus dicece tracta ui Vniuerf. cffe alterius DoGoris, quia. q. 41:cgitegs e(le vniuoci,q.3.ad 2.prin £ipalc pomr corpus mobile fubiectá na . turafis Philofophi 4 àmó in li..de Anim. et Met. habet quamplurima paflim diffo na nue Sed docet in lib /Sent. wt yería tis in eius]i.facilé parebir, NO crgo quia mula retractat Doétor in lib. Scnc. et quol.que dixerat in Lozica, et Mctaph. ocgire debemus eos. libros taiffe ab eo ' «olcriptos, quia no ell nouum Authores cla(Iicos in vltimis,& maturius cótidera tis lacubrationibus interdüsque antca di xetát, revocare » fed potius regulà hinc vniucr(alé deducece debemus,g in fcho la Sabtiliü liber duntaxat séc.& quol. au Gotitaté facere dcbét irtefragabile, cz teri veró Log. Anim. Met.nó ab(otuta fa cere debéc au&ocitaté,fed in his tátum, cólona süt (criptissét et hücin mo duin hoc opere vicmur auctoritate Doc. : ve wena itaque probatur noflra có 12:5 ? dcducta ex ipfa natura] Mt conítru&ioncm docet, (cd logi inftrumentaria fimplicitcr,inftru |n ara re quia elt de medo, ícu us (ciédi o, Vd fimphcitersquia dcferuit alatur alijs (cienti 1. Top .inacnt: bit pto áüté o ciendr mon poteft aue. T i per fe, &duc cttarte nat r$9 &€ cenctur dirigere omn^s operationes intclic&tus, cum in omnibus poflit error contirgcre, ergoinon folum demon'tra tioyfed.omnis (vIiogifaius . et argumétaa tio,non (ol arguimétario, fed ctia dcfini.: tioyX& diuifio,& fi quod aliud extet ifte mentumydcb:t pec logicam confidera ri,& pertractari, quare cü logica fecüdie feampliors (it ambitus, quam prout fuir ab, Aritt. tcad;ta,inftrumérum fcicndi im communi, prout ab hoc,& io abflrahit'y aílignandum eric dli pro obic&o tocati y et adzquato; Maior probatucá fimili im omnibus facultatibus inftrumétarijs fias pliciter,omnes.n ità yersácur circa inftcu menta, vt nó.attingát.opus,ad quod (uae P natara ordináur cd hoc ab alia per ficitur,cui ifta famulantur,quas pro:ndé minillras meritó nancupauit Ari(t. t. KEuhic.c.1.& 1. Folit.c.$fi€ (chabet fre na(actiua vcl pe&tu cquettris, quia verfa «  tur circa frznum,quod eft initrament dá ordinatum ad cqui direction, &iracir a illud verfatuc wc non attingaz opus, ad quod fuapué nacura ordiaatut,fed hoc ac  ungitur ab equeflri,cui ipfa fubfetuit, iic Íc arm ferraria refpeCtu lignarie,, quia vetíatur circa fertam, et dolabram, quae fünt inflrumenta ordinata ad conficien. doamífcamnum,vcl ftatuam,& ità circa il laveríatur,vt non attingat fcamnim, vel flaruam, (cd perficiantur ifta à lignacia, eui ipfa (ubfeiuit: omnes igitar ciu(imodi  inttrumcntariz facultates (1(tant fm con fiderationo,& con(tru&ione inttrumcen : torum,nec tranfcunt ad opusyende ipfum infirumenuim eft, ad quod reducuntuc omnia quz. in tali facultate continentar, et ipíum non reducitur ad aliquod aliud intra candem contentum; immo li opus aliquo modo contiderat, ad qnod inflru mentü,dcquo agit, ordinatur illud idcm confiderat in gratià talisinitrumenti, vt "f.illud bené conficiat yel regulas cet «óficiendi edoccat,vt fit idoneum ad tas le opasobcundum; Gc franca ctiua equi: directionem con(idce;at in ztaciá frani s vof. edoceat illud ità conficien di,vc fit aptumad talemumss,diucc(a n. infiuméta cxigütur pro opcrum diucrfi yo dé ^ 160 dé códucit ad tegulas tradédus de. inftcu méto conftcuédo ad cale opus ordinato Kefp.Auería (ect.4.in fiac falíum e( fc logicam ita etfe facultatem | inftrumé. tariam,vt non attingat opus, ad quod or. dinantur inftrumenta ab ipía conlidera ta, (cd in (implici inflrumentorum cou teinplationc confiltat ; nam non folum cóficic et rimarur in(teuméra (ciendi, vt alijs (cientijs rradat, fed ipía logica pec (ua in(trumenta perficit., ac dirigit ipfas operationes; Sed fal (icas iftius rerpon(io nis cx przcedéc articulo liquet, vbi ofté fum cítex profe(fo log:cá nó perficere operationes intelle&tus phy(ice, et elicici uéfeu incile exercit. y (cd idealiter can tü,& veluti inetfe figuato,quatenus vra dic regulas, et przcepca ceteris (cientjs bcné definiédi,diuidéedi, et d (currendi . 33 Sccundó Modus (ciendi, (eü n(tru mentum redé cognofcendi (vocabulum namq;(ciendi fusc (umtrur) in logica fe cuadum fe contiderata omncs habet codi tiones ad obiectum fciétiae requiiicascfk,n.id,quod per fé incenditur, et confide ratur inlogica,cum finis intrin(ccus cius fit docere jnttrumenta omnia, quz no firam cogfiioné coadiuuare poitunt ex ar t.preced.vndé fi tota traderetur, dc ip fo przacciperet quid cít, et quod cti;cíft id,ad quod reducuntur omnia, quz con fidcranda forent in logica fecundam fe fümpta,omnia namque ad hoc tenderét, vt re&as facere operationes intellc&us docerenr,effenr.n. regule, et pracepca in(cruiéia pro dire&jone prima ; vel [e cunda, vcl tertiz operationis proximé, velremoté 5 Neque ordinaretur ad ali Tm vlterius in ipfa logica con(idcran ui metfi.a. aliquo modo zranliret ad có fidcrandas operationes intellectus, (ane illas no cófidcraret, nifi vt dirigibiles per ciufmodi infiruméra,hocauté non cft có teinplari inftrumenta in ord nc ad opcra tiones,yt o conatür Auería, (ed Operationcs in ordine ad inftrumenta, vt cognita carum tura ac dirigibilicate ; idonca coficiàcur initruméta pro. cacam direGtione, Ikucíus habet partes, princi pia, et patlioncs,nam infttumcacum (ci€ di in comuni diuiditur in dcüinitioncan Queflio Proem.de Natura Logica. diuifionem,& argumentation&,& (i qus alia (unt (ciendi inftrumenta, canquam in partes (übiedkiuas; habet (uam primaria » et adzquatá pa(Tionem, quz ett e(fe di te&tiuü oycrationum intellectus, ha principia, ex quibus poflct logica dema grare talem proprictatem,nimtrum dcfi  nicioné, alial; pofitiones, vcl fappotis tioncs ad talé (ciétà actinéccs;ergo nihil dc deratur vt fit obiectum logicz in fe, 34 Denique probatur ceterasopinio nes excludendo, in primis .n, nequeunt res omnes, quatenus intelligibiles poni (ü bicctum:tü quia iam omncs aliz fcientia fuperflucrent,vtn.ait Scot. q.3. Pradic. sihi cft (ubicctum (cientiz alicuiüs, nifi (ub ratione (cibilis, vadé resquacenus.fcibiles nequeunt fpe&are ad Logicá ade quad; f'ü quia ad Mctaph.praz(erdmfpe   atconliderareresquatenus intelligibi les, cum bac (it przcipua paffio entis y Á quod ponitur ob:eétum in Metaph. Ne quc obiectum logicz poffünceffevoces, tü quia finuila e(íet, vel efic poffet voxg adhuc cffet operatio intclle&tus noftri,  que poffet dirigi, et regulari ab aliqua. icntia quz uon e(fetmíi logica, et An. gcli de facto perfe&tam poflent logica  fine vocibus; Tum quiavtnoxat Maurit   q1.vniücrí. voces non pertinent ad E cum,niíi per accidens, quarenus per illas. 1 A conceptus e| € 0 Y "pvp ar ere. Neque cadem ratione poteft ens uet rationisquomodocü fiui obicétum logicz in paene io x 6. effet, vel ctic poflet ensrarionis, adhuc  Am : €iiet opcratio noftri intelle fci,& debere: dirigi ab aliqu. vtuque forct logica, cum fit adinuenta. Tí quia per acci quod. logica radar regulas, et przcepta petter  minosíecundarü intentionum,cam etiá     id ficri potuerit per Mens me, ergo «X natura rei pcti £t fcieodi reale, et ima imentione »,.   pro ade qiso fabio dE c ef mus infra art. f. vbi s logicam ES fccunium fe effe (cientiam r » ac proinde petere obieétum reale. Icc dem fübiectum logica in d effe De adaquato Log. obietlo. frt. 111. pofsüt opcrationcs métis noftrz,quatc mus dirigibics, vt autumant. INcotetici quibus (üb(cribic Pácius dif. 1. q4 .có €l.2. aut cognitio intelle&iua, quatenus dirig bilisetloquitur Auería, quia cum fübicdtum przfupponatur notum in fcié tia quoad quid cft,& quod c(t, debet Ar tifcx io fna facultate exploratam habcre vndcqu.que naturam (ui obiecti ada qua ti,& cx; licatam càm qucad «€ contüide gatam,«;uàm quoad modum contideradi, fed ves contiderata fecundum hanc opi nioncn; cft cognitio intelle&tiua, cuius cf fentia,& Goiddiree nonexplicatur inlo ica,neque à logica (apponitur explicata in prior! fciétiayqua ipsá antecedat, hu iu(modi.n.explicario ad [ciétiam de ani ina fpcétat,vt docet Ant. And.initio Pe rihcr. crgo quoad ié cófideratà errat haec Opinio. Scd errat eriá quoad modti có(i dcrádi,quià fequeretur logica aliquo mo do (ubaltetnar! (cientig de anima, uia ad dit (upra operationes,quas có(idcrat ani ma,condiuonem;s(eu differenuá acciden talem, .f. dirigibilitatem ; Accedit quód ratio formalis obic&i debet e(Te indemo ftrabilis de (übiecto,quia c(t medium ia dcmonftrarione, quz de ipfo demó ftra tut propria paffio, fed dirigibilitas non poteft efic medium, cii potus fir patTio de fübie&o ipfo demóftrabilis; Tandem obic&ü inftrumétariz facultatis, qualis eít lozica,no eft opus, ad quod inftrumé tum ordinatur,fed inftrumétum 1psá ;& in ipa logica;aut non agitur de dirigibili tate cognitionis, aut certe fi operationes intellectus confi derantur, quatenus diri gibesihor fit in gratiam inftrumentorü iendi,vt nimirum cogita eatü dirigi bilitate,& indigétia,apta conficiátur in flruméta pro directione, vt (üupradictum eft.Remanet igtur obicétü logice in fe ef fc inftrumétü (ciédi, vt coprchédit defi.161 menta, ad qui cetera minoris momenti reduci poffunt,vt dicemus difput.Tequét, 34 Vcrüm adhuc dubium remanet dc rattone formali, fecundum quam logica in fe confiderat inflrumentü [ciédi; qui cunque noflram amplexaci süt fentétià, dicü: logicam illud cófideraresquatenus dircét.uü, ita vt dircétiviras fit obie&ü formale i6fironéum fciendi materiale, et ita có ügendo. partem. materialem cü formali,fub:cCtui adecuatum ficin(lru mentü íc:édiquatcnusdircétiuds qui di^ cendi modus cà dem ceníurá pacicur, qu& ilie,qui in Fhilofopha naturali ftacaic p. obiecto corpus mobile, quatenus mobi le,.,uia nó eft cófüdéda ratio formalis fü bicéti cü paffioae ciufde, cü hec dcbeat per illà de (übie&o demoftrari; dircctius tas vcro, vt diximus, cft propria paffio infroméu fciédi ideo no bene có ügicur € co, vclut ratio formalis; (fignáda cft, ergo ratio formalis obicctiua:ogicz ia fc, ficuc in alijs [ciéus,vt fupra diximus s vndc (icut in Í h.iofophia naturali ponitug fubieétü corpus naturalc, quatenus natu rale;in Met.ens vt ens,in logica quoq.erit inftrumentü (cicadi, quatenus tale, hoc eft quatenus habet virtutem faciendi (ci te,vimq. dirigendi, ità .n. (pecificatur ró formalis,sn quam cófideratur, et perg de ipío dirc&tiuicas,ve lut propriay& ade  quata   poteft demonítrari . Scd adueríus pofitam conclufioncm obijcitur Primo ptobádo rcs ocs,vc! vo ces,aut entia rónis cffc (ubiectuu: in lo gica, Tum quia 1. Elench.c.ij.X 1. Rhet. € 1. et 2.docct logicam non vcríari circa rem aliquam dcterminatam,lcd circa oCs te5,& 4. Met.tcx.5.ait Diaic&icam labo rare circa omne ens, ficut. Mer, crgo res ipla fanc fübicétii T dcindé arguit Au reol. pro vocibusomneslibri logice in choanrur à vocibus, liber jradicam.ab  jiuocis,& vmuocis,lib.de luterpà a0... minc,vcrbo, et oratione, lib. ve(olurorij à definitione (yllogifmi pct orationC,er go logica cft de voci gatenos cxyref nitionem;diuif;ionem,argumentationé et li quzaalia unt infirnmenta rc&té co isenim Door cit.enu ics inftrumét fciédi Aes tantum tria reccnícat, non idcoexclude   fiuis conceptoum . Tum demum ad | ro dere intellexit alia minoris mométiinflru  bandum cns ronis aliquod effe lubicéui probari pot rónibus allatis pra ccdéti ac mcenia, fed ita locutus eft, quia illa tria : $üt generalia et principalia quedà infttu   uc.quibus ofiésüeti logo pati HS [115 tcale, fcd obie&um rat:onisexpofcere. 3€ Refp.Arift.t, Elcnch.& Ehet.vo luitfe (oluz» Dial ecticam quanti ad vsü yer(ari circa omnes rc$,X ad ni Dim cer tum genus con(lringi,quia in oibus (cien ijs (yllogi(mi exercecur;& in bunc (ensü etiam explicari potcft 4. Met. s. laborat n. Dialcéticus circa omac ens, ga ojbus rcbus applicantur inftruméta logica,idco quc dicitur [cicntia cóis, ita innvar Scotg. 3.vniucrf. Ad 2. Arift. coníuluó inchoa uità vocibus,quia voccs [uot inflrumen ta manifcflatiua coceptuuim, boc autem non cí(t agcie per fe dc yocibus, fed. per accidens, 10 ordine ad aliud; Accedit, quod hic e(t (ccmo delogica (ccüdum fe confiderata,nop aurem v; ab Aufl, rradi ta. Ad 3.rc[p.per idem, quod rónesalla tz art. prz ced. procedunt de logica Arií 4e cum tradita (it per terminos. fccun acum intcorionum, vtiq. ex modo pro cedendi Artíficis, fibi vendicat aliquod ens iónis pro obicdlo,"non ramen ex na tura tei,quia finc (ccuadis intenciopibus adbuc poffet logica inttitui. At rurfus in ftat Aurcol.cic.pro vocibus;g cft primo fubicétum veri, et (alfi cit (ubicé&tü inlo gicaquia verum; fal(um func pa tlyoncs gencrales à logico coniideraue, (ed ora« tio, vt cxprefhua conceptus ctt fübiectü, veriy& falíi ergo, &e Relp.ar ntum in primis euam contra Aurzo]. militare, quia gana vocem tantom complexam cie ictum in logica, nam hzce(ola ak poteft eflc fubic&um veri,vel falli, et ta men Aureol. ccnet voccm jin cói ad come lexam,& incomplexan efie tubic ctum; indé maior cil fal(ayquia vcri, et fal. fum non (unt/paffioncs adazgaatz logices qua pracipue verfacur ; etiam cit ca mitasem diícucíus, ninor etiam eft man €a, quianon conucniunt prin;ó orationi vocaliíed mentali cx p.p. Iuttit,n. $4. $ccüdo obijcit przieuum Aucrlapro fci bans ioncs intel lectusquatenus di Fapbilre Ü ciciin Tü quia ficut opc rationes uutellectus, quarcnus talcs 1.» €ant ad. phyücam, fic quatenus dirigibi lcs pectát ad logican;,f.d (1 in logica co fid rant non vidciut quom. odo 1« duci uw ad initrumchte dice ctiuapüo OQ ; Soudflis Proem. de Nara Logica, peraciones (unt propter inftrumenta, fed inftrameata propter operationes, media ver reducuntur ad finem, et aon finisad media,ergo operationes,quatcnus dirigi  biles crunt obie&um, Tum 2.quia in alijs facultatibus organicis cxperimut non 1a ftcumenta etie obicétum, fcd operatia nc$,ad quas infttumenta ordinatur ; fic jn artc (cribendi non calamus;fed (cripta ra,ad quam ordinajir,cft obiectum, in ar 1c pingendi nó penicillus,(ed pi&tura, ad quam ordinatur,in medicina nonpharma Cajlcd (amicas, vel bomo fanabilis,ergo pa ricec in logica. Táü 5Ethicayqua tradit re gulas,& praecepta dircétiua operationum vo].ntaris,no haber pro obicéto tales re gulasu& przcepta, (cd operationes volun tatis ad quas ilJa ordinantur ergo pariter in logica. Tum tandcm; quia logicajdocet definue diuidere, et rócinari,[ed hac süt operationes intclle&tus;immo affercre de finitionemydiuifionem, et argumentatio nem cffe (ubic&um, eft ponere ipfafr opcrationcs intelle&tus,nam definitio, di uifio,& argumentatio mon funt, nifi ipfi met eucio ride apprehendendi iu dicandi, et di(cuitendi, 77 36 Reíp.concefio eriam opet intelle&us, quatenus dirigibiles, à. Mg Eqs cas,vt fic, menta, per qua: dir rccduci let A pina ng 3gica prii conlideratum ; quamuis. n, inftrumet fint propter opcrationcs inf i rese cotta fe.  Beadequato LogabieloAriiculus 111. ángratiam demonftracionis, Gc in li.Phy fic.corpus naturale eft propter moueri. Quia habet principium motus, et quietis, nec tfi corpus naturile ponitur ad. motü ruso oria adobiedtum ibi primo: confi »X fic inmultis alijs . Ad 1.facukatesorganica;alic (uot fim "s organicz qua nimirum ita. Circa. ftrumenta vetfantur, et nor attingant opus, ad quod illa ordinantur, fed facul gatcs.i libi r » vti fc habet ÉKcencfa&iua reípeQtu equcficis., fctraria: refpectulignariz; gnaria refpecturnauti cz, et lic de mulcsa!ijs; alie sür,quia ita. dc inftrumentis azunt,vt etiam artingant opus, ad quod.ordinantur, quar proinde miniftre hmpliciter appellari non pofsüt, quíaalijsnon famulantur,ncc fimpliciter inttrumentariz, quia etti de inflrumentis. nt,non tfi vt alijsca [ubmini (t ré, fcd vicifdem ipíemet wantur ad illud. idem Opus perficiendüuità (e habenr fcri proria, i&ocizymedicina, &c..quamuis igitur in bcakgtibas orgamcis fecundi is nó in&trumenta,féd actiones, ad quas ordiná tur; nt obic&um; tfi in facultatibus pti mi gencris in(trumenta folum funt obie €tü,nona&iones,quz à rali facultate non ms cote La en apsedo! argu mento a(fumpta, fcriptoria.in: à y medicina, &c. (unc arce chic  logica veró;primi: vt oftenfüm  Ad negari poffet operationes volun» tatis, quatenus dirigibilesetle obicéum: in Ethica; cum potius it homo;quarenus. bcabilis, vt innait Scot. q.3. Prolog.ad 3.. 1.3.Conceffo tà hoc;,negari debet pari. tas alfumpta:de Erhica,& log.quia Ethic. non (olümtradit regulas, &.pracepta o geracionum voluntaus, verumtiam elici ué attingit: operati i E" logica vcró: nonita fe gerit circa opera "DEM, lugiertoce denke, Guo kir ica. docer definire; diuidere. I& rócinart idecaliter ufi, quatenus tradit niirumentadire&bua apprchéiionisrudii PsC cmi usjqua st definitio, diuifio,. Catgumentatio; cx quoequitur porius. T Burüricica diflmeicon vclüt obicctam,quam circa.eperationes; Cüm vcrb dicitur;i flhzc non cffc nin ipfos a» ul 4 I facio conicepcus f. 165 &us intelle&us apptehédendi, iudicandi, &c.refpondemus dcfiniuionem, diuifio nem,& argumétationem dupliciter fumi poffe,vcl formaliter quatenus funt actus, genus apprehendimus,iudicamus, et di currimus;vel obicétiué, quatenus funt in ftrumenta quzdam dircétiua aGtuum in tellc&us sin quod'munusterminare pof funt actum intelleé&us, et tanquam obice. Ga fcientiam conftituere, fi primo modo confidcrentur, vt/q coincidunt cum ope rationibus intellectus;fed nó fecüdo mos do;jin quo tantum hic de illis loquimur. Tertio adidem vrgct. Ouuied. contt, 2.log. punc. r,à nu.18. probanslogicam primario, et per fc non agere de conce ptibus obic& uis. fcd tantum fecüdario y quatenus hi funt obiectum formaliü'; lo gica immediatiusagit circa cóccptus for males, $j circa obicé&tiuos, ergo &c. Pro batur atiumptum;conceptus obic&iui re fultant ex formalibus,& catenus potett il lis, aliqua regula przícribi,quatenus for malibus prz (cribiturcum.n;in (cipfis nó fiantfed tátum in formalibus, ex quibus tcíultant, fic infeipfis dirigi non poflunt, fed tantum in formalibus,crgo immedia 'tiusagit S aes dc cóccptibus formalibus, "quam de ob:e&piuis. Conf. eatenus pote ft agere de concepubus obictiuis, vt füb« funt formalibus, et dc illis pracepta tra» dére;quatenusab ipía fü, ledc onccptug obicctiui:,. vt disci tantum fiunt à logi Ca, quarenuszab ipla fiunt formales, ergo tantum agere poteft. de: conceptibus. o bic&iuisvt füb(unt.formalibos,quatenas agit de formalibus, maior. Gemma tradereniur precepta. de illo: quod fieri nequit; et fin;iliter minor, Conf. rurfus y Conceptus obicctiui,vt dire étisfeu vc for malibus füblunt,j'et tc noo fiuntled'tan tum rcíuültant ex formalibus;.ficut deno ginatio vifi refultat « x wfione,& catenus tancum poffunt bené,vcl malé fieri) qua tenus bcné, vcl malé fiunuformales, ergo: tota dire&tio eó debet tendere, vcr fiant formalcs,. quibusrcété a&tisobie Guuosefle dircóos ncecile eft.. Demum ivo esu per cwn do ccor uod facio. à tantetn ; Ass |  i lo gica s 184 ta doceor cir&a conceptus formales, um quia logica docemur dcfinire, diui dere, enunciare, difcurrere, quz omnia confi (tua in operationibus nofi intel lc&us. d Kefp.in hacargumentatione magnam effc confu(ionem, et vocabulorum abu (um; tiam per conceptus obie&iuos intcl ligit definitionem, diuifionem,& di(cur fun obiectiué fumpta y. inepté vocat hzc inftrumenta directa,& regulaca per con eptus formales, nampotius res é contra e hàbet, quod.hac fumt infltrumenra di re&iua,& regulatiua conceptuum forma lium, vt conttabit ex infrá dicendis dip. 1.q 1r.cóceptus. m.obiectiuus eft,qui diri  git a&um pofteà eliciendum;(icut.n.qui bet artifex, vc opus fuum rcété efficiacy prius illud mente przconcipit, qualiter fit efficiendum cogitando rcgulas,& pre €cpta tale opus Wt fic iotelle&us yt rcé&té definiat, et difcurrat;confiderat zcgulas, et praccpia definitionis, et di fcuxfus, &. virtute huiusnotitiz, et có eeptus obiedtiui re&té deindé elicit, et ef ficit a&ualem dcfimionem,& dilcurs ; non ergo conceptus formalis dirigit, Sc regulat obic&iuum, fed é concra ; Rurfus falsi eft coceptü obicétiuu refültare ex cóceptu formali, quia nÓ actus pracedit obic&it, (ed obiectu przferzim motiuü., et meníüratiuum 'actus. pra&cedit actam ápfum;hoc animaduerté placuit,vt pateat uoncs ip arguméco alfümptas nó ellc abíoluié veras, vc proferuntur y t& oe «per folam negationem: propoficionü vi dcamut velle argumentum ditíoluete, ad. emen per. conceptum obicdiuum doo iniclligi poffeyniaucte et entitatem i bici: dcnomipationem ip(am era  i et obiecti, quatcnusa&u obicitur in. teilectui;sih primam conliderationé pla. num cít conceptum obic&iuum prace dcre formalem;quia hoc paéto iam.ficat obicétum conce pribile, (ed in alio fon(a vtid. cóc epujsobic G iuusrefuitat ex for mal: quia fignificat obicétam actu con ceptum, Íeu.vc actu lubeft conceptu for mali;Cum ergo io ar gumento, ciak.j.can firmationbus ait Ouuied. conceptum o bic&iuum relultare ex formali jac per ip ' Queflio "Proem.de Natwa Logica : (um regulari, et dirigi ; fi id intelligit de. conceptu. obiectinoin primo feníu, cff omnino falíum,fic.n. potius cóceptus for malis fit ex obie&iuo, et per ipfum men. furatur, ac dirigitar ; fi veró intelligit de. conceptu obiec&iuo in alio fe rum dicit,at non in hoc fcn(ü dicimus in flrumenta (ciendi obie&iué fumpta effe fubie&um in logica;& per banc ini patct ad argumentum cum fuis confirma, tionibus, et dignofci poteft abuíus mal. torum vocabulorum, quam ibi habet hic Auctor, . Deindé folutio ipfa, q inibi Ouuied, innuit ad hoc argumentum, (afficere Íct,nam dici poífet co argumento proba ri a&us pra&ticos logicz tantum tendere Circa conceptus formales, daritamcen in cadem logica alios actus [peculatiuos, g, ver(antur immediaté circa conceptus o.  bicctiuos, hac itaq.folutio fufficienseft y quia coníonat do&rinz (upra tradita de. logica docente, et vtente, nam] tens cít, quz a&ibus.(uis practicis. " immcediaré IcGasoperationcesinelledus   decens vero non elicit ilasoperationes,   Íed fitticin, (ola contemplatione regula jumyquibusiliz dirigi valeant. Verü hác luioncm icijcit Ouuied.uia nullus a €&us fpcculatinuszepcritur inlogica, et quando hi datéur in ipa, immediate fog. ea males couceptus intucbuntur, 9 fic pro bat5logica non fpeculatur res,lecundum: Ác [umptas,fed formaliter quatenus ditc &ss,crgo idygy formaliter Ípeculato cai ü dire£tiosled directio ipfarünihil a liud efi,g formaicscóceptus, à od bicéta cXtrinfccà directa dicüur crgo €p formalier logica immediate CE tur, tantum cft dire&tio conceptuum. o bicéttucrum;qua non diftinguiuc ceptibusformelibus, Scd hec ip(a impue atio rui fus confundit terminos, et nis i| concludit, fatum namq. afiumitdu : Pettoquod [a dentur in logictacm cculauui, et quod ifti non immediat vcrientur circa conceptus obicétiuosin fLrumeniocum fcendi ; vndé ad ant dcns dicendugi cft isetpiocdpete ue cula rcs (ccundum fe fumpta, nonta men (pcculacui cas, quatepus dizeGras. y : proprié nüvtiq.ve.   | ogiav. X h ? ys nn $ e £A Al uh 37 ^ De adesüato Logica olieflo, c/frtkculus H1. E loquendo, fed quatenus dirigibi ' les,fic idjquod immediate cótemplatur, funt inflrumenra (ciendi ; quatenus dice €tias; et quando etíam concederetur, id iod immediaté contemplatur, effe dice Sion ipfam, falfum eft hanc effe dirc ionem cóceptuum obie&tiuocum, quia vt di& am eft, dire&tio immediate cadic fnperipíos adus formales, et hec exetce tur attendendo ad tegulas bene definien di,diuidendi,& di(currendi, quz docen tur in logica, vndé omnes fcré jppofitio tics in argamento affumptz (unt falíz. 37 Quartó obijcit P. Fuentes cit.ar.ó, agumenttio fola,teu fyllogifmas e(t ve «6 modus, et inflrumentum (ciendi, quia habet vim ilatiaam,non autem deé&nitio, et diuifio, ergo folus fyllogifmus € fubie «&ü in logica sra fe: Probatur a(famptá ; nam definitio, et diuifio, etiamfi fup nantut ad (cientiá, non camen modá (cié di tribuunt, nifi quatenus vi fyllogiftica diriguotur;patet in hac definitione, Ho mo e$t animal rationale,qua ticc (cien tia c(t, nec poteft modum (ciendi tribue rc,niti ia fyllogifmo con(tituatur hoc mo d awniététiGifeniial rationale,Pe £rus efl bomoyergo efl animal rationale, ergo definitio non eft proprie inftrumé «am fciendi,R e(p.nos hic nó accipere in ftrumentum(ciendiintanto rigore, fed iuxta communem loquendi modü Sum muliftarum qui illad definiunt, quod fir oratio mapifefLatiua alicuius ignoti, quo modocüq;id fiar,finé pec vim illatiua,fi ue alio modo, et nominc modi fciédi in telligimus viá quandá di in&te cognofcé di id, qp antea cognofcebamus confuse, quo fenfu definitio,& diuifio fant in(iru menta (ciendi, vt magis patebit difp. feq. PR | etit upeeffeutia Logic, Jn fit. fcientia. 38 Q'Ex genera notitiz intelle&ualis ; i; u&s precipue dc habituali, tra Ee Ari ea mre irme p notitia primorum principiorum,qut boeistails tus sfebtirar cx la termino rü apprehenüone abfque difcurfu; (cien tiam que cít notitiaccrra» et uidens de I 4 185 obie&o neceffario habita per. difcurfum (yllogiflicü, fi proprie (amatur, vt de ea loquitar Arift. r. Poft. c2. Sapientiam, redis notitia rerum pra tanti (Timarü' maximé vniuer(alium, vnde Metaphy (ica dicitar proprie fapientia 1. Met.c. r. Prodétia, que eft nouda directiuaactio gum humanarum, vt bené fiant in gene te moris, et laudabiliter. Artem, qua eft habitus cü cationc a&iuus, vcl factiuus., et Opinionem ;quz nócfít notitia certas et cuidens ac de obicc&to neceffario, ft probabilis& ob(cura, ac dere contingé   ti. Vt ergo quidditatem,& nataram logi cz atiidgamus,videndü c(t (ub quo horü habituam intelle&ualium. contineatur, Quod.n.quamplores a(ferüt,vtc Zab.lb. 1.de mit. Log. Balduinus q.7 .Niacr q.ij. Chyp.Zimar.in Tab. verb. t bfurdum cft logicam ad mullum ex his generibus pcc tinere, (ed efe. peculiare quoddà o notitiz,quam vocant habitum,feu facul tatem inftrumentafem, et mod (ciendi, ex hoc ipfo rcfellitur,quod mácá faciunt, et infafficicnté diuitionem ab Ariít. cir. de €  intelle&ualibus vt fuse proícquitur Faber theor.1. cap. 5. ; Neque ad rem cft ; quod pe^ exco gitauit Auet(aq. t. Log. (e&t.s, vt aliquid noui videretur afferre, quod nimirü Lo gica inaliqua fui parte eft e(sétialitec in tellc&tus, qui continet quaedam princi « pia ex terminis ora, et per (e ftatim euis dentia, caq; tradit in otdine ad dirc&io n€ noftra coguitionis ; et in magna par tecít effencialiter opinie:nam ca, quz fa» fins, et acrius perira&átur in Logica,funt illa, quz in difputationem veniunt, qua au &oritatibus, ac rationibus probabili: bus tranfiguntnr,& varijs opinionibus in partes contrarias refoluuntur, nec ha betar certitado, et ctiidemia veritatis, ficut ad (cientiam requiritur, vndé in his omnibus logica eft opinio, non fcientia ; concludit randé effe vere, et i£ (cien tiam quantum ad illas vetitates,& come slu "erepti quas ccrtà ; et eui denter probat . Sane inurilispror(us e(t. hic labor Aucrfz, et minime noceffsri s; tam quia ita quo:] ; res fe habec inceteris fccntijs,qualibec.n. fua principia habet pe 166 erfe nota; et in quacunque plora proba iliter difputátur 2b Aucteribos jp vtra Que parc: tum Guía quando proponitur ueflio de aliqua facultate, anfit Ícien tia, fern o inflituitar non de notitia prin cipiorum primorum in ca facultate, fed de notitia conclufionü, et querimus,quo modo proccdat ad probandasillas,& ex' tali yrocc(lu arguimu$,an fit (cientiayvcl opinio: tum tende quia códitienesfcien tiz,quz ab Arift.infinaantar 1. Foft.tex. . et 6. Ethic c.3. ad tresreducuntur, rate fubie&um, quod illud (abic&um babeat paff;ones, et cy hae demonflrétur de illo pcr caufam,eirgo eo ipfo «p aliqua facultas habet hzc omnia, licevalia quar dam quazfita minoris momenti in ea fa. «ultatc cadant fub di(putàtium opinione, abfolute ramé (acultasilla dici deber fcié tia,qna ratione etiam Auerfa loc. cit. có. claudit Logicam abíoluté dici debere (cié tiam,& ità cfl loquendü in caeteris (cicn tijs, etiamfi multas contineant cóclufio ncs probabiles, vt bené notát Atriag.di fp. 3.Log.fect, 2.& Onunied.cotr.2.puc. 3. . $9 Extant itaque in. hac re quatuor placita,duo extrema, et duo media: Pri ma fcntentia extrema cfl eorum, qui ab fcluté negant Logicam tàm docété,quam etenrem cíle íÍcientiam Eo rcícrütur Simplicius, Amonins, Philoyonus, et a lijvetcres,quos fcquitur Villalp.q.5 .pro cem. nda extrema aflerit vtramque eflc (cientiá,'ira Murcia q.3. proc m. Di dacus à Iefu q.5 .Cauero dilp.2 dub.4.& alij moderni . Tertia media vtentem 1L0 | ait efle fcientiam, nó quidé diftin am ab alijs (cientijs, fed; eflewariasip fas (cientias, docétcm vero, quz preprié eft logica ab alijs (cientijs vnd Sg dt e(fe (cientiamita Zab.loc cit.vbi tcftatur hanc ctíe comunem Grzcotáüjfententià . Qyuartatandé media, quz eft Latinorum : coatra ee vtentem Logicam nó e(Ic fcientiam, (ed potius artem, bene ta : mesdoli ita Scot. t.vniuer(. qué fcquontur $ z omnes Maur. Anglic. Sarnan. Brafauol.ibi, Faber thcor. 1, Fué tcs d» f» diff.vn.ar.3. K Occus q. 1 prooem, et Tatar.tenet ctià D. Tho. 4. Mct.lcé&.4. cii (uis Sot. Sanc. Mal. Cópluc, Scd inter  Z)ueflio Proem.de Natura Logic  iftos adhac quzftio eft, an Logctdoinr] f ulti namq,   fe quoad oés partes fit (cictia, m Topicam excludunt,co quia procedit ex cóibus ; vnde hac rauione nolnot cam ap pellare docéteos, fed vtentem, et in hunc Ícn(am Scotiftz quamplures Scotíi inter pretantur q.t . vniuerí. quando ait Logi €á vtentem non efle fcienriá, quia proce ditex comunibus, ita Sarnan, et Fab,cit, 40 Dicendum ett, logicam docentem quoad omncs fuas partes effe (cientiams nonartem,vtentem vero artem, nó (cié  tiam: Ita Scot.q. 1, vniuer.& q. 5 .Elench, vbi Maurit. et Anglic. Probatur at pri mo, quod fit fcientia qnoad omnes par tcs, quia Logica demonftrariué procedit ad fuas condlufiones probandas, non fo» fum in parte analyrica, fed etiam in topi ca, et loj hiftica,nà vt Maur.ait,ita pro babilitas dc fyflogifmo diale&ico,& ap» parentia de ophi ftico, et neceffitas illa tionis de (yliosi(mo fimpliciterfumpro   demóftrátur per propria procedere cx. necceffarijs S rilogitia demóttratiuo, ergo quoad omnes partes efl veré fcientia. lrobaturaffumprumex 2" Scot.q.3. Elench.ita enim bene oftéditur apparentia de fyllogiímo fophiftico, tan uam eius pafTio, per ynitatem wocisin allacia zquiuocauonis, tanquá per pro« prium mediü, (icut riibile dc homine p.  animal rationale, ita ctiam per propri mediü probabilitatem demonfítrat conftans ex probibilibus preniffis natus. eft infcrre conclu(ionem probabilem, fie.  cut conftans ex neceffarij$ patus eft in fcrre neceffariam, cá ergo do&tripa, quá. Logica tradit de (yllogifmo probabi E umc  à probabilia ded logifmo Topico, quía omnis fyllogifmus N " ) "ut í o ve x Net ? apparenti in Topic.& .n0 fit. pro». bolilis Ac gitio( aed eerta euidens,ac   illa,quami tradit ip.patte apalytica de des monítratiuo, confequens eft,vt Logica docens quoad raf pis fit (cicntia proprie dicta,quia fimili etià modo pro». bat qued vniuer(ale pra dicatur de pluri basquia sd in multis, quod dcfinitio eft; ftatiua quidditatis rei, que coftat egest deni Icio  Kefp.Zab.cit.c.3. quód licet doctrina Logica dicipotlit Siena cspicodo (ui£c, tiafh pto coenitione certa, et euid&ti ac  cm ex vi fyllogifmi necefsarij; et cui dentis;tamen nequit proprie dici (cien tiajquianon elt de obic&to j 10,8 &terno,vt ad (cientianr cxigitur r. Poft €. 24quia verfatur Circa (ccundas intétio fies,quz funt merécontingentes, et tan diu funrjquandiuab intelleGu fiunt. '" 4r Fabercit.c.3 vt oft omo. do ctià cnria racionis fint íuo: modo. ne celsaria; diftinguit tres gradus neceffita tis,in primo ponit (ubftantiamyim 2.acci dentiayin 3. intentioncs logica les;quas intantam vültefse nece[sarias ;, inquantum fündamencunr habent in rc bus,& mon perperam. finguntur ab intcl le&u noítro,in quo diftinguuntur à fig mentis, quod ibi longo fermone decla: fat.Sed euaíio: Zab.varumvalet,& Fabet laborem aísumit voltarium, quia vt do cet Do&or 1. d.3. 4. 4. non exigitur. in. Obiccto fciétiz niece (Titas incóplexa, nec: dc tali loquitur Arift. alioqui nec Philo fophia, mmo nec vlla cognitio: de rebus: ercatis poísec habere rationem (ciétia,cü omnes (int corcuptibiles, et (oià de Dco. fcientia torct, fed (ufhicit neceffitas co | plexa, .i.neceffiras connexionis. ajicuius: predicai cam eo,& talis neceffitaslocü quoque habet in entibus rationis,. et (e cundis intentionibus, namrdt ipíisenam formari poísunt propofitionesgrernz vc ritatis comungendo:cua» cis predicata, quz ipi: s necefsario competüt, et talibus: propotitionibustota logica eft plena ; vt quod Genusgradicatur de pluribus. fjpe cic di ferentibus de quocunq; dicitur (u bicétüm dicitor quoque pradicarü.Cui: accedit; nftàt ía Lab. procedit ecd. foltim fn logica Atift.qua ett de fecundis. . imeimiónibus, nonautem in logicá abío liiéfümptas et ex natura rer. quo fen(ü. agit dc inl'rumencis fciendi realibus.. " Relp.alij;nonfüfficeread (aentiam ;, quod fit cogaitiocerta, X cuidens, et de Obic&o ncceísario habita per demóftra tionem;fed adhuc eíse debet ob (olam ve titarem;in qua fittatur,at logica ordina 1ur ad opüs.nimi nimirü ad cfliciendas rc&tas. eperationes intcllectus.Sed hec ecià cua fo nulia eft, quia hzc nonett conditio. 167 fcientiz abfolaté (amptze, vt patet ex 17 Poft.c. 2. (ed (antum fcientiz fpeculati uz, et hzc.ip(a ordinatio ad aliud non  Ampedit, quinaliqua cognitio fit (cien tia;alioqui nulla practica foret fcientia . 41 Sccundo probatur logicá docenté nópofsc dici artem ; quia vt colligitür ex Arift.6. Echic.cap4.ratio artis repugnat fcientiz, nà ats circa (ingularia verfatur,. veríatur.m.circa gencracioné rerü, et ge ncratioeft Gngularium,fcientia veró eft wiucrfalium;ars.agit de cótingentibus, fei&tia de rebus neceísarijs,ergo cum lo ica docens (it fciétiayno potcft dici ars; um quia logica docenselt habitus fpe» culatiuus,arsomnis.auté c(t habitus pra &icus,& operatiuus faltim prout pra&ti« ca diftinguiur à theorica,vnde D. Thi r. Mer. lec. 1. diuidit acté contra rationem y aye et llamq; ponitin parte pra ica intelle&os. Tum tádé quia finis. in trinfecus artis eft opus,vndé definitur, gy fit habituscü re&a ratione fa&iuus;opc ratio vctó dire&ta nócft finis intriniecus logice docérs,fed tárüexirinfecus, vt pa tet cx z:art.nó.n.ipfa efficit fyllogi(mos s fed efficere docet, et in cali cotéplat. fiftit, Terti&» quod cx oppotito logica vtés. non (it fcientia,(ed ars; probatur, quia lo. gica vtens proprie louendo cft habituss. quo inftructi facile coficimus definitio ncs,diuifioncs, et (yilogifmos iuxtà prae hse docentis logicz cum ergo circa [in gularia verfetur, et resà nobis operabi les,non erit fcientia, (ed ars;, quia ars cft hibitus.cum re&a rationc fa Guuus, cum. veró non efficiat opera externa,fed intet na,nou erit arsmechanica, qua "ba PrA bus exiérnis.confumatut, (ed li i5 in. bonum animi ordinata, et ità'cam appcle làuit Suarcz in Mct:difp. 44.in finc .. Refj. aliqui ad riuonem atus rcquiti s, quod: todugat opus cxcernum; tà. ndo cuitsc videtur. Arill. 6, Ethic. c. 4« atque idco i« gicam vienté non pofsc dici arte i Sed Cónuà,quia vt bené nocat. Blanc, difp.2.proeim fec. s.cx co,quod opis fir cxcernum, vcl jecraum, non tollitur ab. to ratio opcris. artificiólt, ergo nc]; ab habitu tolletur. ;atio:acas. ex. hoc quod | itlud;vcl iliud cficiat ; peobatur. als piumy rés Sueflio Prowem. de Natwa Logica ; ptü,quia proptia ratio operis artificiof f €o fiia cít, vt fit conformis regulis artisy pót aucem talis conformitas in opere re periri,Gué fit externum, fiu&foternum   Accedit quod fi ad rationem artis necef faria forct cffectio externi operisgartes li beralcs amíttent rationéartis, cum inte rius praefertim coníumentur,vt pote quae ordinata funt in bonü animi, nó corpo ris. Acift.auté eir. idco prasfertim habi tui fact iuo, .1. cui opus exiernam cotrre f[pondct,rribuit rationem artisquia ficat in opcre externo,wt potc fenfibiliori ma gis apparet reecptio dire&tionis facta per regulas attisquam in interno, ita in habi tu factiuo etiam magis apparct ratio ar« tis;noob id ramé abfoluté negáda c(t ra tioartis habitut a&tiuo,& immanéti, qua liscftlogica vtens, nam Arift.6.Met.c, 1.dimditartem in artem actionis, et ef f£cGionis, vc notatidem Blanc. lib, 1..in füt Di«lect, fet. 4. 43 Quarcsan logica faltim vtés paf fiué (ampta nimirum pre logica 1pía do cente cateris [cientijs applicata:, vtfic y poflit dici (cientia ?: Negat P. Faber c. 1. concl.2. quia tahs víus,& applicatio nom habet vim tribuendi logica ratione (cié tiz, fed potius (upponit habitum logicae intali gcnere conftitutum, ergo füb tali fpeci catione recipere nequit denomina tionem foentiz. Sed potiuscum Tat.q, S primo (eiendum,dicédum c(t e(lc fcientiam; quia in hoc fentu. non eft habitus diitinétus à logica docente . et fub hac fpccificatione adhuc dici potefk facnua. y imo hac ratione paffim logica dici 16ntià communist docet Scot. MU Laeinón crgo hae cóitas víus,.& applicationiseius«uibulcunque,fcienti js tollit.; quin adhuc iub tali communicate dicatur fcientia, et vt fub tali víu potlit dici fcientia,non efl necclTeyquód ab co dcm v(u rationem fcientiz accipiat, w« Faber velle videtur, fed fofficit vt ratio fcicntiz, et vfusmon pugnent in codem Babita,& ità clt in propofito, Soluuntur obictriones  I oppohitum obijeics 1.au&t. Arift.g, Logica docens non fit (cicpua nam 1. EK:hic c. 4«ait tollere naturam logicee,qui cam non vt facukatemy fed vt (ciétiá traà dunt,& 1. Topic.c9.enumcrás tría pro» blematum generasdeect,quod alia per fe refpiciüt cle&ionems& fugà,vt funt proe blemata aétiua, alia per íc t€.tüt ad. wetie tatem y et feienciam, et (unt ípeculatiuag. alia demum ait vtrique parirauxiliari,.86   funt preblematalogica . Et» Met.ig, ait abíurdum efie quarere imul (cientids   et modum (ciendi,vbi per modum (cien  4 di intcliigis logicam fecundum omne$  expofiuenes,ergo cum diliunguat Arifte  " fcientiam à modo fcicndi noneri^1 Íciétia Er 4» Met, g.& inprincipio Rhet,  airlegicam non tractare dealiquase de» terminatacum tamcnícientiawctíaridoe  bcat circa obic&tum ccrtum 5, et ei pro h prium. Ex demum 6. Met.c. pui Y^ Ícientias [peculatiuas logiczz non memi nit(cd:tantum recenfet. Mathematicam y hs na diinam, |... 07 ibi V 44, ad primam,nonnegareibb&  efleícientiam abfoluté, fed qualem ean, aliqui ponebant, vt..non eet difciplina  organica, et alijs fcientijs premit "A" reprehendit enun cos y. quiin Dialectica. "12 de materia omnium íeienuarum promie fcué difputabà& monceteá debere pre mitti alijs (cientijs Ad 2. inde Dacis. GN giturnon effe (cieniam, fcdefiefcientii;    Organicam,non autem prorfus gratia fulg vt luncalz icienüz mecéfpeculauuz »« Ad3.air Doét.q.i.vnia ogcamdie €: iódum fcienditnó£ormaliter,& inre» éto,ícd materialiter tác et in obliquos,   quatenus cft de modo fviédi, tanquam. de eene Obicito ipe MN pus rs inteiligit fcientias qua: (unt de rebus, S non dc modu fnb » et quia priusdebeg A €ognofci modusíciendi,quàm re$,1deO ait Acificabturdum cie. virumque final. Quaccic. Ad 4logica quantum ad dotis namcftdecerta ro,& determinatoobite  &to,quod cítinttrumentum (cienduinto ta logica abfolute sápta, vel fyllogimus in Logica. Ariítot, fed quantum ad vium verlaiscirca omnia mdeterminaté, quia ov nibus (cienujsapplicatur.vode dicitur Ácientia communis. Ad $,.iam füupra.ftae tuimus logicam clle pan Pisloopbue, aique idco piter etas o Iüm,  Wrum, preterquam quo locüs ab aucto fitatc cena nihi! probat .  Secüdo arguitur ad idem rónib.fcien tia cf dé neccilari]s,& perpetuis vt do cet 1. Poft Arifl.c.a.& 7. fed logica do €€s cft de contingenubus, naui tt de fe cundis intentionibus, quz fiunt ad libicü noftrum . N«c valet folutio fuperius al lita in conclutione probanda, f: in fecü dis intentionibus ipueniri etiam fuo mo do neccflitaté cóplexàá.i. neceffariá con nexioncm quorundam prazdicatorum cü iptis,& hanc ad fcientiam fufficere; et ar gumentum ad (ümmum concludere de 1.: gica Ari(t.qua vtiq. eft de feceadis inte tionibus;oon dc logica in fe; quz cít (cie &ía rcalis . Neutra folutio valet, nonlpri fa, quia cxttema propofitionum logica lium funt corrupribilia,ergo ctiam cóne xio, qua fuper ilia fundatur, quandoqui dem deftru&o fundamento labitur quoq. fandatum,neq.(ecundasquia ctiam logica in fc tractat de inftiumentis fcicndi, quae funt resà nobis operabiles,ac proinde. » contingentes,  4$ Kefp.optimam cfle [olutioné alla tam, ad impugnationé dicimus cx Scot. 1.d.3.qu. 4.duplicem effe neccffitatem, et imutabilitarern connexionis, vnam fim pliciter, qu compctit cxtremis defitioni non obnoxijs,alteram fecundum quid, d cadit inter extrema |, quz licet in fe iint cotruptibilia ; hibitudo tameb inter ca nüquam mutari poteit infalsa,& hac ne "€ellitas reperitur in propofitionibus Lo gicalibus. (v ficit ad ícientiam, alioqui argumentü yrgcret euam in propofitio« "pibus Pbyficalibus,& M aremaricis, qua rüm cxtrema funt corruptibilia. Nec euiá argumentum concludit de logica in fesga licct intirumenta illa quoad exiftentam fint rcs contingentes, et à nobis operabi ks, neccfíaria camen fut quoad poflibi litaiem, et in hoc fcn(uconflituuntur o» bicétum logica in (c . i oo. Tertio probar, &p (alim in omni fua partic non ii fcieniasvt doceps,nà inlib. Top. inftituit modum, quo precedi pof fit ad«onclutiones in fingulis (cientrjs p babilitcr ofiendendas, vnde T ojica dia Vr procederc cx «oibus;ideo Do&t.qu. 1. 2o Logica  wh fit fientia crticulus Quartus ; 169 vniuerf.negat effe fciétiam;In lib. E éch. inftituit modü,quo poffimus decipere; et fophi(mata efformare, vnde vocatur ars deceptoria.K or(us non omnes actus pro cedentes ab habitu logicae docentis funt fcientifici,imó potius generant fal (itaté y nam fi bic cóficiatur [y llogiímus in Bar bara, On:niscaniseft afinusjomnis homo eft canis,crgo omnis bomo eft A finus;fa tetür logicus cffe dilcurfüm bene confe &um io Barbara, et tamen generat fal(i tatem. Demum logica non acquiritur pet. demonítrationem; quia tüc ante logicam. danda cflct alia logica, per quam illa de« monftratio effet nota,& fic daretur pro« ce(ius iminfinium, crgo Xc. : 46 Reíp.ex Scot.q. 3. Elench. g licet logica inftituat modum, quo proccdi p fitad cóclutiones probabiliter, et etiam fophifticé oflendendas, hoc totum tame den:oflr itiué tacit cx proprijs principijs oftendédo prcbabilitatem de fyliogifmo Topico;apparentiam de Elencho; Topi« ca veró dicitur procedere ex cóibus, quia quando applicatur ad alias (cientias, vti mur fuis locis coibusà definitione;à có« iugatis, à wac ade quo fcn(u vtige non cfi fcientia, Ad 2. poreft in eo, et fi milib.fy!logif mis ccnfiderari conícqués, et con(cquentia, et licet non detur in cis a&us fcientiz confcquentis, quod jo riam concernit ; datur tamen vcrafCiens tá confequentiz, quz refpicit formam et cum ab habitu logicz depédeát quoad formam, et fccundum formam fint opti mé difpofiti in modo;& figura, fequitut fcicnuficum effe habitum logica, et ad a &us (cientificos inclinare. Ad 3.logica.» acquiritur pcr aliquam vnam demonflra tionem dirc&am;& regulatam à logicazas naturali,v«l artificiali imperfe&ta . Quarió arguitur; quod logica docens fit ctam arscum Ioan.de S.] h. p. 2. log. Q. 1 att. 2.& Aucrí, cit, quiaars eft reéta 16 opcrum faciendorum, talis autcm eft logica docens in ordine ad operaciones intclicétus. Tum 2.quia duo requiruntur ad ari&yex parte matcrig y «p bt capax re» gulaaonis,cx parte fortia; qui ic habet vc regula dirigens, q» tiac directio per cer i deicrminatas regulas, v ruing. ad ta, "s gu v là w  Cue emm 1205 elt in propofito, nà opcrationcs intelle &us, licut (unt capaces erroris, ita, && dire: &ionis, et cem habet certas, et detere minatas regulas, ergo nil deficit,vt ars li . Beralis dicatur. T 3. quia ró artisnon re pugnat cum fcientia,nà licet.ex parte ap plicationis hic, &,püc faciende ats fit de fingularibus,& contingentibus,tamen ex. parte regularum eft de neceffarijs,& vni ueríal ibus,illa.n.süt certae, et determina tz in vniuer(ali. Tü 4.quia, vt ait Auer(a,. preter noritiá vniuer(alem logicam da tur particularis, et determinata ad hoc o p eiocri cta hic, et nunc; ergo faltim ta. is notitia dircétiua, quz (pe&tatad logi cam docentem;erit propriéacs. Tum de niq.quia falsü cft omné arté cffe habitum. practicum,id.n. verum ett, quádo cius o pus cft praxis,non autem quando cft pu.. £a Ípeculatio;vt cf in propofito .. 47 Rep. negando a(lumptum, 9 illa. fit complcta ró artis, nam 6. Ethic.c. 4.de finitur, quod (it habituscum recta rone. €i üctus ad c (ficiédü idoncé, ex quo col; ligiturartem integrari cx habitu cogniti «o in intellectu, et operatiuo in potentia: excquente,(iué fit ab intelle&u diftin&a, fiue non, et r6 eft, quia finis intrinfecus. artis.non cft fola cognitio modi, quo ope rari dcbemus;(cd etia ipfum opus, modo. logica docens íiftit in fola contcmplatio nc rcgularum,;non auté cfficit rc&as ope rationcs intellc &us;(ed hzc cft logica v. tcnsquz 1dcó dici potcft ars.Ad 2; pra. Ter ila duo requiritur adhuc, vt habitus, qu didtutart;phyfci, et excrcité.intto» it formam in materiam capacem di tc&ioais, quod non facit logica docens,, qua tantum deceunon autcm cfficit: Ad: geneguns affümptum, ad probationem: ndüm artem przícindi noa poffe ab; aprlicatione ad opus bic, et nunc exercé. dum, cá fit habitus (uapte natura cffti wus cuius. proindé finis exiríníecus.cft o pus; et ideó 6. Bihic. c. 3.ait Ariftartens: "werjart.circa. generation mrerum.. Ad. 4 «9 ctiam potis arciculáris e: poteit propriéarscadé rone;quia.f. phy ficé non attingit opus y. quod cft crm artis, fcd raptum idealiter, et dirc&tiue, . Ad 5, ais ois dicitur habitus practicus: ;. Queflio PioemdefNamraLofiez  00 uatcnus cft operatiuus,& effectiuns,nGk  Mibin fimplici contéplatione cófiftes. etiamfi operatio, quam attingit, non fit praxis. Hac tamenratione negant Come plut.q.6.etfe proprie artem,quia nó ope« ratur ca intentionc,yt opcretursfed vt co, noícat,& D. Thom.vocat artem fpecus. [Dem 2, 2,0.47:att.2.. Quintà tandem obijcitur ad proban« dum;quod log.vtens fit (cientia; quia sm. cóionem eft idem habitus cum docente, cum aüt ex natura rei, et non ex'coníide C ratione no(ítra habitui cGucniar effe (cié  ? tificum;vel nó.effc, plané (1 docés eft fci& ^ tiayerit etià vtéSalioquin de codem cons . t E tradictoriaex natura rci verificarenture Refj.hoc argumentü faus moleftum effe. $£ ponenubus logicam docentem, et vréem:, eundem liabitü realiter importare, vndé: t valdé laborant Compl. pro cinsfolutio  ncdifp.i.prozm.q.6.Fuentesveró mira:  biliacffütit indigna plan&quereferáturg;  Didácus q.5:prozm..vt confequenterlo:   quatur;conccdit logicam vtenié etie (cié: tiam; nobistamenargurnenummihilfa.  cefTit negotij; quia concedimus importa . re diueríos realiter habitus, immo hac eratvnaraio,quaid probauimuSart.T.. «, ^4 í 1 L^ MDe qualitate Logices 4n fit fcientiavea:   lis, fpeculatiua s. 0 0000  48. pr Itcaqualitatemiftius(ciétie dus.  C plex occurit difficultas;Prima as» » eft;an fit fcientia rcalis,vel rationalis;nec  cft difficultas de logica intrinfecéconti  derata;& formaliter;in hoc.n.(enfuy cum fit vera qualitasde prima fpecieynnlli da.  bium ett efle (cienuam realem, (cd d'ffi cultas cft de logica extrin(ecé et obie&i ué contiderara. R cc orc sjquamplures,, et przfettimsqui arc.3, afl gnabant, caobicdtum operationes inteileétus; de . fcndünt logicam effe [ciétiam realé, Qui . vcro ftátucbant obicétum cns: rationis 9» aut.(ccundam intentionem », vel'aliquid. confimilea(icront coníequéter effe (cic . tiam rationalem, et ita (u viden. turThomittz,& Scotifla $ excepto ; P onco difp.a.à. fe ! Di $ ir ^ x e fit fcientia vealis, e» fpeculatiua stet V. T "'Dicendumlnobis eft corifequenter ad iibi didta;g logica cx natura rei eft (cien 3tia realis,(ed prout efl ab Aciít.contexta eft (cientia rationalis. Pcobatuc autem có clufio euidéi(fimis rationibus: Certü eft fcientiam pendere in fuo cffe, uari ab obie&o, nam fcientia eft alicuius ffcibilis (centia, vnde impoffibili exiien te aliquo obiecto, impoffibilis quoq. eft "fcientia illius obie&i;fed fi impo fibile.fo "ret ens ronis, et quzlibetKecunda inten tio, adhuc extaret, vel po (fibilis fotet illa "fcientia, qua logicaimuncupatur,'ergo ex nacura rei cít ícientia.realis; probatur mi anot;ti nullum daretur ens rattonis ;ad huc ántelle&us nofter poffet operari,quia ne que incelle&tus, nec eius operatio pendet bs ente racionis fed € contra;& eius ope itatio poflet adhuc dirigi » et regulari pr aliqua pracepta,ícientia vero tradens hu iufmodi przcepta efTet logica,qua in hüc finemzit ad inuenta;vt dirigat intellectü, inc etret in operando . Bu Refp.coutrarij, quod cum regule diti gentes aátus imtelle&us tradantur in actu fignato,vt patet cum dicitur genus predi «cari de fpecie,fpecié de indiuiduo;& :modo affignari nequeant, nifi pet termi anos fecu intention, idcircó ni(i iftz poffibiles forent,nec illz regula pof  fent ab aliqua (cientía tradi, et fic amotis fecundis intentionibus remouctetur logi cayin qua zranduntur huiufmodi regule . Scd contra,quia huiufmodi regule poísét tradi etiam in a&u fignato per terminos 'primz intentionis,ergo &c. probatur aí umptum,vbi.n.nüc dicitur genus przdi cari de fpecie, et per hanc m diri itur intelle&us ad bené apprehendenda peciei quidditatc,& de illa re&é iudicá dum, et enunciádum, poífemus per ter minos primz intentionis candem alli gna re regulam dicédo,quod natura cóis íem per includitur inferioribus,quz regula nó minus infcruict ad bene apprehenácnda inferioris naturam,& de illo re&té iudicá dum, q illa per terminos fecunda inten tionis tradita,vt patet conlideranti, et idc iudicii de alijs regulis, quas niic in terii nis (ecüde intentionis habemus'in logica, cft facicndum. Accedit, g ficuc Ethica in 171 flituta ad dirigendas operationes volütá tis tradit fuas regulas pcr tecminos prime intentionis, poffet fimiliter logicaalias re gula vcl ea(dé tradere per rerminos eof € dirigétes operationes intelle&us; Nec vnquam contrarij fuffi cienter oflendent, vndétantam habeat logica nccefTitatem fecundarüm intentionum ad dirigendas 'operationcs intelle&us [ola vilitas ofté di poteít;vt poftea dicemus. . 49 Dcinde adhuc efficacius arguitur inftrumenta fciédi,de quibus agit logica. i& przfertim demóftratio, quz eft oium preftantifimum, fümpta pro'prima inté 'tione; vel habent vim faciendi fcire;ac di rigendi;vel eamnon habent;fed accipiüt à EU ee Msenpeleie ;non sin,quia ens rónis talé vim cati reali con 'ferrc non poteft,& cü demóftratio fit vc 'ray/& realisccau(a (cientizdici ncquit,'q» producat effectum realem per ens rónis., tanquam per rónem caufandi ; tum eciam quia fecunda intentiones logicales babéc Ifundamétü in primis;atq.itavim faciendi fcire pra(ünponunt in primis,ergo primü 'concedcadü cft;fed.fi in(irumenta logica lia vim habent dirigendi,'& faciendi fci re antecedenterad (ecundas intenciones, confequens cft;vt etiam antecedenter ad. 'cas on nt conflituere fcientia logicalé  e(p.P.Ioan.de S. Th. p.2.log.q.1 .art. 3: cffe&tiua,& phyficacauf(alitas;qua a» étus demonfirationis gepeoeicieguan non pertinct per fe ad logicam dirigenté, fed ad fcientiam dire&am,& hzc effe& "ià gencratio conuenitiilli róne a&uü rca liam,quibus demonftratiojconflat .. Per fe autem pertinet ad logicam confiderare in demonftratione etam dífpofitioncm fyllogifticam veritatum, et conucnientiá mmatcriz.í.quod T aprire (rnt necef faria per fey& ree di(pofitz, que funt «conditiones ex parteobie& requititee;vc proceffusicientificus ordi,,nOn aue tem tales conditioncs funt virtus ip(a ef E eta a eff, quod in primis cá '$0 Sed contra in i fitas, non eft aliquid rationis, ergo: hac per i fc ad L tur lic Auchoc, di oum erp cmi id reale ccon Pide mv  171 fi derabit, (ed probatur etiam, quód con ueniétia forme, .i. re&a di»otitio pro politionum fit aliquid reale, nam certum cft demonítrationem generare (ciendàa y non quomodocüque, fed inquantum ett recte d.(pofita,quia ex eiídem propoti tionibus non ordinatis, vcl generatur er tor, vcl (alim difparata cognitio, ergo cum etiam hzc ordinatio concurtat ad generationem ícientiz, crit quid reale, non autem pura relatio rationis cum ef fc&us realis. dependere nzqueac c(sétiali . tet ab care ratiónis, et cam hecad Logi cam per fe (pe&et, plané Logica ex natu fa rci fcientia ccaliserit. Cont. hac ratio, idco enim dicimus Muficz proportio ncs5,& coordinationes efTe aliquid reale, Quia aurium Ooble&amentum caufant, qui eft cffc&us realis, quod vtiq. tine oc dinc nó caufarent,ergo fic in propofito. Refp.Complut.diíp.1.q. 2.n.2 $ nó ex co, quod inter ipfos actus requiratur. ta lis ordo;aut difpofitio,vt generent fcien tiá, ideo ordo ille debet dici realis, quia ifte non eít forma con(titutiua actuum in cffc caufee (cientiz, fed tantum condi tio (inc qua non, non repugnat auté ali uod .ens rationis interdum effe condi tioné alicuius caufz realis, nam in Sa cramentis nouz legis fignificatio eft quid rationis, et tamen eft conditio fine qua non caufarent realiter gratiam, et quod ccttíus e(t, voces (ignificatiug veré, et realitercaufant in auditu fpecies inten tionales rerum, quas lignificast, cum ta men fignificatio, (ine qua talcs fpecies non caufarent ; fit quid rationis reiulcans inillisex impolitionc humani. $1 Sedquamuis verum fit prefatam a&tuü ordinationé concutterc ad gencrà dà (cientià non velut róaein cagsadi, (ed vt conditione caufantis, et relationé rca lem pofle pet modü conditionis fine qua non concurrere ad effectum realé abío Tntü,vt Scot. docet 3. d. 2. q. 2. fub F. de apptoximatione caufarü extrinfecará, et vnione inttinfecatum ad cócm effectum producendum, nam cauíz nequeunt cf. Pan prodacere, ni(i approximate, et vaitz. Ex hoc tamen non ícquiur pra ía tam actyum difpotiuoné ia demonttra I Dueflio Proem.de Natura Logice. à j t LE quod ab A duer(arijs contendimus,  effe nimirà Log 'tionibus, vtpfis amotis Logica tota fun .pládo inflruméta fciédi pro prima intétio,De,& regulas tradédo ja terminis ciatdé . tione e(fe refpe&tuzn rationis, ímó cüiffe ordo inter przmiifas ad inferendam cós. clutionem fe habeat, velati a »proxima tio caufarum, vt cffe&ü producant, ficut hzc in cau(is eft relatio ccalisjita et ordo ille inter przmitfas, quo vna collocatur  fub alia,erit ee(pe&us realis. Necfequie  tut, (i relatio tealis potcft effe conditio caufz realis, ita effe poffe relautonemtras | tionis, nam non videtur vnde a(ignati   poffit in effz&u reali talis, ac tam necef faria dependentia ab eote rationis; e fà | a(lignabitur, tandem reduci debebit in aliquá cáu(amy(cu conditionem realé, ex  uire(ultatillude(fe cations, vripfimet omplut.ibi tatencar; ex quo paretillud eífc racionis mere concomitanter,& per accidens fc haberc ad. productionem rea liscffe&us, et itaeueait inpropofitoia  illauwooe conclutionisex przmiffisytins  Éca declatabicar ex profetfodifp.3, Ex&  plaveró addu&ta à Complut.moníuntad  rem ; namfàkuüm eft facramenta nous  legis phyfice caufare gratiam, ci cau(enc moraliter,vt apud no: teria de facramétis habetur et fare phytice (pecies intention ditu, exercitium fijuidem. fi nis vocis; cü .. ingerit audienti rei lignificatz, non fic px n CAU alt phylicam, fed per quanda veluci moralem, qua vox moralite AE tat mentem auditoris, vt ad prolationem vocis cuius (ignificatum fcit,ftatimeli ciat rei lignificatz conceptam, vt fas dicimus difp. de Vocibus ex . in 24d.42.ad 2q. i& 4.d.1,q. 5. B. i 5X den i Hz rationes adcó. fuot euidentes, vt P.Ioan.de S.Th.loc.cit. in fine tind£' fa teatur, quod eciam [i nou refultarent en. tia rationis formaliterQ7 Jecidu exifté tia obieiliuam, adbuc daretur logica y qu& illarim rationes cofideraret [altinz. €x parte [ui fundamenti,plané boc eft, icam ex reiitàcü  ncxam  et depeadentem à fecundis int£ ditus ruat y cum bené feruaa pollit coré $2 Qu p yniuerfum rei . ftducere ad faciliorem methodü po n fis [cientia realis eofpeculatiua.eAfr. 323 $31 autem Logica Arift (quod attinec ad fecundam conclufionis patt€) fit (cientia rationalis, patet ex di&is art. 3.cum.n.Arift. data opera logicam fuam tradiderit füb terminis feeundarum inté tionum; yt funt genus,/pecies, fübie&ü, povpony antecedens,copfequens,&c, inc fa&um eft,vt logica; quz (uapté na tura (cientia realis cft, ex intentione Ac tificis cuaíerit rationalis. $i autemquz ratur, cur Arift. Logicam fuá inftituerit fub terminis (ccundarum intentionü po tius, quam primarum, dicendum hoc fc ciffe ob faciliorem method, facilius fi quidem,& cómodius dantur intelligi res logicales fub terminis fecupdarü inten. tionum, primarü, vbi .n. multa dicenda forent de re, quz in propofitionc affir matur,vel negatur de alia, fimiliter de re; de qua alia affirmatur, fub iftis fignis in (ubic&i, et pra dicati bre tentionali witer onis res sofhpretendkor, que de alia dicitur, et de qua alia dicitur; füb no mine generis comprehenditur animal, lantaycolorg&c,íub nomine fpeciei leo ; | apr es 5 et lic de alijs; per hanc re redicatur de fpecie, igi, quod homo eft alico cft animal,atinus ef! animal, &c. et ita vbi multa. neceflaria forent ad docéda logicalia fub terminis primarum intentionum, pauciffimis id fit vtendo terminis fccundarü; et hoc fuic in caufas eur Arift, qui maximé cupicbat ops  lem;eam inftituerit füb terminis fccüda tum intentionum, et ità vbi fuapte na pue erat, rationalem fecerit ex mo am, quod . do, cam contexendi . ;,$3 In oppotitum obijcit P. Fuentcs q. f. d. £I. v mart4. DoGorem q.1, vniuer, in finc, vbi Logicam vocar rationalem;vt coiradiftinguitur à fcientia reali  et in 6« Met.q.1. Ícientiá fpeculatiuam diuidit in  realem; et rationalem, et fub hac Logica €opftituit, et in prolog.fent.q.3.& 2. ier. x Bs didis ide] bes ? .breui Scotum, et alios Auctores, cü Logica Erie eat ielsnbRi er Amyiplos joqui dc Logica ab Arift. conz (152,q!4 omncs yumurnon anié de Lo gica infe, et vtex naturarei poffet infti tui, vndé DoGor 1. Prior. q. a. affignans fubic&ü Logica: in fe nequaquá cam ibi dicit ícientià rationalé, et fic ctiá intelli gendus eft Boetius, cóait Logicam efse de fecundis intentionibus. Sed inftabis ét Logicam in fe dici (ciencantirationalé, ergo &c. Reíp. Logicam infe dicitatio nalem, non vt centradiftinguitur à reali, (cd quia eft dire&iuarationis ; hoc eft, intellc&us in actibus fuis . Sed rurfns in ftabis, Logica Arift.eft pars Logice infe, et obie&um illius continetur füb obic&o iftius,ergo fi Logica Arift.eft rationalis, | vt dift inguitur à reali, et obicé&tum eius aliquid rationis,talis erit ctia Logica in fe, et fecundum totum ambit. Refp. ge ficut tota Logica cx natura rei rcalis eft, et petit fübie&tum reale;ita etiam illa pars dc argumentatione,quz tradita cft ab A« rift.in (c, et cx natura rei rcalis cft, et pe tit fübie&ü reale,& ficut hzc parstradi ta c(t ab Arift.(ub terminisfecundarü in tenrionüita poterar inflitui tota, et lübie &um vnius femper eft (ub fubie&o alte rius, fi vtraque (pe&etur vniformiter; at difformiter, minimé, vndé nunc fyllogif mus,quia eít íübie&um Logice Ari(t.fe cundó intentionaliter captus ; vtique non continetur formaliter fub inftrumento Íciendi reali, fed fundamentaliter cantü . Scd iterum vrges, nócft in AuGtoris arbà trio fciétias immutare, ergo fi Logica ab Arift. tradita eft rationalis, talis erit ex fc, non veró quia Arift, ci afIignauit obicctto aliquod ensrationis, quia nó ftat in Au&oris arbitrio affignare obic&tum fcientiz cum quzlibet determinatü obie &ü (ibi vendicet ex natura rei. Refp.quod quamnissrh rem non poffit Au&torícien tiasimmurare, et diuería obie&a tribue rc ad libitum fuum, pot tá immutare sim. modü, et ità cótiugit in. propofito, quia. cü. inttcümenra fciendi,. et regula bené cognolcendi fint obie&a Logicz ex na tura rei, et cü hzcuradi poflint per ter minos prima et fec i ionisypla Fic apes Sos hoc (ecüdo: : idco Logica ciuscít rónalis,& quáuis. vatur terminis fecüdacum imentionum ad liguificandas res rares im : X 3 " Uz& | ÉEndlioProen de Natura Loiice2, ^. 5 atu fi gnato'pet terminos (ccundarü, vt exerceantur in primis;hinc tamen dedu: €erc nó debemus cà: Neotcricis ét Arift. Logicá agere de (ecundis intentionibus tantum pcr accidens, fed potius statera: . proximam;circa quam per fe verfatur,cf fc fecundas.intent; ones primas veróyqui bus easapplicat;c(ie materiam remotam. f4 Secundo obijcit iüc a&us.enücia tion'selt ordinatus, quado vriü extremü: concipitar,vt fubie&ur, et aliud vt pre d:catnm, tunc actus difcuifus eft ordina. tus,& rc dilpofitus, cum vna propofi tio cfl antecedens,& alia confequens,fed: €ílc (ubic&um, et praedicatum, antecez dens, et confequensfunt entia: rationis y. ergoordo a&ualis in enüciationc; et di fcur(u neceísarió cft ens.cationis. Conf? quia propofitionem císe maiorem y vcl minorem; primo, vcl (ccundo loco poni,. vnum alveri (ubijci nih;l' ponit in rebus: rcale,& totum hoc rcs liabent ab'intelle: prima principia obie&ti illius feiehtla à.  uibus procedit ad cóclufiones demon fiaadécde obie&o, vndé fi obieGü cft ens teale nece(sarió principia debent ef fe realia;(ed Logica non habet Li o ma principiarealia, ex quibus: proc ad coriclufioncs de (uo fubicéto.demons flrandas; ergo eiusobie&um non poteft efie ens reale, et confequenter nec ipía fcientia realisymaior patet, probatur mi« nor; quia'in omni opinione tota ars(yllo giftica innititur daobusillisprincipijs di €i de omni dici de nullotvel illisque cnuque fit eadem Ynitertioy [unteadé inter [ey quecimqs [amt eadem: inter fé ydiflingunntur ab vnoztertio, fimiliter: ars dcfiniendi,& diaidendi innititor im^ tenticnibus generis;di fferentiz,& Gimis libus,quz omnia cóflar efse entia rónis ; Refp.negando minorcm de Logica im fe,concedendo de Logica Atift.fimiliter dicendum'ad probationem, quod a e se US ue Guergototunkhoc cftcns rationis atqj; Fogica Arift inimtitat illispeincipij d itn, ita logicaíermntameréri&onalis.   : plicatis per terminos (ccundamm:iptene Kefp. negando'maioré,tunc.n:aQtus  rionüsat Logica in fe potett alijsanniti y  enunciati onis eftordisatus; quando vni! et etiam eifdem tradiistamenan ce et alio affirmatur, velincgatur licctad gis primarum inrentionum.,vt fupt, buc termini nondenominentur ànotio claratüm cft; imino princip: illud: qu nibus (ubic&i, et pradicati,& fic ctiam inci dicendü: de a&wd;(cusfus, quod coipfo: eft ordinatus; cum vna propofitio infcr taf cx alia, licetnó denominentar adhuc propofitioncsà notioni busantecedét:s,: et co i55qug poflca fiunt per a&tüt quare cum antequam terminis: veli propofitiones dcnominenur àfecun: dis intentionibus, ynusterminusde alio afhractar,.vna propofitio feratur ex a à »qui reperitur inter fübie &ít, et pradicatumy mtcr antecedens, et confe: quedrtadcticcus. Ex hoc patet. ad: n firm.g; quais efse fübig&tü,predi: «arümaiorcmyminore, &c. fincrclatios nesratienis; thi melle&usà parte rei fine: vliafi&ione vni affirfnagde alio, vel ne gat,& collocatio miporis (ab maiori vc fà cílaciscalis,& nomfi Gta, et et habet in: gmiffis,vcluc ap imatio in caufis; Lone prev dirimi baril ; Tertioatgpunt: Complut. difp.1. q. 2: 2x9 la qualibet (cientia/damar aliqua: E o€ A : cnr.q; [unt eadcm. &7c, elt. prit reale ^ affignatum: pet: "terminos. intenrion;s. QI eva /$5 Atlteradifücultasde qualite Záy   ica eft yan fit ciencia pra&tica;vel (pea iat cuius exa&a c TC den pcndcat cx dicendisinfca difp.de (ciétiag.  vli expédemusquomodo liabitos diuid. tur per practicum,, et fpecalatiuü,& de   natura viriufoue di(íetemus lic tamen beni emis pereat at c " thic:q. apud! Maurit.q. i.vuiuecf. qui af feruitnon effe practicaap, (pe dos, fed' eontra i eique das vtrafques fequitur Zab. lib, 1. denats. Eo «rA rs Dons Nige dusarés  BUCO 1 docena rea i Qi quia Arift demere aud diui inclus pude, culitiuumi;& 6: Mét«c. 1 [ciet dm ip ord. licita, S (peculatitam  umriia eo pal no uot furit fentécia. Ptimaifüit hoftti Gerardi Mae ie NM   jo pra&tica, et (peculatiua rationes com €radi&torias prz(cferunt, «cl enim (ftit iv'fola contemplatione veritatis, et fic :eft fpeculaciua,vel non fiftit, fed ordina: tur ad'opus, &tic ef jraGtica, vt Acitt. docuit 2. Met. c. z.dicens fpetulatreg fi (0 "Wists veritasprafiice:veró opus,ergo on datur medium ncque per. participa  tionem extremonimi, neque per abaega tionem, ita aotauit Do&or q.4. Prolog. ar.1.& Anton.An 1.6. Met, q.2. Alia (en tenti é conrra docet logicam effe timal pra&icam,& fjeculatiuam, ita V 2q.p.1. "difp.8.c. c. et difj.9.c.3 . Suatez difp. 44. "Mer. in fine Rauius bic.q. s. Hurtad. «ditp.3 (ecc 1 Caucr.difpi . dub. 5. Loma 3üicnf.q. 15.in Porphir. Tolet.hic& alij, quz op! vede vmm EN " a ptzcedens,nam pra&ticum, et ., "vá vel (unc diffecéciae erar (ils . tia sy elcerué eas nobis circam( cribunt 4 vt.rooner Dot. cit.vnde implicac eindé «ognir? e fimul pra&ticam,X fpe €ulatiuam, ficar implicat.cundem nume rum effe imul parem, imparé, (.uic . qnid in oppotitum dicat Poncius ditp. 2. Toss» 91. quem: impugnatum vide ifp.1. Mcraph.n.72. )& «quia prafeferüc ratones penitus contradidborias, ticut nó patiuntür medium pera io5C extre morum s itanec admamar medinm per ipairicipauonem quae omnia:ex diíp de (cient; probao:ur. Hinc ett, quod cateri Au&orcs communiter logicam po imunbaat abíolucé praóticam, vc Nomina les palim Ocham iu prolog.(enr.vb: Ga briel q41. Greg. 4 $.ar.2 Aurcol. et alij antiqui, juos ex modernis fequürar. Fol: i1. traG c4. ]3«fec..4. Conimb. q. 4pro mar. $. Auería q. 1. (ec 6 Murc.duj. t. 1.4. Ouuied conr. 2. Log.panc. (. Atria :ga dilp. 5. (ec. f.aut abfoluté fpeculatiuà, vt D. Tho.cum fuis apud Complit. difp. A:q.6 EcScousq 4. /rolog.vbi Bargius, Lihet. Vigct et alij Expoutores, à 6. Met.4.140 (ol.ad 1. Anc. And.r. Met. q. 24Mauriti]1, vaut. vbi Sarnan Brafa uol,& aij ciccicumlocam; Ratio difcci mins n.cer hos Autores ex nomine pra xis, et noticie practicz ortum duxit y nà aliqui omnem operationcm dirigibilé, vt e/fn fiefeieniavealis/ e) fpeculariune Ae. V. 15 fic, contendant e(fc praxim, et notitiam dice&iuam «ius appellant pra&icam, co quianon fit 1n fimplici comemplatio nc obicdti, (cdvecíaturcirca iHud modo operabii, et teadit.ad illudefficiendum s vüde.cum ita ver(etuc logica «itca opes tatíoncs intefle&us,& inftrumenta fcie düplané practica fcientia etit « Alij vecà non:omnem operationem dirigibilem va lunt ee praxim,ne.omaem d'ce&tiaam pra&icam,fcd operationem dirigibilem tanrum per di&tamé prudcatiz ; yl artis ingenere moc's vocant praxi m,vnde có fequenter volun: cffc operationé ab eles &wne voluataiis pendétem, alio.|ai nom Éoterlaude,aut vituperio digaa,& omn& cognitionem. huitfmodi epberauenum diredtiuam cenfent effe practicam, quia per ipfam remoueturerror pra&ticus ; &€ uia bei ita dirigit opecatiónes.iniclie us,vt tanti inrendat ab. eis cemoueco errorem [peculaciuum qui eft fal (cas va dc tota itta ditectio e& propter (cire, Sc €irca. vci wer(acae y quodeftobicctam intellectus ideo fcientia (peculatiua czn fenda ett ; et hi abíquedibio melius lo quuntur, magis proprie declarát natu  ram praxis, et notitize pra&icz,& fpcca latiaz, vt inferius fao loco dicemus j et hic eftienfos b. Avift.incenuis 1.Mcr.c. 2.dum aic aem fpeculatiuz e(le verica 1cim,pra&ricz opus,ita namque hzc vetba exponit Cominentcon: 3. Per fpecula tinam fcimus, vt Jcésnus, per pradlica veró (umus [cientes,vt operemur, qw;a pra&ice fin:s opus; quantamcunue er go logica dirigat operaciones Intleéxus, Cü talcs duntaxa: dirigat ; vt Íciamus,s finis eius ett veritas, et per coníc jucs cientia fpeculaciua cít;na n qae pcc eam Ícimus,aon vt operemur fed vc fciamus, qua in wr tam actio dirgois, quam direda ett (cire, et veritaus cozato $6 Dice dum igitut eft;quod licec pec tandam analogiam, et fecand:in quid dogin dici pofíi fcicntia Tome,fin plicitez camen, et abfoluté io jucn4o ctt ípeculaiua: Conclunoett Sco iin tei minis 6. Mct.q. tad t.ptin. vi» lic 1o jut 1r de logica licer dici polfiz y quod eft praética,quia ni efl cami p p )cire yro V 4  prium» adlltnm cmd di a. LLLA GM AL. ooonss,e9aa Lu A DN rx 176 priis, fed diretL iuii in aliquo atín, exté dendo nomen; quia tamen atlus,in quo dirigit, no efl nifi [peculatio deo logica roprié no e$t pract icayfed |peculatiua, [de explicatur conclu(io,ná co gaitio pra&tica poteft (umi lat, pro no titia ./. cuiufcunque operationiscontin: gentis,que (it ercoris capax, fiue pra&i ES fiae [pecalatiuiy& non cít puré cócem platiua naturz proprij obiecti (ed etiam effc&rix ilius, et (ic Logica dici potett fcientia pra&ticanam fcientia Logica nó fifticin [e »vttantum cogno(camus na turam (yllogi(mr, fed tradit regulas, et cepta illum re&té cóficiend;: ;(ed quia Boc nd (uffcic ad notitiam practicà pro prie didam, fed e(fe debet directiua pra. xis,nimirum operis ab ele&ione penden tis, et quod lit capax erroris praQtici, ac proinde imputabilis ad laudeay,vel vitu perium, ideó proprie loquédo logica nà clt practica;fed (peculatiuasquia ipfa di  rigit a&us. intelle&us, nc contingit in eis faliitas, qui. eft error fpeculatiuus, et totus cius finis e(t veritas,& (cire,nó aüt operari, nam non folum cognitio naturz fyllog (mi,verum et illius conftructio ett propter (cire,& Logica efficit in(tromen tà (ciendi, non vt operemur; led vt recté cognofcamus; Et vc modo ab(tineamus ab ca conccrtationc, erede intelle €tus dici poffit. praxis, de quo inferius loccit. hoc omnes fateri cenentur, 9p li cet actus intelle&us in ordine ad bonita tcm moralem dire&us rationem praxis habere poffit 5. tà quatenus dirigitur in ordine ad veritaté non habet rónem pra Xis, quia tunc finis illius dirc&tionis cft veritas,& non opus;modo lozica dirigit opcraciodem intclle&us,nó vt participat itaté moralem à voluntate cóicatam, fed vc verfatur circa verum, qp eft pto ium intclle&us, et hoceft przcipuum mentum, cui bac innititur (cntétia, $7. At refpondent contrarij, et prefer tim Aucría cit. parum referrequod cogni tio fpeculatitia, que dirigitur per Logi Cam, filtat in contemplatione veritatis. Nam ipía Logica nó fiftit in contempla tione veritatis de ipfo (uo obic&o, (cd ordinatur ad illud efficiendum, atquc Queflio Proem.de Natura Logica. adco non eft propter  et gratia ui in quo có(iftit ratio (cientie pra&tie cz, illa autem cognitio e(t fpeculatiua y uz liftit in contemplatione veritatis de  uo obic&o, quod contidetac, et ticeft gratia (ai,& propter feipfam. Et quando dixit Arift. (peculatiuz finis e(t veritas, pra&;ca opus,non intellexit dc finc ope rationis directz, (ed de finciplju(metca gnitionis, quz dicitur fpeculatiua, vel. ra&tica, ee quód fpeculatiua ita cogno. cit veritacem (ur obie&i, vcalio veritas  tem non dirigat ex modo cogno(cendi, Jf precipiendo, et dictando de obicáto cognito faciendo,alioquin nó rrct meré «ogmo(ciciuá, et omm:;no non filléret in notitia veritatis, fed o. pra&ica . Tota hzc rcípontio fal(z inni» titur intelligentiz naturz cognitionis practice, et Ípeculatiuz,faltum tiquidem c(t qualécunq; ordinem ad opusfLétiam exiahercà ratione (cientiz fpeculatis   uz,&itainfimplicr, et nuda cótempla Uuonefar obicéti fileredcbere,vtnequas  quo ad illius effcétionem ditigere pof qd P.Didacusq.6.proaem:& Compl. NM i manifeíto demonttrant excmpló, Geó mcetria namq; Aftcologia, et Mathemae   tice (cicntig fpeculatiuz func, et tamen. non e(t contra fpeculariorié earü aliquid riynimirum Bare corned jum; opus etiam nume .,  meníurandi (jeótatad illas, &/tanien eas nó extrahit à ratione fjeculatiuz, nó alia ratione, niti quia horam inftrumentorü conftructio ordinatur ad cognitioné ve ritatis, neque per illam ititendunt fciéciae huiufmodi opus ipfum fa&um fed veri tatem,rgo cum Logica nó folum omnia ordinet ad cognitionem veritatis,(ed ip (um opus,quod dirigit, cognitio veritatis fit,plane ordo tal;s ad opus à ratione (cié uz fpeculatiuz! ipfam mon extrahct ; Et hac de cauía ctiam proprer (ei inn cctur, et non proprer aliud, quia etiamfi dirigat inopus,ramen in hac ipfa actuali directione, immo, et cffe&ionc oper et non intendit opus, vt fic, (cdivericatem. Poncius ctiam difp. 1.Log, q.8 n. 85. hanc probationem inficiatur,& ait facilé folui poffe dicendo, quod licet finis pro» ximus atiurfortt &. A Lok : LE et X  " 1,. 'eitadi c(fet fpeto  &o: Mcdiciria, quit trádit modum recupe ' ande memoriz,& difponendi caput inor . "dine ad acuendumi ingenium dicitur fpe  eun fit fcientia vealis, eo [peculatiua. ert. P. x77 xi mus pra&tica fit opos,non veritas, tamé ' vetitas potcft efle finis cius remotus, et fic in propofito dici poterit Logicá cffe pra&ticamsquia licet remote ad veritarem ordinctur, proximé támen ordinatür ad . opus .fad confe&ionem fyllogifmi, et a Tioram inftromenroram (ciédt,quod fuf "ficit, vt abfolaté, et fimpliciter practica "s. dicatur; quod enim hoc opus ylterius or dineturadveritátem. cogno(ícendam im . zipertinens eft ad Logicam (inquit) nàm 77 fi fcamtium ordinaretur, per fe.etfentiali. . Xt ad acquifrtíoneme(Ciegriarü,non Jeered fcientia ttadens' modum illud fa. latina 5 (icit'nec de fa «ulatiua,licet recuperatio memotiz, et acuimen inrelle&tus ordinentur ad ícié tias habendaz; Ád illud de Mathematiea, qua docet conficete wiangulum,& rame "ett fpeculatiuajait don e(ie prachicá, quia non oftendit adzquaté, quomodo trian "gulus ficti polfit, (i ebim fic oftenderct, plaoé practica non foret, Hinc tandem 'n. 87 ipfe probat conclufionem, quod Logica non (it pra&ica, ted iua. ia in omnibus eius partibus dirigit 3 intellectus, non autem actum alte "rius potentiz ab intelle&u, qu (ola eft spraxis,vt docet Scot. q. 4. Prolog. Hac tamen füa ratio parümvalet, quia vcl fal. fum, vel faltim dubium aflumit ; quod .f, mulla operatio intelle&us dici poffit pra xis, oppofitum namq. probabilius c(t, vt infrà patebit difj».1 2. 2? f»átt. 1. et tenet etiam Ponciusi pfe difp,cit.n.80.& ide "libenter ab hac rationc ab (lin uimus;quo vq; infra melius declaretur; Quare pr  ftat adhibere rationcm à nobis adductá, "qua non eft ità facilis folurionis, vt Pon cius arbitratur, fenfus namq, illius axio matis, quod finis (péculatiuz (ic veriras,  pra&tice veró opusyverus,& gcnuinus cft, quem ycrba ipfa prafcferunt, non autem uem ipfe commifcitür, ncmpe quod fi nis pcr fe imentus à fpeculatiua ett veri ta5; pra&ice vcró opus bonum 1n genere n.oris, velattis; et (i interdü (peculatiua opus attingit ; aut practica veritatem, id e(Te meré per accidens, et propter aliud nam fpeculatiua opus attingit, vt v. g. itt propofito logica (y Mogifasum,non nift graca veritatis, vndé illud afumit pro medio, non autem pro fine à (c intento ; fic Aftalogia docet conficere,& conficit fi/herá materialem ad eum modum, quo C«los effe inter fe difpotitos exiftimat .tamen quia hoc opus non propter fc com ficit, fcd in ordine ad veritatem aflequcm dà de fituj& moribus Orbium, nó amit tit rationem (peculatiug; Q) 10d aüt (üb . dit de Medicina di(ponere caput ad acué dum ingenium, et arte lignaria fcamni confcó&tiua, quod ordinari poteft ad ve ritatis ftudium fedendo fuper ipfum, val dé eftabs re noflra ; quis enim non videt fy!logifimum opus elfe magis aptum pro veritate a(equenda,quá fit ícamnum ? et quo pacto fieri potett, vt (camnü per fe effentialiter ordinetur ad acquilitionem fcieniarum, vt ipfe füpponit 7 nonne hzc eft ridicula fuppofitio? fic pariter quis non vidct; quàdo Medicina remedia tra dit memori recagerandz, et difponen dicaputad acacadum ingeniü, finem ab ipfa per (z intentum effe capitis purgatio nem, acquifitionem verà fcicnttarum, et : vetitatis mer&yer accidens ad ipfam at tincrc? non exempla illg ad rem fa ciunt,ncquc ronem noftram labcfactaat, Deniq. omninó falfum eft, quod aicbat hic Au&or Mathematicam non adzqua té docere, quomodo triangulus ficri pof? fit, imó yaicus Mathematicg [copus cít docere modum formandi huiufmodi fi ra$ mathemarjcas, vt videri pot apud uclid, quod fi Mathematica id adequa té non docet, debebat hic Auctor facul raem a(lignare, quz plenéid doceat.   |. $8. In oppotitum obijcies r.prgcipuü "oppofita (cnt.tundamentum, Habius di rigens aCtiones. voluntatis ett practicus, ergo et habitus ditigens actiones incclle étus. Nec valet ncgare paritatem,co quía optcrauo voluntatis eft praxis, nà LR "tio 1ntellcétus, Hacc namquc oon ctt fuf ficiens ratio, vc iile habitus dicatur praóti cus, ifte fpeculaciuus quia prudeücia. cft habitus praéticus, et cum hit omnili dire Griua virtutum, etiam dirigit operattoncs aliquas 4538. « Queflio Proem.de Natura Logict... 5. aliquas intelle&tus qui ad victates perti. ment,ergo quod Logica dirigat operatio nc5 intelle&us, non obftat, quominus fit fcientia practica Nec etiam dicere valet, operationes intelle&us, vt à prudéria di rc&as, habere ratione praxis, quia vt fic; pendent ab cle&ione voluntatis,& süc capaces etroris practict, ac proinde im itabiles io gcnere aioris nó autem ira k habere, vt dirigatur a Logica,quia no cadunt fub directione Logica, miít vc süc capaces erroris (peculatiut f. Ealiiraus et idcó non (unt praxes, (cd mera: (pecula tiones ..Nà contra vrget, Valquez ;quod etiam in operibus Logica: principiam cít elc&tio, fi quidem libere fiut, € voltas mouet intcellc&ü ad (uos actus, ficut ce 1eras potentias, ecgo Logica vcre ett fcié tia practica a£iua, yt pocé qui verfacar €irca opera,cnius ptiaci fi ett eleGuo . Refp. quicquid fit de prima folutione, uz pendet cx alia difficultate, an opcra tio intelJectus poffit habere ronem pra xis (videtur .n.habere poffe quatenus be .m, vel malé moraliter ficri po: ) de qua Anferius fuo loco.fecüdam folutioné om ninó (ausfacere pro negarione paritatis . Kt impugnatio Vafquez, quamuis apud Mauritiü alicuius videatur momenti,eam 4n.adducit,& nó foluit, it& tamen friuola eft, vt eriam Coplur. aduertunt, quod (i uid probat, probat quoque nullam elfe Dre fpeculatiua fi ;uidé omnes actus cuiufcungs (cientia funt, vel Glrim fieri poflunr à poftro intelle&u liberg, et me dia motionc yol(icatis, cum igirur ait A rifl.6, Met. c.1. [cientià a&turam verfari .circa ca,quorü Pocipiin cit cic&io,in tclligit de operationibus, quibus perfe conuenit procedere ab ele&ionc, et rales ' funt,aciioncs vittucis moralis,omnes .n, tales àut funt actuscliciti aut (a/tim im perati à voluntate, at operationibus in tcile&us,vt à Logica diriguntur, mere p accidés cóuenic libertas, icü volütatis im perii, quia antecedenret ad quamcunque  Wolütatis operacioné po: inteilectus erra rc in (uis actibus, et per rcsulss, quastra dit Logica dirigi, et ideo aótus eius, qua tenus à Logica dirigürur, nó funt praxes. $ccü 4o cbijciant rauones ex Aurcol. [| iv  uia Logica eft dc obie&o operabili aed eCEE NER Mica t ytyOcanscompofitiuo,& nom meréfpe culabi', &refolutorio,mom.n.contempla  fürtan:um mitüram delimidonis,& argu  menrationisfed traditregalas, et przceprabcoéila.conftruendi, &huic arga  menco inniitur Oauizd.loc. cit. Tum 24   quia agit de operariomibus inrelle&us, quarenusilliussürnature,vtbem&,velma  le Gcri poffiat, et tradit mod, quo ben ; fiant,ac detegit vitíaygua. cotingece pof (uat n exercitio acra gii ee dc "7e fant (cieatiz paca [am fra ne hase eliciunzur à Logica, quomodo ficride  beat definitio enunciario,fyHogfmus, &c. non fuat propter folam verita: 2s qptionem,rt ibi fi(tamus, fed ex nat uareferunturad v(nm,vtdefiaitiónes ncerrorefaciamus. T 4, Logicaettha  bitusnontantum cogainuus, fedét ope ratiuus,vndé diuiditur in docente, et vt. tem,(cd omnis ralis babirus eft practicus,   Tum $5. habitus fpeculatiuus eft propt fe 1.M et.c.z. fed Logicanoneft propter fe,fed propter alias(ciencias. Tu 6. q tunc eflet nobilior fcientiJs p dee 4^ w 4 E tamen falíum ett, quiajipfa eit. tionisyilz de ente reali, patet cofeq«q fpcculatiua quzliber nobilior eft qt «ung; practicaex 1. Met, c, 2. Tum« mim, quia £ogia Nae ji gifinos (peculatiuos, fcd etiam pta ct. T » i «ergo faltim ex hac parte, pra&tica. $9 Kefp. ad primum vtig; dir Ad Logic perrinere, hinc tamé nó fequi tur císe pra&icam,co quia in ipfamet di reétionc, im et operatione "i gen, x nili veritatem, omnis namque Logica« e. 1c&po ad veritaté red indigidum rdi Et] natur, directio veró practicanonordina tur. ad hoc,vt recté camus, fed vt boni efficiamur, vt verbisexpretfis docet. e Arift.i.Etbic.c.i.endé moduscópofiti.  uus Logicz diuerusett ab co,quo vtütur y practicz . Ad 2. Logica agit de opetatio nibus intellc&tus, quatenus bené vel ma fieri poflunt (peculaniué, non pra&ticé, tegit etiam vitia fpeculatiua, que inip fis contingere potant ; proprium autem. Ícicntiz practicz cft darcregulasad cui  ran oc opio rati lesnon (unt regula logjcales, qua folum: . dantut ad fugandam suere iol modus przceptiuus eft proprius. (cientiae a&ticz, nifi ordinctur ad alium finem;. q ad veritatem. Ad 3, dicitur adhuc fiftc rc in ip(a veritatis contemplatione, quia ipfemet víus inftrumentorum logicorá ad hoc inferuic, vt fciamus, pon vt boni efliciamur;& cendit ad fugandà;ignoran tiamnon prauitatem,vel errorem practi €i contra regnla$ prudentiasvelartis. Ad 4. cui prz(eztim innitirur Arriaga cit.falsüi eft Eogicádoc&£, dequahic e£ fermo, attingere operationé, nam ipfa folum cft directiua operationum, illas aucem face ze dire&tas [pe&at ad alias. facultates au .xilio logicz ventisvt patet eX 1. et yare et quando etiam clicerer operatione di rté&am, non poflet adhuc dici inrigore a&ica, quia nom ditigeret praxim, cd: in ordincad veritatem; quod'elt mariüs fcientiz fpeculatiuz,non practica; Logi caveto vtens, qnia eft effe&trixoperis » induit rationé attis, et dici pot habere ra tionem practici, quatenus eft operatiua ;: fpeculatiui veró,quia opus.ipsü;quod ef^ ficit cft fpeculatioynon praxis. Ad 5.non v ur remit Karin norn tiu principalis, fed pocius miniftra;& inft rumétalis, Ad. €. Arift. ibi loquitur del peculatiuis prin gica, et verü óimmem fpeculatiuam effe praética no' do procedendi circa illud, &cinhoc fenfu: Logica dici poteft nobilior pra&icis. Ad: 7 Logicaetíá (jllogtfmos pra&i cos; fei ivtatione veti, f : aute in tatione boni, et idéó: cnsjll (peéatariütas ;. hec igitur, pocmpriacn ges folait Aat. And folum. ptohant, quod: Logica habet pod pra&tic), at quia omnis i fta dire ; i eere ordinatur, et ad re lationisopus,fumpli  fimp : E [eei (d& Ariffau& t € ua ;  v ERBEE t. dun áit Dialeticam cííe mali tig ffünc;& 3. eft habitus pra&i: (000 ador ieniarea e eai Ap, Ie » Lud abra in genere moris, qua ait logici nófolü confidetare trà, logicam. nerationé (yllogifiorü,verü, X^ clic ue potétiam habere,& alias fimiles:qi vlicia 6. Mct.c.1.fpeculariuá diuidit in Mathie maticá, Phyficam, et Mcetaphyticánul. lam logicz mentióncrh faciens,vel locu tus cft de (pcculatiuis princ;palibüs ; in ter quas logicanon eft, vcl ipfam iubin? tellexit fub iecundo mebro, cum fit pars Philofophiz. Ad hunc cttamarticalü de qualitate logicz fpe&tat qua ftiuncula il la, an fit fcientia communis, quam quid difficultate vacat, brcuibus refoluit ; Gor q.2.vniuerf. dices, qubd eft (cientia communis comunitate nimirü vfus, et ap dicem S aerea n in ea tractatur unt emnibus a pplicabihia facultatibus, et fic logica ctt icientia cómunis quoad omnes partes ;. verum tamen cft Topica peculri ratione dici pe pr el nus nimirum locos arguendi' Communes tradit idi eréhter ad quodi! libet probandum applicabiles .. be nece[ftate » et »vtilitate Logica y, sooo eiufque partitione. 6o «y Ogicamad omnes (cientias, et fa: 3 Totam peracilet nemo da bitatjid enim oftentant variz:citts appel lationes;& encomia,illudl prefertim apud" omnes recepti fimum, quod eft. trs ar« tiumy/cientia [cientiarum: y ad'oniniuns Metbodorum principia viam. habens 5^ fed dubitatur aneciam fit neceffaria ; et is nondefuerint;quifimpliciter,&' abro uer efi: iccsfbicilto dixerut ad aliam (cientiás qnomodócunqüe comparandas: ctiatiinget feto modia Ros Qmm Arauxo 2. Met.q. 3.art. leg. hic có: trou. r. Blanch;difp, 3 Q3. et Amice trac, 1.q; 2.dubiz«ar 3. cócl.6. Frequés ta. men », et communis opinio veterum y. ec Kecentiorum dittinguit ; et ait non effe pliciter neceffarià adralias fciérias vt« ^ cunq; cópatandas, p ite nimirüm Scie ili enimdh uod oe cam partialem,,j.a Ctusmal fciétie in. ficum pót quis: clicere'in aliqua. fcientid i flo lurbibe dabunt. " iiid enteros 330 4 J"Quaflio "Proem. de Natura Lorica. án Batba (Te neceffaciam » problemata ali athematica cfle certa;, vt (1 ab us aqualia demas, ua: remanét, fynt zqualia ; manifeftum etiam cft alias "Tcientias (inc logica imperfe&o quodam £odo acquiri pole, tà quia ante logica hucnionem extierunt. fcientia natura lis, et Philofophi ; tumrquia modo vide mus multosin Theologia;iure, et alijs fa eultatibus cognitionern quádam fupet ficialem,& imperfcé&tam coníequi fine logica. Vcrüm ad eas totaliter,& perfe &«c acquirendas aflerunt efie fimpliciter peccilariam, non enim quis poteft per fc&té (cicntiam aliquam comparare, nifi fciat conclufioncs omnes refoluere víque ad prima principia ; cognofcatque boni zatem 1llationum ncce(litatem ; et códi« tioncs pra miffarü, deceptioncs, quz cir €a cas folent contingere, et alia plura,que fola logica artificialis docet ; Tum etiam uia nullü vidimus abfque logica in alijs ienti js confumatum euafiffejcum tame folius Dialectice: du&u abí. alio magi ftro plures fciétias multi comparauerint. Hinc Arift. 1.lhyf.c. 3.1. Met. 8. et 22, et alibi fzpe téttatur veteres Philofo phos ob Drale&icz ignorantiam in mul t05, et turpcs fuiffe prolap(os errores ; et PPlaio 7.de Repub.ait, I9p« Jib ile eft in teliciium fine dialellica exatii vem ali quam attingere, crgo logica ad alias (cié tias toxaliter,& perfe té acquirendas cft fimpliciter neceííaria; a tenent Cóplut, dif. 1. 9.7.Sanch.lib. 144.2. Didac. difp. 2,9.1 Ioan.dc S. Tho. q.1.art. a. Maius fec.3.q 3. Auería q. 1. fec. 4. Morifan. olog,$.Rocchus q.4. progm. Tolct. | es J. Kuuius q. 1.& citat pro hac fent, Jamblic. epift. ad. Sofipasr Alexand. in : Vlog Tepi D. Tho. opufc. $8. et 70. Acgid.1. Poft. Albert.trac.1.Leg.c.3. 61. Dicendumtamen cft Logicam arti ficialem (de hac enim eft queftio) nequa. . «uam ncceffariam eflc fimpliciter,& ab folu A Prada aliarum (cien iiaruüm 5 ur yt experientia docet r] et muli Thcolo ; MR »s enam Fontificium   » aut parua faltim cognitione rc um logi sali. Quod vcro inquit codnunis "à nio hos nó acquirere facultates illas totas liter, et pfc&e, ideoque adiillas fic rendas iimpliciter ncceffariam céferi de bere ; Sané id non probat neceffitatem logicz fimpliciter ad illas fcientias com» parandasíed neceffitatem fecundü quid, et cx loppofitione, illud enimdicitur ne ceffarium fimpliciter, et abfoluté ad ali quem finem,(:ne quo finis abfolute obti neri non poteft ; illad dicitur neceffariü fecundum quid, et ex fuppofitione, ine quo,licét finis abíoluté poffit obtineri non tamen certo aliquo modo, v. g. non £qué commodé,nó zqué facile,nó zqué €itó,quare neccífitas ifta potius (peat. ad modum acquifitionis,quàm ad fübflá. tiam finis obiinendam; Cu igitur abíque. logica abfolute poffint aliz facultates ob. tineri, eius neceffitas ad carü acquifitio nem fimpliciter nó erit, et abfoluta, fed tantü fecundum quid;& ex füppolitioney   finelo | nam quód aqué facile, S& lo gica obuneri nequeant, pertinet ad mo»  dum acquifitionis,nó ad lub&andiá nis, ur exemplo, nam ad falutem anima ncce(farius fimpliciter eft flatus   Chriftianus,hic autem duplex eft,laicalis. P vnus,rcligiofusalterp et quidem religios   adhibendo longé tutius, atq; períeétius. acquiz itur hic finis; quem. ligie. tur cx boc inferre oos valet. ftatum reli giolum e(letimpliciter neccilariüiadami     ma (;lutemjita cx hoc, quód logica me diátc perfc&ié, et coraliter aliz (ciencias. acquirantur non bene infertur eius. fitas Suit et xA ad illas ac». quirendas, m crtinct adac aifitionem finis n m us Jas O, non bcne ecnícrasnecelari plis: citer aene xipsbils finis, ie sib quid, et ex tione, cum nó pcer tincat ad (ubantia acquifitionis eius fed, tantnm ad modj;(cd Logica ex opinione cói allata non pertimet ad (übftantiam ac». quifuionis aliarum fcientiarü, (ed tif ad. modum,vt . f.rotaliter,& perfe&é acqui. rantur,crgo Logica nó cft neceffaria fime pliciperadillesacquirendas wid 1 In oppoiitum obijcies Pri. 0. bádo, Br nerit fosplsidn a ame cientja Ite re (000 Bevilitate eooiecefitate Loplea /&Aet.VT. /I 484   fcientia etiám in effe imperfe&o eft vere fcientia, ficut animal iinpertectum cft ve rum animal, fed noo pót comparari vcra fcicntia (ine Logica, veta enim fcientia habetur per demonfitrationem,& hac pet Logicam arvificialé. Tum 2. quia nullus habet veram fcientiam;nih (ciat illam re foluere vC jue ad prima principia ex Actif. 1. Pofi.c. i; Sed (ine Logica nullws feit re folaere etià imperfe&té. Tum 5. ad fcien tiam requiritur cuidentia illationis. «i. c .. cognofcamus euidenter conclufioné in "ferri ex praemiflis, atqui fola Logicado €et,quando conclutio inferatur ex princi ;pijs: Tum 4.quia licec quis ex lumine na 'vurali allentirt po(Tit vni, vel akterr.coa clu(ioni proxima principijs lumine nitu 'r& notis,ille tamcal(Ten(us rion eft (cienti »ficusüne certitudine confequentizr, quia 'euam in prima figura poteft error cótin gere, vnde nemo certus eft fe non etrare "fine íliqua reflexione, quàd feraaucric re ;gulas mm quas docet Lo 'gica artificialis .. Jum demü quia ipfa cft modus fciendi 2.Met. 1 y. Rep. per folam "Logicam naturalemcófici pofi aliquam " demon(trationem, quia in fcientijs fant "alique coaclufioncs ita proximé inniten 'tes principijs lumine naturali notis, ex ibus adcó euidenter fequitur conclu fio, vt explicatis terminis conficiantur 'abf4. difficultate tales demonftrationes. " Ad 2. in (cienujs aliqua refolutio inpri : "ma prircipia)& aliqua illatio confequen  tia cffe poteft ita per (e nota; vt fine arte "poffit attingi certe, et ab(que formidine. " Ad 3 naturale lame, (icut propria virtute "fc extédit ad a(sentüm principiorü,ita ad vnam, velalterá concluíionem principijS proximà fe excendere poteft fine arca, ad 'greras veró remotiores vtiq. fe extédere 4 itynili ex arte et magna rcflcxione. ; Aeg iinbuiu(modi demóftrationib. !proximà innixis primisprincipijs haberi nó po ffe certitudine coiequentig (ine ar. ione, nametiam(i in aliquo modo primz figura pollet error conungere » imprimotamen confzquencaa cft Fei lids vé méostiun. Ad s. Bees armani ueri et per P^ ab ^ 61 Secüdoobijcies &contrá, logicam artificialem nullo prorías modo ciíic ac cetlariim ad aliarum fcietiarit acquilitia nem, nam ad ime [unc nccce(i ria, et quod ad fint principa per (e nota,» s "o. T. z Ps P " 2 quibus przbcacor a(fenfas ;. et vtexillis . €etta deducatur cobiclufio; (edad primi fu fficit lume naturale;& ctiam ad (ccun dàm;nam necceflfitas coal cquenuae cciam fundatur in principijs per fe notis; f. dict de oimni,& dici denuilo. Tum .li effet ^ m. gp nece(faria maxime id c(fet propter defi ^ nitiones,& d'uifioncs, (ed qualibe: (cie tia habet fuas definiuoncs, diuifioncss ergo. Tum 3. nam qui(íque percipit,nuas recté intelligat ex obiecto, cui operar cótormatur,yel nó,& fciétia qualibet co gnoícit (num obiectum Tum 4 quia f£ cft nccelfatia ad alias (ci&ias (alti. per fecté acquirendas, pati racione neccílaria forctad fcipsá perfecté. acquirendam, quod impoftlibile videtur, Tü 5 «uta (al tim ad practicas (cientias non videiur ne »cefl'arià nam practice (olum rcfpiciunt tccritudinem operis, nonautcm ipfam "indagationem veritatis, vndé folum indi nt prudentia,velarte, Tum demü quia itus naturalis non datur ad (implici 'ter poffe, fed ad facilius pofle, crgo liae :Logica artificiali poterit etiam. perfecte inteile&us confequi alias (cicntias, licec cum maiori difficultate . e Rcfp. per illud probari folum lumen 'naturale extendi pofsc ad vnam, vcl alte ram conciulionem princij»je pec Le notis proximá ; ad caeteras tamca remotiores cxtendi ncquit finc arte, et reflixioac ad regulasartis, et in iftis neccilias conic quee non poteft certà cops /cr ne Ogica . Ad 2. licet (ciencia. paruculares habeant definitiones ; et diuifjoncs cer (is materijs applicacas illarum tamcn bonj t5,.& certitudo cx przceptis logicis de dcfnitione, et diurhionedignofci dcbet . Ad 3.paict cx di&tisarc 2. in fol. ad pa 1.um, Ad 4. concedimus logicam eiiam tibi effc neceffariamsficut luae, quod.cit . medii ncceülariü ad quodlibet videndü y «fl cuà libi ipfi neceitarit, vt vidcatur, c revera logica libimet, iefciait: por oppli atiuRC Yoius aliam, nà ila pars qua ^ a$i i agit de terminis fimplicibus ad dire ionem primz operationis atcins, iudac ád cognitionem alterius partis, quz agit de enunciatione, et attinet ad dire&tioné fccunde, et hzc pars ipfa iuuat ad illam, quz agit de difcuríu, .& tora ip(a Logica ruditer, et imperfecte rradita in inftitu tionibus pro Tyronibus eft necetaria ad feipsá poítca perte&é tradédam, et pro dignitate . Ad 5. licet id. gratis concedat Joan. de s. Thom. id tà admittendum nó eft,quia pra&icz quamplures (cientificé rocedunt, et (uas demon(trationes có ciunt,vndé (altim ex hoc capite Logica indigent. Ad o.negatur coní(cq.quia licet femel,atq. iterum poffimus bené operari in p materia; perlogicam natura Jem, et naturz lumen.circa noftras opc rationes reflc&tere,id tamé nó poteft fie ti (emper, et in qualibet mareria fine regu lis artis. Dices, ergo ad (ciétias faltim fic acquitendas, .f. perfecte, erit [implicitec nece (Taria. Neg.con(eq. imó.e(t implican tía in adiecto, y.n. fic pertinet.ad modum acquirendi (cientias,non ad (ub(tantia,& (idco non re& infertur indé neccílitas  (impliciter,quia (ine logica acqui ri poteft aliqua fcientia quoad fubftan tiam habitus, nam hoc fit per quamlibet demonttrationem, (cd tantum neccfíficas fecundum quid,& ex (uppofitione; vt dc. £latarum cit in concluiione probanda De partitione Lozicz ( quz «erat altera pars huiusarticuli) varij cxcant. mo di dicendi. Tatar.q. 1. proaem. Logicam itur in veterem, et nouam, vetus cít illa, quz de paribus argumentationis tà propinquis, quàm remotis tta&at, noua, quz cftde argumentatione ipfa, ciufque cere fübic&iuis. Maurit.q.3. vniucrf. Logicam fecernit in cam portionem,que eit de partibus áncegrancibus (yllogifmü, et cople&titur libros pradicabilium, prae dicam.& Periher. et in illam 1 quz c(t de partibus fübie&tiuis. Conimb. cum alijs Auctoribus padim n procem. Log. íe. €ant Logicam in tres partes (um ta diui fione ex paricobiciti, in eam, quz c(t dc delinitione,n cam, ps de diuifione, et inca:n, quz agit de diicu: (u iuxca nume Um initcuiieatorum tripus opceationi« Queftio ProamleNamraLogis. ^ 0 busintelletus deferuientium Dicendum tamen, quàd Logica infe, j& in totalatitudine fua in duas diuidi bet principes partes, in quarii «na deia  ftrumento (cicadi, in cóijagatunin altera de (pecicb, et parcibus fubicótiuis cius, et prima pars fübdiuidi poteft in illa, in ua de principijs,liue effendi, (iuc.cogno Ícendi modi (ciendi in cói agatur,& in il lam,quz tractet de affe&tionibus cius, vt fic; fecunda etiam/ubdiuidi poteft iuxta  :numeti (pecierum modi fciendi,quz : Átantiores (altim, ad quas coeterz reduci potlunt, tres recenferi folent, definitio, diuifio,& argumétatio. Ratio huius pat. titionis facile deducitur íupponédo,quc :qR fcientia diuiditur, débet primo diuidi án partes principales,:nó autem in minus frondes » Ille vecó dunt partes principa es in cientta, quz per fe, «& dire&té.ad illius (cientig texturam,& integritate (pe   «ác, et propter fe expetuntur,& non om ninó.in ordine ad aliud,fcu ad aliam par tem, alioquin cum illa con(titueret vnam. partem principalem, nó auté in fe talis ef fet; fed filogica contexeretur sr totum ambitá (aum, vtique traétatus acie d mento Íciendi in cói dire&té,& pet í  ftirueretur tractádo dceius principijs.&c pallionibus,& propter Íe expetereturs militer tractatus deipeciciun DE &c. maior o(téditur exemplo, mmamlib. et 1. Phy(Cnon pem ioi) diftin &am principalé à ceteris lib. Phy(. licet jnillis de priacipijs agatur;in iftis de pa fionibuscarporis naturali alia certé irationcnifi quia omnes ordinátur ad co guitionem corporis naturalis in cói ; Mi nor patct, quia quilibet tra&atus direi pertineret ad Logicz confiderarioné,nec 'vnu$ ita alteri Di. Aon i elfer,vc nc quaquam propter íe expeterctur; nàá ma« tctia tradira. in vnoguo que, digna. fort propria, et peculiari co(i precio ordinevaius adalium.  At fi fermoit dc Logica Arift.hec in duas diuidi debet principales partcs,in Qquancu:n rama agitur def;llogi(mo, in aitera de icio iig » illa conunebit libros pradicabil:á, praedicaméta. Peri et rriorálta libros Poft, lapin ^ Füstio huius partitionis eftquia lib. prz dicam.& Perilier.non propter fe ex pecü tur, fediri rede proríus [yllogitmi in €ói, ergo n ime conftituere partcm rincipalem.fed cü lib. Prior. vbi de ipfo. yllogrfmo agitur. vnam parcé principale conftituent, quod pariter eft de. fecunda dicendum: Adliuc tamem paries eiulmo di principales in alias minorcs fecari pol funt;prima in duas, in cam f. qua c(t de principijs inte rantibus fyllog;faiumyque adhuc (ubdiuiditur; vel cnim tunt: princi 3ia remota; et fie elt liber predicam. cut. in(cruit liber icab. vel (ünt propins qua& fic cft liber Periher. et inca, qua" eft de quidditate, et affeGionibus ipfius. fyllogi(mi in cói,& fic süi libri Prior. Al ttta vero diuiditur. in urs minores partes. iuxta tres fpecies [yllogimi, nam vel € démonfttatio, et ita habentur lib. Poft. vcl (yilogifmus probabilis » et fic habGuir: De modis, fes inflrumeniis fendi .. Proan..merito primum locum pofcit bac Difputatios cii fciendiyfeu inflrum&étum cognofcendi Statutum fit obietl i Logices plané bnc Logica debet incipere, »t ab initio exatiam pra mittat. jui obietii cognitionem y btc autem non folum de: modo [cien di im communi agemus ed: ctiam ad quadam iftrumenta particu oft Quaji. n. modus Deneal[siiate, eo otilitate Lopica frt. T.   183 lib. Topic. vel deceptorius, et fic haben« tut lib.Elench. qui difcurfus integer col» ligitur ex Do&t. 1. Prior.q. 2. Nos quam uis Logicam intota latitudine fua ad ni miam prolixitatem cuitandam contexere non intendamus,cuia tamcn ampliorem contcxerc volumus;qaàm reliquerit Arif. altius initium; Difp. petemus; nimirum ab ipfo inflrumento fciendi in cómuni;paus latim poftca. dcícendédo ordincm ipfius Arifl.capiemus: Aliasqua(dam difficuls ficultates de vnitate Logic ; fubalternas tione ; &c. quia non (unt. Logicz pecue liares; fed alijs quoque fcientijs commue nes, hic libenter mi(las facimus, et víq.ad Pott.lib.differrimus ad Difp. dc (cientias nam ibi de vnitate habituum,fubalterna tione fcientiarum, alijfq? communibus  earum attributis fumus acturi ; et cx ibi dicendis facilé patebit. carum rcíolutio «; A »« laria deéfcendemus, ad eomimirum, quorum notitia eft' Preis nece[faria ad. c gte«  vorum captumy C [e babentvelut clauicula qu&dam»ad a Soro lib. 1. [umm. c: 4: Auería q. 4.Log. Quid, et quotupléx fii modus y. feu in ; rumentum fciendi . . E natura inftrument: Logici, q? D modus Ss cn tionibus varié.Jóquütur Auctores; Zaba tel. iníuis lib. de methodis per:totü; qué: ftquitur. Faber T heor:; 16: cótendit de ra tionc ow (ciendj ciie.vim illátiua,, ira d folum dicatarápftrumentü : qued habet vim nou ficádi igno : turm ex noto. A jij mitius: ag&tesanquiunc ead initiumentum. logicü ; quod ' . mitius fofficere ad. ; habeat vim mam fe ftandi ignotum, fiue idiasia rilagonisp fub ab moUoyita liftarum, qu la aptrienda e fc&.1. Complat. in przamb. ad fümm. Cafil.ibid. c. 1. et eft cóis opinio Sümue ui arodum (ciendi dcfiriiüt, qp  eft crario tranifeflaciua alicuius ignoti «. Alij demum perimodü fci iter non (olüm,quod habet vini manifeftands ignotumfed quicquid quo quomodo iu« uare poteft intelle&tum indiri endis operationibuseius", ita loqui. vie dentur jdem Compluc.difp.procem.q.3,  cs namero ntmenrorm lo gicorum varij exorti funt modi dicendi, gomentationcm inftrumentum logicum : appellant; &ecam prciputy quaelt in. A $4. matcria neceffaria, qualis eft dcmonflra tio, hzc .n. parit (ciennam proprié dicta, vndé in toto rigore meretur nomen in firumenii fciendi . Auct.2, fent. licet ma. ior pars corum tria a(fignent in(trumenta logica;Dcfinitionem, Diuifionem,& Ar gumentationé, tamenaliqui hunc nume ' rum minuere aggreffi func fübftrahendo diuifionem, «o quiaró fit ab alijs in(Lru menus condiftintts, ità Hurtad.diíp. 19, fcé&.6.Valliusimit. Pott. q.1,cap. 3. et fuit fent. Algazcl.imtua Logica, Al1j € contra numero rernário non contenti addiderüt Rcíolutionem, quz cft progretius à par» ticularibus ad vniueifalia;à pofterioribus ad priora jità Euftrat.in (ua prafat. fuper 2. Poft. An.mon. fuper proem | Porph, Damafc. c. 1. fuz Phyl.. Alij addiderunt enunciationcm, vr Auerí.cit.& quamplu zcs methodum, fumendo methodum pro ordinc;qui in fcientijs obferuari debet, vt diftin&é radantur, et fineconfufionc. Au&orcsdeniq.3.fent.lati ffimé vfürpan tcs modum íciendi appellantj initruméta logica omes fccundas intentiones, de quibus logica tratar, fiquidem omncs il. lz (unt aliquo modo veritatis oftentiuz, et conducunt ad directionem operationü intellc&us;qui cft vnicus logice finis, ità Complur. loc. vlt.cit. " ..à Dicendum ett, quod licét flri&i(fi mé loquendo pma fciendi, et intiru mcntio logico (ola argumentrauo poflit dici modus (ciendi, v: pote qua fola ex noto ignotum manifcftat pcr vim illati vam ; et illum fuse (umendo srn tocar extcnfionem, quam poteft habere ; om ncs (ccundz iniemioncs logica dici pot fini intlramenta fciendi, .1. rcété cogno Ácendi, vt peté qua omnes fuot ali modo veritatis ofleofiuz, et intellectus dircétiuz, tamen proprié loquendo mo dus ÍGcndi, et infttumentum logicum eft illud, quod habet vim manifcttandi ignotum quomodocáüq; id faciat, cumq; id folum conucniat cum omni proprieta 1e Defniuont, Diuihioni, et Argumcnta tion!, hactria propriéeiunt inilrumcn à logica non plura,nec pauciora. Concl. 1 Scoti q. 2. lib. 1 1 rierem quam tenet. Tat.q1.przamblegice,& Symmulifl ^Difpur. 1. De infteumenis [ciendis s. 1. quO gargumentationem, vel d omnes . Et quantiim fpe&at ad a(fignaf dam rauoné modi fciendi,feu inftruméti logici probatur brcuiter y quia. vt docet . Scot;4.d.1 . q.2. fignificata vocabulorum, probare nó poflumus,fed oportet ea (ups . ponere ex comuni víuloquéziü, vt apud logicos nomine modi fciendi.con(ucui; intelligi via di(tin&é cognofcédi Moduoq anté confusé cognofcebatur, vndé inftru, mentum Íciendi à Summul. cóiter dcfinis. tur,quod fit oratio manifeflatiua alicus ius ignoti, per quod excluduntur voces.  limpliccs, et incomplexa quia (a fficiens, tcs non (unt ad explicandam rem diltin, &é et explicité,fcd ranrum contus fn ficanbergo abíq. fufficienti rationc Aur &ores prim (cnt. nimis coarétant rone. inftrumenti logici, fcu modi fciendi, vt. folum ab illis orationibus participetur ». ua habent vim mamiífc(tandi, ignoti per. E: aüienem, et mimis ampliant Autores  3 cnc. dum volunt cam conuenite etiam nem s vocibus fimplicibus& quibufunquein e D T" tentionibus logicis., T WE 3 Dendé probatur exe amisvne denomeninflrumenti deductumett,nà  in eis non (olum appellatur inftrumentüs, feu modus conficiendi artesactum illa tia difpolirio, (eu applicatio snatet €x qua immediare  rcfaliat ariefactu 2 fed ad quamlibet parcé artefa&ti feorfiae   facicndam datur euam quor. et facilétalis parscfficiatunfedquianom  ità cernitur modus rc&é operádi in qua libet minutiffima parte arcefacti efficié dà, ncc certum inftrumentá illi cortefpOs  : det, fed in pricipalioribuspartibusilliuss  ita hac proportione teruata logici nomerr : modi. (ciendi non reítringunt ad folam DELI S atére(ü ientifica cognirió, i ampliant pt ie i rt nd; ifi tentrones. logicales, fed tribuunt illud incipalioribus quibuídam intentioni« u$,.f. Definitioni Diuifioni,& Apees ; pectcec e generalia quedam infira menta (ctendi, in quibus clucet vis manis fcftandi ignotum, vndé proxime ;& ims. mediate ditigunt intelle dorm ed rauonibus ; ac proinde fpeciali moda   Que. I. Quid, e) qunwplew fitinftrum.feiendi.. 183 €onuenit eiscfIc veritatisoftentuas, Hinc facilé probatur altera pars con clufionis,quod tria tantüm fint inít rumé ta logica: Deliaicio, Diuifio, Arguméta tio; nam vt difcurrit Tatar. Modus (cié di cft oratio manifeftatiua ignou hoc au tem, vel eft complcxü, velincóplexum,(i fucrit coóplexum; man;feflatur per argu mentationé;fi veró incóplexum, vel igno ramus cffcntiamn, et banc explicat defini tio, vel partes cius, et has manife ftat diui o,vt v. g.in homine fi cffentiam igno res,manifeftatur hac definitione efi ani mal rationale,fi ignores partes cius,ma nifeftantur hac diuifione Hominis alía pars efl animasalia corpus, et fiignores propriam pa ffionem, Qua de illo praedi. catür, dicendo bomo : rifibilis, mani feftatur per hanc argamentationc Qme animal rationale eji vifibile, omnisbo to cfl animal rationale, ergo omnis bo» amo efl vifibilis, ergo ficut nullum aliud datur ignotum, quod manifcflctur, ita nullus alius datur modus fciendi,qui ma nifcilet . Tum 2. quia et fi aliz intentio ncs logicalesconducant ad cognitionem rerum acquirendam, et intclicétum iu uent iníuis operationibus ; tamen pro ximé, et immediaté id non efficiunt ; (ed mediantubus illis tribus,ergo illa tria pro prie funcinftrumeria logica, et ad ca re duci dcdent cztera, quz ad modum fcié di quoquomodo pertinent. 4 Viaterea numerus hc cernarius nó potcft rationabiliter augeri, ncc minui ; €rgo initruméta logica n funr plura, nec pauciora sribus;probatur aflumprü, non potcft io primisaugeri addendo Ix cfolu. tioncm ; vt inflrumcntum ab illis tibus cendiftinétum, nam re(olutio fa pe (2. gius cum Diuifione coincidit, nar diui  dendo reioluimus » et reducinuus rem in. fua principia, vnde et Arift. in progem. Phy: Rcloiutjonem appellatdiuijoncm tcX.3« Pofjerius autem eX. bis nota. fiut. elementayG. principia idu bac diutz., «ieioluunt;interóum cuam coin»,  MdRani Dbutigne t De iid pe ., quando nimirum reloluimus dcfi niédo monftrádo;dcfin &do quide ial ecuas iniunvin iuapria T oweqo P s i cipia definientía, demonflrando vero, cli pcr demonftrationem à poftceriori, feu à figno;qua dici foler Methodus refoluti ua,cffectum refoluentes caufam inueni mus cx Acerb.lib. j.9.q.Perip.q. 1. Nec debet augeri addendo Énanciationem cá Auería,quia de ratione enunciat! onis, vt ficscft táàtum enunciare vnü dealio', non autem manifcflare ignotá, in quo confi». ftit ratio modi fciendi ; vode fecundum quod eft propofitio, nó neceffario affert rcs notiorcsícd folum id evenit, quando coincidit cum definitione, aut diuifiones vt cum dicimus bomo efl animal rationa lejbominis alia pars efl animasalia cor pus quo cafa enunciauo manifeftat igno tum Don rationc (ui,/ed definitionis,vel diuifionis,que in ea continerur crgo ená ciatio,vt ic,non cft modus fciendi códi ftin&lusà ceteris, quia per eam abfolute profercur vnum de alio, fed nullo modo oftéditur veritas illins;quod per enuncia tionem afferitur: N ec demum augeri de bet addédo Methodum,fcu ordincm fer vándum in fcienujs tradendis, quamuis enim hic ordo maximé iuuct m&is dirc &ionem,valdeque condtcat ad ícientia rum acqu/fitioncm,nam ordo confufio« nem climinat ab intelle&u, nó ob id ad dendyus cít y vt infirum;entum ab illis ttje bus condiftip&um, fed y'otius dici debet illorum communis qüzdam rc&ta. difpo fiio, vt bcne dirigant cognitionem no flram,g :ta probatur; nullum inftrumé tum ad fuum onus ztüaan oi priug fit rc&é difpofitum, et accommodatü Kos E be pe o cte ern obtufa, fcd prit sad cotem acuitur,non, vumur calamo ad fcribendü nili prius ak, tcmperaro; et fane acumen boc in fecus. ri, et calamo gon eft ipftrumentum . fün&um à (ccori .& calamo » fed. Lt difpofitio quzdam neceffaria ad inftru Werl » vi bene fum n ünusexciceat à at Methodus  et erc » cie j Susi li ur wlis difrolitio cómup us inftru VUPTPIIME ERU. D icf Be beca EMESE "ct ^ 176 priiis fed diretliuii in aliquo atíu, exté dendo nomen, quia tamen atius,in quo dirigit, no eft nifi pen,rdeo logica roprié nà eft prac icayfed |peculatiua . | been explicatur conclu(io,ná co gaitio pra&ica poteft (umilaté, pro no titia ./. cuiufcunque operationiscontin quete (it eccoris capax, fiue pra&i ci,fiue [pecalatiui, et non eft puré cócem platiua naturz proprij obiecti (cd etiam cffc&rix illius, et (ic Logica dici potett fcientia pra&tica,nam fcientia Logica nó fiftic in hoc ; vt tantum cognofcamus na guram fyllogi(mi, fed tradit regulas, et cepta illum ce&é cóficiend:;(ed quia Pocos inficit ad notitiam practicà pro prié didam,fed effe debet directiua pra. xis,nimirum operis ab ele&ione penden tis, et quod (it capax erroris pradtici, ac proinde imputabilis ad laudeas, vel vitu perium, ideà propri loquédo logica nó e(t practica;fed (peculatiuayquia ip(a di  rigit actus intelle&us, ne contingit in eis falíitas, qui eft error (peculatiuus, et totus cius finis e(t veritas,& fcire,nó aüt operari, nam non (olum cognitio natura fyllog;fmi,verum et illius conftructio ett propter (cire,& Logica efficit inlttumen tà (ciendi, non vt operemur; led vt re&té cognofcamus; Etvcmodo ab(tineamus ab ca conccrtationc, an opcratio intelle étus dici poffit. praxis, de quo inferius loc.cit. hoc omncs fateri cenentur, p li cct aus intelle&us in ordine ad bonita tcm moralem dire&us rationem praxis habere poffit 5. t& quatenus dirigitur in ordinc ad veritaté,non habet rónem pra Xis, quia tunc fimis illius dircctionis. cft veritas,& non opusmodo lozica dirigit operacioaem iptelle&us,nó vt participat itaté moralem à voluntate cóicatam, fed vc verfatur circa verum, qp eft pto rium intclle&us, et hoceft przcipuum mentum, cui hac innititur (cntétia, $7 At refpondent contrarij, et prefer cim Aucría cit. parum refecre,quod cogni tio fpeculariua, que dirigitur per Logi cam, fiftat in contemplatione veritatis. Nam ipía Logica nó fiftit in contempla tione yeritatis de ipfo (uo obic&o, (cd ordinatur ad illud efficiendum ; atque graria (ai,& n": feipfam. Et Queflio Proem.de Natura Logica. adco non eft propter. feipfam, et pratia fui, in quo có(ttit ratio (centi pra&tie cz, illa autem cognitio e(t fpeculatiua s t liftit in contemplatione veritatisde  uo obie&o, quod conftidetac, et ficeft quando dixit Arift. (peculatiuz finis eft veritas, pra&t;ca opus,non intellexit de finc ope rationis diredtz, (ed dc fineipliu(metca, . gnitionis, quz dicitur fpeculatiua, vel   ^ ractica, ee quód fpeculariua ita co gnoe is veritacem (ur obie&i, vt alio veritas tem non dirigat ex modo cogaof(cendi, Jf. precipiendo, et dictando de obic&to cognito faciendo,alioquin nó rret mere «ogno(ciciuá., et ommn:no non fillécet in notitia veritatis, fed opératiua fortt', et pra&ica . Tota hac refpontio falíz inni» titur intelligentiz nature cognitionis practica, et (peculatiuzfallum tiqurdem cít qualécunq; ordinem ad opus.fLiétiam  exiahere à ratione (cienuz. fpeculati ug, et ita in fimplici, et nuda cótempla tonc ut obicéti fi(Lere dcbere,vt nequa Jue ad illius effc&tionem ditigere pof 15q0d P. Didacusq.6.proeem:& Compl.   manifelto demonttrantexempló, Geómetria namq; Aftrologia, et Mathema tic& (cicntig fpeculatiuae (unc, &tamen non eft contra Lei sdb aliquid ri,nimirum triágülü, (pha ram; aut finta iin; opus etiam numerandi, vel  meníurandi fpeótatad illas, &Ctamen eas nó extrahit à ratione fpeculatiuz, nó ilia raione, niti quia horam inttrumentoráü conftru&io ordinatur ad coguitioné ve ritatis, neque per illam intendunt (ciéciae huiufmodi opus ipfum fa&um, fed veri tatem,crgo cum Logica nó folum omnia ordinet ad cognitionem veritatis,(ed ip fum opus,quod dirigit, cognitio veritatis fit,plane ordo talis ad opus à ratione (cie Liz (peculatiug! ipfam mon extrahet ; Et hac de cauía etiam propter (eipfam di cetur, et non proprer aliud, quia etia dirigat inopus,tamen in hac ipfa actuali dircctione, immo, et cffc&ionc oper et non intendit opus, vt (ic, (edyveritaters. Poncius ctiam difp. 2. Log, q.8 n. 85. hanc probationem inficiatur,& ait facilé folui poffe dicendo, quod licet finis pro»  en fit [Gientia realis, eov fpeculatiaa, e frt, xi mus pra&ticz fit opos,non veritas, tamé "wetitas potcft efle finis eius remotus, et fic in propofito dici poterit Logicà effe pra&icam;quia licet remoté ad veritatem Ordinctur, proximé támen ordinatur ad . opus .f.ad confe&ionem fyllogifmi,& a . Tioram inftromenrorum fciédi,quod fuf  ficit, vt abfoluté, et fimpliciter practica ^. dicatur; quod enim : » dinetaradveritátem cognoícendam im 5": pertinens eft ad Logicam (inquit) nàm Uo ffcamrium ordinaretur, 8^ Ddin vii irse UE deis VN fa. hoc opus ylterius or fc.etlentiali ereà fclentiattadens" modum ill  ""wiitodic fet fjxttülua i cii net! de fa . Aio Medici ' tande memoriz,& difponendi caput inor » quie trádit modum recupe dire ad acuendum ingenium dicitur fpe «ulaiiua licet recuperatio memotiz, et acumen intelle&us ordinentur. ad'ícié tias habendaz; Ád illud de Mathematiea, oa: docet conficete wiangulum,& came "ett fpeculatiua;ait aon e(le practicá, quia nori oftendit adazquaté, qnomodo trian "gulus fieri poflit, (i ebim fic oftenderet, plané practica non foret, Hinc tandem n. 87. ipfe probat conclufionem, quod Logica non flt pra&ica, ied fpeculatiaa. iia in omnibus eius partibus dirigit 4 15 intellectus ; non autem actum alte "rius potentie ab intelle&u ; quz. (ola eft tpraxis,vt docet Scot.q. 4. Prolog. Hac stamen fua ratio parümvalet, quia vcl fal. fum, vel faltim dubium aflumit ; quod .f, mulla operatio intelle&us dici poffit pra is, oppofitum namq. probabilius cít, vt infrà patebit difj».1 2. q» f, art. 1. et tenet etiam Ponciusi pfe difp.cit.n. 80. et ide "libenter ab hac ratione abflinmus;qtio  wq; infra melius declaretur; Quare pre ftat adhibere rationem à nobis adductá, "qua non eft ità facilis (olurionis, vt Pon €ius arbitratur ; fenfus namq, illius axio matis, quod finis fpeculatiuz (ic veritas,  practice veró opus;verus, et gcnuinus cfl, quem vcrba ipfa prefcferunt, non autem quem ipfe commifcitur, nempe quod fj mis per fe imentus à fpeculatiua ett. veri ta5, p'ra&ticz yeró opusbonum in genere n.oris, vel attis ; et (1 interdü (peculatiua opus attingit aut practica veritatem, id e(Ie meré per accidens, et propter aliud nam fpeculatiua opus attingit, vt v. g. ift propofito logica b logifmum, non nift graua veritatis, vndé illud a(fumit pro medio, non autem pro fine à fc intento ; fic A ftalogia docct conficere,& conficit fi/herà materialem ad eum modum, quo Cotlos effe inter (e difpotitos exiftimat; .tamen quia hoc opus non propter fc conm ficit, fed in ordine ad veritatem aflequem dà de fitu, et moribus Orbium, nó amit tit rationem (peculatiue; C)10d aüt (ub  dit de Medicina di(ponere caput ad acué& dum ingenium, et arte lignaria fcamni confc&iua, quod ordinari poteft ad ve ricacis ftudium fedendo fuper ipfum, val dé eftabs re noftra ; quis enim non videt fy!logifmum opus cffe magis aptum pro veritate a(íequeada,quá (it camnum ? et quo pa&o fieri potett, vt (camnü per (e efTentialiter ordinctur ad acqui fitionem fcientiarum, vt ipfe (üpponit? nonne hac eft ridicula fuppofitio? fic pariter quis non videt', quado Medicina remedia cra dit memori recaacerandz, et difponen di caput ad Maciqun ingeni, finem ab ipfa per (z intentum effe capitis purgatio nem, acquifitionem verà fcientrarum, et vetitatis mer&yer accidens ad ipfam at tincre? non ergo exempla illa ad rem fa ciuntncque ronem noftram labcfactaat, Deniq: omninà falfum eft, quod aicbat hic Au&or Mathematicam mon adequa t& docere, quomodo triangulus fieri pof? fit, imó vmcus Mathematicg [copus cft docere modum formandrhutufmodi fi i mathematicas, vt videri pot apud uclid, quod fi Mathematica id adzqua té non docet, debebat hic Auctor £:cul tatem a(lignare, qua plenéid doceat.   $8 Iu oppotitum obijcies r.precipuü "oppofitz (ent.fundamentum, Habitus di rigcos aCtiones voluntatis elt practicus, ergo et habitus dirigens actiones intelle étus. Nec valet ncgire paritatem;eo quia optrauo volunraus eft praxis, nó apera "tio 1ntellcétus. Hac namquc aon ctt fufficicns ratio, vc iile babitu dicatur practi cus, ifle fpeculaciuus, quia prudeücia cft habitas praéticus, et cum hit omni dire Griua virtutum, etiam dirigit operattoncs : aliquas 498  : Qusflio Proem.de Natura Logis. 5. aliquas intelle&us, qui ad virtutes perti» nentergo quod Logica dirigat operatio $ intclle&us, non obftat, quominus fit Ius pra&tica Nec ctiam dicere valet, operationcs intelle&us, vt à prudétia di rc&as, habere ratione praxis, quia vt fic; pendent ab ele&ione voluntatis,& süt capaces erroris practict, ac proinde im tabiles in gcnere aioris, nó auteq ira fc habere,vt dirigaatur a Logica,quia nó cadunt fub dircétione Logica, niát vc süc capaccs erroris (peculatiut f. faliicau s et idcó non (unt praxes ; (cd mera fpecula tiones ..Nà conira vrget,Valquez,quod etiam in operibus Logicz principium e(t electio, fi quidem liberé fiufic, € volütas mouet intclIc&ü ad (uos acts, ficut ce teras potentias ergo Logica vcr ett fcié tia practica a&iua, vt pocé qui verfacar €itca opcra,cnius ptiaci pii ett eleGuo . Refp. quicquid fit de prima folutione, quz pendet cx alia difficultate, an opcra tio intellectus poffit habere rónem pra xis (vidczur .n.habere poffe quarenus be né, yel malé moraliter ficri po: ) de qua Anferius fuo loco.fecüdamn folutioné om ninà (arisfacere pro aegarionc paritacis . Et impugnatio Vafquez, quamuis apud Mautitiü alicuius ni inomenti,eam 4n.adducit,& nó foluit, ità tanien friuola eft, vt ctiam Coplur. aduertunt, quod fi uid probat, probat quoque nullam eife cientià (peculatiua, ficuidé omnes actus cuiu(cung; (cientia fiunt, vel Gltim fieri poflunt à noftro intelle&u libet, et me dia motionc yol(icatis cum igitur ait A rift.6, Met, c.1. (cientià acturam verfaci circa ca,quor( principii cft clcé&tio,in tell:git de operationibus, quibus per. fe conucnit procedere ab ele&ionc, et rales   re ' funt,actioncs virtucis moralis,omnes .n, tales aux font actuseliciti ; aut (a'tim im perati à voluntate at operationiBus in tcileétus,vr à e dirigumur mere p accidés cóueni libertas, (cü volütatis im periá, quia antecedenrer ad qüsmcunque  Nolütatis operationé po: intcilectus erra rc in fuis actibus,& per rcsulss, quastra it Logica dirigi, et ideó actus eius, qua tenus à Logica dirigürur, no funt praxes. $ccü 4o cbijciunc rauones ex Aurcol. uia Logica e(t dc obiecto operabili, et r2À ilie vetíatur modo opcrabili, et yt vocan compoflitiuo,& non meré (pe culabi!, et re(olutorio,non.n.contempla tuc tancum mitacam deliaitionis et argu menrationis/ezd traditregulas, et przce prabcoé ila conftruendi, X&huic argamento inatitur Ouuisd.loc. cit, Tum 2« quia agit de operationibus intelle&us, | quarenus illius sütnaturg,vtbemd,vclma le&cri poffint, et radit modá,quobené fiant,ac detegit vitiayqua cótingere pof»  (uutinexercitio tar, arqui lec propria fant (cientiz pra&ice Tam 1:2 b €liciunrur à Logica, quomodo ficri de beat definitio  enunciatio jf£yHc 750g er oGÁmui   Ac. noníuat propterfolam verias co»gnitionem, vt ibi fi (tamus, fed ex natura fua refc runtur ad v(um.vt definitiones et ne ercorc faciamus. Tii 4. Logica et ha bitusnontantum cogaituus, fedét ope FaEinuE vndé djuidApc ie e pe vul i tem,fcd omnis ralis babirus aducus,  Tum $. habitus fpeculatiuus ef M UR fe 1.Met.cz.(cd Logicanoneftpropter  fejfed propteraliasciencias. Tü quia .tunceffet nobilior (cientijs pra&ici$ d,tamen falíum ett, quiajipía eít de ente, E m E. tonisiilz deentereali, patet cófeq.quia fpcculatiua quzliber nobilior eft qua «ung; practicaex 1. Met, c, 2. Tum de mum, quia Logica nó d fy girarfjeruiaton (ed eam ridicog z ergo (altum exhac parte pra&icacft, $9 Re(p. ad primum vtiq; dire&ioné Ad o pertinere, hinc tamé nó fequi Jure r pra&ticam,co quia in ipfamet di 1 onc,imó et operatione non quzrit y E veritatem, omnis namque Logica di, ioad veritaré redté indagadamordinatur, ditectio veró pra&ica non ordina tur, ad hoc vt re&é cogno(camus, fed vt boni efficiamur, vt verbis ex preffis docet Arift. 2. Ethic.c.2. «nde modus cópofiti uus Logicz diucr.us ett ab co,quo vtütur practicz . Ad 2. Logica agit de operatio nibus intellcétus, quatenus bené vel male fieri poflunt (peculatiué, non pra&ticé,& dztegit etiam vitia fpeculatiua, que in ip fis contingere potfunt ; propriu n autem. fcicntiz practica cft dareregulasad cui tàn" "v ?  ied  "bw tn fit fcienia realis, e» [peculatiusveArtV.  179 tandam prauitatem in gencre moris, qua kesnon hast regne logicales, qua folum: ^ .. dantut ad fügandam ignorantiam; neque modus przceptiuus eft proprius. (ci enti a&ticz, nifi ordinctur ad alium finem, q ad veritatem. Ad s. dicitur adhuc fite re in ipfa veritatis contemplatione, quia ipfemet v(us inftrumentorum logjcorá ad hoc inferuic, vt fciamus, non vt boni: efliciamur;& cendit ad fugand&ignoran tíam,non prauitatem,vel errorem prati. €i contra regnla$.prudentiasvelartis. Ad 4.cui pra (estim innititur Arriaga cit.falsü: eft Logicádoc&, dequa hic ct fermo attingere opcrationé, nam ipfa folum cft dire&tiua operationtim y illasaucem face ze directas [pe&at ad alias. facultates. au .xilio logicz vtentis,vt patet eX 2. et 3.are et quando eciam cliceret operationé di rectam, non poflet adhuc dici inrigote: a&ica, quia nomdirigeret praxim, fed: in ordinead veritatem, quod eft muriüs: fciéniiz fpeculatiue,non pradtica;Logi cavéro vtens quia eft effectrixoperis y indüit racioné attis, et dici pót habere ra tionem pra&ici, quacenus eft operatiua j: fpecülatiui veró,quia opus ipsü;quod ef ficit,cft fpeculatioynon praxis, Ad 5.nom probat,quod non fit fpeculatium, fed fo Jain, non fit fpeculatiuz principalis, fedi potius miniftra,& inftrumiétalis, Ad €. titt. ibi loquitur def atiuis prin Epio nein gica, et verü | Gimem fpeculatiuam efe practica no: ltliorem;fi now cx obie&o, faltim ex mo: do procedcodi circa illud; &cinboc fenfu: Logica dici poteft nobilior pra&icis. Ad: nup Logica etiá (y llogtfrmios pra&i cos, fei ihitatione veti prudentia: auceay e qr d d xetlariuas ; bac igitur, et alia: jue addücit;& folait Ant. And. ét. folum. ptobaor, quod: Logica habet poni practico, at quia omnis i fta dire o àdfpec um ordinatur, et ad re &btandiss fpctulitionis opos  limpli et equ Aman t € paret adiquafd& Ari PO EO f ^ Dené,v ire polis Lio fed zv eft habitos pradti ait logici nófolü confidetare dcbcce ge« nerationé f yllogifinorü,ver ü, &faciédii potétciamhabere,& alias fimiles: qf vcro: 6.Mct.c.r.fpeculatiuá diuidit in Mathe maticá, Phyficam, et Metaphyticá,nul lam logice mentióneth faciens,vel locu tus cft de (pcculatiuis principalibüs, irr. ter quas logicanon eft, vcl ipfam jubinz tellexic fub iecundo mcbro, cum fit pars Philofophiz. Ad hunc ettamarticalü de qualitate logicz fpectat qua ftiuncula il la, an (it (cientia communis, quam quid difficultate vacat, breuibus rcfoluit ; Gor q.2.vniuerf.dicés, qubd eft (cientia communis comunicate nimirü vfus, et ap deesse S omgiut ue in ca tractáturg unt omnibus a pplicabifia facultatibus, et fic logica cft (cientia cómunis quoad Omnes partes ;. verum tamen cft Topica peculiari ratione dici communem quate nus nimirum locos quofdam a:guendi' Communes tradit idiTeréhter ad quod.  libetptobandum applicabiles . De ueceffitate € vtilirate Logica 5, eiufque partitione. 4 60 y Ogicamad omnes (cientías, et fa ^. LL ortrateseffe perutilem nemo da: bitat,id enim o(tentam varicítts appel: htiones& encomia;illüd pcefertim apud" omnes rcceptiffimum, quod eft. frs ar tium»jcientia [cientiarum:» ad'oninium Metbodorum principia viam: babens 5 fed Wueaba com fit cons,& is nondefuerint;quifimpliciter, et abfoluceeffe Rieceflariam dixerüt ad alias Íciebittas qnomodocunqüc comparandas etiam'impetfc&o.modO, quos fequitue Arauxo 1. Met.q. 3;arr, 3, Galleg, hic co: trou. r. Blanchodifp, 3: e&t 3. et Amics. trac. 1.q. 2,dubizxar 3.cócl.6. Frequés ta. men, et communis opirió veterum y. Kecentiorum dittinguit ; et ait non effe fimplicitet nece(lacid ad alias ital yt: cunq; cóparandas; partiali nimirüm:, et immpcriedté;palam enimeft;quód feiée cám partialem,,i.actum'alíquem fciétis ficum pót quis: elicece'in quorti (alo Jurine Garry v. confes Vo in. EpO RPCTTRREERUETNT TEM ^ 9$ c nece(fariam, problemata athematica cfle certa;, vt (1 ab us aqualia demas, ua: remanét, zqualia ; manifeftum etiam cft alias | S RIA finc logica imperfc&o quodam £nodo acquiri poffe, tà quia ante logicae Sinpucntioncm extiverunt. fcientia natura lis,& Philofophi ; tunrquia modo vide mus multosin Theologíayiure, et alijs fa cultatibus cognitionem quádam fuper ficiaiem,& imperfc&am «oníequi fine logica. Vcrüm ad eas totaliter,& perfe €&c acquirendas afferunt efie fimpliciter neccilariam, non enim quis poteft per fc&té (cieniiam aliquam comparare, nifi fciat conclufiones omnes rcfolaere vfque ad prima principia, cogrofcatque boni zatem 1llationum,ncce(litatem, et códi« tioncs przmiffatü, deceptioncs, quz cir €a cas folent contingere, et alia plura,que fola logica artificialis docet ; Tum etiam uia nullü vidimus ab(que logica in alijs ienti js confumatum euafiffe;cum tame folius Dialectice: du&u ab(. alio magi ftro plures fciétias multi comparauenint. Hinc Arift. i.Phyf.c. 3.1. Met. 8. et 22. et alibi fzpe teítatur veteres Philofo phos ob Draleé&ticz ignorantiam in mul tos, et turpcs fuiffe prolap(os errores ; et Plato 7.de Kepub.ait, spe fibile eft in telicum fine diale(lica exatli vtm ali: attingere, crgo logica ad alias fcié tias toialiter,& perfe Qté acquirendas cft fimpliciter neceííaria; Ia tenent Cóp!ut, edifj.1.q.7.Sanch.lib. 1.4.2. Didac. difp. 2,9.1 Ioan.dc S. Tho. q.1.ait. a. Maius $244 Auer(a qy 1, fec. 4. Morifan, olog,$.Rocchus q«4. proeem. Tolet. |o J. Ruuius q. 1.& citat pro hac (ent, Jamblic. epift. ad Sofipatr. Alexand. in  grolog.Topic.D.Tho, opafc. $8. et 7o. Acgid.1. Foft.Albert.trac.1.Leg.c.3.   61 Dicendumtamen cft Logicam artí f$«ialem (de hac enim cft queftio ) nequa. . «uam ncceflariam eflc fimpliciter,& ab folutà ad acqui(itionem aliarum (cien tiarum ; et Probatur quia, vt cx perientia 'docei, et muki Thcologiam acquirunt ns ciuile, et Pontificium cum nulla, aut faltim cognitione regularum logi. parua taliü. Quod vcro inquit comimunis opi nio hos nó acquirere facultates illas totas liter, et pfcó&e, ideoque adillas fic rendas timpliciter neceffariam céferi de bere ; Sané id non probat neceffitatem logicz fimpliciterad illas fcientias com» parandas;íed ncceffitatem fecundü quid, et ex loppofitione, illud enimdicitur ne ceffarium fimpliciter, et abfoluté ad ali quem finem, (ine quo finis abfolute obti neri non poteft ; illud dicitur neceffariü fecundum quid, et ex fuppofitione, ine quo,licét finis abíoluté poffit obxineri,. non tamen certo aliquo modo, v. g. non £qué commodé,nó zqué facile,nó " €itó quare neccífitas ifta potius (pe&at. ad modum acquifitionis quàm ad fübftá. tiam finis obtinendam; Cü igitur abíque. logica abfolute poffint aliz facultates ob. tineri, eius neceflitas ad carü acquifitionem fimpliciter nócrit,& ab(oluta fed tantü fecundum quid,& ex fnppofitioney nam quód aqué dedic per De fine I ncerinequeanr, pertinetad mos  Bica obti dum acquifitionis,no ad fubftantiá finis. Cofirmatur exemplo, nam ad [oec ^ anima neceffarius (impliciter eft ftatus Chriftianus,hic autem duplex eft,laicalis. vnus,rclizioíusalter, et quidem reli adhibendo longe tutius, Wat t: €x boc inferre oom valet. ftatum giolum e(le fimpliciter i& ad ani-ma (;lutemjita cx lo diáte perfedié, et ae iens acquirantur non bene infertur eius necef fitas fimpliciter, et abfoluta ad illas ac«quirendas, Tandem quod pertinct adacmo-. diiose finis tátum boc, vel illo acquir itur.hie finis; aee B Tm ca me«de enugDon bene eeníctur neceflariü fimplis   citet ad acquificioné illius finis, (cd'tantitsr quid;& ex (uppofitione, cum nópertincat ad (ubftantia acquifitionis tius fed. tantnm ad modjii(cd Logica ex opinione cói allata non pertimet ad (übítantiam ac». quifiiouis aliarum fcientiarü, (cd uin ad. modum,vt . f.rotaliter,& perfc&é acqui. ranturyergo Logica nó cft aim. pucipen adilasacquirendas. In oppoiitum obijcies Prim, pro-. bádo, g, fit neceffaria &mpliciter ad alias ^0 DBewilliatt es oecefitate Loplea /€Avt.VT. //& fcientia eriám in effe imperfe&o eft vere fcientia, ficut animal iinpertectum cft ve ram animal, fed non pót comparari veca fcientia (ine Logica, veta enim fcientia habetur per demonftrationem,& hac pec Logicam arsificialé. Tum 2. quia nullus hibet veram (cientiam;nih (ciat illam re foluere vue ad prirtia principia ex Aci. 1. Poft.c. 1. Sed (ine Logica nullus fcit re folaere etià imperte&é. Tum 3. ad fcien tiam requiritur euidentia illationis «i. cp . cognofcamus euidenter conclulioné in "ferri ex praemiflis, atqui fola Logicado «cet,quando conclufio inferatur ex princi ;pijs: Tum 4.quia licer quis ex lumine na 'turali a(lentiri: poffit vni, vel alteri .con clufiont proxima principis lumine.ntu 'r& notis,ille taméa(Ten(íus ron eft (cienti "ficustine certitudine confequentize, quia "euam in prima figura potcft error cótin  gere, vnde nemo certus eft fe non errare "fine iliqua reflexione, quód feraaucric re gulis bonejconfequentiz, quas docet Lo icà artificialis Tum demü quia ipfa cft "modus fciendi 2.Met. 1j. Refp.per folam "Logicam dotar cancel pofle aliquam " demonftrationem, quia in fcientijs fant "alique conclufiones ita proximé inniten 'tes principijs lumine naturali notis, ex ibus adeó euidenter fequitur conclu fio, vt explicatis terminis conficiantur 'abfq. difficultate tales demonftrationes. "Ad 2. io (cientijs aliqua refolutio in pri "ma priticipia,& aliqua illatio confequcen  tiz c(fc potéft ita per (e nota; vt fine arte "poffit attingi certe, et ab(que formidine. " Ad 5 naturale laré, ficut propria virtute "fc excédit ad a(sentüm principiorü, ita ad vnam, vel alterá concluíionem principijs " proxiimà fe excendere po '€greras veró remotiores vtiq. fc extédere "ncquit,nili ex.arte, et magna reflcxione. 1 Adqasgligbeiutuodi mer ra !proximà ionixis primis principijs haberi nó po (fe certitudine coiequentig (ine ar. ^téj& réflexione, nametiam(i in aliquo 'modo primsx figura pollet error conun gere » inprimotamen con(zquencia eft prorfus infalibilis,& neceilaria. Ad s. : (olum conferre ad facilé, et per : iti: neart2,ad . /$i1  A  61 Secüdoobijcies écontrá, logicam. $ artificialem nulio prorías modo clic uc» P o. cetlariam ad aliarum fCiétiari acquificia 7 nem, nam ad fcientiam Nuo (unc nccce(ie ria, et quod ad fint principla perfe nota, quibus przbeacor alTenfüs 5. et vrex illis . Cetta deducatur coficlufio; fedad primü fu ficit lume naturale;& ctiam ad (ccun $6 dam;nam neceffitas conícquentuas euam Kt fundatur in principijs per fe notis, f. dict dc oinni;& dici de nullo. Tuma.lielfet (UR nece(faria,maximé id e(fet proptec defi nitiones,& diuifioncs, (cd quxlibe: (cié tia habet fuas definitiones, diuifiones, ergo. Tum 3. nam quiíque percipit,nuas recté intelligat ex obiecto, cui operatio cóformatur,yel nó,& fciétia qualibet co gno(cit fuum obiectum Tum 4 quia fi cft nccelfatia ad alias (ci&tias (a!tiin. pcr fecté acquirendas, pati ratione neccílaria forctad Ícipsá perfecté acquirendam, quod impotlibile videwur. Tü 5 «quia fal tim ad practicas (cienuias non videtur ne ice(farià nam practice (olum rc[piciunt tcctitudinem operis, non autem ipfam "indagationem veritatis, vnde tolum indi nt prudentia,velarte, Tum demü quia itus naturalis non datur ad (implici 'ter poffe, fed ad facilius poflc, crgo liae Legicaartificiali poterit etiam. perfecte intellectus confequi. alias (cicntias, licet cum maiori difficultate . x Ref]. pet illud probari folum lumen 'naturale extendi pofscad vnam, vclalte ram conciutionem ptrincij»js per fe notis proximá ; ad caeteras tamca remotiores cxtendi ncquit (inc arte, et rcfl :xi05c ad regulasartis, et in iftis neccílicas contc "ree non poteft certó cops ici tne ogica. Ad 1. licet (cienuig. paraculares habcant definitiones ; et diuifjoncs cer tis materijs applicatas, illarum tamcn boni tas,.& certiuudo cx preceptis logicis de definitione, et diurtionedigno(ci dcbet . Ad 3.paict ex di&isare 2. in fol. ad pri 1.um, Ad 4. concedimus Jogicam ciiam libi effe neceífariam,ficut lum, quod elt . medii ncceilariü ad quodlibet videndü, « €fl.cuà libi ipfi neceilarit vt videatur, c revera logica, ibimet, infciuit: per oppli atio n€ Yoius parus ad aliam, nà illa pars, qua a$i o agit de terminis (implicibus ad dire ionem prima operationis accinés, iudac ád cognitionem alterius partis, qua agit de enunciatione, et attinct ad dire&tioné fccunde, et hzc pars ipfa iuuat ad illam, qua agit de difcurfu, et tora ip(a Logica ruditer, et imperfect rradita in in(titu tionibus pro Tyronibus eft necellaria ad feipsá poítca perte&té tradédam, et pro dignitate . Ad 5. licer id. gratis concedat Joan. de s. Thom. id tà admittendum nó eftjquia pra&icz quamplures (cientificé rocedunt, et (uas demon(trationes có Dcesoidiléhim ex hoc capite Logica indigent. Ad o.ncgatur conícq.quia licet femel;atq. iterum poffimus bené operari in aliqua materiajX pet logicam natura Jem, et naturz lumen circa noftras ope rationes rcfle&ere,id tamé no poteft fic ti (emper, et in qualibet mareria fine regu lis artis. Dices, ergo ad fciétias (altim fic acquitendas, .(. perfecte, erit [implicitet nece (Taria. Neg.confeq. 1mó.e(t implican tia in adic&to,l y.n. fic pertinet ad modum acquirendi (cientias,non ad (ub(lantia,& íádcó nom re&é infertur indé nece ffitas logice fimpliciter,quia (inc log:ca acqui ri poteft aliqua fcientia quoad fubftan tiam babitus, nam hoc fit per quamlibet demonítirationem, (cd tantum neccíTicas fccundum quid, et ex (uppofitione, vt de £latarum ci in conclutione probanda . De partitione Logicz ( quz crat altera pars huiusarticuli) varij extant mo di dicendi. Tatar.q. 1. proaem. Logicam iur in veterem, et nouam; vetus cít 3lla, quz de partibus argamentationis tá propinquis, quàm remotis tta&at, noua, quz cítde argumentatione ipía, ciufque p fübie&iuis. Maurit.q.3. vniucrí. Logicamfecernit in eam portienem;que eli de partibus incegrancibus iniogiad, et cóople&itur libros pradicabiliuim, prae dicam.& Periher. et in illam 1 que e(t de partibus fübie&tiuis. Conimb. cum alijs Auctoribus patlim in prooem. Log. (e. cant Logicam ia tres partes (um ta diui fionc ex paricobicdti, in cam, quz cá dc detinicione,in cam, quz de diurfione, et ancam, quz agit de dilcu: (ü iuxca nume Aum initcuuieatorum tribus operation ^ Queftio Proam.de Natura Logica. ^ | bus intelle&us de(eruientium? |... 4 Dicendum tamen, quàd Logica infe, '& in totalatitudinc fua in duas diuidi de bet principes partes, in quaráü vna deda  ftrumento (ciendi, in cóijagaturin altera de (pecicb", et partibus f(ubicétiuis eius, et prima pars fübdiuidi potett in illà, in ua de principijs,liue eflendi, (iuc.cogno Ícendi modi fciendi in.cói agatur,& in il lam,qua tractet de affectionibus cius, wt fic; fecunda etíamübdiuidi poteft iuxta.  numeri (pecierum modi íciendi,qua ftanciores faltim ad quas caeterz reduci. potlunr, tres recenferi folent, definitio, diuifio& argumétatio. Ratio huius pat. titionis facile deducitur fupponédo,quod :qR fcientia diuiditur, débet primo diuidi án partes principales,.nó autem in minus jede » lle veró (unt partes principa es in (cientta, quz per fe, :& dire&é ad illius (cientig rexruram,& integritaté (pe   «t &propterfecxpetuntur,€ nonoms  ninó.in ordine ad aliud, feu ad aliam par tem, alioquin cum illa con(titueret vnam partem principalem, nó auté in fe talis ef fet; fed (ilogica contexeretur sr totam ambiti fuum; vtique traétatus de inftru mento (ciendi in coi dire&té,& per fe in ftirueretur tractádo dceius principijs.&c. pallionibus,& propter Íe expeteretur, ti militer cractatus de ipccietuipliMMerg /&c. maior oftéditur exemplo, namTib.r., et 1. Phy(non conftiruunt part tin «&am principale à ceteris lib. Phyf. licet inillis deprincipijs agatur;in iftis de pa[ fionibuscarporis nacuralis,non alia certé irarionesnifi quia omncs ordinátur ad co gnitionem corporis naturalis in cói ; Mi nor patct, quia quilibet tra&atus dire&té petüineret ad Logic confiderarioné,nec 'vnu$ ita alteri D er pina »vt ne quaquam propter (c expecercturj ná ma« teria tradita in v jue, digna. foret propria, et iari colidcratione, ctiam przciío ordinewnius adalium. . 64 At fi fermo fit dc Logica Arift.hec in duas diuidi debet principales partcs,im quancu:n jrima agitur def;llogifmo, in altera de f pecicbus.eius » illa conuinebit libros praedicabil:ü, praedicaméta. l'crihe et Knot ifta libros loft, Top. i& Elenche Flstio huius partitionis eft;quia lib. pre dicam. et Perilier.non propter fe ex pecü tur, fed iri gratiám proríus [yllogitau in Cói, ergo nó poflunt conftituere partcm palem.fed cü lib.Prior. vbi.de ipfo conftituent quod pariter eft de. (ecunda dicendum: Adliuc tamemparies eiulmo di principales in alias minorcs fecari pol funt; prima in duas, in cam f. qua ei de principijs inte rantibus (yllog;fmumyque adhuc (ubdiuiditur; vel cnim tunc. princi iia remota; et fie elt liber praedicam. cut. in(craic liber icab. vel (ünt propin: qua,& fic cft liber: Periher. et inea, qua eft de quidditatc, et affe&ionibus ipfius fyllogi(mi in coi,& hic sü libri Prior. Al teta vcro diuiditur. in trc$ mimorces partes: tiaru us ít. carum attributis (umusacturi, et cx ibi iuxta tres fpecies [yllogimi nam vel € démonfttatio,. et ita habentur lib. Poft. vcl fyilogifmus probabilis, et fic habéur: fylcgiino agitur. vnam parié principale Denccéfiitdtt eo onltate Logica Me.   383 lib. Topic. vel deceptorius, et fic habene tut lib.Elench. qui difcuríus integer col ligitur ex Doét. 1. Frior.q.2. Nos quam uis Logicam intota latitudine fua ad i4 miam prolixitatem cuitandam contexere non intendamus, quia tamen ampliorem contcxerc volumus;quàm reliquerit Arif. altius initium; Difp. peremus; nimirum ab ipfo infi rumento fciendi in cómuni;paus latim poftca. de(cendédo otdincm ipfius Arft.capiemus. Aliasqua(dam difficuls ficultates de vnitate Logic ; fubalternas tione ; &c. quia non (unt. Logica pecue liares; fed alijs quoque fcientijs commue nes, hic libenter miffas facimus, et víq.ad Pott.lib.differrimus ad Difp. de (cientias nam ibi de vnitate habituum,fubalterna tione fcientiarum, alijíq; communibus dicendis facilé patebit. carum rcíolutio ». De modis, fest inflrumentis [ciendi .. | Oft Qua[l. Proam..merito primum locum pofcit bac Difputatio; c .m. modus fciendisfeuinflrumétum cognofcendi Statutum fit obie£tis Logica plané binc Logica debet incipere, »t ab initio exatiam pre mittat. jut obie£ii cognitionem s Dic autem non folum de modo [cien » di in communi agemus » fed: ctiam ad quadam imfirumenta. particu laria défcendemus, ad eenimirum,quorum notitia Lad i pet fie ad cete  vorum captum, et je babentvelut clauicula qu&damrad alia aperienda .. Quid, &z quotupléx fii modus y. feu in rumentun. fciendi 1t p E natura inftrument: Logici, q? D modus fciendi; sor ipe tionibus varié.Jóquütar AnGtores; Zaba tel. in (uis lib. de meibdsperoni que: fequitur. Faber T heor; 16: cótendit uonc ;&n (ciendi etie. vim illáuiua, . Soro lib.z.fumm. c; 4: Auerfa q. 4.Log.  fe&:1. Complot. in przamb. ad fumme. Cafil.ibid. c. 1. et eft cóis opinio Sümue  liftarum, qui rYodum (ciendi defüriiüt, qe  eft crario manifeflatíua alicuins 1  Alij dene pehcaodü (emdiiore igütys eser S wiriena aer c ignotu ind quo qu iue  reponi le ERU Wodirmisüiliti iraq dfolum dicaturápfttument dese em Compladif proe i, quod babet vim nouficádí igno .. Hincidé numero infttamentorum. foflicere ad inítrimentum logicü ; quod .nam Au&orcs prima (encentia folà are  tum ex noto. A ij mitius: uiunc: rs ir ieang dt e mg ué gomentationem inftrumentum logicum : odo; ita appellant, &&cam pracipué, qua ett in: ma  gicorumvani eroni fun: modi dicendis matcria neceffaria, qualis cft dcmonflra tio,hzc .n. parit (cieniam proprié dicta, vndé in toto rigore meretur nomen in firumenu (ciendi . Auct.2, fent. licet mas Ior pars corum tria afiignent in(irumenta logica,Dcfinitionem, Diuifionem,& Ar gumentationé, tamenaliqui hunc pume ' minuere agsreffi funt fubftrahendo diuifionem, «o quia nó fit ab alijs int cu mcniis condiftintdts, ità Hurtad.diíp. 19, fc&.6.Valliusinit. Poft. q.1.cap. 5. et fuit fent. Algazcl.im (ua Logica, Al1) € contra numceto ternátio non contenti addiderüt Reíolutionem, qua cft progretius à par« ticularibus ad vpiuceiríalia;à pofterioribus ad priora jità Euflrat.in (ua prafat.fuper 2. Poft. Ammon. füper proagm | Porph. Damafc. c. 1. fuz Phyf. Alj addiderunt enunciationcm, vr Auetf.cit.& quamplu ics methodum, fumendo methodum pro ordinc,qui in fcientijs obferuari debet, vt diítin&é tradantur, et fineconfufione. Au&orcsdeniq. 3. fent. lati fimé vfürpan tcs modum fíciendi appellantj inftrumCta logica omnes fecundas intentiones, de quibus logica tratar, fiquidem omnes il. lz (ant aliquo modo veritatis oftenfiuz, et conducunt ad dircctionem operationü intellc&us,qui eft vnicus logica finis, ità Complur. loc. vlt.cit, ..à Dicendum eft, quod licét flri&iffi mé loquendo de modo fciendi, et intra mento logico fola argumentauo poflit dici modus (ciendi, v: porté qua fola ex noto ignotum manifeftat pcr vim illati vam ; X illum fusé (umendo sin tocar extcnfionem,quam poteft habere ; om mcs (ccundz inienioncs logicae dici pot fini initrumenta fciendi, .1. rcété cogno Ácendi, vt poté qvac omnes fuot aliquo modo veritatis oflenfinz, et intellcotus dircétiuz, tamen proptié loquendo mo us Ícicndi, et infttumentum logicum cft illud, quod habet vim manifcitandi i quomodocágq; 1d faciat, cum; id folum o t €um omni proprieta 1e Defniuont, Diuihioni;& Argumcnta 1ioni, hactria propriéeiunt inftrumen ta logica non plura,ne pauciora.Concl.. Scoti q. 2« lib. 1. Fricrem quam tenet Tát 2. pizamplegiczyi Symaalila   fcfiandi ignotum; vndé JDifpur. I. De infteumentis fiendis. «7 omnes . Et quantum fpe&at ad a(fignati dam ration€ modi fciendi,feu inftruméti logici probatur brcuiter, quia. vt docet, Scot.4.d.1 . q.2. fignificata vocabulorum, probarc nó poflumus,fed oportet ea (ups . onere ex comuni víuloquétiü, vc apud. gicos nomine. modi fciendi.con(ucuit intelligi via di(tin&té cognofcédi id, quo anté confusé cognofcebatur, vndé inftru, mentum Íciendi à Summul. cóiter dcfiüis tar,quod fit oratio manifeflatia. alicus ius ignoti, per quod excluduntur voces. . limpliccs, et incomplexz quia füfficien tcs non (unt ad explicandam rem diftin». &é et cxplicité,fcd rantum coníusé fig ficant;ergo abíq. fufficienti ratione. Aut &ores prima (ent. nimis coaré&tant ron. inftrumenti logici, fcu modi fciendi, vt. folum ab illis orationibus participetur » es habent vim manifeflandi, ignotü pe illaienem, et nimis ampliant Auctores. 3. fent dum volunt cam conuenite etiam vocibus fimplicibus,& quibufcunquein  tentionibus logicis. e^ 3 Dendé probatur exemplo amis,vne de nomen infirumenti deductum elt, nà in eis nof (olum appellatur inftrumentiüs, feu modus conficicndiartefactum illa | tiara difpolitio, (eu Agi atia ine i (edad quamibes jac ue ERA ed ad. qua t patté artefa&ti [corfi cic» daten RD E et facilé talis pars cfficiaturjfc ità ccrnitur modus tcd operádi in qua libet minutiffima parte artefacti eficié da, ncc certum inftrumentá illi correfpOs dei, fed in pricipalioribus partibus jlliass ita liac proportione teruata logici nomerr fodi fciendi mon re(tringunt ad folam argumentationem, vel demonflrationé y qe cft vltima dilpolitio, ex quaimme ampliant ad minuti ffimas quafcu tentrones. logicales, fed tribui hid p quibuídam intentionis u$,.f. Definition Diuifioni,& Argum& tationi, quia (unt generalia quedam infra. menta (ciendi, in quibus clucet vis marii mcdiaté ditigunt intellectum in (nis opes gauonibus ; ac proinde fpeciali moda. 3 €on . y D j quia nom  até rc(ultat ícientifica cognifió, neque Ximé;&ims  DECENT EE VA Poe ups MON NN AER | Duafi.I. uid, &) quouples fit inffrum.ciendi.   183 €onuenit eiscíle veritatisoftentuas, Hinc facilé probatur altera pars con clufionis,quod tria tantüm fint inítrumé ta logica, Definitio, Diuifio, Arguméta tio; nam vt difcurrit Tatar. Modus Ícié di cft oratio manifcftatiua ignoti hoc au tem, vel eft complcxü, velincóplcxum,f(i erit cóplexum; manifcftatur. per argu mentationé;fi veró incóplexum, vel igno ramus cífcntiam, et hanc explicat defini tio, vel partes cius, et has manifeftat diui fio,vt v.g.in homine fi cflentiam igno res,manifeftatur hac definitione efi ani mal rationale,fi ignores partes cius,ma nifeftantur hac diuifione Hominis alia pars efl animasalia corpus, et fiignores propriam pa ffionem, qua de illo praedi. catur, dicendo bomo e(d rifibilis, mani feftatur per hanc argumentationc Qnine animal rationale efi rifibile, omntsbo to cfl animal rationale, ergo omnis bo mo efl vifibilis, ergo ficut nullum aliud datur ignotum, quod manifcflctur, ita nullus alius datur modus fciendi,qui ma nifctlet, Tum a. quia et hializ intentio ncs logicales conducant ad cognitionem rerum acquirendam, et intelicétum iu. uent iníuis operationibus, tamen pro» ximé, et immediate id non efficiunt (ed mediantibus illis tribus,ergo illa tria pro prié funcinfirumerita logica, et ad ca re duci dcdent catera, qua ad modum (cié di quoquomodo pertinent. 4 Viaterea numerus hic cernarius nó poteftrationabiliter augeri, ncc minui ; €&rgo intlruméta logica nó funt plura, nec pauciora sribus;probatur affumptü, non poteft io primisaugeri addendo X: cfolu. tioncm ; vt influmcntum ab illis tibus cendiftinétum, nam re(olutio fzpe (2 gius cum Diuifione coincidir, nar diui . dendo retoluimus » et reducinius rem in fua principia, vnde et Arift. in Phy(: Rcioiutjonem appellat diui(joncm tcx. 3 Pofjerius autem €x. hi5 mota. fiut elementayG principia 1s) bac dut. rmt yixcloluuntjinterdum cuam coin». n Dcfinitioney& io dehnnum cipia definientía, demonflrando vero, cl per demonftrationcm à poftcriori, feu à figno;quz dici folet Methodas refoluti ua,cffectam refoluentes caufam inucni mus ex Acerb.lib. 5.9.9. Perip.q. 1. Nec debet augeri addendo Énünciationem cá Auería,quia de rationc enunciat; onis, vt fic;eft tàtum enunciare vnü dealio', non autem manifcftare ignotü, in quo confi. ftit ratio modi fciendi, vnde fecundum quod efl propofitio, nó neceffario affert Ies notiores,ícd folum id evenit, quando coincidit cum definitione, aut diuifiones vt cum dicimus bomo efl animal rationa leybominis alia pars eft animasalia cor p's quo cafa enunciauo manifeftat igno tum Don rationc (ui,/ed definitionis,vel diuifionis,que in ea continetur crgo en& ciatio,vt f;c,non cft modus fciendi códi ftincusà ceteris, quia per eam abfolute profertur vnum de alio, fed nullo modo oftéditur veritas illins;quod per enuncia tionem afferitur: Nec demum augeri de bet addédo Methodum,fcu ordincm fer vándum in fcienujs tradendis, quamuis cnim hic ordo maximé iuuet mé&is dire &ionem,valdeque condtcat ad ícientia rum acqu/fitioncm,nam ordo confufios nem climinat ab iptelle&u, nó ob id ad dendus cít y vt infirumentum abillis ttje bus condiftin&um, fcd y'otius dici debet illorum communis qüz dam re&ta difpo fiio, vt bene dirigant cognitionem no flram,g ra probatur; nu]lum inftrumé. tum ad fuum gnünus epus sib priug fit rc&é difpofitum, et accommodat y Minacimnt fecuri ad fcindendum, £i et obtufa, fcd prit sad cotcm acuitur,non, vuniur calamo ad fcribend ü,nità prius ak; temperato, et fane acumen boc in fecus. r1, et calamo pon efl ipftrumentum die fun&ium à (cori,. et calamo, fed eff difpofitio quedam necelfaria ad inftru rd vi bene fuum vx €À  ceat s. 4t Methodus, et erdo cftfruilis qu diliolio. VAR Mes nitionc joári Peg dieron [: amdcd pa c dada omnia ordinaté tenetur faccreone confuse fitumentum diftin&um ab illis . $ Atneque dcbet minut hic numerus, mon.n. minui potc(t (ubtrahendo Argu teniationem,quia ad dirigendü diícur fum plané cfficacius inftrumcntum exco gitarincquit ; et licet. inter argumenta tionis fpccics demonflratio dignior fit, ac praecipua, atque ideo per excelléciam 'foleat appellari modus (ciendi ex. Arift, 1. Poft. c.3. non camen ipía (ola abíoluté loquendo dici dcbet in(irunicnium logi €um, et modus fciendi, quia hic nonacci pimus nomen fcientig in rigore,(ed fuse vt inflrumeütum fciendi idem (onet, cognoícendi. Nec minui potelt (ubtra hendo Definitionem, trum quia ad cx pli candas rerum quidditates, et earundem grojtictares inueniendas ex cómuni om niü (eniu maximé confert; (à quia Acift. ipfe 1.de An.8.& 1. Met. 48. inter inftru m&a cognofcendi eá connumerat fimul cuni demonftrauone,& 6. 1opic.c. 1. 3.ait definitioriem facere, vt cognoíca tur [obítantia quod repetit 2. Poit. ca.2. INec demum minui poteft fubtrahendo diuiionem, tü quia Aritt.1. dc An.tex, E Methodos, .i. inftruméta cogno endi (imul cum demontiratione coniü git diuiionem; tum quia de Íe patet, quá ium dijuifio iuuet ad di(linctos conceptus rérum « fformandos, ad difcerocd ü quid affiimari«cl negari debcar; in.Ó tanta cft €fficacitàs ciug i veritate u an; fc landa, vt Ariftai. Priorum [edt. 2.63. cam ap ptllauctit paruam quamdam iyllogifini uculày& veluu anbecillé lyflogitaiüg tandem in diffolucodis d; facultatibus, et rebusdeclarand:s in dübinm. verxend bus nil fcqucocus vumur;quam diuitio 3c,& diltinctionc,erzo cü caam diulio. fit manifcttariua »goou y ibter inftzua.€ tà logica ip(a quo;jue ctt computanda. . Saluuntur obieliones . 6 TN oppofituro obijcitur 1. quod fola.,. A argumcnrario (it modus (ciendi, et infltumeniu; logicumyoà omne infiru Ancntuum pos aba cse noto ad ignotam ntrinfec e includit vim illati Wi fcd d Bnitio j& diuifio non includunt. vimyíeg &atio,crgo &c.min.. : donis, fiuc a Difput.1. De Inflrumentis fciendi. patet,mai.probatur,tum ex sinh pne facultatis logicaslogica.n. dicitur à logos «Là ratione, et di(curíu, ende ipfa eft fa  cultas di(caríiua,ergo ipftrumenta logi : Ca, vt vcre talia dicantur, debent include  re di(curíum à noto ad igaotum ; tü etià ex ipfa ratione aíTignata modi fciendinà ti in hoc fita eft,v: fit oratio manitettari ua ignoti, neceffarió illationem includit, nam nihil ignotum ex notis notum reddi tur, nifi bencficio illauonis ; et hoc eft. vuicü fumdamétü Zab.lib.3. de Meth. c. 73X Fabr.cit:Quod cófirmari potet au orit. Aci qui 1. Poft. 1. et 1. Topic. 10.6. Ethic. 3. 1. R et. 2. loquens de inftru mentis (ciendi meminit ci (yllogifini,& . indn&ionis, et plan non (uflficicnter 1. Pott.1. probaret omnem doctrinam fieri ex przexiftenti cognitione, co quod fiat fyllogifio,& inductioney& cex.33. dum probat deficiente fenfu deficere omnem. fcientiam illius fen(ibilis, quia noname plius fit indu&io, et demonftrato, De.  mum ft de ratione modi (crendi focet, vt. fit iznoti manifeftatimus quomodocune queyunc etiam tcraini,& voces fimplis   €cs infltumenta logica forent appelladas. €ü nobis aliquid (ignifigent,& declarents. prios :gnorabamus ; et fi quis dices rct alicui Indias e(Te, quas 1fte nunquam. vidit, foret talís oratio modus fciendi s quia cfiet manifcftatiua alicuiusignoti . Relp.negando maiorem, ncque .n. hic fumere debemusinftramencum logicum ad libicum Zabarcl. (ed iuxta communem. lo;uendi modum, quo víi funt veteres. Sunmulifiz:, pro. medio aptoad mani» fcftandum j xov liue id fiat via illae. 10.modo;quo fen(u nomine initruméu vius eft yr yen 1.Met.48. vbi definitionem appcllat inftrumentü y, quo omnes fcienug vuntur ; ad primam, probationei maioris logica dicitur fcien. tía rationalis, quia ctt dire&tiua rationis. inompnibus actibus luis, vndé contidera re tenetur. inftrumenta dire&tiua. cuiufz cumque operarionis. intelle&us,, et non: tantum diícurfus, verü quia inter omnes. adus,dilcuríus eft diguror, ab.ifto aGtu logica dicta cft fcientia diícurtiua. (ame p'à denominatione à nobiliori ; adalterá.   Quaf.1. Quid,ey quotuplex fit inftrum.fciendi. pe ncgator abfoluté non po( c ignotum fieri notum, nifi via, iliatio nis, nam ficri potcft componédo pcr dc finitionem, et refoluendo per. diui(ioné . Ad Confirm. fi Aritt. ibi non meminit de finitionis,& diu:fionis, meminit alibi, et 1. Poft.tex.1, loquitur de doctrina difcur fina vt patet ex tpfo cótextu, et tex. 55. loquitur de obicdto complexo ignoto, vtique manifeftatur per diícursü . Ad A d teram Confirm. eft de róne modi (ciédi, vt manifcftet ignotum nó quomodocüq ; fed diftincte,& explicité, et ideo nomi nà, et voccs dici nequeunt infltumenta logica, quia rem notificant confuse tan tum; et implicité, vt docuit Arift.in pro cm. Pbyf .qua etism ratione eratio illa, quod Indiz reperiantur, et alize confimi lcs nequeunt dici inftrum&ta (ciendi,quia rem confusé folum, et indiftin&é figni ficant, vndé enunciationé abíoluté (s ptam bac ratione cxclufimus à numero inflramentorum log:corum, 7 Secundó, obijcitur, quod definitio fit in(trumepncü Logicum,nam fi cf fciintttumeniü à demonftratione diftin &um;logica non hiberet vnü (ubic&um ncc confequentcr c(fet vna, quia defiai tio nó potcft ad [yllogilinum reduci, qui eft adzquatum logicz obie&um, Dcin dé quando fuerit claré cognita natura ho minis,hec definitio animal rationale nó erit modus fciendi, fiquidemtunc non monifeítat ignotum . Tandem in(trumé tum dcbet diftingui à finesad quem ordi natur,íed dcfinitio non diftinguitur ab il la cognitionc,quz eft finis eius, quia defi nitio cft (implex quidditacis rei intuitus, neqoe alia cognitio (equitur ad illum in tuitum, ratione cujus fit in ntum : Immó hac rationc Bianc. lib. 4. diale&. inftit. (c&. vlt. negat vniuerfaliter Def. Diuif. et Apes cífe inftru pu logi Ca;quia potius funt opera ipfius logica ivre 1. in Logica abfoluté confi derata in toto ambitu fuo, non fyllogi( müfed inflrumentü (ciendi. efle adzqua ein » Ad 2. idcm argumentü có fici poffetcontra argumentationem, non manifcítet ignotum illi, qui iam e. (cebat, dicendum itaque 10d licét dci. nitro non mauifeftct ignotum ei, qui tany claré dcfiniti naturam agnouit, camen ex natura (ia cft manifetartoa, et hoc fuf ficit;ad rationem modi fciendi. Ad 3. ide ctiam argumentum vrgeri potcft contra argamentationem, q» nó dift:nguator 2b iplamet notitia difcur i;ua,at.jue 4deó c(Te nequeat in(trumentum cius; vt vrgcbac dc fa&to Blanc. cit. itaq; refjodet Amic. trac.vlt, Log.q.6. dub. 1. dupliciter. defi nitionem pofle dici infrumentum fciédi, primo rel pe&u ipíius (ciencig,& ità cer tum cft non e(le inflramentü, quia cífet inftrumentum (ui ipfis, qaia per defini tionem non habemus aliam fcientia, Lu cognitionem quidditatis,quz cft ipti íli  ma definitio. Secundó,vt fit in(trumencáü rc(pc&u quidditaus cogniti, et irá bené dicitur inftrumentü, et fic intclleótus cft principaleagens, cognitio dcfinitiua ef inflrumentü, quo apprchendit obicirü y ficuc manus dicitur inftrumentü corpo ris,quia per cam aliquid apprchédit . Sed hzc reípoofio non fatisfacicnon.n.obic &um,fed cognitio re&a obiecti ett fias inlLruméti logici, ergo malé cóccdit dc. finitionem e(le inftruentü obie&i cuf, non aüt coguitionis. Quad (i dicat, cia Obiectum,quarenus rccte cognitum, tt& tui pofle finem lcg:ci inftrumenii ; hoc nihil eft,cum .a.cíic cognitum in obiccto nihil ceale dicat, nifi cognitionem tpsà » vt ad illud terminatam, plané dicere dc finiionem effe in(tcumcotu:n obicdti quatenus cogniti, eft idem, quod atkere re effc inftrumentum cognitionis 1puus atque ita redit integra d fficulcas . 8 Potius ergo dicendum, quod dcfiai tio, ficut etiam diuifi», et argumentatio poffunt (umi dapliciter, vcl tormaliter,  vel obie&iué,'primo modo funt ipfünet | actus definiendi,diuidendi, arguendi; fz cundo modo (ünt obie&a, quz. per hos a&us menti obuct(antur,cogaofcit. n.n« tellectus per et precepta bonc &«c. et fic cognoicit, dum fit, diuidendum, &c. et hoc odo fumpta przcipué habent rümein inllcü menti logici,vt Tice o P RUN A LAU C E d icam in(lructus Sy dAldadd. dH E Auería (e&. 2. conceptus .n. obic&inus €(t,qui dirigit a&tum poftea cliciendum, ficut.n.quilibet artif. x, vt opus fuü re&é efficiat, prius illad mente praconcipit, Qu fit c fliciendü cogitando regulas, recepta rale opus efficiendi, fic intel lectus,vt rete definiat  difcurat &c. có fiderat regulas, et przceptà definitionis, et diícurfus, et virtute huius notitiz, et conceptus obic&tiuty qui in propofito eft di(cur(us regulatus, vel definitio efficit fübindé actualem difcurfum, vel dcfiai tionem, 1n propofito itaque licét defioi tio formaliter fümpta non dittinguatur à notitia ipfa quiddiratis, obie&iué tamen fümpta diftinguitur, faltim quoad modü cífendi, ficut diltingui folet res obie&iué concepta à feipía,vt ex ttit realiter à par  terci, et hac fola diftin&io fufficit ad (al uanda, quz cunque dicuntur de cognitio ne dicigibili, et inftrumento dircétiuo, et per hoc patet ad inftantiam Blanc.for maliter fumpta fünt opera logicz, (ed Obic&tiué (unt inftrumenta . Sed dices, definitio, et areumétatio (ic fumpta pro Conceptu obie&iuo rei efficiédz nó (unt, nifi Idea, et cxéplar definitionis atualis, et diícurtus, at idea non dicitur ihftrumé tum,funt n. caufz dittin&z idcalis, et inttramentalis, et domus in méce Archi te&i non folet dici inftrumentam zditi cádis(ed tale dicitur malleus,fecuris, &c. ergo hoc modo infpc&a definitio nequit dici inftrumentum, ep. ideam in logi Ca habere rationem ilt raméti, fic ctt pac ratio de alijs actibus fa&iuis, et logi €a quia in illis cum exerceantur per actus " trapfcuntes habcotür infl rumenta. cxtet majquz proprié tali no:inc noncupatur, gica cum exerceatur per actus 1m manentes, et opus cius dirigibite fit co gnitio iptelle&iua, nil altud habct, quod ita proprie fortiti poffit rarionem inftra menti dircétiui, quàm ipfammet ideam Operisfacicndi,   ^ 9 Tcrtió obijcitur, quod diuifio non fit inftrumentü logicum ; tum quia 1. de  An.tex, E.hibetor, quód omnis ratio,vel cit dcfinitio;aut demóftcatio, et 1.Mct. 5. omnis difciplina, aut efl pec dcaion Türationcm,aut per definitione; tui quia  Difp. I. De Infrume ntis fciendi. 2, Poft.in principio proponésPhilof.nnz meiíi quzrttioniü (cientialium, tanrüqua tuor cnumetar,an fir,quid (ic, &c. nullam faciens mentionem de quotuplex fit ; er« go fruftra fingitur Methodus ifta diftin Ga ad (atisfaciendum illi queetito, tü de» nique quia idé cogaofcimus per hanc de finitionem bomo eft dnrmal rationale, et per diuifionem eiufdem in partes Me taphyficas, ergo diuitio non elt inflru mentium coadiftinétumà definitione . Refp. in primis duobus locis Arift.lo qui de cogaitione ipiiusquod quid cft; et ctiám de illa cognicone, quz proprié fcientia appellatur, has namque cogni. tiones maxime azeftimauit vcluci princi palesin qualibet facultate, et in ordine ad iftas, tanquam intlrumenta precipua conftituit definitionem, qua cft genera tiua primae, et demonftrauonem;quz al teram generat, et non allignauit diuifio nem ; quia hzc non cít ita neceffaria, vt dcfiaitio, et demonfítratio ad perfectam tci notitiam aflequendà . Ad alterá de 2. Pofl, Arifl.:bi enumerat tantum illa quae fitaquz pertinent ad remin fe, et infoa communitate infpectam ante diuilionem in plara ; vel quae itum quoruplex res fit reducitur ad quafitit qualis fir, quia fpe cics non funt de e(leatia generis, led ve loti eius accidentia, quia inferiora acci dunt füpetiori. Ad 3.6 interdum per de finiiionem,& diuifionem idem eX primi tut obieétum,id tamen non fit codé mo do,quia definitio componit etfentiá cei quam diuitio refoluit in pattes, differunt ergo illz dus propolitiones non rationc Oobicé&tsfcu rci figaificata:, fed modi fi gnificandi, et mauniteftindi eandem rem, qui diuctíus cfi in definitione; ac diuifio ne;quia primus eft modus compoliciuus, alter diorfiuus,quod (ufficic ad diuertica tem illorum inftrumentorü;quod adhuc magis cxplicabitacinfraq.$. art.1.  10 Quarto detiiim obiJcituc, tp lint plura tribus, nam (icut argamentatio có» muni confenfu inter inftrumenta logica numetatur ; quia mediancibus regulis de ijfatraditis eit api fimum inltrumérum ad ditcétioné dilcurlus, ita patitér cnun xiatio 'tit a i inlrimentua ad. Quefi.I. Ouid,e) quituplex fit inffrum. [ciendi. dire&ionem iudicij, quia et ip(a habet proptias regulss,& pracepta, quitusob feruaus nom n.inus bcne dirigitur iudieiD, quàm regulis argumentationis. feruaiis dirigatur difcurfus. Confirm.quia fi igno rant: naturam hominis dicatur, Hofio cfi anitiai, vcr€ manifcftatur rli. aliquod ignotum, ergo veré cít modus fcicndi . reterea omnes fecunda; intentiones lo pun funt aliquo modo veritatis oflcn ug, et fingulz 1unant. ad. acquircn dam Ícientiam, et dirigendum intel. letum, crgo omnes funt mod; fciendi . Demum Arift.2. Mct.c.vlt. Mcthodum, Ícu modum procedendi in tradendis fcienujs appellauit modum, (ciendi,ergo nonbene «xcluditur . Relp.hzc,& fimilia arguméta proba re dumtaxat inflrumenta [ciendi effe plu ratribus, 11 modus (ciendi latius vforpe tur, et iccundum on.nem exienfioncm pro quacunque noi ma rc&té intelligendi: at non fi proprié fumatur pro cratione manifeflatiua igooti,vnde Ad 1. nó ideó pracisé orgun;entatio ponitur infirumé tum logicüs qvia habet proprias regulas, Quibus dilcurfum dirigit, nà pari rationc, nedum enunciatio, fed ctiam termini fim pliccs inier infirumenta logica. forent con putanda,cum etiam de fübiedto;co pula,& pradicato propriz tradaptur tc» gulg;quibus obíeruatis dirigitur apprché fio in ordine ad iudicii; fed ideó dicitur proprie modus (ciendi, quia maniteftat ignorum,jucd cnüciationi non cOuenit ; qua :alis cft. Ad 2.aiüt Compluc.in pra amb.ad fumn;.negando, quód cnuncia tio cx fc bit mamifettatiua 1gnoti; nam ip faíclum «num de alio enunciat., ad hoc guten, vt vcré manifeflaret rgnotum, dc bcret oít édere Gc cic; licet percalé pro policionemn ati err, quod ramen nó fit peripfausíed perargen«mauoncm . At ità tcl pondenco pl« ne concedo nt de ra tionc infiruméa logici, et nodi tcicndi €lle yim: jrobatiuam,& illauicem, quod tamcp,X ipli neganc. Licendun igiiur, quod enüciàádo vnum de alo, (20, olitio Mtku€ aliquod ignot nrfboamile nob quanton; ic ttciftad dede cft mjapitcfts 189 et explicité quod nó facit propofitio,ni fi vcl comcidar cü definitione (vt eft in exéplo adducto in argumento)vcl cü di uifione, vel per argumentationcm illata fit, cuius propriü a.unus eft manifeftare diflinété,& esplicité ignotum cóoplexü . Ad 3.& 4. concludunt folü o€s intétio ncslogicales,& methodum ipsá effe mo dos ícicndi,,& inflrumenta logica süpto Kicndi modo fecüdum omné extéfioné . inflirumenta prafata: diretlios ni cognitionis deferuiant . Ertum cft cognitionem intelle &iuá per illa inftrumenta dirigi poflc ied aliqua difficultas cft in explicá do, quomodo in ea talis dircétio exerce ri pollit ; nam clari eft talem dire&ioné nó excrceri circa cognitioné in commu ni abftrahécem à recta, et indirecta, fed circa cognitionem in particulari, logica .n. vtens, vt fupra diccbamus,verfatur cir ca particulares difcurfus, et particularia iudicia ; omnis autem a&us cegnitionis particularis, vcl eft actus verus, et rectus, vcl indircétus, et falíus,aut.n.eft confor mis., aut difformis obiccto, nec dari po teft medium,fi cognitio eft recta, et ve ra;iam nonindigct directione, (i verà cft indirecta, et falfaynon poteít ;ipfamet ea dem permanens dirigi,& reta fieri, iudi cium.n.quo hominem effe animal irratio nale afferitur, nullo prorfus modo idem perrhanens poteft fieri verum, fed debet € rente tolli, et oppofitum introduci. non.n.fecundum (c eft capax directionis, et veritatis,& ità vmuerfaliter cft de pro. pofi cionibus necetíarijs; quod fi in con» uüpgenubus poffit mterdur idé iudiciü mutari de vcro in falfum, hoc certé fieri. ncquit, nifi per müationcm obic&i, at. dirigere hoc modo non fpe, ad logi cam, quia ipla non habet vim dir? cognitionem ubtando obicétumsied fos lum mvtádo cogiitioné iplam; Accedit s. quod tolum de ncceülarijs Siam qe logica prafeitim adinucnia efl wr dirigat in co; niienc fcienatica acquirenda «   Autrla indua.Log.q. 34 ect. 7 explicat. : X53 pol ^ b " i9o pofíc dirigibilitatem cQuenirc cognitio niindircétz, et falíz, 6 cuc Theologi in mareria de peccaris. explicare folent in a€tibus nialis priuaucnem bonitatis, et €apacitatem oppolitz rc&titudinis, 1n actu. n.falfo duo confidcrandaiumt. (in | et «quod fit actuscognitionis, et y t indirc&tus, quatenus crgo indircdlus; cit vtique incapax reétitudinis,quarcnus fal(us,cft incajax veritatis)quia arrcétitu do, et fal(itas rc étitudini, et veritau re pugnagts cftq; illi incompoffibilis ; qua tcnus vctó actus ccgnivonss ett, ic fccü dum ipiam cócm rauoné retinet. rcétitu« diis capacitatem, et vt fic eft dirigibilis, reducitur autem hac capacitas ad actum non quidem faciendo, vc idé actus mute tur in vcrum fcd copucrtitur in aliü act ü verum realiter diuer(um, et oppolitum, €onucnpientem tamen cum ilio in rauone Communi cognitionis circa tale obiectis, et tandem (ubdit Aucría hoc gens apu tudinis, et capacitatis fuifle ab Arift. af fignaum $. Met.c: p.22.dum ait Talpam elic capacem viíus, non «quatenus Talpa eft, (cd quatenus animalcít, et hac ra tione dici coccam . UD. 12 Scd hic dicendi modus patitur in primis omnes difficultates, quibus. pre mitur fcntéria Theologorum tencnuum a&unodij, et blafphemiz deberi rcctitu diné sm genus, et ha« rationc clic lerma ' litec malos, quz plané magni iunc póde ris . Deindé £alfitasmaximan: ponit im perfe&ionem in. a&u, fed priutio fccun. dü gcnusnullà dicit impeifcétionem in talier priuato., «t bene Scot. oftendit 1. d.28.q.2.ad 1. nam priuatio vilus. in plà ta cfi quodammodo priuatio cx Arifl. $ Meta. et non importat imperíeétior.é in planta, alioquin priuatio fenübilitaus. lapide, et infnita pertcCtionis in ente €rtato. idctiam facerc, quia lapis, qua fubfiantia,cft capax feníationis, et quod Wib«t ens creatum, quatenus cns,cft capax infinitg perfcéionis, ergo falbtas, et ir. 1c ét udo cognitionis non benc cxplica tur. per priuationem rc&itudinis in. atu: fecundum genus... Ruríus faisó (upponit. Aucría cognitioni intel ética vc fie có : debeti rc&bitud : mjquiaco i Difp.I De Inftrumentis fciendi ^ ^ n gnitio intclleGiuas vt fic, abflrahit à re. Ga, et indircéta, ergo vt fic neutrum ei conuenit, vcl dcebctur, ficut nec animali, vt fic, debetur rationalitas, vel irrationa ) litassquia ab his abftrahit. Confirm.nam: rcpugnat in terminis actui falfo. sm gra. dum gcncericü deberi recticudinem,quam non potefi habere sr fpecificum ; nam fi debetur gradui generico, debetur euam omnibus inferioribus, vel f1 cis omnibus non dcbcetur ; nec debetur gradui co, (cd aliquibus (peciebus illius generis ficut quantitas debetur fubftantiz corpo: rez, non autcmfpirituali, et ideó nó.de betur gradu: generico (ubftanciz: in com muni; alioquin. fi deberetur generi, de« beretur etiam omnibus fpeciebus, Et per hoc patet ad exemplum de Talpa; nam fi Talpz repugnat vifus sin (peciem, falsü erit vilam deberi gradui genericoanima lis, vndé tenendo. Talpam noncarere vis  fu fecundü fpeciem, nO eft fimpliciter cg Cavcl priuata, fed tantum sri quid, fei  fccundü genus, non quod eius generi, .i. animali debeatur vifus, (ed quia ei no re» pugnat; qua doctrina cft Scot. loc.cit. v. bi ait careniiam rationisim boue effe pri uaiionem fecundum quid, quia licet ra tio repugnet boui,qua bos; non repugi tamen aoimab, et ait hanc privationemnihil dicetc impcrfe&tionis in priuato ob. rationcm allatam, ità intelli cft Arift.cit. dum loquitur de Talpa .. : si Refpondeat Auerfa füfficere, quod rectitudo. faltim non repugnet gencri a €tus,licctei non debeatur, quia hoc fuffi cit, vc cognitio intcile&tiua in communi dicatur dirigibilis. Cótra hoc eft;quia.die. rigibilitasab ipío ponitur paffio cognitio.    nis intelle&uua) ergo nom erit mera nom repugnantia, fed tum, et aptitudo. addirigi . Alijproindefatentur dire&ionem vtiq. non deberi a&ibus elicitis nec fecüs dum fpeciem, necsrh genus,. fed:deberi: | aGibus cliciendis, vt (ic enim nensüt re« &i nec errat, í Qwefl, 1T. Quomodo direHlioni inferuiant. erat in potétia obicétiua, vt docet Do&. 3d. 16.q.vn. A. cx Ariít.9. Mer, ergo (i cum exiftit non. potelt idem numero di rigi,crgoneq; cü exiflere poteft, idé .n. numero eft actus elicitus, et eliciendus. 14. Dicendum itaque cognitionem in tellcctinam intantum dici dirigibilem; et dire&ionis capacem, inquantum intcllc Gus cognofcens, et operans poteft diri g5& corrigi tranf: ab a&u falío ad vcrum, Probatur, quia fi hoc modo ex plicetur capacitas directionis in cogni tione, vt .f. re&itudo debeatur potentiz intelle&iuz,non aé&ui cognitioni sfacil limé vitatur difficultas in principio pro polita et vniuerfaliter dcfenditur omné cognitionem, fiue fit de obie&to conüin genti, fiue neceffario cffe dirigibilé, rc &itudinifque capacem, quatenus intelle &us in onihi cognitione mas dirigi,&  emendari .. Accedit, quód quando dici mus fiam logica eife dirigere opcratio nes intellectus, aliud non intelligimus, q intelle&um pet logicam dirigi potíe, et  debere in fuis operationibus, ergo rc&i tudo debetur potentia intclle&iua opc ranti, non ipfi operationi. Denique licet  modus dicendi Aueríz, gy re&itudo de  beatur operationi, fuftineri in illis  contingentibus actibus ( fi tamen dátur, de quo in lib.de An.) qui ijdem numero manentes po(funt de veritate ad faliitaté migrarc,& é contrà ; nullatenus rf (ufti neri poteft de actibus neceffarijs, et alijs contingentibus, ergo vc detur. vniucrfalis rceula, quomodo cognitio inteJle&tiua : fit capax directions, reftat diccre,quod fit capax illius mediaté, non immediate,, le ratione intelle&us dicigibilis, non ra "^tione fuzencitatis, (iue fpecificé. confi. deretur, fiuc generic, Acn cótrarium obijcies, directio, vel. indire&io conuenit inrelle&ui mediate cogaitione,ergo, et dirigibilitas, qaia eft "eadem ratio ; probatur atiumptum, quia tunc intellectus eit rectus,quando eítye rus, indirectus,quando ett tal(us, fedve titas, et fal(itas rminediaté conuenit co  B csevtAc tem ioteliectuis,» veram,vcl falsá.Rur | feruit, m Paodicin medi sinana eo wr 9t ergo etiam immediaté dirigibilis ; Con feq.patet, quia a&usin (übiedto, cui in cít,(upponit potentiam ad ipfum. lte(p. 1, negando parítatem, quia directio, vcl indire&io refpicit a&ü (ccundum, et fumitur immixliaté ex conformitate, vel difformitate ad obicétum, qua fundatac immediaté in a&u, (ed dirigibilitas re fpicit atum primum, et fumitur ex pofit, vcl non poffe elicere aótum re&tü . Ad 2. in atu eft potentia logica ad directio nem, .i. non re antia ad dirigi, fen(u Deus dicite habei potes 2d feaon autem potentia phyfica,feu (ubie Gua, quz dicitur contradictionis, fed hzc in intelle&u folum reperitur, et de potentia ad dirigi in hoc (en(u loquimur in propofito, 15" Sedadhuc vlteriuspro maioti na titia famulatus horum inftrumentorü du bitari (olet,an przfata fingula ioftrumen ta fingulis dc(eruiant operationibus, vel potius equaliter oibus . Pro decifione breuiter dicendü eft, quód licct omnia, et (ingula a(fignata inftruméta oibus, et fingulis inferuiant operationibus, nao và oibus zqualiter famulantur; et quidé pri mum facillime probatur difcartendo per fingula. Definitio enim maxime iuuat ad   primam operationem; pía,n. lante Tité cócipimus e(lentiam pro priam rerü; hinc etiam valet ad directio né (ecundz,cum .n. nos dacat in cogni tionem quidditatis, docct caníequeoter, quz przdicata effenrialia de ip(a eoücia  re debeamus, et quz negare, valet tandé ad dirigendamtertiam, quía.cx cadE de finitione concluduntur illariné propriae paffiones, et atttibuca, et repugoácia ex cluduntur, nam medii demonitrationls, per quod paffioné oftédimus de fubiccto, eft ipfius fabiecti definitio. Diui fio fimi liter tendit ad dire&ionem cuinícunque operationis intelle&us, per diuitioné li ittin&é : Wim ea Cauet edi m X8 Nod wA T  f92: Difpu.L De InWramentis fciendi. ^ E fufficientidiuifione,& preferiim perpul   in(trumentum à coeteris condiftin&uns €her ille arguendi modus, qui diciturdi   vt liquet ex q. przced. (ed potius com lemma,io diui&onc fundatur. Argumcn   munis quz dam conditio, ac veluti cuiuf tatio denique iuuat et ipía omnes,& fin cunq; difpotitio,vt bene (aum munus ge gulas intelleGus operationes, dedifcur(a | rat, et cognitionem dirigar, confequen tcs de fe patct, de iudicio probatur quia   ter non eit cenfendum in(trumentumhli fi interdum intellcétus enunciádo decipi cui certz operationi affixum,fed omnes, tut, tr':buendo .f. praedicati aliquodtei,  et fingulas indifferenter coadiuuans. Q» vcré ei non cóucnit, non melius corri gitur, et in notit iam  cie omm LN Q  t argumentationé; dirig:t étapprchen ; Dlooé quit ad inueniédam períc&am re1 Quodnam borum PA aa um quidditaté non femel vtimur fyllogiímo. fit. perfetlius . 16 Verum quamuis hoctotü verüfit 17 q^ Tiamíi exacta huius quati ine omnia,& fingula hzc inflrumcnta omni Ttisenis fupponeret particula bus, et fingulis famularioperationibus,   ré tractationem de vnoquoq; corü fingil vt probatá eft, nóti omnibus zqualiter  latimy;placuit tamen, et v:ile vifum eft id inferuiunt,fed certum inftrumentü certe   in przrfenti inucftigare, vbi de omnibus operationi eft (pecialiter applicatum, et . promifcue tra&amus,& vnü ad aliud có addictum,& proximé, ac directé ad cam   ferre: Et quidem in primiscertü e(t apud rc&ificandam ordinatur, g» pariter pro   omnes, et ab(q; controuerfiareceptü Di batur difcurrendo per finzula,& fingula | ui(ioné elle imperfc&ius inftrumeniá «e cóferendo fingulisoperauonibus& qui ter s,vc Scotus docuit lib.r. Prior.9.2.vn | dé Definitio quamuis ;uuet,& dirigat fe   de (ola remanet difficultas de Definicio cundd,& terti operationé, vt diximus, ne, et Argumentatiooe. Euftrat. prafat. tfi pcr fe primóà valet ad dire&ioné pri  in2.li. Poít. Balduin.q. 9. Smigl. et alij | mz, quia obie&um propriü prime ope | quamplures tenent Definitioné efle per rationis aflignatur quodquid eft rei ab   fc&tius, nobilius inftrumentü coereris Arift. 3 Met.8.& 3 deAnim,26.&alibi onmibus. Ac Scot. cic Faber. Theor.16. fzpe, (cd verá rei quidditatem noícimus . Zab.Philop.Simp. et Graciromncs afic per definitionem 1.Met.Sum.3. c.i. er rüt argumenrationé przíertim, qua fit in 0 dcfinitio per fe primó valet ad dite   materia neceffaria ; praíti itionís ionem prima operations. Diuil;io at   et fequitur Amic.tract.vlt;q. s. dub. 3. &c licet ét primz.& tertiz operationi de(er   fi ratio, qua id afferit, (it in(ufficiens fun» uiat,fecanda t fpeciali modo adminicu | datur.n.in hoc, quod definitio non fit in latut;quia per diuifioné prefettim digno | ftrumétü refpe&u cognitionis; (cd poti | fcimus,quid affitmádum (it, vel quidnc   refpe&u obie&ti, qua doctrina (uperius pene de re quam inquitimus. Acce   explofa eft q. 1. haius difp.in fol.ad 2,  it, quod (ecunda operat;o cofiflitin af .  Dicendum breuiter cft argumenta » firmatione, vcl nergatione predicati de | tionem,& cam prafcrtim,qua fit in ma Íubicéto, hzcaüt atbrmatio fundatur in. reria ncceffaria,przftare coeteris inftru idcatitate praedicati cum füb:e&to, ficut.  menus logicis, etiam definitiont ipliin negatio in eorum diuerfitate,at per diui» rationc inttruméa .. Concluflo cft Scoti fionem potiflimü deucnimus in notitiá loc.cit.vbi in corpore quzrfiti ait,g» argu huius idenitatis,vel diuerfitatis,erso pe^ mentatio eft modus (ciédi perfcétiffimus | culiari modo deferuitfeconde operatio inter alios,& quod ideo Arift.fecit quafi ni . De Argumentationctandem certum .. totam (uam Logica de argumentationc«  eft apad omnes,quod licet primam,& (c | Probari auté poteft, Tum quia inter in ionem iuui Íe tamen | ftrumenta logica (ola ar. ntatio vim .   gtimó inftituta eft ad di ze&ioné tertig. | probatiuá& illatiuá pofidet,ergo perfe   : i, crimen fit peculiare . Devi modo dirigit ; et manifcitat igno ! d C pw. tum H "TT | ] f   CQuefR. TIT. Quodyam borum fit perfettius. Aü,nam nc g;ri ne juit,quin virtus illatina inmanifeftatione ignoti ex notis maxi "mà habeat energ.á . Tà 2.quia tüc inftru mé cenfetur perfeé&tius in arte quanto illimitatiot eft eius famulatus,& ad!plu Ta deferuire poteft, at argumentatio non folü inferuit dire&ioni difcur(us fed etiá 'fudicij,& apprehéfionis;nam et (i hoc fic cómune fingulis ioftrumentis, quod om nibus,& fingulis operationibus deferuire poflunt,vt patet ex q.preced.negati tame n6 poteft,quin perfectiori modo id cópe tat arpamentationi; fj,n.'intcllectus (alfa opinione dctincatur, (Latin argumétatio ex notis ad ignota procedédo cius erroré couincit. Tü etià cfficaciffima cft ad in ^ueniéda rci eísctia,& coceptü eius quid  diratiuü,cü.n.definitio eft ignota, inue "ftisatur per difcur(am à pofteriori,& me thodum re(olutruá,qua vel eft demóitra tio quia, vel indu&io, vt docet Faber cü Zab.thcor.17.ergo cum definitio ipfa (z pius arguinétatione manifcftccor, plane ' jn ratione inftrumenrilogici  .i. ignoti | manifeftatiut deficiet à demon(lratione « 18 Confültó autem di&um eft in có ' clufione definitionem /n ratione infliu menti logici excedi ab argumentatione, quia fi in ratione cognitionis confidcre ' tür,res écotra fc habet, vnde notatiimus loc.cít.q. t.in fol.ad 2. poffe definitioné, et argamentationem dupliciter fumi, vel 'formaliter pro ipfis a&ibus dcfiniendi ' et argucndi, fcu pro ipfa cognitione dcf nitiua, aut demoftratiua rci., vel obie&i  ue, quo fenfu prafertim induüt. rationé inftruméti logici, vt ibi declaratum ett ; quàuis ergo in ratione inftruméti argumé tatio dcfinirioné excedat, in rationc ta " men cognitionis definitio excellit argu mentationé etiá in materia neceffaria .i. ' cognitio dcfinitiua rei excedit demóflra. tiuam, quod facilé probatur ; Tum quia definitio ex genere füo circa lübftátiam ' rei feines demoodébn circa accidens, eibeec «n. "EDS 'inhzíionem onis cum fübic&o ; ergo cum perfe Gto efsétialis cognitionis ex obiecto for. i méf(uretur, plane ip ratione s LOc case &ior erit de  móíti ia eft circa nobilius obie €um ex genere fuo; Tum etià quia; et et interdü accidat,vt definitio, et demóoftea tio fint circa accidens aliquod, adhac ta men dcfihitio ex genere (uo eft circa ef fentiá,& quidditaté illius accidentis, de monftratio aut circa pa ffioné etus, qua eft pradicatum extra quidditaté exiftés, ergo vniuer!im loquendo defiaitio in ra tione cognitionis (empcr perfectior eft demonftratione. Tá preterca;quia etiáft cótingar,quod definitio, et demonflratio fint circa tdem prorfus obiectum, adhuc perfc&tior erit cognitio definitiua rei v quàm demonflrariua, quia hzc eft cogni tio habita per difcurfum,illa per fimplicé quafi intuitum, ceteris aurem paribus no bilior eft modus attingendi obie&tum fis ne difcut(uyqaà cum di(curfu, qua ratio  ne hic intelligendi modus Dco tcibuitur. Tum demü quia hac catione ait Ariítat. 3.Mct.3. et 7. Mct. 4. quod dicimur ma g's (cireycuin Kcimus, quid fit homo, qu& quando qualis fit; ergo in ratione cogni tionis definitio excedit demon(trationé . 19 Inoppofitü obijcitur 1. quod de finitio etiá in ratione. inftrumenti. pcrfe &ior fitargumécatione, Tum quia illud cft nobilius inftrumentum logicum, ad quód omnia inftramenta logica reducü tur, fed omnia reducürur ad definitione, etiam demonftratio ipfa, vt docet Auer. 1. Poft.com.i]. vbi ait fcientiam terü. per demonf(trationem quzri propter fcientia definitionis; «nde 1.Poft.com. 38.ait tta Gationem 1.Poft. ordinari ad (ccundum librü,vbi agitur dc definitione, eceo de finitio nobilior cft;quia finis nobilior eft his,qua funt ad (inem. Tum dcindc aobi lius eft inftrument ; quod verfatur circa perfc&ius obiectüfcu (cieniam caufat de nob;liori obic&o, fed definitio cft circa fübftantiam,demonftratio circa accidés, ergo &c. Tum tandem quia definitio rem manrfcflat per caufam formalem), et :n trinfccam 3, Met. 5, et 7. M et. j. quac cer  tius ducit in cognitionem., quam caufa efficiens, et extcinfeca per quam proce dit demottratio, nó um cx obiecto, circa qp vet(atur;fed ér ex medio; quo vu tür ad illud mani ü, definitio exce dit demóttrarionó;ita arguit Bald.loc.ci. io Rcfp.  20 Refp.ad r.neg. minorem, nam in logica (ecundum (c coníiderata in tota latitudine (ua de fingulis inftrumétis. pet Íc agitur in ordine ad lingulas operatio ncs intclle&us, vt patet ex dictisq. pro cem. in Logica vero Arift. (quicquid di cat Auer.de quo non curamus) um abeft, vt de demóftrationcagatur inordine ad definitionem, quód pociusomnino é có tra rcs (c habet, nam in 2. Poft. con(ide ratur, vt eft mediam in deimonftratione potiffima,vnde ad cam reduci habet, vc lut parsad totum . Ad 2. Faber cic. ab(o Juté negat definitionem notificare fub (tà tiam, et inquit (ignificare tantü fabítan tiam rci, vnde poftca theor. 17. oftendit fubftantiam nocificari Mcthodo rcefolu tiua,quz vel eft demoftratio quia, vel in du&:o . At malé negat Faber definitioné e(dc notificatiuam, et declaratiuam fub ftantiz rci; tum quia hgc eft aperta Arift. doctrina 6. Top.c.1.& 3. et 7. Met, tum quia 1d ratio cóuincit; nam (1 definitio li  guificat fibttantiam,& etfentiam rei, vt fle coacedir, vtiq. certü cft non fignifi care illam coofasé, et implicité,vt fizaifi catur per nomen definiti, fed clacé,& di funde, vt docet ArtLin proce n. l/hyf. tex. j.ergo illam nocificat et declarat, nà fignificare diftin&té rem ett ipsà declara rc, et noti ficare; X fal(um eft,vt patet ex fupradi&s, rem notificaci non polfe nifi pet illationé, et di(carsü ex noto ad igno tü,& ideo quamu:s concedamus fübítan tiá cei modo illatiuo notificari poffe pec . Methodum refolutiuam, negamus tamea alio modo manifcttari non poffequia de finii»per (implicem velut intuitum (ine di(cacfu quiddicatem rei manifcftat, 21 Potiüs ergo ex di&is occurrendü eft, aliud eife comparare adinuicem defi. nitionem,& demoltrationem in róae co  ici onis,aliud in ratioae intlcamenti,vc nc nozauit Amic.cit.uá (i primo modo cóparentur, negiti ocquit, quin definitio nob;lioc fit deinó(trarione,vcbenc pro  bat argumentum;at nan probat; quód lit perfectior ia rationc inttcaméc, ná per fe&io in(truméti formaliter no attendi tut ex fi»e, vcl obiecto, quia ilioqu: no b.liot e([ct demon(trauio quia demoóiltca CASS Difput.I. De Inflrumentis fciendi . tione propter quid, nà illa (übftzntiá, et e(Tentiam rei manifeltat aec accidés, (ed ficut ratio inftrumenti coiftit infamu latu, et in modo adiuuandi intclle&um in cognitione obie&i, ita ex conditionibus aug&cibus nà perfectionem cognitionis fed vimatiuanté jntelle&ü ad cam ob. tinendam, attend: dcbet perfe&io, et no bilitas logici inftrumenri,cumq; hac vir tus magis eaitcat in demoflracione, quà in definitione, quia in ea visillatiaa coti neutr, ideo in rationc inftruméti ab ea ex ceditur, licet in ratione cogn tionis cxce dar. Ad 3.fal(uire(t definitioné vti caufa formali pro medio,quia ip(a a4 rem ma nifeftandam non procedit via illatiua, imó potius ipfa medium cít in demóftra tionc poti(Tima; dicitur ramen rem noti ficare per cauíam formàlem, et intrinfe cam; pro quáto dcfinitü declarat propo ncn3o partes iotrinfecas quidditatis eus. ob;jcitur € contra, quód nec inratione cognitionis definitio przitet demonftrationi,nam vt.yna coguitio alia exceda: in perfectioncsnó fufficit, vt Gc de nobiltori obicéto,(ed debet circa illud adzquaté veríari, ergo (i demonftratio pariat clarioré, X magis ada quara cogni tionem dc accidentejquàm faciat defini uo dc (ub ftácia, erit perfectior definitio ne,cuá in ratione cogaidonis, et fi fit de ignobiliori obie&o . Accedit,quàd etià 1ntetdü cócingere pote(t vt demóftratio fit circa accidens nobilius, et definitio circa ignobilius, illa nimirum circa intel Ic&ionem,hzc autem circa albedinem, 21 Refp.duplicé effe perfcé&tioné co gnitionis, aliam cffentialé, queartendi tur penes obie&um formalejaccidenta(é alteram, qua attenditur penes conditio nes accidentales cognitionis, pencs.nimi rum inten(ion&claritatem, certitudiné » &c.& vtique cótingere pote(l,vt vna co uitio lat perfectior alia e(fenttaliter, et imperfectior accidétaliter; (ic dicemus. cognitionem confufam fubftarige impct fc&ioré eife diftin&a accidentis; (ic igi tur in propofito,ctiamli defiaicio rei ume pe » tamé quia e fuo verfacurcirca perte&tius obic&um, quà. demonítratio, scperíccüdü ípecié cam e€xcc » Quafi IP. De Definitquid fit, €) quouplex.edri.T. 105 eXcederet,& folá in quibufdá accidenta. libus conditionibus excederetur ab ca, t do&ttinacíl Scoti 2.d. 3. q.9. &tra ita fuit ab Arift. 1. de part. animal. c. j vbi ait melius effe fecüdü effentia, et fpe €ié de diuinis, et caeleftibus rcbus tenué cognitionem habere,quàm de corruptibi libus magnam, et perfectam fecundum Códirioncs accidétales. Ad aliud dicimus id cucmte per accidens, per fe tamen, et ex c luo definitio in rationc cogni tionis perfe&ior eft demontirauone ; aia definitio eft circa quidditatem rei, demonítratio circa accidens eiuidem rei,vnde vt comparatio recta fit inter dc finitionem,& demóftrationem, fieri de bet reípcé&a ciusdem rei, fic enim defi nitio deprehenditur femper. perfectior demonf(trationc, quia per cam res co gnofcitur quid fit;per iftam qualis üt. De Definitione .  (7 Váuis definitio, vt importat rei A J quidditaré, ad Metaph. fpcctet, qua ratione Arift. fusé deilla pertractat 7: Met.ná attinct ad eum difputare de có. ceptibus tráfcédentibus qualis eft conce prus ipfius quiddsratis, tamé vt c(t mediü. in demóflratione,& ioftrumétü fciendi, feu cognofcendi quidditaré, ad logicam attinct,ita dirc&é docuit Auer. 7. Met. com. 4 . et quàuis ipsá confider:te,vr cft mediü in demonftratione, (pcótet ad lib. Pott.tamé vt inflsumcotü cognofcendi ad hanc pertinet difputeybi ogece decre nimus é in particulari de. quibutdam in firumérislogicalibus, quorum cogn tio prorfus nccetlaria videtur ad ceterorum: €ajxü nà fe habent vclut clauicula: qua dam ad. alia aperienda; tale autem init ru: métum eft definiiio,de qua quia plura.» occurrunt diflerenda ; deó quaftionem. hanc in. plurcs di ftribuemus.Aruculos Min [ityquid fit: Definitio quotuplex« Y. CAE articuli parté, X fi. vt Ariftot, refert.a. Poft. 20. &. 8. Met. 3. Antiquiores quià Antifiients Sc&atores negaucrin: potlibiles cile rc rum definitiones, | uamopinionem fccu tus eft Ioan.Franc. Picus in examine va nz coctrinz gent.lib. j.c.7.& 8.itatamé exploratum citapud omnesrerum defi nitiones ó folü cfle poffibiles,verüde fa &o dartvt ceteri oés Philofophi oppofitü ^ docuerintjita i'Jato apud Alcin.de doctr, Elat:c. $.Pythag. et Socr. apud Laert. in vitis corum, L'emocr. qué idcircó laudat Arift. t. de parub.anim.c. c Arift. ipfe fere vbique, fedex profétlo 6. Topic. 2. Poít.7.& 8. Met. Accedit ratio euidens, quia ablata dc finitione tollitar demóftra tiocuius eft mediü,& ablata demonftra tione omncs fcienuz tollitur, nihil pror lus (ciremus, et ca quoque igroraremus, quz funt obuia fenfibus, et facillima co gui : in hac igitur patte nullus remanet ambigédi locus de exili étia definitionis i$ Quantü veró adalià quafiti par tem de ratione definitionis, recoléda eft cóis illa diuifio definitionis uv dcfinitio nem quid rei C7. quid nominis . Defini tio quid rei apud omnes eft, que cxpli car naturam tci ; fcd ronem definitionis quid nominis non affi gnát omnes codem modo: Auerfa tra&t, 1.inftir.cap.3. Blanc. Iib. 4, inflit.(e&. 4. Amic. trat. vlt. q. t. dub. 4. Arríag.difp. 3. Ouuicd.controu.2. Sun: inquiunt, cp dcfinitio quid nominis cft, que explicat vim, et fignificaionem nominis, vt fi definiatur hoc nomé bomo dicendo, eft nomen. pecie ani malis rationalis / Sed hoc non bené di citur, nam c(i natura nominis eiuf; ef (cntia in fignificatione coniftat, et 1 ü nomen quoq; fit res quedam. veré defi nibiks pa definit:onéquidditariud, cer té (i dcfiniatur per genus et differentia, vt dicendo,.quod hecncmen homo; eft nomen fignificatiuit. animalis rationa lis,talisdefiniuo verégrit quid rei; namr veré cxplicat: per genus, et differentiam. totam cílentiam illius: nominis bomo .. Faentesz,partSum«q,2:difh 1, art. 1» ait dcfniuonéquid nominis clle rónem en» tisim poflibilis,& ideo (ubdir hoc genes. rc defin: tionis d. finiri chymctrá ; hirco ceruü,& alia enia impoflibilia, et ideó. nomi. 196 nominis definitio appellatur, quia totam effe dcfinici nullüm cft aliud, quà nomi nariy& hanc ait fuiffe mentem Arift. 2, Poft.c.7.vbi docet de rcbus,quibus actu c(le,& cxiflere repagnat, non pofle (cir, quid fint ipíz, fcd tantum quid nomina fignificent ; quod ctiam ait mlinuari à Scot. 4. d.1.q.2. $. Hic primó v idédum. Sed nequc hoc bené dicitur, quia entia quoquc icalia vltra definitione quid rci; hàbent etiam quid nominis, ergo falfum cít id formal ter fignificare rationem en tis impofIibilis,afsi prü patet ex 1. Poft. tex. 2. $.24.& 2 $. vbi oftenditur ad demó. firatioucm ncceflariá cffe piecognit;oné Quid nomin s,idéinnuit Arittot. 2.Poft. tcx. 19.Qui cft locusà Fuentes citatus, et 4.Met.28. Eté contra etian. entia. 1m pofbbilia pollunt explicari (uo modo de finivonc quid cei, nimirü per rónem ex plicité, et diftin&é explicantem illud, quod nomen importar implicite,& con fuse, vt Scot.doect loc.cit.ab ipío Fuent. Quod fi cétendat Scot.ibi loqui de quid. nominis, adhuc babemus intentum,quia inquit ibi hanc rónem nominiscífe tàm ntis, quàm non entis, quod ét docucrat in 1.d. 5. q.6.art.3. fal(um igitur eft Do €torem huius fuitle opinionis; quod ibi affcrir,cft,acfinitionem quid rei proprié €xplicarc ui veram; et ratam rei e(fenuá, v.ndé negat bancetie proprie entisimpof fibilis,quod vtique vcrum cít, pà hac cft vnà condicio entis definibilis, vc poftea diccmus,& boc ad (umm; fignificare vo luit Arift. 2.Potl.cap 7.quia.n. dcfinitio quid rei proprie cnti taniü real copue nit,idco ibi dicebat entia impoffibilia pre feirim explicari per definitiené nominis,, Definitio igitur quid nominis, vt col ligitur ex Doctore 1.d.22. q1. $. Doreff dici, et cx 4.loc.cit.$. ex bis praditlis, vt diftinguiturà dcfiniGone quid rei, c(l €xplicatio, feu lignificatio nominis,vcl per aliud nomé clarius, vcl per ecymolo giam cius,vel alio contimili modo;(ic de finitur mulicr, q ef mollis aer, homo; g; ab humo uabit orginem, Sol,quod (olus. ffit in Orbe, lapis ; quod fic dicatur à lae ione pcdis;ità.n.non veré explicatur na ura iplius nominis, yt rcsquzdrem cít, Difpat.I. De Ifiruypentis füáendi ^ Cu (ed crafso quodá modo fignificatil eius, vndé definitio quid nominis proprié » vt: notat Tat.in 2.Poft.q. 1.8. Primó fcien dutii idem cft,quod nominis interpreta tio,quicquid dicat Fuent. cit. et fequume, tur aem plut.przamb.de nodis fciendi, Calil.tra&.3.c. 1, ex quo demum fequies, . vt ibi notant ijdem, folam definitio nem rci effe proprie, € fimpliciter defi, nitionem, atq; idcó predictam diuifio nem eíle zquiuocam analogam, et idcó. dimi(la definitione quid nominis, ad aliam progredimur. : Dcfinitio itaque quid rei,vt ab ciusno mine cxordiamur;ità appellata efi meta deíumpta exterminis, et finibus agrorum, vt notauit Quuinail. lib.7.cap.4.. vndc 1. Topic.c.4 ab Arift. vocatur tere minus,co quia vt fiocs agrorum eos de niunt, et claudunt, vt ab alijs fecernant ;. fic definitiones naturas, et definitiones rerum circumfcribüt,& ab alijs feparát definitur vero ab Arift.1.Top.c.4. et 2. Pofl.tex.10.xp fit oratio quodquideft ef. fe vei fienificans,.ioratio explicas natu. ram, et elentiam rci, nam frequens eft apud Arifl. loco eftenti& josee quod», quideft e[fe reiy'|uia per illam refponde. tur ad interrogationem factam de re pet, quidsin qua dctinitione genus cft oratio, in hoc enim conuenit.cü alijs. rmodis fci& di,per reliquas particulas differt dcfini tio ab illis,& à cztcris oratienibus, qua non explicant effentiam rei;dicitur aut oraHo, quia effentia rei non potefi vno noinine exprimi diftin&té, nam vt docet Alcní.7, M et.tex. $4. qualibet res defini bilis habet rationem; quandam commue ncm,qua cum al; js copucnit,& aliam pe culiaremsqua ab ijs difcernitür; cum igi tur hz duz: rationes per definitioné explicanda, plurcs termini vocales, aut mentales funt adhibendi, cum vnico prar flari non pofTitjnam nullus terminus Vni»   uocus;quales fontjqui definitione ingree   diuntur, poteft fignificare pluresconce   ptus; idem habet Doctor6,Met,t.33. 27 lfoteft autem definitio formaliter süpta, et nonobicCtiué;.i, pro actu, quo intelicétus rem definit, dupliciter tomi vcl pro,fola, apprehenlione quidduaus   Ici, 4 2 ; Duall 174: Defisit.quid fite quatupleu ert. 197 tei per fe fumpta que importatur per gc nus,& differentiam vt eft animal ratio nale reípe&u hominis, vel etià pro cun ciatione, qua ralis effentia affirmatur de homine;dicendo, quód bomo 4 animal rationale, primo modo infpecta attinet ad primam intellectus opccationé, quia e(t oratio imperfecta, et dimiputa ab omni affirmacione preícindés, et in hoc fenfu locutus e(t Acift. 1. Poft.c. 10. et li. 1.c.2. dum ait definitioné non eff? enun ciationem, (cu affirmationem,fed effe id, 1od affirmatur de re, folum jue perci pi, et apprchendi, vt ibi docet Commét; at fecundo modo inípeQta prototegrani mirum enunciationc includendo dcfni tum, et copulam, ita plane (pe&ar ad (e cundam, et in hoc fcnfu Arift. 1.Polt.c. 2.& 7.X lib.1.c.10. ait definitionem efse propo(itionem, et effe vnam ex prami( fis in demóftracione, X'etia interdum ef fe conclufionem,fi probetur nini: um,& inferatut. ex alijs prae i (fis, quo cafü [pe &atc etiam poterit ad tertiam opetatio ncm, et ita faciie refoluituc inutilis qua  fiio,quz folct dc hac re controuerti, tora namque difficultas pendct ex diuerfo mo do accipiendi dcfinitionem ; magis ta men proprié capitur primo modo, quia alio modo eft porius enanciatio definiti ui;quimpuradefnitio.  i$ Demum quoad tertà partem arti culi, multipliciras definitioni$pendet ex multiplici modo cx plicádi effentiam rei, pt aüt per definitionem düpliciter ex plicari effentia rei, nimirum vel per par tcs elfentiales ; et principia intrinfeca rei, vel per proprias pa(fiones, et accidentia extranea, prima dicitur definitio quid rei e(Tentialis,& quidditatiua;altéra veró'de fc riptiua, et accidétalis, fed quia eflentia rei explicari poteit, ycl pet partes effen. tiales phyficas, vt dicendo, qp homo cft gópofitum ex corpore,& anima rationali, vel per Metaphylicas ; vt homo ctt ani mal rationale, hinc dcfinitio effentialis fubüiniditar in Phylicam, et Metaphyti cà, et definitio cülentialis phyfica appel lari orgy n eec rie E nempe quia datur pcr caufam matctizlé, et foialem,qui unt cauíz intrinícca; Quia maneat in def nito, vt pitet de ani ma, et corpore re(pe&ta hominis, vc no tat Tatar.cit.S. fecundo fciendum .Dcfi nido autem dfcriptiua e(t, quando per extranea circüfcribitur eífentia rei, ex Tar.ib:. $. Ouarto [ciendunt. Pote(t verà e(fentia rei. tripliciter per exrranea in(í naari, et figaificari ; primo per proprias pafliones, vc dicendo, juod homo eft ani mal tifib.le,& hic eft frequens defcriben di modus; fecundo modo pet caufas ex« trinfecas edficiencem .f. et ünalem, vt di cendo, quod homo e(t anima] creatum et Deo propter bearitudinem, quz dcfini tió dicitur caufalis excrin(cca, eo quia da tur par caufas extrinfecas extra defiaituas maaentes,de qui Ariít. 2. Poft. 44.ait eTe orationé (ignificantem propter quid eft; et vt talis definitio fit bona, debenr a(fi gnati in c1 propriz csufz definiti, quia fi e(Icat comunes,non poffet conuerti cua fuo defiaito ; tertio modo explicari pót, et circu nfcr bi pet accidearia conymuaia quidem, (i (corfim (umantur, fed propria rciconiuactim fumpta, vt fi dicacur; og» Homo eft animal pulchrum, bipes, imr plume, bibens caput ere&um, crc. hec cnim, quatnuis fiat accidentia alijs ab ho minc conuenientia, íi (cortim (ümantur, tà cóiuncta fi mulfoli homini conueniüit; et hzc dctinitio dici folet puré accidéta lis, co quía per accidentia comunia affi. ME quamuis à pluribus Auctoti us rejjciatur, ramen íra explicata admit. ti debet, quia fic feruat leges bona deriz nitionis,vc aduertunt Complur.cit. et do cuit Auer. 2, Phyf.cexc18. et 95. 19 Rurfusaucem;vt notat Tac.3. 1.de geoees.d Jtiendum, 'ex Scoc.1, Prior. nts 4.d. 1.q.2, et d. 12, q. 1. P. et alibi zpé definitio c(fentialis, et quiddiratiua 'eftduplex, quzdam cft pur& quidditaci ua, cuius omnes partes pertinét ad quid ditatem definiti, ficat ifta bomo efl ani. mal rationale y fic (ub(tantie completa dcfiniuntur,quia earum cnt taces ipta luta funt ab ordine ad aliud ex crinfecum illis; vc fine vlla tali habiradine potlinc,perfe&e concipi. Alia eft quidd.taciua da ' additamétum, quia nimirum ad peft&tin Hocitiam rei b niin pore aliquod extrinfecum in definitione, ad quod definit dicit ordinem faltim tranf céndentalé, (ic definitur accidens per or dinem ad (übie&um ex 7. Mct. 17. rcla tio per ordinem ad terminum, aníma per ordinéad corpus, cü enim fint entitates non omuinó completz, fed effentialiter imperfe&z, vt non folum quidditatiué, fed etiam quictaciué concipi poflint, pen dent ab aliquo extrinfeco ;. Vnde quia huiu(mod: definitio prater genus,& dif. Écrentiam,continet etiam aliquod extrin fecum dcf.nito,ideS admitti debct praeter definitionem eflentialem,& defcriptiuam alia definitio ;qua quafi mixta fit ex cf fcntiali, et deícriptiua, et accidentali. In oppo(itum contra predicta argui tur, Primo, quod non fit poffibilis alicu. ius rei definitio, nam vt vrgcbant Anti. fthenici przdicata, per qua rcs definitur, debebunt et ipfa per alia definiti, et rur fus hzc per alia, vnde tandem in infini tum abiretut . Accedit, quod non potcftcognofciquidditas, mfi cogno(catar vl. tima d.fferentia, et hzc cogncíci non po teít, ni(i cognitis iatinitis rebus, à quibus per cam fecernitur. Conf quia delinqui mus (ait Picus) cum quid fübftátiale dc finituri adhibemus ea, qua (cnfibus no ftris occurrunt, nam hec funt accidentia, at ubítantia nó tàm fen(ibus percipitur, quam ratione perquiritar. R efp.ad r. ne fando affumptum; nam vt docet Arift 8. et.7. indefiniendo pcruenimus ad. fu prema przdicata, quz vlterius per alia definiri non exigunt, et ales (unt conce ptas entis,& vlumz diffecctig. Ad 2.nc tuc fubfumptum, nam vi Scot.docet 2. Oft.q.vltad agnofícendum tale di(crimé à ceteris rebus non cfl neceffe fin lasin particulari pertíngere,fed fufficit illas cogitare in aliquo conceptu comuni, negatiuo;quatenus .f.talem eflen tiam non participant « Ad 5. negatur a( fümptum,& fi .n. accidentia non valeant dirc&é in notitiam (übftantiz nos duce re,valent tamen indire&té,& arguitiué,vt fuo loco dicemus in lib. de Anim. vnde extat di&um Arift. gy accidétia magnam parcem conferunt ad cognofcendü quod quid eft, vide Scotum a. Pott. q.59. D i(put. I. De inftrumentis fciendi . io Sccandó obijcitur cótra defialtioz  allatá dc ipf definitione, et pie có tra partcs eias;ná cum proprie (pe&ter ad primá opcrationem,male dicitur oratio . Tü quia vna fola vox poreft fignificare . totà rei effentià vt pef aep, s 3.cu iuslibet rei efformari poteft vnus conce ptus adequarus per. definitione explica tus, ergo nó eft oratio neceffarió plures explicas,.f.cóceptü coueniétiz,& diffe réie, T 4. quia etiam diuifio eft oratio explicans naturam rei per (uas partes, in quam rcfoluit definitum. Ergo nonbené. ponitur illa particula loco differenti .  Reíp. ad 1. quod definitio eft oratia imperfe&a,& dimmuta;qug habet ratio né vnius termini cóplexi przdicabilis de definito, et ideó proprie (pe&at ad pri mam opcration&. Ad z.vna vox poteft fignificare totam eífentià indiftindté 3 cofusé,vt in exéplo allato, et idcó cü de finitio debeat explicare effeatià clare, et diftin&é, id facere debet pluribus voci« bus diucrías c(fentiz partes fignificanti bus,rationem nimirü zenerica, et diffe. rétialem.Ad 3.negatur cófcq.ga illemet cóceptus ada quatus integratur cx plati bus inadzquatis  quorü vnus cft gcneris cus,& communis, alter differenualis, et proprius,& vterque dcbet exprim: in de finitrone. Ad 4.quádo ctiam diuifio ma nifcftaret eífentiam,de quo q.íeq; adhuc tamen id non efficit eodem modo, vt tet ex didtisq. 1. infol.ad 3. et amplius patebit ex dicendis q.feq.art.1. 31 Terrió arguitur conrra totá defini« tionem; Tum quia idem ncquit effe defi nitio,& definitu,alioquin eflet notius,8c ignotus ícipfo, nam definitio e(t notior cfinito,ergo dcfinitio definiri non pót, qu effec (imul definitio, et definitum . um etiam, quia ficut actionis non eft a& io,quia abiretur in infinitum, ita neg; dcfinitionis definitio. Tum 3. definitio dicitur ad conuertentiam cum definito 5 hzc autem tradita non dicitur ad conuer tentiam cum definitione quia hzc defi nitio tradita eft quzdam fingularis defi nitio, quz et ipía continetur füb defini tionc in communi, atque ideó cum ipfa  conuerti non potcft. Demum (i pre efinitur, vtiq; per definitionem defini tur,atq;ita idem feipfum definit . "Reload 1. frequens cffe in (ecüdis in. entionibusquod vna fit formaliter talis, et (imul alia denominatiué » vt inferius dicemus, ità genus formaliter eft intétio generis, devominatiue veró cft fpecies vniuerfalis,intelle&tus .n. per 1cflexionc poteft fuper vnam fecundam intentioné aliam inducere ; fic igitur in propofito, Quáuis nequeat dcíinitio cffe imul defini tio, et detinitum formaliter potett tamé efie formaliter,& ctlentialiter definitio, et denominatiué def: nitum,quatenus có paratur ad (uam definitionem. Ad 2, hic definitur definitio in actu fignato i. pro fccunda intentione fumpta, non autem in actu exerciró, atq; ideó nó fcquitur pro ce(jus in infinitü, quia omoes dchinitio ncs in actu excicito cóunentur fub ipfa deíinitione in a&u fignato; at ;ità cófc quéter etiam ipfius definitionis detiniao exercita ; nà et definitio definitionis ext vtiq; definitio qua dam, et deífiniuo qua trad itur. de definiuone 1pla in a&u . ài gnat,cóuenit illi, Ad 3.ncgatur minor,ad probationé,ctü definitio def nitionis fit fingularis in e(fendo,cft ramé vniuerfalis in repra(entádo, et figniticádo,quia hec ip(a dct nito conuenit ommbus defini tionibus rerum 1n particulari. Ad 4.defi nitio in a&u (ignato definitur per def.ni tioné inactu excreitosícu definitio inco muni dei; nitur per definitioné in partica  lar, atq;idcó idénó definitur per feipsü, qa dehinirio in actu ignato nà cft detini .ip.actu excrcitos (cd definitü p eam . 1 Quarto tádem arguitur coira mul tiplicitatein detinitionis; nam ficuc vn:us. tci cft vnica eflentio, ita et vnica dci ni malé affignantur tot. fpecies de finitionis, eíientialis, et accidentalis, cí fentialis i hy(ica, et Metapnytica,non.n. alia cft efientra rei Fhy tica; et alia Meta fica. Tum prefertim,vt arguit Blanc. ib. $inftit. fec.6. nuila ctt admittéda de finitio puré accidétalis., et 1ar02 priori. ctt, 3 1n omni. dci:nitonc explicatur quid (it deimrum, non poteft aute expli cari quid res fit, quin in ipfa definitione pona ur aliguid intri quz funt extrinfeca rei, et comunia, nifi coniügantur cü aliquo intrinfeco eiufdé, non poflunt verificari de illo folo, (ed ce» ' teris ctiam erunt communia . Tü demüy vt arguit idé, nulla etiam eft admittenda definitio mixta, nà omnis definitio, aut traditur per intriníecatàtum, aut per in. trinfeca, et excrinfeca fimul,fi primum, erit tancum etfentialis ; (i fecundum, erit tantum accidentalis, ficut compofitü di citur accidétalc,licét pars materialis eius fit (übftantia;v.g.patics, et argumenta tio conftans ex vna probabili, et altera» neceflaria,abíoluté dicitur probabilis . Refp.vtque vnius rei non nifi vnicam dcfinitionem poile alfignari quàtum ad rem explicatá plures tamé affignari pof (e quantü ad modü explicádi,eadé enim cífentia poteft per ctlentialia indicari, vel accidentalia circamfcribi, icem vel pet ef s&ialia Phytica,vel Metaphyfica, et hoc nullam cít inconuenicns. Ad 2. negatur minar,ad probationem accidentia extrin Ícca, et communia, etfi feparatim süpta cóueniát ali jsconiunctim tamé oli de, finito conueniunt, Ad 3. verum eft non debere adatti definitionem mixtam, vt pem tercia (pecié ab illis duabus con iftinctam, nam abíoluté loquendo om definitio, aut effentialis cft, aut acci détalis, et pra íettim definitio dara per additamétum computari debet inter ef fenziales, quia dacar per genus, et diffee reniiam,& quamuis aliquod excrinfecum in ea ponatur, non tamenaattinct ad cam dircété veluti pars intrinfeca definiti, fed  indirecké tantum, et connotatiué, ve terminus, aut fubiectum, aut aliud. quid. con(imile necetfario requifitum ad:perfee. Gam noticiam definiti, porcít camenape pellac definitio mi xta, quatenus conftat cx vna parte cfsétiali;& altera accidétali,: ARTICVLVS IL De modo. constituendi » cr. inuefligane. di. D finituonem,«.  i; ; p) Lurima tradidit Arift; tt 6, Top... 5 p ti.7. Met. sum,2. C13. demoda conftituédi definiuone, ex quibus. omni níccum definito ;,nà: M Eu AE CUBE BUSES MEN T" NER NOT b C delta: 390.  Difpat. I. De Inflrumentis fciendi. ^ Mm, e bene conitituendi dcfinitionem,quod.f. in ca ponantur ca pradicata, qua iotrin fece funt dc cius e(ientia, et fi interdum ita non (lufficiunt ad quictandum iniclle €um, addaniur vlterius ea, ad qua res definienda dicit ordinem qucudam tranf. cendentalcm,& quafi eflencialé (ine qui bus perfcété, et quietatiué. intelligi non potiet, et ita definitur accidens per fubie € 7.Met.17. rclatio per terminü;a&us pcr obiectum, &c. Ratio auté;cur in de finitionibus horum cntium,& contimiliü adh.bcatur femper aliquid extrinfecum, non cfl quia id it pra dicatü cílentiale.l lorum,ncc quia ordo,& rcípectus ad tale exuinfccum fit de c(fentia corum, aut fal tm rcaliter idem,vt Recentiorcs putant, uia vt ait Doctor 4 d.12.q. 1.in corp.in ol.ad 2.dub. idcputas. refpectus ad tun damentü,vcl non identiias non cft ratio, quare terminus «adat in definitione fun damcenti, vt additum,nec dependentia eí fcnuslis,& neceffaria eft caufa,quod ter minus dependentia addatur in dcíinitio nc fundamcnti depend enus(ait Do&tor) £u nc enim Deus magis poncretur in defi nitionc cu/uícunque crcati;quàm fübftiá tia in dcíinitioncaccidéua, fcd cau(a eft, quianulla forma potefl habere conceptü geifc&um quietatiuum, ni(i cointeliiga tur iliud;cuius cfl torma;definitio auccm exprimit concepiü perfcétum definiti,& ádcó quantumcunque effentialia formae €xprimerentur finc ilio, cuiüs cft forma; quamuis.quidditas cius 1ndicarctur, tamé 6 cfet conce pus perfectus quietans in 1elleé&tü,& idcó ncc definitiuus, bgc Do €or. at. et id feruata proporuone dici dcbct de alijs coniimilibus rebus imper ác&tis, 4 pecunt definiri per addamencü. 34, Sccundb, pra dicata weró, qua dite «1€ [pcttant ad cflenuam definiu,vel sür gne Phy (ica; vcl gradus Metaphytici; primum, conti tuunt definitione phy ficamyillamque cóponunt,no in reéto po Kita fed in obliquo «quia homo nó dicitar gnima,& corpus; (cd ex corporc, et ant. fifunt gradus Mctaphyij jponütur in red o in definitione, et có ftituini definitionem Mctap hyficá; po well aj defiio Metajbylica duobus B ui, modis con(trui,vt docet Arift.7.Met.43. et Doctor ibid.vno modo ex genete pri» mo gencrali(fimo,& omnibus differeujs vfque ad vitimam;& hoc ett, uando ge. nus proximum eft innominatü, tüc enim   circumloquimur ips p genusremorumy et differentias communes vfque ád viti« mam ; et tunc genus remotücü omnibus differentijsprgcedéribus.& communibus  tenct locü generis proximi; fecundo mo^  do aíTi gatur definitio cx quee proxi. mo, et vltima differentia, hoc quando proximum genus cft nominatü, et vltima differentia cft nobis nota; eXcplü primis. vt fi dicatur quód homo «ft fübflantia corporea,animara, fcntib;lis, rationalis, dato quód genus proximü ignoretur;exé plüfecundi, vt fi dicatur,quód homo eft animal rationale,dato,quàd anitmal fit ge nus proximum, et rationale fit vltima dif ferentia ;ita Doc.loc.cit. et in 4«d. 11.9. | 3.$. 4d rationes; cx quo patet non bene detniri per fummügenusfolü, et infimáà   diffcrétiam;quamuisautemprior definit  di modus fit magis magiftralis,& exquifitus, potlerior ramé cíl magis vfitatus, et cxpeditus, et quátü fieri potefl, co vr dcbemus ; vin quia fic euitatür prolixe  tas, vt air Arilt 1. Prior.lce 3. €. 39, tum  quia omnia nc. e(larta continet,nà [u nitor genus proximücfie cognitü explici t£,.i. quó ad omncs gradus fopertores 1n iplo contentos, vt ex Arift. colligiuut 24. lotter.21.vnde nO cíicc exacta def nitioy ^ fi daretur pet gcnus proximü tantü cófu $e cognitü;liue auté vtamur primo, fiue : íccüdo modo, omnia praedicata císctiae J lia, quein tali dcfiniuone ponütur,vt col  ligitur ex Arift.cir.7. Met. 43. ctunt ge nus, vcl diffcréuia, aut faltim fc habebunt. ad imí;at corumsquod addimus,cafu,qua pradicata tranfcédentia in definitione po ncrentur, p tamen cuitari debet, quatum fieri poteft, nam termini cranfcendentes. in dcfininonibusnonbencfonant. Hinc infertur non, póüc pattes | tionis ad libitum wtcunque. diíj'oni 3). prius genus dcbere Pil differentiam. dcinde,vtinfinuauit Arífloi. z,Poftiteme  19& 11. et rauo cfl, quia tunc genus ig. di&crentiam tranfimuramiur, idis ^ OVat relin vovg uc rin fupcriorem, quia quod primo lo Fs it E, ckfetar vnerlaliulySr ppo flerius contrahibile, vnde non explicare tur res, vt eft iti fe, (i ordo inuertetetur . 35 Tettio, quádo autem res definitur per illaad Jae dicit otdinem,non ramen $rh fe incluía in ipfa effentiarei,ait Auer faq.4.(c&.4.quód deberent poni omnia,  adquz res cfientialiter dicit ordinem, vt perle et adzequata effet definitio ; fed ad breuem, et expeditam definitioné (uf ficere; qtod ponantur aliqua, donec for tnetrur conceptus ita proprius definiti, vt foli ipfi, et nonalijs conueniat ; et ideo juxta hoc noh oportere in definitione cau(ali omnes rei caufas apponere; nec in definitione per cffe&us omnes proprie tates ; candem do&rinam habet Amic. tract.vlt.q.1.dub.5. Sed fi ordo ad hec extrinfeca cft de effentia rci definiendz, wt ifti concedüt, plané implicat affignari poffe definitionem eius ponendo aliqua tantü in definiuone ;, et non porius om hia, ad quz res illa effentialem dicit or dinem, vt enim ei dcfipitio rect a(figne tur, omnia illius przdicata quidditatina debent inea exprimi,vt ait Arift. 2, Poft. z1. talesaütem funt ifti refpectus tranf cendentalcs in rebus ex opinione iftorü, crgo o€s debebíür in definitione exprimi, et fi ità efl;non videtur;quare oía creata per additamentum dcetiniri non debeant, €ü nulia res creata fitab his refpe&tibus " abfoluta,faltim .n.omnia dicunt relario ncm tranícendentalé ad Deum,vt ad pri mum efficiens ; et plané fi talisordo ex primi debet in dcfinitione, quia cft de cf tentia tci,cü nó magis fit de e(femia cius ordo ad hanc rem, quàm ad aliam, nó vi detur poffe aflignari ratio cur potius hzc caufajquàm illa, explicari debcat in def iniuionc, cum ordo ad vtramq. fit eí fentialis rei. Poriusergo regula vniucr "falis eri&quà Doét.tradit loc.cit.4.d. 12. q.1. quod quando res definiri habct per additament i;etfi ad nulia dicant ordiné tranfcendentalem, non tamcn illa omnia exprimi dcbent in definitione, quia nec idenctastalis refpectus ad fundamentü, ntc depédenua eüentialis fundam&u cit Logita « : "Quat. IV.Demodo confti tuendi Definit.edri.I.  101 cau(a, cur terminus huiu(modi refpe&? aut dependétiz cadat in definitione fun damenti, vt additum: fed tantü illa, quz neceffaria vidétur ad habendü perfeétü, et quictatiuum cóceptum rei, ita vt intel le&us anxius ad vlteriora non maneat. 36 Quarto ex hisdeducütur quatuot conditiones ad bonam definitionem rc uifita; prima,& principalis eft,quod có et genere, et differentia, vel (altim ali quo fupplente vicem gencris,& differea ti, quod additur ob definitionem acci dentalem,in qua genus, et differétia pro prié non reperitur, fed aliquid loco illo» rum ; definitio .n. vt docet Scor.7. Met. in text. 74. conftare debet cx concepta quidditatiuo, qui explicat effentia'quátü ad ca, in quibus cum alijs conuenit, et te net locü generis, et qualitatiuo,qui expli cat effentiá quoad ea, per quaab cifdcm,& tenct locum diffcrentiz. Ex hac deducitur fecunda conditio, quz eft, vt conuertatur cum[definito,& contra y fi .n. definitio continet totam effentiam. dcfiniti,confequens eft;vt nulli alteri pof fic conuenire, fed foli definito ; itaut de ocunque dicitur definitio, dicatur &c efinitum;ac é contra .. Tertia, condisig. eft, vt definitio fit clarior definito,cü .n« adhibeamus definitionem ad manifeftans dum definitü;confequens.cft, vt definitio. fic clarior,. alioquin; ignotum per zque ignotü manifeftaremus; et cü totàá eflen tiam manifeítet per partes fuas, necc(sa rió fequitur, quod fit clarior, et notior definito in ordine diftin&té cognofcédi, et fi inordine cófusé cognofcendi poffit dcfinitü effe notius definitione ex progme Phyf.tex. $. Quarta demü condito, quae ex hac tertia (equitur, cft, vt nó fit dimi . nuta, quia tunc nó explicaret totam effen tiam definiti, vt fi diceremus, quod ho mo cft fübftantia rationalis;quia tunc ine tcrmicdia genera omitterentur neque.» fupcerflua, vt fi diceremus, quod c(t ;manal rationale bipes, quia tunc po tius pareret cofufionem, qua clariratem « 37 Quintó cx tertiacóditione fequi tut definitione, et definitum differre non parncs rem fignifi catam, fed tantum pe ncs a adum fignificandi, quia quod dcti i 1x nitum nitum fi gnifi cat confuse,hoc ipfam figni ficat definitio diftincté 1. Phyf. cex.5. nà fi dcfinitio non exjlicaret idcm,q figni ficat definitum, tam non effet definitio eius, fcd illius altczius,quod fignificaret. Hincorta cfl cótentio inter 1 homiftas, et Scoriítas de diftinétione definitionis à definito ; illi fiquidem aflerüt non dif ferrc,nili ratione,& sm noftrü intellige di modum, quia tota cotum diuerfitas nó €x partc rei Concepte, fed folum ex parte inccllectus cócipienus fe tener,ita Caiet. 3. Pofl. c. 5.& 1.p.q2. art. 1. Aucría cit. Mortifandifp. 1 1.L0g.q.5.& alij paffim. Scotifiz écontra tra&.Formal.art. 2.c0. tendüt differre etià ex natura rei;eo quia fcclu(à quacunque intclle&us operatione de ipfis contradi&oria vetificantur, pam definitio exprimit ré dittin&te, et defini &ü confuse, et quidem quzftio nop cft de dcfinitione formali, capta nimitü p actu antelle&us apprehédente quidditaté rei, ácd obic&tiua, que cft res ipla definita di,fin&é reprefentara intelle&ui per partes eflentiales, et rurfus nó e(l contentio de dcfinitione,& definito pro fccunda inté tione ; fic enim certum cft non pofle in 'tcr ca veríari, nifi diftin&tionem rationis, wt ait Tromb. ib/d.íed pro prima inten tione, et pro denominato, quo fenfu cft Eie res ipía definita diftin&e intclle i teprafencata. 5.38 Scotus agit dc hac re in 1.d.2.q.2. et quàuis ibi nó expbcet qualis tit d:ftin &io,quz inccr definitum, et dcfinitioné geperursprobat tamé cx profefío, qued "definitum,& definitio. non (unt terniini "fyoonim:,íed diucrfi, et hoc fiue accipiá tur pro vocibus fignibicanubus, fiué pro «onceptibus lignificaiis tum quia defini "tumimportat conceptum obicctiuum rci «ontu(um,definitio diftin&tum;tum quia alioqui in demon(ratuione cent tantum. termini quia in ca folum ftmt defini 8, iué (übiectüdetinitio quod eit mc dium;& paffio dcn óltrata; et cum. inca &emonftrctur paílio de (ubicéto mcdia tc (ubie&ti definitione y vc riibilitas de hominc mediante rationalitate, s&pcr pe terttur principium y quia probarciur idé per idé,ua probat Doéturauccacein bo TJ homiflis,vt voces, et termini ded etiam sm eandem tationemyeundéq x  propofütione, aut ouo conteflim.  rumterminorum, quictiam concedunt  ipfi Thomitz; Toca igitur difficultas co  ftit in hoc;qualis diftin&io ex hac alie»  tate inferatur inter dcfinitionem)& defi nitum;& in primis certum eít noninfer ri tátum diftindiionem rationis ratiocina tis, qua: tota fc tenet ex parte intellectus. concipientis, vt volebant Thomiftz, et pra fercim Caiet,'& Auería cit. tum quia. uádo Pctrus pradicatut de fcipfo, talis diftindtio verfatur inter Petcüà parte fu» biccti, et feipfum à parte praedic li tum,& tamcn adhuc propofitio eft idea. tica»crgo ad alieraté terminorüyita quod  propofitio non fit identica, maior diftine &iorcquiritor,quamratioDiSraciOCIDàe   isque mertbda per eer   2 ia Auería q.6. fet. 4. docet cu ceteris. » qu q 4 dE or tur (ynonimi,diuerfos cóceptus : uos eis corrcípódere debere,quia fynt ma süt,quz non folà fignificat eàdé r£ s. conceptum,ergo dctinitio,& definitum s. cum non fint termini f nidiffcr nontantum quoad voccs fignificátes, ctiam quoad conceptis fi gnficates; at ideo diftin&io,qua inter definitum, et   dcfinitioné reperitur, noo fe tenet prz» ^ cisé cx patteincellcétusconcipientis.    Sed neque cx alictate terminorum 4n, V M. inter eos inferre dc mus.diflin&ionem d. eX natura rci actualé& omnino ab ope». re intelle&tus praícindentemvt. yel p^ debantur Scoti fl €,quia ne propolirio idcniica,/(ufficit,v: idem confuse, et ina dz uaié conceptü dicatur. de ipfoadz quaté cócepto, vt docet Bargius1. d. .q. z.in $ ne]pondeosquod quando yi ità aC cidit vniucrfaliter,dü conceptus.tracene dentcs,quibus nulia à parte rez correfpó dct aczquata realitas, enunciáur de ws. incrioribus;& ne atur principii fuf« ficitvc per rem diftinété cognná prebe tu: €xdé confusé cognita aliud cóuenites. et và accidi yniuerfaliter, düde uálcen déubus preprig oft édür paffi ones pet. €oiüconcepuus quidditatiuos; Jglt lc eX aliciaie cerminoi ii: juoad c Mun &uosimp ; in pirorolti ize [oriates.càm in p!9r nd A Quaft.IV. de modo conflitaendi Definit.cdi I. 205 quá in (yliogilino fola infecti poteit di ftin&io rationis ratiocinatz; X uateriali "tet foli,ac de per accidens potett maior inferri nimirü quia termiai illi res diucr fas importát;aat realitates;cü igitur Do &or.loc.cic.aliud nó probet de definitio ne,& defiaito, q folà terminorüaliecacé, llis rónibus no (ufficienter oftéditur in terilla diftin&io ex natura rci a&aalis. 39 Vtigiturdiftin&ionem Íca mus,quz ce vera intec definitione, et de finitum verfatur,expédédum cít Aduer fariorá fundam&um iam intinuac(i,quod definitio, et definitum differunt folü sin confuse coacipi, et diftindé concipi,cü ergo cadem prorfus firres explicata per nomen definiti, et definitionem,& (ola diuec (itas fe teneat ex parte modi coaci iendi confuse, vcl diftin&é, plan tota Biftintio fe tenebit ex parte intellectus concípientis, et nullo modo ex parte rei COcepta atque ita erit fola di(Lin&tio ra tionis ratiocinàris inter illa,& (ola diftin Gio quoad voces figuificantes, nó quoad Cóccptus obic&iuos. Verü pto mtellige tia i (dius rei, et cuerfione iftius füundamé ti obíeruandü eft,quód cófulio,& diftin €&io, (cu claritas non modifican: urn actü cognitionis,feu concepti formalé,(ed &c obic&tinü, .iipfam rei cogno(cibiliraté, quatenus intrinfece i pía res cognofcibilis ett hoc,vcl illo modo, confusé per nomé defiaiti,diftin&é per definitione, et hoc totü concedüt Thomi(lz 1.p.in materia de vifione beatifica, loquentes enim de có, fione docent illà effe cognitioné obie&i cóprehétiuam, qua, clare actingicur obiectum, quanti intelli. gibile eft,diftin&ione, et clarizate fc te nente ct pattecogaofcibilitatis obie&i, mon auté cognitionis,quia v.g. tá copre. hendit (ormicam Angelus inferior quàm fuperior, quamuis ifte clarius, et diftin Gtias eam attingat. claritate (e tenente cx parte intellectus cognofcentis . Scante igitur hacdo&rina,quód coníulio, et cla ritas cognitionis non tantum (e tenet ex damentum Aducrf. concedendo, vui]; cadé res per definitione, et de declacatar,& figaifizatur, et qud ett fo la dinerficas in inado. concip'edi eádem rem di(tin&é,vel confusé;verà ifta claci tas, confulio non fe tenet ti. ex parte iatelle&as concipientis, fed etiá ex parte rei concept, et ideó cü (e teneat ex par te obie&ki, optime inquit Do&or defini ' tonem, et definitum efe diuerfos rermi nbs,non (olum quoad voces tignificátes, fed etiam quoad conceptas ligaificacos, et obie&iuos, non uod diucr(as res ex plicentyíed quia ex plicant eandem diuer fis modis ex parte o5icdti fecenentibas « Vnde hac rationc etiam cum Scotiftis a( feri poteft, quod definitio,& definitü dif ferunt ex natura rci aualiter,quatenus à parte rei ide proríus obie&ü duplici pve do ex natara tei c(t conceptibile, confuse »f.per nomen definiri, et diftincté per de finitionem ipíam, et hi duo modi concce ptibilirats (unc in obie&o abinuicem di ftin&i ante omne opus intelle&us; € qai dchac re plura defiderat adeat P. Fabeüt thcor.7. vbi fatis eleganter hac dc re di( ferit, à quo folutioncs ad atgum. Caier. tranfctibere de verbo ad verbum n9 eru buit Pofnan.1.d. 2.4. t. art.3. à f Sexto tandem modum inueftigi di definitionem docuit Arift. 2. Poft.c.8. Plat.in Sophi(t.de quo late tra&at Zabar. lib.3. de Method. feté per totum ; Plato docuit inueítigare definitionem via diui fionis (amedo predicatü, quod eft cóius re definienda, et illud diuidendo pet dif fcrentias in fpecies, deinde adiungédo il li differentiam (pecificam,quz ti con:ter tatar cum rc definienda, crit. dcfinitio rei adinuenta, at fi non conuertatar, vlterius progrediendü eft,donec oratio conucrta tur cü ce definienda, quod quif. exéplo fibi manifeflare poterit ; et in hoc (eufü vtilem ete diuifionem ad inucniendá de finitioné docet Scor.1.d.3.3.2: N. Arift. veró vtilior vifa eft via compotitioniss vndc é contra vulr,quó d primó (amantar Anferiora rei definienda, dcinde videatur. adazquata ratio,in 3 ipfa conueniunt, &c jéxcerde inito talis rei, vt fi quisvelic inem definire fumat Ioann&, et Pau "lun ;& viden rtedienti, i qaibas elen ter coueniunt alijs (cclufis, hzc enim : Y La pre, i d 204 prz dicata fingillatim expreffa erunt. ho minis definitio . At breuior modus eft, quem infinuauit Galen. lib. 1.de (anit, tuenda,& lib. 1. de differ. morb. vt refert Amic. cit. dub. 4. et Do&or obferuaffe videtur 4.d. 1. q.2. inucítigàdo definitio nem Sacramenti; Primó igitur percipien dum eft quid nominis illius rei, quam vo lumus dcfinire, (i enim bzc ignorétur;ad inue(L;izandam rei quidditatem omnis via przcluditur, vt etiam Arift.fatetur 2. Poft. deinde inucftigandum ett, (ub quo gencre fit, quod facile deprehenditur ex proprieratbus gencris vnde rató ideft igaotum, demum inuefligare debemus, Quznam differentiarum inlit cci, et hoc fit, vel indu&ionc, fi differentia fenfibi lis fit in (uis particularibus, vel per demó firationcm quia, vt late docec Zabarcl. Coníulatur Do&or loc. cit. et cxpenda tur modus, quo vtitur in inucftiganda s dcfinitione Sacramenti . Quenam propri? definiri po[fiut I Efoluit Scotus quztitum hoc ex v R profctfo in 4 .d. 1.9.2. vbi docet ad hoc,vt aliquid definiri poffit proprie 4i definitione efenciáli, quinque códitio ncsnecc(Tariaselle, quasScotifte ceci piunt pa(lim Tatar.q. Liegrdém, $.ter tio fciédum. Fuent.cit.diff.2 .ár, 1. Arnic. tra&tvit.q.2 Auer(a loc.cit. et alij com muniter, quamuis aliquas non rccipiat  Blanc.lib.5. inftit.fec.7. E Prima conditio cít,quód definibile fit  ens. pofitiuü ;& probatur, tom quia deti  mitio proptié dicta cft oratio verü effe fi gni(icans 1. Topic.c.4. at nó entia,priua tioncs,& negationcs tale elfe nó habent; tum qhia definitio cffentialis explicat eí fentià,& naturam rei,at effentia eft entis efTentia,nó veró nó entis, et ideo Arift. 1. Poft.t.7, ait nO ens polle quide habere finitionem quid nominis, nó auté: rei '; quia tá non encia,ncgationes,& priuatió es concipiunrur ZR entis benc nus,& RE nerui b,vt notat Door quol.18.5.ex ;ffo (equis eas URP lid coda a. Dijput. Y, De Inflruments [ciendi .tfi hic Do&or.quód ifta per fe gnando carum differentiam: 42 Secüda cít,quàd fic ens pet fe vni, fiue vnum (it vnitate fimplicitatis, quia caret pattibus phyficis,vt angelus,& albe 7 1do, fiue vnirate compofitionis cx per fe actu, et per (c potentia;quale eft compo fitum phy icum;requiritur ergo,vt nó fit . aggregat quoddam cx diuertis naturis, " qua: non funt nata facerc per fe vnum,'ná. omncrale c(t ens vnum per accidens, vt r homo albus, et aceruus lapidum; fimpli. À cicer vero et abíoluté süt plura entiajat que ideó vnica definitione ex plicari non poteft, cum vnam non importet naturá, fed plures.hinc Arift.z. Met. 12. € 13. d et 41.& 8. Met. tex. 15. ait bari  2l 4 entia peraccidens poffe nominis defini.  tioncexplicari,nó autem definitionerei,  vtautemmclius intelligatur hzc pet'fe  vnitas requifitaad definiuum,videndisüt  ra dime gradus vnitàtis, quos Scotasa( 1gnat 1.d.2.0.7.H h.& qug de hac co. tauimus difp.s.Phyf. adi un 2 impedirquód definitum includat aliquid tanquam terminum pcr fé depend T 6 fuz, vt accidés includit fübie&tü, velficut  aliquid, quod (imul cft fecum natu, rclatiuum includit cortelatiuü; ita qua licct in definitione accidéciscadat fub Gumscáquam teraiinus dependere : t 1 et in defmitione vnius relatiut ingredi CH : tur (aam correlatiaum, tanquam aliquidy quo minus definitio accidentis,& relati ui non (int quidditatiua, fed posae nihil includatur táquam per fc pars inips (oquod non fe habct ad aliud in codé,fi  cut per fe a&tasad per. fe poxéntiam, vel pars eiufdem atus, vel eiuídem potenti adaliam partem, ficut conüngit intoto per accidens ; hzc Doà. loc. cit: quibus verbis docere voluit accidétia debere de» finiri definitione quiddicatiua, quam vo» cant per additamentü, quia'habeuc defi niri pec ordinem ad bifandam quedo: &ina fuit Arift. 7. Mcr rex. 12. v(i]i ad i20) vbi docet (ubttantia gate nc ifünpliciter quidaitgtiuam (i fi Mead alterius natura, at acci que tioncm quiddicatiuam pet ad E m, quod cft fecum fimul natura, non obitat "un tat, ergo oportet, quod de Quaft. IP. Qua definiri pofsipt. eode. IIT, Quia etiáfi habeant propriü genus,& pro iam differentiam, quantumcunque hzc explicenurin definiione, non quicícit intelle&us, quoufq; attingat fübicétum, cuius fünt accidentia, vt. explicatum eft ^ initio praced.art.ex DoGt.4. d. 124 q.i ..45 Tertiaconditio,quz po(fct ad pri mà reduci,eft,quod fit ens rcale,X patet ex prima conditione, quia definitio expli .€at veram quidditatem, at entia rationis, et fi&titia veram c(lentiam non » fed eam habere finguntur per intelledtü y wt difp.3. dicemus, ergo proprié definiri &ó poffunt; et fuit doctrina Auer. 1.P'oft, €om. 10. fübdit tamen inferius Doctor licet entia rationis nó poflint in hoc eníu proprié definiri, quatenus nempe definitio exprimit veram eiientiam cxtra animam » adhuc tamen in alio fcnfu dici polfunt haberc fao modo proprias defi nitiones ; ia quitte: genus,& differétia,& p quas explicetur coceptus in anima pcr Lt et hoc modo defi niütur o€s intentioncs logicales ; et fic habere definitione fnlicis ad ia pro ié dicta, alioqui logica nó cflct fiera. deter eno quod deben: aliquam cópoltitionem,per quam fir 10 plures con  À  refolubile dicentes quid, et quale; vnde quz non habenonifi conceptu fim pliciter (implicem,veluu funt ens, et viti mz diffcrentiz', proprie definiri nó pof funt, Ye: folum aliquam explicatione ad  mittunt, quz fufo vocabulo dici potcft definitio;probat hanc conditionem Scor. ex Arift S. Met cap. 9. vbi ait definitione efic orationem lógam cxprimenté quid y et qualequia dill in&é, et per partes ex plicat, quod definitum imp icit€ impor definito pof fint plurcs conceptus formari, quidditati uus ncmpéper quem cüalijs conuenit, et filisuuseper quem ab alijs differt, et atis liquet hzc conditio ex art. praeced. vbi. inter afl;ignandü conditiones bonas,'definitionis cà. cfic praecipua conftar et cx genere, et differentia, €óceptu quidditatiuo, et qualitatiuo, Quinta dcii.ü,& vluma conditio cft, d fi res vniueríalis, pet quam exclu   ià Arifk, 2« Poft. texe 2.7. Met. $3. et 1. Mct.tex: $« et probatur, quia definitio explicat quidditatem rci;at finaularitas,ffeü differentia indiuidualis, quamuis pertincat ad fubftantia, et inte ritatem rci, nó tamen pertinet ad quid ditatemyvt docet Doct.2.d. 3.q. 6. $. 67 per boc piteti tum quia quidditas cft có municabilis, non autczn fingularitas: tum uia bac rarione dicitur Ípecics tota quid itas indiuiduorum ; tum quia cuam ex €ói modo loquendi per fingularitate po« tius explicatur de Ó ngulari aliquo quis fitquam quid (it ;tum tádem quia fi fin fusi adderet nouum gradum eie fpecie diftinctum, indiuidua intcr fe cí fenualiter ditfertenc . Ex his itaque con cludit Do&tor,quod definitio proprié di Gta nà cil nifi enus pofitiuipcr (c vnius, realis, compo fi! realicer, vcl faltim quà tum ad conceptus, et vniueríalis . 4$ In oppofitum arguitur 1. contra tres priores conditioncs, nà ncgatio lia bct dittinctam formalitatem ab affirma tione,cui opponitur, vt docet Ant. And. 4«Met.q.2. et priuationes habent fua gc nera, et freie ex p quol. 18. ergo proprie definiti poffunt, atq; irà prima conditio ncccffaria nó eff. Diude ens p accidens eft fcibile, vt multi tenent,& Scor.ipfc 6. Mct.q.2. ergo et proprié de finibilc:Nec valet dicere definiri nó pot fe,quia ditc été plura entia importacquia hoc tantum facit, vt vna definitione non poffit explicarifed pluribus,cü quo ftat, vt adbuc tit proprié definibile. Tandem in Logica dcfiniuntur genos, fpecies, et ceierz intentioneslogicales: Nec refoá dete iuuat definitioncs illas exactas non cffc,quia ficut Logica eft vcra propri fcienua, ita proprijsvtirur definitionibus ergo fccunda, &, tertia conditioncsnes «cliariz non fünt, Refp.ad 1.fatis patere ex dicis inex plicatione prima conditionis, quomodo ncgationcs, priuationes, et caetera non «nua poffint definiri et Q. erba uoeoiedet, perpe n quid : i£ non lunt res, nec Ma pr  Pre qudrei ubere non xoilunt, n tum analogiam tia « AÀ' 3, de à l im erit infr | Y3 di 206 difp.dc (cient. pro nunc dicatur, 9 ficut non cit faltim ità proprié fcibile, velat ^ ensper fe vnum,fic etiam nó cftità pro prié definibile ; et (elutio inter arguene dum allatacft (ufficiens,co.n.ipfo;quod aliquid nonet! vna definitione explicabi le,confeftim conuincitur nà cfic proprie dcf:nibile,alioquin etiam zquiuocü defi niti poflet, fed cr ex plicari pofle plari bus dctinitionibus quas Ariít.6. Top.vo cat comjylicaras definitiones, et fic expli €arc potfemus, quid fit homo albus affi gnando detinitioncs hominis, et albedi mis. Ad 3. patct ex diétis in explicatione tettiz condicionis ncn polTe c(ledefini tione de (ccüdis iptétionibus co modo, quo cít ratio explicás verü quid extra animá, fed co modo, quo cxprimit vnam Cóccpt ü per (c in intellcétu, fiue conce prus ille (it reci extra bué rationis, bene potic definiri, et hoc modo ni,& nó ali tcr definiütur omnes intécioncs logica les, et (ic habere definitioné tufficit ad fciénà proptié dicta,ità Do&.loc.cit. 46 Secundoarguitur contra quartàá quia per definitione explicatur quidditas rei,fcd quiddiras cofifüit in tndiuifibili 8. Met.tex.ij. ergo quarta conditio cft im pertit és 1 ü ét quia definitio fit peraQü fimplice, pertinet .n.ad primá operatio »em,fed qua intelliguntur per adtü (im lice, non hibent partes. Tum tandem, qu. Deus, et (umma gcnera proprié de miuniurj& tamcn ró componun:ur. Refp.ad t;quidditareui dici indiuifi bilem quoad intenfionem;quatcnas non "füfcipi: magis,& minus, no autemob ca 'sentiam compofirionis realis, aut faltim Xjuoadconceptus. Ad z.negatur minor, pam ficut oculis fimplici intuitu imagi mem perípicimus multis conftantem mé bris,iia mente fimplici intuitv poffumus «ognofcerc quidditaté cx generc, et dií fcretia conftantem ; co vel maximé quia multiplicitas illa partium non tollit vni tatem,vt probat Arifi.7. Met. 42. et 8, Mct.15.Ad 5.ait Amic.& fequitur Auer m emet ais he de cau,& quia nó à y& quia de fiit debet cffe (ub generc, 2 do&ri Difput.I. De Inftrumemis [cendi,Cit et quidem Do&or per illà quartam mon.inPorph.q.4.idem docet S. Thome   7.Met.lc&t.5.Scd arbitramur Deü, et sü ma genera pofíc proprié definiri, quia et fi non fint compofita cx gencre;& diffe. . rentia, adhuc ramen fimpliciter fimplicia. non funt, fed refelubilia in vlteriorescó   ceptus quidditatiuti,& qualitatiuü, defi nitio autcm quidditatiua non debet ne  ceffarió cóflare ex genere,& differétia y fed vcl ex his,vcl cx proportionalibus, vt. docct Arift, 9. Met.tex.ij.idé tenet Blác. condicionem (olü excludit cayqua habét conceptum fimpliciter fumplicé, qualia süt tran(cendentia, differentia vltimae,& et propriz pa fTiones, vt explicat Tat.cit. qui proindé aduertit duplice cífe defini tioncm puré quidditatiuam,quadá cft cu ius omnes partcs pertinent ad quidditat€ definiti,[cdnon vt.genus,& diliecéda yn defivitiones gencrü generaliffimorü,quae dantur per ens, et n:odum intrinlecum i, forum ; alia cfl quz datur per genus, et differentiam, et deilla communiter dici tur,quod fola (pecies dcHisnige capt fpccicm tàm pro fpecie fpecialifhma y. quàm fubalterna;itaque Dcus, et genera fumma proprié dcfimiupursnà funt com polita falim quoad conceptus, et folum . excluduntur pcr. hanc particuia tanícée dentía, et vltima differérig)que folii de finiun'er propértionaliter ; vt ait Arift. cit 9.Mct.ij.& Doct. in eumtex. 47 Tertio obijcitur contraquintam s quia indiuidua habent: proprias rationes indiuiduales,ergo definiri pofiont explica tà naturà fpccifica; et additatali differen tia.Conf. quia ilia definiri poflunt dcfinr tionc e(icntiali, qua liabent plurcscóce ptos intrinfecos, quorum alter fit princi» pium conuenicndi;alter difiimguendi, at P 1ndiuidua funt hu:ufn.odi,crgo &c. Ncc valet dicere (ait Blanc.) quod ponitur im definitionc cffentiali dcbcre'etie aliquid fpc&ans ad cflencam definiti,qualis non eft differentia indiaidualis.N ó valetquia. fofficit, quod definiuo cfientialis coftet «x gradibus cfícnt;alibus, aut fübflatialie bus,cun, omnes lint inttinfeci rei dcfini tz, &in Li nri Ecet differentia indi .. uidualis nom fit de cfientiaindiuidui, e& ^ BuRCA  Quafl IV. Que definiri pofint: eet LT. tamen de integritate (üb(tantiz ipfius, et con(equéter eft gradus intrinfecus cci,   quod fufficit; vt potlit inttace definitio. nen e(fcacialem. Tum ;.3uia Aciftot.z. Poft.2 2. ait facilius e(fe definir (ingula re,quàm vniuer(ale, et de (a&o Porjh. c.de fpecie definit indiuiduum, et cap.de (ubít. dcfinitur prima fab(tantia. Tum tandem quia. definitio (peciei conuenit indiuiduo crgo poteft definiri . 48 Refj.ad r.ea cone, vt notat Marg. Scot.1.d.5.q.6.Bonetü in Met. aífcruiile fingulare poífe propcié definiri, quod é fcatife videtuc Ant. And.7. Met: q.7. et fequitur Atriag.difp 3. Summal. n 7. vbi hasc eadem tatione ait indiuiduua poffe €x fe definiri, per accidens tamé pro hoc ftatu à nobis non poffe, quia n6 cogno fcimus differentias indiiduales. Sed cum Do&.modo cit.in fol.ad 3. et eodé Aat, Aund.7. Mer.q.1 5.ad 2.prin. dicendücft, quód etfi aliqua rario po(Tit exprimcre, uicaid concernit ad. entitatem indiui dina tamen illa ratio.erit petfe&a de finitio, quianon exprimit quodquid ecat efTe,at ^ c Íecundum tes Vip C. 4. e(t oratio exprimens ui cei Ad 2. fafficiens eft (olutio sem at guendum data, quá fruftra conatur Blác. cuertere, dü cx proprio capite fingit ad dcfinitioné c(fentialem (ufficere, vc coa ceptus eam intrantes: finc gradus incria. feci, et (ubftantiales, non autem effentia Ics; quia oppo(itum conítar ex áp(o mo mine dcfinitionis efentialis, nim calis dicitur,quia gradus, ex quibus confl atur,   unt e(fcatialesrei diss ;  a ioqui partes ét intcgcales tagred! poísét duffsideuni e wddom Nee quia fünt' de incegritate (ub(tanciz cius. Ad 5. Ariftot.ibi per fingalate incelligit miaus eniaeríale, vt ex ipfo contex. colligitur, o. intelligendum fit, (uo loco expendemus; Porphyrius vero dcfi hic ti profecunda intentione, et in a&u tignato, non autem pro deaomi nato, X in a&uexercico, .i. definit fia. gularitatem ip(am in communi,qua vt (ic areae iei S tic    tac prima fubftantia vt magis ibi cx plicabitat, Ad 4ummo, ex hoc conclu. dit Do&bor cit.indiaidaum, vt fic, ratie ne (ui non poffe definiri, quia indiuidaa non hibent aliam dcfipitionem ciTentia lem à dcfinittone fpeciei, hinc diftingui folet duplex dcfinitum saliud propinquis et immediatum, X e(t natura cómunis 5. quz immediate per definttiionem. expli catur,aliud remotum, et mediatüi, quod f.remoté explicatur, quatenus. contince tur in propinquo, et funt iodiuidua, QVA&STIO V. De Diuifione . 49. N& defuerücqui folam diuifio né generis in. (pecics dixerunt efsc inftcuméci logicum, et proinde hác folam diuifionem totius vniuerfalis in (uas partes füb:e&t/uas per fe ad. logicam prinere, ita refert Zab.lib.;.de Method. C.6. et videtur tenuiffe Anc. And. in lib. diui. Boerij At praxis Diale&icorü. ine do clt in oppoiitum; nam hic in logica de diui(ione agentes, ex profe(To omnes modos diuifionis declarant, tam tocius vniuer(alis,quam effendialis,& integcalis, immo recca(ent ctiam modos diuilionis per accidens, et de omnibus proprias re gulas a(fignant. N cc plané abfque róne, uia ficür in dcfiaitione duo foiemus di Minguerématcriamy& fotmam,& quauis uancá ad materiam poífic ad Phylicaa (ped we, vel Mecaphyticam iuxta. diger fttatem materiz,ex qua conficitur, form tamen, et in2das eam cóficiend: a4 Lug cá (peátat, ita diuitio Phy(ica, vel Meta phyica, rti quantá ad materiá ad hinc, vel illam attincat (acultatem, jquaneu n ui adformim, et modü cam te& cóficien d: (pe&ac ad logicam, qae radit leges, S£.   przcepta omaibus diuilionibus commu niaj igitur et nos omnes diui(ionis ma dos atcingemus, quia diui(io ample fum pta eít intiramentum logicum, ; et ita te neat. Recentiores omncs ; imó non fc dc diuitione in tali tigoificatione hicage mus;(ed adhac eciam in ampliori, quate in plus fc im ip(a duxi; o vt no tat Tcob. initio (Dali dile omnis di uio cít ditinctio, fcdnon e contra ; Y 4  mudo fatio eft, tum quia diftin&io non m inus iuuatad manifeftandam rerum confufio nem, quam faciat diuifio; tum quia qu£, et quot fint diftin&ionum genera cft irá neceffarium addifcere, antequam gre(sü faciamus ad alias facultates ; vt quamuis bzc difpatatio de rerum idenritatibus,& diftin&ionibus ad Metaphyficum rc ve ra pertineat ex profeffo; adhuc tamen fal tim per compendium (it in Logica prz mittenda, in Metaphyfica deinde rur(us pro rottris cuoluenda, nam non folum in tebus phy ficis,verum etiam in legicis ip fis tradendis nil frequétius vtimur, quam diftinctionum varijs generibas, vc plane mirum fit, quare Auctores omnes de rc rum diftin&ionibus in Logíca aut parü, aut nihil prorfüs tra&ene; prius tgizuc agemüs de Diuifione,' poftmo multiplici retum diftin&ione "Quid, Q quotuplex fit Dimfio, eiu(que leges. ' «9 Iuifioeftoratio totum im fuas D partes diftribuens, i, eft cw tio dilribaendo manifeftans multiplici .tatem,feü confufioné totius; dicitur ora tío, vt intelligatur non pertinere ad dia le&icum diuif(jionem quocunque modo fa&Gauníed tantum mentalem, et vocalé, ie diuidimus homincm in | |, et rationale, aut in animá, et cor pus, vcl ore has cafdem partes exprimi mus; ponitur loco gencris, vnde per ora tionem hic intelligitur illa, quz eft mo dus fciendi, id .n.indicat parcicula illa di tede uz idem fonat, ac dittribuen do manifcftans, pote(t autem accipi ràm pro oratione perfecta quàm imperfe&a, 'quofcnfa eoincidit cum termino cóplc '&o,& ratio cft, quia in cxercenda ipfa di uifionc interuemit operatio prima intcl lé&us, apptehenfio nimirü totius,& par "tium, € es ipfa dinifio in propoti tione cathegorica per modum termini ' i hábere rationem pradicati, ticut 'définitio, vt cami dicimus animal, ant rationale, aut irtational«, (ed praci € (umi debet pro oratione perfecta, á dum de. Difp.T. De Inflvumentis fciendi . cut diuifio fit ab intelle&r, et ptecipna exercetur per (ccundam operatio enim cum omni proprietate dicitur intel Met   . eres pere anc,& illà cffe partes; inte: | talem diuifionem: inferret ex alijs prz» miffis,' tanc actus diuidendi ad tertiam operationem (pe&aret,. sh chere ^ogr Additur ly diftribuens ip fuas ue tes loco differentiz;per hoc .n. diuifio à definitione diftinguitur, et argumenta tione,vt notat Ant. And.li.o. diuif. Boet. $. Circa ifl am let ionem, quod definitio explicat quid res (it, fcu rei quidditatem; argumentatio qualis res fit rei proprie taté, et qualitaté, diuifio veró quanta res fit; (eu quantitaté,.i.quancü (ua continé tia (c extendit per partes; vndé quamuis diuifio explicando partes confcquenter manifeítet effentiam rei realiter, nontas men explicat illam formaliter, wt effentia cft,vt facit definitio, fed folum uet multplicitatem in tali e(fentia 5 et hoc cft,qued (upra dicebamus defini  tionem explicare effentiam coniungendar partcs& componende tocum/, diuifio vcrà disiungendo, quare dinilio » et per fc ordinaturad explicandam con« fuíionem, fcü maltiplicitaté partium to tius,non aüt ipfum totum, vel eius qui ditatem, et demü definitio refpicit. cat o matice (olum quorum terminorum cationem videas apad Scot.4.d.2. q1.A. €x qua doctrinaffacile folui poflunt,qug cunq. contra hanc communem (entériam obijciunt Hurt, difp. 10. Log. fe&k. 6. c Arriag.di(p.5. (umm. n. 15. non diftin guentes diuilionem à definitioneynifl in toto porentiali, vbiid omnino negari poteft. Ex hiscolligitur in ompi diuifio ne dari totum, ien. pet ipfam diuiditur, et appellator diuifum, et dari partes, in i» iuiditur, et dieuniur membra dinis entia ; vbi notandum eft. nog oportere ad efficiendam diuifionem femper int uenire veram rationé rouius, et partis» quandoq; fieri pcr imitationem quádam totus, et partium, vr cótingic ifa diuo" nc, qua fübie&um in (ua accidentia digi» ditur, nam ncc [ubic&tum et veré touum in Quaft 7 de Diuifione quid ftt, é qiotupl. Art Y. 7269 Otdire 3d accidenti, nec accidcntia tte$ jn ordine ad lubie Gt, fed quia ac cidentia cum fubie&o faciunt vnum pec accidefis ad imitationem veri totius, ideo fufficit ad efficiendá diuilioné falám er accidens, vt mox explicabitur magis. .. $3 Secundó, duplex eft diuifio, alia nominis;alia rei, Diuifio nominis eft illa, qua vox in (uas diftribuirur fignificatio. nes, vt quando dicimus hanc vocé Canis varias haberc fignificationes;per hác ve. £o diaitionem non tantum difttibuuntur termini fimplices in varias fignificatio nes, verumetiam oratio integra in'variog fenfas,quos recipere poteft; vade hic mo dus diutdendi multum deferuire folct in difputationibus ad indagandam propoti tionü veritatem. Diuifio rei e(t,qua res ig fuas partes fccernitur;& quia totü di uilibile eft mulciplex,ita ét diuifio re1; To güitàq; aliud eft perfe, quod nimirü con ftat pártibus pcr fe vnitis, et non aliquo vinculo mere accidentali, afiad pet acci ' Cuius vo per accidens adu: iac funr et fic in primis duplex ett di: tifio,alia per fe quar nimirum manifeftat. imultiplicitaé parti pet fevnitarü alia er accidens, quz é contra explicatar . Forum autem per fe duplex cft ex Scot. 2.d.3.q.4 aliud petentiale j feu vnincría le, et ett illud; quod diuiditat inipartes fubié&tiuas przdicando de quálibet illa m jaliud a&uale; et eft illud quod a&u ntinet partes, ex quibus componitur, nec cft przdicabilejde qualibet illarum ; íta etiam duplex eft diuifio, alia potétia lis corre(pódens pritrio toc et eft ; qua vniaer(ale diuidicur in partes, duas (ub (e, et jin potentia continet, vt ett diuitio ge Beris iri fpecies, et fpeciei jn indruidaay& dicic d hác reducitur diuítio generis perdiffe Kentias ; nam illas quoque dicitur genus in potctitia continere, Iicécpon wt partes fübicótiuas;qu;a in ci$ nó incladitur,aec dicatur, vndc proprie non dicitur ge ; diuidi ia diffcrenuias, (ed per differé: tias; alia e(t d'uifio a&tuais, alteri toti £érreípondcus, et cft qua tale towm di sriglitur in partesjquibus actu contiac, et Pomitür. c | 31 à FRrtus torum tQusle dipidiux in e(: fentiale, et integrale : illud cft, cuius fin» gulz partes fpeGtancad cíicntá rei, quz fi fuetint phytica ; confticuunt rocum cí fentiale d o ae fi metaphy(icz,con ftituunt. metaphyficam ; intcgrale verà eft,cuius partes fingula, et(i non (pe&ét ad efIentiam rei, pertínent tamen ad inte gritatem rci materialis, vnde foiü in ma terialibus reperiuntur, quz fi fuerint fi« milates,& eiufdé rationis, vt guttae ee in Occano conflituuat totum; quod dici tur homogencum, fi fuerint di (fimilares, et alterius rationis, vt brachium, et ca» put in homine conftituunt totum, €» di« €itur heterogencum ; fic igicur dimifia aGualis, alia erit effentialis,qua totü di« &iditur in partes, quarum fingula fümt dé effentia diui(i,qua fi fuecint phyfice, vt Corpus, et anima teípe&tu hominis, eric effentialisPhy(ica, (i Metaphylicz, vt animalitas,& rationalitas, erit effentialie Metaphy(icajalia erit incegralis, qua to« tim tateriale diuiditur in partcs; ipfum inrcgrantes, qua: iuxta variam naturam partium integrantium geminanda erit. $3 Ex partcvero totius per acciden& adhuc triplex diuifio folet affignari, Vna eft (ubiecti in accidentia, vt cam diuidi tur homo in album ; et nigrum, homo enim, qui diuiditar, cft (abiectum ;albe dinis, et nigredinis, quz illi accidunt, et ad haríc pertinet diuifto vocis in (uas (i gnificationcs upra allata, fignificatio.n. eft accidens vocis, et cadem vox velati fubicétum plates interdum habct fignifi cationcs, Altera é cóuet(o eft accidétis X fübie&a vt qn diuiditaralbü in lac,& li lium jquibus veluti fübie&is incftalbedo diuifa; Alia demum affignari (olet .d'ui fio accidcniis in accidentia, vt cum dulce diuiditur in album,vt eft lac, et fl auum, qualc eft mcl,re i6 vera hzc diuitio ró c ácatcris codiftincta, vá li diuisü cft de cf fentia mébrorü diuidétii, vt cii diuiditug coloratü inalbü, et nigrum, üc pertinet m yrys ad diui fione totius Voy 15,& eft generis in fpecics, cft eninac fi OM Pte c(t albedo, nite; do alter; i vcró diuisü non eft. de cffcn, tia mébrorü diuidétili, vt eft in allatajdi, uitione dulcis in flauii,& albü, tunc per, tinet  £210 tinet ad dini(ionem (ubie&i in accidétia, Quia dulce, qp cft diuisü, non (umitur pro forma dulcedinis, (cd pro (abie&o ipfo . dulci, cui accidit e(fe alauim,vcl auum. $4 Tertio multa folet affecri leges bonc dmifionis, (ed »rz.:ipuz, ad quas aliz reducüturc,duz süc, vel cres ad (um má, Vna eít,quod fingula mébra diuiden tia (int inferiora,.i.miaora diuilo, € ra tio cít euidés, quia omae totü eft mius fua parte;omnia veró (imal (umta toc diuiíum adzquent,ac exhauciac, X ratio e(t,quia i coco prae(ectim (yacathegoce maticé fampto,vc à diui(ione attingicu, nó eft aliud,quà omnes (uz partes limal; Nec valet; (à dicas,hominem bea diuidi Mctaphyficé inaaimal, et rationile, in ua diuiftone con(tac alcerum men5ram iuidens, nempé animil, cotuin diui(um excedere, hominem; Nà quáais animal in rationc totius pocentiális excedat ho minem, tamen ratione partis a&aalis mz taphy (icz exceditur ab homine.& in hoc feníu eft mébriü diuidés in allata diui (io. ne. Altera ccgula cít,vt mébra diuidétia abcát aliqua inter (e eppolicioné,i.Linc ità incer (e diítin& re, vel có3e, vc non coincidát ia co feafu,quo (aat mébra di uidétia,aut vnum aonincludtuc in alto . 5 f Sed hic moucri folet difficultas,an d:ui(io tradi poffit pec membra folü. pri. ia& oppofita,aut contradidtorté, vt v. .aniíta diu:(10 üt bonaanim i aliud ho mo,aliud aó hom»; A ficmit aliqui, quos fcuitar Ioan. de S. Thom.p.p.Lo2.q.4« art. 3. et probat, quia ficti pocc(t diuifio scermídos priuatiuos, vc fi dicatar y ono;altus videns, alius caecus, aer alius tenebrofus, alius lucidus, ergo eciá fizci eft per cecminos negaciuos, quia pri uatio d: formali negatio quz dam e(t;có ftat eciam ex vf/à com mnuatter haac diui fionem ab omaibus admit animal aliu fationilz;aliud «erationale ; et tamé irca tionale eit agiciad feu priuatiud zefpe €u racionalisCóplat.veco preáb.dc mo dis (zicadi coace daa dari po fc diuifto  nea »er vmm mnzmorum policiua.n, alugd »ciaacuan, aon dà acce aegatiuü, vadz :a ea diaid oae, qua animi diuidi tüc ia raciale, et iradoaale ia 44iuac uo, Difput.1. De inftrumentis ftiendi ly irrationale non effe intelligendam 1" ncgatiué, (ic.n. noa RS sa " tis,(cd etiam plácis,elemécis, et alijs,que non cominentur fub animili, hec.n.om nia non (unt rarioailia, quod camen eft contra primam regulam,:ux:à quà vnum mebrü diuideas noa poccít excendi vlcra diuifum ; vt ergo bona(it diuiio debet  membram negatiuum (umi priaatiué,.i. pco carétia altecius membri poficiut,non vb:cunque,fed in cali (abic&o,.i. conten to iatra (phzram cocius diui (i, et fic irra tionalitas im prcatata diui(ione hoc modo (amp:a fizarficat cacentiam. rationalita tis non in quocunque (ubicdto, fed in apto nato, i,imragenusanimals,  Ant. And. cit.de diuitione generis in (pecies przcipué loqués negat fieri (e pet priuaciad,aut contradickorié fica przcisd, et probar, quia genus diuidi tuc in fpecies per differétias, fpecies tem aliquid pouit,S& per coníeqaés di rentia, quz con(tituic inccin(ecé fpecié y negatiuum aucem noa poteít e(fe de A. trin(eca conftitati one pofiriui, qua rario etiam in alijs per (c diui(ionibus militare videtur,nà in his cocam,quod d iuiditur » aliquid pofitiuum eft, et cum diuidatut per fuas partes plané diui(io non mei fieri pec folam negationem, au priuatio negatio totá ncm, quia nec priuatio, ncc negario toti poíiciuum conftituere p ; Addit tamen, quód quia differentiz rerum có maunitet (unt nobis igaocz, (pccies etiam nà (emper proprijs nomiaibus nuncupá tucyhinc eft 9 circüloquimureas per ali qua vacabula, uibs quádo quc addimus parriculam priaaciuam, vel aegatiuam, et tunc diuifio generis dicitur ficri per contradictoria, et priuatiué ipu io ncgationé, aut priuacionem, pofitam in diui(ione circamloquimur, et imcelli  imas ali quid politiaui (peciea, vel di£. eccatiam, et in boc (en(u etiam Caius concedit dac poffe diuiioné per termi nos aegatiuos lib. 1. cca. 3 c. 1, acque ica concladcadum ett dari. poife diuitionem pet fe per tecminos priuaciuos,vel nega tiuos,0G t meré neg iciud, aut priu técos, &,ia hac feafu animal diuiditur per itationale;quod sobis cis camfzibi dif E rene [] "Y S»uafl.Vde Diuifione quid fit, y) quotuplex. e/Ari.I. 113 ferentiam brutalem;verütamé concedé dum cft diuifioné per accidens tradi pof fe per terminos ncgatiuos, aut priuati uos negatiué, vcl priuatiué fe habetes,id ue folü probant exempla fupra 'allata à oan.de.S. Thom.quod homo alius eft vi dés, alius cecus,aer;alius cft lucid", alius tenebrofus nà ifte, et fimiles diuifiones attinét ad diuifionem fübie&i in accidé tia,nà habitus,& priuatio accidüt fuo (u« bic&o, circa quod immediaté fe habent . 7 Solet ctiá addi alia conditio,g di uifio tradatur per proxima mébra,quan tüm ficri potcft, et fit bimembris fi. eft poffibile,ne multitudo membrotü pare ret confufionem; Verüm hec regula non séper cft nece(faria;imó quando aliquod gcnus diftribuitur per fpecies plures ex £quo,& immediate (übietas, poterit di» hifio per tot mébra tradi, quot sát fpecies immediate fubie&a fc bonum bene dj viditur in honeftum,vtile,& dclc&tabile, fi aut fpeciesnon ita fe habeant, ruuabit vtique cóficerediuifionem bimembrem, ita vc mébra fint duo;vcl pauciora, quan tum fieri yoteft;qua deinde in alia infe   » os nó bene iuideretur m lignü, lapidem, et angelü; fcd yrius diuidi debet incorpoream, et incorpoream, corporea in (éntientem,& nó scntientem,& c.adhuc tamen non erit abíoluté neceffarinm, nam fi ómnes fpe cics (übítantie,vel alterius generis efient alicui ncte, policr illas 1mmediaté enu mera: e abí];ercoris neta non illoordine feruato;& adhuc illa diuifio effct bona ; quia effet manifeftlatiua multiplicitatis to tius diuifi,vt norant Compluc.cit. /  $8 Quarto tandem, vt de vilitate di uifionis aliqua tangamus, iam diximus q4«at. 2n fine valde vtilem efie ad dcfi mir:onem indagandam,quod prater FPla tonem ib: cit. docuir euam Boer.lib. di uif.& d j   ratio efl, «quia omnis bona definitio datur per ge usd differévas fcd differétig labesiir per diuitioné gencris ; cütn per difierea tias diniditur, fic ét diiidédo genus col E t omncs differ&t e necciariz ad dcfinitioné fpeciei; Quando auté A rift. 2.Pott.tex. 4. probac,' quód via diuiliua non eft vtilisad inucftigandü quod quid cft,.i.definitionem, quia committitur pe titio principij, inquit Ant. And. dupliei tet intell;g: poffe viam diuifiuam ad de finitioné valere, vno modo per modum fyllogizandi;alio medo colligendi, et cé ponendi differentias cum genere; primo modo ncgatur ab Arift. propter petitio n& principij, vt fi velimus probare animal rationale ctle definitioné hominis,fic vel animal rationale eft definitio hominis, vcl animal irrationale, fed nó eft defini tio hominis animal irrationale, ergo eft animal tónale, hic petitur in minori: ' 2 debet probari, quod fi probatur ; vtiq nó poteft probari per modü 'diuifiuum fed alia via,at alio modo;.f.per modü col ligé&di differétias, valet vtique v1a diuifi va ad definitioné;neque id negat Ar;ft.2. Pofter.sed dices definitio eft prior diui fione, quia antequam aliquid diuidatur, Oportet fcire per definitioné,vtrü fit vm uocüm;vel e quiüocum;ergo ad illam'in ueftigandam non valet, R efp. Ant. Andr. ibidem, quod diuifio przupponens defi nicionem fai diuifi eft vtique pofterior illa, nec valet ad illam inueftigamdá, fed válet ad aliam polfteriorem;vt v. g.diuifio animalis non valet ad definitionem ani 'mális;que prz fapponitür ; fed addefini tionem liominis,cug uariis et dupli éirationc iuuat tx Aiift. 2. Poft .cext. 13. com. 74. et 7 f; primó in/imuat., vt ree difponantur partes definitionis, cum .n. duz fint, .f. genus, et differentia, diuifio facit, yt prz ponarur, quod eft comunius, deitide fuuat, vc nihil prtermittatur eo rüm;qtz pradicantor imquid ;; | l igit omncsy& tingulas differentias, qua de fpecie pradicanturinquid. ^ Ett vulis euam diuifió ad totà aliqua fcicntiam,vt notat Amic. tract. vlt. q. 5. dub.4. nam iuvat ad diípéncndas pulis fcrentiz, vt patet ex progret:u Arift. 9n khyficay nam cnm de corpore narorali velle arerespnus de eoteáttacin vniuct  fali inoéto lib. Pbyt. tum diuifit sWüd. f. Caii'áb initio in fimplexg& misti, atq de 1upliéi prius cgit uo dc Cade tum autem, eum diuidátur in peitectum, et imperfectum; et perícétum inbhomo. E rri geneum,& heterogeneum, homogenea in lapides, et metalla, heterogenea in plà tas,& animalia, et horum (pecies, vt le gitur 1.Mctheor.c.1. agit deinceps de bis omnibus boc eodem ordine .Quid, c quotuplex fit diflintiio . 39» TN primis de formalitate ip(a diftin Guonis e(t difficultas,in quo.f.. for tniliter coníiítat, an importet aliquod golitiuü,vcl pocius in fola cófiftat nega tionc, et remotionc identitaris ; Pa(qua lig.in Mctaph.p. 2.di(p. 47. (cót.1. tenet sdentitatem quid politiuum cferre, vndé poflea (c&.1. (ubdic diftin&ionecm «Ólifterc formaliter in ablatione talis po fiiiu' per identitatem importati  fequi tur Ioan. de S. Th.part. 2.log.q.2. art.3. et alij Recétiores paffim; Mauritias no ficr écontrà in Epithom.formalit.doce tt videtar, 9 diftinóuo fotmaliter cóti flit in aliquo pofitiuo nimiritn in alicta te, (cu diueríitate extremorü, idétitas ve 1O in ncgatione talis alietatisfequuatur alij formalifte, et Achillings li.de di ftin&.c. :6. art.3. Sed cum hic fermo fir dc diflinctione, et identitate in tota. fua amplitudine,vt nimirum füb fe cóprchen dit tam rcalem,quá rationis, tá pofitiua, uam ncgatiuam, vanum cft laborare vt aMquiramus aliquam rationé cócm vniuo €am diftinQionis,aut identitas [ie infpc $a quia nulla talis datur; quarc cum di flin&tio, et ideuutas in tama cómunitate fit aliqaid zquiuocum,(u fliciet affignare ipomins explicádo formalitatem di AUndionis per negationem, aut carentiá identitatis, et et contra identitatem per negationem diftinctionis,feu alietatis. 60 Qusntum veré ad numer dittin diionum ; veteres Thomiftz duo tantum Rlcnüitatum, et diflinctionum genera po fuerunt, primum gcnus continet di flin i et identitatem realein, quz eít à parte rei ante opus iptelicétus, et con uenit ijs,qua ve! important res diuciías, vel funt vaa, atqe. tcs : alterum vc 1Ó genus cít idéntas ; et diftin&io ratio hi$ » qua; habet effc pex intcllcctü, et tunc Difput.L. De Infirumentis fciendi contingit, cum cadem! res in feipfa cum diftinQtione ab incellectu cócipitur.Hoc autem genus diitin&ionis (ubdiuidür im eam, quz cít (ine vllo fandaméto ex par te obic&i, vt cü idem diftinguiturà (cip fo, et vocant diftinctionem rationis ra» tiociantis, et in cam,quz fit cum fun damento cx parte obiecti jquo modo di ftinguunt gradus cílentiales metaphyüe €os, et vocant diftinétionem rationis ra» tiocinatz,& parüm, vel nihil ab hac (cn« tentia diftant Nominales. Recentiores veró Thomifta, qui et Ncoterici, feu Neutrales dicuntur ; prz» tcr diftin&tionem realem, et rationis, ad« dum: tertium genus diftin&ionis, quam appellant modalem, co quia non vetí(a« tur inter rem, et rem fed inter rem, et modum eiufdem rei, nam prater resin.a rerum natura dantur citcunítantig quae earundem rerum afficientes i|[as, &c vltimo determinantes, vceftfeffiorefpes  Qu (cdentis, fi tia,vel res, (ec poc rn cM tiz, quarum virtute fic, vel (icf habent ; explicant autem ita hoc genus diftin&io nis, vt folum inter ea vericiur, quz ficex   natura rei, et prater opus intelle&us dis fünguuntur,vt non vcramque ipíocü, (ed altcrum trantü poflit (cparatum exiftere, nimirü res (ine modo, noné contra, vt (cdens fine (cione, uàcitas fine hac, vel illa figura,extrema finc vnionc,non é có trajquia cffentia modi ita (ita cit in actua. ]i modificatione, vt ncc per diuina poten tiain fieri poffit, vt modus exi(tatícpara tusà re modificata, et hac de«au(a no lunt hanc di ftinGionem ctiam ex natu» rà rci, et praet opus inte]le&us, appel larercalem » quia diftindio rcalis pro prié verlatur inter rem, et rem, quarum ynà vici (Tim finc alia poteft cxiftere fale tim per potentiam Dei abíolutam ; atque ideó ita flatuunt banc di(isn&ioné, vt » membrá imtpediaré. diuidcns difiinctia?  ncmsvt fic,vt bene notauit Pafqualig.cit, diíp.$ 1.ÍcG. 1.n.4.non vei dpod tit mé« brum di(iinct:onis realis, et hanc fenté. tiam docuerá. Fonfec,5 . Met. c. 4. q. 6« ÍcQt. 2. Suarin Met, ditp.7. (edt, 1. à n. 1$ quos gura reípeQuquantitaris,  qu! modiinfeipis proprié non (unt eme  T H  " [ HT " quos coteri Neeterici pafEim fcquuntur. "€t Scótiftz antiquiores qui Formali fle nuncupati funt, feptem afTignarüt di ftin&ionii genera,.(. diftin&ioné ratio,ex natura rci,formalem,rcalem,císé tialemsle totis (ubieétiué,& fe totis obice tiud;quas (meulas breuiter explicatas vi dere licet apud P. Fabrü in fuo breui tra. &átu Formalitic.7.ita docuersnt vnani miter Ant.Sirc& qui proptereà Magifter Formlic.ett appellatus, Tróbet. Maurit. . Doduet. in (uis trac. Formalit. Licher.in 2.d.1.q.4. Zeib.in queft.de plu ralitate difinétonü, et tieu alij andi quiores noti rz Scholae. Verum al:j Sco tile tot genera diftinétionum inficiá uir tribus ramumipodo contenti,ad quas om nics alias ceducunt, nempé reali,rationis, et formali rredia inter vtráque ; quz mi nor cít illa; quia non verGrur inter rem, rem, fcd inter plores. einfdem rei for malitates;& maior tla, quia inter. illas repecituc citra quodcüque opus intclle €tus; et hoc genere di (tincbionis (ecerni u volontjnter fe gradus Metaphyficos in creatis; vt animalitatem; et rationalitaté inhomine, et attributain diuinis; vciufti tiám,& mifcricordiam in Deo,ac vniuer falicer (übicctum; et propriam paffioné, ita Tataret.q. vlt. przedicab.dub. 2. Butli fcr, et Bonet.in (uis tra&.formalit..& (e quunttir Recentiores oés Scotifta: Faber cic. Vulpcs in (um.tom.1: p. 1.difp. 8.ar. f. et 6.& tom. 3.diíp. s g.ar.3.Smifmch. r.p. trat. 2.di(p. 1.2. (8. Mcuriffe in Met.lib. 2.C.24«p.q.4. et ita ponür hanc d ftin «&ioné mediam, vt fit membrü immedia té diuidens diftinGioné in gencre, vt fic, 562: Dicédum cft pro totali re(olutio fc iftius materiz duocffe prima genera | diftin&ironum,& identitatum, nempe ex "matura rci,fcu przter opus intellc&us, et "rationis, (eu.per opus intelic&us ; et bac »zuríus (übdiuidi in varias fpccres iuxta.» &wariam rerum, vcl rcalitatum vnitaté, vcl "pluralitatem,in quibus fundantur;ita $co ifta quamplarcs Kada:1. p. controu.4.. 8 Nolan.n Pynach.q. 1. Conclufio hzc jp baut: ex icgulis bonz: diuiiionis jam at "Kignatis in ptaccd. art. quiacumaliquod «emmuri in inferiora diuiditur,. (0 Quel I. Quid e quituplex fre Diffnfli ei T. ay ca a(fignari, quz immediare fe habent ad rationem cóem, nam fi vnüimébrum affi  gnarctur, quod immediaté diuideret ra tionem cóem, aliud veró, quod non im mediaté diuideret ; confufa nimis, ac in ordinata proríus cuaderct diuilio,nà ipfi nita pené membra pofset affi gnart fic di uidentia; ergo in a(Tignádis gencribus di«. ftin&ionum illa primó debent alli gnari, quz iminediaté. diu dant difinctionem, vt fic fcü in qoi fumptam, fcd talia funt membra iam affignata, crgo &c. Proba tur minor,mébra, que diaidüt immedia té ens 'in tota fua amplitudine, funt ens reale, et rationis, capiédo ensreale pro omni eo,quod et extra nihil, nà impot fibile e(t aliquà ronem entis excogitari y Quz non dicat;aut ens reale, aliquid nimi  rü habes eife independéter ab intellectu, aut ens rationis, aliquid. nimirum habens effe dependenter ab intellc&u; 'cuim igi tur tdeuritas, et diltin&io fequintur or dincm,& rónem entis, cuius a (Bzgantar veluti paffiones disitinctz conceptus có  muni(limus identitatis, et diftinctionis "a(lignata membra debebit primo; S immediaté diuidi . Conf. tunc re&té aUi atur diuifio alicuius cóis.com membra rimó diuidentia ità (c habent ad rónem cóem, vt (ub iptis contineantur alia jnfe riora, fiu& gencrz, fiue fpecies; ita quod  mébra diuidenia fimul (ampta zqué pa teant;ac ipfum commune diuiíam,;vt pa tet ex codcm, art; praeced. crgo in atli gnandis diftin&ionam, et idcacitatü ge : neribus illa primo 'a(hgnare: debemus, quz fub (c omnesaliascontiacnt media té, vcl immcediaté,fed ità (e habent imem bra iam aii ; mm omncs identita tes, vel dit oacs affignab:lcs ad illa reducontur,crga &c.probatur minor af füb iliis genecibus: totam ferié idenritatum;& di(linctionum.  63 Diltin&io itaque cx natura rei,ftu precer opus intelle&tus ; vt ex Scoto col: ligitar 1.d.3.9.7.. Sed bicresbat,& d. q.4$. £4 quasi ronem, et 1.d. 1. q. 5. $. 4d qua(licnem iflam,& d.3.q. 1. et alib: (epé, fübdiuidituc in ditinctionem exnituri rej rcalem,& in diftnétionem ; €x natura rci formalem ; ratio aii, ic vt. [| »" i . AA s 214 docet Ariít. &. Met. tex, 18.. ideatitas proximà fund ur (ape: vaicaté, diftia &io fupra multitudinem. [eu placalitaté, ergo tot modis diilinzti» ex piccerei di cetar, qoc mo is dicituc pluralitas, et multitudo, fed plucalitzs à parte cei, vc norat DoGbor 1.d.13.q va X 4.4.45.).3. in (51.24 1.daplex eft, alceca recam; et di icu plaralitas fimpliciter, altera cealica tum,íca formalitatum, X dicitur pluzali tas fecundum quid, ecgo et z,. dclaracuc fabillata minor; per R?m, quz aultipli «cata facit plaralicatem (implicitec, et ett mata (andare realem diftiactionem, noa tin venic intellignium id, quod per fe primó, et immediate exiftic, vel tic exi ftere poteft, vc malti Focmulitkz velle videntur, (zd omae id, |u »4 per veri ef ficienuam,& plty /icam caa(alitatem acci pit e(Ts, (iae (olitacié exiftere poffit, fiuà non,& ita fe habeat omaes phylicz eati tates,omnes nimirum fubftiacie, (iue có. pletz.(iué incompletz, vt materia, et foc m1i,omaia item accidentia, (i18 abfoluca, fiue reípe&iaa, hec .n. o naia veré (aat entia ia rc&o propriam cifznriá, et exi. ftentiam habentia, etfi non 0.nnia foli taric cxiftere nata, v: patet de relacioni. bus,q104 (olum indicat ex hibere exilé exi (tentia, et ab exitteacia altecius deps dentem,noa veró carere pcoríus exitte tía; acproind? omnia t(Eh ec (uat idoaea fundwmenta di(tin&ionis realis, et nata facere pluraliratzm (i pliciter, q ua (anc vera res, et vera entia phy (ica pec veram caufalitacem phyficam à caaíis (ais pro du&ain fen(a explicato in Phy dif».7. q.2. Per Realitatem vero, que malti plicata folum nara eft (acaggplucalitatem sf quid, et fundar: dittiaiflóaem ex na tuca rei formalemyin:eiligitar id, 4304 e(t aliquid cei pczfato (en(u explicat, non uocanque modo, («d per identitate rea lé (qua cóae dici folet aliquiras) fiue per fe&ti,vt c(t identitas actribucorü tn Deo, habetur rationc infinitatiscxcrem  rum, (iuà impecfe&im, vt e(t idencitas vadaü m :taphy(icocam in cceacis ; que ibetuc przcisd ex vaioneéorum in cec tio,vt docet DoXor 14d. 8. q. 4. at; idà per tealitatsm omae id iateliigsad un ve e   ' Difput... De Inftrumemtis faiendi .  N Neo nit, quod pir fenonrecipiteffedfüapro:  ximicauíaperverug inflixüphylicum,  fed per f(implicem dimanationem mz2ta.   phyficam, qao fen(a aic Do&or 14d. 3. q.7.S.& 1.d.:j. C. pi(fionenemaoare   à (ubic&to, et 2.4. 16. q. va. potencias ab .  anim, et vaiuer(alitec emnanant realita tes, (cu gradus metaphy (ici a rebus phy ficis, vt animalitas, et rationalicas à cor porc, et anima. Explicatur. diflin&io Realis . 64 D I tin&io igitur ex aatuca rei Rea as eft; qua reperitur inter rem, et rem przfato inodo explicatam, quam. explicuit Do&. 2. d. 1.4.5. $. Contra. ifla. opuinonem, &$. £dqua[Lionemlit, M.. (ed exackias 2,d,2.q.2. 4,& B.vbi talem. tradit regalam digno(ceadi diítin&tioné. realem,eirealiter dittinguamrur, quorü  vnam veleit, vele(fe poteft (eparatüab. alio,vel (altim ralia ft ME dicadimaicé  fe habent, ficut illa,quaz func. Pw VEENEIE fepacabilia; quod (eparatio a&ualis fic fignam (ufficiens ditin&ionis realissfa« tencur omnes, et eít de fe euic Xx intelligi debet, etiam(i quz fep vnü abí ue alio vicifia exilbece fety(ola .n. illa a&aalis [eparatio et hic ratioae relaciaa,vt Pater, fi diítingiaatur realiter, etiamli vaum. alio exif(terenon córingit:feparatio item  pocentialis (uff :iés eit ad. inferendá di ftin&tionem realé inter illa, qua it Tr"  feparabilia, nam omae ens nac per có fequens indiuiübileà feipfo, et in« feparabilequare eo ipfo, quoda : fant l'eparabilia,iam nó vnü ens, fed duo  ventia realiter di(tin&i cen(eri. debent, Nec e(t acceffe ad | di(tin&ionem realem inferendam, quod feparabilicas ifta. (ic matus,ita .( vc hoc fine illo, et 6 contra viciffi n exiftere poffit, vt cótendüc Re« Centiores, nam ad diftin&ieaem realem cum omni proptietate fufficit,» aleram extcemorum exi (tere potfic fine altero, etii non có:ra,& imooilibiliras ex pat te vnius cxcreai exiftendi tine"alio. foi infect;quod dici nequeant mutuo fepara bilia cum retentione propriz exiltentiz ; et quamuis vaio,fefi »,& ali jhimu(modi enctatcs modalzs dici nó. poffiat ces Cüü» | ! nas » Ad, " "s fnticas,füimendo rem pro co,quod per fe,   et immediaté (alim per Dei potentiam . exiftere poteft ; tamen dici poffunt res, et ens co modo, quo hoc in decem prz dicamenta defcendit, et (altim, ait Scotus 2.d.1.q.5.$. Quod fi adbuc,licét modus non fit ita res, ficut illa, cuius cft modus, nontamen nulla res eft, ficut nec nullum ens, quia tunc nihil cffet, quod etiam rc ^ petit quol. 3. ab initio, vndé cócludit hác effe contentionem de nomine, quia iuxtà varias iones entitatis, et rei poteft haiu(modi diftin&io vocari realis, et mo dalis; Hoc tamen certum cftquod refpi ciendo naturam diftinGtionis in fe, et nó denominationem à modo defumptà, de bet potius dici realis, quia nonex hoc, qp fübie&um exiftere poteft fine modo, nó é córrajftatim inferri debet, quod hac di | ftin&io non fit realis, (ed modalis, quia et crcatura veré diftinguütur rea ^  fiter,& tamen nulla aJia inter ca ver(atur . diftin&io, nifi hzc, ep Deus exiftere po teft finecreatura,non é contra . Nec va /  let,quod aiunt quidam,diftinctioné,que /  eft inter Deü, et creaturam non pote di ci moc yquia creatura non eít modus  Dei,nec iilü afficit in ratione modi. Nó  valet; imó potius ex hoc confirmatur, p refpiciendo naturá huius diftinctionis in fe tealis porius dici debet abíoluté loqué do; et (olum poterit appellari modalis, quádo rcs,qua fine alia exiftere nequit, bené tamcn à contra, cft modus illius, et cam afficit in ratione modi... Nostamcn praíenim banc. diftin&ionem dcbemus appeliate realem ; et non modalem, quia difiin&io modiis apud nos. cop(ucuit ac cipi pro eaque vei fatur inter ré; et mod ü. jntrinfecü eius, vt inter etfentiam,& cxi flentiam,nó autem intcr rem et modum cius cxcrin(ccum, et accidentalem, qualis €fL. hic, de quo Recentiores loquuntur . &5. Scparatio tandé proportionalisfuf.  ficit etiain ipfa ad. inferédam, realem di f » hac auiem proport:onalis. fepatatio inter.ea. veríatar ; vt notat o &or Cit.quas cfi fint abinuiccm infepara hilia 5. hzc tamen jn(epara bilitasaion..» proucpit ab intrinícco » (cd meré ab.cx tuin(eco » quod ipíemcet. inz.d..1..3.4».  Qua. V. Quid, ej guamplex fidifinDBK C4e11I. 315 $. 4d que[lionem, explicat exéplo mo tus Caeli, quia fecundum Arift, contra di&io eft Coelum effe fine motu, nó qui» dem ex cau(a intrinfeca in Celo, quia e(t receptiuum motus;& indifferés ad quic tem,ficut ad motum, fed ex caufa cxtrinfe ca neceffarió mouente, et ideó cx tali in fcparabilitate non reété iofertur Coelum clic realiter idem cum motu (üo;vel ti in feparabilitas ab intrinfeco prouenit, ad huc tamen fe habent, vt producens, et produétum;cau(a,& cau(atum,& vnü ad aliud dependentiam habct effentialem ; hzc enim contradictoria przdicata necef farió inferunitdiftin&ionem realem, vt Scot.declarat 2.d.2 5.q .vn$. 4 d prima, quia relationes produccnis, et produ&i repugnant in cadení perfona, relationes, que dicunt dependentiam c(fentialem,vt cauígad cauíatum » repugnàt non folüin eadem'perfona,fed cuiá natura, vnde hac rátione, quáuisperfonz diuinz fint ab in trinfeco infeparabiles propter vnitaté cf fentiz adhac tamen realiter diftinguun tur,qaia vna eft producens,& altera pro duéta,vt docet D. Aos. r,de Trin.cap. r.. quamais totum fit à partibus.infe parabi itemab intrinfeco,quia tamen ad eas dependentiá dicit cffentialem, vt caufati ad caufas intrinfecas, hac de caufa ad buc abeisrealiter ett diltinótum, vt Scotug. "docet 3.d.2.3. 2, Itaque cócludamus fepa rationem extremorü a&tualé » vel poten tialé, vel (alim proportionalem fingulas di(iunctim. süpras.efle e. ud figaum. realis.diftin&ionis,& omnes coniunctim (ümptas effe tignum adaquarum .. 66. Hinc facile deducitur;quid fit idé titas realis, nam é contra illa erunt cade: realiter, quz nec feparata.tunr, ncc pof (unt feparari,nec proporrione correfpon. dé his,.ua: funt feparabiliayita p vnicü,, et ade quatum fignum identitatis realis; fit inlcparab:litas aiiquorum tàm aétua. lis, quam potentialis,& proportionalis y; quali infeparabilitate folum potiürureay, quorum voum non cft fine alio, necctie poteit ab.intrinfeco, nec fe habét vi pro. ducésy& productum, ve] caufa, et cauía. tmyita vt vnum cíl ntialiter. ab alio de  pendcat,quia hzcinfcrunt feparationem, proportionalem i.talia inferunt contra di&oria in his;que ita fc habét;.f.vt pro ducés,& productum;caufa, et caufatum, ualia nata funt verificari de his, quae süt rsen vel feparabilia (eruata propot  tione ; €x quo patet, malé Recentiores omnes afDgnare veluti fufhicieos,& ada quatum fignum "3s di ftin&ionis (cpa rationem in c(le actualem, vcl potentia lem, et identitatis realis infeparationem actualem,& potentialcm . 5 ers €7 Dcinde diftin&io realis iam expli cata (ubdiuidi folet in negatiuam, et po fitiuam, et bac rurfus in accidentalé, et eflentialé; ncgatina cft, que verlatur in ter ens,& nonens, vt inter materiam, et priuauonem vcl inter duo noncntia, vt inter duas priuationcs, de qua Scot.3.d. $.q.vn.& quol. :8.vndc quia proprié non eft inter r€, et r€, d£ diftin&tio realis im perfeáa, pofitiua eft, qua veríatur inter «luo entia rcalia, quorü vnum rcalitet nó eft aliud;rcalis e(fentialis eft, qua oritur ánter duo ex principijscorum cflentiali bus,& ita diftinguütur res,qua extát fub diuerfis gencribus,: vcl (peciebus ; quia Jizchabent effentias,' et naturas alterius yationis;quam diftin&ioné vocat Do&. 1.d. 2.9.7.F F. diftin&tioné rcalem natu rarum, cx quo patet di(linctionemeflen aialeim reduci ad realem;quia nó eft ; ni diflin&io rcalis naturatum, vt bene nota it Tatar.loc.cit. natura enim, et cflentia ádé süt;diflin&iio veró realis accidentalis elt, quz per principia accidentalia cau fatur; qáo homo albus à nigro diftingui tur, et ad hanc reduci potcft diflinctio .mumerica indiuiduorum, quatenus prin ipium indiutduationis,vndeoritur, etfi petüncat ad fub(!antiam indiuidui,cft rfi extra elfentiam cius,vt dictum eft q.pre ecd. art. 3. quz tamen diftinótio potiori vocabulo fclct matérialis appellati qua tenus differétia ind iuidualis, quae cfi eius principiti, dicitur materia votius,vt Scor. docct.2.d.3.9.6. et ab codcm locociir. 4.2.q:7. optare appellator dift inétio ica Jis fuppolitorü ; Denique ad diftir Gio nérealem reducit ér ilia, qua verfari fo. Jet inter totü,& (insulas partes fingiila aim fumptas, G vocant diltinétione inclg Difp. I. De Inflrumentis fciendi ; DW dentisab inclufo quomodo totücorpu£  diftinguitur à a quiaincluditillud,   et adhuc alias partes. Verüm quia non fa Jà datur totü Phyficisfed Metaphyficü ctià& logicü, poterit hec diftin&io ins cludétis,& inclufi ad varia genera diftin &ionum pertinere pro qualitate tOtoru.: 68 Mcurifie loc.cit. cocl. 3.diuidit di  &in&ionem realem ini mutuam, et non mutuam,& ruríus vtramque ina potentialem et virtualem; mutuam ait ef fcyqua diftinguuntur ea;qua cífe poffunt mutuo fine (cinuicém ; non mutaam,qua vnum cxiftere poreft finc alio, non € có» tray& fic ait dillingui rem& medüeius; a&tualem ait efle,qua din fcparata;potentialem,qua diftinguuntur feparabilia; virtualem,qua diflinguuntur cayquz íc habét ad modum feparabiliüy Vcrum tota hac doctrina fal(a eft qui implicat vnum efle realiter diftin&tü ab alio,& quod vice yería hoc non fitreali   it ter diftin&tum ab illo,. ergo ink pei  Lh omnis diftinótio realiscftmutua.Quod  a2uté aliqua.duo extrema fint ita re jitet » diitin&ta, vt vnü poffit exiftere f« V ab alio non écótra,non facit. quodinzel   capon fit realis diftintio mutua; fed fo lum qued r. (it mutua feparabilitas, mul tum autem differt alíqua duo nó e g tuo realiter diflin&ta, et fion ellen rcalitcr fepapabilia. I urfus ex lio, D odor in 2.d. 24]. 2« docet diflinctione 1caló inter eliqna duo concludi ex eorü fcparatione,vcl actuali vel poientiali;vel faltem iproportiopali., malé fubdiuidit Mcuriflc diftinétionem realem jn adbuae lemsporcntialem, et viriuslein, leu proe porucnalem,tam quia Scots ibi exprefe sé loquitur de diftiné&ione cali actuali» cuius (ufhiciens., et ada quarum fignüine quit cfle fcparationem,vcl adtualem, vel   potenciales, cLecopartiogsieraq m Z^ non pari paítu currunt di füinétio realis, et Ícjarat;oita vt codem modo fcccrmi. dcbcapt in aCtuslé;& potentialé;& quód: fi (c paratio inter aliqua duo fat. actvalis, infcrat diftin&ioné a&ualé, fi potentia lis,potenualé tm,& fi vrtualis,virtvalé,, quaa clàn (Tin ücft [cparationem potétias J6 uf inire inter lac (cparabilia dilige  JQusfL I". Quid; eri quotuplex fe dif At. 11: 17 Gon realé actaalé, lic pattes coiius c(sé tialis,& intcgralis ; co quia funt abinuicé deparabilesscen(entur a&u realiter diftin yquia earü vnio nonexcludit diftin €&ioné a&ualé carüdem, (ed urn fepara tionem, et diüifioneim actualem ; tic e motus Celi,& ipfum Celum;qua süt sin Philofophtm in(eparabilia, proportione  Samen correípódent M pofsunt fc parari funt realiter a&u diftincta, ergo eparatio porentialis, et virtualis femper infcrunt diftin&ionem realcm actualem, && ron tantum potentialem; vel virtualé 4nter easque tic fünt feparabilia . ri ir:69 Sedcótraallatà do&rinam de di. dftin&ione reali moueri folet difficultas dc toto, et partibus, quod vtiquc(loqué do de e(sentiali) rcaliter diftinguitur à partibus ctiam fimul vnius cx Scot. 3. d. 4.q«2. et d« 22,q vn.conftat autem nec to sum exiftere pofse fine partibus frmul i xX&is, nec viceuerfa partes funul iunctas abfque toto;canttat ctiá nec i(la eíse fe ;parata abinuicem, nec feparabilia, nec debobere ad modum feparab;lium, nec m voum eíse proprie producens, et aliud productum )c rn allata de diftinCtione rcali cft infüfficiens.. Hzc . difficuhasardua adeo viía eft Meurifse Joc.cit.vt ea coactusaufus fit. negare fa mofam fentétiam Scotiflarum de diflin &ionc reali totius d partibus.ait.n.falfum effc de mente Do&oris totum diflingui xcalitcr à partibus vnitis, cü .n.in 1. d. 1. q.4.& in2.d.1. 9,5. et alibi paffin do «cat,omne prius naturaliter pofíe cífe fi nc (io poftcriori abíque contradictione, fi non fit ciidé, fequeretur partcs vnitas poffe cííc finc toto, quia funt priores eo nauualiter, cum ig tur vnitz lane co effe nequeant,fit, vt finr ei réaliter idé, quod exprceíTius ait docuille 1.Phyf. q. 9.vbi di ferté docectetum, et partes vnitas efle idem realitcr; quare fubdit decepros om . nes cie; qui bs Genus cxiftimarunt de g;€ Motitocü diftingui realiter à partibus ynitiSex €o fürté quia in 3.d, 2«q« 2oper mi xum probat difiinctionem rotius, cá à pact ibus vagis uiidigufis. nam quando probat totum e(fe aliam enctatem à par tibus vnius intendit (olügn inter ca indu o6 Loa ecre diftinciionem formalem, itag, in fen tentia DoGtor;s totum diit inguitur à par tibus vnicis formaliter folum, fer ex na tura rci; non quidem formaliter cócepti biliter, fcà meraphyficé, quo genere di« ftin&ionis diftioguuntur gradus meta phytici, fed formaliter entitatiué,feu phy fice, qwomodo diftinguuntur gradus phy fici incparabiles ; quod exprefsé colligi arbicratur cx quibufdam verbis Doétoris in 3.d.21.q.vn contra Magiftrum in fol. ad arg .opinionis aduerfa, vbi concludit, quod quamuis totài nà fit fiue vnione par tiugtamen vnio illa, velrelatio non cft ormalis ratio illius totius, quibus verbis indicat (olum inter partes vnitas, et totü non efle identitatem formalem. 7o Verum quantü diflet hic Scotia à germana Scoti fententia, et veritate có ftat ex dictisin Phyf. diíp.5.q. 13. acc. 1. vbi cx profeflo de hac re differimus, nam in 3. d.3.3. 2.quarta prarfertim rationc cf ficaciter demonftrat diftin&tionem rea Jleminter totum;& partes vnitas. quia fic vnitz verécaufant totum, et nihil rcali tet caufat feipfum, nam inter eaufam, et cffe&um vniuerfaliter intercedit fem E realis diftin&io, vt oftendimus in.» hyf.difp.8.q. z.art.1. Et in 3.d, 22:q.vn« $ quantum ego, ait entia materialia có pofita habcre caufalitatem intrinfecam per caufas inexiftentes materià. f.& tor mam,;quas;ftatim ait,cffe realiter diftin Gas à tali compofito,vtibi cft videre ;fal fum ergo cft ex eoloco folum colligi di ftin&ionem formalem; et plané non vi demus quomodo ex verbis illis à Meu riffe adductis deducatur totumin Scoti fententia à partibus vnitis folnm forma liter dittingui. Accedit,quod fruftra pre ter diftin&ionem formalé, quz proprie verfator folü intcr formalitates met ficas, fingit aliud genus di ftin&tionis for malis phy fice;vt eam at ruat inter totu, et partes vnitas,nam in Scholam prarfer nl aversum hucuíq; talis dedic ingre(lum non babuic.Q uod vc rà expreíse docuerit Doétor 1.Phyf:q.9» 1dÉtitatem totiuscum partibus voius,nos párum vrgcet;quia opus iilud Scoticó non: cft, cum palfim multa contineat ditlona. £ à &co à Scoti doctripa in Metaph. et lib, fent. fed eft Marfilij Inguen Nominalis,cuius fcriptum fc compcriffe in quadam vetufta Biblictheca Venctijs teftatur Roccusm I hyf.in epift.sd Lectorem, et idem in gcnué fatetur P. Lucas Vuandingus, dum e«nuina l'o&oriscpera reecnícr, et no is orcterus dixit; cx quo fadtü cfl,vcin Phyfic. illius pieudofcoticz: phiofophize ncc vcrbum quidem vnquam fecerimus. Qued tandem ait, hinc fequi partes vni tas pofle clTe fine toto, quia in Ícntentia Do&oris cé pnus naturaliter potcft fe» parari à pcflciriori, fi non. fit ci realiter idcm; quod (i (it infeparabileid arguere rcalem identitatem cum pofl criori, vt pa tet de fübicéto, et pafTi onc. Hoc ctià pa rüm vrget,iam . n. fopradiétü cfl cx Sco to 2.d.1.q.$. IN. et d.a. q.2. A. id vcrum effe, quoucfcunque repugnantia fcpara tionis àb intrinfeco veniat, et non ab cx uinfeco vt cft inlpropofito,quod.n.par tes vnita cfle ncqucant finc toto,prouce nit ab exirinfeco, nempé ex carüvnione, quz illis accidit, et qua fuppofita ne queunt non caufare toti, ncn autcmtalis neccffitas prcucnit. cexabfolnta. ear cn titate,vt notauit Lichet.2.d 129. 2.in fol. ad initanuas Caict .contra maximáà Scoti Qn.ni abJolutum prius alios cfcd fu fius hanc difficultatcm peruractamvus in Fhyf.loc.cit.in fol. ad 3.prin. I .71 Reéhus ergo dicendum cft in hac 1e P. Mcuriíic fuiisc deceptum, et nóom ncs alics Scotiflas, vt iplc parum humi liter dixit, et ad argumentum ex. dictis occurrendum «c ft quód licetitorü, et par t5 vnitzncc fint feparata, nec fcparabi.  lia proportione ramen correfpondé: 1js, Qua (cparari queunt, vt fupra explicatum eft ; et quan usnon fc habeant propric, yt y rocucés, et produCium,quia hoc fpes €tat ad genus caua cfficientis ; fc habent tamen vr cauía.i caulatamingenere » «auíz maircriakis,& formalis, quód.(ufli cit ad infcccndam rcalem difiinctioncm, quia inter caufam; X cficctum 1n quocá quc gencre cauia: calis, et phyficz rea km aintcrcedere. Jifinctionem. femper: «1l ncecíje, vi f..sé probamusin Fhyf. lo, «0 iam Cit.diíp.8.9.2. arta. T Difgut;1. De Inflrumentis [cendi |... Diflin&iio formalis declaratur ctio., 71 Iftindio cx natura tei formalis. D qua erat alterü mébrum diftin ; &ionisex natura tei,vtà diftindtionera xionis, et facta per intellcótü fccernitur., | cft illa,quz verfatür inter plutes eiufdem  » formalitates, quz: nimirum in eddetn phyfica entitate radicantur,& identifi cantur, eft autem formalitas ratio  Giua,& fecundum (e conceptibilis, v illa dicuntur. diftingui ex natura rci for maliter, qva habcnt aljam,« aliam fore malitatem, feu rationem conceptibilem. ita vt virumque dcfiniendo nó ctit idem | adzquaté conceprus obie&tiuus vuridf.   que, ita explicant diftinctionem. formas / lem Scotiflz quamplarces Tatar, Bonet. Butlif. Fab.Mcurifl. loc. cit. vnde € con v tta illa crunt cadem ex naturarei forma:, liter,quz candem: babenr formali et candem rationem concep iem, Ve i rum;vt docet Sootii dish 7.8. Sed bic refl al, duplex reperitur diio natura rci formalis,aétnalis nimirum, virtualis: actualis cft, quz verfi | plurcs formaliatesincadem re phyfica   a&á,& nonvirwterantum exiflcntésy  quz proinde à partereiciira i opus mtellc&es habent diwerfasiGnéS cóccptibiles;fic diflinguunrar ck nan 1ciformalitér a &valiter diuctía [otétig in cadcm anima radlcaiz, diuerhi gradus Meiaphyhici in.homine,& diucr(a artrie buta t» Dcoex Scoto 1.d.8.q. 4. $ 4d. hafiioncms quia nimitü hzc oaa tunt Jincifosptló csfonnaluer,& acta in Dco cxiflentcs, et nó virtualiter tátü vnde,& corum ditlinétio atualis cfTe de bet. V irtmalis ver cfl, qui verfaür inter plurcs eiufdem tei tormalitates,non actu, (cd virtute tani ü in. éa contentas, quate« nus cadem finiplicillima tcs, vc] rcalitas cb (ài cminencià zquiualct pluribusrea litatibus, vnde occafione przber intelle. &ui tormand: pluccs ccnceptusinadasjna toS obicétibos cx codcm obictto to, quibus actualiter diftinétas facit forz.  maliiatcs illasycude folumetác viciualitet diftiy.ca antc opus intcllétus inad 16 cóuipicnis qua 16netolct lacainat 1 TOUS "D &io ^ idi rationis ratiocinatz, qua tcnus folà per opus intelle&us fit a&ua lis, cumanteaífolum eflet virtualis; ira  diceremus in; Sole folü ex natur: rei vir tualiter diftingui virtutem calcfactiuam, et deficatiuam quia nimirum huiuímodi virtütes nonaótu continentur in Sole (c cundum fuüai effe form:le, (ed virtua liter ti, et eminentialiter, quatenus. Sol vnicam, et fimplicílsimam'virtutem eminentioris ordinis a ju:ualet illis dua bus, ex quo intellectus occafionem fumic didinguendi hasvirtutes in Sole,cum ta tn&à patte rei vnica fit,& fimplicifsima, Éx quo patet falfum effe; quod Recétio rcs paísim Scoto tribüunt,quod.f.nullam  diftinctioné formalem vittualem agnoue ric,ícd omnem dittinctione cum funda 4méto inre actualem po(ucrit, nà loc.cit. eamex,teísé admiteit, et eciam quol. t. $. De fecundo avticul», et in 1.4.8. q.4. | " is gd que[liorem; vc mox dicemus ex pli do diftin&ionemi tationis tatiocina tz,quz cum ferrali virtaalicoincidir.  ed Thomiftz, et alij Neoterici tualem, et folá virtualem admittunt, n alio nomine vocaat diftin. catioriis ratiocinatz; diftin&io 3  i  c 1 E ^ mem vetó ex natura réi abaalem volunt NN femper efe reale, et c ca ptorfüs coin tidee enl Pafqualie. difj. $6. (e&t. 1.ait " buc 'comnuonem fententiam extra fchoiaii'Scotiftárum; fed prater diftin &ionem eximatuia rei realem, et cx natu £a rei virtuale debere etiam admitti di flin&ionem formalem actualé, minorem illa quia non eft inter rem, et remjmaio rem iffa quia eft actualis, et im else diítia Etionis allo modo ab ifitellectu depen: det, probatur euidcarér ; qiia multoties Blites perfétiónes ini inférianibne dif ped f£ reperiüntucin aliqua re fupetioci ob. iDinentiá vau realiter, vbiin infe riotibüs eran: realiter diftinctz ; et quia $th (e (unc pecfe&tiones fimpliciter, ma nent adhuc in eà re sm (aas proprias for vnde r inca fori ufi, aüteminca« ; lót s hiavulaodi ;ve Ge: 00 Que. V. de Difüntlimertaliedsll. queunt diftingui realiter quia conrinen tut in ea pecidencitatem realem, neque fold virtualiter, quia non exi(tuar ibi v:c tute cantüm, fed au sm proprium efse tocmale cuiu(cunque; afsampcum patct, quia ità concincarur attributa in. Dco iu ftitiaymi(ccicordia &vc.vbi.n.in nobis süc perfectiones accidensaciz cealicet abia uicea diítindtz; in Deo realiter adunan tur; et quia süc ex fe perfe&iones fimpli citer, extant in eo form ilitec,'& non vit tualiter cantu n; (ic ét vcg xtatiua, et (en ficitia continentur in houine, quia. vbi in btatis,& plácis (unt formz realitet difti &z adunantur in liominc in vicam for mam;quz c(t ordinis (apetiocis,.(.in ani ma rationali, fed quia anima rationalis  eft forma,qua ho no non folü incelligity fed fcncit& vzgecar, et informat non fo lur quatenus rationalis, (ed etiam quate nus (ca(itiua,& vegetatiua hinc dicimus fenfitiui, et vegetatiuam in ho.nine ad hac reunere propcium e(sc formale, qp per earum definitionem explicarur y. ecti ion tetincant propr;um císe ccale . ^74 Refponderc folét Aduer(arij có cedendo huiu(modi formalitates a&uali tct ex naruca rei ceperiri in eadé re, actu «mreperitur ia Deo formalis iuttitiz y et aníericordiz, a&u reperiantur in. ho mine animalitas,& rarionalicas, fed nc gant reperiri a&u dillinctas, non. n.bzné (axunc ipfi ) ex adtuali earum. exiftéua in cadem re deducitur actualis carü dittin ro cx nxtara rei; Sed hiec refponlio, q (emper habent in promptu ' efficacitec refellitar, quia d.ttinótro formalitatum e.u(dé cei tandatar in modo, quo ibi süc » et repeciücur,crgo aibi fant ex: nacura cei actualicer,: coem cciam modo eruncibi dittin&a, probatur a(fumprü, quia quo res eit, co forinalilli:nd e(t vna vnitace Oportionata (uz enritadisergo tormalif ime eitindatiadaà fe, et dittin&a ab Qxnni alio (ecandum formalita:em vaita tts . Accedit ex fupradictis ex Acitl. f. Meta 8 .idengitatem fan dari (49ca vnlca tém,dittindtionca (upra m ilucadiné, et plucalitacem;ü.ergo tocin dizatcs v.g.ia ftitue, Sc avíecicorfie acta exiloac 18 D«o,vel(uac£ocmuliili advoaa :c perfe La Go, o. 220 &io, et hoc dici nequit, quia tunc vna uq; non cxifleret ibi sm fuam rationé Pia sm » fecundum quam dicit perfe &ioré fimpliciter,vel (unt plures, et tüc neccílario infertur actualis diftin&io 1n ter illa, quia baec fequitur pluralitatem . 75 Piaterca principaliter, multa rca liter identificantur ; quz tfi adbuc varijs definiticnibus exprimuntur, vt Arift.do cet 3. Phyf. 22.de a&tione, et paílione, et 3. Mct. 1c. de genere, et differentia, (cd definitio, pra(crtim cü traditur per con ccptus ada quatos,cx plicat e(fe formale, quod habet definitum à parte rei, licet ron explicet effe realequ« d vcluti mate rialiter fc habet, ergo debet admitti di flirGio formális actualis à parte reique fit minor rcali,,& maior virtuali, Et de mum contradictio fcmper infert diftin € ionem, implicat.n. de codem fecundü idc m contradictoria verificari, et quidé talem infcrt diftin&ioné;qualisipía cft. y fi cà contradi&o rationis, infert diftin &ioncm (ccundum duicríum cffe. ratio nis,vt cum de Petro pofito à partc fübie &i in propofitione identica affirmamus efte fubicétam,& de codem negamus et fe (obic&ium, vt ftat a parte pradicatis fi cft contradictio fecundum clle reale, infcrt diflin&ionem realem, vt fi dica m us,quod Vrbanus VILIL.cft, Paulus V. 10 cít;talis cótradictio infert inter iflos Fontifices realem diftin&ionem ; fi cft &io fecupdü cflc formalc;ipfert diflin&tioné formalé,non rcalc,quia mul 1a propofitiones vera fant in (cnfu reali, et identico, que nonadmittuntur io (cn fu formali,tic in diuinis verü e(t jn. seu identico cffcntiam e(fe incommunicabi ltm;quatenus cft cadem rescum Paterpi tatesquaec ft incómunicabilis, at fal(a cft in séfu formali,qui explicat rationé prz cifam rci,quaz per fe primó fign:ficatur, et per cítcntiam indiuinis per (e primó importatur entitas com mun:cabilis ; Ve rüm córradictio fccundum etse formale, et cx nata rci efse poteft duplex, alia aCtualitery& formalitet vera citrà quod €unq; opus intclle&us, vt cum dicimus y quod homo pcr animalitatem actu a par tc rei conuenit cum Afino ; et per ratio» Ns Difput. I. De Infirumentis fciendi s Flea qud pui ci nalitaté a&u à patte rei differt nullo in2 telle&u cogitante;alia virtualiter folum, et fundamentaliter, vt fi diceremus in So le effe idem principium proximum cale factionis,& de(iccationis,& nó eíse id, hzc contradi&tio non verjficatur à parte rei actualiter, quia a&u à parterei eft vnicum,& proximum principii vtriufqy fed tantum virtualiter ; et funda ter,quatenus vnica. illa virtus aequiualet duplici virtuti; ergo cum cótradictio im ferat (emper dittin&ionem, qualis ipfa eít, non dabitur tátum diflin&io formas lis virtualis, (ed etiam formalisactualis, Refpondent Recéuorcs. fcré om» quod cum definitio fiat per a&ü in» telles, et non definiatur aliquid, nifi inquantum apprehenditur, non,explica "HT tur rcs (ccundum efie (ubieckiui habet à parte rci,(cd fecundum efse Giuum,quod eben int llein NM repugnat quod ti de eodem chen» diueite cà duntur ; et preícinduntur nesformales, euam diuerfo modo de 7213 explicentur; 288 tcllectusré cócipit aliter, q. 7 tiones ille fondamenraliter. differunt ii re Ad aliud de cótradi&ione pariter dis cont nullam conttadictionem dari ad patte rei formaliter, fed tantu, damcntü contradi&ionis,qui &io confiftit in z d " lor ul» ncque (olü habentur per intelle ram dc altero affirmanté ; vel é, it praícrtim Pal alg.  Scdncutra reíponfio (atisfacit; n prima, quia definitio exprimit naturam rei;prout cít,& res diuer(imode dcfiniit türsquia diuer(as habent a uin ip dass Dog quia de RENE AN DR | concipiátur; et per definitionem expriani tur eíse rei quidditatiuü,& D autem císe,quod accipit per apprehéi nem intelicétus,ergo fal(um ctt per &tiuum. nitionem nó cxplicati efsc fubictiuum. rci ; quod habet extra ; (cd tantum. ; et obic&iuumquod habct in intc licet definitio fiat per a nó propterea [cqui ey, po "T" TM    Mitasadzquaeé expl  ge definitiónbm; qua folü per conceptus ; €usfi V. de Difüintlione formali eAr.11.   xii pofitio,Soí e(i lucidus, fiat perfinicl um enunciátem lucem de Sole,ramé imit rem :, ficut (c habet a parte rci uáliter etiá nullo intelic&u cogitáte autem vniuerfaliter cótingity ione €üque dcfinitio rem exprimit per concc ptum adzquatum;cui.f.correfpondct to ti idjquod eft in reexprimendü,pofsunt auté fic exprimi omncs fortnalitates, quae a&u plurificarz reperiunturin vna, et ca dem re phy fica, vt intellc&us,& volütas jn anima;animalitas,& ratiopalitas in ho snine,bonitas, et fapientia in Deo ; for analitates veró, quz folá virtute in aliqua xec&inentur ob cius eminentiá, nó pof fünt exprimi,ai(i inadzquaté, qe à par £c rci nulla ip fuo ordinc corrcípódet rca ilis, vnde hoc gene ánadaquatos traduntur; verü cft non ex primi rem,nifi vt apprehenditur cum fun alamento in re, qua de caufa non fallitur « Mcó Pafqual.difp.6o. (cc. 1. n.3. i ui finitione, alia eft phy » definiatur, yore ks rici toti ete e dendi » cum efie rei 3nfcrt difiinétioncm à parte rei adualem intcr eaquz diuer(as habenr huius gene. ris definitiones; fed talis diftin&io ft ef fentüalis,vnde comcidic cum ditiin&ione, reali naturarum; alia eft definitio meta. hyfica, et falfum cft;quz habent diuer as hinus generis definit; oncs,diftingui à paite rci aGtoalicer, quiaper bas non ex primitur obiettü si totum effe adzqua tum, «uod habet à parie rei, fed fccundü eli c obiectiuum metaphyücü, qp habet inintellectu ; hoc ala cile, vt fupijcitur definitioot, (cmjer fupponit alix juam di flin&Gioncmión.s,nam fupponitaliquam prac fionemytormilhitaces.n. Mera phyfi . €a perabitraéuoncan, et przcifioné co Aiteunmuar. Hac (oluuo magis caucé pro cedit,led quan uis;uod ait de di fimuo ne jhy(ica, tocü it verum,nó tamen om nino, vcuum cft, uod a de metayhytica, Quia quandu n aliqua tre j.hyiica plurcs actu continétur focu;aliarcs, quac süc ali quid cius peridcnctaté, tunc poicít affi 0 Logica. i. " Coruo ; vcrü tamen gnari defiaitio mctaphyfica iilascxpri mcns ada:quaté in fuo ordine, fic poilu mus exptimere adaquaté animalitaté in homine, et hoc vtique fiet per prcitio nem animalitatis à rationalitate, cü qua. identificatur im homine, fed talis przeci fio erit adequata; quando veró in re phy fica pluralitas formalitatum non eft, niíi virtaalis, et per zquiualétiam; tunc verü eft detinitioné metaphyticà illas nó ex primcre,nifi inadzquaté,& pracifionem eará abinuicé non cíIe,nifi inadmquatam, quianulla realitaseis correfpondet adz quaté manifcftabilis in fno ordine. 79. Altcra quoque folutio ad argumé tum de eontradiétorijs nulla eft ; quia à parte rei multa [contradictoria actu veri» ficantur nullo pror(us cogitante intelle Gu, vt v.g. quód homo ratione corporis conuenit cá rebus materialibus, tatione animz non conuenit, et plané hzc cóae nientia, et di(conuenientia eft formalis et in a&u, et nà fundamentalis tantü, vn de inre merito Caict. 1.p.q.3 9.art. 1. hà folutioné, dos falfam rcfcllit,quà  uis.n. contradictoria enuncientur tantu per intelle&ü, non inde íequitur corü ve irr semet ai pie pendere ud uin nulla propoffitio y quantumuis necearia., (fet formaliter vera citra opus intellectus, quia materiae lisilla connexio prdicati cum fubiedto etiam ab intclleétuconficitur; ficut ergo à parte rei verum eft a&tualiter ! eie ex corpore, et anima conflirutum, quia hz partes a&u. continentur. in ipfo y n contradictoria der sap vera de ipfo)quod per animá differt à rebus mae . ME sind i gi a differri fie Xx V pte et » et» uàd paricscít albusyti oci torma no inhaeret, nà (ubie&um cie tormali« ter tale eft habcre talem tormam, ita ve» rum crit formaliters.& actu, quód per al» bedinem eft fimilis Cygno, &ditlimilis quod. quadà re periuncur contradictoria, qua dc rebas actualiter verificari nó poflunt, [ed rantü. vircaaliter, et fündamétalitcr» vtpatet 1n. exer plo fuperius allato de Sole ; icd non itacttin olbus, lico cam Caict. Cit« cÓ. £4 5  ccdunt. LI 222 cedunt talij contradi&oria actu à parte rei vcrificari,v.gquód homo per anima. litatem formaliter, et a&u cóuenit cü afi no, et ncn conuenit perrationalitate, fed hinc aiunt non inferri diftinctionem for malem actualem interanimalitatem, et ratioralitatem, fcd tantum virtualé; haec n. fufficit ad tollédà contradictioné Sed ncque itia rcefpontio fatisfacit quia cauía in a&u, et ctlc&tusin au timulfunt, et  non funt 2,Phyf.& $ Met.fed caufa con tradi&ionis cit diftin&:o ; nam quzlibet cótradi&tio séper aliquà arguit diftin&tio né,crgo qfi cotradictio cft formalitcr,& a&tualitcc vera,arguere debet diftinctio né formalem aGualem;& non fufficit (o la virtualis,dc quo vidediíp.9.q.1 art.2. : $0 Atrcípondct Caiet.ibid.negando, €» fola a&tualis diftin&io fit cauía actua  Wis contr adi &ionis,nam ifle cffcétus po teft cííc à diftin&iooc, vt à cauía quafi vniuoca,& à virtualiter conunente di füin&ionem, qualis eft eminentia rei ; vt à cauía zquiuoca, itaque ifte effectus in actu habebit caufam in actu ;, non tamen neccílarió vninocam, nam ctiam fufficit zquiuoca nempé eminentia rei qua có tinet virtualiter diftin&tionem, bec cnim fola (ufficit ad tollendam cotradi&ioné, quiaoppofita enunciantur de cadem re emincnt nó quatenus vna, fed vt virtua liter n ultiplici. Contrà, emincntia rei nó tollit contradi&ionem a&iualé, ergo non ztquinalet diftinctioni actuali, vt inquit Caict. Probatur afTumpium,(ü quia con traditio aétvalis tollitur per multiplici tatcm rci et non virtualé tantü, alioquin de codem (ccundá idcm à parte tei aGtualitcr coniradictoria verificaren. tur ;tum quia cótradictio [rmper argui diflin&ioné intér ca. de quibus vcrifica uUir,& quidé ralem ; qualis »pla eit, vt di ximus, fi cil contradictio rationis, infert Íolü diftinCctionem rationis li rcalis rca IKé,ergo cotradi&tio actualis arguet actua leo; diftin&ionem,& non im virwalem. Omnino gi ur admittenda. efl diftin Gio ex natura tci formalis a&tualis, que fit minor rcal; actuali, et immior formali virtual X bac dithindtio, vt bene ait Bo necnon habuit ortum. in Scotia ncc in  Difput.I. "De Inftrimentis fciendi. .. Francia, (ed in Gracia apud Athenas ig Schola Arift. qui verbo; et (criptis cam docuit, vt benc probat Bonet.ibidem. Et ad banc diflinétionem dcbct redaci di NONE veríatur inter rea,& modü eihs intriníccum, vt inter eflentiam, et exiflcntiam, vc docct Tatar. cit, nam vt. fupra infinuauum eft, dantur tugdi rerum. vltimó cas determvnàtes in fuo cfle quis dam funt intrin(eciquia nimitnm intrine fece rem determinant, vt exiflétia cífen« tiaminfinitas Dcum ; finitas creatutam y Ime deicrminant res e trinfecé. folüs accidentaliter, et ideo dicuntur modi exttinfccisita fe habet feffioreípectu fe dents;figura refpe&u quantitaus&c.Sis cut auté 1(ti non appellantur in re&o res, et centia, quia feipfis exiftere nequeunt inrerum natura, led (emper cíie rebus a ffixi, ita modi intrinfcci proprie non dicuntur formalitates, quia. fcip(is concipi; (ed petüt concipi modificant, atquc ideo (icut dilin&o.  rei,& modi cius cxtrinieci ponebatur ftin&o rcalis licet quafi i dá tionc alterius extremi deficientis p nc rei, itain propofito difündtiorei,&    i dcbet. forma modi eius intrinícci poni bet exucmi deficientis à ratione fort : tis, et x denominattone à | po terit illa dici realis modalis, liac forma lis modalis, ne confundantur.comuni minc diftin&ionis modslis diftinttio à (uo modo extriníeco,& diftin&io ciuf« dem à fuo modo intrinfeco .  $1 Contra przdicta obijcitur.Primó, lis, licet quati imperfc&ta ratione alterius   diftintio tornsetis a&tualis tit fuper" ! ua, Tum quia nulla cft neceffitas cam ponendi, cáca omnia aqué bene faluen tur per folà diftin&i vi pter quz inuenta cft à Scotiftis difli &io formalis actualis, 1 fccundo, quia: Do&or ipfein 1.d.2.4.7. $. $ed bic ve fiat dittin&tionem formalem, q aftruit inter clientiá, et relationes originis, vo cat rtualem, et ait melius effc vci iita ncgatiua;quód inter efsé relauio ncs (ic nonidendtas formalis ex rei ; €x quo coiligicur ralem diftinài fotaralcgm sin Scotü non eic ooliiems, ^ n B  9 e L3 5 v5 "1 MEL ma . Kalis,quia.[prabct vi  füb di&tigétione ab altero concipiatur, et  fine illo represétetury& (ic ibi a&u rela uf V deDiflintlione frnalieAdit.H.   233 fed negatiuam, et proinde nó cile a&ua lem, (ed virtaalem, quibus verbis motus Hurtad.in Metaph. difp.6. fc&. 5. putat fic miter Scocü Y diftin&ioné ex natura rci formalé nullà intellexille diftin&tio ncm actualem,fed folü virtnalem, quod etiá cx noftris tenet Herrera 1. diíp. 14. .t.concl.2, T tertio, quia oé ens actu, aut cft reale;aut rationis, ergo oís diftin &io adbualis, aut e(t realis aut rationts, quia proprietas omnis (equizur couditio nem (ui fübic&i ergo non eit admitiéda " diftin&io media aG&ualis intcr diftin &ionem realem,& rationis, fed (ola vir tüalis, Tá quatto,quía vt arguit Ioan.de S. Thom.1.pLog.q.2. ar. 3. extrema per diftin&ioncm formalem non manent ita diftinda, quàd poffint fundare inter fe etam relationem diftinctionis, vt patct eios diuinis, quz Scotus ponit hoc modo diflingui, et tdmen inter vni y  et aliud nonv je Were fo la negario idéritatis, (cu connexionis for malisergo diftin&io formalis nó eft po DA T tiu: Ez tiua, in, is. üquin Eds tit ic im qa editt o for malis non tollit identitatem in ipfa enti cate rei fic enim efset realis, (c4 (olá idc titatem cóceptus, (cuformalis rationis, ^ ita vni oó fit decóct formali altc dug xe rius,ad hoc auté nó r ur diltincho actualis.(cd (afficit viretalis, et fundamé ndamétii; vt vnum ccat diftindio, vbt a&u cft ablata idéci  tas;cererü in re folü inueniturquod vnit non üit formale cóflitutiuum alcerius, at ue adc non habet connexionem cífen tialem cum alio mado formali, feucon ftitatiuo, licet habeat modo identico. ^82 Refp. ad t. negádo affumprü quia ditin&io virtualis non fufficit ad tollé dam cótradi&tronem ex natura rej. atua lem;quz dc eadem rc enunciari folet, vt quod anima per intellc&um operatut na turaliter,non per volütatem, Dcus per tu ftitiam punit,nó pet aufericordiam, ho mo peránimalitatem conuenit cum  afi no,non per rationalitatem& fic de alijs X Ad 3.DoG&or ibi docet diftin&ionem in. ter esentiam,& relationcsex natura ret repcrtam poíse vocati virtuilé,on rf id aíscrit cá pracifione, quafi fir viitualis tantum,ni poílea infrà ait, «citer tgi tur'dico omittendo illa verba de. diflin Gione rationis, e de diflinclione vir tuali quod in e[Jentia diuima ante atum. intellectus est entitas 4, CF eft cutitas B,Cr bec non eft formaliter i[[;& pau là (uperius dixerat quod effentia, 27 re latio babent aliqua i diflin ionem ion. cedentem omnem atium   intelletiue creati" increatiergo cum hac diftin« &io exnaturarei, de qua ibi loquitur Do&or,& ponit inter c(senuiá, et relatio ncs, przcedat (ecüdü ratione diftinctio nis omnem a€tum intellectus,non poccft e(se (ola virtualis,(cü rationis ratiocina tz;quiz hzc licet praecedat fecandü fun damentum, non tfi pczcedit sin rationé diftin&ionis ; vndé valdé decipitur Hut tad.vt bené notauit Pa(qual.g. difp. 60. fe&. 1. nu. 4. vbi maturius. in hoc póderat Scoti menté, quam fecerint Huctad. et . Hetrer.Hanc veró diftin&ionem ex na tura rci voluit ibi appellare nó idétitaté y quia cx comuni vfu loquendi przfertim tüc temporis diftin&io ex natuta rei pro vera di tinct;one reali vfurpari folebat y vt ibidé Doctor iníinuat vert. $ed num quid b&c dif inlio dicetur realis 2 et quia talis dittin&io nou importat vcr& relationem,vt ibi Tat.& Vigerius aduer tüc. Ad 3.hec d.ftin&io dic potefl realis actual's, et ensrcale conte ju:, (i amplé (amatur pro omni eo, quod ctt extra ni hil, tiué (zcundü fe, et immediate, fiu& quia per identiatem eft aliquid alterius, dsin fe, et in re&o cft extrà nihil, et c nà clt diftin&io media, (ed mcbrum di(tiactionis ex naturaret'in communi, vt cocradiítinguitur à diftin&ione rario nis,fi tá ensreale minus amplé (umatüry pro co.niinirum,quod cít ens,& res,vc à realitate, (cu aliquitate diftiaguitoe, et diftin&io rcalispro ea,que ver(atar intet duo taliter entia, (ic vtique dillinctio rea. lis dici non potett, (ed media inter realé, et rationis, minor illa, et maior (ta. Ad 4. Vallonp.1.formalit.art.2.1n finccog y £ 4 cdit 214 cedic diftin&ionem formalem ex natura tei pra(cfcrre in re relatioaem poficiaam. attualem fed hoc ett fal (am quia vt da cet Dot. r. d. 3 1. celacio realis ver(atur intet extrema realia,& realiter di(tin&a: nó ergo diítin&io formalis cenfendacft a&ualis rationc relationis formaliter im» portate per diftiactionem, (ed folü mate tialiter rarione extremorum, quz (ic à parte rei diftin&a ità Inbenc in cade re proprii c(se actuale extra nihil, vt efsc formale vnius non fit e(se formale ale rius,irà Baísol.2.d.22.9.4.art. 2. Tatar. et Vig.cit.& fequitur Vulpes loc.citAd f.negacur minor, quádo defiaitio expli Da Feendiedté cóceptu ada juaco, imo fiia virtute huius diltinctionis in reinue nitur,quod vad nó habeat cónexioné cf sétiale cá alio modo formili, (ed tantum idético, vt fatetur hic Au&or ; ià manife fté cóccdit hác dittin&ioné c(fe actualé, quia aualiter vaum noa hibzt ia rc connexionem cum alio mo 1o formli $5 Secüdo obijcitar cü Pafqualig.cit, quod hac diftin&io formis coincidat cum rcali,(i ponatur a&ualis, ante opus intelle&us; T'ü quia q iod e(t exrra aliud à partc rei, eft «cra illud fecundá illud effe, quod natum cít e(Te à parte rci, fed folum efe entitatiaam phy icum natam eít efTe à parte rci, itaat formalitates nó fint aptz ad c(fendü à partc rei,ni(i prout funt in entitaribus phy (icis, ergo (i huiuf modi formalitates effent intec (e. dittin &z, itauc vna effer extra alii à parte rei, iam deberent e(fe tot entitates, cum dc beat gna c(fe extca aliam fecuadam eí fe, cp aptum c(teffe à parte cei, Tà 2.ex treina huius dittin&ionis iaaoluüt ratio  né entis, itavt in vnajuaque fic propria ratio entis, quia huia(modi focmalitates veré (unt aliquid politiuü, ergo ii di(tia guuntur ante opus intellectus. a&aali tcr, diftinguuntur tàqud eatitates adtua les extca nihil, atque idcó realiter, Cófe quentia probatur,quía quotie(cü jue ali. qua non commuatcancin eife, quod hi a parte reidilbiaguütur («cundd il lud eí$e,quod haben à pacte rci, caaicr mp wan re$ hibet à parte tci, (ic e( (c phy icumyaecatítatiium, iam cacicaci Dif.I. De Inflrumentis fciendl uo modo diftinguentür, et confequentec reali diftia&ione. Tum ; definitio ex licat cfentiam rei,ergo (i illa cenfentur cw qirhu diftin&a, quz habent diuer(as. definitiones, habebunt ctiam eíTenrias di uerías,ac etià. confequeriterexiftentias g quia quamlibct cfeaciá fequitur propria. exiftentia, atque ita eranc veré realiter . ditin&. Tum 4.contradi&io actualis de ali]uibus iafert di(kin&ionem realem. intet €a, quia de eadé re ncqucuat'adtu à parte tei coatradi&ocia vecificari., erga cam di(tin&io formalis a&aalis ex actaa: liconcadi&ione ex nacura rei colligas,íignum eít coincidere cam reali; Nec valer dicece, ad verificaadam. concradi &ionem de eadem rec fufficere, 6 ia eaa plures reperiantur. Éocnilitates ex natite rateidilio&z . Qua ira dicendo nuns quam ex coarradictioue di(tindbioneat realem colitgere poi[2mus, quia diceres tur (afficere difin&tioncm fotmalem in tec aliqua, vt de ipfis coatradictora ve»  ri&cécur. Demü ex Acriag. difp. gs (eG Ee cum Hurt. cit. e(fe aliquid à patte. reiame te actum intelle&us cft effe qui hzc .n.e(t defiaitio entis realis)fed difti &io formalis eft à parterei, ergo. 84. Re(p.ad 1.aliquid efe polle à pare te rci, et excra nihil duplicite, vel tone (ai, et iutedto,telino iuo, Krarone alterias, caias &(t aliquid pec i priino modo (unt extra nihil res phy fica» fecundo modo formalitates metaphyfi« cz; conceffa igitur majori, dicitucad mi« norem, quod vtique folum effe entitatt uum phyücum natum eft effe à pacte rei primo modo, at fecundo modo etiá for malítates mecaphyüicz: nac (unc elfe à parte rei, prarferrimillg,qux (unt predi» cimentales, et veram faciunt tioné metaphyficam à patterci, et inde. negatur Con(eq. vt enim effent tot enti» tates, deberet vna cffeexcra. aliam primo modo. Ad az. c(toquzdam formalitates  mcetaphy icz includant formaliter ratio nem catis tranfcendentis, adhuc tamen; proprie, € abfolacé noa dicuatur eatia, aut entícaces; fed gcadas entis, et aliqui tates, quía juxta comaunem 1o ueni modii per eas extra nihil intelligitur res y Quas, d " 1 1 quz eft terminus canfalitaris phy fica iux à. (uperius dicta, vnde in hoc fcníu nc T formelitates metaphy(icz: dici "dofoluté entia, quia nom funcextra nihil catione fui,& in re&to, fed in obliquo tà aum, ratione Jf, illius, cuius fünt aliquid .per identitatem; et ad probat. conícq... pegandum eft, effe rerum (t folum eic phy licam, X entitauaum, quia etià à parte. tei poffidcnt effe Mctaphyficum urius, et neri Por aee à conditiopi us materialibus, licet non ab co realiter diflin&um ;vnde in homine à parte rci non folum datur materia, et forma, fcd etiam animalitas,'& rationalitas. Ad 5. definitio proprie di&a, vt conftat ex ge nere, et differentia,vtique non conuenit, ni(i rebus propriam e(lentiá, et exiften : tiam habentibus, vnde quz habcat diuct . fas definitiones in hoc (en(u;veré dittin guuntur realiter diftin&ione reali natu  rarum,fed fi definitio magis amplé (uma |. tüspro conceptu quidditatiuo explican.  a«we propriam ali uius conceptibilitatem y 21 | Qualifcumque fit,in hoc fcnfu etiam for mnlitates poterunt definiri, et ca dictur /  formaliter diftingui, qua habent in hoc fen(u diuecías definitiones,.i. conceptus. T. obie&iuos;& tunc negatur confeq. quia Aes  definitio in hoc fenfu nO«x?rimit cílen UR tiam rei propt; dictam quz. (.cóftat ex ^ "gencre,& differentia, et datur 1n otdine  ad exifteatiam, (cd propriam cóceptibi 3 Jitatem; qualifcüue cadit. Ad 4.ncgatur formalis cx n2tura rci fufficit ad enücia . dacontradi&otia cum veritate de cadem rc, fic de fabicéto, et paffioneob talem dittin&:onem vetificantur contradicto ria actu à parte rei,& (alsü eft hac rone p :cludi vià cócludédi cx conrradi&tione ex (  amuara rci diftin&ione rcalcmsvt.n.notat ' JBonet.c. de dift. ex natura rei licet oía .«ontrad.Cloria auc. repugnent quoad .&eritatem.n codcm rcfpc&u eiufdem, quoad d ftinctionem irfcrédà non axqué rcpngnantnam qna d«m inferunt dift in Giopcm realem, que dam formalem tan tum;fünt.n.aliqua przdicata, quz com p ec poma cxidtéti,ficut  alfumptum,quia interdà (ola diftin&io .  adii Suef. V. de Diflintlione formali. eArtIT.   225 exiflere,& nom cxiftere,& contradicto riadetalibus pra dicatis concludunt di ftm&ionem realem;cuius raujo cft, quia talia predicata,quibas iníunt, infunt ra tionctei, et nonratione realitatis 1n ea indlu(z(unc criá alia pre dicata,quz pro . ximé compctunc rcalitati et rei noh có peeunt, ni&i ratione illius realitatis in ea inclufz,vt vclie& intelligere inanima 5 pam intelligit pcr intellcétü, et vult. pec voluntatem, et talia contradi&toria non concludunt: diftin&ionem realem illo. rum,quibus applicantur, fcd cantum for iualé ex natura cei. Ad. talis diftin&tioy vt (epe dictum eft, poteft dici ccalis, vt cns reale diftinguitur ab ente rationis. $$ Tertio obijitar,g) bec diftin&tio non (it rc&é adignata, neque quantü ad qu;d nominis,neque quantü ad quid rci, Non primo quantum ad. quid nominis, quia nomen di(tin&ionisformalis cft no valdé zquiuocum, et accommodari ràm diftin&ioni rcali quàm ratio nis, quatenus diftin&a realiter c(Tentia liter habt diuerfas e(fentias, et vnitates formales, et diftiréta ratione (ecernütur rariones formales ; et przecifas ab in telle&u, Neq.quantum ad quidrei,quia Scotus 1.d.2.9.7. $.cit. illam vocat rden titatem formalem, vbi illud, 9 dicitur fic idé includit iliud, di fic eft idem, in Jua ratione formali, € per cofequés per fe primo modo., cx quo Mauric. Sitc&, Vallon. et alij formaliftz deducunt ipfe  rius cífe idcm focmaliter fuo (upcriori » quia illud iacludit in fua cationc formali, nó é cütra;crgo ex oppofitopet Scoti il la erit di flin&io formalis, per quà illud's quod lic diflicguitur,nó includit aliud in pnmo modo dicendi per (c; non vc: il  [ayqua cft iniec duas formalitatcs)quarü vna pracise, et adzquaté non eft alia. 86 R«fp.ad 1.ex Scot. 4d. 1.q.2 (igi ficata nomind probati non polKc, fed ttá» dum cíic communi víui loqucnuüum;cuam igitucnlla;que funt rcs diuer(e, et dincr fas habeot ctlentias, fccondum cóinunem ylum logncntium dicantor realaec, X ct fentialitcr diftipguis quz vctó tani: jer intelle&um, dicantur dillingui rauione ; plané yclie bis difnctionibus applicare nomcá 116 nomé dittin&ionis formalis cft velle vo cabulis abuti, nam vt tcitatuc Ioan.de S. Thom.cit.:. 2. att. 3. concl. 1. (ecuadum c6emlo juendi. modam vocamus idend taté formalem illam, quz proprio, et for mali cóceptu exprimitur,(eü quo (ocma lier aliquid conttituituc, vadé dicunruc differre formaliter, quz ditfecuar defiai tione,(cu ratione propria;identica.é ma terialcm, fcu in fenfu idencico vocamus, quando aliqua funt idem ia ipfa catitate pbyfica,nó aüt in ip(a ratioae,qua: per fe primó fignificatur . Ad 2. diceadü apud Scotum, et formalé identitate, et di (Lin &ionem fotmalem cribus pee(crtim mo dis v(urpati folere, primo in co (en(u, vt aliquid dicatur £ocmalitec idem alicui, cü illud includit 1n (ua ratione formali,& lic inferius eft idé formalitec (uo fuperiori, vndé é contra illu crit formaliter dittin €um ab alio,quando illud non includit in fua ratione formali, et in hoc fen(u ( qui tfi e(t minus (cequens, et proprius) loca tus e(t Do&or de idétitate, et diltinctio nc formali 1. d.2, q. 7. H h. Alio modo magis proprio aliquid dicirur formalirer idem alicui, cà eit de rone formali illius, uo fenfu (aperius eft idé formaliter in feriori, et é contrà illud non elt idé for maliter alicui, quod non pertinet ad ra tionemeius formlem;quo fenfu de idca citate, et diftinctione formali locatas e(t Do&tor ia 4.d 12. q. t. &coiacidit cum identitate, et dittinctioae elfntiali, de ia loquitur Doctor quol.r. D.& nos in hyf. difp. $«q1 3 act. t.cocl.4. Aliusde mum fea(us magis ftequeas, et proprius dittin&ion:s formlis cft, quando ratio obiectiua vnius/formalítatis cit alia à ra tionc obiectiua alterius, quo (caía fupe rius, et infcrius funt formaliter ex nacu ra rci diftincta, quia ratio hamaniratisa: eft à ratioac anim litatis, quia aliquid addit faper illdm, et tic de dittinctione formali lo4uitur Doctor r.d.8.q 4. cum ait diuina acccibuta abinaicem formaliter diftingui, juiaratio bont:aus nó eft ra tio (apienuz, et fic iuxta hanc (ensü iden titas alis eft ilia4qua plures cóaes fo lu n per incellec:um d.ttincte cóicant in cadcm conceptibüitate, et rac obica«  D ifput.I.. De inflrumentis [ciendi . us; et itá (e hibencsm Scoti generatiai. tas, genzratio, et paternitas in eadem re latioae có ticaciua primae. perfonz in Ji uin:s quol.4. et de identitate focmali in hoc (eníu loquitac ia 2.d.1.3. $$. 44. qu.flionem 1(Lamyw i circa fiaem ait re. lationem nó eife eandem formaliter futt daméto, quia per fc ratio re(pectus nó in clud:« formaliter rónem ab(oluti, nec ab folucü per (c includit fotmalé rationem teípecus, quibus verbis infingat, vt notas uit Mcucifs.identitatem formalem nó efz fc folum inclufioncm alicuius. gr perioris,(ed incluljonem mutua qua plu tes rónes folü per. intelleccü di(tinctae im cadem róae obiectiua cóucniunt; at; ità ce(Tat inutilis contentio hucufq; ràm acti ter agitata apud noítros Formalitt vcluti prorfus inanem bené (pernit P. ber cit. c.8. quem fequitur Mcuriffe, ve rus .n. et proprius modus identitatis, diítinctionis formalis eft hic vltimus fi omnis identitatis fundamentáü cft tas, et diftinctionis pluralitas, f. quod Amer vnam et candemformae  habent, (int formaliter Tyquz  vetó alia,& alià, fint formaliter diuerfa Diflintio rationis elucidatur .  87 I(tinctio rationis e(t, quz non D ineít rebus, ifti in  eaciaen t noe duplex e(t, V. : ibus noftris, et c 035 ps non hibet fundamentum in xe ipfas i dA  jeerp eer i ^ tis, et fin quando ei, à parte ! vnam,& idem rcaliter,& formalitetsaf finguntur diuecíz relationes rationis. di uertimodé illud concipiendo, itaut tota diueritas fit ex parce modi concipiendi non cx parte ronis conceptibilir, et i dicitur diftinctio rationis ratiocinantis, quia nimirum folum ex, ipfo intelligen tc, feu ratiocinantc orig;naturtalis cít v. ieri yz eid intet Pera parte fübiecti,& (cipfüm à parte cati in propofitione identica, Pide eft Petrus,& vaiueríaliter contingit, cü uecío modo concipitur idé omnino obie G&umy;(iue diuecfó modo GENDER homo hominis, fiuc ctiam logicé, vc ho mo, ; "dte TWO "€ "  E» ' h D Qua]... de Diftintlione vationis.c/frt 11. mo, et humanitas, ctcnim abítractum a liter concipitur à concreto, cum illud có  €ipiatur per modum naturz pracisé, hoc veró per modü (ubfiflentis, ita Scor. 1.d. 2.0.7.8. cit: et d. 8.q. 4.$. 4d qu«flio nem . Altera diftinctio rationis eft, qua habet fundamentum in re ip(a,qua diftn guitur, et dicitur diftinctio rationis ra tiocinatadici'ur rartonts, quia formali ter, et actu non eft in rebus, fed fit, et actuatur per rationé; dicitur veró ratio nis rauiocinatz, quia cft quati inchoata à parte rci;& fi complementum ab intclle €tu recipiat, quatenus rescirca quá verfa tur ratio,fcu rotellectus, przbet occafio tiem,feu fundamentum talis diftincuonis ptet cmincntiam fuz narurz, de qua ancellectus format conceptus inadzqua. .. t05,.i.quibus nO exprimitur totum id, gp eft inre, nam licet finguli attingant ali | m. jn cil in re,nullus tamen feortim imptus adz quát totam naturam, et ra ina onem ebeciuam rei; fic Thami(te di t in Dco omnia attributa,fapic tiam, mifericordiam,iuftitiam, &c.quia intellectus nó. poteft ob fuam iem vnico conceptu ad aqua ^re toram diuinam Ratüram ob eius infini tam perfectionem, cam concepribiliter VÀ ex ordine quodá ad diucríos cf [S jquos poteft producere; vcl per ha bitudinem quádam ad virtutes, vel atri buta, quz in homine videmus abinuicé realiter ditincta,hoc etiam gencre diftin ctionis diflingnunt Thom;tlaz in creatis DEbstteerky con Luar diceta füpe riora, et infcriora,vt efie animal, eflc vi vens,c (7e rationale in hominc, nam con €cptibiliter partiuntur. candem humani satcm ex ordine ad diueríos effectus yc getandi,fcntiendi, et intelligendi, quos poteft [c (ola producere ob fuam emiré tiam;licet hzc oinnia nos Scotifta pona mus formaliter ex natura rei diftincta, vt fuo loco probabitur. ^. 88 Hinc otta cft contentio de funda mento huius diftmctuonis ratiocinatz,an femper debeat intrinfecé reperiri in obie cioynimirom quód aliquam habeat emi ncutiàm viicntem diuerías perfectiones, feu for quod vocatur virtüalis 2127 diftinctio, quia eadem forma virtute fa cit folaquicquid facerent diuería';an po tins fola extrinfeca connotata abíque in trinfcco fandaméto diftinctionis in obie cto fufficiantad corftitucndam nterali qua d.ftinctionem ratiocinatá quatenus intellectus ex iilis motus fuppefita fua impcrfectione candem omnino rem, in qua nulla cft actualis, aut virtualis diftin ctio intriníeca;concipit plaribus cócepti bus inadz quatis cam diuidendo in plures  rauoncs conceptas ; Hanc fecundam Ícn tentiam citat, et (ecuitar vt communem Paíqualig.difp.57.(ec.2 .quod tenuit Vaf? quez i.p.difp. 117.C.3.& Torreion trac. 2.d;fput. 1.q. 1. Verütmagis placet prior dicendi niodus, quód fola cxtrinfeca có notata non fo fficiant abfque fundaméto intrinfcco diflinction:s in obiecto ad có ftituédam diflincuoncm rationis ratio cinatz, [cd fo]à conflituant diftinctioné rationis ratiocinantis, et ita vidctur fen fite Scotus loc. cit. dum docuit concre tuim,& abflractum non differre, nifi ra uonc ratiocinante,nimirum penes diuer fum modum concipiendi idem formale obiectum;,certum aurem eft concretum et abftractum non differre, nifi per con notatüm extrinfecum,nimirti fobieccum; qucd connotawr à forma incócreto sü pra,nó in abflracto.Et plané id conuincit maurfelta ratiosquia vel in ipfo obiecto; quod diftinguitur,e ft aliqua proportio ; Ícu fundamentum, vt ad inftàr connota torü extrinfecorum realiter. diftinctorü concipiatur,vel non)fi primum;ergo pre «cdit fundamétü inrinfecum diftinctio nis inobiccto,& ia vota ratio diftipga£  di nop fumitur ex parte conpotatorum  exu infecorum;fi (ccundum,cum fne yl llo fundamento ex parie rei ipbus, quam diftinguimus, cam concipiamus inordi ne ad ca,qüg fuut diflincta, fequitur nos cam a4 libitum noflrum, et fine funda mento d.ftinguerequod eft facere diftin cuenca rauonis ratiocinátis, ficut fiidé à (cipfo diftinguas concipicado ip ordi ne ad rcs d:uci (a5; et hac ratione Ioan. dc S.'Thom.q.2. art. 3. tenet. hume dicendi modü iuxta qué diflinctio rationis rat;c  cinata prorfus coincidit cum diftincuone. ' ex  218 ex natura rei virtuali (apcrius cx plicata, quia femper petit fundamentum ipitinfe cum diftincüonis ia obiecto 5 pam iuxta altcrum d;ccndi modum nó omninó co incideret quia pofferalT gnati diftinctio rationis ratiocinatz in ob/ccio, in quo nulla preccecret virtalis difisctiosex fo lo ordinc ad diuerfa cónotata excrinfcca, 89 Fundamentum igkurs €» requirit diflinctio rationis rasiocipatz ex parte obiccti, efl virwalisaliqua diflinctioyfeu eminentia sci, qua vnica exiftens plures zationcs(cu perfectiones continet in ali. quo c(ic; et ratio cft,quia res aliqua quá tó fuper:or eft,& emipentior;plurcs per fectiones vnit quàm inferior, vnde in (u perioribus fimpliciori modo inucniuntur pcrfcctiones,q in inferioribusvbi sót di. uer(z res, ac entitatcs, fi in re fuperiori adunentur, et contineatur fecüdum fuas proprias vniufcuiofq; rationcs formales, 4n ca re füperiori erüt realiter ide ac enti tatiué, (ed quia in ea continentur fecundis Pei formalitates,remancbunt adhuc rmalitcr actu ex natura rci diftincta, fed fi contineantur tantum virtualiter in €a,& eminenter, vt virtus calcfactipa, et de(iccatiua in Sole,& fecundum multos fenlitina, et vegetatiua in rationali, tunc intcr eas virtutes, et ioncs nulla erit à parte rci actualis diflinctio,nec rea lisnec formalis, quia in ea non extát, nec fccundü proprias entitates, nec formali. tatcs;fcd tant& aderit fundamentum cogi tandi illas actu diftinctas;vndé intellectus manifeftando illas pluribus conceptibus, banc attingédo vno coaceptu,& aliam a lio,diftinguit illas in c(e obiecti, cum ta» mé in cfTc rei j& realitatis diftincta non finbfed vnum ; itaq; fandamentum huius diftinctionis confiflit in eminentia ; feu vnitate rci virtualiter continente plurcs rationes. (imul.cum intellectu inadzqua té attingcnte illam, et fic pluribusconce, pubus diuidente, et abfirahente vnà ra zionemab alia ; vnde ex partc intellcctus requiritur etiam ad. banc diftinctionem «onititaendam in;perfecrus modus inrcl ligendi, itaut non vnico act, fed pluri bus attingat totam rei cminentiam, et . fingulis inadequate . TAUM ; PAM i Difput. I. De Tnfirumemis [indio  In oppofitü obijeiunt r, Vafquezcit2  3 Suarez in Met.difj.7.íe&. 1.quos(equie  tur ipid e eee, quod diftinétiorationisratiocimanus nà fit proprié diflinctio, fed potiuscinídem  formalis conceptus repetitio circa idem. i emnino obic&um, vt cüin propofitione identica dicimus,quod Petrus e ED hic nulla pnm diftincuo Pod: fcipfo per intelle&um;immo potius € coe  ed ier Mite pra dicaionem intelle&us concipit Petrum cü ipto PM ergo hzccft potiusciu(dem nominis, vc conceptus repctitio,non diftinétio.Si di. cas, coipío quod intclle&us identificat sedlitet Se fosckaltn Dau cüícpfo inilla cnunciatione, difüinguere u à (cipfo ratione, quatenuscundemPettü quafi duplicar, femel ipfumaccipiendo à;   partc fubicéti, et iterum à pecu cati . Contrà, inquiunt; quia id folü pro« bat cadere diftinétioncm inter coc : ipfos formales, quibus Petrumincadems   propofitionc fubijcimus,& predica aut interi pfas (ecundas int nes dicati,& fübic&i, quas eidem buimus, nonautem inter Petrumy& fe»  ipfam, quia diftinctio non bay is VES trofcd (üperexeinfeca Petro, füper Pes  trum aucem cadit lolum repetitio wr dT 9o Hcípond. negando diftin it s rationisratiocinanus effe folam eiuídem  conceprtustepctitionem, repetitio.m.prOe  prié cit, cum idem obic&tum,& codem 4 modo femel,atqy iterum concipimus ; &&, vríidicatur Petrusaq; it^   rum Petrus, tertio denique Petrus at in   diftin&ione rationisidem vuq; obic&tü, concipimus, fedInon codem modo,quia dicendo Pctrus eft Pctrus ; primó conci pitur,yt (ubicé&um, deindé vt pra dicat, vndé non folum pluries concipitur Pee.  trus,ícd etiam vt plurcs,qnia. intentiona liter gcminatur, vt fubftar diuerfis iptens tionibus fobic&i,& prz dicati hinc vc in» telle&us faciat in obie&o diftinctionem rationis. ratiocinantis, opus eft ; vc i comparct ad (cipíam, vel rcfpectumape prehendat in ipfo obie&to,. quo Pa ua iplum, quati duo,non quidem (ecundum, diuerías rationes. in ipfo obiecto intrits E ÍcCas a. fa | mé rationis ratiocinata y feca$, et ex parte cius fundatas, (cd «x ifta coparatione extrinfeca relultantes. Adreplicá cótra hoc in argumento alla tam dicimus, diflin&tionem, quz fit pec actam collatiuum,non cadere fupra con ceptus formales,quia cunc effet di(tinctio rcalis,non rationis, nec propric fupra [e cundas intentiones ipías, fed (upra rCip (am cóccptam, quatenus haber effe obic étiuum in intelle&u, itavt proprié idem dicatur à feipfo di(Lingui, non (ecandum eflc reale,fed obiectiuü, et intentionalc, quia idem proríus obiectum à parte rei zcaliter& formaliter,dum intellectus fa cit propofitionem idéricam, ipfum quafi eminat intentionaliter; ità Tromb.trac. rmal.att, 2.8, Pro intelligentia prim concl. ybi docet, quod diftin&tio rationis ratiocinantis fundatur fupcr pluralitatem elTe cbic&iui, et cogniti, quod intelle  &us per a&& cóllatiuum deriuat in idcm obic&tum reale; et é contra, quod identi tastatiónis fundator fuper vnitaté eiuí(dé )" eltfc [4 M ogniti, quando nimirum obic&ua non fübttat pluribus fccundis intentio nibus, fed vni tantum namque ità cófi deratum vt vni ; et eidem fübítat (ecun da intcntioni, dicitür cilc KENTGOMR cuc (cipfo,fequitary& fuse declarat Pa(^ quali difp. $ fedt.2.. Aicy TP pd arguitur cotra di(lip&ios d pen detur velati membrü à diftinctiene formali. cx natura rci condiílinétum ; Tü quia 5co tus nullibi hanc difljnctionem affignauit veluti condiflin&ià à diflinctionc cx na rurà rciy et idcó omncs Scotifiz tüm ye tercs tüm Recétorcs femper tenucrunt hancdittin&ionem: rationis rauioci nata, fai vtipli aiunt y ratiqnis zatiocinobilis, com diftinétione cx nauira rci. prorfus coincidzrc; vt videre etl apud I orgialift. art,2; et omnem diflinctionem rationis concladi docent intra genus illius ditin &ionis, quz fit per actum colla iuum, et pro hac fentenua citàuc ab omnibus Au Goribus,vndc prorlus noui videtur hang  2 : Quafi V. de Diftinclione rationis, efrt.I,   229 Thomi(lz cà admittunt propter diuina attributa, et gradus metaphyficos,hec.n. omnia inter (e faciunt diflincta cali geae re diftin&ioniscüi igitur Scot: Ga hec fa ciant actu formalitct diflinGa, (ané co» . Íchola hoc genere di linctionis noa iudiget . Tü deaum diltin&io rationis ratiocinatz de illa tanti re pót haberi, de qua intcllcétus venari poteft multos coa ceptus, fed nullü obie&um potcft pluces de (e conceptus caufarc in intcl'cétu, nifi in ipfo fit aliqua dittioctio plurium for malitatü ex natura rci przccdeos omne a&ü intclieGtus, ergo di(tin&io rationis ratiocinatz coincidit omninó cum difti &ione formali cx natura rci, Probatur minor, quia vnü obie&um naturaliter a gens ad cius iatellc&:onem/nó caufat nili vnicum cóceprum, quia cü agat fccundü vltimáü virtutis fvg, caufat o&m cóceptrü quem [Or caufare, ergo fi cfl vnicum, tà realiter,quá formaliter, vnicum tm cau» fabitde (e conceptum. Nec rcípondere juuat vnicum tantü caufare cóceptü ada quatum ; fed plurescaufare pole inadz quatos in iniellc&u przfertim imperfc&e 16 cócipiente, INO valersquia vna res vnit tàtum nata cfl de (e caufare conceptü, &c hunc afaquarum, quia alàs nó efle: vnü cognolcibile,nec vn:co a&tu cognofcibi le, et iflum coceptam formádo immutat intelicétum., quatum rot, ergo non for mabit intcllectus de. rali obic&o aliü, et alium cóceprm; nifi per actü collatiuü intcllcctos, ità arguit Tromb. loc.cit. 921 Lclp.ad. 1. Do&orcim con (cac meminitic huiv$ diftincrionis, et cà admi lifie, vcluti mébrumà diftinctionc forma li ex nauta rci codiflinctum, vt mirll fit » re $cotille tam vnanimiter oppo fitum doceác;cam igitur in primis admit iit 1 d.2.0«7$. faeit. füb nouine di flincuopis virtuali (upcris cxp'icata;dc inde in codem 1.d.8.q.4. $. 4 d qu«ffto Veni at intcr. diuina attributa ziom cff tanti diffcventia rationts, boc efl duer [edo concipiendi idem obiciis ortalestalis enm difliutio cfl mter fa piense fapiensiam nec eft ibi tantu di flin&io pri ie y; ininiclle Guyquiao t argutüi efl prius, iila "iet s ej efl in cognitione intuitiua, efl ergo ibi diflin&io teitia precedens intelte&um omni modo, vbi,vt patet;per prim gra» dà diftincrionis rationis intelligit diftin tionem rations ratiocinátis, per sr in telligit di (Linctionem rationis ratiocina tz,quz quando actualiter fit ab inrelle ctucx cócepribus intellectus refultác di ueri conceptus obie&iui non in effe rei, fed ín etie obiecti, et reprzsécati,& idcó ait cíTe diftin&tionem obicctorum for malium in intelle&u; et quidem cciá hoc modo ab ipfis Thomi(lis explieatuc 5 per terriü tàdé gradi inrelligit diftin&ioné fotmalé a&ualé ex natura rci; et quol. 1. ar.2. duplicé a(fi gnat dittinctionem ra tionis, vnam meré cau(atam per a&á in tellectus,& haec e(t rationis catiocinátis, altera:n fumptam, feu occafionatam ex parte cei, et hzc e(t ration's raciocinatz ex quibus patet Do&orem veré agnouif fc diftin&ionem rationis ratiocinata, vt genus condilt;in&tum à dittinctione ex natura rci a&ualijatquc ita (encic P. Vul pes to. 1 d.6.ar.7.& loco tio art.cit, ac omnces illi Scotifte, qui doceat gradus tranícendentes nà przfeferce real tates ; fcd conceptus;nidaquatos ; mém ni éc hu:us duplicis d ttnótivnis cauonis Do« é&or 1.d.8. q. 4. . Ifla tamen pofitio » vt 1bi Bargiusaducctit. | 93 Ad a.negatür adumptum, quáuis n.Scotiflz, nec propter du ni acttibu ta,nec ob gradusmetáphylicos przdica métalcs hoc genere d ittin&tionss egeant; quia hzc oninia apud Scotum func abin u:cé cx natura ret fortimaltéc actifal ver d ftincta,illotü ind;gét ob. d; (tnctione ponendaminter. praedicata? quidd;tatiua Dei, et gra dusomn. s tran[ccderites jg  enim illa non inter (& differant, et ab. e( fcntiatantum dillinctione ration $,& cx alia parte maiori diit in& one ex natura tei ab efentia dittinguancutt attributa, quá pradicata qnidd. tatiua, vt fpiritus, i& vita intelleétaalis, vc docet Doct, quol. 1. fub lit. L. plan? fc ju:tur, quod cü attributa dift: nguantar à ctualitec ex ntu Ta rci, przdicat«quidd:citiua dift nauá  tur tantum virtualitec, feu rat?one cacio cinata,vt declarat Valpes cit. difp ait. I  Difput. I. De Inftrumentis féiendi .Et cum gradus metaphy(ici tranfcens  dentes non dicant realitates, fed folum   conceptusinadequatosvtScotifte me.   lioris notz doceat,st fiolocoin Meta»     phy.dicemus, confequenseft,vt cum pto.  corum di(tin&ione non füfficiat fola ta  tionis ratiocinantis diftindtio,& exalia  parte dittin&ionem ex natura ret actua" lem fundare nequeant ;, qu;a non dicunt realitates, quód diítin&ione virtuali » feu rationis ratiocinatz. diftingui de beant; vnde ex hoc duplici capite oritur.  ind:gétia huius diftin&ionis in fübtiliü Schola;que plané (uppleti nequit per di ftinctionem ex natura tei actualem » vt proprijslocis declarabitur. Ad s.argumétü Trombet; proba tantüm vajus rci generari nom pol[fs ii intellectu,m(i vnum conceptum adzq cum; ti illum immutet quantum pote et pet propriam (peciem,at extra b cum tancias n:| impedir quin eiufd plicis obiecti plurcs habeantur cóceptus imadeq iati per actum peeciliaum,X nà. collatiutim, quatenus inadaquaté ol ctum intelligeadovnim ratiade fcind't ab al'a,vade aecc(fitas: fo lianc diftinctionem ration;$ proue limitatione; et imgerfe&tione nof telic&us qui vcl vaico conceptu tc naturá ice ey cce 3 tiam,vel in intelligédo cozitucvttal: fpeciebus, quz cü noa reprzsétent totis.  obiedtü adz juaté, debet plaribus vti, vt réadequaréintellgar,e& quo fit &, quod    per plures concejxus cam intelligit '&&   plutes ratioucs obie&iuas in ea diffin guat,quas alioquin nó ditbingaeret, fir&   per propriam f(peciéavc en tu A  9j Exdi&isiahocamiculocócluditug  fcotem illa Formaliitarum generadiftim   Ctionun ac identiraum,quafcinuicem   inferrent, e(« prorfüstuperuacanca    abinuicemtondiftiacti,nam dilodio  ex natura rci non eft manbrum códiitim Gumnàdittin&ioncformili,'vtbené pro.  bit P.Fabet'dit.c.o. nam &iüliacenfentur : €X natura cei difti quimbas.fecinfo   opcre cito qeadicico pta te contradi&oria vecidieali cadeu A €x nacura MbuMNORUD  | Dü:  m^ om 3 p de Diflinélicne vaticuis .Od.IL   231 (Que. sificari non poffent, plané ex hoc mani fcíté deducitur bec non efle diuerfa di flin&ionum g«nera, cuia de illis tapium verificari poflunt a parte rei aliqua. cop tradictoria pradicata, qua habcnt diucr fasformalitates,& concepub:litates,nam .qüz in eadcm concepubilitste, et raco nc formali conucpiunt, contradicioria cx patura rei non patiuntur, et quióem D o &or nunquam diftinxit: inter diftinctio ncm cx natura rei, à formalem,vt. con fict ex his,que habet 1.d.2.4.7.& d.8.q. 4.& d.13.q.vn.& alibi fepé ; cxcn plum vcró, quod adducunt ad banc diflir.Gio ex natura rej declarandà de dcfini tionc,& definito, nihil (acc (Dt negouij ', €onftat.n.ex dictis fupra q.4.ort. 2. quo feníu definitio,.& definitem díci queant exe ex naturarci.Diftinétio e('entia lisqucquerócotifüituit genus peculiare  diftinétionis CodilimGm eb alijs; quia :apud Fortnaliflas dnas habetacce; tiones  Jhze difinét:o;nam in vno feníu illa dicü tür cfientialiter diftinGa,qua habent di.  ucrías effentias, et é conira illá dicuntur tisqes cadcm e[Tentía communi cát; in alio fen(u illa dicütur efientialiter diflingui, quorum vnum nó eft. de c(fen tia alterius,nec eius.cóce formalem ingreditur, et é centra illud dicitar idem eficntialiter alteri.q» conftituit eiuscísé tiá, et eiusconceprü formalem ingredi. tur, aret autem,quod identitas, et diftin &io cficnualis in ptimo f; niu. coincidit um diflirétione rcali, nam quacumque babcnt diucifas cffentias funt etiam di ueríz rcs ; inaltero autem fcnfn acccpta «oincidit cum identitate, et diftin&tione formali capta (ccundo: modo ex illis ui busyquos tupra infi nuaimus declarando hanc dift inétionc m in folut.3.0bic&t.Sic «tá diflinétiofc rotis cbic&iué, qua di inguiyaint,qua in nullo cóceptu quid dit conuen: üt;vt paffioncs entis, et vititmz ronerd:ffeiéca, et diftinétio fe toris (ubic&iuésqua ditlngui;aiont, quz non coneriiüci aliqpa realitate potcn tiali ad ipla corirzhibili, vc Deus, et crca tU; à, non'coplirgunt duo genera diftin €uonum à ceris condittin&a;!cd coin cidunt cl reali, et formali, vt bene, nota» uit Tatat. cit. quia gez diftingeuniur f€ totis obiect ue aliquando diftinguuntuF tdiü formalicer, vr bonitas, et veritas in Dco,& interdum evá realiter dift;nguü iur,vt cuz vltra d.ffeiciaspariter que di linguuntui fc totis fub'ediué, quàdo quc rcalitcr difüirguuntor, vt Dcus,. et creatura; irterdem iui formaliter, vt bo nitas, et veritas in Dco, vcelcreatwras et ha« dicta. fuficiát pro dignofcédis var;js :diftinctic num generibus cuátum ad logt cum I pc&arsreliétis an bagibus Foimali cftarum,à quibusror tm 7 yroncs,vcrum et prouc&os sbflinere contulimus, nam inillis multa cóunenrur tüm logica, uim philofophica;um metaphyfica, &«theo confusé,& p 1omifcué irodita, vt potus more gallico pa'm ntum qucd dam cor fecerint Formalif!z,quàn nová quardsm fcicnuá,cuius fübicétü fic for malitas,vt ipfi prztédunt,apti ff n.um ad Obrvéc (i quodcunque c uantomuis perí pi cax ingcnió;nec dubitauimus aficrcre tra atum: liunc foórmalitatum plures alum nos € fubrilium Scbola indolis escclicn tis perdidiffe,& quotidie perdere,vi miü it;cur adbacinnoflra Schola toleretur, Ammo vt omninó neccflarius T yronibus à quibusdam prz dicciur. De ordine, € Metbodo procedendi in facultatibus tradendis . 96 E Metliodis quamplures fcripfe D re Philofophu magni nominis tüm veteres, tüm Recentiores (& forcé plufquam peteret néceffiras, ac materiae vulitas) et nuperrime non minus, quam do&ifli me fcripfit Scipio Claramontius vir on nigenz literature bros quatuor j notant 2utc m Methcdum pofle duplicis ter accipi vno modo pro rcgulay& cano nc procedendi. in (cieptia, et ordinandi rcs m »j fa tre&tádas, vt de hac prius, et de illa pottci;us agawr ; aliomodo pro or dine ipfo; vclut in «éu cxerciro, fcü pro ipfoprogretius funi cttam folet incer dum E 6t nii firümcnto (cicndi, ied quia hec cit tufan nas acceptics rüprie, pe Mtihbeodi icfiinguur ad €uliaritez nomé rcla Telatas duas fignificationes. Dubitant au tem primó fub qua ex relatis fignifica Mcthodus ad Logicü pertineat; acab ;pfo definiri debeat, an .f. accepta pto regula, et norma procedendi in fcic tia, vcl pro ipfo progreffu ; Euftatius, et Toan Grámat.cx antiquioribus, et Fen dalius, ac Zabarcl. cx recentioribus apud .cit. lib. 1. cap. 2. arbitrantur Mcthodum confiderandam ctíe, ac defi nicndam à Logico pro regula, et canone proccdendi; at Claramont. opinatur po tius defin endam effe pro progretiu ipfo, quia Methodusex vi nominis fi»nificat viam;& progreflum ipsü,& hoc cft cius formalc fignificatum, res aüt, inquit, de finiri debét: n fua formali fignificatione. Hac cfl fcrt qua (iio dc nomine;adco ut mirum fit doctiffimos viros tot verba inre parus, vclnullius momenti cófume 1c ; nàm ccrtum effe debet Mechodü füb vtraq. acceptione ad Logicam pertinere, fub prima quidem acceptione ad Logica docentem, cuius munus cft tradere regu las, et inftrumenta fciendi, et ordinaté fciendi, (üb fecunda autem acceptione  Ápectát potiusad Logicam vtentem, quà doccntcm;nam Log:ca vtés,vt in quaft. prooem.dictum ett, talisappellatut,quia pon:t invíum regulas, et precepta logi '&g docenriscum crgó ordinatésac diflin €té proceditur in aliqua facultate traden da, ilis progreílus cft acus logiez vtcn tis ; ergo fub vtraq. acceptione Metbo dus ad logicum pertinet, et .ab ipfo (ab viroq.. fenía confiderari d&bet .. Conf. 1juja vt. dictum cfl, non.(umiiur hic Me: tbodus pro quocunq. inflrumento fcié dli; led peculiariter pto ipfoordine, qui in (Gentijsob(eruari folet; vc rité, ac di nc confulionc tradantur, quia rationc ex &ómuni fenrétia definiri folet quod eff babutus inflrumentalis, feu infirumenti intelletiuale,quo docemur euiu[qidifcie pliua partes conucnienter difponere, vt refett Zab.lib. 1. de Method. cap.4. fpe «r;t autc ad logicaw tradere methodi x ordinem proccdcndi in [cieniijs, ficut «nim ipfatradit modum fcicndi ;. ità eciá wadete debct n.odum ordinate [ciendi, i precedendi in [Gienti;s uadendo jeg  Difp.I. De Infirumentis fciendi ^ las,& precepta ipfiusorditis;medumi era   atq. ità fubinde emper qua fucce 8Ó ad logicam fpectat, ac ab ipfa definiri debet methodus fumpta pro ipfo progref fu, (cd ctiam fumpta pro ipfa regula, et norma procedendi in fcientia;ac ordmis feruandi ; Et falíum cft, quod dicebatur. methodumex vi nominis figmficare pre cisé progre(um ipfum, mam in quattio nibus de nomine, vt (zzpé dictum eft, cóis ac frequentior loquendi modus femper pra ferri debet ; Methodus autemapud Philefophos, nedum accipitur pro i. progreíiu, fed etiam pro regula et nore ma ordinate progredicndi.  Sccundó dubitatur, an de inna thodi; vt hicíumitur pro ipfoordine ler uando in fcicntiayvt de hec prius agatur, quam de illo, fit quid priusad cognitio  Ls Lacum, er a om imr debere 1,de Method«ap. tex plicando notiorem edis (emhbiu e, nam fi oncci portus,ab Oriente petra, poteft numeratioab altetutro tete mino exordir;,& effe ord.nata, T" ) mcencgptusordo retineaum y v.g.li Mongci, portum Albiminiü, inde Albis gaunum, poftcà Gcnuam wes Oricntem loca mumetet vnde deducit rationcm.otdinis requiri quidem quod dc hoc priusquam de illo agatur, nequa« quam autem, quod prius ad fe:ju&tis co» guitioncm djrigatur,ncq. cnim ad cogni ioncm Genug A Ibigaunum pcrtincte. Dicendum t& cft de rónc otdin;s, v& hic de co loquimur; vt nimirumeft ordo. dcé&rirz, et pracipualpecicsmethodis  vel potius methodus ipfa feruanda in fae cultate tradenda, effe quód priusad co« gnitionem fcquentis dirsgatut. Probatur quia licet de rationc ordinis, vt ficit e( Ic difpofitionem plurium sm.prius,& po serius, vt bené oftendit exéplum allatis tamen vt €x roox dicendis parebit,de ra» tione ordinis doctrinz eft, Vtab 1js in« cipiat; qua (unt faciliora captu, et cone fcire poflunt ad notitiam fequentium,ó2 fic obferuari videmns ab Auctoribus 1p fis) qui in facultatibus uradend isnonie mae, SNWÓ:"emere ceo  niscui? ab Occidéte principii: ks nell t "apes 1 it, Lol 1n ad 4  4 ev ^4 Que. V1. De ordine 6) Mabodo. meró,K caf prius hanc difpatation£ in ftituant, quam illam; fed quia hzc ner «onfcrt ad cognitionem fequentis. Conf. ' quia cómuhe proloquiü eft, quod lectio lectionem aperit, vt per id oftendatur rectum doctrinz ordincm tnnc feruari quádo non folà prius hac lectio inftitui tur,quam illa, fcd 'tant prior lectio con ferat ad notitiam fequentis . Conf. taridé ex dictis ipfius, nam cap. 4. definit metho dum (lumptam pro ipfo progretfu, quod fit via ad cognitionem promouens abíq. . Errore, et birc cap.6. deducit ordiné efle fpeciem methodi,quoniá et ipfe c(t pro £reffio à prioc: ad poftecius,& ad cogni (ionem prom.ouct, iuuat .n. ordo ad reirü cognitionem affequendam ficut cofu 6o impedir,ac perturbat,ergo de rene ordi nis doctrinz cft, vt prius ad cognitioné fequenus dirigstur, idq. expretíe docet Zubsn Ioc.ci. At refpondet Clarag;ót. ordinem 1n difciplinis tradendis vtiq. no ftram iuuare cognitionem, non tamen ia €o feníu,quod priora conferant ad cogni tionem corum; quz poftcrius dicuntur, boc.n. conucnit methodo fpecialiter di  €z, quà ponit fpeciem ab ipfo ordine coniifinctam ; fed quatenus per ordiné tollitur confuiio, quz tüm mtelligentiam retardat,tum memoriá impeditremini fcentiamq. penitus tollit, et hec cft vti litas ordinis per (e, et precise (umpti. Scd iam dictum eft hic fermoné non cffe dc ordine pracisé (üb róne ordinis, fed de ordine doctrinz. feraando in diícili nis tradendís,& dicimus hunc expoftula re, vt quz prius dicuntur conferant ali quo modo a4 pofteriorem notitiam, 1 ü ) ceci idm videtur ponere metho fpecialem;vcluti fpecié per fe ab or dine condiítinctamsdc cuius ratione fit vt fuperius conferat ad cognitionem po fÉterioris, nam vt dictum cft, hic non eft fermo dc methodo pro quocunq .inftcu mento (ciendi.(ed pracsé pro ipto ordi nc docring, qui infciencjs obferuatt fo let,vt rité, ac fine confutione cradantur, quod przcipué cóting:t, quando priora conferunt ad potter:orumi noticiam. Tcitió dubicatuc, quzpam iit norma Ordinis doctrina ; quain in cient;Js tcà Logica 235 dédis obferuare debemus; A liqui docu runt ipfummet naturalem rerum ordine e(fc regulam, et normam ordinis doctri nz,itavt ordo doctrinz runc rectus cft, uando conformis eft ordini naturali ip arum rerum; i.quando in fcicatia res il la prius cognofcitur, et cófideratur;qua eti in c(fcndo eft prior, ita opinatus cft Piccolomineus in fua Morali introdu €tione c. 14.& 15. et fcquitur Aucría q. 30 Log. fcc. 1. licet addat interdü ctiam licere ob vrgentem aliquam rationé faci litatis,& comoditat s,ordiné naturz im mutarc. Al;j cx oppotito docuerunt nor mam ordinis doctrinz vniuer(aliter lo quendo effe faciliorem methodum no ftra cognitionis, ita quod cü in fcientia primó tra&amus rcs cognitu faciliores et paulatim ad difficiliores afcendimus, rectum ordincm doctripg feruamus,licet non (cruetur ordo naturalis rerum in ef Ícndo, quam opinioné laté defendit Za bar.lib. 1.de Met.à c.6. et lib. 1. Apolog. Mercenarius in fuis dilucid. Faber Theocr. 18.Cópiur.difput.progem, Log.in appéd, q.vlt.& al j quam plures, inquam ctiam incidit Aucría cir.dum fatetur ipfum or dinem naturz nen (cmper folere efle fa ciliorem, et commodiorem ad perfecta rerum notitiam aficquendary, ac ctiam Claramont. loc. cit. Á 97 Dicendum cft cum4ecunda fenté tiá, vcram normam ordinis doctrinz cf fe faciliorem modum notlrz cognitio" nis,liue fcruetur ordo natura, fiue non 5 quod addimus,quia ad banc facilitaté in terdü Cripuat iplemet ordo nature ; vt nimirü res omncs co ordinc difj;onaturs quo €x natura fua süt inter fe conexa, &C ordinata; vnde ordo docrinz nQ cft ad quaté códiftinctus ab ordine natur, ft interd coincidit cum co. Conclufio de ducitur ex Scoto 1. d. 3. q:2.vt benc Fá bci aducrüit, nà ibiait Doctor Metaph, ctie vItimà fcientiá ordine doctrinz,& h agat de. principijs aliarü fcicntiarum Philofophiam vcro naturalem efie prio rem;& plané ratio,cur Ariftot.basfcien tias fic ordinauit,non cft, quia ordo na tvralis rccum iic peteretquia potius hic ordo oppofitun poltulabat,yc nimirum | Aà Me 235 «Metaph. pr&mitteretur ; veluti qua agit de princip js priniis omnium rcrum com muni(him:s,non autem Phyfica;qui E. de parc culari ente ; ordinauit ergo ihi lofophus has (cic nuas hoc modo, et Ph ficá pianafit Metaphyficz quia illa € facilior,vt poté qua cíl de rebus fenfibi libus,qua funt cognitu faciliotes ., Probatur autem conclufio manifcflis Anft.auctoritatibus, et inprimis $.Mct. tcx. 1.ade t auctoritas qe nullam páti tur gloííam, nam ibidiftioguens intet principium eiiendi, et cognolcendi ait, piincipium doctrinz nó fcmper cft prin «ipium teiícd vnde quis facile addifcere potcft, inquit .n. ;v; docirin noná pri moyac vei principio aliquando imc boan dum eft, fed vnd? quis facilius difcat. INec valet folutio Piccok quod ibi Arift, loquitur de via doctiinae,.1.de Methodo, &dcmontiratione, quz cfl propria via fcicndi, nonautem de ordine doccrinz. Hoc .n4nanifclié rc pognat textui, vbi po nit varias acccpcrion:cs princip]; et poft quam locutus cfl de principio. doctripz, inferius in codé capite loquitur dc princi pio ;p i:cdio den ctl rationis illis verbis, praieica cem coguojciilis res eft prtu cipium boc quoq. dicitur yvt demonflra tronum, (uppofitienesÓ ergo m priorilo co loquitur de meth. do, et via dociring, fcd de ordime. Itcm 1. Phyf. tex. 4. a(i gnans ordincm ptocc dédit in fcicntiana wiral ait ob vn uctéilioribus ctle incipié dom, et róncm adducens inquit, quia süt nobis notioras quod ét rcpetit 1. Érhic«. 4:crgo norma ordinis doctrina cfl faci lior noflra cognitio . Nec iuuat refpon dete com Piccol. g il'a non ctt (officicns zgtioyncq; primarias ouiacf. ex vniucríaliü «ognitionc facilius habemus cognitioné aharum rcrü paiuralium, fed primaria ró eft, quia fünt priota, idcó illis coznius fa cilius alg res cc gnoícumursoam ipfe or do natura facilior, et ccnimodiorcft ad perfectam) rerum notitiam. affcquendá, ! INOvalet ; tum quia nimis derogater Lhi lofopho d'cendo ftatim in ingrctlu f lulo fophiz defecitie nó atlignando primaria 1ónem, futiicicnie ordinis, cii ferua turus erat in j20greltu ; tu quiafeisü eft Diff: DéInfiriimemis füudi.. vniucríala, de quibus ibi loquitat Arift. c[ic priora srh ordinem natura,quia nom loquitur de vniuet(alibus, in praidi fcd 1n continendo, vi dicimusin Pbyf.um expofitione textus cx Scoto 1.d.3.3. 2.0. tum quia etiamfi per. vniuerfalia toiclli. geret ibi cóiora,qua (unt priora fecundü naturam particularibus, adhuc tan; vni uer(aliter verum non eft ( et fi interdum. ita fit ) quod ipfe ordo naturz facilior, fit, et commodior ad no(trá cognition£s, atque idcó illa adhuc cffe non pofset prie maria ratio, quia funt priora; t tandem, quia ctiáfi iple ordo natura. séper facis lot e(fex, hinc non (cquitur primariá ra» uoné;cur velit Arift.ab vniuer(alioiibus procedere;eiic uia ifta funt priora, imó. potius fequitur oppofitum, quia non conquiefcit. incellectus y t qu manet, quare vult agere priu$ .  c prioribussm ordinem natucz 2& 69. (pondcre debemus, quia facilioré lec tionem habemus (eruádo hunc ordine cum ergo bac fola caufa, facilior modus noftrzcognirionis quietet noflris ^inicllectum ipía folaetit primaria.   98 Preterea videmus Arift. lurie dincm naturulé rcruin pratcunib ffe, et  ordinem nolle fac.Loriscogoiuionis (ge   cui cile; hir prius cg:t de apimalibusq. dc plantis, 6 aliararione, Bf. quia PUB nobis notiora, vt ipfe dicit dc long. et bre uit.vitz X lib. 1. hitl.animal cap.6.dicit prius le agere velle dc differentijssiX aci depubusqug circa animalia contingunt » poticaad caufas inquirédas aleédere, ai   n.rationem cógruam notiro naturali co. gnofcendi nodo efle, vt à facilioribus,& pcopinquioribus nobis ad difficiliora ; &. remotiora procedamus, et ibidé de par tubus animal.c.2creddensrationem, cur prius de homine agere velit, (ubdir, quia. exteriorum partium eius forma notiffi ma efl Nec valet,quod a Piccol.hoc al» Atidl. factum fuifleex accidenti . Quia AU agit tcflatur fe itd agercquia ratio doccndi expoftulat, vt à tacilioribus no» bisad difficiliora procecau:us ; non ergo. id fccit cxaccidentsled coufuló,& data opcra, Et bac (ententia nontolum fuit Ail fed CcLElatonlib.z.de Rep. G.lene. lip.9. e Qudt. VI. de Ordine, es Mabodo . Nb. dedeerets: Hyooc. et Plat. c2. et Auiceg. ia pria. lib, de Anima, quibas in locis vnan/mtter docent in rerum ccacta tione, et facultatibus tradendis à facilio tibus, et clarioríbos noscexord ti deoere. Demum huic feacentiz manifetta ratio fuffeagatur, nà ecfi pluries iaaet res ad di(cete eo modo, quo fuat à natur: dlpo . fitz, nam valde coafert cra&bstü de có mun:oribus przmittere wactaribus de particularibus, vndé Arift.sn lib.Phyf. a git de principrjs,& proprictaubus corpo ris naturalis in cói, deinceps io al js Jib. de varijs Ipeciebus corporis nataralis; lac  tamen eriam.contingtE Fem aliquam s quamuis in cffondo priorem eite adeo scconditam, vt non alter poffit bene co gnotci, quam €x praua cogaicione ali cus rcr. pofteriors (cnhbus obaiz, atq; ideo à nobis cognitu facillima, c Autt.m Met, a&urus de (ub(tàtijs fepa ratis pt?us. agit de. materialibus ; et ideo fion ordo. geram. vpiactfalitet E(Ic |ót norma ordmis doctrm,fcd faci lior modus cogmttiomsmoftrg, vnic sé per debemus incipere à nodor;b? nobis. ^ 99 Hictamcn adaerreodü eft cü Fa. bro cit.c.z.m fine,quód cum dicimus or dinem doctrinz poftalace, vt à notiorib, nobis exordium fua.aror,per noriota no b;s non intelligimus, qua (olent contra diftingüi à nous nauta, (cd per notiora nob:s inteligimus ;lla, quiz facilius als initio fcienaz addifcimus, et ex quorum cognitionc facilius io cognicioné aliorum in illa (ciétia deacnimus cx quo fit vt et ucies in icientijsordo doóring fequa tur ordinem narurz,& prioranatura de &larentur, deinde pofteriora ; hoc autem non1deo fit, quia ordo naturalis (it nor ma veri ord.nis doctrinzs,vt Piccol. arbi gratus eft, (ed quia hic, et nonc ile. ipfe ordo naturz cft facilior, et cómodior ad affequendam noticiam aliotum in íciétia €Ótentorom,nct poll criora potctunt rité percipi nifi luppotita notitia. priori (e cundü natutaa ; hac racione Acitt. prius egi de elemencs, q de m:xcis, quia rité mixti nacura percipere non poliumus;n.(i pee elemeata cognofcamus; Et per hoc lecociliantuc omncs Ariit auctorita 1:j tes, quibus ip(e te(tatur fe idob prius re de. quibu(Jam rebas, quia ceca turam priora (uat, ita 1. Elench. c. 1.& 3. Rethor.c. t.li.de fen( et feníaco in prit cipio .de zen.antinal, c«4.1« P hyl $7.24 dc Anim. 64. 2.de partibus in mal. c, 10. et n hyf. primo loco agit de princi, js rérumn taraliü v,quia $m natura priora fumt,quamuis slio w^ unc difficiliora. Có» cilian.uraüt omnes iz auctoritates, dc coafiaides 1cédo Ac tt. eps fas onus có» formale od nem dodrine cum ordine macur£, non,uia 0:do rile nacuralis E norma vcrio:d nis Jozteinz,led quia fa Cilior nottra .ogn tio tuac iliam 0o:diaé ex poftulabac.& ordo ipie namuralis con dacebat ad facilioré captam atiarum rerü in fcientia, vnde X quando Acift. à prio ribas srh naiuram incipit feruindo ordi nem nature,& quando eundcm ordincaa omqtit;id (cmper facit ob faciliorem no» flram cognit;oné, ita quod modas faci hor noftiz cogattionis fic fempcr norma ordinis doétrinz, fiuc incipiendo à prio» ribus, fiue à poftcrioribus sm naturam. Neque huic refolutioni adacratur, quód ves icut fe babent ad eí(fe, ira ad cogno fci atque ideó ordinem in cognofcendo Íeqai dcbere ordinem in eflenao,& oc dinem (ciencifics confocmné effe debere ordini natursli. Non fequitur, debet enim vtique fcientia docere res, et modum;quo inter le (onrà natura dil pofirz (ecundum prius, et poftezius, fed in docendo necef (atium nó eft,quàd illum modum iimnitc tur, dcbet v.g.docere,uid it Dcus.quid creitura, et quod Deus cft prior cceatu ra, fcd hinc non fcquitur, quód pro de« claranda Dci natura incipere non polit à creaturayque cft notior y iuxta praecepti D.Pauliad Rom.1. Inaifibilia enim » fiws à creatura mundi, perea, qua fa fami yrmte lle a con[piciuntur . 100 Q irt dubitatur in hac quzftio ne,an in tacultatibus cadendis vcendü füc m«eibodo rcíolutiua, vcl potius compofi tiua, itacn'm diuidi folet methodus, fea ordo fcientificus 1n c (tiuum, et tefolutiuum, et is ar. diíp. de Mcethod.X Mafius j.vl.proasm.log. addant, tertià [peciem mc Aa i thó thodi,quam áppellant defin tiuá, ex Gal. lib.de artc medic.à principio; cóis tamen diuifio mcthodi in compolitiuam, et re folutivam fufficiés cft,& inimediata;nec mcthodus dcfinitiua cft ab illis condiftin &a,vt Zab.oflendit lib 2. dc Method. et lib. 2. Apolog. et ita colligitur cx Aritt. Eihic.cop.4. vbi non nifi duplicisordinis (cicntifici meminit ff difputationibus fer vádi,vnvs eft qui eft à princigijs ad prin Cipiata, qui prcindé dicitur cÓpoficiuus, nam partcs coyonunt totum, et principia principiatum alter cft à principiatis ad pricipia, qui preinde dicitur celolutiuus Quia totum in fuas partes refoluitur, et principiatü in fua principia. Zabar.loc. cit.docct ordinem compolitiuum effe jp prium fcientijs [peculatiuis,nam cum ifte non rcferantür ad. finem alicuius opetis faciendi, non poffunt aliter ordinari, q à principijs inchoando,& hoc cflc de mete Arift. 1. Phyf.c. 1. Ordinem vero refolu tiuum docct eic propriü (cientijs practi cis, et attbus, nà cx netiopc finisjad qué tefcruntur jartcs funt ad.nuéia,& fic A tifLipfc docet 7. Met. 23. in quauis arte prius contiderari fincm,dcindé media, et in (cicntia morali ità obícruat, quia prius sgit de foclicitateyquae eft finis deinde de virtutibus, quz (üncaíedia, iraque con «cludit in tradendis fpeculatiuis methodo «€ompofiriua vtendum cfle, (cd in tradcn :dispracticis refolutiua,quam opinionem fequuntur Complat. cit. 1c1 Dicendum tamen cft neceffariü inón effe fpeculatiuas procedere ordinc cópo(itiuo, et practicas tefolutiuo, fcd vtrumq; crdiré his,X illis infetuire po(ie iuxta exigentiam noltrz facilroris cogni tionis;ità P. Faber cit.c.3.& icnet Auctía cit.& fequitur ex proximé dictis, iam .n. :xconclufum eft ordinem doétcinz refpi cerc noflram faciliorem cognitioné, (ed n ultotics cótingit; quod tacilius addifci mus incipiendo à copolits, et principia tis od prima v(quc principia procedédo, et ab cficQtibus nobis notioribus ad cau fasctam in (cientijs (peculatiuis,vc fupra probatum cft;& multotics contingit op potitü etiam in praclicis,crgo in vtrifque facultatibus iuxtà cxigenuam facilioris Difput.T. De Influmentis [ciendi s noftra cognitionis arripete p v nam seshodi, e cam. nó vt norat Auería,contingcre poteft, vt plures pat tcs eiuídé rie totali ità dncdifpoti. tz,vt vna procedat ordine compofitiuo alia rcfolutiuo, v. g.pars illa Philofophi, qua prius confiderat mundum quantum ad compofitionem,& flru&uram fuam j vhitatemyoriginem,& alia, deindé di (tin &$ conliderat fingulas mundi partes,,p cedit methodo reiolutiua,alia verà pars, quz prius contiderat elementa, dcindé mixtam, procedit ordine compofitiuo. Sed cum Zab.obijcies ; quod ordo de bci] tradere cognitionem difti rel ergo debemus incipere à cómunioribus, et à principijs, et caufis, quz funt nobis notiora cognitione diftin&ta . Confir, ex Arift.qui 1.Pby(. $7.& Iib.s. tex. 2..& 1. dc part.animal.c.1, et 4. docet prius de comunibus agendum effe, deindé de par. ticularibus; et ratio eit,quia Ícientiz in tendunt tradere explicitam s et di(l inctà rerum noritiam;fed notitia voiucr(alium requiritur ad explicitam cogmtionemins feriorum, et particularium, ergo ab vni uecíalibus incipiendum eft. f efp.cü Fab. cit. negando a(fümptum, quia nó (je ctar ad ordinem tradere cognítionem dftin &Gam;,vel confu(am rei, id . n. munus cft inftromentorü (ciendi, (ed ordo proprié inferuit folum facilitati fcientie;vnde fie pe cuenit, quod priori loco quedam pre  mittimus, de quibus habemus folü cogni tionem quandam rudem, et pcr rationes "arum efficaces;no alia rationehitfi $4 crudis ipía cognitio nos adiuuat a« acquirendá elaram aliarum rerum cogni4 tionem. Ad Conf. dicimus ea probati tá tumjordinem compotitiuumi longé prz ftarc refolutiuo, et in difciplinis traden dis co vtendum effe, quantüm ficri pot ; non tamcn probat, quod (i neceffitas, &c commoditas addi(centium id cxpoftulet; non polfimus interdum illum pra termit tcre vcendo ordinc refolutiuo, premitté do nimirum cognitionem rudem,& con fufam effc&uum,& cópoíitorum,vt indé procedentes ad cognittooé caufarum 5: et principiorü in hunc modum acquiramus cognitioné quoq; diflinctam corüdem, 192 Quin 117 aor intó dubitatur, an quzlibet paffim Recentiores Philofophiam tra  (ciétia me;us tradatur ordine expofitio dunt, ptoprias namquc; relicto. Arífl.cex nis,vel poriustra&ationis an virumque   tina alo, contexunt qua'ftioncs, ac permiícédo; et vtfenfusdubirationispa   difputattones, quafi nil referat fcire Ari. ntia traditur pcr modü cx uis allumendo ccrcum Autorem,à quo fcientia antea eft tradi t2, Vt Ariftotclemin Philofophia, Magi firum Sententiarum in Theologia, fata git illum explicare et reconditos illius sé fus apcrire;& qui fcientias in hunc modü tradunt per modum Cómentarij non alio ordine proccdcre tenentur ab illo, quem fernat Au&tor principalis.Tunc v fcié tia traditur per modum tra&tationis, cum u:s 4liquam (cientiam tradit rcs cractan bs in cadifponendo ordine'quodam di füindto, et cxquilito proprio vcluti Mar teadinucnto, non autem cuiufdam Au  &oris textui innitendo . Tunc tandein mixto modo traditur, cam quis po quá ccrtum Au&ocem tibi exponendum a fumpfit » occafione quotumcunque ver borum, qua ab Autore textus inrer po nuntur, teat; tunc [cic pofitionis, cum ex profefío fuas inftituit quz fhioncs,(ic .n. hucufq; Au&orcs vcrumq; ordinen; milcucrunt Ant;qpiorcs primo modo tàm Philo fophiám,quim Theologiam wadidei üt, nam Aucrr. Alexander, T hemiftius,Sim plicius, Fhilop. et alij illam docuerunt Arittotclem commentando, iftam vero &gidius, Scotus, Riccatdus, D. Bon. et aljj quamplures exponendo Magiftrum Sccundo modo omnium primus Th«olo giam uadidit nofter Alcnfis nouo otdi fc contcxendo fummam theologica iuf fu Innocent. IV. qué poftea [amma cum laude San&us Thomas cft imitatus; et idem im;erito Aucrfa q. ó.(e&t. 1. 7.hoc przconium (ubripit Alenfi, vt tri buat Aquinati qui alijs.mille titulis cu mulatus meritis hac laude non eg:t ; nam id aperi rcftantur Abbas Triram in Ca talog. (criptorij Eccleliaftic. Bartholom. de Pifis ib. 1. Conformit. Firmament. trium ordib.p. 1. Sixcus Sencn(.lib. 4. Br blior.fanc. quorum teftinionia extant at fixa in principio Summz A lcnfis, et af firmant etiam primi (cripfiffe fupra Ma gificum ; hoc ctiam fecundo modo nunc sudare bus philofophicis, in qvibus ramcn veluti Magiftrum, et ora culum ant quitas cft vcnerata. Tertio tá dem modo philo ophiam trad;derüt Au &ores quidam inferioris nore, qui occa fione arrepta alicuius verbi, quod incidé ter habet Au&or in c^xci, quzftionces ia ttudunt ad illum locum, et ctiam forec dum ad cam fcientiam prorfus imperti^ nentes, vcluti funt illi qui 1. Phyf. vbt de ptincipijs rerum macuralium agendü eft difputant dc entis vniuocationc,quae (pe &at ad Metaphyficam, et de primoco gnito, quod attinet ad libros de Anima. 103. D'cendum bicuitec cft, gplicet in Sacra Theologia confcribenda, in qua alum textum non habemus, quam Scri pturam Saciam, et Sanctos Patres ordo tra&tation:s fit admodum accomodatus, itaut apté difponantar mareriz, et tra &arus pro rei exigentia Fhilofophiata men,in qua babemus Arift. vt oraculum, et Magiftcum, nó bcne traditur per mo dum purz tractit/onis rextum prorfus omittendo, quia Arift. textus revera € totius Fhilofbphiz bafis, et fundamen tüm ; nec bene traditur per modum pu rz cxpofitionis nullam prorfus contexé do qua ftionemyquia vt ait Aritt. ipfe in przd cam. adaliquid, dubitare de (in gu'is noa eft inutile, et qut ioncs fünt, quz acuunt, et exercent ingenia,& ad ve titatcm Ayr onis maximé iuuant, vC poté qua cfficaciorcs rariones pro altc tratta partc producunt ponderandas. mixto quedam modo tradenda ctt, non quidem tali, qualis c& iile 1à relatus quo huculq; Au&orcs quamplurcs vii (ants imb hic vt penitus ineptus, et nox us cit à (choliseliminandas, (cd alio quodá fic accomodato,v: ab initio totus p. nitatur, Arift.tex.in sümá rcdattus, et deindé q füioncs, ac difputationes contcxantur iili 'repódentés vel co ordine difpofiue quo textü Arii.o;dinauit ;vel alio nourter ad innento, vt introdoci poffint qóncs q de nouo pettra&ácur; fic nos logicá 1&0 cÓ Aa j icxi flot. mentem tn rc 258 teximus,quia Sümulas pramiffimus, vt A ritt. textus breue compendiü, et nunc di(putationes fubncé&timus Ilis refpondé tcs, cundemque ordincm (cruauimus in Phy ficis,& in al;js libris tencbimus. . 104 Dubitatur tandem, quisordo fer uádus fit in qualibet qucftione difponé da, praícrtim quàádo circa illam variz ac inter (c repuzáantes extant Au&torü sC téz ; et quidem cuin tota qua'flio in his duobus vertatur cardinibus, in alienis ni mirü impegnandis, et proprij confirmá dis, hoc tribus modis fieri poteft ; primo vt aliena referantur, et rcijciátur,proprià dcinde inuroducendo fententiam, et con firmando, quem ordinem obícruauit A rift. 1. Phyf.agens de rerum principijs, et 1.Ccrli ages de origine müdi, et 1. ac 2. lib.de Anima agens de natura iplias ani,& 1. Echic.agens de humana faclici tatc;íecundo vt ptius propria apcriatur et folidetur séériapottca aliena. rcferá tur,& cofutétar d methodum feruauit 3. Phyf;agés de motu,vbi prius fuam tradit definitioné de motu, deinde Antiquorü. tertió demum,vt prius quidem alieng rc fcrantur fententiz, et minus probabiles, et poftca propria, (& magis probabilis, fcd illa non reijciacur, nili dum propria fulcitur fentétia,ita quod fimul, et fcmel propría probctur sétentia., et oppotirz rcfellantur, et propriz confirmatio fit alienz confutatio;ac € contra;& fané hic ordo magis cxpeditus e(l, et breuitati ada ptatus,nam fic nó oportcbit in plures ar ticulos quzflioné diuidere, in quorum vno aliorum fcotenriz rcfeliantur, et in alio propria introducatur, atque probe tur, fed in vno, et codem articulo. ambze it€$ COn.odé cxcqui poterunt fimul,& propriá cofirmando,& contrariam euerrendo,& hunc ordinem nos fcré sé obferuabimus in quaflionibus difpo copia circa cundem jue it;onem peteret bunc ordincm aliqualiter immutari. 10$ Sed quamuis hac methodus in quaítionibus dif ponendis n.odo (it fami Difj.I. De Ifiruinentis friendi. liaris,& confüera,camen in refer&dís, B& diffoluendis alien fententiz: argumétis non eodé modo procedunt omnes; quá plures .n. dum ab initio quz(tionis alio rü proponüt opiniones,illas adducunt cü fuis fundàmétis,qua poftea diffoluunt in fine quz(tionis ex declaratione propriae fententiz, quam pofucrunt inco uzliti, et hac metodo vfi funt vniuet aliter omncsanuqüi Ncolaftici, quam ét Ariít.ip(c commendat 3.M ct.tex. r.nam vilis aliorum rationibus maturius fertür de veritate iudicid, inquit Philofophus Verüm vt aduertit Auería cit. quamuis hzc methodus (it valde illi commoda.», qui proptia induftria, et exercitatione veritatem indagare contendit, ille tamem Auctor qu! veritatem inuentam alijs tra dcre,& perfuadere contendit; confültius vüque procedet, fiabinitioqueflionis tefcrédo aliorum fententias,illarum fan D, damenta non referet, (eddifferetad iné ^  quz (tionis, poftquam fut ftabiliuit s& tcntiam,ea fimul referendo, et diffolue do;& ratio eft, «uia li im qdcilim vei   bulo referantur nó folü fententia PAEA. (cd ét corum fundamenta, mncin k mnm tclle&us addifcentis fitnudus, et canqua tabula rafa imbuitur quodammodo prie mó illis falis fundamentis,yndeminusfa cile poftea difponitur adafleniédumra   tionibuspropriz (ententiz, camfemper anxius maneat dc folutione argumétorü oppofita (ententiz,mcelius igitur eft, vt intellectus primó abuse Fubdiie vera fententiz, neque tali anxietate labo rct. Accedit vlterius experientiam ipfam docere, quantum afferat i Ty ronibus conferre folutiones in fine quz ftionis pofitas cà argumentis ab initio premiossnégng plané eft incómodü pra ferum qfi queítio eft prolixa;gp | poft argumentum A duerfarij relatü tta«, um faa immediaté fubdatur (olutio,con fcftim gaudet addifcentis ingenium, nec manet anxius, aur perplexus, et melius (olutionem memoriz maridat. w^  1N ja 239 DA: De vocibus, e! communibus carum affectionibus nen Cientia quecunque, »t more bumano tradatur,vocibus indiget, que funt manifeflatiu& conceptuum; quia igitur Logica cft inflrumentum enerale omnium. fcientiarumy tenetur bac ratione,quatenus nempe unt figna conceptuum y traiare de vocibus, vt colligitur ex Arift. lib.i. Periber«ap.1.C7 ibi docet $.Tbomas lect.a. quibufdam ea vum comunibus affectionibus &quiuocatione nimirum yvniuocatione,analogiayC € d quibusproindà con[ultó /£rifl. [aam incboauit Logicam y 7 non ex abrupto, » putauit A uera q 2» feti. quafi tratkatus ali uis ex,Arist. Logica füt ami($us in iuria temporum m illum pr&cedebat; Et Ijagoge Porpbyrij banc tratbationem pracedere non de tepradic. quantum tario de V niucr[ali et, fed fequi, cum Arift. ipfe de pradicabilibus agat cap. 2 an atis Illi videbatur ad librum ceret »ndà mal? dtfpi us communiter pramitutur difputationi de V niuocis, C", 4€ quiuocis, cum re vera pertineat ad cap2. antepr.&dic. .. ^  Quid veces fignificent, et quomodoyboc "efl, anres, vel conceptus, C7 nume,. matraliter,, vel ad placitum. 1 Sia. Ertum dd eum exero er : monc aliquid fignificare in Y | tédimus, duo in mente lo . WySdX  quenris prz(upponi, rem «f. cognitam, de qua loquitur, et illius reico gnitionem, quz conceptus alis ap pellari folet, ficut res ipfa cognita, vt fic, conceptus obie&iuus ; difficultas igitur cít,quidnam horü voce fignifi cetur prin cipaliter, et immediaté . Afferunt quam plures voces immediaté liguificare con Ceptus ipfos formales,& rcsi pías mediá übus illis, ita D. Thom. 1. p.q.13 art.1, et q.9.de potentia att. f. et 1Periher.lec, 1.& videtur fuifTe communis opinio cx politorum Ariftot. Ammonij, Alexand. Auertois, Boer. Porph.óegliorum ; addür tamen nonnulli hains opinionis Aucto res,quod licét voces immediarius fignifi €ent conceptus, quam res, principaliustamen hignificant rcs, quam conceptus, 2 ipíe conceptus ordinatur vltimaté, principaliter ad repraíentandum ipsa zem, cuius eft ümilitudo i entionalis, irà Ioan.de s. Thom.1. p. Log.q.1.art. 4. quz fuir opinio Datiolij 1.d.22.q. 1.ar. 1. . Alij vero abfolute dicunt per voces fi gnificati res ipfas non folum primario, et principaliter,verumetiam dirc&é;proxi mé,& immediaté,& hec eft cómunior o pinio, quam fequücur Nominalesomnes Ocham,& Gabr. 1.d.22, q.vn. et paffim Recentiores Fon(ec, 2. Met. cap. 1. q 2« fcét. 4. Vaf]1. p. difp. $7.n.8. et difp.75 cap.3. Suarez 1.p.tra&pe 1libe2  c«3 140.6. Hurtad.diíp.8. Log. (cet. 3. Arriag.difp« 13.fect. 2. Ruuius q.1 Murcia difp. 2.q. 1» Amic.tra&. 31. difp. M) 1.dub.4. Auerf; q.6.Log.fect,4. Ouuie .conttou.8. Log. n.7. Poncius difp. 9. Log«42.& fuit sétem tia Scoti,quáuis.n. 1. Periher.q.2.proble« maticé procedat,& dicat, quod attenden do auctoritatem prima opinio cft pro babilior, fed attendendo rationem (ecun da, poftca tamé in 1.d.27.q 1. ad 2. prim. relolu.é docet res ipfas, non veró carum conceptus per voces immediate, et prins cipaliter tignificati  imó difectis verbis declarat ibi res tantum proprie loquen do fignificari per voccs, et nulla modo conceptus ncc mediaté, nec immediaté » quia litrerz, voccs ; et coceptus siit figna; immediata vnius tantum frgnificari »f. rci nec voii froprié elt igoum alterius y (cd pro tanto dici folct ;nü » quatenus dat illud intelligere 5, ncc fignu poftcrius figmficarct,. niii prius fignü dé fignifi. taiüimmediatius manifcil arcc; vnde có cludit Do&or,littcras voccs et conce" Aa 4   ptus 7 E 1T] NASA C 246   Difput.1T. puusadinuicem fubordinari in ratione fi gni prioris, et pofferioris vcludi fubordi« nàátur pl urcs cffc &us ab eadem caufa im mcdiaté producti, non auté in ratione fi gni& figoificati,quia proprie loquenido littera n0 fignificat voccs, ncc voces có ceptus, (cd hzc omnia süt immediata (i gna ciufdé fignificati if.rei, et hüc dicédi modi paflim Scoiifta docét 1.d.22.& 1. Petiher.q.1.vt Tatar.Io.de Mag.& alij. Circa alteram quz'fiti parté de modo fi snificandi vocum non cfl diflicultas in ttr Pcripateticos, omncs namque ynani mi oni docuerunt voccs articulatas (cx hiscpim conflituitur. humanus fer mo, dc quo hic loquimur) non fignifica rc naturaliter fed ad placito, hoc cft vo €cs ex fua naturali vittute nuliam vim ha bere fignificandi fed cx fola homir.ü tm pofitione. Oppofitum docuerunt vete res quidam Cratyllus,& Heraciitus apud Ammonium 1.Periher.c. 2. et Pythagori ci apud Dexi ppum 1bidem c.6.cx quo in feriis fapientis tnunus non efle rebus nomina imponere, féd nomina rebusim pofita à natnra ipfa adinucnire. 2 Dicendum cft pro folutioneqvzfi ti quoad vtramque partem, per voces fi gnmficari resipf;$ non.folum primar;ó,& principaliter,.fed etiàm proximée,& ime diaté,1mó proprie loquendo folas rcs ti gnificari per voces, et nullo modo conce pus,ncn quidcm natural.ter, f d ad pla €num . &onclot;o cft tcié comunis,& Bow quoudoés,& fi gulaspartcs, Primó quidcm; qx ód figuificent rcsop fas prmcipalter Auctorcs ipfi. prung ejinionis libenter admittunt; uum quiaad manifcité docuit Aritt. 1, Eicnc. cap. 1. vbi ait;quód in difputatione pro rcbus vti mur nominibus,quia ic$ ad difj utationé afferre non pofíümus, ficut in ludo vti mur fabis pro nummis et 4. Mer. 23. ra 4i0, inquit, quam fignificar nomen y efi «cfmitio y at definijoindicat vcram cf Íentiam rer ium quiaid principaliter fi gnificatur, ad quod fignificádum pruna TiO nomé it'nponitur& quod repraícnta tür intelicétur abdicnus ad. prolauoncm ncminis; (cd inientio imj onanus non.é De Vodibus . principaliter efl,vt fienificentur res, vnde Gencf.c.2.nomina dicütur àmpefita re bus, et ftatím audito nomine'fcrimur in res,& cóftituitur intellectus reijnon au tem fpeciei, vel conceptus; tü ét fi primarió conccptus fignificaren propolitiones de (ccundo adiacéte eflent veia, vt ifte Antichriftuseft Ch cft, quia intellcétio Antichrifticüceft, et pariter intellectio Chymerz, et écó« tra omncs de tertio adiacenteyin qua vnd. enunciatur dc aiio;cfient falíz;nam dun dicitur bomo efl apumai fenfus etfet, qp. intcllectio hominis eft intelle&tio anie malis;tü demü,quia ipfe concepuss ordi« natur vItimató,& principaliter ad reptate fentandam ipfam rem,cuius eft fimilitue do in:entionalis, ergo vox;quse fubflitui tur folum loco cobcopuis AMD prasétáda principalius ordinabiturqug    rauoncs tanguntur à Scoto 1, Perier.q.2« i» 3 Sccundo, quód nó folum prin ter, Íed etiam díicété, et iffimediat ipfas tignificent, probatur eiídc bus;& adhuc viterius, quia fig deducere audicniem innouciam 1 gnificataz,at nomina immediate inrerum noticiam; quia quód gr €irr .nreiltét ui audientis per nomen, eft.   re$ ipf) nam audito nomine lapidis tta tim lapidem ipíuüm cócipimus, nó. cogn.uonem, quam de lapide biberio quc..5, imóilla ion nifi per. rcfiexioncmi aitingituc, quia prius conciptinuslapidé   audito cius nomme, et deinde fit seflc xic;quod loqués calem iem intelligit. 4 e« ccdic ex Tatai.cit. quod yoieft rcs audi& ti rcprafentari pilu] vog tanti de cogni tione loquentis, vt expeuicntia contar y er£o per vocemi rcs ininediaté 16prasé taturjX non cius cosoitio.Demum comn ccptus non fgnificatur,vt idad quod (üt impofitum nomé, crgo vó potelt imme diaté figificari nouine, quia nominis immed.sta (ignificatio cft ab imporéte nomcn. Quod autcm di ximus de. voci bus:n oidine ad cóceptus, idem diccitdü cft de littera, et fcriptura in ordme ad vo ccs; litteras népe fcriptas principaliter j et in.mediaté tigurificare ics rplas,non au teu Qu«ft .I. Quid «votes fignificent, eo quomodo.   241 teft voces,vt contendit A ucrfa cit. in fi ne fcc. et Arriag nu.3 6.quia Arift.1.Pc riher.c.1. eádem paritate affirmat. inter litteras, et vocesac inter voccs, et conce ptus, et Scotos cit. ait hzc tria litteras, voces, et cóccptus effe immediata figna eiufdem rei fignificata: ; et tandem quia vrget eadem ratio » quia fi fcriptura 1m mcdiaté fignificat vocem baec propotitio fcripta bomo e(l amimal, cft falía, fen. fus.n.e(fct, quód hzc vox bomo cft ifta vox anima!, quatatione Arriaga conui Gus fatetur (ub nam. 39. fcripruram im mediate lapponere pro rcbus, efló eas non ita fignificet . Poflet t in hoc fenfu dici voces proximé,& immed até fignifi care conceptus, et litteras voces, quate nus cum nequeamus immediate caufare notitiam rci in intclle&u audicnt:s Ange lorum inflar ratione impedimenti corpo ris,loco conceptuum fubrogamas X im mcdiaté fubtt ituimus voces, quz excità do mentem audientis ingerunt illi notitià ahi. sri, et cum non poffumus ab entem alioqui ratione diftantiz, loco / vocum immediate litteras, et cpiftolas fubftituimus, atque ita voces, i mediaté vices conccpuvum,& littera vo cum ; vnde bac ratione atcmer e litteras immediate fignificare voces  et voccs conceptus in animo ; nequc quid amplius probant Autores modo cit. 4 Tertio probatur hinc tertía pars conclutionis,quód.f. voces, et conceptus (ubordincntur innicem in ratione figni prioris, et pefterioris,nóauwm proprié in ratione figni &[hgoati, quia vt notat Ioan. de S. ] homa cit. vnum fignificare mediante alio potett imelligi cripliciter; primo mcdiapte alio, tanquam rationc formali, non tamen tanquam re rcprassé taa, et lic vox dicitur fignificare media impontionc, cóceprus media fimilitudi neintentional) ; (ccundó mediante aiio, vite reprzfentsza, ranquam primatio » et inimediaro hignificaro, et lic homo dicitar figrificatc immediavé lhioniinem in commoni, et mediate Petrüm ; tertio mediante alio,nó vt re bgmificata, fed vt principali fignificáte; cuius vox eft (ubtti tuum, et quati initrumentum ; et hoc untim tod o vox figmficat conceptum ita Au Gorrelatus, et eft quod Scotus docet vocem dare intelligere;& infinuare cóce prum in ratione figni prioris, et princi palis,nó autem in 1óne rei fignificat; eX tm patet hanc controuer(iam, fi bcne enfus Auctorü. vtriufque fentéci per? pendatur,etle dc (olo nomine. Hic if ad uertédü eft cum Bargio in 1.d. 27. ad si 1.q.& Tat.cir.non codem modo litteras fübordinar1 vocibus, ac voces concepti bus, quia voces funtita per [e concepti bus (ubordinata in fignif.cádo, quod re$ nullatenus (ignificarcot, nifi carài cogn! tio przcederecin méte loquentis,non .n» narrare poffuimus, «ue ignoramus, et nó cogitamus, fed non ita littera funt voci bus fübordinatz quia vocibus nó exifté tibus adbuc litere, et fcripture fignifi carét,& (aa fignificata oftéderent, h:c mosfcribédi apud gyytios fuit im víu y ni figuris quibufdá, qua Hieroglyfica doeet,non voccs aliquas,fed imme diaté res ipfas denotabát, «ui mos fi crib é di adhuc apud Iapon:os viget,vt referunt Hiftoriciqua ratione Valles. c. 3. de fü" cra Philofoph.ait fcripiuram per fc igni ficare independenter à vocibus ; X idem conftatapud nos de f garis numeros fi goificáibus quód vluó concedit ctiam Arriaga cit.licet neget de.alijs vocibus.  arto probatur quoad vltimami sje rris oépe fignificarerescx vo ütaria hominum impofitione, non veró ex carumnaturali virtüte,quia ita docuit Arift.1. Perier.c. 2. et 4. et Platoin Cra tyllo,vt retert Alcinous c. $.Scotus 1. Pc riher.q.4.& 2.d.42.0. 2.ad 2.& 4.d. r.q. .tum quia alioqui ab omnibus nationt jsomnces linguz intelligerentur » ficut alia figna, qua naturalitet lign.ficant, et cadem voces apad omnes fignificarent; et fürdi nauuitate loqui. poffent, fi à natura voccs nobis i hec figaa ratus ralia rerum fignificandarum ficut natu raliter formant gemitos,& lufpiria cmit tunt;tum etiam iignum naturale non pa titur mutationem cx v[u, vcl coníucrudi ncjícd eft independens ab hominü volun tàtc vOCCS autCim murátur i dics ; «€ ti gn naturajc figmficat tfi rer aliqua dc  ier 242 Difgut. 11. terminatam, fed cadem vox fz pé multa fignifica& interd oppofita,ergo. De mum;quod magis yrget, Sacra Scriptura 2. Gcr. dccet Adam impoluiffe nomina rebus. 1d autem,quod de vocibus dictum cít,dc litreris etiam incelligendü cft,quia mon cit liqua naturalis vis 1nfita chara Geri fic, vcl aliter cfformato ad vnam; vcl aliam litteram denotandam, fed homi nun; placito factum eft ; vt hzc, et illa 5 liuera fic,vcl tic cffingeretur, vnde ficut non apud omncs extant ezdem voces; ità nccliuere czdem. 6 lo,cppolitum cbijcitur Primo au &oiirate probandc voces primo, et im mcdiaté figoificarc conceptus, id namq; manifcfté docuit Arift. 1. Per.her.c.i.dü dixit Voces cíle figna carum, qua: funt in animo pa fonü, Auguft. 15. dc Trin. €ap.11 .vbi ait Vcrbü »quod foris [onat, efic fignum verbi,quod intus later et om nes deniq; aiüt res lignificari per voces, quatenus cognitz, quia' non potefl quis €xterno (crmone quidpiam fignificare, nifi prius actu intcrno intclicctus illud €«ognoutrir;ergo voccs primó, et imme diaté fignificant conceptus, et illis medià tibus rcs cxtrà manifcftant. Reíp.di&ium Aiit. diucrfimodé explicari (olere, ac mapis rccepta cxpofitio cft, quam tradit ctor cit.1.d.27.quod voccs lignif;cát €oncepius,non vt rem fignificatam dire 6 (cd vt principale fignificatiuum, ita quod fübordinantur non in rationc figni, et fignati, [cd in rationc figni prioris, et pofleuoris, nam intcilcétus prius per co gbitionem res apprehendit, dcindé illas immediate per nomipa fignificat, et in hoc fcnfu explicat Scotus cic.dictü Aug. et in ccdem dicuntur res fignificariqua inus cognitz X m.cdijs conccptibus,nó quidem rcduplicatiué, quafi cognitio me diet; vt obicétum ad quod figni&candum fint voccs impoiu (cd f(pecificauue ita ut folum mcedict, «eluri cc nditio nccc fa» rió prerequibra ad rcm extra fi; nifican d.n'quia vt ait Doédt.cr. 1. Perihicr. fi gnibcate praíuppenit intel.sere, ficut Mluds Gne quo non,quia non prius tcs ore profertur, quia mente concipiatur. e 7 St«uudo arguitur ad ide rai cnibus, DeVochus Cnu4 Tum quia voccs funt inuentz, vt homi ncs fuos exprimant coriceptus, etgo immediata figna illorum. Tam 2.per vo ces (pé fignificamus resin eodem ftatu, uem habent in noftro intelle&tu, vt cü ? PAr gar iis albedinem, vc! aliud accidés in abftrao, quod tamen in re nó eft ab ftractum.Tum 3. ràm haz voccs incóple xa intellc&io, cognitio, d ha co, intclligo,cognofco,fignificant immedia té conceptus noftros. Tum 4gemitus ani malis fignificat immediaté dolorem eius internum, crgo pariter, voces hominis immcdiaté paffiones cius internas figni ficare debent. Tuu 5.quia de facto mul ta fyncathegoremata folos co 5 fi» gnificancvt fi,forté,& fimilia dubitatio nem hgnificant, Tum 6. voccs func mem us nofliz interpretes, (ed interpres prius verba rcfcrre deber, quam remipfam in terpretur,crgo voces prius, et immedia tius figrificanr có ceptosqua res. Tum 7, quando vnum fignu fubftituitur]oco al». terius, ncccíHc cfl, quod prius iüdicet fi £num»pro quo fübftituiturquamtem ab illo fignificatam,quia rendir inn 2 ficio1llius, (cd voces irent Mi ^" conceptibus, crzo immediatius figmficác conceptus, Tum demum ; quta alioquin non darctur mcndacium,nam mentiri cít cotra mete ire cx D. Th0.22.9.1 107af.3.. 8 Refp.ad 1.inuentasctfe voces,vt ha mincs (uos exprimant conceptus obie Cucos,ron formales, et hoc loquédo re gulariter, quia interdam etlam accidere poteft ; vt principalis intentio loquentis fit alteri exprlmere nó tcs, fed quid iple [cntiat de rcbus ipfis, an bznéconcipiat ; vndc verum cft aliquando cx intentione loquentis principaliter primiízate finis fi £n;ficati conceptus. Ad a.in eo ctià ca fu voces ità fignificanr albedinem, vel aliud accidésin abítra&to, vt immediaté non fignificent abítractioncm ipfam lo qucntisquare ctiam jn co cafu voces sür immediata figna rerum. Ad 3.ille ctiam voces atüngentes a Giusmentis fignificat ilios,yt (unt res quedam cognitz,i& obie &la, pon vt puri actus, vel conceptus in« icllectus. Ad 4.ncgatur patitas quia ge« mius cft vox inaruculata uaturalitci fi» gne L t "t N E ui Quafi.I. Quid "oct fignificant, eo quomodo. 143 gnificant,non ità humanus fermo. Ad 5. talia (incathegotemata, (i per fe profcrá tur,nullam rem fignificant,vt dictum cft 1. p. [nft. Log. tract. r. quod (i dubitatio nem (ignificant, illam certé fignificat, vc rem quandam (üb obiedto intelletus ca dentem, non vt a&um, et purum mentis concepium. Ad 6. patitas cantum in hoc Lond ons voces interpretantur menté, cuius dicuntur interpretes licut interpres interpretatur verba cius, cuius dicitur in terpres, modus tamen interprerádi vtriu( que cft diuer(is, quia interpres. prius ex ptImit vcrba,deindé res,voces veró prius excrimüt res, deindé conceptis . Ad 7. probat tantum voces prius indicare con ceptum; quam rem;in ratione figni prio ris, et principalis, cur fubordioantur, vt fignum minus principale, quod libenter admittimus, non aurem ptobat prius in dicare conceptum in ratione rci tignifi ca. Ad 8.(ufficit ad mendacium, 9 ic peamut p voccs exprimere noftros coce ptus obicétiuos,& gd in méte habemus . 9 Tett obiji(ur probando,quod vo ecs Gignificent naturaliter,, nam dantur uzdam nomina, quz tantam affi nitaré bent cum rebus lignificatis, vt quiedà proportio naturalis, et particularis cffica cia videatur illis indita à natura ad ha iu/modi res fignificandas ; (unr .n. quzdá yoccs rigide, et afpere, qu& fimilibus rebus ügnificand s (unt idonez, v. g. fer rum, conturbatio, contritio; fimilirer bombus, fib:lus, tinnitus videntur natu raliterfignificarc fonum illum, ad quem fignifieandi illis vtimar.,. Accedit, quod in idiomaram varictare; periti teftantur vocem banc faces. idem reprefentare apud omnes nationcs, (gnum cuidés da. ri fermonem à natura hominibus inditum Quo vteretur infans (1uxca quorunda pla citum) in filuis enutritus,& ab ou.ni ho mínum loquentium confortio fesccgatus naturali inftinctu.Ité fi omnis vox ngni ficaret ad placitum, hz quoquc propoti tiones c(Icnt verg,bouo e5t a[inus, Dens efi diabolus, quia quilibet terminus ifta rum inftitui poteft ad quodlibet tignifi ii. Tandem in Genef. loc.cit. nomi na ab Adamo rcbus impofita dicuntur propria illarum, quo maaifefté indicatu" nó fuiffe impolita omnino ad placitam, alioquin malé dicerentur propria rerum. 10 Refp.ad r. probare folum qua(dà cffc voces, qua nan temcté, ac mcté for tuito fuerunt. rcbus impofirz, (ed ratio nabili occatione,& fpectatis e.rum pro prietatibus, vt Do£tor aducrtit 1. d. 22, 3 vn.$. potefl dici breuiter s hinc autem educi non potcft, quod talcm fignifica tionem habeant à natura, quod cx eo pa  tet,ouad multT ill as voces nó intelligüt, et voces valdé affinesaliud fignificant  Ad a. iila vox tantum d:citur naturaliter fignificare, quz apud omncs nationes idem reprefentare nata cft, etiamfi cir ca ipfam nullam (uerit facta impolitio ; cx quo fajwtur, quod fà illa vox faccus per totum orbem idem fignificct,non ob id d;ccnda cft t gnificare naturaliter, fed ex beminum impofitione, qua preciía nihil fisnificaret ;jvndé contendunt aliqu e(Te voccm or;gine hebrzam, et habcre vim fignificandi cx inftituto faltim Deis à quo prima illa lingua inft:tuta eft, &€ retentam fuifie in difper(ione zdifican tium turrim B«bylon, cam.n.difcedcndü eilet, finguli (3ccos fuos quaerebant ; in quibusres (uz condcbantur, eodem v.é do vocabulo que tfi cxiftimatio nullam habet fundamentum 5 fed adhuc magis vana cf ex iftimatio illa de infante ia fil uis «nutr;to, fi náquc tal;s loqucla dare tür à natura homimbus :nd tà, pláné quif q;cam retineret, criamti alium fetmoné addilccrer,vr notat Aucrfa cir. (c&t.2. fi cut fcrmoué patti femper retinemus, cuáli alium quemcunque e;trincü aps prchédamus,igiur infans enntiius in fil uis nullo id:omate loqueretue ;' vt liquet ex celebri illa hiftoria, quam re(erc He rodotus lib.20.de infzncibus enutritis in filuis cü pecoribus, qui poft bicnniíi de miffi carittebant folam hanc vocem be corgquam à capris; cum quibus erant cnu triti didicerant. Ad 3. vox non dicitur fi gnificatiua ad placitü, quia (ignificat ad placitum huius, vel illiusfed quia tignifi cat ad placitum alicuius cotius cómuni tatis, vcl alicuius habentis auctoritatem in ca,yndé non licet caique   figni Cà 7 244. Difput. 11. ficata vocabulorum,fed (tandum eft v(ui cómuniter loquécium,vt docet Scot. 4.d. 1..$.iuxtà quem propofitioncs ili bo mo cfl afinusy C7 c.v zrificari non poflünt. Ad 44,omina rebus ab Adamo impofita diccbà:ur propria rerüsquia ex eius infti tütione oés deinceps illis vli (unt,co mo do, quo nüc bomo d;cituc nome propriu ammalis rational;s, et Frácifcus nomen propri cuiuídam indiuidui, quia omnes iliis'vuimur ad has rcs (ignificandas. Quid importet vocis fignificatio, C" quomodo exerceatur « 11 Vid tit fignificare ; quidue fi, Q gnü;à quo verbü tignifi carc de" tiuatum cit r. p. Ift. dialec. trac. 1c. obiter declarauimus, nüc ex profetfo exa minandum eft, quid importet vocis (i gni ficatio; et vt quacfiti fenfus magis elu ceícat, hic per fignificationem intelligi mus vim, quam habet vox in actu primo r impofitionem ad hanc; vcl illam rem. ignificandam, et quarimus, quid dicat ; quidue ponat in ipfa voce, et loquimur dc vocibus articulatis ad placitum figni ficantibus, non vero de inarticulatis, et naturaliter fignif.cantibus, in his.p. clacü cfl vim tignificatinam aliquid reale im portat e,potentià népe,& aptitudinctalis vocis ad talé i (ignificada, vt gemit? ad dcnotádum dolorem,rifus gaud;üloqui würcrgo de vocib.s articularis, qua vim lignificandi habét ex hominü impo fitioncsquid dicat figaificatio in his voci bus, et quomodo exerceatur;.i. quomo. do ingcrat audiéd notitiá rci (ignificata. D. Thom.3.p.9.62.art. 4.ad 1. (cntific vidctut hanc [/2nificacionem e(fe forma réalem, et intrin(ccá ipfi voci,veluti vim quandá,& virtu: inzxtflentem illi g gn€ di notitiam rei fignificat in mente altc  tius,itàvt contincat in fe virtualiter con ceptum rci, qucm caufat in àn:mo audié tis, fic cnim loquitur, [m ipfa voce séfibi li efl queda vis [piritualis ad excitadis intellettum bomai5 et hinc confcquen ter voluifTe videur,q exercitium fignifis cationis vocis, cü actu generat notitiam De Vocibus; rei fignificatz, fiat per aliquam canfalí taté phyficam, qua vox producat cogni tioné ; quem opinioné refert, et reteilit Do&or in 2.d.41.ad 2.2.3. et in 4. d. 1. q. $. B. vbi de hac re fuam explicauit fen tentiam quz eft communiter recepta, et fequentibus concluGonibus declaratur.   11 Dicédà in primis eft fignificatio nem in a&u primo nullam formam realé et incrinfecam ipti voci dicere, abfolu tam;aut refpe&tiuam, fed folum denomi nationem tcalem extrinfecam deriuatá in ipfa à voluntate primi inftituévs. Có cluíio quoad vtramque partem cft Scot, loc.cit.quam tenent Recentiores omnes Hurtad.d:fpuc.8.1og.fec.2. Arriaga nu. 20& 11. di[p. i3. Auería q.6 Lóg fec.3« et alij pa(Tim; Quoad primá partem pro batur à Do&orc;rum quia fi vo: haberet talem virturem vt ait S. Th. tüc mouere poffet intelle&tü audiétis sim (llam inten tioné,inquátum.(. cft vox figmficatiuag et lic vos Latina, v.g. lapis mouerct intel lc&um Grazciaudientis cà caulando in €o conccptü lapidis; qué tn fe continet, probatur confequentia, qu'a cóceprus fi gn'ficat idé apud omnes; tü quia calis vie  tus per modü qualitatis (piritualis,vt po« ncbatur à S. Tho.non poteft inefle voci, quz materialis cft, et corporea, enis .n. accidens (pirituale recipi in (abiecto corporeo przfertim naturaliter. ti tádé quia in voce impofita ad. fignificandum nulla ralis fora reperitur ex natura rei, vt patet dc voce,blitíri, ergo neque impofitionem recipit aliquá talem for mam, (ine abfolutam, fiue rclarioà, ficut ncque in ramo appotito ad vendenduat vinum ex tali impofitione vlla qualitas dc noao, vcl realis relatio imprimitur. Forté dices, ex tali impofitione dere rg sa faltim in figno relationem realem ad (ignatum. Scd nequc hoc dici poteft » qua idem prorfus fign fimul, &yfem:el à i erfis imponi poteft ad oppofita fizni ficanda;at relationes reales oppofita ci d€ (imul conucnire non potlunt. Si dicas conuenire polfe ex diucríis impotitio nibus, yelucicx diaerfisrationibus fün, dandi . Contra ett, quia impolitio n;hil realc;& phbyficum unpottat in figno fe ibis; ! Quail. I1. Quid fit vocis Jfiniificati : 3b im(jonentis voluntate nihil realc pro ducatur,nec in re volita, nec in voce im pofita, nec in re fignificata, ergo nequit efle ratio fundandi relationem realem . 13 Ex hocprobata manct altera con cond eh. fi.n. hzcvs. fignificatina in vocibus non cft aliqua qualitas imprc( fa in voccà voluntate imponcnüs, neque relacio rcalis in voce derelicta, fequitur aliud non efle, quàm denominationem realem cxtrinfecam. derclidtam ab actu voluntatis primi imponentis,quz cxpli cari poteft per relationem rauonis, vc. Scot. decet loc.ci.in 4. Et probatur, quia nucem,vel ficum fignificare hanc, vcl il. lum fru&um aliud non cft,quàm hoc vo cabulum inft itutum fuiffe ab hominibus, vt proferatur à'quocunque;qui tale fru «tum intédat fignificare, id aurem in tali vocc non dicit,nifi denominationem rca lem c«xtrinfccam. Accedir, quód clTe co gnitü,cfle volitum 10 obicéto non dicit, ni(i denominat;oné extr;nícca ex Doct. «it.in finc quatft.cd hominem v.g.figni ficare animal rationale aliud noncít, d ;hoc vocabulum bos;o fuificalümptum à voluntate primi inflituentisad id figni ficandum, qucd non cft, nifi terminafle actum voluntatis primi inft itucntis. De niquc hac fignificatio poteft in vocibus mutari ex va, vel confuetudine, vt expe ricnria conftat, ergo fignificare non cit quid rcalc vocibus in'rt;n(ecü, fed peri . tus extrin(ccü, cx voluntate hominü j € dens ; id tamen explicari pot xr rclatio nem rónis, quatenus hee fignificat o in voce cócipi lolct quafi vittüsquadà in trin(cca fundans rclationé adjnotitiam gi gncndà in mente audicntis ;'! abfolute t loquendo ita explicati non debct, quia ita nó explicarctur, qd dicat à partc rei .Scd diccs,licet (ignificatio in potentia proxima .i. vis, quam habet vox pcr im potitioicm ad fignificandut, non dicat quid rcale in vocc, fignificatio tamen in potentia remota,ustenus .f. potefl vox atlumi ad hoc, vcl ;llud figaitcandum; vidctur dicere aliquid reale, Refp. hanc etiam potentiam remotam, vcl non di «cre, nifi denominationem cxtriníccam dcriuatam à yoluntate potente. iinponc 14 re, vcl ad fummum capacitatem, et po tentiam quifi obedientialem ad agens intelle&ua!c, vt illa vtatur, velati (igno, ad quicquid velit Ggnificandum . 14. Dicendum (ccundo exerciciü figni ficationis vocis, cum,f. ingerit aud;enti notitiam rci fignificate,non ficri per ali quam caufalitatem phyficam 5 qua vox producat coguitionem, feu conceptti red in mente, icd &cper quaedam cxcitatios nem, et caufalitatcm veluci motalé, qua vox morzlitcr excitat inentem auditoris, vt ad prolut;oncm vocis, cuius tignifica tionem (cit, latim cliciat tci. fignificatae conceptum mceritó fpcciei. impref'a il lius,quá prz habet. Cóclu(io quoad verá que parte eft Scoti loc. cit, et prima pats patet ex cenclu(ione przcedcnti, cum .n, vox lit accidens materiale, non[poteft ha bere vim prcducendi cognitionem intel Icétas, cuz fpiritualis cft. Alteram parté vcró. probat Doclor declarando modi, quo vox ingerit notitiam rci bgnificatas in audientemodus auté cft hicjquod vox tantam immutat fenfum auditus, nec ha bet cauface infeníu, vcl in phantafia, vel in intéllc&u, nifi conceptum vocis cx fe; auditu tamen immwutato à vocc figuifi catiua immotatur p haniafía,& memorias et rememoratur rei, cu: tale nomen fuit impolitum, et ficexcitac;ntellcctum ad. contidcrationcm illus rei,cuius prius ha buit notitiam non .n.moucret,& excitd rep, nift rcs, cui impomtut, prius fucrit fibi nct, et quodad rem illaa fignificán dam impcncbatui; et li haz conditiones funr in audicnté, tunc vox reducit prafae to modo iptellcétü ad a&ualem intelle &ionem illius rei prias ootz habituali ter pcr fpeciem prius habitam; ità loqui tur Docter in duobus ;ocis iam cit. 15 Ex hoccolligicur, quod vt vox (i gniftcatíua (uum munus exerceat ; ducat    [mentem audientis in itionem rei fignificatasscriplex notitia fcquiritur, tü cx parte loquentis,tum audicpus, notitia fpfius vocis, tignificationis cias, et rei fignificatz pct iplam;tequinitur hac tri cx nouitia cx parte lo:jucntis, nam qui verba profctt, dcbet prius in mente illa habere; debet ctiam bgnificationem vg» eis "ul di. md ' 246 cis callere,qui .n.nefciret vocé, vel figni» ficationcin cius, cercé vu non poflet rali voce ad al ud ign ficinduin,tandem de. bct haberc not.tiam rei igni: cai » qu à Cr voccs non Dgnii camus, n.liresa no b: cognitas; triplex ergo notitia predi € jrzrequiritur ;n loqucare, cum hoc tamen dilirimine, qaod rocitia de voce in (c et rc lignitcata per vocem elle de ber actualis, quia qui dc aliquare loqui tur, a&tu cog tat in mente, et vocem, et rcm uignificaam. per vocem, fed noticia figa. ficaion s vocisfuflicic quod ut ha b talis, non .n.opus elt, vt loquens illius actu recordetur . Sed dices interdum acci dere,vt qu's vocé profrat, cuius fignifi cationem ignota,& cólcquentet ré tigni ficatam, ut i Italus profcrat verbum Gal licum,vc! Hi(panum illorum 1idiomatum ignarus. F.elp. quod in tal; cafu non pro fertur vox formaliter, et quatenus. figni ficatiua, ed folum materialiter, tanquam fonus quidam ad mod vocis non (ignifi cac;uz quo pacto Picz,& FH fitraci voces quafdam arcicularas efforinare folent. 16 Quod autem cx parte auditoris pa riter necctíaria fic illa triplex notitia de voceyde figaicatrone vocis,& re per vo €€ lign:fiata, clac. (Inné docetur à Sco to loc.cit, et probatur ab co, quia fi ab audiente vox ignoraretur, vcl res fignifi €ata per vocem, vcl «uod ad talem rem fignificandim tucrit impotita,nullus p/a né conceptus (ait Doctor ) caularetur in eo dc illa re, ergo dcbet audicns fcire, uid vox figmficer) deber percipere ip dos voc slonum i tan 'ein [peciem ha bere rei prolaiz, vndé fübdit Doctor in 4«it. quod pervoces non intefligimus, pifi res, quarum habemus fpecies qua ra . tione in 1. in]uxt vocem liguificatuam effe (ipnum rememoratiuu ad placitü. Cum hoc tamcn difcrimine prazrequici. tur in audiente triplex praefata notitia, qp potitia vocis nccetfatió debct e(se a&ua lis,ni (i.n. aud;és interaa cogwationc pcr ciprat loquenus vocem, nullatenus pote rit rem percipere ex vi vocis prolata:co itio veró (igaificationis vocis non de EK effe neceitarió actuaiss, fed (ufficit ha bitaals, vt de loquente dicebamus; noti Difju.1I. De Vocibus. tia veró rei (ignificatee nullo modo so teft cfic aGualis, neceífarió tamen cfe d bet habitualis; nequit effe a&ualis, Quia cum vox à loquente proferarur,vt 1ngerat audiéti notitiam rci (ignificatg, vuque tal s noticia nó praexigitur in ade diétc,fcd potius de nouo gigoirur in ipfo ad prolationem vocis ; 1mó actualis co. gitatio rei impedit actum tignificanionis, o ré bigaificare alicui eft rem iili notis care, li igitor ille rem a&tu cognofcit, vox lignihicariua (uum munus excrcere non potcít,cum fit przuenta eó modo, quo ait. Dod&or de inreliectu agente in Angelis, et Chrifto Domino;fuppofito, quod ab inftanti (az creacionis omnium (pecies receperint, Debet tamen neceí (ario etíc haoitualis, quia quantumcungg. fermo proferatur, (i audiens non habet in fe (peciem rei prolarz, nullus conceptus cau(arecur in co dc illa rejquia conceptus rci v.g.coloris,cau(atur in incelle&tu pet propriam fpeciemilius, nec vllo modo fpecies (on: qualis cft I pecies vocis,.po tcít caufare in intclle&ta conceptum ca. loris ergo necetiar;ó pratrequiritur ia intclleétu auditoris f(pecies.lltus rei, de qua nt lermo., ad quam feconucrtat in tclle&tus excitatus per vocem, mediaa te illa actualiter rem coniideret. 17 Sed Auer(íaxcit.cü cotum hínc Sco ti do&rinam tum dc vocis lign ficatios ne,tum cius cxercítio rronfcribac ("licet eum non memorcet g'ati snimi gratia y VE mor;seft Kcecentiorü) hoctamen, quod. poftremo dixi;nus, nó recipit,nà cócl. 3. contend.t notitiam rci (ignificatz per vo cem non ncceflarió debere ellc habitua lem, quia fzzpe vnus cx locutione, et do trina alterius addi(cit,qua nü juam fci uerat; et ad hoc (c extendit etiam uigaifi catio vocis, vt non folum poflit in menté reducere Hla, qua audiens al quando co it» fed ctiam poflit de neuo mani  feftare illa, qua nüquam fibi fuere nota, Fallitur tamen Auería, quia iuc audicns acquirat per voces coguitionem alicuius complexi de nouo, fiue incomplexi, quà nüuam hibuit A femper fx p voccs earü rerum tigni itla$, quarum fpccics in mente habcbat, et illarum vice tuc Q uefl, LII. depeife£l. erimprfvocalia fignife.   47 tute acquir.c cognitionem nouam illius «omplexi,vel incomplexi,quod de nouo fibi à loqu&te nou ficaur; vt fi quis p vo €cs infinuare velit aué, quz (olü in India naícitur ; hoc vtique cxplicabit per vo ces nobis notas, quód nempe fit auis ta liscoloris,magnitudinis,&c. quarum rc rum fpecies iam pridem habemus in mé tc, et ex carum concur(íu dcuenimus in notitiam illius auis ; 1ta etiam contingit, cum nobis manifeftarur aliquod cóplc xum,id .n. fit per voces catü rerü fignifi €atiuas,quarü fpecies apud nos habemus. Verum cft hanc ié effe penitus animafl 1 Cà, Ícd cü voces quatenus fignificariue lo gico cóliderandz proponantur ; non fuit absre quz(itü hoc de vocis fignificauio ncquantü ad prafcnsfpcctar, re(oluerc. De fetlione, et imperfe&iione vo so umm fignificando.   ^7 18 qA Vplex attendi poteft perfc&tio ; i 7 vcl imperfectio in lignificatio ne vocu;veritas f.X falfitasdiftiottio,& confufio, ficut .n. cognitio habet reprcsé tare obicétum vcré, vel false, di ttincte,. vc! confusé; ita vox in fua fignificat. one habct fignificare veré, vci false, ditlin été, vclindittincté ; et ficut in cognitio nc veritas j claritas, et | diftinctio petrfe €tionem importat,impci fcétioncm veró falfitas,& confutio, ita pariter in fignifi Catone vocis, veritas, et claritas dicitpeiteétionem,falíitas, et cotutio imper tfcctionem. Dub.tatur iguur in pratcnti dc pcifectione,& impcrtcétionc vur.ufqs generis; de ventace, et faliitate dubita tur;quid impertent in vocibus, an 4. quid rcale,nccne,& vnde fumi dcbeánt, an cx «ontoriiuate, vcl difformitatead rcs. li gmficatas pcr voccs, num potius cx ipla cognitione vcra, vel talla in iniclle u pia ccdcuti, vL arbitraur Aucrla €t. fect. 7 vbi docet vo.cs dcuomunari vc ras, vcllullas p varticipationé veritatis, vcl t.líütats, qua incinfecé in cognitio Dc repetitur, 3dcÓ vt propoütio vocalis fic vera, quaudo lucordinatur iudicio ve ro»i€u Luolbicuuut loco iudicij veriyune / vcro (it fal(a, quindo fübordinatur iudi cio falío, feu loco illius fabftituitur.. 19 Dc perfectione veró, et 1mperfe Gionc fecüdi generis puta difli &;one,&c confutione, maius adhuc extat dub ü, an dift nctio ligniíication s vocis, ac indi ft:nit.o proporuone fequatur. diftin C; oné, et confufioné coceptus mentalis in reprafenando, itaut rcs extra caliter pracisé per vocem fignificetur, qualitet interius per mentem concipiur, ampo« tius interdum cóunpgere poffit,vt res dis. ftin&ius per nomen, et magis proptiéac fign; ficcturjquam per men. tcm cócepta fucrit à loquente. D. Thome cum (uis 1.p.q. 13. art. 1. tenct meníur& fizn ficaticn.sfumcndam císe ex conce piu loquent;s,& idcó non potic aliquem perícétius rem fignificare alicui, quam ip Íe cogno(cat; (equürur Recentiores quá plures Zumcla p.q. 3.att. 1. Valéría püc, 1,Fon(ec.2. Mct.cap. 1:9.2 fet. 4. Suarez difp. 30. Met.fe&t.13. nu, 8. et 9. et 1. p. tra&t. 1.]. b. 2.cap. 31. n. 13. Hurtad.difp.  8.Log.$.14.Amic tract. 3 1.Log. difj. 1. »1.dub.7.art. 2. et alij. Oppofitü docuit otus 1.d 22.q.vn quem fzquuntut ne dum Scotiítz iEidc, Laber in 1.difp. 48. Vulpes to.r p. t.difp.2 2. arc. 2. Sanifing de Deo vno tra&t.2.dit jp. 7.4. 2. Poíná.1. d. 22. verum et'am. Nominales omnes Ocham,& Gab. 1.d.22. et ex Recécioris bus Molina i.p«q. 13. art. 7. difp. 2. et Vafquez ex profeiio diíp.$7. At quidam alij Kecentiores,vt Auctía cit.fect 6. me diant ipier vtráq; fententiam, et inui üt voccs non poffe perfcétiusrem iignifica re aydieniisquá nota fit loquenti y fi au« diés nullam vnquam notitia babucrit de illa rey fcd omnimó de nouo acquirit ill li vetà talem nocitiamaliquádo habuit » et Ípecies impretia rei in iplo remanfit. y tuuc voccs colunt perfectius fignificare rem audicntiyquan nota fit loquenti exe cicardo in audiéte notitiam virtute illus Ípeciei paitceliorcm: quod curs exéplis infca ivan ietlubitur, atque in hun. ifo dum vtiá.uc copcil.át opinenésdiccnic s D. i bom. in primo séiuloqui, et Scot.  in iccüdo vt claé deduciuuc ex cxéplo, $p aduucit de ignorante L.ngua habraxcà, ^ 4 "5E" i 249 Difpu.. 11. A characteribus illius linguz nomina im néte,& quidem in hoc fen(u intelligit Lors fequitur sététiá Do&oris, jp rc folutione que(iti quoad vtramque parté; 20 Dicendum eft primó,quod veri tas,& falfitasinvocibus cft mera dcno minatio extrinfeca, propric, et per fe p €cdés nó ex cognitione intclieQus vera vcl fal(a,cui fübordinetur vocalis fermo, vcl cuius loco fnbflituatur,vt aicbat Auer fa, (cd cx obic&is à parte rci ità fc habé £ibus,vcl non habentibas,ficut per voces fignificantur . Conclofio qucad primam parté colligitur ex Do€t. fupra cit.in 2. d.42.ad 2, q«2. et probatur, quia voccs intantüi funt verasvcl (alfa inquàátum fi^ ificant,adeóut tignificatio ipía tit vni €a;ratio fundandi veritatem, et falfitate, fcd ignificatio vocü formaliter eft fola denom nato extriníeca ex voluntate pri mi inflituentis in voccs deriuata, ergo € veritas, et falfitas fuper ipfam tüdata etit fola denominatio cxtrinfcca . At inquies, veritas copnirionis dicit fotinaliter relationem rcaiem ín cogni tioncad rem extrà,vt decet Scot. 4. d.8. q.2. fub V.crgo idcm dicendü de vcrita 1c in vocibus, imó Do&or ibi loquitar nonío!ü de veritate orationis métalis, Ícd etià vocalis, vel fi veritas in vocibus faluator per folà connotationé ipfarü rc 1G (ignificavarífità fc h: be nuü, vr voces deciarant y'occzit codem g;6do (aluari in €oncepribus métis. Ref». E o&.loc. cit. fon explicare;an rclatio, qui digit cogni t0 ad obicétum cxtra, lc rcáhis,vcl ratio nisl. d admitio pro nonc, quod fit realis (nm de hoc ;niià difput.10. ) ncgáda cft paritas de concejt bus, et vocibüsin fi gnificado cóccprus n. n:étalcs (unt figna saturalia ref, et proindé fundare pof süt rclauoré realé repraíentaotis ad rc« pra(entatum, at voces [unt figna ad pla €num repra:éuntcs bocvchillud non ex inttinfcca fua natura, [cd cx mero homi. nem lib.tog& 1deó veritas, et faifitos in ipfis à parie rei nonnili lolam denomis mationé cxiriníecam importare potcft. 211 Quod vcró hxc denominatio cx« winícea ium€da fit exobicéto a partc rei ità (c babenic; vclnon; vt (er vcccm cx« De Vocibus »4 9 primitur(qua crat altet' pars cóclnfio9 nis)noautem cx cognitione vera, vcl fal fa przcedente in inielleQtu, colligitar ex. Do&.cit.1.d.27.ad 1.q.2/& 4d. 8; q.2. infra V.& probatur, tum autoritate A rift.in przdic.fubft. quam Scotus ibi ad ducit,ab cojquod res efl, vel non eflyorae tio dicitur verayvel falfa, et quidem A. tift.ibi nedum loquitur de oratione men. tali fed etiam vocali; tum qura veritas fi» gni cótiftit in coformitate eius ad fignae tum, fed voecs pecfe, et propriéfunt fia.  gnarcrum.&aà cóceptuum cx dictis q. .heias difp.tam tandem, qnia farpius fer n:o vocalis dicitur falfus nuila prceden tc falía cogmtione in im elle&u, et ita sé« per cuenit;quando habens in mente verá rci ccgaitioner exterius oppot;tm atfe rit volensaudyemtcm decipere, ergo im  |iftis cafibusfcrimo vocalis nonpoteft di»  ci falíus ex falfa cognitione quat in k 7 w le&u przcedar,cum nulla talis adt falfasdicctur, quia nóneftconformisobicéto cxtraj& ita vniuerfaliter dicendü. | ett. Hictamen aducrtendum eff,quódli   «ct veritas locutionisconfiflat pizcipue   iv conformitate ad rem extra, vtt com. pleta fit ex omni parte; exigit ét conforz mitatem ad mentem loguends; cótinge tc.n.poteft quempiam mcentiendo verit  obic&tiué diccre, et non mentiédo dice re falfum, vt eum im meme fua filiàm ha. bct exiftmationem dere, et ita etianr falfum enunciat, putat tamé fe verum af (crere;vt ergo vox vel locutio fit come plcté vera, petit vtriquementi .f. et obie Cto cóformati, qura vtrumque fignificat, licet diuer fimode, vt diétum cft q. r. 21 Dicédü 2. polle voccs perfectius fignificare r€ audienti, quàm oota fit lo quent5 ita Doctor 1.d.22.& quidem in cocaía, quo rcs fepponatur audienti ha bituahter nota, inquo fenfu przíercia Scotus ibi loquitur ; manifeflé probatur  exemplo ab ipfo ibidemaddu&o, fi qui linguam pebrici ignorans, X charae tcics ilhas, imponeret ips nomina ordi. nc inter ipfos (eruato, vt primo characte ti vpum nom.é,íccundo abudstertio aliud! ttibucret, &c« certé nomina hacc difline eus X chris ciaéecierol Ru | «acns : "itam  |a o6 audiens h Quafi ITI. de petfe£leo imperfect eoocum infronif. 249 fcientibus litcras Ha braicas, quà is, qui «anomjna impofíuit,ipfas literas intelli geret. Aliadüo exempla addit Vafquez, nimirum fi Rex prazciperct Duci exerci tus,vt infülam primó capiendam vocaret nomine Regisv.g.Philippiná,& fi cacus imponeret nomina coloribus, audito no tnine talis infula,vel auditis alium colo ri nomimibus,perfeétius cóciperet Dux infulam, quiam vidit; et cegit ; quàm Rex;qui noa vidit,& nomen impofuit,& perfectius conciperet colores, qui illos vi dit,quàm czcusqui non vidit,& nomen impofuit;concludtt igitur Vafq. cü Sco to, quód dum quis lrbens imperfcé&tio fem rci notitiam loquitur alteri,qui aliü de petfc&tioré notitiam habui(fe fuppo nitur;,cxcitat in illo actü perfe&tioris no tiuz,vt (i fciés loca fancta Roma ex rela ione aliorum narraret alteri; qui ea loca. iffetaudiés diflinctius, et melius per 'etyquàm narrans . Et hoc fuadet ra tio à priori,quia voccs nó folü vim habét i i notítiá audienti rei antea igno in FT s notitià przccden aliter m, quan T ism iubet  no titiam perfe&iorem de re loquens, bzc vaque excitabitur, vibricos tali ca fu voces perfe&ius rem fignificabüt au dientiquàm nora fix loquenti;idem tenet Ouuicd.controu.8.Log. n.6. Retpondent Caiet. Suar. Hurtad. A mic. alij in hisca(ibuscognitionem il lam perfcétiorem im audiente non oriri ex vi vocis,& fignifi cationis eius, fed ex fpecie impreffajquam de illa re habet au diens perfeétioré, quàm habeat loqués qua fpecies excitata. eft ex auditu illius vocis; ideo inquiuot dici nó dcberein his cafibus voces perfe&tus fignifi care, quà loquens concipiat, quia ad ignificationé attendi dcbet id, quod pcr fe eft effectus fignificotionis,nen autem quod per acci dens fc habct, et aliunde prouenit. 13 Sedvalde fallun:ur Aduerfarij, dr putant cxcicatiorem fpeciei factá in au diente per vocem per accidensíc habere ad vocis fignificauonem., et eius exerci rium;nam q.praced. ex profcílo demon ftrauimus ipcciem 5 quam deícingerit Logica. Ha vox in menteaj auditoris, non fufficere €um inteilcCtu ad rcm fignificandam,de qua fit fermo, fed neceflarió przrequiri in intcllcétu auditoris (peciem illius rei, quam vox fignificatyqua fpccies per vo Ccm excitata concurrit poflcacum intcl kétu ad pariendam noutiam fignificati, ad cuam occafiopaliter tantüs& per mo dum excitantis vox babet concutfum; cá igitur talis excitato. fpeciei in audiente per fe fpcétet ad fignificationé vocis, et cius exereitium,nccalio modo perficia . türyac exerceatur fignificatioquàm per przfatam excitationem cx dictis q. prz ced.concl.2 .ruit allata refpótio.' Accedit, vt bene notat Auería cit.contra hanc fo lutionem, quó4 voces poflunt fignifi care, feu. eaufarc cognitionem in mente audientis,vel per modum notitiz noua, tei.f.antca ignorasvcl per modum reme morationis exciando audienté ad actua liter cogitandum de re alias (ibi nota ex di&is q preccd. licet ergo in prafatis cafibus taEs perfectior netitia in audien te non oriatur ex vi vocis, et fignifica tionis,quz refertur ad caufandam noti tiam dc nouo rei alias ignota ; oritur ta« menex vi vocis& fignificationis., que refertur ad excitandam, et renouandam antiquam nctitiam rci prius nota. 24 Sed maior cft difficultasca(u,quo res,de qua fitfcrmo, non fupponatut au dienti aliunde habitualiter nota;an ctiam tunc poffit res diftinétius fignificari au dienti, quam nota fit loquenti ;.& quidé quamuis Doctor loc.cir.id nó exprimats ratio tamcn, quam adducit, id etia o(len dit efle poflibile,quia interdü (ait Scot.) alia eft ratio, cx qua defümitur nomé, &C alia;ad quà fign: ficandam. afiumitur, ine terdum.n. qui nomen imponit, certàali« quain róncm inre nominata conlideraw uit,ex qua metiuum accepit nomen ime ponendi sm aliquam ethymologiam; te mcn non adiilà pracisé rationem fignifie candá nom en impofitum clt, fed ad ab« foluté tignificà dum rem ipfam sth omné rationécius ; fic homo dictusett ab hu molis à lari one pedis,& ti hac nomi na non G grificant has pracisé rationes» f«d ab[oJuté ; et adaquaré ipfas res quae : Bb do h on. 250 Difput. 1I. do&rna cítetiam D. Thoma 1. p. q. 13. art. 8.1mó ita cft vt plurimü,inquit Do &or, de nominibus (ubftanuarum, quia imponcns nomen fubílantiz. non conci pit de iilayn:fi aliquam proprietatem, vel accidens quoddà, quod cft,tibi ratio im ponendi nomen, v. dicebamus de fubftà tia hominis, et lapidis, et tamen nomé in fc non figu:ficat folam l&fionem pedis, d folum coacipicbat impofitor nominis, cu non:cn impofuit fcd ligoificar fubttan tiam illam tctream;s et auditor boc nome audiens plus intcll git, quam folam la fioncm pedis,ergo nomen fimpliciter, et abfolüté loquendo plas hignificat vcl i guificare potcft,quàm hit coguitio 1mpo ncniis,vel quam oftendat 1mpolitor no minis habuifle io. inm pofitione illias ., 1$ hefpondét Adueríarij rcsà nobis gnificarisquomodo intelliguur, vndé (i fubitantias in feipfis.non intciligin.us, poflumus imponete nomen, «uod illas infe fed tantum cx al qua róprictate nob:s cogoita, quaté ficut ex Ls proprietate Icdédi pedem cognofci nus naturam lapidis contusé, ità lignifi «amus corfusé. Cora «ftyquia fi pcr no anina (übftantialia à nobis impolita non fignificaremus «mdditates fubfiátiarum án ic, (ed prec:se (ub vclaminc ptoptie tatis 1n Cocretovnde defum pium e(t no mcn,plané nó aliud etit lign. ficat ü fubie €i, X aliud prz dicatis cum dc fubftantia aliquam enuncia; us proprictatem y. vel €pcradoncm, vnde fc nius hiius propofi Wonis [apis ledit pedem ycllet lgies pe «cm lzdit pedetb, nc igiwir nugatoria fit propotitio,layis figuit.care dcbet quiddi Satcm lapidis:n (cji o0n praciscvtinfi nuatur pcr Ieliorem p edis Acccditquod voccs illad t guificont, cuius cóceptü ine gerunt audiéti, ingorunt aüt audienti co €cpium 1€), non autcm modum, quo Io qucn$ rem :psà conciyiu,nam modus,quo sudiens concipit rca auditá;non folü cx iilo igno, et vi novi n.$ icd cx alis etia princiyjijscosnolceedicrium ducit, puta &x perfectione inicllcétus ; qui excitatus à 'gaificauonc r.onunis, lua vi r Gigni ficaian cifbpétus auingit pencirádo il luis pra dicata; cü igitur perfectio fignifi Deldbaseds uy. NN cationis non tantü ex cógnitione]oqu&. tis) ed ét audientis penfanda fit, Sm rientia conftat, nà audito vno, et codem Iz nomine vnus apad figni&catam perfc&ius, quàm alter audiens, bené cfle 9s du pót,quodimponcosnomenlapidilze(üO.  nenitantumpedistunc cüceperit,& au   dientesillud nomen nócademmodocó cipiant;fcd aliquid amplius, quia modus concipiendi auditoris non nccceflarió ar Qa:ur. ad mod concipiendi. loquentis. 26 laoppoütü ob.jcuint Aducrfarij, prafcrum Spar.loc.cit. primo; quía no» mina co n.odo fignificant, quo poffunt vi (aa caufare in audiente noutiam rei fi». gnificaiz, hzc cft enim communisratio ugniex Auglib.z.de doGt.Chrfl. cip  pizr fcaliquid aliud faciat inane 2 venire, fed vis (ignificandi in nomin tut a cognitione 1mponentis,& ei come meníuratur, vnde Gencf.a, adduxitie animalia ad Ada Quid vocaret ca, eigo €tuus ignilicarequain d ficatü iouccit. Conf.quia | ne aliquo vnus concipit petfeetu. rcm bignificaram, id »on cfi,CX VIT nisJed ex alijsricipijs cognolcédi,qua ^   fuppctunt vor et nonaltenaudienti fed.   fignicatiovocü c(ica,quamh:bent và  [ua x mponentisintentianc,adcó que ét. €x cogniuone, quomodo .n. pót intendi fignficauo,quz pon cognofatur? Conf.  acLuc,(i quis nullo modo rem cognofce ret ; illi ccrté nomen imponc:enon pof íct ergo cum1llà impciscété cognofcit, non potcft imponcrc nomen eam perfce Cuusignifkás. Confeq.paetex propor  inter 1gnorare rem fimplicitercáq; cegnolcere in ordinc ad pofle, vel non pofic illam nominibus fignificare khurus vox non fignificat ré, nifi quate   nus conceptamycrgo nequit nomé diltin €€ rem fignificarc,cum diflinété percóes €cptun non repizfcntarur . Tandem cóe cít axioma facilius cffe rem concipere, d explicare,ergo nó potcft quis mes 22 Kcip. ad prin üncgado maiorem, faltuui cnim eft nomina folum eo n.oda 65 mficare ; quo yi biaqo n OAEMWC  Quafi. TL. de perfell.em imperfell.vocum in figmf. 151 fate inaudinte notitiam rci fignificata, ncq..c id habetur m definitione igni, ed folü, quód feipfum, et prater fe aliud fa iatin mentem ven're,tiue hoc faciat fo ! Javifua, fiue adiunctis atijs cogno[cendi principis; minor etiam defiir,£il'um n, eíl men(uram figoificationis (olumfumé dam cífe cx cóceptu loquenus, quia cius pe fcéto non folü ex e, fed etía ex audience per fc peofanda e ?, A d 2. pa tct ner idem, qu'a modnsquo audiens ré conc ipit anditam, non folii ex vi nomi nis attenditur, fed ex alijs ctiam  princi pijs, quz al'unde audienti füppetunt ; et quia loquens rà intendit faa m concipié fi modü,ed pracisé rem cóceptam fignifi care, vt audiens eandem concipiat, modo tamen accómodat» fais primcip js cogno fcédi aliunde acceptus, idco fignificatio, quà intendit, (cmnper céfctur illi nota (al tim confofo modo. Ad 5. ncgatur confe quéri1, nam vci; Coguitio requiritur ex parre impenentis, vt poflit nomen impo nere,fcd quia perteétio fignificationis nà ex ea (ola pender, verumetiam es cogui ' tione audienus, ideó non tenet allata pa rias; et iile modus i valet tant in cau(is preci(is, et in propofito caufa przciía perfcétionis in figuificatione » non cti cognitio 1mponntis, quia ad id eft a(fumprtumjyuatenus inloq ue tc ipponiur feinper cognicio rei. fignifi catz xr yoc£ » (ed quia loqués pcr yocé obie&um cognitd: intend t. ex« audicnu,non modum, quo coci pir dittinctum,vcl cótuíamideo (equc]a negatur. Ad $.orgumentum plus probar,  un veliac Aducrfarij;nedum.n conclu it non polfc rem pertectius ügaificari, quam concipiatur (cd quod nec. éceqag períccte, dictum ignur illud incelligen duum przí(erim cft in explicatione illarü reram quas jo«qu€s y:dit, ac intuitiué no. uit, quía victuce fug locuuionis nunquam potett audienti impartiri voritiam intui tiuam ilius reis quam vidit . 28 Secüdo arguit. Amicus cit. probás pertcétionein tigaificaionis nullo modo per fe pendere xx cognirione audicntis, fed ui loquentis, et imponentisX. idco A |uam cxcedere potfe perfcót.onea eivs ; vel.n. loquimec de i'gmócicione, bituali'er,& plané peelcttio lgnificatio nis in hoc seh nó p€det ex audiéte, quia cóuenit voci prinfquam audiens 36b au et ira nec €t pé lere po eit eius pertectig ex cognitione audientis, cü' potius ipla» met actuilis iguficatio fit c»u/a cogni t onis in audiente.Confirm.qu:a (à je.£e Gio fign ficationis eram ex a idienre pé fanda ctt,fequ tur nallum nomea hibe te determinatam (i?n ficaionem, ficut non eit determinata di(,0fitio aadicatiüt quoad cognitionem rci fignificate, nam alius al:o perfe&ius cognofcit,at negare determinatam fignificationem vocis c( fetomnia nomina facere zquiuoca . Refp. perfc&ionem tignificatonis in acta fecundo, et veluti excrcico nedum perfe pendere cx cognitione loquencus, fed eciani ex alijs princip js intelligendi, quz (uppet&r audienti aliunde, quam. cx vi nominis, vt e£ prztrerica cognitonc » quam habüit de re, vcl ex perfcatione in tclle&us, qui excitatus à f anificattone nomrnis fua vi rem dittiaGus. attingit » quz cognofcendi princijia pracedunc in de re per vocem parta fequatur, et in hoc fenfü dic mus petfc&on£ tiguifia tionis in a&u cxercito pendere ex cogai tionc audietis ', vt rzdkeé noxar Sinifing, cit. Ad coafirm.gratis concedimus nuliá nomé habcre dstecimiaatá 8 gnili cationé quoad moatt ügniticàdi pfccté, velim p fcéte,& ad rale,íeu tà pecifeclà notitiam cau(andà,cffe proríus ind.fferens ad ex. citádá quamcunque iuxta perf. cione in telicétus audi£tis;ncque h.nc (cquituicom nia nomtn eíle a:uiuoca, quia cà inde teraunatione in modo fign:& candi reti nent sé,er determmarionem in re figoifi cata, quod fuflicic ad eniiocationcin, Ay beiuo agat Aucrfa cit cocl. 200 mina fubilituuuiur loco con.eptuum; et intàcum habcat vim fignil cádryinquáac t fic tub(tituuntur' ; loco ip:tur conceptus jmjcrtcáti ponetur vox code modo im peiteéte (go:ficás, et loco cócegtus per» Bb 2 f 2152 Difput. 1 I. fe&i vox perfcGé fignificás;nec fieti po telt vt loco conceptus imperfc&ti (ubfti tuatur vox perfcétius (igarficans.Cont. fi quis naturaliter loquerctur maniteftádo altcri immediaté cócepaim (oum, vcique conceptus rem exprimer iuxta fuam per fcétioncm ralicer,g; íi c(t confufus, non rem manifcftare diftindté., ergo tanto magis idem dicendum dc vocc, cui non co vpctit intrinfecé cx natura fua cé fignificare, (ed cxtrinfecé, et ex libera ho minum impofitione.Demü (1 voces,quz profecuntur haberent vim grgnendi noti tiá perfectiorem, deberent eciam illam gignere in ipfo loquente . fef .ad 1 .conceílo antcccdeute negà  do coníequétiá, quia ficut poceft loqués loco conceptus perfe&i ponere vocé in perfe&ius (igmficantem, vt quádo habés perfeótum rei conceptü profert voces mi nus pcrfedie (ignificantes,ita poteit loco conceptus imperfe&i (übítituere vocem [eus nificantem; imó fi arctacur quens ad (übiticuédas voces. perfc&us iuxta men(urám perfectionis conceptu, nunquam poffent rcs petfe&ius concipi, uam vetbis explicaci (ed codem proríus modo exprimerentut,uo concipiuntur ; cuius oppofitum experétia docet, et 1p fc Auer(a concl. 3. Ad cont.conceflo an teceden:c negatur cóníequencia, cnimue  tb quia cüceptus fant figna naturalia re rum,idcó neque üt illas manitef ire. vltra fvà perfe&ioné innatam, at quia voces font figaa a4 placiti, potcft imponés ha. bita notitia cotufa rei, vcl quoad vnà cius proprictatem tantum, cx cali proprietate nomé a(fumere,& velle, quod calis vox, non rántum illam proprictatem figaifi Cet,fed rotam rem ada quaté, vt diceba inus de nomine lapidis et hominis. Ad vItimum voccs g:gní& illam perfectioré notitiam inaudiencc,non in loquente, tü quia voces per fe figaificant audicnti nó loquenti:tü quia audien: (appetunt aliü dé meliora priacipia cognofcend!, quam babeat ve » quz concutrunt ad per fc&ioné (iguificationis in actu fecundo. 1 De Vodbut . JAM t Qv AS TAÀDAM. De nominibus equiwocis, C vliuocis v ac eorum Kguificatis. 30 qxOlluntres,rtpatetex di&is,medü  p conceptibus, fed etià nominibus »  [3 fignificari,cü hoc difcrimine, quod cáce pcus;veluc naturalis imago res,illan naturaliter fignificat, nomen veró ad placit primi imponentis; ex uo fit, vtquoad. enitatem, et diuerlitatem,cóceptus pro.porrionetur rebus ; ita q» vnius rei vicus, tit cóceptas formaliter, et f»ecificé(pla res.n.namero effe poiTun: érineodé nus  mero intellectu (ucceffiaé einien rem. cognofcente) S plurium rerum plures,, cu m.n. (it naturalis imag » cct » eius nate. ram,quantum fieri potett, imitari debet: fecus autem et de nominibus, reso. jl res,ac [pecie diueríz vnico nom ficari pofTunt,vt patet de voce.c eadem impofita cít ad ga fi nem terrettrem,piícein ; leftefydus, et hzc noinina uerfas vna voce. i gaifici d «quiuoca y uafi plurcsresappláta ea   dé voce,fierictiá potell écOrra. vt vnius  tci plura (int nounnayvt gladius, et enlisy quz eandem proríus xem figmficant, 6C proindé dici folent fynomima, vel malté  Moca;ficri it€ pote(t, vrcespluies conce»  ptibus diuerfis tian fi i dio tia gt vocibus (ign:ficétur, ft homo, et equus» et dicuntur diwer[iugca; Tandéfieiipo  teft,vt plates res.códem conceptu quide.  ditatiuo explicabilesetiameodem. nomi  nefignificen.ur, et dicuntur »AjwoC4, Vt homo,& equus inquantuunanimalia.la  ueque nnomine, et inconceptü per   ud nomcn fignificato conueniunt, PAMé  «oca dicuntur; qua in vtroque d;ffecunt, diuerfiuocz, quz in conceptu conuenit  et in nomine diffcruat ; fynomima, aut  multiuoca, quz demum conueniunt in.nomine, (ed in conceptibus differunt, di cuntur £quiuoca ., .31. Cumveró hzc nominü vanitas, vcl diuerütas rebus. conucniat ex fola ho munuminoüitutione, resipf nó funt vnie  uocz, vcl zquinoczexíc[edralesdicüe isvelallis nemis., Tas v tur,inquantu à nobis hi. : Ee ^ D . Quafi. JP. De c^fequinicis, to Vniuacis  bus fignificitur, et idco zquiuocatio, et vniuocatio (de quibus prefertim in prz fcnti cft (ermo)tàm rebus, quàm vocibus conueniunt per intellc&tü, primario tamé vocibus,& fecundario rcbus; quiaiflz nó dicuntur tales;nifi in ordinc ad voccs vni uocas,aut zquiuocas . Hinc diftingui co imuniter folent zquiuoca, et vniuoca in "actiua& paffiua, illa funt nomina rpfa o vniuocé,vel zquiuocé (ignificantia, ifta funt resiptz illis nominibus fignificatz . Arift. in przdicament. c.1.multiuocis, et diucr fiuocis reli&is, vt (uo propofito inutilibusagit de vniuocis,& zqniuocis, definit zquiuoca, quorum nomen efl có mune, ratio veró Jubflantie importata per nomen cfl diuerfa ; € conta vniuoca definit ves nomen cfi commune, et 'vatio fubfl antie importata per nomé eft eadem. In vtraque definitione ponitur no quenvbi nomen non fümitur in rigore, vt 'à verbo condi (tin&um,fed laté,vt com prehendit etiam verbum, participiumy& ran alià orationis partem, nam in  hisomnibus vniuocatio, et zquiuocatio  cadere potefl, vt lego eft zquinocum ad Yegero;& legare; diligo vniuocü ad actus "dilc&ionis : eff commune; ponitacad in finuandü nom debere omnino vni, et idé non folum per eaídem litteras, fed etiam pet candem pronüciationé, et fjl labarum quantitatem, fic .n.proprié erit cómunc,vnde quglibet diuerfitas, vcl fo lius accentus;tollit zquinocationem: ra 410 fumitur pro conceptu obiedtiuo, fiue fit propria definitio, fiu£ non vt notat Ant. And.hic fub[lanti&;vbi non fumi turinrigore pro fubftantia ab accidente condiflincta, quia eriam in accidennbus inueniuntur vniuoca; et eme. qn fa mitur pio e(fcritia, et quidditate ; 3 (üb ftanue acceptioné docuit. Arift. 5. Mer. 15. Addi.ur /mportata per nomen, quia ratio fubftantiz ad illud idem nomen rc ferridebet, in quo res vniuocantur vcl gquiuocátur, alioqui zquivoca in vno no mine pollunt vniuocari in aliqua ratione «omuni per aliud nomen imiportata, vt Canis terreflris marinus, et celeftis in ra tione Corporis, et fübftznrig. Demü hxc ratio fübflantiz sra idcm nomen in vni Losica, 253 uocis eft eádem, in «xintcis diuerfa y quia hec ende unt, ficut ilJa, füb vno nominc vna definitione ipfis adazquata dcfiniri,& in hoc formaliter co(iftit corü differétia ; ita paffim exponunt Au&ores has definitiones, et prae(ettim noftrates in Anteprzdic. c, 1, et Scotusq. $.. et 6. pradicam. et Bonct.in fua Met.c.2.lib.1. 31 Ex quibus conftat Aritt. definire &quiuoca, et vniuoca pa fTiua, nó actiua »Haquiuoca aquiuocata,& vniuoca vnjuo cata;hoc ett res ipfas, non quidem nudé infpectas, fcd prout nominibus fignifi cantur, et vt fübfunt fecundis intentioni bus vniuocationis,& zquiuocationis,que immediaté fündatur in vocibus,propter« quod eas definiens non dixit &quiuoca funt, vniuoca funt,&c. fed «quiuoca di» Cuntury»niuoca dicuntur, &c. quarc de finitum in his definitionibus cft (ecunda |, intentio conftituriua zquinocorum, et vniuocorum fignificata in cócreto, quo modo fupponit pro ipfis rebus zquiuo catis, et vniuocatis, et in cffe fignaco, vt docent Scotiflz omncs cum ; Cit, et etiam. Thomiftz Sanchez lib.4.q.1.. . €oncl. Nude in przdicam. cap. r4 contra ' ] Conimbric. et alios có tendentes hic definiri pro rcbus ipfis,qu& dcfiniendi medum logico confuctü, qui per fe fccundas intentiones concéplatur y re$ vero, non nili vt illis fubftant, fufius infra declarabimus difp.de Vniucr(.Quàa uis autem hic Arift. ex intcptione dcfi niat vniuoca, et equiuoca paffi ua, adhuc tamen ex his dcfinisionibus facile c(t de finire actiua, nomina .f. vninocantia, et zquiuocantia; equiuocum .n. eft, qu cóc pluribus cft (ecüdüà diner(as rationes Vnpiuocum veto, quod eft cóe pluribus fecundü vnam, et candem, vndé nomina zquiuoca funt Gallus,quod dicitur de ho mine franco, et gallo gallinaceo, Canis,qo dicitur de canc terteltri,de pií(cequodam marino;& ceele fli fydere;nomina vniao €a süt homo, animal, fubitantia,quantie vcn em hcic os irat vniuc r. lis, quz per (c prim ificatur per tà» ha mL, et cft communisplutibus, 33 zn oppolitum obijcies Primo con tra definitionem aquinocorá, quod non "Bb E recte . 254 Difput: 1T. et é affignetur ; tum quia omne defini bile debct effe vitiuocum; cum quia debet e(Te quid vnum, fed aqutuoca (unt eflen tialiter multa 7.Met.32. tum demü;quia £quinoca nnllam habent rónem cómu ncm,in qua conueniant, Refp. Doót. cit, q. f ad 6.quod licet equiuoca fint effen tialiter multa, accidemaliter tamen vni uocati poffunr,quatebus fundare nata süt fecunda intentionem eiufdem racionis in vna ratione cómuni,quz omnia deno minat £quiuoca,& in hoc fenfu süt vnius definitionis capacia, inquo cafu efseria liter zquiuoca, et vt quid, cuaduat vni uoca accidentaliter, et vt modus, quam zcfponfionem caeteri omnes recipiunt, et nos (x piusadhibemus, et magis declara mus infra di(p. Vniuerf. Scd V rgeS,ergo non dcfiniuntur ab Arift. a.juiuoca, vt ! yt ic, (cd potüis quatenus rionem vni uocorü induunt « Rep. G ly quatenus re duplicat ratione definitam,negatur fcque hi, quia hic re veradefiniuntur &quiuoca ro [ecunda intentione; inqua accidenta iter vniuocantar, X corum matura expli catur, velut imn cffe (ignato; fi reduplicet conditionem definiti, couceditur, quía «anditio rei definibiliseft, quód fit vni Uocum quid, vcl e(fencaliter, vcl taltim accidentaliter, vt cft in propotito. 44 Sceamdo obicitur coutra defini tionc vnuocorá,quia videtur cua arqui uocis compctere,nam azquiuoca omnia, vt fic habent rorsen zquiuocationis có munc,& rationem candem (ecundü illud nomcn, videtur etiam conuenire dcnomi pauiuis,quia albums idem nomen, et fccundu candem rationem dicitur de ni ue,& Cygno, non enim hac folü alba di «untur,led ce vera tal:a funt; vnde nó fo» lum nomen, fed euá rationem, et natnra albi parucipantyeftó accidécaliter, ik efp, quod sicut zquiuoca, vc quid, et in effe €X:1cito, dicuntur vn.yoca, vc modus, et veiut in clie signato ob intentioné z:qui Uocatioms; quam fundare poliuar, ita ét acc) dentaluec ; et in cflc s'goato partici pacc potlunt dcfitionem vn.uocorüs Nec valet dicerc voiuoca, X aquiuoca cile op positas et idcó «nüm de aiio pra dicati no pofie euam accidcntaliuer. Opgonunur De Vocdibu: . [ vtique, siambo fumaritur eodem modos at fumendo vrium,vt quid,& in elfe cxcr 18 cito, alterum vt modus, et ineffesigna to5ita non oppontütur, quit potius vnüs vt modus dici poteft de altero vt quid, quo (eníu genus dicitur (pecics vniuerfa. Lis,vt infra. Nec minusallata definitio de nominatiuis compctit,si ly ratio fub[tan ti& (umatur, vt dicat relationem e(fentia. lem effenrialiter vniuocatis conuenien tem, vt vidctur Arilít. intentiosde quo (ta. tim dicemus ; verum tamen e(l denomi natiuis pofTe applicari materialiter,qua tenus idem prz dicatum potefl eíle simul dcnominatiuum,& vniuocum; vt infra« A Tcttio obijcitur, quod prefate. defi» . nitioncs rebus compctant, 110m inteptige nibus; tum quia liabere nomen cc E Á ds à nc cópetit rebus,& nom intentionibi qu Arift. ipfe exemplificauit in rcbu elp«(enfum illarum definitionum matctialem,nempe mis ca dicuntur illa, À. funt fe tiones applicabiles co conccpus, et exéplificaui we familiate ett logici icationcs signatas, qui dicitur, pradicatur, e e perexcra €itasqua fiunt per verbi eff vt fusius dis.   Cermusdi(p.de Vniuerl. Verü vt aquiuge. corum, et vnibocotíi natura magi cluceat, licet fubderedaosa : hác qua ft actinéces,in quibus singillatim horum,& illorum conditio explicewr «.  '  PENAS a Examinatur peculiariter matura   4QMiMOCOTMD. 0000 4$ A Dmaiorer. nominü 2quiuocó A ram intelligentiam nonnulla du:    biayqua de illis moueri folent,(unt breuie tcr rcfoluenda. Primo igitur dubitari fo« let, quomodo tiomen aquiuocum plur. Ssignficet, an plura a&u significet, velape titudine et an füb disiunétione,vel potius füb copulatione omnia (ua significata ue simul contineat. Aliqui,vt Ancrfa q.1$, Log.ícét.1.dicünt nomenzquiuocum cx vidua nude jrolatum actu non gignetc im R.€Rte audientis,nist conceptum nó yiti« matum ros E |  i Quef 1. de Natwwa e Aeguiuotoruni. eL i55 etiem füi ipsius, quantum verà ad rem significatam,dubium;& (afpenfum relin quere audiearem, quidnam loquens si gn ficare velir, aptum tamen effe, vt per appositionem alterius nominis determi naté sigaificct aliquam rem. ex his; qui bus nomen competit . Hzc opinio teij citur à Scoro q 1 1. Elench. tum quia vis fignificatiua vocis exercetur ; cum actu ofcrtur, inordine ad res, quibus impo eft, vc etiam ipfe Auería concedit q,  6. de Vocibus fec. 3. ergo cum harc vox Canis profertura&tu debet aliquid (igni ficare prater feipfam; umquia hoc fer fione prolato Canis moneturypolsüt plu raadu cócipi, quia vnus accipere poteft Cancm pro animali cerreftri, alter: pro marino, alius pro (ydete ; tum quia licet auditor ambiguus remaneat de tmtentio neloquentisad quid fignificandum de terminate illam vocem proferat,non fe quitur, quod ipfe aliquid concipere ne queat a&tü cx nada prolatione illius vo cis,eftà non ad intentionem loquentis ; .tum denique fi actu noa fignificatet vox zquiuoca,nifi detérminata per appofitio nem alterius nominis, fequitur, quód nüquam a&u fignificabit z:quiuoce, (ed femper vniuoc?, quia femper derermi naté ex yi illius appofitionis,  Alij proinde dixere, quód nomen z uiuocü pluta a&u fignificat füb di fium dione itt dicendo Cawis mouetur, fit (en(us vel tetreftris, vel marinus, vel ce leftis. Hunc etiam dicendi modum refel lit Scot.ibidemq.9. quia tanc refponden dum non eflet ad terminum aquiuocum pet dittin&ionem,fi przdicstum vni (i^ nificatorum conuentrec; imó conceden meffet, quód talis propafitio fit fim pliciter vcra, nam ad veriratem difiü&i ez fufficit, quód altcra pars eius fit ve ra. Alij tandem dicunt, quód plura actu fignificat (ub copulatione ; fed ait Do &or q.10.quàd potett hoc bifatiam in telligi,vel ita redi d cadat inter ipfas res Giznificatas quod nempc Canis fignificet, et terreftrei, et marinum, «aelef(tem copulauim ; et ita nó fignificat plura acu (ub copulatione, tum quia id potius cft fignificare vnum; quam plura, quia totum hoc copulatum potefi Pabc re vnam ritronem intelligendi, cum fic cxtremiim orationis, atque ira ctíam ba bcbit vnam rationem figaificaudi, ficut et hocalind copulatum :;n i(ta orauone duoyC tria fimt quinque s tum eti quiae tunc ad termi niim equinocum nonelfet re(pondendam per diftinctionem, fed concedendum ciet, quod pro politio, vel et fimpliciter vcra, vel iimpliciter filfag vera, fi predicatum omnibus fignificauts conucnirct.fal a, (i vni folo non conuenis ret, nam ad copulariuz. fil(icatem fuffi citjqu5d altera eius pars li: falía ;2fio eo. do potett id intelligi, itavr copulitio ca dat,non fuper res Tos "ficatas, fcd fapet ipfos aus (igmi candi, et fic verum cft nomen zquiaocum plura actu indeter minare tignificare, nam Canis fignificat latrabile animal, et fignificat marinam belluam;& (ignificat ceelcfte fydus. 36 Schals dubitatur, an ab(olutéTo . quédo nomé zquiuocá dici debeat. vnü y vel plara nomina,& rati o dubitandi cft, uia nomen formaliter conflituitur pec gni ficationem,ergo cum nomen azequi uocü multas habcat fignificariones, non vnum;fed vtique plura nomina dici dcbc bit; ex alia patteccrié vnavox eft Canis, et Gallus; quamuis plura. fi9n:;ficent P de Arift.aitzquiuoca habcre vni nomen có mune; quamobrem Do&or q.8 .Elench. ait nomen zquiuocum pofle dici voum. mültiplex,quafi vnum complicás multa, ynum f.materialiter, quatenus eft vnus fonus, vna vox, et multtplex formaliter e quia plureshabet (ignificationes. Quan . tüm tamen fpe&tat ad modum toquendi, potius dcbct dici vnum nomen, quàm multiplex, ob rationé, quam ibi Doctor affignat,quía cócreta, aut compofita ac cidcntalia nó vhultiplicantur pro. díocra fita:e formarum, fi enum fit omnium (ü« bicé&à, fic enim dicitur vnus arcfex;qua uis plures hibeatartes;cti igitur in propo fito nomen zcuiuocum fit compolitum quoddam accidentale; et artificiale ex no mine,& voce pro matenali, cx fignifica tione pro fcrmali quis mulkplicetur for malc, nimirum fign;ficatio, ramen nó mul tiplicatur accidentale compofitum, qu Bb 4  ma 21$6 Difput.T T. materiale, f.vox,& nomen eft vaum;que dé&rina confonat his, quz habet quol. ELAC.3. et 3. d. 8. q. vn. et ex profeffoq. fcq.cxplicabitur;qua ratione € contra no gina [ynonima abfoluté dicuntur plara fiomina,non vnum;cílo vnam,& eandem habeant (ignificationem. 37 Tert ó dubitatur, an in mente, fea in conceptu repcriri pe(Dtaquiuocatio, ficut in voce ; et communis feré (entétia cft;quod licét in conceptu non vltimato, qui cfl cóceptus ipfius vocis figuificati uz,| ofTit contingere aliquo modo zqui uocatio,vt bené declarar Tat. in predi. cam.q.2.dub. r.in fineytamen in cóceptu vltimo, qui eft conceptus rei fignificatz per voccm,contingere non poteft, vt Sco us docct q. 1. przdicam.ad 2, Ratio fun damentalis eft, quia vt diximus ab. initio qua .cum conccjus fit natoralis imago rei,quoad vnitatem, et diuer(itaré, pro portionatur rcbus ipfis;itaut eiu(dem rei vnicus fit conceptus, et plurium rcrum plurcs, cum ergo in mente non fit idem conceptus rerum diucría: ü,quz appellá  tür vnico nominc, con(equenter ncc po terit effe zquiuocatio, nó igitur cft cadé ratio de voce, et conceptu ; quia .n. vox non cft intrinfccé fignificatiua, (ed ex im pofitionc,nó repugnat cidé voci diucrías conuenire impofitiones, ficut repugnat CÓceptui diucrías cGuenire naturales rc piafentationes | Quod adhuc magis de laratur,quia zquiuocü cft;quod (igoifi €at plara inquátum diucr(a, (i.n. plura (i gnificaret inquantti in aliquo conuenicn t1a,non effet para zquiaocatio, fed vni uocatio faltim imperfecta, conceptus au tem;cum fit naturalis imagó reinon po teft c(fe vnus, fi obie&a (unt plura, et nul modo vnü, quiavnitas eius in ratione teprafentarionis,& (imilitudinis (amicur ex aliqua vnitate tcireprzfenra:e v: Do Gor folidé probat 2.d 34. ro. ab obic . &o.n.(uàá (umit vniratem (pecificam,nec vno,& codcm acta poetae p'ura obiecta di(parata,vt fic,intelligi,yt docet Bargis I.d. 1.q.4.cx Scoto mulus inlocis, ergo in mentc zquiuocatio cadere no poteit y ita aped rerum difparatarü, et di uer. cf]c concoptus idem,. ficuc cft LO De Vocibus  Ri "o T. d ador s DN R^ a eadem vox, quod etiam ín mente di«ind. "t fuo modo afferédum efl;nam hicét vnus.  realiter,& matcrialiter fit a&tus,quo om nia concipit, tamen ille idcm conceptus ratione diftinauitur, vt cócipit vrd rem, . ^ et aliam,& dicicur virtualiter mulciplex, 38 Quarto tandé dubitatur, quot fint gquiuocorum fpecies, et communis opi. nio cft e(íe duas, quarum Prima eft. cos rum, qua dicuntur puré zquiuoca, qua   «f. (ine omni proríus habitudine, et cons. uenientia adinuicem ecdé nomine (u appellata, vndé etiam dia folent a;uiuo.  caà calu,velà foriuna;vt v.g. ga E" 4 mo,& gallus auis dicantur. aequ iux ra,& à caluyqura meréfoituce euenit vt   homo, et auis nulla habita inter illos zs conucnientiz ratione codem nomineap pellarentur. A Itera zquiuocorum a E cfteorum, quz dicunturaquiuoca ana»  Pnteua L. Porc MM wnob   aliquam conuenientiam, et orioné  ier ipfa repertam» ità ridere c NS YAT bomine,& dc prato,pratum namque flo    tens tidcre dicitur quia : mini lzto,& rident, homo dicitur de V8. ro,& p:é&to, quia conueniuntin extefna figura, et (ic de mulus: Bon ration  " folent etiamappcllarizqumoca àconfi lio,quia nontemeré,(ed confülió enum » et idem nomen cx àm eft ad plara. " ificanda; Con(aeuit t zquiuoca à [2 lio etiam dici, non folum quàdo idem. nomcn de j;luribus dicitur ob habi ncm aliquam,vel proportionem la tcpertam, fcd écquando, vel ex deu tione 'mponétis aliquem (anciuM E m ex affcétu ad aliquem defun&tum eiufdé   cognationis, vei memotiaalicujus viri   iníignis, vel alia racionab li de cauli nomcenalicuiimponiur pucllo, T3" bp E Examinatur peculiariter natura.   J yn:uocoritm « dECENO 39 A Dampliert quoque Vninocerü  |, A intclligentiádubiaquzdá deile:  lis incidentia reíolucre juuabit, Pri ene itur dubitarifolet,anad «niuocationé ufhciatvaitasconcepuus formalis, me»    iare A  "oo Quat. IV. de Natura Vaiute eA.IT. díznte quo omnia inferiora immediate corcipiantur, num potius rcCuiratur, qp tcrminus talis conceptionis importet aji qvod commune pluribus, .f. conccpuum obic&iuum. Dixerunt aliqui ad vniuoca tionem fufficere folam vnitatem concce pius Formalis,quo nimirum plura imme diaté concipianiur,veluc Gmilia; talis vi detur opinio Nominaliü Ocham 1. d. 2. q. j.6.& 7. Rubio 1.d.3.9.5.& aliorum, vbicunquc pete de conceptu natu rarum vniuerfalium.Sed vt docet Tat. q. 2.przdicam. $. 2. [ciendum ex doctrina Scot.1.d.1.q.5 et d. 8.9.3. et Bonet. in Met.loc.cit.preter vnitaté cóceptus for malis ad vn'uocationcm requiritur. euá nitas conceprus ob.cétiui, .i.quod vox vniuoca fignificet pr marió aliquod cóe illis,:cut homo fignificat primó, et im mediate humanitaté,que cft cois fuis in feriorbus; Et comunis omnium fentétia córra Nominalces, et probatur; tum quia cü inquit Arift.vniuoca participare non folum comune nomen, (ed etiam cómuné fubflontiz rationé in cis c(icntialiter im bibitam, vtique per tónem fubflantiz nó intelligit conceptü formalem illiscoem; fcd obie&tiuum;hic.n. eft,qui in cís císé tialicer includiturnon ille;tam quia quá do dicuntur zquiuoca; vt ab vniuocis (c cernantur, carere vitate tationis, et có céptus,pra(crtim [ermo cft de vnitate, 5 €óccptus ob;e&iui', quia ad prolationem ipfius nom:nis zquiooci experimur. intel lcé&um no(trü non vpiri concipiédo ali od vnum cóe illo nomine fignificatü y €d ad diuer(a àmmediaié obicéta diflra li,v.g.ad prolationem Canis non vnuur inteilc&us aliquo modo,fed potius diflra hitur ad d:uería immediate concipienda, Mf. cancm marinü, terrcftcem; et ceelefie, é conira igitiir. vniuoca dicentur habere vnam,& candeni ra ionem obiectinam, et inprolauonc vocis vbiuoce debebit incelicéus coliigiad vnum, in quo infe riera conueniant, uim tandcm «uia vni« tati conccpuis formalis dcbet occ (Tario rcípondere vnitas obicétiui, ergo fi ba bent vniuoca. vnitaicm. cóccptus forma lis, vnitas obicéti.i cis denegari non po tceripater aliumptum, quia vnitas con tTTCÉ 157? ceptus. formalis atcnditur pencs vnita tem obicctiui ; et See cft Vespetim com munis, quam fuse prcbat Pafcualig. p, 2. Mct.difp.28. né à C RESÉ 40 Sccundo dub tatur,an vnitas i(Mits conceptus obicét uineceflarió debeat et [e tealis,ita quod coireípendcat ci à par t€ rci aliqua rcs, vcl rcalitas, et matura €ó munis pct ipfum adzquaté concepta, &c explicata;rà;ionc cuius intercedat diftim, €i cx naturarci formalis intcr przedica tum commwunc, et inferiora, an pocius fuf ficiat vnitas rationis, et praci(ionis per. intelicdipm immediate pluta inadzqua t€ concipicnrem, quatenus fimilia ratia ne cuius inter przdicatum communce óc infcuüora intercedat. [ola di(tincto vir tualis,ac rationis ratiocinaie. Prunam di cendi modum (cqui videntur. Scoui(te illi ocnes, quinon folum gradus comu ncs pradicamentalcs, vt hominé ; et ani. mal;ied «tiam tranícendentces, vt ens, et fubftantiam proprias tcalitatcs ade&qua té conceptibilcs, et inferioribus vnmocé cómuncs ( et fi cum analogia mi: ta) ptas feferre dicunt,vt Canon. 1. Ehyf.q.5. Fa ber 7] heor.94. McuriiTe 1. lib. (ug Mer. : q.7.& Eonct.eit. (equuntur etiam Rccé uores quidà, vt Amc.in Log.tr2&. 12.q. 6.dub. 4. «qui per hoc dittinguuot predi. catum vniuocum. ab analogo, quod illud dicit vnitatem, et communitatem rcalem prafato modo, fed Ae pec folam pracifioncm inrelle&tus plura immedia té cócipientis rnadzquaté,vt fimilia. AL terum dicendi modü fequuntur alij Sco tiftz,qui (olum gradus cócs pradicamné. talcs afierunt importare realitates,& na» turas vcré cómunes adzquaté concepubi les; gradus vetó trantcendenies Dco ; et €rcatura con munces, inquiunt importarc folü conceptus imadaz'cuatcs,non aüt rea litatcs vt Lic h. V ger. Tromb.Bairg. Her rerasé alij. Vcrü quicquid fit de predi tis uáicendenubus, an praícfcrancreali   tatcS,vcl ioj05 conccptes inadequat quo 1n Mcta,h. dicendü cílin propotito ad vniuocationem pertectà,& puram nc« €cllarió 1equiri. vpitaté conceptus obie Qui ia e(ie 1calem vt à parterei cotre fpondecat €11calitas ; et natura coma.ünis pe 24,8 r'ipfum adzquaté conccpubilis, uà Dostor in 2.3.3.0. 1 et 6. oflédit ex p feflo,vt ib: ct videre; «d vniuocationci vcró imperfecta,!& cum analogia mica (de qua duplici vpiuocationc ftacim di ccimus) qualis eft vniuocario omnit trane fcendentium, non neccí(larió requacituc vnitas cóceptusrealis pra faro modo, [cd fufficit vnitas rationis.qua non idcó ralis dicitur, quia fit merum opus intellectus, vt por( cnsrationis, (ed quia fit per ab firictioné,& przcitionem incelleétus plu ra imme diaté cócipientis inadzQuaté, vt fimilia; ob fundamenrum timilitudinis, g» repetit inter ca à parte rei, yndé in hoc feníu poterit dici vnitas realis fundamen taliterjin qao fenfu aticrit Do&. 1. d. 26. : lic. Y. à relationibus diuinis conceptum communem realen abitrahi potíc, cum tainen relationibus diuinis nulla fit rea litas communis, et aliqui Scotiftg cuam ab vlcimis differentijs conceptum com miunem hacceitatis ; cum tamcn in reali tate fint primó diuetíg cx Doctore in 1. 4.3.3.3 $. Md quaflionem igitur,   41 Tertio dubitarur,an cocepuis vni nocus dcbcat neccífario perfcé&té preícin dere cum à fuis inferioribus, tum differen t js vel modis contrahentibus, itavt in co rationes inferiorum, yel contrahentium rullo modo inuolyantur ncc explicité:, : mec impliciré « Negat Aucría cit. q. 15. fe&t.v.vbi aic fufficere imperfectam prz cilionem,vnde q.1 3 (cét. 1. ftatuit genug  ' mon fempcr praícindere perfecte à diffe .  rentijs  fedin co (zpius inoolui rationes Ls sllarum implicite, et in tali cafü non pre fcindit genus,nili ab explicitoy& ex pret  : fo conceptu differentiarum. V eti o, fica opinio cómunis cft pra(ertim apud €à5, |ui per przcitionem petfecta, et im perfectam ab inferioribus, et concrahen tibus diftinguunt przdicata tranícenden tia à non tranfcendentibus, et vniuoca ab analogis; imó Scotus ita. huic (entencie adbaiit, vc non folum gradus cócs przdi eines ipa pra(cindere üc arbi tratus ab inferioribus, et contcabentibus, vt genus à diffcrentijs;fed ctiam idé affic mauerit de ipío conceptu entis tum refpe tta inferiorum, Uuimodotrum conuahcn ADifputs LT. De J'icibut 0.0 T". ti 1.d 4. q.1, quem (equuntüeferd Res. c&uorcs.omocs, et mula ex Thomtlis, Ratio aütycur coaceprus yniuocus debet perfecte prz (cindere ab jaterio ribus, et conuahenubus elk,quia in co vniuocara. | conuenignt, X pecfedé affiimillaniur, fà. e(l pertcéta vniuogatio, ergo exci debet rationes pecaliares interiorum, contrabentium;quia tiillas aliquomodo. i»duderet, noneílet tantumrauoaffiinie ^  landi, fed etiam di(tinguendi, Accedit,  quod genus,vr dicemusinferius,nullomo do a&u conrinet fpecies, et ditferearias, nec deteuninaté, nec ;ndeterminaté,nec expliciré,nec implicite (ed potentia tane fum,ergo perfedté prz(cinditab eig. Quarto dubitatur, num oporteat M rationc: ngnificatá per nomen yniuocit e(fencialiter congenire vniuocatis,an f ficiat, quod cis conueniat accidentaliter, et fab allata denitione tam $niuoca € fentialia,quàm accidentalja cópreher rur, Et dicendum cft cum comuni (« quid dicat Paíjual. p. 2. Met.difp.27. 2.04) no:nen vniuocationis. polle | dupliciter, primo molo magis proprid. quo (cufa tignificat Matonem cf ntialé pluribuscómunem, ac in eise.  1 fentialier inclufam,&taliaprgdicatadie  cuntur yniuocaeffentialia,& becfolayis  detur. Arift. voluifje comprehendere fub.   vniaocorum definitione, vt Scotus d q6. Predicam.n corporc,& in 3.d E 2 qp probat ex illsverbis, &$ ratio fubfi | ri La e Mr hzc enim fatis ex« 1 primit (inquit or) talem rauonem  debere eile ^ viii pena, quod   adhuc magis liquetex exemplis,qu z | ducit de vniuocis eífentialibus; tumquia  cap. dc fubft. docet accidentia pre dicari xr non poffe dc(ubie&is nomine, &r0ne, qp vaique falsü eifec ti fübhac defiaitios  Hc etiam ynidoca acci ia compre. hendere vellet; cam demum, quia Arift,  diuifit tanquam in membra apre E dum formaliter, fed etiam marerialitet equiuoca,vniuoca, et denominatiua, (cd 1s j fi (ub allaca definitione com, ere ^ ^ ctiam vniuoca accidenralia, coofuderet   | vtique vniuoca cum H L o £C] "Poe. | Quefl.IV. de Natura Vniuocorum. ert.IT. fiatiuasvt poftca dicemus. Alio modo ma gislaté, v  rationem pluribus "communem; liue efTcocialem, fi uc acci dentalem, nam vt inferius dicemus, nom folum dantur vniueríalia e(lentiaha, vt 5, et fpecies, fed et accidentalia, vt roptium, et accidens ; et certü eft dera tione vniuerfalis effe, quód fit vniuocii, erzo non folum admitti debent vniuoca effentialia, fed etiam accidentaliaj& qui "dem Scotus quoquc hanc difiinctionem  fepius inculcauit poncps differentiam in  tterpredicatum vniuocum, et vniuocé praedicari 1.d.3.q.3.& d.8.q.3. P. et 5.9. 7.4.1. D. et cumeo .Formaliftz omnes art.1.formalit.vbi per praedicatum vniuo cü intelligunt vninocü accidentale,quod de (nis praedicatur fübicctis sin idem no men;ac candé rationcm accidenralem;vt album de cygno,& niue, per praedicatum vctó vnit i ntelligunt vniuocü effen. tiale, quod de fuis pra dicatur inferiori bus sri eandem rationem effentialem, vt animal de hórnine, et equo; Quamuis au tem intentio Ari(l. faerit definite vniuo ca tantum cflenrialiavt dictum eft, ccrcü tfi eft abfoluté loquendo poffe füb hac "definitione comprehendi vtraque ca, ita.n.przdicatur animal sta 1dé nomé, et ratiotiem de bomine, et equo,ficut al bum de niue;& cygno; vt docet Scot. cit. nec tefett ad rationem vniuocationis ; qp Katio fit vna; et cadcm eflcntialiter,vel ac cidentaliter, atque ità ratio fubflantie explicari debebit ; quod denotet voitaté conceptus obic&iui, qualifcunque ille fit. e(fentialis,vcl accidentalis,& dc fa&o áta intelligunt, et exponunt Sanch. q. 1. prtdicam. Caict. Hurtad, et alij. 43 Quinto dubitatur;anoporteat ra tioné fignificatam per nomen aqué pri mó,& principaliter conucnire omnibus wniuocatis, vcl poffit connenire vni prin cipaliter,& pritnarió;ali j minus principa liter;& fecundarió, fiue vni originaliter, et independentcr;alij participatiue,& dc pendenter ab illo . Et quidem Reccntio res multi cam Snar. difp.2. Mer. fec. a. n. 6.primum em oma M vt fi adt vnitas €onceptus, fed inzqoalitas in parcicipa tionc ipfius inquiunr; hanc uflicese c ià e . 159 [i minimam, vt ille conceptus cadat à ra tionc vniuocationis, et fiat analogus, At potius cá Scoto q.vit. Prolog. in calce de duplici vniuocatíone diftinguendum cfl, altera períccta;& complcetaaliera dimi nuta,& incompleta, pricr cft, cum intet aliqua cft fimilirado in forma,. et in mo do habendi,fcu cfiendidorma, ficut cum fotma nó un eiufdem rationis «onünc tur in illis, fcd etiam sm cundcm eflendi modum;sm eundem ordinem e fTentiale, && sh cundem perfc&ionis gradum, qua vniuocatio phy fica folet appellari, et 1m in fpecic intima reperitur 7. Fbyf. 31. ic «n. tátum natura fpecifica indíuiduis con municatur,& conftituit primum, et fupre mum gradum vniuocationis, cx quo col "ligi quattuor conditionesad vniucca tioncm puram, et perfe&am tcquiri,pri ma eft vnitas cóceptus, xquod co dem modo effendi fit in omnibus, Tertia quod dcfcendat in illa eodem ordine, larta quod vnriuocata fint ciuíde perfe &ionis effentialis.& ad hanc vniuocatio nem vtique requiritur, quod communis ratio equaliter participetut ab omnibus; et cum tota &ione effentiali,(ecun «dum quam concipitur cffe in vno,cócipia tür ctiam effe in alio ; Vniuocatio veró incompleta, et diminuta, cft cü interali qua reperitur (olum fimilitudo in forma, quatenns (ecundum eandem ratione im bibitur inillis, quz cft prima conditio fimpliciter necefiaria ad v niuocationem, deficiunt tamen ceterz, que nó funt fim pliciter neceffariavt in cóceptu entis re» Ape&u Dci, et creature (ubflátiz, et ac cidentis et hic cft minimus gradus vniuo «cationis, vcl faltim aliqua, quatenus illa eadem ratio,licet repcriatur in illis (ecü dum cundcm cflicndi modum; non tame fccundum cundcm ordinem deícendit in illa,vt numerus refpeftu binarij;& terna rij,vel fi eodem ordine inilla dcícendirs non tamen fecundü cundem peric&ionis eticntialis grad reperitur inillis, quem adir. cdum (c h.bct genus refpcttu De cicrum; quia vna fpecies eft peifcétior cf ialitcralia ratione differcnüae nobi loris, &hifuntduo gradusn edijintet tá. (upremum, et infimum, et bac vriuocae uo 160 tio incópleta appellari folet metaphyfi fica, et logica,que nó differunt,nifi quia prima fit in terminis prime intentionis a ltcrain terminis fccundz, et ad vniuo cationem huius fecundi generis plané nó requiritur equaliras, et vniformtas in participanda cadem communi ratione y vt patct ex cius declaratione, 44 Ex quibus cóftat ad Vniuocatio ncm abfoluté, et in tota latitudine fum ptam, quo fenfu vniuoca definiuit. Arift. conditionem illam qualitatis, et vnifor witatis in parucipanda eadem communi ratione non rcquiri, quia nihil rale poni tur ab Arift.in definitione vniuocorü,vn dé Do&Gor 1.d.3.q. 2. B. loquens de vni wocationeim tota fua vniucríalitate in quit, ze fiat contentio de nomine vnino €ationis, conceptum »niuocum dico,qui itd efi vnus,quod eius vnitas fufficit ad «ontraditlionem afirmado, C negando "d fum de eod£, € [ufficit pro medio fyl iflico, vt extrema vnita inmedio [ic o fine fallacia «quiuocationis cbcln dantur inter fe vnum, calis igi vnitas «onccptus requiritur ad vniuocatjoncm abfoluté fümptam,& ab(trahit ab zqua litate;vcl inzqualitate ip participáda có suni rationc, Hinc demum infertur. vni uocorum in hac amplitudine duas effe fpc €iesaitera cft corum, quz habcant eandé rationem, et codé omnino modo diftri butam inícrioribus, et fic vniuocé com  municatut [pecics infima indiuiduis ra "x. tionc differentiarum indimidualiü equa" Jisomninó perfc&ti0nis cffentialis, et hec dicütur puré vrinoca, Altcra eft corum, propi cadcm ratio, non tamen €o «em modo, ícd inzqualiter infcrioribus «ommunicata, et ordine quodam, talia funt genera, in quibus hac rauienc ait A €ift.7.Phyf. 3 1.latere equiuocationes, et 3n vniucrímn pradicata tranfcendentia y et PON vniuoca analoga .De JAnalogis,ac nominum J4nalogia. 41 V E:rcs. Scholaftiei de. Analógis pauca fcripfcrüt, et Arift. iplcin Antepred. agcns de Vuiuocis, &quiuos Difput.11. De Vocibus. E M cis,& Denominatiuis,mecvetbum quidé  fccit de Analogis, fignum euidens mate riam hanc in fe non multum continere difficultatis; at poflquam Caietanusedi  dic opuículum illud (quod auteum Com? plut. appellant diíp. 30. Log.) denominü Analogia, cot funt exorta aifficakates, vt nullus in logica; vcl metaph. extet trae   étatus dif&cilior, adebut Au&oresnon folum inreipfa nonconueniat, verünec  etiam in vfo nominum ad iplam explicás  dam. Nosigiurintantahumsreiambie  |n et prolixitate bieuiter, cri poteft, tribus arciculis qua hanc abfoluemus ; inqairendo quid ex Quintullib, t.cap.6.& Cicer. | Vniucrfit. quz omuia aliqualem nientiam fimul cum differentia, aut qualitate important, vndà Anal. v! nominis fignificat diuerfiratem cita:, quali fimilitudine mixtam;quare Ie ERG proprié dicimus cíle adinuicem propor.   ^ pas 0 i. tonata,aut proportionalia, quz non ita  funt duuería EAS LIRE à t ur 33$ lia, ita illa dicuntur analoga, quorian. "d prins men comune e$i » à ratio jgm| illud nomen partim efleadem, partie diu£ría, quz analcgorü explicatio c E niter ab omnibus recipitur, et E. 5n] j inibosdel  : ] ducitur apalogia in nomim: 2 ccic aliquam rationem, quz: fubftct sv c «ui nomihi, que tamenratioobicCtiuaae  liquam vnitatem, et aliqua fimul diuerfis tatem impostet,qua ratione Scotus Ld.B.q.a.[ub É. ait vniratemanalogiz ( quam. | ibi attributionis appellat ) etie maiorem  vnitatc zquiuocationis,& ainorem vnis tare vniuocationis atque idcó comu ttie ket ceníentur analoga veré mediarcinay Yn  «niuoca, et equiuoca, quod in quo fenfu fit verum, poftea explicabimus Vera igi turcatio enalogix confi (iit in pcoportio ac plurium rerum ; quá habent adinuicé fecundü diner(as rationes, quod mericó additur,quia proportio,quze c(t (ecandá ea(dem rationcs, non elt vcra proportio, fed vaitas, qu conttituit «ninocationc, «t Petrus, et Pauls in humanitate nó di cuptur proporrionariquia mon compatá tar inuicem (ecundü diucrías raciones,(ed penitas affimilari, et hinc patet,quomo do Analogia dicat conceptum obicctiuü partim cundemspartim diuer(um, cít .n. diuerfüs,quarenus dicit diuerfas rationes obic&iuas,cft idcm nempe fecundü pro rtiónem;quia proportio,cum ex intrin v. fua ratione ponat aliquam fimilitu dinem,dicic ecià aliquam wnitaté cfló 1m perfectam. Patet etiam, quomodo Ana loga difcernantur ab vniuocis, et aquiuo €is,dicuntur enim vniuoca conuenire fc« cundum vniratem fimpliciter, quid affi milantur in aliqua natara, analoga veró d untur conucnire fecundum vnitatem opottionalem, quatenus nó funr res ha t LR cto funilitudinem in ali.  qua natora, fed dicuntur cfle idem yo " potcionaliter non zqualitec, quatrzf. in fua men(ura, et proporticpe, vnde vni noca habent rationcs abíolüté fimiles, et abíoluté conueniunt in natura, at analo £: habeot lolum conucnientíam rclauivá, iucfl iuxta proportionem, et commenf(u rationcm, ocutram habent zquiuoca;ted in fola voce conueniunt, 47 Quotautem nodisanalogia con tingit, quorque fint eiusfpecies maior  cft difficultas, nam in primis in ipfisaffi gnandis valde difcrepant Au&orss j ali Qqui.n, vnzm tantü fpeciem analogia pro guz agno(cunt, (cd nó omnes eandé a(li nant ; Caict.opu(c. cit. c. t. vi nommis analog. in(iítens, quod proportion fi gnificat, ut diximus,(olam analogià pro poruonis vocat ucram analogiám, tcli qe abuliué; ficetiam loquitur £oco c, c aquiuocaart.2. Corollar. 1. Palqualig. p.12. Mct.dilp. 30. ubi analogiam atutibu tionis negat elje ueram analogiam . Sco tusé cona banc (olam aidetur agno(cc Quaf. V. detNatura c/Analig «eit. 161 rc, nam vbicunquede analogia loquitur, fempcr dc attributionis analogia (crmo cinatur, vt ifi 1.d. 3.9.3. Q dbiuE et in z.d.12,q.2.G.& in 4.d. 12.9. 1. H.& . 13. vniu. Arriaga quoq. ditp. 11. Log. (tà... fola admittit an attributio nis,metaphorica tamcn, 10 quibus ratio m non rcpcciur proptié in ome nibus analogatis, in quo diffeit à Scoto, vt videbimus pottea . Alij vcró analogia nomen extendentee, vt dicat non folum proportionem, et (imilitudiné. inrer ali qua,ícd etíà habitudinem per modü otdi nis, (eu dependcntix, duas agno(cüt fpe €ics, vná, quz dicitur proportionis, (cu proportiopalitatis alteram attt. butionis, kà Scotiftz quamplures Faber in Lhilof. Theor.95.c. 1.& in Met. lib.4 difp. 1. c. 11.Mcurille lib. t.(iz Mct,q.$.noc.5. Fa tcs in 10g.9. 12. diff, 2.21.1. et paffim Re centzcres Tbomitfiz Complut. in Log. difput, 10. queftionc fccunda. Ioan. de S. Thom. par. 3. Log. quat. 15. attic. 3.Moci(an.difp. 3. Log. q. 1.art. 1. Alij vltra has duas fpccics tcrtià addunt; quz e(t inzqualitatis, vndc prater analoga at tribut;onis, et proportionalitatis. a(li ant snaloga inz:qualitaris ; ita vidctut £ntire Suar, dum in Mer. difp. 2. (ect. 2. n.6. et alibi (zpc docet effe de raiione: » vniuocat'on'$, quód catio lignificata pec nomtn z qualiter com perat inferioribus, et non vni dependenucr ab alio 5 alioquia ex tali inz qualitate. (latin emergit ana logia,& fcquitur Aucr(a q. 1$. Log. Ic&. 3. Alij demum quartam addunt fpcciem analogie, .ftranicendenuam; ita cx ke ccntioribus quamplures, qui conrendunt folam tranícendenciam,quaita rario alis qua tráfcendit per interiora, vt imbiba tur in ipforum diflerenrijs, con(litüere analogià etiatn [ecluia. omm dependen tia vnius analugati ab alo ; Hurtad. in los.d.fp.s. (:6t.4 fubíec. 5. ga ow Y Iciu difz.11. q«3. blanc.ditp.4 fc&t6. et alj &c, Veiü non tanum dilcrepát Atr &totcs in af.unouone [pecicrum analo gia, led cuá sn carum appcliatione, qui dam conn vocantanalogiam | proj Ottio nis; quamalij dicunt attributionis, vnde  x »ditiinguunt analogiam proporionis ab H » 1 ena Qua. V. de Natura eAnalog. e/frt.T. per tefpé&om ad vnum, et Scoius rullam aliam videtur (pecicm analogiz admitte. re prater iftom,vi Faber cit.adnotauit 4. Met.& Ruuius in 1 og irac.de analog.ita dc fado tenet cü multis alijs. Tü demó, uia hzc analogie (pecics à cateris prz flat vt pcr cjus rauorécxpbceiur apalo gia 1n con muni, hac erim ab omnibus explicari folct per habirudinem,; et ordi. nem prioris,& poflerioris in parucipan da communi rationc, ip qua fit gias quod intátum vcrum eft, vt dixerit Ca» iet.C.1.dc non.analog.in fine quafi (yno nima cffe aliquid dici analcgicé,& dici p Cyr | tud Gap Fafqualig. difp. 30. €c .2.teftatur cflc omnium tam comnur nem fentenuiá;vt potius [npponatur, quà probecur,ted bic ordo prioris, et potte tioris adinueniri ncquit,nifi cum attribu tione poli erioris ad prius;cigo &c. $1 Cztcrum,vt DoGor aduertit 2.d. 11.0.2. .4.d.12. q. 1. íub H. et Alentis 7.Met«ex $.quos pee Scotiftasiá cit. fequuntur Suar 1n Met.difp.2 8. fec, 3. n, 14: Runius, et Morifan. loc. cit, Auciía Q.15. fec. 4. et cta ex Thomiftisquam rus Capreol. 1.d.2.q.1.ar. 1. concl, 9. errara 1.cOtta Gentescap.34.$ 4d pii mii& $. J4dueriendum; $1. p q 1 4,ar. 6. hzc analogia dupliciter contin ere potci!, vel ita quod analogata fic fe Eicion ; Vt primum tantum analogatum proprie, et intripfecétale denominetur performam fibi inexiftétem, reliqua ve IO c: trinfecé rationc folum illius habitu dinis, quam habent ad illud prímum ac velut improprié;vel ita quod omnta ana logata formam illà proprié, ac intrinfecé includant,licet adbuc cum fubordinatio nc. et dependentia vnius ad aliud,vcl am borum ad tcrtium, primo modo analogi cé dicitur fanitas de animali, cibo, n)  cina, et vrina, quia ratio formalis fanita tis, quz cfl dc bira humorum temperies, intrinfccé, et formaliter eft in folo ani mali,in medicina vero,cibo, et vrina,tà tum extrinfecécà:uam in terminis babi, quam dicüt ad (anitatem anima lis,.f.immedicina,tanquam in cauía. cffe &iua in cibo táquam io confciuatiua, et in vrina táquam in Igno;alio modo ana 265 logicé dicivür ens de Dco, et creatura, fubftantia; accidéte, vt Arift. decet 4. Met.c.i. et lib. $.c.6.& lib.7.c.4.quibus in locis conftituit analosiam accidentiü? ad fubflantiam, quam certum cfl talem. €ffe, vt ratio enus proprie, et intrinfccé omnibus conecniarj& m analoga wül tis intcr fc differunt, vt notat Suar. et cld ré colligitur cx Scot. cit. primo, quia in analogis prioris gcneris ordo, et habitu. do ad primun: analogatum cft. ratio for malis, et przciía,cur talia dicuntur, non fic in analogis fecüdi generis, vt patet in exemplis aliatis . Secundo, quia fi apalo ga prim gencris dcfiniuntur ; per ordiné ad primü definiri debent, quia cfl ratio przcifascor talia dicantur, in analogis fe cundi id necefle non cft, cum omnia à propria forma talia dicantür ; Tertio in prod genere nomen proprié tribuitur olum primo 2nalogato, ceteris AE | priéyin poftcriori proprié om.nibus.Quiar to ip priori genere non datur vnus conce ptus communis ompibus,quia forma,vn de (uritur analogia;c!! in vno um inirin fecé,in alijs extrinfecé folii, at in fccüdo daturconceptus comunis omnibus, quia. omnibus incft intrinícca forma,vnde de fumiturstandé nom. analog ü prioris ge«. ncris nequit cffe medium in demóftratio, nc,quia deficit ci vnitas rationisfecus de nomine analcgo poftcrioris gencris. $2. Adhuc auté analoga attributionis viriufque generis fübdiftinguuntur ; fi.n.. loquamur dc analogis prioris generis;süt; quadruplicia, ficut quadruplex nata cít effc dependentia czterorüanalogatorum ad primum ;u»ta quatuor caufatum ges nera,vndc alia erunt analoga attributio nisex c fficiéte,vt medicum inftrumétü, et przceptum medicü, quatenus in hoc communi nomioe conucniunt cum medi co,ad quem, dicunt ordincm, vt ad causa. efhcienté illis vrcntcmjalia cx fine,vt me dicina (ana,(ana dieta, quatenus conuc niunt in Communi nomine (ani propter dcpendétiam, quam habent ad fanitatem animalis vt ad fuum finem ; alia ex fors ma, vt bomo viuus, et homo pi&us, vcl fculptus,qnatcnus conueniunt in nomie, nc honunis propter ordincm ad form, ^ 264 et cffigicm hominis viui, quam imitan tur;alia demum ex mareria,vt aurcum vas ex auto confcétü, et aurcumvas pidti, quod vas cx auro contc&tum imitatur.Si vero loquamur de analogis pofterioris ge meris funt tripliciaprout ordo in eisque «and:m formam, et rationem participát, €x triplici capite oriri poteft, nam inter dum oritur talis ordo praecise ex varicta tc gradnum perfc&tionis cffentialiscotü, in quibus reperitur ; ficut accidit in fpe €icbus fub vno gcnere, quarum vna cft perfe&ior alià etfentiahiter ratione diffe zeniiz cx Atift. 10.Mcet; 2. Aliquando ét oritur propter ordinem e(fentialem, qué feruat illaratio comunis in inferiora dc fcendens, fic accidit in numero (vt cómu ni Scotiftarum exemplo vtamur) qui in binariü pront in ternariü defcédit. Aliquando nedum propter ifta;fed ét ob diucrlitaté modorum effendi, vt accidit dec ente re(pe&tu Dei,& creaturz,(übfti tiz,& accidétis quia in Dco cft à (c, et per cffentidiu creatura ab alio,& per par tici pationé,in (ubftatia per fc, et m fe, in atcidente per inalictaté, et dependentia ab ca ; et in hocíenfíu attributio fumitur jn omni rigore pro dependentia nimitü €flentisli vnius analogati zb alio,vel plu gium analogatorum ab vno tcrtio . '$3 Cótra hác coclutioné Primó. obij €it Pafqualig.cit. probans hzc analoga 5 dttributionis non effe vcré analoga, (ed «4b vno,vclad vnum .'Tü quia ita vbique "loquitur Acift. et przícrim r. Rthic. 6. €ontradiftinguit analoga ab his ; que ab no,velad vuum dicuntur. Tum 2. quia ánalogia contlituitor per proportioné, wt patet €x vi nominis analogia ab initio uli, ergo cum hac attributio nullam Simportet proportionem, neque cti im pottabit vcram analogiam. Tum demum T^ hac attributio tmportat praferum pendentiam aliorum aralogatorum ad principale ànalogatum, (cd dependentia rzcifa proporuone aralogism nonin ucit, alioqui vbicunque rcperiretur, etiá adcflet nrbes tamen conftat ef fe taifum,nam etícétas vniuocus cft talis slcpendenter à cau(a vniuoca,   Refp. efl ab Atiflsocemur bacana Difput.IT. De Vocibus.   loga ab vno, et ad vnum ex vi atrribue tionis, quam important, nonidcircó ea exclufit ab apalogorum numero, et fal« fum eft 1. Ethic. c. 6. comradifti  analoga ab his,quz ab vno,vel ad vnum; imó potiusanaloga diftinguit in analoga auributionis,quz appellat ab vno; et ad vnum, et in analoga p ienis, fcu proportionalitatis, quz vocat fecundum coparationem rationum. Ad 1.. licet ana logia ex vi Graci vocabuli fólá propor» tionem fonet;tamen apud Latinos analo ix nomen magis extenfum cft, vr non folam dicat propojtionem, fci fimilitue dinem intor aliqua, fed etiam habitudine per a:odum ordinis,fcü dependentiz, et attributionis ; imó multi hanc analogiam vocát proportionis,vt dixi mus, nam atiributioné, quam  ad alteram, vel multa ad vnum volunt ef fe proporuonem, vndé fanum appellant analogum proporuonis, et attriburionis; ia de vrina, et medicina dicitur fecun um próportionem, quam cüfa« nitate animalis, inquancü vrina eft fign fanitatis, medicina verà caufa, et hoc eft dici pcr atiributionem ad illam. Ad. prater depepdentiam requiritar ad indus ccndam agalogiam praedicatum cómune pluribus cóuemens vni principaliter quie tum ad nominis impofitionem, ac inde pcndcner, altcri veró minus. principali terj& dependenter, quodin cau(a et ef fcétu noncernitur, nam calor v.g. quá primó figoificat calorem 1gnis, vbi eftin dependenter, et aque, vbi eft deperdca ter ab ignc, irá infinuat DoGtor loc. cit. vbi etiam docet qualeijcunque inzquali tatem in participanda comuni racienc füf ficere ad inducendam analogiam;vt.ma gis mox declarabumus, et idcó con(ultó: plures modos huiusanalogiz confttitui musiuxtà varios gradus vniugcationis, nostollant ; vt qui(que videat depen étiam per hanc analogiam. impertatam. non femper effentialem effe. X 54 Deinde » o mete Thomifte, quibus prgiuit €aict. opufc. cit. cap. 2. Coplut.Ioan.de S. Th. Fafqualig. Dida cusa Icfu,Cumel 1.p.q.13.ar.6.q. 2. Ser nain Log.difp. 13 (e&t. 19. 1,ar« 4. Tolet, ur Qusft V. dé Naiura in i£. C. 1: Aunic. tra£t.12.Log.. q«i dubi2.art.3. probant cile contra ana logiam atribuuonis,quod omnia analo tainuinlecé parücipéc formam, m  fit analogía. Tu quia fccundatió analo gata non dicuntur talia, nifi per attribu tionem ad primum, fed attributio nó vi dctur eflc, nifi quadam exirinfcca deno minatio, ergo &c.. 1um 2. quia (i reperi. retur in üngulis,non effet cur dependcrét minus principalia analogata. ab vto ter» mino, et talia dicerentur per babitudiné ad illud,cü illa forma:it in omnibus. T à quia Arift. ipfe hzc atwributionis anas eam plicat excmplo fanitaus jn animas lis cibo, pulíu; &c. que folum in aniniuah inarinfecé scperi tur. Tug 4.dici non po« 1cfl poc eíse in linguis cà dependemgia tamen ab vio;naman principali apalogae to cft independeos, et imalijs eft depe ne decns; at impoflibile c eandcm foriuam cflc dependen em, et indeperdcnrem «x naturà (ua . Tum 5. ft intunfccé partici. formam ciuídem rationis; jam vni ugocé, non.ycró analogicé ircnt.in ca. Tum. quia non f erct zauributio a liorum /anal« gatorum ad primum fecun on dm . vbioie ccs tique i uus analog iz: fupeorins alla quia in.omgibus cct cadem ratio funcá di ; imó non poflct offerri 1at0 ; cur hoc analogazum pendrar ab illo, et ncn € có i2 cum cadem forma fit incn.nibus. ' og Relquad 1«cx Scoc.in 4.]cc.cit.vti qucinapilog;s prioris generis habitudi ncm ad principale anzlogatum efc ratio ncm. formalem pracilam. denominandi talia c q:cra aoalogata& diccre denonii cxrrin(ccam à forma illi incxi flentc delumuptam, et in ceetcra derivai3, at [ccus cfl in analogis  oftcriotis gene fis, nam in vttoq. cxirca o (ait J c&oi) cft aliquod abiclutum; proptcr quod tor malucr viruu«uc dieitur (ale ; liccc fu pcr. vnum abfoiutum. fundetur erdo ad aliud, vndé denominabitur. tale per (or snam | bimieiniccam fundantem ordine ad aliud. Ad 2.1lla torma babe ur in cm nibus, (cd diucitimode deicendit inca, Q uà niniim conucnit yai ci aliud, yt (1 egiee c/fhalor c^frt. T. 265. cft de cn'ercípedtu Dei, et creawrag, et perfcétius in vno repcritursquam in alio et hzc d:ucifitas in modo parucipandi eandcm tormam etiam intrinfecé (afficit: ad induccrdam attributicné vnius ad a«: liud, et confcquenter analogiam; vt do cet Doét.cic.& lib. Elench.q.1 egcenl die atu ergo qua flic nem» Ad 3.ait Doctor in.2.loc.cit. quod ctfi res ità fe habeat. in vno cx cmplo, .(;.dc fano ; in ceniücft cótrariüm., vndc adducit ibi aliaexempla ad oppolium,«f.de ente refípetu Dei, S& ciecura y ' lubflantiz ; et accidentis, de gradu generico rclpc Qu fpecierum, in» quibus: femper. eft aliqua. atcributio pertc&iorem, quiain vnoquoque gencre fcmpcr ett vnum; quod cft meu ü,& mé fura aliorum ex 10. Met. vtitar vcró A ex cibplo de fano,quia in illo manifc (lior ccrnitur^attribuuo,& analo gia: Ad 4; nonmplicatformam eiufdem rauonis, et caridem non quidem rer inc xrficnciam, fed perindifferentiam (quo feníu qualibeunatura communis dicitur cadcni m fuis inferioribus:, vt in Micr.de clarabiir) in. vno fuorum inferiorü de perderesinzlio nó dependere; quia id n6 procedit ex tali identitate; (ed ex diuerfoo modo deícendcndi m illa, et quando erià teta bac diuertitas prodiret àb extcinfez €o cx different;js nimirum conirahenti bus, vt omnesconccdunt de gradb gene r;co reipc éco fpccierim; adbucifta foffi cit (inquit Doétor ) ad induccndam ana 1cgiamvt docct Arift. 7. Phyf.51.vbidit in gcnetc apalog.à latere: cx hae fola di ucrfitate ab exainfccoprodeunte; et rá tio cfl;qeá adéucit 3. Met. 1 1.quig priis, et |oficrius( quecunque modo fit) non flat cim cmnimmoda voluocatione 5 pér qucd dilvunur c n.ncs obic&iopes cora harc tolutionem congerit Pafqual, cit dilp.2 3.Íc6t.2. Ad 5. graiscóccditur inco caíu illa plura vpivocé conaepgire in forma jícd cà tali vniuccatione ftat etia aralogra, quia tupponttur illa fotnia pat ticipati ab 6$ nó zqualiier, et vniformi icr fd. per pris. et poflcrius; perfcétio 15& m pertcétiori modo; quod enalogiá inducit. Aa 6. quamvis iHa defuttio pre Ícrug à Rote ci   nQ c 1s. 166 EE Difrut. IH. nonofficit,& adbuc fecundà diuerías habitudines caetera. analogata tcfctentu£ ad prim,quia nó fola forma in omnibus intriofecé reperta eft ratio fündandi, vel habitüdinem;,fed dcbet eciam modus,quo in cis repericur ; nam. am diueríimodé in ca de(cendas, in vni prius,independétcr,& perfcétius, in aliud ficrius,dependenter, et imperfc&ius, 1dco in iftiscft ratio fundandi dcpenden tiam,& in illo cít ratio terminandi. Explicatur,Analogia proportio ualitatis « $6 Icendum cft (ecundo,alterà fj D cié analogie;que dici folet  portionis, vel mclius proportionalitatis, admitti deberc, velut aliquo modo ; non tamen proríus; condiflin&tam ab analo gia auributionis; Analoga huius (peciei funt illa,quz licer babeant rationes fim pliciter diucrías, quia tamen luat propor tionaliter fimiles, idco participant com mune nomen, quorum plurima folent affetri exempla, nam Ariit. 2. Pott. 87. attulit exemplum fpinz, et otlis, dicens $a (c babcre fpinam in piíce, ficut osin alijs animahbus, et 1. Ethic. c. 6. affert exeinplum vi(usquod nomen dicitur. de iniellecto, &. de oculo, quia dicimar vi dete corporaliter, X inielleétualiter, et Aucr.5. Met. com. 12. attulit cxemplum  obcicatorisquod nomcn dicitur dc co, qui regit ciuitatem ; et quiregitnauem, V quircgit domum, et comgunitct cir «umfertur exemplum de riu, qui dici aut dc homine, et de prato florente, et «xemplum de pede, qui dicitur de pede animalis dc baíc lc&iuli, et radice mon Ais,ynde iunc fcmper ifta inicruenir ana. ia ; Cum nuncupam us aliquid codem mom;ne à proporuonc, quam habet ad aliam rem; Ha vero analogia potius di € i debet proporti onalitatis, quàm pro ; hoccnim intcreft (ecundum Maihcmaticosinter hanc, et illam,vt no at Do&.4d.6.q. 10.qu6d proportio cft babitudo quedam vzius rei ad aliam, vt duo, et quatuor eft proportio du pla; fcd proportionalitas «ft habitudo duarum proportionum adipnaiccm cop De Folie? 51.0, ueniencium, vt fi dicamus, ficm fe : duo ad quatuor, ita fe habet fet, cum igitur hzc (pecies analogie in. uli. comparatione confiftat, quód wg.fcut  fc liabet tifusad homnicmyita.Lortread Leve piss ; plane snalogia pro». poruonalitatis porius, qua inter quatuor . verfatur terminos, quàm propórtionis,. quz tantumincer duo,vocari debet.   $1 Poteft auté hzc quoque analogia d dien contingere, vt dc analogia at« tributionis dicebamus; vno ita ga. vnum membrum fit abfolutétale ds formam, allud verà, vt flat (ub comparae tione, et proporrione ad illud,ratione, €uius pcr mc am fignificatur nomi. ne abioluté, kar irati os €onueni entc, vt patct de rifo refpeQhu minc, de prato veró metaphoricé per: quádam comparationé,& proportioné. y pà ficut ri(usin homipe it eXinte hilaritate,cii bene fe babet.,.& alis. tan oblcétatur obicéto, fic ridere icimus,quia benc fe habeat, et (ua.ame nitate quali uipudiare» ac luxuriare videa  ; al.cro modo cótingcre poteft p de. rinfecam omnium ana:  nominationem int lagatoram; cum nimirumip v ctt verum; et incriniccum fundamentum proportionalis coüenientiz et vni ue participat commune oomcn;quia li» Pas habeát rationcs diuerías,    hac ipía diuertitace propertioné aliquá intet Íc feruant, quz, quia cuicunque eft intrinícca,ideó ex natura rei, et i voumquedque participat illad cómuae nomen, quod talem indicat proporcio« nem; ita analogicé diciur principium de patte ref(pe&u fili pde fóte refpectu riuus lorum;,de corde reí pc&u viz de funda menio rcípe&u domus,de puncto refpe Qu linca,dc pramitfis rcípcéta demons ftrationis,&. et nomen gubernatoris de €o,qui regit ciuitatem; qui regit nauem, et  A domum, sao ità mctas thoricé hac nomina dicuntur. de aliqao uo Bignificato, ficut perc etaphoram. dicuntur prata ridere et Chriftus appels latur Agsus,l co,F eia, et c.fcd cu € maiori propticiate, C1 $8 Hanc . Quaft.V. de Natura analog. ert. T. 38 Hutc modi analogiz proportio A admittunt tà Thomifha ex Ca iet.loc.cit.c. 3.quà Scotiftz, vt eft videre apud Fabr.& Meuri(T.in Metaph. cit. fed aliquo difcrimine, nà in iftis analo gis Thomiftz nullam admittüt attcibu Wwonem vnius ad aliud,(ed volunt commu nenomen omnia equalitec, et per (e (i. gnificare, et quidem illa omnia immedia te fignificare, aon autem aliquem conce eis coznmunem, ac ctiam fecádum uas proprias rationes, non abfoluce fum pras;(ed vc proportionab:liter (e haben tes incer fe,vt declarác: Coplut.& foann. de S. Thom.cit.Scocftz € concra folunt hoc nomine figainicari conceptum com munem ani!o gatis, et erit v.g.conceprus principij,ec fic; gaocrnatoris, vc fic, et vl tétius in iftis analogis adinitcant accribu peces ad vnam awe, ERR nemnegauctitm Philo táimen po« ftca iesonlibis Met. loc. cit. iuxta quá icationem nullatenus prorfus t hc (ccundus modus analog: proportio nalitaus à fccundo modo analogiz attri butionis ; vnde et hunc moduin, (icuc& ilium ad eniuoca rcducuni; Verü hic mo. dus non eft camiilo procíus confunde dus, quamuis n. cum co éonucuiat, quà. tume(t ex partc attcibucionis, quam in uoluit, vt clarépatet 10 exemplis allatis nam enam primà,& per fe fignifi ca: illad,à:Quo pcr veram originé proce dit aliudsia cile; et per atttibutionem ad hocprincipiam d£ de rcliquis ». guberna. tor primó dicitur dc ce&tore ciuitatis, et per auteibutronem ad büc dicitur. poftca de reétore nau s, et domus,quatenus fun» guntuc |f; in domo,& naui codem mune pe, quo ilic in ciuitatc,vndc immericó ne t Fhomiftz aitributionem in hisana bes adhuc tainé in hoc difcriminátur y Fo cre Pusetitrte nó vndin communem concejxum, et vnam formam, vt in aoalogis a i» «d iimmediaté plarcss non quidem omninó diucrías;vt in puce d quiuocis ed propor tionc ia enim ratio principi] ctt corde, (om ce,pundto,&c.cü tà non fit alis fanitas, àqua animai dicitac (anum y  ? ceptusà quo fubftantia, et accidens di «ütur cns; quarc hic modus analogiz at ttibutionis ad zqu:uoca ceducédus erit y nó ad vniuoctcum non immportet vnita tem cenceptus;qua de caufa in (ccu conclutione diximns hanc (pecié analo gix proportionuliatis admica debere, velut aliquo modo, non tà pror(uscon. diftin(tam ab analogia atiributionis. $9 Contra hinc conclufioaé arguüt Suarez, Kuuius, PaCquilig Dliz. loc. cit. probádo,quód oma s vera anilog a pro portionalicatis incladit aliquid mctaphe  rz, et impro,tie:acis, vc pacec de ri(a ce fpecta hominis,& prati, quorum funda mentam eft; quia propoctionalicas de fe eít infufficicns ad inducédam analogia, fiquidem vera proportiopalitas poreít éc tepecici intet res vniuocas, et oino (imi les, veré .n. dicimus, quod (icut (e habet quatuor ad duo, ita octo ad quatuor, vel quod ficut homo comparatur ad (uos (ca Lusita equus ad fuos, et tamen nomen du pli,«cl animalis nó ett analogü,fcd vai uocum ; ergo vr proportional&as analo già inducat, debet ri mn metaphora, et improprictanis includzre. Deindé vel ra tío communi nomine fignificata. inucni tur pec (e primo, et intriníecé in omni bus analogacis,vel in vno tantum;ia caete ris vcró excrinfecé, &. veluti pec meta phoram,ft primtun, ergo erunt vaiuoca » nam omnis ratio Cóis pluribus equaliter ab illis pacticipata c(t vniuoca; i (ccundü intécum . Deniqie hzc analogia fundatur in proportione duocum,ucl plu« riam adinuicem, ergo noa potett, quod dicit in vne proprié, dicere proprie in as lio fed tantam metaphoricé, alioquin nó cflct in co fecuo dum propecuoncin; pto» porto enim e;cludit proprictacem. 6o Ketp. ad 1. cóccdcado poil ficri proportiogalitaccm in unnuocis ad expri oimodam tiailiurdinem (ettà. aliq:i contendant binc non foce propri proporüonliacem) X talem proportio. nalitatemut;quc nu (utficere ad. analo giam. fed daturalia proportionalitas,que Ron fuppoait, nec cx primit, nia meram unitate;n, et conuaientiam proportio» naicim, hacia ry a e metaphora, uel improprictate ad analo giam. Ad 2. hocnomen aaalozum nom fagntif cat rationem enam, fed immediate fi&nificat ipfa analogata sifa i25 propr'as rationcs, non abíoluté fumpras, (ed vt  (e habentes intet fe ; inquantum .(, vnum uodq; fundat hibi ad (unm effe fim:lé habitudini » quà fundat alterum, fine metaphora, vel improprictatequare cft analozü ad equi uocationcni potius tédens,|uà ad vniuo cationem. Ad 5 proport;o excludit pro moda fimilitudo, nam qua. (ünt propor tionaliter fimilia, vtrque non funt omni nó fimilia, at non (emper excludit pro prictatem ;: fi pec hanc intelligas verira ;& in hoc feníu dicimus :nterdum no men analogum propre, .i. veró, et non dic: de pluribus, veré n. et non metaphorice, cor eft jrincipium vi fundamcntum domus, et vtrumq; no mine princip;j nominamos, quovcique non ign;ficatur aliqua vna natura, feü [i;  omnimoda vtrobique part:ci« pata; fed vniufcuwfq; formz proporto, vt ficat fc habct cor in animali, ;tà fun: dameniü in domo, atq; ade» al quá vni. cet. néci(ta duon ipfa roce pr nciz pijnon quidem vnitatem niturarüm, fcd folum proportionum ab(, metaphora . "Expligatur 4 nalogia inequ.litatis . '  61 qx Kendunitettio adinittendá quo PIS Mo omeerienicci (pecié analoge y quz dicitar in2qualicaus, vcvtilem,; non,.vt cond; (tinCtam ab. anglpegia ats tribution:s. Concle(io c(Excon«ra Caicr. €it. vbranaloga huius (pccsei deti eli feilla, quorum nomencti conanune,& età ea illud: nomcn: ett cadem, nagxqualitcr tame participata d per fcctionem,vt homo, et ir iur csl in nominc,'& rat;oncanioalis, (cd:ho mo patrücipat naturam animalis conia, &am per rationalitátem ; qua ctt diffe rentia multo. perfcétior.irrauonaltate contrahente animal ad brutum; vndé fit y fericcon naurra animalis pribomitede mulca quàm in bruto, nonquidem. pet cíientiam ipfius cis icd. per dierentiam rationalítatisadiunctig  quoc'rca cumchzcinzqualitasetiam. ine gradibus. vniuocis repctiamat, Cin . tibus. ref(peótu fpecierum, infett Caict, non induccte vecam analogiz (peciem y quam putat cile cam vniuocatione inca» poffibilem, et ideo concludit hanc (pes ciem analozóz ede aniíslemn ;A&(equade     turoallin Recentiores omnes. 755 62 Scedapud scor:ítas, quos fequitur  Aucría cit. admittentes varios gradus y cü vaiuocatiomis,tom analo2:z3& compof fibilitarem huius cü illa im aliquo grada inzqual:tas partici pandi co REPRE. nem rationem quoad ordinem,vel pertes    &:onem cifl'encialem (afficitad inducea dam veram andlog an, quaex vihoius,   inzz ualiracis ilia ratio. cómunis iminfee, riocibas partim efteadem s partum diuer.;  (a;n juo ratio an;loz:z eonü(t; Ethio dicend. modus. f;ndaaentum haberi Ar;ft. jurrauione luis ánzqualicatisg;  Phyf.5 r; sim generibus latere analogia Es et 3. Phyt.79. ait nacorim mnfmti nó eif i vnáj&ccandcem, .i. vniuocam. ou PET quia dicitur fecandü prios pr mE et 5. Met rti infinearprigs, polterus non ttàte cum perícdtavauucatione, de   : cias catione eft (quod nat ipe. tur ab infcriaribus'tam omnimoda litate; ac vnitorautate quóad ncm, et pcrfc&tonemetlznnuglems cum     ig cor (ecundem.Arift. lüfboiathgcinge cualitas ad tollendam perfcélionem x& : puritatem «muocationis, éuffi ciensitemt eric ad inducendam veram 4: et propriam analogiam, nico détecsis aM inielli; untur ;lia,qug necdunc purégequls Oca /neC jurévniaocas 5 c d opt 2  I tpódent àliqui ex Suatezlóc.cit.pa   quamlibet : ecc CRI MADE login j7& jririerdim illam qi or eri nscamthenu niti T tein noà cilc; quiacum hac pz P Ca piorlisinacurg communi, nulloynes   dominii vnitatemracrioniseíus, &cwnis  uocauonenr fed ad ianinterendá  " )  ER,  Buaft V. de Natura Analog. c/fri, T. tudinem ad ptimà,& hzc inzxqualitas di ci poteft e(lentialis dependentia, vt patet in ente, fano,& fimilibus, nam ipfa ratio entis ex fe poítulat,vt determi netur per modos intrinfecos cü tali ordi, et habitudine ad vnum, et idco licec fecundum confu(am rationem fit cadem entis, ficut eft vna, tamcn non cít omnino eadem, quia non eft ex fc omai vniformis, qualem vniformitatem re uirunt vniuoca; Hincad Arift.teftimo dicentis prius, et poftérius nó ftare cüvniuocatione;inquiunt;id intelli" non dc quolibet priort, fed de partici priori, et poftcriori alicuius có munis,vt vni cOueniat per aliud non aüt de patticipatione priori, et pofteriori sm ne, nam ibi non cít prioritas conflituens dependentiam, fed tanium dignitatem. 63 Hac folutio allatis Ar itt, teftimo nijs dire&té aducr(atur,qui manifefte lo quitur .de inzqualitate perfectionis, et ordinis re(ültáte inipía natura communi uam inducere analogiam ; quod aui& hzc inzqualitas eco vnitaté ra tionis eius, nono quin analogià in ducat, nam non ex defcétu vnitacis dici mus talem naturam effe analogam;fcd ex » "dcfe&uiliius zqualitaus, et vmformita tis, qua folct natura fpecifica deícendere in indiuidua nullo prorfus per fe ordine feruato, qua r;tione ipfa (ola dicitur per fe&é, et pure vniuoca ob zqualitaté dif ferentiarum in perícétione effenuali. Ac écdit, non cilc ompinó certü talem 1nz qualitatem ex ipla ratione cói pullulanté pofl:bilem efie, et forté nulla alia inzrqua lits in rationibus comunibus,& precifis adinucniri pocett;nili que jllis (uperucnit extrinfecésex differenujscontrahétibus; yt muiri vi genter demonitrant praícrtim Pafqual.ci.& Hurtad.difp.9. Log.fcc. 3. «4. et Arriaga diíp.t 1. Log. Ícc.2. quód muito sntca. de ipfo cnc docuit " Mairon: q de vniuoc. enus dub. penult. cum ergo dicit Acifl.incqualitatem in ra tionibus comunibus ad analogiam (uth eere, vtique dc ifta intelligi debebit ; et dcnique Qa ingqualitas conce datur, et vt füfficiens ad analogiam ad: mittatur, non idcircó hzc alia yelut infuf ficiés reijci debet, et negare, quod fuo modo analogiá nó inducat. Quod có ma gis dicendü eft,quia etfi hzc inzqualitas €x differécia oriaturadhuc camen ex ipfa communi oriri dicitur fuapté na tura exigente talem'd.fferentiarum inz . Vtilis igitur eft ifta fpecies inzqualitatis ; non tamen cft ita coníti tuenda,vt fit diuerfa ab analogia attribue Faber cit.in Met.nam quod eft ana logum analogia attributionis, per prius Explicatur /4nalogia Tran[cendentia. 64 | Ee 4. Tran(cendentià fe, fcd tantum ratione inzqualitatis, qua predicarum tranícédens in inferiora de: fcendit per depédentiam effentialé vnius ab alio, atq; ideó non cóftituit fpeciem ab analogia attributionis diftin&à.Con clu(io ctt Scot. loc. cit. vbi docet ens, et praedicata ratione huius ingqualita tis cfTc analoga, et » quia in pri Auctores oppofits fententiz abucü tur nomine traní(cendentiz, nam per ipsá rationé omnibus rebus come munctm,ac in cis cffentialiter imbibitatng at multa fant praedicata tranfcendentia, non funt ita comunia,vt conceptus voluntatis, iuftitizs fcientiz ; et nce gat Hurtad.cit.$.46. effe tran(cendentias camento, et fint indifferentia ad finitumy et infinitü, tranícendétia dici debent; ná primus conceptus tran(cendentige tali indifferentia cótiflit, et exclu(io« ncà przdicaméto,vt Scotus docet 1.d.8, 3: N. et O. quód autem tit cóe multis pizdicatum tranfcendenshoceiaccidit, inquit Do&tor,& fequitur Aueríain Phi loioyh.q. 3.fcét. 12. Et (ubflantia incói ad Dcuin, et creaturam vtique tranfcene: dens dicitur,cum tamen non fit omnibus rebus cis ; cum ergo ex fuo primo con ceptu tranfcendenua non dicat partim fimilitadinem;partim di (limilitadiné(qum eft rao analogia)   mde € 3 oe cft predicatü tranfcendens, fed tantü exclufionen; à pradicamiento,& indiffe rentiam ad f.Ritum,& infinitum;plané nó fc (ola, fcd ex vi inz qualitatis anuexz, «oa in inferiora defcendit,analogiam in ducet . Acccdit ctiam, falfum etle ipfum ens cíie ita tranfcendens, vt non folum e(Tentialter, et quidditatiué imbibatur ia inferioribus foitepcrt etiam in ipforum diffcreniijsac in fuis modiscontrahenti bus, nam dato quód ita includatur in qui bufdam paucis diffcrentijs, quas appellat &on vlumas, falfum tamen M includi co dcm modo in diflcrentijs vitimis, ac fuis modis contrahenubus, vt docet Doéi.1. 4.3. q.3. $. Contra iftam vniuocationé, et dicemus in Met. difp. dc natura entis ; suit igitur torum fundamentà buius opi nionis, qued erat praedicatum tranfcen. dens cx vi fuz tranícendenüz formali tcr imbibi in infcrioribus, et corü diffe sentijs, et fic cfc raionem fimul, et (e mcl ca diftinguendi, et affimilandi. Rur fus dato;qnod inferiora, ac corum diffc. zentiz ita cfientialiter inclndant tranícé elcntia, tamen tran(cendentia in (uisra &ienibus non ita includunt inferiora, ac «orum differentias ; quia inferiora,& «ontractiua fcmper accidunt füperiori bus, et hoc verum eft de gradibus com munibus tàm przdicamcntalibus, quàm &ralcendenübus ; quia vtrebique ca dcm Sarioncs milizant, crgo ratio praciía trà Éccndentis dick taniim. tnilitudiné in Scriorum;,& fic ex vi (uz traníccndentiae non etit analoga, (ed ianuim rationc in qualitatis, qua in inferiora de(cendit . JDcnique ex co praccisé, quod aliqua ra tio fit tran(cendens, non icquitur, quod nilla cenucpiant,& differant formaliter anferiora, etiamfi fequi concedatur inclu eius in diffcrenujs corum, ergo x implici tranícendemua non fequitur poteit, quod aliqua differant. fecufidum dilferentias,nen vcró fecundum ra tioncm inclufam in illis ; vndé non valc 1€t fic arguete differétiz differunt (e to ; ipfa tora funt entia; crgo difierunt, vt .sntid,quia quamuis, vt aificrunt y inclu tient C35 hOR LajuCR gifíciiCBi forguas. Difp. I. De Inflrumentis fciends . n liter in ipfo cott, ed peritcinenii im cft cns hoc,quod vtraque di er d 6$ Cotra hac cóclufioné inftát Hurt, Elanc.Didac. et alij;tunc aliqua rario cfi analogayquádo;n ea inferiora aliquo mo. do conueniunt ;& differunt, in hoc.n.có fiftit vera analogia, et per hoc diflingui tur à pura yniuocauonesX aequiuocatios ne,quarum vna folum eft ratio conucnie di;altcra differendi, at (ola tranfcendene tias& inclufio enus v.g. in vltimis diffe renti jshominis,& leonis, facit vt et leo conucniant in ratione ends prout. precifa, et in cadem prout incluía 1n vl timis differenijs ipforum diftingaantury. ergo fola tranfcendentia làm Call« fat. Conf. ratio vniuoca ideó tanum. cít principium conueniendi inter füaine. feriora,quia in differentijs corum nO.ine cluditur, vt conftat de ratione animals. rcípectu hominis, et leonis, ergo cü trà« fcendétia cauíet talem inclu m, al E, i quoque caufabit, rmatuy uc; quia (ola inaequalitas i ex ipía ratione (upcriori ;« tura petit prius partieipari abyno. rum; et poftea ab alijs dependen lo.fufhicit ad anzlcgiam, non autem illa rx B 5 quz pracisé proucnitexratone differCe.   uarum alioquin nulla ratio cómunis fct vniuoca,qu'ain inferioribus habe ucrfitasem ratione diffcreotiarum 5 fed. talis inz qualitas oritur praccisé ex urne Kc BdcgOR rationis communis, ex vi cu». ius includitur etiam in diffcrentijs infe»  riotü,crgo ipla fola fufficit; maior patet. probatur minor,quia eo ipfo,» includie tur in diflcrentijs;non potett inz qualitas cx parte diíterentiarum emergere y quias etiam Cmergat cx parte iplius rationis cona tibjs,quae 1n eis ncludior « Demi analogia rci ttanícendemus participatae ab infcrioribus cum dependentia vnius, abalio nom prouenit ex dependentia, er» £9 cx (ola uranícendentias probatur aísü ptum 5 quia salis dependentia £iare | tcft cum perfcé&iffima yniuocatione £^» cut.n.accidens pendet à (i là in gce. ncte cauía cfbicientis, et materialis, tà. a&us vitalis a potentia, qug tamen Vnie coc 6 Ref. tal. i.  Vis  && Refp.his'omnes rationes ex eodé falf5 fandaméto procedere,quod.f. cran ftendentia impottet inclufionem rrá(cé dentis eciam in ditferentijs,ac modis có trahentibus ipfu.n, quod prorfus fil(am eft,quo ctiam admiffo, nec fequitur inté tum,rt conftat ex di&is :n probanda có. clufione; ad primam igitur neg itur mi not; At /nftan,(i noa raclad:tar eas foc mal;ter in diffecentijs, et modis contra hentibus,etgo pcr nihil contraheretuc ad conftituendumaliquid,quia modi com. trahentes effent formaliter nihil. Refp. faciliter ex Do&t.cit.modos entis forma fiter loquendo nó effe entia, aut aliqu. d, nec non entia,aut n il, (ed effe entia, && aliqu;d folum realiter, et identicé, for. taliter veró (ant ralitates entis, quod ét dicere tenecur Hartad. et quicunque ex Aduerfarijs concedunt. differentias. n0a includere formaliter rationem generis, nam przcifo conceptu relation:s,vel qua litatis à con:rahentbus ditfsrentijs, vel iftz (ant formaliter relaziuz, vel abfola tz, et currit omninó eadem paritas, vt dicetur in Met.difp.de natura entis. Ad Conficm. tunc ratio vaiuoca eft perfe €tum ptincipium conueniendi, quado in infcriora de(cendit eodem ordine,& pec differétias prorfus equales in perfe&tio ne cílen:iali, quales fur indíiuiduales, fi diffecenciz non fint zquales;reduadit inzquailitas in. rationem cómmunem, ob qam deficit aliqnaliter ab. vniuoca tione,& ad analog'am vergit ; potius er go ex defc&u inz qualitatis in contrahé zibus, quàm inclu(ionis in €;$, procedit, quod ratio vniuoca fit rantum principiü conueniendi ; et rurfus falfum eft, quod affumitur in confequente, tranfc tiam.(.caufare huiufmodi iaclufionem, Ad aliam Cont. falfa eft maior; vt n. có ftat ex 3.concl.otiam inzqualitas ex par te coacrahentiurm przcisé emergens (ub modo analogiam inducit(fiuc hzc apcl. letur analogia M caphytica, fiue tit fo luin Phy (ica,vt aliqui contendunt, parum refert) nec indé fequitur nullam. rationé fore perfe&é vniuocam, quia etfi quzli bet habeat in infcrioribas diuetüitarem ratione di i non tamen (em ^ P Quafl V. de Natura c/Analog. efe. T. 171 er hzc diuerfitas in inferioribus cft ef entialis ; fal eft etiam minor, vt (epà di&um eft, quod tranícendenria caufet eam inclufionem, Ad vltimum (tís pa tet ex (olutione tectie Conf. prim!argi« menti conira primm coaclafionem ha ius art.qualis depé4&ria rc juiracur vnius ab alio in parcicipaada commam: rtio nsalialaceadin aniloztam, et fatua cft potentiam vitalem cffc in genere qua litatis,vt notat Do&or 2. d. 16. q.v. TIt 'N«m a nalogam dicere. poffit couce pram »aum ab. analogatis precifum . 67 Vitam hoccxaminarifolet c de cüceptu formili,quàm obie &iuo, nostiumé przfertim dc obiect ao diferemus,nam iud? con tabit, quid di^ cé.lum (it de conceptu formali, quia nmt lam potet habere vaitaté concepts foc milis, quàm nonaccipiat abobicitiao per ipfü n reprzfentrato, vn tas li juidem imaginis  ualis e(t conceptus formilis, non a (i exva tate rci reprzfentat qua lis eft obie&iaus;potc& acen jl; vade (a9 tis allucinantur illi ; qu! analo 2tís vaici tem conceptus obie&iui denegátes, có cedunt vnitatem conceptus formalis . Prima fentencia. nzgit. vniuerfaliter aaalogis omn bus talem vnitatem conce ptus, et aíferit analogam dicere cantu n ipfa analogia in confu(o, prout hab.nt inter fe aliquam habitadinem ; ttà Caiet. tra&.cit.Complut. et Ioan. de $. Thom. loc.cit. Zimara ia tabala vetbo | 4» 1/92 € Fonfeca 4. Met.c. 2. . 1. et 2. Vafqu:z 1,5.difp. t 14.caj.2, n.6. Kuu usin Log. tra&.de analog. Pa(qualig. p. 2. Mcr. di (p.3 1. Alteca fencentia affirm:t po;e ia adalo 2is alti quibu(dam zeperiri cóce. pum vaum przceam, ità Scoci(tzoés vno excepto Fuentes iam cic.) cü Scor. 0C. Cit. t. d. 3. 4.3. in (ol.ad 2. d.8.q. 3.in fol.ad 5. et quicum jue cin ipfo tes nét analogiam eie cu vaiocicioae tn. terdum compo dibilem . f«3u/tae Suaccz in Mer.dit p.a. (eck. 2. dip. 217. (ect. 5, et dilp.3 2. (ck. 2. Hurtadan Log difp.9.. Cc 4. ud. 272 fe&t.5. Auet(a in Log. q. 15.(e&t.5. Serna in Lo g.difp. 3.feQt.r q.1.art, 5. et multi ex iniguioribus Thom:(tis Caprcoius t. d.2.q. 1. lauetl. 4. Mct.q. t. Sotus.cap. 4. Anteprzd. q.1, et quicunque tenent ens e(íe analogum, et haberc conceptü pra cifum ab interior bus. 68 Pro dccifione qua (iti recolendum eft cx praccedenti articulo ex. analozis quadam clle, quorum fignificatum non reperitur formaliter,& intrinfcce, n (i ia principali analogato,in cae:er:s auté per denominationem extciofecam, ità (e ha bét analoga attribution:s, et proportio nmalitatis primi modi,vt patct de (ano rc fpc&u animalis, et medicinz, et de ri(u tefpe&tu hominis, et prati; quzdam veró etie, quorum fignificatum reperitur for maliter,,& imirinlecé in omnibus analo gatis, ed primario, et principaliter 1n vno, n quo c(t indepeudcaccr,;in alijs vc ró dependenter ab illo, et ità (e habent analoga attributionis, € proport;onali tatis (ccundi modi,vt patct de ente re(pe &u Dei € creaturz ( quod (upponimus efte analogum attributionis, vt in Mec.) de principio reípectu fontis,cordis, fun damenu, domus, &c. hoc prenotato « Dicendum 1.analoga attributionis, et roportionalicaus primi modi non potie fast vnum conce xum cómunem,ncq; obicétiuom;neque formalem,íed plurcs, cum vnitate tamcn cóparatiom.$, et con notionis, quo (olo d: fferü: à pure zqui uocis. Conclutio habctur quati i0 tccmi nis ex DoQoore cit.in 2. d.12. q. 2.;in fol. ad 4.pro altera opinione;vbi fac loqu:tur, von c[l idens conceptus jautatis,qui di ctuy de vrina, de animali, € dc dieta, nam non. efl idem formalis conceptus fanitatis,vt efl equalitas bumorum, vt cfl quid caufatiuum janitatis, vcl fiu. gnificatiuum [anttatisy licet in viroque. materialiter inciudatur formalis con ceptus fanitatis,Q" tunc dico, quod bu iu[modi conceptus P formaliter di utr[i in 1llisde quibus dicuntur na cau fatuum. fanitatis efl formaliter in die ta, vel intali potieuesvel berbas fignifi catiuwm in vrina efl, C7 bi cóceprus for maluer diner[i |, y i NEG Difgut.1. De Infirumenmis fGiendi Mah E 4 erdinanjur ad isdà con ceptum fanitatis, qui walitat, vel     proportio bumori y quá n fic f rmalie terest folum iu ammali, pet quz vlti  ma verba iníinuat vniratem cóparatio  nis, et connorationis, quz cft propriae   analogiz,maior quidé vnitarez4uiuoca   tion:s purz, quz cítfolius nominis, fe minor vnitate vniuocar.on.$, quz dic? vnitatem conceptus cómun s omnibus, vt ait in 1.d.8.q. 3. infra E. idem dici debet  dc rifuccipedtu hominis, et prati; quod cit analogum preport onaltaus primi. modi, non ergo va;ras aliqua natur et  conceptus fignificau dcbet concedi bu   iuímod; Mee ad fumn tudo quedam, jux non uc pec m rz, et ab(olucz vnicaus, fed per cu:u(dam attriburionis, et prox qua (olet dici vn tas propottional rd HNIC aucé concluíio, q tas horum analogoruim non conlift aliquo,quod iatriníecé EE nibus,(ed in ociine vmus, vcl p vnum terminum y à quoreci minationcm, quia ad. iilam On. noutoncin vclhibiudinem ergo ita    aniloginon Ma i | vnucon  n. Ccepai.a probatur ejuentia, ratas 7 dan lis vnicas,cam (ic nitas ordinis, et habí tudinis vn:us, vel plucium ad aliud; necef. lario pluces petit conceptus illi ordini ad, et ad talem connorationem, S habitudinem exercendam neceffarios. Conficinatur, qui ei, quod rea ; tercale, et pet incinlecam denominae. Uonem, i quod ett si quid tale, et per : extrinfecam, nó cft dabilis yna ratio có eri outs ege 1.d.19. q. e. i ita rc$ (e habet in his analogis, quia fo. priacipale analogatü dicitur fimplicaer et abíoloté tale per inttiníccam denomi nationem, caetera vcró talia fecandum. qu:d pct denominatioaé ab illo; et curfus hi ral;isratio communis. eft abftrahibilis, petendam ett, an (it intrin(ecz denomi nationis, et fic no crit cómunis omnibus, quia uon in omnibus talis forma eft in  t'in riníecz denomi feca, " tantum extti, Pationis, et (ic noncompeterct, Tandem in hi. anilogispecu   sd cge Res, analozato. Dülcéicorü axio liaritec. verifieatar comune i S.V. de Voitate conceptus .AnalogeArt.IT.  175 axioma, qubd analoghm per fe [(umptum flat pro feteejiori frei tato 5 fignum «uidens non poffe ab his ànalogis cómuné abítrahi conceptum, qui, ( id poffibile, vtique pro hoc commnni (üpponc ret analogum ab(oia:à fümptum;& hinc fit, vt huisímodi analogum. nequeat cíic medium in demontratione, quia figai ficat rationes plurcs . 70 Dicédum 2. nec etiam omnia ana loga denomina:ionis intrinfece habere vnum conceptum communem przcisü, fed illa tantumque (unt attributionis (e «undi modi. Conciufio colligitur ex Sco cit. et probatur, quia analoga propor tionalitatis fccüdi modi vtique (ont ana loga per denominationem incrinfecam, quia vnumquodquce veré dicitur tale, et ion meraphorice rantunt, vc conflat ex di&is art. prazced.concl.2. et camen non habent vnum concepuuin cómunem, er £o non omnia analoga intrinfecz deno. minationis habent cómunem conceptum abftrahibilem ; probatur aiumptü, quia vt repra(enientur hzc analoga, quatenus talia funt, debent teprz(cntari proprie rationes ipforü fundantes diucrías i portiones cum aliqua tantum | incer fe (i milicudime, qua itas appel latur, fundata ;n :llis diucríis proportio nibus ergo hzc analoga, vt cadem (ecun dum proportionem, nequeunt reprzcn« tari vn:co conceptu ob:ectiuo, quia licéc hibzant vnitatem,& conuenienttam pto portions, hec tamen couuen'entia adeó exilis cfl,vt nequcatilia coadunare in vni cü conceptum obiedtiaum, fcd m. habet vim conncétendi diacrfos illos conce prus adinu'cemscü .n proportio fit císc. tialiter ad aliudynon porc ít aliquid intel ligi) vt proporcionem hibens, niti cü alio. coníeraibr, vnde ex vi conceptus ipfius, d: bet ctiai aliud concipi. Conf. quia &. fi hacanaloga finz talia perintrinfccam, denominatioaem forma, hzc ramen dc nominatio non fumiturab vna forma 1n. onynbus.ipnziníccé repertasfed (ümitur à pluribus, et diucrtis, non quidem vt om nino diuciis, ficut coptingit in zquiuo. cis, fed vt proporuone fimilibus,. yt ex« plicatum cft cone 2.pigeeduare, | 0, 71 Exhoc probatur altoca conclufio nis pars, quod nimirum analoga attcibu uonis (ecundt generis hàbeani vnü con cep:üm coimuaem orzc'(um, quiahzec gpyriéy ac intcinfece zalia d cüzur ab vna eiuíde:m racionis,vr quae: aatura cómu in inferioribus, ac pro'ude vcre, et proprie conuenit in tal: forma, ratione proprie cóuenic nig ab(lcahibilig eft vna catio comunis omnibus, vt patet ente, et ceiccis canícendétibus, quod quidem cft ( quod cit valde notandum) monet Doctor 1.d.8.3.5. ralem vnita tem conceptus his analogis cóuenirc nà ex viiphusanalogia, c.n vi vniuoCa tion s annexa (vccnin dieemus art. fcq. oninia haus generis aniloga mixta funt cum vaiuocacionc) ná cx vi (implicis ana logiz nequeupt habere, niti vnitaté at tcibutionis, et ord:nis ad primum analo gatum, quz licet (it maror vnitatc zqui uocationis, adhuc tamen minor e ait Do&or) vnitatc vnuocationis, vtpote qua indifferenter compoflibilis clt cam hac, et illa, cx quo patet analoga,vt aga loga,nunq:iam peruenire polle ad vnita tem conceptus abftrahibilis, quia hac eft gap vniuocorum. . rer 72 ln oppotitum objjcitur Primo, probando omnia analoga «n vniucrsü ha bere conceptum communem prazcilum . Tum quia omnia analoga, quancmuis impertecta;analoga funt, non z quiu0Ca, cto habent aliquid co.nmun, nó folum in voce,ícd ctiá in re (ignificata per illà. Tum 2.cercum eft analogum de rn logatis pradicari, vel igiiur f'ola vox có» munis praedicatur,.& (ic ecuncze jiriuoca pura, vcl aliquod có:mane figuificatü pec cam,& habeur inceacum. 1 dm 3.quado concipiuntur analoga conceptu reprz f otintecóucnicnuam ipforum, vcl con € piuntür Iccüdum rationcm aliqua com m.nem,& habetar intent  ycl (ecandit r.tioncs paruculares& (ic uo concipiu BER FANE conucoicniz, Tü 4qudo plura concipiuniut, vt plura, fe» cundü tationes quiddjtatiuas, cózipiuns tuc vt zquiuoca, ergo yt Coneipiantas ur 174 18310ga, debét concipi fecundá aliquam rationem communem,& vii, Ta td dem vel aniloga, quando concipiuntut, funt plura fimpliciter, velal:quo pa&o vnum,(i primum, non cogn »(cuntur, vc analoga, (ed vt meré z ju uoca quia ana loga (ant aliquo pa&o vaum, fi fecua dam,ergo habencaliquam rationé obie Ctiuam van'tatis. t 3. Rep. ad r.analoga ex vi analog:z estis có,nunem conceptum, in quo coadunentur obie&iud, hibere tamcn conncxienem rationum | particularium fecundum eífe ob e&iuuim; habent enim inter (e, vcl ad vaum certium tilem. ha bitudinem, feu dependentiam, ex ui cu ius unam concipi non po:eít (iac alio et in hoc (ecern intuc ab z juiuocis, qui ex vnitace vocis non habeuc talein con nexionem particularium coaceptuum ; fiquidem ad prolationé vocis Galli, aut alterius nominis meré aquiuoci poteft ad libituai intelle&us ita folum conci pere gallum gallinaceum, (icut et homi nem ex Galliaortü. Ad 2. analogum,vt analozum;,dicitut de plucibas,fecandum diuerfis rationes,& (ecundum aliquam hàbitud:nem, analoga quidem attcibu tionis d;cuntur (ccandu:n habitudinem, qua vnum ordinatur ad aliud, proportio nalitatis veró fecundum habitudine, qua vnum compa;atur, et quodammodo a( fimilatur altcri; «nde ex v! analogie nal la habetur vnitas, et commun:tas ratio nis, fed folius nominis, cui (ubttituantur immediate diuer(z: rationes obiectiuz, non vt ab(olacé diucríz, fed vt habeaces proportionem ad'nuicem, in quo analo. gad fferunt à puré £ juiuocis, que. ha. bént càmunc nomen diuer(a figo:ficans, et (ub racionibus diaer(is ab(q; vlla pror fus habitudine, vel proportione vaius ad altetun.. Ad j.pec nomen anilogum, vt fic conciptuntur immediarà ipfa analo gata fecundum fuas proprias tationes, non abíoluré (um;xas, fed vc proportio nabiliter (e hibentes iuter (e, &in hoc fen(uü dicuatur concipi: fecun lum ratio nem conuenienti£,. Ad 4. analoga licet concipiantar,vc plura, et f. un di uctías rationcs,aon camca conciprücuc  Difgut. LI. De Vocibur. vt zquiuoca,quia fima! concipitur pra« portio, quim hibzac adimuicem, Ad y. concipiuntar, vc plara fimpliciter,& vad proportion iliter, quz vnitasapitibutios   nis, et proportions dencic at quiuocis,  et minorcitvnitate valuocurion'g, Secundo ob jcitur probaado, quod.  aniloga omn a, (altim incciaíecz deno minarionis, habere. debcanr conceptam co.mnunzm precium, Tuin quia ideo coaceditur talis va tas analogis. attcibue tionis fecund: gcaeris, quia omnia anas logata funt tala pec denominationé ig» crinfecam,cum ergo ita (c hibeanc etiam analoga pcoportionilitatis fecuadi ge nctis,ip(is etiam vacas concepcus obie« et ui acgaada non videtur ; Tum 1. quia. 9 nan? io Ktcahib lis videtut racio coa munis princip:j ad cor refpe&tuvirz, fon tis re(pe&u riuulocum, fuudament res   fpedtu domus, &c. gabecnatons refpes  uregentis domu.n,ciucacem,& na:& faltentandi carnes rel pe&ta ollis, et (» nz,qug communis ratio futtentand: car nc$, rcgendt, et principandi poftea coa»  trah:tur. per racioaes peculiares íic (ü« ftentanli, (ic gubermandi, GC principane di, ergo his, et (1m libus anilogis non eft. 25 i neganda talis vpitasrationis. Tumtane.  dem quia ipía (aitim proportiomalitas, feu fi militado proportionum poteit ab. in. his aa lo zs przr(cindi, et illa vnico com 5 ce; reprzlentari, &c. ooh 74 Refp. ad t. analogis attributige   nis(ecund: generisdeberi, et alfignari  vnitaié conceptus, nonprzcisé quiaime  trinlecé talia denominentur, fed quiaic denom:niutur ab. vna, et eadem for ma in omaibus, quod non contigit in analogis proportionalitat;s fecundi ge« neris, vt di&um eft in probanda fecunda. conclufione. Ad z.in illis anilogis fub. nomine principij, gubernatoris, &c. re vera non fignificatur vna forma, vt mul ti etiam ex noltris exillunant, que fim  pliciter lit voainrauone, X quiddii formz, fed (olum iatinuatar conueniens tía, quzdam in iingulis in modo habendi. fuas formas, quod cít (uo modo, X poruionabler effc tale,non fimpliciter, » vadc rauo v.gpriacipij um co Quaflio V. De Viitate concéptute/fnalog;c Art. I1. 135 et íincorde non dicit aliquam vnam for mam conílituentem rauonem funda inenri,& cordis,ícd omninó diuerfas for mas,(uo tamen modo habentes rauoncim prodi et hoc tenemur dicere, ne con undamus vnitatem dip ever cum ynitate vniuocationis. Ad 3.conccdimus poflc przícindi conceptum proportio nalitatis, at nomen analogum, .f. princi pij; gubernatoris,&c. non (ignificat ara. ipíum relationis, in quo conueniunt dua proportioncs,quia hoc fignificatur per nomen ipfim proportionalitatis,fcd fagaificat ipfa extretna, inter quz verla tur proportionalitas, quz quia in racio ne analogorum non coníiderantur fecuri dum gradum communem, fed fecuodum proprias rationes, vt tamcn proportio nabilirer fc habentes, ideó ab illis, vt fic abftrahi nequit ratio aliqua communis ; etíi ab iptis rclationibus abttrabi poffit, Xertio obijcitur € contra nullum proríus analogü pofie habere conceptü vnum pau analogatis communem, quia plané implicat ; et cft repugnanria in terminis,quód fit conceptus analogi, et quód fit vnus,quia analogia intrinfe €é includit, vcl plures rationcs habentes inter (c proportionem, vel plures habitu dinesad vnam formam, ratione quarum «oncepuus obiect;uus analogi non po teft cíle vnus. Confirmatur quia fi talis conceptus non attingit pue rationes, fed vnam, in qua fingula inferiora con ucniant,iam erit vniuocus, nil cnim am pliussd vninocationem defidcratur, quà prafata vnitas . Si dicatur cum Suarez, potfe analogum prafeferre «oncepium communem, votimfcd mmaqualiter in fexioribus communicabilem per diffc rentis$ dcpendcntz, et independenuz, ira qnod imiclligatur pr:us defcenderc ad vnumabalogatum,: et pofteriusad aliud in victuie prioris, ac proinde mon efie: y piuacum, de cuiv$ratiopé eft. cfle a Qua liter cogwounicabilem infcrioribus fine eíienti crdenua vniusab alio ; et fic adhuc inco corfiftete rationem: ana log;z uia in illo vno, et codem concc pui conmeniont ipferiora ; et diffcrunt,   Los ront ratione illius inzqualitatis, Cone trà initac Hurtad. conceptus communis non cíl diuerío modo, et ine qualiter par ticipabilis, nifi ratione modorum contra hentium,fed hi modi nonincluduntur in conceptu abítra&to, neque igitur inclu detur illa inzqualitas . Neq. dicas,quod licét in conceptu abflra&o non inclodan tur hi modi, tamen includitur ordo ad bos modos, quatenus ille conceptus eft Prod natura capax; et cxigitiuus talium differentiarum inzqualium . Namin conceptu abílra&o ; vcl confideratur hic ordo; et turc nó potett e(fe abítra&us ab his modis, ficut ordo potcft con fiderari non confideratis terminis, ad quos cft ordo ; vel non copfideratur, et lic abftrahit ab ipfomet ordine. Acce dit,quód admffa hac incqualitate ex par te ipfiusrationis comunis prodeunte, &c non przcisé ex parte differentiarum, jà ille conceptus non erit in fe vnus,fed po tius geminatus, et duplex, quia 1nzquae litas neceffarió exigit duo. Si dicatur, hane 1nzqualitaté non tol lere vnitatem cóceptus, fed tantü ex par te minuereyitavt non fit tà perfecte vnus, uantum ad vniuocationem requiritur . Cond ; inftat Páfqualig. cit. non datur imperfe&ta vnitas,quia vnitasnon poteft. tolli,nif? per multiplicitatem, et bzcex nauxa (ua perfe&té tollit vnitatem ; ex quo fit,quód vnitas,& multiplicitas con . fi ftant in indiuitibili, vnde fi altera ab ale tera tollitur, adaquaté tollitur ; ergo non poteft dari aliquid, quod non fit perfe&té vnum;aut perfe&é multiplex . Accedit, quód omnis ratio Metaphyfica confiftit: iw indiuifibil, namefientiz rerum funt ficut numeri $.Met. 10. ergo nonpotefk tolli indiuifibiliras mifi ponatur mulie plicitas rationum formalium 5 ex quo: rurfus fequivar, quod firario illa ad tne feriora deícendit, dcbet modo indiuifi biliy& fecundum dcr hat icncia ad omnia, quianop Ma a sc,fecundum quid n ek ipdtatur io quin cflet diuifibilis, fraucem fecundis fe totam ad omnia defcendit, iam defc ndis equaliter, ncc perfectiori modo eft in vno» quàm in aliquantum tft cx (e, (cd tantom ratione contrahentium .  46 Refp. hanc difficultatem ;:llos vr. gere; qui admittunt poffibilé effe conce pum przcifam,& vnum puré analogü et clem dc fiéto ponunt conceptum en tis, et cuiufq; tranícendentis, at nos non admittentcs. parum analogü, leuiter pre« mit, quia libenter concedimus analoga ; vt analoga nunquam Pony poflc ad vnitatem conceptus abftrahibilis,quod fi interdü talem videantur obtincie vnita tem, vt in tranfcendentibus, hoc vtique non cft ex vi ipfiusapalogiz, fed ex vi vniuocationis annexa, analogia enim fc cum non defert, niti vnitatem atttibutio nis,vcl proportionis ; quz eíl vnitas im petfe&ta femper inuoluens, vel plurcs ra tioncs inter [c proportionem habentes, vel plurcs babitudines ad vnam formam, vt bene concludit argumentum, hac ve IO vnitas atcributionis addita vaitati vni« uocationis, cum quabene compoffibilis eíl, (icut vnitas minor cum maiore, pro prié non minuit cam, (cd tantum reddit inzqualiter participabilem ab inferiori bus; et quamuis hzc inzqualitas oriatur ' €x ditlerentijs analogatorum,vt conten» dit Hurtad. tamen adhuc dicitur oriri quoque ex ipfa ratione comuni exigente tali modo, &.tali genere inzqualitatis patticipati, quia licer in illo (tatu áb firaé&tionis prarícindat à d ffcrcntijs, ta men conlideratut adhuc, et fundamétali tcr cft capax, et cxigitiua differemiarum ficinzqualium; non igitur ex dcfcéta v nitatis talem conceptuim appellamus ana logum, ied potius ex defcétu zqualitatis; qut requiritur ad perfe&tam vniuocatio ncm; l'raterquam quod falfum e(t;quod Paíqualig. addcbat, nó poíle dari vnita cia nifi bt peifcóéta vnitas; nec multipli" €it2:cm nifi fit. perfecta muluplicitas, giam quis. non videt in vtraque dari lati tudincm? fané Arift, $.Mct,.12a.. plures gradus vnitatis di(Linxit; dum dixi a/1a muero, alia gencre, alia fpecie » alia «nalogia vnum funt,& de «um vpitate fpccifica naturz. ftare multi plicitauem eius nuncralen et ci vnitate &enerica flate fpecificam,non crgo qua hibet mükiplictas ftatim ex inegro qua "Difput. 1H. De Vocibus: libet dcfiruit vnitatem,necquelibet vniz  tas dici poteft (cdtantü illaque nullà (ccum compatitur multiplicitatem,  i "4n, C quomodo analogum mediet. in X. ier vniuocums, Cg «quiwocum. A Pud Thomiftas omnes itacertü eft analogü mediare inter vni« uocum,& zquiuocum, vt id potius fups. ponant, quam difputent ; vnde pauci trae  &anr hoc quzfitum in terminis, Scotis  fiz écontraitaprocomperto habét ope pofitum, vtabfolucépronuncientanalo gum inter vniuocum,& zquiuocum nul». latenus mcdiare poffe, ita Formalifta omncs art. 1.Formal.Sire&tVallon.TrG« bet. Faber 4. Met. loc.cit. Meuriffe in fua. Mct.lib.1.q.2.not. 3. et alijpaffim. Pro.  refolutione quziiti not eft analo Lrsibspes poffe dupl;citerformaliter,.f.  materialiter, analogü materialitereft   ipsümet pradicatum quod denominatur   analogum, Moo ipamet    ratio analogiz,qua ipsá tale de nat   Quarc cü quzritur, an, et quomodo ana logum mcdiet inter vuiuocum, et zqui uocii poteft quefitum intelligi de anal go formaliter,& matctialiter fumpt iuxta diuerfam analogi acceptione qu Riggris diuerfimodé refoluenda . 78 Dicendumigitur cft iuxtaallatam dittin&ionem, quod analogü formaliter fumptum ita mediat inter vniuocum, et zquiuocum » yt nunquam cum icri coincidar, at materialiter fumprum feme. per cü alterutro coincidir ; et (cafus eft reperiri non pofle przdicatum » m quod fimuJ vrina vcl vniuocum ; : du | quiuocumyita quod ratio analogie in ali quo przdicato fola reperiri non poteft,  rc tta ocatione; vcl gt | quiuocationc,ícd quamuis analogürícm per fit matetialiter c vniuocis,. &zquiuocis, formaliter tamen fempez   renanet impermixtüsquatenusratio for  malis analogie nunquá coincidit cum tae tione formali vniuocarionis, et gquiuoe cationis,& vanas analoga: eft formaliter diucifaab ynttaic yniuocationis, et equis | Be Vyitate Gonciptus e/Analog. rt. LIT. osddons, fiquidé eft maiori(to, et mi nor illa . Cóclu(io aperté craditür à Sco o 1.d.8.q. 3.in fol. ad 3. E. vbi docet vni fatem analogia ; quam 1b: vocat attribu tionis, e(Te vtique maiorem vartate zqui üocationis  féd minorem vnitate vniuo cationis, ac proinde else c.n illa cópof fiblem;quia non tepugra: minor vnitas cum maior ficut quz (unt vnam genere fant vnum fpecie, licét vnitas generis fit minor, quàm vnitas fpeciei, ita inquit Do&ot, licét vnitas attributionis nó po nat vn:tatem vniuocationis, poteft càmé ftate cu n illa, licét hec non lit foemali tct illa, hec scocis,quibus verbis Do&ot duo man.tefl é mtinua: (quz sát dux par tcs noftre conciufion: resin ett, analo  iam flare potfe cum varuocanione, vel a quiuocarone in cozé pradicaro, quod coinéidere materialiter cü. votuocis; vel zquraocissátrerür quód eftó ita com, alhüc tamcn femper eft formali ter diaccía vnitas analogie ab vnitate tá,quàin yniuócationis,cum dn coníonéta rcpéritur, et e(t qaos ammodo inedia, quia eft minorifta, et maíor fla; &'quidem banc veritatem at^ tigit P. Faber in (ua Phiof. Theor.95. c 1.n finc; VbiCGianyfolaictationem alio rüm'Sco:rftarom imóppofitam,'quami uic poftca Met Aoc. cit. eadem rariodd fitus 'abtoldté'voohhcier an doEü mut? lo modó 1dtéraitócim, W s quiuocum tiedrare Be qiiod ficecvnirisamiogis fie fortmialrierdioerfa abwniráre vniuoca, et mitioc inl!, tamen non ef media mreft vilitatedi vritiocam ; et ze juidocam. ^?  "39 I'rübatur iraqüe ih Primis conicà T hotniftas'omftc$ andto£um' marerfalicer $E jet cóincideté cüm «maneo j et eduic tio£o, ac proinde datinosi poffe praedica tum, q&od (it pure analog medians LE tCPyniuócinm, et erus "Vnitas'dha im et quedam vorcis! [iréportioBis ; potiusviitàs cuna damordinis, et ac | e vntos ad aliud vcl piuciiri: d'tertium im ctr fatrone equa fien ffecüdumi prius, et potierius,! fed'hie COP nh edel i füc té zqu'uócattonis; et vni vicéarionis j etgo fcaftra! ticdius c1 difii gnatur locus, maior patet ex di&is hucuf que deratione analógiz, probatur mt nor, quód enim talis vnitss attributionis ftet cum vnitate 2 juimocationis quz cít folius nominis,pater de rifa cefpectu ha minis Ici, et prati cidentis, quibus vtiqg eft cóiune z juiuocum, tame prius dict tür de howine,pó:terius de prato depene €i poflunt dc his a jurocis à conilio; im quibus ob ralem ordinem, &attribatioe nemab omnibus admitutur analogia ; qp Cam eadem vnmitas a tributionis ftet cá 'Ynitate vntuocationis, probit Do&.loc. Cit 1.d.8.3.3. et d. 3.2. 3. Q. nam Aul, 16. Metitex. 2. et inde concedit orditicem  (fentialem,feu attriburionem f pecicrum einldetm gencris ad vnum primum inillo gencte quod ef! métrum, et menlura om tium aliorum,& támen cumhoc ILat vni tas vn'mocation's ratiónis generis in ipfis fi'ecicbus ; quod: adhuc vlterius'oftendit otor, qura nunquam aliqua comparg tüf;vt menfurata ad menfuramyni in ali» vno conaeniant, (icut eim coparae fimpliciter e& in: fictipliciter vniuoco 5. ehyCtox24: et inde;ia omnis compas tio eft in aliqtiabrer vninoco, quandg. n. dicitur, hoc eft ius tllo; ratnr,quid perfectiüs ?. oportet ibia (Tim. realiquod cómune vieiqueyita quod ome $ cópacacim deteemincb:le comune cft vt riqoe'éxtréi&io:comparationis uon «m. in eft pecfe&ior hono; quiim aíi nag, ed perfeét iis áni tial, cibergoali jua pof irit cÓpurariin etes «p omiies Fatentur elTc analoz,ét quód Dus ctl perfe&uus en$ ctcatura, oporter enctare effe vtris tóminem, tn qiia) cá fitaccributio vnius ad atiudyclaré patet, suotnodo eii vaxtate dtiributfdnis It cvm as in uocadonis.. c3 "UgRurfd cánc Áliqued pre d:caauncene fecir oiiidduemg cunt Minibus Conucmt s [:d iwnirhochuv; et vhiidependcaterab alo, ànvIàpra nomkqoe (mper aliquá fee cum delére inaequalitaréay ; &cattributios nemi vis ad aledjob quam ino;nnibus áfalobis vei à mper ett iu aodo( quia fane afeno snalozorum cinagis vC« rificaeic, quàai m atio ) Dialzéticorum axioina; analequmabjolw à «3 278 Difrut. 1H.flare pro. famofiori fienificato y pótaüt przdicatum huiufmodi babere ad illa plura cum tali ordinis vnitace cómunita tem foitus nominis, vt e(t de rifü re(pe&u M et prati, aut etiam tationis, vt de cnte rcfpc&u Dei,& creature, nec tned.ü videtur excogitati polle, (i grim, etit aralogü ax«uiuocum,fi (ecundü, erir analogü vniuocum ; et hzc cft pou(lima rfatioycur Ar.ft in antepczdicam.cü cgif fet dc x ouivocis, et vniuocis, nullum dc inceps inftituit de analogis (ermoné, quia addito ordine prioris, &.potterior:s ha bent cundé modü przdicádi cum vniuo €is,& mquinocis, et cum eis coincidunt. $o Loftremó probari potcft à (uffi €ienti dinifionc;analoga cnim omniayaut Mant atiributionis, aut proportionalita £is, vt patet cx 1.srt.Dam aliz dua (pecics inzqualitaus, .(. et «ranfcendenuz non fant à primis duabus condiitin&z ; (ed hzc omnia coincidunt cum voiuoc;s, vel aquiuocis,ergo &c. Probatur minor, nà analoga attributionis, et proportionis primi generisfané cum aquiuoci$ coin cidunt, quia ilii$ (ecundu:n nomcn coam mune correfpondencrauones diueríz, vt patetex cori natuia dam explicata, quia primum analogatum inter ca proprie cft tale, (ccunduin unpro prie, et per mceta phoram, primum abíolu:é cft tale, alte rum pcr quandam fi imilitudinem, et pro poruonem, primum c(t cale per forman fibi intcinleram, akerum cxtrin(ccé ran tum et pet (rmplicein. habitudinem ad illad;vt patet dc (ano re(pectu medicinz, et diciz, dc ri(u feipeidu hominis, X pra ti vndé nó (aus coíultó P, Faber in Met. loc.cit ait (anum in otdinc ad illi ctl prae dicatum varuocum, plane hoc cíl conira rauoncm, et Scoiü ipluinyquitn 2. d. 12. Q.2.ad 4. clarius 4.d.12.q 1, (b H. do cet c(ie prz dicatum omniaó £uiuocum verbis ita cxpreilis, vc nullum adanittant gloffam. I:& analoga proportionalitat;s (fecundi gencris eito talia dicantut. pec inttinfecam denom:nationeum, adhuc ta quia talis dcno ninitio 00a (umitar ab vnaforma ciu(dzm rationis in oa: fcdà detis in ungulis illorum ex.iten non vt Q;nning diucriis, (cd vt A T De Vocibus twi toportione fimilibus, vt fatis (upra eg Picard cit,idcó adhuc ad mag pertinent, quia non eftabitrahibilis ab cis vna cómunis racio, vnde ncque faris con(ultà hzc analoga reducit Mcuc loc. cit.ad vniuoca, Aniloga tandem attribut tionis (ccundi generis, quia inccinfecé de. nom:nintur ab vna forma ciu(dé ratio nis cx ftente in fingulis, qua de reab ftrah:bilis eft ab eis cómuuis conceptus, (pcétant ad vniuoca,vt patet ex di&is,ec go an1loga oum, cu'ufcun que fincges neris,ad vaiuaca reducuntur. vcl ad jui uoca iuXta varictaté analoz;z, nec dari poteit purum analogam, quod nec vai uocum fic nec z:quiuocum, (ed med:um., Ke(pondent quamplates Recentiores. cum Suarez lupra cit. quod licet | actributionis lecüdi generis habeant wai tatem conceptus, et toferioribus fuis có  ueniant non (olü sm ;dem nomen, fed éc (ecundü eandeat ratione;n, adhuc tame vniuoca non unt, quia prater vaitarem nominis, et ratioa/s ad vniuocationé ad rc quicitur,quód illa ratio communis g:ualicec participecurà (uis infer oribus, acqi 1dzó dcfedtu calis qualitatis przfas   tà analoga, quz comprci:endunt oinnia tanícendenua, nec poífe, nec debere dici vniuOca, quia ingjualiter deícendunt ii Deos €tcaruram; (ubitanciá. et acci ens, quz euam (it opinio quorundam veteruin [. bae ph laucll. ftete in hoc, quod pacticipetur fc pr/ás, et polteciusy vaiuoci vero. q parti Cipccurc equaliter,;deoque analogü. me» diare intet vniuocum, et z;u:uocum, quia zuiuocum nulio modo participa . uir fecundum rationein, vninocam partis cipatur zqualitec, analogum vcró inzqua  (ecuad.umn prius, et yo (terius . 81. Scd hzc ce(poüo ex dict:s corcuit, tum quia Acl. ia definiaone vaiuoco ruin huius zz jualitatis, quag dicunt for mal.tfi aé có ticuece vniuocationcm,ncc verbu a quidem fecit, (1gaum eu:dens 4 vniuocacionean à mplickec »» et ablolu famptam aó cile accetfariam, fed canum ad va;uocatioaen pertectiffi nag, &. in pruno gradu ca (upra a(lignaus, Em, Q. Pen mediet analinter "uniuotCortquiu. cft. II. 179hyficam appellauit, tà quia hi talis equa ps cflet ncceflaria, fequereur (ait €or)quod nuilun: genus e(fct vniuocum, quia inter f, «cies cuiufcücve generis da Ur inzqualitas c(fentialis ob differentias contrahentes, quarum vna cfl eflentiali ter perfcátior alia. At re(pondenrquod aliqua rauo communis poteft inzquali  ter participarià uis infcrioribus duplici ter, vcl inuinfecé, et racione fui, itaut sim. fe (it p.rfectiori modo in voo,quàm in a lio,& in vnocum cífentiali dependentia ab alio, vel exin(ccé tanum, et ratione conrabenrium, et taliseft inzqualis par ticipatio naturg genericg. à (peciebus, que non tollit vn;imocatienem,ncc analo giam conftituit ; cum meré ab extrinfeco proucniat, fedingqualitas primi generis proprie vniuocationem tollit, et analo jam ponit,quia prouenit ab intrinfcca o ratione ipíius natura participate, qua intrinfecé perit contrabi. per differenuas inz quales, et priusdefcendere ad vnum analogatum, et pofterius ad aliud in vir ture prioris ; et ita (e habet ens.cum cee teris tran(cendentibusad Dcum, et crca Rrepecuri coe accidens, quantum uis enim abftra&é concipiatur. ratio co vUs,^dhuc intali ftatu cft exigitina diffe réuatüng:qualiü, et iptcinfecé perit hüc ordinem, per Íe primó cop&tat Deo,& depédenicr ab co rp «reaturas defcendat. 81 A: hac folutio, ecfrapud multos plaubilis, cx dictis multipliciter reijcitur, quia in primis Ariflin vniuocorü de finiuone nuliam prorfus zqualtaté me snorat» qua ncccflaria (it ad «onftituendü vniuocum fimpliciter,& ab(olucé süptü, Ícd (clan; nominis, et ratiopis.vnitarem requirit. Tuc quia;fta inzqualitasana logiam conítituens,qua nimirum proue niat cx ipfa rationc communi,& non.po tius folà ratione contrahentium, mulas. imphcare videtur doGi (Ti mis virisjno .n. potcft ratio comunis inz qualiter defcen dere;nifi aliquid dc fe dicat in vno., quod non dicat inalio ahoquin 6 a qualiter, g» in vno dicit, cuam dicit in altcrosz:quali ter dcícendes, fed hoc flaze non poteft cü eins vDitate et indmubbiltace na diminu. tà Lüc CIE 5 ybi de (e imperfeétius exiftit, et diftincta,prout eft in iflojà fc pía, pro ut eft inalio rav;one illus maioris perfe Gionis, et quidem intrinfecé, cum talis inzqualitas cx cius natura pullulare dica tur; vcl fi eft vna, et quantum ett de fc, ciu(dem rationis in omnibus, plané quic quid períc&tionis inttinfece ponit i0 v005 ctiam ponit in alio. Tum ctiam quaa li ta» lisinzqualtas dcpendenciz, et indepcns dentiz (uffici ad inducendam analogià y €o quia oritur cx ipfa ratione communi, et antecedenter cogiratur in ea ante a &ualem contraGtionem pcr differentias, quia cx fua natura petit talem ;differen uarum i litatem 5. hoc totum dici, et debebit de qualibet natura En nerica, cumn. qualibet talis (it per dif inz:quales in perfcétionc ctlen tiali contrahibilis;talis inzqualitas cogis tari potcrit ín ca antecedenter ad cóira« ; X dici poterit oriri cx ipfa ra có»íuni gencrica, quatenus, et ipfa fuapcenátura, SpantemoMaHicacia » età crigitida pro fui contra&ione d.ffcren fic inzqualium. Tam deindé;quia fi dicatur,nec etiam ibet inz.quali tatem ex parte rationis cómunis à tem fufhcere adanalogià (ed przcisé ef fc debere inzqualitatem per differentias dependentiz, et independentiz, et non. fufficere inzqualitatem per ditfereotias Ie Quores, et imperfectiores c(Tentia er fine dependentia, qualis eft inzqua litas generis. Hoc plané videtur voluntas rié di&um, quia nec ratio, necauctoriras ad id (uppetit: imo Arift. 7. Phyf. 3 4. et 10.Met. 26.0b hanc ter inquit ia natura generica iam fubeíic, X ratio fuadet, quod qualibet 1ngqualitas in communicatione naturzy duiuinodo (i pes diffcrentiasc (Fentiales, íut&icit ad indicendam | lain maie remsvclininorem iuxtà maioritacem, ee] minontatem eiuldem; cuim vniuocarione tainen compo ffibilem ; qua de canía fus praali:goaumus varios gradus vniuocae uO0Di5, gia. "T $4 Altcra vcro parscócluionis, quod nimituüm analoga non coincidant forme r cuin zquiuocis, vclwniuocis, led. 1 boc (cniu. medient umier illa   Ó ib omnibus forté etiam a. Scotiflis rela tisqui quando negabant analoga efie me dia inter vninoca, et equiuoca, verifimi le eft, quodin ptior! fcpfu loquerentur, efto corumratiopcs quid amplius proba rc vidcantur. y et ideo infra folücntur cx ea parte, qua nobis videntur officere ; et facil probatur, quia vtinqait D;odtor, vnitas analogiz, etramli reperiatur Cum vriinocatione ; aot zcuivocatióne Ih CO' dem przdicato:,'non tamen formaliter cenfandijdcbet eur hac, et iMla;fed fem pér manet Formialiter ab vrraque. diftin €3,& eft iriaior vna .& mmor alia ; vnde foimalitcr infpeéta mediat intet cas ; cft maior vnitate zquiuocationis, quia hzc ett vnitas (olius nominis, (upra quam ana ia addit vnitatéattributionis, vel pro fóttionis;eft autem minor vnitatc vniuo cetionisquia quz furit «mam jer habitu diücm ottributionis,ve] proportionis nó €ft neccfie;quódalé liabeapt babrtudmé fecundim eádém rationem omnibus in ttin(cCé patticipatam, fcd f; fficit quocii Que moedo'illam furident y vt patet i exé phis dcfanos et rif z»us allatis ; ergo vhitas apdlopiz vctémediat inter vrram Y cage: cü vtraque fitcópo fTibilis; Ac t, qu6d Jicet analoga feraper in 1€ » eóibcidant cum wniuocts y et e qunitiocis, áliataincn (cmpgcr cftlauo vniuocatio nisya quiGocitionis&' analogia, nam fi anslogurh coincidir materialiter cosy at O, idrio zquiumocationis confittit illa corhnamitate neminis, cur rdtroncs diiicri a brief] GdCtstatie veró anilegie «onh ti tin illaiualicarque vnitate pro portionis, docu ributiomsivni? ad aliud, us illo € Cuuni B6 mise párticipár; Ayveró apalogum coircidat cum. vnihos &0s ratios nteccarionis confiftit in 1a. vniaic roninisj& rationis, analogia vc tótimlia vnitate ordinis, et attributionis wnius:adalind, vel plurium ad terum quademper cft miuervilitate vniucca nonis jcrgo analogum formaliter ium. tim veré n«diat inter; voiuoccm, viuoctn; ncc vnquam eoincidtie ; vcl permilceri poflunt, atm confundi (ccun dum duas. rationcsformalcs ;  Difost.1T. De Vobis. alc . fcqucnua in pratato [enfu, negatur; ^ Saclneppolumobijcuur J:pro Tho. quid probare A. "ow 9T s miftis probádo analogG proprié media? : reinter vniuocum, et zquiuocum.; nam analoga dicuntur illa quorum nomen « commune ejl € ratio illa nomin fub : e$t eademypartim diuer[a y: quiz analogorum dcfinitio ab omvib. re«,vt patet ex art. 1.ab initio y ergo vcré mediant inter zquiuoca, quorü. ra«^ tio importata per nomen éftomninó dis!  uerfay& inter vniuoca quormm racio eft. proríus eadem. Tum 2.zquiueca habent folam vnitatem nominis, vnidoca preter   vnitarcm nominis habec etiam vniratem rationis,& naturz comnonicabilis, quae « vnitasanalogis jvc fic,conucnite 1 teft, fcd vl.rà nominis vnitatem jÜ competit hib.cudo que dam;qui nont: . per modum vaitaus, fed vcl permodum  attri burionisjytl per m ngr ; ms 1oXta variás aralogia pedes ^ Tà3 analogum, vt fic; plura immediate fignie: ficat Iccüridum rationes diner[as j nod  7 abíoluié tumptás yy fed vtprope i  Íc habentes; érgo innü anri E teft cum aquiuocoicountidesc, quódfi gnificat plura fub pm veniri ari Jit &propote!   hic;abfíque aliqua fh H uonc, et cum vniuoco ; qrodbgnificae   pita fob vna,& éadém tatione, Tümay vniuocum;vt Bic; diciccónaemienoáà p rom fub eadcm ratione preícindendi y zQuiocum'é contra diucríitatemin rasombus prefcindendo acanucnienijà,' crgo predicatum amas lugum,quodfimuldict virumque, n造 ctiam materialiter potcflcumiftiscoins €idcrealioquin idem praedicatunidimuly  et [etel pra(cmdercr, et noti praícindes ret à comucnicnt/aimn commüni tationty aut à diueríitate. Tüm $. quta Ariflot.a. Meta vbi et Aucr. analorza,qua dicuns türabwno,&ad vnum spetté conflie  tui media inter vmbocaj et zquiücéa. ^ Refp.hzc,& Gmiliaurgum: AL rc folum, quod neqecant ataléga cos   incidere formaliter cuat vniuocis, et e» qQuiuoéss, non veró nec etia; mide  1ccraliter coincidere poffi utsquare ad pti mum ceneedimus Coníequers cum: €cn.cndàátc ; : Cuam, » Vn mediet analinter ttniuoc.eo &qHike Art IT. i81 étiam riegatur, quod vniuocum' abíolute fumptum dicat rationem ita prorfus ca dem;vt nunquam poffit babere anpcxam diucrtitacem ex analogia cau(atam, quia vnitas analogiz. compoflibilis eft. cum vnitate vniuocationis abíoluté fumpcz, folumq; pe: cum vbitate vniuoca tionis pur. Ad2.& 3.patet peridé, Ad 4.vtique ipfamet ratio vniuocation!:s .à . diverfitaue przícindityat non ipfum prae dicaum vniuocum (nifi fic parum) quia poteit effe fimul analogum, nec im.L; cat vnom, et idem pradicatum importare Conucnientiam, et diuerfitatem (ub di &erlis raionibus, analogiz nimirum et wniuocationis in ipfo coniuncta. Ad 5. fi : tadocent Arift. et Aucr. lequuntur dc analogis formaliter,pon materialiter .  $$ Secundo é contra probatur cüSco tiftis analogum in nullo (cnfu mediare iter vniuocum,& zquiuocum,quorum vnicum fundamentum cfi ; inter conua d Coria nullum datur medium; vniuoca, et zquiuoca funt huiu(modi, ergo &c. maior patet,probacur minor,quia vniuo €à dicuntur juosum nomen cid commu ne,& ratio base eft eadem; a.quiuo nocnett commune;& ratio fubftanciz non cft cadcm;at habere ean dcm rationem,& non habere eandem ra. tionem contradicuot . Et Confirm. quia. intet idcm,& diwerfüm, idem, et non id non cíl darc medium,idem cnim, et d uerfum (unt immediate oppohita circa €15,10. Met. 11.fcd definiuones vniuo «orum,& zqu:oocorum dantur per 1íta immediita,crgo &c.  Relp. hi Scotifiz hac ratione folum probare contendunt analogum materia hter fomptum non mediarc intcr. vniuo   €um; zquiuocum, cam libenter admit timus ;. at b quid amplius probare intcm dunt, nimirum, quàd ncque formaliter poffit mediare,eis non ailentimur 5.408. y vcra à £coco rcccedunt qui loc. cit. ma» nifcfié docct vniratem analogiz. forma ltter mediare intcr vni veu, vniuoeatuio ni$,X 2:,ujuocauonis, vt minore ifla, et moarcIem illa. et coim rauo adhoc j/ro bádum ingenue aliud non conuincitquà gcpez ki non poule prgdicatum,oy fit pu Logica . ré analogum,& veré medium, intcr vni uocum, et zquiuocum, fcd'omncanalo gum, vcl ei'« fimul zquiuócü ye] vniuo «um;quia hec 16. medista tunt, cü quo cà flat, uod rauoanalogz reperta «um vnivOcationcaut cum c.uiuocario ncin codcm pra dicato lic adhuc. forma liter ab eis diftinéta, ficut et eius vnitas y ncque id atlercre cft aicdium conftituere inter vniuocum, et a quiuocum quate nus contradiétoria, vnde hzc ratio bene concludit conira Thomiftas,qui admig tenics analogum purum rc vcra medium conftiiuunt intcr. conuadictoria. Ac de yniuocis,equiuocis, et analogis rur(us re« dibitfermo difp.a.Met.q. j.art.3, vI Explicatur natura Denominatiuorum ; $6 Vm ex di&is 1. pInftit.tract. i, c.3.in finc term nus denomina tiausille tit, qui formam fignificat per modii alteri adiacentis, informantis, et denominantis, (cu qualificavis, et rale fit omnc «oncreui accidentale, fübftantiale vcro tunc Alec Mri nomine fignifi catur adic&tiuo, (equitur omnia concre Lus ree cffe denominatiua, fubs ntialia veró nonjniti ofignificá iur nomine adic&iuo, et ficut predica tio denominatiua, licet diftingui foleat in c(lentialem,X accidentaló,in quibus.f; pradicatum dicitur de fübic&to, vel in a e efTe ntiale,vel accidentale, vt notat &or quol.3. O.tamen proprié im portat.prz dicationem accidentalem, et non nifi excenfiué effenialem ;. fic etiam denominariua proprié 1mportapt cencre ta accidentalia, et (olum cxtenfiué etíen uialia in quale quid prz dicantia, vt notat Mayton.(uper pradicam. paflu 3.& Bras fauol.in q 16. Vniuerfal.ad prinium, Dcnominativa igitur proprié dictané [6 «ercicra accidentalia dcfimic Arift, in anrcpra d.» (int illay Quacunque ab ali a jolo di|jeremtia caju fecudum nomé bent appellationcni, và Gcammatica Gram maticus;à forticudinc toruss cuius. dcfiiitioaisintclligétia eacft apud expa fitorcs paflim » qp denonriuatiua qua sé Dd pet. 192 Difput.1. pet funt concreta; cü forma denominan tejqua femper cít abftracta, conueniant in principio nominis, quod infinuatur pet ly fecundum nomenbabent. appella ti0nepi,& diffcrant infine, et termina tione,fcu definentia eiufdem;quod innui tür pct [y folo cafiscr. cadentia nominis, vndc poítca ad foluendas difficuliates binc emergentes diftinguunt tria deno minatorum rà, voce tantum, vt ftudiofusà fludio,retátum, vt ftudiofus à virtute, re, et voce fimul, vt cayde qui» bus exemphficat Arift. et hac tantum, ihcuiunt; Philofophum dcfinite quorum etiam plures affignant conditiones, $7 Diceodam tfi cfthanc denomina tiborum definitionem non ita mcré grá maticalitcr intelligi debere, vt ctiam fa tetur Arriaga difp. 10. Log.(ec. 2.(ed logi € explicandam effe, et quód licét Art. dcnominatiua folum accidentalia. defi nire inténdat, vt ex cius conftat cxéplis, poteft tamen tota definitio intclligi de dcnominatiuis ciiam cflentialibus; ita is docet Scots q. S. przdicam.& q.18.pre dicab.ad tertium, et in 2.d. 12. q« 1. ad 1. et quoad primá partem. probatur cóclu fio, quia fi ita intelligi deberet hec defi fiitio,vt comuniter explicatur, multa dc nominatiuz przdicaupncs de medio tol. lerétur,vt à mufica mulier mufica, et à virtutc hon:o fludioíus,nam in priori pra dicationc eft consenientia in principio, et fine vocis, in pofteriori differentia in principio, et fine. Necreípondere valet tales przdicationcs non cfle dcnominati uasrei; et vocis, fed rei tàtum. Quia etfi dc homine fludiofo à virtute fic diéto id admitteretur, de muliere tané mufica fic dicta ab arte muficz id nequit admitti, quia í(ccundü Grammaticos genus nomi his hà Variat nomen,vnde aliqui fatentur hat,& fimiles predicationes vcté cfe de riorbinatiuas, et conucnieniam illam in finc vocis non efie neceflariam . Deinde non (folum nomina adic&tiua à fubfláui uis abftractis derinata dicerentur deno minatiia, (ed ctià cafüsobliqui nomin $ccuam plura adueibia à nominibus de 1iUat2; 1llj enim cum reco. conucniüt in poncgio vccis, et dificium in fine, vt pariter ifta com riuátur 4 «tà c oftiatim. Tande fi accipiéda cft ifta dc. finitioifi fenfüquo qelím explicatur, fas. né concretis etiam fübftantialibus nomi. nc quoque (ubftantino (ignificatis. ueniret, nec videtur, per q dcbeat accidentalibus coat Gari ; animad, ss hue stia cum animalitate, et omo cum bumanitatre 1n principio. : finc vocis ficut albus cü i Rui dem prorfus vanum cft, quos it ali qui;pcr particulam illam  ficari formam denominanicem efte de effentia rei denominata, dc px " x cft,proprié non dici uid aliu ipfa,& r ef c ESL Minas animal ab aninalitatezHoc parum valet tum quia exponere ly a(iguo pro alio eft. meré voluntarium dee eX« pofitione bymanitas cit alia ab hoe ter«  bomo;quantum fufficit ad formang. enominantem, alictas m requifita inter. formà denominantem; et rerminum de nominatiuum cít | cretoy quz in propofito verfatur vtique. intet illos términos, quare magis coní« ees P. prafacum definitionis (« uicur 2 ayt. cit. qué fequitur ^ diíp.9. Log.:ec. 2. qui cócedunt hac efie. denominatiua ex vi illus definitionis fic intelle&tz,  À Mass et $8 Alioigitur igno, in sé(u magis logico dolci iEE fata definitio cam Scoto loc.cit. d tantur Ant. And.& Nicol.de Orbcllis, et alij Scouifta inexpofitionc huiusdefmi tionis in anteprzdicam.& cft, quod cum. concretio formiz, et nacura alicur fitcle duplex, vt Do&or wei 16. vniucríad 1.& 1.d. s«)«1 B. dlia ad (üps pofitum eiuídem natura, vt homo, alia. ad (oppotitum alterius natura, vcl (ubiee. &uin,vt album;ita caus, fcu cadentia for. mz ad aliud poteft cífey vcl icut aceidem. tis ad (ubiectum, vcl (icut forma ad ups. politum eiu(dem nauwurz,vt Scotus docet: loc.cit.in 2.d.1 2.9.1. I. atqueita per cde. fum, in pratata definitione dcbcnius ine Wl. l'rere non de(itionem nomini sfed ca poc fabie&tum,fea (uppa fitum alterius natur,nó autem propriz, quia fic effer denominatiuum effentiale, et potius pertineret ad. przdicata vniuo a,cü tamen hic Arift. agat dc denomina tiuis,vt ab vniuocis diftinguürur ex di&is q»4;at.2«dub.4 ita exponit Do&or hàc przfaz definitionis particulá q. 16. cit. vuiuer(.ad 1. q» 8.ad 3 et Maaritids q. 13. Quàd autem sr nomen habeant ap pellationem,non dcbet intelligi quafi per | fominis dériuacionem ab alio, (ed portus uia icantur sx nomen taatum dere enominata, appellare enim uandoque accipitur pro przdicari ex 2. Topic.cap. 2. et ita explicauit hanc particulam ipfe met Philofophus c.de fübftantia,dum di cit differentias effentiales non pczedicari . dcnominatiue, benc tà accidentia de fuis fübic&is, quia przdicancur de illis fecun. dum nomentantum, et non (ceuudü ra tionem, .i. accidentaliter, et non etfen. cialirer ; ybitamen adgertendum cft, 9 quando hic dicimus formam denominà tem debere effe quid accidentale,nomi ne accidentis intelligimus quicquid non eft dc e(fentia (übic&ki, etiam(i materia liter, et entitatio& habeat rationem | (üb ftanciz, non enim minus; denominatiua eft przdicatio ifta Corosa efl aurea, quà bomoefl albus;«c ex profello probabitur infra cum de accideate przdicabili dice mus;ita quod se(us definitionis fir i(te, vt uocat Dor,de Magiftcis, quód denomi natiua dicütur ca nomina concreta, quz à (uis ab&tra& is difftunt in modo (ignifi €ádi, qui c(t fignificaré per modum adia €encis S m illud qomé adie&iuü habcat virtatem dcaominádi,.i,denomi varigé prz dicandi dc (ubie&o, et haec et fuit Aucrrois opinio in epitom. in lib. cuius verba refer: Bra(au. cit. . 189 Exhis veró duo deducitur, vnum  cow anui dcfiaitioné dc  somintiuis c catialibs applicari, vt fa cit Do&or a.d. 12:q. 1. eit. ad 1. (quz erat altera conclu(ioais pars) quia euam 'quid huiuímod:,t à fuis ab fica&is dittinguuntur, cadunt ad aliud, et ajiud conccipan: ; f. proprium (uppos .pomenbab .in(inuat, ^o Bud VE de Nata Diseninriurum.   283 ficum, vnde à fuis ab&ra&is dici poflunt folo differentia cafu difcriminari; (funt etiam dici ab eis appellationem ise s fecandum nomen, (i huiufinodi appzlla tio fignificet, vel. (olam nominis deriua tionem, vel modum praedicandi in qua lc. Altecum eít,duas conditiones ad dc nominátiua tequiri, prima cft, vt conuc niant cum formi denominante ín inci« pali fignificatione, fecunda, quod diffz rant in modo (ignificand:, nam cum om« nis (orma accidenralis, quz in (ubie&te eft; dupliciter (umi poffit; vno modo fub .propria con(ideratione, contemplande nimirum ca zantum,qus (ant cius, et ab ftráhendo ab orani co,quod non eft ipft, fic vcique in abftra&o figaificabitur pec feip(am: altero modo, vt informat fuübic &um,& (ic in concreto fumitur, ac de nominatiué dans nobis 1atelligere (ubie &um,non quód fic per fc dc intellectu ip (ius,(ed cá juam ad quod intelle&tus eius dependet fub tali modo concipiendi » quare ipfain abftra&o, et denominati uum ab ea in concrero eandem ferm ;va fignificabunt,fed fub diuer(o modo có  fidetandi; et hz duz conditiones ex ip (amet Denominatiuocam defiaitione P Escprk Apc ex eo; quàd fecundi t appellationem., hoc eniaa uód conucaiuat in principali figaificato tormz,quz przdicatur; et ex eo »  folo cafu differunt, infinuatuc diucríus tignificandi modus, .(. concct nendo fübiectum, vcl abftrabhendo . 9o Sedquia Denominatiua funt dupli cis generis,alia per intcinfecá denomina tionem, quz (ümitur à forma intrinfecas feu inhaccate fübic &o,quo modo paries dicitur albus ab albedinc ei realiter in haréce jalia per extrinfecá;quz (umitur à forma in alio ubie&o, quo modo paries .dÉ vius à viionc,non in ipfo, fcd in ocu lo exitente, quz diftinctio indicatur à Scoto 1.d,30.q.2«& quol . 18. R. et Bo nc.in fuis Foraalit » Hic dcfiniantur (o« lum denominatiua primi generis quic id dicat Arriaga cit« cam Caictano ; quia conüderantur pec cadentiam tormz ad (ubie&um,quóà d intciaíccé dc» mominat,nó vero " wd ad aliud, Equod (olum refpiciat in ratione termini, ac proinde tantum extrinfecé denomi net, tum quia denominatio extrinfeca et(i vera fit à parte rei, nihil tamen reale, et phy ficum ponit intermino, quem de nominat, yes extzin(ecé cantum ilii at tingit per (implicem refpicientiam y atqs idcó denominatina huius fecundi gene ris nequeunt conuenire cum forma deno mináre in principali fignificato, cd eam realiter non importent, vel participent, fed potius cius terminationem ad aliud vt ad'tetmínum, hzc autem erat vna exconditionibus requifitis ad denominati ua,que hic definiuntur. Verüm tamé eft banc dcfinitionem illis etiam' applica ti poffe, fi vcl. puré grammatice: expli cetur cum communi, vc! per cafum intel ligamus nedum inbzlionem ad fübiectü, fed refpicientiam quoque ad terminum . Scd adhac ad maiorem denominatiuorü intelligentiam duos fübinngimus articu lus ad [nh quz (ionem attinentes. tn denominatiua vniuocé predicen «4r Cr num medient inter vntuo cay &quiuoca. 91 Voad primü Scotus 1.d. 8, q.5. Qs Ad aigumenta apin.oppofit. in finey& 5.d.7.3:1. D.& 1.d.3.3.3 $.Co tra iftam vod rcreliouptd cipe negat przdicari vniu inatiua de fubieckis, et vult effe cantum iva €a pr&dicata (quid autem interfit inter vninócurm przedicatum, et vaiuocé pra  dicati oai qu. 4att. 1. düb. 4:) aflcrit efle vniuocá przdicata, quía pras dicantur fecundum vnitatem: noiiinis ^& rationis, vtalbur de niue, et Cyono ' ncgat vnitioce przdicari;quiaratio pra. dicati nó eft dc ratione fübiecti . Ex: ália parte Caict.Soto,Santhez, et alij; recen ' tiores docent vniuocé praedicari de fd 'bic&is,nón quidém ceritialiter fed acci dentálicér tácumjiüqdiunt vaiuoódé prai dietis predica dei cium, : stor dels fci predicatur omen abl, et cius definitio, ptirdicatur camen acci" ipte "A ÉA deatalitét ; suitsbeokue sciat Cátroaer(ia eft de folo nom in rc conucniunt album praedicari de nis uc, et Cygno(ecüdum vnitatem nomie. nis,& rationis, et Scotus appellat przdicacü vniuocuim dumtaxat, ipíi voe cant praedicatam etiam vaiuocé dia " accidentaliter támé, vade przd:cati vni» uocé fumunt in latiori. figuificadone quàm (amat. Scotus, Do&or tamen mae gis petipatetice loquitur, nam Arift... dc (ub (t. dicit (ecundas (übftantias vnip. uoce praedicari de primis, .i. fecundünos men;& rationem, accidentia Piden [it przdicari vniuocé, quia pradicatur « illis tantum fecundum en ; crgo iu; phraim Arift. cari vniuocé pluribus eft przdicari de illis effentiali tet fecundum vnitatem nominis ; et ra» in rigore negari. debet | tis,& afleri c(sc pdicara dütixat vntuQCa. 91.Qnoad Kiner viui. aqu re vera medient j ca; Mi tuoca;an potius po mene ec p tum eft formaliter nog coíincidere, funt  enim diucr(z intentiones, et dioer(zr rae    formales: finguiorum 5an vero "tmáterialiter eciam mediare dicantur, ifa 'quod dari poffit. predicatum puré de» nominátiuum; quod necyniuocam, nec zquiuocum fityait Do&or cit, «d. 8. qx 3.quód de praedicato. vniuoca. dupliciterloqui; vel incelli catum de pluribus e(fenti2 Lm vereint iesnau Ac priditinits de MCA gei ce d 'dum vnicatem nominis, et rationis jmori inter vnioocum,& zquinocum, noníge lum fermáliecr ) (edéziumiagia ir er, z: (t aui | rsen MP amioemherecri pradicec tionis, quarc melius loquitür Scotus, et  Pdicarivaiuocé defübiedtis denomina  $.PLDe princ fignific.toncretatcidem. Ae. T1, 28$ altero illorum femper materialiter. co "incidit, cum vniuoco quidem ; fi dicitur de pluribus cum vnitatc nominis, et co iceptus,vt album de Cygno, et niue; cui; «xquiuoco autem, fi de iliis dicatur cum nominis, fed non conceptus, vc viride di&um dcherba, et Iride, aui col lo Columba inquibusre vera con cxtat talis color, fed tantum apparenier fecun ;dum cómuncm opin. Hinc habcs ; vt do «ct Ioann.de Magift. cap. de Denomin. licet omne prz dicatum fit vniuo €um, vclaquiuocum,& nó detur mcdiü, .3nodi tamen: pradicandi abinuicem ci fentialiter diftin&i (unt tres, quia omne przdicatum,y cl habet, e rationcm Ateípcétu corum, de quibus praedicatur vcl. non, fi (écundü; habetur modus prz. 4icandi zquiuocé, fi prímum; hoc con ipgit zuplicic erba vcl ita pra dicatur, "et illarauo fit eff entialis (ubicéto, et fic Dabctur modus przdicandi vniuocé, vel 3€fi extranea, et accidentalis fubicéto, et habetur modus pradicandi denomi 'patiuémediüs inter. vniuocé, et a:quiuo cé ptradicari,vt Delphin. cap. de vniuoc. s bac cid catioyrt notat Mcr cur Arift. pofuir denc gine art. 1. Form ad übiedia di módos elu, 4). 4 | 2 221, 3uU 2212943 no ARIICVLVS de. 'be principali fignificato concreti at "^ eidentalis; C7 Yadice vnitatis, aut^ i   pluralitatis eius. oM $3 pu andeno 4 jminatiua, qua funt concreta ac &identalia, principalius fi gnificét formá, vcl (abie&um, quod ctiam de.concreto fub(tantiali quati folet in ordine ad fup pofitü propri naturz. Certum cft apud emncs in hoc dubio, et colligirur clare ex Arift.7. Mcl. 21. concretum acciden tale fignificare imul aliquo. modo for . mam, et (ubie&ium ad diflcrentiam ab. firatti, et ctiam concreuim ipfum fübe flantiale fubttantiuum;vc homo, lapis,fi azul cum natura fuppofitum, Ícd difliciluiscit, ao virumque impor: o, o egiea. cres prindpalitersan potius v; ü pri 11:17,akcrum fccundario,& quodnam ex abis lit f gn ficaumn primarium,quod ue cc npOtz; tun « Et quamuis Aucr(a qe .1 cgi cCt.3. cum Eoníeca $. Met. c.7 G. fleet. $. yclicconciciom nedum fab, (ed cuá accidentale vtrumg; fi guificare per [e dircété, et intriufece ; id Aamcn omnino dici.non potcft de cou &rcto praícrtim accidentali, quod ex rcbus diuerforum pradicamentorü coae, ex quibus conceptus per fe vnus Keri ncquit,vt docet Scot. quol.13.$. De terio principali 4.d.1. q.2.. et q. 8. vni nerfal.& pradicam. et alib: fz»pe ; quia gcnus; differentia ad idem debent fpes are prasdicamentum; A ccedit,quodita dicendo, concretum accidentale femper erit ens per accidens, illud enim propri dicitur ageregatü per. accidés ex Doct,, quod dicit plura diuetfz ratio,nis, vt plura funt, i..zqQué principaliter, €ü ergo concretum accidentale veré dee finiaturyin przdicamento ponatur, de ipio (cienria inftituatur;ac paffiones de montirentur, vt inferius videbitur, dicé dum cftquod vnzm naturam princ ipali TEE COpOUSQ NC ali (onpolet y Doc enim nó praiudicat natura entis per fe vnius » .. 94 Et quidem fi dc cócreto urbes mut, vt propolitioncm ingredi t cfL.cognofccre, quid pcrillud fignifice tur, Tes connotcuir,nam pofitü à par te fübic&ti regulariter. fignificat (ubie ctum, et connotat forman: à contra ve 10 fi ponatur à partc pra dicati »q ita probatur, primitas fignificati in no mine nonatrenditur ex primitate (ccune dum rem, (cd ex primizate 1mpofitionig ipfius nominis, vt docct Doct.cit. 4d. 1, S2 G. et q.8, pradicam.ad 1.vbi ait ge hignificare cit alcjnid. reprafentare ex jmpolitionc nominis, itavt nomen ex ine tentione primi inftiwuentis ad illud (igni licandum fueüit impofitum, conoo! verà cit aliud. dare inceliigere. modi figoificandi principalis liggifigari 5, lic cit; quàd quando concretum fe cnet €x partc przdicauin propolitiopovt ci dicimus homo cft doctus,aqua cit cali da; paries elt albus, maximé intendimus. Dd à pa 236 Difput. 1T. dicare formam de (übie&to, et non ubiectum dc fcipfo, al.oquin vt norat &or cit. q 8. pradicam. fen(us illarü prorofiuienua; etict nugatorius,quia po rationcm €oncreti loco nominis, idcm (ub:c&um bis diceretur; fcnfus .n. cflet, aqua cfl aqua calida y vl à expli carciur, e(d res, eut enscaloré babens y propolitionon eüet meré jer accidens, quia non folum «alor, fed etiam enucas enunciaretur de aqua ; € cont a vcró cü € tcnccá parte (ubieétis vt cum dicimus alix eft. rigidums wowjicus adificai y vtique actám zdificandi,& frigus inten din.us jn a dicare dc fubicétis tcigoris;& mufsz,& nonc ipfis foim:s. Vei. tamcn cfl concrecum tàm fubftanuale, quam accidentale cuam à. parte (übicéti ! arise eta €x vi alicuius particu aut predicati adiun&ti deteruinari ad fignificandam formam;fic cum dicimus, wibum efl. per fe difgregatiuum v tfuss €x vi particula per fe bgnificatur. for,quia illi, et non fübiecto pcr [e com petit proprietas illa, et cum dicimus Ho ye ejt vifrbilis, tale praedicatum deiet igat fubicótum ad. fupponcpdum pro forma, et rátura,non pro fappofrto,quia bzc piojrictas cít natura ; pon fuppoli ti, vndc vt babcan.us rcgulaut géucralt, diccre dcbenais conctccuac hi,ropoli. viónc fignificare iuxtd cxigenciau vlte xiuscxccenilycum qoo comunbstt.r, 9$ Difficulias;gitur precipua cft de «Ocrcio in fe, et abioiuné Füingtos et Aui &cn.i.p.Log, c. dc proprio, quem le ui tür Hurtag.diíp. 9.1 09.cc 3. Arti4g. di fj.1.ib Summol (cct. g. docuit Bguifica ae lubicétum; et connotarc formam 5 at Oppobtaicritriua nempe banificare tor inawi, et ccnnotare fubicétum cíi cónuu nis,quam docent Auctrocs 5. Met com. 14. Alentis 7.Met.tcx.3. Qq.3.& tCX« 14 Aurcol. 1.d. 4. 1. p. ast, 1. Scotus q.8.cir. przrdicam. 1. d. 8. q.i. in finc. et d, 12. 91.5. I4 d qua fttonct. 2 bius. « Met. Q9. Lara. 2:aptepra dic. $. Duiottat ir». 1 Antv And.c.de Dcnomio. D. hom. $. Mctciceg.tes 3. Xa keriecdec. 4. et 1.   act. 3& qu. 16. ari. $« Sot. Caict. ' "Sapcb.& alij m LogicayX n.anifcíté do De Vocibus . vagi I1, cuit Acft. in przdic. cap.t. vbi ait deno minauua, fiue concreta ab abítractis dif ferrc Jolo cafu, crgo non differunt ip fi guificato penc fubit. :oft medium ait fignificare fo. qualitaté y hoc ctt principaliter importarey juod ree" petit s. Met. c4. et 1: Foft. 5 s. archbane, alb.m cft Lgnumscfle per accidés, quod nó cliet, f1aibum primario fignificaret tubicétum, et 7. Met.à «ex. 12. oftendit. concteta accidenuum defimiri per fub ftantiom per additameni 1. tanquá aliquid extrin(ecü non per fe to durend » ipcé&ansadcorüiptelle&um,(&«ap.de   qualrate ponit 1n pradicamente H  tatis concretum cius, cüm: dicam fubft. repor €dum fuic &um cffec principale fignidficaui dcm vrgcc mant. fla rauo, nam f cate cti inielicétum conftitüere in dicen. principaliter figoificatur y. ^ paliter ob. jcirir imelie&tuiaudi denomina jripgpalitet obrjonun telic&ut formam, €um Al j dicant, et in propria t pecicl fcrunt à forma, nifi cafu, feu in iub;cétum logicaliter, et teimt vocis grammatical "Conc hánehefol ds Tum quia rd pi cr gr dicitur in reci o, cum. cxplicatur,  Icd concretuíin DIRE ücfiniur | lubicétum in re&o » et fouman im   obliquo, vt sibum cft rcs habens albe . dincin. ] um 2,cadem (unt. principia cos fütucrdi& ditlinguendi, et di m o | ferc ab abtiracto: piaícrum perlubies  &um,ergo yim 'Juu.g:concretumdacit tormamaX (ubictum,cr5o«uod prince paliusctt, principalis tgnificatur, ded   fols Gn principaluuseficum fitiube  &c. d um 4. concretum fup ponik. pro (ubicéco;vcinuimnt Suo muliltzy&   nos 1. p.ipftitradl, 1.c. 10,.crgo lignificag. Íubic£tum,quiaid tupponi, quo. mime ficat. 1 um dca;uu; ait Hurrad. » v. g.foru.am perte pgnificat y haec [e5uo Femasm cft aibum, ic "1 dcoctctpomuni eji albeao babés jubieo (odium, P A 1 Ttt QVI. deprinc faguificzancret. atcidém. etl.  xp wh, vel. vaita [ableGo, quz cxpoti tiofal(a e(t, et in olsns, cum potus fic hibzat expoai eff pomum »aam al bedini, velbabens albedinzm. : 96 Relp.al 1. q101 eftvaicum fun. dumeacnun Adaer(aciocim. l'acir. c c.ex Scoto 1d.4..] t. in fiae, cuim dicitar, al bueftees hibeas albezdiaz n, non eife per (e iizaificiti expeefTi aen, (ed po tius quandam no ninis explicatione, qua vulgas vcitut, vade magis pcoprié dice retur, 194 a/bu ett albedo exiiteas ia (abiecto, h ac có ültà ait A. nic.in Log. traS. 12.4.7. dub. 3. acc. 4. illun aon ede am rcgulam cozno(ceadi principale fignificataia in concrets, et conaocati uis, qnia vaiaer(alitet concceta oma a, etian 4uando expce(ie ttint pro foeni, petuat ex eoram muucali conttitucioae defiairi pec (ub:edtam ia cec », quare, » veta cegla coli;gead: (1gaifizatü prin cipaleecit acédzcey quid. conccecam re pczíenet cx Impaliaiaae nom.nis, Sü mul (te vcco .a j2/anc ex hoc, 4354 có cretü explicecae, X re(ola itat pec fübie Gum ia re&o, noa bae dedaci ipía principal.us iign.fi acis fed raacu n q104 conctetum or» ipfo (a "ro. for. na, pro illo enim 4:cicur aoinen fü poaeco apudlo ian, [19 0 impoctacar.  gacccto, u pol otax arc dla d aoa cas im e poctetar 10 aom natiao. Vol deam «ó ceifo,j19d coaccecam dicat rubiedbin idecét» t in a»iti nariao ca(a, et rorimi in obl; quo, uacua sgindag cítelle idem d cece dli yudaa ceto, et dicere ali jid focimil|ter, vel de principali tigaifizato, et rac(aseifé idem dicece ali juid in ob ; liquo,X dire&g ali uid m itecialiter feü pro'conaocaco ; ino cócingere porefté quod aliquid d catur in cccto,& tic cou nca n, ili | iid: 05:320, et (it prin. cipale figaifhizacum, vade bic videtur có tcouerlia de a9.n'n5. Ad 2. potius ett 4d oppolitum, nam vau u coacrecü dirf«cc ab ilio, vt albü à airo pertForma n, noa per abie&am, et ex e», quod cocrecra à (a0 abikcicko duferac pec (uoizctü, a0. béne deducitur: fabic&uin: pciacipalius . fi mificaci, quia vc dict «n «(t ex Avi(t. concreuum, et abátcact un n2a dufccqar ponit, et ao pro. dum in rc figaificatay fed cantum in mo 0o ü gnificani concretam cnim,nó quidem ex ipf1 nominis impo tione, fed ex mo. do (i znifican !! princip is fignificati dac intcl'tzere fubteS.rm. Ad 5. negacur có fe. entia, quia priantas (1g vificaci qoa attend tuc ex primirate fecun tum rem, [ed ex primitate unpoficionis,licac caün figaijcarum no:ninis non pendet exna tura rei, fed ex imponenus intentione, ita et primaciuin Gigaificarum em cadem, intentione peadcet. Ad 4. quicquid (ic de antecedente ncg tut. confequentia ex Scot.q. 8.predicam.cit.ad 1. princ. diffe rü: enim fapponere ; et (iznificare ex di« is r.p. Intticloc.cic.vad: cecasnas (uj pouic vtique,quod iizaificat, fe! nó fem per fioponit pro ee,quod (ign ficat, fed interdum pro eo, quod coanorat, et dat, ia:ell.gerc fecundatió, vt patet in (appo fiti0nc per(onali,m uaterm nis cóma nis(apponit pro in,quad camem non fignificat, (ed iácum dat intciligere fecundacio. Ad 5» nencro illocum modo rum expori debet. illa. propofitio, non primo,quia albedo i tata in cócres to przedicari dcbet de (ubie&to: per ad'acenus ., et informantis,, q bon habet, dum ja ab trato» profcriur, et effccac defabicdko jne que (ecuado. quia dicendo pomdin efl wait, albedi n:yaitt babens alisdinem, «cl fen(as e(t pomum efl i44 «04 efl album Vigaifican do per ly jd m zeáere » aac regii V ipfum 'übiectum,&ruac propoutio elt nugatotia vel aoninxé. pct accidens. y vt dicebamus; vel fenfus etb; pougam e.t vnitum albedini, aut habens alb:diaem ii. pomo inhxret alosdo, et h c eit verus: sélus in cigare logico, (cd (ic pecatbü né importatur fabiectü in cezbosfed ipla foc ma albed:ais, nó quidé ia (e fed per mo dü adiacéas,& infocinácis, dz modo des fiaiendi concteta. vide dif» fact, t. qe t. 97 Scdaihic ina exti dubiü;zadé fainatur vanitas, vel plucatitas coacett y aà ex parte (oc ne, velcabedt vel veciaf quz (iml ?: De coaccetis 1cid ncalib is, et adicékiisngn ct gcauis, didi zuttas 0 nncs.n.in hoc congzatre vi deacany daa ialimodi concreta waren: uinsre y X Dd 4 pla 188 Difyst. 1T. pluralitaté ex parte (üb:e&i,vndé (i ea. dem albedo eílet in pluribus. fübic&is abísluté dicerentur plura alba, et é con trà, fipluresalbedincs torent in codem fübiecto, vnum duntaxat diceretur albü, ità inter alios docet Scoc.3.d. 6. q. 1. et d.8.q.vn.& quol.1 1. H;cu:us ratio com ntunitct reddi (olet, quia ci nomen adie et uvm dicat formám pet modum adia «ntis sübic&o, maximé determinatur pcr ipfum fobicétum,quod magis,& pro declarans Do&ot r.d.12.4. 1$. inxiá quafi ionem ifiam ait, quod nome adie&timum primo, et per fe afficit fub ftantiuum, cui adiacct, et non alterum adicGiutim quia folum fübftantiuum na tüm eft terminate depédenuam adie&i, non autem adicctiuum, nili fub(tan titié (matur, cum autem accidens non tribuat effe&um (eum formalem, nifi fübicdto,quod afficit fequitur, quod ter tnitins numceralis düostria fcx &c.tribuit eficGum formalem numerationis iubftà tiuo,ad quod rerminatur,nóadie iuo vt poté impotenti ad tertninandà eius dc» endentiá, vr dé fi vna albedo efict in tri bor (ubic&is;tría alba dicerentur, quia tà tiomcn nutictale tria: quam album lunt adic&tina ;& idtó anibo cerininantur ad terciam, f. dd fübicétam, et illi ccibuunt fum cffe&umtormalem 5 qp c in caíu fic ctiplex uia etiam erunt alba de rigore [c isjqua ctiam rationo,fi plures per fore diuirg candom aítutnerent hamani tatcm dicecceaiur plures hümanati, et in carnati :é contra veró fi plurcs albedincs eficnt in codem fubic&o vnum duntaxat diccictur album, ficut dc £1&to vnus ha» bens multas feicntias cft vnus fcicns, ait ipcáor quol.cit.& (i vna perfona diuina plures afiumérec humanizates, dicerc tur vrias dumta xat bumanatus; vous incar nauis,non plurcs.qua. do&tina cóa.mu niscít omnibus ScoufUs, et probatur à Molin.t.p.q.36art.4. difp.2. Catil. lib.r. Introduct.tta&t.1 c. 5.& mulcis alijs. 98 De coctetis vero lubflarialibus,& fubfiantiuis cfl maior difficultas, et «qui dem aliqui totum oppotitum docet cius, quod dc accidencalibus, et adicétiuis di €cbamaus, n, vaitatcm corum, et Ln N HO 1 De Vocibus,   plaralitatem ex parte forme fümi debe2 reob eandem rationem,quia cum nom&: fubttantieum d:cat formam ad modum  per fe ftanus, maximé determinaturadie;  Cuum namcrale pet ipfam formam, vn dé (1icadem diuina. pcríona pluces affüs. meret humamtates,. dici deberec homines,tà Vafquez 1. p. difp. r $$. €. et alij quáplures, qua videtac fuitle nio Do&totis 3.d. 1.4. 3. vbi refolutioné illius quzfiti,an :lla perfona dici deberet  plures,vcl vnus homo,remittit ad eayquae dixerat de pluritate, et vaitate concreti: in 1.d.12.4. t. ex regula auté ibi wadira.  de termino numerait, quod séper tribuit ^   cffcctum formalé lquodtermimiteins  dependeotiam, manitfté deducitur, « £D ad n attiplicationeni conc ceti le T lis (ufficit fola form» pluralitas,quia ^ elt apta terminare dependentiam termi )^ ninumerzlis;jearationeomnes feré Sco tfl: veteres Lichet.Batgius, Baifolius,. | &alj,concedüc incafupofito perfonam;  illam cte plures homincs, M» non determinat (üppoti el ubttan E tiuam, cui im diaté adinrgitur ?qdod.  Y in propofito cft ly hommes, et nc folum 99 Scd licét prima regulade. cocretis accidentalibus,& adicétiuis data fit vniie uerfaliter veta ob rationcm allatám y et etiam altcra de concretis "us, tubitantiuis quantum ad vni rum enitn eft folam vnitatcm forma in fi luppofita fint multa, vude cres períong" Diuinz vnus tanium Deus dicuntur ob. Hoa formz,& naturg € tamen quoad alterá parté, A tolafote   pluralitas fufficiat Ta rali; LE cocreti fobftancialis: fine j(üppo pluralitate, quia vniucr(alitet vera eft als la Scoti regula dc concrctorum. multi plicationc tradita loc.cit.im (dip in 1 .& d.8.q.vn.F.& Rol. LHax dae. pe,quodad multiplicationem «onctetoe&     non füffrcit (ola mulaplicatia fote . | : ed requiricut ia oo pe fupe.  pofitorumqua ratione ncgat 4.d. 120. I, ad s: Patschti Dininis daos irincia | piaylicec habeat duo prinripia prodoGti ua; «41 de princ fuif. comvratid.edt.H.  ato 1 3.d.6. q. 2. Chriftum effe duo nca traliter, et mafculiné, et quouis modo, vnde licét habeat duas naturas (ub(tan tialcs, et viuentes,dicitur vna fubftantia, et vnus viués ob vnitatem (up politi, qua ctlam rationc dicendum eft, quod (i Ver bum plares affameret naturas hamanas, nó effet plures homines,(cd vous homo, et ita docent quamplures Scotiftz recen tiorcs,vt P. Faber in t.di(p.44.c.4. in fi nc, et Aretinus in 3.d. 1.0.3. art. 2. Nec ndere valet cum Bargio 1. d. 12. q. 1.ad 3.przdictam regulam à Scototra ditam de concretorum: multiplicatione valere folum.de accidentalibus, non de fubítantialibus.. Quia Do&or in 3. d.8. q. vn. illam tradit de'concretis quidem accidentalibus, (ed labftantiué. fumptis, ficut (unt pater, filius, cau(a, principium, attifek, opifex, &c. hzc cnim conccceta accidentalia, quia fubítanuué dicuntur, zz quiaalent fübítantialibus, et terminare: poliunt dependentiam cuiu(cunque adic étui, et tamen Do&orait, quod homo. . habens plures pateraitates, vcl filiationcs dici nequic plurcs Patres, vel plurcs Filij Ob vnitatem füppotiti, ergo regula illa dc mente Doctoris cenet euam im concrc us fübItantialibus;& (ub ftantiuis,nam fi de folis accidentalibus teneret vc ait Bar gius,poiiet dici Pater exérmus duo prin. €ipta;duó productores, et Chriftus duo viuctites,duo entíaq cá negat Do&or.. "100 Cà vero alij Scouittae dicebàt cx tegula Doctoris tradita de termino nu mcrali in 1.d. 12. q. 1. neccfTarró deduci, quod cadem perfona plures aiumés hu ianit césplarcs diceretur homincs; quia cum ly bowiines (it fubttantiuum, termi« ntc poteft dependentiam adie&iui :nu meralis,& ica (ccundum illud numcráris,Occurrendam cft, et dicendum vuq; ter minare potle, (cd novlumaté ficut quà: tita$ terninaré potctt dependentiam al. tetius accidents (cd non vitimaté, quia. ádhuc ipfa dependet ad tubttangiam, ic etiam in ptopohto concretüay. natur y vt homo,vtique terminate pocc(t dcpen dentiam adicétiui numeralis,(ed quia ad | hucipfum depéder ad (uppotitim, quod. concernit vagé,vt omnes fátenur, etiam Do&or 3.d.6.3 2, D. et de Spiratore in 1loc.cit. ideó terminare nequit abíolu té, et vltimaré,fed tantum cum witeriori dependentia ad (uppotitum;ex quo fic,vt euam in cócretis (ubftantialibus, et (ub plurificatio (eri neucat y nifi ad(ic plarificatio (üppoüitorum, et hac cít ratio à priori, q21 optimé infinua uit Franci(cusà Chüíto in 3. d. t. q. 9. Quando dixit, quod nomina concreta ét (übítantialia,yt homo,dicuntur in plura li pluralitate tàm formz, quàm yu te ti,quia bgarfican: formam cum habitu dine ad fuppofitü;vndc ad hoc,quo 4 tine ies homines, cequirun'ür et plücc&.,S plura (uppo fita . Soluuntur Qb ict iones . 101 ntrra ias rcgulas obij e d CAMo ka. concretorü accidental; ü, et adicctiuorü (ola (ufficit (ubie&orü pluralitas, ergo in diuinis rité dici po(sét tres aterat,tces immCü,uresomnipocentes, quia funt tría ; fuppolitay& (i ad ynitatem eorundé con crecorum fufficit (ola fübiedti vnitas, et (i forme. (int plures, tunc omnia accidé tiasquz funt in eodem fübiedo, habcrée eandcm vnit:tem, et facerent idcm con Gretum, v.g.in lace album, dulce,frigi dum cil edic vnum,'& idem concreti ob vnitatem fübicéti;à ifla. Conícquencia funt £aliarjquia et Dj Acdhan.in $ymb.ac gat dici polic trcs etcrnos y'rrcs immcen 105, et cit.couumugis omn:uim fenfusal bum, dulcc, £rigidàm iu lacte ctfe diucr sa concreta ob folam £ormaruu diucríi tatem in códem (uübiccto . Refp.de rigore (ermonis d:ci poffe in diuinisucs ztcrnos, ues inaen(os, &c. | negatur tamen hic modus loucadi ab Athanaf etfc rcétus, quia cum careamus proprijs concreus igbitancdiuis ; qualia a» forent i; Qimenítor,(apientor az: 99 (unc in víu coacrera £plà adicctua (umunus, fubttantwe, X.ideó cin vna nic ececnt» tas iD tribus,vna immceníicas,voum dici mus tcrtium, Don trcs eccrnos c. Ad aliud, dumhic lo uiui devnitate » et . plualitare concretocuim s fzcino ett concretione fccundum ligaificauionem P euitelu(42 foi, n1 1t non ininipli cant forme ni mu ciplicécicíasieX, ; quibus iahazent, qu:aip(e Crema ex. (e concrecionem non faciuaz, (2d caciaae fübie&i, et 1d:9 etta lac ticdalce. alb, frigidam, nontamzn dicitar pluca qa lia,(ed vaam quale ; età h»mo ic Logi cus, Gcometra, Theolozus, nonta.nea d cituc plures (ciences,f«4 vaas (ciens, Secando, fi ad pluralitae m cóo:ceto rum fabftaatialium,& (uüsttantiuorum nón fufficit fola.forimz placalitas, quia concreta fubítanciale adhac 4e»cead zc ad (uppoiium, et  idt dependencia terininare debet adie&tiuum pluralicacis, eadcm racione (ola toc.nz vaítas ad vai tatem coacreti (ub(tancialis aà (ufi ier, quia cum dependeatia ad (ap jo (itum tec minarc debet tàm adiectiuum maltitu dins, quam vnitatis, et ideà ti func pluca füppo(ita, X natura vaa, non poterit cü veritate vnum dici concretum, ficut cü vcritate dici plura ne queunt, i1(appoli« cm cft youm, et nacucz places . 102 Refp.negindo paritatem,ni vti. que poteft conccecum fuo (Eanciale deter rbinare 4b a4iectiu » vairatis pra(cinden do ab vlteriori tea dentia et dependzaiia ad (appolitum, non aatem (ic ab adie &i vo multttad'nis; (éd racio d.(p citatis o8 cadem aff:rcue ab omnibus,' Auería q. 23.Log.(c&. 4. in finc an jc poci(Ti nin ritionem hairs rei eife ipfam vta lo quendi,quo fact im cftvc hu:uiinodi có cre finzularlter dicka 2a ficea", vel vnicatea formasvel (uo /tft :acize, et (ap poticiy plucalicer autem dicti (nifi :eac pluratitacem vcriufque. mul; Arlgc va tio non (atdistacit, quia nezare quts. »of feccalem v(um loqué 4i 4pa4. 0.nncs ac ceptum, a0 eciam ad nifa ceae nacced dererationem huius v(us, quirce non (ic abafus. [d20 Suarez 4. p.diíp.a 7. (eb | 2. hàc reddit vacio iem difparitatis; ad h»c vc aliqua finc vod, (u;dizit, qu04 in aliqua ratione va:aatuc, vcp ic in ilia cacigae, per qua.n (aat vam ; adhoc voco vc (rat: plara, in. aulla vaicace ao(5tacé. d :bzac. con.cnire, quia aalcic119,ca n ac ida. quod diuilio opyoaitur vanitati, vc ergo: Coucret.aaun malcpliceatc s : necede cit,. 4$o0 50 Difp I. De Fodbu s 00 Eh q1012mn9,& (mliciter omia plu« .. rificeatur ; et nalla vaa raria cemanear. Se4 neque hoc (ansfacir rar quia pocias, te$0ppolica udo (ehibsc, quod plus ad vnioazin, feü vattaté ceqaiicac, quá. ali viazn, 6 malacuduen,, vadé. hono, et : uas (imobeicer p'aca dcaas tu^, etiam^ hibeaa: vaitatein Zencricà s. et vaitas velat perfe&io ». et (iaplicitep: boaa pcocedic ex incezra caia. y diuitig. aucem, et mlitudo jue vecgitad mnalü,. pont tex quocua jue defedtu, ci : 3c noa ett verum in coactetis accidée! libus, quz plurifican:ur tiae I forinz : Quod (i dicat ia (abiticialibus  (aaé priacigi ' hoc a.cít,g» quzcicur,cucfola vaitas for mz oos a4    Mesi P talibus, et aon fola pluralitas eiufdé a; plucalitacé,cur que conctecü (ubltancile. term:aare polit caa veritate a uü. vaititis ftace (appo ticorid glucali auté adic&au a plucai «acis (tàce te (appo(ici cu a ola. malticadiae formas, I:a que prz:tibit. dicere cation bod gm! fcciminis, cuc ex E IM tiale dstecminari ab. ad edito vnitaus fiuc vltecioci dzpendentia ad luppalita,, non (ic ab adiectiuo. matita Timis;, « ey quia vaitas.pecciaec ad aatara nm  3 ad (upoo ica, haec .a.ia nataca vai P tur, aacucain illis maluplicatarsqda;  etiain catione adie&tiuü mulcicu dinis tele E buicuc concreco aatucz,vc C1pponirpet, (oailiec,Adie&t 4d vecó vaicaasvctup. ponic limplicuer; et ids dixit Porph. luces h »niges. coa? nacurzs dicivaum. 2 niaé ; à.az igicur eit, quod cócterum fubitàciale decec ninici po:ett ab adie Ciao vgitaus p^;elc:n dead» ab vlceciori d :pend :ncia euis ad (uppofiid nan vec ab. adiit: 10 0 ilcicu dins quia (ubhoc, ; adic&cio peeiecoimn refpicic (üppolisas.  Szdd.ces, fi à ek,ecgoPatety et Fias iaxliatots po:eru 1. dici d 10 foi E ix ratoccs s quis c(ü. cogcecü i at epamad (appo icm » 44m JJ 10 fü paticay que (piranz. íg«acg indo c [equzat.a m, quialieécex ex parte, qua  coacec ai 409a iitu n v. pa dent dici c (pitatoccsycain za ex alio capice, jai 9 .VI.Depiinéf erf amecacciden.eti.1T. dnfeimmcearate nat n4 fl iai natcac pendentian. terminj 11 0.c18/5 ad.cQu ui, quia eft lubtiant; tum; à vs pirati qa tantum vna c(t in lairc;& F l;o.vt do ct 1 heologus,' ideb «un. veritate non potefl iufciparecflectun. torn.le adie Gui nomcralis ; b) cuccx alio capice Pa ter, etiamfi babeat «uo punc:p: produ. &iua, non potcft dic; duo prod« étrcs, quia et(i adit pluralitas formae » dccft ta amen pluralitas: füppotiiocum., et haec eft gatio, cur ad pluraliratem concr.toi um accidentalium, et adicdiuorum fufficit fola pluralitas fubicétorum,& ad piura liratem tubftanaaliuai vtrag; tequiritur uia ibi [olim fubie&um tcrmunat de, é I adic& ui numcralis, cum adie €tiuum nullo m«cdo tern.inare queat, hic veró duo forma nen; pé, et luppofitum, hocvictmaié,illa non vitimaté. /( Tera atguit. Arriaga cit. veritatem predicationum, et n ultiplicationem ter aninorum «oncretorum, ncn ex formali fignificato eorum auc ndi dcberesied ex €0, qj importe tori rcélo, et hac róne ait ccrcrcta accidentalia vnitaté lume ze,& muluplic: enm ex parte [abiti precisé,quod im; port«nc in rcQ'o, non cx parte Wa pis, ean llam fignificent de formali,cum ergo «oncreta fübflantialia ex nacura, et lubfifl entia dicant in rc &to naturany et in cbliquo fubiificuam, (e quu ntcctlarió €x pra dicta resula, cp in cocé fuppofito dug lublitierent na aura s v. g.humaniates,ulud dici deberet phucshomincs qu'a plures nauiras ime yorterct in rcéto, Et num.62. av fal. m lie rcculam à robis traa;tani quod no mira non:cralia coniun&a cócrcts fub ftant iuis muluplicant formalcg& mate riale; quia non.cn pe»foma cft concrcium fubflanuud, et tbinomenpumerale 1lli adiundt à r6 mulujJicat formale) X ma« teriale illus ignificatü,aliàs dü dicuntur tres diuina perjom«, t multiplicatetür Aininitas, Qcll materiale illi? iignificati. 104. l: efy«ócrceta accidentalia nume rariad numerationcm fübiectorü pici /:88, quia ipía (cla fübie&a verm;nant dc pendentiam adicétiui nümeralis, et hac tit ratio propria; et à priori, et quia in concretis (ubftantialibus tàm forma,quá (uppofitü terminát, idco ad coi requie zitur multiplicauor € vtriufq; muluplica tio. Neq; «x hac regula fcquitur cá dici mus tres diuina per/one,€t diuiniatem .mulcplicari debere, quia cum ly dium ncmen fit adicétuum, nequit tci minare dcpendentiam adieiui numeralis ; fed terminatuf ad nomen pe» fora, cuius ti gnificatum, nimirum fobiftenuá multi plicat  hegula veià ab ipfo tradita, vel non cft ad rem, vcl pronob/$ contra ip fum concludit, quod fi in codem fuppotà to Plotes fubisfic: rét nature;illud dici de beret vnus homo, et non plurcs,quia có erctum quoque fubítantiale, ficut acci dentales pai tg per loppofirum in re &o, nam homo cfl habens homanitas iem, ficut album eft babens albedinem. De Ente rationis, eo fecundis Intemionibus  Lan? ad Metapbyficam [pe&at tra& ave de ente vationis perredu ionem ad. ens$realesy quod eft proprtum eins obiectum 5 vfus tae men apud multos snualuit, vt ifle iratiatus Logice demandeturs, ph € quidcm rationabiliter tum quia cognitio entiszationiss? fe "Progme«ium quia adbuc mogis de eruit Logica ab. Arifl hr | cupdarum intentionum valdé injeruit Logtce im fe,»t pord p 2] muli um. 1sat direti ionem: op ji nationibus rationis melius dinifionibus, € argumentationibus, vt «onflate x die eratiomum iuicllefi Ws. » ves n. percipiuntur,7 cómodiws TE Uo Difm.IL. Dente vátioirt ^ 1^ Tub terminis fecundarum intentionum eft inflitutay wt niagis patebit ex dicendis bis igitur de cau[is communem v[um fequentes bic de eme vationis agemus, cr fecundis intentionibus:  IL 4n detur Ens rationis, C quale effe babeat 73 Omineentis rarionis || intora fua latitudi ne intelligitur, quic | quid habet effe ali quo modo dependé "terà ratione ; quod ^ quidé potcft tripli citer contupgere, vt docent Formaliftg nollri art: 1. Formalit; &colligiur ex Scoto 4.d.1.9.2.$. bic primo videndum efl. Primó effe&iue, feu caufalicer, quia nimirü per verum,& phyíicum influxum &aüfatur, et producitur ab intelle&usqua les (unt atus intelligendi; qui effi ciütur àb co . Sccundo (übie&tiui, quia (obie €t ur, et recipitur in intellcétu, eique adbzrct, quales funt ijdem actus denn fant u$,& orones habitus rege quate srecipiuntur in intelicétu, eique tan Quam fiubicdó adherent. Terr;ó obie ué, quia obijcitur inteHeótui; fcu. ab iótelle&ü cognofcitr, qualia sit omnia, qu£ ab iatcl MS » Vt fics adh iciter in hoc vltimo fenfu porci "y ui nderc' in'(uo cfTeà ratione, vel ità qued babe: et illad cffe, ctiamfr intellcétuinón ob'jcerctue y vt ienis,qui eft calidus; licét à nob:s nó co no(ceretur,vt calidus ; velità quod non rez illud eile ; nifi obijcerctus intel:  lectuisfed intantum illud babet, inquan tum ab iptclic£turcognofcitur, cuius co, gnitionc ccífüme ftatim edanetcicy vt An gclus, qui non cft pulcher iuuenis, nifi quatenus rali modo apprehenditur ab in tellc&u; et hoc cft illud ens.rationis, dicitor babere efie tantum obie&iué in intelle&u ; qued dicitor.ens fi&ium à ra tionc; et de quo queritur in przfenti, an dtbeat admitti,quo ctiam admiffo dubi tatur deindé quale effe (it ci tribuédum . 7$ Circa primam qualiti partem entia tationis; ac teundas jnccnuones yidéuur. negiffe Mayroriquodlib.7. Ioann. Gan. dau.lib.2. Mer.in fine, et lib. 4.3.6. licer non fibi cohftet 6. Mct.'q. 5. Bernardiis quidam Mirandulanus in expolir. przdi xam.& Vallefius controu. 10. Phyticae, Oppofita tamen fententia e(t communis omnium feníus,qui admittunt, et paffim fupponant cotia rationis ; fed adhuc nom omnes conueniunt in altera quz fiti pare te,qualenam effe fit eis tribuendü ; dam enim quibufdá entibus rationis tau tum deferant, vt eis concedant effc for male,& act&ale antecedenter ad omncm operationem intelle&us, iraloquitur Me dina 3.p.q;3 f«art. 5. dub. 1. ad 1,de illis entibus racienis, que habent fundamen tumin rcbus, et Fonfeca 4; Met. c. 2. q. 7: (ec. 9. et li; g.c.1$q4 feci. de illis rc lationibus qua ex denominatio fültare videntur, vt fuiit relatióncs Creatoris, prioris ; et po füerioris, ac aha confimiies 5 Alij veró etfi fateantur; orne ens rationis quaptá ad exiftentiam abintelle&u prorfus pene dere; adbuc tamen aferunt habere (aam 'eflentiam independenter ab eius opcra tione, fccuridü qnam rcuera dicitur pof. fibile effe'in intelle&u, ticut ens reale. » pcr fuam effentiam dicitur. poffibile cffe cxtrá intelle&um ; Alij demum ftatnunt ens rationis penitus ab intelle&u depen dens quoad omnc (uum effe, non folum cxiftentias,led etiam effentia . 15 Dicendücft pto refolmione quafi ti quoad vtráque parté éns ratioris orri ninó concedendum efié, nó tamen in. co. feniu,vtante acr aliquod cf fc formale, et a&ualc habeat, fcd ita gj emnc fuum effe a&tuale accipiat à ratio nc.Conclufio quoad primam partcm eft communis Gracorum, Arabum; et La tnorum, vt teflarur Carrarius de primig princip.vniuer(. Log.lec.7. nam Auicen, 1.lug Met.cap.2. et 3. Aucrrocs 4. Met. cóm.2.& in Epitom.Log.cap. vlt. docét logicam efle de fecundis intentionibus:, boc idem allrit Anonim jn b prs alij paffim, xta  fufficere | .& Porphytius in lib. peedicam.in og.3. et lubícribunt Latini famofio res D. Thom. Scot; &gid.A lbert.Alé (is, quód (ola Antiquitas fufficere poteft ad oftendendà huius co clufionis veritatem; hanc Suarcz proba» re conatut difp.vlt. Met.fc&.1. nónullis Acift.teitimonijs, quz ad rem non facc re oftendit P.Faber 4. Mct. difp. 4. c. 1. fed Ari(t.pro hac ftare (ententia manife« fté demonftrat famo(a illa iun  in anima, et extra anim, quá fzp:us ipfe tradidit, prafertim veró C Metin fine, X lib. 1 1.(um 3.c. 2. vhi p ens in anima ex xofitorcs intclligüt ens ronis ; przcipud tus in1 .d. 36, q.vn. F.fEt Mayr. ipfe nó abfoluté negat entia rOnis, fed un di fputádi gratia, vt jp:elttat in fine quol.é.  4 Probatur ctia ratione malcipliciter; Tum quia multa (z pe cogitamus, ac ti e(lent,qua tamen ncc fuat, ncc cfle pof funr, yt patet de Chymera, Hiccoceruo, fimilibus,ecgo cum aliud etie non ha. cantjquam cogitari, et tamdiu finr;quá. diu cogitantur, veré (unt entia rationis, . Tüquia cüintclic&us concipit negatio nes,priuationcs, ac exttifi(ccas denoma. nationcs,eas vtique concipacad mo eat cü enira cius Trpo adzqua tum (iot ens reale, nibil concipere pot y, nifi ad modum veri eocis., vndc tenebra, inaere, cacitatemn 9culo concipit per modü.qüarundam formarum luc ac po tentis vifiug contrariatum, hoc aute eft efformare cns rauionis, Tum etiam quia experimur aJiquos actus, quorüi obicéta non (vent à parte rci,vt cum.cquum ratio na|em concipupus, et Angelum.sorpo. um, naro harc obiecta, equus. seti eun rational AC anaclus €um corporco,,nó funt à patte rei,necef. fc potias fetaneré ctt etdunc i intelic&u fingenic cquuairationalem,&. apngclum corporcuia. Tutn.denique quia  toc Arii. Logica plena eft his rctminis sies ubiseiums prx dicatum» » vnucifale, S bmulibus, qua. ATGUORMS.;. . 0 2005 ndent negantes entia rationis; s equum r. onalcm.a, et milia gonci / DuefkE cn dein ojo Plon? pit, non vti jue pettalem actum. € oaci pere quid m; et ápparens, quod di catut ens iationis, fed concipit vstam, &c: realé rationalitaté;vera et rcalé corporei tatem, quam in alis rebus coznofcit ; &' eas incentionaliter conne&it cum equo, et angelo,atque idcó nunquam dari tale: ens racionis, quod cx parte obic&ti actui. fingenti corcefpoundear.Sed haoc folurio né opcimé confutat Atriaga difp.6. Met. fec.1.nu. 10. nam quando intelicétus affe! rote ex rationalé, angelum corporcü],: plaoé non pradicat rationalitatem, quae conuenire (olet indiuiduis humana na turz,ncquc corporeitatem conacaienté& rebus materialibus ; (ed aliam con(imilé, : quam fupra numcrum.catum, quz (urié poffibiles, fingit iatellc&us, ticut (i Tho miftatcnens (ub fpecie Gabriclis vnicü tantum índiuiduum cfífc po (fibile, conci et vltra iitud adhuc aliud c(Te poffibi »tünc vtiq; hoc aliud,quod conciperet, non cítet indiuiduum ip(um Gabrielis fed aliad fi&um; et repugnans in eius s&« tentía, itaigitur in propofito cua alis. rationalitasdi(tin&aab omnibus ratio | humanorum indiuiduorum y illistamen con(imilis; non fit rcalis,fed fi&a, et chymerica,. quastdo.concipitue equus rationalis, &angclus corporeus, ve. ré eflicitur ens fdtionis .. Accedit, quad: etiam admifTa ea folucione adhac no eui tatuc cris rationis, licét enimrarionalitas: equo applicata effer realis, adhuc vnio rationalítatis cum equo eflct omninó fi« &a,& rauonis. Quod (i intlcs intellectis illis extremis ctiumapplicare veram. vmà nem; quas ince alias fes experituc «Non adhuc eu:tatuc.ens cele quia (alti applicatio ilia obi "plius yaipnis etit rationis, et ficta quia applicatur re« bus inudibilibus.:: «3. idtrtana 5$: Quo etiam ad alteram patte; cons. clufio cft. communis y.& eft pra(cntiay Scoti quol. 3; A. vbi docet .cns mci rms: habere iptaséisé heroe) lecka.co Mie derante'in I.d.56. q«và F. S4 G, ape? : pellat illud ens ià anima, v jin Lern animam un Jn cífe: actualijquàm in elfe po(Tiüilis tam qup ad eiie cxiteatic quàm cflentis ja quodé : omnem proríütteilitatew, et exi(ten tiz,& cflentiz, et 1&a1lem, et poffibilé negat Door enti racionis, et ei dama. Xa: tribuit e(fe obic&tiuum, sin quid, et  diminucam,quod aon hibecur,ni(i beac ficio intelle&us;& iterum in 2. d. 1.4. t, art.1.diferté docet pause ha berc eife a&uale,& formle,nifi cum ia. tcliiguntuc;& mauifefté deducitur ex p fo concejxu entis rationis, id enim incel ligimus per ens rationis, quod omninà contradiftinguitur ab ente reali ergo nal lum effe formale, et a&uale hibet ante opus intelle&us, nam (i aliquod tale ha  bereuprofe&o ab ente reali nó effet pror Pire tg Pet quod excluditur inz re(pon(io, et aliorum dicentiü bancrationem folum concludere, quod €ns rationis in a&u perfedto, X comple €o pendet ab opere tatelle&us, quod tá prazcedere poteft in a&u imperfedko, et incompleto. Exploditur hec folttio;quía fi aliquam realem actualitatem, quaatá  wis imperfe&tam antecedenter ad. opus intelle&us haberet ens rationis, (ané noa e(fct ab ente reali vadequaque diftin&tü, ncc propcié effet ens cationis, quod ideà dicitur rationis, quia mullo modo poteft effc in adtu,nifi pec opus intelle&us .. Ec hzctatio nedum p. de efc cxiften tiz (vt nonaulli re(pond&) (cd ét de cífc. effcatiz ; tum quia exiftentia proportio natur csétiz,vt eius, vade ex cà ditione cxiftentia arguimus c(fentiz: có ditionem à pofteriari, ergo (i exiftentia entis rationis prorfus ab iatelle& pea dcoidé dc e(sétia dicendi eric; et proc füs itcacionabile e(t alicui a(lignacc cf 'ntiam realé inde cxiftenciá ratio  nis; tá quia exti aliud non e(t, quam ipüus c(fentis a& 1alicas, ergo fi entía. rationis hibent exiftenciá folu ab incel lc&u,idé crit de edeatia diceadà; Tà cà dem, quia hzc ip(a ctteffentia enis ca tiodis, quod ncc fit, nec e(Te poffit ciccà eperacioaem intellectus, et hacde cau fa dicitut ens racioais, im3 (i hiberer e( fenciam cealem, iam quiddicariue, et foc malitec eas ceale (orzc, X aon rationis.,$ la oppoetitum obijcitur Primo pro. Vio ca: ;atiogis adinittiad debzrc, Tà Difp. HL. De Entebatiinte ión 0] quia ulla potet illius aifigazri c30( 25 hzc .n. prz(ertim deberet effe. intelle. Gusyt hic eft cauía realis, et caufat ase« dia a&:0ae reili,ac proindé cffedtü (em« per actiagitrealem . Tum 1.quod eft im poffibile, aon poteft concipi, ncc mente tatelligi,quia intelligi (equituc effe, et (o lumens reale et obiectum adzquatum intelle&us, (ed ens rationis et impoffi bile realiter,etgo etiam menraliter. Tá 3 implicat obie& um in intelle&u, quod noa ptius fit intelligibile, quàm iarelle &um, quia quod intelligirur in a&a fe cundo, fané (upponitur intelligi bile ine a&u primo ', at cale foretens ratioüis ex di&is, i daretur, Tum 4. implicat dicere illud hibereeffe proprium, quod tátam fingitur elfe, cum reuera nec (it, nec ef fe poffir, quia quod tantum fing itur,aec cít,nec datar. Tum 5. (i a&ui af cmandi angelum cfe corporeum nderet ex patte obicái vnia fi&s, effet aus ve rus,quia afficmaret, quod veré daretur,' nam inter angelum, et corporeum datur vnio fi&i, ergo vt fic fal(us, deber inter ea concipi vno realis. Tam 6, no poteft. daci medid inter ens reale, et puri nihil,   conttradi&orià opponuntur, (ed et atetur eris racionis, inter illa duo media rctuon .ni. cffet ens reale, vc patet, neque puram as Js. Pes eec intelle&1m . Tám deniqae quia ho» De Aperiri videtur toe dtap, vel faltim vcilitas ad res veras declarandis, et do&rinas capiendas; ecgo &c. 7 Refp. perfe&kim hacá difficultarum folutionem pendere ex dicendis, quantü ad MM petit, ad r.dicédum eft in. telle& im eife" cau(am efficientem entis ratióais,noa tatien propcié;& in rigore di&im qus .(.vecé, et phytice iafl aat ia cife& 1m, (icu: .n. enscationis non habet effc vecü, et ceale, ità etiam nequit effe cif :& 15 cau(z vec, et realiter inllaétis, nec ab intelle& 1 pendere pec realem, et phyficam a&ione, fed (icut eft casfecua dim quid, et veluti vmbca,& timilitado entis rcalis, irà etiam sm quid dicitur fie« ri,& produci, vt Scot.docuit 1.d.36.q. vn.& 2.d.t. q. 1. et fulias explicabitut infrà. d z.ncgatar affumpcum, bos ia NR  . : EAS CUNEP T £z wt Quaft: Le detur ensvarionis: 255. 0o gsíehabet intelligibileequam poflibi refle&itut attingendo illam vaion em am omne poffibile eft intelligibile,. vc fi&am, iP ille verus cít. écontra, cumpoffitintelle&us in  Ad é.negatur minor, nà vt docet Do  geros& cogitare, quod nec eft, nec e(le«. Gor quol.3.art.1.vel nomen entis fomi poteit; ex «o autcm quod cns reale lit. tur in rigore pro co» quod veré, et pro dsequatum intellectus obicótum, collis; prié cft. i. realiter »vel faltim fic exittcre ons rationis non e(ie perfe. poteft, et nihil,prout opponitur enti: hoc uté intelligibile, fedtantüm in. modo fumpto, et fic ensrationis eft pa "Tute, quatenus nequit intelligi, rum nihil;quia nec realiter eft neque. fic. iad modum ipt i Le et hzc. c(fepotcít;vel nomen entis fumitur ma eft propria ciusintelligibilitas,vrinfrà | gis ample pro co, quod cft vcl inre, vel dicemus. Ad 5. verum eft formaliter, et   faltim in apprchenfionc;nihil vero; prout . a&tualiter ens rationis non prius habere; opponitur enti inifla amplitudine, et in | lc intell le quam intelle&um; vt . hoc (eníu ens rationis noct purü nihil ^. notat Scot. d, tq. art. 2.G. quemfe | fedaliquo modo ens; vcl demum (umirur quuntur Cun .ns ic 5 fed hoc non di. ens proprié,& in rigore, et nihil (umitur : . €irur, quia abíolucé loquendo nullo mo." amplé pro co;quod negat quodcunque ef; dolitcognofcibile, antequam cogno . fejiué in re, fiué in apprchenfionc,& ic o fear, nec poffit actus (ccundus vllo. ens rationis cft medii inter ens, et purü. .. modo à primo diícerni, quia faltim vir nihilquia ex vna parte non cft ens rcales ialiter in fais cau(is pot dici prius in   ex alia nos caret quocunque effe ; quia bile,quam intellectuoy, imo ctiam   habet cffe faltimin intelle&u ; hinc tamé: inaliquo fenfu formaliter,& a&tuali«; non fequitur effe medium inter contra» hoc dicitur ad denotandum; 9. di&oria quia ens reale, et nihi! hoc tet  in fe cognofcibile.i[ecun; tiomodo fumptum non contradicunt, vt: le& actualesquam..  bené notat Amictra&t.3.q. 2. dub. j. ab: " inofci elt de   initio . Ad 7.neceffitas, Salario vdlükim iden mendciesnotio inpefedo cóc lo potentia non an ene . dimodo, (pé .n. nequit intelle&us nos: ... a&um, quaratione in Deo potentia ad; (ter concipere res,vt infe funt, et ità có«. . «xiftendum non abfolute dicitur prace . cipit cas per comparationé adaliud, fin. dere aGium exiftendi; quomodo autem   gitque relationem rationis,vbi r& veraza 1 fakim virtualiter in fuiscaufispoflitdici / nonc(t, diftinctionem, vbi nó reperitur, etiam, et inaliquo fenfu formaliter et iuuant noftrum imperfc&um iutelligen : |. aéualiicr mox dicemus, quz veró con   di modum, vx bené difcurrit Smiling. ' TN Miidcbici Poncius difp. 1. Log. q. 1«  tract.3.de Dco vnodi(p.2.  «oncudit de các fimpliciter, quod eft. alteram coaclu(ionis partem,probando, proprium entiumrcaliü, non dee(icfe«   vel omnia, vel (altim aliqua entia ratio idum quid,diminuto, et abufiuo. Ad   ríis a&u dari citrà operatione inielledtus, aliqui magaificiunt ; vt notat Tum uia nullo operante iptelle&u dan: Arriaga cit. rcdargutionem inuoluit, ná J turá parte rei caciras in oculo, privatio", 'inante concedit illi a&ui vnio   in materia; parits viíus, L'euscrcator X^. £ ncm fictam corrcipondere,quamdeindé fimilia;qua profe&o quidpiam reale poe" E negat in coníe.jüente ; vndé ibibené refiiuum poo important, («d rations. T torquetargumentum;correfpondetigi  2.quia entia rauonis prius babét e(l ine tar illi aéui vnio ficta, (ed quia fingiur, | telhgibilequàm intel ctum, et prius ef Ad et cócipitor, ac li rcalis edet, idco actus   (e po(fibile, quam ad&iuale, nàam antc.juà: : eit talfus, quáde vero jnteliedtus denuó ad modum cuui VapcipantUr ped196 fic cócipi,& vernm eft dicerc antc ope  zationé intellectus ens rationis effe pof . fibile,& poffe per cum beri, Tom 3ens raticnis cft prius cognitiene if'a,pcer quá €ognofcitur, ergo nonhabcet eife folum : qu.tcnus cogn. fcitar, Proba. atium pt ex Arifl. 1,de Anima 3«vbi ajt obie €um efle pr:us adu imipfam tendente ; ac ei'am ratione; juia quelibet potentia «cgoiv ua foppon:t obiectum, in qued fe Taur, et non actu fuo illud efficit, vt ocu lus fupponit coloremnon veró illum ef ficit videndo. Tum 4.ens rationis dcbct cíic al'cubi fubie&riué ; cum non tit (nb flantia per fc fubhiftens,fcd nó cft fubie €liu£ :n intcke£ti, cum in co lit tantum Obicétiué, ergo fubic&iué erit jn rebus ipfis,de quibus pradicatur ; quod etiam tus inhinuaust q. 9. przdicab. et in 4. d.13.9. vn. verf. contra opin. Tum $.dà tur propofitiones effentiales dc ente ra iionis atepna veritabis ex parte obice » n6 minus d de ente rcali crgo ficut inen. 1€ reali arguunt efientià realé,in qna funr datur ralis veritas pracifaexiftentia, ita et in cnte rationis . Tü tandé fi efe entis. rationis prorfus incogitatione confiflit, €rgo poteris dari gradus genericus fine fpccifico,quia poterit cogitari ens ratio nis in communi, et non in particulari, in gencre, et non in fpociey et eadem ratio nc porzerit dari fübicétum fine paffione. E efp. ad 1. negando enumcrata ibi entia racionisformaliter, quauis,&. «nua realianó (int, nó protinus infcren dü cfl effc eniia rauionis, fed effe nega» tioncs,X.pruariones rcalcs., vt süt venc brz,& cceitas ex Do&tore 1.d.23 q.vn. . «l denominauones rcales exuinfccas y wt Dcum cffc Creatorem y pariciem vi fum,;rt docct idem 1.d. 30.q.2.nbi in cal. c optimé notat, quod quando aliquam, necat oncm, et denominationé dic: aus 'elic rcalem tunc realitas determinat rá wm cempofitionem,X cnc nibifaliud 1ft; quam illud, quod vc;é etl, et irafe ha Bet à paric re), non autcm prz dicatum quia e(i« &rcatorem nih 1 Dco tcalitatis addit dc nouo., ficut nec cfe vifam pa ficti. Ad 2.entim rationis, antequam in ganiurjnà funi intelligibilia forga Difp. II. Di Enterátióniez liter, fed tantum virtualiter, ad hoc antt non eft neceffariüsquod prz.cedant intelle&us si aliquod e(fe propri cd fufficit, fi in rc przcedar E qualecunque ilkud fit& in intelle&u po tentia et virtus inteliigendi ; vnde quód ens rónis tit poffibilequód poffit fieri &c inelligi, hoc totü verificatar ad potentiam inteiletiuam, (cu ad ope rationé poffibilem illius, quare cfle intel ligibiletn entibus rationis nó cft aliquod intrin'ecü, vc in entibus rcalibus;fcd po tius cft mera denominatio extrinfeca à: potétia intellectiwa Pape vr onem qua nó funt, ncc cffe pofsüt ; concipere ad mcdü entis poteft. Ad 3. negatur af fumptum;auótoritas vcró Arift, et ratios ad illud probandáradducz valent tátuav de obiecto ASARAY S757 asa ducere in potentia (üi fpeciem aar fam,& cum ca expre(fam, non autem de: fimplici terminatiuoyquale eft ens ónisy  Per em Doétintinuat 4. d. 1.q.1. fub Sy et magis infra explicabitur ; vel clarius: pore inreliedtus rem daplicitcrcoguo« oe d rig cit, bseniz ac eft, cum rimo modo cogonoícittunc vtique pre faorcic obiectum M oicop fecundo modo, tunc cfficit obiectü (ui. et nullo modo mm quia:tale obie bii dic Mie HEE RN c, erubuit mnielle&os yita ves cognofcity dum cflicit ens rationis nam illnd'cffor  mavcognofcendo rcm aliter a6 fic, et quidem: toties intelle&us pera&tum fuür fibi cficit obiectum » quoties fallitur iudicando eflc id, quod re vera non cft, ys ipla expekientia docet . 49: Ad 4. ncgatur maior, fi .n. ens ra« tions cílet vcre inaliquo fubieótiué;tüc cflet vcrumaccidens, et per confequcns. ens reale,fcd tantü cft obictiue in intel. lcu ipfo ; ncque idcirco erit fubtian uasquia hac realiter eft, et fobfi ftir po tcft tamcn concipi » vt per fc fübüftcns y et ad modum fubflantiz, poteft et con cipi, veinalique (übieQ;ué exiflcns ad, inflar accidentis,& ita cfl; quando ab in tclic&u pradicatur de rcbus ipíis, vt cüb d:cimus animal effc genus, in hac enims et limilibus przdicationibus pradicau non ord.né CNWgtv rm T | k: visi Ribicasin fe; fed vt cognito,   &italocutust cit. cum 1nquit P e gepe fübie&iué in rcbus 3; s. Ad $. negatur veritatem propolti dbnidd id entibus realibus fumdari in ali qno effe effentiz resa&tualiter ha beant arite effe exiftentiz ; (ed fundatar itico,qüod ipfa effentia rei fit poffibilis, vt onatur in effe exiftenuz, et eí ftàtiz; vt ]até dócet $Cor.1.d 736. q. yn. potius ergo diceiidum eft, quód ficut ve' fitates entium realium fpndantuc (uper ' poffibilitates eoruxti,vt atu finit, et actu ponátor in ee extra intelle&um, co quia iftz propófitioues catenus vera sát;qua' terius ab omni d&uali exiftentia pra(cime darit,ita etiam veritas propofit. oni eísé rialimm de entibus rations. fundatur in €ó,quod ipfa effentia estis racionis pof   fit, vt a&u fit, et aQu ponatur in ife per intem, Ad é«concedirur fe: qüéla,Gcnt n. obie&tiué cogitari poteft matura vniuerfalisabftrá&ta: à fingulati pc nathra: ca à [peciebus, ita.» .. fitti poteft eris rátionishn commun i non: . fa&o iu parrietlati, enis rationis fubies One dat bd Mi ip av lind: d ebiehieIn i i feroces drm»; /& obie&iue: Dicesetgo inter gradum: gencricitm,& fpecificum, fubiettum ; et : páffione' in entibüs rationis dabitur fuo : modo'diftinctio tcalis. Negatür cónféq:c quía heécpoffit vem gradus: generi." . &ns'aon cogirato (pecifico,S& fabie&rím" mon cogitata: ar práci (iue tamen: itari nequit diuifiud, qhod requirere : 3 icad ditur riotiem realé. Accedit, quia. hárü iaténtionüm efle cófiflirincegno fti Nontepusnare vnam actu effe tineal terh in ipfo intelle&u cognofcente anam: connetioharum intentionum fon atté ^ ditür quóad cxiftentiam actualem;ita o vna (equatut'ad aliam in effe, eum cic non conucüiar eispet cobfecutionem.,. fed per cognitionem:connexio igitur at téditur in cisratione fundamét quate mus fandamétum ita fundat vnam, quod: ax viillius petit etiam fundare aliam... 43 [ iba  Logica d EN oU X7 E Saal. T. en detér cns vatiopis: QV.ESTIO SECVNDA:" Quid fit formaliter ens rationis, C in quo eius efientia con[iflat. " II Vamuis vt ronct Do&tor4:d. 1 q. 2.1. ens rationis proprie de finiti nón potlit reftringendo defraitioné ad'quid proprié dr&um extra animam, ta men quia dcfiniri poteft eo modo; quo: definitio exprimit vnum conceptum per fe in intclle&u, fiue conceptus ille fic rei extra, liuc tónis, idco in lioc fenío queri. tur in przíenti ; quid fit ens rationis, &' am eiusdefinitio ; et licét comunis tétia ens rat ionis admittens concedat: illud 'nullü habete effe extra animam ; et füb'e&iaü,(ed tátà in anima, et obiectis aum,vr ex praced.quatt. liquet;adhuc tfi difciepant authores in explicando, quid: fit illud, quod habet eile tanti obieétiue". in intellectu, et folum tandiu eft, quádiu' con(ideratar, quod eft proprii efie entis: ratiónisqua in ré plures cxiá topinionesy que przíérrim ad quatuor reducantur, "Ptimà fatis famofa conítituit formializ tatém enri$ rátionis in dénominatione ei ttinfetayquam aliqui fine vllatimiratione: amplc&entcsaffirmant   deno: miinátionem extrinfecam àquacü " Ouenientéeffe ens ratíóuis; vnde iuxta' dicendimódü non' fotum dehomi' nati, qua res detomisiatàr coguita; fed" ctiá ea,qua denominatur volitá, vifa Gc. ' imb qüátés infenfibilis vt columna, di  citur dextta, velHini (trà ex warióanimalle fivu', et fimiles funt formaliter. éntià rae tionís;ita fenfiffe videtur Fofeca $ Met, c.p4].6.le Gr 3:& Vafq.t.p.difpitors nis," et pi 2difp. 95 C. 10. Vbi denominatióné extrinfecam inquic efléaliquid" ratiónis, ' Aj veró eiufdem fentcriti d Auttoresear coát&ant: ad folam demomitnatiotem fU. obicctüm deriuádtam ab à rquálms cft denominatio cogniti, et intelle&ti;ità Durand. 1.d.19; q.$. n. 7. Soto qus vie" oer et Didac.à: ifp. 3; Logq 1: Alij mü Recentiores adhne eandem (cntentiát scoarótafitcsdixerunt notromnem: denominationé excrinfecám^ab atu in selleiusproneniérem appellandi Ve 2 " 188 ^ Difjst. 1T. pluralitaté ex parte (üb:e&i,vndé (i ea« dem albedo eílet im pluribus. fübie&is abíóluté dicerentur plura alba, et é con trà, fiplurcs albedioes forent in eodem fubiecto, vnum duntaxat diceretur albü, ità intcr alios docet Scot.3.d. 6. q. 1. et d.8.q.vn.& quol.1 1. H;cu:us ratio com ntunitct reddi (olet, quiacüi nomen adie et uvm dicat formam per modum adra «ntis sübic&o, maxime determinatur r ipfutn (obicétum,quod magis,& pro Fündius declarans Do&or 1.d.12.4. 1.$. inxid quefiionem ifiam ait, quod nomé Adiectiuum primo, et per fe afficit fub ftantiuum, cui adiacet, et non alterum adicGtiuüm quia folum fübftantiuum na ttim eft termrmare depédenuam adic&i €i, non autem adic&tiuum, nifi fubítan tiuc (umatur, cam autem accidens non tribuat effe&um (eum formalem, nifi fübictto,quod afficit; fequitur, quod ter tnirins numcralis duostria, (cx &c.tribuit effcGum formalem numerationis iubftà tiuó,ad quod rerminaturnó'adic&riuo vt poté impotentiad tertninandàá. eius dc» ndentià, vr dé fi vna albedo efict in tri bus (uübic&tis,tria alba dicerentur, quia tà tiomcn nutmictale rias quamalbi cunt adicé&tiaa,& idt anibo teriminantur ad tercom,.f. ad fübicétam, et illi ccibuunt fuum cffeéumtormalem ; gp cü in calu fic criplex uia etiam erunt aiba de nigore f isjqua ctiam rationoyfi plurcs pcr fore diuirg candem aítumerent hamani tatcm dicecemur plures hbumanati, et 1m carnati :é contra veró fi plurcs albedines cficnt in codem fubicé&to vnum duntaxat diccictur album, ficut dc £icto vnus ha» bens multas (cicntias €f vnos (cicns y ait ipcéor quol.cit. et (i vna períona diuina plures atiuméret humanitates, dicerc tur vrias dumta xat bumanatus,vnus incar ^ nauis,noo plurcs.qua. do&tina cón:mu nisc(tomnibus Scouflis, et probatur à Molin.t.p.q.36art.4.diíp.2. Catil.lib.r. Introduct.ttaGt.1 «c. 5.& multis alijs 98 De cocretis vero fübflacialibus,& fubflantiuis cfl maior difficultas, et qui dem aliqui totum oppotitum docét cius, quod dc accidentalibus, et adicétiuis di €cbamaus, volunt n, ynitatem corum ; et N  n. 3 ; ", DePodus; ^ 5 00 pluralitatem ex parte formte fumi debe2 reob eandem rationem,quia cum nomé fubftantiaum d:cat formam ad modum per fe ftanus, maximé determinatur adic . Guum namcrale pet ip(an formam, vn dé ficadem diuina pcríona plures affu meret humanitates, dici deberet: plures homines tà Vafquez 1. p. difp. 1 $5. c. LI et alij quáplures, quae videtuc fuifie opte nio Doctotis 3.d. 1.4. 3. vbi refolutioné illus quefiti,an :lla per(oaa dici deberet plures,vcl vnus bomo, remittit ad ca, jua dixerat de pluricate, et vaitate concreti in 1.d. 12.4. t. ex regula aüté ibi iadira de termino numerait, quod séper tribuit effc&um formalé /11i,quod terminat eius dependeptiam, manffté deduc itur, ge. ad n.attiplicationem con: reti fübftantias lis (ufficit fola form: pluralitas quia hec elt apta terminare dependentiam termi. ni numeralis;qua ratione omnes feré Sco uftz veteres Lichet. Batgius, Baitolius, et alij, concedüt in cafu pofito perfonam, illam cie plures homincs, quia ly plstres non determinat fuppotirumyfed (ub (tans. tiuum, cui ummediaté adiung tur, qued in propofito cftly bosnes, et ac folum multiplicat humanta:cs,non luppotita, 99 Sed licét prima regula de. cócretiff: accidentalibus,& adicétiu:s dara fit vni» uer(aliter veta ob rationcm allatam, et cuam altcra de concretis fübftàrialibus, et tubftantiuis quantum ad vntratem; vc rum enitn eft folam vnitatcm forma ia fcrre vnitatem concreti fübflantialis, et fi luppofita fit multa, vnde trcs pertong: Diuinz vnus tabium Dus dicuntur ob. vnitatem formz,& natura, Falla tamen eft quoad aiterà parté, quod «f. tola for» mi pluralitas fufficiat ad. pluralitatem cocreti fobftantialis tine ((üppotitorum. luralitate, quia vniucr(aliter vcra cft il a Scoti regula dc concrctorum. muiti plicationc tradita loc.cit.in 3.d.6.q. 1.ad. 1.& d.8.q.vn.F.& qguol.: 1.H.& alibi (ag, pe,quod ad multiplicationem concretos rum non füffrcit (ola muluplicatia fot» marum;fed requiricuc multipiicatio fupe pofitorum;qua ratione ncgat 1.d.12.Q. T, ad 5. Patreim in Diuinis c tfe plura ; tincia piaylicet habeat duo prinripia produ dis ua; CTuerEL TIED o c NE e LER IS, MN 7A ITIN. T" Conitutie LL IP ] B $6. q. 1. Chriftum effe duo nca ' accidentalia,qu. (Su Le princ fuif. cmvatid.eAe.I,  ato traliter ; et mafculiné, et quouis modo, vüde licét habeat duas naturas (ub(tan tialcs, et viuentes,dicitur vna fubftantia, et vnus viué$ ob vnitatem fup ofiti, quà ctlam ratione dicendum eft, quod (i Ver bum plures a(fameret nataras hamanas, nó cfíct plurcs homines,(cd vous homo, et ita docent quamplures Scotiítz recea tiores,vt P. Faber in t.di(p.44.c.4. in fi et Aretinus in 3.d. 1.0.3. art. 2. Nec MAopiscnlet edm Bargio 1. d. 12. q. fad 3.przdictam regulam à Scototra ditam de,concretorum multiplicatione alere folumdcaccidentalibus, non de (ubftantialibus. Quia Do&or in 3. d8. q. vn. illam tradit de!concretis quidem accidentalibus, fed labftantiué fumptis, ficut (unt pater, filius, caua, principium, artifex, opifex, &c. cnim concccta lia,quia fabftantué dicuntur, ztquiualent fübítantialibas, et terminare pss dependentiam cuiufcunque adic i,& tamen Do&orait, quod homo. . habens plurcs pateraitates; vcl filiationcs dici nequic plurcs Pacres, vel plurcs Filij Ob vnitatea fappofiti, ergo regula illa de mente Doctoris tenet eciam in concrc tis fübtantialibus ;& (ub ftantiuis,nam fi: de folis àccidentalibus teneret vc ait Bar gius,poiiet dici Pater ecérmus duo. prin eipta;duó productores, et Chriftus duo viactites,duo entiagqo cá negat Do&or.. '100 Cá vero alij Scocittz dicebàc cx 4egula Do&oris rradita de termino nu mcrali in 1.d.12. q. 1. neccílarió deduci, quód cadem perfona plures aiumés hu ianicátésplarcs diceretur homincs, quia cum ly boxaines (it (ubttantiuum; tertni marc poteft depeadentiam adie&iui :nu meralis,& ica (ccundum illud numcraris,OGccurrendam cft, et dicendum vuiq; ter minare potte, (cd now!umaté ficut quà tita$ terminaré pocctt dépendentiam al. terius accidens (cd non vitimaté, quia Adhuc ipla depender ad tubttappiam ; tic etiam:in ptoponto concretum natuce y vt homo,vtique terminate pocc(t depen dentiam adiectiui numeralis,(ed «uia ad ' hucip(um depédet ad (uppofitàm; quod. Concernit vag, vt omncs fátcnur, etiam  Do&tor 3.d.6.3 1, D. et de Spiratore in 1loc.cit. ideó terminare nequit abfolu té, et vltimatré,fed tantum cuim  witeriori dependentia ad (uppotitum;ex quo fic,vt etiam in cócretis (ubftantialibus, et fub ftantiuisrecté plurificatio (ieri nejucat y nifi ad(ic plarificatio (üppotitorum, et hzc cít ratio à priori 21 optimé infinua uit Francifcus à Chrifto in 3. 4. 1. q. 9. quando dixir, quod nomina concreta ét faübítantialia,yt homo,dicuntur in pluca. li pluralitate tàm form, quàm DR ti,quia tigarfican: formam cem habitu dine ad fuppofitü;vnde ad hoc,quo 4 (ine itcs homines, cequirun'ur et plücce. umanitates,S plura (uppofita. Soluuntur QbicG iones tera prdi&as regulas obij citur 1. (iad multiplicationem concretorü accidental: ü, et adicctiuorü (ola (ufficit (abie&orü pluralitas, ergo. in diuinis rité dict polsét trcs ecernt tres imm(iuesomniporenres, quia funt tria fuppolita)& (i ad ynitatem eorundé con cretorum fufficit (ola fübic&ti vnitas, Gc (i forme (int plurcs, tunc omnia accidc tiasquz funt in eodem (übie&o, habcrc eandcm vaititem, et facerent idem con cretum, v.g.in lacte album, dulce ; fcigi dum cfl erc vnum,: et idem concreti ob vnitatem fübicéti;à ifta. Conícquentiz fant £aliaryquia et Dj Adan. Symb.ae gat dici poljc trcs etctnos y'trcs 1mmen 105, et cit couamugis omo:um fenfusal bum, dulce, £rigidàm in lacte etfe diuer $a concreta ob folam £ormaru a diuccíi tatem in códem fubiedto . Refp.de rigore (ermonis dici poffe ia diuinisucs acternos,trcs imaion(os, &c. | negatur tamen hic modus loucadi ab Athanaf eife rcétus, quia cum careamus proprijs cancrcus iubitanciuis, qualia a» forcoz immeníor,(apientor az no tunt. in viu, concreta (pla adicctua (umnunus fubttantiie, X ideó cin vna nic acernte tas in tribus, vna immen(icas,voum dici . mus ztctyium, Don tres zcernos c. Ad aliud, dumhiclo quur de voitute y et | plu:alitare concrerocuin s Aecino ett concretione Íceuadum hijgoslcacgpem euit IOI   VI Degprintf erifeénccactident:eAetIT.   $91 dnfeimmearte not nfi ciüsneicuc gpendentian. termini 1t 0.ct8/5 adc ui, quia eft (ubtiant;cum; à v s pirati ua tantum vna c(l in Farc, et F lo.vc do ct 1 heologus, ideb «un. veritate on gotcfl (u(ciperecflecttun. forn.le adie x&iui nomcralis ; fj cuccx alio capice Pa ter, etiamfi habcat «uo princ. p. produ. &iua, non potcft dic; duo prod« trcs, quia et(i adíit pluralitas formae » dccft ta amen pluialitas: fuppobitorum.,& hacc cft gatio, cur ad pluraliatem concrctorum accidentalium, et adicdiuorum fufficit fola pluralitas fubicctorum,& ad piura litatem fubftancialiua: virag; requiritur y Ae Lolim fubic&tum tcrnunat de, € iam adic& ui pumcralis, cum adie €iuum nullo mcdo tern.inare queat, hic vcró duo forma nem p, et luppofitum, Meine illa non vitimaté. «| TFenuó arguit. Arriaga cit. veritatem Bus ic oai at et o uluplicationem ter ninorum .«oncretorum nc ex formali fignificato eorm aucndi debetesicd cx 40,  importetorin rcélo, et bac róne ait corcrcta accidcntalia vnitaté | ic. maluplicat onm ex pare fübicé prciscquod ip;pott«nt in rc€ o, non cx artc foro s, etramfi illam fig/ficent de formali,cum ergo «oncreta fubfiantialia €x paura, et [ubfifl entia dicant in 1c &to natura, et in cbliquo fubiificuam,le uitur ncccüario €x. pra dicta resula, cp in cocé fuppobito dug lubtifiercnt na  Aurasv. g.bumanuatesulud dici deberet phiucshomacs,«u a plurcs nauras ime jy ortarer in recto, Et num.62. ai fal(^m clie rczulam à robis trad;tani quod no mira nom:cralia ceniun&ta cocretis fub ftant uis myluiplicant formalc9& mate riale; quia pom.en perJona cft concrerum fubflanunod, &t&nomennumerale 1lli adiunctü r.ó mulu licat formale, X ma« terialeil.us bignificatü aliàs dü dicuntu£ tresdiuima perjon« » ét multiplicatetür dinimitass Qcfl mazcriale ili? iignificati. 104. |: ef «cócreta accidentalia nume fariad numerationcm fübicétorü pizci :88, quia ipfa (cla (übic&a term;nant de pendentiam adicétiur numeralis, et hzc '€lt ratio propria, et à priori et quia in concrctis (ubftantialibus tàm forma;quá (uppofità ecminát, idco ad corf rcquie zitur gultiplicatioré vtriufq; muluplica tio. Neq; cx hac regula fcquitur cá dici» mus tres diuima perjona, €t diuimitatem .mulciplicari debere, quia cum ly diam ncmen fit adic&boum, nequit tci minare dcpendentiam adicciui numeralis ; fce terminatur ad ncmen fe» Jor&, caiusti gnificatum, nimirum fobbftenuá multi plicat, kegula verà ab ipfo tradita, vel Him cit ad rcm; n. [3 ose I concludit, in codem fupp 10 plores fubit rét nature,illud dit! de beet vnus homo, et non plures; quia có erectum quoque fubitantiale, ficut acci dentales heri per loppofirum in re &o, nam homo cfl habens homanita icm, ficut album eft habens albedinem. Premium quia a 45 De Ente rationis, eo fecundis Intentionibus  | mpm Lan? ad Metapbyficam Jpetiat trattare de ente rationis per redue 4| ionem ad ensrealey quod eft proprium eins obietium ; vfus tdm men opud wultos snualuity vt ifle yra&atas Logice demandeturg, | 4 quidem rationabiliter, tum quia cognitio entissationts? fe Pal cumdarm intentionum valdé injeruit Logica in fe » vt pod pn 2| mulium. iuuat diretl ionem: operationum iníelleésiWs. y ves i c bis denominationibus rations melius percipiuntur 7 camodiws definitionibus, dimifionibus, C a bue magis dej eruit L1 umentaticnibus, vt onflare x die ict ab. A rifl iraditat y M Jub terminis fecundarwn intentionum eft inflitutay vt niagis patebit ex dicendis bis igitur de cau[is communem v[um fequentes bic de eme vationis agemus, Cr fecundis intentionibus . QYVASTIO 1. fn detur Ens rationis quale effe babeat  2a 54 Omineentis rarionis intota fua latitudi Y | neintelligitur, quic | quid habet cffe ali quo modo dependé 'terà tatione, quod quid& potcft tripli citer conungere, vt docent Formaliftg moliri art; 1. Formalit. &colligrut ex Scoto 4.d.1.9.2.$. bic primo videndum efl. Primó effe&iue, feu caufiliter, quia nimitü per verum,& phyíicum influxum taüfatur, et producitur ab intelle&tuyqua les (unt a&us intelligendi, qui effi ciücur àb co . Sccundo (übie Gui, quia fübie €t tir, et recipitur in intelcitu, eique adbazret, quales funt ijdem a&tis. intélle u$,& omnes habitus fcientiárG, quate pus recipiuntur in intellcétu, eique tan uam fübicétó adherent. Tert;ó obie "tíue, quia obijcitur intele&tui, fcu ab jütclle&tü cognófcitur,qualia süt omnia qui ab iatcllectu percipiuntur, vt fic Séd'adhuc düpliciter in hoc vItimo fenfu potett alijuid. dependerc' in'fuo cffeà rationc,'vcl ità qued babe et illad effe, ctiamfr intellcé&ui'mon ob:jcerctec yj vc 3gnis,qui eft calidus; licét à nobis nó co nofceretur,vt calidus ; velità quod non ret illud cile ; nifi obijcerctug intels : ineipi, ied fruitom : babet, inquan tum ab intclicétu cognofcitur, cuius co. gnitionc Brio fcio dri cj vi An gclus, qui non cft pulcher iuuenis, nifi (quatenus tali modo apprehenditur ab in tellcétu; et hoc cft illud ens.tationis, g dicitor habere efletantum obie&iué in intelle&u, qued dicitur.ens fiéum à ra. ione;& de quo queritur inprefenti, an dtbcat admitti,quo ctiam admifio dubi tatur deindé quale effe fit ci cribuédum . '$ Circa primam quatit partem entia tationis; ac (teundasnccnuones. videcur negaffe Mayronquodlib.7. Ioann. Gan dau.lib.2.Met.in fine, et lib. 4. q.6. licer non fibi cohftet 6. Met.'q. 5. Bernardus quidam Mirandulanus in expolfit. przdie «am.& Vallefrus controu. 10. Phyiicae, Oppofita tamen fententia eft communis ómnium feníus,qui admittunt, et paffim fupponant entia rationis ; fcd adhuc non omnes conueniunt in altera quz (iti par» te,qualenam effe fit eis tribuendü ; Qui dam enim quibufdá entibas rationis tau» tum deferant ; vt eis concedant effc for male,& act&ale antecedenter ad omnem operationem intelle&us, ira loquitur Me dina 3. p.q:3 f«art. $. dub. 1. ad 1» de illis entibus ratienis, que habenc fundamen ecd rcbus, et Festis Mou dicn fec. 9. et li: g. 0.15.04 feci. lis re faiosiboé oc : err dimisi Hp ei mire ie ^ Et I funt io ) O i 3, prioris, [ fterioris, ac aha confimiles 5 Alij vero et(i fateantur; orbne ens rationis «uantá ad exiftentiam ab intelle&u proríus pene dere; adbuc tamen alferunt habere (uam Heoierinddiienss ab cius opcra fibileeffe'in intelle&u, ticut ens reale. » per fam effentiamdicitur. poffibile extrá intelle&um ; Alij demum ens rationis penitus ab intelle&tu depen dens quoad omne (uum effe, non folum cxiftentias,íed etiam effentiz . 13 Dicendücft pto refoluione quafi ti quoad vtráque parté ens rationis oiri ninó concedendum cff nó tamen in. co fentu,vt ante opas intcilcétus Xy cf fc formale, et actuale habeat, fcd ita gj emnc fuum effe a&uale accipiat à ratro« nc.Conclufio quoad primam partcm cft communis Graicorum, Arabum; et La tinorum, vt teftarur Carrarius de primis princip.vniucr(.Log.lec.7. nam Auicen, 1.(ug Met.cap,2, et 3. Aucrrocs 4. Met. cóm.2«& in Epitom.Log.cap. vlc. docét logicain efle de fecundis intentionibus: y Botisen Masit Aqinenze ih pq 1 tione y fccundü « an rtucra itar poe ehv SEM MESE. ERRAT TU NTETA C ENERO KEW Ir 1v z um "ts on ». | Quefl.T. e /fn detur eys f"bah H ^ar i d VI Porphytius i in lib.psedicam.in g.3. et lubfcribunt Latini famofio idAlbert Alé (is, r5 D. Thom.Scot. et atij eed  vr d (ola Antiquitas | fufficere ad oftendendá huius cóo .  clufionis es hanc Suatcz probas re conatut difp.vlt. Met.fc&.1. nónullis Arift.teitimonijs, qua ad rem non facc fed Ari(t.pro hac ftare lententia manife» flé demonftrat famo(a illa diuifro cntis jn anima,& extra anima, quá fzpius ipfe rir iltdidi pre fértim vcró 6. Met.in fine, lib. 1 1.(um 3.c.2.vbi p ens inanima exfitores intelligüt ens ronis ; ibrecipes tur Eousi in1.d. 56. q.va. FSEt Mayr. ipfe nó abfoluté  ncgat entia rónis, led un di fpuadi gratia, vt  xettat i in fine quol.6Probatur etíà ratione multipliciter; Yum quia multa (zpe cogitamus, ac f e(lenr,qua tamen nec fuat, ncc efle po(  yt PSU dc Chymera; Hitcoceruo, mulibus,ecgo cum aliud etfe non ha. quam cogitari ari Ac tamdiu fint,qua. d BAT ; werélume entia rationis,. Tüquia cüinrclic&us. concipit ncgatio nes,ptiuatjones, ac exttifiíccas denomi nationcs,eas vtique concipac it ad modum entium, cü enim cius adzqua "^ tum (ipt ens reale, niil concipere pot y ni(i ad modum vcri cotis, vndc tenebra, ináere, caecitatem in gculo concipit per modü.quarundam formarua luci, ac po tentg vifiua contrariatum, hoc aute cít efformare cns rationis, Tum etiam quia experimur aliquos actus, quorü Obiccta non (ent à parte rei,vt cum.cquum ratio naiem e90tpupus: » Th bxetPas. pam hac obiccta,. |o tele eun Mere ina gs Taur à patte rei niunoied Ancré bm. exittuntit &tu fi pgenie cquumrrationalem, apgelum gospareom. T Tum.denique quia ' tot. Aritt. Logicap his teteinX A, el vii MN  vniucr(ale, S 1 i gue. a;T2tjORIS., .. ji pi negantes entia rationis, «um s equum rati NOR. angelum corporcam, et inia gon 193 pit, non vti jue pet talem actum. € oaci pere quid &&tum, et ápparens, quod di: catur ens iationis fed concipit vsram, óc: realé rationalitaté verá et rcalé corporci tatem, quam rm alijs rebus cozno(cit y &' €as incentionaliter conne&it cum equo, et angelo;atque idcó" nunquam dari tale: ens rationis, quod cx parte obic&i adtui. fingenti corcefpondcar.Scd haoc folurio né optime confutat Atriaga di(p.6. Met. ícc.1.nu. 10. nam quando intelleétus affe! uum rationale, angelum corporeü], plood non prztdicat rationalitatem quiz ier aid [olet indiuiduis humana na wx reitatem conacnienté as us » (ed aliam con(imilé, : (upra ciega oma » quz (urit Boffibils,t iriatelle&us, (icut i Tho. miftatcnens (ub (pecie Gabriclis vnicá tantum indiuiduum cffc po (Tibile, conci et vltra iftud adhuc aliud cíTc poffibi ;tünc vtiq;hoc aliud;quod conciperet, non cíiet indiuiduum ip(urn Gabrielis y fed aliad fium, et repugnans in cius s&« tentia, ita igicur in propofito cum alis. rati ditin&aab omnibus ratio nalitatibus humanorum indiuiduorum ; illistamen con(imilis; non fit realis, (ed fi&a, et chymerica,. quasdo concipitur equus rationalis, &angelus corporeus, ve. ré efficitur ens fdtionis.. Accedit, quad: etiam admifTa ea folucionc adhacno eui tatuc cs rationis, licet enimrationalicas: equo applicata effet realis, adhuc vnio ratiopalitatis cum equo eflet omnino fi« éta,& rationis. Quod (i inflcs intellect illis extremis ctiamapplicare vcram vmià nem; qas inrcr altas fes experitur Non adhuc euitatur.ens rati » quia (alti, applicatio: illa obi plius.yaipnis  ; etitrationisy& Riéhi s quia applicatur re». bus inudibilibus.;: «3. 5 $5: Quoctiam ad, alteram parten. con« clutio cít. communis y :& cít weite Scoti quol. 3; A. vbi docct cpssmci mis poe ipud pe iotelledka.co afie derantcy& in 1.d.46. q«va  E« «1G. ape? peat illud ens in anima, vt catatrad itia " guitar áb.entc. das   tàrm jn eife. actualijquàm in Pre saris esi At eco pu 394 omnem prorfüstealitatem, et exiltennegat Door enti racion:s, et ei dumca xat tribuit e(fe obie&tiuam, si quid, et  iminucam,quod aon habecur,nt(i beac ficio intelle&us;& iterum in 2. d. 1.. t, art.1.di(crté docet ros cd ecterra ha berc eife a&uale,& formale,ntifi cum in tclliguntuc;& manifefté deducitur ex ip fo concejxu entis rationis, id enim intel ligimus per ensrationis, quod omninà contradi(tinguitur ab ente reali ergo nal lum e(fe formale, et a&uale hibet ante opus intelle&us, nam (i aliquod tale hz rofc&o ab ente reali nó elfet pror (is condiftin&um. Per quod excluditur Medinz re(pon(io, et aliorum dicentiü .bancrationem (olum coacludere, quod €ns rationis in a&a perfeGo, € complc €o pendet ab opere tatelle&us, quod tá priccdere poteit in a&a imperfecto, &c incomplcco. Exploditur hec folatio,quia fi aliquam realem actualitatem, greet wis imperfedtam antecedenter ad. opus intelle&us haberet ens rationis, (ané noa effct ab ente reali vadequaque diftindtü, nec proprie effet ens rationis, quodideà dicitur rationis, quia mullo modo poteft effe in actu,ni(i pec opus intelle&us .. Ec hzctratio nedum p. de elfe cxiíten tiz (vt nonaulli cc(pond&) (cd ét de (fc effentiz ; tum quia exiftencia proportio matur iz,vt modus eius, vnde ex cà  ditione exiftentia arguimus c(Tentiz có ditionem à pofteriori, ergo (i exiftentia entis rationig prorfus ab iatelle& pea devidé dc e(sétia dicendá eric; et pror fas itcacionabile e(t alicui a(fiznarc c( fentiam realé inde cxittenciá ratio nis; tá quia exit aliud non eft, quam ipus cifencis a& 1alicas, ergo fi entia. rationis habent exiftzntiá folu ab incel Ic&u,idé ecit de edentia dicendü; Tà cà dem, quia hzc ip(a ctt e(fentia entis ca tiodi5,quod ncc (it, nec e(Te poffit ciccà epecatioaem intelledtus, et hac de cau fa dicitur ens racionis, imÀ (i háberert e( fcntiam cealem, iam quiddicatiue, et foc malitec eas ceale foccc,S aont is.,$ Ia appetitum obijcitur Primo pro. bio ca; :&tiogis ad ittiaó deb:re T Difp. HI. De Entebatints: quia mulla potet illius alfigmiri ca0(8 25 hzc .n. prz(crtim deberet effe. intelle. Gast hic eft cau(a realis, et caufat ae dia a&ioae reali,ac proindé cffedtà (em« per attingit realem . Tum 1.quod cft im offibile, uon poteít concipi, ncc meate tntelligi,quia intelligi (eqaítuc effe, et fo lumens rcale et obiectum adzquitum intelle&us, fed ens rationis eft impoffi bile realiter,etgo etiam menralitec. Tá 3 implicat obie& um in intelle&a, quod nou prius (it intelligibile, quàm iacelle &um, quia quod intelligitur in a&u fe« cundo, fané (upponitur intelligi bile inze a&u primo 'y at calc foret cas racionis ex di&is,(i daretur, Tum 4.implicat dicere illud habere effe proprium, quod tátum fiagitur elfe, cum reuera nec (it, nec ef (e polfic, quia  dm tantum fing itur,aec e(t,nec datar. Tum 5. (i a&ui aff cmanti angelum e(fe corporeum careefpondecec ex parce obicai vaio fi& effet aus ve rus;quia afficmaret, quod veré daretur y nam inter angelum, et corporeum datur vnio fi&, ergo vt (ic fal(us, debet inter ea concipi vio realis. Tam 6. nó poteft. dari medid inter ens reale, et puri nihil, bs contradi&orié opponuntur ; fed et atetur ens rationis, inrer illa duo media rct,non .n. cffet ens reale, vc patet, neque purum nihil, quia aliquod effe haberet pet iatelle& m . Tám deniqa& quia hos rum entiam malla videtur neceffitas, vcl faltim vcilitas ad res veras declarandis, et do&cinas capiendas; ecgo &c. 7 Refp. perfe&kim hacü difficultatum folutionem pendere ex dicendis, quantü ad prze(ens fe&tir, ad r.dicédum eft in. telle im eife' cau(am efficientem entis ratióais,noa tatien propcié,& in rigore di&im qu£ .f.vecé, et phytice infl uat in cife& vn, (icu: a, enscationis non habet effe vecü, et ceale, ità ctiam ncquit effc ci :& 15 cau(z vecé, et cealiter inlaétis y nec ab intelle& 1 pendere pec cealem, et phyficam a&ione, fed (icut eft cas fecua dim quid, et veluti vmbca,& timilitudo entis rcalis, irà etiam sm quid dicitur fie« ri; et produci, vt Scot.docuit 1. d.36.q vn.& 2.d.t. 4.1. et fulius explicabitut infr, &d z.ncgatur affumptum, Pm : us E 4 €, LAM n wi  E LÀ Las 1 ;: t habet intelligibile, quam po fibi. na ame perii eft intclligibile,. | écontra, cum poffit intelle&us fin. gae cogitate, nec eft, ncc cfle poteit; ex eo RO aod uj ree dx «quarum intelle&tus obic&tum, colli gitur folam ens rationis non cfe per fe, . &abío é intelligibile, x: (x Ite . cnus nequit intelligi, modim cius percipiatur 8 le propria eius.intelligibilitas y. vx intrà us. Ad 3. vcrum eft formaliter, et . a&waliter ens rationis non prius habere . efie intelligibile quam intelle&um notat Scot.2. d. 1.q. r;art. 2.G. quem fc. quuntur C uc bic ; fed hoc di. . ciui quitabilu queo millo qué.  . dolitcognofcibile, antequam cogno .  fcatur, nec poflit adus € Tp eats y relin «cerni, quia faltim vir [ok M can pét dici prius in telligibile,quam incellcétuo, imo etiam : Soie fcn(u formaliter, et a&uali . ter : dicitur ad denotandum. Apis in dt ^bleecan dum faum effe formale et actuale, quam. c 1 u cc exiftendum non abfoloté dicitur prace» . derc aGum exiftendi; quomodo autem  fakim virtualiter in fuis caufis poffit dici o ptius intelligibile, quam intelle&ti;imó  etiam, et inaliquo fen(u formaliter et . a&ualitct mox dicemus, quz veró con did obijcit Poncius difp, 1. Log. q. 1. ide diluta difp. 2, Mct.q 2.ait. 14 Ad.  concludit de các fimpliciter, quod cft proprium entium rcaliü, non de etie fc cundum quid, diminuto, et abufiuo. Ad fquod aliqui magnifaciunt, vt notat  Atriaga. cit. rcdargutionem inuoluit, nà inanteccdente concedit illi actui vnio ncm fictam corrci pondere quam deindé negat an coofe;juente, vndé ibi bené re 'argumcntum;cotrcípondct ;gi li a&tui vnio ficta, (ed quia fingiiur; ARN ac li realis edet, idco actus &«c eit tai(us, quàde vcro inieliectus dcnuó QuaftL. ed) deimr tnsrarioni: M. dimodo, fzepé .n. n295: rcfle&itur attingendo illam viion cm vt fidam, tunc actus ille verus cft. Ad 6.negatur minor; nà vt docet Do Gor quol.3.art.1.vel nomen entis fomi tur in rigore pro co» quod veré, et pro prié cft. i. realiter,vel faltim fic exiftere poteft, et nihil,prout opponitur enti: hoc modo fuümpto, et fic ens rationis eft pa rum nihil;quia nec realiter eft, neque. fic e(fe poteft;vel nomen entis (umitur ma gis amplé pro co, quod eft vcl inre, vel faltim in apprchenfione;nihil vero, prout opponitur enti inifla amplitudine, et in hoc fehíu ens rationis no c (t purü nihil, fedaliquo modo ens; vcl demum (umirur ' ens proprié,& in rigore, et nihil (umitur : amplé pro co;quod negat quodcunque ef. fee in re,hué in apprehenfione,& (ic iens rationis cft medii inter eus, et purü. nihil;quia ex vna parte non cft ens rcale, €x alia non caret quocunque effe, quia habet effe faltimin intelle&u ; hinc tamé ; non fequitur e(Te medium inter contra» ». di&oria quia ens reale, et nihil hoc tet tio modo fumptum non contradicunt, vt« bené notat Amic.traGt.3.q. 2. dub. $ab; . initio. Ad 7.neceffitas, et viilitas cffor rl rationis potiffimum dea. me VINE EDAEO imperet eóxipiA. uit intelle&us no» : fter concipere rcs,vt infe (unt, et ità có». cipit eas per comparationé ad aliud, fin: gitque relationem rationis,vbi r& vera non cft, diftinctionem,vbi nó reperitur;  et inhunc modum entia rationis mulcü: iuuant noftrum imperfc&um iutelligen : di modum, vt bené difcurrit Smiling. ' tract.3.de Dco vno di(p.2. n. 17 f. : 8 Secundó € contra arguitur. contra alteram coaclufionis partem,probando,. vel omnta, vel (altim aliqua entia ratio 1i$ a&tu dari citrà opcrauioné inielledtus. Tum uia nullo operante iptelle&u dans: tura parte rci czcicas in oculo, priuatio". in materia; paries vifus, L'eus creator X^. fimilia,que profe&o quidpiam reale poe" finum noo important, (ed rations. Fà 1. quia entia rauonis prius babét e(Te ine: telligibile,quàm intellsétumy et prius ef le poffibile,quam actuale, nàm antc uà: ad modum uuum sqaciptantat pelis € 196 fic cócipi,& vernm eff dicere antc ope : rationé ;ntcllectus ens rationis cffe pof . fibile.& poffe per cum lieri. Tom 3.ens raticnis cft prius cognitione ifla, pcr quá. «ognefcitur, ergo non habct eife folum; : qu.tcnus cogn..fcitar. Probat. atium prü ex Arift. 1.de Anime 3vbi ajt obie €um efle pr:usadlu in ipfam tendente ; ac etiam ratione, juia quelibet potentia «cgoiviua foppon:t obie&tum, in qued fe aur, et non actu fuo illud efficit, vt ocu lus fupponit colorem,non veró illum ef ficit videndo. Tum 4«ens racionis dcbet cilc al'cubi fubie&tiué cum non bit [nb flantia pes fc fubfiftens fcd nó cft (ubie €tiué :n intelietn, cum in eo fit antum Obicétiue, ergo fubic&iué erit in rebus xs de quibuspradicatur ;, quod etiam tus inbinuaust q. 9. predicab. et in 4. . d.13.9. vn. verf. contra opin. Tum 5.dà tur propofitiones effentiales de ence ra tionis atcsna veritasis ex partt obicÓi, repe rl erred coe censere E clare án d eq. in magis infra cxplicabitur ; vel claris: 7 ir iniiemie s rom ti ted aeda 1€ reali arguunt efícntià datur et in cote rationis. Tü tandé fi cfe entis rationis prorfus incogitatione confiflit, €rgo poterit dari gradus genericus ne fpccifico,quia poterit cogitari ens ratio nis in commun!,& non in particulari, in gencre, et non in fpociey et eadem ratio nc poterit dari fübicétum fine paffione. FK efp. ad 1. ncgando enumcrata ibi t entia rarionisforimaliter, quáuis i» enua rcalianó (int, nó protinus inferen dü cfl c(ic enia rationis, fed elle nega tiones,X.prwationes rcalcs., vt süt onc brz,& cceitas cx Do&tore 1. d. 23. q.va. | vl denominationes rcales exuinfccas ; vt Dcum cffc Creatorem y parieiem vi fum,vt doect idem 1.d. 30.q.2nbi in cal. €c optim é notat, quod qnando aliquam, neraG oncm, et denoninationé dici aus 'elie rcalem,tun« rcalitas determinat rá wwm cempofitionem,& rnc nibitaliud sft; quam illud, quod veié ett, et irafc ha Bet à paric rei, non autcm pra dicatum ; quia c(Ie rcatorcm nih 1 Dco rcalitatis addit dc nouo, ficut. nec cfe vifam pa ricti, Ad z.enti rationis, antequam in «lliganuurnà funs intellis:bilia forg;a Difpat. 1T. Dti Éntevátiónis: liter, fed tancum vircaalitet y ad hoc anté non eft necefíariü;quod ptacedant opus intelle&us si aliquod e(le propriü,fed fufficit, fi in rc przcedat d qualecunque illud fitj& in intelle&u po tentia et virtus inteliigendi ; vnae quód. ens rónis hit poffibileyquód poffit fieri et incelligiy hoc torü verificatar per ord.n& ad potentiam inteile&tiuam, (cu ad ope rationé poffibilem illius, quate cfle intel ligibile tn entibus rationis vts pm intrintecü, vt in entibus realibus;fcd po tius cft iuf tenet ruta à potétia intelleCtima proc tenus:  5 funt, nce «f pofi condpere mcdü entispoteft. Ad 3. tur afe fumpcumsauótoritas vcró Lir ratio ad | mirc oci od.l. natu eft pro cere; vcl ficut cft, vealter ac eft, cum "rimo modo (» cognolcittunc vuique pre upponit obiectum efíc/fed dicognoiee fecundo modo, tunc cflicit obiectü (uit, et nullo modo fupponie., quiatale obie Gum non habet alud effc, niti quod. ciuribuitimielle&ias yita vesó cognofcit,. dum cflicit ens rationis) sam illudc f£or  mat cognofcendo rcm aliter a6 fic, et quidem, toticsintclle&us: per aétum fuü fibi cfhcit obiectum » quoties füllitur iudicando cflc id, quod v ipía Puseeria du. me 19. Ad 4. negatur maior, fi .n. ens ra tionis cílct vcre inaliquo fubiectiué,cüc eflet vcrumaccidens, et per confequcns: ens reale,fed tantü cft obicctiue in incl. Ictu ipfo ; ncque idcirco erit fubtian uasquia hac realiter'eft, et lubfi ftit, po tcft tamcn concipi » vt per fe fübüiftcns » et ad modum (ubflantiz, poteft et con cipi, vcin alique (übic&ué cxiflens ad, inflar accidentiss& ita cfl; quando ab in: tcllcéu pradicatur de rcbus ipfis, vt cü d:cimus animal effc genus, in hac enims. et limilibus przdicationibus pradicat non "n d ietto'in fe; fed vt cognito, et ita locatus eft Do&tor cit. cum inquit éhtia rationis effe (übiectiué in rebus ip $. Ad $. negatur. veritatem propofi rue entibus tealibus fundari in ali  quo effe effentize res.a&ualiter ha beant arite cffe exiftentiz y (ed fundatur ifi co,qüàd :pfa effentia rei fit poffibilis, vt a&u ponatur in effe exiftenuz, et eí ftatiz; vt laté dócet $Cor.1.d;36. q. vn. potius ergo diceriduim eft, quód ficut ve: fitates entium realium fundantuc fuper: poffibilitates eoruxri vc a&tu fint, et actu itor in effe extra intelle&um, eo quia iftz propofitiones catenus vera sür;qua' tenus ab omni a&tuali exiftentia pra(cime Min Etiam veritas propofit. oné e(sé imn de entibus rations. fundatur in có,quod ipfa effeptía citis racionis pof fibilis fit, vt a&u fit, et atu ponatur in »er intélTe&um, Ad ó«conceditur fes: ela, cnt. m. obie&tiué cogitari poteft matura vniuer(a alisabflra&a: à fingulati ii eris rationis fubie | Gus, non fato eite rationis» quód eit ) id c61enic in ijs» quz alind eie rien Meer ; à 7o inte gencricim,& fpecificum, fübiectum  et : paffione in entibàs ratiorisdabitur fuo : vertieiim i tcalis. onte iíahéeepo fit cogitari gradus: generi" diaom ebgirato (pacifici Ac fbraGio sion cogitata: paffióre prácifiué tamen ecgitari nequit diuifiué, quod requirere : tdrad diftin&:onem realé. Accedit quia. hárü iaténtionüm efle cófiflitincegno fti honfepusüare vnam actu effe fineal terh in ipfo intelle&u cognofcente mam: connexioharum intentionum fon atté ^ ditur quóad exiftentiam a&taalem,ita 9» vna fequatut'ad aliamin effe, cum etie noti conuctriat eispet cohfecutionem., per cognitionem:connexio igitur ar téditur in cisratione fundamétquate nus fundamétum ita füdat vnam, quod: ex vi illius petit etiam fundare aliam... Stisft. Len detir ewb varionis: Quid fit formaliter ens rationis, c in quo eius cfientia com[iflat  : II Vamuis vt tonct Do&tor4:d. 1 q. 2... ens rationis proprie de finiri nón potlit rcftringendo defroitioné ad'quid proprié dr&üo extrá animam; ta men'quia definiri poteft co modo quo: definitio exprimit vnum conceptum per fe in intellectu, fiue conceptus ille fit rei extra,liue rónis, ideo in hoc fenía quzri tur in przícnti ; quid fit. ens rationis, &: m eiusdefinitio ; et licét comunis «ntétia ens rat ionis admittens concedat: illud nullà habere effe extra animam ; &' füb' e&iaü,(cd tátà in anima, et obiecti aumyvt ex przced.quait. liquet;adhuc tf" difcrepant auchorcs in explicando, quid: fic illud, quod habet elle tanti obieétiue in intellectu, et (olum tandiu eft, quádiu' con(ideratur quod eft proprii efie entis: ratiónis,qua in ré plures cxiitopinionesy que przíértim ad quatuor reducaatur Primà fatis famofa conitituit formali tatém enris rátionis in denominatione e& tisinféta,quam aliqui fine vllalimicatione: ample&tentcsaffirant quamlibet denos: minátiónem extrinfecam à quaácüq; forma ' ienienté effe ens.ratiónis; vnde iuxta: nc dicendimódü non' fotum denomi' natià, qua tes detomisiatür cognita; fed ctia ea,qua denomínatur volitá, vifa;&cc. ' imó qaátés infenfibilis ve columna, di ^ citur dextta, veHini (trà ex varióanimalle« fitu. et fimiles funt formaliter éntiá rae tionis,ita [enfiffe videtur Foféca 5. Met, c.2«].6.(e&n 3: et Vafq.v.p.difp?trg nis et p» 2difp. 95 C. 10. Vbi dehominatión& extrinfecam inquic effealiquid" rátiónis, ' Aij veró eiufdem (enteriti Auttorescar coir&ant: ad folam demomtpatiosem Tw obiectum deriudtam ab attu tónisqhális cft denominatio cogniti, et intelle&tijità Durand  1.d.19; q.5. n: 7, Soto qi2« vnis uerf. Onna ibidem, e probatilihimé cer fet Didac.à1efurdifp. 3. Log i ra máü Recentiores adhac eandem (cntentiá magiscoarétattcsdixerunt notromnem ^ denominationé excrinfecáam^ab: actuin tellcétus prouenicrem   t£on niaiuho dabéos nf ne dde eA n5 ratonisformaliter, fed illam dunta Dijput. 1 1T. De Enteratiopis?.  E deident. et diflinc. rationis, vbi folam. cipientis obiectá aliter;acit. Ecin hanc. denturex actucollatiuo confurgens;qui fententiam de exirinfecis denominationi bus trahi folet Scotus; quia iu.r.d.36. q« vn.doccet toxelfe&um diuinum producere &b attcrno creatucasin effe cognito,quod ibi appeilat ens rationis,& contradiflin guit ab císe rcali, et in eodem 1. d. 45 q« vn. pariter e(se volitum in obie&o appel lat cns rationis à voluntate fa&ium,& ita fentit Tromb.tra&. Formal.art. 2. . Pro intelligentia prim conel. . 12. Secunda [e ntentia negat ensratio nis cfle formaliter ipfam denominationé extrinfecam, (ed ait effe relationé ratio nisex ipfa denominatione extriníeca, (cu. €x forma rcm exuinfecé. denominpante te(altantem; quam opinionem aliqui fi nc limitatione ámplcé&tentcs affirmant ensrationis c(se relauonc reíultanté per. a&um cuiufcunque potemiz attingenris obicctum, et per omnem forma extrin fecé denominantem aliquod fübic&um, 3jaindicaon V igucr. in inftit. dc Anim. ygtionali $.2.verí a. et ahj im materiamo: rali, Al.) vcro coat&tant hanc (cmtentiam. adíolas denominationcs cs actibus vitali dude »'& volunt relationem .cx illisre(ukatem eíse formaliter ens ratio nis,imÓ aliqui [pecificant hanc relationé, $0 qua confiftit ens ratioms,eíse iljà pre  RLANEH UK per a&um rationi, "P M epa icéum ; hanc auem r tamiá ita intelligere videam, vt rclatio tin obiccto flatim, ac terminat a2&um POE vitalis ab(que alia opera tione rcfitxa fupra przcedeptcm opera aioDewn; non faris autem explicanitermi mum buiusselarionis refükantis, an.f. ft abic&i cogniti, v: fic ad porcntiam co gnoícentem,an ad a&Gum ipfum cogni tionis,€x quo derclinquitur, an potius ad aliud obiectum; cui comparetur, (cd va zie loquuntur, et in bác fentcoca fuiife vidcntur quamplures Thomilte veteres, i Sonein.6. Mcr. q.18. et Scoirittz, qui xoi frequentius dcícribunt cos ra Wonis, quod habcat eíse per aGtum col. iuum,ntelle&us, vcl alterius pocenus latas, vt cit videcc apud Focaaal. art. bus plurimum fauct DoGor 4. d.1« q. 1. art. 1.vlsi aitens iu anima ( ideft ens ra» cionis) 45 fumma nofi e[fe, nifi erit rationisyjuod ctiam infinuauit 1, d.'3 f. q. vn.S.Potefl diciy& 4 d. 16. q. 1. E. et incod.4.d.1,9.5.in fine, &alibifzpe 13 Tertia fententia inter Recentiores recepti(fima, quibus prariuig Suar diíp. vlc. Met.(e&.2. docet cps rationis efse il Iud,quod folum habet effe obie&iué. im intelle&u fic enim definiuit cns ratio nis Commentator 6. Met. com, 5. id au tem ita cxplicat, vr ensrationis üt illud, quie à parte rei nibil (it, ab intcllo u tamen percipitur per modum entis y quafi aliquid effet, caxcitas enim,& qua uis alia priuatio, at etiam cxtrinícca dc nomitüatio s quz'à parte rei mon süt reale aliquid, cócipiuntar ab intelledtu per mo m cuiu forma exiítentis in ocu lo, vel inalio (abic&o,aut obi "no mimto, et ideó «um entitatem non ha beant, nifi beneficio inrclleQus concie pientisin illisraciowememis, merito di cuntur entia tationis, cumita concipiune tarque explicatio defumitur cx S. Thom. Vpq16satt.3. dum ad 2. rc(pondeus ait. en rationis efie, quod cum non ft inrt TWIB Walura accipitur ws ems inrationey quod etiá docuit opufc41. c, 1. Arquo niam iuxta hanc f(entcntiá ad ensrationis dem tedae videntur, nihileitas.nimirü, . Ja ab cmie reali di(tingukur, et entitas a abintellé&tu adimvodom vert enis, qua ab omhinó nihil di. tinguitur,quod.(. non babet efsc aequerealiter, neq; men taluer, vnde modo mediat inter ens tcale,& purum nibil hinc varig du bitationes et varij modi dicendi exoriü tuc in explicáda hac fentenuia . Nam du b:tator primo an illa mihilcitasincrec tor malitatem cms rationi$,an potius mate rialicer ad eam fe habeat, quidam primü aiícrudit, co quia pet nibyileitatem €ns ra» tionis intrinlecé, et formaliter diftingui tuc ab ence ceali: aljj negantquia «un ;n« cludat info. conceptu entitacem sllà fi. &aam,quaz habet modü pofitiui, tüc con Xat, quz prouenit ab a&u intellcGus có. ens rauopnis, refpectiuum agnofcere vi» ceytut ence rationis ex pofitiuo et neza títto conflatus eíset, quod r: Sed quocunque modo nih leitas fc habeat ad | ens rationis, dubitatur oUm P etin efsc debeac,an fcilicet, talis efle »vt nó folam excludat a&ualé exiftentià obic €tiinrerum natura,vcrü etiam poffibili . tatemad fic exiftendum, as potias fuffi ciat, vt folum excludat a&ualemexiften tiam, .i. non vitm rer nd tamen esc concipiatur,ctiamft aliàs fiz poffibi fc inrerum natura»vt tenet Hurtad difp. 19. Mer. fc&t.1.$, 14. et Arriagadifp. 6. "fc&:s. fubfec. r. Deinde dubitatur infuper de illaentitate fi&a per modum eeti encis, cumtalis mon fit, an ita cótti tuat formalitatem entis rationis, vt (it de conceptu entisrationis, quod quando efformatür ab intelle&u,concipiatur ali ter quàm eft e communis velle ca tür, i cius proprietas, quiddi . tasvero fit fola obieGtiua exiftcentia in intelle&u, ycrener Caeleftin: par. prior. bo oe pe dte eg velat id contin ones per accidens, vt tenet Didac. difp.3 3.1. vbi defendit ens rationis cf fotmati poffe ab intelle&u etiam cogno fcente rem, ficuti eft, et ideó afserit de rationeenusíolum efse, obic&iue tantum habeat eíse in int skal 14 Quattademü fententia eft Recen tiorum quorundam Scotiftarum, qui ad concilianda varia di&a Scoti, quibus fa uere videtur relatis opinionibus, admit tunt omnes prz faros modos conftituédi ens rationis, et ita lacé defcribunt ens ra tionis, vt elus formalitas conuenire fit tum denominationibus extrinfecis, cü telationibusex illis ccefultantibus:, tam entibus confi &is per opcrationem tefle xam intelle&us ad modum vcti entis, ita Meuriffe lib. 1füz: Met.q. 3. et Smifing. trac5.de Dco vno difp.2.nu.1 89.& (cq. Poffet etiam quinta (enteacia refecri nod roríus 1 ilis, quz. tens sónisin applicatione vniusentitatis realis offi bili, de qua erit fer cum alia . moàtt.2. huius quaft. in fel. ad 2. v Qualt.II. Quid fit ens rationi ert.. Ens vat ionis formalit.e ncn confift re ^in extrin[eca denomirakione, ne  que in aliqua relatione ex ea le refaltamte in rebus . 1$ Dye e(t Primó ent tationit formaliter noa contiftere in ex trinfcca demominatione proueniente ab aliqua forma reali, nequc ab actu ratio nis, iuc hic exprimat rem, (icut elt, (iue aliter. Concla(io eft contra Auctores pri mz ferit. et (ingulos eius dicendi modos, et Scoti 1.d,30.q. 1.ad vlt. vbi docet de neminationcs extrinfecas à formis reali bus de(ümptas effe reales, noo quia (iat entia rcalia fed quia veré dantur à parte tci co modo,quo in codem t. d.25.q. vn. "docet dari negationes, et priaationes realcs,etiáfi non fint entiarealia;fequun tur Scociftz quamplures, et ex reccatio ribus P.Fabcer 4. Met. difput.4.& Vulpes to. t. p.part ditp.17.ar.8.nu.6.& di(p.28. arc vlc.nu.7 Fuentes q.2. Log. diff. 2.art. Thomiftz, ac Neorcrici ferà omnes arez in Met.loc.cit.Complut. difp. 2; Leva engem q. f. fec.2: Blanc.difp. r« fec... Didac.cit.q. 2. Amicus trac. 3. q.2. dub. 1 .ar.1. Hurtad. Kuuius,& alij patfim in hoc trac.S«d vt verus huius conclufio nis iatelle&us habeatur, c(t aduertendü hic nos non loqiti de denominatione foc maliter, vt nimirumeft ipfamet actualis appellatio,no:mini(que impotitio, fic .n.y cim non pertineat ad ordinem rerum, (fed nominum (dam ves, nónvt res (unt fed vt nominibus tignificaatur, denomit nari,vel denomímare dicaacur)eft ens raJ tionis,fiquidem eft ip(a(ignifitatio, vel impotitio nominis, et cft opus rationis y quia intelle&us eft, quiimponit nomina rcbus ; (ed loqu'marde denominatione (i pro materiali, et prout [pe&tic ad dinem rerum, nempe fccundum quód fotala tribuesde (aum effc&tüm formas le fabic&to ', et "aliud relpíciefido prol tccmino;dicitur hoc qaidem exerinfecg y atitfecé denom ^ jllüd veroi inare, et ia ' hoc fenfu afferimus ', quando forma de nominans c(t reális, denomnationem i& intri »quàth extrinfccam ab ipfa' Ec  pro. "rics cnim v. 3ee ^ Difput. IL. Dà Ent? ratóóis: proced entem effe realem, . i. veré dari à patte rei nullo cogitante intelleQtü, pa dicitur à parte rei albusab albedine fibt inexi ftentey et vifus à eM nc c&iftenteio animali. 16 Probatur igitur im hoc fcaft ipcel . Je&u Conclufiosuia ens rationis forma liter habet effe przicisé per opus intelle ^ £us,at denominat oucs extrinfecz dan. tur a parte rcicitrà quodcunque opus in zcllcclus ficut veré à parte rei dantur ter minationcs rcalium habitudinum, quas resquadam ad alias pr (cferunt, lic .n. veré Dcus dicitur à parte rei. creator per exicinfecam terminarioné effcotialis entiz quam habet creatura ad ip fum cx Doctore ET cit. et in 3. d. 8. q. vn.ad 4.& quol. 12. et paries vifus à vie fione exiftente in animali. Neque Au &otes hanc defendentes fent. cum. Du rand. in fccundo fen(íu poffunt Vim rz tionis euadere affcrentes difcrimen in ter denominationes prouenientcs ab. a Gtibus inrcllc&tus, et alias prouenientce ab a&ibusaliatum potentiarum, et alijs formis exttinfecis. Cuamuis enim huiuf modi dcnominationcs poflent aliqua pe ' culiari ratione dici denominationcs ra rionis,quía.l.proucniunt ab actibus ra tionis, attamen non poffunt dici ele nis, et denominationes rationi fenquo hic (rens Suiions ip €nim non minus actus aliarum potenciarum vital, et Fac rma funt reales, et tealem dicunt ha bitodinem sd obicfhurb ita denominas Goncsab omnibus promenicntes p ess modo reales erunt, Et bac ratione mci qon fidora ores eandem (ent.tientcs i un va enfu poflunt rationis robur [ubtcr  denominatam, requiritut veta vnio forz ; me denominantis cum re denominata, et idcó cum formia extrinfecé denomi .nans non at veram enionem. cü (ae biedto denominato, denominatio cx. trinfeca non.e(t realis, fcdfolum ens ra tionis con(iflens in concomirantia plu rium entium in(tar terminantis, et ter minati fe habentium ; idem habet [o.. de S. Tho.p.2.Log.q.2.at. 1.ait enim, quód licét racione formz denominands pof fit extrtiníeca denominatio dici realis, ratione tamen vnionis,.& applicationig ad rem denominatam elt rationis, quis nihil reale in ea ponit . 17 Scd nds falíum eft et i in ex trinícca denominatione nà reperiri no modo vnionem realem forma mantis cum re denominata ; (in "Dod, quidem: TE r tin à Vi adobie&a, cum quibus vnit. po» denis yitales, quam habitudinemait; [ub   pecialiori nomine vocari polle rela tionem attingentiz altetius, vr cermini, vcl tendentiz in alterum, yt in tcrmi num, in quo nihil realc ponit ; (cd quad ax iftos decepit, ceftjquod. omhé vüiov RUP Irie per modum inhz fio falfam cfl, quia euiá admiru deber modi adhafio PEE E. priori Bouser e $5 m NENS A pee Bali id wj fée li cx hac, dirige in HAUS vnl um 4»., neceilarió QARENUQI »,vt bene adnorauit, ensi £ivdisé fatis difcurrit, fc, y aida deno. $8 iinÉg ji d iul cxcrinfecz, extrinlccamqua gehn nene 25 SEM vrominsipns cnini alatus,exprinatur rcs irs ioBia5,extrin(ccas. à; parte. rci, attamén in (e rcalis du ET Ps Pt. cebus. vopficas non tame Íorz delumkah, non minus el iz yell malirer, fed gantum, fugare ane,&, iencs cxtrin(cae, per.quas rcs copi, Uc aiudtelle cales tod mentaliter, fed | ias ficatfunr.  Formalierelle rationis. Ainegue hoc be», Refpondet Smitipg. Cit ni. 1 B4. deo" nc dicitur at oeulus.per, vifionema minationem extrin dcs cilc XKCà.; lem, quia ad ia enominatiggis . preter formam ur  M" 2 dicicur formaliter videns, ita paries per terminationem vitionis. dic tur formalis €&m, &I€m,. tet vifus, et ticut rcs per dc; cndentiam cüen, :m ad Deum dicuntur formali ercreacurz, ita Deus per terminatio m cim(dem dicir formalter crca et non fundzmaenraliter folum ; INec  tefert, quód fo:ríis dcnon/inans ncn fit inre denomina:a jid enim folum i fert, nad res pct cam formam nem. denomi patur talis formaliter intrinfecé y fcd um  extrinfccé; benc verum cft, quód qua € J vifio ad parietem terminata et depéden &ia crcaurz ad Dc,funt fundaméta; vel occafioncs fingédi mutuas rclat ones ra  tionis in Deo ad crcatuià, in pariete ad  eculà, poflunt hac raticne antecedenter ad ralem fi&tioné parics dici fundamen taliter relatos ad oculü,& Deus ad crca   turam adhuc tamé debct dici paricsfor "maliter vifüs,& Deus Creator omnium ; quia videri à partc rei non efl referri, íed  terminare vitionem, ficut creare eft ter . minate dependentiam rci creata. 18 Sed dices, ti paries ante quodcun (que ops intelle&us eft realiter vifus non idamentaliter, fed ctiam forma » denomina [eca aliquid reale ponit in re z. ata ur cófequentia, quia dem videtur tlie, quod patieshr reali ter vitus, et quod cfse vifum eft aliquid octore realein paricie. R.cfpóderur : cit.1.d, 30. ].2.ad vit.negando conícqué tiam,cutm tnim dicio vs, parics eft. reali. ter vilus, Deuscft realiter creator, tunc ly rcalitct non determinat pradicatum » 'quab przdicatum yer importer rea  "le mbarchs (abiecto;de quo enunciatur ; fedurin dcteiminat com»ofitioné,& tüc .   milil aliud ed (inquit. Door) quàm àl "jud, vcté cttyficur cü dicimus bec pro "pojitto eft reaiiter falfa, fcolus eft;g) cít "weré Fla, et fané hic eft aptiffimus mo 'dus declárandi realitatem denominatio "num estrinlccarum; Neque illz propolt "tienes z quiualent pariescfl realiter vi fus;& effe vifum efl aliquid veale in pa victe ; quiá per hanc figni; catur paricié "eise materiam, in : ta aliquid rale (ona tüt €x «t y:fion svi perillom infinuatut folumyquos fic n'ateriasciica quam ope "rátur potentia,fcürobieétücmis cx quo  eolligitor re.vcia pr.us els€, quodaes fit 3 0 .Logiea.s b d | 100 Eur No cjiflit ineitrib(ec deomim riL.  io cxtrinfecé denominata;, poflerius veró » quod in re frc denominata aliqua rclacio rationis concipiatar « Dem om quando etiam concederetur dencminstiones. exuipfccas. preferum €x actibus rationis proucn entes eísc fun damcnraliier tanum reales. formaliter vcro rationis, adhuc tamen non bené pet denominationem cxtrinícci cogniti ex plicarctur formalitas entis rationis in co munis vcl.n. ifla denominatic cíl ipfa foc ma conflituens ens rationis, et hoc non ; cum ifta denomipatio etia afficere poffit entia tcalia cà a&tu cognefcücur, nec ta ob id euadunt entia rationis ; vel ct id,gp (ufcipit formalitarem entis rationis, cum nimirü apprcbenditur, vt forma intr; nfc cé affi ciés obicétü,quod cadit fub acu cognitionis, et hoc vcique verum cft, at non tantum dcnominatio. extrinfcca ità efformatur in ens rat; onis, fed etiam alia nonentia,vt ncgationés,priationes, et c, 19 Et quidem immeritó trahitur Do, Gor in hanc (ententia inuitus vt x diuet fis locis colligitur, in quibus de entc ra tionis loquitur » aut fccunda intentione y 1.d.1..7. Ggait)quicquid antellectus cau[at [ine a&ione obietli circa obietl i pr&cisi,boc e$ly virtute propria intelle ' &usgC? boc loquendo de obietkoy vt ba bet effe cognitum im intelleEin pracisé y C7 de intclleGiuyvt con(iderans eíl, illud eit pracisà yélasio rationis, crgo non co ipfo, obiectum caufatur ab intelle &u in cíie cognito per actum re&tó, cau fatur in co ensrationis, (ed potius obie &uin (üpponitur cognitum y cüm virtute (ui, à intellc&us,ex bis .n. duobus caufa totalis cognitionis intcgratur, et deinceps intellcétus (c folo operans circa obiecti vt cogni üm apprchendendo nimirü pcr actam vcluti scflexum illud efTe cognis tum;vt quid intrinfecü obic&to, «aufat in illo vc cogntto cus racionis, Et ina. d. T qiart2 et quantam ad boc veri. de boe qucd dicit ( leet bignetur pro cxua/ In» quit,quod zzzeutio. fe cda [ine atin cà paratiuo nuquam erinscsto. fjac per uiti Ligentiam in vero e[Je fuoyquibus verbis, vt aduertit P, Vulpeslóc.cicn«4 infinaat Dp&ios pevattumcontgarsus ca Ml 3o&   ' Difpu. II F.,De) Ente Rationis | i fe fccundas intentiones rantii (Te dereli. &um, et per intelligenti refl exam fufci perc poftea verum effe rationis fabricas tum, ergó (ccundum Scorumilla deno minatio extrinleca comparati inhoc, et illo cb/céto derelicta ab intellectu cam» parante noncft vcrum efsc enus rationis, et Íccundz intentionisin 3.d.8.q. vn. H. ait,quod ens rationis, non efl inaliquo, nifi vt tantum babet effe in. intelletiu, ficit cognitum im: cognofcente, at. per ipfam 2 8, quo rcsaliqua denominator copnira, ró cognofcitur iflud effe cogni 101, et pcr'con(equens. nonc eft obie diu inintelicctu, ví; dà peralium actü cognofcatur;& tüc f et ens rariopis: 1n4, d.1.q: 2 art; 1.füb B. inquit, quod cns ra tionis cft ens in anima,tanquam jecundo confideratinu, non tanqua primo. confi derattm ad quod «or[iderandum mone. ur primó anima à ve extra, fed téquam ens in primó cenfiderato  uquautim con(ideratum lané clarius innare non potetat ; qued obicérü realcnon (uícipit €(Ic rationis fortnaliter, cam ptimó cone fideratur, cum tamé tác fufcipiat deno minationcm extrinfccam cegniti, íed fü fcipit illud quando fecundó contidcratur «quali per a&um refloxum apprclienden do illad cfle cognitam, vclut quidánttin   tionis; vt iple cxpicflitibideni 1n fol, ad. «um obiecto. Tandemquol.3.af.1:ab   2. prin. PH uod Sd itia ait ens rationis efle;llud,quod cff. uisibidenomin: ones enr leti pracist babeus in intelle&n cofiderantes   tià Latiopis; tum suia iuntcrdü ío] et haud dubié loquitur de contideratio   iple confonder: iepssctionielidle X nequi cogitatur 4pfan cns: rauionis, fcd » V& parerin eod, 1.d,30.q. 2T. Cüprimóres cognoícitor, runcdepomie   ybr ait Deum fieridominum jet icl.to patio cogniti non cognoícirur;ncg; con fiderátor:, quia anillo rrr eig fi riter Quo y/non vt rquod ; «rzo curidum?scorim "cenomibationes;cx iriideca vc Gc; non funccntia rationis Totrd'aluer, (ed nouus actus iniclleéctus fcquinmiry perum tale efic (ulcipiant.  a0 Quardoautom Dottor r.d.36.c. $n$Cópctdoliud: cüccognit um y «uod Tübenticreauirg ab aov pcreétü di Wwnintclicé(us ; vocat cnsTaLiGDis, potat socios loc cii: Scomm acuera ronsvo ait: Gs ratioysts ji Hüd cfle divanstuerea ptedaclaciencin Znündaw; ap 1 "bliéddanasad Deum cag roteg mucus ix 1 ' £  inquit Do&torém ita fe explicuifse in "dA clim ; et ita loquitur in 22 q. f. In finc; (ed quando ctiam loquecetur? de illo e(se diminuto . »f& denominatio   nis extrinfeca, dicédum cft ci P. Vil Do&orem non € illud ehs rátio nis formaliter,fed materialiter tancü,quo feníu illud dicitur ens rationis ; quod per actum intellectus poteft formaliter cfle rationis (ufcipere ; hinc comuniter ditti gui folet, et prafertim m (chola fubrifiü ; €ns rauonis in marcriale, X formale, (cu vt ipii loquuntur, in ens rationis a ratrorié fabricatum, et arauone derelictum ; En$ rauonis formale; tabricatü, (cu a em F Jj cfl,gy habet a&u exiftériam ab incelkc, fictam;cns vcro rauonis materiale, derc  tclicétu (ic concipiente, vcl iogéte cxi fienua calis non repugnat ; depominatió ncs igitur extriníccae (cundum fe fuf cntia rauionis materialia, quatenus. [.pof concipi, vt forma intiinicca m obiee E Go.fiunt vet cnua rationis fo cum.ta concipiuniur, et Bingunuir; Itas iilud  que Doctor in hoc fcnfa appcllaug i cile cognitum creaturarum  otiltiou; quarcnus f, tundare potcít per opus in iclle&us aliquod cfsc, vcl relationem raz ncmiationis, sb intellectu creato 1n iplo «oncéptanx yl per ccrmynationeim ali Cuius relationis n creanara tum quis etia apud abos.L'oGtores frequens elt hic lo quendi.moeus, ina:O4i cns rationis dica tur ad diflgrenuam entis, 1calis» non in lua latiiudme ; [ed carum; YCintrin Iccey à Lobcétiue copucnitucbus dc «ut bus dicitur 4 fc omncs. deuguunationcs &xcunfecas polsunt dici. cnta Fitonis. ' A1, Lacendum a. cns raugnisIoi ga Mic atquecófitterc in aliqua rclaticne,, Quar in icbus rclulict ex ipla denouiina IU cxtabispay [co eX dounos LES CX ie AÁcee icnomupant. bus, auc per bas Forms. " x i  dintelligàtur [Ea diras Lbs gei ; E 3 queennque alia forma: res extrinfece dc ? " Sape valentes. Concláfio cft contra ; .Au&ores fecundz fent. io co przfcrrim Fod55 poney ) eis defenditur, et man;feft, «olligitur ex Scoto 4.d. t. d. 2. B. et 5. d., a6. q. vn. E rabo antra ponderábi vo 7o imusatefeqin ol.àd 1. Probatur cuidenti |i. rationc, quia vc! talis relatie refultat ;n ' febus ante operationem intelle&us, vel per folam eius operationem, fi primum, ! . profcdto relatio reàlis eit; et non rónis, ' "fücet süc alig 06s relaciones, quz dicütur, reful;are in ijo fubjcéto, qfi ponitur ter, minns; sim, praterquá qp per actus alia . rü poiéuarü, et aliastoónas enstónisin  zcbus refulraré néquibit, quzrédü manet, quarà fit hzc mtelle&us opcratio, per. quà fit talis relátio,vel.m.eft a&us.lle di (77 .Xe6us squo primó Mo d apcene ad M fuo eíse reali vel alius reexus, quo co   7 s gitat obiectuni eíse cognituin, et efie co  .  yguium Porteuhnvc ada inttinfecam  .,JObic&o per q rci d cognitionem, "i  d  acus prior e se non ot, quia ex vi iplius 0 yim Em T fio fh E pep t (ultare efcctiué, quia o ] c eset ens reale, nam /quod.ex vi a&us habitu naturali ; fi veró eft actus poftc rior;bcne dicit illa fententia; attámen ae quc adhuc adzquaré affignatin quo coa itat formaliter ensrátionis, quia non, TE ens rationiseft relatiuam, vt exi "ftima(se videntur ex veteribus Scoti(tis X quamplurcs, et ex rnis Fucntes cit.'ar.3.danturenimetiamentia racionis ab foluta,vt intra ottendemus de'menie Do  "éorís, qui ecfr trequéter ensrationis cx . ' plicüerit per relationem rationis, nó ideo x Cfecit, quia porauerictórmaliter, et ate'illud contitlere in relatione ta ased a vt plarimü locutus ett; nó "dete ratronis in fua comunitáte (cd de tipué quod dicitur fecunda in.é | 4Cit63: &'$ 'abmicio, qi vequecoü "Itic ia relatione rois,vi peltea dicemus, PBpoppofitü obijcitur Frimó cóma  primam concluü onem ; quia deuominae   20 VA &us efficitut, eft tealé;vr pátet de ' idem efse, uertit P. Faber 3. Met. dip. us K | Quaf 1E No orf in éxtrinf' denti. rt. 503 tio eft opus rationis; ergo non datur arte operationem intelle&us, (ed c(l torma liter ens rátionis .. Tum 2, quia Dcus cx per aliquod reale, quod ei de nouo aduc niat; fed rationis, atfola denoininatione dicitur creator, ergo &c. Tum 3.quia ea prz(ectim denominatio extrin. feca, qua res denominatur cognita » nul lum prorfüs e(sc habet, nifi obie&iué. ini &tu,& iià pédct in (uo efsc ab ope rationc intelie&us, vc tp(a cefsante. jni tus euancícat, ergo formaliter e(t ens ra tionis hzc .n. conueniunt enti rationis . Tum 4. qu:aadhuc magis przcipué hoc totum verificatur de illa deno.ninatione, qua tcs denominatur cognita aliter;ac fits Cum.n. res ità cogaofcitur prof&tó nihil aliud hibet prater ipsü obijci, (eu cogno (ci, qv et proprium entisrationis. Tum tandem, quia ens rationis nó cft,nifi düce gnofcitur,ergo torü eíse entis rationis c(t cognofci ergo adzquaté ens rationis có fibt in ipa denominatione cogniti, "' Refp.ad t concedendo aísumptum, (i denoininatio fumatur formaliter, et vt pertinet ad ordinem nominum;hoc cnim modo etiam denominatio |ipía intrinícca quantum ad impofitionem nominis de nominatinieft opus rationis, vt omncs  fatenturjfed negatut, (i (matur materra liter, et vt pertinetad ordinem terti, quo fenfu hic loquimur . Ad a. patet ex dictis Dcum parte tei dici creatorem à rela tionc rcali crcaturarumad iplum,& non per aliquam relationem rationis,niíi ope rante intelle&u. Ad 3;dicenduia, cü Sco to in 4.d. 1.q. v. Q. et 1,d. 36.G.quem [e quuntur Suarez dilp. j 4«Cit, (e&t. 2. n. L3. ' Auetía q. 5. fe&. 2an fol. ad 4, Gomplet. diíp.2:q. 2.. 13. et alij illud císe cogni tum, quod eft dcnominauo excin(cca. » potius formaliter,'& fübiectué ese in intellecta 4 quam obiectiué, quiavt ait Scot. teál itcr participat in inrelléóto illud imareih tend ela ipa ce nitiosreahter.nnà € D "no. ddobiedim terminata: ecquc eit obie étiué, nifrin cognitione reflexa y qua at .curóbie&um; yt cogaitaig &ap icaditura 103a Ec 4 l2: . 304 :.  Difp.ILE. De: Epté Rationis, intrinfectm obie&o, vnde. pet. ipfiim a&um, quorcsaliqua deaominaturco..:gnita,noncogno(cituriftude(sc cogni tum, et per confequens adhuc non eft Obicét;ué ip intellectu, fed fic in talieíse per alium actum fequentem, in quo. fta vtique cft cns rationis formaliter ; et uamuis denominatio coghiti in obie o pendeat ab actuali opere intelle&tus, et quidem non in ratione producentis, quo modo pendent ab co a&us ip(ius,(cd, et cen(iderantis, adhuc tamen non pendet ab eo,nec habet císe ex vi co gnicionis,vt habet ens rationis, hoc .n. di ctrur habere cffe. ex vi cognitionis, per q cognofcitur; itaut intantum fit; et fiain quantum cognofícitur, quia totum illius ese elt eísc in intelle&u obieGtiud, quod conuenit extrinfece denominationi cogniti, nam ex vi cognitionis directa non cít obie&iué in intellectu, fed (olum formaliter, et (ubie&tiué ratione forma: denominantis, quam realiter dicit. Ad 4. cum dicitur totum efsc epus rationis cà fiftere in obijci intelle&ui, id accipi non deber in (enfu formali, quafi illamet paf fiua atcingentia,in qua confiftit extripfc a denominatio, (it e(fencialiter ens ratio ni$,talis .n. att/ngétia,ctiam cur res có  cipitur aliter, ac fic, veré datur. à oa BeOL dp cages à explicant . cit. quatenus ficobij. : Cii tipi ctc veloci fendi entiration cx co,quod res attingi tur aliter, ac fit, relültat quoddam elle fiftum, quod haber rationem obic&ti» et termini, et hoc eft formaliter ens cónis . Ad 5. patet per idem, ens rationis nà efse : denominationem ab ip(o a&u coguirio : nis ctiam intelle&us &ogentis proaenien em, quía talis denominatio etiam enti rationis applicata rcalis eft, (ed c(fc id, cui cogenit talis denominatio aemnpé id, quod cognolcirur et cogno(cendo fingi tar ab intelle&u ; quare cum dicitur to tum efie eucis racionis e(t cogao(ci, fen fusett,quod e(t illud, quod cogaofíci (o. . lum poteft,at realiter ese non poteit, do . veró, quod (it ipía denominatio cogniti ; ia hzc [etiam applicata enti. racionis e ipae ci verum elt cas rationis ab intelle&u concipi. A 13 Secundo Contra fecundam cóclu fionem, quod rclatio rationis te(ultet ad dire&am obie&ti attingentiam ab(1 alia quali reflexa, nam mE: tali a&u ftatim rcfultat in obiecto formalis denominatio rationis, quz plane prouenite nó potefty nifi ab ipfa forma: qua in obic&o rc(ultauit ex fola tecmi natione a&us directi, Prob. a(Tumptum, Que Vtbano v.g.conuenit formaliter e( c Pontificem cx (olo actu elc&tionis per fa&a, ab(4; alía fi tione, et pa(fim cernitur in moralibus. : relationibus rationis fieri po(se formalé a efie paie cun reed te damentum fictionis carü qp cft acus fl le dire&us, et rationc potenuz denomi, et inquit hoc bet peculiare in re lationibus rationis, "do&tima fuit   Fonfece cit.q. 1 qui aiebar relationes ra tionis in moralibus re(altare in obie&is cx ip(a terminatione actus dirc&i, non Lr quoad exifLentiam obie&tiuam, 'fed (übie&tiuam,i. quoad conueniétiam refpeáta fubie&iquod denominant, aa tequam exiftant. hzc do&trina pror (us falfa eft jaeintgena. non v e ucnire fübieccosnifi exi(tat exitentia fibi A io vua " [bi et 1 xrin(ccé, nam de tali denominationc loquuntur hi Au&kores) quz nec in ipfo, nec inrerum natura exiftir, cum ralis de nominario non fiat,ni(i per communica tionem forma fubiecto denominato;po tius ergo dicendum denominationes in fed extcinfecas de(umptas ab. aCtibus in tellectus,vel voluntatis humanz a&u ex i ftencibus, vel faltim moraliter perman& tibus in hominum memoria, et talia paf fim fant entia moralia ; vade negatur c( fic denominationes entis rationis ; quatenus yer. denominantur intrinfecé Àrcladoac, ita (unt denominationes ca« tionis, fed non line cognitione, qua cà» ad nodum verz relationis «.   R relationc rationis e formaliter jac – VOSS Ae. Stath itur, C declaratur Formalitas TX : entis rationis. 24 Mist » quz in efformando  AM ente rationis interueniüt; 10d ' yea eius suia pent difii «cilis cognitu, nec facile tit difceincre ; " quznam (pcétent ad formalitatem entis «rationis, et qna materialiter tanti ad il lame habeant, plerique namque vnum «&&i altero cófundüt,& micét; pet fingula uábit, vt indépura,&»valeamus excludédo, quz proríüs mate " £ialiterj& cücomitáter ad cá pertinent. . nis formaliter fumptum omninó diltin gui ab ente reali fumpto tàm pro reali exi 07. 0 oWftentequàm jre potfibili; probacuc tum |... au&torir. Arift. qui j. Met cex« 14. et 6.^Mer.in fiae cns in animasquod ett ens ra .   tionis,.omninó coniradiftinguit ab ence weto, et ráto; t Scot.qui 1.d.46.q. va. F. docetensinanima e(fe omnino aliud ab 4s quod.f.a&tucxiftit;quá ens nomiaaliter, uod.(.non exiítit, benà tamen exiftere E poteft quod iterum docet quol. 3. ab ini F tio, cüair.cps ratiariis illad effe, quod nec wW.. efl, nec effe poteí£t excra animam ; cum ex "e . communi conceptir,omnes.n, communt ^ fer concipiunt ens ratíonis, vt quid di (tin ! &um ab ente reali; tum ratione, quia enti " A' tcft,nili cxiftentia tantum obic&tiua,er . go dittinguituc ab cate reali tàm. exifté tc,quàm pollibili, tà tandem quia quod potfibile eft in ce,licec adu pucetur cífe, euma&u non fityvc mons aureus; non c(t » ; «ns raionis.(ed veré cns rcale;quia ad ra tioné c(Tencaleaa catis realis perc accidés elt acta cxi(Lere, (cd cius effenria falua .turinhoc,quod üt aptü exittere, vc fuse ab omni exiftentia verü cit dicere, quod homo e(l cas reale;cuin crgo ens racionis enti reali opponatur, protc&à ab omni co diftingui dcbet, tiué cxittézi,fiue po( UU  . Agitur difcurrere iu " aiccrs entis rónis formalirate colligere . Primo igitar ftatuédum e(t ens rauo T A 4 1 (0 s wenteextia animam,& ensextta animam, | Ux UM vreonuadit iturabente in anima ; .F r [c ràm ens verbaliter, . 1T. De Formal.emisvatioflt.e/frt. I. 305 realitas tàm a&uslis, quà po(Tixili  .Ex quo patet fal(um elfe, qp aiebat Hart. et Arriaga (upra cit.ad'efformandum eas non requiri, vt obie&um actus impollibile, fedfufficere, vt obic&t a&u non fit, (icut ccpra(entatur, eziamfi alias fit po(fibile.. aut (cdente quid fi&ü e(t, et cns rationis totum fuum e(fc obie&tiue in in telle&u,& tamen nan cft impo(fib 1c Pe trum eurrere,ergo &c. Ref ».negande af fuimprum, quia ens rationis (ic obie&tiué tantum in intelle&ka exittir, vt extra ill mecaátu exi (tat, neque exiftere poffit, alioquinrofain hyeme coacepta cas ra tionis cífet, quia a&u non extat in rerum natuca ; Vel fi concedatur atiumptü, Ji cendum eit ibi poni impoffibile, nó (im pliciter,fed ex luppofitionc., dum .n. Pe tro dormiente,vcl (edente enunciatur Pe trus currere, fané hoc e(t impo (fibile in feníu (vt aiunt) cópofito, quod .f. currat pro co tempore, quo non currit, vt notat uentes cit arc.2. n. 5. Dil 9 autcqi illaequam affert Arriaga n. 2 3. ad [edan dam haac litem de duplici ence. rationis, vno chymerico,&impolfibili,&alteropoffibii;prorfíusvanacft,quiapoffibilitasdeítruite(Jentiam entis rationis. Secundo ftatuendum c(t ens rationis formaliter faumptum diftingui etià à pu ro nihilo; probatur, quia purum nihil, vt fic, dicit param ncgationem cuiufcunque entis (iud intesue in apprehenlioae, vt n. diximus q. praeced. in fol. ad 1. ad $. cot.pucum nih:l dicitur, quod nec habet, ncc haberc poteft vllam exiftétiam liue realem, fiue obic&iuam; quia (i habere poffet (ecundum (e cxi(teaciam aliquam, iam nó eí(set purum nibil ; (ed adin!xcum cum entitarc; cum ergo ens racionis exi ftenciaa h ibcac obiectiuam, et licensyli :, €& a ratione fa&um $ vt docet ead: probat Doctor loc.cit.vndé abítrahendo alc et vniuer(. vbi determinat vaiucrfale el ens, vtiquz ponendum elt à puro nihilo didiücum ; Tum quia puram nihil yel duplicem continet negationem, .l. encis realis, et cacis obicétiui, vel pocius vaa : à nega "d 50$ hegat;onem totiusentis adequate, et in fua maxima amplitüdine; (i hoc fecundü, palam eft ens rationis non efie purum nihil, fed contineri (üb ence in illa amplitudine; fi primuni dicaturyadhuc idé fequitur,nó .n. eft negatio entis obiecti uiscü fit rpfumens obic&iuü, nec proprie negatio entis rcalis,quia cales negationes, et primationcs funt reales, et daniür ante uodcunque opus intelle&us; vcinfrà ex Toa . 1. d. 23.]q; vn. demóltrabitur, qua Saifing.cit. num, 180. ait ens ra tionis non habere vilum prorfus císc ex | trà intellect, necpofirinum; iicuc encia Wcveg mp. reps primriuoncs,& ne "uü ' gationcs: Tum éc quiaens tationis for maliter habet. conceptum: pohitiüum ; vt "Do&or indicat 4.d. 16 q.2.ad t .imoppo | fitum, efsc f£. obiectiuum ad inar veri entis,vel (altim muita funt entia rationis; " que in formali conceptu intrinfeco non  Difju. TH» DéEgté Railis 7. esc faltim in apprchenfione. Sed an foli ;pet baec eandem obic&iuam enutatem ensrationis diftiaguatur.ab ente reali; nü vcr etiam per negatione enris realis, ità quod ifta nihileitas inter tatione formale enusratiónis, per quam a reáli [ecerni tur, non cít ità facile re(oluere, nam ex "vna patie ità videtur afísccendum, quia ens rationis fccundum fc non eft cas rea le, ergo talem negationem quidd:tatiué includit,& peream intcinfecé ab ente  » re;li diftinguitur; (cd exalia parte id mi nimé afsercndum videtür,cum .n étisita tionis in fuo conceptu dicar entitatem obiéctiuam, quz habet modum pofitiui, fi curfus includit talem negavooem,tünc conceptus entís ciaionis vo ue perfe 5 "^ vnusex politiuó ; et ncgatiuo cooflatus 'císet, quod eft inconucniernis;  27 Quamobré dicendü eftens ratio  ftisnon includere in fua formalicare4llam dicunt negationé entis;fcd potius ens po»   negationem, fed folum poütiaum illud, ^ fitinum, vt eit relatio Dei adcreaturas, ^ quod actualiter fingitor ab intelledtusil ' generisad. fiaules, que cxigunt   lud vcró negátiuum, .f nó ens reale, prze ^ cócipi,tanqvá politiu/ad aliud,   cedit formalitatem enti rationis, vr ma "Tüm tádemquia hac ratione dicebimus tcriale,& lubftrarum, cui talis formalitas attribuitur,cum concipitar ad modü vcri  ! fopra q.pracéd. loc. ciens. rationis clie . A e mcdium inter cns teale, et puruam nihil. cnus; ex quó fequitur tormaliter » et pri e "sed Vrges,cum cns rationis nó fit ens  reale, neceflarió continebicur (ub mébro  oppotito;:i.Íub non ente Pis inter duo cotradictoria nó datur medium, fed : "mo ensrealc formaliter idé cft ; ac purum  màr:ó ens rationis ab eme reali dittiogui   fuam entitaté obiectiu&jnon vcró,per     ^ illam negarionem ; Hoéafscrtum proba tür ; tum qaia ens ratiónis formaliter j& explicité dicit ens, eftó à raiione fabrica "nihil uia purum nibil dicitur id,uod ct  tum,& licet nó fit ens reale y illam tamen so Ce Kefp.negando thinorem;quia purum   cité (ed impbeié, et concomitanterad  "nibil non folum dicit ncgitionem realita fümit.um, leu confequenter; ficuc € cótra "o tisícd etiam exi (tentiz obicétiug, cóce "etis reale dicit negationem entis rationis, ; dimuisergoensrationisnon»&tamécertumeltnócóltituiformaliter,fedindenon(equiturefseputànihil, per talem negationem, fed potius pec ra MadacU. mis cuoi c ud "quia ett eas mentales et cb:cétiuum . ' 7 26 Tertio inucflizàdum elt per quid ! formaliter, et incinfecé diftinguatur ens rationis ab cnce reali, et à puro nihiloyin "terque mediuaiconftituiur, hoc n. erit | ratio formalis ipfius; et quide per quid di ftinguatur à paro niailo noa ctt difficile ' tioncmformalem realitatis ; vnde (equi tur illa negatio ; per (uluitur ratio dubitandi allata in oppotitum. Tum quia talis nthileitas realis cft, et fuo a:odo da tur à parré rei ergo nequit formalitatem . enus rationis cóltituere,quz omnino ha "bet efse per intellcétum: Tam étquia fie. | affignare, nan ab eo [ecerniur perenti   ripoicitensrationis, etia talis adhileitas Y tatem (aam ob;c&tiuam » quam acquirit 7 mon concipiatutsergo ad cius formal itacé | ; intellectus minittcrioytdeó a. extra iphae «nón [peGtat, ted pto: (us materialiter fea E Tam puct nuhi! coniucuuur y quia habet ^ betyprobatur a/sumpiuim quia «xeciens tià "ws L]tier: plerumque entia rationis tando an poffint císe, vcl nó ef tc rei, vEparet dum concipimus fei €resturas, ob re&tum ad  €ognitionem, nam ad formationem entis  gationis fufficu. cogitare efse ens,quod rc vcra non eft,licét id non cogicetur ; Imà  . adbuc cfhceietur cns rationis, etiamfi .  dámtelle&tus putaret veré eíse cns, cum tale mon fit,tormauur cnim ens ratioms co 1p A non cn$ obijcitur intclle£tut. vt ens, buc intellectus feiacre vera illud nó efse, iuc neftiat, hoc foiü inrercft,gp (iid. | eiat jncelleétus, fiagit folü, at non decipi . tur;fi ne(ciat,fing t, fimul atq ;décipitar. ;28. Quarió tüatuéaü c(t ilhid eile ima   gioatium, quod ibi propriain vendicat   ensrationisjünéceilario penderc ab cà ima | ginauon:, «jua concipiatur per modum Xen cm 5 ;qu£ do&tina preterhua juod eounm « ipnibus Keccotioribus, O cricis Scoutt;s Fucat. it cns rat:ont$ cle 1m  ipa teet M ct.dilpeg.cit c 4. 3b int s raticu.s ficri jer ficitonem 1ei,quam ad modum ens Fl, Py H "T ro yi üirén ercip.tinrelleétus, licet rcuera non Pp : . €üsreale, ac proinde fubdit in hac matc k aja de ente raten. riullam y quan'uni ad "11d rem fpcátat, vértere diferépantim inter Scotus et D. Tbonfam;io.ó ct à ex par 4€ icéipitur à Mcurilie  et Sang. loc. «it iniuo quaft: vbi proinde nam.  unc dicendi modii inquit efTc probabr lÉcciain uuu. UAE i& ido non cít noua fed vetultiffima, quam. pros : Aude cage ibid May On. Bur Jdlipq.6. et ctedituüs fuiffe ou: fcié vcterüni Scoutl rüm 1 à ndmQue iuxta doétrinap; uaditau à Scoto. dc re l tcalij& LiUuon:s 1.d 29. .te t enscommoniliiiné fui etie n d «ns re; Ley rationis ; ron [e a ju uocum »ledz liuic ai VE ctt videreapud Au gylt à its dr. vade Miu: Vds f oni ait bane eae codiunt in  Queft.IT. De formal. enis rationis. crit. 307 noflra fchola, at hec analogia fundari ne quit, nifi inaliquo ordine attributiopis inter ens reale, et rationis,talis auté ordo non vidctur effe, niti imitabilitatis obic &iuz, quz confiftit in cognofcibilirate vniusad fimilitudiné alterius. Porc(l cà dici, quód bac lit analogia. proportionis cum Vallon.art. t. Formal.& Mceur f. cit. nam quod non potcft comparari àd vecü ens fecundum aliquam habitudinem, vcl proportioncm,non jo:cít appellari ens, vt patet indu&tione in alijs quiuocis ana logis, quia fanum, gp principalicet  et per fe dicitur de arum]., non dicitur de vri E et dietaynifi ob ali.juam proportioné ; 'hib:udinem quam habent ad. (aniracé animalis,& ridere dicitut de prato floré t&ob proporuponerm, quam habet pratum florés 4.4 hominem hilaré, cum igitur cns cele bit obiectü intellectus principale, et attributionisens racionis profe&tó po flüJab:t cOcipi ad modü curis realis, quía fuáü elfe hibet ex habitud ne, et propor tione ad ens reale, et quia in analogis c q'iuocis ordo, et hib'tudo ad principale ana'ogiti c(t catio formalis ) cuc ceteris €&Oocniat rat o análoga, vt ordo ad [anita té animalis eft,quo formaliter. vrina dicis tur (ana, vr d &um ctt dilp. preced. q. ex Scoto 4.d 12,3.1.infra H. ideb ad ro né formalé entis rationis non uh fpedtat ; quód fit ób:eQt.ué in intelle&u;icd ctiam quod ibi fit ad intlár vcri enus,nà ratio nc iflius hab.tadinis pracise participat extrinfccé,& aqumoce effe jimó id forcé intellexerunt pritci Scotiftascum abfotü té dixerunt quodc(q; ens tónis fieri si collat:uo,quia nimirum iritércedit aliqua: lis compacatio qua concipitur ad inftat enüsicalis,vtinftaq.4.àr.2. i /à9 Et lapé hac &r fut pérpetua: Do "&orisIcotentia, quito pottea Recentio res amplexi (untnam JoC.C it. 1,d. 29. ci rclaioni fcalfj& rationis nihil c corbuiune vnitiocums quia ei,quod eft: quid tale, et Eugen Aimpliciter tale 1n u4otum tale sont comune E jlldd'. quód accipiturih as sih quid y 9 ; quód accipitur imi Ms ten reLjoaürem n Lo nun relati Badii ^ TEMP CTUM 7 "UK 308 cft cílc sin quid, ità referri si rationem, fiué comparari à ratione eft. referri, vel comparari sin quid;ità arguit Doctor loc, cit.cx quo colligitor Doctorem v:lle ens rationis dici ens sth quid, et omninó per analogiam ad ensiea!e, atquc ideó petat cGcipi per modum veri.enus, ficut homo pictas.concipitur per modum veri homi nis, Accedit DoGtoré vbique docere re lationes rationis.tunc fabricari ; quando p ini licctasaut altetius potentigcollatiuz ojcrationem duo aliqua referuntur inter Ic, vc1s numad alterumyque à parte rei nó referun ur,nec fünt nata rc Erde irà prz fertim docet 1.d.4 .q.vn.C. et quol. 17. C.& 5.d.26.q.vnE. (id inrelle&ü rcfz;te adinuicem aliqiia duo, quz non (unt nata tcfarialiud finé non cft, quàm cócipere non rc lata inter fe,ac ti relata ctfent,& il Ta omninó concipere ad modü rclatorü ergo vniuerfaliter in eius (cn:entaa tunc ens rationis formaliter fit, cnm id quod n cít,nec effc pote ab MER ef et pcr modü entis exi (dentis, fiae abío lati iuérefpe&iui. Rurfus cü im 1. d. 13. Q,vn:$. fliter dicitur,verf.contra ifl nd, et 4,d.1:3.2.& quol. 3 art. 1, et loeis om nibus citat, ait. praccd. inquit ensrationis ncn h»bcre offe, nifi inquantum cognitü, et confideratü, ptocaldine loquicur de itione, qua pcr moduni cptiscon tidie sibl i pe modi uU € valet,qua ratione q. 4, vni iiLolicar iuieriale efe mol fub ra tiene non cnus(ait Doctor) n:hil intelli itur et s. Met.q.ij.ab initio ait, quod no pf t intellcétus, vridé concipcret rela joem rationis, hifi appreliendifsec, et n aliquo jer realém ; Et hacra  tienc ait Arift. 4, Met. ab initio non ens p TIU intelligitur [üb ra Aonenonenus.   3e . Kttandcm hic dicendi modus próba aur p anifcfta ratione, quia ens rcale, vcl cíLobicctum adaqnatum, vcl faltim pri maru intcllctus y vt omnes concedunt eum Do&oic 1.d.3.q.3. crgo cn$ratio nis non potefl iniclligi nri quatchus con tipitür y vt imitabo quidam enis realis, quia obicitum i5 fccüdacium de bcr aliquo modo patficijure rauenem  Difjut. 1T T. De Énte Rationis: 'do colit formalem primi obic&i, at ens ration" non poteft participare formaliter, et in triníccé entitatem realé, ergo debet par ticipare fccundum aliquam fimilitudi« nem, et proporuonem. i3 30 Qumó tandéex his colligitur ems  rationis e[Je illud, quod obycitur, vel potcft obyci imeelletiui, ac fiefset,cum tamennec exiflat in rerum natura, nec ex iflerepo[fi'; vndé fequitur totum efse . illius e(se obiectiuum, mentale, et fidüs et quia ab intellect noftro vers entibus aísueto fingitur ad inftar veri entis, idc €ns$ rationis dicitur vmbra entis rcalis, Gc cius cnticas vmbrata » quis participatanae logicéz érationem cns realis; &c quidem femel admiíso ens rationis nor confiliere in aliqua cenominatione ex« tripfcca, neceísar;ó elt afserendum efse aliqued eíse fitum irefultans In rebus cx opcratione intelle&us ; et planéomnes relationes rationis, et pratlertim fecunda intentiones logicalcs, f non dicum folas denominationes cxcripíecas, qu.bus res dicuntur cognitz, alio medo explicari nequeunt;nili per iftud c[se fé; et vm bratum rcfultans in rcbus, vt cognitis ; et casquafi intriofecé denominans, Et pef hoc eíse explicatur tio elsentia, tà exie flentia cntisrationis,nà in illo efsc ficto Lens quidditas » et actualitas cius. [ olo' difcrimme,quod quatem py à, dicetur e(se exiftencia, quate nus vcró confide co seb iura abftrahendo ab actualitatc cfsendi, dice tur elsc císenia, vnde confulró diximas.  cus rationis efsc illud,quod obijcitur vcl obijci poft intellectui, ac fi efsct, idque fignificáui: Mayton.quol 6.ab initio, vbi quadtuplicem entis rationis aflignans ac €cpuonem inquic vltiiàm, quz ett catis rationis inodó declaiati, efse propriam . Obiell iones enodantur. j1 | operis arguüt Primo Didac. et Smiling.cit.ens rationis fic, et concipitur nó foiü fingédo illud per 0:0 dii vet: enus,& concipiendo aliter, d tit, fcd'euiá concipiendo iliud per modüc uds ratiónis,& f. di c(t;& ia concinit; ud derauic si liani quiddatem ^ 2 mme E EL MUR Gu Teal eS Ir IRE e REPEINIRAS S  ^N os (00 ud IE De Formal. enti rationi ct IT.,quod .n.tunc concipitur, ique cns rationis efl,& non rcalc ; imo itade fa&o diuinus intelle&us concipit et efficit entia rationis. Cófi rmatur, quia fi in cogniuone, et formatione entis ra: tionis opus effer illad conciperealiter, ac fit.i. per otn osten » plané fem intclle&tus alleretur,& nunquam co bs ! pofiet, ficut eft, ergo &c. '  Refp.duplicem efse cognitionem entis tationis.ynum dire&amsalterá quafi rcf c xám,vt Do&or indicat 2.d.1.q. 4. art. 2, (licét in quibufdam voluminibas fignetur foro exta) et adhuc clarius in codem 2. d. 1 4.$ B. prima eft, qua fingimüs ens ra &ionis concipi non eft,ac fi ef fcc,íe qua cencip:tor ens rationis, ficut veté eft, et cognofcimus rem efsc cognitá aliter ac fit vnde Scotus 5. Met, qj. jab miro vt motat ibi P, Cauellus Schol.1.(uem;etiam citat 4.d. 16.q. 2. n. 9. $ Contra ccmelufionem ydocct ens ra b. pisietur icspqoisiiecet dire&á, non . ttllcxi ;nà per hàc potius recogitaturfa &um,& vt arc ibiDo&or, in hàc (ecunda . iuione habet praec ere eed . €tdoà cfic&tus hinc cft, quod pri ica guitcnus pon tá tum ffwasfed eciam £atiua entis racionis et jimhoc feta pofsedici pacti; . €& docnit Scóuis 6er); 1,ad, 1,arg«quia p«á prnóticé,& in a&u exengto veríanur jacllcétus rca ens ration s.fingendo, qs Bon cé jac císersíccunde;verà d cituc (pe culata yquia pec cà veluti in a&u Ggna toconlidcrauurobiectà illnd fidum ;pen ptiorem.éognitiorted?, atq;.ideo ab alijs dicitur contemplatina, quz diftindtiono c matería de ento rationis e(t valdé no tanda,& ab oibas Recentior. pa(Tim reci pitur; vt eft videre apud Aucr(.q. 5. Log. [c&.5.concl. 3.& Blác.difp.cit.[cdt. g.X. Alios, ctíi de mote Scorum nó memorer; poteftigitur (vt argumentum foluamus). ens rationis vtroquc modo cognoíci y ;n. prima cognitione attingitur aliterya€ fit» . qiia: pec modü entis realis concipitur, cu. talc. nom (itin (ecüda concipitur vt €tt y quia attingitur,v: ens rationis, et fictum. pcr primá cognitionem recipit císeat pet (ecundá non recipit e[sc, fcd (upponiur, ci,vt vná dc genercincclligibilium,vtlo 309 quitur Do&orcit.z, d. 1. q $..B. et hoe modo ens rationis cogno(citur axDeo, vc poftea dicemus, ncc tamé efficitut ab co Ad Cof. patet per idem, quia cas racionis cognoíci potelt (icuteft y cognitione rc flexa;aduertédum tá eft neque. intellc&t proprie falli;quando per direGtaoyems tionis cfFormat, nà.a cenc iudicat ens ra« ionis císc ens realc, quia hoc ad. fecüdam Ápe&at operationem, in qu? proprig fala 1tas réperitur, (cd dumtaxat fimplici ap (ionc lud ad modum entis realis percipit; (icut quando rem f; ir tualea ad in&ár:corporcz apprehendunus, tunc proprié non £allimur, quia tunc non iudi camuscem fpiritalem císe corpoream S de quo fufius infra q 5. . 1 Secundo argattc Mcuri(sequamais talis modus faciédi per conceprioacm, .f, ad modum verti entis. pofset conitenite entibus. puté fictiujs, ac etiam fi&is cii fundamento, «clatjonibus tamen ra:io nis aeutiquam conuenire poicftyquc per meram refultantiam: (iüt an obiectis co gon compatatisi TVA, Vide Haa us:cas concipiat m eii rcla t;onum, formatà cnim itio petrus cfl homo;cfulrac in, Mis extre niis relatio ptadicau, et (ubie&tijab(que quod intellectus rcfle&tanw füper illa exe ttcma cognita, et apfrehendat r «tionem: fubiedti  et ien prr js. Con&rinatex Do 4«d1. q 2b. die. cit relacionem rationis. nihil aliud efses quàm comparationem ps fliua,qua obie &um aliquod con(i dcrarum, comparatug ad aliud. pec a&ürintelleGus cóparantis y; et in 1.d.3 j.ait in codem inftanti,in quar diu nus inteile&us produci lapide in e(se, cogniroyre(ultare relatioaé conis in lapi de ad diuinü intelle&ü, idé habet. 4. d. 14. q:$in finc et d.16.q.2. E. I: alibi f  crgo ad relationcs í;lgim 10pis effici das. nó cit opus actionc. intellectus, qua €a$. conc ipiat ad modi rclau onum realis,, Kelp.latis patere cx dictis att prz cede, conc], 2. noniefuliaré.flatim rela . cogniti  et voliti. in obiecto ; "1 1 ficuone inteilc&us, quia hoc intere A tcr rclanonem realcmy X ragionis, quod. il poicis sutiomi dro tto Ue Do   infurgit cx natufa 310 'Do&or $. Met.q.1 1 loc. cit. &1.d.31.q. r.& quol.6. et alibi, (cd relatio rationis vitta extcema indiget operatione intel »qua efficiatur, n mirt cogitatio ne intelle&us,ante quam operatioaé císe cognitum, et volitum metas ina vioncs rcalcs important in obie&is; et cát Doctor loc. cit. indicat ex illis dctomi mationibus refoltare celationcs. rationis Aere denomtioacis, id   eft per ali operatione intelleGtus y et doit denis tci, quam licéc Do&tor mon exprimat, camtamen fupponerenó eft dubitandum; gy» magis infra conftabiz aiédo dc ente rationis relaciuo; Bc plané falsüet Dot. cit. a4. d.t. q.2. velle re lationé rónis e(se merá denominationé exainfecam. paffiuz comparationis dc reli&am in obiectis comparatis ex fim plici a&u intelle&us comparantis, aut telatione ex illis fic comparatis iunmedia té refultantem abíque nouo a&u intelle« f&tus accedente, vt intelligit Meuri(se cü Valon. d nos 43. imó jbi dircáe dacet fieri tduiéod tationis, quando illa obiecta primo coníiderata, et comparata vnum a&um, deinde per alium actü uenté (ecüdo cóliderantur apprehen dendo sugiere paffiuam illorü;; veluti quandam relationem: inter ipfa in Yeriacentem,& ide, inquit, ens rationis eflc ens in anima,ranquam [ecundo co fideratum, non tanquam primo cat ratum . Et quando alibi Doctor infinua  t€ videtur relationem rationis. produci per a&um comparatiuum, quo duo obic. dta comparantur, fic debet intelligi, vt bene exponit Bargius in 1. d. 23. q. vn. jqua expefitiose citat quo3; Lichet. 3.d. 1 .q.1. quód non poteft produci, nifi '(appofito a&u comparatiuo, quo ha bio intcllectas nouo a&u producit inté. tionem inre cognita, et non producit cá ipío a&u comparatiuo, ita us, quod etiam es preffis verbis docuit Doctor ;. d. 26.4. vn. E. dum art, quód omnis poten tia collatiua porefl obieHium [uum có parare ad aliud, Q7 ineo fic comparato «auJare re[peGium rationis, qui no inefl, ex natura ret, fedex atu potentia, cr goaliumaQum (cquerké posit Doctor, Difpu. 11, De Épte rationis  P. ^6 Tm rgo pares. cet z el 33 vrgcs, oppofitam man: indicari Budkorc loc aie ipse in (ol.ad imam, nam $.. Met. q.11. ab initio ait Palms eit, quód a£fu reflexo intelligé di fit relatio rationis, fit enim primo Gu P f. diretto intelletius comparatis boc ad illud,quando autem reflettit imtelli gendo coparationem illam,vt obieEumy, tunc mon cau[atur elatio rationis, fed confideratur, ergo per) primumomnino a&um;quo obicea comparantur, ftat immediaté refaltat relatio ratioms ab(15 nouoadu, idem hàbet 1. d. nq. B. ait enim, relatio rationis efl modus obietié in primo atu intelle£ius, et tamen nom € ed veri genere intelligibilium ed eft in fe aliquid verà inte pi, € ita n0 intelligitur ni(i imattu refle xo,vult ergo,quód im primo a&tu fiar, et in (ecandó tantum intelligatur, vt facta. PIT Tee a&us i,& reflexi, quz h:ncingerit difficultarem, et Doétorem reddit ob fcuram, hic diftinguendi funt tresa&us y primus eft,quoduo obic&a realia cópa rátut adíinuicé,ex quo in ipfisaliud nó re« fültat, quam fola exttinfeca denominatio patfiuz comparationis:(ecundus,quo in» telle&us concipit talem comparationcm paífiuam in obic&is per cui telationis;tertius tandé,quo relationem ità confi&am in obic&is intelligit, ficut eft,hoc ctt,e(sie relatione confidam, et . rónis; primus aGus cít omninó dire&tus y ficut € cácra tertias eft omninó rcflexus s fecundus veró poteft dici quodammoda reflexus refpe&tu primi; et dicectuscefpe tu tertij, qua de caufa interd dicitur di re&us, intcrdum reflesus, fed certé cum fit primacognitio,quam dire habemus dc ente rationis, in ordine ad ens rationis abí(olucé dici debet a&us dirc&tus, cü cr» 8o Do&ocloc.cit. inquit ens rations fie ri cognitione directa, nó reflexa, quia in ifta habetjcantum rationem obiecti, non effc&us, non loquitur de primo ouninà actu quia per illum actingicur (olum cns reale, et nullo modo ens rationis, (cd de fcüdo a&u, quo primo, et directé arun gürcns ratroms, quia per ipfum accipit cie, T. di E  Euaf. IT. Dx Formalit; Entisemtienis. VAfri,1,  5t tertio qui veré cft refiexus in " t ad cns i shes qercit Ia i ic&i aufa (upra di Ez : ad pA Dind encisirealis » cfsc pradti efse, K intelligitur, et ideo refpc&u cius Bir ratum obediimcfilus er  cam, et fa&tiuam, pofteriorem verà eí(se incré fi tiuam, et contemplatiuam. ..$4 Tero fi ensrationis cft id, quod €ócipitur ad modum vcri eatis ; ergo nó fit fingendo aliquá formam, quz fecüdü fe totam fit meré obie&iua, et apparens, fed potius per falfam applicatione vnius entitatis realis cumaltera incompoffibi ti, vnde entitas obie&ta intelle&ui erit fc cundà e(scaciam realis, et folii (cundum ^ exillentiamobietiua rationis, quatenus (00 per intellectum eít applicata fubic&o y     . eui non cfl applicabilis; probatur coníc SE ia, quia iuxcà hanc fententid quan | domcelicdus cécipit Deum, vt relatum t concipit ibi relatione realé folitam.à fe concipi inter caufam creatá,   et efíc&um, (ed dicitur eíse rationis, ^ uiaapplicatur Dco, cui eft in applicabi   Bis; quando concipit fpiritum ad modum   «otporis, ver? ibi concipitur (ubflantia excenía,fed dicitur e(se rationis, quia ap plicatur fabie&o incompoffibili  quan do concipit hyrcoceruum, concipit vcra &nionem, qua inter res vcré vnibiles re periri folet, inter naturas hiscis et cerui,. tamen quia vnibiles non (üm ad có ituendum per (e vnum, ideó vnio inter illas concepta dicitur rationis  3$ KR ane ode be ensra tioniscófi flat in falfa applicatione. vnius entitatis realis cum alia incompoffibilig indicauit Mayr. quodl;b.7:üct.2. quis modo paucos b.bear a(seclasefsc trauen fatis ilem,vt teftarur Amic tract, 344.2.dub.5.concl.6. et nos intinuaui mos di(p.7.Phyiic. q.8. art. 2. lano fatc mur ità iorclligi pofse,& cxplicaci coin munem (cntenuam veterum Scotiftarü, cum aiüng. enria rationis ficri folu à po tentia collatina,& nonni adtu collari uo, cum .n«juzcunque caks potentia có» paraudo ynum ob.c&ua ad aliud jungit non vnibiliz,cfficit ens rationis, et quide ità defa&o interpretari videtur Fuentes cit.q.2. diff. 1. art. 5. communem Scoti ftaru,quz forté in alio fenfu defendi ne ques fit vniuerfaliter vera, vndé fi no ra (ententia ità interpretarctur » adhuc fuftincri poffet. Vetum quia non omnia: enia racionis funt per apprehenfionem plurium partium cum vnione carum s.vt conftat de multis, quz concipiuntur ad modum pet (c fub(ittentium, et nonal«. teri inbzrentium ; et cogitur hac (enteu tia affererc. omnia entia rationis ficri per copulam, non autem pcr przdicata, && fübiecta, quod tamen falíam eft, quia as : fzpé ex patte pra dicati a&u corrcípome : det aliquid fictum ; non fecus ac ex par tc vnionis,vt cum dicimus animal efl ec nus, nam przdicatumità cft forma ficta » ficut copula; et demum quia hzc fcnten tianon (aluat ens rationis, nifi in concre to y quatenus entitas realis ab intelic&u : applicatur buic, vel illi (übie&o income poffibili,, ia abftra&to autem cogitur có Cederc ens rationis omninó dicere forma tcalem,& ad hucipfa quoque tenctur di cere applicatienem ill obie&iuam, fiue diftinguatur ab voione, fiuc ffl cfc oínó «ns rationis abíquc alia rurfus Ml(a appli catione vt diximas q. 1.ideó pra: (tat alio. modo noftram interpretari fententiam; . vndé ad arg. neganda eft coní(cqueotia, quia te vera valdé noftra fententia differt ab illa,vt cóftat ex loc.proximécit.aliud mit in formatione entis rationis conci« pere ens reale det pi aliud veró concipere, quod nó cft ens reale, ad. bimilitudinem entis realis, vt ooftta a[ fcric opinio, quia primá ficri nequit. fine : &uali conceptioue entis ad sm ve só nó cft acceffaria,fed (uffi cit, quod füp ponatur cognitio illius enzitatis rcalis, ad : cuius fàmiliadiné ipfum ens ronis etfocs : matur, et üioterdum in efformando eme : te rationis accidit ens reale actu cogno  Íciy non vtique interaenit, vt obicctum .. cogn:tionis, qua. formatur eb ration $« : fcd vc terminus fimilitudinis, fecundam « quam cffingiur; et tic in Dco conc;pimus relationem ad ctcaturathzc tclatio à nobis concepta cft «ota bei Icn55 nn ens, et obie&tiua, et folum realiseft re« Vatio illa, adcuius inftar cffingxur, et fic dicendum de alijs exemplis ia argumento : relatis vide que diximus q. 1. probando primam partem:conclüfionis: ^. 36. Quarto fi ens rationis cócipi debe« ret ad fimili tudinem entis realis,(cquitur tócipi non polfe fine ente!teali, quod cft terminus tals (imilitudinisyat hoc eft có tja experiemiam, Deindé fimilitudo, cá . fit rclatiozuiperantiz: fecundi: modi f. Met.tex. 20. requirit in extremisracio ncs tundandi eiufdem rationis, fed talis ratio fundandi in ente rónis ceperiri non poteft . Demü entitas fia quam przte ! fert ens. c ationis, cft formaliter impo (Ti bi: lis, ergo nópoceft habere timilitudíncm: €ü ente realiter. poffibili ; quia oppotita : non habent fimilitudinem adinuicem fed d itfimilitudinem.. t R efp. timilitudinem entis rationis. cü reali non c(fe vniuocationis, (cu commu : nicationis., qualis eit albi ad album, fed . ionis, et imitationistüm in exis : là;tüm m modo cxifendi, juia ficut : ensicale exittit à parte sei ita«ens catio. « nisexittit obie&tiué instellectu,& (icut ; dupliciter gftc(l ens reale extaze inrecü natura aur pct (e ftans, aut in alios ità. cns rationis pot« [t Esau e qa "habere: €xittentiam;.f.per modum pcr fe flantisy. et per modum inharentis, ad hoc autem non «ft ncceffaria: pro illo.tunc cognitio entisrcalis.actualis »X explicita, (ed (üf facit habitual, et inplicita, vt ad prace« &énsargumentum dicebamus ;.ncque in» . CÓnucnicns foter jfi illa intcrucnirct,quia in apalogus aquiuocis.con(uetü cit vt fc «unda anaiogata definiantur pcr primü . yt pate: dc fano. Ad 2 patct por idc, quia. 3lla timilitmdo: non cft vniuocasionis, et : «émmunicationis;fed.imitationis, Ad 3. eppofita in.efíendo po(süt habete aliqua fimilirudinem in repra(cntando, vt patct. deípccie imprefla fub(tantiz,qua illi af fitmilaturin reprzícntando,cum tamé (ic oppofita in cficndo ;. fic in propofito ens gealc, et rationis opponunur in eísédo,. "fed cum hoc fit veluu vmbra illius;affimi» xar ili quodammodo in reptzfentádo,. &jmitando eo modo quo vibra imita» $e. UU Difpa ET I Dé Eprevationit; 507 tur efie corporis  Multáobijcit Poncróé kic contta doctrinam à nobis traditam de ente rationis, quz omnia diluta videti poffunt difj.z.Met. q.9. art, r. àn. 241. vbi etiam n.243. impugnatur ridicula a quedam defcriptio enus rationis,  poaenu affert manne fatio cffe illud, quod nequit aliquid efficerez ticq; inexiftece sica iode efficere, niti per confiderationem pótentiz potentis aliquíd contiderare; cut bene quadrat. il lud Horat. de arte poet.  Spetk atii admi[fi visi teneatis amici Num ens rationis babeat caufas fui. iti effe quas. 5, s. 37 (^Vmloquimur de caufalitate em tiu rationis, vt Tatar.aduertit 4» d. rq«2:queftiunc.4. earum; quz ibi moe uet de fecundis intentionibus,& Bargius: f:d. n etam cord caufa pro^ prié: um .n. entiarátionis non fint ptoprié ertia y fcd (lum concipiantar ad' modà entium, protc&ó habere nequeüt veras caufas, implicat .n. aliquid habere   veras cau(as, et non habere veram eíse gi qua ig:tue'ratióne dicuntur entia: eadem» bn asp modó quzritur, ati habeant eauías (ui clle,& quas. N  aliquii ens rationis habere caufas (ui císey cita tur Harueus tra&t. de. (ccundisintentios nibus, Mayron.quodtib.c. Sonc. 6. Met: q«18.Niger q.4.clypeiin fiae. Suarez ve 10,quem multi ex Recentioribus (equü tur difp. $4. Met. fcét. 2. concedit quidé cn5 rationis co modo, quo eft ens, habere caufam cffcGinam! (ui effe ; id tamea'de alijs caufis, et maxime de finali concede rc inficiatur, et (cq«. Amicus q. 3. düb. 1. D 2e Meran n alij coetu rater forma ità Cor plut.dif p. 2,q,. pee Diar €difpa. (c&.3. : a Dicendum tamen cfl cns. rationis eo: modo, quo eft ens, etiam habcre cau(as: (ui effe; et quidem inomni genere caufa, Colligitur ex Scoto 1.d. 5.4.7. vbi argués: contra Goríredum docct cniia r.tionis cau(aci, et d.36. q.yn.& a.d. 1.q. 1:docet produci, et probaiur.. : 3$ Pix D 2  T.. j H |: d ! ins Er x El 00 Quat. HL De caufis Entis Rationis; ; 8$ Primó qui entia ration.s fuo modo caníentat, quia ciuslibct cx ftentis c «rà primum ens cft aliqua caía proportionata illius exittentiae, vc pater, . .Moquin deduceretut de nó cxiftentc ad exiftendum pet feipfam!, (cd entia ratio nis cxiftunt;cum antea non cx; (terent;er ! &c. Confirm.quia non (emper habent R tle obic&tum;feü obiecriuum in mé €e,quod efl elTc rationis, nifi cum cóci piuntur ad mod entium, ergo cá tunc il lese babcant,non antea, vcl poft, ccr &éinaliquam caufam 1d referendam cft alonio nulla racio fufficiés illius qua( . €unq;vatietazis reddi poter. Et tandé cü "£a ad modum entium fingimus, vtique  «oncipimus cà odum caufatotum .. Sccond3. yc (ingillutunoflédamus ha bere cauían; preportionatam in vnoquo genere caufz, probatur in priniis, « 1 dabcane (alum avit pro caufa ds '    "ficcnte (nam an aliqua alia porentia vi ape Viimicd efficere, dicemus oficà) dicitur n.ab omnibus ens.ratio: "« lectus, et timilia;:mó.hac pori(Ti ü de cauta ens.rationisd;ctü eft; quia à zatione i«achinaur,. ergo haber iniclle &ü aliquo. modG pro caufa cffcGtiua. Ac €cdit, qued cut fuo modo dicitur ens, et «(je obieét'ué inintelledu, pari modo dici dcbct tile elTe accipeteab codem. 39 S d.óita obi foler;quod caufa: rcalicor. c! pondet c ffcéas rcalis, et po  tentiz rcal; oo. céctum reale ; ergo à nulia   cavfayi& potentia reali, qualis.cfl inteile " &us,cns racc n.Scffici potell. R ep. có» munitcr przlcram à noflris cauíz reali timarió, X unmcdiaté vij correfpó dere cff. Cum cealam, (ccandatió iamé,  et mcdiw cffccium non. realem corre fpondcic pbile, qui qnafi comproduca tur ad product.onem effc&us dolis . ità in propofito cns rationis lecüdum ef fcobicct uum producitur ad próductio, pci 1cahis iniclicétionis,qua ctt effectus. grnianus 1n.cil. Gus» Hac 10ludo pro» €cdit j'Ot.us.dc core rauonis pro mare Ziali qualiscft. denominatio cogaitiyqua. deret. nquitut ;n; cbicéto ex intellectioue: uper. siu tranf euniejnon de ente ratio» Jeogtea » 7 Bia cri ab intelleQu;efic per operatío ur 314. n5 pro formali,quod immed'até produ« citur ab incelle&u ea cognicionc, qua in tell git fem 3H cec, quam fic. Quare prz ftàb:: dicere verum effe aflumpcum;quan dó cauf: yr oducir per actionem phyficas et realcin, quo n:0d0 intelle&us produ cit iniellcétionem. per a& onem intelle. &ualem,qua diétio appellatur à Docto re quol.i 3. et alibifzpé, at non quando agit a&ione metaphotica,& quafi gram mat:cali 5:galis eft cognito, jer quá ens rationis producitur, fiquidem per cogni tienem nom producit intelle&us aliquam entitatem realem,quia nó ctl actus pro« ductiuus, € veta actio, fed tant ü operati uus ex Doctore ibidem;ac proinde affert tancum e(fc quoddam obicétiuü, non rea» le; vndé (iin obiecto, quod intelligitur » nullü aliad e(Te repcritur prater hoc cfe obiectiaum. ; quod ab intellectu recipit, erit ensrationis,& productio cius crit pe du&io fecundü quid, et rationis,non reae lis,vt docet Doctor 1. d. 36.q: vn. et 2. d. 1.q. 1. Pariter poteft potentia rcalis ex Doctore nác cit. re ens rationis pro. obie&o faltim fecundario, et terminatie uo, licet primarium,S&& moriuum debeat e(lereale, et prafertim ità contingit quando rem concipit aliter,ac efl, vc ac« €idit in tormatiooc entis rationis ex die €is q. 1. in fol,ad z.ad 5. Confinin.. 49 Tertio habct euam fuo modo cau fam finalem, nam (zpéinte!lectus format: enüarationis., vt res re&té, et fine errore cognofcar., aceprarfertim ad huncfiné ex. natura fua ordinantur intentiones logica lcs,ergo &c.probatr aifüinprü, tic enim; quia priuationes, et ncgationcs ex fe ins tcliigibiles nou füntynilr.iudicio.quodam. diaiüuo,, vt v.4jitelligendo intaliorganonon.eilepotenuam videndi .,in. aere: non etie lucem; et é contra denominatio ncs excriniccz.non funt intcliizibilcs,nifi iudicio ja Rees La tjuo, vc v.g. ime telligeado. Deum creatorem,, parietem v.[uin per hoc,, quod. relaGio.cxiftens im creatura term:nait ad Deum, vilio exis ficos in oculo. terminator. ad. parietem » vt cas intellcérus apprehendat apprehen» Lione fimplici quae SUUmBo deqén Ice t €is$ conueniunt, à. necele pradicet, qua 5 ids: 314 Taría (unt ad explicandam earum natutá, data opera fingit illa ad modum entium, vt caecitatem, veluti quandam pratam di ípofitionem in oculo,& fic dc alijs, us entia rationis ficri pofsunt, imb de facto fiunt propter aliquem finem.Sic ét confi cit intentiones logicales, vt certà fibi pra fctibat regulam,qua in vnum plures pro pofitiones cognofcere valeat, nam in pri mis intentionibus ex cognitione vnius propofitionis exercita: non poteft deue nirc in cognitionem alterius,quia vna exercita non continet aliam; hinc fit, qp . cum poficaquam plura adinuicem cópa. rauerjt,confimilem inucniat modum cf. fendi denominationisextrinfecz in plu ribus, format fecundasintentiones ; v. g. quod animal fit genus,quod homo, Ico, bos,(nt f;ccies, et (ic predicando figna té pra (cribit fibi regulam dicendo, genus pradicatur de. fpeciebus, (ub qua propo fitione fignata continentur omncs exer citz dicendo, ergo homo eft animal, leo €ft animal, quia vna fignata plures cxer «itas continet . Pariter quia longum etfet enümerare omnia,& fingula, qua in pro pofitjone afijrmari,vel oegari poffunt de 'aliquare, et valdé prol «um fingula rc ceníerc ; de quibus alia affirmari!, ve! ne gari poflunt, vt vno nomine hec omnía '«ompleétantur, vtimur coníultó nomine fübie&i, et prezdicati; Et quia decon clufione in i spar dc premiffis,de à prima,& fecunda prava:ifa forcat quam. plura dicenda, vtimur nómine antecc dentis,& confequentis,maioris,& mino: ris,quz omnia funt entia rations; et pro pter eum finé inréduntur,vt operationes  noftri intelle&us bené fiant;imo vc dice bàmus q.proem.hic eft pcecipüus logicz   finis, et hac de caufa Arift: cam inftituit fub terminis fecundarum inreationum. cfpondét aliqui ex Suarez cir. quod Jicét intelle&us aliquando entia rationis effingat ob predi&os fines, ifti tamcn nó funt proprie finesillorum entiü rationis, fed potius corum a&aum,quibus fiagun tut; fic in Logica directio operationm intelleétas nó cíttinis illius et]e racionis; AXjued ab intelic&ta recipiunt res logica ks,nam cao;üniavt eflc przdicatiyfubic Difput. ITI. "De Epte Rationis. Gi,antecedentis, confequentis, &c. quafi con(íequenter infargunt ex a&ionibus mentis noftre, et non i propotito, (cd proprié eft finis illius cognitionis, qua ntur illa entia rationis logicalia.  41 Sed hac folutio nulla cft, quia vti que concedimus caufam illá finalem nó else veré,& proprie caufam finalem refpe &u entis rationis ( praefertim fi caufalitas finis ponatur efse realis, de quo in Phyf.) attamen prout in prafenti loquimur de caufis, ipfi eriam enti rationis caufalitas . finalis deneganda non eft, nam ad hoc (uf ficit,vt ad iodum caufati, et procedentis à tali caufa concipi poffit. Accedit,quod fi cogoitio logicalis dicitur à cau(a finali procedere, quia à propofito intenditur propter eum finem, fic et entia logicalia  fuo modo ab illo fine dependentiam ha bebunt;quíia ad eum fiacm ipía preíertim iufecuiunt, plofquam tpfa cognitio, y refültát . Demum fi entibus rationis fuo modo cóceditur caufa efficiés, à fortiori €t caufa finalis ei cócedi debebit tum ob generalem connexioné harum caufarum; tum quia caufilitas finis maxime deficit à Phy(ico cau(indi modo,cum metapho  N r:cé caufec, et ideóciliscaufalitas magis  proportionata éft enti rationis, quam . cau(alitasefficientis,ex (uanatura,   ' Dices, à Sopirill s fhioftris entia ratio nis rcliquijs cretze à. fisulo dercli&is, dá vas incendit efformare, affimilari folerc ca ratione, quód (icut figulus folum vas per fe effingere intendit, reliquie vero meté per accidens fequuntur prater eius intentum, ita logicus a&us logicales pc. fc intendit, intentiones autem logicales ex iliis cefultartes folum per accideps . Refp.hoc Scoti(tarü di&um debere intel ligi de enterationis pro materiali, vt (unt dcnominationes extrinfecze cóguiti, com parati, &c. ifta enimveré, et per (enon imiteoduntur ab intelle&tu,(ed pet accidés derelinquuntur in cbiecto, cuius cogni tionem per fe, et à propolito incellcctus uzrit ; dü vero eadem denominatione$ pet alium actü [equentem conc ipic intel letus, vt quid intrinfecum obiecto, hoc €etté facit imn logica prarfertim'ob aliqué finem totécim, et dicéhre íctundas iaten tiones d N. P. "a TP Rn ow uA ri Ard cadi 1 Zu M  . pon pro forma parts, et phylica, fed pro M .admo i : .ellcétus, an potius rcs ipfa, de qua enun iar tale ens rationis. Dicendü cít non, | IA di Quafi. L1. Decaufis Entis Rationi; . s in logica non per fe intendi ab in u, (ed ipfos us logicales ; cft a( re nedum logicam in (e, (ed nec eciá .. logicam ab Atift.traditam císe per (c de fecun dis intentionibus ; quod eft (al(uai exdictisin quaft, prom,    4t Quarto habent etíá fuo modo cau fami materialem, et formalem,.quocunq; modo fümantur, fi cnim fumuntur vclut cau(z intrinfecz tcm componentes, fic |  entiarationis fuo modo habere poterunt caufam materialó,& formalé,& crunt hus  iufmodi omniailla i entia rationis 315. gnito erit,can.;uam in fubiec:o. T à q uia tormz non denoininaat, niti res, quibus 1ncxittunc vt de albedine cóitat in otdi nc ad paricté, fed ens rationis deno minat rem, et nó intellectum, natuta cnim huma na dicitu: v niucr(alis, dicitur (pecics,non intclicctus, ergo &c. Tum tandem, quia illi inexiitere concipiuntur;cui applican Auc fed applicantur rebus, vc cognitis, iuxta illud Boetij, logica ctt de fccuadis intentionibus applicatis primis . ^ 4j At contrà in(tabis ; Tum prim . quia; liens tation s ctlet in cebus fübie&i pofsuncad inftar (ubftantiz matetia«. ué,cllet accidcas, et per con(equens ens tz, et corporea veluti (unt hircoceraus, €bymcra,& fimilia fi vero (amatur cau fà matetialisnon pro illa, que dicitur. ex qua, (ed ih qua, et pariter cauía formalis forma totius, et metáphyfica, ficur cft cf fentia,& qu dditas, ficetiam entia ratio habebunt cau(am materialem in qua, iimirü illaegug cócipiütur ad mo ccidentis,& formz (iaplicis abfola I relatiua alteti inbzrentis, Habe denique omnia. rationis entia caunus habent omnia proptiam quidd.ta tem, et c(scnriam [ibi proportionatam. "Quares, quanam fit caufa. materia    Ws, 1n qua en:iuim rationis conceptibiliü um altetj inhzrentis, num fit in eísc intclle&um;fcd rem ipfamquatenus cognitam, et ab intellectu apprehenfam, ita Scot.q 9. vniucrí,& in 4.d. 1.9. 2.B.& in1.d.23,q,vn.& alibi (zpe;quod proba tur, quia huiufmodi entia rationis eadcm tione dicuntur entia cau(ata, et cre (abiectum, ficut ergo dicitur en tia, quia ad modum entis concipiuntur, dicuntur caufati, quiaad modum cau(a torum concipiun:ur » ita cum corü fübie ctum quarimus, fenías e(t quodnam cít illud; quod à nobis per modum fubiccti cócipitur;in quo illa fint, at clarum cíts quód cli concipimus intentioné generis » iilam vtique conci pimus in animali, nort vt es led in ipfo, vt cognito, &'ani Mey ires,crgoin animali co reale;vt arguit: S, T'hoca.opuf 48. crab. 2 c. 1. Tum 2. quia hac ratione Scotus ipfe docuit 7. Met... 18. habere effe in intel lectuynoa (olü obic&iué, fed etiá (ubic  &ué, nanautem in rebus cxtra, Tum 3. quiaens przcipua d:ui(ione diuiditur in ens inanima, et extra animá, fe per cns inanim. iatciligitur ens rationis, ecgo de bet efe in anima, non in rebus iptis. Tá dem Chymera, et hitcocecuis. nequeant elfe (ubic&biué in rebus, ctiam quatenus cognitis ; quia non concipiuntuc ad mo duin entis alteri inhzrentis, (ed ad in(tar (ubitantiz, et rci per fe ftantis, erzo dc bent ftatuit i$ intellectu ubie&tiuc . .Refp. ad 1. quód coafequentia cene ret, fi ens rationis ponecetur. rebus inef fe vt funt extra incelle&um,& ita intclli git S. T hoaat ex hoc,quod ponitur (übic Ctiué in rcbus,vt cognitis,& vt in intelle &u iacent, fcquitur folum e(Te accideos intentionalc,(eu rat ions, quatenus cóci pitur ad inftac alteri inhzrentis. Ad. 2, Doctor intcliigendus ctt, vt (& explicuit f Mer. q.1.quód vniucrtale inhzrcat rei, non quomodocun que;(cd quatenus habt elfe cognitum in intelle&a ; quia cum res potfint contiderari ccipliciter, vcl (ecun dum (uum ctle quidditatiuum, quomodo cas conliderat Metaphyíicus, vel (ccune dum fuum cílc materiale, quomodo cas confiderat Phyficas, vel (ecundü illud cf fe:cognitum et comparatum, qp hibent pcr operationem. intellectus » quomodo cas con(iderat Logicus, vniuer(ale non incft rebus quomodocunque, (cd «90 eas. coniiderat Logicus,& idco proa tunt 1ü Ef ai inicl $16. dntelle&u, quare ensrationis eft intelle &u (übic&iue non immediaté,fed media témediantibus nimirum cebus, vt cogni tis. Ad 5. dicirur ens in anima obieGtiué, non fubie&iué, et per hoc dií ; ab ente extra animam,vel fi etiam (u Giaé dicitur ens in anima;id debet ligi mediaté modo nunc ito, non immediaté, ficut ineft intcl O 5» alio quin cíict accidens reale,vx actus, et ha bitus intellectuales .. Ad 4 illa entia ra tionis nullibi (unt fübic&iué, nec habent materiam in qua, quia ad inftar (ubítan tiz concipiuntur, (ed ex qua, et (unt tan tum obic&iué in intelle&u. "QV ESTIO IV. vtt folus intelletfus efficiat ens ratio nis, et quibus atibus. 44 Emo negat ens rationis per in^ N telle&um cffici, quare hoc fup" pofito quzritur, an eiustantum fit hoc munus, num potius aliz ctiam potétiz vi tales illud cfficcre poffint.Comunis opi nio a(ferit hoc cffe fpeciale munus intel le&us przfertim Thomiftz Copl. difp. 2.q. 5. lo.de S. Tho. p.2.Log. q.2. art.4. . Caiet. 1. p.q.28.att. 1. Auería q.s .fect.4. Blanc.di(p.r.(c&t. 3. Amic. trac. 3. q.3. dub.2. et 3. Contendunt alij, vt Scouiftze cómuniter,etiarn per voluntate, quia po tentia collátiaa cft, ens rationis cffici poffc,ita Formali(tz omnestrac.Formal. Faber; Fucntes,Smi(ing. Meuriffe loc.fu pra cit.nam fic infinaare vi(us eft Do&. Td.45.q.vn. $. £d argumenta, et 3.d. 26.qvn. $. 4d quaitioncm, et 4.d.v6. q.2.$. Re/pondco, et quodl. 17. art. 2.$. "Potefl dici, dum yim docct poíse volütatem fuo,Caufare relationem rationis ia obicétis, quando '.(. ordinat vnum obiectum ad aliud,ad quod non cít ordinabile à parterci, vc fi Deum amat in ordinc ad creaturas. [mó vlterius ali qui Scouiftz, progreflTi funt afferentes ét Phanta(iam, (cu Imaginatinam poffe ens rationis cfficere, coquia inter porentias fenfitiuas ipf1 f0Ja habet virtutem cóiun gendi, et conícrendi obiccta adinuicem, yt patez dum Chyaneras, et hireoceruos  Difp.De Ente Rationis.  In H  . E fi cd rum à parte rciincomes  . indeeiam. ità Faber cit.c. s. Fuentesdiff. 3.at. 1. iffe cit. »3»1n fine, Val lon.pag. 43. Ant. Koccus tract. de fecundis intentionibus (quamuis ilti duo exptimant phanta(iam, etiam(i vim ha beat collatiuam,non poffe idcircó cffices re (eccundasintentiones ) quod etià rang. probabile amplectitur. Suarez difp. cit. fec.2.n.18.& Rauius q.4. Tandé idiplum alij affirmarunt non tantum dc ceteris s& fibus internis,verumetiam exteroisgo dh   ipfi ; plerumq  petcipiant,& repre noe d noch ad adum EN di, ein "s dS MESA RR TN A IHR aqua,Solem exiguz magnitudinis, &c. ita Jandon.infinuat f Me 23. et Arriaga ex profeífo tenet difp.cit.[ec. 5. lub(cc.2.. et 3. vbi có magis id tenet de voluntate. : n 45 Circa alteram quafiti partc du pliciter dnbitatur ; Primó generatim,cuim enim actus intellectus geoeraliter loqué do fit,vcl abíolacus, quo.f. obicctum ab. folutéconfideratur fine ordinead alud,,   velcollauuas, quo confideratur cum talt ordine, et ruríus vterj; aut directus qug. Jf. primó, et direc: obiectum atingitur illisactibus,au: reflexus.quo niirürclle ctitar faper obiectum, vc abfolute Ar og " OQ,» tum,vel relatiue; dubitatur in pro qualis in vn/'ucrfum cílc debeat actus, uo ens rationis 'efformatur; Scotus s. et.q. 17ab initio expreísé docet hunc actum effe debere directum, et compara tiaum, et e(t comunis doctrina pri(corü Scoti(tarum,cum hoc tá difcrimine quàd Doctot loc.cit. loquitur fpeciacim de re« latione rationis, at ipfi loquuntur vniuer (aliter, forté quia omneens rationis pu tarunt e(sc relatiuum, quos ex recentibus Seotittis fequitar Faentes cit.& ex Tho miflis Loan.dc S. 7 ho.q. 2.art.4.concl.5. Vulpes vecó di(jp.cit. 28. act. vlt. n. 4. ait per actum directum comparatiuü (ccuu das intentiones habere tautum c(fe dere lictum,& per intelligentiam rcflexam (u fcipere verum effe rationis fabricatum ; Meurifsc cic.concl. 3.dcclarar diuería ea tium rónis gencra ex diuerfis, actibus rc« fultarey dcaominationcs extriníecas co» gniti  m  » n " " 21 ) "P PW 1 MET. e  000 Bud TV. otn folusinelleElus efüciat &ns rationis... 317 E vom putat ad ordinem entium ra. art. 3.dub. 5. et Hurcad.difp. 1. Log.fc&t: ... "Rjonispertinere) ex cognitione direQa, . et fufius difp. 19. Mer. [c&.1.$. | eltiones rationis ex comparatiua, et en. 14. co quia omne ens rationis cít quid ] .. tia rationis fi&itia fieri pera&ionemre falfum, et ad modum alterius confidcra  Mflexam, qua intelle&us apprehendit eie; | tom dando illi aliquod cffe repugnans, uod reuerà non cít . Ex Ncotericis fed veritas, et falfitas ad fecundamtan rez cit.n.16. quem multi fequuntur; tamopcrationem fpe&tant. Tertiacon docet omnem actum, quo fit ensratio cedit ficri per omnes, et fingulas, quia nis,effe cóparatiuum,non quia omne ens apprehendi potcft. aliquid eíse, velexi . . gationis fit relatiuum, vt prifciScotifiz   flere, quod nec cxiftit, et cxifterc impli sicebant,fed quia ens ratíonisquodcun   cat, poreft item affirmari, quod cft. im  que,fiue ab(olutum, fiue relatiui, fit per ffibile, et negari, quod cft neceffariü | €omparationé nó entisadensreale,qua et poflumus tádem cogitare vnum fequi . &enus concipitur ad inftar entis realis ;   ex alio, quod veré non fequitur, quz om . "hancvero cognitionem contenduntali pia (um non entia ad modii entium ficta qui femper effe directam, vt Blancuscit. per fingulas operationes, et cft cómunis fec.4. Suarez ibidem innuit potius efje inter Modcrnos Fuent. cit. art. 2. et 4,, debere reflexam, et prafertim in fabri   Complut.q.3.concl. 2. Amic.cit.concl.4.  "eahdis fecundis intentionibus. Alijde   Ruuius tra&de enterationis q. 4. et alij "mum diftin&ius procedentes inquiunt,   pa(Tim ; quam aliqui adhuc magis expli mne ens rationis abfolutum fieri per cantes inquiunt. hanc fententiam nó ita nitionem abfolutam,. et omne rela  intellizi debere, quati quodlibet ens ra Qüm per relaiiuam, et rurfüsillaentia tionis poffit promifcué fieri pex quam s,quz fundanturinipfisoperatio libet intclle&us operationem, fed per pti itelletus, et habent pro ia mam determinaté fieri ens rationis ge nat:enes extrinfecascogniti, &c. nus, (pecies;apprehenfum, et fimilia,que itis c /mi« conueniunt terminis fimplicibus, per (e cundam ficri ens rationis predicatum,  fübie&um, propofitionem, et alia huiuf : modi, quz conueniunt integris enuncia nmnis,feuforme extrinfece, casera vero   tionibus; per tertiam tandem fieri ens ra» 11 fieci per notitiam diceGtam, .i. nonin tionis medium termini, maius, et minus uoluentem reflexionem circaaliam prz  extremumsantecedens,conícquens, et fi.. wiam cognitionem;ita Auerfacit.fe&t.6.   milia, quz argumcntationem concernüt,   €omplut.q.5. et alij quampluresfic lo  et in hunc modum hanc declarauit. fenté  qui videntur Hurtad. dilp. 1. de obie&o. ' tiam. Darand. 1.d.19. q.5.& 6.  0 Log.(cct 5. Amic.trrac. 3.9. 3. dub. 6.ar.2. 1 26 Deindc cim uie Ls intelleGius  noftri operationes cx di&kis 1. p. Inft. 3 3 OA Log. distr in fpecie, inr oleas, Refolutio quafiti de Potentia enti$yáe | &lipgulas ficri poffirensrationisan per  tionis effettrice . aliquastantum 5 de quo tres cxrant fen 45. 4 Rorefolatione quz fiti quoad pri: tentiz . Prima docct fieri folü per primá | ren partem, quz eft de potétia operationem »quando obiectum fimpli entis rationis ctfectrice, eft aducrtendü: Citer apprehenditar aliter, acfit nam. ensrationis dupliciter accipi poffe; prie. ' quando poíicaaducnit (ecunda, &ter. mb proco, quod folum babet effc ex vi.ti3 operatio, .& iudicium, et didcurfis,   rónis,fecundo pro ente'proportionali, et   inueniumt: ens rationis factum pcr pri zquiualente enti, gy fità rone; in propo» mam, Secunda ncgat €n$ rationis fieri lito cit quaeritur, quz po'enria ens ratio. per primam, fed aílerit folum ficri per nis cfficcre poffit, et an hzc folus fit in iecundam » ita Coconcll. g.1. predicab.   te]le&us, noncít íermo ^ entc rationis Loa. UNES A tme i HR 10 211 messis 2 M 318 $n primo fenfu, nam fic cffet repugnátia in terminis, quód alia potentia abintel . le&u;qui dicitur ratio, feu porétia ratio» cinatiua, cns rationis cfficere poffet ; fed cft (crmoinaltero fenfu. quare quafiti fcnfus crit,an ficut datur aliquod ens ; y folum exittit obic&iué ininiclle&u, ita detur, vcl dari poffit ens, qp folum obie et vé cxillat inaliqua potentia intentio. nil; a2 ab intelle&u; et hoc voluit in nuc; c Doétor, com in 1.d.45.q.vn. C. et qQuol.17.C.ipquirvelationem, quam pot voluntas, et quzlibet potentia collat iia alia ab intelle&u caufare in obic&is ab ipía inuicem comparatisn qu:bus ex na: «ura. rei non reperitür, non cH rationis loquendo ftrité de relatione rónis, quia non fempcr potentia illa comparans eít ratio,fiuc potentia ratiocinatiua, fed dici rationis, vcl quiaillis obic&is non cóuc nit ex natura reiabíque atu potétiz in tencionalis,vt ait ibi,vel prout hoc nomé ratio comprchendit int.llectom, et volü xatem iuxta phrafim Acifl.9. Met. vbi cas appellat potentias rationales, vt quolib. cit.adnotauit ; vcl quia hoc nomen ratio Difput. IIT. De Enterationis 1 ja poíTumt intelle&ui vel alteri potenz. mp fundamentum fi&ionis, vr concipiat id,quod non cft jac fi effet:aliud vero formale, et a&uale, quod nimirum a&u participatformalitatem entisratio  nisquia.f.a&u fingitur etleab intelle&u, aut alia potentia, et ita obic&tiue exiflit in ca, vt extraillam nec exi ftat, nec exifte re poffit; Non eft hic quzítio de ente ra tionis matcriali,& derelicto, fic enim có cedunt omnes, non tantum intelle&um ; vcrum ctiam volontatem,imaginationé,& omnes fenfos internos, et externos pof fc ens rationis efficere, quia in a&ibus omnium barum potentiarum poteft vti que cns rationis formaliter fundari,qua  tenus denominationes extrinfecz pcr a  &tus carum in obiedtis derclidie concipi  poffünt,vt formze illis inteinfecasac inhze rentcszjuzftio igitureft deente rationis  formali, et eft fenfas,an peropus alterius  potentiz ab intellectu poffit fieriensha  bens folum efle obici et ex via u À 49 Dicendum eft ccrtum e(fenullà po tentiam vi | prater intelletum, et voluntatempolféens rationiscHicere, 8c ex hísduabus certum elfe intellettü. cf m t ficete poffe, de voluprate vcio non it  certumy(tis tamen probabile.Conclu(io  extendi etiam folet ad quamcunque po xentiam collatiuam, vt ait Troimbct. in Fonnalit.art. 2. prin. $. notandum vlte zius,ecltandcin cuia ielatioaut denomi natio comparatj jn. obiecto caufata pec a&um potenua' collatiuz magis partici. pat rationcm cntisrationis n primo fen firquam aliz denominationcsvili, cogni tic. quia vt docet Scot. $. Met.q. ri.ab initio nedum c&fe cationis hibet, quate rusà potentiam'ept onali procedit, fed etiam alud cile ration's lupponit, in quo fundaur » quía denominatio com arati nón yefultat in obietto;nifi prius bfolu té cognitum fapponatür quoád iilud at itibutum, jà quo alteri comparatür.. Rurfuscum ens rationis cx di&:s 4.2.art.1.duplex (it, aliud inateríale, et derelictá, ac potentiale, quia nimicü for malitatei entis rationis actu non parti €ipat, Ícd v. ique participare poteft. per a&tum potent z finzenus, quo fena. ne gationcs,LriuutioncsyX omncsexminfece dcpom;nátilncs reales dicütur. entia ra tionismaterialiicr, et fundamcertaliter y eít Scorilocis omnibus citatisyac &tmox cirandis,& probatur quoad fingulas par« tes ; Et quidem Primo, quód nulla poté tia (enfitiua, fiue interna, fiue externa pof fir, oftend«ur geuerali rat one, illa ola potentia vitalis potett emia rationis c ffo iare ;qua ita rei iprz (Lore poicft eife, » obie&tiuam in (ipfa, vc excra iilà necti c, ncc exiflere poffir, ac in nullo (en(w, fiuc externo, liue interno potcft aliquid 1t10  bicctiué exittecc ex vralicaius a&us. (cn hiiui » ergo nullus (enfaum ens rationis poteft efhcere / maior patet ex dictis de formalitate entis rationis, quod talis cft naturz, vt illi prorfas repugnet. exifterc extra potétiam 1 qua fotmarur;probatur minor, tum quia vniueríaliter loqucado cbiectum fentuum cft (enfibile, íed. etfe fcnfibile efl etfcreale contradiftinctü ab cie rationis ; tóm quia obiectum prafer tim fcníus eztc fni edt aliqua qualitas sé^ ibitte rei, vnde com T dieitur (en(ationem externà pen  detenon folum ab obicdto exi(tente, fed | etiamin fc prafente, ergo (cn(us cxternus J mon poteit dare effe obicctiuum rei non  exiftenti, nam femper terminatur ad efle reale eius a&ui prarfi pofitum eriam in illis cafibusde quibus itati (olet; nam remus, v.g.repra(entatur cacuus, vel fca» .. &usinaquaabilla (pecieyque vranfmitti .. turadoculum cx immutatione fa&a ab j ME | &qua,per quam tranfit, antequam remus SM cipiatur ab oculojergo remus ille non 4 ha rationem curai ex ipfo actu vifio /. mis,fed antecedenter ad illumsquia fpecies ..állafic immutata determinat eculum . videndam tali modo, et ita (uo modo di. cendumin alijsca(ibus, cü nimirum Sol (0 propter dittantiam apparet miaor ; quam   fit, et denarius inaqua maior, et edificia  difiun&ta eminus apparent coniuncta, et . oncauitates in pictura;in his enim, et fi» | miil uscalibus attingit vifus apparentia (0 jllamcaufatam ex vi pecierum (ic, vel tic ENS immutararam, vel aliande,& bac appare (0 wk repr (cntatio vera eft,& realis, li /  cé&nóreprafentetur obiectum, ficut eft, is, et exi(teris à ob immutationem fpeetecum, aut cauf(a,(ed in hoc nullum interuenit ens ra tionis, alioquin etíani fpeculum ; quando reprzíentat remum euüruum in aqua ens rationis efficeret. .,$o Etex codem capite probatur eadé minor argumenti. principalis de fenfibus iuternls, prz(ertim de 1maginatiua' aut z timattua,de qua cft dubitatio quia licet ha potentiz non neceífarió pendeant ex pra (entia obic&ti in feipfo, vt fen(us ex  terni adhuc tamen non refpiciunt coram latitadinem entis, vt intelle&tus;fed deter minatum expofcunt obie&ü, et hoc qui dem fcntibile, quia non percipiunt cflen tias,& (ub(tantiam rerum, fcd tantü qua litatcs et accidentia externa, que vtique fünt entia realia ; vnde vt docct Scor. t. d.3.q. 2 F.contra Henricum, dum agnus fugit lupum ; non apprehendit rationem micitia,(cd accidctia Lupi,vt fibi ma tetialiter dií(conucnientia ; à quorum ap prchen(ione mouetur cx inftiactu nacu tz appetitus ad fugà (cd ha fulius pro | 91r. en folus intelleGlus efficiat ens rationiszArt.F. 319 fequi fpe&at ad libros de. Anima, X idco rationes quz inde (am: polf.nt ad. pro bationem cócluíionis dimittimus, hac fo lum cótenti, qua ex natura entis rationis, deducitur, quod fení(us dare nequit effe obic&iuum rei nonexiitenti; Et quando etiam inallatisca(bus contederetur fen fus externos dare effe obie&iuum rebus non exiítentibus, et precipue imaginas tiuam id facerc, cum mótem aureum, vel mare vitreum imaginatur, hoc etiam ad miíÍo non fequitur hzc idola effc entiaa rationis,quía hzc ob:e&a noa habét im  poffibiliratei ad exiftendum à parte rei. quod cit de e(fentia entis rationis » quod non folum excludit a&ualem exiftentiam Ob:e&i, (icut reprafentator, verumetiam poffibil;tatem ad exiftendum; cum igitur neque per feníus externos » ncq; intecaos tale potlimus idolum machinat 1cui cepu« gnct exiftere inrerum natura falcim per potentiam Dei abfolutam, concludendü cft nullum (en(uum pofle tale e(fe obie étiuum dare rei non cxiftenti, quale re quiritur adens rationis . . $1 Refpaliqui ex Suarez cit.imagina iuam (alim inhomine babere hanc vir tutem fingehdi;quod non cít,nec e(fepo teft,ex coniun&tione, quam habet cii in telle&u,vndé inquit Suarez imaginatione in homine participare vim cationis, et for té nunquá fingere, quod nó eft nili coo perante ratione quod etiam expertentia ipfa edocet,non.n. imagina ua mac ina tur folum monté aureum, marc vitreum, et aliajquz vtique po (Tibilia fanc, fed alia quoque qu£ proríus impoffibilia funt v vt hircoceraüm, et chymceram, et alia» huius eneris repugnantia. : i Sed facilé euertitur. hzc folutios tum quia proptet hanc coniunctionem nó po telt imaginariua extendi cxtrà (uii adz quátum objie&um, quod cíLens (cnübile exittens vel exiftere potens quale nà efcns rationis ; tum quia etiam ipfa imagt patiua humana adhuc continetur intra Lli mitc$ potentiz organic » atque adcó fpicitobiectum, quod contisetur infrà limites obiecti materialis. ob proporttos nem; qua verfari deber inrer paient ^m» &obic&um quoad rauionem Eon lei F f t 9, e.  7220$20. éperandi; tum quia fal(um eft imaginati uam per fe participare vim tationis in ho fnine, nam tantamcum ipfo intelle&u conucnit inrationc potentia cognitiuz: interne ; cum tandem quía vc ait Auer(a, fi imaginatiua (uo proprio a&u diftin&o ab a&u intellectus habet cfformare ens rationis;frufira affertur coníortium intel lectus . Neque experientia eft in oppofi titm, dum .n, concipimus hircocecuum, chymetam, Deum corporcum, et fimilia, plané vt paffim notant Au&orcs, non ex vi imaginationis voiuntur mátürz, auc effentiz incompoffibiles, quia nec imagi matio,nec alius íen(us profundat fe víquead fübftantiam, (ed tantü externa acci dentia hirci v.g. et cerui; quotum cóiun €tio certé non repugnat, nam (zpius viía funt monitra ex diuettis animalium figu ris conflituta, vnioaütem naturaruin 1n compoffbilium fit à folo intelle&u. $2 Altcractiam pars conclufionis có fti probatur, et primó quidem ens rationis ab intellc&u fieri ità compertum cft in tcr admittenres entia rationis, vt proba» tionc non egeat, quod vel cx ipfo nomi ne entis rationis indé deduát conftare. dcbct, id autcm ctiam de voluntate pof fc probabiliter affirmari oftenditur ma nifcfia ratione, quia nihil illi dee(t ex re quifius ad potentiam formatricem entis rationis, fi .n. rcquiritur, quod talis po tentia fit collatiua, certum cft hoc i tati non deficere, ità .n.. poteft cóparare. vnum obie&um alteri, ficut intelle&us, nonquidcai per modum iudicij, et cogni tionis, (ed per modum ipfius, ordinis, et acceptationis, vt notat Bca(auol, q. quol. 20.cx Do&orc cit. v: cum vulc media.» propter finem;imo potcft inuicé ità duo €onfetre obic&ta, quz à parte rei ó fint refctibilia,vr cum peruersé agésvult Dcü proptcr creaturam viendo fruendis, et . froendo vtendis ; Si requiritur, quod talis potentia fit rcflexiua,vt vlteriusaliqui exi unt,ex Suarcz n. 17.0b quod ncgant sé us ens rationis eflicere poffcquia oculus p em vidct, fed reflexé nó nouit parie té e(Te visü,ncc imaginatio perci D abicdto. eque id fit cíÍc imazinatum voluniati deficit quia voluntas liquid vo it; quid. Difput.IlI. DeEntevationits. 000 » lens faepius hue a&um reffexum con(entit fc velle,vt docet Scot.quol.16.D. et r.d. 47:q.vn. D. et ratione reddit quol. 17. C. quia hzc munera competunt illis poten pos rationem ambabus communem gs fob earum immaterialitatem; Si tandem requiritur (quod principalius eft) quod otétia det effe obiectiuum rei, qua reali rer non eft,ncc cífe poteft, adhuc neque: hoc deficit voluntati, tü quia poreft vo  luntas impoffibllia;etiam vt talta ab intel Ic&u often(a, appetitu faltim inefficaci appetere,vt docer Scot.2.d.6.q.1.quara tione tenet. Fuent. cic. polle voluntatem  ens rationis efficere; tum quia (quod ma is vrget) poteit voluntas ex fua libertate  Pocta in obte&o fingere, vbi te vera  nonrcpcritur, nec reperiri poceft, neque vt bonum ab intelletu proponitur, crgo poteít taleeffe obie&iuum bonitati tri  buere,qualerequiriturad ensrarionis CÓ wii nes onfcquentua pater,quiaim  rali ca(u voluntas eft,qua primo fingit nitatem in.obie&o, vbi non ett, nec cíTe poteít, non autem ipiclle&tus; per quod excludicur commumis rcípontjo Recen tiorum dicentium; quod licét voluntas in terdum tendat im bonum, quod re vera tà le non eft, tamen ipfanon fingit tale boe numy;fed (upponit iam cófictum ab intele  le&u,& propofitum pet intellectum; af (umptum probatur ; quia in fentétia pras fertim Scoti przter finem veram, et ap parentem datur etiam finis prafi xus, (e praititutus in T.d. f.q. r.arr. 3. et 4.& eft quando obieQtum 'pracisé e(l à ratione oftenfum fub ratione mali, et voluntas ex fua libertate illud (ibi pratigitGraquá finé, nom quod voluntas feratur im malitiam pet fe;quia hzc non cft obie&um profe cutionis,(ed quia oftenfo obiecto volun tati (ub ratione mali,& ex alia parte oít& fa rationc boni vel in fe, vel in alio obic &o; poteft voluntas bonicacem illi obic &o affi gere,quá tfi pon habere prius ofté dicis inb Qt, et (ub illius bonitatis praetextu obicétum illud in (c malü acce ptate j de quo agimüs ex profeífo dilp.7 Phylic. q. 8. arc. z. ticuc igitur probabile  eit dari hineii praefixum; et clTe (ufficiens voluntaus motuum; non tantum bonum verum»   &flertionis fundamentum; quodE " bando diuerfis cxpetientijs | externos ensrationis cflicere poffe CRM colores in Iride, vitro triangu  . lari,collo c .W" LA pparenss(ed eti pra ftiturum, ji prob sodes oaept eft volunta s rationis efficere poffe hide uimur,& hoc eft praecipuum huius Aci aii fruftrà e Poncius hic, cui occur  P Rx D  gimus difp.2,Met.q. 9.art. 1. à .246.; 7 Solumtur Obietliones | $3 TNoppofitum obijcitut Primo pro t (cn(us ; Vi. X£, concauitates in pi | €&uris,vnum,& idem obie&um multipli v rm o oculo ex parte (üperiori infcriori,& alia huiufmodi, qua à par / Hw    retci non exiftüc 1n obiectis vifis)ícd cà  ..   tum in €a cognitione, qua exprimuntur, X dt LA N dei     Confitmatur;quia in his cafibus, et alijs  multis falluntur fcnfus cxterni; quis hoc . ncgct at per omné actum falfum fit ens  rationis inquit Arriaga cit. quia ftatim ic  fe /  apptehendendo ncgationé illam per mo . E. dontigrR poütiuz, et cnübl ; . potentia fenfitiua non attingit, nili obic  a&tus cit (al(us, obiectum citis non cít parte rei, fed tantum in illa ip(a cogni nc . Demura oculis videmus no adcf m, quod vtique fieri nequit y ni fi  " lis »quia &um fen(ibile id autcin. cft ens ratio nis machinari . Refp. iam ex di&is patere, quomodin illis, et (milibus expericntijs nihilfin. . gitur ab oculo, quia ipfc non habet vim compon: ndi cucüitatem cum remo, par uitarem cum Solc;colores cua Icidc, &c. fed re vera exprimere, quod illi per (pe clesobijcitur antecedenter ad a&um vi fiónis, hzc igituromnia non (unt obic &iué tantum un ocuio, (cd veré à parte rci, non quidem (ccundum cfc reale, et fubie&tum inillis obic&is [ed (ccundum cflc rcp lc; et intentionalc, quod variatur iuxtà variam (pccictü » vel etiam ipfius organi iaxnütacioné, ficut paries, qui à parte rei eft albus;pofito ante ocu los vitro viridi ob imiputationem (pccic rum, que per tale medium deferuntur ad oculum,eít viridis,non quidé realiter,fcd tccundü cffe repra(entabile; et hoc (ufl gur. en filus imellefuseffciat eut rationis ct. 3i cit ad foluendgm argamétam ex illis ex^ periétijs dedu&ü, namexplicare vade ia fingulis proueniant illa appatentiz,vt du. plicitas obie&i inoculo compretfo,colo resin collo colamba,concauitates in pi. &ura;(pc&at ad libros de anima; videatac Amic.qui cra&t.5. Log. q.3. dub. 2. art. 2. fingula explicat. Et quandoetiam concedceremus hzc omnia exiftere tátum ime vi(ione, qua exprimuntur, adhuc bis  da foret confequentia, quia vt fepe dici eft;ad ens fenüibile equiaalens enti ratio nis non (ufficit,quod videaturid quod na. ' eft,iíed quod etiam illud tit inpoffibile, ficut apparct; tnodo nec colores apparés tes in colio colua;bz, necremi cacairas z,S& alia huiufmodi apparentia funt impof fibilia,qua rationc conuictus Arriaga có ccdit perfenfus externos ficri non potfe. ens rationis impotlibile, (ed tanti illud, uod actu à parre reinonexittit, licet it poflibile : Atiam ex didtis conftat hana... fitam diftin&ionem de duplici entc ra tionis penitus implicare, quia realispof fibilitas repugnat enti rationis, vt fic. m Ad Contira. in hiscafibus, et fi milibus re vera fenfus nonfallitur, quia apprehendit illa obie&a, (i non vc süt,(al tim vt à parte rci reptatíentátucá fpecic bus;vndé vifus apprehendit folum appa renuam illamcolorum v.g. in collo colü bz, inquo falíiras nulla, aut fi&io inter uenit; quia à parte rei ità fitrepraícnta tio per fpecies; quare fi erroc intetuenit, hic potius erit imaginatiuz, vel. intelle &us,vt conliat in exemplo vuarü à Zeufspictarum; quas aues cxiflimaruatc verassg i&lintet à Parchafio depictiquod Zeufis ipfe exiftimauit verum, nà in his caibus: vifiua non e(t decepta, quia vifio veré ad yuas pictas, et lineum pictum termine. batut, Ícd exittimatiua tancü,vclintelle ctiua ob fimillima accidéciajiaió neq; tellectus ip fejant imaginaciua fallercturs li cius iudicium feratur non fupra obiecti exiftccian, (ed (upra (olam eiufdé nip rétiam;quia tunc iudicaret, quod veré à parterci apparet. Quod fi iaccidum fale latur ipfc intelicctuscum ipfo séfu:adhac obicétà talis (cofationis; auc intellectio nis non erit cns rationis, quia ve (4e bur 322 impo(fi bilitaté ad exi (t édum.à parte rer. qua ad ens rationis requiritur, vnde ne. gatur abíolucé,quod ait AC RUE Cue actü falí((um ens ratioats coltitii, Ad Confira. vltimam 'a(Tü ptum, nullus fiquidem fenfus; przfertim cxternus, percipere poteit negationem actu po(itiuo,ícdrantum percipere fa bicéctum nó cognita forma negata ; atque ità non videmus tenebras in acre. ficut neque flentium audimus in folitudine, fed per carentiam actus. dumtaxat id di cerc (clemus abufié . $5. Sccondo obijcitarprobando ficri líe faltim per feníus internos, et prz Lie x capui im »Icu phátafiam ; Tà quiactiam ip(a cft porencia collariua, vt Scot.docet 1.d.4 $.q.vn.in fine; et habet virtutem ncdü obiectiué coniungédi, ve compoffibilia fuot, vt cum ex connc xione fpecierum montis, et auri fingit montem aureum, fed etiam incompof fibilia, vt cum cx connexione (pecierum hirci; et cerui coiungit illas natutas . Nec re(pondere valer phintafiam vnire acci dentia cxterna illarum naturaram,non ip fas naturas. Quia phantafia format (ibi ebicéctum,vt ctl cognitum ab intelle&u ; quia quod intcllectus intclligit ; id ipfum phantafia phantafiatur, (cd iatellc&us in io cafu non fela accidentia externa coniü fcd et paturas,ergo &c. Tm :. quíaimaginatiua potcft concipere lineà quàá dam infinita,quaz implicat, et alia huiu( modi,vt [patum realc extra Cclum, qua ratione Dialectici dicunt ens unaginàbi le magis ampliari quàm ens po(fibile; Tü 3.cx Arriaga interdü tall tur. camis cepu  tansvmbram hominis cffe hominem illá, à quo vapulauir,& aufugit imaginando ab co,quod videt fuifle latum,at coniupgé do percuflionem cum illa vmbrasvt cum cauía c fficiente profe&tó impollibilia có iungitsquia cum vnibra (it nihilynó poteft darc ictus. Tum 4.«x codcm, dum quis videns àlonge ítatuam piat efe homi nem;vtique habet hanc apprehen(ionem, quod ille cft homo;at impollibile eft ho. minem cflc (tatuam, ergo faz pius phanta fta apprehendit vnioncan, fcu 1denatatcm Diput.1 LI. De Ente Rationis. &üme(t, obiectum fenfaum non habet. reram impoffibilem i»; .:$6 Rhefp. non e(fe ccrtum pun lic potentià formaliter col. t iuam, nam loc.cit, 1.d.4$.66 4.d.49.q..  r.relinquit fab dubio, quin potius fitum aperte alib TW nn Dx EE. et in 44.3 5.Sc in 4d. 43.2. vbi Tatar.&c d.45.13 que toca pouderat Bargius in 1d. 2.0: 1.8. Quinto dico, et quol. 17. C. cum innuit vim collatiuam oriri ex ime materialitate potentie, et cum dicitur phaniafiam coniuogendo fpecies montis, et auri componere montcat aureum, et il lud atingere,vt quid vnü, inquit Bargius cum Tatar.illud tantü attingere velut có plexum indiílaas, .i. fine co do,quo oculus tine formali complexione atungit Petrum currere, dumactuillm 'det currere,non autem velut complex ü Itans, icum copula;quafi attingat for malitct vnionem illorum;vnde iuxta hanc viam, quam ku q.3.n.28.cum aiijs mod : ] (o docet Brafau.q. 13.quol. (à quó,vt eius moris eft,Pofnan. 1. d. 5 5. difp. 1. vbi de hac re agit, totam ttanfcripüit quz (tionc fuppreflo nominc) plana r collatiua formaliter,& proprie, nec dici" tur componcre chymceram, qua(i attingat.  fua cogniuone illud aggregatum forma liter, quatenus eft quid co.npotitom ; « vnionem illam in ratione obie&i; (ed dici tur cam cóponere matccíaliter.; quateaus fimul,& qua(i vnica a ionc attin» git partes, ex quibus chymera reulcat, quas antea (cor (im coguouit, et iuxta hác viam on.nia illa arsumenta ruunt, vtpote qua fupponunt pbantatiam effe potentia. formaliter collatiuá et attingere formali  ter vnionem duorum in ratione óbiecti. $7 Scd quia hoc plenius difcu ctai ad librus de/Ainm; nunc phanta(i am. ctlc formalttcr c uam;«uia tamé non egreditur Irmites po tenug (enfitiuz,plané cópenetc nequit nifi fpecies (en(atas,vt Scot.doccet 1.d.3. Mem Qumto dico,quate in compos tione chymere, et hircocerui folum ate tingere poteft vnionetn accidentiunsqug vtique pottibilse(t;nonnaturarü; &ad inttanuam ila m dicendum efl vecum ef fe apud Scoti. co mo«s ; » difp. 2. tors Gat gage ah ;  anoett virtus : ? Ld : at D. | 10d cum intelleQus operatur, etiam iantafía dd fed circa (uim obie 9 n, quod fenfibilitatem non tranícen . . dit, vnde cum intelle&us intelligit natu. masincompoffibiles, phanta(ía coenofeit figuram, quantitatem, et accidentia ex terna illarum. Ad 2,negatar a(fumptum cum potius experientia confiet cognitio nem imaginatiüz ferri ad obie&tum cum aliquo termino, quia ex modo eius ope . randi concipere nequit obie&a, nifi in determinato loco, fizara,& (im.libus, vt nótat Amiccit. qui etiam ait imaginabi . leex vi imaginatiuz won latius patece, quàm ens poífibile, quia dicit quantita fuo tem, fpi n fimilia, quz fant poffibilia, fed inotdinead intelle&um magis Jaté patere, quia. comprehendere potc(t fi&itia, et de hoc intelligi di&um Diale . &icorumr . Vel dicendum potfe phinta fiam concipere lincam, et (patiur infi .PREPIOM : . zc mitum/íyacategorematiciof; quod nó im pficat,non vccà cathegorematicü, vt di R: imus in Phy(icis. Ad 5. (u» nitur fal . rafía(uffodere fpecies non fen(atas,qua " lisef fucctes inihicitie Ic imt dns ... Door (upracic. loquens de 220 tefpc &u lupi ; falfam itemett canem vifione atingere vmbram, que eft mera priui tio, et cum ea coniansere perculTioné,  et cum efficiente caufa, quod igitur in "vmbra percipit,eft lomé ipíum fecunlá, et ipfius luminisfigura, qua terretur ob (imil tud:nem; quam habet cü figura bominis, quo vapulauit, et cam ca con ^. Aogix pecie percu'Ti onis, vnde nunqua   mttiggit, nifi vnionem fen(ibil um acci  gii resi eee Ad 4. intel c&us ui facit illam cómplexionem; .'phantaliavcró camnon fe profundct ad fubitantiam, ftit in coremplationc ex ternz fizure hominis, et ftatuz,& cas ob fimilitudiné coniangit adinuicé, et earynionem attinrit, non Yeró naturarum. T $8 Dices Me adtdun (altim per 1 modummemoriz,& remiaifcentie po(fe cns tationis efformare, quía remuifccn do ia ue rem;quz non cft, (ed fuit, et facit ionem quandam fupra a&utm aam prateritum ; cx qua refleai ("A Ne necu  füm io argumento quod .(. poffit phan fultare folet ens rationis;ita .n. formatur ab intelle&u. Refp. licét Cópl. cir. n.29. probabile cefeant cogitatiuam, et remi nifcitiuám ob maiorcm quandam cóiun Gionem, quam habent cum intelle&u in bomine (upra ceterosfenfus, pose ali quod ens rationis efficere, tamen quia Ob ralem coniun&tioné non eleuantur il l;feafüs cxtra fphazcam fenticiug poten ti, vt fapradictam cít contra suarez; praftat id potius abfoluté negare, nam quamuis poffit imaginatiua per modum remimfcentiz cogao(cere obic&tum; vt antea recognitum ;hzc tamen non cft re. fl.xio cius geaeris, qua ficri folet ensra tionis, quia illud apprcheadir (oli quoadan eft recolendo antecedentem act co gnitionis,non autem recogirando quidua tuccit tale effe cognitum in obic&o. ' Tertio obijcitur cx Suarez, quód ne queat voluntascfficcre ens rationis, Tá quia etli (zpc appetat rd, quod noa cft re ipfa bonum fed tantü appareucer; üihilo minus ctim non det ipfa illibono apparé tiefe obie&iuam,fed intellectus, no po terit voluatas dici fiasere illud bonum fd potius ferri in illud iam fi&um ab in tclic&u. Tam 2.quia cum votuntas fit po | tentia ceca, füppponit obie&um propo fitum per cognitionem, fiuc fit bonü | uz apparens,ergo cü non faciat obiecti, fed illud (upponat, inepta jrocfusett ad cas rationis efficiendum. Tum 3.etiamf(i voluntas poit vnü ordinare ad aliud, ad quo4 non eft fuapte. natuta ordinabile, non format noua relationem ordiais in tali mcdio, quz (it eas rationis, (ed rantit refalcit ineo fao modo denominatio ex« trinfeca rclatiua, vc paffim refültant ex a&tbas aliarum poteociarum, Tà 4. quia etiamfi poífit vlterius voluntas reflecti fapra fuas denomiaationes extrinfecas im. obic&is dercli ctas amati, voliti, ordinari, &c. ficut intelle£tus fupra fuas;tamé per talem reflexionem nonillisatfert nouum.   eife rationis,ficut intelle&us, quiillasap uer. vrquid. exiitens. iP um tádem, quia intellectus tationis a firmando, quod z gando, quod cít,& hic voluntas autem accedit lebie&o, quod non eft illud efficere. $9 Refp.exdi&tis non tantum bonü verum, aut apparens effc fufficiens volü tatis motiuum, fed. etiam bonum : prafi xum, licét ergo quando voluntas tendit in bonum apparens peccádovx ignoran tia,fictio fc teneat ex parte intelle&tus, tá quando renditin bonam przfi xum pec cando ex mera malitia ; fictio non fc tc net cx parte intelle&us, quia ipfeoftcn dit obic&um malum, et (ub ratione ma li, fed totaliter fe tenet ex parte. volun tatis, quz non obftante intellectus ofté fionc cx mera füa libertate applicat illi obiecto bonitatem,& illud bonitate fal. so indutum fibi przfigit, tanquam finé, om caíu peccare dicitur ex certa mali  Ad 2. patet per idem, quia intali cafü m fibi obicctum, in quod tendat . ces, ergo tendit in incognitum, cum talis bonitasnon fit ab intellecta in illo obiecto oftenía, Negatur fequela, eftomamque intellectus non oftendat. boni zatem in tali obiecto, cam tamen oftca dit inalio,vel in fe abftracté, quod füffi Kit; vt voluntas poffit eam applicare obie eto'?ropofito, vt malo, nec ob id dicatur "Éctri in incogoitü, vt declaramus in Phy  fica dilp.cit. Ad 5. veram eft actu. dirc €to,quo primó vnum obiectum ordinat, et comparat ad aliud non refültare ex vi zalis comparationis actiuz in obiccto, nifi excrinfecam denominationem cópa. rati tamcn n co fic comparato;& deno m per aliam actam quafi re, caufare refpectum rationis ; vt aicclarat Doctor 5.d.26. q. vn. E, Ad 4., negaturaflumptum, nam vt docet idem 3Doctor quol.17.C. quemadmodü intcl &clicctus (uas denominationcs cxtrinfe €as apprchendédo ad modum cniitim di «iur illas cff c in entia rationis, fic et volantasidipfom facere poteft. acce prando (uas, nam acce obiectum €o ptacisc, quia ab alio,vel etiam à feip cft amarum, tribait illt extriníecz de nominationi etíc quoddam rationis ni mirum quàdam rationem boni, et ama bilis, ob quà mouetur ad illud obiect ecceptandum, A d s. qua céfetur ratio à priori ex diucrío modo tendendi int«llc &us,& volütatis de(umpta, negatur a(2 fumptum effe vniuerfaliter verum, quia non folam per iudicium,(ed etiam per ap. ptché fionem incomplexam fit ensratió nis,vt dicemus art. feq. quando nimirum. obiectum non habet aliud effe,nifi cogai tum in ea,quod autem voluntas operetur accedendo, ve] recedendo ab obie&o nó refert, fufficit enim, quàd illud obie &um non habeat cffe in (e, (ed tantum in voluntate. At Dices, id implicare,cum enim non feratur in incognitum, fed ab izzelle&tu propofitum, nunquam dare potcít pri mum effe obicéto, fed potius fertur in il lud ià datumab inteliectu, et conlequen ter eít ens rationis [olum in ordine ad ja. telle&tum. Refp. iam oftenfüm efe, in quo cafu poffit voluntas dare primü effe Obic&o; et adhuc conceffo illo antece dente deberet negari con(equentia, licet enim ens rationis non fic luntate, adhuc camen fao modo fieri pof fet fe vtbene aduertit Arriaga cit.   0.37. ficut Adaerfarij concedunt iudiciür fuo modo facere ens rationis, licet füp ponatur ta&ü ab apprehentione, vt mox dicemus, et ficat omnes fateritenenturs   perrepetitos a&uspo(Te ab codem in telle&tu idem ens rationis (cpius. fieri« Ouuied. controu. be ea un&. 6. n.7fatetur ingenué rationemallatá, cui  JE fidunt, et prafertim oncius,non concludere igtentum, quia licet itionis non fieret primó à vo luntace adhuc tamen fuo modo fieri poí fet (ecundo ; vede ex alio capite probat voluntatem ens tationis cflicere nópof. fe,quia aequit przftare rebus eíle obie Guam, et inteauonale;quod fundamcn tum eflc fai(am ofteadunus di(p.z. Met, q.9.art.I. n.248. i  Refolutio quafiti de aiu, quo ens  rationis fit. 6o | g geom Primó, ens rationis in vniuerfum fieri per. illum a&tum intelledtus,quo per modi entiscócipitur idjquod ui re nQ babet egucatea, feu (vt de j euam fieret primó àyo Am. "o NT P DU ES x pera&em illum na&us voluntatis comprehédatur) pet ilum a&umy ex vi cuius ita ali d exiftit obie&tiué in ea potentiaycu eft a&us,vc extra illam nullam pror efle   É mpeg jbic ves poteft abfolutus, vel collatiaus, Pig ds, vcl reflexus foxta exigentiam entium tationis, qua . Concufio fequitur ex didis q.2art. 1 de formalita teentisrationis, nam fi ens rationis jl fudcft, quod habet tantum effe obic&i mum in potentia, à qua fabricatut, vtiq; y cx vi cuius accipit tale effecbiectiunm ; et cum in SE intellcétu talis a&us fit ille,quo per mo |... dumentis concipitur, quod in re nullam | prorfusentitatem habet,plane per hunc . eundem a&tum prodücetur ab eo ; et ita ficri ipfa experientia docet, cum enim a&u fimplici, et pofitiuo priuationes |  megationcs, et alia impoffibilia, item et |. sexrpDfecas denominatienes, quz om (v miafuncentia rarionis mate,itlia ; conci l pimus, et efformamus in entia rationis |. formalia, viique illa concipimus ad in ir veri entis,ncmpe czcitarem» vt pra iam organi difpofitionem ;. tenebram vt actipam in Ucoj, et relationem quád adcreaturam, et vificnem paffiuam in paricte vt aliam relationem a&iuz iu oculo cortefpondentem, et fie de alijs, vt difcurrcnti con(tabit : ^ 61 Quodveró hic a&us entis ratio nis tormatiuus poffit effe abfolatus, vel comparatiuas direétus, vcl rel exus,iux ta variam conditionem entium rationis, (ant facienda ; Prob.quia omnis rc latio tationis fit per acá. conferentem, velordinantem vnum ad aliud, ncc aliter fieti pcteft, fi enim denominationé ex ttinfecam Crcatoris in Deo volumus in ens racionis cfformare, neceffarió con ferimus Deum cum creatura, vt relati uim cum fio correlatiuo ; € contra ens rationis abfolutam (quod infra concc dendum effe oftendimus) fit conci pien do aliquid non in ordine ad aliud, dum enim tenebra concipitur, vclut forma cxtenía per aerem, nalla profeta imer uenit comparatio tenebrz ad aliud, vt Keri can aeris difpofitionem, creationc Ba o. | a IV. Quoatia fit Éns Rationis. 1L. 325 adtermimum, Rurías quia malta (ur entia rationisquz fundantur in ipis opc rationibus intelle&us,vt fuat omnes in tentrioncs logicales, hecomnia fisci pc tunt per notitiam reflexam, tunc enim proptié efficiuntar,cum intelle&us reflc &endo concipit denominationes ortas ex priori cognitione ;nobic&to ad mo dum alicuius relationis, feu formae in^ wimfece ; éconrra vero alia entia ratio nis, quz non hibent pro fundaméto pro ximo denominationcs extrinfecas co gniti, abftra&i, et alias ex »&ibus intel le&us ortas, fed immediate fundat eas intelic&us (upra i pfam entitatem tcalé vt relatio creatoris et (imiles, fieri ha t per notitíam dirc&am aon inuo luentem reflexionem circa aliam pra uiam cognitionem., Sed obijcies 1. quod omne enscatio nis ficri debeat per notitiam compara tiuam;quia fit per eum actam, quo con cipitar ad in(tar entis realis ; ergo lem per concip:tur comparatiué ad aliud, et ex a&u collatiuo cop(urgit. Sccundog» femper fiat per a&um reflex, nà actus intelle&tus, quo fit ens rationis, (emper fapponit alium actum eiufdem intclle &us, vt enim paries cognofcatur v.íus, fupponitur cognitio alicuius vi(ionistec miaatz ad ipfum ; vt. fiat hircoceruus, fupponitur cognitio hirci, et cerui, et cum omnc fiat ad inftar entis rcalis,fem per (upponit cognitionem entis realis. Tandemé contra videtur nunquam fie ti poffe per a&um reflcxum, quia actus reflexus non facit ens rationis, edattins git illud iam fa&um per priorem cogni tionem directam vt (upra docuimus q. 2. arc. 1,in fol.ad t.cum Do&ore Met. q. r1. et 2.d.1.q. f. B. 62 Refp. negando a(fumptum, quis enim intercedat aliqualis comparatio in formando ente rationis, non tamen irt tercedit illa comparatio, qua refertur vnum ad aliud, vt ad füum retmint qua: proptié cft comparatio, et per a&tü € latiuum fit vt bene notauit Auer(a q. f» fec.6. fed tantum concipimus. vnum fimilitudinem alterius, fic dicimus v.g. concipere tencbram in acre pet compa» rado 3426 » Difput.1 I L De: Ent Rationin d e ": rationem ad lucem, quia eam concipis mus extendi pet aerem;, vt loler extendi lux,qua proprié non "n some a. IUS 1mitato ; quo Concipercaus eebrén i acre A quendam reípc é&om ad lucem. tunc vrique hac foret  vera comparatio,& rcferétia ad lucem, vt ad terminum, et eficr ensrationis pro pic fadum per notitiam comparatiua ; ob illam tamen aliqualcm comparawo nem dixit Suarez. nu. 16. actum torma tiuum cotis rationis effe aliquo modo có paratiuum,& forte etiam in ho fenfulo cuti funt scotiftz iili ; qui dixerunt ens quodcunque rationis actu collatiuo fic £i. Ad 2.fi actum rcflexü fümamus pro cognitione quomodocunque aliam prio rem fupponente, lic dici poteft omne ens rationis ficri per actum reflcxum, fiquidem necettarió illi fupponitur cognitio  entis realis,ad cuiusinftar cfformatur ; fed t1actus rcflexus fumatur propriéypro co.(quo intellectus (e reflecut vel fupra fc cognofcentem vcl fupra obiectum ; vt à fe cognitum, vel fupra actum ipfum co gnitionis (inquo fenfu proprie diftingui tur ab actu rccto, non autem in priori » nam di(turfus fuppon.t iudicium, et hoc apptché (ionem, et tfi tá indicium, quàm difcuríàs actus recti funt, cító etiam ipfi potlint cle reflexi) (ic non eftopus om me cns rationis per notitiam refiexam "fieri. Ad 3.iam ibi q.2.ar.2.in tcíp.ad in ftanriam factam cotra (olutionem£ecü di principális $lené declaratum cft, quo " s&lu dicat Dóctor cns racionis fieri per notitiam directam, non vero rcílexam ; nam loquitur. de notitia reflexa mere . fpeculatiua, non autem de rcflcxa pra; etica, et factiua,"u& in tanuunin appellas tur directa, quia per ipl am primo intel. ligitur cns rationis yt 1bi dicrum eft. ^ 53. Dicimusfccundo, entia rationis fpectaetia ad materiam propofitionis, et dilcur(us ficri potle p. tres opcratio ncs incellectus dittributiué, alia acmpe per primam, alia pcr fecundam;alia p ter tiam;fpectantia veró ad formam, vc ge fus,(pecies,lubicctum, praed icatum; an tecedens,coníequens, &c. fiunt per pri mam dumtaxat. Conaufio duas habet partes, et quoad vtramque probatur, .&z explicarur, potet enim intellectus ap endete teciminos repugnantes, vi cá cócipit aluum Deum à Deo vero di(tin cium chymeram;hircocceroum, ac alios terminos incompicxos repugaantes; po teíl iteni componere propotitiones fal« fas, et repugnátes,atfirmando, quod im poffibile eft, et ncgando,quod nece(fa rium eft, vt homincin elfe brucum, ho minem non eíse animal; poteft denique prauos efficere difcur(us ex aliquo ante cedente deducendo, quod nullo modo fequi potefl ex ia j tic autem apprchen dendo iudicando, et inferendo fingit di recié idquod nó cít,nec e(se porett,qui enim dicit equus eft rationalis, non fo lum concipit equum, et rationalem, fed etiam vtriufque identitaté realem, qua nullibi eft,nifi in illa cognitione, timili tcr qui ex vno antecedente deducit con fequens,quod ex 1llo fequi non potett, non folum concipit jO&con (cquens, fed etiam confequentiam, qua nullibi ett, nifi in illa repraíentatione y idemque dicendum in apprchentioue, » termini fimplicis repugnanus, curnihil   corrc(ponderà parte rci, ergoobiecta  horum actuum veré funt enua rationis dirc&té fabricata per illas.Et in hoc fen (u cantum admitci debet (ententia (upe rius relara initio quettionis, quz affere bat intantum per (ecundam, et tertiam operationem entia rationis fieri, quate nus intelic&us falsó judicat, et malé di fcurritjalioquin abfolute loquendo non bene rem explicat, quia videtur velle, qe propoliuo, et (y logifinus non fint entia rauonis,nifi quado propofitio eft fallas et (yilogilinus prauus, quod quidem fal fum cft ; nam fiuc propoditio fit veraífi  ue faifa,tiuc con(cquenaa tic bona, fiue mala;propo(it:o in ciíe proponaonis, coníc.ucntía in cflc contequenrig funt entia rationis formalitec, quia lunt no mina (eccundarum i0tenuopum logica lium, füb qua tamcn tocmalitate racionis nàfiunt, nifi per primaui opcrat;ionem vt mox paicb:t., 64. Altera vcro coclufionis pars, quae eft cotra l.eccntiores omaks ale: cnics [ccun » gGq. i(  fecundasintem.iónes logicales ad fccü dam,& tertiam intelle&tus operationem Gantes, vt funt prz dicatum, fübie Gum,con(equensconfequentia, &c.fic fi per illas nom tantum fundamentaliter, fed etiam formaliter, Probatur cuiden ter,' et inptimisquód entia rationislo gicalia ad terminos (implices attinentia, «f. vniueríale genus, fpecies, fiant forma liter per primam 'operationem cx Ad uerfarijs concedunt quamplures, et faci leprobatur;qtía cum intelle&tus cogno .. fcittermibum fiinplicear, non eo ipfo fit .. ensrationis » (ed tantum habctur actus extrinfecé denominans illud obiectum | . eognitum; et fi res cognofcitur abilra €k?ynon eoipfo habetur ensrationis, qp dicitur vniutt(ale.,. (ed tantum habetuc b denominatio extrinfeca qua obiectum |   denominatur abítra&é cognitum ; tunc   vero habetur ens rationis formaliter,  pe dicitur vniucrale, quando illud ef .. fecogaitüabftracte concipitur in obie &o pcr aliuma&um reflexum per mo dum alicuius forma realis in re ficab / ftra&é apprehen(a . Eodem etiam modo probatur alia quoque entia rationis lo . tia, fieriformaliter per intelle &us operationem, confiderando .n.iu dicium, quo: affirmatur hbomirtem e(fe animal, hocipío a&u non efficitur ens .. rationis (ubic&tum, przdicatü, aur propofitio, (cd tantum hábentur denomina woncscxcainfecz, qaibusanimal deno minatur affirmatam,& praedicatum ;ho à fubieóétuin, copula connedtens, qua denominationes extrinfece. defümuntur  aba&u intellectus przdicanus,fubijcien ti$, et conneótentis duo in aliua enün Ciationc. ; tunc veró in entía racionis cf. formantur, cum intellectus concipit. effe fubie&um in homine, et predicarum a animali, et connexionem in copo! per modu relationum reali $ fic etiam agtecedens,conícquens; et có. fequentia non funr cntia. ratiouts pec ip« fammet a&umn illudonis, (ed folum dc nomunationes cxtcia(ccz. quibus vna» propoltitio deaominatur antecedens; vc) EDuef. IV Quo acla fiat Ens Rationis. rt, inferens, alia veró confequens, vel illa ta;tunc veró fiunt entia rationis, cum ct» (c inferens in propofit;one concipitur per modumcuiufdam relationisadpropofitionemillatam, &cilecon(equensCócipiturinpropofitioneillatapermodum alteríuscorrelationis5omnesaatéiftafi&iones,quibus.£.c(Icpraedicatumituradmodum formz realis in obie €o, císc antecedens, vcl confequens in propofitione, fiunt per. primam intelletus operationem quía vniuecfaliter de nominationes extrinfecze. non apprchen dütur ad modum exis ; nifi per primam operationem, et per cóceptus fimplices. um ergo omnia entia rationis logica lia non folum ad terminos fimplices fpe Gantía, (ed ctiam ad formam cnuncia tionis, et diícuríus fint extrinfecz de nominationes proucnientes à diucrfis a&ibus intelle&us, et denominationes extrinfecz concipiantur permodum en tis per folam primam operationem, quia fola apprehenfio cft entium, vbi iudiciü, et diícur(us (unt ctiam non entium; con fequenter hzc omnia fient entia rationis formalierperilam. 6$ Conficmatur, quia licet relationes rationis] important enunciatio,& argu . mentatio;in cocrero,& in actu exercito, quatenus nempe'applicantar a&ibus iudi cij,& difcucfus;quid complexum impor tent ; tf in abftracto, et velut in actu ti pe ét ipla (unt quid incomplexum,ná itudo, quam dicit prezdicatumad fu. bic&um;ctiam vt actu pra:dicatur,& có fequens ad anteccdcns,ctiam vr a&u in fertur,c(t qid fimplex, et incomplexü ; cum non üt,nifi quedam rclatio rationis, vt ctiam concedant Complutcit. nu. 2 j. €'20 nó íunt obic&a improportionata;a pinna operationis . Aduczríus hinc conclofionem obij« cies t. prob»ndo per primam operatio« nem nullum fizri poíse ens rationis; TG quia irea nulla datur falíicas: at ens ra tionis fir pet actum tal(amjquo nimirum concipuatur res alicer, quàm fic » quara tionc cootendirHurtad.. cit ficri foluu per iecumdaim operationem « Tà: quia tanco magis videtur inepta ad entia. rae uonis oEsticnis precise fufficic, vt $29 tionis conficienda, qux fpe&tant ad enü ciationem,& difcurfum; quia illa omnia; funt complexa;at prima operatio cft in complexorum, qua ratione videtur nec efficcre poíse entia rationispuré fiditia €bymeiam, et hircoceruum quia fieri nequcunt, nifi per compo(itionem plurium naturarum incompoffibilium,. quz compofitio. ad fecundam fpc&tat eperacionem .. Tüm demum quia (i. per primam operationem enc ratio« mis etam fpe ja ad lecundam, et ter tiam, crgo per iftas nullomodo cfhiciun tor, (cd potius factainueniuntur. ex vi folius prima  l'efpncegando minoré, quiaad ens ic&um, quod eognoícitur, noh habcat eíse, nil ^in intcllectuj quomodocunque id contin. gi et hoc vuque iieri pocctt per prima epe ratio. icitur autem in formatio nc«niusrationisconcipi resaliter, quam fit; non quia femper contingat in ca pro gria,& formalis fal(icas,a ffirmando, ni m'rcm de re,quodnon eft,& negando, od cfb, fed quia imteruenit. poiius; ina zquatio quzdá, et improprierasappre shendendo rem non per proprios. concc ptusícd cxcrancos,& conorariuos, quod€ft concipere rem aliter) quàm fit, quafi przcifiué,nondiuifiué,vt diximus: q. 2. Gt... in./ol.ad 1..Ad zpatcrex ditis., quomodo ctiam illa ipfa entia rat:onisin 'abftracto,& fccundum fe.fint.incomplc xayquod.co magisafTerendum eftde chy mera .& hircoccruo,«qvorum partes in» «ompoflibiles inicllcé&usnon componit effirmspdo vnam de alia,qoe compofitio fpcótat ad (ceundam: operauonem,. fcd apprehendendo.lla duo;.vt vnü.per fim plicem |. et incomplexam attingentiam wnion.s fide inier illa... Quod fi: ctiam. entia ration. s(pcétantia ad formam enü elationis,,& difcurfus (rcum ab inttinfe $0 al:quam adferrét complesionem, nó: adhuc ferent prorfus. improportionata. obicétá prim: operationis, quiahac (uo: modo extenditur etiam ad complexa is datur.n. apprcheniio non folum tecmino: mm fimplioum fed etiam ant pee gofitionisablueafsenfa wel disen(u, vc Difn.IIl De E Raimi 0 0c docet Scot.2,d.6.q. 2. et quol, r4. atciez 2. vbi inquit,tunc apprehédi propo(itia nem,vcneutram ; Ads.etiamcex di&ti$ conftat cnunciationem., et argimentae tionem po(se dupliciter confidcrarivelquoad formam, pro ilHa.f. ordinatione, s pre dicati (ubic&ti, et copulz in enücia tione, et propolitionum. in argumentae tione ; vel quoad materiam.t, quantum ad veritatem, vel:falfitatem conncxionis: przdicati cum fübicctoam propofitióne,. anteccdentis,& co n(equentis in argumé tattone : fi primo modo confiderentur,, fiunt per primam operationem, quia illa. erdinatioeft relatio qua am limplex ra. toniSqua repericur. in omni propofitio nc; et argamentatione, fiue vera, fiué. fal(a ;.at fecundo modo fiunt à fecunda, wcl.tertia operatione, quando fünt falfz,. quia in tali cafu: intellcétus connc&it plu. r4, quz inter fe: connexionem ied m bent, vcliudicando, vcl:difcurrendo, vn d? codem.ipfo actu direéto: iudicandi 5. vel di(currendi fiunt. iflz complexiones. fiCutiz, et falfze .. 67. Atinftabis;ctiam quái üfpe&tatad:. ! matetiam propofitionis nihil rationis de: n0»0 cx. parte obiecti fidum additur ini fecuoda operatione,.quod non fuerit in: rima,ergo enscationiscomplexumnule  o modo fit per. (ccundam operationems. quia cuam quatum ad: materiam reperit. illud factum per primam, probatur a(sü prum;quiain hac propofitione bomo eff. brutum, apprehenfio przcedit iudicium;, et per. apprehé(ionem actingit incellectass ncdum extrema realia,. (ed. etiam vnio» nem corum,.qua eíl meré ficta exmo» dó d:cus, cum ergo bzc vnio fingatur à prima opcratione, nilil rationis remanet: addendum obiecto per fecundam ; fimili ter. poffumus arguere de tertia .. Refp.. negando atfumptum,. ficut. n. ex parte actus (fecunda operatio addit aliquid pri ma, nempé determinationem quandam. cognitionis per affenfum, vel ditienfum .,. ità.cx parte obiecti additur., g» determie nato.modocognofcatur per affirmatio» nem, vcl negationem, vndó dicetur facere: ensrationis quantum ad hunc pcculiareas. modum deierminauonis, dum afirmar; quode » 1: c "^ vr. guod non eit pofDbile, vcl negat ; «uod / . oit neceflaiium. ^ 88. secódo cbijcies probando icr! ca gia ratioms fpcétantiaad for mám propo | Kitionis,& difcurtus pec (ecundam,& ter .&iam operationem, quia cum intelie&tus A affirmat vnum de ulio,, et vnum cx al. o deducit » flatum reíultat relatio rationis incer fübicétum., et przdicatum, inter propofitionem infereotem, et illatam, rgo per iudicium fit formaliter ens ra | . ionis przdicatum, et fübiectum, per di |. Kuríum antccedens& conícquens ; Co | firn.quia licet przdicatio, et confequé . tia in abftracto,& adtu.tignato fimplices.áimportent relationes per primam opera et actu. exercito fine complexione non . fiunt, arque ita. non nifi per. (ccundam ; et tertiam.    » Refpaegando a(fümptum:,. fiftendo B. im ptzcisé in a&ibusiudicij, &di:oiscac A D eid nifi ext . Mlas denominationes, fiunt autem rela z;ones rationis . cum Jenominationcs il Aecogitantur ad modum. realis relatío .ni$,quod vtique fit per timplicem appre NMcocolsican ..Adcoatipm. di citur per. cam folum probari tundamen ta illaumrclationum ipfas nimitum có pate » quibus applicantur ;, ficri de bere per (ccundain, et tertiam operatio nem;quod vcique verum eft; at non pro bat per iftas ctiam attingi. relazioncs. il Ms rationis, quz íolum à prima opera tione inducuntur. faper. complcxioncs fackasá (ccunda, X.terua.. v. utn quilibet iutelletius poffit ens ratio, nis efficere .. à; Ota huius quz (tionis. di fficultas  d orca an intellle&um: diui nam;de hninano. n.., et angelico $m. (ey et naturaliter cofidcratis nullus videtur dübitandi locus, et quidem de humano omncs concedunt, ac eciam de angelico concedere deben: potíe.cotia rationis cf ficete . cum enim et ip(e difcurrat (vt. modo fupponimus).& multa per conie. Logica . |. Aionemattingibiles, tamen in concreto,. L0 07 Sudt I Quratis far Éns Ralmisié4eIT.  2 &araui Cognofcat, potcft vtique. circa talia obiecti actus falfos elicere, ex qut bus tefultent entia rationis ;. imó et pct primam operationem potell, id quod nó: eft,cogirare, ac li eflet, et in hoc nulia cernitur repugnána, necaliquid cü eius natura incompoffibile; fi enim illi none repugnat peccatum, et eror, tanto mi nus entia rationis cflinzere, etiam(i ali quam inuoluat imperfc&tionem, ac in« iclle&us errorem. Ic3que de folo intel Jectu diuino remanct difficultas, quae cftó Theologica fit, quia ramen cias in telligentia ad formationem entis ratios nis multum conducit, et ex principijs lo £icis cius folutió: dependet, in pra'finon iaconfultó: proponitur ; Neque hz di(putatio: initur cum illis Auctoribus,. qui fupra q.2.;conftituebant entia ratio«4 nis formaliter in denominationibus cx. tcinfecis cogniti, et cogitati,fic enim cer tum eft: Dcum. formare entia rationis 5. uemadmodum:. indubitatum cft. feip uiny& aliaà fe cognofcere, et iuxta hanc viam docet Smifing.trac, 3. difp. 2. num,  197. Diuinum intelle&um entia ratjoni$: fabricare, vt cófequenter loquatur ; Ne« que cít di(putatio cum Au&toribus; qui: priced. qua (t afferebár cos rationis for» maliter fieri folum per a&us falíos,. (ic: eaim tàm ccrtum efL diuinum intell ed: ens rationis e flicere nó polfe, quàm falli: non poffe,vcl decipi . Igitur fola di(pa tatio cít.cum eis. qui nobifcum conue« niunt tàn in formalitate ». quàm in for« matione cntisrationis, vt fupra explica« tum c(t j. cum enim iuxta hanc vram fiat: ens rationis,cum cogitatur; juod nó eft,. « li effet,..i. per. quandam comparatio» nem ad ens verum; feu (ub. quadam timi liudine vcrientis.,. prout nosillud imae ginamur,concipere autem hoc modo  vi deatur ienperfeétus concipiendi modus,. uia: aliqua: (altimimproptíetas, et inae atio repcrituria co. i, quod! dubitationem facitn przfenti,& Aucto re$ icinditin diuer(as opinionesé  Prima cít.corum;qui Mel Ron ami adire rationis cificetobed eciam bulo a enum fizri cns. rationis Pee Gg fit co 4 nisl sndiic dite. À DH o 530  fitcognofei, profectà (i cognofcit,facit;, fein Vafquez i.p.difp. 118. c. 2. et 4.Celett.difp. 2. Log.fec.1.& alij. Secun da é diametro. oppofita! vitumque affir mat,& cognoícere.& efficere,co quias tota illa impcrfe& o pocius fe tener ex tc obiccti intellIgibilis » ita Faber, et Tulteicit cü omnibus antiquio£ib. Sco. tiftis, ralis enim videtur fuifle Do&toris fcntétia 1.d.30.q. 2$. Re[pondeo a » et d. g.q.vn.$. Pote(l dict ad qu&jlioné, d.36 et 4.d. 16.2.2, et quol. 17. et ali (gpe,& cum in hunc (cenfum interpre taptur cius. expofitores. Lichet.. Tatar. xg.& alijcirca ealoca » et fequuntur iftz omnes, acctiam multi ex ys: i er ht UN wem e(t Azria cit. fec. 4. Tercia Íentene ti copa nei » et plauübi . negar diuinum intellectum entia ra. Ionis cfficerc,addit tamen cognofcere à jobis ta Ga, vel fa&G bilia, ita Suarez di $4: Mer.cit. Auerfa q. 5. fcc. $. Blanc. . lfec. c. Ruuiustrac, de ente ratio nis, Vulpius ex noftris. to.t.p.1.difp.28,art.vlt.& di(p. 19. art. 4. Quarta difün guit de cnte rationis fito, iunt illa.», Qua entia prohibita dicuntur, et figmen tà, et fundatosquales fuat intent; oncslo gicalcs,& alie mults kchtiones,& con €cdit cntia rationis. fecundi generis ficri pottc ab intelle&u diuino, quia eulla in «orum formetonc iaterücoit. impeife iO » nonautcmcntia primi gencris,ta. Amic, trac. 3. q.3. dub. s. art.2. Mcuriffe €it q.4.»bi negat Deut ficere entia ra tioms fictitia, affirmat £icereilla, quz hobent effe per refu'tantiam; quales (uot zelariones rationis ; ita eciam. loui vi «etur Io.de S. I hom.nam q.2.art. f. ait mia rationis,'qua cx (ua intrinfeca ca tione formantur, et cognofcunrur ex im perfecta rei apprehenfione. Deum facc tc non po(fe;benc tamen .(uoídam refpe €tas rationis, qui non fundantur füper. cognitionem i Gam, retamé ve fà potius cft tecaz opinionis, quia. addit hos refpectus rationi& tantum davien£ taliter ab inicllectu drminocaufari.,, ncn formaliter. Quinta tandem affirmat. poí e diuinum 1atelle&um ens quodcunque 1 D   5 Difjut. 111. De Ente Rationis: rationis cflicere, fed ad euitandas diff cultates inquit hocoon poffe facere. di. rcGé,& immediaré, vt facit intellectus creatus, fed tantum indirecte, et media té, quatenus cognofcendo entia rationis A ncbss facta dat illis rurfus aliud effe. obicétiuum quafi fecundarium, ita fen tire videtur P. Didacus à Ic(ü di(p. 3. qe 3.cum quibufdam alijs. 71 Dicimus r, Diuinum intelle&üco gnoícere entia rationis à nobis facta, ta» men cx vi ilius cognitionis illa non fa cere. Conclutio cft contra primam opi nionem, et quoad primam partem eft adco ceita, quod Turrianus opuíc. 7. di fj4. dub. 8, conatur oftendere Vafquez ipfum ab ea non rccedere;manifeft é col ligitur ex illo Sapieatiz 8. $cit verfu tías fermonum, C? difjolutiones argumé torum figna, 7 menflra fcit, antequam fiant, et probator euidemicatione, quomodo.n. dicerctor Deus fcire cordiü co gxationcs, nifi obicéta cogitata videret y qua fz pe (zpius.impoffibilia fünt,& chy merica, vt cum affirmamus cqui cffe ra tionalem, howinemairrationalem &c. Ncc valet rcfjonfio Vafquez cognitio ner illam dicere ordinem tramfcenden talcm folum ad.illa extrema realia, non. àd vnioncm fictam intcr ca, arque ideó Dcum cogrof(ccere (olum cxren atilla i» realia,non cns rationis . Non va'ct, quia. Alle actus cft falfus, et vc calisà Deo €o gnitus, crgo non tantum cxtteima illa a» tcalia attingit Deus,vcrum ctiam vaionc à nobis affitmatam inter ea, qaia fola 4 extrema attingere non fufficit ad cogno fcendam filitatem actus., cum.lla. eadé attingi po(Tint per a&um verur, vc fi di catür cquum non ctíc rauonalem, Ncc mious valet, quod ait, cpsrationis no ftum non pofle habere eile obiectiuum in nente Dei, quia in. mente fua mon ha bet. noftrum conceptum forinalem, à cpendet ; Alioquin nec intcligere polfes obie&um cale cognitionis no flra;co quod illam cogniuioaem i0 mé te(uanon habct, Non crgo opus ctt di uinum intellc&um nottra cognitione in Ézrmari, vt attingat obiectum c us (iue  reale, (iuc rauonis, (cd tuffic:t, vt illa. (it obic Quaft. V. c/4n Deus effelat ens vationis. obícdiu? indiuina mente, tunc enim non tdntam ipfa attingiturà Deo,(ed éc illud ip(umob;e&tum,quod erat eius ter migelorcos sie Nec demum va t, quod inquiunt alij, cognofcere quic po eit innoltro inicll ; et hoc ad diuinam fpe&are perfc&;onent, non ta. men f: co modo, quo clt in ipfo, quia cum hic tit imperfectus, rcs e poffet (ine imperfedtione'ex parre. Dei, fic dicere (olemus Deum noftras cogno dfcere complex ones,& difcuríus, fed (i. ne complexione; et difcuríu, Non valet, 1ia ad excellentiam diuinz comprehen tionis (pe&araedum attmgeresquzcun ue cognofcuntur à nobis (ed etram mo m quantumuis imperécétum, quo co gno(unur à obs, quia et hic ipfe vti e cogno(abilis eft, vnde et ip(os nofios difcurfus, licét Dcus atting t (ine modo difcuríus ex parte potentiz, non tamen ex parte obie&i, alioquin cogno. fccret obiectimáaliter, ac cft ; ergo ens rationis à nobis (1&tum dcbet à Deo co. gnofci,& etiam ipie modus, quo à nobis umeft. Eczora huius ratio cít, quia licéc fall., et fingere ens rationis ti hoc todo fiar, fit impertectio, '& ota men eft cogofcere aliosfalli, et illorum fismenta, ac pro/nde taliscognitio non cit Dco deneganda . 71 Deindé, y cx vital s cognitionis non dicatur Dcus formare entia ratio. mis, quodct altera pars conclufion's et €ft contra Poacii difp.1 . Log n. 95.pro bbarur facile ex dictis q. 2. atc. 2.in fol. ad r.vbi diximus ens ration:snon exiflere, nec formari perillam cognitionem, qua «ognolcitur, vt quod, et vt terminus co. ;tusfeuin qna habet prazcisé rationem Obic& non cffcétus, (ic enimtolumrced ditur cogritum denominatiué, ficur aliae tcs quando cogno(cuntur, fed 46i Deus cognofcit enua ration s à nobis forma tayattingit ea tali genere cogaitionisynam füppomt illa 2nob:s efformata per alia Cognittonem,& coznoícit illa, vt quo 1, ergo lolumredd.t illa c..tcinfecé cogni ta,nonautem illa format. Nec cetert,q ita cognoícendo d«t iilis efe obic&iuü ; quía vc notat Gillius lib.2.trac. 6. c. vlt. 335T duplex eft effe obie&iaum, alteram en» ts rationis propriam, et e(lillud, quod nullü prorfus alia4 fuppenit effe in obic &o, tiuczcale, (iue rationisex vi prioris cogaition's : alterü commune cum alijs rebus, quz obijciancar inrelle&ai ; per quod non conf(tituitar ens rationis ; dum autem Dcus cognofcit entia rationis à nobis fa&a tribuit illis effe o5iectiuum fecundi geaeris . Tandé (uadetur à prio ti, ens rationis nequit cífe extra porentiá £ormantem lud, im^ neque exca ilum adum, quo dicitut formari, quia tocum etc faum debet habere in illo, et ex vi illius, (ed quan30 Dcus cognofcit entia rationis à nobista&a, non folamattin. git ifla,stexiftentia extra (oum actam, led etiam extra fuam intelle&um;nam il la videt in intellectu noftro, ergo cx vi «alis cognitionis non formar illa . Forté dices, (alum indir? illa effi cere,quia indirc&é, et mediacé iacelligit aliquid, quod non eft taà parte tci. At ncquc hoc dici porcft, quia Dcus cognio fcendo creatum intellecta 6ngere ens rationis,dum concipit rem aliter aceít, co ipfo cognofcir ré, ficut efl hoc enim modo conficit matellcétus creatus ens ra tionis;vnde ly aliteryac esl,cd mcdas ca gnitionis humane, et obic&um durnz, et declaratuc excinplo,fi eaim quis arfic mat Peuum c(fe mentituah:c nallo ao do mentitur,nec dire&é, ncc indirect? y nà itaeflà parce rei, ficuc atficmat, ergo: paritet dam Deus videt creatum intelie €tum cns rationis efficere, dum concipit rem aliter,ac cft,nec dire&é, nec indirc: éé concipit rem aliter,ac eft nam ita res: fc habet à pacte rci, licut ipfe nouir. 73 Maior cft difficultas, am poffit Deus entia tónis in fe cogno(cere abf jue ordine ad intelle&tü noftru.n, hoc enim admittendo difficile cft euadere, quin. formcet entia rationis, ita enim ex vi di uinz cognitionis reciperent ile. obic« &iuum omninó primam, quod e;t pro prium entis rationis, et quidem non vi detur negari pofle Deum ita entia radios nis cognofcere poffe, nam de facto De s: multa impoffibiia no;it ab'que ocdme : ad inteilzétam noftrum,p i2 €hy.nercm Ga  rep 332 tepugnare, equamrationalem non effe polTibilem, et vtique cognofcit Deus, uod negat, et impoffibile reputat; cum igitur hzc obie&a attingat in fe, et non intelle&u noftro,. formabit entia ratio. nis. Accedit cx Scoto r.d. 43. q. vn. im poflibilitatem in rebus formaliter pen dere ex rationibus formalibus earum, principiaciue veró ab intelle&u diuino, ergo attingit impoffibilia independenter ab intellectu noftro, et dc fa&toita co £nouit ab zterno;quando nullus extabat «reatus intelle&tus, qui illa effingeret . Necfíütficit dicere cam communi tunc cognita fui(le in fictione humana. futu ta,aut po(fibili,cum enim ab xterno co gnoucrit omnes, et fingulos actustàm veros,quám falfos à mente hamana tem risdecutía futuros, velíaltim pof(fi biles cognouit confequenter obiecta ho rut a&uum. Non íufficit, quia et(i hoc modo«cognoíci potuerint, vt obie&a no ftrorum a&uum, tàmen adhuc ab(oluté i nter ab eis cognofci potuetüt, mam data hy pothefi, quod intelle&ualis €reatura repugnaret in rerum natura, ad. huc diuinus iotelle&us impeffibilia co quiete » ergo eoríü intelligib;licasnon abet meceffariam connexionem. cum a&ibus noftris futuris, vel poflibilibus ; ficrgo poteft dare illis efle ob iectiuim indcpendenter ab co,quod cis tribuitur y vcl tribui poteít ab intelle&u creato, vi detur facere pofic ens rationis j itaq; pro zcfolutione huius difficultatis ., £. Dicimus fecüdó vtrüque effe pro babile, quod diuinus intelic&us faccre poflit,vel non polit ens rationis. Con ufionem hanc ponimus problematicà, quia Doctorem dc hac re omnino certü non u$, quamuis enim lociscitatis pro fccunda fcntentia partem affirmati? uam problematis affercre videatur, alibi tameo vcl negatiuàá infinuat, vt in r.d.8. Q.4N.vbi ncgat intcliectum diuinü, co quia omnia intuitiué cogno(cit, ficuti funt, poí(ic caufare relationem rationis, et concipere vt diftin&ta,que à parte rei non funt, vel faltim dubitaciué loquitur vt in 1.d.5 j.H. vbi quattuor in 1a ponit ; in quorua primo aic Dcü Difput. ITI. De Énte Rationis.  intelligere eífentia (ub ratione mere abz foluta, in fecundo producere lapidem im efe intelligib:li, in tertio comparando intelle&ionem (uam ad quodcunque in telligibile forte pofse caufare in fc rela. tionem rationis ad lapidem intelle&um s in quarto demü rcflexione cognofcere il lamrelationem rationis; Qua de cau(a ét Mauritiusq 8.vniaerf.dub. g.hanc cangés difficultaté, an poffit diuinus intellcétus cau(ate refpetus ronis, problematicé pro cedit dicens aíseri poíse; quod Deus hzc entiarac onis cogno(cit, vt habent efsc obie&tiuum in in:elle&u creato, vt tertia ponebat opinio, vcl non efsc inconucnics ponere huiufmodi vefpectus in Deo, vt €t habeat eísc cognitum, et obie&iuum inintelle&u ipfius, vt afserebat (ecunda opinio, quz confequenter aiebat ens ra tionis ab intclle&u diuino cffici poísc . ^ 7$ Affirmatiua pars problematis di ueríimodé probatur à d:uer(is . C) iidam ex co probant, quia inefficienca entis tónis nulla interuenit faliitas, vcl error, peus cum fit per (implicem appre en(ioné, nam non ens reaíe, quod tunc Obijcitur intellectui, non cogitatur c(se à parterei, fed im pliciter cogno(cituc exi ttere obic&iué in intelle&ta,quod nó falso, fed veté dicitur, ergo efficere ens rationis non repugaat inteliectui diuino . Hzc ratio elt iniurficiens, quia licet non it faltitas intali conceptu noftro; cü nó affirmet intelle&us nofter ens rationis c(se verü ens,cum (ciat contrarii, tamen in coconceptu improprietas quzdam vi» detur esc quatenus non ens reale;etíi nó apptchendamus eíse ens reale,apprchen dimus tamen illud ad imodáü cuis rcalis, et pet (pecics alienas, quod eft extraneo modo ré attingere, et quai aliter,quàm lit (altim modo przci(iuo, ino diuifiuo. Alij probant cx coyquod non ett de conc enusrationis, vt res cognolcatur aliter, ac lit,fed tantum qnód aliud e(se non ha beat, quàm obicétiuum,potelt autem in» tellectus diuinus tale c(se tribuere non enti, Neque hac ratio fufficit, nam dicet fuitinens partem negatiuam problema: Us repugnare, quod aliquid habeat taocü €(sc obic&tiuum in intellectu, et non in tel O&O  n " Y A «Y   tur aliter, 4uàm eft,non quidem,vc fit ens rcale;ícd quia ad modü entis rcalis concipiatur y et in illis fubicétis concipia tür císc;in quibus veré non ell,vc rclatio nemin Dcoad creaturas; crgo eo ipfo quod aliquid concipitur císequod re » vcra non«it, ncc eísc poteft; non cofor matur intelle&us obie&io à parte rei, at queideó cócipibtem aliter,ac fit, Nec di cas intelle&um in conficiédo cnte ratio ' nisconformari debere obiecto, vt cft in ipfo intellcctu, non v: eft à parterei . Quia tune fequeretur ens rationis fieri non poísc; nili per a&um veri, nami talis €onformitas (cmper adcft, quod tame cft omninó falium . Alij probant, quia licet efficere entia rationis,& ré aliter? ac eft, cognofcere afsentiendo vt facit intelle &us nofter;(it maxima imperfectio, quia interucnit deceptio,tamen ca cfficere per a&um diísenfus, et cognofcere aliquid aliter, a€ eft, dummodo cognofcatur, vt eft, nó infert imperfcé&ionem in cogna . fcente, quia per hoc fecundü omnis ab co . excluditur imperfectio, ac proinde Dcus pt hoc modo ens rationis efficcres ità Quuied.tontr. 1 2.Mct. pun,7. et Poncius en 1Log.n.97. Sed plané hocaliud nó €t; quàm dicere poíse Deum habere ali quam imper fc&ionem, dümodo eii ha beat perfc&ionem,quod cft proríus ridi culü,ctfi enim pofierior cócipiendi mo« dus deceptionem non inducat in cogno fcente, adhuc tamé arguit imperfc&ioné in modo cognofcendi rem aliter, ac fit. Accedit, Deum per actum difscnfosens rationis facere nó pofse circa impoffibi lia,cum cnim intelligit Chymeram repu gnare, equum efse non pofsc rationalem, profcáo dicitquod eft à parte reijatque ita non cfficit ensrationis At inflat Ouuied.cótrou.12. Mctaph. oscar rationis ficri per dif enfum chimerz, (cu per iudicium ; quo dicitur ; «byme:a cfi non exiflens, € re pugnans, quia per hoc iudicium non folü uir rcpugnartia chimerz, (cà nó eic chineiz; fcd ctià ipfa chimara,cuius «ft ocgavo, (cü dc qua pradicarar nega tio ;cigo hoc iudiciu babet duplex obic €&u miyucgaucnem f. et chymeram 5ergo Logica B  Quaflio V. c/fn Dew efficiat ens rationis . 333 cx vi huius judicij datur aliquod habens eife ob'ectiue inintelleciu, quod nullum efe habei excrà intellectum ; ergo cx vi huius iudicij datur ens rationis ; quod cft id;qued tantum habct effe obiectiué ina intellcétu.. A d rationem vcro nuper addu &am,quod cotum illud complexumychi mgra non exiítens, datur à parte rei, et idcó apprehendens chimzram; vt nó cxi flentem;non facit ensrationis, refpondet chimzram, vt non exiftentem duo dice. rc,negationem clumerg,& ipfam chimg ram,primü habet effc à parte rei, quia à parte rei cft negatio chimera,(zcundü. f, chimara nó habct effe à parte rci, fed «m obie&iué in intclle&tuscx quo fit cogno fcentem hoc complexü;chimzra vt no exi ftés duo cognofcere,negationc (.chimer£ cx vicuius przcise nonfacitensró . nis, et ipfam chimeram, ex vi cuius facit cns rationis,fundameptum huius Aucto ri$,quo contendit per di(senfum circa im poflibilia feri ens rationis, et hinc folait rationem allatá,falíam eft, ncmpé qp per illad iudicium, quo dicitur, chiniara eft non exiftens,non folüm attingatur repu gnantia, Ícü non exiftcntia chimcetz, [ed ctiam ipía cbimara, nam vt ex profcfsó dicemus difp.6.de Anim. q. 10. art.2, ac tenct.etiam Oauied. ipfe controu, $. de Anim.punc. 2. actus iudicij cítvna fime» plex qualitas,cuius proxin.um,& imme diatum, imó et adacnatum obie&tü non fünt terminiilliincomplexi fubic&tü, et praedicatum, fed copuh illos conne&ens; termini veró illi attioguntur. per actus Sperchentonis precedentes a&ü iudicij, illiq. coexiftentcs com aduenit; cü extrema illa nó artingantor cx viausiu dicij, fequitureuidenterperiudicidjquodicitur,chimaranoncftexiftens,nó fie ri ens rationis ; quia pcr talem aum pr cisc iine repugnantia ; iué non. ftentia chimzra, non autem ipfa chime ra, vnde conftat tam rationcm Ouuied. q eius folutionem ad noftrum argumentum falío inniti fundamento ; quod ncc eius rincipijs confentaneum cft . Alij pro €x co, quód vis cfficiendi ens ratio nis non oritur ex imperfc&ione intellc Gus, (cd potius cx perícétione, nam sim Gg $9 ham 334 hanc rónem füpcrat pctenrias. (enfitiuas, qua nequeunt lbi formare obic&tum ad fimilitudiocm proprij obiecti; Scd. neque hac ratio vrget., al/oquin probarct etie perfcétioncm in intellectu fibi conficere oLbicctum per a&sm falfum; et quia pu tatur. ratio àpriori fumpta ex. vntuerfali tütcobicéti intelle&us,rurfus ponderabi ter.infra. Alij denique diftinxcrüt de va rj: zcneribus entitrationis, et dixerunt vüvm gcnus €florman poffe ab intclle&u diuino, non aliud,tandata nimirum,.non. fi&itia, quia ip bis fotmandis vtique fal fitas. interuenit, et deccpio, quia nullum corrc(pondet fundamentum à parte rci, at nonin illorum formatione, cum inzcl lc&vsxunc tribuat obie&to,quod.lli có unit ratione fundamcnti, qua dc caufa nec firgit,nec decipitur. sed quauis hec via facilior videatur ad hanc partein pro blematis defcndendam, tamcn. folidior tatio pro hac parte vniueríaliter probat, da ente cationis tàm fundato, quamnon. fundato, quod poffir ficri à E eo . Accc dit;quod oppolità partem fuftinentcs ad hucvizebuncquód licet coznitio forma tiu €ncs rationis fundati veritaté habcat: raucne(ondamenti, falfa tamen crit ra tione obicéa immediàri, et formalis . 76 Rauoigiturad hanc parté proban dám cft, quia poteft [eus quodeumque. ensaationis.cogaofcere abíque ordine ad, «iftelle&utn cícatum » et confequétcr dae xc. illi pritt.m efle obic£tiutita& imper » qua jnterenit in fabricando ente. rationis, pritür precise ex natura obici. quod ita petit intelligijnam cum incriníc €x analeguimn includat ad ensrealc, non mifvad initar cius,& per ordincm adillud inteilisi poteft; et bic c(t modas. proptios. elir:ibilitatis cius; et quando ita intcl hgiturdici poteflintellizi, ficut ctt, quia. tiis CLE ctus.natura;vt iprelligatar p imi tationem ents realis; cum gitur tota ime j ci fccto (c teneat ex parte obie&ti, pote yt diuinus tutelledus illod: arungcre euá. adinodutn cnus.realis, quia ad. petfe&tio ncm. cis (pcétat, vx voumquodue co snotcat, ficuc cd; nec abfurdum cfl diuiTuminielle runi concipere obicétü cum Ayettcéuonc suam fecum adf. cx na.  DesEnte Rationis? 0 « tnra rei ; et per hoc folui poffant omíies rationes partis-oppofite, quz fandantur in imperfectione potentiz requifita: ad faciendum ensrationis.. 77 Parsveró problematis oppofita j quod nequeat diuinus .intelle&tus entiaza rationis cóficereycx oppofito co FÉ eft proba imperfectio, intérucrit in fuss i picos non oritur przcisé cx natura obie&i, (cd ex noflro prz(crtimimproprio, et inadaquato concipiendi modo, € faz pe fz pius cócipimus,qua: nó funt diftincta, vt diftin&ta ; qua non funt relata,vt rela ta,quz (unt ncgatiua,& priuatiua,vt pofi: tiuayin quibus omnibus apparet res cone Cipi exiranco modo,& nào quales süt,hoc autem repuguat perfe&ioni diuini intele lc&us,qui res cognof(cit vt süt in fcipíiss et idco cum entia rationis non fint in rcbusipfis,nó poteft cognofcere ibi effe v. . g:dillindlioni vbi non cfd;rclationé, vbi pócft viu iu dui itc actingece ipint » lianc impcrfc&i cogno(cendimrodam,fed nequaqu&co vti ;. poterit etià attingere entia renis 'cognoícendo fictiones ab intclle&u noftro futuras,vel poffibiles jcuarü süt obie Cta,non th.jlla attingere in (cip(oy& hzc 778: problematis. magis: coníonat com muni modo loquendidc ente rationis. : 78. Inoppotitüarguitucprinto, quod Deus non cognofcatentia racionis: à no» /bisfa&a ; Tum quiacfto attingat omnes . fi&ioncs noflras:, nomproind: Jiccndus. eft cognofcere cns rationis, quod per cas eflicimus,quia vclatt ct idem nume ro ens rationis per illas machinatum ab intelle&uaoftto;& hoc rationis iia dependet ab actu illo. inteileGus crcatiyvt n oca: pendere repugnet ; tingi ^ens fátionis ibo dipiciuim ad (imilitudine illius, et ncque ltoc,. alioquin nonattingc ret ens rationis à nobis'faGtum, (cd aliud €i fimile .. Tum quia fi cognoícendo fiQoncs notlrasatongic etiam fis aentas, quz iunt earam obicéta^aam illa cogno(cctad moedüentis,quia (ic continttur tn ca fictione,ergo efficit cns racionisyquia boc cft coguofcecc noncns ad i; d cie Ls nOgquia.iftad cns d ox 6 Muy may &is, Tum tádem;quia etiamfi illa cognoia vtà tob fads. tamen quia recipiunt nou e(icobie&inumab .intelle&tu diuine, tàquam ab integra caufa, nam ad jllud,vt ficinon concarticintelle&us crea "crus,erunt entia rationis ab ipfo efformatanoaurem ab intelle&tucreato.Réfp.ntelle&um diuinum cognofcecidem ensrationis à nobis fa&tü, quod licétinefTe, et fieri ita pendeat ab acta illo intelle&uscreati, vt fic nequeat ab alio dependere,poreft tam ab alio actu VA RAD incognofci modo meré (pe«ulatiuo,& vcluti ineffe fignato, et in dioc fenfa pendet à cognitione Dei.A d. $mmediate, et formalirer cognofc it i!la "ficuti funt,quia videt effe figméta, et en"tia rationis, et mediate foli attingit illa rhodü entis; quatenus videt fic etfe o"ebieéta noirorum a&uum . Ad 5. dat illis ie(je obiectiuom exttinfecum, X denomidatiuum, quale eft illud, quod conuenit leiam entibus realibus,non aucem intrinfecum, et tormale, quod foli conftituit ensrationis ex di&tis concl. 1. et idcó li'cé illud cfle obic&tiudá primi generis fo lo pendeat intelleétu diuino;non idcirco 'dicantur ab eo cntia rationis ficri,fed tátuni factajvel factibilia c íci. '79 'Secundo, quód polit facere ens ra itionis; Tum quio;vcarguit A mic.cit. vis efficiendi: ens racionis perunet ad perfe"€tionem intellectus creati,ergo nó dcbet ;denegari diuino, probatur a(fumptum, quia-oritur.ex lacirudines& vn ucrüalitate « Obiectiy quz vtique ad perfectionem po"teaug (pectac nam quà potentia ad: pluta (e extédit;có c(t perfectior, et idc vis €ficctiua enis rationis negatur porentiz 'fenfitiuz ob cius impcríectionemyquia 5 "atcuatür ad ens determinatum, ranquá ad 'Obicctum, putat ad rem tenfibilem. Tum quia vt arguit Fuent.cit.deratione mtellectus cópt chendeatis cft, vt obieciü om ni modo; quo cognoícibile eft, penetrer, fed priuauones, et angcli nó fol si (e, fed admodum altcrius (ant attingibiles, "érgo à diuino inxelic&u ctiam hoc mo.:do atungi poffunt fora;ando encdia rationis. T táaé,quia Deus cognotcit priuationcs& ncgationcs,qua funt non entiay  €4n Deus effciat ens rationis . 335 '& vtique per modü entiü, quia nihil e(t per feiatelligibileinittens, et vt Doct. r 'q 4: vniaerfal. nihilintelligitur (ub ratio nc non entis, et bac nece(Ticas communis cit omci intelle&ui quia won fandatur in imperfcó&ionc intell:genris, fe. in ipfa matura obicéti inrcllisibilis ; ergo &c, ;: Reíp. negando alfumptit cü fua probá tione, n .n. ita patet obiectum ade quatum intelle&as, vt ctam fub fe dire&? «Gprehendat ens rationis; imo ex Doc&torc 1.d.3.q. 3. folum ens reale cft obiectü primum primitate adequationi$; quare ex latitudine fütobieót non hibet, jiod ferri potlic in ens rationis, n' à in virtuce entis realis, concipiédo eas rition.s ad modá& eius, et quia talem'collationm n5 entis ad ens rcale ne jui: fenfus facereob Tuam materialitatem ex Scoto quol. t 7. C. ideó negatar illi vis cfficicnd! eas rationis,quz camcniniatellectu nà ett pecfectio timpliciter, [ed perfeétio (üppiens imperfcé&t onem, aut potids imperfectio, et impropri.tas in concip eedo;nz; hoc c(t mirum, quia età vis refleziua tribuirur intelle&ui ob etus fpirrtual:tatem et negaiur fep(ui ob eius impecfcQtionem, et tamé formal.ter non reperitac in Deo « Ad 2.vilet affumptum de: modis non inducentibus impctfzQionem in. comptrehendente; qualis eft ille, 4:0 ens rationis elicitur, alioqui prob ret etiá rcs a Dco cognofci debere cuin diícuríus cum hoc quoque modo fint cogaofcibiles. Ad 5. perfzétus modus cognof.éd. negationes, et priuationcs non cft ;llas. attingere dircété per modum cnus., fed induecté ius dicio quodam diu:fiuo, qu» modo attin-Simuscaecitatem conciprendo in calt or» gano non effe potcntià vilitiam, fic cn; m cogno(cuntur, acuti func, X per mo-lü no enus, et hoc qutdem modo -ogonofcuniuc à Deojinquo nulli imercaenic eas cÓmis» Quia nop concipiuntur ad modum entis. «90 Tertio? contra probucar ao police Deum efficere enscacionis, Tum quia vis cfficiendi ens rauonisnon ram. gcndct. ex. imperíectione obiedti iei pub quà intellectus, quioonada-juai obiectum comprchendens,nec incoitiué videns, ead (at in co diftinctionein rationis, et alias ego  336 intencioncs logicales, quz fiunt per abftra&ione. Tum quia tuac cócipere poffecque non (unt diftindta, vc diftindta, qua non (unt relata, vt relata » et priuatiUa,vt pofitíta; et cófcquenter rcs aliter, ac fint. T à tandem quia entia rónis dicütur formz fi&as prfertim, quz nullum habent (ündamenti inte, ergo oequeunt à Dco ficri, alioquin fingere diceretur. Refp. negando aiTumptum, quamuis enim quzdam cntia rationis ex fua intrinfeca ratione formentur ex imjxrfe&à apprehenfione rei, vctorté (ant relationes rationis in argumento ra&z, tamé vniuer(aliter loquendo vis efficieadi ens tationis pédct potius ex parte obiecti intellectus,quod cum fit cns, intelle&us vo lens cencipere nihil, cogitur formare ens rationis, quia n:hil concipere poteft, nifi füb ratione cntis,& ideó non eft abíolure affereadum Dcü nullum prorfus ens rationis efficere ; quia etiam intclie€&us circa obiettü cmt vifum potcít formare ens rationis, m relationé vi(i, ac intuitiué cogniti, de quo vide Lichet. I.d.8.3.5. in$. Preterea intelleius innitiurs. Ad 2.negatur in cflicienria entis rationis (emper miíceri errorem, et rem ' concipi aliter, ac (t, quia e(fe, quod tunc intellcétus tcibu;t non enti, et effe di(cretum, vcl relatum, quod tribuit non diftin €is, et non rclatis,non cl rcale,fed ronis, et cócipit non ens (ub illa ratione entis, que illi conuenit. ex vi intelle&us ; inquo nullus interuenit error, nam concipit nó tclata rcaliter, vt relata racione, non ens tcaliter, vt ens rationis, et quamuis in hac conceptiontecogatut cx natura ipía entisrauonis illud concipere ad inftir veri entis, nonob hoc concipit illud, vc verum ens realc,(ed ad cius fimilitudinem, quz duo niultum diff:cunc, nam in prima có€eptione eft falticas,& error,non in fecüda, imó eo ipfo quod ens rationis concipitur ad iníLar entis rcalis, concipitur, vt eft, ob incrin(ccam analogiam, quà habet ad illud. Ad 3. nonomnia entia rationis dici ficta, nam illa, quibus correfpondet à partc rci fundamentü, proprie non (uat figmenta ( nifi forte traba diceré tur per cóparacione ad entia rcaliaquorü Difput. LIT. De Éwte Ratioiis vmbiz, et (pectra dicuntur ) vt infrà eg Scoto dicemus q.4.vn:uerf. in fine, et $. Met.q.1 t. ab initio ; (ed quicquid fit de antecedente, negatuc cquentia,tanc n.Deus fingere diceretur quando ità cóciperct impollibile, wt illad affirmaret effcy at Deusità cócipit,vt fimul neget e(Te, q nó cft fingere, (ed pou? cuectere figmé tü,vt bené aduerut Arriaga. (ck.4 n4 1.  4n Ens Rationis babeat proprias affe» G iones, C que [int. 91 N2: quatimus hic, nü entia rationis habcát proprietates,que ab ipfis veré fluaot, (icut. n. nó (unt proprié entia;icà nequcunt habere veras proprié entia ità nequcun: habere veras pas priccates ab iptis veré Bué&es. Qa 5 modá ergo dicuntur entia per (olam ana log à ad ens reale  ità quzrimus r tatcs,qua tales dicátur pcr analogiam veras proptiecates 5| et quatenus ad mo« dum illarum concip: poflunt, Dc. Dicimus [.rimó Ens Rationis habere f fuo ordine proprias affectiones. Conclufio elt Scoti 4.d. 1.9.2. I.& q.6. vniu. vbi efto in !pecie loquatat de fccundis incentionibus, et vniucr(ali log'co, doótrina tá commun; clt, et probatut, tü quia, vt ait DoGor cit.in entibus rationis non falum inuenitur przdicarum in quid., et przdicatum in. quale effentiale, fed enam io Quale accidentale. conucrtibile, quod e(t proprium,  vtinductione probari poteit in omnibus, tum quia formari pofluot de ipfis propofitiones, nedü in primo modo dicendi pet fe, fed ctiam in fecundo, in «uo propria pa(fio dc fuo (ub:c&to prz dicatur ; tum tandem quia (i babet fuo modo effcntiam, crgo €tiam, et ptoprictares ab ea fluentes ci proportionatas,nam quamcunque cífentíam propri comitantur paífioncs . Contra obijcies ; Tum quia proprietas ità fc hibet crga lubicctum, quod ex natura rei diftinguitur ab llo, ab euis quid ditatc fluit, et e(t minus ens illo,(cd oulig affectiones cogitari poffunt, quz ia 4e. habeant cr3a ens rati onis;non.n. cx natdra | Queft. VT. De eius affellionibu:. | Facti diftinoui gofsentab ente rationis, um non cxilterent à patte rei, nec pof. fent ab cius quidditatc fluere, cà ens cónis nullam habeat cfficicntiam ; nec po(funt effe mious en co, quia quod cft minus ensente rationis, cft penitus nihil, Tum qaia tales paffioncs non effent rcades, vt patet, ncquc rationis, alias contit effentialiter (ub ente rationis, et dc iliis eflentialiter predicaretur,quod gnat cuilibet c(fenciz refpectu propriacum pafionum. Tum tandem, quia dantur quzdam enria rationis ; qua aallam habent determinatam naturam, eo «uia nullum habeant à parte rei fundamentum,vt func chymerica » ergo faltim ita proprias pa(Tioncs habere nó pofsüt, quia ilz petunt determinatam naturam, ^ áquafuetc concipiantur. 91 Ref(j.conditiones proptiz paffionis a (li ia maiori (folum affectioni bus rc timpliciter couenire;at fecü 'dümquid poffit etiam conuenire affc"€tiomb.rationis, nam (uo modo concipi unt, et fluere abeffentia entis ratiohis, &ab illo ex natura rei diftingui, et tle minus ens co nec ob id (zquitur effc othil proríus (ait Docror cit.q.6. vniueríad 4.) quia ficut in entibus real.bus "dantut gradas in eflendo, nam accidens €ft minus ens fübitantia; nó tamien oihil, ita (uo modo admitti dcbét in entibus r&tioms, cum omninó concipi debeant ad inftar coram. Ad 2.licut ens rcale ob fuà tranfcendentiam praedicatur de (uis paffionibus, vel quidditatiué, vt aiant Thomiftz vcl denom;natiué, vt nos, et idcó e(lentialiter non continentur (ub ipto, cum proprié, et formaliter non iit ens rcalc, (ed cantü aliquid cius ita pati modo dicendum de ente rationis. Ad 5.chymerz et fimilia entia rationis fuudaméto carere dicuntur, et nó habere determinatánaiuram non quia nullü habeant prorfus fundamenrum, et occafionem à parte tei nec quia nó habeant naturá fibi proportionatam, fcd quia fundamentum illis correfpondens à parte rei no determinat nos ad illa Gegend hoc pouus,quàám illo modo, ficut nos determinant fundaméta, quiz folent correípodere determinatis cn537 tibus códis, et (ccundis intentionibus gc ncris,(peciei, &c. potelt igitur ipíis ccá adícribi natura (uo modo determinata, &c affcdtioncs illis corre(pondentes; imum hzc ip(a critcorum aacra, vcl affe Gio ncceifaria, quàd fingi poffint quocüque modo ad libitum notlrum, et pet hoc e(fcatialitec (ccerncacur ab. alijs entibus rationis qu: aon po'funt fiagi, nili illo modo, ad quem nos deterainat, et im. pellit fundamentum illis corrcfpondcng à parte rei, vt magisexplicabitur q.feqe 95 Dicimus 2. ensrationisin comuni habere (uo modo omacs illas proprictatcs, quz conaeniunt enti rcali in cómuni, ad cuius ia(tar concipitur, et pariter entia racionis in particulari habere proptietates illorum entium, ad quorum in(tac concipiuntur, Pciuia pars concluGonis probatur, et explicatur, ens rcalc habct. yropriccates limplices,vt vaum,vscuary onum, et diliunctas, vt contingens, ne» ce(farium,idsm, et diuerlum, fin:cü, et infinitumy(cd omnia i(ta poffunt fuo n;odo adapcati entibus rationis,ergo &c. Prob. minor, quodlibet cnim ens racionisin fe eit vnum (uo ino-lo, quia in fc indiui(um, et à quocü uc dittiodtü ; vnde natum e(t ad quode ü uc cóparetur idem, vel diuere (un (uo modo cife; eft etiam fuo modo verum in cllendo, fi veritas, quz elt paffio enc;s, declaratur per ordiné adzquatiodis ret ad intelle&ü ; etenim ét ens ra» tionis natü c(t terminare cóformitatem cognitionis ad ipfum, et hoc prztertim, quando fa&um per priorem actut recog tatur inde per alium polterioré, && rcflexü, p qué veré aciazicur, trcuti ett, vt (upra declarauimus, at uc idcÓ propriam haber intelligibilitatem, vc aic Do &or 2.d.1.q. j. B. nam ficuc habet catitatem ad modum entis realis, ita et in» telligibilitatem . Neque hiuc inferas ip» fiim ede tantü per accideas ince;ligibile imó ficut eius eiden.ia conuttic 1a hoc, quód cogaofcatur ad modam entis reas lis, ita hioc inferendum efl per fe cósenie re illi quód fit cognofcibile ad modü lteriüs. Habet etiá bonitatem (üo modo nam (ze videmus vóluntatcin fecti in bonum apparens, et fictum. Po;tuot de«nique nique étiam fuo modo applicari enti ra' wienis affc&iones difiun&z. finitum,& infinitum;neccflarium, et contingens (li«et aliqui negent) vt conftat,quando Dcü concipimus ad nodum venerabilis fenis fempcr durantis, et infinite virtutis. Probatur ctiam et explicetur altera "pars conclu(ionis, nam proprietates entium rationis correfpondere debent fuo modo r«busillis, ad quarum inflar:con. «cipiuntur, quapropter fi concipiantur ad moduri fubftantiz non habebüt proprictates accideptisyfed fübftantiz,(i ad modü accidentis, € contra;& paritér (i cóci piantur ad modi entisrelatiai, nó habe(it proptictates abfolutorü,fed relatitmotü, fiad modum entis abíoluti € contra. :94 Contra obijcitur 1. quod etia ra. tionis non habeant propriam veritaté;& jntelligibifitátern. Tam quia hac e(t propria&"idgquáta paffio entis realis,vt do «et Do&ót 1/0:5:q. 3. Tum 2.quia obic. 4&&um concurrit cum potentia ad cóproducédàm (ui notitiam;at ens rationis ncquii partialiter producere (ui notitiá, c hzc fit ens teale. Tum 3,nihil cft intelle&u,quod príus nà fuerit in fenfu, (cd ens rationis fub fenfu cadere nequit .Tum «4. vel cflet prius ;lla cognitione, per quam actingitur,& hoc non, quia per ipfam accipit e(ie, qua ratione ncc ét poteft e(fe fimul cü ea, vel pofterius, et neque hoc, quia coghitio in illo priori ad nihil tcrminaretur « Tutm f. qnia de enribusrationis praefertim fi&is non dotur fcientia, quia non habent certam naturam, de qua determinatd. paffio fit demonítrabilis, et . idcó Scot.quol. 3. ab initio docet entia ratjonismeré ficta, et quz conuadictiomem ic ludunt, nó cíle per fe intelligibilia. Tà 6. obiectum fpecificat cegniucncm, quz cum fit rcalis, debet rc Ípceaficatiuü reale . Tum 7. obiectum eft menfura cognitionis, cum tota perfcótio cogn tionis mcea(urecur ex obieéto, at ens rationis nequit cííe meníura cognitionis, qu cft cns rcalc, vt Scotus docet 4. d.1.9.1.füb S. quia ex 4. Mer, meníura eft perte&ior menfurato. Tum demuin quia cognitio diiit rclarionem reàlem atüngenua ad obic&um;quod pcr ipfam Difput. 11 1.-De Enté Rationis. attingitur-ex Scor. quol. 13.:at relati realis expofcit terminum. realem. 95 Refp. ad 1. Mauritius q. $.voigerf. '$. Quantumadtertinm,q»licetintelligibilitas motiua fit propria paílio enrisrea lis,terminatiuatà cfteómunis viriq;quia obie&um adaquatü terminatiad intelletus non eít.ens reales (cd communi (Time fumptá ad reale, et cónis, quz rcfpontio innuiturà Do&orequol.. ab inito; fed quia inferre videtur vnitiocationem entis cóiflimé,quod rc vera z:quiuocim eft ad reale, et rationis, idcó aliam (ubdir.cefpó fionem ab omnibus Scoriftis receptam, qp ficut ens rationis e(t ens per reduction ad tcaleita eftintelligibile per redu&tioné ad illud, na ensrcale cóítituitur obie&um adz quatum iatcllectus per duplicé primitatem,vt docer Scot.cit, f. d. 3. q. 5. $. Quantum ad fecundum. articulum, comm(ünitatis, per quam fub.e continet omnia, de quibus quidditaciué predi tur et virtualitatis, perquam fub fe tinecomnia,quz quoquomodo ;n co vi tualiter continentur, et abeo, origine ducunt;quo feníu entia rationis dicuntur in realibus contineri fundagieutaliter, et inchoaté, et fecundz intentiones dicuntur ofiginari à primis et hac ratione citur ens rationis per. fe iatelligibile, nimirum virtute cnus realis, in quo funda wr, quz folutio c(to pra (errim inferuiat pro enzibus rationis fundatus, vt declarat Tatar. q. 3 -przamb.dub, 2. deferuire tf ét post pro al:js,quia vt fupra diximus in hic quaft. omne ens rationis habet aliqualc fundamentum à parte tci, qp quado tale non cft,vt cogat ad lic illud cffingédum;unc ens rationis dicitur nofupdatá. Hac quidé re(ponijo optitna cft,fed vc aduert.t Barg. t.d.3.q. in illud. $. Quan tini ad 1.art. procedit um de obiecto mo tiuo,nà in ratione mociui ytique ens £a« uonis reducitur ad reale,no uh in ratione tzcrm:natiui, quonia ratio terminatiua nó pot fapplcri, vt cóftar de creaturis in di  uina ciientia,ybt licetnó moucant,terininant tamen,ideoq; erroris notat Lichet. quod ibidem dixerit fecüdas iniéciones tcduci ad primaséc inrónc terminatuui, et laudat Vigcriü, qui ficut ens ronis ttatuit nL o o iiio X ;E we P WA Quail. FI. De eius affectionibus. tuit effe alterias tonis à reali ; ita 'ponit duas intelligib/litates terminatiuas correípódentes illis vna erit fimpliciteralia fecundü quid, iuxta illorü entium condi. tionem ;;neq; hinctimendum cft inferri Ic iscomuni(fimé süpri, iaratio mouÉdi, li foret comunis, 1ntret comen nan ey: vs ratio verminandi,inquit .vi au.q.3yaiuer(.in fnci& Barg.cit.in$. 4d que fitotiem;quomodo ctiam hinc non cogiponere vnum obiectum terminatiuum intelle&us-ex Scot.in z. d. z4.ad 2. 96. Ada (epiusdi&ü eft aff'amptü valere de obiecto motiuo, nó de terminatiuo, qualc ponitat ensrationis .. Ad 3; ait Dodor q. 3.vniuet(, ad 5; a(iumptü vale. re de illog eft primü intelligibile pro fta ui ifto,quod eít quidditas materialis, vel fenfibilis,non auté de omnibus per (e intelligibilibus., multa enim intelliguntur non quia pecie faciant in. fen(u., (cd per Sc Hexionem intellectus, quare nó cfl (cnfus. illius a(lürbpti, qp nihil cft inincellev   €u,quin prius fuerit in fenfu períe, et immediate, quia res fpiritualcs intellipimus,yc Deum,& Angelos, quz (ub fenfu non cadunt; fcd vt notat ibi Mauritius ex. Ant. And. 1. Met. q:5.art. 2:quod priusnó-fucrit in (enfa aliquomodo; vcl per fe, et immediaié,vt colores,vcl per accidens, vt fübíizutia, que cognofcitur medijs accidentibus ; vcl fecundü fuas pattes, vt hir€occruus, mons aureus, vcl per effectus; vt eus, et Angcli,yel per fimilia,vt cü cognolcimus abí(cntes peripforü 1magines, vcl.per-oppotita, vc afpera per lenia,tencbras pcr.lucem;& in hoc fcnfu falsü cft, gy €ns rationis nO (uerit infcn(u,quia occafioncm iliud fingé4i habeinus à re (enübil;ynéque cognofcitur ab intellc&tu, ni i. adinttar alicuius rei aliquo modo à fcnfu: cognitz. Ad 4,cít fimul cü ea cognitio. nc,per.quarm fity;efto pcr noftrü cocipien: MOD, poflit dici pofterius ca; quaicnus peripíau accipit cüc,. eíl aut pricscognitione rcflcxa feqocnii;pcr quá atn. »Ad $ cria de fictinijs poteft. haberi fcicutia, cü babcap: patíicn.s. de iptis demo(trabiles, vr patet cx dictis có-&Lr.& q&comunite: diciur dc illis aon: 339 habcti (cientiam, id non debet. abíoluré intelligi, fed coparatiué ad alia entia rationis fundata; quatenus dc illis nó potett fcientia inftitui in tali grada certitudinis, qualis habetur de iflis,.& fic debet Doct, intelligi loc.cit.fi ibi loquitur de figmentis,rern.vcra-de illis loquitar,quarira pet fe primo contradictione includunt,vt nedum eífe in rerü natura repugnet,verame etiam ob manifcftam implicantiam nequeunt intelle&ui obijci, vt vnü intelli« gibile, quod claré coliigitur ex eius verbis. Ad G.obic&ü (pecificat cogpitioné nó intrin(ccé, fed extrinfecé tn, vt (epe docet. Scotus,& ideó hoc munus fuo modo poteft ctiam enti rationis conuenire . Ad7.licet ens rationis nequeat c(íe menfura füz cognitionis quoad perfc&ione, póttamen cile méfura quoad. veritatem, quo fenfu de rcla:one menfurabilis ad meníura Do&or loqui videtar quol..13. M.& O. et proptié dici folet relatio cóformitatis actus ad obie&am. Ad 8. (icut in notitia abftcactiua. dáur relato. rcalis actingentig ad obic&um noncxi(tens cx Scoto ibid£, ita dicendü erit in notitia en tis rónis;nec in tel:tionibus tran(cendentalibus,qualis cít illajincouenit c(le ad tec minüm non realem,. vt patcbit difp. dc Relat: quia earum realitas potius fündamento fpcéanda cft, quàm à termino. 97 Sccüdo arguitur, fi ensrazionis e(t intclligibile, vel cognofcitur per propria . fpeciem,ycl per [peciem entis realis;nan primü, quia cü'ensratienisnon fit obie&uin motiuum, propriam fpecie caufare : non poteft ncque sm uia fpecies difpa« rata nó poteit. cau(are nodtiam alicuius. obicéti difparati,vt per fpecié hominis nó. pollumus.venire in cognitioné.Iconis, vt Scot.docet 2.d. 3.3. 10.. &. tamen magts aliimilantur adinuxcé homo,& lco,quam ens-tealey et rauonis lcd pecicsiotantil: reprefenta: aliquid;quia eft eiusfimilitue do, ergo [pecics.cptis realis. nullo modo Feprzicngare potefl ensratiópaSs.lefp. dilcieparc BieGtorcs, an ensraetionishabcat propriam fpcci&imprefsagoan potius cognoí«arüz folum per (pcerem.entis tcális,in quo fundatur, et ad Cculusefumilitudincin cocigitürg Vrique ipte 346 bile puxant Cóplat.difj.2. Log.q.5.n.19. Atens rationis non habere propriá fpetiem impre(fam manifefté coliigitur ex Scot.q.3.vniuerf.ad 3.vbi innuit entia rationis intclligi per re flcxjoné intellc&tus, et nó per propriam ípeciem,quod non eft ita intelligendum, vt intellexit Bonctus in pradicam. cap. de relatione, quafi vio actu producantur; et alio reflexo in-telligantur,codem .n, a&us;quo producüturycuá inielliguntur, com eorü produci fit cognofci;& eft exprefía Scoti do&rina in 2.d. 1.q.1. art. 2. vbi ajt non prius haberc entia rationis cfle intelligibile, q sntellectum;& licet 2.d.1 .q.5. B. vidcazur ipnuere ; quod folumio actu rcflexo intelligitur ens rationis,&quód in dire:&o producitur, velut modus objecti,non obiectum, iam fuperius explicatum eft Q.zatt. zinfol.ad 1. quod in cognitione &cílcxa cognofcitur, ficat eft, in. priori vcr, qua formatur; cognofcitur aliter; quàm fit, quia attingitur ad modum en1is rcalis. Qaod a(t ens rationis non habeat propriam fpecie impreffam; Proba 1ur,quia bac (pecies nequit e(fe producta ex phantafmatibus, cá ens rationis nó üt $cnfibile,& confcquenter propriü phantalma nó habcar,neque etiam educta eíle poteft cx ipfo ente rationiscü ipfa it ac cidensreale quod nonnifi ex reali (ubie-&o cit cducibile, Accedit, quod matcria prima non cognofcitír per proprià fpc&iem (ed per analogiam ad formam :. Phyí.7. i1& relationes rcalcs, et cia tranfcendentia proprià (peciem non habznt ; ' wt docet Bargins 1.d.3. q. 1. in $. Quinto dico quod iii a, ergo tanto minus ens rationis, Quod cít infcrioris conditionis omnibus :flis, ficut igitur materia ccgno fciuir pcr analog;á ad formam;vniucilaJia, et tranfecadentia per fpecies infcriotisin quibus continentur ; et relationcs per fpecies abfolutori, in quibus fundanaur, vt ait Barg. fie in propofito entia rationis ccgnolcétur pcr fpecies entiü realium, in quibus quoquomodo fuodantur, vt hircoceruus per fpecies birci &ccerui, et omninó pcr analogiam ad ens rcale. . 98 Etcum dicitur in argumento fpcciem yn:us obie&i di(parat caufare non Difput. 111. De Ente Rationis . p notitiam alterius, &c. R efp.fpecid minis elle magis difparatam à leone, q; fit fpecies entis realis ab ente rationis, quamuis enim in cfiendo magis affimilétür homo, et leo, tanicn in reprzfentado poffunt conucnire magis ens reale, et rationis, ficut duz (uübftantiz magis in ef(endo inter (e conueniunt,quàm cá acci dente, et tf in reprzíentàdo magis, conuenit accidens cum fubftantia, quàm vna fubftantia cü alia,nam fpecies reprafentatiua fübíLantiz accidens eft ; non fübftantia; fic igitur 1n propofito, quia fec dz intentioncs virtualiter continentur ia primis, dicere poffumus, q» (pecics entis realis, licet fit reprafeatatiuum formale folius ent is realis; ideoque per fc primo in cius notitiá ducar, tame cft reprafentatiuum virtuale ctiam entis rationisidcoqs fecun darió in eius notitià ducere valens; Ncc inconacnit ipecicsobic&i vnius generiscfle virtuale reprzfentatiuü obie&ti alterius Braripe Barg.cit. quando hoc continetur in illo; quia videmus (peci albedinis effe virtuale reprafentatiuii fie militudinis in ca fundatz quamuis fit alterius generis; Et hoc eb magis in propo. tito dicendum cft, quia dicimusensrónis   quando incognitionc directa artingituf    per fpecié enus realis,non cogno(cit ada uaté  et licut efl, quia cognofcitur pet peciem alienam: quando veró initione reflexa attingitur, ficut eft, tüc dicendum cit nullo modo concurrere fpccicm enris realis 4d cam cogaitionemyfed tota a&tiuitas tribuenda eft virtuti reflexiuz intelle&us, vt inauit DoG. cit. q.5« vniuctf.ad 3. Mauritius ibidem.$. $exto dubitatur, in folutione ad primum. : QVvV£ESTIO VIL Quotuplex fit Ens R«tionis. . 59 Elcbris, ac inScholis frequens E diuifio entis tationis eit illa in ies fpecies relationem, negationem, et priuationé,quá afferunt; et recipiunt Re€entiores omncs, vt traditam à D. Tho. 23.de veritart.1.& 1.d. 2,9. 1. art. 3.& : 19.Q. I.att-1. ita Suatez difp. $4. Met. Ícc. 3. Didacus difp.3. Log y Ae d qf   di« H ^ P j2 ^73 : ] Pr i T " . lia : Fa Za E. dom modum, v; valdé improjtium e Eua. VIT. Quotuplex fit Ens Rationis. 23 «tife&t.4.q i dart. 3. mc 46. Àkoc DAE UOS fasdurac. 1t. «]» fRuuius tra&t, cit. et alij paffim. Comp $4. o. de S Th. ferant Complut.di(p.2.q.4. Io. de Q. 2satt. I, fed bimembrem, .(. in negationem, et rclationem' rationis, quia (ub negatione amplé fumpta etiam contine. «tur prinatio, et hoc modo teftantur tra-dià D. Th.cit. € q.5. de malo att. 7. vbi «€n5 tationis immediate diuidit iu rela. tionem rationis, et carentiam, et hanc in negationem, et priaationem. 'ed quocüique modo tradatur hzc ditifio, (emper graues paffa cft difficultatcs. In primis .0. non videntur rccte a(lignati, vt (pecies entis rationis, negatio «X priuatio, quia cftó non fint entia realia, non proindé inter entia rationis formaliter computanda funt, cum veré dentur à parte rci, non quidem vt entia reapriuatiga vcl negatiua ; vt arbitratur Mct.difp.2. et Fuentes t1. Phy(. c gen cum multis alijs (hunc .n. «onfutamus difp-4Phy(.q. 1 art. 1. ) (ed vt amorioncs rcales entiü quatenus nullo.cogitantc intelle&u veréjaer cft rencbr "4 niger, non albus. Q)uà fi dicas cum Suarez, et al;js hic non fami ncgationem, et priuationem, vt (unt amotioncs realium entiam, fic.n à parte rci repcriuntur, (ed quatenus concipiuntur ad modum forma pofitiuz, vc cü inzelle&us cócipit caecitatem in oculo per modum formz pofitus tollentis vi(um, fic .m, funt aliquo modo entia,non tcalia, fed rationis. Contra ctt,quia negauo,vel priuatio, vt cócipitur per modum forma polüiriuz;nó cit priuatioyfed forma po(itiua fi &ta ; et negatio, vel priuatio in fc materialiter (e habet ad ens rationis, et velati (ubit ratum quía eft id, cui cribuizur cile rationis cx dius Q.z. art.2. ergo vt tales nunquam íunt entia rationis, et rat10à priori cft, quia intelle&tus format cnsrauüonis illud &ingédo ad modd cntis potitiui, €t ipa non «ntia, et negationesrcalcs, crgo nullü daiut cns rationis nega: tiuum,íed omne cít pofitiuum, vt innuit Do&or 4-d.16.q. 2.ad 1.in oppofiti; Et 34 pet hoc reijcitur folutio, quad ad hinc tónem affert Blanc. cit. vbi vult tantü ens reale, ad cuius inftar ens rationis concipitur,e(sc formam pofitiuii, non aatem ipfum ens rationis . Hoc prorfas talsá eft, ná li ens rón's formati debet ad inftar entis tealis,cum hoc fit forma pofitiua ralis ctiam etie debet ens rónis, non quidé ve-r&,& realitec fed fi é,& fimilitudinarié, alioquin noncíf:t ad in'tac illius . 100 Soilct etiam prafata diuifio' ve» fellivelat in(ufficiens, et diminuta ; nam przter enumerata dátur alia entia rónis, qua coníucuetunt appeilaci fizmenra, et entia prohibica, vt chrmera, et hyccocec uus, hzc.n. ne3uc ad relationem, aut priuationem pertinenr, quia dum finoitur y nonconcipiuntur per modum relationis ad aliud, aut per modam carentiz in (ubic&to apto, vt fingi folet priuatio . Ncquc pertinét ad (implicem negationé, et veluti extra genus,quz ab omai fübiecto p'aícindit, quia negatio, vt ens rationis Ítatuitar, dicir carcotià form conceprá ad modum entis extrà fubie&tum, at chy.mzra non dicit carentiam, fed aliqu: pofitiaum,.(.animal dam per fc vná €x hominc, et Icone copofitum.At inquit Gd Suarez cit.fcG.4.n. 10. et fequuntur alij, omnia hac figméta fub negatione comprchendi;quia (unt fimpliciter non entia. Contra cft, tum quia hac ratione,vt beaé notat Auería,ctià relationesrationts (ub negatione cótinerentur, quia fimpliciter (unt nó entia ; tum quia vt ait Blanc.aliud cít cócipcre negationem animalis, quod fimul it homo, et leo per modum vnius compoliti, aliud verà concipere animal fimul hominem, et lenem, quamu:s igitut ens racionis primo modo formatum ad ncgationem ípectare poífit, tamen ens rationis-fecundo modo fidum c(t prorfus ab ea diftinctum ., Adcó alij, vt faluent fufficiétiam illius diuifionis, inquiunt hzc ; et fimilia entia rationis cffc fi&a (incfundamento;,& idcircó in ca non includi, quz folü eft entium rationis habentium fundamentü ia re;1tà Didac.& Complut.cit.ex Suar.cit. n.2. Quz folutio nihil prorfus valet,tum quia plura fuot entia HM Du 342 fandamentum in rc, qua excogitari pofÁunt in alijs przdicamentis à relatione, imó illa ipfa:, quz fingunturin pradicamento fubftantiz chymcra, et hircocernus ron omni proríuas carent fundaméto, vt poftca dicemus; tum quia € cotra inter fpecies diuifionis allatz aliquod ens rationis continctur non habens fundamentam in.re yt negario extra genus, quando concipitur vcluti rcs per fe cxiftens, 1o1 Aacerf.loc. cit. maluit przfatam dinifionem in peregrinos feníus deduce re, vt cam facerct fufficicntem, quàm deferere, 'nquit enim, quód primo concipi potcft ens rationis per modü effendi ad aliud, et hoc efle relationem rationis; fecundó pec modum c(Tendi in alio velut in fubieéto tine ordiae adaliud,vt ad termi num,&-hoccíle pri uationé;de cuius róne eft cíic infübic&o ; tertio (inc ccípectu adterminii,& (ine modo cflendi in (übie&o per modü effeodi in (c, et per (e vt cum concipitur chymera, et hitcoceruus, et hoceftnegatio,quz non neceffarió ad fuübie&um determinatur, (ed zqué bene faluatat cxtra illud; itaque tria ftatuit gcncra cuti cationis, ens rationis ad aliud, qp ít relatio tationis, ens racionis in alio, eft jrivatio rationis, et cns rationis in et quod cit negatio racionis,& fübd this eltimnis duobus generibus bcne applicari tiomina priuitionis, et ncgationis, quia in vniucríam ens rationis non cítens rea le. Sed licct in re bene dif: utrac Auerfa, difplicet tamen in modo loquendi ; e(to enim primáü genus entiscationis conucniter appelletur relatio, o hileminus n6 rc&é cetera duo negatio, et priuatio vocantur ca przrfertit ratione quam affert, quia in vniucr(um cns ration s nO cfl cns tealc. Quia liac rationc ctià relatio rónis dici dcberet. negato, vcl pcuatio, quia non elt cnsreale, vt iple :bidem neg.bat «ontra cópcchzndcnies 1 gmenta fob ncgatione ju a funt non ent a; AcccditgaIi0 principal s allata initio quzit.ens ra. tionis in vniucríum quid pofitiuu rónis prafcferre, ac proinde forma!iter cotificre nó poflc in ncgationc, aut privationc, 102 D;cendü igitur cfl cns rationis data proportione diuidi deberc, ficut ensDifput. 111. De Ente tionis . reile, ad dfodum cuius concipitut. Com: clufio colligitar ex Scoto q.6. vn:uerf. in fine, vbi docet, quod ficut in cate reali dàtur diueríi gradus (fendi, ita etiam ia Tem ar s, et probatur Primo ex illo generali pr.ncipio ; quod quicquid fimpliciter p n entibus hus ibus f Rs dü quid inuenitur in entibus rationis, crgo qtalis eft d a:fio fimpliciter entis reas i$, taliserit sm quid diuifio encsrón s. Dcinde quia natutá entis rationis, et quid fit et quotuplex,omninó inucftigare dobemus pet analogiá ad cns reale,(icut crgo intancum habct effeinquaptum cócipitur ad modirentis rcalis, ita intantü diuiditur quarcnus cócip tur diuidi ad modum entis realis,quarc (icut ens rcale di-uiditar in (üb(lanam,& accidens, et hoc ih abfolutum,& rc(pc&;uum;& ruríus ab folutum in quantitate, et qualitatem, te«fpeciei inintrinfccus, et excrinccus aduenicns, fic ens rationis diuiditur in fubftantiam rationis, &accidens rationis, et hoc in abíolutum, et refpe« rurfus inzmriofecus, et extrinfecus adueniens.Demü pro iuum rationis, id batur dcmonftrandoin tingulis pteedicamétis proportionata entia rationisabintelle&u formars,vc docu t Mayr.quol6.   et mult ; ctiam v fuc ie rait rez cit.Ícc.4. Vafq.1.].difp. 114.à nu-14. Caict. 1.p. q.2 8. gr Molins ibidem, Aucrí.loc.cit.& aij. etenim in füb lacia concipiuntur chymerz, et fimil:à monftra.qua« non vt al5js adiacentia, (ed vt in fc (ub fiftentia fingüturjin quantitate fpa tiuinsimaginariü extra Caelum, et ipfam quantitatem molis 10 chyasera jmaginatamyinqualitarc cócipimus famà ; et honorcm,vt dif, ofitioncsconaeniétes pcrforz honoratz, et iplas denominationcs cxtrinfecas cócip:mus i rebusdenom'nat;s pcr modáü correlations, vt rclationcm cogaiti ad cogn tioné ; fingimus etiam a&t.onem,& patlionem,cum cogitamus igné animas torquere, et in casage rc aCtione corporca, caíqs torqueri paffionc £o mili, et tádC al a quoqit ng m, cü cogitamus Deum rcpelei c huoc à üsu ad modom coryor.s,Qarc in Ce'o,vci fe dere,infin.to tcmporis fpatio E )& ; cilc t dE M ET ^ tücntisrationis non u. Quaf.V1T. Quwotuplex fit Ens Rátionis . effe am:Gum!umine tanquam vcftimen. to. Et qui. vod prat.r ens radionisrefpe&tiuum;quod folum videntur agnou;f fe veteres Scotiftasét abfol.itü cóccedi de  sbear,exptefsé docuit Scotus 1.d. 56.q. vn. $ conira illud obgrituryn(olad 1. et ex -Kecétioribus Scotittis qui »lures P; Fab. 4. Met.d.fp.4.cap.5.& 1. difp. gt nu.26. Satnanus tract.de 2 intent. Smi(ing.trac, dilp.z.n. 179. et :nfra, vbi ctiamcitat atar.4«d. 1.q 2. Rada 1. p.concrou. 29. -Nolanusin P.nach.q.15. Vulpes 1.p.to, I. difp.28.art vit. Camciar.q. 1 4.Mct. 3103 Rurfusensrationis.in tora (ua am plitudine diuidi debet in ens ration: s fundatü in re, € non faadatum, fed à nobis mcré fi&am, quod hac rationc fibi vcadicauit nomen &gmenti, vt chymcra, et byrcoceruus, Ex quidem per fundameni accipi in przimperfe&io noftri intellectus ; ac dcbilis eias concipiendi modus, vt quidà volunt, alioquin omnia entia rationis ha berent fandamentum, et illa przfertim, eani ama adesomoie A ai nà. que przecipué pendent ex actibus chyme Roda intellectus ea ad libitam fingentis, vnd ifta magis dicerentur funda, ta, quàm alia,cum magis nitantur noftro «oncipiendi inodo esie . Neque per fundamentum encs rationis debet ac Cipisilud ens reale, ad cuius inftar concipitur, eadem racione, quia nimirü omnia entia rationis haberent fundainenci in re, etiam chymerz, et monftra, vt bené aduertc P. Faber in Met. cit. c. 2.in fine,nam intellc&us ex apprehélione rerü realm fumit occafione fingédi illa maftra, non.n. cnsrauonis cozitaret, nif | prius cnszcale cognou:ffet,vadé chymaIXm ipfam concipit ad inftar animalis, q» ens rcalc eli. Ncq; perc fundaieatum entisrationis (umi debet ens reale; quod ab. ente rationis denominatur, (eü de quo. ens rationis pracdicatur » vt fora inten tionalis de (ubic&to 5 Íicur exittimauit Fonfec.s.Metécap.7. q.4. fe&t. 5. Quia ens racionis poce& alicui (abiecto actripuat fine tundamenro, vt fi homini tribueiec intellectus inventionem gencris, nó (pc& ci,coloci celationein auditi, non viti;cr343 go fundamentum entis rationis aliquid aliud importat preter (ubiectum, cui cibuitur ipfüm ens rationis, occalioné neam pé llam tribuendi tali fabie&to cale ens rationis, € non aliud;non ergo fundamétum entis racionis contundi debct cü eius (ub:ecto,prefcrtim quia accidere poteft, quod mielle&us efformet ens rationis €um fundamento ab(que fübiccto, cui illud tribuat, fic fpatium imaginarium ab €o cogitatum per modum cuiuídam extenlionis cenfctor ens ratignis cum fans damento,nam occafionem habet à parte rei illud ità concipiendi,& non alio modo, et tamcn nulli entireali cogitatur adiunctum, de quo przdicetur . 104 lraque pcc. fundamentum entis ration.s illud intelligimus, quod cft fpecialisquedam occafio;ac veluti motiuum vrgens intellectum ad excogitanda entia rationis et tali, vel tali modo fin . itaut intelle&us non temeré, et meré gra tis,fed ex ipfis rerum proprietatibus oce caíione defümpta efficiat entia rationis et hzc eft communis explicatio Scotiftacam Fabri cit.cap.3.Sarnani, et Rocci tract.de (ecimd. intent. et aliorum, dum inquiunt fecundas intentiones loicales neris (pecie, &c. non po(fe ad libituna [aes quafcung; res fundari;fed iuxrà re» rum proprictates, vt li aliqua natura. fit aliquibus comunicabilis,(uper ipfam fan» dabitur «atio vniuer(alis, (i plutibusmagis vniucríal;s, i nullis, particularis, &ce uz explicatio exprefsé traditur à Do« re q. 4. vniuetf. in fine, ybi vniuerfale ponit effe ensrationisfundatum, quiae Aliquid ei in re exu cocref, quo mouetuc intelle&tus ad caufandum ralem intentionem,& nó aliam; figmentum ve« ró inquit e(le non fundatum ; quia nihil talc extra correí pondet, vade coacludit ens rationis Cundatü. di i à figméto quia originaliteryfitie ionaliter eft 4 proprietare in tc, figmentum veró. minimé, ità Do&or ibi, ac cius Expofitores Maurit.Braiauol X alij . luxta quam do« &inam à pluribus, Recentioribus receptam,& prafertim ab Auerfa q. 5» (e&.3, €nua rauion;s cum fundamento 1a lunc qua cx aliqua nece ffitatey vcl x $44 £c finguntur, et nonalio modo ;. at fine fundamento illa dicurtur ; que fingimus. prout volumus, cum nulia fit neccífiras, vcloccaíio, quz nos dctetminet ad tius.quàm ille modo fingendü,vt dum: E aon chymeram,vel aliud monftcum;, in quo non determinamur ad hoc potius, quàm illo modo fingendum ; Quem. di«endi modum optimé fuadet Aucrfa cit. vx coníueto loquendi modo, illud enim,, uod cft nobis motiuum; et occafio aliqu fundamentum noopinionis. et indicia, ac fi gna;qua mouent ad aliquid iudicandum, dicuntur 1alisiudicij fundamentum, ficut é cótra «omquis fine ratioue opinatur.,| et (ine 1alibusiudicjs iud.cat,. dicitur ine fundam«nto gratis. et temeré opinari, et quia chymerz ; et conlimilia monítra z áta formantur; idco antonoma fticé. no» men figmenti fibi víurparunt.. 10$. Ex hocvetcres quidam Scotiftz; &. Thomi(tz deduxerunt. fola. entia .rasionis fundata veré et proprié e(ic entia zationis ; quorum proinde cognitio des&rinalis cit, et ad Ícientias deferuire poacft; alia. vcró minimé.,. fed potius dici &cbere entia fi&itia, et prohibita, quia «oium cogpirio doctrinalisnon cft, pozeftque in infioiuum multiplicari nulla. ahibita rationc rerum, et paturarum .realium,. fcd pro inelle&tus cerebro, vc ait Didacus, iuxta quam doctrinam praíata qiuifio effet zquiuoci in zquinocata. Ve» zum immceritó: huiu(modi entia fi titia excluduntur à fcrie entiüi racionis, nam fi ens raiionis illud eft, quod ce repugnat et parte.rci& folum habct e(feob:cétiué iniptelle&w vt fupra fancitum cft ex cóambni omnium fenfu, plané fié&itia quoquc. cruar entia rationiscum goa habcát €(fc.nifi peropus intelle&us ; imó vt ait "Auería; hzc videntur quodammodo ma gisparticipare de ente rationis. vtpote qua. magis pendent à virtute fidtiua intel. Meétus, et minus nituntur rebus jpfis, &. «oníequenter. magis diftant ab ente rcaIi. Neq; huic obíiat, g» nequeant ità (cié1ijs de(eruire, (ieut encia rationis fundata. . Inoppofitumobijcitur 1. ad probandum negationem, priuationem cfc.en» Difput. Ill, De Ente Rationis: tía rationis, Tum quia Arift.&a connuzmerat inter entia 4. Met.2.X li.$.tex. 145. et plané nonnifi iater entia tónis conumerae potuit. Tü 2.quia noa folum danetur negationcs realcs,qualessüt omnes,, qua verz sát à parte re! » (cd etiam won uonesratioris »uales funt oés, qua (unt: falfa à parte rei, Tum 3quianontantü: concipimus id, quod non eft, ac fi effer, verumctiam id, quod cft, ac (i non eser,. et non folam affirmamus, 9 impoffibile: efl;(cd negamus;quod neceffariü eftjergo: non omne ensrationis formalitere(t poficiuum;fed dari ctiam debet negatiuum.. Tum tandem; quia efto negatio, et pri uatio,vt íuntà.parte rei,non fint entia ra: tionis, tamen quando à nobis concipiun«tur, vt formz pofitiuz, participant ra«tionem entis,non realis, ergo rationis, 106 Rceíp. negationem, et priuation& infe eífe entia rationis fundamétaliterta: rationisilliszribuendo efle pofitiuum, vt: tüm ., quatenusintelle&ui epof  funt occaGeiicot Wow senno " benenotat Hurt. difp.19, Met. $, 87; et in hoc fenfu Arift. ilias:cnumerauir interentia rationis; vel potius enumerauit ina-.ter non entía;ait «n. quare Q7 ipfum mon: ens efie non ens dicimus,vt adacttie Fu&s £a tes. Ad z.ipfaquoque negauo rarionisà nobis apprchenditur per, modum forma. potitiuz ;.vt magis conffabit eeu r fione (equentiAd 5, negatur (eque fiue cnim affirmemus» quod impoffibile cft, (iue negemus,quod necelfacium eft; hoc femper fit fingendo, quod non cft. ac fi elict,vnde cum iudicamushomineim: non cfle animal rauonale, cogitamus idj. ac fi ita elfec à parte rci, Sfi ngimus veria tatemin 4fla propositione, inqua tamen: nulla eit veritas, et veritas i(ta fi&a quid! pofiuuum cft; ficut veritas.realis in propofitione quid -potitiuum dicit... Ad .4.cum concipiuntur à nobis pcr, modü for« mae pofitiuz,(equiwur folumquoad illud i efc potitiuum,quod illis ab incelle&tu triabuitur, cffe ena rationis forialiter, non: autem vt font ncgario, et priuatio, 107. Secundo obijcituc (olum impres dicamento relations, nó autcm pcr alia: polle cns rasonis proportione d.ftribuiy, | Coo o Qul. VIL. Quotuplex fit Ens Rationis.   $45 ' TN ratione D.Th.1.p.q.28.ar. 1. quia predi. | et  €amétü relationis cóftituitur per ejfe ad, ..  «uEtera veró accidétium geucta per ce o "in, et inhztere, at hoc intercfl inter efie Uh «d, et ejfe in, fcu inharere, qubd effe ad | e abítrahit à reali,& rationis, (cd inhzerere 3 €x proprio conceptu dicit aliquid reale, : ergo folum in genere relationis pót inueniti cns rationis,nóin alijs;ita hanc ra. tionem declarant ibi Caíet. et alij Expofitores D. T hom. Confitimatur, € decla. ratur ab alijs in hanc modum, potett initelle&tusreferrevnumalteri, ad quod re . vera non refertur, at nó poteft facerc inhaerere; quod re vera non inhzret,& càto minus fübfiftere, quod à parte rei nó fub. fiftit,ergo inter omnia przdicameaca foJarelatio potcft in fua coordinatione en. tíarauonis admittere. Ruríus eriam in cómuni modo loquendi non admittitur  fübftantia rationis, et quantitas rationis,. vtnotat Do&or 5. Mét. q. 11.ab initio, . fed fola 1elatio rationis « Demum licet aliquid poffit fingi ad inftar (ubflantiz, Chymera, et quantitatis;jvt vacuum,nàó B2 9t » . . bidfcquitut dari poíie fab'tantiam ra fed negationcs fübftancg", ve] quantitatis ad inftar (übitantiz, vel quantitatis con» cipiütur; non dicitur aüt ens rationis id, Ma pin inftar aliquid cócipitur, fed id, q» €oncipitur ad inftar entis, cü fit non ens. 108 Refíp.rationéillà D.Thomz pagum valere, vc enim conttabit ex inferius   dicédis de Relatione,talfa eft maior,quia relatio cx propr;o conceptu intrinfeco nó folum dicit ad, (cd ctiam in, fal(a eft eria minor, quia effe ad veré, ac proprie fümptum, quo fenfu confticuit przdicamentum relationis, 1uipptam reale cít; quare ficut ho« nó obftante poteft dari efse ad fationis,ita et cjfe in; et quidein mbzrere diminaté (ainpium conuenit etiá entibas rat;onis, có (io modo habeanc causá macecialem ex f'ipradictis. Ad Cofirm.ncut. iaccelleétus vim habec conciyiéditefpcetum jotcr aliqua, qua nonicfecikurs rta plané v. m habec apprehendendi accidcns in aliquo (uoiccto;eui inicie nequit, Agua . tionis,vc em rationis, quia non F du K i EELdCNreRE E^ : ac etià aliquid in. rerum natura fab(iftere,quod implicet; et quamu:s dcucàt iprcllés viceure füa facere inherereg» non inha:ct ; coyítare tamen pót iliud;vt inharens, hcut quando ireferibilia adinuicem rctcrt, vtique non facit illa referri à parte rei, fcd illa apprehendit, vt relata; idem dicarur de fübiifterc. Ad alia Confirm. frequentius nominatur. relatio racionis, jua lübttantia rationis, quanti tas, &c. quia illa magis in fcienujs deferuit; et aptior eft ad noftros coceprus exe plicandos. Do&or autem loc.cit.ait quá« titatem racionis nó reíaltare in intelle&a €x vi a&tus collatiui,vt ibi cft videre. Ad vltimam, fi valeret, concludecet etíam no dari relationem rationis, vt conftat, fi de«pfa argumétum formetüt, ticut igitur informatione relationis rationis, ncque relatio realis, ad cuius inftar efficicur,nec negatio relationis cft relatio rationis, fcd forma relatina fi&a,ita in formatione fub ftantiz; et quantitatis rationis, nec ipía real.s fübftancia,vel quátitas,ad cuius inftar efficitur, nec eorum ncgatio eft fübftancia rationis,vel quantitas rationis,(ed precise forma abíoluta fi&aad corum ti» militadiné,hzc enim eft, qua habet prz« cise effe obiectiuum in intelle&u; et nulq loalto modoexiftir.Tertió arguitur ad idem; Tü quia non debemus ponere tantam diftinctioné inter ca,qua finguntur ad modum entiumg quanta eft inter entia ipfa fimplicirer,ere o non debent diftribui per omnia pra» icamenra, Tum eciam. cg &c., differunt genere generali(fimo, et habent decem modos eiicndi primó die ueríos, fcd omnia enuarationis habét v« num,& cundem effendi modum, .f. fit E rauonem, et diminutum. Tum 3.quia c ratione Door q.1 1.przdicám. có» fütuit peculiare przdicamentum cntiam rationis,quod poft ifta: omnes arm plexati fuor, et llaronc i pra dicamenuió . Tum tandem quia di. entis rationis in oe infcriora i eft vniuoci analogi.in fua analogata, e: un poteft ciTe yd apte rra L a genera, qualis cit. Ica. probiua aampium, vnum eus ra dian á 546. tationis non dic tut tele per analogiam adaliud ens rationis, (cd omniadicuntur talia per analogiain ad cnsteale 109 Reíp. non debere. poni tantá diftin&ionem fimpliciter, et abfoluté,fed tantam; sr quid, et proyortionaliter, (icut intcr hominé,& leonem pióos vtiq; fimpliciter non tanta diftin&tio rcperitur,quanta c(t intcr illa animalia vera,reperitur tamcn tanta fecundum quid, et proport.onaliter ad illavera. Ada. iam fuperius dictum c(t cx Scotoq.6vniuerf.infinc,quódlicutintra latitudinementisrealisdatutvarij gradusc(fendi, ità proportione dicendum cfl de ente rationis ità quod fübflátia rationis fit perfe&tius ens accidente rationis, quia nimirum cócipiturad iaflar perfectiotis entis ; et cü d:ci:urqnod omnia habent vnum,& cüdcm cflendi modum;.f. fidum pet rationemsvcrü cfl de comuni(Tino,& trapfcé-, dcnti, non au:em de fpecifico, ficut etià entia rcalia dicuntur habere vnü, et eunelem cffcndi i odü, quarenus omnia przteropus intclic&us exiftunt, vel exiftcre petlunt. Ad 53. Do&or ibi mouet dubium, an entia rationis rcducátur ad predicaméta rcalía, num potius propriü cofituaut prz dicamcenium, nec aliquid reÉoluit,. fcd provtrag; patte-difpurat ; et em enatis paffim peculiare illis a(lignent pred:camentum,tamea ne dicamenta auluplicentur line Meri 1e, reduci poffunt ad illa predicamenta rcalia,ad quorum inítar concipiuntur, ficut vabrareducitür ad corpus . Potcit tamcn quoque conílitui vnum predicagient& pro oronibus entibus racionis fub codem gencre gcneraliffimo, quod fit ensrationisin tota fua amplitudine, inquanü cóftixui etiam meis .ynum pradicamcntü pro omnibus entibus real;bus fob vno, et codcm gene:e generali(limo, "fit ens reale finitum ; fed fiue hoc, alio modo entia rcalia dift ribua:ur, ce inferius füó loco, E Gud my vno,iu€inpluribus przdicamcntis, cer.é cntia rationis codem modo di(lcibui, ac di« uididebent, ficuxilla (eruata proportiose5dc hoc vidc Fabram cit.c.6.& Vallomum in Foraialit. pag nubis 93. et Zerb, 4X cx muni mode loquédi non cenfetut funda«  talisaüit cft oceafio,vndé án 1ebus,ncc proxi gaturaffamptum c i Mct. q.8. Ad 4. ua probatione, ficut .n. accidens rcale attributionem ad fubftantiam realem, tic accidensrationis habet attributionem ad (ubftantiam rationis fecandü quid,& proportionaliter, cftó deinde ve rum (it »fta omnia vltimaté attributioné. tad ensreale, et ex tali attributione vltimaté dici entia ronis neq; hzc vltimata attributio impedit illa; (ic dicere fo lemus qualitaté depédcre proximé à quàtitate, vtrüq; veró vltimaré à fub(Lantia, 110 Quatto obijcitur,g» omnia entia. rationis fint fundata, quia (cmper ad illa eflingenda occafionem intelle&us (umit à rebus, quod etiam in ipis chymeris ex(eme non .n. eas ex incompofíibilius partibus conftitutas fingere poffemus, nifi partesillas (ciun&im, et in diucríis repertas intelligeremus. Refp. negando affimptum,cfto.n.per endum, nó tamen quamcunq; fcd occafionem pro»imam, et vrgemté,nam. EV p r^ fi leuis fit et temora,proprié, et cx 'omy mentum, icut in moralibus. qui iudicat aliquid de proximo fao, etli boa a iat abíq; mociuo,fi tamen motiuum non « vrgens,(ed parui momenti;iudiciumillud   vocamus tcmerariü, et fine ITA Pes! s chymeras, luis nimirum, et remota; licut temoté tii [undatur in rebus,.f. ratione fuarum parti, lectus ad fabricandas: RÀ nopratonctotios.Imo P.Brafauolaq.4«   x vniucif. in finc exponensdi&ü Doctoris. T dicentis figmento nihil extià correlpondere; inquit Doctorem loqui de fgméto ca rauione, qua e(t figmentum ; et quod. pet pnt intendit ornata omnia . Quod f obijcias partes corrc[pondere bamcento. gni boc effe verum de. figmento ca rationesqua tale cft, quia rationc partium noncft igmentum,fed id» tum ratione vnionrs earum. » cur vniont nulla pcnitus po(libilizas corccfyondctà p?rte tei, et idcó conclud:c figmcnmum, vt talc, nollam pror(us occalioné habere m; nccremoram, QVAquA E. Du dft, HT De fecusdisTiimtionlli e A1. I. 347? t erey £&STIO VIII. e(emrialis, Varias ad hoc re[;onfi nes ye Wax e. JOD affzrant Heragus y et Menzus tract, cit. t «cipua [pecie Entis Rationis by caicer dici poteft:ex Scoto q. r4. pw. dicitur jecunda Inteutio., voruer(;in corpore etiam hoc nomen  í5yit FN hácmateriadefecnodisinten fen:5o e(ie concretum, intenuo..n.iaquá E donibus Au&toces extcemi für,   vumiintentio,cft apoticabilis reb, 19 quit : quidam,n, Thotmiftaram,&Scorittirü| Do&or,atq,ideofignificatquidditatem^éntegros ediderunt tra&atus defeeindis "intétionisintócernentia ad rem ip(am;vt  .. "Ratentionibus,vt Herüzus, Méngus;Saribi Beafinola cx pouit ; vel faltim omnes fanis, occus, Billeus, et alij . Neoterici « eo nomme vtuncur, ac fi concretü effet . ctó;vel mhil, vel parum de'llis cra&át, « inadhibzn Jis xutem vocabulis communi . "wteftvidere apud Suarez, Ruuiü, Hart. 1o queotirn víui ftandum eft vc monuit Did, Blanc.Coplat, Arriag. et alios. Nos ' Do5t 4.d. 1.q.2. explicato quaítionis ti"mediam tenentes viam füperflaa ommit tulo;& qirid nomin:s intentionis (ccüda, mus, et illa folmn trademus,'queriemnc explicandam e(t quid res. | «elfaria videbantur ad cognoftendá.ma.-.^ turam; et affe&ioncs erii Mun( I tionum, quas iion ad rnàci e dU PED DO4 7.  mus, vt Neoterici, Gidbdlon ipfas vec. Ald i, Tecta ipie o quamodofit, |fetmrLogica,vteflab Aríft.conrexcta;  i prima differat . .. omnia veró duobus articulis comple&te  112 I" explicanda natara, et quiddira.. amurjin quotum s das to quidte fecundatum inrentionum varij ditatem earum; affle&ionts inaleeroex funt dicédi modi. Mayr.in primis r.d.23. | no ibimus.' Et wcà noaiinis explicatio qc. et 2.& quol,7. aic primas inréciones .qnecxord:amuryaduercendum eft nonfueife ceram quidditares, fecüdas veró efle J ^mihic inténiti  preís& pro tendentia | earundem aptitudines,vc v.g.ratio fpeciei ; (aum finem, fed laré pro t&| in homine nonet, mii apcitu 10 cómuniu$ in rem coznitam, feü. cabilitatis pluribus indiuida:s natdraliter 5c inscelie&us; fed uia concehumanitati inexiltens,& ratio differétiE ptus int is elt. dupfex, formilis, €   inrationali eft virtus quzdam;qua natum Obictiaus;fic et duplex-eritintéuo,foreft animal diuidere, et hominem confti« máalis, et obicctiua ; formalis cft actis. uere; vndé cenfere videtur [ecundas 19ple intellettuscédens in obrectum,ob:e teacioncs eile potius entia realia, quà ra| diis cit ipéceng uam tend.t 1ncelle  tionis;qaia viuerfalitas qua ab omnibus étus, et vccaque c beet prima, et (e. ponitur (ecüda in:enrio, in homine ; et . unda; dum ifütuitur quzitio inpr   an'malraliud non ip orat uàm hara | fent de fecunda intentione, non iaflitii nacurarumáot tudinem,vt pluribascom"tur de formali. hiinc n. faceritac omnes | imunicentur, et hc apcutudo vi juc illis ^. fe pe eft adtusipíeintelle  natucis comienit citrà. opus. inrellectusz « et us; quof: riótédit in rem,fedin.^ Verüm hecop o reijcitur ex folcus $ (00 Riuritur de fecüda intenuoné obie&iux: | ceriinorum declarati »a? ab omn.bus ce -« "Accirca hunc có munem loquédi mo  cepta prima, (ccund e intentionis, càin  . .. dem, &accipiendi intentionem primás   formil s;quáim obic&iís ; mn cam iüe 'vel fecundum, ori«ur d fficultas, uia res   celle&us, cendens in obiectum cx rimit qu dicituc prima, vel fecüdainrentio, illud ia (ao ordine,.i. cogno(zi snillo ta. . 3 Z 4 re E Vara rium, vel(ecüdariam   apiributa jqu£ ipfi conaeniuatex ma'ura i adipíam j.(ed res. rei.cicrà omnem  iatelle&us negoxattavtimelle&a dicitar inrenta-jaconcreto, nem jadcó vc 6 nulla dacecor ficio jicl| Es dines titio lc&us, adhuc illa actr.buta: spa 'obieóbo  aio inábitraso femperelk-perío et imenrio formalis, Tea d 34$ coghium dicitur prima inventio obic&ipa, vt v.g. quando intelledus cognoícit mararam humanam participari à Petro et Paulo ; matura humana cognita com atiributo dicitur prima intentio obicdtiua, et cognitio, cua intcllc&tus tendit in na'uram humana füb ca ratione, dictur prin aictenuo formalis, Cum ver» hac eccalione motus intelleQus, quia.f. videt natur m humanam cóem Petro et P.ulo, concipit illam woiuerlalé, et illam veluti fpecicm actu dc illis przdicat hac vniver (alias concepta in ipía efl (cconda inten tio obic&iua ; et cognitio cam exprimés fob tal: formalitate cft fccunda intcnuo formalis,qua licet (it realis, id tamen, €i cotrcíy ondet ex parte obic&i, reale no eft, quia vniver(alitas non. daturà parte sci, fd fit p opus intelle&us, vt dicemus diíp.ieq. et inconfultó proríus confundit May:ó tundan ema, et occafiones (ecundarum iptenticnum cü ipfis imétionibus, mam apt;tudines ilie naturarum, vt plutibus cómunicentur, funt radices, et occafioncs fundandi (ecundas 'n'couones, no iplz (ecundz intentiones, vt «x cadcm (p. conftabit. Cum ig itur (ecundz ini €. tiones rermincent Ííccundartas animi con ceptiones, conícquenter entia ronis erüt, et non icalia, nam vt colligitur cx difcriminc pofito ; prima intentio 1deó dicitur ima, et alia fecunda, quia cum obicétà -€ontidcrari poffit in duplici (Yatu, primó fecundum quod cft in (c, et sri attributa €i conucnicotia ex natura rei ; (ccundà vt cft in apprehenfioue, et sm auributa ci Corucn;entia ex intellectus operatione, qui (tatus, vt liquet, polfterior ett illo ; mcritó cognitio, quz exprimit obicétum fub primo tatu, dicitut. prima inrentio, et quz illud exprimit (ub poferiori,dicitar (ccunday& cà er qua talé cóce grioncm terainant, entia rationis eruar, 113 Sccundó .lib. 1. denatura Kogic& cap. 5. inquit primas intcntioncs eic nomina rcs ipfas igmticáua med.js anime concepiibus,vt nomen homo,ani, al j cu efle conceptus ipíos, quorü hzc omina figna fuat . s vcro nten« tiones ait cic alia nomina lis nourmibus Gmpolita,vt genus, à (pecics ) quae, (üac Difpu. TI I. TDeEnteRationis. ncmina impofit« animali, et homint,fett elle concepts ipfosqui pec hzc nomina lone et lvbit primasiniéciones idcó non efie an'mi noftri figmenra,quia fignificát rc prout fünt,yt homo; et anis   mal natoran: hominis, et animalis in fey at (ccandz. incenioncs res. lign ficanc s prout à nobis menie. concipiuo. ur, nom prout cxtra nenté funcvnde potius cores ceptus concepruum fignificant,quam rerum,& ideó. ote mernó fccundz incen« toncs appellantur, atquc aninv no(tci opera,& fign enta, cux fuit opinio No« minalium,vt refert Tatar. q.3. yra: mb. Logic dub.1. a« E;ceuj,vt rcícet Dado. uct.lib.r. Formalit. cap. 16. Sed neque hic modus dicendi eft admittendus; nam vt docct Mauittmis q. 5. vniuctf.aliud cfi loqui de primis. et fe-«undis in'entionibus, aliud de termina primarum, et fccundarü mientionü,nam. ? pria et fecundaintentio,vccontlat c ipfis vocabulismporiantcceptusmen    us, et que conceptibus: lisexerimüiut, teco/mrvcró,kcunominaeasdüvt homo,  animal, genus,pecics lolas voces impots tant lignibicantcs illas ad plaotum; cofut dit cr&o Zabarel.cum Nommalibus nomi. 4 na (ccundarü enrionao, et primarum   cum intenu:-pibus iplis.» cft cauendum. 114 Tercio, alj exylicantsm intede tioncm omnino, vt ensrationis, purant enim hzc duo eife ade quaté idcm, ita Zeibius $. Met. q.8. ad 1. Arcum. art, r. Formal.com.4. s,& Roccus trac, dc fecund.intent. quod probant nam ijsüens rationis, quodcanque tr, fccandarió intellig.tur, nüquam cnimcirca ipsü jo» tcít in cllectus operari, n.i prius rd realibus intelle&tis, ergo in vniucrfum ips fa enia realía íunr priinz incenüionces, et entia rationis (ccidz, Alijita explicant e vt fccunda iütentio latíus pateatquá cns rationis;ita Didac.cit.q.vlr.quem fequi» tur Fact.q.2. di. Macht: ERAN A fccüda intédo obiedtiua includit omnia iliaqua: rebus non conucniunt ante opcrationé intellcétus,vndc et inclad. t dcno minationé cxtrinfec ERA Net Á proucnicnté e anis ghe jquta €ct,ens rationis non fit formaliter, nom "oie. Lio i tamen cónenit reiantc opus intelle&tus, Auer eft fecunda intentio. At vtriufque modi dicendi Au&orcs valde dccipiuntur, quia tantum abctt, 9 intentio fecunda go pateat, vc] magis, &c ens rationis, quod potius e contra res fe habet, vt bcne notat Dudouct. lib.. Formalit.cap.6.nam fecunda intentio sépet eft ens rationis rclàtmum ; cü fiat per €ollationem rerumadinuicem in attributo rationis, vt mox dicemus, ens vero ra"nis,vt fic,abftrahit ab abfoluto, et re. fpe&tiuo vt cóftat ex dictis, atq; idco cófultó intitulo quaftionis diximus fecunintentionem effe fpeciem entis rationis. Ratio vero primorum probat tm quodcunque ensrónis poffe dici fecunda intentioncm,quarenus in omni inuenitur «.. fccunda auteütio füpponens priorem cognitionem de ente reali, ad ca'us. inflar concipitur, quz fecundz intentionis ac€eptio valde fuía eft, et impropria,vt notant Complut.q. f.5.44.& Suarcz fe&.6, Meere fecun Kart intentioné proo RA Md eure Sides riturquc etur rem, | dü quod cognita ef cópatatacum alia in attributo rationis, De hend, d in omnoi ente rationis, et ideo non quodcunque cft fecunda intentio. Ratio ét aliorü parum roboris haber,nam q.2.art. 1. fatis aperté demonítrauimus denominationé extrinfccam et ex a&u cognitionis dcfam ptam pertinere ad illa ; quz rebus conacniant antc operationé intelle&tus, nó quidem illa, ex qua defumitur ( fic enim et a&us,& habitus ipfi intelle&us fecunda jntentioncs dici deberent, cum n6 habeát €ffe antc opus intelle&us ) (ed illam, qua fiunt entia racionis, et à R ecétioribus dicitur fictio, ab antiquis autem negotiatio jntellcétus. Accedit, quód fecundz intentioncs fapponunt pro fundamento cffc cognitum,fi ut 5enus füpponit rem effe ab inferioribus abftrractam, ergo formaliter non funt ipíz denominationes cogn ti, et cogicari, fed aliquid aliud (oper illas findatum., 115 Qno, concedunt alij fecüdaimn intention.in clc fpeciem enus rationis, Ulam nimirum, qua confütuit ens ratioe Logiea « : Me on 7 Sauct.VIr. De. fecundis Intentionibus. c-r t.I. 349 nisrelatiuum, vnde afferunt confequenter omnem relationem. raiionis cífz fecundá intentionem, et e contra;in juiunt cnim omne ensrationis ex a&a collatiuo rcfu!tans e(fe f(ccundam intentionem ; fed tale ett omne ens relatiuum róníis, ergo &c. ita Scotiftz quamplüges. INcque ifte modus dicendi recipiendus cft, duo enim prafertim manifefte, fala continet; primum eft, quód omnis relatio rationis fit fecunda intentio, docet vcique Scotus in 1.d.23. q.vn. $. Contra ifíiud, omnem fecundá intentionem cffe relationem ra» tionis, fed non quamcüque, fignum eut» dens rclationérationis magis patere fe» cunda intentione, vt ibi notat Bargius, et in 1.d.8.9.3.in $. lterius probo, Brafanol q.quol. 19. et (equuntur Kecentiores omnes Susrez,& Complut. cit.cum alijs» et manifeit? probatur, quia fecunda in» tentio e(t alis relatio rationis, quz deno minat rem, vt cognitam, et illà exprimit in aliquo attributo rationis, vt genus, et fpecies,qua naturam denominant vt ab itferioribus abftractam, et illis collaram in ratione füperioris, vndé cífe fic cognitom pracedic in re velut ratio proxima fundandi fecundá intentionem,quz ideo dicitur exprimere ré extra fuum ordiné, et in flatu fecundo, qualis cít effe cognitum; fed multa relationes: rationis, licét ex cognitione refültent,ramen nó fupponunt efle cognitum, velut rónem fundandi,fed potius vt meram conditionem fine qua non, et immediaté fundantur fupra effe reale rei, et ideó rem exprimunt im fuo ordine, nóautem in aliquo attributo rationis,q» ei compctatquatenus cogni» taeít,ergo nó omnis rclatio rónis cft íecunda intentio, maior patet ex communi cóccptu;:qué omnes haben: de relationes probatur minor de quuiose cm ^ Deo;dexiri in columna, et alijs, quia li dicdiué cet relatio creatorisin Dco fiat e à cognitione, ipfum tf e(Te cognitum in. obiccto non fc teaet cx parte fundamétiy vt ratio recipiendi talem relationé, nom .n.ideoó Deusfandat relationem ereatori$,quia cognitus eft,fed quia cft omnipo tens, vel creaturas produxit,& idcà expri mic Dcum $2 Hdjquos; T à parte E y vla, ; E p uum tÓÓstw mt CIERRE UT $e feconcü habitudinem realem, quam dicit €tcatura ad ipfum,ac proindé noneft fe«unda intentio, de cuius ratione e(texprimere rem extra fü ordinem; hoc eft; 1n fccundo flatu, qui er competit,quatenus cognita eft Ruríusfecunda intentio eft relatio rationis in vtroqoe extremo: €x scot.Cit. quia dere[inquitur per rationem in obic&is comearatis adinuicem im attributo rationis . vr patet de fecundis: in:Cionibus log calibus,fed relatio Pei ad creatoram, licet fit rationis, tamem rclatiofibe correfpondens in alio extremo eft realis, ergo nom quaecim uc rclatio raioniseft fecundaintentio 116. Alterü,quod falfum affümebatur ab illa opinione, cft ex,uocunque actu «ollauiuo duorum obie&rorum cogpnitorü: reíultare relationemrationis; qua fit fe«unda iniétio, nam vc docet Scot. r. d. 7» 9,7.infra E; arguens contea Gorfted. in; wcliectus cOferens.youm obic&tü ad aliud sristalem habitudinem, qualis c(t ipforü: €x natura rei,non caufat rclationcsratio» nis, cuz funt (ccüda: inrentiones ( de his: am iBiloquitur) fedtantum qfv comparat in habitudine, quz nom fequitur illa ex: matura rci (cd careis: conacoit ex nego siazionc intellectus,at per. multas relationcsrationisfolcnr cxplicari res in (uo: ecdine;..i. in habitudine,.quam vna: ex matura cekdicivadali$, vt modo diccbamus de rclaeiouecreatoris. in. Dco; quar licet fit rationis, adhibetur tiyad exprimendam real habitudinenr creaturz ad eum, crgo non quodlibet ens rationis: «xa&u collatiuorcíultanscit fecüdain» tenuo; cx:quo ét infertur nó. (emper pri« máintentionem cle cns rcalc, (cd iner€um efie rationis, et rc&é notauit A mic. trat. 3.q. r.art. 5. in fine.,& ata cuenit: y. quoticícü:); pct ensrationis res cxprimiwr in fio otcdine;hoc .n. (jcótat ad cóceprum rei primarium et pcr eófequens limites non egreditus prima integuonis « 117 Quimio hac de caula Recétiores comuniter ponunt fecundam intentione   hà ellc vtiq ; relationem Fatiopi$, non tamem omneumsíed illa (clum, qua lupponit aliquam priorem «ognitioncm, et iniétionan; inqua fondetur, qu& jceindé not Difp. III. De Ente Rationi;   000 folum in ficri ib intellectu ct, «E eft relatio rationis in Deo, fed Ét infune dari, fundatur .m. fpecialiter impriori co» gnitione, vel inobie&ca, prout denominato à priori cognitione, atquc.ità cum concipitur cffe cognitum,cfle prad efie fübicctü per modunr relationis fundarg imobtecto prius cognito, dicüt fieri fecundas intentiones; ità Suarez, Aucrfas Complur;Toan.de S. Tho. et alij paffimz& ratio corum potiffima eft, quia fecüdae intentiones illa dicuntur,qua: fecundae notioni, feu'intentioni formali obijciuntur, appellantur.m fecunda inceriiones ; quati refultantes ex fecunda attétione; vel cófideratione intelle&us, (cd nó folü ef| fe przdicatume(le fubie&um, &c.fedég     e(íd cognitum; effe apprelienfümr, cürte Hexé cócipiuntnrper mudumrelationisy obijciuntur fecunda notion: formali intelle&us, erzo proprie erum fecunda in« relationes rationis, qua fundátu ri cognitione, vck in obiedfo re prout denominato à priort cog . 118 Quamuisifte modus Rant» t(i liabeat probabilitatis, et propiusalijs: accedat ad veritarem; tívnec ipfeattingit de, formalitatcar fecundi intentionis, nà de: ratiome fecuridae: intétioniseft,vt pom Jh texprimatur res extra fuüordiné | aitributa tnis, que ei competit imfecüsdo ftatu;i m quo nóponitar; nifi abintelkétu negociáte zfedpel viliéssorüni: etiam fundatasin priori: cognitionc, (cir inobiecto, quatenus prius cognito fzrpe exprimütur rese (uo'ordine,S sm quod: süt à parrereis ergo nóo6s huiu(medi re lationesfanrfecunda: intéioncs, maior" patet y quia quádiu res exprimitur in füoordine, si quod;cft pane rei illaexpreffio pertinet ad cGceptum rei prima» rium; nó fecüdarium y Probatur minor 5. uia ficut per rclationem. crcatioois in Ino capnt toU, quod eft à parc rel y. licet fit relatio rationis,natu ex primiimus: i realem creatur adipfum,. ita per relationcm cOgpitt ip obiccto ad: porctiam co. Cem. exprimimus id y quod c(t à parte rei. Í. habitudinem cognivionis ad obic&uim;X obicétü à parte rei icatüg, : D» tentiones, &talesvniueríalitereruntoé$:  mrimptig  xci à opü xclationem creatoris in Dco, mI Sei eitiedec xdcbemus 1cE: tioné conceptá in obiccto cognito ad (ome LET "ES ER ^ 4 M^ "i Lo IET " 3tionis jcrinésad extrema i . mifeflaratio quia cum re(ultet in exirecogno(cétem ;& ratio cít,quia z potjoncs nó carcdiunrur dimiies Roos n RAT explicent rcm in (uo ord;ne. Rurius idco rclationé crcationisin Dco diximus nó clTe fcc. dntétionem,quiamo eft rationis invcrog; Xr mo;cum in creatura (it rcalis, (ec ida vcró intétio eft relatio ronis mutuain oenueno jg claié innuit Doctor 1, /d.25.q:vn.cum inquit;quod eft relatio ra& (a idet ma[d rmis per-mutuá cóparationem in attribuso rationis, fequitur debere cie mucuá in ambobus,fed fic cft, in propoiito elatio cogniti m obicéto ad potentiam «ognofcétem nó cít rationis in vtroq;cXe  sremo, quia habitudo inxelle&tus ad obic, Repo iem ati ra rü ratio: at incitoppofitum y quia p feÍecan«undamintentioné formi r d Geneooeptonéin intellectus non dc-. bemusintelligere quamcunque €ogotuoncm teflexam cadic im aliai) cognitionem;vel in obic£tuay prout deaomina. tam inprioricogniione » vc ipfi purant, conftat .n. nó lolum ob:c&tuim, quatenus, «ógnitum ; fed ctiam ipsá intellectionem: .. eeaiem polle reflexé cognolci., &.inboc. fenfu obijcifecundz iientioni tormali; fed pet (ccundá imétionem forisalem intelligi debet actus res exprimens extra fuum ord inem;quod fit per a&um collamitum illari in aliquo attributo rationis ; inhoc autem feníu cle cognitum, et cflc appreheníum nóobijciuntur fecunda intenrioni formali (ed pruna 5 nam ficut pertinent ad illa, qua «cbus conueniunt cx natura rci,hoc cfl,ante negotiationem, itelletus «x dictis q.2.art. 4. ita nó tersoinantsnifi irimatias animi notiones. 119. Obijcies,cü obic&tum cognirumreCogitaturcilccognirum,cócipiturextràfüumordinen,&poniturin fecundo flaw, quia inteliigiiut (üb aliquo attti» ; buto;quod non cit àiquid cius. ex natue Quafi. VILI Dé fecundis Intentimibutesi.I. nin. txquneilingo ficuc taret y mem; fub rclatione rationis 3d, iuGmusá numero 4ccundarü potentiam cagnofcErem,eig» conceptu re flexus, qué cecmuat y ettfecandar:us s et clie cogaitan haic;concejrui obiecto cric fecunda intentio obieótiua, Negatul. affumptrauxs quia per eamd fam relation tationis obiecti cogniti ad potétiá cogno fcentem aliud ex primere ap 1ncédimus, quam obicétü terminare actamintelleétus,quod totü cit parce rcl et per cós fequés attinet ad cócejtum rei primariüs ad fecundam auem intentionem nO fuflt €it5 qp ficrclatio rationis, fed vicerius re» quiritur vt per.cam rcs cxprimatur Ctra fuum ordinem, et in ttatu (ccundo. Sexto :àdem hac de caua Scotite nó omncs tclationes rarioa!s etià fandatas in prioticogoicion: vel obiecto, quatemus cognito, agnofcunt pro fecundis intéuonibus, (cd 1ilas vm, quz derelinquantur inobiectis comparatis, vt comparata (ant in aliquo attributo rationis, qp apet1€ colligitut ex Doétore 1.d.3.4.7. infra E.& d.23.9.vn,& 4. d. 1.q.2. et $. Met. Q.11-& alibi (z a lententia ita intel ligiwirab An&tore foruzlit X Tromb. in Fatmalit, et al;js Scotíftis,quos fequi. inpet cinyt fecunda meo dà ies uer fit ipía pa(fiua cOparatto derclicta sedis "lta db t5 ita n. loqui videtur Scot.a. d. 1» q. 2: Sed uon a(fentiivar quia vel per compa-« tationem pa(Tinà intellig tur ipía deno-: minatio exrrinfeca derclidta in obiectis; ex terimmmatione a&us comparantis; quadam cclatio rationis, qua rcíaltare. concipiatur im obie&to,vcl obieQtis copa ratis ad intellectum comparáté, ícd quo» «unque modo accipiatur, pertinet ad con» ; cepium rci primarium, ergo nó benc cues nitur fecunda intentio obtectiua, Probas tur minor,quia (i primo modo fü y pro denominatione extriníeca, claréliz d exloco fepe cit.q. 1. art. 1. huias difp.pertinere ad ca,quz rebus conuemut : nullo fingente intelle&ucum aliud ceali.ter nó fit; quam ipfemer actus collationis ad illa obieéta terminaius,cp quidem verum eft de extriníeca denomimatione à uoctnq; aéu virali derelicta, vcibi ote i cundo modo adhue nà: p iseery aane Hh 4  gtc1$'cx actui incelleétus cópatan| LANG, Lo 352 egreditur limites cóceptus primarij, quia licét fit relatio rationis,cum non atfamatur,ni(i ad exprimendam realé terminationem,qua obie&um ter minat adtá rcalem mentis collatiunm, plané expriinit rent, (icut c(t in (uo otdine,& ita eft prima dumtaxat intentio. a 120 Dcbet igitur hzc fencéria (ic in-telligiquód comparatio pa(fiua duorum obic&orum in aliquo attributo rat. onis concepta ab intellc&u inter ilia ad inftar teípe&us inter illa duo verfantis (it (ecu. da iniétio, et quatenus per illamobiccta comparata referuntur adinuicem nó aüt ad intellectum cóferétem; aliud eniin c(t e(fc coparatam, quod habét in ordine ad intelle&um comparantem, et aliud illud effc comparatum quod inter fe habenc ex otiatione intclle&us, et aliud eft co cipere illud effc comparati; hoc; cócipientes .n. illud effe comi paracà obicétofum in ord.nead intelle&tom comparantem nó egredimur limites concep:us primarij,vt Rüpct dicebamus conceprü veràó fecundarium formamus,cü illud efle cotum concipimuas, quod obic&a inter € habét ex negotiatione inte le&tus ;quarc magnum d: crimen cft inter concepcü, quo concip'tur homo, v.g.habere cffc co gnitum, vcl con paracü in ordinc ad intel le&ü concipienté, et comparántem, et alium conceptum, quo cóparotus cü e tro, et Paulo intelligitur haberc rat.oné pradicabilis, quia hic vitimus,cx quo ncc tfem;ncec habitud né realem cius ad «lud exprimit;aut alterius ad ipsá,«fl conce ptus omniné fecundarius expranens ho minc,& Petrum, nó (icut (unt in fuo ordine,tcd sr illud addi ab inielle&u ca ! tc in attr/buto rauonis ; iile veró pror cóceptus cít primarius, uia cx quo exprimit realem terminacionesqua obicGum terminat a&tum realem mécus collatiuam, exprimit rem, ficut eft in (uo ordinc. Hinc Scotus &. Mc. q. 2ait, quod fecunda incéuo inetl rer inquancü con(ideratur, et per cé(idcrationcin alieri cóparatur, qua cófiderauo cti ccll^tiua vnius ad aliud, quafi dicere velit (ccüdam ántentioné inc(c rei,vr con(idera.u: altcti coparatajcu in ordinc ad aliud; cui cóDifpat. 111. De Ente Rationi Seen paratur,non in ordine ad intelle &tü com parantem, quia talis có fi deratio coll tiu. folum e(t, quz dar rcbus c(fc omainó rationis, et inuicem referri relatione raiionis,quod etiá manifcfté docuit 1.d.2 4.dü dicit si iatencionemeetfe relatione cations perinétem ad extrema (nempe ia. ter quz verlatur) axtus :ntellecus comparanus.& imn 4.d.1.q. 2,(ub B.quádo ait, quo fecüda intentio e(t relato rationis, feu comparauo,quia cófideratum cóparatur ad aliud pet a&tum cófideranus, 8e ita im.elliganc haoc fentenià Mauritius q.3.vntucri.$. Sed quias lcafauol..j.quol. 19. Bargius 1.d. 23. quictat Lichet. et ahos. Qui tamen in hoc deficere videntur, quia p.it ant fecundas intétiones necetfar,Ó aliquá proprictacem à parte rei exige re,vnde moucatur intelle&tus a4 (l'as cau(andas, quod nobis omninó nó probatur, quia coparatio pa (Tiua inter duo obiecta, TM modo expl.caiaettyporettomninó  ng: ab intelle&a |tüinzvilo fundamétoin re, Vcrum efl vugu. wiétioneslogicas lcs non tormari finc tundaméto, forinatur enim vniueriale y.g. ftante reali come   ucniécia plarin 1n cadé nacura, formatur przdicatio. vnius de alio (tante ccali ; idétitate vtrorumq; adinuicem, formatur illauio, vcl confequentia flante real. enanatione vnius ab alio, vel filtim cócomitantia& fic de alijs. Aft hoc nó impedit, quin pofTint al;z excogitari fecundz intenuoncs omninà phantaflicz j quibus inieiicé&us comparet ad libitum obiecta cogna in attributis rationis, vnde non cft dc rationc fccüdz intentionis, vt fic, habere fundamentum in re. Ex ditis infertur definitio prima, et fecunda intentionis, et difcrimen intet illas, Namprima intentio cfl obiciiuns al£u cogni um vel abfolute per ai re£^ Gum aut refle xuyvel im ordine ad aliud per atium collatiwum. fecundi aliquod aitributü conueniens illi exnatura rci ante. intelle&us negotiationem . Ratio huius dcfinirionis ett, quia per actum re« €um, et rcflexum res cócipi folet in (uo . ordinc,X boc ctia fieri potctt actu collatiuo, (i res cOferantur adinuicem fecundü aliquod attributü reale ; (i quiscnim ho miAm, et animal cócipiat actibus abfolomo oc ra quid fint, ac -etiá rclexis inelligédo fe illa intelligere, el illa vt (e cognita adhac et actu. colfaciuointelligédo hominem c(Tentialitec warcicipare naturam animalis, animal aüt mon includere natur hominis, nihil talc concipiet,quod homini, et animali in (uo ecdine non cóueniat. Verum fi a&u col. latiuo alterius generis cócipiat animal di&um dc homine cíTe genus hominis, co "quod inrcllcéus cognoícés hominé par|! ticipare natoram animalis (umptit occafioné pradicandi animal, et (ub: jciédi ho minem dicédo bemo cft animal cunc vti. que in obicétis fic cópararisdiucríe com tiones pafTiuz per talem actum col. feioem derelinquantur qua ex parte extccmorü srh diucrías corum proprictates diucr(imodé nominantur, et intentiones fecundz dicuntur przdicati, fübic&i, gcperis, fpeciei &c. Specificauimus autem prin intentioné elle obie&um a&u co. ^ gnitum, vt cétra quáplurcs Scotiflas do" ceamus non fufficere,g» üt cognolcibile, (wt prima intétio dicatur, et racio cit,quia ficut obicétum nondicitur cognitum, et intellectü, niti qnádo actual:tcr terminat actü intelle&us, (ic nó hibet elfe primo intentum, vcl primà inccntioaé, nili quatcnus primó tecmioat actü intelle&us, va dé ob:cctum,vt cognofcibile,dici nequit prima int&uo, niá remoté, actu veró có. ftituicurcalis .cumreriminat actualiter pret-Apàm inrentionem formalem intclledus, vt bené notarunt Tromb.7. Mct.4.9. sarnanus, et Fuentcs cit. Secunda veróinté140 eji comparatio pa[fiua, qua reperitur int«v duo, vel plura obie&ia adinuicem "€aparata 1n aluo attributorationis fi6o ab intelleiu per modum relatioms dUnuiud intcr illa, quz definitio soligitür cx Scoto 1. d. 25. q. vn. cu us intcliigentia cx dictis facile deducitur quoad owncs cius parciculas,. Maximé auté ad hunc dicendi modum accedit. Aurcol, 1. d. 23.pati, L.art.2. m fine, vbrait intétioncs prunas cie cóceptus obicétiuos primi ordinis, quos inicllectus immediate format circa res ; inientioncs veró (ccundas «ffc conceptus (ccundi ordinis » quos Vi. De fecundis Yntestionibus efr.   353 intelle&us fabricat relc&tédo, et redeuadocitcà primos conceptus,v: süt vniucr(alitas, przdicabilitas, et huiutmodi qti ad actum componétem, et dinidéie, et connexio cxtremorum in medio, quàtum ad a&um di(curfinum,& inquit omncs itas intcutiones pertinere ad przlicámentum relation;s. 1211 Quomodo aüt,ac pcr qnem ada fiant (ccundz int&cioncs, facilé deducitur CX di&is q-4art. 2. nam iuxtà principia ibi tradita dc formatione catis rànis diccte debemus (ccüdam incctionem materaliter ficci lioc ett derelinqui (ec acti collatiuum intclle&us, nó quidé omnem, fed illum dumtaxat, quo res coimpacacur in aliquo attributo rationis ; formalitee vcrà Bir per a&ium reflexumsquo tal;s cóparatio pafliua cócipitur in obie&is coparatis admodü vere rclationis,& mutue inter illa. [tà inlinuat Do&ot 2. d 1. q.i. atr. 2. dum loquens.dc fecundis intentionibus ait non haberc e&c line actu. cóparauvuoscfló fiant per intelligétiam in ve^ ro cilc (uobis. n-ycrbis,vt D. Vulpes cit. di(.att.vit.adaotauit, fignificat (ccüdas iar&tioncs per actum cópatcauiaum habcte un eflc materciale,& derelictum, et per intell.géiam ccflcxà füfcipere poftca c((c vcrum conis fabricatum, et Formalc, Et probatur breuitet y quia talis comparado paífiua anté scum rcfle xum, quo comcipitur ad mod rclationis, eft cii d enoininatio exuinfícca in obiectis coparatis detcliéta ex «crminatione a&us collatiui, ec o ante talem a&ü non habet cüle actuac, et formale rauonis, (cd rantü materia» le,& fundamentale,cü vcró tali a&u cócipitur ad inftat verg. relationis iater illa obic&a, tunc (uícijic formale e(fe ronis, ità (cnc Barg us cit. 1.d. 23. vbi notat gp fi interdum inquit Doctor fecundas intéuones produci. per aCtü comparatitils id debct incellig: nó formaliter,(ed przzfuppofiuué, 1nquavtum produci nó póc fccunda in«cnuo, nih jrziuppofico actu Cópatatiuo ; quo habitoincellectus nouo. actu producit intécéonem in re coguita s et nó producit eam ipfo actu comparatis uohzc Barzius ibi,pro quo modo dicedi citat ctiam Lich.z, d«1 5 q1.1dein habet Maurit, 354 Maurit.cit.q.3. vniuerf. vbi jn formatione entis rationis ponit multa figna, et cü indecimo figno dicat intellectü habere actum comparatiuum pluciumlobie&torü in attributo rationis, poftea fübdit in v0decimo habere actum prodattiaum fe«üdg intétion's cólargentem cx cóparauonc przdié&o,& idé docet Brafauol. 9. quol.19. Et quia hicactus apprehendédi illam coparationem per modum vecz relationis fpeétat ad primam operationem, idco pcr hanc (olumoperationem fiü: (ccundz. iptentioncs in fuo e(Ie formali. 'a vcro situs collatiuus omnibus, et Jirgulis operationibus conuen:cc poteft, idcó poterit per omncs ! eri marerialiter et derclinqui peculiaris fecunda intentio, fic per primá operationem intelle&us có fÉcrendo animal rationale in ratione definitionis ad hominem in ratione definiti, et é cótra abf; aliqua affirmatione, quz nócít dc cílentia definitionis, derelinquitur in his obic&is fccunda int&uo dcfi nition:s,ac definiti; per (ccundam operationem cófcrentem animal, et hommem in rationc fuperioris, et inferioris,generis,& fpecienprzdicati,& (ubie&ti, pre dicádo.(.anima] de homine,derelinquun«tur 10 huiuí modi: obie&is coparacis comit parationcs illz paffiuz pra: dicati, et fub. 1c&i,copulz,propofitionis,&c. et tandé per teruam operationem cófcrendo vná propofitioné in ratione antecedentis ad aliam in ratione cofcqaentis derelinquüzur in illis propofition. bus có arationcs paffiuz pettinétes ad argumcotationcm, aioris,minoris fequc!a,&c. qua omnia fatis liquent ex dictis q. 4.a1t.2.&inhocfen(adixitZerbius.sMet.q.8. ad 5. fc«undam intentionem non rantum reperiri in primaopcratione,quádo eft compas 'rátiua; quod ytique potcft illi conuenire, vt docet Scot.2.d 6. q.2» fed ctiam in fe. cunda;& tertia, quando per cas vnum altcri comparatur in attiibuto rationis, 123 rcs an folus intcelie&tus cfficere pofiit (ccüdas intécioncs ; num potius etiam volátas,& dubium pertinet fo lum ad Scotiflas cocedentes cns rauonis ctià à voluntate ficri po(fe . Bargius cit. negat, et cít doGrina cómun:s apud RcDifrut. 111, De Ent Ratinis ph "C centiores, idquc nó probatfed veluti" nifcftum fupponit, 1mó.hacde cauía, it quitno omnes relationes rationis effc fe» «üdas iniériones ; quia mult relationes rationis fiunt à volütate,ua' tamen non funt intentiones (cctida . Sed a6j Scotiflx cocedunt, vodé paflia det:niont £3» «üdam int&uonem, q fit; rc(peétus caue fatus ex actu collatiuo inceiledtus, vcl ab tcrius potétiz collauuz, vt comprehen dant refpectus ration's à. volütite caufa» tos,& Tatat przícram lib.1.Elcn: h.q. r, $. Quartó (ciendum inquit, quod figni ficutio)quz in vocibus ett relauo rauonis vocis iigaificaciüz ad rea 6gnificatam, cft (ecüda intétio fadta per voluntatem, quia hazccóparatio vocis in ratione figni ad rem in ratione f;gnatifi c à volütates nO ab intcllectu,& talcs vidétur cífe omnesrelationes rationis,quz in vtroq; extremo fundátur ratione denominationis extrinfece ab a&u voluntatis procedéte; vt fant relationes dominij, et (eruitutis,   emétis,& vendéus,&c. que ompesoriü tur ex COtractibus,& volütatibushamas nis; nejue inbocdubio videturetle ma ior difhcultasquáminillooanpoífiteffi-cere ens raionisquare fidcfendatur poí» fe ens rationis efficere, facile ctiamdes fendi poterit polle formarc fecundas Aanienuoncs . [t jx.  Ino d; Vbi conferuntur fecunde intentiones cum primis, C" ad fe inuicem. Pr. T AX 114 97 Onferri foléc intéciones fecüdz C tum cum primis y quibus imm tur, et applicárur, tum ad femuicéjquatenus einuicé dc nominant;ex qua collationc vari dignofcótur affe &bonts carum . Pranó iaque cóferantur fecundz incétiones cum primis y licut imagines cü rebus imagatis;inuente cnim funt ad reprae fcntádas ics ipías fecüidum methodaom,& cuitatcm, có modo, quo declarauimus q. 3huius difp.explicádo caufam finalem: «nuum rationis,& q. Prooem. Log. art. $. et haicpotiffimum ratione dicuntur dircétriecs noftig cognitionis, vt 1bi cxplis ', CàTUIMNMOUSNOS C HTS . catum eft,& notauit Auería q. $. fc&. 8. tali vero collitione oritur, q quic. d (ccundis tribuitur intentionibus, et rcbusipfis verificetur y ficuc quicquid Á T tribuitur 1magini,de re, cu:us cft imago$ EN verificatur, cam bac fit fa&a ad inflar illins, illis du nta» at przicats exceptis, vt E  "bene Roccos aduertit trac.de fceund. inT vx ponunt diffcrentiam inter ipfas fecundas intentioncs,& primas, nócnim ..Valetdicere, genus cft ensrationis, fcu $1! intendo, animal eft genus; ergo RUE animal cft ens rationis. vel fecunda intenTUBI » ioyquia eicfmodi pra dicata funt illa ip» f E EU PNOMI peciem, alias. . intentiones fccundus à. primis j. ficut fi . ... diceremus de imagine effe figuram » vcl H ^. piQturam, vtique hac predicata dc re Pu euius eftimago, verificari nom. poflent Edea ipfa, qua difcernunt imagi.. pem ab imagato, && conuenrunt imagini gatione fuí nor ratione imagati .." r2$ Buplicitctautem hoc contingere Tw os bifariam poffunt inrenti ones fecüda primis applicari, vno modo mcdiante priedicatiotie exercita, alio modo ^» pes iR eir quam duplice pradiionemy ita declarat Do&. q.1 4» voiu. ih corpore quie (ii; et 'o€s ciusex pofito» resibi qp exercita fit illa qàz-fit iniebus, vclintentionibus per verbum Jus yesyeff, vt homocft animal, fignata veró fit illa,. qua fit perterminos(ecundarum in'étio: gum per verba dicí ; et praedicari, vt ge] mus praedicatur de pluribus fpecie diffc' . fenubus, cx quo infcrt Mauritius q. cit. Banc pofteriorem nótam effe pra'dicatjonem,quàm fign praedicationis amus: indicium ett, quia. quod: deberet poni à rte praedicati inca ponitar à parte » biecti, vt patet in allata praedicatione fisnatay attalis non cft proprie przdica« tio,quia non prz 'icatur, quod matum ge ieari  et non fübij. itur quod na« um ett (ubijcis quami docteinà nomrecipit Brafauola illa eadem qj: (t.contendic enimvetiam. fignatz pradicationem: effe ie füo generc vcramy et propriam pradi: cationem; que liscit parui moinéti, có» cedi .m. po:cft cíle veram przdicationem in (uo sencrc y abtolué tamenloquendo »e (000 eft. PL De fecundis Iptentionbus.e/dre.I.  35$ negari nequit quod prz dicato exercita non fit magis propria praedicatio, vtpote illa, qua primo inturtur ante. oculos ponit ident; ficationegy predicati cum: fubieEo, quod non facit. praedicato fignata ; fed rarius de bac duplici pred:cauoue, » tedibic fermo infcriusdifp 5. q. r. art. 1. 126: Ad propclitum redeundo,li fec dz intétioncs applicencur primsmediate cxercita predicatione,predicari ne» qucunt nifi accidentaliccr, et denominatiué, nam non (unt nifi relaciones quz dam rationis, quas intelle&us veluti acci"dentia quzdam intentionalia: attribuit primis intéion:bus, ac proinde nom ni f& dcnominatíuéde illis przdicari poffunt, hic cnim cftpropriismodus przdicandi accidétium dc fuis fabiectisita docec Do or q.. 10. vniucri.& ficüt acccidentia e realia de fuis (abiectis pra dicamur in cocretoynor in abfl ra&o, dicimas enim, gr homoett a/bus,non albedo;ica dicendum eft dc his przdication: bus fecundatü in» tétionum refpe&u primarü,vnde animal d:citurgenus,non gencrcitas,& fic de a« lijs »quia hic €t eft proprius modus przcandi accidentium de fuis fubiects ; vt concreta przdicentür de coacreus . Pof[um auem fimiles prz dicationss,animat c(t genus, homo ett fpecies, fumi infenfur formali,aut tantum funJamentali, quidenv(i fundamétalier fumátur, sát verae à parte rci y fenfüsenim eft ; quod animal cft fundamentum: idoncum, vt ad plures fpecies referri polfit in ratione vniuerfalis, quód vtique verum eft nullo cogitantc fatelle&tu ; at ti fümaatuz in (en(u formali,nó funt vete;ni i intellectu a&u illis fundamétis affi géic tales relationes rónis,& per itenim ad plurcs fpecies vcl indiuidua'in rauone vniuctfalis,. 127 Si vero huiufmodi applicatio fecüdarum incéuonum ad primas fiat media piz dicatione iignata, pór fieri etiam praclicatio e ffentialis, vt conftar cum dicimus gcnus pradicari inquid de pluribus (jcciebus; fpcciem de pluribus indiuiduis;; verum tamen eft hanc non exerceri nifi intermynis primarum (pót tamcn exerccti ecia in ccundis, quando intentiones (c habent, v; lüperfus, et inferius, 356 tids,vt notat Tatar.q. 1.de genere dub. r. vnde valct dicere Vniucríale predicatur de genere, ergo genus cft vniucrfale ) vc tlocet Scot.q. 14.cit.vnde ifta praedicatio: fignata in (ccüdis fpecies praedicatur. in re dc pluribus indiuiduis,ita exercetur, pra&icatur inprimis, Petrus eft hamo, Paulus cft homo, et ratio e(t, inquit DodGorquia fecüdz intétiones, maximé uádo copulátur per verbum predicari, üpponunt pro fandamétis, et ideo tales pradicationes verificati debent per terminos primarü . Ad pecsdm aüt, «uomodo fieri debeat huiu(modi appli«atio (ecüdarum intétionum ad primas praícrtim per. excrcità pradicationem, attendi debet fundamentum, quod cft in primis intentionibus, nam fi inferiora, «lc quibus natura apta cft przdicari,ditferant eflentialitcr;illi natura applicari deAbo intentio generis fi vero funt indiuidua, applicari debet intentio fpeciei, et cic dealijs. 1:8 Deinde cóferendo fecandas intétionesadinaicem,videmus vnam fecandá intentione alteri applicari, et de illa przdicari tàm exercité, quam fignaté, vt gcpus cfi fpccies vniuer(alis,vniuerfale pra» dicatur de gencre. Ratio cit, quia vt do€ct Scot.q.6. vniuctf. vbi omnes cius expofitorcs et q.3.antepradic.ad 3. et q.1. poftpradic.ad vIr.& 4.d. 13.9.1. infia T. et quol 6.infra X.& alibi foc pore ab 'istellcétu vna fecü.ia intétio fundari (uper aliam, et fic de alijs przedicari, quod pe pendet cx virtutc reflexiua  q bet intelle&us (upra (uos actus;hinc.n. potcft ipsa fecundam iniétioncmreflcxé €ognofccrc,& ipfas alteri comparare in attributo rationis, atq» ità cognofcendo, et cóparando fuper ipíam fundare aliam fccidam intétionem, ficut intentio gencris.quz tribuitur animali, fanda iniétioxcm fycciei eo ipfo, quod ab iicelle&tu «óparátur vniuer(alivt inferiustuo fupe rioti, et tunc fecunda intécio fundata dc. nom£aat priorem fundatem,& fic in prefato exemplo dicisur,3nod gcnus formalier cft gens, et denorninatiué fpecies, &idcó inquit Do&or, quodin his caibus1ntentio fundans fumitur, ye quid, Difpu.11I. De Ente Rationis:   tat, uafí dorf us, fandata verà,vt modus ; hos auté termi nos ità explicant Expofitores q.6. cit. ex verbis iplius Do&oris przfertunqu.8.  $. propter boc,vt (amere intencioné fundantem, vt quid,ím illa accipere sin fuam quidditatem,& natura, (cà vt eft id,quod intelligiturffumere intétionem fundatá y vtmodum, (it illà acc: pere, vc decerminationem, et modücótiderandi alterius, et (ic cum in prz faro exemplo dicimus 5 €p genus cft (pecies, genus (umitur vc id, q intelligitur, fpecies vt modus, fb quo intelligitur, et hoc modo non incóuenit, quod vna fecuada intentio praedicetac de alia, et (ignaté, et exercité ; imo cadem de feipfa,vt cum dicimus fpecies efl fpecies, mquoca(unos eft imaginandum, quod cademmet intentio numero fit illa, quz incelligatur, et ub qua intelligas   eadcm intentio numero fic mo-.   vtputauit Mauritius; (ed.  c(t imclligédumeandemimnédonenfípe cie effe modum fui M4 c éü di9€ cimas fpecies cft fpecies, vác (pecics,que accipitur vt modus, et poniturà parte rz dicati,no cft illa eadetn namero, quae  f umirur vc quid, et ponicur à parte (übies 35 Gi,quià idem numero nó poteft applicae  rifibiipfiytadditi, quilberautem moe   dus efl quid additum, quod benégotaui  Bra(auogla contra Mauritium Q6. 1:9 Hoc autem intereft inter appli« cationem,quae fit fecüdacum intention ad primas, et ad (c inu/cem, qtiod primis femper applicantur, vt modi accidétales,. qu femper applicatur,vt accidétia (ubie. is,& ideó coltituüt pradicationes exec citasaccidentales tantü.m, ac denominatiuas; verüm cü vna intétio (ccüda alteri applicatur, poteft illi applicari tàm vt mo dus accidétalis, quàm effentialis naa 1i intétioqua alteri applicatur, vt modus, fa illi (aperior, vc cumdicimusgenus e(t   vniuctíale;eft (ecunda intétio,cít cns rationis,tunc applicatar,t modus, et detec minatio c(entialis, et cóflituit predicationem quidditaciuá. fupcrioris dc inferiori ; fi veró incenzio alteri toten fit infcrior, vt cüdicimus vaiucríale cft genu$ vcl difparata,vt genus cít (pccics,rüc. applicatur, vt modus, et dererminaso ace ^ : eideniidentalis,quia inferiora accidü: fuperiotibus, et vnum difparatum alteri difparato;quod valdé notáduin etl;quia Scou(te cómuniter,& alij vniuer(aliter docet abíQue vlla limitatione, €ü vna fccunda intentio fundatur in alia, et Plone » vt modus,cam denomipare, (eu prz dicationem accidéalem, et denominatiuam cóftiucrequod vniuer(aliter verum non eit,v; cóttat in allatis exemplis jin quibus intentio fuperior przdicatur de infcriotian vcro pra(ertim in hoc cafuycum fipeior intenuo de inferiori pradicatur, (lic, nedum m cócreto ; (cd cuá iaabacto ficri prz dicatio, vt genus, vcl gencrcicas cit Poesia » infra fuo loco dicemus, quia eft difficultas communis €uamadalispizdicanones, Contra prazdicata podeis 1.probando (ccundas int&tiones de primis pradicari non poflc, quia o m nequit | przdicari de oppolito y ed ens. reale, &c . Kauonis (unt buinímodi,quia habcnt có tradiétoria pizdicata, ergo &c.. Nec di(le oppohtrum przdicori dc oppolito, alim per accidens, ità e(fc in propoiito. Nam contra probatur fecundas intentiones. ncc etiam accidétalitcr polle prz dicari de ptimis»in accidentibus.n.experimur,qua veré praedicantur de inferioribus, vct ecram,pradicari de füpcrioribus,& fi veré Pe de fuperioribus, veré ctiam pra dicárur dealiquo,nfcriort, vt fi de Feuo przdicatur «urius,neccifc cft eiiam prz dicari de homine, et animali, et li przdicatur de hominc, ncceiic e(t etiam. pteedicari de aliquo homuuc fingulari ; (ed nec fecüdz int£cntionc$, quz przdicantur de inferiocibus.poiiuat przdicari de fuperioribus nà » 5h à meMUPEUR fccunda imiétio individui predicatur de Fetco, (o tamcn de hominc, et animali, ncc qua pradicatur dc (uperioribus, pof. süt praedicari de interioribus » mà fpecies dicitar de hoininc,»ó de Petro,ergo Xc. -4$9 licfp.ens, et non ens eite propr;é oppotita con. :«dictorié, non autem cns ecalcy& tatiouis, vnde porius dici debent di parata, velui tubitaniia et accidens, A ádcó ficut rali difpatationc, vel qualicuad : REB Quafi. 111. De Jecmdis Tutenticnibus.eAfrt.IT.. 357 cidens pr zdicatur de fubftantia denominatiué, ità à pari poterireod& modo ene rationis de euce reali praedicari, et fecunda intécio de príma ; (ed cóceffa minori, adhuc (ufficienter foluitut argumentum per rcípofionem inter arguédd. allatam uia vt notat Do&tor t.d,1. q.3. C. et 4. 43.«q. t. infra T.bcné potett oppofitum pradicari deoppelito filtim denominatiuc, et vt modus. Ad impagmtionem, quod neq; per accidens. poflint fccundae intentiones przdicati de primis,ncganda cít paricas d accidctibus rcalibus, et ra tionis, quia vt notauit Kuutus tract. de. 5 pizdic.(ecund. intent. cx do&lrina Maus riaj pluribus in locis accidentia realia có» ueniunt fübic&is abfolute, vt (unt à pacte reiy(ed (ecüdz imétiones conueniunt nae turis, vt tali modo cócipiuncur ab intel, lc&u; hinc eft. quod (ecuda inrentio indiuidui,qua Petro cóuenil nó dicitur de hominc, et animali, quia illi conuenit, vt concipitur indiaifibilis in partes fübiee &iuas, qua conceptio repugnat homini, et an:mali, et é contra. fpecies dicitur dg homine, non dc Pewo, genus de animalis non de homine;quia talcs incécioncs có« ucniüc illis naturis,vcfunt diutlibiles in ta les partes fab:e&tiuas, quz pracíus repas gnant indiuiduo,& ctiam fpeciei, (i plu(s quammumcrolinrdiuerír . Secüdoobijcituré cótra probas do fecüdas intentiones przdicori de pei mis, nedü accidétaliter, (cd &c centtalie ter,quia homo per fe prz dicaur de plus ribus diffc;étibus numcró, ergo per tc eft fpecies, cólequentia tenec per locü topi cum à deGini one ad definitum, Si neges. tur affuu;ptü, quia pradicar; cóuenit pet fc iotétionibus, rcbus verà tm. per acce dés, vt docct Scot. q. 14. vniucrf. in core pore quzfici.. Conua elt, quia fi oma. pet «ccidens tám, et nà per fe de infe« rioribus przdicatur, ergo Petrus perace cidens tatum, et nà per te cft homo, cO« (c. uétia patet » quia ideo Peuus cftho-mo, qura homo praidicatur dc fuisiafe« t:9rbus, et eo modo € homo, quo pnt dc inicrioribus pdicauur  valct -a«contee quentia à hgnata pra.dicauone ad cxcre €itam, vnde 1 prgdicauio dignata rx $358 fer fe, nec exercita raliserit. | Relp. Do&or q.11.negádo affumptii, fi ly-pet (e determinet inbzrérià obiróné affignatam in folutioneinter arguendum data;(ed verü eft dumtaxatsti ly pérfe determinet inhzrens; pro cuius declararione nota, quod per inhzrentam intcliigic vniónem pradicati cü fubie&o, per: rens vcro ipfummet pradicatum, inquo funditurillavnio ; quando igicur aliua dcterminatcio, vcl begorema conftruitut cü copula vétbali determinat iahzrcntiam, vt fi dicatur,accidens per. fc «eftens mm fenfus eft, quod ens couenic pet (eaccidéti; qf veró conllruitur cum a dieato tunc determinat inhcrens; ve ffi dicátar accidens etl ens pet (e, quz eft s co ree quid eft fen(us, quód fit en$hóaltcri inlierens;ita igitur in propo fito itiquit Doctor affumptü effc fal(uen, fily pec fe dcerminet inhzcentiam,quia ftcacípecies per accidens ineft homiai, ita et priedicári de pluribus numero dif-.  ftro, cum vna fecunda intemio füper ali   "Kunidatur,1unc enim fecüda intentio fun feteritibus; cocedi tà potett,' fily per fe deterininet inhzrens I.ly preeüienr ;& : Difput.I 1b De Ent Raiinté S et Í-5 -ficyfit modus intclligédi prima intentio" nisjnó potetit per aliam fuperucnicnrem intentionem modificari, € denoaminasi,, Tum 2. quia fecunda intentio dicitur taJisquia prime fuperuenit,& in ea fundá-.tur,ergo fi intentio vna pàt aliecifaperuenire ; et haic alia, dabitur non (oium prima;& (ccunda intétio, (ed cerua;quar« ' tayquinta, &c. iuxta catenam fabticaram fecundarumintentionum . Tum 3. quia fundamétum eft maius ens fundato; quia . hoc iubftentatur in illo, fcd vna fccunda intentio non eft matusens alia, namome ncs aque pendent ex intelle&us operas tionc,ergo &c. ]umrandem, quía dare-tut proceffüs in infinitum, qui cuitandus..  eft quantum fice potcft. 2 133 Refp.ad.1. quicquid (it de modis císendi,in modis ramen intelligédi, vr süt intentiones f(ecundz non implicare dari.   modü modi,dummodoalterlumatur, vt  quid;& determinabiléj ater.vr modus,&  eterminatis,& fic córiwEit in cafa nor. dans (ümitur,yt quid,& induitquafi coe  &üc fenfus eft, qp prz dicati perfe de diffe geüiribus ouo fici itwini nb quida noe (oltm per accidens ; vnde patet ionem inter arguendum datam effe fafficientem,(i bene intelligatur. Ad imditionem intentionis pria refpedtualé terius fundauz,nó quia icfimpliciterprie   | máafcd quia eft pnorillaquam fundaty& determinátur per eam,vt modírinrelligés WWE B9, XM B9  pugpnationem ibi fa&dtam negatur Con(equentia, ad tionem dicimus,valere vtique coní equcentiam à (ignata ad exer«itam, quoticícunque illa fic in terminis fecaada intentroriis, quomodo proprie ett pradicario fignata, et virtualiter có: tinct e«crcitan, amet fit intermi: nis prima intentionis, vt eft in argumen to aliato ; quod fi interdum in fioiibbus p iombus tenetConfequentuia à fipoata ad excroicam y. hocplané ctt gr; tia marcérig j noa gracia formae, rta à git. q. 8.in fine, clatus Brafauol. qu. 117 quain docttidati habet Do&or q14; et "eL iy d aes 25 Vai ut 9?131 Terrio obicitur nó potle vnam fécundarà incentióoem alteri, velut modü » perierat Tum quia imcat dari inodudi modi;nod. enim datue. aXionis a&io;tiec vnionis vnioj et ficde alijs at «um crgo [ecüda iirentíoyve di €ius, Ad 2.negatur aflümpti,nóenim. fccunda inté io dicitur fccunda, quia fu perueniat prima, fcd quía explicat resia cíte (ecüdoy& attributo racionis,vr art; 1, declaratum ett, vnde licét vna fccüda inrcntio fundetur fuper aliam,& fundátes dicantur (ccundum quid primz reípectu fupetaenicntum, (mpliciter tamen, et abf(olu:é omnes dicuntur fecüda, no aüt tertia, vcl quarta, quia ones coueniunt obrcéto,vtcognitoy et cÓparato ibattris buto raton's, quodeffecognitum, et cóc paratum eft ftacus rerfecundus. Ad 3.ne« gant aliqui naiorem, vt Mafius (cct.5.de rcbus vriuerhis q..8. fed quicquid hc de hoc,vcra cft anaiorjquando tundatio exigic lubitemationem; X influxum f:udgo meti quód nog requiritur in propofis tode antentionibus ; «uz-fumb mera relationes vatioms ;& nullum ye. tum inlaxum exigunecy patic fandaméuy ^. Myfed qualicunque exigitur ad dandam MeNlunis chio BiMM patus atiendi turex parte intellectus ; et adhuc cóccfTa 13io1i deberet negari mjnof;quia vc con | T |.  àmuenitur (i0 modo gradualis latitudo, | «wtinente reali ex Doctore q. 6. vniuerf. |. . infine, et ibi notant Mauritius, Anglicus;  &alij:Ad 4. Negant aliqui Scoriftae pro "keffum in.infinitum, nam trcs tátum affignant gradus in fecundis intCtionibus ; tiones fundaras in primis, in fecüdo pa(füb quibus concipiuntur,& hic datur tta«. tus, quare vÍq; ad itum tertium gradum; dumtaxat admittunt. progreffum in fa« bricanda catena fecundarum intentionit, ] et hoc. putant e(fe de. mente DoGoris. Qs6.cit. in (ol.ad 4. vbi expreflc admitst vltimum gradum in fecundis intentio|. -mibas, quiet terius.iamaffignatus.Verümfolatio hzcnon eft idonea, nà ES Ux A» ; Qua FI. De fecundis Inicwrionibus . e-fr.1T.: ftat ex q.6. intra fphzram.ents rationis inprimo gradu ponunt fccundas inten-. . fioncs Buentcs abipfis ; et in 3. modos, 359 etiamfi in ordine entum rcalium proccf fus in infinitam effet euitandus ; tamen noninconuenit in relationibus rationis y vt expre(sé docet Scot.4. d.6. q. 10. fub E. &calib; zepé, id.n. aliud non (ignifi'€atquàm intellectum poffe.fncoeffiue in infioitum intell:gédo refle&ere [e (upra biecta cognita; et illa comparare n attributo rationis cam autem loc. cit. ad« mittit Doctor wlItimum gradum in entis: bus rationis loquitar ex füppofitione, vt   ibi notauit Mauritius,qu£ tamenfuppos fitio ett abfolucé falfa. Vel dicédü, quod etiam tribus illis dümtaxàt gradibus admi(lisin fecundis intentionibus, hoc non. obítat, quinadhuc vna ure intentio poflit (uper aliam fundati in infinitum, quia im i]lo tertio gradu potett inflituilatitudoinfinita fecundatü ;ntentionum, . quarum vna fuper aliam fundari poffit, et omncs fpe&abunt ad illá tertium gradi, quia quatenus vna fecunda: intétio fuper: aliam fundatur, liabet rationem modis De Foiuer[alibus im Communi. Xplicata natura Entis Rationis, C: fecunde Int£tionis, vt fic j imgenere, nunc ad explicadas in fpecie defcendimus intentiones Logicales, Cr ab eis mmcipimms,qu 'niuer[aliayfen Predi-' j|  «abilia dicitur, eo quia eorum cognitio multu deferuit ad or« || dimanda pradicaméta; agemus autem de ipfis pofleain particulari H«c dici folér viniderf ia inpradicada ad differétia vuiuer[alis, tum in caufandoycu iufimodi efl Deus, A: rimó in comuni, € quacunque alia cauja concurrens ad plures effetius, tüm in fignificado, qualis eft vox plura fignificans, vt boc nomen animal, quod omuia fignificat ammalia;th' dnreprajentanio,qualis eft bomisis imagoyaut ettam eius cognitio, que aliquo modo omnes bomines repr &fentat; tum denique ad differentiam vuiner(alis in effen  vs nempe cum aliquali fua vnitate e[lyvel eje potefl im multisyvtnatura ani alis in omnibus animalibussGr bominis in ommibus hominibus. Igitur Vninevfae le'in pradicando, de quo bic agere tmtendimusysnullum borum e$t, fed tantum eit fecuida quadam imeniio appiicata illi natura commun, que dicitur vuiuerfale   in e(Jendo, per quam relationem rationis illa natura communis conjtitui oxi| ? m? potens pradicavi de multis. Ex quopatet vniuerfale rp. effeudo effe funda tum vunerjalis in Lemaire eon. quód natura banana cft in ?Peivo O Paw i lo, pradicatur de illis Hinc vniuerfale in effendo confucuit appe liart Jat materialeyc7 fundamentaley cr pro prima intentioneyiré vuiucr idle Metopbylicits i guat enus Meragbyficus vonjiderat magtras rerum fecundum Jes yuiuer[aic E^ in 3$6 dantur in primis . Cum igitur vniuer[fa £lety ad Meta d Logicisyquant Logicum; nc n detur V niuerfale à parte rei . Oueturquafitum tàm d| de Vniueríali in c(s&4 B doquàm in przdicaM| do; &quoad viráque | parié hic refoluetur, "EXEC. obiter tamen de vni'werfali in effendo. Hac de re due extant €xtremaz opiniones, et vna media,que cft wera ac tenenda . Prima cft quorundam Philofophorum antiquorü, quam rcfert Arift. 1, Mer.c.6.& 4. Mctcap. $.de Hczadito, et Cratillo, qui in rerum natura fingularia folum agnofcebant,& vniuerfalia pror(us negabam ; ab hac opinione non malum ditat Nominalium placiti, qui rationem vniucrfalis reponant folum àn vocibus, et conceptibus concedendo tantüm vn;ucr(alia in Gignificado, et reatcntando, negando prorfus in eff endo,vndé et Nominales cognominati süt, ià Ochá Vd Log.cap 14. et 1. d.a. q.4. et quol, s.q.121.& 15. Gabxicl 1.d.2.9.7 Grcg.1.d.3. Rubio.ibid.q.7. et ex Recéaioribus quamplures ex Patribus Socictatis prz (ertim Hurt. difp. $. Mct. fe&t.10. Aniag.difp.6. Log.fc&. 4. Akera opinio €x diametto oppotia concedit vniucríale ina&uáà parte rci, nótamen codé modo. Plato namque hoc adaittebat (eparatum à fingularibus,vt ci impiogit Arift. 1. Met.cap.6 et lib.7. cap.. itaquod dazetor homo, (cà bumanitas ip cómuoi, de qua tingali homines participent, et equus in commani,de quo omnes equi, co fcré modo, quo pliscs hucerng cx codem luminc accedunius. Alij «cro. admíttix vni, wecflc à parce rej nont à fingularibus Difput. IV. De. Vniuerfalibus in Communi. gradicaudo dicitur vniuer(ale formale in a&inye pro fecunda intenzione, quia nis mirum importat ipfam intentionem vmuerfalitatis,que e(l forma rationis,qua ali" uid denominatur vniuer (ale in a&us dicitur etiam vniuer[ale Logicumy quia Logicus per fe confidevat feowndas intentionesnaturas »erà erum nonguf infevuiunt pro fundamentis illarum, m p ini fecundis intentionibus, vt fun in e [icam trattationem eius ex profeffo remittimus, vt Met fieri potefl di [cernamus, quia tamen fundatur ineo vniuerfale amentum eius fit tyronibus pror[us ignotum, aliqua obiter ini« $io buius difp. de ipfo wniuerfale in e[Jendo ex Metapbyfica fuppouemus . quatenus sendo proprie ad Metupbyficum fpeaphylica feparatü,fed in cis realiter inclufum,imó et cum cis realiter identificatum; vocant autem illud vniuecfale in aGu, quia nataram cómunem in pluribus Lena amyinquiunt, veré, ac propri P dici vale uec ci aliquid deficeread a&ualem vniaerfalicatem mW tam,ità Paulas Venet... 1.vniuerf. et lib. z.Mer.& ;cusrenet Monlorius difp. de vniuet(.cap.6.& folet quoq;Scoto ime. pingico quia in 2.d. 3.3.1. docct naturá à arte rei de fe pluribus cómunicabilé efi. Tertia demum (entemia concedità   parte rci vniuer(alc in effendo, .(.naturas communes in fingularibus exifténces n üidemquafi (it eompletum, et ip adus ; ed inchoaté folum, et remote, quatenus fundarc potcft fecundam intencioné vniucrfalis Logici, quod folum fatetur effe  vniuerfale completam, et in actu, at non habere effe, niti per intellectus opcratio« nem quz eft vera (cntencia in omnibus fcholis recepta . xdi  Refolutio quafiti de F'niuer[ali in 1, effendo . ; Dis Vniuerfalia in efewdcm Y reir inu a» fed i ncis i à fingulari t2, fed in cis fcu, Cmdm cis realiter identificata . Coxclu(io eft Arift. loc.cit. vbi acriter iouchicac ia cos, quicantum fingularia agnmofcebant in toto entrum ordinc E ait deinitionem, pet quam exolicanit rerum quiddicates, dari de re vnmuerfalibus,& 1. Poft. c. s. et 1 1. fcientiam effc de vniner(alibus, qitz in (ingaJaribus exiituat ; SCeum Kiencz pluris "ma mie (int'reales y wniverfalia eorum ie&a erunc aliquo modo à parte rci, Gi: Perihzr. rerum alas poni vniucr(a; les,& aliasfingulires,X 1.Poft.c.1.& 2. dec Anim.c. fait vn 'ucríalia miclleétu fin laria fen(u cognofci ; cerum autcm eft ic&um, praicctim motiuum, antcce detca&tum potentiz cognoícentis aliquo modo,ergo hzc conclufio cft peripatetica, quam proinderecipiuat vnanimiter T » et Scotiflz coma Nominalescum D. [ ho. de Eme, et etfentia c.4. Met.q-13.Probatuc € cuidcoti ratione ipfam declarando. Nam per vniuerlalia in eflendo hic intelligimus folü naturas cómunes;per quas indiuidua à part€ rei conucniant, et affimilantur,fed tales naturas reperiri ipfa experiencia docet, nam per hamanitatem Petrus cóue' nitcum Paulo, non eum Bucephaloy f animalitatem conuenit cum Bucephalo, . nócumlapide,crgo &c.Itemiper vniuerM ile in cfi sm cómunem loquédimo «lum non intelligitur vniuerfale cóplctü, »fed natura comunis, qu po(itati$5& ob fuam cómunicatem przbe1€ occafionem inttlle&ui, vt ipfam cóci« piat veré, et pofitiué vnam in mukis, et ec mulus przdicetur, at admittere vniueríalcà parte rei 1n hoc fenfa, inchoatü nimium duntaxat, incompletum, non folum ab(urdum non eft (cd maximé ned €cílarium, ne dicamus intelie&um teme(0 $6, abíque fufficienti fundamento co& o natucas vniuerfales, ergo Xc. vide:   "[romb.7.M ct. q.9. et Ant. And.ibidem; et initio pradicabi À -..4 Secundo probatur cadem Conclufio €ontra INoininales. ncmpe noníolái dari vOCC5, aut conceptus tormales cómuncs y fed illis veré corre! pondere maturascom muncspzo cóceptibus obie&tiuis, idque Mic jmpriaus cx. veritate pradicatiOni Sin quamatt Pa comunis cnunciatur dc ali có pata vt cum dicunus 'Petrus c deno ead arp vniuettale quoddam cnunciamus de (ingalapi .& oftedi« musbab.re cü eo eticntialeu conncxiomcn, et quidem noa indicaui connexio ^o Logaels | N e w et opafc. y j. et $6. Scoto 2.d.3.4. I. et 7 1 : Duell Lion detur Vniwer(ale à parte vei. eEL y6nb inter illasvoces Petrus, et booo,ncue inter conceptus formales illatum, quia pradicatio effec omnino fala, (ed. inter rcs per illas voces, et conceptus tignifi« Catàs, ergo cum epunciatiofit vniuerfaLsde parciculaci, plané prater. lingula ria, et vniuerfalia in igmficando admittenda Íunt natur communes, quz .dicuntur eniuerfalia in effendos et conceptibus formalibus comunibus corrcfpone dent pro conceptibus obietiuis. $ Refpondent Nominales neg. cone feq.conceptus namque formalis hominisy vt ficnon fignificat immediate aliqua naturam coómunem indiuiduis humanis, (ed immediate omnia ipfa fingularia confus& cognita fine diftin&tione inter illa. Con tra vel fignificar illa copulatiué, aut copulatim süpta,vel difiun&iue, feu ditiun: &im,nó primum, quia cum totum, q concipitur ex parte przdicati, debeat af^ firmari de fübic&o ; fi per illud przdicae tum bomo copulatiué fignificamuc indi uidua omnia, et fingula naturz bumanz, omnia quoque, et fingula dc Petro affirmarentur, et fic effet propofitio fal[a.s 4 Nec valet quorundam refponfio,quód li-cét videantur omnes naturas fingulariump de Petro affirmari, re tamen vera noafficmatur, nifi propria cius natura quia irs hoc br aétus copulatiuus B rrind per quéfit fopradicta propo(itio,3 cope latiuo claro, quod vbi itte de fübicéto affirmat totum id, quod ex parte pradicatiattingit,confu(us nonaffirmat,nili part&fuiobiccti. Non valer,quiaad vezitateas. propofiuonis copulaciug ab(oluté fum-ptzliue nimirum fit copulatiua clara, fi uc confafa y1ndifpen(abiliter requiritur g yt totum przdicatam, &cqualibet cius pars verificctor de (ubiecto ; nec fufficit quod aliqua pacs tàcamalli coueniat,& ip: hoc praferum à ditiunétiua fecernitur s vt con(tat ex Summulis.. Si verà alemume alicratar cum Hurc.$.179:quód .f. bomo in allata propofiuone ficar 03a Due mana indwuidua dilute ;; cunc. illa propohio eiriseft bonos fic colues zur, Petrus.eft hic vclille horao, Ícd ifta. noneí) pradicatio-vniuenals' de (inguee lari plod indiudui vagi yvt cum   Fr 362 ille homo ; tum quia vniuerfale dcbet pluribus pradicari per modü vnius, hac enim ratione dicitur vnum in mulus, et de multis, crgo in ptzdicat;one non poteft fignifcarc plura difiun&im . Si tandé dicatul,vt ait Arriaga cit-Ícét.6. nu.3 1. naturam humanam confusé conceptam effe przdicabilem de quolibet indiuiduo ina. dequaté, .i-vnam de vno, et alià de alio, quod fufficit, vt abfoluté 1ila fit pra dica. bilis dc pluribus, vt ad wniwetfale requiritur, Contra, quia tunc in qualibet propolitione propria matura przdicabiiur de proprio indiuiduo ., et ita cum dicimus "petrus efl bomo,nop erit pra dicatio fa. perioris de inferiori, et vniuerlalis ce, 5 brgulari, fed eiufdem d fcijfo ; vt bcne vrget Lichet, contra Ocham 2. a q.1. $. 4d vc[ponfionem, qucm nodum vt folnat Arnaga cit, mirabilia dicit,& ;neredibilia, qua confutatione non egent. |. Deindé principaliter, cognitio v niver falis non immediaté terminatur ad om. nia lingularia cotenta fub illo, ergo obieGum immcdiatum talis a&ss erit aliqua vnanatura ita comunis à patte rej omnibos illis,vt in ipfa onininó ccnucniant et aflimilcntur, Irobatur affumptum; quia illc actus omnino pra (cindit à Gingulari'aatibus, cum ex vi ipfius indiuidua conueniant, et nó diflnguantur, ergomóimmediate «ci minatur ad /dla, alioquin etiá Jfingularitates attingontur a c(p.Hurtad, cit. $.163. per illuni actum concipi 1mme diaté omnia indiuidua, vt. 6 milia, X idco. [cindcre à fingularitatibus, quac 1pla redduni di(Ii miliayvnde $. 147.inqnit immedaotün lündaocnt 6 vn ücríalitatis ef» feplura tingularia, vt timilia, Hac folazio tàm infirma eft, vi ncque Arriaga, -€ftó it eiufdem opinionis, cam rceipiats et quia cft quorundam veterum T bomi» farum przícrtiin Heruzi, eam refcrt et optime unpugnat Zerbius 5. Met. q. 17« S. Prepier. [ceuudum 5 nà quatitur, quid fi 1 lud; in uo inciuidua v.g. bumana. fum 6 milis,Kané cns rationis c ffc nequit «uia Vimili ode (ipj oniur efe reat s, fa €Ák quid rcalc; plané id cte ncquita)iqua Difput. IV. De Puiutr[alibusin Commmi; .  petrus efi aliquis bumo, taenimrefol  natura ] tiitür,vc cius fenfus fit, quod elt hic, vel js, quaidtm Diainis perfonis referua-. ispluribus commmmicibió ^. tur, ergo communis, Neq; immediatum  Ó fimilitudinis poffunt poni ipfa omnia fingulatia, vt cóformia s. vt dicebat ome mni eft omnia fingularia, vt coformia, vel dicitaliquid  prater ca abloluté confiderata; vel non; finon, cum omnia (ingularia abfolute: confiderata fint plura,vt plura, tuncom« nia fingularia, vt fimilia erunt plura, vt plura;& fic ratio pluralitat;s, inquantum talis, effet ratio formalis conformitatiss et vuitatis quod eft impoffibile ; (i primum, certéid effe nequit, nifi aliquod rcale ipfis commune, in quo conueniants quod eft intentum. . 7 Refp. Arriag.cit. pera&ü ilhi cone 1 fufum plura cognofci ex parte obiectis  etiamí) cx parte modi attingamtut; vb vnum, quatenus pet confufionem nó dikr rpm illa plura . Contra, ille adus. ob íui contufionem nonattingitfingula    riates omnium indiniduorum,ergonom aiingit plura, vt pluraex parte obiecti y quia indiuidualis pluralitas cx illis folum et : prouenit,ergo nedum ex parte modi, fcd ctiam cx partc obiecti plura attingit, VC-vnua; Prob.comfeq.quiacogniioidiàe tum reprzfentat, quod fc tenet expate . 'obic&rüigitur non reprafentar plurali utem, et d.itinctionem,certé neq; obies &um, prout efl terminus illius cognitio» nis) dittin&ionem habcbit « Confir. qiiia li-cx paite obiedti plura attingitvt plu« ra,ergo non repra'(cntabit illa vcindi ftm &a,& per modum vníus, namrotum id teprarfentat, quod attingit, com ergo nó rcprafentet plura;(cd vata, (i 2nd. cft no atcingere plara (cd yaum. Tandem it kodec Anim, oftendemus obie&tü non accipete vnitatem à coceptu,fed potius € co tra conceptum ab obicéto, quia potentiz.   Épecicaumr pactus, et actus per obiecta. ex 2«de Anim«crgo falium cft natura hu« mani; g.aliam vnitatem nó habere, nif quà accipit à cóccptu formali intellectus. confuío; (ed contra hoc [INominili(mum fufius agcmus in Mct, Vide Taur. q.1Pra dicab.dub.z. Fabrum 4., Met. difp.9. $ Ieruó quod hzc. vauucr(alain cí Íci$4.1 f. «efu detur Vniue[ale et parte vei, &/Art.1. 265 . fcnlosfeü n.c re cómuncs poni non debeantà (u;s ngular:bus feparata, fed in 37. eisinclufa, et cum eis realiter idenufica|     gta, clt cid communis Peripatheucorum, fenfus, et expreffa A1ift. fententia contia ; Platonem, vnde 7. Met. ait; quod nullum -. vniuerfale exittit preter. fingularia fepa;ratim, et 10. Met. vmuerfalia. non. (unc . przrer multa, et 1. Poft. domus non cft prater has domos, et lacetes prater. hos lateres, et in predic.fubftátiz haber.cor.rüptis primis fubftanujsimpoffibile cfle ali uid aliorum remanere,hoc cft, deftcu . €tis fingularibus vniuerfalia quoque cua" neícere;vt expofitores ibi tradant; et probatur manif fla ratione ex ipfo A:ilt.dcdu&a 7. Mct. contra Flatonem, quia vni-. uerlalia veré praedicantur dc fuis fingala. gibus, vt 5ottcs eft homo; fed przdicari   «cté dcalio przí(upponit effe inillo, de P qu predenunenge vniucr(alc eft in ini   diuiduis,nó autcu, (eparacum ab cis.1mà vniucrfalia eflenrialia, vt funt genera, et fpecics,nó folum dcbét elic in jndiuidus, B LU 5C nerío.ingularis cft, ac ind;uidaa, iuxcà ... jud Bocuj axioma Qmn^,quod c$t,ídeà   7 efl, quia »3umnumero eff, quodin hoc feníu ab. omnibas intelligitur. Vecüm an talis fuerit feacentia Piatouss m ci e eyrus Aritt. valdé dubium cft et quod picionem auget, cit, quod teftatuc D. Thom (teftis plane &de digniffinus, et omni cxce ptione maior.) lib.4. de regim. |. FPrinc.c.4 Arift. ncmpé non plan? tefcrPons [cntentias, maximé Socrar.s,& » ^h fy o£ et "t KA 17 RUN ! ; et quidem grauiffimi Patres et ilofophi, prz (cca veró Auguft. lib. $3.4.9..]446. et lib.7. de Ciuit. De1c.28. Seneca lib. 8. et E ugubinus de. perenni : 10. Placon. indices àimpottura, X 4 iuit £aulc locutum de Idcis inedit. quibus. (ubícribit Scot. 1.d,3 4.4. vn.$. 4d «fia y allirmaus Atiltanaié retul dc Platonis (cntentiamy fubdit Mayron.1.d.47.9.3. id fccillc in» nidia motum, fed videin'uc Auci(aq 8. Los.(vc&.2 . et Fafqual. parc. 2. fuz Mer. difp.1 1.(e&.3.de«nence Pliconis oii né dilcuccentes, et Mayson.loc.cit. pro Pl;tone conica Arift, fteeoué decertans. De -yniuer(ali platonico etiam d tfasd diTe.ric Bonct.a. (uz Met.c. 2, et 4. et poftea lio.8. cap.1. agit de eifdem vau. rfalibus iuxtà men:cm Acift. et Concaren. to. 5. quat. perip. 3.1. 9 Hac igitur cft comm'ms fententia Realium contza No.ninal.s de Vniuerfalib. in eífendo ; v: notat Mcuri(fc lib. 2. Mert.cap. 5 q.3& quidem Scotü ;lla admittere à parterei modo :am declararo tet exloc.cit.2 d.3.q. 1. vbi conis viris id probare cótendi:, quia vcró VT. loc.lapracit.ita aper: non la u'tur,ynde non dc(unt ; qui eumtrahere conantar in Nominalifaium, vt Hurt. et Arriag. cit. ideó locum alium adducere libet, quem rcfcrt Zerbius,ex crackatu de fenfu refpe€&u tiogulacià, et incelie&tu tefpe&u vniucr(aliu.n, vbi in 6ne inquitipf.£ natur, uibus accidit inientio V nuerf[alitatis, unt in rebus," propter boc no'nina comunia fignifi c antia natar as ipfas pr.edieqntum de indiuiduis, non autem nomina fignificantia intent iones, Sortes-n.efl bo moyfed non [pecies, hinc,& alialocva . S. Thoma ex tra&. de Vaiue fal. b. et den tura genceis,X cx 1.(cn .d 38.3. 5 acc. io Corp. a idaci Zerbius, ex quibus inanife(té deducitur Doctor. Angcl. non à Nomioalibus.(edà Realib. ft «ce., Verum tamen cít, Keslcs poflea etia inter fe dif.tcparc in mo lo ponendi va'ueríalia in €il-n1o; Scouitz nam ]'ic docent, nacura 1;à cxiltece in üngulaci, vt juam us ficilli realiter ideacfi caca, manet adhuc camen €x natuta rci formaliterd tlincta à (iogu laritate ob d ucriiarem (uar rationd, quas etiau) in cali idenarate rcali (eruant bees ca e   n. ex fua ratione ormali femper ctt pluribusco ica bil iagularimtim dinum bU RR quod natura ex coatractione per fingas lacitatem facta,non ni(i exainte. 6, x des nom .aaug? aaanet fiagulaizata, q./à d.» tlinctioaem euam agnalcür iocec ac dis. m.taphyacos i. inter padian s de : A la ; à 364 fia natur fuperiora, et inferiora lineg gradicamenialis eadem fere ratione, vt v.2.anima!& rationale it& diftinguuntur, quia importát diuet(as formalitates,quafum vna c(t potentialis, alteca a&unlis, «na e(t ratio, qua homo; et brurum coaueniunt, altera eft ratio, qua. differunt, 'citrà quodcunc; opus incelle&us;cum er' go de codem (ecundü idé contrad:&oria à parte rei verificati non po(Tiat, nece(Je eft, quod importent diftin&as ex natura tei formalitates, ità m  i apud Scotum 7.Met.q.13. et 16. vbi Tromb. q.4. Pert jv: Am et in r.d. 8. q.:. X 1. :di3q. 1. vbi Tatar. Lichet. et alij Scoti, relrca eademloca. Thomiftz veró, ] tquidem naturam cómunem ha. "bere e(te reale in ingularibus, (ed nullo ca ab efle fingulacium, et differentia iuiduali ex natura rei actual ccr d ftin€uin,fed tantum virtualiter,& per intelIc&um concipientem cü fundamento ia re/naturam cóem à fingulacitatc abítra&am, et ità con(equcncer loquuntur de cateris gradibus metaphy(icis ; vndé ad argumentü illud de contrad:ctoc/js ccfpa dent ad collendam contrad €tioncin (uf. ficcte di(tin&ionem virtualem, ratioge cuius aliqua' non funt omn nó idem, et adequate, et ità fic contradidtio circa $idem,non (üb cadem ratione, nec fub codem modo . At hzc folucio parum valct, vt conftat cx di&is difp. 1. q. £. art. 2. loquendo de diftinctione formali, et ex dicendis difp. 9.q. t. art. 2. cíto .n. fufficiat ad euitandam contradictionem fuppotita intclle&us operatione, et d uera ciu(dé | gerappreehenüone, quia tunc oppolica s pridicata non verificantut de re fecundü  adzquatá iplius róncin, (ed inadeequatá, et aliquid T emqe vni Roa, qued " t altet!,:fi prz ci(o opere intellcri So fufficit uim ibi nó eit alia,& alia ratio, jvndé abíoluté quicquid przdicarur de|vno, pra: dicacur etiá de altero, vt tunt à parte rci ; fed de dittin&ione icamentalium,& compofitionc mctaphy(ica, quà faciunt, quatenus vna. c (t «calitas actualis, et contractiua, altera, ial.s, et contrahibilis ex profcífo B Mcgis igendutet; quamuis dc c6Difyut. 11. De Viituér]alibus in Coimiunt ' tat indiuifionen per principia eilentialias . non arbiccantuc abfurdu.n, (ed fumme .lo, ucur eaim conftituit c . taquantum eit defe, poteratcótlituere  Paulum ; à illi à gencrantecomuiunicata   po itioae aliua dicemus difp. feq. q.3; to Piaterea neque ipfi corittz (aci imer. (€ conueniunt de. cGmunitáte cealt naturatum', quidam .n: contendunt effe cómuncs per inexi ttentram, itaquod vna, : et eadé humanitas realiter reperiatuc in Omnibus homimbus, v.g. humanitas Petri, et humanitas Pauli nondifferunz, nid  extrinfccé,rationc .(; diffcreniarüad d Garum; qf autem atferunt vn im eile oa. tutam iv omaibus fiagularibus, (3nà non intelligant cile vnam mumericé, d.n. diuinis taacü períonis referuatum ett, in quibus vna, et eadem numero prorfus indiui(a na:uca repetitur; fed loquuntac de illa vnicate propria naturz, qua impora "  dici folet vacas rocmalis, et eff -ntialis, quai ide ett m nor vnitace nuines ; et ponere in cceaus eande n nitucá fic vnam in platibus fiogutaribus nedum   neceifar;ü ica. dc fendunc Canon. 1; Phyf. q 6.Bonet lib.i Mcr. cap.2. ra'ion bus fané nó (petnend s, Mcurüle loc.citq.4.  et fuse Pafquahg. «om. 2. Mct.dif.1 4. à etia ita loqui videtur Faber 12 Mci. loc, ci, et 1n Ehilofoph. cheor. 95. cuin alijs  qu.buldam. Carceri vecó Scoutlae admits   tunt natura$ cómunes folum per inditfes  rentiá, non autem per incxitlencá, vade.   cóícquéter volunt quodübet fuppoutum  hab.rcpropriam nacurà cum fua vnitate  foimali, et aliam effe humanitaté Petri,  aliam Pauli, etiá ancecedemer ad diffciés  tias indiuiduales; dicitur ca.évnaqueqg  nacura €ó s,quia.juanrumuiss lit excciníes   €é contra&a pec differentiam ad hoc,vel illudindiuiduum,inir.niccé tamcn sépet  inditfereas manct; vc ic in hoc; ce mile et tuilfet, et idcó dicitur comunis pct indifferentia, ita defendunt l'atar. qc1.przs  dic.dub. 3. Vallo: Formalit. in explica tione diuifionis entis rationis, et cgregié ] Lichet.cit..vbi camen benc notant, quód licét tint toc. hamanitratesquoc homines, adbuc tamen vna tantum eit (pecies humáànà, quia vnaqua quc non c pr aic, Aem... 2  L L x Li | Q. Een detur Pniuerf. h parte rei. c/Art, T. dare, nifi fccopdam intétionem eiufdem fpeciei.ut poté entitates ciuídé rationis, idem tenet Rada a. p.contr. 5. ar. 1. 11 Et fané hecfui(fe videtur més;Bo &pris, vt patet cx toto proccffu ill;us q. 1:dift, 3. fecüdi,nà pra(ertim à $. $ed con365 uiduis remanentibus; neque nouus homo creari, quia creatio perit e(Te ex nihilo,&c in hac s€:étia przexifleret cius natura inr indiuiduisiam exiflenubus; daretur in(uper de facto vniuer(ale in a&ü à parte rci y cx vna enim parte natura elt realiter vna, tra v[que ad finem queft. aperti(Timé dgp& ex alia cum tali. vnitate reperiretur in «et communitatem Baturz cífe per ind:fferentiam, nó per incxiftériá, et q.6.ciufdédift.(ub D. refpondens ad illud quztitum, an vnitas natura cómunis fic alicu. iusentitatis in vno tz indiuiduo cxiften  tisan vetó alicuius, quod imul e(t in duo bus,inquit Concedo ergo, quod bc vnitasformalis nà efl alicuns entitatis exiflentis in duobus indiuidai led im vno, et in 5.d.8.q. vn. in fine ait aliam e(Te vnita (ormalé haman tatis Chrifti, et aliá bumanitacis Mari, et 2.d.3. 9. 7. D. in. quit effe diftinftas humanitates im. pluribus ominibus, eciam vt przceduat fiagularitates ; h«nc tà ioferri non debere » Slides m vr meri ise td id.di(tingui, et aliud ipfum efle primis Fationem di(tinguendis vel diftin&ionis,quia cum hoc, quod ipíum fit di.. flinctum, ftat, quod ipfum non fit ratio  'liftinguendi ; concedit ergo Doctor hu. manitatem Petri effe emitatiué. diftinGm ab humanitate Pauli, non tamé cffe rationem di inguend; Petrum à. Paulo,quia quátam eft de fo, ett ctiam com    gmunicab iis Paulo, et ideo cum fit entitas communis per indifferentia, non poteft cfe prima,& per (e ratio diftingoendi, hzc c:go eftgenuiua mes DoGtoris, vnde €inonm iple cit. quamuis probabi« liter oppotiram tueatur fententiam, fübdít tamen hanc fecundam ctle magis (ubo gilem,& opiniog Scoti conlonam 11 Etquidem faftinendo dari naturas: Comaxines per inexillengam, cuitari "mequeuat ab(acda iila, qu cootca natu. Ig commaoaitateim vrgebanc Auccolus:, et Ochim, niarram-quód via, et cadem .Batura er.t(inul, et femel mifera, Sc beata, quia io Chcifto exiftens cft. beatz,& in 1ida animata ; et quod Perrus nequit aonihilani à Deo,quià femper aliqua ciuscniitas remanerer, nempe illa Mena Rp eOD | E qaa commanis c(t illa cum caters nda(o 4ogieae : multis, quz duo confticuunt vniuerfale in actu, vt patebit art. (cq. Conantur quidé Audorcs alterius opinronis Doctore ex« plicare,& hac inconucnienria cuitare, vr dc ad primam au&oritatem ait Mcuriffe q. 4. Scotü intelligere vnitaté natutz nà e(l alicuius entkaus exiftentis in duo-. bus indiuidais cum fui diuiione athero genca 4. per di.terentias alterius ratio« nis, quales (unt fpcciticz, bene tamen cum fai diui fione homogenea .i. per diffcientias ciuídem rationis, quales (unt indiuiduales, Ad 1. inconaenicns ait Faber, gr natura Chrifti eft numero diuer(a à natura ludz, et lolum eadé (pecie, non inconuenit aucem aliquam naturá cia(dé fpeciei cum matura Chrifti e(Te miferá.Ad alterum inconueniens inquit Canoni. fufficere ad anihilationem, fà nihil temancac s sn ad creatiónem, fi nibil przcxittat fingulare « "tg 1:3 Sed funt vani cortus, nam cum ait Do&or vnitaté formalem mtra nó. effe alicuius eatitavis exitléus in duobus indiuiduis,fed in vnoyc (to exemolificet de na tura fpecificaycradidit címllá do&lrina ge neratim de vnitate natucz tàm fpecifice y à genericz ; de quibus loquitur promiftue inillis qua. imó fi verü eft, quód ibi docec Mcuri(Te natucam lramaná effe totá honozencam Metaphyticam,&c indiuidua natutz hamaoz effe partes fus bie&iuas illiustotius, atque ideo contractam habere folam vniracem ne« antem diuifionem atherogeocam, noti am(in quo melius lo ui nonza. poterat) ccrté nod amplius defendere, s pore(t commumnitarem natura fientiam quia nalla eadem encicas. eft. in duobus indtuiduis, alia .n« cfLenciras hue ao Petti, alia Pauli, eftoomaesM contlitait Pe« 55 Ne ae damnilin util 366 . Uipu.1P. Pe Fmutrjalibus m Commmi. Neque etiam Faber primum fübterfagit ab(urcdum, quia argumentam vrgct incóueniens e(lequód vna, et cadem entitas, «quomodocunque ponatur vna,fiuce nume 1ó,liue fpecie dummodo fit vnitas realis, qualis ponitur effe vnitas nature; fit fimul, et (emicl mifera,& beata, nam i illa opinione humanitas Chrifti  et Iuda nteccdener ad hingularitates nó funt diftin€lz rcs, vel entitates 5 ergo licét non cadé (ingularicas fit mifera, et beara, limul, &(emc!, benetamé cadem matura, quod adeó abíurdum et etiam in hoc fenfü a(ferere, vt meritó Tatar. cit. hanc imaginationem appellet meram fatuitatem . Nec etiam candide Canon. alterum fuübterfugit abfurdisquia fecundam cómuné, fanum fentum annihilationé requrritur, vt nihil remaneat in reram natura us entitatis a&ualis qua intrinfecé compo-. nebat. rem annihilatam, ficut ad creationcm, vt nihil prrexiftac entitatis imrinfccé componentis rem creatam, íed de hoc ex profeíio agcimusin Metaphylica, ac Solusmrur Obicttiones 34 YN oppofitü obijcitur r. pro opiÀ nionc Heracliti,& Crarilli, quias syuicquid eft inrer natura, veIett Deus; velcreatoras fed vaomquodque horam fingulare e(t, de Dco patet ; ac etiam de €reatura, quia hac exiftit cxvi alicuius is realis, adtioncs vecó. fant circa fingularia r.Mct-tex.i, Tum z.cziflentia eft aQusrei (inguluris, ergo quicquid exi ftit iineulare cft Turm 3. qu:a omne, g eft idcó cil, quia fingulare eit-ex Boer. Tum 4 fi darenmir voiucríalia,id potiffimum cífec propter [cientiassled ifTa poffunt effe de Gingularibus, vt coa(tat de "Ihcologiz, quz cft de Dco fingulariffim0 . Tum $. ad vaiucríakeduo neceísarió px CoA vnitas, X multitudo, vnde definitur, quàd tit vnum in maltis, quia fi clct vnày et nod re(piccret mulra, cunc ' comuiiunitas, fi veró refpiceret sigla, et non cíf:c vnum; tunc etler mere simpliciter plura, (ed vntras, et m ltiutdo inicr Kc repasnant;ergo &c. Tum tádcm €uia SEMETDoli-t49. lcquzn$: 7 t 1 E de vniuerfalibus ait; fpecies valeant, figmentum.n. fant, et i de Anim. c. 3. EM vniuerfale, aut nihil eft, auc pofteriuseft -F. per folam operationem intellc&us. ; Refp. neg, minorei de creatura quae libet vniueriim ; licét enimy omncs illae Q«eaturz, qua primario, et immediate terminant actionem productiuam, fint fingulares, nou tamen quicquid producitur concomitanter ad earum productionem, neccíle eft effe incrinfecé Giogulare, et in hoc fen(u poffunt a&ioncs efe etia circa vniucrfalia, vtait Do&tor 3. d.22. q.vn« G. Ad z. verum eft allumptum de cxiflencia perfe&ta, et vItimata;, qualis e(t exiftrentia rei immediate exiftentis,talis non cft exiftentia matuczs, qua cxiftit folum mediantibus (ingulatibus. Ad 3. . ideó fic loquitur Boet.quia etiam naturae : comriumes ideo exiftant, quia (umt in (im quedam ratione; et ipíz tingulares. icunttrjnoa per fe, et intcinfecé,(cd pec accidens, et denominariué ratione differentiz indiuidualis adiun&a, vt declaratDoGtor 2.d. 5.2.6. T. Ad 4.data ma.neg. min.vt .n.dicetur ad lib, Po(t. fcientia proprié nó efl de (imgnlaribus, Deus aür cíto tit fingularis, adhuc tamen eft (unzméncecetfarius,& ideó deipfofciétiadae  tur. Ad 5. vnitas, et multitudo non rzpurs; gnant, nil) codem modo famamur, népé:: vnitas numeralis, et pariter nameralise multitudo, quédo autem dicimus ad vnt-.. uetfale in effendo ctia fuo modo requirr. vnitatem,& multitudinem, loquimuc de, vnitate formali, et multitudine nunyeca, lis qua: inuicem non repugoantyquta vaitas formalis cft minor numeculis bend iamer verü cft non requ cí tantam vn ta. ad vniueríale imetfeado, quama rcu citur ad yniuetfále im prz dicádo, vc pitcbic ex dicendis, Ad 6.vt ones Exyotrtorcsadaerturft, ibi loquitur Atifk.de Vaiuec(alibus Platonicis;& loc. cic. 1«de Anim, loquitur de Vaiuec(ali Logico,quod viique aut nihil eft, cum (olun lit ens ronis; aw pofterius et; cum abflriliutuc à ccbas per operacionem inclleótus . 1$. Secundo argaituc pro Nomioifibus, quad dentur loia vaiaeríala im gatfiàdo,quia Aft. Mer. 13: X Lb. 10.6D eur ^ in jac MR NL: €, ca Cala PP] pr 4 n et Quaf.I. /fn detur Vniucrf. i pareri. cdu.I. 469 rri geneta, et (pecics (abflanriaró no (ubftàtias ; in praedicam. cap.dc (ub. . ait (ccundas (ubftantias qualequid fignificare;fed fignificare pro prium eft nomimüm, et conceptuum; ergo hzc omnia » funt voccs duntaxat, et conceptus. Et 4. Polit.cap.2.ait de optimo ftatu Reipub. differere nil aliud effe, quam denomin;bus difputare . Praterca dantur termini fhiueríales,& particulares, vt ex Sümulis &onítat. Tandem fcientia eft de Vniuerfalibus;at non eft ni(i de vocibus, et co«eptibus,cum .n. intelle&as affirmando, . vcI negando iungit, vcl feparat extrema, «erté non iungit,vel feparat rcs ipfas,(ed taatum conceptus formales 5.& voces, dum foris exprimuntur, crgo inter con. ceptus folüm,. et voces exercentur pta-. dicationcs mentales, et vocales. Rep. Arift. negat genera, et fpecies fübftantiarum efie (ubftantias feparatas, wt aiebat Plato, ita exponunt ibi Scotus . gralertim,& D.Thomas;in przdic. fub. turre pro nomine, vt fcafus fit fecun. ; "msan re momios ioni fubflanriarum fignificant quale quid,codem  n. modo ibi. dixit. C n Pi epi fignificate hoc aliquid, que ramen etíam fecundum Nominales non eft. purum no: mcn; vel acci pit fignificare pro cle, ficut dicere folemus, quod homo fignificat animal rationalc.1. c(t animal raticnile; 4. Polit. non hibentur illa verba, fi alibi habentur, dicendu:n ett interdum ac«ipi nomina pro rcbus, et quidé phralis eft Sacrz Scripture (atis familiaris. accipere vcrbum pro re (ignificata, videamus boc verbum, quod fattum e[l, &c. -dijplicuit boc verbum in confpecturegi5,&c. Ad 2. illa diftin&io conuenit terminis ratione fignificoti vniuerfilis, yel particularis, qj optimé docuit Arift. LElenc. cap. 1. cum ait nominibus nos . Vti pro rebus, quia res in di[putatione ad. duci nonpoffunt, vndé nec de fingulari.bas ipfis loquimur, niti vtendo nominibus, Ad 3. ncg.min. cum fua probar. intelle&us .n. in propofitionc iungit,& (c[sn in uidem vt (unt à pattc rei, fed vt funt obic&iué in ipío, et fimiliter dum fiunt. przdicationes v ocales non cnunciatur vna vox dealia, fcd rcs lignificata per voces, ! 16. Tertio argnitur pro Platoaicis, qp fi dantur vaiucr(alia inc(Tendo,-debeanc »oni f(eparata à fingularibus; (cientia dect c(fe deobic&ko immutabili, incorru« pobilisac eterno, fed vniuerfalia adrittuntur, vt Vera de cebus habeatur fcientia, crgo hzc (tati debent immutabilia, perpetua, et ecrna, fed (i ponerentur in Gngularibus, no cfient haiufmodi,quia ad corruptionem illorum interirent,ergo debent pon: abillis (eparata. Tum 2.: nullus exifteret homo tn particulari ; adhuc daretur. fcientia de homine in communi;vcerum «n; e(fet dicere hominé effe animal rationale,&c.ergo datur homo ia communi, «c quo id vere affirmari pàt . Tum 3. cífentiz rerü (ünt eternz, cum femper vcrum fir dicere hominem cffe animalratiooale, fed non funt zternz.in fuis (ingulatibus, crgo extrà illa, Tum 4. fimile deber gencrar1à (imili,at videmus multa à caulis particularibus diflimili'bus generari, ergo dcbet dari aliqua caufa vniver(alis, quz (uam fimilitudiné re» bus genitis imprimat. Tum 5; finon daretur vninerfale feparatam, tunc intelle&us filleretur cognofcendo. vniuer(ale non cognitis fingularibus, quia cogaofceret e&trà illa, cü tamen lit intca « ['um dcemá (i vniaerfale e(let in-fingulariy ipsi quoque.teddeter vniuerlale,Gicat albedo exiftens in homine ipíum reddit albuar, 17 Rclj. nócffe de róneobic&i (cien tiz, quod tit neceffarium, et immutabile quoad exiltentiam, fed tátum quoad cóncxionem predicati cum fabiccto,quod eft dicere ad fcientiam requiri ncceffitatem complexam, et propofitionis, non ; veró incomplexam, X terminoruin, vt : docct Do&or 1. d.3.q. 4. I. et k. -Ad ie ncg. conícq. quia ad vcritatem propofiriis ieu nó. gin extrema fupponant pro aliquo c& tc; fed (uflicit, quod (apponant pro aliquo íneíle. cognito, et quod iungantgt adinuicem, qua .n.. extrema talium füppolitionurm componuntur adinuicem,propotitioncs cóftitutz exi pfis fact fémper vct y » i 4  368 Conformitas a&us intellizendi, (cà pro(itionis menralis ad rea1 cognitam, ità atar. q.vlt.przdic.art.2. dub.3. ex Scoto t | cciher. q.8. et fufius 1.d. 36. q.vn. Ad 5 cil-ntiz reram dici folent zternz, non fimpliciter, et incemplexé, quia et ipf corcampuntur ad fingularium corruptionem, vt notat Do&tór 3. d. 22.q. vn.G (ed sm quid, et cóplexé, quatenus propofitiones zternz: vcritatis de iplis etformamus,dum eis có:ungimus propr!a prz dicata; dicuntur etiam zternz,vt notat Do&or cit.quatenus non fünt proximé corruptbilcs, ignis .n. non cít in potentia propinqua ad corruptionem, nifi fit in effeexilleniz. Ad 4. non cít ne. cefTaría femper fimilitudo formalis, et vniuoca inter caufam,& cffe&ü ;fed multotics fufficit virtualis, vt generatim patet in caufis zquiuocis ; et talum in effe' &ibus vniuocis locü habere nequit vniuer falc Platonicum. Ad $. intellectus nó fallitur quia dum cófidcrat natutá non confüderatis indiuidais, proprie non diuidit, aut feparat naturam ab illis,quia non cótemplatur naturam (ine illis,fed confidefatiuum mon confiderando aliud,quod eft praícindcre, et abttrahere, abítrahentiü veró non e(t mendacium z. Phyf. 12. Ad vlt. negatur fequela, quia nauxra cít in fingularibus, vt (fuperius in infetiori,non vt accidens in fübie&to, et communitas conuenit naturz vt fopponit Gimpliciter y Aon aucem períonalitet . :ARTICVLVS Refolutio quafiti de Vniuer[ali m -o. predicando.  | Icendum cft Vniuer(ile in przdicando;quod folum proprie ett sniüerfalc, non dart dein dtantü  cóclaper operationem inte HE conibinis p ità manifefte do euit Scotus, vt immerito pror(us.cicetur "in oppofitum, quamuis 0.2. d.3. q. 1. et "fcq. tribuat natürz à parte rci quandam. d enitarem seed ane namcraált, quádam aptitudinem ad e(fendutn in mu «is diiun&tum, ibi tamen aperté fe declatat hoc son (uflicere ad rationem vni i Difput. IV. De Vuiuer[alibus in Communi. uerfalis in a&u, vndé (üb I. fic loquitur ; efl ergo in re commune, quod non ef de fe boc, fed tale commune non efl vniuerfale in atiu, cuius di&i rationem reddit ibidem ; imo $. 4d questionem diee docct naturam de (c, nec effe vniuerfalé, neque particularem, fed ad vtram jue indiflcrétem, et in fiue quztt.ait, quód có. munitas conucnit natutz ex fe, nó tamen vniuerfalitas, et ideó quarenda c(t caia vniucrfalitatis, non tamcn quzrenda eft cau(a cemmunr:tatis alia ab ip(a natura, et 1.d.233 q. vn. verfus finem iuit vniuec(alitavem non conuenire homini, ni (i per a&um incelle&us operantis,& negotiantis, et 1, Met. q.6. n. 6. irem 7. Met. q.13. n.19. fic loquitur. fmtelligendum quód vniuer[ale completum eft,quod e, im pluribus, C de pluribus,non a&fu,Jed potentia propinqua, tale mb;l efl uifi ex con[ideratione intelleBfus, ic ctiam loquuntur eius Difcipuli circa eadem loca,vnde To. et. q.9. efto voiuer(ale Metaphyficé fumptum ponat à patte rci, vt fundamentum vniverfalitatis Logicz, ipfam tamen vniuer(;le Lozis cum, inquit, e(se tantum n intellectu, et nullo modo extra intellc&um ; «e mente igitur Scoti, et Scotift acum nullus renianet ambigzndi locus. ! 19 Probatar. itaque conclofio au&otitateyArift.loquens 1.de anim,tex 8.de vniueríali logico, ait ; aut nihil efie in rebus,au: potterius eílc, quía nimirum ope rc intellectus fit pec abttractioncm ab Cis; et Auctrocs ipfe dixitibidem intcllectam ficere vniuerfalitatem in rcbus, cft ihilop. 1. Poít.c. 20. dicentis vniucrfale in (ola intell:gntia habere else, et omnium deniquc Gi scorum, et Latinorum. Ratioà priori buius conclufioniscít, quam Scotus adducit 2.d.5. q. t. H. vniuer(ale in acti illad cft, quod habet vnitatem indiffecrentem, fecundum quam ipfum idem c& in potentia proximayvt dicatur de quolibet (uppofito pra» icatione dicente,hoc e(t hoc, quia vniaerfale 1,Pott. 25. eft,juod eft vnam in. maltis, et dc multis, (cd nihil (ecuüdum quamlibet vnitatem in re cil talc. quod iecundum ipfam vnitarem piacifamn fit m F3. 2 dr "A "ü.  :|Qua[L.I. en detur Vaiutrf. et partevei.drt.IT. $69 in potentia MN adialé predicatiopé ergo malla natura à patte rci dici pót vmuetíalis proprié, et in rigore ; Prob. tnin. quiá licét alicui cxiftéti in re nó rcpugnet efse inalia (ingularitate ab illa, in qua eft, nontamen illud veré dici potett dc quolibet inferiori,q» quodlibet fit ipsü,quia ctu nó reperitur, nifi in vno indiuiduo, et à patte rei nó conftituit, ni(i illud,quare de illo folo poterit affirmari. a0 Proinelligentia huius ronis notádum cít quód in Schola fubtilium duplex diftiogui folet cómunitas,(cu indiffcrentia, aut apt tudo natare ad císendum;n multis (quz. diftin&io eftoà quibufdam Scotiítisfoleat pauló aliter. explicari, à mobis tamcn éxplicabitur magis ad phrafii Do&oris cir.d.3. q» 1. vbiilam infinuauit) altera pofitiua, altcra priuatuua, vcl ncgatiua;pofitiua eft illa; fecundü quá matura concipitur in fc indiuifa, et abom ibus differentijs indiuidualibus abftca&aaqualitcr omnes re(picicns, qaa róne appcliati ctiam folet indifferentia, feu indctereinatio contrariasquate nus pofitiué con fariacir derermmationi: aCtuali per d. rlercGam,& cam penitus excladit fi cnin illam fecum admitteret, iam non elset a» omnibus (ingulacibus abftra&a, ncc e jualiter omnia. refpiceret 5 priuatiua ve o.fcu negata e(t illa indifferent, quam adhic natura in (e retinet, quando conttscta elt, quia,n. adhuc contracta» diltiagurcor Éormalitec à differentia ; per quaqi coniushicur, hincreener quandam non repugnantiam c: fua ratione tocma]i proccdentem, vt poffit else quantum clt de res(ub alia üngalatitate ab ea, in qua eít,& dicitur prinaciua, vel negatiua, quía €um fimili indifferentia naturz ftat extrinfcca determinatio eiuídem per ali'quam d.ffcrentiam indiuidualem .. Quiz inctio ab alijs adhuc facilius tradi. tüuríub nomine apticudinis, quód duplex fit aptitudo natura ad eísendua in mul"tis vna proxima, altera remota, proxima 'eft potentia li bera, et expedita, remota €(t potentia impedita, propter quod iim-pedimentum rcduci nequit ad actum, ticutmateria fecundum fe dicit potentiam proximam recipiendi formas quasli difiunctim, itavt hibeat (i mulcitem potenti, non potentiam ümulzaus,fed affc&a aliqua forma eft in potencia remotà ad recipiendam alteram. : 11 Rur(us not. eft, vcfüprainfingautmus,rationem formalem vniuerfalis comfiftere in duobus.(. in vnitatey et có nunjcabilitate. i. t actu, vel faltim aptitudinc pluribus infitngm vtramque explicat A« tilt.dchiniens vniuerfale vmum ia multis, et quidem id intelligendum elt de cGindt« nitate pofitiua,& aptitudine proxima;ita vt ex aquo omnia inferiora refpiciat  et non magis vaum;quaa aliud; (ed natura non poteft ita (c habere à parte rei, d tantum per incelle&um illam przícindé. tcm á differcua indiuidual:, (ub qua adw reperitur; Frobatur hoc, quia à parce rei in vno tantum iudiuiduo reperitur vna, et in muitis multiplex, et ab vna differctia determinata, ac proinde extrinfécé im pedica,vt omniainferiora ex equo refpiciat ; et omnibus difiun&im commu . «ari pof[it, vadc à parte rei non eft indiffcrens, uj(i negatiue, pet intelledtum autem aufertur huiufmodi impedimentum, -dum przícioditur à diffcicritia indiuidaali, et redditur communis pofitiué, dü concipitur pluribus actu communicata s vel faltimcommunicabilis,vt magis mo patebit, ergo (olum per inceile&um eíficitur proprie vniueríalis . Y Inopyolitum argaitur, quód natura cóis fit proprie vniuerfalisà parte rci,ná habet de fe propriá vnitatem formalem minoré vnttate numcrali, item de fe habet quód fit pluribus comu: icabilis, quae duo fufficiüc ad confticaendg vniuerfalc. Tam 2. natura vmuerialis eit obic ctü intellc&us, vnde (cicntia dicitur efse de vnueríalibus, tcd obic&tü prz cedi actü Áuz potétiz,ergo &c, T 3.malta atttje buta tcalia de natucis. enunciancur, quae tenus vniuct(alcs fant, quod ncinpé obicéta fcicntíarum,de iE biliayergo à patterci (onc talcs » Tü 4« pót vnias naturz. vaiucrfalis attendi ex. vnitate ceptus mentis, tunc .n. feque" returquód iultipl;catis numcro, conce. Neh aid human in pluribus sncellg Gibus,plurcs quoq;císét nagura: VIRANR 570 miuer(ales, ergo dcbet attendi ex parte tei. Tum demum à patte rei datur lingulare ina&u ; ergo et vniucrfale in (quia relatina funt fimul natura . 21 Refp.efló natura habeat à parte "fei vnitatem formalé, et communitatem 'ncgatinà, hec tamco non fufficit ad vni"weirlalitatem proprie dictam, fed debet cffc communitas pofitiua, vt nimirü a&u fit in multis ; velfaltimin potentia proxi$a ad fic effendum,imó non tantü maior 'cómunitas, ed etiam maior vuitas requiitor ad vniuerfale, quam habeat natura a rte rei,vt conftabit ex dicendis. Ad 2. Lares vniüetfalis materialiter, et re'moté ob (uam indifferentiam 'negatiuam 'eft obie&um intellc&us, vt notat Doct. €it.2.d.5-q. 1.9. 4d qua[Tionem, vo aüt wt vniuer(alisformaliter, Inftabit Scot. t. l.3-.6. $. Contra iflam opinionem, do"ere vniver(alitatem formalé efie faliim conditionem obie&ti intelligiblis, fed Obic&tum przcedit adum sm coodition uz requiritur ad rat ioné obic&i, ergo &c. Relp. et ibi Do&oré loqui de wüiuerfalitate materiali;& remota, vt adwertunt Vigerius,& Licher. quód (i conzendatur loqui de formali, dicemus non efie códitionem prarequifitam, fed tantü concomitantem actum intelle&us. Ad 5. patet peridem, illa nam; ; attributa enü Ciantur dc naturis, quatenus vniuerfales funt materialiter, et remoté quia nimirü on pendent ex condirionibus indiuiduá tibus;(ed à ratione formali naturz, Ad 4. verum eft ynitatem vniuerfalis przíertim attendi debere ex vnitate formali, q libet natura à parte rei, in;qua fundatur, «amé adhuc cócedendum eft naturàá vni| ab a&u cognitionis fufcipere ger cxtrinfecam denominationé vnitacé numeralem obic&i,vt notat Do&. a.d. 5. 4.1. H.quacenasett ynum de numero intelligibilium . Hinc tamen nó fequitur e(. fe dinería numero yniuer(alia, quia concretum n prefertim Diei multiplieatur ex multiplicatione formarum, quádo e(t idem tubieétü ex di&is difp.z. 1e at in cafu,natuta quz cft (ubicintentionis vniueríalitacis, eft fempet vna fua vnitatc; formali. Ad vlc. tam 4. "Difjut. 1I. De Vuiutr[alibus in Communi . fingulare, quam vniuer(ale fami poffunt formaliter, et materialiter, ni nirum pro intentionibus fupcrioritaus, et inferioritatis, et pro rebus fubítratis illis intétionibus, vniformiter lumpta funt relatiua, et fimul natura ; materialiter enim (umpta ambo füntà parte rei, formaliter verà folum per imelle&um przdicantem, et (ubijcientem illa inuicem. 23 Sccüdo arguiturad idem. T ü quia przdicamenta funt entia realia, et extra animam, (ed in ipfis continentur naturz vniuerfales, ergo &c, Tum 2. Conftans cx materia, et forma cft ens reale, comfitam naturale ctiam in vniucrfali cft uiufmodi, ergo &c. Tum 5. vniuerfale cadit fub fenía, vt cius obie&um, ex 1. Pott. in finc, cfto .n. (enfitiua potentia non attingat naturam, ni(i füb fingularitatc, non tamen fingularitatem attingit, vt docet DoGor dift.& q.cit.füb C. (zpé etiam apprehenditor res diftans (inc cognitione differentig contrahentis,' vc cum cernimus aliquod cffe animal, fed nó cogno(cimus fpecie, vcl effe hominé, et non cognoícimus indiuiduum, crgo &c. Tum 4. et cft argumentum DoGoris ibidem,à parte rci non fol datur. diuerfitas numcralis, fed etiam fpecifica, et generiCa, crgo et à parte rei dari deben: vnitas fpecifica, et generica, quz funt vniuecfales, patet Confeq. quia vnum, et multa, idem, et diuerfum fant oppofita 10. Met. toties autem dicitur vnum oppofitorü, quoties et reliquum ex 1. Topic. Tum 5. intelle&us concipit naturam vniuerfale, ergo talis eft à parte rci ; quia ipfe nona mutat realiter obiectum, nec veré pó: illi tribuerequod à parte rei non conuenit. Refj.przdicamenta efe entia realia. ion racione vniuerfalitatis,fed rone natutz qua: denominatur vniuer(alis, quorum contemplatio, vt fic,(pe&at ad Metaph. efto quatenus vniuer(alia ad logicü pertineant. Ad 2 compofitum naturale in : niucrfali con(tat ex materia,& forma obic/&iu&,& veluti in effc (ignato, non aucem realiterj& exercité, Ad 3.rc(pectü fenfus licét fingularitas non lit ratio mouédi, ctt (altim conditio moucnus, itaut q» fentitur, femper fingularc ett, vt in i"  BBÓ "RENE A onpnnn& Quafi I.e Mn detur Vuinerf. à parte vei. ei drt.IT. de Anim. fic etià quod à longe vidctur, séper cft aliquod fingulare,vt docet Scot. 4:d.S.q. 1. Has omnes conclufiones, quam uis confuse, et indiftin&e ; conftac enim femper. attingi füb conditionibus indiuiduantibus temporis, et loci, vt animal, vcl hoiníné hic, et nunc ambulanté, Ad 4. probat folum dari à parte rei vnitatem genericam, et (pecificam fündamen. taliter, et ad hoc inducitur à Dot. loc. €it. non autem formalitet, quia fic przÍfeferunt. fecundas intentiones, mcritó quarum funt vniueríales. Ad vlc. neg, confeq. quamuis.n, iniclledtus nó mutet: realiter obicétü, immutat t obiectiué, nec prOptercà (alsü dicit,quia licét atcributü vniuerfalitatis nó cóueniat náturz d. patte rci formaliter, et actualiter, coauenit tamcn füandamenraliter, et virtualiter y quod fufficit ad faláitatem tollendam .,.44 Tertio adliuc fortius atguicur ad idem., natura cominunis e(t à parte reí yaa.,& cadem in omnibus fingularibus intrinfece, et (olum extrin(ecé multipli. cata pet differentias contractiuas, ergo. veré € (t vniuer(alis à parce ret. C, patet, quia vt dicebamus art. praeced. adnaturam comuriem vnà in omnibus per intexiftétiam vaitate ill formaliqua eft minor numeralt,ceaemur quoque à parte rei admittere: vniuerfale in actu ; affumptua veró fusé probatur ab Auctoribus, qui vnitatem formalem natürz non multiplicanz im interioribus ad multi plicationum vn«tatis numeralis, fed protíus ponunt candem ;& fundamentum tro, et Paulo, cavet diuifione formali, et ellen: ial, ergo à partc rei, vt eft in pluribus, eit Formalirer vna,& confequenter vnitas formalis natara: humanz cft vaa in Onmn/bus, nec multiplicatur ad multipli€ationem enticatis namcralis, Confeq. patet ; quia vnitas cíl carentia diuifionis $-Met.1 1. et quz diuifione carent, eo modo (ant viai y quo caremc diuidtione . Frob.amec.quia ie cus,& l'aulus nó diffccum in nacura; et effentia, et 1n ratione h»minis noo (ua plura à parte rciquia (i Petrus noa etl'et cilencialitee vnam cuim Paulo à pacte tei nqn magis differret à 371 Paulo,quà à Brunello. Imó vnitas formaz lis natura: ex hoc capite dicitur mínor nu« merali,quia bec reperitur tantum in vno, illa vero in pluribus,& ef quedam vnitas communis importrans indiui(ionem par pipvs, se formalia, et effentialia . 15 Refp.(olutionem hnius difficultatis prolixam petere difpurationem ia-Me«taph. differeridam, pro nunc dicimus,ens dupliciter accipi, primó formaliter, feu; riomínaliter, et tignificat effentiam,(ecü dà materialitct y (cu participialiters.& fi«. guificat cxiftenuá, X quidem primo ma« do abftrahit si (e ab omnibus códitionia: bus indiuiduantibus, alio modo cócernitomries; cum etgo dicitur vnam, et eandé nacuram, fca entitatem cómunem elfe in. ouinibus inliuiduiseiufdem fpeciei ; nom e(t incclligendü de entitate in (ecio fen« fa, fic .n.nolla pror(us entitas, que cft im Petro à parte rci, repetitur in Paglo,ome. nia enim funt realiter, ac entitatiué diaí«. faat in priaio fen(a entitas cómunis,quae cít in Petro;etiá in Paulo tepetitur, quia: vna formaliter cft vcriulque etfntia, quia. entita$,vt dicit efTentiamsnullam dicit determinationemsnec loci, nec céporis, nec. indiuiduationis; vnde fallantur imagimas tione ecc A rie hzc feratur ad. entrate fing Mes, es pattículà. aliquam iategez entitacis Petri eife eciam in Paulo ; concludimus ergo naturam nG habere fuam vnitatem formalé adaquaté in omnibus indiuiduis à parte rei;quali (it cadé entitas participialicer in omnibus s fed in hoc feufa in quolibet indiuiduo cit vnitas formalis ftam confequens nata ram diftin&a ab vnitate v'merali eiufd&. indiuidui, et ab vnitate formali naturz al« terius indiuidui ; et licet multiplicezur cis vaitate numeral; adhuc tame dicitur minor ea, quia quantü cít dc fc pote e(fe io alto indiuiduo ob intrinfccá eiuscom münitatem, vnde dici poceft ftare cum multitudine numerali  (altim aptitudimas liter. Bene tamen "€ dum pe intcllectum natura; quz eft in omnis à parte rei loló per rodifferéciamy ca« Cip&ur ctiam vna in omnibus pcr jnexiflentiam (quo actu fit vmacrfalis,vt infra dicemus) tune ejus vnitas dicitur minor nume$7»  DifpIV. De P'oiutrfalibus in Communi . femerali,quia aGu ftat cum multitudine mumcrali,vcrum hzc vnitas nó eft realis, fed rationis, et dicitur vn.tas vniuer(alis, 26 In fine huiusart.aducr endum eft Pafqualig.to.2.fuz Met. diíp.18. fect.5. hanc candem tencre fententiam. de vniuer(ali in przdicando ad menté Doctoris vb: füptay& c us verba refert;ac poderat. Weram in duobus erraz, primo in hoc, quód vniucrfale ip przdicádo putat effe vniucríale Metaphylicum ; vnde confe«ucnter etiam errat ^n alio, quia quod Scouusibi docuit de vniucrfali in przdicando, putat docuilfe de Metaphyfico, qnia hoc cum illo confundit ;hinc polteà ad métem Do&toris ibidem poni du;'lcx  wniuer(alc,alcerum Phyficum;alterü Me. taphyficum, per illud intelligens naturam à parte rei in ftatu rcalis e«iibencia: complicatam cü differentijs indiaiduantibas, per iltud candem naturam in ftatu prz£ilionis obic&iuz, quando nimirum per antelle&um exuitur differétijs indiuiduà tibüs, quod fubinde ait efie vniuer(ale in a&u, et císe przdicabile de pluribus in potentia proxima . Hic loquendi admittendus non cíl;quia vniuerfale Mezaphy(icumnon cít vniucrfale in a&u, et formaliter, fcd in potentia tant (i, et füa«lamentaliter ; et hoepedum in Schola 5 Subiilium, vt videre eft apud Parifiéfcs ; "Irombci.7. M ct.9,8. et 9. fed ctiam in la Thomi(larum, vt teftantur Compluc.dif p. 5. L0g.q.6. ip fiae; vbi aiunt aliacrloqui Mieibad terminis, et quidem velie yniucrfali mactaphy(ico. praedicabiWiatem tribucre, cit-prorfus wrationabile, et contra cómunem loquendi modá, süm quia apud emnes wniacrfale logicü E ocium Rise cft cotum poreatiuum dius libik ip plures partes fubic. s&iuas,de quibuscít pradicabile,vniuetfalc vetó-metaphy(icü vt fatczus Pafqual. m. 4. porius habet rationem partis pocenuialis per differentia contrahibilisad conskiwuendiun totü ge ei metaphy(cós tumquia práficari cft proprium Lecundarum incCuonum,ac proinde artinet ad saiuer(ale jogicum;aon meta P iegn E IN eq. Scotus 2-d-3-q.1 ando fub LL ait Auct ale jn acta ic jd» quod eft jn jotentia proxima ad przdicari de pluribus s: loquitur de vniuerfali metaphytico, (ed logico; fuperius .n. fub E. de illo verbaua fecerat quando dixit naturam de (e nec vniuerfalem effe acu, nec parcicularem et licét realiter nunquam (it finc aliquo ittorum, nó tamen e(t de (c aliquod ittorü,(ed eft prius naturaliter omnibus iftis et (ecundü iftam prioritatem naturalem c(t quodquidet, Kk pet fe obie&kü intelleétus,& per fe vt fic confideraturà Mctaphyfico; ita Do&or,quibus verbis aper té lignificat vniacr(ale metaphyücü effe naturam fecundü fe con(iderata, vt praefciodi ;à fmgularitate, et vniucc(alitate actuali : non ergo (ecandum Do&orem vniuer(ale metaphy(icum eft vniucr(ale in a€tu, (ed tantum :n potentia... 27 Quantum veró ad illam di(tin&ioné, quam ait cffe de mente Doctoris, de vniueríali phyiico, et metaphytico, vt illud; coftituat vniuer(ale in potentia, hoc in actu ; verum cft quamplures hanc mittere diftin&ionem, vt cfl videre apud Suarez difp.7. (cók.8. n. 3. per vmuer(ale PEIUS ac gentes nacuram, dum in elfe realiscxi(tentiz cotracta manet per differéciam indiaidualem, per metapbyficum eandem naturam, quando cí(Là có» ditionibus indiuiduáribus per ab(tractioneat intellc&irs omninó immunis; «ous, cipiturque folü in ordinc ad fua pra: licae ta cífenualia, in qao ftatu przcitionis dicebat Auicen. à Dotore relatus, quod equinitas efl tantum equimitas, (cd vlterius addant vniuerfale losicü, per quod: intelligant eandem natara aff-Cbam (ccit-da intcotione vaiuer(alitaus, per quam ad inferiora tefertur in ratione fuperioris, &praicabilis ; et quidem rauoaabiliter confideracur natura 1n hoc teruo ftata,, quia ;níecundo (tato re vera non. habct rationem vniuer(alisim a&u, fcü prdicabilis, quia tuac vel con(ideratur vt pars. metaphy (ica poxenzialis.per differenitam, coatrahibilis, et lic pon rationcm yniucríalis,quia non refpicit differentia s. vt inferius,de quo pradacari poffiz;vcl in. illo (katu-concipitas vt qnoddam.totam actualca. in ocdine tantum ad ca atcributà, qug aC Contiikt, non vero. inordi« /£ LL NE |i P Buff T. ei den Vaiuerfpárte relié dei. 393,n Lb Hia ; Xo de eR» quodin fecundo flatu eft in pocenria rs LI 28, ad infericra, que cátinerin potentia, ^pa ie s natura gon vt fübijcibilis, quam vt przd cabilis; ergo nec Maro eididos cft tertius ftacus, vt fiat vniueríalis in a&u; bene vcrü proximaad recipiendam relationem vaiuerfalitatis,quia tunc intellieitur potit:ué jndiffcrens ad multa, ficuc in primo ftatui Quando eft contracta per fingularita(1€m, dicitur in potentja remóta, quia non   hibet indifferentiams ad multa,niti priua. giuiá, hinc eft, noftrates pa(fim, vt tít videre apud Trombet.cít.q.9. noa(fignant,ni(i vniuerfale logicum; quod eft in a&u, et metaphylficü, quod cft in potentia, et fondamentumillius, quod rur fos dupliciter accipi poteft, vel pro fündamento remoro ; et eft natura ipfa per differentiam contracta, vel pro propinquo, et immediato, et eft ipfa natura per intelle&tum abflracta à conditionibus in«diuiduantibus; et lic modus loquendi eft "magis cófentaneus, quia per vniuer(ale, fcü genos phyficum confueuit (ignificari matcría prima iuxtà cómuncm cxpofitioré jlliusd &i Aci. 10. Met. 16.corroptibile,& incorruptibile differüc ied genere,vt refert | oor 4.d je. q.10. M. ad animadacrfione digoum iudicauimus, nevárictas Auctorum in modo loquendi de Vniuet(ali confutionem paretct « Ss In quo conjifiat effentia. Vninerfa1$ Logici . Ommunis fententia. eft, effentià Vniueríalis Logic: inrelauione €onlitlere, et per refpcctumrarion:$ naturz comunis ad inferiora conttitui non defucre tamen, qui nature vniuerfalitaré in ratione abíoluta conttitüiebant, vndé Suarez difj.6.Mec.(e&t.6.n.2.rcfertopinionemquorandams fferenuumpaturàfierivni uerfaleuina&upet.operationédire&am intellectuspoftibilisquacognoícitnaturà communemfecundü(uàpraci(amrationéformalem, &etlenciaynihilde inferioribusrónibus, veldeindruiduisconlidctando ; ncque cciá formali« tcr; et quali in a&u fignato conidcrando coitarem ipfius nature, quia hzc ci conuenit in lecundo modo dicendi pet fe ^5, fed folam cífentiam, quz communis cít, quam fententiá deiodé etiam ipfe Suarez €x patte approbat n 8. Conimb.q. art, 3: et amplectitur Tolet. 4. 1. vniuer(, 3c videtur fuifTe Durand. r.d.5. p.a. q.$. et in 2.d.3. q.7.. Quamuis aucem cómunis D.D.vt dicebamus,conttituat formal;tátea vniuerfalis in acu in relpe&a rationis ad inferiora, quia tamen duplex comftitui poteft refpectus racionis in natura vet(us interiora, nimirum, vcl ad etlendü inillis, vel ad przdicandum de iliis dubii eft, quifnam iftorilcoultituat cílentiam vniuetfalis,cui dubio cca (ionem dcdere plares definitiones vni ter(alis, quas a (Tiguauit Arift. modó definiens illad pee efie iny vc 7. Mer. 44. modo per drei 4e, vt t.dc Ioterpt. c. $. modó per ytrumqs vt 1. Poft. 25. vbi inquit cífe »num im multis, e de multis; quapropter D. D. diuifi (unt, alij dicentes, quod ratio vni uerfalis conliftat in effe tm i dici de (it tlio,qoz lententia frequens e(tIn Scho fa Thoi ft. aljjé contra, quod dici de fit definitio, et effe in fit paio, qua apud Scoriftas ccceptitlima e(t, vt eft vidcre apud Expofitores fuper q.6.vn:uerf. Mautitium, Anglic. Bra(a:0l.& aliosefto DoGor ibi expre(lis verbis fein hac re problematicum oftendar. Auctores vcrà vtríufq; fencentiz adbuc inter fe diuifi funt, quidam .n. fentiunc císentiam vniaeríalis contiflece in ene inyvel dici de, vt importaar aptitudinem, et non adtü; alij € contra, vt important actum, et non aptitud:nem,cui etíam dubio anfam pribuit Anfl.ipfe, qüi in prafacs: dcfimicignibus modó víus c(t nomine actus, vc f. Poft.2 ;. modó aputudiois, vt alijs duo 'busin locis, quarc ad plenam elfeaiz Vmuertalis nouiciam tria puncta examiade re debemus, an eius efsenua (it abfoluta, vel rclatiua ; contiituto ; quod ficrclaciua,in quouam re(pcéta confi ILacex prae dictis; et an pon: debeat actualis vcl (ufficiat apatudinalis, ^^ 7770 tara Weg o50V . GTWIE A RKo ap ceixd kia É . üt hp. LABS B n ($74 Wuiuer[ale Logieum intrinfecà quid ", relatiuum effe. la ]cimus Vniuerfale Logicü forE D maliter cóftitui edes, cec fatioms nature comunis velut fuperioris, ad infcriora, et fübijcibilia. Conclufio cít communis, fcd przferrim Scoti, et Scotiftacü locis omnib. cit. deduciturg; ex ipía definitione vn uer(al's, quod ctt yuua in multis. demmultis,per boc.n. datur intclligi fceundam intcéconem vni. ueifalitatis e(Te «elationem rationis ad amulta; quod amplius declaratur, quia o ad coní(Liturionem vniuer(alis duo neceffario interueniunt, vnitas,& comunitas, fcu ind.ffcrcntia, et apritudo ad pluca, mon qu li/cunque fed. indifferentia po(itiu2, et apiitudo prox«ma, et expedita, vc. di&um eft q. praeced. ar. 2. et rà cft, quia fi natura non cft aliquo modo vna, fcd prorfus multiplex, 1am erit multitudo, -fcu colle&io mu!rocü, et non vniuctfalc ; "fi non fit cómun:cata vel comunicabilis pluribus, 'am erit fi e, et non vni. ucr(ale, ergo vniueclicas in natura vniucrfalizata ponit neceffatió hanc ordiné ad plura, quo apta conftituacur ad cfjendam inillis, ac j pats er de illis. Cófirm. ecol o; i sm aede con. nenit e(le przdicabile de pluribus, vel vt «tius formale eontlitatinü, vel vt propría patfio iuxta diuertitatem opinionum ; fi yiam habetur intentam,g erit cfÁentialiter rclatiuum, quia rzdicabil;tas dicit ordinabilitaté v ntucríalis ad plura ; fi fccundum, adhuc habetur intentü, quia talispafTio non poceft fluere à natura, vc &f à patte rci, quia nulla paturaá parte ICi,vt: voa, idis cát in pluribus, aut Ale potefi in. pluribus ob umpedimentü extrinfecü diflsiuie ^o0pDES, ncds d natura vt abflracta a fi ritate,quia fto vt fic fic «na » tam vt fic przfcindic potius à tingular à ca concernat, €rgo oririnop potcft, ni(i abvnitare naturz cum otdine ad efTendü in pluribus. Demum vniucr(ale Logicü in hoc ditfcre à Mera; hyüco, quod illudcft vnum in loe vero vnum excra mulca, quaDifpu. 1... De Vuiwer [alibus im Communi. tenus ab illis abfteahit, neqae illa cox nit,nil vt cciam » à quo, ergo cftà c(femia vniuerfalis Mcra phytici (La:ai poffit abfoluta finc vlio ord:nc ad interiora iuxtà,/lLid Auicen. eq4/225. ejl (atum €q «4:25, ctlenaa camen vniuer(a..s Lo: ui" gici poni. debet clariua, E uA 3o Sed vt magis digno(c itur hec fecunda intentio vntucríalitaris c 5(id ran.. da cft, ac inucitiganda 13 n tuc i cÓmuni ratio proxima fuadandi ipfii, at DoGor, vbi (üpra rationem proxiaam funs dandi el vnitatem natucz, non il!à tcalem,quam hibet nauuca à. parte cei, Ratio eft, quia (ola vaias formalis, quam hibet natu a in rei in ungulis indiAiduis,non fufficit ad vaiucr(alitate.n,nà illa mulaphicatur in iofecioribus, q» vais. tati vniucr(slirepugnac; tü quia (ub ifta debet inferiora vairituxta illud Porphir, participatione fpeciei plure$ bomines Junt. vnus bomo, tum quia fi vaitas vui uer(alis maultiplicarewur in inferioribus, .vc formalis, plane tot confticuenda cífent genera quot fant fpecies, et tor (pecies y quot indiuidua, quia vnitas generica 0 multiplicaretur inlingulis (peciebus, S   fpecifica in ingulisindiuiduis; maiorere go vnitasaffignari dcbet. pro fundamento proxuno vniuerfaliaris, et maioritas «ontiflit in hoc ; quod inhoc flatu pra ci^ fionis obicétio foncibie natura habere vaitatemiodifferenté potitiué,vbi à parte rct,mgnniti ncgatmé crar indiffcrens; imó dum fit vmuerfalisconcipitur ehabere talein indifferentiàh potitiuam,  vt poffit effe ab(jueimpediméto in omnibus, et hngulisiofcrioribus, non tam ü di(iunctanfcd fimul,X coniunctim, quia de ratione vniueríalis eft, vc fic etiam de fuis infcrtoribus poflit przdicart, vt do«ct Scot,loc.cic et adhuc magis expreísé in 4.d.45.-2. F. ex quo fit pottea, vt qf concipitur natura vütuerfalis atu in fuis infcrioribus, concipiatur in eis vna per incxiltenuam quamuis .n. zalis vnitas ree pugne: naturg,vt cxillic à par:e rci in line gulribus, vt dicebamus q. praeccd.art. T (ono tamen illi repugnat, vc concipitur ird eis pet intellectum per | vniucr» falis. Addit preterea. Doctor de"T€ càbile inferioribus p 1 i is, eft fecundi ipfam 1e omni finga chet; 2.4.5. 4. $. 10i fed contra iflud,' | et fequitur dur erehtlten iei . quod (aperiüs innuimus q.1; arr. 2. vni Ahuef.1T. De effentia VuiuesfLoin. T. satem numcralém obie&iuam, feu ín rone [i Were naturam woiucrfalem habcre vni.. ebie&ti intelle&i;non quafi ip(a natura in fc it na numero, quia lioc ei repugnat, juatenus voiuer(alis, fed in hoc feníü, q» cut conceptus formalis hominis, vt fic, eft vnus numero, ità obiectu eigsin ratione obiecti vnum numero dici pàc per lenominatione extrinfecam à conceptu. entis, quia vt fic cum tota füa commaaiite vnum de numero intelligibilia, et curi tali numerica vnitate eft comuniiotibus: per cOtra&ionem ralari eft pradicabile pradicatione dicen-" te hoc et hoc, quod opumé' declarat LtLnumir2. 31 Exhis patet,quomodo verum fito tem,& indifferentiam requifitàm'ad vni: oérfalitacem cffe maiorem vitate, et in" t . idet nati à " L. ch qui A let natüra d parte itas quam haber à parte rei, eft vnitas pet indifferentiamsqug non flat cit multitudine namerali a&uali, quia multiplicatur'in indiaiduis (ecandü propriam : caiufque naturam; vnitas verós ha-: etper intelie&tum, quando vuiüerfali-zatut; eft perinexiftentiam; ita quod eius vniras ftat cum multitudine numerali in' díüiduorum; co quía vna per inexiltentia: concipitur io omnibus, et fingulis. In' differentia quoque;fcu aptitudo ad efsédum in pluribus maior cft;quado fit vniucríayquam libeat à párte er den parte rei cft indiffereotia tiu2,& aptitürdo remota ad cílendü in phüribus difiunCtimyat fub vniucrfalitace eov! indi£ferens politiué, et proxiinéapta ad e(fendüin fnultis, nedum ditiunctinr, fed etiam fimul; et coniunctim, ex quo rurfüs paret tám vnitatem quàm aptitudi nem re jurfitas ad ynittérfolitatém non cile rcales, fcd'rónis;cá tales non hibeát à parte tei., Hi fátficor Suarez cit. dim ait vnita« tem vnidecalis logict conGiflere irindiuilione alicuius naturzzin plures nacuras fimileslub.codém nomine, et raone c a, titudine, vt in eas diuidatur ; et hac de caula,inquit)nó effe vnitaterffrcalem,fed ] ration; $ ; quía talis indiui(io n6 competit naturz in ftatu realis exiftenciz ; vbi per varias indiuiduales differétius diuifa maner, fed folum im ftatü pra'ei fionis obie«" &iuz; et vt l'übflat conceptibus mentis y. loc.n. modo óthnes homines im ratiotie fpeciei dicitur vnus homo, quía in conceptu hominis, vt fic,non diuiduntur; fi&a. verà diuifione, feu contra&ione vniücre falis ctiam per intelfe&tum, ftatim eius veh »quia iamdiu: drar in plura eiufdem nominis, et rationis,vn.Ie vule vnitatem vniuer(aus efie (olum compoffiBilem cudrápticaditie c(fendi in mulcis,  nontàmencümaQu. ^   we 31 Hecdoütina omninó non p d arbitramür im. vnitatea vniuerlalis età ' confiftere cá actu effendi in multis, ratio t uia hoc negato nalliamplius daretü vrbdicalo vniuerfilis de inkerióri dd n, vnriuerfale a&a przdicarit de inferio ribts vel (apponitur per intelle&ü prius ^ cohtra&tuim ad illa, vc de illis przdiceturg velfiltim fic contrabitor inipf 2&uali" przdicatione; ergo ni(i extebmimare velis | mnsomries haialinodi przdicauones;fas^ teri debemus vnitatent, et aptitudinens vhiaccfalis manere cam fra actu elfendt. in axattis,& przdicandi d. dit aptitudinem nó dari ad a&ium cü í répugnancetr, tmà paffim videmusadtü," perficere aptitudinem, et effe cum ea copollibilem; (olumq; deftrut ordiné prioritatisad actum,ergo idem fuo modo dicédum etiam in apticudine rationis, qdalis ponitur ifta natura vn;uer(alisad efsé" im multis, et przdicandü 1c mulcisg » ig tur facédum cft, vninecíalicatem ftare ctiám cum a&tu e(lendi in multis pec £a« ' tioném, quia tunc natura concipitür haz" bcre inomnibus ilis adzsquaté luam vnitatem formakm per incxitientiam rone eiuldein communis RM in o conceptae, ac intrinfece indaiifae, Vlte qiiidcta cbacéoh adn tato Qr tonis obic&iuz: poffidere nárur/mindiüifios nein Pu eidfdcm rationis, et cam amig tete dam pet differeotías dinidt DO" rar. Vetüm aliud cit loqui de vocuerfali, quatenus precise c(t y:0ddà toux pos tentiale habens patics lubiectiduso quas mente,  malis, Acce"t 376   Difju.IV. De Vuluerfalibus in Conmuni: tnen:c diuidi poteft, aliud de ipfo loqui. quarenus ctiam tocum quoddam actuale, eft, et sm hanc a&ualitatem includitur in, omnibus illis ratione cuius inclu(ionis Gt. | pr pul de ipfis przdicatione dicéte,. ioc cít hoc; (an€, gnapdg vuiucríale v.g. animal diuiditac m (ua inferiora vt homi ncm;& equum, defiratturtozalitas potétialis, et pcr confequcns cius vnitas, quae in illa indiuiGone confiftcbat; fed bo. goanct vnitas cius,quatenus eft cot actua. le;si quam totalitatem eit in fieguhlicét nontotaliter,& adzquaté, et idcó adhuc diuifum ( vr notat Do&or 2. d. 5. «4. [ub H.& 3.d. 2.9.1, 6. C1 arguitur) potcft in ratione vniucr(alis prz: dicari de omnibus illis, et im hoc fenfu dicebat Porph. participatione fpeciei omnes bgmines efle vnum bominem, vtique enim. quando hoc dixit Porph. loquebatur de . homine diui(o in plura indiuidua, et ab omnibus ncs ge afferebar tamen ad. huc illa omnia dici vnnm hominem;qua&£ngs natura bumana concipitur in ome. ibus vna vnitate formali, quz eft minor mümcrali, per inexiftentiam, et folum cxpuníccé diuifa per differentias. pap 33 Contra pofitam Cóclufion£ obijweitur yniuctfale logicum quid abfolutum. «e (fc : natura fit fingplaris per diferentias. gindiuiduantes, ergo tancum abcít, quod. 1fiaz wniuci(alis pez refpcétum ad tingula-. z5ia|uod porius fingularizatur, et eo ipfo xjnodab omnibus iliis prafcindit per cons iptum abftraGtum, vr; ucrlizatur. T ü 2« «uia li bomo ità in te cxillerer » ficut illi contcptui abfoluto-obijcitur, cíTet vniucr ^ ow afalc ia cílendo » qualc Plaroni tribuurs «rto ctiam nunc cít vniuct/ale pec denomibaconen ab intelle&u ablque aliquo dtu adinferiora. Tum 2n intcilcdiis ie Beato fupra hominem fic cone | scptum conlideranscóditionem;& (Lati  ius, cognotcit illum non cfle aliquod fin. apre »icd eíse quid commune omnibus. sixgularibus,jn qua rcficxione non tribuit anielle&us homi fic concepto aliquod. aouum»lcd.conci pit,qnod.in eo przcrat,, «rgoenic hanc reflexionéiam homo erat . siis pet priorem eonccptioné diactam, Tuin 4-quia wniucrfale péc con» cipi per modum abfolati non dicentis re fi Mdunod alteruay,fed potentis fundare. talem refpe&um, vt album, et quantum; qua (um abíoluta, et poGunt fundare relationem fimíilitudinis,& zqualitatis. Tü tide iei vniueríale regulariter loquéo fiat per cognitionem cóparatiuá, iraut. abftrahatar à multis ob (imilitudiné ine : ter ea repertam, abíolaté camen loqucndo abitrahi etiam poteft natura commu« nis per puram prazcifioné natura ab vao inferiori abfque vlja cóparatione, wel fue Periorisconepeed aliquem iirirb vel iptor iorü adinuicem,!vt doà (olo Petro fimpliciter prar[cindi ia fiogularitatem  et fiftimus in folius-hu-manz naturz confideracione, quo cafu. habemus.concept&i vniier(alis abfolatitw 34. R efp.per folà ab(tra&i à códitionibus iadiuiduantibus naturam fieri vniucrfalem metaphyficé,aon logicé, licé nm Fasstnnhdabésasa à proptia indiuiduatione (e habeat inditfereter pofitiué ad hanc; vél illam indiuiduationems., diuifim, nó tamen fit, quod virtute illius. fimplicisprzcifionis. po(lit vna eíse in.» pluribus coniuactim,qualiscít ynitas,quas. exigitur in natura ad fundadam proxime: logicam vniuer(alaatem ; et qnamuis cii vaitate pra:cifionis nom. cohzrcac actas e(Cendi in. pluribus., bené tamen cohacte aptitado,& fic non implicat naturam císe: przcifam à pluribus, et adhuc retinere. » aptitudinem cffendi in pluribus; imó art.. 3.baiusqua (t.oftédemas. a&tü ipfum c(-fendi in plüribusper rationem., efto rc-pugnet cu vaitate praccifionis non tamé: €ü ipfa vanitate vniuer(alislogici, (cd actür dumtaxat cíl'endiia multis per reale contractioné. Ad a.patet per idemsquod tale. idolum non tranfocnderet limites voiucríalis.mctaphy.lici. Ad.3.auingeret iotellc&us in tali zcflexione (olum vniucrfalitatem quandam negatiuam; quatenus. cognofcerct hominem; v fic,mó-cle ali. quod ng MAR MR PoRHUt m, 9Ria non cognoícece: illum., vt comunicabilé. pluribus fimul. Ad 4,negazar aiamgptl y, (pia vo:xuccfale,.vt patec.ex «cius definitio-ne, dicic formalitec relationem ad. multa... Ad YltSUagitz (cet. n1 1. velle d ie S3safII. De efentia Psiserf. Logici. &drt. H. xb vno folo abftrahi non po (Te vniucr(aJlelogicum, qaod eft re(pe&inü, fed hoc meceffario plura requirere inuicem comao 5àquibus abürahatur ob fimilicu. "dinem interea fepercam ;. vult igitur ab -«no folo abftrahi tant vniucrfalesquod : appellat abfolutam ; in quo reijcitür ab 'emnibus ; quia natura apta ad vniuer(alitaté logicam ita abftrahi poteft ab vno 'ficut à duobas], alioquin natura folaris vniuet(alitatem logicam fundare nó poífct; ratio cít, quia natuta, po met :abitra&a, etiamíi abftcactio faéta fit ab vno folo, non plus eft illius ; quam aliorum quorumcunj; fimilium,& ad omnia Andiuidaa maaet indifferés pofitiué;aliors ab(tracta non effet; ità Aueríaq. 8. 1 t. Pafqualig.difp. 20. Amictract 4. q.2.dub. f. in fine, et alij paffim ; igitur . Adargamentum infe dicimus, quod na 'tura,tiue ab(trahatur ab vno folo indiui: duo, tiu à pluribus quoufi; non conciitur cum ordine ad inferiora, nempé vt llis cómunicabilis coniun&tim, nó tranfcendit limites vniuerfalis metaphyfici . .-35 Rurfus arguitur ad id ; pura rela. tio rationis nequit cóftituer "uer(alé, ac de multis przdicabilem, ergo vniuer(ale logicü non e(t formaliter relatiuum,probatur affümptü, tum quia illa rclatio rationis eft fingularis quzdam fc. cüda intentio,ergo nequit vniuetfale co. ftituere; tum quia nec ipsá relationé vni. uer(aliratis pr dicamus de inferioribus, non .n. dicimus, quod Petrus eft fpecies, ncc ipfam naturam fubtali relatiodie có. eR fic eft ens per accidens,ergo talis relatio mec impertinens eft adcoftituendumvniueríalelogicurn;Reíp.negandoaffumptum;ad primam robationé dicimus, quod ficut fpecies prelTa, vel exprcffa eft vniuerfalis inre pra fentando, cíto fit fingularis in. effendo,fic'(ecunda intéio vniuer(alitatis poteít naturam denominare vniucríalem, eftó entitatiué. fit fingularis, vndé ipfa.» non eft vniucrfalis,, vt quod, et in effe €xercito, led folum, vt 440; ac in cffe fignato, ad (ccundam pariter dicimus relationem vniuerfalitatis: non clie pradicatum; fed conditionem pcadicau ; quod kogica: L4 e naturá vni' 377 optimé Lichetcit.adnotauit, cuni ait nas turam fub ratione relationis ad inferiora przdicari de illis, non quidem quatenus eftens per accidés ex natara ; et relatione con(titutum, fed tantum per rationem naturz,quze cft vnum ers per fe quz tamen prazdicari non poteft; nifi a&u fic fab tali relatione ratíoais, Hoc autem probatur cuidéti ratione | quianon vniuer(alitas,nec aggregatum ex natura, et vnitcríalitate, (ed nacura cantü eft in rebus vniuerfalis fubietis, ergo natura etit, qua proprió pradicabitur de illis, illad .n. przdicatur de fubie&o; gs eft in co,& vniuer(alitas erít códitio,qua facit naturam in potentia proxima de illis przdicabilem . Verum tamen cft in prz» dicatione fignata, non proprie naturam, neq; aggregatum ex natura, et vniuerfalitate, (ed vniucrfalitatem ipfam, in concreto tamen,. i. vt applicata naturz pra dicari de plaribus,ratio eflquia predicas tio ininaodi fit per terminos fccunda intentionis; vt applicantur primis, ARTICVLVS IL Relatio inefsendi vuiiuerfale conflituity 5 andi efi ro " v» 3 predic 36 HX conclu&o eft Scoti in 2.loc, toties citato $. Sed contra,cum .n.q.6.vniuerf.$. Dicendum;de hac re du bius manferit, dicens, quod fi definitio vniuerfalis tradita 1.Periher.cap.$.quod eft efíc podicabile de pluribus, fit vera definitio, tunc effe vnumin maltissper q» definitur 1. Poft.2 5. erit pa(fios& e contra fi ifta e(t veta definitio,tunc ica« bile de multis erit paffiosdü poftea .s&t4 loc. cit. vbi maiorem habet au&toritaté s accejxat pro vera definitione illam, LI traditur 1. Poft, per efte iz, tenédü c(t in fenrétia Doctoris potius efse in, qua díci de c(fe vniuer(alis c(Tentiamg& quidé hee elt expreísa mens Doctoris ibidé, docet n. quod vniuet(ale in a&u illud eft;quod habet vnitatem indiffere : quàm ipfum elt in potentia proxima y vt dicatur de quolibet fappofito quod non conuenit natura RA da au ci non eilc in alio angulatiyquans mme sí me . áo e ME o oo o 3738 tum eft de (e, tamen quia in vno reperi tur, nequit effe (imul in alijs; et ideó de illo folo przdicari poteft cum veritate y non de omrübus;fed hoc folum cft poffibile de riatuta concepta fub indifferentia pofitiua ad e(fenduni fimul ini pluribus ; quarido .u. habet vnitatem fic indifferen tem,tünc ftatim efl in potentia prosima ad ptadicaridum de pluribus ; cüí ergo di«at Doctor vniuerfale in acu illud effe y liabet vnitaté pofítiué indifferenté a ciendum in niultis ;& ex tali itidiffereritia otiri potentià proximans ad prédicadutbs(eu pfzdicabilitaterii de mülus, pa« lani cft (cüfiffe, ui vhiüerfale cóftituitut pet efie ins et rs dé ett paffio ; idé docuit q.18.vnit,ini fine, ebi dit getiu$ n e(fe apti dici de multis fpécicbus, ni(i ptius ab ree cócipiantur qiulta fpe «ies quibus fit gebus;fed in liac re pratfcttiai teflimoriiunt Doctoris ini quzft; vitiderf, (iuc pfo vnd y fiüe pro aftera part€ pátumi debet vrgere, quia ibi fuit dit. biás ; ptaterquari quód etiarn? affertiué loeutüs effet, ftare debemus teftirnonio (fcripti (erit, duai ibi di&a alibi reüocat justd fegalami datà in qu£ft; ptoeai. ide dertiqj habet TUAE PSRUOR CI RA et ifi tex: 45. eiufdem lib. Haric eandem fentétiamt tradidit. Majrou. füper viiuerf. pafTu prime, Lichet, ini d.dift.cit. Tat. vac. . in Pétrürii Hifp. iri princ; Trombet. 7. Met.q. 8. att.1. tbi poflqtiám docuit duas conditiótie$ ad vrtiuctfale id atu requifitasità coricudit, ex ltis (equicüt ;qdod pramiffum eft ; quód ad ratiofiem vniuetfalis iri a&u tequicitüf nattira ipfa.» j e(t aGu participata ir multis, et ip. ititentia vdiderfalitatis atcributa matu. rz per actim ifitclleGus coparantis talé naturátn, «t ptadicab;lem ad iridiui dua ; hac Tromb: vbi vides ad vüiuerfale iri s&u prius esigece, quod narra concipi&s tur vria iü i$,Vt de illisteddauit prédicabilis j (ic etiam loquitur Bargius de Vniuerfali it a&u 1.d. 4. q.6; $.. Ex alio membro (ic arguitur » ex Recentiotibus veró tradit banc. febtefitiath ex profe(so P. Fuentes q.6. diff. j art. 4: et quidera cü hzc (eteutia fit epreffifima Doctoris in 2 fent, et oppofitam (ub dubio (olum Difput.1V. De Vniuevfalibus in Communi» tradiderit q.6.vniuerf. miram eft cur Seg ti$ztàm vnanimiter banc arripuerint vtde mente Do&toris; fedantequam cG« fionenr probemus aduertenduni cft, quod cua dicimus vniuer(ale conftitui per eíse es araltis loquimur de illa vnitate indifferenti pofitiu&. ad effe in multis (imiaf, et coniunctim per intelleGun, rug przced. declarauimus, 7 Primó itaque Probatur coriclufio' in fiunc mod&.; quod primo intelli simus aliquo dicimus efse eísentiam cius;(ed ' ptiniuni y quod intelligitur de vniuerfali Lógico, et in a&u, et efseiri multis, ergó lioc fpe&tabit ad efsentiá eius ; ma. patet miri.proD.taüni eX Árift.qui r.Pofter. 2 f. vtrique attribuens vniuerfali logccoy prius tribui efse in s poftca dici dey inquiens vni € e(se vnü iri multis, Sc de'nialtis,tum ex Scot. cit.vbi ex hoc, gr vitite(afe cócipitur vnum in maltis, vel faltini (ic aptum efte in illis ob indiffecé tiani pofitiuiami naturgarguit, quód fic in poteritia proxima, vt dicatur de mufis; tü taríderi ratiorie,quia effe ime(t cau(a dici des(icut.ti« quia hoc eft fic quia lioc e(t iri ilg per rationem, ide éritticiamus hioc de illo per intelledum . y pei Scotifta: oppofita? opitiió« nis di uitpto dc duplici efse in;rcali y et rationi, hoc importat communitatem pofitiuam,ilíad negariuami, verumi eft efsé initealc' ptacedereé dici de ; et cí(sc cáufam, cut riatutra (it prdicabilis de inferiotibus (ed eft caula remota, et no (a£ ficit ad conffitutionemi vniuerfalis logici fed taditummietaphyfici ; (ed (i de. efse iri cationis,& pet intelle uni (eraio fiats fal(a eft omnid minor j (ic enim. efse ini (equiti dici de, et vnider(ale eft vnü in riultis;quid dicitur de ainltis, vel (altim non MAN fed (unt pror(us idemi dici de, et ese iri, in lioc fen(ds praedicatio .m. qd fit fuperioris de imferioribus per iritelle&uoi, nor eft nifi quadami identificatio rationis. illiu$ cum multis; et vnutri prádicári de alio cf lioc éffe in illo pet aliquam identitatem. Hinc dd i. prob. miri. cx Atiftot. dicunt quod et loquitat de efie imtealiy iam non definit fni« inillo realiter e   ideó enunciamus lioc de illo realiter y ] 2 [1 er, vt eft in,Mecur Quefi.IT. De efiemia Vyiuerf.Lopici drill. 379 viuet(ale logicum, fed meraphy Gcum, |. ffiloquitur de efse ài rationis, hoc nonditur : abipfo dici de, quia predicaitio non eft, ni LidestiBcasio eationis grzdicati cum fübic&to . Sic ctiam ad 1. | gprob.ex Scoto e(pondent,& addunt aliui Doctorem ibi non loqui de vniuerli completo fed incompleto, et pro fundamento proximo . Ad 3. aiunt yalerc in przdicationibus ; quz funt tocmali«tet vcrz à partc rei, non in illis, quae füntformaliter vere per intelle&tum,& attributioncm alicuius fecunda intentionis y mon vcro à parte tei » nifi fundamentaliMito, cum fuperius yzdicatur.de inferiori j 78 Lcuiffima quidem refponfio, et multa falfa continens, nam Arift.cit. lo. quitur de rniuer(ali logico, ac proinde de F3 inrationis, imà Ane quis (afpicaretur i definire vriuerfale metaphyficum, ilJud dcfiniuit per actum yon i in mul;tis, non per aptitudinem; dicere veró «p -e[se in tationis,& dici de funt idem, ett,yrorfas ridiculum, tunc eaim fruftra -quarerctur, quodnam fit e(sctia, et quod patfio, quia vcl verumque efsct de císen;tiayvel vtrumque paffio, certum.n. ett, quod dum hzc quaftio inftituitur, non . € (t altercatio de efie £n ;reali nam apud -omncs cft in confefso vniucríale logicü per efse in rcale non,conftitai ; falfum etiam cft jesse áliquid de aliquo for snalitet eíse vnum identificari.cum alio, -wel eíse in illo, (cd potius eft per przrdicationem oftendere, quod hoc eft inillo, vcl identificatum cum illo, itautine-xi (t&utia » vcl identitas vnius cum aliosége modo prarfapponatur, vt cadfà veritatis przdicationis, hoc innuit'Do-€&or füb lic. 1. dum ait indifferentiampofatiuam císe illam, fecundum quam vniueér(ale aliqua identitate efl pradicabilede quolibet indiniduo, vbi vides fecundam Scotum predicábilitatem in aliidenuntate fundari ; et rao ipfa fuajl uia/fündamcntum, et radix przdica €(t identitas extremorum predicabilium, quod .n.-noncít idem cum aliquo ^ Lancia! vct, fed remoàb illo ; ergo apuitudo adidenuficandum efl fandamentum aptitudinis ad praedicandum, et actualis identificatio cit caufa a&ualis pradicationis. 39 Facile eriam refcellitur expolitio allata ad auctoritatem Scoti ; qui dubio procul locit. loquitur de vaiuerfali cóppletoy vt patet ex hs, qua habet (ubi tI. vbi ait; quod indiferencia pofi tiua, /fe-«undum quam nacura concipitut vna im multisper iatelle&um, complet vaiuere f4le in actu, quod iampridé docuerat 7. "Met.q.13.n.19-dum ait »aixerfale com pletum ejses quod est in pluribus, et de pluribus, ergo Do&or loquitur de vni-: "uerfili completo ; et per conícquens.de .e[fc im rationis, loquitur enim ibi de vni tate in multis, quz conttituit vniucrfalejn potenría proxima vt poffit dici de illis, vnitas aucean realis, quam habet natura per. indifferentiam ncgatiuam, non conftituit naturam proxime przdicabi« lem demulris,(ed rantum remote. Acces dit,quod (i vaias rcalis in multis elt cau faremota predicationis,.vt Aduerfarij. .concedunt, debent affignare talem vat» eft nili vnitas rationis in multis, .vz ibi.docet Do&tor. Confirm. quia ibi ex nom T ia nature ad cilcndum in multis dunfim à parte rei arguitquod (olum remote eft prz-dicabilis de mulcis, et cx aptitudine ad ellendun mm multis imul per intel e&tum ait, quod ctt pradicabilis in potentía proxima, quod étiáa repetit : 4d. 43.q.2 F. ergo dici de (oras ab effe in'ratione, (cu per intélle&tuam . t 40 Qodrandem dicebant ad 5. prob; eft pror(us fallum,& voluncarte dictam, fi enim praedicari accidentis defubic&to pra fupponit efle accidfehtis in fübictto y '€ur idem non erit de prdicaris per rationcm formalter, quod prias prz (üppos antur effe4z,pofteà derilis enunciens tur in quibus ab mtelle&u preconceptá fuere ? hanc plané paritatem conuimcunc rationes adducta ; et adhuc vlcerius pro batur, nam fimplex appcehentio prz cez,dit compofitionem,quia'bzc fpectat ad' fecundam, illa ad primam operationem, fcd pcr illam natura apprehéditur in pla-? ribus, pcr itam 2e Tu de pluribus, 1 c tatem, qua lit caufa proxuna, et hzc nom. LI 'Konis, non poteft autem dici vniu $89ergo effe in przcedit dici de in omni prae. dicationc. Item in przdicatione. formali przdicatum debet aliqua idétitate idé-tificari cum fübiecto, fed natura fcclufo opere intellcétus non ident ificatur tingulis ind:u dais, fed illi (oli, cuius e(t propria; ergo neceffeeft, quod intelle&us aliquant machinetur vnitatem,(eeundum quam cum fingularibus idenuficeiar, vt proximé poflit de quolibet przedicari, Secundo principaliter prob. concl. fi daretur natura communis vna per inexi: ftentiá à parte rei, ficut datur per indiffcrentiam nagatiuam, procul dubio daretur wniuer(ale à parte rei in acto, haberet .n«.fimul,& (emcl,& enitatem,& communi-. tatem pofitiuam in multis, qua duo (ufficiunt ad conttitucionem vniucríalis in. adtu fed natura Petri cü fua vn rate fotmali in ipfo exiftens redditur communis pofitiué mulus eo ipfo, quod cótiderarur «t contracta nó ad folum Petrum; fed ab omnibas indiuiduis fimul, ita quod non fit propria alicu us, fed omnium ;ndiffes rentet, ergo per hanc implicem appre» henüonem naturz in ploribus imul habe tur vniucr(ale in actu,abfiuc quod natu sa affirmetur de hoc, et illo indiuiduo, na dicebamus, hoc pertinet ad (ccüintelle&us operationem. Tertio probatur, quia natura diuina litiné pluribus perpon quia de illis non pradi m quia de illis nc icetur predica, tionc dicentejhoc cft hoc, fcd ird quia eft vna numero in illis abíq; ylia fui divifione, et multiplicatione, vt Scot. notat 1.d.8.q.3 .in fine cum caeteris Thcogis,quód Ij eflet yna in illis rribus cum qliqua (ui diuifione, (alum numcerali ia quod effet vna in tribus aliqua vpitare minori, quam fit numeralis, (ané effet vniuerfalis in a&u, etiamfi non conci» finr aQu, ycl potentia przdicari de » ergo vBitas naturz in multis per entiam, quz (it minor vnitate nucf communis ' merali, cum communitate po(itjua (uffi€it ad cóftitutionem vmuerlalis in 41. Quarto candem oftenditur cuidc€i rationc, vniueríale predicari, yel predi €abilc cíie dc pluribus aliud non cit; quà "Difp. IV. De Vniuer[alibus in Communi ; vt fuperius enupciari, vcl enunciabile effe de ilis, vc de inferioribus, ar inferiora non(unt, nifi per inclutioncm fuperioris in illis, ergo efse im (emper przcedit dici de . Dices, quod ficut fuper;os inratione fuperioris intelligitur, eo ipfo quod concipitor potens efle. in inferioribus, riamfi nó fit actu inclufum, iic é conira nferiora intelligürut eile talia, co ipfo q» concipiuntur includere potfe fuperius,. (io actu nó includant ; et 1dceó actaalis nclulio fuperioris non c(t nece(saria ad cottituendam fotmalitaté infccioris Có. trà, neq; argumeniü contendit probare modó cíle necctlariam acualé incl.fionem fuperioris ad conítituendam formaltatem inferioris, fed (o'um probare intendit efse in lemper procedcre dici de y fi vniformiter fumantur,vndé dato,.;uod inferiora talia dicantur per foJá incluiio  nem poffibiié (uper orisin cis,& actualis nccetíaria non lit, adhuc tamen habemus, uod e/se m apriudinale praecedit dici   aptitudinale, ficut a&uale przccd't &&uale;quia inferiora nó (unt, n:fi (uperius intelligatur poflein eis includi, (ed.  tedicab:litasvninerfal'snonett, nifi de,   inferioribus, ergo dict deséjer necetfas   rió prefupponitefíeim vmfotmiersüpta,    4» Reflatigitut ex d s, quod dici. dc lit paflio, nam quando sü: al'qua duo attributa, quz c dem rei conueniunt, fi vnum eft caufa altcrius nin pote(t id, quod eft caufa, eile putbo fübfequens ;. lud, cuius eft cau(3, fed pot us € contra, fea eile in mulus, et przdican dc mulus conueniunt vn ucríali& primum cft cau (a (ccundi,vt bucuf.; probatum ctl, lieb -phomo prazdicatur de pluribussquia eft in pluribus; (ccunda «operatio, pcr qua fit ilia przdicatio, tapponit primam,qua hocapprehendiur in do abf; vlla afficmationc, ergo efsein multis erit eüenUa, et dici dc eri pa(fio. Confir. quod (upponit etlentiam rei ada.juatam, (cd idhuc nccetíari9 fequitur illain, cft palfio cius, at police pra:dicari de multis (up-. ponit adzquatain Vniuerlalis etientiaas 1am con(titucam per ejse in rationis, et adhuc neceffarió conuenit ipfi, ergo e(t proprietas eius « Dum vcró dicimus pa(» Roncmn Douclt.I. De effentia Vuiuesf. Lopici. eft.   48Y fionem vniucríalis efle poffc przdicari de pluribus, intelligendum eft veré affirmatiué, et diredt?, fiué cffentialiter, fiue accidentaliter, fiue in quid, fiue in quale, fué neceffario, fiu? cootingenter. Katio efl;quia orfine;quod eft in alio; veré;affir gatiué,& dircdde poteft pradicari de il. lo,veré quidem, et affirmatiué,quia repe sU jo (lo » directe ctiam ; quia directa przdicatio illa e(t, inqua pra-dicatü aliQuo modo recipitur in fubic&to propolitionis, vt hzc homo cft animal, nam ani(mal recipitur in hominc, vt pars matcrialis cffentiz ipfius ficut € contra illa dicigur indirc&ta;in qua porius fübieGü inclu ditur in przdicato, vt animal efthomo, vnd hzc dicitar innacuralis,& illa natafalis, vt declaratü cft ve infit, trad, 1. £3. cü ergo vniuer(ale (it in multis, veré, atlirmatiue, et dire&é poteft, et debct pradicari de illis . Debet auté fic przdi«ari abftrahendo ab illis deterinmmacis mo dis prz dicádi effentialitets vel accidentaliter, in quid,vcl in quale, neceísarió, vcl  €ótingenter, quia ex quinque vniucr(alià enymerádis coueniunt inícrioribus neccfsarió, .f.genus, (pecies, differentia, et propriumaliud veró con. tingcater.faccidens. Item quadam przdicátur intra e(lentiá,vt prima tria;quzdà extra,vt vltima duo. Ruríus quzdam ra dicantur in quid) nemp modi aer inhzrentis, fed pe li per fe exiftenis, et quafi aliud (uflentancis, vt genus, et fpecies; alia veró in quale, f. tnod&alteri adbzrentis,& ex his quoddà gpradicatur in quale efsentiale, vc differctiayalia vero in quale accidentale, vt pco prid, et accidens . Dcbetiandé po(ic dc '6mnibus przdicari, nedum fucceffiue, et difiunétim,(ed ctià fimul,& coniun&im, n& homo in rationc vniueríalis poteft (imul dici de Petro,& Paulo; ac ceteris inliuiduis, vndé dicebat Porphirius;gy parSion fpeciei plures homines funt 15 homo,non quidé à parte rei, fed per intelle&ü;ratio buius et, quia vniuer(ale habet indifferentiam pofitiuá (ccundü uà pot de(cendere ad plura fimul, et cócott de omnibus pari modo pradi-. Sari; quia dici de proportionatur c/)€ jl « degita . fecun Contra allatam do&rinam folct obijci Primé auctoritate Porph. dcfiniétis vniueríalia per przdicari de multis,na auté pet effe im, ac etiam Scot. q. 1 j.vniuer(.$. Dicendum vbi docet rationé vniuerfalis císe dici de, et fufficiétiam vaiuerfaliam a(fignat per dj ci de, quod eti robat hac ratione, quía in quid, et in qua [: (unt differenuiz eísentiales diuidentes vniuerfale in communi, et con(t ituentes uinq vniuer(alia (ed in quid,|& in quale dnt Ac contrahunt ptzdicari de plu tibus, vt conftat cx definitionibus pradicabiltü, ergo praedicabilitas cft ratio vni« uer(alis, Deindé obijcitur ratione. Tum quia tunc vniueríale concipitur in ordine ad multa,cum cognofcitur couenire mul« tis,fed hoc fit per przdicationé,ergo &c, Tum etiá, quia. vt paffim Diale&ici docent; et ipfe Scot.q. 14. vniu. hoc intercft inter dici de,& «i in, quod dici de fe copetit (ccundis intentionibus, r vero per accidens, é contra vero efje in rcbus per fe cópetit,& fecundis intentionibus per accidens ergo cü. vniucr(ale fit intentio, cius ratio eris dici de, non effe in, Tuatandem, quia vniuer(ale Logicum, vt à Metaphyíico fecerai« tut, dicitur vniuerfale in przdicando, et metaphyficum in e(sendo,ergo efje in;cfb ratio iftius; et dici de illius. 44 Rce(p.primó falfum efse omnia vniuer(alia definiri p dici deyquia propriüs et accidés iuntur per ejse in,vt videbimus di(j. (eq. Deinde nontantum pet dici de,(ed per ipfam a&um pradicandi definitur genus, et fpeciem, et ramé cer tü eft a&ualem pradicationem non císe de cíientia vniucrfalis, imó nec eius pros prietaté,fed accidens coe, ficut aus rie dendi in homine, vt art, (eq. non igiar quia per dici de [olent vniuer(alia defcribi,& eorum (ufficicntia affi gnari » inferre dcbemus eíse de císentia, quia et ipfe Sco tus non tantü q.12.& 19.,vniner(led erià q. illa 1 f. ingenné fatetur inquid et in. quale przdicari non cfsc per fe differeacas vniuct(alis, (cd potius modos;qui in-uantà important cócepius contrahentes denen quit poísunt deb i jo auiem, cur ita actum fr, cita EET RE.) 392 uia tra&atas de. vniuerfalibus inuentus eft, vt rité cogno(centes terminos fimplices abíque errore poffemus eos adin-: uicem coniungere fecundü debità (ubie&ionem,& pradicatiopem, vnde cü vniuerfalia defecuiant proximé ad bene enü ciandü terminos comunes de particularibas, hac de caufa. per dici defuerant à Porph. defcripta, et per dicide eorum fufficientia tradita; et demum vniuerfale logicum hac ratione con(ucuit appellari vn;uetíale in przdicando, vt ideo verum fit vniucrfale in Logica potius confideras. xi (abratione przdicabilis, quàm vniuet-. falis; vnde et illz quinque fpecies vniuer(alis (olent potius predicabilia nuneupari,quam vniucrflia . "Ad rationem neg. min. poteftenim. vniuer(ale, vt q. feq. dicemus, cognofci &onuenite-multisetiam per primam ope gationem, quando nempc per (implicem apprehenlionem. concipiturin maltis aétualitcr,vel (altim apcitudine. Ad 2;Dar €or ibi oit effe conücuite per fe. rci, S per accidens intentioni,nonautem loquisuc de effe imr, et quando etíam de ipfoloqueretur intelligendum effet de effe in xcalis hoc enim per accidens conuenit imenrionibus [écundis,quatenus fandan« (ür inprimis. Adi3iviiuerfale metaphy«. 4icü dicitur vniuétfalein effendo, loquen, sio.de ejfe: in reali,pct quod non excludifür, quod logicitm nequeat dici vafuzrfaJe in effenda, loquendo. de ejfe inrationis, tamenne zquiuocátio contingeret in Nocabulo, et etiam ob catione nuper ad4loctàm vniuerfale logicum in. communí, vu loquendi: vniuerfalc in praedicando Zee confueuit;& per praddicabilita àmezaphy uco diftingui «;   JurwS: il, lle.in a&u, er apritudine constituit vniner(ale, dici de aptitudiue   tantum. e5i paff 4$. pies $ effe in multi (pe&are ad vniuectális effet] am, nedum wt dicic aptitadiné, fed étiá vc dicit 48, dici vero de muliis efie palfioné taniü, vt dicic aptiudinem. Conclufio ves hia-..De Viiierfalibus ii Conmiumi! bet partes, et quoad omnes colligitur exe. Scoto, et probarur . Et quidem primo» quod aptitudo proxima ad effendum in: multis fimul, et coniun&im (ufficiat ad. conftitnendum vnrucr(ale in acta, eft có munis opinio, et eam manifcfle tradidit Do&orloc.fzpe cit. dum ait indifferen-uam proximá ad elfendum in maltis fimul complere vniuer(ale, probatur ex Ari(t.qui 7. Met.4 5. definiuit, vniuer(alc per apxitudinemdicens effeíllud, quod aptum efl, vt pluribus infit. Necvalet cum quibufdam iyd »ibi definiri vniucríale metaphy (icum, et fandamétale; quia, vt notat Doctor in cum textumy et caeteri Expofitores, loquitur de vni uer(ali formali; et in a&u ; Probatur etiá ratione, quiaper vniuerfale in a&u illad intelligitur, quod eft cómune, vcl falticr cóomunicabile. multis cum (ui diuitione $ remanente tamen: adhuc aliqua. eius.vni« tate(edaptitudoproxima,&indifferentia pofitiua conftituit naturam in tali fta tu, quem vtique nom habec à parte reid.8 ialicét; vr ait Doct. naturaàpartereá  u Un conDM. vtei intrinfecénon ves   pagnet ciTe füb: alia (ingularitate ab ed fub qua efjdilsnéHor spon taret communis, vt poffit effe in mulcis (rmalj ergo talisapcitudo (ufticit ad confti dum vniueríale in a&u -. Confirm. quía quou(que manet natura coniuncta Ireceritatinequit dici vniuerfalis, quia vt fic dicar tallseo ipo 3 dien india uut talis eo ipfo, i i£ indi daali pet isediechun ect i add fetenter comparatur ad omnia indiuidua, vt eis cómunicabilis, etgo &c. Preterea a&uali cómurticationi. rationis, qua vna fet inexiftericiam concipitur-in multis cit fola diuitione. numerali, correfpondetc debet potentia, (eu aptitado proportianata, ergo fi actualis communicatio Corte ftituit vniuer(le in a&u fccundo, ac valatin exercitio, aptitudo.& poceniailli cortifpondens conflituet. vniueríale ve^ lutin actu primo . LT 6 Negat Blanc. difp.2.q.2. in nata abiicacta talem aptitudiné, quia 1n natu ta, anteqnaar actu referatuc ad incrioTa 5 à quibus cfl abftracta, folum (uppapitur Fa : ar M . exclulionc hzcceitaum; tui neque ensitas nacura cfl talis potentia, fic.n.cífec mes  eti Lu x 2n » 3 Ade «^84 x -Saw A : Poe le [em non;ipis quiuis hoc af : Qua[1H. De effentia Vniuerf, Logici-c Art. TIT. s25 aténtitasnacurz,& denominaijo extüimíecayà qua denominatur cogni.a cum »ocetia rcaliscum encitasnaturz fit rcas, ncque ip(, denominatio extriníeca, namnab ca folum cognita denominacursnó vcro apta ad ef[endu in mulus, ergo ralis :apritudo rationis non eít admittenda in natura abítra&ta, (ed ad fummum non repugnantia. ALIS i$ clt hzcfolutio,nam quando nil aliud (uppcteret, dicemus 1lià nó repugnantá ex incrinfeca ratione nagutz procedenrem,quando non cít impeditaconíorrio hacceitatis ; quomodo (c habet in ttato. pracifionis obie&iuz ; có  &ipià nobis pur odum. cuiuídam aptitüdims proxima,& pofitiuz indiffereua .ad effendum in mulus fimul, Ec (ané noa .videtut vllo modo negari potte vniuerta Aein a&u cóftituium per folam apti;udinem rationis àd, e(lendum in multis per diuifjoné diderenziarum ; nam genus, et Fpecies, vt icta quzdá potcflarua, et per diff. céntias. i0 piutcs partes tübicétiuas et rauonis dinilibila, pr&cedunc et difiercucias 3n et Anferiora conft;iuta, quia vniuter alia funt priora natura particularibus, &, proculdubio in illo pt;or: antecedencer ad có. traCtioncm, di uifionem fanc voiuerfalia io actu, érào &c. |... Sccundó,u0d ciam ynipérüolitas «onlilLa: cum a&tuali coaunicatione ipfius vniuer(alis, colligitur ex scot.loc.cit. wbi vult vniuer(alc 1a actu dici dum eitin potentia proxima y vt pradicetur de impl&is fimul, (ed nuiquá cit ifipotenua magis propinqua ad (ic prac dicadum, mfi qf acu eongipiur ynàm in mulus tunc «n. immediate potcft (e.jui talis prz dicatio s nec vnquam fi eri poreft talis. praedicatio, E prius naturá concipiatur, ned apta fcd ctiam atu cxittens in pluribus idem . eXpréllius habet 4«d.43 «1-2. F-diceps vniiucale ele [imul dicibile de omuibus Jingularibus, 1a quibus. jaluatur,vult ecBo vniuer(alc 1o actu cciam faluari in fingularibus polt a&ulem co;cauonem, et letum fi: eoatra cómuncn; qua fepon,t tota rationa vniücte (alisin i&à. in fola apcitudine ad cifendü in malus, tamé viri graues illad cec ipit Biaac.loc.cit, Caeicit.difj. 5. vniuert.fcc, 3» ita ctiá loqui videntur. Fuentes fapras cit. et Mearille, dum ait vmaerfale ia actu fieri per actualem collationem eius cü (uis inferioribus ; £ulcitur quoque au&oritate exprclfa Arift qui 1. Poft.2 5.82 lib.2.. ia fine volcas vniucr(ale in atu dcfinire, illud exprimit per actam, non per 'apcitudinenyy: per hoc mnd:cacetnedaas cam apticudine, fed ctiaarcuma&u ipfo e(lenátin multis cófi(tere vnuerfalicaié 5 ac ctiam folidiiliais racionibus, quz deducuntur ex di&is art. 1. contra Suatez., nàm propriü eit naturz vnuerfalis eiie pcedicabilea«de multus in tauone vniacc falis, ergo a&ualis przdicato de mulus, iua fit, vel faadatur in a&uali commaunicatione naturg per incelle&ü ad illa multa. imul, nonzollit vniuerfalitacem ; tum quia actus nó deftcuic aptitadinem ad ipfum,v: rifus-riübilita rem, imó potius perficir, et poait ia a&u fecundo ; rum quia nulla alioqui daretur a&ualis praedicatio vniuer(alis de fuis fingularibus,; et certe in hac predicarionc. Petrus. e bom, videmus ly bomo manere in (ua vniuecfalitate,quia non lupponit fuppolitione, », fingulati fed communi, alias eter lenLas "Peirus cfl bic bomo,&, iic nóquam pradicatezur de Petco aliquod, fibi cóc cuia Paulo;n naturayergo vnuugrfaliras codfaflit cuin ipfo actu eilendi,in maltis, X nó cuim aptitudine tàu. Cont. quia naruram e(fcin plucibus actu coi/caram per in» telleCtum (ub eadein enutate »ac vnitate formalicü fola dilione materiali, [ca mumeralt cít actus («cua lus nacucz confideraiz íecundum eife precio ab indiuidus à parte rci y ita quód na ura fü AXali pri ione, ac ind.ff-zenva. pofitiüa "fu velati io actu pramp refpecta a cxiitendi in pluribus pet cale pott adum non detiruamir, [cd porius exer.&eaturgaiurz vniuetlalita$. Nec v.l ec cüiucra Aduerfariorum reípálio aaturam,dua cfl ininfcciogib; dcuncre eife pie quia Amacui vnitatem, quam habeba: i | puzcinónis cbicctiuz A em in, pluta Kk 4  cul384 tiufdem nominis, et rationis, Non valet, quia diuiditur folum sm e(fe materiale, et f'oumericum, non veró sr proprium elfe fformale, quia vaa, et eadem (ibicorcefpóodet formalis vnitas, vt eft in omnibus inferioribus adatquaté, vnde valde diaecfus eft (tatus naturz, vt extat in indiuiduis à partc rei difu(a, ab eojquo concipitur in ci(dem per intellectum, dum fa€ c(t vniuerfalis, naminillo primo ftatu ita diuiditur, vt diui(io redundet etiam in ipíammct formalem nature vnitatem, ita quod n:tura in ftatu realis cótra&ionis ef! ó hibeat fuam vnitatem formalé, non tamen quz fit eadem in omaibus indiuiduis, fed propria vniufcuiufiue, quia 4f. in ipis multiplicatur natura,& con(euenter etiam vnitas natirg, vnde in taVi ftatu Petrus, et Paulus non (unt vnus homo,fed plures homiacs ob pluralitaté humaaitatürat in altero ftatu cótractio. nis pec intellectum diuifio non redüdat in vnitatem formalem naturz fed (implicitet fi ftit intra latitudinem hzcceitatá, et ideo natura incali (tata 'contraGionis remane:! vna formaliter io omnibus indiuiduis,& (olà exttinfecé multiplicatur nu meraliter,vnde et in tali (tatu ob candem naturz vnitaté ia omnibus Pecrus,& PauJus dici pofsüt vnus homo co modo,quo Porph. dicebat oés homines participatio nc Ípeciei c(ie vnum hominc. Ratio huius . diuerfitatis eft,quia aptitudini refopdere aebet a&us ci proportionarus,cum igitur aptitudo, quam habet natura à parierei 'ad c(fendum in multisfit remota, et ad plura difiun&im, confequenter ita debet ad actum reduci, vt à parte tei'íit in vno folo indiuiduo cum fua vnitate formali, et nonin al;js; cumautem aptitudo, quà hibet EowlA in ftata przcifionis obieCuz, ad c(fendumín multis, fit proxima,& ad plura conian&im;vt reducacar ad idum ci proportionatum dcbet aífignari via, et eadem natura per inexiften. tiam in omnibus, et fingulis, ita quod vnitas formalis cius illi correípondeat, yt cft inomnibus indiuiduis adzquate. ' 49 eere m noftrá non loc tur de illa vnitate importat pcr in. Qisifótem in plura ciuídem racionis, tuin qu Difp.IV.. De Vuiserfalibusin Communi) quam natura acquirit ex vi precifionil luz, hanc enim vtique concedis mus diflolui eo ipfo, quod diuiditur, et ad inferiora comrahitur, fiue realiter, (iue per intelle&ü, vc loc.cit. dicebamus, nam talis vnitasc(t prorfus incompoffi"bilis cam differentijs, cum ex (uo conceptu dicat negationem. a&ualis coniun. &ionis cum ets, fed loquitur de vnitatd focmali,qus (equ itur naturam,vt eft todam a&uale, et effentiale, &c dc e(ic, quod etfencialitet dicit, et per pre dicationem tribuitur indiuiduis, modo idem predicatum obic&:ué famptum isa iatelle&us tribuit vai indittiduo, vc cctbuat eciam alteri, ergo licét per diuifionem, et cóntta&ionem ad inferiora di( foluatur vmritàs cius, quar ipfim fequebatur ante diuilionemin tatiome totius potentialis, adhuc camen etiam poll diuie     fionem perfeucrat vnitas qu iplun(equebatur inratione rotius eilencalis, ^ fo Tertio rande, quód dic; d« multis fit paffio vniuerfilis, cancü vc dicit aptitudinem, nonadum, docet Do&ot 7, Mer.45.dit aic a&um ip(um przdicádi ac. cidere vniueríali, quod etram man.(etta ratione cóu:ncitur quádo homo v. g.de vno folo przdicatur dicendo Tetris cf bomoyfané przdicatur adhuc, vc va: uería €, quia non (apponit (uppotiriope fim rijfed commuoai,vt fupra dicebamus, id aute nó habet ex vi actualisiftius rzdicationis,imó ex vi illius exttncatut relario vaiuer(alis, vc norat Do&or q; 16. vuiuct(.m (ol ad 8.quia ex vi illius applicatut vni fingulari tantum,non ad plura, fed przcisé id habet ex vi. przdicationis aptitudioalis,oá cíló ex vi actaalis ad vnü un fingülare máncat coar&td, tá ex vi apritudiaal;s manet adhuc jllimitarum ad plura, ego dici de ett palTio vniuer(a« lis vc dicit aptitudinem,non actum. Dicesfilrim adi przdicari de plurib. poffe poni paffionem. Neque hoc bene diceretur, quia cx vi a&ualis przedicationis vniueríale noa magis applicatur ad pluraquàm a4 vnum (oluin, fed ad vtrüquc manet indifferens, at cx vi aptitudinalis neceffarió extenditur d plura. Cófirm, id ctiam, quia vaiuéc(ale in acta apium Du«f. IT. De effeutlaVniuerf. Logici-edrt.IIT.   583 eft proxime, et immediate przdica/ c. sam autem aptritudo nó com etit ei in primo modo, vt probató cft;erin (cüdo. ; atque ita hzc apritudo przdicandr, feu przdicabilitas de multis erit pekovimelim dh vcró pdicatio, nata fiue exercita erit exercitiü ilfius paffionis, vt ft ridere ri(ibilitatis. "$1 Inoppofitumobijcitur 1.probanMoeffe in «onftituere vniucrfale vt dicit "ipfam a&um efíendi in multis przcisé,no /  Gutemaptitudinem, quia vt arguit Blàc.. sit. vniuerfale metaph Ne a&tu cognolcitur natura bnc dif. ficum tüc tale fit, ijsinferiorum, ergo viuerfale logi -«um tunc fict tale,quando actu cóparatur -. ad míeriora, atque adeó ficut vniuerfum-metaphyficum non conftituitur per apti-udinalcm ab flra&tionem, (ed per a&tua-Jem, ita neque logicum per aptitudinalé "€omparationem, fed per actualem ; vnde "ficut vniveríam metaphyficü, vt oprimé   defihiaurs dcbet definiri vpà atu. à mul "tis abftra dtum per racioné, ira paritecvt optime dcGimatur vniuerfum logici jerít -definiédà vnà acta in mulus er rationé. Deinde vniuctíum logicum con(lituitür 'tále per a&toalem relationem ad inala,nó "alice ac albü conflituitur tale per actualem albedinem, atqui ilb dcfiniturfubie €um aclu afkétum albedine'; non autcm potens illi afhcere, ergo pariter vniucrfum logicum crit natura aCtu affc&a rcla tione ad mulia, tinc dic, noo potett conipi nátura actu relara, quin concipiatur actu in multis, ergo ton potcft concipi vniucría lógicé, quincocipiatur vna actu in mulis, et con(equenter vmucrium logen dcBiniewr vnum actu in multis smationem .. l'emum opinio Blanc.fic cófirmari potcft, niuec(alitas ett 1 elatio ra. tionis a0 plui a infcriorayin quibus eft natura vniuertalis, et de quibus prae dicabilis cft ncccfie ctt ergo, quod fi illa plura non (unt à parte rci, (alim per intelleétü accipiat eísc quia relatio nequit efse,vel «oncipi finc cxccmis, vnde illa plurayquae à parte rei (üt po(f.bilia, dü fit vniueriale,süt in a&u per coladcrationé, ergo vni 'uersü logicü e(lentialiter re(picit plurag inquibus aétu fit; et non aytitüdinc um, $2 Ref. hzcomnia stgum enia in zina. laborare,cócedimus, n. vniuccalelogicum fierí per a&ualem compacationem ad inferiora,non autem aptitudinalem;hzc tamen a&ualis cóparat:o var, ucr(alis non fic fcmper ad inferiora, ia quibus actu cófidetetur inclufum, fed in. tecdum in quibus cálideratar apum iitcludi, quare auliter cadit vtique fempet (upra comparationé,non autem fem pet fupra inclutionem argumenta autem ità procedunt;ac fi negaremus a&tualitatem ctiam in coparatione, € ex;a&ualitete in comparatione contendunc inferre a&ualitatem etià in iaclufione, xp falso deducitur, nà ante actualem inclufronem ipfa inferiora (unt, vt potentia includere, inquátum inferiora, licut ip(üm fuperius » vt potens includi, et fic terminant relationem (aperioris, et vniuet(alis anccqua conlideretur aualis incluio in multis . Dices inferiora non císe, ni(i per actual incluGonem (üperioris ; atque idcó oos terminare relationemillius in ratione v». : niucríalis, nifj per efse jn a&tvale, Neg&7 tuc afsumptü, ficatenim acta elt aliquid faperius, non tantum quándo a&u inclu. "ditur ia. pluribus, (ed etíam quido ei cóuenit aptitado,vt fit,& includatur in mu] «tis; quia ad (ormalitatem fuperioris non cit neccísaria actualis inclufio :n iofzrioribus, fed (ufficit etiam potentials; ita inferiora func actu talia, non tanti quam do aa includunt fuperius, fed etià quam do conliderantur,quod adu cis conuenit potle includere, et contrahere fuperius ; «x quo patet quid dicendum fit ad fin2ula argumenta, et hacc doctrina expreísé habctur à Do&ore q.18. vuiuer(. in corpore quaft. vect. Item fi aliquid. $3 Sccundo obijcitur et contra probando efsc /z conititacre vaiuccfale s» vt dicit aptitudinem tantum, non veró a&um, quia uit paílim Scontiz doccat cx Do&t. cit. vt naturalit vniuerlalis, requiritur. indeterminatio pofiiua, lcu contraria, [ed hanc inde.termimationem non,natura eo ipfo, quod ponitur conkra&a, fiue» 1d tit à parte. tci, Buc per intcileetum, erfali t aum actu cíLu vaiucifalitas rzpugna m $86. "Diu. IV. Dé Vaisevfalibis in Conus. fendi in multis;quia hic eft (tatus cótra. &tonis . Tum 2. quia qoamuis patura de fe indifferens (it ad (ingularitaré, et vniucríalitatem ditiunctim, coniunctim un hzc dao in natura. repugnant, fcd ftatus contraéctianis cft ftatus (1 ngular;tatis ere EN repugnat ci «niueríalitas in tali ffaru. Jum 5. vnmcrfile formalitec ita. habet: indecermimnationem ad plura ; vc tic incapax determinauonis ad vnum at. nacura tn ftatu. cótra&ionis c(t determinata ad ynum per differentiam cótrabentem, ergo non eft vniueríalis. Tum 4. naturacótrata nó praedicatur,vt indifferens;ac ia» deterininata, (cd vt applicata ifti iadiuiduo,de quo prz dicarut;& vc vnd cü illo, alioquin verénon predicarctur, ergo nó manct vniucrfalis, remo:a. enim indifferentia tota vniueríalitas ruit, Tum tandé natura non habct vniucrfalitatein, nifi in fuppolit:onc fimplici, nam quando dicituc bomo eft fpecies, homo efl vnincr[alis, ly homo fa pponic fimpliciter, dta q» no defcédit ad fuppolita fub fotmalitate fpecici, et vniucríalis, (cd qf peraétualé kontractionem pra dicatur actu. de indiuiduis, non habet (uppofitionem fiampliccm, (cd per(onalem, verificatur enim de perfonis, et indjuiduis ergo in actuali iprzdicatione non habet vmueifalitacem. $4 Refp. hzc panter argumenta in gquiuoco laborare, ita,n, loquuntur de natara contra&a per icellectuim ad actu e(fendumin multis, ac de natura contraa à parte fci, cum tamen ambo hi tta-rus conira&tionis fiot intcr (e valde diuer fi; quando enim natura có;rcahituc à parte rciycum yna, et eadem ne;ucat efle fimul,& (femel ia pluribus, determinatur ad vnum, et fit illi propria, arque ideó in 1ali. (tatu realis contractionis repugnat àlii vniueríalitas ; qu&do verà contrahitur per inicllccti,cum vt fic obiectiné cólidcrara non vna et eademin plu ribus cumíola diucr(íitate numerali, tunc nen conideratar,vt coottacta ab vno folo, (ed ab omnibusanfecioribus fimul, et femel, itagy licéchoc, et illud cogítitaat, nequit camen dici ad vnum determinata, aut alicu:us propría, quia indiffcréter om nia refpicit, et omnia conít iuit ; et idco licét per cótra&tioncd rcalé amittat:mas tora radifferéuam potitiuam,. indeiceminationem cótrariam,nó camen per cówaé&tionen rationis, quz fic zQüalierad omnia inferiora: perlcucrante: Vnitate, 9 4ocmali eruidem natu zin omnibus -cepie; cx quo paret; quid dicenda ad à gula argumenta naui ad prima ttcja yera -ett minor denatura có:racta à pacte rei » falla:de ipfamet contacta pcc incelleGt s «Ad 4 ctló ex via&ualis.przdicationis maneat. yn 'ucrfale applizatum adynu:üy adhuc tamcn cx vi aputud;nalis remanet ad alia ind;fferens,& idcó cetinct vniuccfalitatem, vnde dum' dicimus Petrus. eft «bomo, ly homo non amittit vnuerfalitacmyyt enim eà amitteret; opus efTeccóns ceptum cómunem mutari in fingul . Ad vlcfillaett maiorquia natura retiogt vmucríalitatem eua in fuppofitionc abfoluta fub qua poteft &t ad indiuidua defcenderes et idcó fala eft quoque minor, | ucícunque natnra deand iuidui . pra dicatur, fitluppoGtio-pcríonalis y vr :conftar ex dictis Inft.tract.1, c10. 5 $5. Tertio tandem ob; jcitur, ad prabandü dici decfle patTionem vniuertalis; t dicita&um, non vecró aptitudinem quia pa(Iio proportionata vniueríali deber ctie rationis, non rcalís,at fola aQualis praedicatio eft relatio rariogis, pradicabilitas veró eft rcalis, cum talis aput :do cópetat natucz euam à. jure eds &c. Kelp. naturam cffe pratdicabilcm de multis, poffe dupliciter intelligi, vcl fune ; damenialiter, et remote, et fic cf quid cale, neque hoc modo cit pa (jo vniuctfalis; vcl formaliter proxi. y. c imme diaié ;'& (ic ett quid rationis &, vniuerfalis,vide rationem huius in » ci H. Dices nuilà dau rglatio rationis aptitudinalis,(ed quzlber cft actualis;cu ambo extrema habeant actualem cxittetiam obic&iuá ergo &cRel p.quicqu:d dicat Braíauol,q. 18, negatur adu. pium, nam (uo wodo dátur aptitudincs 1005 .potiun faperius, et «nfcriusnurcem actu cófcrriin roac füb:jcibiliss praedi«abiljs no vcró.in,ratioue actu jubiccti, et pradicau  et jo boc teníu collatio eoiü erit actualis, (cd elaüo apiudinalis . 46 Ex» TN pec" S ET x oc Quat De effentia U/niuerfLorie MIT. F6 Explicaà Voiuetfalis c(scn:ia, faci Je cft colligere germanam vniuc; (alis de Biitioscu, uod f. fit nun in multis eum. (ui multiplicatrone, Gr: dinifione, ac vcram eiusintelligentiam, quz talis et, quod per Ly vai ifitelligere'debemus vnitaré rationis, per S Vased pa uoca habentia folü vnitatem nominis, et analoga ; quando süt cürri £quiuocatione coniun&ta,quia de ratione vniuerfalis cít vt Gc predicarü vniuocü de fuis inferioribus,.i. habens rationé in fc vnam quo. modocunque hzc inferioribus .coueniat; fine effentialiter,fiue accidentaliter; dà tür enim, vt videbimus inca, vniuer(alía nedà e(sentialia fed etiam accideotalia ; et ratio-huius eft,. quia cum de tatione eniuer(alis fit, quód poffit effein multis; ffifi'diceret rationem vnam, (ecundü quà reperiatur inillis, iam non effet in multis, fed vna ratio efser in:vno ; et alia in . alio: ly im multis indicat quod vnitas vfilueríalis ton debet e(se numerica, ícd Cómunis ; tüm quia .yniuocatio proprié fpe&ar ad termini cómanem ;'tum quia vniaer(ale-dire&te o ir fingularis od adhuc magis declaratur;per part Yam à nobis additam ad maiorem fionem cum. fni Ó  di fiifione, per quam fignificatur narurá vni« uet(alem débere, quidem plaribus cómunicari, (ed cam fui multiplicitate', ac dic . uifioné numerali, itaquod cftó ratione eiufdem natura vniüerfalistformaliter, &.. effentialiter indidifie po(linc humana in-7 'diuidua dici vnus homo in coim-nuni, ve. aiebat Porph.totiescit. ratione támé-di"uifionis numcralisetiám in ipfam nacará redundanus pofsunt quoque d'ei-nó'tanetum plura indiuidua; fed étià plures hori Ws. Ex quo fequitur; vt docet Do&or hic fob I; et omnes E: áduert ác naturá diuinam;eftó de fa&o it tribas perfonis comungicata, díci noii poffe vniuer(alem y quia non eft cómunicata c maltiplicitat€ nümerali, fed vna, et cadé numcto elt jhronmibus tribus (uppofidis diuinis; qua etiam ratione req; forma eadem namero, fi poncretur a Dco. pec teplicacionem ín pluribüs fubiectis "5 -acquirerec vüiuct(alitatem, quia in €js nog iiec cum la; muliplicatione rimerali,  Facilé etiam eft ex dictis (adisfaced rc que(tionibusà Porphiexcitatis de vnie uerfalibus in fuo procem: Si enim prios Qquaratur, an voiuerfalia fint in rebusve potius in intellc&tu .i an fint entia reas lia,vel rationis e Refp.fi macerialiterfus mantur.f. pro naturis, quz denominarur vniuer(ales.süt in rcbus, (cu entia realia, fi verà formaliter fumantur j süt entia rae tionis, et tanti obie&tiué in intelle&u . Adüertendü tamen eft vniucrfale etiá ma terialicer fümptii poffe interdü císe ens rationis, cüemim vna (ecüda intentio pof fit (aper aliam fundari ex di&isdifíp. 3 q.8ar.2. poterit vniuerfalitas ipía appli cari etiam entibus racionis, et ita euenit c&entia rationisad inftar realiü à fuisine ferioribus abftrahuntar, et iterü ad ip(a cóparantur, vnde vniucrfale dicimus c(se enus ad quinque vniuerf(ilia', vt infra. Sí €cüdo quaratur; an eniuerfalis fint cor, porea, vci-erorporea? Refp. formaliter Süpta'nec corporea efse,necincorporeaj cum ita nom fint nifi quadam (ccü is ine téciónes haic, vel ili natura: affixa: ; ma tetialiter veró ; quia tatio yniuet(ali limitatur ad naturas. corporeas, vel i cotporeas, cosíequenter et corporea, et incorporea eíse pofsüt ; et etim ab his abfirahentzà ^ quandoq, qtidemi per iriediffcrenriaii; quàndoq; vcro'etid per ef fcritiá; quando natura, qua dénomtmatue vniuér/alis, ef córporea, tüc vniuerfale corporeü ctt ; vt homo refpectu Petri, et Pauli; quando eft. fpiritualis, tüc eft ine corporcü,vcangeliea'natura refpe&tu Git briclis;& Rajfhaelts;quando nec eft cora porea nec iricorpotca formaliter, fed Ve trümd; perari (Hrué; vt fubftantia, quz cft ápceXin primo predrteamento,tuünceft abe ft rahcus ab vttoq; per indifferétia, quia et hoc; et illud else poteft; efto: fit £formaliters. quando tanídetri bens denominata elt cüsrationis | gy nec cor^ porcuin, nec incorpoream efie r dix fiit differentia ens realis tune ni verülediciuir abítrabens ab vtroq; no pev indiffcrenciá, (ed pér elsenciam, quia Alla: acgationes ei conuemiünt c(sentiali &cc «$1 tandem quafarür y anvniucefatia 338 fint in fingularibus, vel potius ab eifdem feparata. Hefp. materialiter fumpta effe in fingularibus, formaliter veró accepta poffunt aliquo modo dici ab eis (cparata quatenus vniuerfalitas eft ens rationis habens tantum cfíe obie&iuum in intelle&u; adbuc tamen etiam in ifto ftatu di«i potlunt cum fingularibus coiwn&a per intellectum ; quia conftituuntar' per cíIe jn illis 3&u, vcl aptitudine . $8 Eodemt modo alijs quibu(dam quz(itis de vniuerfalibus potcft (atis &iz,vcl accidentia? Refp. formaliter fampa, nec effe fabftátias, nec accidentia. realia, dici tamen poffe accidentia ratio wis, quatenus funt fecundz intentiones, quz funt relationes rationis ; materialit€r vcró accepta, et (übftantias cffe po(fc, et accidentia, et ctiam ab his abítratia, intentio enim vhiucr(alis fandari poteft (uper naturas fübftantiales, et ac«identales, et pud formalitatesctià ab bhisabfteahentes, Si quzcatur an tint tec 'ha,vcl cemporalia? Kefp.formaliter fumta non cfe aterna,tamdir enim funt,quàintelleQtu fiant ; materialiter veró fumpta, quantum ad exiftentiam adhac terea non funt, quia cam hanc habeant án fiagalaribus ad corum corruptionem elcíinun:; dicuntar ergo terna quantam &dceTentiam ; tum quia non (uot in poAétia propinqua ad corruptionem, nifi fn: in cífc exiltentiz, vt Do&.docet 3. 1).22.q. vn. G. tum quia quantum ad efie potlioilc (emper talia fuerunt,& erunt,vt «locct 1.d.36.q.vn.& d. 43.tuimquiaquaNum ad pradicata complexa, quz ab exiflentia non pendent, femper talia fucco 3K crunt,quia etiam fi non exi(lerent finria adhuc talia przdicata fibi debita » dcftra&is.n. omnibus indiuidais -bumanz | fpeciei, vcrum aihuc eífet di«cre hominem effe animal rationale, vc slocet 1.d.3.q«4. I. et k. quia verbum eff Wn his propotitionibus non dicit exiftenextremorum, fed neceffariam cónexionem inter illa. Scd dices, i yniuet(alia queres funt, cecté alicubi permanere bat fi nulli effet fingulare, vbi ccá:? Befisen Do6.cir, nallibi actu erum, (cd -ficri ; nam fi quaratur, an fint fübítà  nerf; Difput. IP. De Viineifalibisin Commhni. obic&iué folum in intelle&u diuino 4&8 cognofcente cis effe debita huiufmodi . przdicata,& cü his coiungi debere, quàdo ad extra producantur in agulatiuus, Qv &STIO III Ter quam operationem intelleus fiat   vniuer(ale in aGiu . 9 : ftione có, quod tota anima(t:ca fit, (ed quia malcü cofert ad noritià Vni« alis Logici, eam difcuticmus non ez profeffo, (ed (olum quantum patitur Loen inftitutum. Pro intelligentia tituli b m eft ex 3.dc Anim, plicem in nobis conftituiintelle&umyvnum » alterum patlibilem, feu poffibilem ( fiue formaliter, fiue folum rationc diftindtos ) cumenim cognitio €x potentía, et obicQto generetur, vt fusé Do&or 1.d.3.9.7. et nequeat obic&ü materiale immediaré recipi in intelicctg pet fondi eniin niei fuit, vt in eo reciperetur per fni fpeciem,& fimilitadie nem intenti » vnde dicebat Arift, quód lapis nó eft in intelle&u, fed fpe« Ibenter abftiteremus ab hac qu£, » cies lapidisque cft accidésquoddamges   rens vicem obic&i& illud reprzíentans. Verüm licét (pecies fenfibiles ab obic&tis externis totaliter imprimantur. in fenfis bus,tám exterioribus, quà ioterioribus quia et ipf funt adhuc materia cor porca, ideóque opus non fit aliquo séíu agens mui cum illis obie&is fpecies (cnfibiles comproducat, tamen quia fpecies iftz non (unt intelle&ui proportionatz, : vtpoté n cít potentia »: fpirita » pU ac proinde non receptiuus fpecierá, ni der ondas 5 ideó vltra iütcl. &um paflibilemqui talis dicitur, quatenus cít (pecierum » fuit opus alià conítitaere iutelledtiuam facultat£, quz cx (pecicbus fentibilibus (piritualem, ac,vt vocant, intelligibilem fpeciem cliceret, et intclle&ui po(fibili imprimecet, àquo munere producendi fpecies intelleus agens. eft appellatus, de quo fuse Do&or 1.d.5.4.6.& quol. 15.quia obie. €ta (cn(ibilia non poítunt feipfis produeere fpeciem fpiritualem faluim totaliter. 6o Ru T--i DEL   0 onus. LIT. Quo aC Vuiuerf. fiat... 76e Rurfus ex di&is difp.przced. q.4. ar. 2. et q.8.ar. 1 .recolédi süt varij aus, quos circa idem obie&um potcft habcse intellc&tus polffibilis; poteft. n. in pci. mis habere actam abfolutum, quo fupra 1€ abfeluté fertat non in ordine ad aliud ipfum con(iderando, qui etiam fubdiuitür in rc&ü,& reflexü, vt ibi dictü cft ; poteft eam habere aGtum collatiuum, . que rem aliquam, non iníc, fed in ordific ad aliam confiderat, qui rurfus fubdinidirur, nam alter terminatur ad res, vt $nuicem comparatas in aliquo attributo eis coneeniente ex natura rei in foo Ordine y alter vcró terminatur ad res', vt inuicem comparatas in aliquo attributo rationis, et ruríus actus collatiuus tàm primi, quàm fecundi gcaeris duplex eft; fimplex, et compofitus; fimplex eft, quo concipitut vnum jn ordine ad aliud finc aliqua afficmationc ; et ideó pertinet ad primam operationem,poreít .n. et ip» fa implex-apprehenfio e(ie. comparatiuà, vt docct Scotz2.d.6.q. 1. ad 2. et bene declarat P.Caucl.q.8.de Anim.n.5.quomodo rclacionem ipfam (emper apprehédimus; cópotitus veró eft;quo intelle&us ita vnà ad aliud cóparat,vt per actua lem przdicationé vná dc alio affirmet, 61 Qraftio ig tur fupponit ad intelle &ü dütaxat fpe&tare vniucr(alis cffcctio nem, fen(íus cnim, quia eft corpori aí(fiXUS, nequit naturam attingere, nili fub conditionibus. indiuiduant tempo, ris.locis&c. vt dicum eft q. r.art. 2. n.a fol.ad 2. idcóque vmueríale cfficeve. ncuit,quod abf rsh t omnino ab his cónitionibus «. Ncc alias pofle cfficere faltim ta!c vniueríale, cempe fenfibile ; abendo quidditatem. rcrum | fen(ibiYe Quia et ipfa natura rerum fcn(ibiiam 1i (ccondum (c confideretur, non amplius cit (entibilis, licec fit quidditas tci fenübilis, ratio cft, quia fenfibilitas nedum oritur ex tali qu:dditate;fed etiam € €o, quód fit immería ceteris condi! 1nd;uiduanibus, vt reété aduerut Faf.ualig.cir.difput. 19. fcc. 2. vbi de rc agit cx profc(To ; lupponit igirur quaílio (vt d.cebamus )(olum intellc&tü cdiccce vniueciale, et qu&iit » cuius in 389 telle&us (it hoc munus, num agcotis, vel. potius poffibilis, quàd fi ad po(libilem pertinere dicatur,quzit vlterius ex aul tis a&ibus, qaibus (e poteft exercere circa aliquod obiedtum quem adbibeat. ad vniuerfale conficiendum . STU | 6» Hinc variz sütexortz opiniones;, Quidam enim aflerant hoc effe munus. intclle&us agétis,quia putant ipfum cam. phantafinate,ncdum fpeciem intelligibilem fingulatis producere, verü etiamfpe cies magis, et minus vniuerfaliü inquis, . bus proinde narura rclucet denudata à, conditionibus indiuiduantibus,ita Auer. 1.de Anim.com. 8. D. Thomas 1.p.q.8 f. act. r.Caict.ibidem,& de ente, et eflentia. cap.4.q.6.Sot.q. 2.vniuerf, Zumel.1.p.q.. 13.art.7. Mafius fec. 2. q. $. Flandria 3. Met.q.5.art.2.& alij Thomflz quápla rcs, et ex noflris Orbeilus initio przdicabilium.Faber 4, Met.q. 9.c. 4. citans Do-. G&orem ry. d. 3. 3.6. Alij é contra vo-. lür,hoc effe munus intellectus podfibilisy fed adhuc inter (e difctepant. ; nam affe-. runt multi fieri ab intclle&u poffibili pet. a&um abíolutum,quo naturam parícinas do à fuis inferioribus concipit quoad fua: prz-dicata qu:dditatiua;quem proinde vo. cant a&tum abtira&tiuum, fcu pracifinüi intelle&us poffibilis, vade hzc fecunda. opinio parum differt a prima, quia vtrae. que confentit vniuer(alefier: per ab(lra-. &ioncm ab inferioribus, et folà di(cres» pant de potentia abítrahente, hac vulc. effc intelle&um agentem, illa poffibilé ; ita defendüt Au&ores cit.q. A jen qui. ftatuebant. formalitatem. vnluerfalis. in abíolui0,& Capreol. 1. d. 8. q, z« art. 3«. Haru.c.1. de fccund. iotent. Conimb. qe: 4. Vallius dc vniuerf.in communi q.4 C« 9. Pctron'us lib.4.q. 1.ar. 6. Serna difpe 1.fec.4.q. 7ar.6. et alij. Tertia fententia. docet vnimeilale f eri per a&tum. collatis, uim, quo natoia fata vna. per abítrae, &ionem, et policiue indifferens cogno», Ícitur pluribus inefle cum tali nitate. 2» vel f'altim fic apia ad inc(lendum, ita com. muniter Scouitiz cum Do&tore 5. Mer. 11.& Eib.7.q.13:56 i0 1.4. 3: q 74. 4 1. q 2. et ex prote(fo 2.d 1 vbi cius Expolitores pta ertim LishetS. rct, E E . Tromb.7. $98  Difpu.IV. De Voiuerfalibus ih Comi : do " s. vue, Er 7.Met. « Bargius t.d.3:9.6:$. Ex alio memMidQuuc: 3» Q.6.diff.3 . art. 2, 'Mcurifle ldc.cit. Merin.di(p.2.dc Vaiuerf. q.1.1t€ ex Thomiftis Complat.difp.3 ..6. Loan. de S. Tho.p;2.Log.q. 4.art.2.Sanch.q.58. Vniuerf.Soncin.9. Met. 27 .£auet S. Tho. opuí; 55. &1;p.q.28. art.1. q. 7. de pot. art. 1.4. Met.le&.4.& -Pecibet. le&.10. Jtem Kecentores ex Societate, Kuuius q.5-& 6. Vnerf. ies ^ Up 6.concl.6. qui alios citant. Mor f.diíp. 1. Log:q.8.& Blanc:(upracit. V erüm neq; adhuc Au&orcs cit. omninó intere coucniunt,gnificant .n. aliqui hunc adtüm «ollatiuum efle primi generis, alij infinuant eífe [ccüdi ors (nam te vera in. hoc puncto non fe fatis explicant). Rurfus quà plurcs volunt hunc actü collaciuü effe fimplicé (pe&tantem ad primà opt: ratione, dli] inquiunt effe compoficü fpeétátem diecindi, et ita defendunt quicunq; contendunt c(fentiá vniuetfalis cófi (tére in aduali prezdicatione de multis. 63 Demam nonulli Moderniores voJentes relatas fententias concordare, diftinguunt, aliud effe vaiucríale fieri ab intelle&u, et aliud cognofci, vt vniuerfále ; fit .n. pet fimplicem ab(tra&ionem abíque aliqua comparatione, non tamen cognoíci poteft,vt vniucr(ale;nifi per co iti atiam, quia debet co gnoíci cum ordine ad inferiora Sed hzc. concordia parum valet,quia ens rationis, quale ett vniueríale, vt hic de co loquimur, non hábet, nifi effe obie&iuü in intclletu -non habet autem cale e(fc;ni(i ex vi alicuius cognitionis, crgo tunc fit vni. €, ratim:loquendo fieri: entis rationis El cortofcile intantum fiunt, inquantum cognofcuntur,.vcdi&tum eft diíp. 5. Q4» att. 2, ergo prorfus incpta:elt hec concordia, ac proinde ipfa relicta . 64. Dicendum eft vniucrfale in actu nó fieti per a&tü intelle&us agentis, (ed poffibilis, non q uidemabfolauim, fcd iuum, non compofitüfed fimplice, et hunc non primi, (ed (ccundi gencris. Conclufío eft Scoti  et Scotiftarum loc, iter, Ant. And. j. M«t. 26. qaando coguofcitur. ;'tam quia. cit. qunad.ocs partes, /& quoad (ingufas probatut. Primó non fictipera&umius tellc&us agentis (ed potfibiliset alia lo» «amittamus,docct Scot. (pc cit. 2. d. 3, Q1 fub H,ibi .n.ex profe(fo impugnar il. lud di dintellcétus agens faciat: vniuer(ale illis vcrbis ; ex boc apparet: improbatiosllius di£it quod intelletius. agens facit vnuerjalitatem in rebus per. boc, quod denudat ipfam quodquid eft inpbanta(mate exiftens, dc quo ftatim: infra concludit, quód in intelle&u agéte munquam «efl tale, cui potentiaproxima conuenit dici de quolibet,fed tantum e(l 4n potentia proxima, vt est inintelletiu pffibulg& probatur efficaciter quía opi mio aduería 4dcÓ flatuit vniuerfale fieri pet perirsarmyr Vua quatenus arbi. ratur ipfum ita dbflrahere fpecies intelligibiles ex phantafmate, vt naturam de. putet, non tanrum à materíálitate, (ed éc à i indiuiduantibus, ita g» in tury athocfundamentum eft fatis dubiüs quiavtdicemusinlib.de Anim.probabie    lius cft fpeciem produ&am ab intelledta.  agente reprzíentace naturamadhuc.cum. conditionibus indiuiduantbus, quz im phantafmate-reluccbant ;.& intellectus offibilis fit ille qui cam vltcrius abftrae darácoditionibui illis,ita quod fpecies, et phanta(manondiflinguantur cx obic« &o repraríentato;fcd ex propria entitates quód phanta(ma fit ens corporalej& fpes .€ies intelligibilis (pirituale,"vnde intantü intelle&us agens .dicatur abflrahere à «concrctionematceriz, inquantum produ« cit fpecies (pirituales ; hzc enim ett ma^ gis recepta dcétrina dc intellectu agéte, quam docuit Scot.4.d.4$.q.3. Ttotibgs . Mct.q.7.& 8.Bargius cit. et alij Scotiftar,, qui paffim «cum 1pfo dicunt intellectum. agentem vtique transferre obiecta dc or« dine in ordinem, .i. cx otdine materialiü .ad ordinem 1mmaterialium,non tamcm ex ordine fingularium ad ordinem vni« ueríalium ; et idem cum Scoto docét alij cómuniter-A mic.cit.art. 3. l'a(qual.(cc.3« Auería q.8.Blanc.cit. cum coeteris. Ac« cedit,vt aduertunt omnes hi Auctores, gr ctiam dato iniclle&tum agentem  ab: firaiefolanaturacomunisreprefentee  bá ey Dii sd "étz8 fftahete fpeciem, vt etiam depuret natutámà condicionibus indiuiduaritibus, adhac tamen non dicetur efficere vniaerfalc 4n a&u,quia tora eius efficicatiatermina'tur ad illam fpecieni;qua eft quid fingulace; poterit igitar ad fummum dici intel esiceduul paio ue tntádo quaténus i yqua ex byiotlicf eft reprafentatiug vniuerfalis, aut vniuer(ale in libitu ; quatenus at medium y quo vniuer ale in aapo. poffibilí j dum illi ger fpeciemi obijcitur ; vt docet Sin hun fenis iren $ o: füám, et Caict, cit; pro prima opinion coniu doaside S. Thom, &dlij Re tiores Thiomi(ia. 6$ Secundo quód nó fiat per a&ü abfofutum, et przcifuum intelle&us pot fibilis(ed collatiuum, eft Scot. cic dum ait vaiser[ale in au e(fe illud ; quod liabet vuitateni indi, d y fecimdum iffuni idem ef in potentía proxi3t dicatur de quolibet fuppofito y fectitidim mentem DoGoris «inc fit nattita a&tu. vniuerfalis, quadido iam faGa vrià,& indifferens pofitiué per abflra&ionent poftea comparatur ad infetiora in ratione participabilis fimul ab omnibus, et de omnibus pradicabilis q» adeo clarum eft, vt nefciamus quo verbo Dod&oris ibidem motus dixerít Pafqual. eit. ipfom inibi fencire, qy vriiuctfale frat pet cognitionem pure abítraGtiud ; plané Pr ot ibi vult vniuetfale ia acu. effe s&dicabile de rnultis ; et nà poterit hoc i pet itioné pure abftractiuá, j: natara fic abftra&a qon eft de alio predi. cabitis,nó. ni. dicimus Petras efl bumanitat. et igitur, ve natura per a&tü abfolutà abítra&ta ab indiuiduatione, quz ipfam ad vnum deut inabat, fiat cócreta pet tefpectü ad ififctiorasquod fier; ne (ine (upetueniéti a&u collatiuo.Neue dicas pofita tali abftractione racurze jm in €a refultate re(pc&um ad inferio ta je interuentu noui a&us, qui collatinus dicatur : Hoc enim proríus voJuntari diceretur j tum quià ex Vi a&tus abftta&iui potius tollitur à naura quilibet refpe&tus ad inferiora ; quàm po0 Sesduafl IT. Quo aGbw fier Vuiuefale?  sor natut ; tum quia relatio rationis, et fe cunda interitio ; qualis eft vniuerfalitas y non làbet effe per refültantiagex vi pofitionis extremorum y fed ex vi cognitionis, et negotiationis intelle&us ex. dictis difp.3.q.4.ar.2. Ratio antem à priori huius atlerti eft; ; quia vniuerfale definitur vbum in multis,ergo nequit natura. hanc vniuerfalitatem recipere, nifi conicípiatur in ordine ad multa y fed hoc fieri nequit pet abftra&ionem y quando .m. ime telle&as naturam abftrahit, potius illam fegregat ab inferioribus, $ àm concipiat illis comimüriem, crgo id fit per comparationem j prob. min, aliud .ni. eft conci perealiquid in alio, aliud veró concipexe aliquid fine illo, vel non cum illo, per abfira&tiotem intellectus concipit natüirarh don coricepto aliquo inferiori, et» £0 per abítra&ionemi nequit natura vniuer(alisfieri, et hac ratio vrget tàmi de abftra&ione facta ab intellectu poffibilijquàmi ab agerite 66 Tertiosquod fiat per a&i collatiad ficiplicei», nó compofita, fequitur ex extent Dod adum prd gp €x fent. .à i fiere nát pr i iaiplceft veluti exercitium pradicabilicatis, &c vt aiürit Complut, potius faci przdicatumy quá ptzdicabile ; pradicabile verb ponit voinerfale tám a&tu conttitutütri s üid efteus ) send, €rgo a&ualis pr&duo; quz fit per comparationem comofitam ; fupponit iampridem vniuerfa^ formale conftitutum . Accedit, quod eft5 per a&ualem przdicationem comfurgat aliqua relatio rátionis, heec tamen ad vniner(alitacer (ufficienis rion eft, quia vniuerfalitas refert naturatm ad multa» ficceffarió,alioquin vniuerfalitas non effct, ar przdicatio actualisex di&tis ibz art, 4. indifferenter refert niuerfale adi vnum, et ad plura, loquendo praferti dc pr dicatione exercita, ergo non et fufficiens ad conftitiéndum vniuerfale imb ait Do&ter q. 16. vniuetf: per Bag przdicationed actualem pótius exttabeari à nanura relationem vriuerfalis quàin conftitui ; ob rationeti allácam' . Quarto tandem, quód vaidérfale fag per 392 gera&um collatiuum fecundi i$, fion primi, conftatex ditis difp. 3. q. 8. art. 1. vbi diximus fecundas intentiones, dc quar namcro cft vniuerfale logicii,, per talem actum collatiaum ficri; Er fi. cutibi diximus fecundam intentionem actum collatiuum accipere tantum effe materiale, et dereli&um ex illo codem a&u in obicéto comparato, eífe au tem rationis formale, et actuale recipere per alium actum reflexum, quo illa.» extrinfeca denominatio comparati con€ipitur in obic&to comparato modü i relationis ad aliad obietü, cui comparatur 5 fic in propofito cü dicimus . vniuerfale accipere effc per a&tü collati. uiid cft intelligendü de e(fe materiali, ac . dereli&to rationis, quia efle formale non i niti cü intellc&tus reflc&és fe (u4ptà naturà comparatá in attributo rationis ad inferiora;cócipit talé comparationem in natura ad modum cuiufdam vera relationis ad inferiora terminatam. 4, $7 Inoppofitü obijcitur r. vniuerfale kids fieri ab iptelle&u agente ; tài quia ; Vt ait Faber cit.eft expre(là Scoti fenten1a 1.d. 3.9.6.6. Contra ifl am opinionem, vbi ver(ZNpba arguitur bic habet Do&or, quód in fpecie rclucet actu vniuerfale, et 7-Met.q.16: manifcfté declinat 3d hanc partem 5 Tum quia id (uadet ratio, nam wn;ucríale e(t obie&umincelledus. poffi'bilis,fed talc obie&um praeparatur ci ab Antelleu agente,dum LI ab(trahit à phantafmatibus, et pre cedit quécunque a&üintelle&us potTibil:s,ergo &c.Refj. textum à Fabro citatum fignari pro exAray& quando etiam conccderemus intel. Ae&tü agentem tales ab(trabere [pccies, mon fequitur ip(um ob. id proprié facete vyniuerfale, (cd g» former fpeciem,qua mediante poffibilis inteilc&tus naturam intelligens Gne indiuiduatione formet vniuerfale, vtíupra dedu&tuin e(t,& in hoc fenlu dici poteft in. fpecie relucere. ada vniuer(ale,quatenus nimirüm in ipfa obie um cít actu infpe&um ab. intellectu Eae mel egiosin prt ird ni(i ddy: I itu. Ad locum ex Met. ait bands rius ngularibas, quia fit per abitractióDifyut. YV.. De Vniuerfalibus in Commumi . nem(ed in 2.d.5.q. 1. faam docuit 4. dez inde, quod in Mct. loquitur fecundü tenentes;quód intellectus agens cauíct coitionem,quod cómaniter infua Schoa non tenetur, et in 2. loquitur fecüdum aliam viam probabiliorem ; demü ait 9» in Mct.loquitur de vniuet(ali habituali, quod cft (pecics intelligibilis, et in 2. de vniuerfali a&uali. Ad tatione ià diximus q-1. art. z.in fol.ad 1.vniuerfale fandanie taliter tantum efle obie&um intelle&us Ji.naturam,vt à fingularitate. prafcindit., vel precifione negatiua, quomodo prz-fcindit à parte rei, quatenus formalitas naturz non eft formalitas hzcceitatis, yel przcifjone pofitiua, quomodo prz fcindit cam per intelle&um (ingularitate denudatur ;» qua etiá re(pontione vtantur .Complut. hoc tamen non c ft intelligen. dum cum przcifione., qua(i intellectus nequeat cognofcere etiam fingulare,vt in lib.de Anim. dicimus ay 68 Sccundo, quàd vniuecfale fiat . actum abftractiuum intellectus poffibilis,nó comparatiuum;quia yniueríale debct effe vnum;fed tale non ctt;cum conci pitur in mulcis,quia fic e(t multiplicatum, et diuifumyfed us quando abítrahitur abillisergo fit peractu abí(ltracciuum; nO  comparatiuum « Tum 2.quia nili natura non pra (cindcretur à differentijs, oüuá,€am vnitatem, et indiffecentiam acquirereret; quz ad vniuer(ale defidcratur;ergo actus abítractionis eft necc(farius ad vni uerfaliratem. Tum 3;vniueríale ett vnum aptum in multis, at natura habet vtrüque ex vi lolias abftractionis ; habet vnitaté, vt pater, habet etiam aputudinem finc interuentu alterius actus ; quia banc habebat à partc rei,fed remotam, et impcditam à diffcrenua indiuiduali, tale autem impedimentü olg per folam abttracuoncm,& aptiuflé, quz erat remota, fitrproxima. Tum 4 natura fit fingularis ex vi diffcrentiz contrabentis, ergo fict vniuerfalis ex vi actus praticindentis illam à tali differentia. Tum 5. et 1. Poft, «& 1. de Anim. vniuerile dicuur, pofte'€it.primó,quod Do&orin Mcr. cómu ncmab cis,yt omncs exponunt. hem yine temporis fecutus eft opinioT 69 Rclp.non folá debere effc n, v JOE o  D nmn amDet M? j: 0 Quafi. LIT. uo ali fiat Vniuerf. fed vnumin multis ; quod non habet ni tura,cum pracise intelligitur à fingulari busabhiradia » quomodo aucem talis vnitas vniueríalis coafi (tat, nedum cü apti. «udine ad effendum in mulis, verum etia cum ipfo a&u, fatis explicatü eft q.praced.art. 3. przfertim in (ol.ad 2, Ad a. vc. ram e(t a&am abftra&ionis nature à ftatu exiftentiz, et contra&ionis realis ncceffarium effe, vt przuiam difpofitionem ad vniuerfalitatem inducendam, vt nimirüm natura, qua à parte rci erat vna omnium per folam indifferentiam, pott abfira&ioner fa&am concipi poffit in omnibus vna per incxiflétiam a&u, vcl aptitudinc faltim, per qué actü proprié natura fitvniuerfalis,vnitas .D, natucz, vt eft vniucr(alis,non eft vnitas abfoluta, fed relatiua;, non ergo negamus abflra&ioné fuo modo concurrere ad vniuer(ale, (cd dicimus pet ipíam non compleri, fed Lus percomparationem. Ad 3.aiantc Recentiorces nacurà à differentia ab(ira&tam non effe comunem ; et aptam ad efTendü in multis pofitiué, fed tantum negatiue, quatenus non eft ME tate; atque ideó non císe vniuer| quia ad hoc requiritat communitas pofitiua . Nos concedere debemus etiam pofitiué e(íc cómunem, hanc enim aptitudiné adfcribimus naturz ctià in ftatu realis exiftentiz licet remotam, et impeditá à dif. ferentia indiuiduali ;jadhuc tamé au vniueríalis dicenda non eft,quia nondü concipitur apta ad effcndü in pluribus fimul, fcd «in ditiun&tim, concipitur aüt fic apta p«r nouam rclationé rationis, (quia talis aputudo ncquit cffe realis ) et tunc dici potcft vniucrialis inactu, vnde ad vníuerfalitacem rcquiritur, vcl quod fit a&u in oultis, vel faltim apta ad effendum in illis cóuun&tim,quz aptitudo nó habetur ex vi. folius abftractionis ; fed noui actus i cmd Íuperuenients, per qp patet | Poncium;qui ob predictam rationem 4ifp.5. Log.n.74. probabile iudicat natuTam fieri potie Logicé vmuerfalé per folam e:us abftr;étionem à differentia indiuiduali, qua co 1o ccníctur in potentia proxi ma v poffit przdicari dc pluribus; € intali (tatu fit, libera ab iopeii&Sica. 393 mento fingularitati$ .. Ad 4. patet ex di« &is q. preced.art. 1. in folut.ad t. uomo do natura ex vi przci(ionis à differenria con:rahente nó fit vniuerfalis, niti fundameataliter, quad non tranfccndit limites vniucrfalis metaphyfici. Ad . patet ex di&is abttractionem cócurrere ad cóftitucionem vniuer(lis, vt excludit concre« tionem rcalem naturz cum fingularibuss quia talis conctetio, et cótraétio vtique tollit vnitatem naturz, qualis exigitur ad vniuerfalitatem, non aut concrctionemy fa&am per intelle&um, et fic loquantur Expofitores ;jn eum locum Arift. dum aiupt vniucrfale ficri per abftractionems alia argumenta ad hoc facientia vide qe praced. art-i, cum folutionibus . 7o Tertio tandé, gj nonfiat peractü collatiuti fimplice, fed cópofi tum ; Pro» batur, quia nequit intelle&us comparare natuià ad indiuidua nifi cognofcat in eis. efíc, et eis couenirc, fed nó cognofcit cis: cóuenire;nifi quatenus ficatur de illis y ergo fit vniuerfalis p cóparatione copolit,nó aüt fimplicé,cü hzcpó detur, quia nullaróne ficri poteft naturá concipi vt conuenientem multis, quin cam de illis multis i éd, Sc rMtin alberi coue-. nire ;nifi per affirmationem. Confirm, quia ifte a&us comparatiuus, vel attingi naturam effe in multis a&u, vel apti ne tánt i, nen fecundá, quia ralis aptitudo ponitur in natura per folü actumabftraGionisque virtualiter eft cóparatio, hoc ipfo, quód naturá relinquit aptam ad fua inferiora,ergo primü,fed non intelligitur natura au in multis, nifi per a&ualem pradicationem de illis, ergo &c. Tandé per honc actum collatiuum natura c ratur ad fingulatia,vt fuperius ad inferioe rà fed inferiora conftituumur talia actualem inclufionem fuperioris, quae fit pradicando hoc de illis, ergo &c. : 71 Refp. comparationem fimplicem fpe&antem ad primam Ros ccel d in&am à compofita,qua fpe&tat ad fecundam, plané negari non poffe, vt dixe muscx Scot,2.d.6.q.1.ad 1.cuíus doctrinam reci piunt omnes ([ppracic.Au&tores, tum quia fimplex apprebenfio non(olum shiesinoi dedi opo dais 394 vt patet, comi 'intellc&us ad ptolationem icuius propoGitionis dubia concipit vtique predicatum in'ordine ad fübie&tü, fcd non progteditür vlterius, quia dubius eft, an debeat affirmare, vel negare, et hec vocatur compatatio fimplex, vel cognitio vnius in Ordine ad aliud abfque aff&irmatione,' vel negatione 5 tum etiam quiain feníi ion eft operatio enunciatiua, et taineri oculus cernit per fimplicé ibcuitam albedinemiin paricte,z ftimatiu4 ouis cognofcit inimicitiam in lapo, et fen(us communis difcernit inter obiecta: fen(uum excernorum ; at'hec nor poffnnt cognofci fine aliqua faltim virtuali'comparatione,tam demum;quia intelle&us attiagit fimilitudinem duorum alborum per finiplicem: intaitamr extre morum relatorum abfque aliqua affirmationc, ergo: fimplex apprchen(io comparatiuanegar; nequit? An vero in hàc tfimplici comparatione: plurium adinuicem: artipgatu? cohucnientia y vel di(conuenientia coruin:ad' inuicem, quidami ne-; gant, vnde in propofito cam'intelle&us: efficit vniucriale comipatando naturam ad inferiora, concedunt intellectum nom aninpere conueniétiamfuperioris ad infetiora,, putant .p. id fieri non polic (ine ... €omparatione compofita, ac enunciatio«  ni, Sed adhuc dicendum ett in (implici »paratiene plurium ctiamconuenientiam;vel diconuenientiam corum attingi offe, nam in excaplis allatis ouis attin 'onüenientiam cam lupo, et intel conluenientiam ioter duo alba per aplicem intuitum; igitur ad argumenAum rieg. min. potet.n. natuta abftra&a .&9ncipi pluribusconuenire coniancti my et aptitudinaliter, et a&ualitet 9 et vtrais tenetemus: vniueríale conitui per folam conuemientiam aptitudixalem, fané argümentüm nollam vim ha beret ; conftat .m. dari talem conucnienuam faperioris com inferioribus ab(que iali praedicatione | .. 21 Ad 2. dicimus pera&tü comparaeos fufficit ad vaiuer(ale ; et .cummultis Viam fimplicem vtroque modo factum gefaliae voiucr(ales& Éil(um cff,cum atUungitug natura aétu ib gnultis » id ncccí, a 4.! "Difp. I. De' Pniuerfalibus in Communi . fari ficri debere per a&aalem praicaz: tioné, vt uet ex modó didis, (i cut etiam: fal(um eft, vt atringatar aptà c(lein multis (imul, et coniun&im, (qualis cft aptitudo ad vnidéríale requifita): fufficere folum a&um abftra&ionis,' quia licét ex tali actu aptitudo remota, quam à partc rei habebat naturáad multas difiu im; fiat proxima ex remotionc hzcccitatis facta per abftrationem, et in: hoc fen« fa aptitudo proxíma ad multa ditiu&ctim dici poffit refultare in natura. ex vi lolius abitractionis, taméaptitudo proxima ad multa coniunctim non hibetur, nifi per faperüenientem: a&lum comparatiaum y vt in| rc info ad 3: dicebamus; ncc abítractio dici poteft virtualiscomatio natut ad niültà hoc fecundo mo o, nempe ad aiultà coniunGiim, quia a €ay quz per cogáitionem habent effe, nà (ufBicit vittualiter cogno(ci, vt a&u dicantur hàberc effe, (ed foluin habebunt: effc virmalitery et iri potentia . Ad 5. pa« tet ex dictisart.3.q. praced. in fol.ad 1. ad formalitatemr inferioris non.neceffa-: rió requiri: a&taalem' inclufionem (uperioris, vel fufficece aptitudirialé ; et quà, do'etíam actualis nece (Taria foret, falsi . cft hanc fieri per: a&um ptz dicandi (ufa ficefet v p ins  ui 74 Ex didiiscollipi poteft;quomodo! fiat natura viiuerfalis: formaliter, primó: -n. apprcliendit intellectus tingularia, ac realem eorum conueniétiam ;; deíndé abftrahit natutam illam jqua erat ratio:conuenientiat inter illa, abfiractio ; licét in huncmodum: regülariter fiat,' ab(olus tà tamcn fierictia poteftab vno folo fiagulari, confiderando nempé naturam abfq; expre(fa conlideratione tatis indiuidui, vt diximus arr. 1. q-przced. in fol ad 1.ad vlt. cóf« Tertio coparat naturam. fic przciam ad indiuidua inaliquo attributo rcali, quatenus illam; nouit 2qualiter. párticipabilé ab-omnibus difiun&im talis.m. aptitudo: in natura ad eífendum in multis difiundbim realisct, quia erac ctíam in natura artc przcilionem y licet: non proxima, et expedita ob impedi, tum diffcrentig indiuidualis, et talis cit aétus colliuus primu gencris« Qoa: vlte 04 ) ut o Quafi. IV. ue Natura fondem Voinerf., L 4  reris pop litat eam comparádo indiuiduis,velüx omnibus communicabilem coniun&tim, et fic; conftituit vn uerfale formale jn actu primo, et hic cft a&us,€ollatiuds fecimdi generis; quia talis aptitudo proxima ad eflendü in multis con| iob&imnon eft realis,(ed rationis. Quin. 1ó rurfüscomparat nauiramad indiuidua . comparatione fimplici concipiendo illa, vt vnam formáliteria omnibus per inexificntiam,& tolü numerice diuifam,& tjc .€ottituitor vniaerfale foripale in a&u fe. ;cüido,& hic etjà a&us cít cóllatiuus fecü, di generis,quia talis a&us ine(fendi naturz-in omnibus pet. inexiftent/am non cft à parte rei, (cd omnino petintelle&tum, "Sextotandem, quia in tah flatu eft.proximé przdicabilis de. omnibus, quibus ineffe cócipitur y exercet ralem vnjuetíalitatem cóparationc cópotita, dum illam : »yüam naturam méte concept enüciat de "fingulis przdicatione dicéteshoc ctt hoc.Quibus Netiis pe[fit applicari intentio Fniuer[aliratis,. : ; D refolationé haius fiti duo " A. dubia funt hic duicorienda. Primum ett, an vaiuct(alitas conucnice poffit nature ompinó immu'tiplicabili à parte cei, hcuc Thomiflzs quamplures ponunt ele naturas Angclicas, quas iudicát immultiplicabiles -£ccundü numcrü..Caict. V p«q.15.att. 9. decote; et eff'eotia c. 4:0. in Log.c.de fpecieyvt adhuc tláte bac opinione. defcnderec fubftantias angelcas varias (pccies cóttiruerey ait ad fundandum vniucr(ale log'cum ;pon etic neceífatium, quod.natura poffit multi. plicari naturaliter, vel fapernaturaliter, fed (ufficete, quód obijciatur intellectui non patricularizata quia tunc;haber non repugnantiam ad efíendum. io, multis,un dé poflca concludit, opus non offe, quod commünicabihtas, pct quam qonftitui. ruc yniuetíale, habeat. fundamentum ex ace Midi; fed. fufficit; quod'habeat cx parce noflri, quatenus inceile us s.denudando fiatucá ab idiuiduatione, illam cohicipiteü quadaaycoicabilitate; et hoc uod TT 95; 39$ modo defendicnaturá caiufq; Ancli,ct à parte rei numeraliter jmmultiplicabilc, fieri poffe vniuer(alem, fi cocipzacur fing indiuiduauone; cui opinioni adherent €t illi Thomiftz, qui conccdunt Angelos poíle de potentia Dei abífoluta 4n.cidem pecie multiplicati, quia d:cunt fa&a etià ;fuppofitione, quod nequeant multiplis cari,pofíc adhuc nauiram Angelicam fieri vmuerfalem inodo cxplicato à (Caict, Comunis fententia oppolitum docet, fed aoneademyvia, nonnulii (ignificant naturam, vt lit idoneum fundamcntiui vni uerfalitaus logicasc(fc debere actu mul?, tiplicatam, quodípecialiteraffirmantdegencrere(pe&tu (pecierü,vt difp. (ea. vi debimus;al;j fateotur quide actuale mul» tiplicationem neceffariam non effe, cone Atendunt.tamen deberecffe phyficé muli, . j pisc 4. per potentiam naturalem, ira auc(ius diíp.2. Mct.c.2 9. et Zimar. ia .anbotatiopibus cótra Iands 5. Met.q. 12. 2e proindé negant incotruptibilia poffe eti vniuer(alia, quia.non po(funt multis plicari potentia. phyfica. Alij demum do». «€t (afficere, quod fit muluplicabilis pet potétiam faltim (apernaturalci», itaquod illi naturg mulaplicabilitas non.repus gnet, qua ratione dicunt naturam Soli .yniuerlalem fieri poffe etiamli non-exi4 ftantyneqj finc furi plozes Sales, ad hoc n.(athcir d oc meré poffibiles,ità The miit.1.Polt,c.12. Philop.ibidé com.22. et 23. Simplic.t.Ceelicom.92Algazelin. Log.o3.Auicen. 5. Mer-cap.2-X in Log, «cap de fpecie Alenfísz, Met.43. D. Tho. I:b.1.de Intérpr.léc. 104X opuíc. só-podi meditim Scotus in 2.d. 3.9/7 .& q.4 8.y2 muerí.Aat.And.cap.de genere et [cquüe tur Recentiores paífim Moln:t.p.)-50« att44; Vafq. p. 1. dilp. 1$1;cap.3. Suarez difp. $: Mct.(edt.a. n-28. A mic.tradt4qe 2-dub.$. Pf jualig.in Meedifp.1 2« tovs Blanc. diíg.i. fedt. i1, &alij..  Dicendüigitur eft cum hac pi lensentia ad fundandam irn logicam, noa quidem. » quod . tura fit;a&k plurifi . "v 1 acc tiebibkn TI NOME cit. 9€  Difp.II. De Poisefalibit in Commipi faliim, itaqnod nulla natura à patte rei implurificabilis poteft efe vniuer(a vniucrfalitate habente fundamentum in re, ualis cft logica vniuerfalitas. Concludo ttes habet partes, et quoad omnes probatur,& quidem non císe ncceffariam actualcm multiplicationem, omncs. feré fatentur, et cx co patet, quia alioquin natura Solis, Luna, Fenicis &c. non poffet concipi, vt voiuet(alis, quod eft £ilium, nam vno tátum exiftéc indiuiduo adhuc patura potcft concipi, vt indifferens ad plura; imó abfoluté loquendo neq; vnius indiuidui neceffaria eft exitlencia, vt nara vniueríalis dicatur, nam nullo homiexillente;adhuc natura humana poilcc ab Anzelo, vt vniuet(alis concipi, et ratio cfl,quia quatuor falom vn:ucctaulia, vc videbimos, non indigent extenta (ubie &i ad hoc, vt przdicentur . 76 Scd neque necellarium eft, vt fic plurificabilisper potentiam pli ficam, et naturalem; tum quia eodem modo fc habet natura quoad vniacrfiitacé5 (i malti. plicetur in pluribus per vaam potentiam v.g.natucalem, ac i1. per aliam .f; fupcrnaturalem, vt fus Paíqual. loc, cit. fec. 3. tum quia adhuc etiam natura Solis, et Lanz non poffet concipi, vt vniucc(alis, uia ab agente naturali plurcs Solcs, et nz produci nequeunt, vnde hallucinantur valde Pand. et Zwar, dum hac gatione dixerunt incortuprib lia nó potie fcri vniuct(alia,nam 1. Poft. 11.ait Ar ft, 'ertorem eflc circa d tation vniuer(alis, quando pa(lio alicuius fpccici, cuius cft «num tantum fingulare, de illo folo demon(tratur, et ouncs cyponunt dec Sole,& Luna, Tum qua a(fignari debet fundamentum adzquatum omnibus paturis,quz vniuer(ales &icri potluntbaec autem e tle nequit plurificabilitas phyfica, Quia ab agente naturali nec Solynec Luna multiplicari poffunt,ergo tale fandamen. tum pocius crit potencia logica, feu non gcpugaantia, vt à parterei multiplicéur, et hinc coll:gi potcft ratio à priori iftius afler:i; fimpicx non repugnantia cx natu«a rciorta ad plurificari s fundimétum vniucr(alitatis, quia co ipío pót coacipi &ac cócdidionet in pluribus exifié vel exifterc potens, (ed huic nó tig,vel apritadini nó ett opus,qp cocrefpó dcat poiétia phy(ica,fcd fufBcityuod (al. tin à Dco poffit ad actum reduci, ecgs &c. hoc innuit Do&or q. 18. vnuerf. in corpore;cü ait ad naturam gencricam (u£ ficcte aptitudinem ad plurificari effencialicet,cftà non habeat potentiam quia hec dicit ordinam ad a&tü ex viribus naturse, 77 Hinc probatur vltima pars conrra Caiet.X ctt ratio dcdudta ex Scoc. cit. 2. d.3.q 7-(ub A nà repugnantia ad plurift» cari, X cóicarictt fundan;eniü vniucrfae Iitacis, fed nacura de (e immu'tiplicabilis talé non repugnantia, vcl apc cudiné habere nequitucc écab intellectu, vc exclut ditur rcípóito Ca-ei,crgo,c.Prob.min. quia (à patte rei cópctit natura calis repugnáua,vt tit n pluribus.certé cx fola cor gnicic ne tore lectus nó pt colli cal 5 repa gná.ia, et wibut apciiudo, aliocuin et mdiwduo X naturz áioinaz golfcc a,plicari ratio vn ucrfalis,vt ait Do&t.cii.vedecócludit hu:utmodi cóceptionzan ctfe 1m pli catoriam, qu. ra.16 inrcll gédi p. pognat oino fuo ob:ccko ncelle&o. Cor fic. uia vn ucríale debet císc «nd in malus, crgo fi dater natu;a, cuius va cà: m ond. uiduü fic potlbile, plicat polle cociiv,vt vniucr(ai.s, juia plicat polfe «Oc pi.vi vna ipizulus, Qaod adbuc mig s decliracur, quia vcl illa naturayvt 06; cocpicur cü re« Pugpária ad ctle in plur bus, vcl (rne tali rcpusvátia, (ed potios cü aptitudinc, fcd vi ü que implican prin ü quidé, quia tunc có-iperctur vniucríalias (imul cü repue grátia ad e(Ic i pluribus, alicrü vcró,quia tüc natura infe icpugnàs ad plaraligatem €«ociperetur n repugnans, et apta ad talé aralitaté,q prorfus unplicat,quia intele&us nequit tribuere ret,gy eis cilen a dirc&é re;ugnannon .n. poceft cócipcre boaué vüdibilem, quia hoc attr.bucurationilitati rc, fi homini tribucict Meere ning aplius hounoé,ícd as nüconciperet ; cd. crgo natura Gabrielis fit c(lentialiver fingularis, sin Thomitlas, fa intellc&tas. ctibuu. ci vn;uer(alitarem, Porpeequg, non amplius 3 rà » (cd aliud quidpiam cócipere; et hi cauoncs (ant itd cóu:ncenAC$, Quaft. LP; Quenatire fun dem Vniunf.   397 ter, ve nüllus quem viderimus: 5vel pauei(fimi, extta familiam Dominicanam banc fententiam fuftineant ;i& qui. funt ex familia S. Thome non cadem via gradiuntur, vt oftegdant non repugnantiam. "fPertar. 4. contra gentesc 3 $ ait naturam angelicam poll é (ine contradictione concipi,vt vniucrfalem, quia licét illi. reeflc ia pluribus,' vt ralis fpecics! efl,nó tfi ci repuguat, vt fpccieseft alio2 uin re t omni fpeciery& natura. ki cula plané folutio,vt ait Didac diíp, n cadem ratione homo dic! pofet irrationalis,quia licét hoc repugnetillisinquaut& tale animal, non tamen ci re. at, inquantum aniinal abfolute. 78 veo ue eg q.4 inquiunt ex noitro intclligendi modo procedere, cy natara angelica poffit fine contradictione concipi, vt vniucríalis cognoícimus enim pro flatu ifto angclicas naturas pcr [pecies corporum,qua non sür.actu intelligibilia; qaoufq; intelle&tusagens denudet phantafinata à conditionibus .indiui: duantibus,ex quo fit angelicas naturas nó: intelligi à nobis, ( à quod in (c funt intelligibiles, et sr principia indiuidua. lia carum, (ed ss noftri intelligendi modum, qui eft cognofcere naturam fpecifi-. cam prxcifam à condicionibus. indiui«: duantibus; quód fi cognofceremus angelicam naturi, vt infe eft, concedunt non potíe tüc füícipere rationem vniucrfalis; et in hoc feaíu intelligunt diftin&ionem illam Caiet. quód duplex ett vniuer(ale, aliud ex parte intelle&us tantum, aliud eft ex parte rei, et incclie&us imul;& inquit naturam iaplurificabilem feri vniuerfalem ex parte intellectus rárum,dum concipitur. fine. indiuiduatione, Scd hac refpontio patfim reijcitur ab omnibas euidenter. tà uia licet intelle&us na:uras angelicas inceilligat per fimilitudincimn ad corporalta;adhuc tamen intelligit sm praedicaca, qua eis non repagnaü; cum «uia aLo-jui non vere, fed falyas inteiligereius, ino ncc illa, (ed alia,quedam à noots conficta cognolceremus; tà quiaeadem ratione. natura diuina potiec my vt vniuerfalis, quia et ipfa pro ftatu i(to intelligitur per fpecies Logica córpori ; Nee (üfficirad hoc edita&dum afferre. difcrimen quód natura angelica coponatur cx zenere, et differentia, non fic diuina . Q)ia vmuertalitas, przdicabil tas nor ocitur ex buiufmodi copo fitione, fed ex ordne ad plura inferiora ; nam fpecies fübalterna ; ctiam(i cóponas tür ex gencre,& diffcrentiaynon tameng vt fic;eft vmucrfalis, quia vt fic non cor paratur ad inferiora vnde fola cópofitio ex generc, et diffcrentia efficit quidem fpeciem fabijcibilem, non tanitn predie Cabilem. Tum tandem quia ex d ex noftro concipiendi modo apprehene datur,vc quid commune; et ab indiuiduas ione abftra&um,non fequitur effe veré& proprie vhiueríalem, feda concipis ac (i effet varuerfalis ; quz duo valde»   differunt, vt bene notat Arriag. difp. 7.   . tiim.4 f: Si dicas vniuerfalefieri per ine   telle&um,& ideó (i natara angelica cone cipitur ad modum vniüerfalis, veré, et proprie vniuerfalis erit « Conirà, falfum et vniuerfale ficri adzqüaté perintelle&um, quia    in natura vniuerfas lizata multiplibilira rem parte rei, vclut fundamentum. 39 Refpondent alij, quod licét inan. s non fit aliud, à quo fumatar fpecies, et aliud à quo fumatur indiuiduatio, quia per eandem entitatem fimplicem babet EH angelus etlc fpecificü et indiuiduale;hoc tf non obett quin eandem timplicé enti taté vno conceptu conf(ideremus, vt coris füiuit angelum in (ua fpecie, et habet rae tionem differétig e(fenrialis, et alio com» ccptu, vt indiuiduar, habet rónem diffe rentiz numerice;qua folutione etiá vtutis tur Complut.cit. Contra;quia licet mi (tz poffint hanc folutioné adhibere in naturis materialibus, vbi diftin&ioné faltim virtualé agnoícunt inter naturam, && differentiá indiuidualem;non tà in fpiri rualibus habet locit, qua per eundem gra« dum sh ipfosin vtroq; efle cofticannturg vel ti talis obre&tiua partitio perintelle&ü fieri poteftin A étin ipfis natara nof erit de fe hac, (cd dc fe come mütiicabilis, et à f are diftinctas ficut dicimas de "ed qw creatis. el i ! vt docet 2 : Mi EN MATS 398  Difp.IV. De VsiutrfalibusinCommni . et cíTentia cap. 4. ideó natura cum veritateconcipitur vniuerfalis, et à (ingufaritate przícinditur, quia non eft dc fe ngularis, fed aliquo modo (altim virtualitecà (ingularitate diftinda ; ergo niti talis diftintio etiam intercedat inter £uram angelicam, et indiuiduationem, nunquam fieti poterit abftractio natura à ingularitate, et (ub eniuerfalitate con€ipi ; vcl codem modo poterit »dinina natura concipi (ub vniuerfalitate : Hinc bené probat Hurrad. difp. $. fct. g. non pofle in hac fententia talem mturz abíftractionem;quia hzc fupponit diftinctionem eius ab hzcceitate . 8o Refpondenr alij Thomiftz, quod licet natura angelica lit cx fe determioata vnum indiuiduum rcale, tamen adhuc tpanet indifferens ad plura fita, et idcó «oncipi pore(t vt potencialis ad differen, tias indiuiduales, et vt vniueralis, et in hoc ícníu explicant Caiet, cum dicebat ilcin naturam fore vniueríalea ex parIc intelle&us cin . Sed hoc effugium etiá ab iptis Thomiftis ceijcitar vt inutile or(us,quia (peies pradicatur eísentia-: iter de (uis inferioribus, fed natura angcliga acqait efsentialiter pez dicaride Anelis confictis, quia natuta. realis nequit le entibus rationis quidditatiue predi. Caci; tuin quia refpicere plura ficta nà eít 1efpicere plura,in quibus poffit císe (ed potius in quibus repugnet c(fe,quía repumaturam realem con(tituere indiuii racionis j.cum candem «quia. eodem modo potfet natura d;u:aa fi cra vniería. : ponden alij, cale. gatuer ale non effc omninó fi&um,quia cfto noa habeac fundamentum in re, et ind: tfzreniia nairas tuadatur faliim ia notlco concipiéZ modo, quo immaterialia per modum materialium concipunas, cum auté ma1erialia plucificari poíliaz per di ufiooem materia, qua eit principiam indiuiduauenis; hinc fic, quod o ip(o, quod Aa» &clus concipitur a nobis ad modum rei materialis,. co ipfo eius nitata. concipi pocell «t plarificabil;s. Reijciur, eciam 0€ elfugiuarum cx confucatione [cctolu:i0 0,55. quia falfo ipn tituc faa0,9y süuliplicatio numetica prog niat ex diuifione iferté rez futat iip iq Rl v 7. et nosin.a Mct.tum quia iplo roni nó fequitur imentum res (piricuales concipià Nope d pei 00n tamé cft neceffe, quod in reca ge ad ; tum nde qoia etiam.hac via poffet natura diuina fieri vniuerfalis, quia et ipfani ex noftro imperfe&o concipiendi modo intelligimus ad inftar rei materialis . ..$1 Reípondet randem Ioan.de S. Th. q.8. art. 3. talc vniuer(ale adhuc effe cuas fundamento in re ; quia licet re vera (ul natura angclica nequeant cífe plura indiuidua, adhuc tamen concipi potett indiffercatia nature, SC potencialitasad vnum iadiuiduum, talis, quod cx fc (ufficeret ad plura, 6i aliüde in re poncréursquia, vt: ibi fuse explicat,repugaantia ad pluralita té nO cft ex principijs incrinfecis iplius naturz angelicz, (ed ex modo, quo ipfa in» diuiduatur,quia nimirum non indittiduatur pcr defignat ionem materiz íed per ca renti illi sende in refp. ad 1.princ.con.. ceditsquod ex vi conceptus natura o süt. impo(libilia plura indiuidua. in cadé (pc-cie Angelica;quare cócludit, quod fi cócipiacur nardra inadzquatc.i.quantum ad. rationem (peciei, et non modus ipfe indi « uiduandi naturá,non accipitur natura, vc. tepuguaans multiplicationi indiuiduoruas;: et coní(equétet vc habens pluca indiuidua: pollibiliter., licet politiae non refpiciae maulta,aon dcífe&u (ui,(ed quia illa mulca. nà sic, Hac foluzio,licet eidé fal(o innitatur fundamento, q diuifio materiz (ic origo multiplicitatis oumcralis, ái conce dittotum, quod in hac quz (Lione coatendimus, quia concedit naturam angclicam non effe. de (e ctfendaliter fingalarem, Scimmaltiplicabilem,(edab. extriníeco proucnire, co modo, quo dicit Philofophus: vt refett Sco cit. q. 7. in fine q.18.vniuer( in folad 3. de cocporibus caeleltibus y quod«in vna fpecie cft enumzantum Cor pus, vnus $9], vn.i.s Lana,nonquiamatura tllafolaris tic abr intcintecodmmaltiplicabilis ; (cdex de« fcckumategia: 4quia cale corpas liagalass te-fait ex tou maretia ijlius  pecieccomie pactum,nonsantum adtaali ) fed euam. por:en .   Quafi: 17. Que nature fundent Vuinorfoteniia!i ; quare Giéurhbac ratione «duc "defenditur in. emtentia Philofophi coriota corleft a fieri poffe vn aerfala, fic Ley bác via id& defendi poteft de nituxis angelicis; et hic dicendi: modus fuit. cap,de fpecie, vbi ait fpecies non nieceflarió habere plura indmi dui ats, quia fíatura diuiditur jn. indiuidua. per tnáteriam, poffibile autem ctt totà ma"tetiam actuari per. vnam formá, vr patet 'denatuta Sols, fcd fufficit cfle plura in T ed Ek nc,vt fpecies Ange. : » in quibus non poffunt effe plura .. $ndiaidua, cti careant materia, funt tamé plura aptitudine, quia forma de (cett ap'ta pluribus cómunicari licet contingat, non poffit;quia tota perfcétio eius có"tinetur io vno indiuiduo;quod etia fiznificauit D. Th.opuf 48.de pradic.c. 5. $1 Inoppoíitum obijcitur 1. probano ad fundandam vniuétrtalitateutogicá "opus non effe, quód natura fit à parterei "nultiphicabilis .. QXiia vniveríalitas eft 1elatio at ;ion's, cr; illi fufBciont intcriora plura (olum apprchenía rer intelle&un;etiam fi aliàs fiacimpotlibdia,na:n Iclaticpi rationis füfficir procermino aliid rarion:s. Tum quia'apcitudo etiendi multis coniunCtiim$ 'vt eit de ratione vniucríalis, ac etiam predicabilias, non conuenit naturz à paice rei, fed vt eft in intclle&u, ergonon ctt atícndenda cónditio nature in fe, fcd quam habet in intellc&u. Tum 3. quia Arift.dicit corpora celcflia ficri potie vniucrfilia, et tamé inus fententia tunt per quamcunq; potcntià immulciplicab:lia, eo quia iudica: uit vnum:;u0dq; tllornm contare ex tota tnateria, nedum actuali, fed ctiam poffibili in fua (pccie . Tum tandem, quia in entibus rationis, et chymcetis, qua omni2Ó tepognant à partc rei, concipimus tationé vniucrí.lis logiciynempe genera, et fpecies;ergo &c. 83 Refp.uód licét vniuerfaliras forpta fit relauo rationis, tamé dcbet haberc fundamentü in te ; quia nà potett intellectus  vcré applicare alicui intentionem vniuer(alitatisinifi (uppofito in re fundamento, aliàs iia bene poffet intentio fpccici applicari natura gc399 ncii-z, licut (pecificze, et in: contio gen:tis indiuiduo; (icut natura generica, wc bene Rada notauit loc. cit. et vnincrfalg refpiciens plura. fidt, vt fupra dicebamus, non e(t proprié vniuer(alelogicum; fed abufiud, quia 6c non eft refpicece plura; in.quibus ro:ic eife, et dequibus poffit praedicari, (cd potius in quibus ef[enon polfit, dc pluribus .n. fictisnó nifi ficte praedicatur, at prz dicationes vnie uerfahis logici fant verz « Ad 2.cflà apti. uido proxima. ad e(lendü in multisconiunctim cóueniat naturz per intelledkü, hzc tamen hibec fundamentum in ce, g» cft non rcpuznantia, aut aptitado remota ad elfendü in mul.is difiuncti.n. Ad 5. pofu:tillacorporaimunultiplicabilia,ndabintrin(cco, fed ab excrin(eco cantum; Àj: non quía forma, et natura corum. non fitaleri cómunicabilis, fcd quia non cft alia materia füfceptinatalis forma. A d 4, ficutensrationis dicitur cosinquantum cócipitur ad modi veri entis, fic et in en4 ubus racionis admittitur vniuerfale, quia. ficut intclle&us potcft naturas cealcsab. infecioribus pre(cindecey icerum ad in« ferroracóparare inracionc vniuecfal;sla gici,ira poteft entia rationis, fcruaca portionc;pta fcindere à (ais lnferiacibat, et licut vmuerfalc logicii fundar in nata ris rcalibus .dicituc proprie variet(ale y quia refpicit infeciora, faliim po (Tibilia à. parte rei, fic vniuerfale fundatum in en «. tibus rationis proportionaliter dci debae: verü vniucr(ale logicumjIquia ilayde qui bus ponitur. przdicabile, funt po(libilia: fub ipío in fuo ordine .(. per opusintels; lcétus, et ideo non (iG, (ed vc«é predi-. catur de illis ; vide Fuent;q 7.ditf, 3; acr. 1. vbi D. Tho. et Caiet. interprecatut effe; locutos dc vniucríalilogico fi&to, nó aüe; proprié dicto ; fed .an i a(lecutus men-tem illorum,iudicent Thoiniflz,ad attinct, alia argumenta. boon MAR hoc fpectania vide difp. (eq. quail. a» arc. 3. contra 1,.C : 1 j40q 51 $4. Sccundo ob;jcitur àcontra probás; doad fundandá vniueríalicatem 0,us c(fe multiplicatione £,&non: fufficere potlibilem Av neci fura vnis-. uciíalisfiatindiget dol e li ins . 4 iui 400 diuidua a parte rci non exiflant, noncít vndc abitrahatu: .Rur(us dici de l'equitur e[se m;crgo l1 natura à patte rei nó e(t in multiis.non pote rit praeci(a przedicari de mulus ncc con(equ&cr ficci vniucríalis . "Tandé nó quia natura aliqua eft porens €xilicre,idcó a&u cxittir, ergo à fimili, nó quia aliqua natura cft. pores cexiftere 4n vlantios debes dici vniuerfalis in actu, fed canc tancüumsquando exi (Lic in illis. Rcefj.ex didis q.2. ar.1. infol. ad. 1. ad vlt. Conf. naturam abf(lr;hi potle. ab vo folo indiuiduo cxiftéte, quod etiain fi non cxitlcrer, poffet adhuc abtirahi. à poftibilibus, (alin:ab intelleéu angeli€o, qui à (ch(u non dependet in cognoÁcédo,& idcó ncg.ntin. Ad 1. neg. Coafeq.quia vatucríale ex dictis non coullituirur per a&tum cileadi in multis à pactc rei, vel przd:candi de mulus, fed. pcr efTe, aut (alim potfe cffe 1n mulcis per intelle&um, quz camen multa à parte tci linc po(fibilia. Ad 3. negatur patitas y quia vt natura dicatur actu cxi(lens, vu. que oon (ufficit, quà ux poffibilis intra cau(as, (ed actu d:bet poni extra ill c, fed vt a&tu vniucr(al.s dicaczur, non nccef? facio requiritur exittentia in mulus, fed quód in illis exittere pollit ..85 Terüioobijcitur probando ad faa dandi vniuct(alitatem opus e(ic,quód aa tara (ic phyticé, et naturaliter inultiplicabilis, &/non fufficere potentiam logicam, Tuam cx definitione vaiucríalis, non «n.dicitur, cui non repugnat, fed quod apcumett císe in mulcis,crgo noa (utficit non repugnantia, fed re.juiritat porcntia iua nacuralis. Tuin 2.quia Aritt.de aiuit vhiner(ale sin illam potenciam na turz,qua ipfc cognouit,fed nó cognouit, fifi poteaciam phyficàm, ergo c. Tuin 3:quta fecundum A riftot.omai porentiae pailiuz naturalicorrc(pondet a&iua natütalis;alioquin videretur po:étia palliua etsc Ecuttea ia natura, fi per nibilia aatura poísct reduci ad aCtuim,vt collig.tur cx 3»de Anim. 'text.18. Relj.ly aptum natum fignificare » qp matura ex principijs fuis intrinecis efse potcft in multis ; àuc id cxlicctur poti» tiué per aptitudinem, (iuc ncgatuc, tan1 i Difjut. 1. De Voiuevfalibus in Communi. : iui j'€non repugnanciam, at quocum que modo cxplicctur,certum c(t hoc non fignificate cantum potenuiam phyficam, (cd logicam quoque, uia contingere po« teft vt aliqu: natuca potlic císc in plucib. cx fefed aliunde üt iinpediunencun, vc contlat de naturis ceglocuin in (encentia Arilt. Ad 2. deficit. Acifl, vniucrfale fecundum vtramq  pocenciam, qas promifcué fignificauit in verbo. aptum nae tuii et lalium cit Philotoph (m nó agno ui(sc potentiam logicam in rcbus, mul. ta cnim cognouit non implicare, cue tà videbat virtuie 4gécium naruciliuin. fieri non po!s«,. juod aperié coi'igitur cx 2. de Anini.4 1. vbi ait ignem habcce a imentum in infia'tü, quoadu(,uc fucrit cóbufübil. hoc autem non ctt potlibilg vica. tc naturalium agenrium,quaa na.uralicer no cit coa.buttibilc in infimtum;& cdam 6. Phyf.docec conanuü eife in infinitam diuitib.le, et «à continui diii tio non po tcít pec agens naurale in infinitum prótrahi. Ad 4. Dodt.q. i. Prolog $.«d argumenta et 4.d,43.q:3-ad 1.& d 49. q. 11. Refj. nega illà propoticionem cilc vais ucríaliter veram éc si Aiifl.quia incor. pore datur pocegtia patliua, naturalis ad animam recipiendam et camo tota nitu ra crcata non poteit eam imdagcre ;nc igi tur illa poteoua patlitia naturalis dicacur frultra, (uficit.v c courelpondcat a&iua in Datura.i.i tora Coord:nationc cnt ili, aic Dodor, puta agens (üpccaaturale, pec quod poflit reduci ad actum, t6 Alem dubium diitoluédü ad hoc quz(icum peruncas cit ; Num ouncs adhuc naturz prztato odo multplicabiles potlint fundare intentionem  vniucríalicaus ? Negant Albert, act.i.pra dicab. cap. $. Soncia. 7. Met. q. 39. Caict.in Log.cap. de generc. Tolct.q.de jd cic ad 3.'couicndentes folus naturas di» rcété in przdic "n ibiles po(fc fieri aqu DUM Hoo quchter excluduat omnia prz dicata tran(cendétiayqua func luper ipía praed: camcota, et quidem Acift.r. Ethic. cap. 6. et 4. Met. 6-ita lignificatdum ait cns,vaum,& bonum non €(Ic vaiucríalia,qued euamfn tic Tatat q. vlc. predica. dub. 1 x D» 1 or 4   HREHN p o Susfi IV. Que nature fundent Vuiuerf,   401 €&or ipfc (entire videtur q.1 2. vniverf. in "fine . Exclodüt etià naturas incompletas, et parcicles,vt materiam, formá, et fimiJes, uz non directa per fe, (cd tátum per "rcdu&ionéad totem in prz d:caméto rcptur,& Scot.fauere videtur 1.d. t.q. 6. $. Dico tinc, dum inquit, quod ange. Tus, et anima diflinguuntur [pecie,no quidem ficut dug [pectesyfed ficut fpecies,et pars fpécief y quia anrma nou cfl propri? fp ecies fed país [peciei. $3 Verum oppofita fentécia, quod in quocunq; genere ex enumcrans entibus flit repzriri vniuerfafe ett cómunior, et probabilior, proculdubio eft de "mente Do&oris;nam quoad tranícendctía quamuis in 1. d. 3. q. 3$. Contra ifla "pnisotationem,& d.8.q. 3. S2 et T. ne'get cnsc(le genus, nontamen negacctle vniueríale, imó cum ib: omnibus tranfcendentibus vniuocatíonem tribuat,' et vniuocé intériocibus couenite affirmet, clarà fignifi cauit cffe yritdicata. vniucerfulia;quod etiam cliré. fignificauic, A citt. 3. Mcr. tex, 10.dum ait cns, et vnumctle maximé vpiucr(alia. Qo atit€ ad parces phyíicosy& entia iocomplcta id jpsij clarius (i guificauit a.d. 3.q.69. 4d Qu nem quintam pracedentesi, dumi quicquid efl natura in. quocunins totalis,vel pa» tialis no efl de fé bocyomfis autcm nacura, quz nó cít dc (éhizc, po tc(l furiduce vniuecfalitatem,vndé ét q.7. fub A.ait in vniuer(um, quod alibus ne creatura ref intelligi fab atione vntuerfalis à fis FlrradiDviae, probatar euidenti ratione; nà tormálitas vniueríalis in eo conliftit, g» (it vnum; et oidinetur ad plura in quibus effe poffit pcc multiplicatione, X de ip(ispred:ca Fi,crgo natürg omncs €t incomplete, et tranicendentcs pollunt fundare vniuerfalitatém, ratio eft;quia hingelz ifl naturz habcnt vnitatem efleniz, et reperiuntur im plüribus, vel faltim reperiri poliünt cum tali vnitatc, et de illis radi cari, vt toperius de inferiori, ergo &c. «quia ens, materia  et foriia, fi fecundum p toriam naturam confideien tut,non funt quid Tliogulare,fed funt molti lcabilia ; iunó muftiplicata, fecundum numerum, fctuando eniratem natarz tungulis interioribus erg3 &c. Taadem plures forme,plures maceciz, et plura 2» enta, fi inuicem conferantur, non mis nus conueniunt in ratione forma, matetiz;ac entis,vt Doctor oftsndit loc. cit. quam plures homincs intatione humanis tatis, et cqui in ration'saquin tatis, nec minus (ccernücut proprijs diffecccijs,er a goratioformal's vaiterlalis,feruari. pos teft in omnibus naturis plurificabilib. tà completis, qum incompletis, tam limitatis.quàm tcan(cendentribus, quid quod aliqua natüra fic apta fuadare vniucr(alirateai, nonoritut éx eius complemen: to, ne&q; cxcetus limitatione,fed praecisé ex cius multplicab;litate in plura. eiu(dé rationms;omats aaté prefarz naturz. süt hoc modo g qué plarificabiles,vt homo in plurcs hom .nesens in plara entia, mates tia in pluccs indiuidaas materias,de qui« bus prz dicatur, anima in vegecaiam,feg fitiuam,rationalem,& hz rurfus in plures numetaliter differentes : dicentur autem hzc vniuet(ilia incóplcta,nó quidem formaliter,quia habent omnia ad vniuerfalitatem requifita& eodem modo ceí(picit infeciora ens incopletum,ac completumy fed materialiter antum,quatenus nacuraz fin fantes vniuerfalitatem func parziales, et iocompletz. . 88 Quáuis autem in his omnibus fundaripotlic vera ratio vniuerf.Lsadhuc tpoterit vniuer(ale d;(t nyui, et variari iux ta diucr(itaté natararü, in quibas fundatur, ita fane diftinxerüt Mayc-paffu 1-(up. vniu. Maur.q.9.vni.ar.2. Ant. Aad. infin, predicab et alij quamplures ex noflrig vniuer(ale in tran[t endecale ; X prz dicamentale, et inquit Ant. And. Porph. noa enumcera(le omnia vniaeríalia,fed limita ta un,& predicamcntalia, quia agít de ile lis in ocdine ad cathegorias,vbi ponuntat folü natutz limitate, et ideo loquitur. de illis vninettalibus ; quz aliquo modo inücniuntur in ocdine pradicamérali, qua fanc illa quinque,(ed pracer itla (ait An ton. And.) cít aliquod. eniuertale trai Ícendens, imó multa traofcendencia ; ex' quo patet, quomodo-totehigendus (iE .Anf, et Scot,dum inquiunt;ens gs "SEN. LLasdude, dil mdinll di £ bonum non efje vniucrfalia ncgant Lo. ada » ficut funt ifta quing; 2 tem abíoluté, Sic ctiam ex pane fundon diftingoendü erit vniucifale 1n completuay& incoupletum iuxta diucrfitatem naturarum, in quibus fundatur; et quando Scotus. ncgat loc. cii. animam non cfle pcopre (pociem, louitut coparatiué, quia naura ;ncópicta, et partialis deterioci modo jundat raioné vmueríalisquàm«Opictas atque ita deficit a ione fpcciei propriz, oon rone vniuer(aitaus Abi clues bené feruatar p natu X44 Completo. uam incompleta,fcd rationc fundamcnpt;;quem diccndi modum fcquanzur Aucrfa q. 8. fcc. 4» Fafqualig. €it.difp.1 3. et alij qoamplures. 589. Adhuc auicm pto vuiuer(ali, prz.dicamétali, de quo deingeps locuturi (utius notandü cft ex Trómb.7. Mcet.q. 8. art. 1-9) vaiuctíaliras non atrribuiturnawi Lmtatz vn focaterynam intra imi tationem ipfam natura eft quadam latistudo,nam sm maiorem,& minorem có ucnicn.iam ig ration bus formalibus cótentis in indiuiduis repertam antellcdtus attribuit aliam, et aliam ratíonem woiucr falis ipfis naturis, «vndc quia intelle&tus won percipit taptà conuenienriam indiuiduorum, vcl fpecicrumeiuídem gencris;  euantá percipit in indiuiduis eiuídé fpe€iei, ideó naturz animalis, v; g. attribuit fecüdam intentionem vníucríalitatis,que €ft genus, et quia maiorem reperit in jndiuiduis ciu(dcm fpeciei, attribu t natur v.g-humanz intentionem vniueríalitatis, quen icd, et fic gradatim proceidum in tota linca przdicamentali . Quates, an ctiam priuationes, et nco" valcant fundarc vniuuer(alitaté . àt Conimbr.hic q.2.arc 1. ex D. Th. 3,2.9 72. art.6.. vbi ncgat peccatum ex. parte aucrfionis no habere fpecie, et dtm Arifl.4. top.67-ait non cutis omn.nó tiic fpecies, vnde colligunt ad rationem otii alisrequiri pro Mnetintio entitacem pofigiuam,qua per differentiá ftcontabisue ad Sun ie dia natus ram inferiorem, Scotus tamco quol. 1 8. $. Ex iflo fequuntur, concedit negatioRt5& priuationes polle (uo modo. dcao4o&   Difpu. LU. De Fniueifalilus in Communi . Am bari à notionibus gcncris,& fpecieisfc idco peccara ctiam cx parte aucr(ionis fi ecie ditingai ; et 444.23. G ait poll ab bac, et illa nepauonc alfiiahi concepuua €on quncm pcgationis in.cói, poa qicré analogum,vt ajunt Coaün. (ed veré vniuocumycum ab inferioribus [ccuüdü eagdcu cationem parccipctur, vcconttat conceptu ptiuationis in comm ni ad cecitate et furditatem, et notio gcacris atficicas negauionem incómauni eut ciu: det fpccie: cum ilaque dcnominat nae 1uram rcaicm politiuam, quia cundcg fpcc.c habet efic&tum £ormalem ; et hoc totum fundatur in co, quod uos de ncgation.bus, et pruiatiopibus d fcurrimus ca proportione ad formas,quibus opj tur, Verüramcn cllnon ita p:oprié fun» dare vniuec(alitatem,vt entia poliriua, et hoc voluit Acift.& D. 1 ho, cit vt Blanc, nocuit difp.j.« fc&.16, n  1 . 5, n Fniserfale vet, ac fifficienter iüi quinque vniuerjalia dimdaturs   (o0 feu pradicabilia. 90 [5 t Porph.in füa Ifiz0ge Vni à; uccfale in genus, (pecicm, um fentíam;propriutm, et accidens, et qui yt conia ex di&is infine quz ft, pip | certumett non diuilille vniucrfale in to» 1a (ua aenplitudie iofpcGrum,(ed tantu) vniucríale limnatum, et prz dicamétale j vciütamem cfl(üb hacd.uilionc vniuerfalis pradicamencalis coprchendiífe non tancum illa, quz dirc&é in predicaméto ipentatun cd ctiam quz per reductiohcim,& à latere, differenti .n. non povuntur inre&o; fcd à latere,& proprium tcdu&iué ponitur in pradicamento fui fubiecti, ficut et nonnulla accidentia cómunia imperfecta « Quatitur ergo, an Bes xv i o aint rent t recte, et ufhcienter tra t2,& fupponitur contra nonnullos Punicabde e pluribus, et ymuerlule zqué lace patere, «à vnü (t propxietas alterius, ficut zqué patét tiftpiley& rationale, quod ctt adc à «crum ex dictis, vt probatione non indiget vnde miramur, Paí.jualig. EU » D C scvdüadii. V. De Numer Foisir]falime  id cGcedar, et poftea difp. 2 j.afferat quis re effc praedicabilia, (ed vniuertantam-duo /f. genus, et fpeciem, d tenet Camcerar; di(p.7. Logicz . «91 Quamuis auié hzc diui(io famoía fit, et pa a à clafficis Au&ori-« bus, et Expoftit 1, Arabibus; et Latinis, Aurcen« I, p. fuz Log.c. 6. Albert. tract, 1.przdicab c.9. D. l'ho.opufc.48. €. 1. cot.q. 12. vniucrf. et 1 d.8.q. $ fab S. item Alcxand. et Sucfan.r. Toptc.c. 7. et 4. Buridan. initio tra&. przdicab. &&gid. et alij   ibit Re«cntiorum totrens. Non tamen y et quidem magni nominis Au&ores, qui ab hac diui(ione receicrant, alij augedo, alij € contra minuendo prefatam nume rum ; Greci namque potiores cantü vni« uer(alia, quz de rebus eflentialiter przdicantur, et intet hzcea przfertim, que przdicantur. in quid, vt genus, et (pecié, agnoui(fe videntur, pro qa [entétia citantur Dexippus: in ptedicam. cap. 14» Boctius ibidem com. 6. Sunplic.ibidem com.6.& 9. Porph.ipfc etr ra Ammnon.in ancepradic. c.3«. et ex 4bi ; mó adducunt Axift.qué Auerrabi era Aift.q falia cmumeraíTc,quin potíus (ub hoc nomioe vniucrfalium nom nili geneta, et fpe cics propofuifse, vt conftat ex frequenti diíputatione,quam inftituit contra Placois Idzras,& 1.de partib.anim.c.f. Funmentü veró przcipuum huius opinto-nis cít, quia vt cóttat ex dictis hucu(que potiílima conditio vniuerfalis eft, vt fit przdicatum vniuocum;at vniuoca e(sentialiter dicuptur de fuis (ubijcibilibus, vt conitat ex corá dcfiaitione in anteprzdic.data € 1.& 2. Topic.c. 2. «nde confe. quenter. c. de fuLftant. negat Arift. acci« dentia dc fuhie&o vniuocé dici,quia nom puzdicanrur efientialiter, et in antepred, Casdiflinguit e(Ic in (ubie&to, et dici de fubie&to, aique de fubicéto dici bominé dc hoc homine, in íubie&to aucem ede fcientiam in anima,albedinemin corpore » tolumecgo prafdicata eíscarialia proprié dicunrut de (ubicéto,& cofequenter huic ipfadola: funt vniuecfalia, Suffragaturét   ci 40$ di de viuerfálibus, quando, n. voiaerfafé dicitur contrahi per differencias, quxado dicitur poteftate cótinere fua ifcri vniuer(ale dicitur .aperius refpedtu i riorá,nó nifi de naturis,quar etfeacialicer dicuncur.f. generibus, et f»eciebus, pro« feruntur, his rationibus comaictas Auer (a q.8.(e&. 6. quamuisrion rc;jciat pror» fas diuifionem,& accepcioné vaiazrfalie à Porph. allatam, ait tamen non efe cz Arift. de(umptam, fed nouiter excogitatam, ac proindé aliam acceptionein vni uer(alis pro eo, quod predicatur in-quid s et c(Tentialiter, eíle magis peripatetcá y et ctiam migis vtilem. Hanc opinioneas fequitur etiam Paíqualig,cit. (ed neà cómani cecedere videatur, di(tinguit vniuer fale à praedicabili, quinque concedens pre dicabilia (ed duo vniuerfalia, et fequitue Camer. cic Lay 2v 91. AUjvero Recenriores.ex aduer( muimecum pugdicabilium auxerunt, vade : Caiet. cap. de fpecie addidit indiuiduum: m v.g. quidam homo;patef n. dici de o et Paulo, et caeceris, addidit ét definitioné, vt animal rationale, quia pa« riter et ipfa dici de plaribus. Quai dam etiam logi addüt ex myitcrioIncarnationis (extum.pradicabile, quo' natura (ub(tantialis aifampta dicitur deona a fumerte, qua tatione vocaruac oc pra dicabile atfumptiuum,veré .n.di« cámus, Deus eft homo, Filias Dei eft homo, et poffet etiam hoc predicarumdict de pluribus, (1 Pater, et Sjiritus Sanctus aliam;& aliam humanitatem affumerente Neque videtur híc przdicandi modusad: aliquem illorum quinque poífe. educi: non-n. hac praedicatio eft ia quid, et effentialis, quia non eft fuperioris de infcriori, et praedicatum ita conuenit fübie« &o,vt poílit ade(se, et abese pratec eius corruptione; neque cft aceidenialis, dicatum dicitur (ubttantiué de fubi &o, et humanitas con (t itai vau fubttane tiale pers tmd serment hac ra i Auer(a cit: conatus inquitg 404 Diu. 17. De Vuluetyfalibus in Communi. d&rína fidei cognitam, et hunc dicendi modum iampridem fignificauit Bafsol, 3«d.7.q. 1. 1mó Doctor ipfe ibidem $. Quarto-»idendum. 93 Dicendü tamen cft cum cómimi, praíatá diuiíionem exa&am efse,& adequartam, vtpoté quz exhaurit omné róné pradicabilitatis ; vt. hanc coaclaionem probemus,fapponendum eft hic non diuidi vniuerfale pro materiali, nempé vatione naturz, quz vniuerfalitati (ub (ternitur, fic .n. vtique non foret adzquata diuiio,quis .n. non videt; quanta (it co'jiay& varietasnaturarum quz vniuer(aitatem fandare poísunt . diuiditur vniuer(ale pro i.(. róne vaiuer(alitatis,& prdicabiliratis, vnde ad probandam (ufüciencium illius dinifionis fuméda cit (ufficientia cum Doctore cit.q. 1 2. vniuerf. cx parte vniuerfalitatis, et pra. | dicabilitatis,. vt quot fant modi diuer(i vniucr(alitatis, et pradicabilitatis, to-. tidem (iot vniuec(alia, et pradicabilia. Primo igitur ex. parce: vniuerfalicatis fic (umicur, natura vniucr(alis vel et in multis e(sentialiter, vcl accidenzaliter, (i efsentialiter ; vel tanquam tota císentia, et heceítípecics, quz proinde dicitur tota quidditasámdiuiduorum, vc docet Do&. 2.d.3.4.6. $..4d argumenta, quia haccciiates. perrinct ad císe materiale, et integritatem indiuidui, non ad ese formale, et quidditatem, vcl tanquam pars eísentiz, et hoc dupliciter, vel tan juam pars materialis, et contrahibilis, et hoc eft genus, veltanquam pars formalis, et contra&tiua, et hzc e(t ditferentia, quie reípicit genus, velut forma a&uans, ac, dewerminans illad; (à veró narara votüerfalis pluribus ineft accidenraliter,vel oritür, et promaoat ab císentiarei,& fic cít proprium » v6] prouenit meré ab ex trinfeco abíque nece(saria connexione, vcl dependentia ab eísentia,& hoc cít ac €idens . Quia veró ex vniuerfalitate oritur pra dicabilit;s, et €ó iplo quod vnü eft in multis, cft pradicabilc de iliis, ideo. ex (ufficientia iam afflignata ex parte vniuer(alitatis foümitur fuffiCientia ex parte Le titia ni PIzcipué aflignat oGt.citquia vt di XiUS q«zsar, 2, in fole ad h. hic confiderat vi uerfalé ae cdm ub ratione prz-dicabil's ; fa» mitur autem fic, vt :nnuimus q. r. Inftit,", tra&. t. cap. $. omne, quod przdicatur,'vel   in quid, vel in quale, fi ia quid, vcl dicit totam etfentiam, et (ic eft fpecies fi partems& iic e(t genus; ti prae dicatur in quale, vel »rzdicatur 1n quale eflentiale, et fic eft differentia, vel in as qualc accidentale,& hoc dupliciter, quia vcl praedicat; accidens conuertibile egre« diens à principijsfub:ecti, et ficeft pro-. prium,;vel accidens commune, et fic eft vltimum vnitter(ate;hzec eft füfficiétia di uifionis vniuer(aliam, quá affert Scotus loc.cit. alijs quibufdam refuratis, et ample&untur cómuni :cófenfa. R ecctiores, vbi etiá explicat, quod pradicari in uid: cft przdicaretlentiam per modum fab. fiftétis;pradicariautem in quale eft prz« dicari per modum denominantis, 94 Hacceadem fuflicientia defumpta: ex parte    exnoftris quá plurcs.(cdinept?,co quia 10 quiserta cobinationibus deficiunt redo güt enim fic; omne,quod praedicatur,vel ' predicatár inquid,vel inquale;fi in r2 c vel de pluribus differencibus (pecie, genus,vc] dc pluribus differentibus, nu-« mero,& eft (pecies, fi in quale, vel eflentaliter, et cít differentia, vel accidentaliter, et hoc dupliciter, vel conuercibiliter, et (ic cft proprium, vel inconnerubiliter, et (ic e(t accidens. Hic colligendi modus in duplici combinatione deficit, primó in ea, qug di(tinguit genusà (pecie pracisé r pradiciri de pluribus differentibus pecie, vel numero;ti.n. hzc fola d.ffere' tia fufficeret ad: ira diftingaendum 2enus à fpecie,vt duo vniucr(alia con(Eituác, eadem ratione differentia g-nerica& fpe€ifica, proprium genericu, et fpecificum diftin&ta przdicabilia contbituercnt, vt bene deducit. Tatar. q.de di ffer.dub. 1. dcficit etiam in ea cóbinatione; qua diftinguit proprium ab accidéte cómani in rauonc vmuerfalià per praedicari conucrtibiliter; et inconacttibiliter, quia vt in» nuimus Ii p; Infk. loc. cit. prorcius repavmueríali (ub rone vniuectalis pradicari de inferioribus conuetcbilicer ; cauo 4  : Quafi. V. De Numero Voiuerf. 49$ tio eft, quia spud omnes eft in confcílo vni efle prius (uo inferiori ea priogitate, à qua non conucertitur (übfiftendi conícquenua,ex poft pradic.c.de priori. Et quidem DoGor loc. cit. licéc propriü appellet accidens couertibile,non tamcn illud diftinguitab accidente communi ia racione vniueríalis per przdicari cóuertibiliter fed per hoc,quod cft pradicatum groucniés ex proprijs principijs fubie&t, c proinde aliae neceflariam cónexioné «um co, aCcidens vero cómunc cx extrancis,ix communibus, vt con(tat intuc ti textum,in quo puncto Scouftz quamres hailucinati funt. At refpondet nónullos vniuerfale ad inferiora po(se dupliciter comparari, vel ad omnia collectiué Süpta,vcl ad fingula feoríim, licet Íecundo modo vniucríale magis patcat, et maioris longé amplitudinis fit. fingularibos,primo tf modo non c(l magis commune,& hoc enu poteft de illis conuertibilitcrprzdicari: Hzc folutio 1.p.Inít, loc.cit.ceiecta eft uia terminus comanu nis,& vniuer(alis cft ille, qui de infcrioribus przdicari debe: nó tàtum coliectim, fed ciiam diuilim,hoc cfl de ommbus, et finguhs.cfto igitor quod ex ea parre, qua dc omnibus limul eft przdicabile, posce conuerubiliter przdicari,repegnat tamcn fic przdicari cx ca parte, qua cft de illis diui m przdicabile . 9$ Scd in hanccommunem f.fficiéca inuchitur Auctía q. 10. fec. 1, et Torreion di(p.vnic.de comp.przdic.q 1. 5pecics non cft tota efsentia indiniduorum, «& veré fe habet in indiniduo per modü partis materialis refpectu diffcrentiz. in-diuidualis, ficut tcaliras generis n Ipe€ic,€rgononbened.ftinguunturprimaduoprzdicabiliaperhoc,quodIjeciesdicittotamcísentiamtuorum iferiorá » vcró parcem, probatur aísumpiü, «uia ctiam fpecies contrah tur ad indiuidua pcr differentias indiuiduales,. et ditfcrentia indiuidualis ct. gradus císcn1ialis& intrinfecus iodiuiduo . Contr. B aes idcó cóple:é przdicatur in quid luis infcrioribus, quia dicit toram. naram communcmiliorum, ergo eadcm 1&tione gcnus completé. pradicabiur in quid dc (uis (pecicbus,quia dicit totam. naturam Commtaem carum .. Ruríus ratio vniucrfalis fami debet in ordiac ad illa plura, tcfpe&u quorum eft vniucc(alis, et ex modo efsendi nature in ipis multis, fed cíló ditferentia SCING Bee nctis, quod contrahit, fiuc refpecta. (pecicisquà cum genere cop(tituic, (e habeat tanquam pars form.lis, et contrahens, tí fi comparetur ad infcriora, refpe& 1 quo» rum cíl vniucc(alis, fc habet tan quá pare matcrialis,nó minus, quàm ipfum genus, ergo non benc ditt:oguitur genus diff:« rcatia, quód hoc przdicceturc in quid, et per modum partis matcríalis,differentia vet in quale, et per modam partis fors malis ;maior patet, min. Proh. tum quis differentia fuperior (c habet wcluti parg dcterminabil:s per vlteciores diffcrems tías; tum quia quindo genus (übilteenü contrahitur per diff:rencias inferiorestotuin quod ctt in ipfo gcnere, etiam differentia conltitutiua cius, fubit talem de terininationem, et contraCtionem per inodum partis marcrialis. | 96 Micü cft fané, qnomodo przfertim Auer(a audeat hanc fuffi icntiaa ceijces fc, cum cam libenter receperit, quite nus fümifolet ex parte vniuerfalitacis: y q.8.fcc. 16. vbictiam cum communi ple no ore fatetur, fpeciemdicere toram ia diuiduorum cffenriam ; Ad primum vc« rum cít naturam [pecificam contrahi pec radamindiuidualem, hic tamé gradus s :cét (pectet ad integritatem enutatis 1n» diuidui, non tamcn fpedture dicitur ad eius quidditatem,alioquia, vc ait Doctoc hic, 1ndi»idua. incer feetl'cacalitec dif ferrent ; Ratio hu us elt, aia cfsentia g et quidditas cít;lla, per quam cc(ponde tur ad quz ftionem qid efl, et ad hac da indiuidu s inoram ccipondetur pec natu ram fpecifcam, à .n. quzrotur quid. eik Petrus? cc(pondctur ctt homo ; ac pee diffcreniam 1indiuduilemm. reípondetur (olum ad quz(tione.n qiis efl, nam ü ugrcatuc,quis cft ille? re(pondeir e 'c.rus, en quomodo fpecics dicit tocam císent:am iadiuidui, licét non cotam ens titatem,genos aurem non ita fe bibet re» i, cttu [pcaierum, fi quinis HA, TM.  uo OD Wt rm" eft homo?on fufficit diccre, eft animal', fed addere debemus rationale,vt adequa té illius effentia explicetur, et ideó nega tur paritas in argamento a(süpta de gene te, et (pccie reípe&u (uorum inferjorum. Ad Confirr. patet p idem ;ideó fpeciem prz dicati copleté in quid de fuis inferio tibus, quia per cà fatisfir quz fito in quid fa&o de illis adzquaté feclufa differentia indiuiduali, quo qui genus non fatisfit quz(ito fa&ojin Sod de fpe cicbus fcclufa differentia (pecifica. Ad vls.ncg.min.quia diffzrétia forinaliter nó dic tur nift diuifiua generis, et conttituti ua (pecie ncc. formaliter dici poteftcon trah bilis per differentias diio de fua.racone formali ci quidam actus fimplex,& perfc&tiuus, non perfetibilis, vt norant Complut.diíp. 4.4.6.n.5 4 fcd tan'um in fcn(ü identico, et materialiter, quatenus.(.gcnus, cui idenüficatur, con tr ahitur, et determinatur per illas, $c in 2s hoc fcnfu dicitur differentia generica; fi eut igitarrilibile v.g.eundem modá pre . dicandi,quem exercet in ordine ad fabie &um1immédiatum (bominem, exercet etiá in ordinc ad fubiec&ta mediata.f. hüc y et illum hominem ; fic ctiam de differen tia dicendü eít,quod eundem modi pre dicandi, qucm exercet in ordine ad fubicétum immediatum.f.(peciem, quàmconftituit, exérccat etiam in ordine ad (ubie€a mediata .(.ad inferiora illius fpeciei y itavt ficut de fpecie przdicatur per modam partisformalis immediaté,tic etiam de inferioribus illius fpeciei mediate : vt dicem:is difput.feq.q.3, att.vIt. ' 92 Secfdo principaliter probatur fufficiétia illius Widifiena excludendo alias opiniones cam minucntces, vel augentes et in primis excluditur ; quz i mi« nüebat, non ni(i vniuerfalia eflentializus agno(cendo, quia vt diximus ex Scoto, et communi Scotiftarum difp. 2.q. 4.art. 2.& q.6.art.1 multum intereft efíe pradicatum vninocum,& vniuocé pradicari, fcu quidditatiué, nam ad przdicationem vniuocam fufficit, íi przdicctur vnaratio preci, fiue e(fentialis fic, iue accidentarn illis, de quibus praedicatuc, qua acceptio vniuocz przdicatonis no. eft volá..cetur fecundum vnam rationem pracisá,. Difja. V. De Vaiuafalibus in Conmwi.. taríayquia vt te(tárur Simplic.in reg.guado alteri de altero prétdicatur, fuit Au,dronici, et aliorum antiquorü '; quamuis ergo fit.de satione vniuer(alis, vt przdi,«t excius definitione colligitur, vbi dicitur effe id,quod prz dicatur,vt vnum,non amen opus cít quod etiam pra dicetur cíientialiter,& quidditatiué,quia cum nihil tale explicerur inea, et pradicatio .vnitioca ab(lrahat ab císétiali, et denomi natiuaplané in hoc fen(u prefcindéte fta Licpradicari yt vnum in dcfiaiuone, 5» . vniuerfalis,quia quàdo datur ratio aliqua communis pluribus,nomen fignificans i la vt conueniunt in illo commani; primo fignificat illud commune. Conf. «t aliqua natura fit de pluribus przdicabilis,non.,eft opus, quód przdicetur .effentialiter : .de illis,ergo neq; vt fit vniuerfalisCons . feq. patet.,quia etfecommune tale, quod" fit pradicabile dc illis multis, quibus ek,commune, cít effe vniuer(dle, nec vlcen rius requiritur quód predicetur jn quid Yt conftat ex cius definitione, r .alfampttm, quia eciam(i natura fit acci.dens; tamen fi confideretur, vt ab inrelIc&uabftrahitur, et comparatur ad pluta [ubie&ta inconcreto,eft prz dicabilis de il lis (ubie&tis. An vcró opinio illa fueritce vera Gracorum (upra relatorum, A mic. trac. 10-q. 1 .art. 4.ncgat,& eorü teftimonià partim explicat;partim ait.non cffe fi,deliter velata, aut won inacnitis fed quicquid lit de Graxis, certum eft Arift. eius opinionis nonfuiffe, quia Porph.in pro«m. 1ía202es proponit tra&arc dc illis quinque sm Ari(t.fencentiam,&,Aciftot, ipfe 2. Doft.tex. 8. fic loquitür »muerfale namque efl predicatiun idjquod monSiratur,(ed quod vri" sc MT crgo &c.io ancepradic.veró ;.dü c. 1.dc: finit vniuoca qud cílentialiter dicantur de infcrioribus, accipit ynittoca preíse, vt diftingueret contra :denominatiua, vt loc, .Cit.aduermus;ettó illa definitio abfolu té loquendo; €t przdicatis acc idétalibus poffit applicarisvt ibi diximus ;c.aüt 2.nó eft mirum, (i excludit accidés,& propriü À dici de fubietio,cum etiam excludat dif fcrentiam, quam 1A vniuocé przdicari pofica MEL Senso !)y)!)oeanUn0ióf die, -foftea docet cap.de fübft.bac | tur vri uerfalia excludit à dici de ; i» accipit ibi vniuerfale proco, qp dicitur de. proprié inferioribus,& ponitur in rc&a linea pra dicamentali, quia vt ibi Expofitores adaertunt;hzé erat eiusintentio, inucftigare nimirumimaturas, qua in recta linca i debebant, hac autem funt genera,& pecics ; Prefertim veró dü difputat contra Platonem,(pecierum; et generum folummodo meminit; quia Plato no ni fi illa septa enim vniacrfalja e(Te effentía particulari, vnde Arift.difputat de illis iuxta fübiectam materia ; Denique communis loquédi modus frequétíus'memorat vniuer(alia eflentialia generà; et (pecies;quia hzc dicitur de proprié infcrioribus, aliaveró de fübie&is, aut quafi (ubie&is, vnde fa&tunieft, vt. vni ueríale in communi príncipalius dicatur de illisquàarde iftis,vnde quia anaiogatum ftat (emper pro! principaliori hinc cft; quód pcr vniuerfalia abfoluté intelligirhtur vniaerfaliarefpe&u inferiorum. (.genera,& (pecies;ex hioc tà nó fequicur ;' iin etiani dari. debeant vpiuerfalia re'pe&u (ubiectorum cum talis vniuerfaIitas'formaliter tit diuer(a'ab illa; tü quia" bc infunt a&cideataliter illis, de q przdicanait jilla e(fentialiter,tum quia o Íi variatur predicabilitasex ordine ad idfcrióra, et fabie&a,    debet viiuerfalitascum illa: fic illius paífio. Nec yalct,g ait Pasqual.aon quácunque pr£dicabilitatem effe paffiorié; (ed illam tàtum, quie cft de ioferióribus. Nam pr&dicabilitas de multis abfolute eft paffro,fiue " illa'fint inferiora, fiue fübicéta nature fraidicabil:s; . 98 Tertio neque dcbet e contra auget? Sumerus vníaerfaliü rarrone. definiuoni$y Quafi frc aliud vniuerísle diuerfüm ; nonquía fit tetmmus complexus, ideoque vhiuerfalecffe non poffe ; vt multi  téfpondent ; taf quia potcft dici terminus incomplcexus, tiexcca propoficióriem fumatar, vt dictum cft dilp.1-q.4« art. 1 tum quia nón videtur neceffe vcrmuinum comp à ratione vnimerfalis excludere, quia predicabilia: delignare poflu« inus tàm per incompkexosgüam pr eo N ria iua. V. De Numero Vniuerf. E 407 plexos terminos yita in. dicere poffumus, ' quod homo eft difcurfiaus, vel ritibihs, : ac quód cft aptus ridere, aptus difcurrerey quia idem prorfus praedicatum impor. tant;tàm füb complexione, quàm (ub in» comple :10ne 5: Aicigiaár Do&tor q.12. vhiucr(ad 1. et q. 21: ad $: definitionem non conftituere diftín&tuni predicabile ab alijs, quia non habct vnum pre dicare di modum .f. in quid,vel in quale, fed' ob: genus; et differentiam, quas contine; due lici qua(i módo prz dicar . Nec dicas: itaqioque de fpecic fore diccadum;quia et ipfa conftat ex gencre, et differentia. Nam (pecies non dicit genus; et fpeciem: fepatata  et finigillarim fumpta, vc definitio;quz fingula diuid:c x. Phyf. tex. $.fed totum mctaphyficum ex illis: refultans, quod ficut formaliter diftin&um: eít à (uis partibus ;: ita diftin&tum habet: modutn prz dícandi ab illis. Vide Brafadol. q.: 12. vbi bene reijcit folutionem? Mauritijad hanc ínftaritiam, et declarat qüoniodo noftra folutio valeat ». etiamfi: teneretur definitionem dicere tertiam em titatem,vt definitum, Vcl demutn, inquit Scotus » fi definitio conftituit vniuerías le,fane diftinétum non erit à przdicabiIi,quod confti'uit definitim, quia habebit eundem modam pradicandt y q habet definiti refpe&u inferiorum ; quas folut;onesamplectitur. Paíq. difp. 24 to. z. Met.fec.4.nu.4. $9 Quarto hac cadé ratione negát qua plures indiarduum vagam: numerum aue gere predicabiliü ; quia non habet vnun iimplicem módum pra dicandi,fed pt dicatur in quid;& in qualeyit quid;quaterius dicit naturam, in sce c dicit modum indiuiduationis;qui extra concee ptum natura eft et à conditionibusaccidcnialibus depédet,quz pertinent ad hicg et nunc, et ita nonreduciturad vpumtüim przdicabile,fcd ad plura.faccidentale, et cfientiale ; que refponfio non prorfus di« fjlicet 5 Scd v t omme dubiam tollatur 7 dicendum ctt,ly quidam,aut aliquis bo« mo poíie dupliciter fummi, vel pro conce ptu commun: ind;oidui abfolute fumptis. d dicitut de hoc, et illo indiuiduo » de indiuiduo fic abíoluté (uxjto dif408 Di(pu.1V. De Vuiuerfalibus in Communi. fetemusinferius di(p. (eq. non enim certum cít ab induiduis, vt talia funt, poffe abftrahi vnum talem communem conceprum,qui fit vniuocus,cum in ratione indiajduationis fint prunó diuería;vel fumi potcft, vt importat aliquod particulare, et non commune omnibus indiuiduis jindeterininatum tamcn,qua ratione dicitur indiuiduü vagum, vt f eccrnatür à certo, ac determinato; fic nó cfl aliquod vniueríale,quia non importat quid yaum cómune pluribus, fed inmediate. fingularia ipfa fub difiü&ione, vnde tantum valet gpetrusefl aliquis bomo y quantum fi diecres, Detrus cfl bic velile bomo, Cc. Huius rei fignum eft, inquiunt Summulif quód indiuiduo vago nullum appomi potcít fignum particularitarisaut vniuet(alitatis, no.n, dicimus omn15 quidam bomo;aliquis quidam bomo y qua tamen figna paffim apponuntur termino communi, dicendo omnis homo, nullum animal,aliquod indiuiduam, ergo indiuiduü vagum non eft terminus communis, fcd potius particularis fub difiü&tione süpcus; wt diximus 1.p.Inft.trac, 1.c.2.ratione, » «uius indeterminationis poteft per prz«dicationem applicari ad hoc;vel illud in«diuiduam, et 1a hoc fcnfu dicitur. prai«abile de pluribus ; Quod Confir. ciam «x Ariít.qui cap.de (ubít, excimplifican«lo de prima (übítantia, inquir, vt aliquis dhomo,aliquis equus, fignum cuidens, indiui vagum n6 importate aliquod «&ommunc, et vniuer(iles alioquin illud po(uiffet fecundam, et aon primam fubftantiam;& hac folutio,qua czteris preftat,clt Scoti q-12« przdicam.& 1.d, 2 j. caa .Refpondeo,,quàm malti amplet, pratlertim Auería cit. q. 8. fcc.a6.X Pafqualig.loc.cit.fec. 3.vbi cx profcflo omncs alias refatat (oluciones ; quae dfolent pr debi aifetri, i 109 Quirxo tádé, ncque ex erio Zlacarnationis introducédum cft à TheoAegis (extum pradicabile, quia in ChciSio Domino przdicatio naturz bumanz «ic Deo (pe&at ad quintum pradicabiAc,ghia pra dicatum illi contingenter có peut ; quod autem pradicetur fabflansvi Mlicéndo Dcus efi pomo » non ipcdit,quin hzc przdicatio fit quinti praez dicabilis, quia cum dicimus, Petrus eft fuppofitum "Petrus eft perfona, talis prz dicatio fit fub (Lantiué, et tamen pertinet ad quintum przdicabile;quia eft extrà illiuse(fentiam, et pote!t abeffe per Dei potentiam eius corruptioné. Acce« [d pm illa predicatio Deus efl bomo, Verbum eft bomo, poteit etiam fieri aliquo modo adie&tiué,d;cédo pens efl bumanatus yq o ficri nequit przlicatio fuper ioris de inferiori,fignü cuidés, quod ille predicationcs in rigore logico non (unt effentiales;. Et tandé,quod accidens pra dicabile ita cóuentat accidentaliter fübie&o,vt noa cóltituat cü eo vnü fabftantialicer,vbi natura aísüpta conttituit vnum fubftátiale cü perfona auméte,non obftat ; tü quia abfoluté falsü jef& hoc a(Tumptum;nà modi (ubftátiales, qui fatis familiares süc Recentioribus, coítituunt vnü (ub(tantialiter cü rescuius func modi,& tfi pertinet ad quincü predicabis le eocum przdicatio ét fecundam ipfos 5 tum quia efto materia, et forma vnü. pec fc conftituant, x» (übftantialiter vniane tur ; tamen quacuag; przdicatio formae materia ile eo przcisé,quia forma contingeatek. (c habet ad Maisr fccundum fe coafi: deratam ; tu n demam quia concediinuss qud in hoc fenfu hzc prczd:catio (ic (ub ftantialis /erbum efl bomo, quatenus natura humana coofticuit vaum lübitaatiale cum períona a(fumente.f. Chritü y non tamco ex hoc fequitar, quod (it per. fe, et cifentialis in tigore logico,quia prae dicatumilli aduenit cótingenter ; et hac refponfio eft Doctoris ig 3.d. 7. q-1. C. et D.vbi ex profetio tangit hanc ditficultatem, quam poftea folucionem amplexi(ant Va(quez 3. p.di(p.68.c.4 . et Pa(qieligioca vbi bené aduerti t, quod ia iftinguendis przedicabilibus non. dcbet attendi res,qüa ipfius cum (ubie&o, dequo ptzdicacur, ed modus, quo | crue (e habet ad [abie&um, Quia fi accidentalis e(t hoc c(t, fi facit, quod pradicacum conacniac (ubie&o cotingéterperrinet hoc ctiá prdicaigra ad. quiam pcadicabile, qua ; € quintum fpe&at przdica.   dicatur, neque vnig. dwell. V. De Numero Pniuer[.. fie cfl modos proprius przdicandi illius; qua de caufa notat T ribid.quod habitudo quini przdicabilis poteft fundasi in re, quae ficfubttantia, quando hzc accidi fübie&o, et ilh comingenter vnitar, vt cx profe(fo dicemus difp. (eq. q.$ 'Non omnino tamen abs reappellauit hoc Baffol. nouum pradicabile, quia ita ciiam Do&or ipíé innuit ibid..dumait ; quod cum nulfa vaio fit fimilis ifti pro» pter quam pradicatio dicatur vera, nullá e(t przdicatum diétü de fubic&o, (icut in propofito, quantü n. eft cx parteeius, qp przdicatur,eft fpecies, (ed quantum eft ex parte modi pratdicandi, e(t accidés,irà Do&or. Qjuia tamé,vt (zpé dictam eft, numerus piedicabiliit aufpicari nó debet ex varictate rcrü pra dicatarüs fed modo. rum pr£d:candi,tdeó cü oem bomo dictus de Dco; cftà in fc (it fpecies, tf refpe&u Dei habeat modum przdicádraccideatis nou debet con(tituere nouis przdicabile, fed ad quintum reduci. in Oi vo oSoluuntur ObicGiones « 161 YN oppofitü funt adbuc alia quz"T D argumenca falsae ui] óitía, vel minuctitía numerum quinariüvni"Wet(alium . Primo ita3; obijc. qaod at plura quinque, quia przdicamema (ant dec£, ergo et pra dicabilia y oam diui fio quoq; predicamenrorü dáta cft penes di&ertitaten módorum przdicandi « Tá z. quia ex iftencia fabtiflétia perfortalitas, "vnio fübftantialis, et fimiles modi non -przdicantur, vt genus ; fpecies, et diffe. entia, quia nom cont ituunt rei   miec vt proprium, quianon fluunt necef'fario ab effentia cum fine ilisetle poffit, ficc yt accidens, cá (int modi fübftantiaTesyergo dabitür fextum prae dicabile,némodus fi bít ancialis .'1 à 3. qvia genas dhinidi poteft in generalitfimü, et tubal"termuai; item differentia in genericaas& :, fimiliter propri ü, et accidens. utrtandem quia tot modis dicicur voü Lares ME rcIquir 1. Topic. €: 12. vuiueríale, et fingulare funt oppofita,& tingulacra fur infima ergo &c. 102 Kelp.neg:gac:tacem,concefTo.n. q nu meros pritdicamenroris(ümacur etià Luca v £s 409» aliquatenus ex diuerfitate modi predicz di de prícàa fubftantia, de quo inferius non adhuc camem famitur eo modo, quo numerus pre dicabihium, hic n. namerus fumitur penes modü predicandt efsctialitcr,vcl accidentaliter, nó attendendo te 5. quz pradicarur;an fit (abítátid, vcl accidens, (ed attendcsido folam connexioné efsentialé,vel accidétalem, quá res habet c6 fübiecto, que eadem efTe poteftin dis ueris prxdicamentis, nam ità ifi genere accidentis cóne&itur color cá albedine vt pars materialis, (icut animal cü ho mine in genere fabflantie, et (icdealijs $ ar in diuifione predicamétoruma(figaatur numerus non folit attédendo modum pra dicandiy fed praefertim ré ipfam, quae przdicatur; exquo fa&ü ett, vt numerus pritdicamentorü fuperet in duplo numer przdicabilid, quia re$, et nature przdicabiles in fc (unt decem, modi veró przdicandi funt quimue;ficat comexio ear cü (abic&is quinque ifi modis fieri pot. Ad z. in no ra Schol non itd liberales fumus modorá fubftantialid ; vt Receatiorcs, eridé in hyf. difjs.g. q.9« di vnionem matcriz cü forma eíse relatioTiem pra dicamenralé, et in Mctaph.(uübfiftentiam có fiffere in duplici aegation admiffistf hismodis fübftanialibas,m idcircó addendü cf fextum pra dicabile, cü corü «modus przdicandi poffitreduei ad aliquod iftorü; fi n. fümantur; vt dicüt. aptitud:nem, pofsni redaci ad quarti jfi "vt dicunt actum, ad quintam przd:cábile; quia abcfse pofsum abfq; prieindiciosy. /& dcítruct;one efsent'e.i coceptus quid" ditatiuri (üb:e&ti, de quo pri Ctuk hé id impedit, quod (irit modr fübftantiales, et non accidemia, vt Recernciotibas pla cet, quia aliad eft efe accideb $predtcde mentale aliad'przdieabiléjaceidens dicamentalc d.citar illud, quod fubftantia, vt quantitas, et qualitas; ci folet aceidens nominmlitet ; peraomcen accidenus e : ens veró pradicabile eft -q prad;cacum accidétariwm, non per ad e(scntiam rei, flue in le fit acei fiué (ubftantia, (ic veftis re(pe&u vefttitr homo refpe&tu animalis dicunturace Mm | ciens, essi dd 2 410 Difpu.1V. De Vniutrfalibus in Communi. €idens, non nominliter, quia in fe funt fubftantiz, (ed verbalter, quatenus veftis dicitur accidere veftito, et homo ani màli ; vndé dicebat. Seotus loco fupracit. quod habitudo accidéiis quinji praedicabilis potett tundari in re, qua fit (ub(tantia» quando hzc contingenter vnitur alteri, de quo pradicatur, licde fio efse bipedem dicitar accidens cómone quintü prz dicabile,& tamenres, vndé fumitur, eft (ub(tantia . Ad 3. illa diuifiones non muhiplicant icabilia, quia tàm genus gencrali(fimum;quá fub alternuin ex vna parte;tàm differentia gencricaquàm fpecifica cxalia retinent c przdicandi modum, illa per modü partis poten tialis, et ifta partis aGualis,vndé in raione vniuerfalis formaliter non differüt in. ter fc genus (upremum, et fübalternüsdifferentia infima, et fübalterna, fed tantum materialiter penes maiorem, vcl minore multizudincm fübijcibilium .. Ad 4. ait Doctor in hac quzft.(en(um illius propo fitionis eíse, quot süt (ignificata vn;us op pofiu, tot et alterius císe, nam quot modis accipitur vnum, tot accipitur, et rcliquum, vt v. g. tot modis dicitur vnum, :, multa, tot modis idem, quot diuerY riaisodÜ pecicnumero;nó autem cít vcrayuoad numerum (üppofitoram,qu:a Nem, ftus, et iniutlus funt oppofita, non cft tamen opus, vt quot fuat indiuidoa nigredinis,tot fiac .Scalbeadinis, quox funr iufti;tot ioc iniofti, :4303 Secundoobijeuur et cótra probátio, qp (int pauciora quiaque . Tum quia (unt przdica:a ; tot funt przdicabiAta fcd 1. Topic. c. 3. przdicata funt qua1u0r,dcfinitio, genus, proprium, et acci«dens. Tum 2. gcous, et diffcrenia contimenaur in fpecic, quamcomponüt, er. c diuitio bona, quia membra coincidur, ncc prz dicabilia quinque. Tum 3. omnc 23ccidens,vel cft zcnas vel c(t fpccics, c beat propria inferiora, de quibus eíséjalter pradicatur ; vt conttat de colore pectu albedinis, et nigredin;s, crgo fa(qns przdicabile . Tü 4. quía diuifio potcit ad bimembrem redu4i, li nimité, tradatur per capita gcnera-haadqua caicrateducamur, 9 .i. ahud " cft przdicabile e(sencialiter, aliud accidé taliter; ergo ita fieri debct, vt regula (eruetur bonz diuifionis, quz debet císe bimembris. Nec dicas fuifse datam per fingulailla quinque membra ad maiorem rei declarationem. Quia potuiísent, et debuiísent hac ratione plura alià membra affignari, nam diuidi poterat differentia ingenericam, et (pecificam ; fic et proprium, et accidens, genus in fupremumy et (übakernam; et raríus (icut diuiditur pradicabile peoes przdicauofié. in quid, et inqualeefsentiale, et accjdentalc;poterat ctiam diuidi penes praedicari (eparabiliter, et in(eparabilier, intrinfecé, et extrinfecépollibilicer, et impoffib.liter, et alios fimiles modos, qui diuerías (pc-. €ies prz dicabilitatis conttituent . 164 Refp. qp licéc idem fic fecundam rem pradicabile, et prz dicatum, tamen differunt (ecundü rationem icabile «nim dicitur, quod poteft przdicari de pluribus, pradicacü veróà dicit illud, pec 9 terminari poteft, ac folui quatiio dubirabilis, (en problema . Arift. autem in Top. docet modum foluendi hutu(modi dubitationes, vndc ibi oftédit de aliquo, queonde potefl (cici cy eft genus, et fie c alijs, et ponit bi. quatuor pra:dicata,. dao in quid.qua (üor genus, et dcfinitio, et duo ip. quale .f. proprium, et accidés » quia omnis quzttio folu: poteft, reípondendo per al Mtorum, vcl peraliqp reductum ad illa : quia autem nó fit qnzftio de indiuiduis,cum de illis nó (it (ci€tiafed de fpeciebus ;ideO (pecies nó numeratur inter pradicara, cum in talibus quaftionibus fittubie&ü . Nec de differentia fpecifica fit fermo ibi, quia idem iudiciam eft de illa, (icut de (pecie, ditfcscntiam auccm genericam reducit Arift. ad genus,cum in ipfo formaliter includatur, ita refpondet Orbellus initio przdi«ab. et colligitur ex Scoto 1.4.8.4. ;.tub S. vide tamen aliam refpontionem apud Dod&orem4. 1a. vniuerí. Ad 2. cx code verum cft SP pn. de genere, et differenia. fundamenzaliter tampus, fic .n, (unt gradus metaphy (ici fpeciem comp nentes in rauonc totius císentialis ; ícd falfum eK, fi hac omnia formaliter (u« mán-: L-R sb Quafi. V. De N umero Voiutf..  tnontur, fic enim fingula (unt intctiones diftin&z, et conftituunt vniuecíalia diuerfa, ncc vnum fpe&tat ad formalitatem alterius,   cta totum   d3. acc comparari, vel a Not irinferiora dequibus e(fentialiter przdicatür, vt color ad albedinem, vcl ad (ubic&a, quz accidentaliter denomi nat,vt ad lignum;vel parietem, ficét primo modo imípe&tum; (pe&ct ad primü, velfecundü przdicabile » altero tà modo confideratam con(L ituit quintum przdifla 2. Ad 4. verum cft illa dinifionem pofic ad bimembrem reduc, fi trada:ur per rationes generales, et poffe amplius plurificaci, qnam in quinque mcmbra, fi tradatur pet (peciales, itaquod fatendum e(t diuifionein illam à Pocph. wadicam noncffe ita ex matura rei, vt mon potucr t alio modo fieri ; ordo tamen do&rinz polccbat, vt dum hunc przdicabiliü tra» &tatum ad praedicamenta coordiaanda o ditigebat,non nif illo determinato modo vniuerfate dinideret, cuius rer ratioóc fats congtuá a(Tignamus q. (e:). et plena (olutionem huius argumenti tradirus, LI » 74 QVA&STIO. VL. A«nbec diuifio (it generís im [pecies, |o dmmediatd. 70 10 T Eeant Boct. et Ammon. in : N defóicigpircidi Auic. in 1 og. €.7. Simpl.in przdicam. in definit &quiu. Albcit.trac. 2. predicab.c.9 Niger 2.par. Ciyp.q.16  Bruxcil.q.2.predicob. Vallius q.7.de vmiucrí. c.12. uia hr on nes negát vniuci(ale cffe verü gcnus ad iila qu.nque; atque idcó atferunc hanc. etse diviiionem L à, l'cét diuer(imodé. explicent talem analogiam. A firma: $.0t.4.8. vniu. fcquuntur ceteri ounces ] acini tàm veteres, quim I: ccenuiores cotiflze, ac Thomittz Maur. Anglic.& S.rnan. bid, "Tatar. q.2. Ant. And. ibid. Ochoa 1.p. Log.c-18. Conimb.1 oun.Con plut. 10lec. &uvias, Hutt; Aucifa, Setna, Blanc. Pafqual.& cetcti patlia:; Quoad altcram 2 fici parcem [onuunt aliqui, vt rcfcrunr éoplat difp. 4.',«6. hanc diuiionem císe FU immcegiatam ; alij communiter aiunt cf(c mediatam, praíercim veró scotitiz noftri 4. 12.vniu. Tadem Ioan.de S. Tho, q.6. art. 2.vtrum uc ait efe probabile, 106 Pro deciiione quafiti quoad vtrà que partem, d cendá cít, vniuer(ale effegcnus ad Ila juin ;ucyac proide diafios tcm cius in ca ciicgeneris mn fpecies, nà immediatam, (cd mediatam .. Probawuir, uia genus ad Ila quin qne cóparatü pre« ) peas dc ills simidemnomcen, et ratio« ncm, vt de pluribus fpecie differemibus, «t 20 (e habet vt genasa ! i'i, et in ca diuiditar vc in fpecies ; Confeq. patet cx definizione ipfius generis; probatur a(sü prum, quia ex vna parte dcfin tio vniuer. (alis in CÓ! verificatur client ialiter de (in. gulis quin; przdicabilibus, vt gj fic vnü aptü eíse in mulcis, vel dici de multis, et ha:c particula; vt eidcbimus,indcfinitios ne fingulorum,(tat loco genes, ex alia: vct. parce intentiones przdicab ilid ad« inuicemmon accidentaliter, et nunicticé, fed cífencialter, et .(pecificé di&inguün'ur, alia cnim fpecies vniuer(alitatis eft genercitas, alia ('»ccicitas, &(icde al js. Imó addunt alij efsc genus ita vni  vc. nullam procíushábeat analo« um adimixtà quia fingula illa predica» Diiesrim cag ons ive eir qe zqoalitet Li icipánt ratione vn.uer(aliratis,omni-. us cnim veré, et propr:é conucnitefse rclatiorics rationis, quibus naturz abftraétz rcfecuntur. ad plura, nec hinc racioncm participat vna títaramintentionum dependcater ab alia, tiquidé uaque: earum effet veca vniuei Dita; era Rae intentioncs effent impoffibiles ; Cererü,; vt docet Doctor q.8.cit. $. i4 d ifl am,ne«c(fe non cft omnem ororfus negarc anas logiam o vniucrfali refpe&u illorü quim. que (pecrerü; tu:n -jnia analoga benc cit vniuocauone cfl cópofhb lis, vadeafsés rendo vn:ueríaic eise aniloguax ad illa quin 35.nà có ipfo excluditur vaiuocatid, vt cóltacex dictis difp. 2» q.-$/'arc cam. quia et in ipfo genere aliqu lis-analagig. reperiri tolet, quatenus. perfcótius in vna [pccie reperitur quàm in alia etiamti hec inz qualitas proríus proucntatab extrine (cco,cx ele di iari có» moa trahentiam, vt patet ex diis ibide ; qua fatione aicbat Arift. 7. Pbyl. 5 1. multas in genere latere z:quiuocationes, vbi zQquitiocationcm vocát analogiam ex inequalitate differentiarum defampcam ; tü tanden quia in propoíico in participáda racione viueríaliraós videtar. inter illas intéciones intercedere illa dependentia, Quz (oicc infcrre veram anilogiam, quia gedum vnjucrfalitus perfectius ceperitur in vniucr(alibus effencialbus, quam ta ac «idencalibus,quia illa prasdicácur in quid, ifta in quale, dia c(fenczaliterjiftaaccidétaliter; icd t in ift:s reperitur juodámodo dependéter ab illis,quia ita przdican tar de (uis fubijcibilibus mediantibus iilisrationalitas namque, et ri(ibilitas prius cóueniunt homini in cói dcinde huic, et ' iili ; Nonergo neganda eft quiliícunqae anjlogia jn conceptu vniuer(alis ad illa quínq; (ed concedenda,. non camen taL5, quz vniuocationem excludat. ' 107 tem hac diio: non fit immediacr, (cd mediata, eaidens cft ex fufticientia huius diui (ions q. prgced.vt -ni exea liquet, vniueríalenon dc(cedit &mmediaté ad hzc qàinque,: neque eft ge -us argen flloram, qnia prius diuiditur m 9» diciturelleniajiter, et quod dicitur accidenraliter, qua dao iceri (übdiuiduntur, rgo. vaiaer(ale'diuidatuc prius per ias duas differétias, conftituit de enere intec media, qua poftea (ubntur per aliasdi ffecentias, deucnié do :tandé ad iílas quinquc (pecies;cp aper kécolligitar ex Porph. e. de communit. ; Cut àuem in prooem. vmuecíate (Latin duxerit inbisquin. fpecies, nec il. Mi tradiderit p rátiones magis generales, vclimagis fpcciales, vt poffe ficci d'cebamus in fine przced.quazft. Ratio cft;quia vniaerfália fc babent tan a reípe &u (uübicéti, de qi icantur, atque ideo explicare Peas aliquem formalem «ffcctü;& determinará refpe&tu eius ;fed fi ynuuer(ale diuifü.m fuiffet per rationes generales,f, in elfentiale, et accidentale, nimis adhgc indeterminatus, et confufus mene € vniueríale prz beret ieGo, nec ixà lenlim docuiffct Porph. modü applicádi (ccüdas intencioac: pri. Difp.1V. De Voisérfalilas ipCómwuni . mis, qui tamen cft cot dis, Sc vn'cus Lozia« cz (copus, vc ipfe facere (Vat igebat, quia, illzprima (pecies (ubulteraz tac remo. tz nimis àcali applicatione; (i veró ex. alia parte diuifam tuitfec pec cationes ad huc magis fpeciales,.plané diuilro fuiffet. fuperflua protíus vltra hunc quinar:ü namerum, nec ad rationes magis (peciales erat opus deícendere, vt doceretur cxa&yis modas appltcandi fecundas incentios nes primis,quia fata quacunque alia lub. dwitione vltrahzcquinquz adhuc membra fubdiuidentia feruarent cefpecta fabie&icandein fotmz. habitudinem, et cundem priedicádi modü,quem feru.t ta trm diuifann ; vadé (i diudatar. genus in gencraliffimü et fübalcernum, differentia. in gencricá,& (pecificam, tamen in ordinc ad fübijcibilia eundem séper (eraant. prz dicandi modum; quem totü diuifum, mam wtüímq: genus femper. praedicatur eflentialiter per modum partis potencia« lis,diffetétia per modu.n partis aGtualis ; fic dicendum dc proprio, acéraccidente, quod fiué tit (cparab le, (iue infeparabile, (emper tamé cótingcater vnitur (ubie €to nec attinet ad eius cífentiá in primo aut fecundo modo, quia non omnes modit variant pét (erationeas pra dicabil:s, fed illi tantum ;effentialiter,& accidentaliter fc habete, pet BATA 4 Mai en, ad Kem alij modi reducuntdt : pec quam do inam plené: fatisfieri-poteft ad vliimum argumentam quaft. przcéd. 108 Ex hoc colligitur has quinquc fpe cics vu :uctfalis effe infimas, quia hac, et illa gencreitas v.g quantiatis, et (abftaa tiz vc docet Scot. quol 6. (ub X.nó d. ffe  tuere nifi numcro, ctlo natur ratz differat generc generali(limo, fic etiam bec, &lla fpeciertás v.g.hominis,& equi differunt uin numero, quia Vicét vaturz,quas denominan: fpecie inccr fc differant, intentiones tà denomináces. funt ciufdem rationis; X (ic pariter dicédum de iatention bus aliorü vaiucrfiliü : tum ctiá quia cftó genus diuidatur. in (upremü,& fübalternum ditfcrentia in gencricam, et fpecifican, proprium tiailiter, et accidens, hxc tamen membra nó inter (e diffecunt cx parte modi ptaedican: eb Mitos 2 -Duafl.VT. £ualis fit Diuifio Puiutrfalis. dicandi, et in rationc vniuer(alis, (ed matetialiter tátüm paenes maiorem, vcl aunorem mulutudinem eorum, de quibus !przdicantur 4 oppolitam tencc Poncius di(p.5. Log.n.1 11.cui fit fatis infrà dif. j. n.60, et 108. Ex quo: tandem deducicor hanc Porph.d:ui fionem vniuer(lis in g:nus, fpeciem. &c. effe rité tcaditais qiiia diuifio alicu:us generis. eciam fübalterni poteft ficci afligoando omncs fpecies inimas, quando ill poífonz cecio numera comprehendi, vi norauit Soto lib. a. Sumul.cap.4. 1: &. 2. b ' 1c9 In oppofitum ob jcitor r.probá-do vniuctfaic non efie gnus ad iila quin«que. Tum quia wnc aliqna fpeeies dire€ przdicaretur de (uo genere, quod cft impofhibile; Prob.coníc:. quia tüc etfec verum dicere. quód vniueríale eft g«nus ad illa quinque, inter quz numeratur £emus primü praedicabile, vclut vna fpecies vniuctfal;s in comuni. Tum 2.3uía cunc vna fpecies dilparita pradica retur deai, quia tunc eísct vera przdicatio, quód genus cft vna fpecies vniucrfal s, d:fferen tia alia fpecics, et fic deals. T 3. non tanti di(paratum de di(parato, fed etiam eppotlitum de oppofito pigdicaretur,n&pe fpecies dc genete, cui faltim relatiue opponitur, Tü 4. quia tunc. inferius confticueretur (upra. fuperius, dicendo enim quéd vniueríale eft genus, tunc vniuerfale; q»od cft (uperius,ponitur infra genus; quod cft cius inferius ; ne igitur bzc inconuenientia fequantur, negandum eft vniuct fale císe gcnus adilla quinque. Refpondct Doctor q. cit. omncs allatas propofitiones posce concedi,non quidcm císentialter, fed denominatiué, pote(t.n. vna fecunda intério fundari (uper aliam acceptam, vt quid ; accam denoaminarc, fcu de illa przdi cari ; vt modus, cnim cft comune omn.bus (ecundis intentionibus (aix Do&tor) quód qualiber potefl eccipi vt quid, velut modus, quando enim cft iliud, quod iniclligitur, tunc eit quid, quando cítratio, fub qua aliquid intell gitur, tüc accipitur, vt mo«us, quam doctrinam ex profcíso declasaumus (upra difp.3.q.8. arc, 2, et docct idem $cotus 1,4.2.q.3.C. et 490.13. 9 1» Logi 8, 413 fub T. A4 r. igitur veraefl illa propofitio denomuatiue, Zniver[ale ef genus, qu:a vaiuecfale fumitur, vt quid genus vt modus, juitenus e(t ratio, fub qua. vnuztialz coofideraww, dum ad fua infer'ora. confertur, Ad 2. pariter noa inconuenit, quod genus, ditfzrentia, proe priam, et accidens finc fpecies denomis matué, et accidenraliter, Ad 5. air Do» &or locis cic. quód 'ntentiones nonopeponuntur,nifivtrag;accipzatur,vtquidsvelvtraquevtmodus,dimvetódicimusgenusell[pecics, intentiogencris(umistur,vtqu.d.intentiofpeciei, vtmodusy&idcó, vt(ic,nonprzdicatur oppofitideoppolito. Ad4.vnurrlale continetfub (egenus efsentialter, tamenneq;iaeconucn.t, gpviciimvnuerfaleacc: dcntalitercócincarurfübgenere; quatenusa £ficipotmo«ozenercitatis,vode genus vc quid eft infecius ad vn acrfale ; vt modus,císe pot (uperins ;& hec eft comunis doctrina Scot: (lariquà omnesalie Scho, kz recipiunt, efto (ub diuerfis terminis. 110 Diccs nullü genus poteít accidétaliter de fuis (pecicbus predicari,fed vni, icatur accidental Mis uerfale C iter deil $3 muipquimga dc Prob.min.nam quádo vna intentio applicatur alteri, vt modus. tüc efficit przdicationem der üudg .& accidentalem, at quando dicimas, genus c(t vniuer(ale, tuac vniuerfalit2saps plicatur generi, vc modusquia cft rai fubqua confiderarur » ergo &c. Refp. neg. min, ad prob. patet ex dictis difp.3. cít.q.. art. maiocem ese veraas dikaxat,quando intentio akeri applicae tav modus, cít interior » vcl difparata g non autem quando eít faperfor, vi eft im allata propofitione, genus eft vniucr(aleg Vidc ad hoc alia argumenra apud Fuente, q.6.d:ff.6. minoris momenu .  prnde pe j zs conca ilem cc partem uifio generis in | idédo per iffcrentias magis ge» nerales con(tituerentur. duo. de termedia, quz poftea fi ur pet alias td fierérias y m darenuur hàtale ueríalia, qua inter ifta quinque ex vpiu fale ig(um in 6i utei vs id N 414 diuidédo peruen:remus ad oo, vel decé vniuet falia,vt deducit Brafau.q. 12. vniu. €um Maur. q.9.$. Quinto dubtratur. Refpondetur ex Brafauol. ibid. dimiffis Maur.ambagibus, quod cum proprie loquendo fuperiüsnon ponat in nummerü cum inferior:, quia inferiora in fuperiori vniunrur, noni diuidantur;idco genus, et fpecies, et pradicabile in quid non dicütur tria vniueríalia,nà pra dicabile i quid,  Difput. IV. De Vniuerfalibus in Communi. feu effentiale eft (aperiusad genus, et fpeciem,& in illis includitur ; atque ideo cum eis non facit numerum ; et ficeriam dicendum eft de przdicabili accidentali in ordine ad proprium, et accidens; Vel dicas, quodlcum hic. aflerimus vmi. :uerfalia effe quinque,non plura, nec pauciora,loquimut de fpeciebus infimis praz dicabilium,' nam dari aliasfuübalternas fané negari non poteít De Vniuerfalibus in particulari .  tat ut 0JI tratfationem de /niuer[alibns in Cómuni ad fingula in fped| ciali defcédimus;de (ingulis quafliones inflituendo 1uxtdordinen [cruatii d Porpban [uo tratt.de cuius obieto nà efl m diffen [io fiquidé fer? omnes pro adaquato eius : ] Junt cit Doctore noftro 4.7. fuir Fniuer, bile comune ad illa quinque, it ibie;0diTPredi Uniusq. yn TPradica»apium eft pradicari de pluribus, tale an. efl predicabile, de quo Porpb.agit im boc trait.nam cap-de gen, fatía diuijione eorum,qu& pradicanturs aliud de vno folo aliud de pluribus pradicarisprofequitur deinceps tra& ationem eorit, qu& de ple tibus-pradicantur, diwidens illa in quinque fpeciessc cap. v.i. colligit V7 protee   eu ficio egt(Je. Et adbuc poiius i ub ratione Pradicabilis, quam Vniuerfae et bie vuiuer[ale (ubietiumponi, quia C ipfa etw Mini, | P füb ratione pradicabilum,q-m wmuer[aliwm confiderauity cniusrationem re di[p. práced.q. x. artia. in fol. ad bicobiethum attributions,qu vatum efi an. Vniuer(ale igitur bac modo c ia onfide abet omues conditiones ad tale obieUEBbum defideratas à nobis affignsudas inferius "n, 12. ex Dotfore q.3« vniu. qu& ad | trevoducuntur, qucd de eo [wpponatur quod e s». quid efl » quód de co proprie demonjlrentur p»(fionesin [ctentíay G tandem quod omnia ibi confiderata babeant uu tributionem ad ip[umy Gy in eius gratiam confideremtur: bas autem omnes babet t Kuluer(alé in prejenti traBlatu nam dum initio tra. mouet illas qual. d quarum refolutione ab:iinet ob arduiatem an vniuer[alía (int m vebussvel im intelleduyan fint corpore ayvel incorporea crc. fant fupponit vmuer[alia e(feycr querit vbi fint, . € quoniodo, C" dum in fine trati.cap. vlt. de communitatibus mquit y fingula vuwerjslia conuemive inatione cümuni vniuerfali $quiafingula predicantur de piutibus y plan? fuppomt banc e(fe ius dvfinirionem im ratione pradicabilis, c [ic babct. primam conditionem, duin demonft vat genusyfBeciemycr c. differre ab indiwidnuo im pliettó, tanquam ile primo, r pradicari de pluribus, vptigyeandem pa[fionem de mon[lrat de vniucr[ali Pim ye rra fecundam a: qandem cap. vír docet efie osanibus commune predicari de pliwibus man jeff inofiniat vlla omnia e[se fpecies P vaiuerfa € cómune geaus, ad quod reducit um, grau vüra Wa quinq, viiuerfalia agatit in boc trac atu de andiniduo y QF. fpecie tiv;b, in pr Mafius fe& Duries NRI A d 2 52:2] ii c  üimb, in proam-q.7. Maf[ius feb. $.9.3. Tolet. q«1. : &" «lij palfim; promifc uà autem alfighamui, pro oA d A dile, quiapro eodem vtrumq; fummus,nam per predicabile intelli imus, quod i. ; dum, quía defi : qe i rium y vel combinationem accidentium commsnium y Y fola. fpecies defiQuefl.I. Quo fenfu definiamr genus ecdrt.T.Ari cie fubij cieli. qua tamen vniuer[Alia non (unt ; adoue tamen, C ip/a red«cuntur ad ipium vuiuev[ale,non quidem vteius [pecies, ed v: tévmiat (p-cieru n eius, dndiuidua nimirumyvt fubucibilia [peciety: fpecies fubijcibiles, vi termini gegereitatis, C7 (ic tandein babet teri am conditiouem .. "Aner[4q.7-Logsjecl. .adbarens opinioni quorundam antiquorum Expo fi'torum ait non vuiser[ale in communi,fed partes eius. fubietituas genus, Jpecicsa Gc. folur, c (ingillatim. uw ptas effe blc obielium a 1equatumy ratio eius free eft, quia Porph. non egit de illis quinq; fub conceptu commnni vniuerfalis, vel pradiCab. lsyfed laum aggrejfus eft diflintlà, C folut? illa fiagula explicare . Imó neque de fingulis cgit quatenus vniwerfalia fimt, nimirum per ord:mem ad plura y fié .9. folum genus]peciem, €? differentiam con[ider aut; proprium veró, C accidews aon explicauit ip ordine ad plura y quod e[l de ratione vniwer[alisyfed petius per ordinem ad jubietfum, cui conueniunt. $ed fallitur Jgueríay quod Porpb. nom egerit de illis quinqy [ub aliquo conceptu communi, et de fingulis (ub ratione vniuer(alis in ordine ad plura, nam cum cap.vule. agit de commuaitatibus predicabili, agit de aliquo concep:u có muni, in quo conueniuntyg7 omnia definiuit in ordine ad pluyay vt infraconlabit ; &" certé tollit J£uerfa vnitatem buiustratlatus, dum illa 114; folutablc accipit pro obie&o contra. Atrifl. monitum,qui 1. Pofl. 25. dixit, frieutien debere ee vnius generis fubiccli. « Quam verà vtilis fit bic trakatus ad dive£Hionem operationum intelleGus, qui ejt finis Speaune porpb. expre[fit in progm.cum inquit innare primó ad defini£2, effentialis conflat ex genere, cr differentia, accidentalis daturPetr. secimds ad diuifionem, quia in diui(ionibus eTent ialibus diuiditur genus in fpecies per differentias, in accidentalibus Prec pir accidentia propria, vel comininia: Tértió demum ad demonflrandum,quix mediwa in demon[t ratione eft definitio, qu& con[lat ex genere, differcatiay et quod demonflratur efl pa[fio ad ceteras etiam argnmentationes infernit, in quibus, wel accidentalia pr.edicata per efientialia comprobantir,vel àconuer[o 'tumdubiorum,queftionem hncin plis Q . resdiftribuimus Articulos . ; De Genere. to" | qure erae Orph. cap. 2. definiuit ARTICVLYS 1. Egenuslog:cum illad effe iv / 3 Or DM | | plu, An Genus definiri po[fit ; &P,quo fen|8 quod pradicatur de plu ry E un T 9 rus Jpecie differenii; : WWUP busintoquodquid,cit3 q,Ro imelliz&ia quaici quoa pri» € qiiam occurrunt difficultates quà plu. p maih pacem recolédua ett cx di« s iacantuim, vt nonnulli eamabiecetirt,   &is dilp. 1. 4arc t; defiaitionem fumi aliam cx proprio capite adinueaerint, | poife dupliciter, và5 modo prefsé pro od ctiam fecerumc de cexerísvaiser  definitione esplicanse quiddiacé vei ibas ; (ed quia hzc defiaítió e(t ipiius | genas, et difecenciun, vel INIM Acill. t. Topic.c 4.S lib.4.c.1.8 2. $.. quatgenus, et dilfzteutiam c rcainlen Met.c 8. et vcleg imatecipiturà Scoto. bánt', &'iicd.Gaicio eft ieu illius eil 1$, vnigecfz in cclebtiozibus Scholis, MS dads, et ditferemiam., alia iiedicon-ndie, pialercun que (ire  m Mo fid fo Conééptu 'quiddicaugo £L? explicecur, nulli poticut dicil:   et efsentláli rei ; quofeolu etiam ens «die tem. Ceterum quia exacta ciis inteil g$(Edi polTe de finiel, c nojhibem go» tiaindl.orum exigit (olatiouem incídcdeus, et dif-tendam ; et fioc wiodo deismen v aeERa SO Wet COMES SONO 05  3I egnugy: 3077 gri: Y 416 niri potcft omne id ; quod eft cns per. fe intelligibile,fiuc habeat genus, et differé tiam,(:uc non.Qvando hic q;zritur, an gnus dcfiniri poffit, noncit quzftio de d:finitione (ccundo modo fumpta,nam in hoc fenfu negari nequit genus e(fe definibilcfcd tantum primo modo,namin hoc Ícoiu rcgsrunt Ammon,.& Boct.. de ge cre. A Ibcit.tract. 1, predicab. c. 3. quos fcquicut Villalpan.c.de gencum alijs quibuídam gcnus cffe deti mibile . . Diccndütamen eft cam communi gcnus definiri poffc €t definitione preísé sü pra. Ita Door loc.cit.quem ceteri omncs (cquuntur, Probatar;quiaillud dicitur fic defnibile » incuius integro conceptu Aun potcft conceptus genericus, et diffcrentialis, quorum.Í. vnus (it alterius determinatiuus,fed de genere primo predicabili poteft calis conceptus affignari, ergo pót preísé,& quiddiratiué definiri ; Prob.min.quia vt docet or in 4.d. 1«q.1,I.etíam in intentionibus logicis ba  conceptum per (e vnum inucni(uo modo genus, et differentia, et in ropofito in genere imbibitur ratio cóvm vniueríalis velut gencrica .(. efie in puo vel dici de pluribus, et prater imbibitur racio peculiaris contractiua illius, eie nimirumin pluribus fpecie diucrfis, velat differéualis, ergo &c. Acccdit,quód genus,vr hic de eo loquimur, eit vnum cns per (c intelligibile ; vc mox patebit, quiánon loquimur de ipío pro aggregato cx prima, et fccunda intentionc,quali in reóto vtrunque includat, (ed vcl pro prima intentione vt connotat f'ecü dam,cut fübftat,vcl pro (ccüda,vt connotat primam;cul cft aplica diuerfitatem opinionum,hoc autem modo ge. mus cít eps per fc vnum, et intelligib;le, €rgo eft proprié dcfinibile . »Sed inflabis, Tum quia definitio proprie di&a conitare ex erentiay(ed generis non datur 9 | pec eu. uia (olius fpeciei e » Difput. V. De Puiuerf.in parti.   50 eius dcfinitiomE ingredi poffit B gu) Refj. definitionem gencris conftare gencre,nó rh cílenualiter genere, (ed ac" cidentaliter, quia vniueralé commune ad illa quinque nó c cffentialiter gcnus, fcd trs accidentaliter à quadam (aperad« dita notione cx didis Q-vlt. piz&ced. difp, nec fcquitur procefius in infinitum ; tum quia genus prz dicabilc,non quatenus gcnus;(cd quatenus (pecies (abijcibilis re pi cit vniacríale ia communi,vt (uum gcnus; tum quia femper fiftimus in (ccunda in"tenuone gencris,à qua vclut cffentialiter tali.caterz omnes naturz fiuc reales, (iue intencionales illius vniuerfalitatis ca. paces denominátur tales. Ad :.Ncg.min, quia gcnuseft fpecies fübijcibilis in or. dine ad vniuet(ale,non quidem cffentialiter vi qud »Ícd M Re,& vt modus . Ad 5. vcrum eft genus primum prz dicabile non habere A (apta fc, quod (it efTentialiter genus, poteit tamen babere aliud .(. vnruerfale » quod fit accidentaliter tale; et etiá verum eft vniucríale viciffim accidentaliter contineri    fub generequatenus cft affectum tali fe cunda intentione,vt dictum cft q.vlr.pre. ccd.difp.in folu.ad 1 nus vt quid e(t inferius ad vniuzríale, vc modus poteit etie (uperius. Et hac do&ri najquz valdé familiaris cft in íchola «cotiarum (oluendz (unt prz di&z diffical tates tangentes definitionem generis,qua euam paílim vtuntar Recenuores, vt vie deri potcft apud Ouured.controu.4.Log. punc. 1, qua quia noluit vti Poncius di(j. 4«de genere q.2. multa dicit inutilia et mi nece(faria pro folutione harum difficultatum quz camen cx allata docttina facilli po (eode ; mt 4 Circa alteram quz(iti pus. intcliigentia eius ciendum e uod ome concretum, vt in propofito eft genus, et uodlibet aliud vniuerfale poftca dcfinic. dum, de quo eadem quaz(lio inftitui poteft, dicit in omnium fententia formam fimul, et fubiectum;vel vtrü jue cx zquoy definitio 7, Met. 4.at gcnus nequit ef « et in vel vnu ndo aliud n nel er] et in reo, m connotando aliu . uia gc gius primi icabile cít i Ez connotando (üb:e&um, aut € Vin nai varias de hoc opinioncs à nobis relatas diíp.2.q.6. att.2. Cu igicur genus; ad 4. Conf.vnde ge el M tà Porph . definitur, importet gcneE. » «t formá afficientem aliquam maturam, atqueideó in concreto non in | ab&ra&o jiatur, conticpiunt omnes nec definiri (ecüdam intentionem folam, 4 e nudam naturam capacem illius intentionis, fed vc] vtrumque ex zquo, vel vnum in ordinc ad alind, nimirum vel fe" €undam intentionem in ordine ad naturà fübftratam,vcl é cotra, vno excepto Fafual.qui r.p.fuz Mer. difp.49. tenet nudam naturam definiri, et intentionem : noneffe neccfíariam ad pradicari . $ Hinc tres cxorte funt opiniones duc xtrems, et alia media.Prima extrema af fericin re&o, et yrincipaliter definiri na,vt tamen conno:at fecundam intctionem,cui fübftat, vndeait vt Quod definiri nataram,vt uo. fecundam intétioncm, qtia prz'fara dc nit;o non conuenit "maturz fecundü (eyquia vt fic ncquit przdicari de pluribus, cum fecundum fuam |. ef'entiam non fit vniucrfalisncque intenticni,quia ncc ipfa (ccandü le potcft pra£x dicari de plur/bus,fed nature,vt denomiFt patur genus, et cum ordine ad intentioné Ys: Die qua formaliter habet natura efvniuerfalem;ita laucl. in I og. tit. 4. c. 2. Paul. Venct.c.de genere; Amic. trac. $. q. r.dub. $. Tolet. 1. Moril.difp.2. art.2. Aucr(a q. 10.fec. 2.& alij. Secunda extrema docet hic directé definir! fccandam jntentionem in concrcto,vt.f.connotat na tura, quam afficit;ita vt ipfa fecunda inictio fit res definita, natura vcró connotetur ex modo def. niendi, ita Scotus q. 14. vniu, vbi Maur. Anglicus, Sarna. Brafaucl. Anto. And.c.dc gen. Tatar. ibidé ar. 2.dob. 1.Ioann.de Mag.Fuentes q.6.diff. qart. 2. Roccuscap. de gen. q. 1. et alij Scotiftz pa(fim, et cundi feré Thomiflz Caict.in hoc cap. et de ente,& effentia c. 9.Sáchez lib.3.9.3. Galleg. controu. 12. Araux.lib.2 .Met.q.4.ar.2.Mafíus hic fec. 1:3:3. Cóplut.difp.$.q. 3. Ioan. de S. Th. piss 1. et alij quamplures, quibus (ubribunt Didac.difp.6.q. 1. et Blanc.difíp. 3.fec. 3. Tertia tandem opinio media atle tit hic definiriaggregacum, (eu compofitum ex natura, fecunda intentionc;ita ! vr viramquc dircéte dcfiniatur, natura vt a kl : eius, vcluti pars, 00 uel T. € fenfdefriat Chus AL. ai materiale;intentio,vt formale, ex quibus vnum pet fe confurgit bic dcfinitem, ita ex Hl ccentioribus quamplures R uius. q. 2. Mvrcia q.3. Hurt.difp.4. fec. 1. Amic. hic trac.5 .difp. 2. dub. 1, et alij;dicüt aute hac duo conficere vnum cns er fe, quia natura animalis v. g. vt capax gepereitàtis, dicit ordinem ad illam tanquam potentia ad (uum actum, qnod autem fic ex duobus fic ordinatis, eft vnum per fe, ex a&u enim,& potentia fit vnum per (cs opinione autcm Pafqualig. nil dicendum occurtit, fatis .n. conflat ex di&tisnatur& non contt itui in flatu vniuerfalitatis, nifi per fecundam intentioncm. 6 Diccndum eft liic non definir: s?pre gatum cx viroque.f. ex rc, et intentione, (ed vel definiri rem,vt fubeft intentioni;, vel incentio n&,vt applicatam rei,iraquod vnum corum fit dire&é, et principaliter defioitum;aliud autem velati connotatü, et intrans definitionem per additamentum.Conclufio duas habet partes, quatit vna damnat tertiam opibionem vt prorfus improbabilem altera vetó priniam,& fecundam ample&itur, vt probabiles ; Quodaggregatum ex vtroque. non defimatur,docet Do&or q.14. cit. quia hoc eft illud ens per accidéscx rebus diucrforum praedicamentorü, quod cum non fit ens pcr fc vnum, fcd Giinplicirer pluta,nec etiam vna definitione exprimi pote(t, vt docet. Arift. 6. Met. 4.& $.& lib.7. 11.8 43.& lib 8.13.& t4. concretum enim accidentale dupliciter (ami poteft,vno modo, vt fignificat aqué prímo (abic&um, et formam, et hoc proprie dicitur ens per accidens,alio modo, vt non vtrumque ex zquo principaliterfignificat;fedvnumprimarió,alteramfecundarió,&hocdicitur ens conotatiuum,quod vtique definiri poteft definitione quidditatiua per additamentum datayde qua diximus difp. 1. Q«4 ar. I.quia 1d, quod conccernir princie pale fignificatum; non cadit in intelle&u (ed vt terminans re(pes &um illius, X ideó nó defttuit enitatem cius,yt docet Scor.q.8.vniu. propé finé, et 4.d,1.q.1. cit. e peras igitur genus., uod elt accidentale concretum ; poffit defini i proprie, vt ens connotarigum j' vtdo. » D «t em : | 418 vt docct prima, et fecunda opinio, millatenus tamcn dcfiniri potcft, vcaggregatum importans vtrumque cx zquo principaliter, vt ait tertia. .. 7 Rfpoodct Murcia cit.negando hoc eoncretum cíic ens per accidens, quia ict oon fit vnum pcr fe fubftantiale » eft tamen vnii jer e accidentale per phyfica vniorem, co modo, quo factunt vnu pet fc fubicetum, et fotma accidentalis . Scd valde vir itd «fes ipiror dà putar cx vnionc accidentali co quia cfl vcra, phyficavnio fc ultare ens per (c vni y ad hoc enim non folum rcquiritur vera phy üca ajo inicr (ubicétum, et formam, fed ctiam fubftagtialis cx per fe actu, et per fc potentia, qué quia non repetitur inter GERA. fat aani accidétalem, idcó ncgat Arcitt.loc. cit. ex illis ens ec (e vnü rclultare, Ecquádo etiam concederemas qualemcunque phylicam vnionem fuffi cere inter formam, et fübie&um, vt ex illis fieret pcc fe ynum, cumtalisuoa tit :Dideaiei A genereitacem, quia cft olum vnio f. &a per rationem, dum intellcéius affizit patur illam inicntioné, confcquceater nequit inf«tre iliud. aggregatum effe per fc vnam. Rcefpondent alij concedendo aggregatam illud cííc ens per accidens,fcd negant id dcfinibile non c(le, vndc Blaoc. cit. quamuis gobifcum fentiat inquit ramen, banc rationem cx ente p:taccidens dedu&am facile dilfolui . Ceterum ens per accidcns nec e(Jc definibile, neque fcibile monfiramus ex profe(lo inf.difp.13.q. 2. art. 3.ynde ratio-inde deducta ctl cffica-cilTima, Scd adhuc copcedcodo,quód fir definibile, euidenter oflendiur non hic definiri aggregati illud;oà illud hic definitur,quod de pluribus przdicatur, et ad inferiora deícendit, ac cooflatum ex re,& intentione non defcendit ad. inferiora,, ncque dc illis pra.dicacur exercité, auc ügnat, quia przdicauo exercita cit propiià primarü itencionü,tignata fccunda" map, ergo nullo g -ncic przedica;i0ni$  ót 1i PLE Qin prasócari de ploribus, 1& Vt veró jcobem:s alter conci, partem, qua auibas cxucemas opin;oncs tacit probabiles, et oltendaimus ctl de mcacc Difp,V. DeVnintrfin partic. . DoGoris,tecolendüeftexdi&:s dif.,2"    | q.8.att. 2. dupliccin eife przdicarionem excrcicam, et lignacam, illa perciact a4 primasyhec ad (ecundas intentiones, nam vt inquit Do&or in hacquett. omnc fignatur inccund;s intcttonibus p.t prie dicationem fignatamycxercetur in primis per exercitam, vnde ea, que cebus exercité conücniunt,ctiam in eacioaibus,que illis fanc applicabilesattribuntuc ligaaté; tunc autein aliqu.d conuenit alicui excr« cité, vt colligitar ex Doctore 4. d. 1.4. 1. quod à parte rci veré ineft illi, vt fi dica. tnus; q hono eft rationalis, hoc atiributum conuenit homini exercite, quia realiter in ipfo cft, fignaté veró aliquid alicui conuenire cft, cum illi conucnit tan. tam,vt fi2no,pcr quod figaificatur attri» bu:am illud veré, et exercité conuenire rciycuius cft (ignum, v.g. fiia pitturareprasécctur nobisaliquisequus,dicere (os lemus illum equum etfc ferocem, dum " B g tem fic loquimur, cetcé tigoifica à mus eoe tek "equo pido « bisintclligete,quàd equas vetus, et vi«  uus, cu.us fignumeft, exercité habet. ferocitatem ; 1n hoc igitur fenfu multa tribuuntur fecundis intentionibus, nam dicimus fpeciem pradicari de indiuiduis, propofitionem conttareex terminis, cr quód fpecies, vt (ccunda intentio, veré, et exercité dicatur de ind;uiduo per verbum efl quaii verum fit dicere;iad:uiduü eft [pecics,vel (ecunda intentio propotition.s cóilat ex terminis fed fignaté, quia funt figna, quód illz res,quibas tales intentioacs appl.cancut, veie, et exercité przedicatut de indigisuo, et conttat ex 1erminis« Etadhuc Do&or ipfc opcim& dcclarat difcrimen iacer a&tü fignacü, et exercitum in duobus ptzícitim fianlibus;per noa cnim exercetur acgatio ( inquit ipfe) per nego yeró ignatur, pcr zm 4um fi aiicec exercetucexciutio, pecex€ludo figoa;ur, et vult dicere, quód 6 quis diceret 2egazie ncgai y vite ica dicédo exercité afhemat, quia propofitio cft affirmat, et cancum fi gaaié negat, vn. de hoc przdicatum ucg4i, tcbaitr (ccüde inicationi negacionis tantum figaas (6, exercé   conucnire,fedfigmaté, quatenus datnoQuaf.I.Quo fenfu definiatur Genus. esdrt. T. 419 t, exercitiü vero negationis fit pergo, dicendo, homo non cft afinus, vndc ze. gatio in au fignato ncgat, won. vcró degat in au exercito, X hac dotrina eft valde: notanda in his rcbus logicalibus . 9 Cum hac do&rina itaque poffumus vtraíque extremas opiniones concordare, et ctiam de mente Scoti defendere, nam fi (ermo fiat de praedicatione exercita, verum eft hanc prdicationem conueni£c naturz, nó intentioni, neque »/ Quod, quia non dicimus homo cft 2enus,fed ho mo eft animal, neque »t Quo,. vtaliquire(ponderefolentqua(ifecundaintentiofitratioformalispredicandinaturzquiaquod praedicaturdepluribusinferioribusquidditatiae,itaprzdicatur; vtexviicationisdeícendatad. effendiinil:iio nfolumfecandüid, quodpredicatur, fedctiam sin tationem formalem,vn de habet vt pra dicetur, genereitas autem | mon ita d«(cédit ad inferiora, ergo in hoc fen(u nequit cffe ratio formalis, cur genus »predicetur. Accedit, genus definiti, eífe 1dyquod ptadicatur,non quo;ergo etiam (i concedatur genereitatem efle, quo, vel qua natura praedicatur, non idcirco Au. '&ores (ccandz (ententiz fc refpondédo dctendunt definitionem zenetis principaliter conuenire intentioni, fed natura. Si igitur de praedicatione exercita dcfimtio, men P.tph. iniclligamus, tenemu: dice"re, quód ücut talis prdicatio conaenit nature, non intent: ori y ita. ills definitio tonueni: naturz, non intention, et hunc " dicendi inodam effe de mente Do&toris jn 1,d.3.q.1. n2tat L'chetabidem; $. (515 Jed contra ; vbi docet, vmucríale predicari de plüribus;n quid,non quidem [ge tenus cit ens per: accidens contlicucü. ex natura, et rclatooesled tantum per rationé naturz, quz cft ens per (e vnum, et in inferioribus eifencialiter iaclafum ; fubdit camen naturam non effc fic proxime pradicabilem y nii ada c. fub relatione vniuer(alitats, et indeterminatiouc politia ad »lura, quia non eft inpotéciaproximayvt a&ta dicit: t de illis,niá pcr calem relation£, et indccerminationé, qux ipsá ficit acta vmuieclalem et in hoc fenfa loandem de t Do&otis Mearifs. lib. 2. da Me '€unda intentio quendo de ifta predicatione intcellizendü eft, quod hic definiatur natura, vi [ub(tat intentioni, non quod principaliter dcfiniatur totum cóftitutum;nec natura prin cipaliter, et vt Quod y intentio aurem, vt quoquafi tit ratio formalis, cur pradicetur natura, fed (olum quód dcfiniatur, vt fubftat intentioni, veluti conditioni cam. ponenti in Itatu vniucrfalitatis, in qu séfiinon fequitur ipfam effe przd;cabilem nec vt Quod y ncc vt quc, Quia cft mplex conditio, (icut eriam abltractio ab infe» rioribus quia requiritur,vt fimplex codis tio puzuis ad conftituendamnaturà pro« ximé przdicabilem de multis, idco noa pra dicatur ipfa, nec vt Quod,nec vt qu05 et hoc torum có/onat €i, quod docuimus q.2. praeced.difp.art. 1.in foLad 2.vbi diximus rclat:oné vniuerfalitatis in przdicatione exercita nó effe przdicatum, fed cond:tioné prdicati.Si tamen velis intétionem appellare rationé formalem;quatenus eft forma denominans natur3 proximé pra dicab:lé, ira tamen quód natura ex fe hibéat modum efífenialiter. przdi« candi, vt contendit Auería., qui nona vult intenrionem appellare icem «onditionem ; non repugnamus ; hanc [ententiam tenet .: fet fo 3.q. f$. ;& Oibellusc. de gen. ait cfle fansprobabilem. Siveró loquamur de przdicatione fignata, et de hac definitione generis intelligere velimus ; tunc dicendum cft ibi proytié, et per fe intécionem gencris definirt, quia talis predicarioef propria [ir «undarum intenrionum, et ilhs « vt Quod, gcüus enim pro fccunda inteationc illud eft, q» rali cp nisdeploribus fpecie difictenribus catur ; Quia tame ied rcípicit fignat et (ecundisintérionibus vtitor logie fignis primarü,ideb dicendi non d À à Porph.folà intentionem generis, fed cum dciur gens ins qodprekn ilis alli nature, bes et exerciré dde pluribus fpecie differentibus affirmatur, Vtroque 1gitur catur, (gc. fcnlus eft, pee wuwIy! 4106 modo poteft explicari definitio genctis ficut et aliorum vniacrfalium) et forté ac de cauía poflquam cius cíicnciam indicauit per przdicationem fignatam dicendo, Gezus efl illud quod praedicatur y &c.ftacim exemplum attulit ia pradicatione (ignara, quod homo eft animal equus cit animal vt nimirü p id ügnificarct police explicari esed gencris, tà pdicatione (i znat2, dcfiaiédo iatétioi€ 10 or  dincadre, d przdicatione éxercita dcfiniédo rem :n o;dinc ad intent!on m, IN equDo&or ilia 14.1eced t à pr. ma opi nione,v: à nob:s cll explicata, licet ad jfe«üdàá magis inclinet, cuius rei fignum cft, quia ad argarmeata qz conira ipsa ob j .ifolutiones adduc:t,ncc illos re j-ic,vt dbi Expofitores aducriur: vnü d:ncaxat . mon (oluit, uia procedit cótra iilam oprmonem fic incelic&ain, vt res effet, quae sdchoirctu: ; acento ratio,qu: defiairetur, inquo scu (aftineri nequit, vt fapra decla aumaus;quod vt inagis patcat,lioct cac» Thic producere cam corum folutionibus Àbt à Do&orc potitis, Obijciturergo pose principalicer 3itionc 15 4S ctiam aliorum vniucrTalium. Tum quia logicus per fe coníidc. kat (ccundas inienciones,primas ver mifi pcr accidens, quatenus fuada;néta il'umyergo, ilias cantum defini: Tum iali rem definiret log cus, non incé MOntr te artiicx Ett: Lam j. Quod hic defioiur,vaiuocum cft ad oin /iayquz poísunt denominari gencra, fiue fit ensreale,fiue rationis, liue tubflantta, uc accidens (ed mhilieaie ad hzc omAnia datar rsiuoci ere mon rcs,íed incédme. Tam 4. f€$ (ub inccncioae defin cur, uic res per aceidens defio.cir Tu hoc imen:io fibi acidic, func eciam fequitur, fi per acci» defiaitur,ab(oluré dici debct nó definiri quia definitio cQaenit definito p (e, mà pet accidens, T tandem formale uefinicum debet e(fé quod iplo nomine forsgoalitet,& per (e importatur, (cd nomen, tin propofito eft genus, nom faguificat formaliter, et pet (c (ubic&tum, ded vanum gro cónouto, vc diyünas dile ade ré efsc nó aicum n hac dcfiDifp.V. De Vuiueral. in particul. 1.q-6.it, 2.ergo genereiras, nó natura hic dcfinitur. Cofir. quádo dcfiaitur aliquod concretü accidencale, dcfiaitiotacadit fapra formam concteti,vt cx;l cec rantá e[sc formz.fabiectü vero puré denomis nauué (c habeat, et (clu. denominecut d. fiaxi,ergo ita cric in propofito. Probae, tur aísumptain,cum.n.d cimus iiou eft dilgrcg iuam vif is,aullo modo explicas tur natüta füb:cctuíed folum accidents, et idco 1cfinitio quiddicatue cadit cancüfupra formams et hoc etl praecipuum fuas d. mentum fecundz fnicncaz. Od befpad 1.& 25,uod hic nondcfinitur fola res,(c4 resí(uo intécone fcofü iain cxplicato, adducic Doctor banc f[olattonemnce ipfam re jc (41a vidit (ufficieuter fitsficcresna re vera parü refett dicere, quód logca fit de fecundis iae tention bus applicaus primis,vel de primis,vt ubftant fecund's,quia quocunque modo d icatur semper faluauur; «uod logica fit Ícientia rauon.lis, et per fe cone uideret fccundas incétiones;ratio €(l,quia vno, vcl al.ero mmodo dicendo, nunquam aíseritur quód res folas, et nudas conii« dcrer,tic enim cfset arcit-x realis, fed vt dcnom;natas, et atf :Gos fecundis incennibus,fübquaformalitateconfideratznó(untmateriaidoneafacuicatisrealis,ierationalis.vteftlogicio«vd Ad5.dicimus arguméamilludvrgce«rcinomui opinione, nàcuamfecüdaaíseritnondeíiniriincentionemfolam, icdconnotandofübicétum,vndé adhuc 1 :1laepinióne quzri poteft de voitacilliug €onnotativcl.n. eft aliqua res parcicularis,& hoc non,quia [ubic&tum non efseg proportionatum formg, quz (bi applicatur, quia (cunda inteotio gencris hic definita nO e(t gencreitas haec,vcl illa, fed gencreitas in comuni 1n patitci res «onnotata per hanc fecundá iniencioncm erit communisoma:bus, qoe pofsunt à tali intétione dcnominari; Arc igi tur Do» €or,quod rcs illaqui bic defioituc, nom eft vna vnitate vniuoc itionis,lcd tintum habet vnitatem proportion:s, modus tii, quó hic dcfinitur, eft vaiuocus omnibus genccibus, quia ou:ncs natürze eod é mo«0 «onucnium in mod) Wiédirana « de S S LM  1 ü Dr 2» EP RESUC j "Vt " tow  y 4n tn M mm Ps  'apdepedieco go Quafi. L.Swo fenfu definiaturGeuus. edri.L. fois infer: oribus,quam refponiiodem nà improbat Doctor,fed fequitur, vt nozat ibi Maur. et amplectuntur. Recentiores, 9mnes,quos valdé exercuit hoc argum. tum, vt eft videre apud. Hurtad. Acriag. et alios hic, qualis autem (it vnitas proportionis, dcclaratum e(t (p. 2. q. f. art. r. od fi vrgeatur hanc enitaté non fuffi€cre,vt aliquid fit definibile, quia definitio poftulat in. definito vnitatem vniuo. . cationis, i.n. de nitio e(t vna, defiaitum quoq;c(fe debet vnum, vt fit cum ea conucrtibile.Dicimus cam Do&ore ibidem, faltim ad e(Te vnitatem. vniuocationis ex garte mod', quo naturz diuer( funt capaces intétionis logicz;, et bác fuflicere, vt definitio gener s (it vna,ei]; vnum cor» teípondcat delipitum . Ad quartü valecillud argumentü ontra primá opipionem, vt dicebamus, P intelle&am, quod fecunda intétio tit ratio formal:s, pet quam natura cont itua tur de pleribos prd cabilis,tunc .n. bend n £oncluditargamentü, quod ficut tal's intétio accidit naturz jt ctiá, et pradica. bilias, et definito generis per accidens tantum, et denominatiue con«eniret naturz,ficur definito albi i4e5 per accidés€onuenir paricti quia accidit ei albedo ; At iam docuimus cum Lichet, &niuerfale przdicari de plaribus ellenual.ter ratione natnra in illis inclufz,imtestionem vc to efe dumtaxat códit onem, quz eam in à&u proximo có(tituic ad. exercitium talis przdicab litatis, et ideó Falsü eft de. fimiionem gencris conuenire natura catione iplius inteatioais in eo fenfu; (ic di€imus 1gnem dc fe efie potentem ad plura €«alefacieada, appro xrmationem ramen cf féneccff'iriam vt fiat in a&u proximo ad exercitium virtutis caletadtiug; nec tamé licet hinc inferce, quod approximatio fit ratio formalis calcfacicadi in 1gne, quia €oncurrit tantum,v cond cio,q 1àm. doiain ctiam rectpit A mic. Cic, Ad quintum maroc non efl vaiuerfaliter veta quia concreuim accidentale, 5 nó folum definiti potett ratiooe. forma ; vccuim definitur dod eile d fgregaciaua vifus,fed e.iam racione fab:ect, vc fi definiitur «lba:n ede. luuftaatian habeaté :, "uoc albedinem, quo cafü certum eft. albedine non dcfiaiti, etiamfi nomine albi princtpal iter (igni ficerur albedo;fic 1gitur in a propofito genus eft vtique nomen concreiQa principaliter nnportàs genereitatem,bazc ramen eius defiaitio, fide 2 predicarione exercita intelligatur, oon conuenit haic concreto rationeforma, et intentionis, fed ratione naturz, vt ine tentioni (ubftant:s, vclut i códitioni,. per quod etiam patet ad Conficm. ARTICV'L'€s'M vn definitio Gereris[it rei? affignata 14 Pis recta definitionis generis intel., K. ligentia nor. quod cft concreta ac? cidentalia, vt in propofito cft.genus, o7, leant deB niri per fübic&nm,vt cum dici mus;quod album eft tes hibens albediné;. adhc tamé.er/à definiri poffunt per proprium penus,& d fferentiá,vc bene notae uit Didacus difp. 6.4.2. m9 fec defipitio efl perfe& oc illa. Ratio eft, quia vt notat, Tatar.q. r.antepre d.dub. 2. ex Scoto 1. d.3.q-4.:n finc cum definitur concretum, accidentale per fubic&im, vt cum dici mus;album cít res h;bens albed nem, ta-. lis dc(criptio non eft,ni(i q:2dam nomi ois explicario, et non per (cexpreffio fi. gn'ficati,quia nomen cócretum de. per fe; f)gnificato fub:c£tum non mpor'a:, fcd. tantum de congotato, et de modo (ignificandi; perfe&ius igicur defiaitur concre tum,fi definiatur per ratoncm c:us acci« deotalem füpertiorem etiam in concreto, diccudo v.g.alb& e(t coloratum d.(gregatium vifus.vndé defia endo concreta in hünc modü,im itandus femper e(t modus, quo ipfa forma dfiaitur in ab(tra&o ((cc U4tà tamen connotationc) vt v. £g. li in, ab(tra&o definitur albedo per colorem y non per corpas,albu.n eciam defiaiti. debet per coloratam, quod elt connotatiuum genericum,& (uperius ad albuan, p totam inngimus difp.z-q-6.art.3. At inquiunt Thomiftag Sonc. 7. Met q. 6Zanard.ibrdemq. 3. Kuuius in Log 9.3. Complur.cit, q. 2 Maius hic, et alij cx D. Th dc interpret, Ieét. 4. et de ens te et cllentia c. 7.coucreta aceide talia as niri per (ubiectum nuam per.pro» prium . 4232 "Difp. V.De Puiuer[alibus in partic. prium zenus,& ideó in definitione con. €rctcrum aliud genusab ifto nóctie quatcndam. Scd hzc do&trina non. eft. recipicnda,quia etfi concretíraccicétale po(flit, ac debcat definiri per (übicé&tum, tanQuam per extrinfecum add tum,vt docet Arift.7. Met.cap. 13,non tamen tanquam xr genus, quia genus dci nitionis cft ac€ributum intriníecum,& cffentiale tei deÉinice, at (übicétum noncft intriníccum Kormz..Si dicas falrim intrinfecü effe toti conífttuto accidétali. Contra, eft, quot €ale conftituiü cft ens per accidens cui de finito; non cópec t ; et adhuc fub cérem Mic con derauum illios conflituti v.g.albi,hoc.n.eft colora«ü;vndé ad (ummü nequit dici nifi genus qphyticü, quatenus ett fübiectá informa«um,& dcnominatü a forma accidental: ; wide dilp.1i. lhyf. q. 2. art. 1. vbi rurfus «ec Thoniiftica doGrina refellitur. "$ Sed ini'àt Cóplur.cit dub.append. ellatenos pofle accidcns in concreto de€initi per concretum fuperius loco. genc«is;quia tunc ideam effet modus figoificádi,& dcfiniendi concreti, et abftra&i& wiriufq; dcfinitio efTct qué perfcéta 1n gationc dcfioitionis, et vcrq; zqué progie collocaretur in przdicamento. R ef p. ex. (cquelam, quia eiiam concreté fu. c. ingreditut definitionem inf.rioris truata connotat:one, ex quo fit, defini€ionem concrcti (emper perfectiorem efie, quia ctl data per add ramentum ; et gratis concedimus accidentia in concreto an pr dicamentis pote difponi, et dicevus dip (cq.& in virtute ill us di/politiomis tenet Famofa illa rcgula argucadi Süenuliftarum,qua Scorus vriturq. i. Voruerf.& q.16.& quol.13. et alibi (zpé, et concictis ad ab(traóta tenet. confcquentia,vbi c(t przdicacio per (c... iu»crioris de inferiori,vt album c& coloratum, ergo albedo cft color, ex qua regula deducitur €uidenter, concretum fuperius e(lc veré | npn rcípc&u inferioris, alioquin regula la mon valerct. Scd adhuc vrgent Complut. connota.iuum, quando pradicatur vt tale, przdicatur in quale, non in quid ergo implicat ponere concrctum (aperius electo modo i0 definiuonc infcrioris uit dici geous log:cü EL per modum generis, de cuius ratione eft pradicari in quid, non in quale. R cfp. taie concrctum fuperius in deaaitionc infcrioris prz dicart 1n quid de (uo. inferiori ia eft cius genus, et praedicari in. 4u4le d: (ubiecto mplic té cónotato,vndé quà do dicimus, :lb3 esi color:iumyly cotoratü re(pectu corporis, Gu? (ib ect adie& ué tenctur., led ceipc&u albi jro toraxali tenctur fubiiantiué, X tic rcfpectu fubic&ie'us predicauo el denominaaua, et ad cótiuarcfpectu ramé albi «quod c(t (uam iof-vius, ctt praedicatio juiddie tatiua ratione foring mrnportatz « Haccergo lupyofita dedteina de da plici modo dcfiorendi concreu. acc dentalia«cum att. przced. conclufum/ic poffc dcfiaitionem peucris mcellig: d« ce 1 quantthin ad excrcitam ped cationem, et dcintencione quantam ad. ogaitam, modó conte jucntec D cen iücft, quod fi in primo (enfu vclimus dcfioitionem igtcliigere, unc definitio g. ncis debet cex« plicacivt wa ica perfubicótu s va vt per. ly quod infinugfor natura &cncnca., nom qu'demyquatdnus co axid (eurn defia'toy (ed prout importat ma:erigle dcfin ti, definitum en m ctl natuca,qustenus fübttar fecundz incentioni, pars vcró matertalis hu:us concret ctt ipfa natura in (c. Si ves ro definitio gcneris imcelligatur in (ec do (cniu,:ta quod non res, fed intétio definia'ur,tü: vel accipi poteft in (enu material, vt facit Ocbellus c. de gencre cum als quibufdamsvel «a fenía formalnfi pri mo modo accipiaturyadhuc cenferi dcbet tradita per fubic&tum, itaut perly quod. infinuetur fundamentum relatton/s gcnercitats.f. natura generica, vt fenfus tt geefl id, quod preedicatur 1, e(t iotentio,qua fundatur in illo, quod przdicatar &c.qua quidem per fuum füundamentum notficatur ; ncc inconucnit relationes ptacrcim cationis (ait Orbel.) dcfiniri per (ua fundamenta, cam Arittot.| f. Met.ditinguar modos, fcu fpecies rclationum reaiium per iplarü tunda menta . Si veró definitio accipiatur in sé(ü. formali,tunc inaenicndü cil aliquod concretam fuperius ad genus,quod cius dcfinitioncm ingrediatur per modum gcne« Us; A de ssssdedÉ E bei MER ER LRURLLL'ZÍLPPLCEU E ÉZZLLDÜLLTÍÍTT TÉ GÓLÓLT»)GOGS Qua[1. T. c/An Genus bene definiatur. c frt.1L, ris; M autem poni peteft predicabile de ribns, tale namque cócretum ait. Scotus q. 15. Vniuec(zin(inuatar per illa verba indcfinitione pofita, Quod praedicatur de pluribus, hec enim elt definitio iphus przdicabilis in communi,& bene licec loCogencris, quod deberet in definitione poni,ponere integram dcfi nitionem cius, vt Arift.docet 6. Top.c.3.cum definitio, et dcfinitum quoad rem (ignifizatam fint 15 idem ; et hic dicendi modus fuic Auicen.c. 6. fuz Log. quem (c uuti funt Caiet.c.de gea. Tolet.4. 3. Villalpand. q. 3.Conimb.q. 1.art. 1. Hurt. dif. 4. Log. fec. 1. Nec obftat, gy pradicabile (it pa(fio vniuer(alis, ac proinde in definitione allata locum generis obtinere non poflit, €um non przdicetur in quid de quinque vniueríalibus, Nam huic obiectioni fc pius di&um eft Porph.hic definire genus, (pe €iem;&c. potiusin ratione pradicabilis, quàm vniuer(alis;& vt omnistollatur. altercandiocca(io ; dicemus nos accipere pradicabile radicaliternon formaliter y quo fiin MM zdicari inquid . Nec obflat,quod ch per illam particulà praedicari depluribus diflnguat genus ab indiu:duo, ac proinde tenere locü differentiz,non is. Quia vt notat Do&or 1.d.11. q. 2. (üb C. benc etiam genus proximum prafertim di (Linguere definitum ab his, quz non füb codem gencre contoentur cum definito,ani malcnimdiftinguit hominemà lapide, vnde per preedicari de pluribus,velut per genus, poterunt omnia przdicabilia ab indiuiduo d:flngui, quod-man.fcflé col.  exipíis Porph.verbis, duminquit ub js igitur, qua de vno folo predicantur, differunt genere,eo quod bac de pluribus predicantur, declatat igiur fe Porph-po(uitfe illam particulam praedicari de pluribus loco generis. 18 Adhoc cuaprobabile eft genus in bac definitione etfc vniucr(ale,prafertim fi dicamus torpb.illa quinque. pedü (ub ratione pradicabilis, fed etiam fub ratione vniuerfalis confiderafle X tuac fenfus defiaitionis efl jd, quod p gdicatur, erit, genas cit id vniueríale, quod pradicatur ; &c, Ncque ob 1d fupci ua cfüct. il323 laparticula praedicatur,de pluribus, vt quidam obijc:unt;veluti iam contenta in ly vniuer[alequia tunc poneretur ad determinandam propriam rationem generisyper vltimam particulam differentibus fpecieyqua fine illis medijs collocari, et cum ly vniucríali connecti non poteft, vc notauit Auetía q. 10.(cc. 3. vbi lunc dicedi modum ample&titur,quem docuit Ta» tar.tract.2.in Petr. Hifp. Ioan. de Lapide q2. Albert.trac. 5. prz dic.cap. 3. Soto q. vn.dc gen.ad s. Titelman. c. 7. de predi Cab. Louan. c. de gcn. Mercat. c. de proprio. Didacus difp.6.q.2.& alij. Verü tamen cft, hunc dicendi modum nó effe de mence Por ph.quia vt conftat ex texta,illam particulam predicari de pluribus ad aliü 6inem pofuit;vt.f.per eam diftingueret genus ab indiuiduo, fic autem pofita illa particula,non amplius dici poteft relatiuum quod rcfetri ad vniueríale, tan» quam ad genus, vt perperam Tatàr. cit. e(t arbitratus quia tunc per vniuerfale intelligeretur es ab iodiuiduo füfficienci(Ti me diftin&um. .19 Ceterüaliz duz particulz roo tibus fpecie in quid, ftant loco di tig, per illas enim diflinguitur genus ab alijs prxdicabilibus,cum quibus conueni et inpradicari de pluribus,per ly enim 4ifferentibus fpecie, diltingaitur à fecundo prz dicabili quod pradicatur (olü de plu« ribus d;fferentibus namero;bzc .n. par» ticula dat intelligere,quód genus non dicit totam c[Tentiam, fcd partem e(fentizg nam id;quód prazdicatur de pluribus fpe €cicbus,non potcft eife toa illorum efsetia,quia fpecies habenc diuer(as cffentiag totalcs, que vna totalis non potefl de omnibus illis przdicari . Vnde genus differre à fpecie per hoc, quod pradicate dc pluribus fpecie diffcrentibus, fpecies autem de pluribus diffcrentibus numeros non ita dcbet intelligi fufficiat fola diueritas (pecifica, vcl numerica inferior ad diftinguenda vniucríalia, rta quod cófütuaotuc. diin&ta. vniucrfa ic maioyem, vcl minoré multitudine Íubij» €ibilíum Lp, vt coptendit A 10.fe&t. 1, et q.11. íc&. 1. hoc. eft flo quia diffcrentia ctiam Matan » ine, 1i / . MEecioM eet eiEDproedifferentibusfpccieintelligifundamenraliter,acpromacctiialivcidemfitfpeic;acplu(quamnumero,fcueffentialiQuafi.IednGenusbene definiature uder-II.  45 tur per modum magis incomplcti, et rx prd: ioferius, quia, vt aiunt ?hilofophi, magis et minus in cadem li neanon uiu Mot cicm nt conttar dc » magis, et minus albo ; non crgo cx hoc modo difceracndi genus à [pecie fequitur geneta füperioras et inferiora abinuic£ ( pecie diftingui, vt infert bic Au&tor., 21 Hicautem aducrtendom eft, cum gus definitur per pradicari de pluribus pecie diflercntibus, non c(sc accipienda icm pro formali, quia przdicari de plc ibus ditferentibus fpecie pro formai idem c(t, quod przdicari de pluribus contentis (üb genere, atque ita probando aliquam rationem cómunem cffe genus, quia icatur de plur;bus fpecie ditferentibus, hzc aurem differre (pecie, quia concinentttr fub codem genete ;, committerccur man feftus circulus ; differre . n. fpecic p r ex co, quàd fint fub nere; et cífe'genus, co quia lit fupra a ergo przdicari de pluribus ttr, ita quod differentia inferiorum gencris actendatur cx diacrfitate cffentiarum fuarum pracifo refpe&u, quód fint füb €odem gcnere, vt cuit etur circulus in bac dcíiniuone ; hoc totum notauit Arriag. difp.7-L0g.nu. 26. fed füperbé dide, du ait forté nullum 1d adnoxaffe ; hoc eoim docet Tatar.cx profectio q.de (pecie ar. 1.  &.Secundà fciendum, vYbiait genas dcfiniti per fpccié; et (peciem per genus fundamentalitcr tantum, et pro materiali,vt euitctur circulus in bis definitionibus . à3 Poftremb per aliam particulam in id leparaumr P on ab alijs tribus praedicabilibus difkrcn.ia, proprio, et accidente, nam vltinfa duo abfolu:é pradi€antur in quile, et accidentaliter, diffeFenta vctó. ptadicaur in quale quid; quia dicit partem elfentiz per modu de1erminantis, et qualificanus, et per modum termim adic&tini, genus verà dicit effentiam per modum per fe ttantis, et termini fübancui, € idcó abí(olure diciiur prz.dicari in quid, et elientiam per modü clleniiz, quia dificrentia quoque L8iéa prz dicat vtique e(fentiam, fed per modü qaalitati$, qttam ex pofitioné tradic Do&or q« 12. Vniuerf, et eft communiter ab omnibus accepta. Ratio huius di(ctiminis inter genus, et differentiam iudicatur üb Arift. (.Met.c.28. vbi ait, genus císe quod primum incft, et quod eft fubicctü, differentiam vcró fe habere, vt qualitaté cius; quia igitur differentia munus cft nó pr&berc primum quidditatis fupdamcntum, fed aducnire generi, illadq; determinare, vt cóftituatur fpecies,monus verÓ gencris cft przbere tale fundamentü, ideó ad genus pertinet modus fubflantiuus, ad d fferentiam vcró modus qualificatiuus, et adic&tiuus, vnde differentia pr&dicatur in quid fecundá rem, non fe» cundum modur, genus veró praedicatur inquid fecundam rem, et modum; et ex hac doctrina cxponendus cft Acift. vbicüque affirmat, tàm genus, quàm d:fferentiam pred cati in quid.vt 7. Top.c.2» 1. Poft. 2 1.loquixur enim de pradicari in quid fecundum rem tantum . Num verà ex natura tei determinatum fit in qualibet fpecie, quód hoc prz dicatum (it genus,& dicatür fobftantiué; illud differentía, et dicatur adie&tiué, num porius cx Marte o., vt contendit Auería, di cemus diípur. [c3.q.4«Contra allatam definitionem obijcitur,1. contra fingulas particulas, videtur enim in primis malé definiri genus per a&om przdicandi, quia vt diximus dif. praced.q. 1.ar,3. adus. candi meré accidit vniuerfali, et ex vi actualis przdicationis potius extrancatur relatio v» niucr(alis, quàm ponatur vt ait ibi cit.q. 16. Vnjuerf. in fol.ad 8. Secun do animal, quod cft m Petro, vcl Brue nllo, non potcft quiddit£tiu przdicari, nifi de folo Petro; vcl Broncllo, quia folum eft dc corum quidditate nam malitas Petri tantum conftituit Petrum et Brunclli Bruncllum; nó alia   crgo malé dicitur, quod przdicetur pluribus. Tertio € contra, non tátum dicatur yenus de pluribus (pecie di tibus,(cd ctiam geneic,fubitátia namque [usce de corpore;& fjsritu, Pel m int gencra, pra-dicamr ctiam dc | qe mr Nn» ribus 416 tibus numero differentibus. Nec dicasgenus prz dicari óc ipdiuiduis. mediate cantum,nam ar.feq.oflCdeinus etiam imme diaté pra dicati. Nec ctiam dicas [pcciem przdicari de indíiuiduis cum pracifione fcd genus tinc przccifionc; quia fi hoc fof ficcrct ad dillinguendum genus a fpecie in rationc vniuerial.s,uafic etiam differée-, tia generica, et fpecifica, proprium Bene, ticum;& fpecificum,item et accidens ucría vniueríal a conftituerent. vt (otics iaculcatum cfl cap. 4. de fubftant. et 7. Mct.48.(ccunda (uübflantia,pizdicantut 1n quale quid,; € contra vero 2. l'oft. 79. diftcrencia piedicatarin quid; et cum tit gradus cffentialis ficut gcnus, ino nobior y. dcbcbit queque ei concedi perfcétior mcdus praedicandi .(. i0 quid, ergo non bene per hanc particulam di(iingui(ur gcnus à d'ffcrentia. 24 Refp.ad 4.Mayron;paflu 2.logicos vcrbua peadicatir inteligere, vt. dicit eptitudinen: 5. vcl dicendum ; quód ficut rátio vbiuer(alis, vt (icy eraut in relationcincüendi tàm aptitudinall, qua acttiali; fic in propofito ratio ple dicabilis vt lic eruari poicftau relatione. pradicaedi tàm, apciudinaliquá actuali, loquendo 145,Ct de [»a'drcatione ignota, qr binc enim fcmper applcatur ad pluri;& quan4o Doétet ioc. cit« inquic cx v1 eciualis pra dicas; onis extrancari46laCon:m vat-ltsyaducrtit do1,:d cileintcliigendum de pracd:cauione excicictynondignara.A d 24licét amunalitas contracta pcr. ditfecentiam à párte rci ad. conft iruendamndiuiuiduam alicu:us fpecici nequeat a. patte zci praedicari s i6 de illo fülo 4 vtnotat $60t.2.d.5...1. (ub H, quia tamen adhuc natura remanet indi Ierens" intria(ecé ad fingulari aliacain [peciccun coa (itaendá temocté cit pr dicabilis eciam de illis, S quando ab intellc&t przecila ab. ilia s differcatia accipis indciciminationé pofiiuam, cnc cfhcicat proximé prad;cabilis,vc explicaium ett di(p. pizc« Ad 3. genetalupecioza predicaacur de pluribus genere diffzceadbus, non quac enus generá (unt, (cd «uacenas tubslierna, quo (e nfüdicun: uc Lpecies [ubigciotlesy mnia vc 1gquit Doctor in hac qug (t, de dif créubus Difput.V. "De Pniuerf. in partic. J es genereyinquantum talia, uihil per fe praedicator ; quomodo autem genus refpiciat indiuidua: iaté, dicemus attic, (eq. Ad 4« alio mode fumit Arift. ibi qu: quid, vt diftinguitur contra hoc aliquid., vt innuetct naturas vniucrí(ales effc com municabiles,nó yero pecfe fübhiftentesy;   i non dixit illas przzdicari in quale quid, . (ed fignificare quale quid. Patet autem ex di&tis,quo fenfu.mulus in locis dixerit A tilior.diffcrentiam prz dicari in quid, ni mirum quantum ad rem prazdicatà, prz dicat etum attributum é(lentiale, et par tem quiddicatis (pecificae non cámé quà. tiim admodum $ qnia praedicat per mo di jualitaus,& adiacéus, Nequc hic mo dus prziteándi derogar excellenjig gra» dus differeütialisiquia abfoluté loquendo. nodus, przdicandi in quale quid petíc. &tiore(t modo predicadi inquid per mos. díi partis,ficut.n.forma cft perfe&iio tetiagquia illà cótrahit, ac detecmim 1n j'ropofito modus praedicandi in quid. et p. modü determinat s crit mado praidicaüicán guidy&,. ddierminabilis, vt benemotauit Didat ; 2$. Deiode ob jc.cótra totá def nem. Primo;quia. conuenit aljjs à 16,nam cofuenitenti., quod| ra de pluribus [pecie differéoban qui non cit acnus;vt tc (tatur Arilboc. 5. | €,3. militer anima.i comn uni, qt cir de rátionali tiuay& fen qua pecie dificrunts& tamen Qon 20S AVIASPO Fédi iin fell ribus, nam gfvut.Q naa Io n deiiie ion unit pico quos diu Pusat odit. TERUEREIO i t;0.contincr aliqua. a il phirs T cíienuá 1c delinitg ?on ita €lic analogum, «t cxclu dar vnixatemy conceptus, qu& ad vniuo cationem fufliciat vnde innottra fenzen« 1ia magis adhue viet di ffiultas;(cd ope 2v wo me  eios Quafl.I:e An Genus bene definiatar. v» fez.IT. 427 v refpóndct Doctor 1.d. $43. $. Con tra iffam vniuocationem eipfoArift.'€it.;Metro.quiaquidditatiuéincludiutinauibu(damntijs, q»c(tproc.fusconiraratjonégeneris, dcnmficreahaspotentalisadillas, coufcquenteromnihóprafcinditabillis, quamfolutioncmadhucmagis declaransd.8.4.3.S.&Y.6.4dprimum argumentum y ait conceptum generis neceflarió defumi ab aliqua rcalitate dift in&a à realitute diffe. femur y& per eam perfe&ibili, € contra hibili, ac proinde limitata, et finita, con ecptus vcró entis cft commun'sad fini eres infimum; quam doórcinam dire €ibi declarat, et nos infraexplicabi intus", cum Dcum à predicamento exclu demus; cadem ratione negat Maur. q. j.. . Vniuetí.$..Q uartódubitatur, cns$c(e genus; et ce:eri Scoriflz palim ; ettà illi . qui tenent, conceptum Cnusde(umi ab aliqua realirate adaquaté concepta.» vt d ü, hunc no 3 on pes adicament   dum ificulter foluant, vt fu(ius in. Met.   .37 Scd inítat va. RULA AL NN  ex vi dcfinitionis traditz i ens e(Te genus; pra(ertim tota 3 een dcfipitio ci competit, €u; rz dicetur in,uid incozmpleté de pluci bus fpecie,lioc ett ; plu(quà numero dile rentibus, «quod add;t, ne quis dicat ipfum petere principium, quodilla, de quibus ens predicatur,.(. Deus, et creatura, füb ftantia,& accidcns,[upbponat efle (ub ge mere » co quia illi appcllac: diftinéta (pe Cie ; cü 1g:tur per nuilam particulam ex cludacar cns aba(ta definitionescur genas |.dicinondcbebic, (i liec definiuo ett bo na? Kcfp. fi loqu' tur de ente, vc folum traníccndit lubít ciam; et accidens i« de, eme finito,grat s concedimus císe genus, "Nt mag's conitabic dilp. feq. Si verolo quitur dc enic, vt conl cendit,; ercatutam ncgamus cile genus, t ob ra tionem allata: quia non praefert reale tat pocéialéin, et corrah;bilem pet rca» liatem def tent ie, quod ncceriaium eld vt aliquod propc dicatur genus vt do €cCSCOL £d 5.4,3. prope tin. tü quia de tonc genecs citvt dicat celauoné ad plus i : | rcs ípecies, Deus aüt non eft. fccies, («il c(ientialiter e(t (ub(bantia: indiuidua,.& finzularis, nullum veró genus conttiu;. tur per otdinem immediatum ad rem in  diniduam, vade formaliter loquendo ex cluditur à deGnicionc seaeris pcr hoc ; gp non praedicatur de Dco y et creatura, vc de pluribus (pecicbus, ficut neque ad illa contrahitur pcr veras differew ias facicg do compaiit;onem Mctaphyíicam qug omnia neceiloria (unt, vt aliquod com munede. plutibus dicibile in quid per modum: pattis eifcntg dicatur gcnus,. Qaod fi Arriag. velit appellare. genus quégicunque talem conceprü etiam cir illas condicioncs,crit que fto de nomines re tamen vcra non 9unem huiu(cemodi concepium eile appellandum genus opti mé,demon(trat Pa(qualig. 1,p. fux: Mct. d.(p.3 9.íc&. 2. voi aduertit quod cealitag apta fandare intentionem gcnctis deber dicercaliquam rationem cutis determi. natam, inqua faluetur potius. inchoatio huius natura'; quàm altcriusncc fofficiat ratio éntis, vt fic, quae cx (e non dicit in; «hoationem deterininatz oaturz fed cá» tum effe reale, (ed de boc fufius in Met, ja . Ad intlantiam de anima in iiL dd mo argumen: o allatam concedimus ha bercratiooem .genccis adilla. tria, quod auté non ponatar dire& in pcedicamen to;(olum infert,g» non eft genus complzz tum nO €x dcfeétu vniucilalitacs; fed na tuiz, quz partialis ctt,ac incóplcia « Ad 2. 1amfüpra di&ü e(t vninerfale, vcl p;at dicábile ; quod ponitur Joco gencris u.a hac difinirione. ; accidentalitet contiaeri fubgcncre. primo pradicabili, quarenug "f.quicquid conuenit gencri vc gonuselt, cGuenit ctiam vaiuerfali, quaccnusa tali intentionc dznominatar.. Ad 3. iilaplura ponuntur 1n definitione oblique tantü, et &onnotatiué, rcfpcétus enim temper defi fitue in ordine ad terininum, X t pouitur m eius definiione, y; adi 28 Quiares, an ita dcfininim nicdcíerie iua, v.i quiddiratiua ?. pef pr magn ic ablque cau(a iri praeli inier düop  miflas, et Scowftas, euo lic iie lis de nopvne; fi l'ocpb. Jo niic de genere, quatenus pra d,cabile cft, X non pouus Nn i Qu. M 428 quatenus vniuerfale, vumens cias.| fuiffe vidcturserit definitio, et noa delcriprio, quia dici de, licét (it pallio vaiuec(alis, et tamen dc etfentia pradicabilis ; Si ve ró loquatur de gcnere, vt cit vniucr(le, tunc dicendum cft, quód ti przdicart fu mitur formaliter; eft de(criprio,quia elt data pcr páflionem, fi vcró radicaliter, cft dcfinitio, (ic enim dici de coincidir cü effe n, et aliero if&orum modorü in telligédus eft Doctor q. 1 ;. voiucr( qui do mquit przdicati de pluribus effe ra tionem vniuerfalis; cum in 2d.5.q. r.ali tcr fentiat ; quód (i quid amplius conten dan: ex hoc loco Scotiflz, dicimus Do €otem maiorem babere au&otitatem in lib.fent. quàm voiuerf. in quibus folum modo €a doctrina reci picada c(t, quz có fonat cum lib. fent. iuxta rcgalam genc talem, quain tradidimus in quaft proe:n, de recipienda Do&toris autoritate, Ad uertendumtn c(t quod cü dicimus prefa tam definitionem ctfe quidditatiuam,non loquimur de puté quidditatiua quz ran tum con(lat ex pcoptio ;2neres X differe tia, fed de quidditatiua per addtamentii data, in qu: vltra proprium geaus, ac d f entiam, inuoiu tur quid aliüd ab eifen tia definiri diuet(um ob ordiné aliquem; em habet ad illud, tinc quo definitio intellc&uin aon quietaret,quo gcne tc definitionis non lolum definiuntur ac cidentia omnia relatiua, quoi am c(T to tü cft ad aliud (c habere, et ideó perte&e concipi ncqucuni, nifi eciam cócipraatur fondamenunn;& termiqus;(d etiam ac cidentia aliqua abfoluta, imo et fubttan: tig, prz(ertim incópletz, vc docct scot. 4 d. iR d.1 2.0.1. L.& alibi lac pe. "in Prater allatam generis definitionem Porph affert aliam, dicens genus cfl id, €i fupponuntur. fpecies, quz dcfiaitiQ potcft iciy tum effentialis, cum acciden talis iuxta duplicem (enfum;quei poteft abere ; i.n. itaintelligatur, genus eit yniaer4le, quog refertur ad fpecies, erit ellentialis, quia ccn: iale c(t seneti re fpicctc (ua inferiora; (i veró ita intclli fatur, jenus clt vniderlale, ad quod tpe cies tut  Ícu quod terminat refpc n fpecicrum, etit accidentalis, quia Difput. IV. DeViutvfalibus in partic. Accidit geacri » quod refpiciatur ab infc rioribus licét .n. nà refpiceretur pet mu tuam relationé, adhuc «à benc idtellige recur cóiticutum ia fuo cile pec re( pests si dici ad inferiora, € quonià hic po ctior diccnd; modis elt £cequcatior a pud Auctores, et magis inteatus videtut à Porph. idcircó cóicer docent hanc vlci mam defiaitionein cíle acciden:alem  Quomodo Genus pradicetur de. indiuiduis. 19 Ompertum e(t apud omnes ges C nas delidliiaif prid C4 UR CH prerca cnim dixit Porph. genus pradicani dc pluribus fpccic ditferentibus, noa aüt dixit de (pecicbus ; wc in(inuaret genus non cantum de (jecicbus pizzicars, ded dubitari tolet dc mod», juo |, &du»lex cíle porett dulyun, Priasum cit, an mcd até anum pr | E dicctur de iliis «. med'aure fpecie, juo (cnfa d. cimus, quód Peirus ett animal, quia el homo, aa cciam polit ra:crdum etiam de carum indiiduis, que proprà  abinuicem (pecie differre dowurslld mi v À. " ir hr  immediate przzdicar;; Eft (ausvaloata o Op'nio, gcnus a. n prz dicari per feiplum immediate de iadiuid.is, fcd folum de fpccie, € hac med áte et à dc indiuiduisy. in quo à 1p: cie (cceraicoryquz de fuis ta dividus imaediaié przcdicacur, ita Alber. traCt.4. de praedicab, c. r.Scotq. 17. Vatu. Cooimb.. t .de (pecie; Tolet.q v0. Onna kam y de Auf. 3.9.7. Maius fec.2 genere. 3. 4. Laucli. tract. de quin» que pizd ve Ioan.de S. Tho.q.7, art. 1. alij paffim: quód maniteité vide tuc Porph. ip(e docaide c. de (pecie dum ait Jf tque omninàó id omne,quod eft an te indintdua,dF de ipfis fine medio predi catum [pecies erit dz mtaxat, et nullo mo do generís rationem jubibit. Et hanc fe quutur opiniomem;quicunq. negant indi« uidua gencrica.i.immcdiaté cóoteaca füb gencre,de qu bos immediate praedicetur, vt Suarcz diíp.6. Met.(ec. 9. vbi a(ferit nu| la racione potf'e gradum animalis contra hi imaediate. pec   pu alm i .Q.I. Quod Genus pradicetur de indiuid.c/et. 1. £19 ddaalem,fed mediante diff retia fpecifica, uc adcó nó dari hoc animal immediaté »ntentüm fub animali, (ed Petrum, vel v Leonem, in quibus per eandem in inifibilem differétiam indiuidualem có. grahuntur omnes gradus fuperiores, idem quoque afferit Foalec. y. Met.c. 28, que(t, a4dec.3.& alij ad ipfum. Aliafentécia docet poffe genus &t per feipfum,& immediaté przdicari dc indi uiduis,vt cü dicimus, hoc animal eft ani .mal,hoc corpus eft corpus, quz propofi. tioncs verz funt immediate, et non folo nomine,nam przdicatum fignificat nata fam corpoream, vcl (en(iriua in cómuni, et (ubie&tum eandem naturá. fingulariza taim;itaex Reccdoribus multi, vt Runius cap.de fpecie q. $.Ouuied. contr. 4. Log. pünc. 4. Hurtad.in Log. difp. 4. fcc. 5. quicüque admitrüc indiuidua generica, et . jincó vt D Thom.opufc.5 $. et Sco . tus 1.d.3.9.6 verf item vitimó vt ibi no PENA Er icter 1.d.8.q.3.ptopé finé et cla 207 giffime in 4.d.8.4.2.O. vbi citat Do&t A wic&.r.[na Phyfic.qui fuit primus inuétor  ánduridui ics idis: Sáchez q. $6, .Log.na.5. et 28. ] ures.   m e bm rcfolutione bw dubi E:  i m "J. nad om. i  y" OE e. MET 2, . 2 Ce z fe,primó vt fünt à parterei; et fic verüeft nullü dari indiuiduum, quod immediaté fub genere cóuneatur, quia omne tale có  tínetur immedíaté füb aliqua fpecie infi ma ; fecundó prout ab intellectu. conci piuntur fub gradumnaturz fuperioris non confiderato gradu [pecifico qué re vera rticipát,g vulgari exéplo de veniente à e ex plicari poreft,nà fi ex motu, vel aliqua alia animalis proprietate,quà in eo deprehédim is,cognofcamus illud effe in» diuiduumaliquod animalis,non uj difti. &$ (it nec cquus,vel afinus, tunc dicimur cognofcere indiuidud inadequaté, et in €ópletéin qua accepcione fignificatur no mine huius animalis; et indiuidaa boc imo do cótiderata dicütur incópleta, et genc ricayincópleta quidem,quia non attigiur af totam cí(lentiam (uam quam babent à parte rei,generica veró quia orinaliter, | 2000 Siímmediaé pasticipant nauxá generi. Logic [D di eft;indiuidua dupliciter cófiderari pof cam,Et qaidem hac indiuidu: generica» hoc modo debere admitti .i, non à parte rciy(ed apud intelle&um inadzquaté có cipientem,docet Scotus aperté loc.cit«cü Auicé. et Varrone Magiilro (uo, vnde in Suenuod in fingularibus cft ordo fecü um ordinem vniuer(aliü, et quod prius vnuerfale quodcüue potett intelligi de (cendere in propriü fingularey quàm có« trahatur per differentiam aliquam ad ali quod inferius, tanquam ad fpeciem, vt fic habeamus ordinem ittorum fingulatiums hocens, hzcíubftantia, hoc corpuss et iic deinceps víque ad. Sortem ; hoc prenotato . 31 Dicendü,qu5d licét deindiuiduis fpecificis, et completis praedicetur ge« nus media [pecie,de genericistamen, et incompletis per feiplum immediate prz» dicatur . Conclufio colligitur ex Scot. cit. camque tenent Auctores fecunda fententiz . Probatur, quia vt dicebamus hz przdicationcs (unt verz, hoc anima] c(t animal;hoc viuens eft viués,vbi pra dicatum fignificat naturam (enficiuam in communi, et fubie&um candem matu» ram fingularizatam ; fed inter natu. tam in communi fumptam, et infingue larinullum poteft dari medium, ergo E nus immcediaté przdicatur dc indiuidui incompletis. Deinde ficut natura fpeci fica in fingularibus eft indiuidua, ita et ncrica,ficut enim Petrus, ideo eft hic omo di(tinctus numero à Paulo, quia habet diftin&am numero humanitatem, ita eft hoc animal, quia habet animali tatem diftin&am numero ab animali. tate Pauli, elo igitur animal przdice tur mediaté de Petro,& Paulo ;| vvfünt homines,'immediaté tamen predicae tur deillis quatenus fan;jhoc » et illud animalquia inter animal ; et hoc animal nullam cft medium, quo probari poffit animal dici;de hoc ammali.Conf.illudpradicaturimmediaté  dealiquo,quod£ognofciturilli conuenire nulloaliotertiocognito, &&contraillud mediatepradicatur, quodnoncognolcituraltcrconuenire,nifimediantecognitionealicuiustertij» fedintercKindisiialédone Aopescogniti, &pa$3.,0itionemnaturagencricemedíatco «£uitiofpeciei,quanonmediatinter cognitiopemindiuiduiinadzquaté cogniti, &cognitionemnatura: generic, ergo.fnpradicaturmediantefyeciedein»uiduo.completo, feuadatquatécognitoyimmediateveródeincópletoyfeu inadz quaté cognito: minor quoad primam par Icm patet, ratio enim cur de Pctro (qui fub tali nomine datur intelligi indiaiduü completum, et adzquaté cognitum ) af ctur, quód fit antmal,eft quia cogno fco illum effe homin£, veré enim Petrus. idcó eft animal, quia eft homo, et parti cipat naturam genericam mediante fpe €ifica; Pcobatuz etiam minor c. quo ad fecundam partem cxemplo fuprapoti to de veniente à longé, quod percipitur effeanimal, fed non cu:us fpeciei, qp qui dém tuit exemplum ipfius Auiccn. et ad ducitur à Scot. loc.cit, vbi etiam refellit taciramre(pontionem, poffct enim quis dicere ; quód cum videmus vcnicntem à longe iu cafa pofito;no videmus hoc ani mal,(edvniuer(ale;id dici non petet (ait etse X Dh rie eg nae €» det ergo debct intelligide ingulàri vniuerfa lis. Próbakur psa rauone ibi à Scoto allàta ex Varrone, quado enim dc aliqua ze 12noramus,quid.fit diftin&té,& in par ticulari, quarimus., quid eft hoc ?.at tunc ibi ly boc non(aüpponit pro aliquo eredi dame: vt hoc ligno, vcl 7 $'quia unc. nonignorarctur ; quid. fit illadjquod pcr tale nomen quatur ; idem non (upponiuir,'& quaricut y. pponit ergo pro fingulari cntis,& qua ritur in: ipesesidod "  saper d Y nc; quod. cftyel ligaumy vcl la pho imeicdus. ia 3x I» oppotitum obijcitur 1» s ita prz dicantur dc dime. ib eee eifpofi ci im ferie prae dicamentali. y. (cd. in €alerie inicr gradum fpccificum: ; et indsaiduu m medias fpecicsycrgo gradusgenerxus nó piz dicatur. dc-indiuidu s, ni mediante (pecie Cof. nó poc elfe mmeiata progretl;io decxtremo ad cxtiemü, nii pcr a:cdiü,fe gradus genericus ct füprémus., ndiuiduus eft.infurus, (pcci€45 verQ cll nicdius inccr vrgumqueyesuo LM et  Difju. V. De Vniuef. in partic. nequit gencricus predicari de indiuidao 5 nifi prius pczedicetur de fpecifico. Ref » cum diftin&tione minoris inter genus, indiuidaum completum;ac adzquaté cognitum vtique mediare fpeciem, nontamenm genus, et indiuiduum incompletum,, feu see A: Quac indíuidàüam enim fic (amptum eftimmediatum generi . Ad. Conf.conceditur maior; quando illa extrema non fint immediata at in propofitojgradus genericus X indiuiduusincom-. ples (unc immediate, et gradus generi-cus dicitur füpremus, quiaeít fuperior, indiuiduus dicitur infimus, quia eft inferior, et non quia inter vtrumque alter intercedar . P 33 Deindcarguitur, bzc indiuidua ge nerica non dantur à fpcci ficis di(lincta,er pecificum. Tum quiafecand m$cuum 2 grecia ipa bi aliquan  ieminal o pencse Jic aliquod. indi de uam in illa fpecie,ergo omniaindiaidua. funt fpecifica. Tumtandem;quia animal nó multi plicaturynifi per rationale, et ir 1 Dileer. non datür hoc an; nai Wii Auepoi nico do efp. neg-affumprum, non dene tur indiuidua generica à Ípecificis diltiae6a modo tam deelarato, ad pruna pcob,. neg. item allumprum, ad cuius prob. oc Currit Doctor loc.cit.in 4«quóod licer illa. omina hoc, et onfirenr Áingulace (pccickinfima. singt voiueríalisacquit.efse jorerü natura ; nifi. iwalkyuio fingulari alicbius (pee1€i infima rejxtiarur ytamen: per e (upponunt pro "fingulari entis& magis vniuec(alis,& ratio cft ; quianen demonftxant fingulurc Xpecietiofima difta de; et adequate, (cd. copntuse; argumentaprobat Lolumy. «gyvtiqueàpacte: rcimcecdatur, nccdara« páupgulaie: vnaigriul. sdiitinctààpwoodgn45dlixerui,eenEfis,(cdfpeciei; ytXindiocaulis (ufficienscftad' Quafi.1. QuandoCeu:pradic.deindia. dr.T.stlatifpecieiinfima, nótamenprobat, inpxusconci» poffitfing:loremagis Aipuertafeaii Diigoalis. con'donsncomempeperintelledumanima Ltateém prices cum fingularitate, ouam c ü rationalita:e5 neque enim oportet, vt mter coficepius ingularmmy& conceprum genericam animalrsobuerfcntur in mente conceptus (pccifici, Ad altecà eiufdem aflumpt prob. ex Scoti auctoritate patet per idem,'quód confiderando indiuidua, 1mftatu rcalis cxiftétig,owmia funt fpeci. fica (cd in ttata exlftéuz obie&tiuz apud intellectum inadzquaté concipienté cuá dantur generica. Ad vltimam patet quoq;: peridem, non enim animal à parte rci prius hingularizatur in indiuiduis, quàm contrahatat. per rationale, et irrationalc ; oppofitum tamen contingere poteít per  intelle&um   concipienté, Sic «uique iutelligendi funt Porph. et Scor. €it. initio dubij,dum dicebant vniuct(ale immediate" dictum de indiuiduis babere ihe E zum ita t lindiuiduis complets ; tum quis (  €tíam fi genus przdicetur de incompletiss iQ 32 per modum genc" moxdicemus,  Tandem arguit Suarez, et eius arga: ta probare vidétur nec ctiam per intelle&u inadaxuaté concipientem pofle dari indiuidua genetica à fpecificis di (tin Qa quia ratio generica precise fumpta eft indifferens, et quati in potentia cficatiali, vt per differentiam £pecificam determinetur, ergo doncc intelligatur hoc modo determinata, non potett inielligi proxi e capax indruiduationis, Accedit;,; et fimpliciffima differentia determinandam in áingulari totam;& integram císe-. oce inclüdit omnia pradicata fuperiora, fruftra ergo finguntur tot diffe. renüz idiaidualcs determinatiug pros. priorü sradutim fuperiorum . INcc v c vnicam à parte rei 4 fed effe multiplicem per intelie&ü, nà nequit reddirauo, cur poflit eadem differentia indiuidualis partiri 10 plares pcr. intelle&ü;quarü fingul fingulis gradibus (upcX rioribus cortefpondeant,& non differen. tia Ípecifica in plures (pecificas. Deniq ic non cíl mmas elfentialis connexio. et ordo inier differentiam generis fpecificam, et indiuidualem, quàm inter differentias faperzoris magis,& min? vuiuerfales ví;ad fpecificam v. g, non eft maior conncxio, et ordo inter (cntiens, rationale, et Petreitatem, quàm inter fubftantia, corpus,viuens;(cntiens, rationale; atqui cor» pus non poceft contrahi etiam per intel. le&um per;ditferétiam hominis, nifi me« dia differentia animali,ex corpore enim, et racionali folo nequiteciamperintelle€tumaliquidvnumcontfticurergonqueanimalcftdeterminabile per differéiam huius animalis v. g. Petri, n:(i media differenua hominis . 35 Refíp.ad 1. rationem genericam ante determinatioaem fpecificam nó cef. fe proximé capace pariter indiuiduationis fpecificaz, quia cum indiuiduam fpe€ificum fpeciem includat, (and nó poteft genus ad ipfum contrahi, niti media (pe cie, benc tamen eft capax indiuiduationis ice, quia cum indiuiduuin genericü ried: nen includat, poteit vtique im» mediaté ad ipfum contrahi. Ad 2. vna indiuidualis differentia (ufficit ad determinandá fpecié immediaté, et media illa omnia pra dicata /(uperiora à parte fei j; adhuc tf: per intellcétam poffunt. concipi aliz diffevcntiz ratione diftinctz, qua gradus (uperiores contrahant 1mmediaté modo explicato . Ratio autem, cut indtuidualis eaigecis, my ita partiri per imelle&um, et non (jccifica, eft ; quia s uilibet gradus fuperior,ét ab alio practyet capax indiuiduarioinis, vndc dicimus hoc ens, hoc corpus, &c. vnde dari potiunr plures concepius ciutdem differenta mdiuidualis,quorum quilibet cor reípondeat fuo zrádui fuperiori; at non qunlibec gradus tuperior precifus ab alio cít capax effectus tocmalis diffcreua (pee €ificz v. g. rationalis, póchim clt fubiee €um capáx rauoci s, nifi animal, et ideo nequeunt diti res conceptus eiufdem fpecifica i tiz. correípondcntes diticibuuue gradi. bus (upcrioribus m paris y Nn 4 «um ipiam t plue crc d "7. 432. cam enim in gradu fpecifico infimo efsétialiter includantur omncs gradus fupcriores v.g in homine, vtiq; rationale neuit horiné conftitucre; et ad ipfum fübantiam, et corpus conrahere, nifi me« dio viucnte, et fcnriente; fed quia in indiu'duo zceerieo no vifi genus includitur, potcft genus immediate per fingularitatem contrahi ; bene tamen currit paritas dc indiuiduo fpecifico, cum cnim in 1pfo fpecies includatur, coníéquenter nequit gradus genericus ad ipfum có(tiruendum deíccrdere, nifi media fecic. 36 Hzc omnia bene (i2nificauit Blac. cit. ibi tamen valdc decipitur, dam ait in hoc tátum fenfu poffe admitti indiuidua generica, vt fub vno gencre non nifi vnü aflignari, vt [ub animal: hoc animal, prout ideme(t, quód indiuidpü anignalis,nam hoc animal. fic famptum, fub nulla (pecie continetur ; imó cómune ctt omnibus fpecierum indiuiduis, ram et Pe ttus eft hoc 'ammal, et Buccphalcs «ft boc animal .i. ind:uiduum animalis. Pre tcr autem hoc animal fic fumptur, nulla alia dantur indiuidua animalis,niii h.c ho mo, aut hic Lco, quz funt mdividua fjecierum,nec aliud potefl mensaflequisin quit ipíe .. Scd valde fallitur, vt diccba(nus, ficut enin Pcrruseft hic bomo difiin&us numero à Ioanne, quia babe: diftin&tam numero humanitaté, ita cfl boc animal, quia habet animalitatem numcro diflianctam ab animalitate Ioannis, et fic de alijs. indiniduis, crgo plura indinidua erica dantur (ub eodem gcnere, non Vnicum tantum ; et quando hic fit quefiio dc indiuiduis gcnericis, an dentut faltim pet iniclic&uns diftincta à (pecifie cis,eft qua fiio dc indiuiduis (i gnatis,non autem dc octet ie cft indiuiauum vagum animalis, quod magis proprie di cerctur aliquod animal, bí res à nullo ncgatuc; ncc ctiam e(t quz fL io dc concepiu indiuidui gencrici m communi, qui videtut abítralu polie à fingulis gcneriEis, (i admittantur ; nam his admiffis idé Qin iu dc tali concepti, quod folet de cóceptu:indiuidui (pecifici 1 communi; quare concludimus Blanc. nó affecutum fuific flatum quatüonis, " Difp. V. De Vniutrf. in partic? :37 Pafqualig. etiam r. par. fuz Met: difp. $$. adhuc etiam rem magis confundit,dum diítingtiit de indiuiduo (ecundü cíle phyficum, et materiale coníiderato, l uo fen(a dicit totam ; et completam in« juidui entitatem, et fecundum elle fore male, quo feníu dicit (olü eife indiuidüale,vt fic, et poítea inquit genus immediaté pradicari dc indiuiduis primo modo | confidcratis, (ed mediate de ipfis altero E inodo in(pedtis . Plané hoc ett contra a» ] omnium opinionum, nam indiuidua pgirho modo infpecta (unt completa, de qui« bus ramen fatentur omnes genus non nifi mediaté pradicati ; fecüdo modo fümpta (unt incompleta, quia dicunt puram indi uiduationem im cócreto, vt ipfe loquitur, fic autem poitunt immediaté (ubiterai y non tantum fpeciei, (ed cuicunque gradui (uperiori pracisé iampto » quia quili E (c folo-eft capax effectus formalis indti. uiduationis, vt icindepedenter àípecie, licét non ind uiduarions (pecifigg ; vt. contra Suarez di(currebamus ; (ed quzfo ne conteramus tcapus circa dicteria, a chymeras RécencioraiM M NE de ui videantur aff. rrc, n nlie paffim labütur ineptias. Poncius autem diíp.4. q.6. hancquzftionem pertractans querit, an. nacura genctica poffit :d:1à pattere. . que vila diff-rentia »oficiua prererindie   u.dualem, vndé non videtur adecutushic   Au&or ftatum |.uz(onis, non cnim cft difficultas dc :ndiuidu's ; vtfuntàpartetei,quiavcdiumcftn.30. certumeft.noilumdar iindiuiduuaià partereiimmediatécollocatumfubgenere, quodnonfitcttamlubaliquafpecie, vtnotatScot.2.d.12.0.2.lit.C.;pA38 Aliudautemdubiumad!ticulum[pe&anscft,cumicaripoflittumdeindiuiduiscompletis, vtPetruseftanimal,tumietis, vtocanimalettanimal, deillismediate, ittisimmediaté,quaritur,aninhisprzdicationibus (ecuetadhucvniuer(alitatemgeneris,velporiusinducatmodü. fpeciei.Hurtad.cit.tenetadhuc predicaripermodumis quiaadhuc przdicatpartemeffentiz, et per modum entisincomplcti ; idem Mode jj, [: et Pone  -uidgis ciuídi amplius rationcm  U 9 NEED gov ' quidem, (ed fine przcifione, et QI Quod Gesns predictus desndiidie Ar HT.   asi pter eo nimirum efto |xe« icetur de. indiuiduis » non tamen przecie sé deillis, cum etiam de ípecicbus (ix pradicabile, in quo (cernitur gcnus à [pecie, qua de folis indiuiduis c przdicabilis, qui dicendi modus Auicen. tribuiturj et rcfertur à Scoto q. 17. Vniucr(.in fol. ad 1. fed non fittit ioco ime mediaté (ubdeos aliam folutiouem. Alij inquiunt przdicari per modum fpccici, ita volunt huius, Didac. Blanc. Complat. et Arriag. dum praedicatur dc indiuiduis incompleus, quia tunc pra dicatüt ac fi diccret totam corum c(lentiam ; idem aíIcrit Aucrla,dum pre dicatur ctiá de completis, declarat «amen, id cfle. intelligendum,cum przdicantur de indiuiduis ciuldem xpecici, quia rc vera tunc. gcnus non przdicator. de pluribus fpecie differenti bus, ied tátum numcro,& idcó indüic modum fpeciei ..ouanicnics tann c.dc gsnete, quibus fab(cribit Blanc. ind ilp«4. n-6$. loquens de indi1 (pcciei., docent, dum ge-, nus id indiuidua refertar, non habere, » cneri$,aut alterius ex quatuor pratdicabilibus fed conftitüere. aliam quandum fpeciem vniuer(alis nno minatam ; quz lententia etiam abfolüré rciclienda cit, quia abíque neceffitate mulcplicac yoiuerfalia. F .39 Dicunus, quod[i genus comparatur ad indiuidua complcta, bue diucría, fiuc ciufdem f|eciei, f mper praedicatut per modim gencerisfi vero ad incoimple-. taypouus indu:t modum fpeciei Hc cóclut.quo ad 1. partcm communis eft quà . mulg probant ex illo Auiccn.fundamcnto, quia gcnus prz dicauir de 10diuiduis qu e iut dco nae huc manet diftinctum à fpecie» qug pradicatur de illis cum przcitione . Kuuius notauit buius rationis. infufficientiam qua genus, et [pecics differrent pcr iffetenziam ncgatigam, et non pofitis uam, nam przdicari de. indiuidius przciséi pon dc ahjs, magis diuerlis clt pura ncgatio. Pakqualig» norauit ex alio capitey quia tunc genus non tantum císct ge nus,icd ctiam fpccics quia pradicaict dc pluribus numero differentibus,quodcitpropin[Bec» RatioAuic.equidcminfufficienselt, non c.inen ex co capite;vnde dicebat Rauius,quia adhuc gcnus haberet fuum modum przdicandi po fitiuum, quo fe extenderet tum ad tpeCics, tum ad indiuidua, [pecies veró tulé modum, quo fe extcnderet ad ind.ui;ua tantü,& quidem pofitiuu, cfló pittim per negationem explicarctur,ne:jue cx cox capite, vnde argucbat Falqual. nam cfto gxnus prz dicarctur de indiuiduis,non (equeretur cfTc ctiam Ipeciem, fcd folii efÍc vniuerfale magis 1llimitatum fpecies quia (e.cxtenderct ad quz cunque (e fpe. Cies extendit, et ad alia plura, ac etiam per diueríum modum pradticandi, ficut. etiam non quia feníus dicitur cffe fin gularium cum prazci(ionc, incclle&us fine pracilione quia etiam cft vaiucrfalium y deducitur intelle&um etíe ctiam fenfum,. fed olum,q» fic potentia illimitatior fea» (uj (ed ratio Auiccn. ex hoc rcfellenda 2» cft, quia [1 dilcrimen ab co a(Lgnacü ef(gp (ufficiens ad dittinguenda gcnus, et fpeciem,vt diuerfa przd:icabilia, deberét etiam: in ratione vniuer(alium diftingui d.ffcrentia [pecifica,& generica;propriü fpecificom, et genericum;& fic ctiam accidens, quia illa cum precifioneifla (ine pracifione przdicaniur de pluribus nu». mero differécibns,et fgpius ett inculcatü, 40 Raro igitar, cur genus euá de;ndiuiduis eiufdem fpeciei praedicetur per modum generis, non fpccici, cft, quia vt fupra diximus hzc duo. vniucralia no dittinsuuncur per illas patticulas namero vel [pecie differentibus materialirer cone. fjdératas, fca formaliter, hoc cít, fub cali modo pra dicandi. de ilis mulus, nempé compleié, vel incopleté, qui prz-dicandi modus indicatur per illas particulas, vt fa pra declaratü eit, tcd genus € compauratum ad indjuidua ciu(dew fpeciei retinet. tálé przdicandi modü, ergo veré pradis. catur per n.ocü gencris ; 1 rob-min. qtia pridicatur de ill is mediante xai,n4m, fermo ctt de ind iuiduis compleus, ergo. predicantur incóplecé, et pér modi pz us Hac cófcq. eti euidens nà co Ipfo qe: gradus fuperior praedicatur de indiuidüis alio intct medio, fioi cft cóuahi ad illa T men LPS d Qu. T 434.  Difpu.V. DeVpiuerf. impari  7 mediante (pecifica differentia ; atqj:deó &iilla deícendere per modum parcs matcrialis eflentiz, Et idcó bene dicebat DoG&or q.17.Vniuer(.infol. ad 1. «p ge  pus ad indwidua collatam adhaccationé gencris fcruat, quia de illis mediate prze dicatur,non immediate, hoc enim manife €&é indica: ipfum predicaci partem eífentiz,non vcró totam effentià ;Conf.quia 2» «x di&is difput. praced.q.2.art. 3. quádo dicimus, Perrus efl bomo, c(t adhuc prz. dicatio (pecici, licét enim ex vi actualis przdicationis reftringatur ad «num indiniduum;adhuc tàmen ex vi aptitudinalis extenditur ad plura numero, ergo pariter in propofito hz predicationes, Petrus efl animal, Francifcus cfl auimal, erunt 1eris,quia efto cx vi a&ualis prz dica-tionis coar&tetur natura ad plura folo namero diffcrentia, adhuc amen eft aptà 5 proximé ad predicandum de indiuiduis aliarum fpecierum, p fufficit ad (aluandá M aii itatem genericamyper quod fol. uitur ratio Ponci] ad oppofitum. "41 Hincprob.concl. quoad altera partem cx contrario fundamento ; q nempe de indiuidnis genericis przdicetur p modüm (pcciei,non generis jideó enim predi catur dc fpecificis per modum generis, quia de1llis przdicatar mediate ; hoc eft àncompleté, et per modum partis, er£9 écontracum de genericis immedia16 przdicetur, przdicabitur complete, et per modum totius qui eft modus pra-priips esa . Conhr. quia refpectu ilJorum habet rationem totius, et comple-, tz cílentiz, ego pradicatur de illis per modum fpeciet,non generis. Probatur affutmptum; quia (icut cam dicimus, Petrus efl bomo,!y homo dicit totá eflenuam Pe tri, quia Petrcitas ad effentiam non fpe€t c fit potius determinatio effentize, ita cam dicimus boc animal efl animal, animal dicit totameffemiam illius iniuidui incompleti, quiaim eo nonreperitor,ni(i natura fenfitiua y et haecceitas, quz ad naturam non perunet ; et fane ad przdicationemcompletam aliud non requiritur, nifi przdicatam explicare totun, quod pertinet ad effentiam (übie&i "teli indiuiduationc, ergo cum totum «etur, et per modum partis. (Quia talis ordononconíideratur, quando imme"t daré contrahitur perindiuiduales imb  hochabeatut in his predicationibus genetis de indiuiduis incompletis, dicendü eft de ip(is praedicari per modam fpec:ei . Nectefert;quódíecundürem, &confasé boc'animal dicat etiam differen: tám fpecificam: Quia ad dift aguenda a: ptzdicabilia non accenditur praedicacum, et lubiectam,vtfunt inre, fed vtconcipiuntur à oobis, alioquin genius non di. ftingücrcetur à fpecie, et differenti a, cum ergo boc anintal, «t à nobis concipitar, differentiam fpecificam nón dicat, e(toa partc rei includar,iam extali modo concipiendi incladit zcadumrgenericum, vt: totani e(Icatiamcontractam pet diffecétiam materialem,& namcralem, non ve. : rà vt partem effentiz: contracta per for. malem,& (pecificam : Nec etiam refert quód talis natura fit contrahibilis per dife ferentias fpecificas, atque ideó etiam de irdiuiduis genericis incomplete predi:   tunc przícinditur natura à tali contrahis-jbilitate, &folumconfideratutwt contrasMhibilis per differentiaszmdiuiduales, naturzautemficconfideracznonpoteft Dietribuiratiogeneris, fed tantumtpeciei.xr ContrahancpartéConcl.arguitHur   tad. cit. Q) ando quis videt quatuor jim, diuidua animalis, duos. C homines, et duosleones, et cxplicité-cognofcit ea effe anis ' malia, (cd ignorat,qui animalia, runc ab iilis quatuor indiuiduis ab(trahit immediaté rationcm communem animalis;quá illis omnibus codem modo conuenire videt,fed illa eft racio; 1 ia conucnit pluribus differenubusfpecic, ergo cü ratio ab(tra&a de illis po(fit immediaté pradicari, à quibus immediate abftrahiache D reticdiein M code pciacópletis icabi gev À Ded rationem [ic Concegrw e fpecificà or rim ;Contrà;atEri runi itio (pecifica folis cóuenit indiuiduis eiuidem fpecici, nó veró indiuiduis alterius . Confir.illa ratio animalis abftra&a immediaté ab indiuiduis codé modo przdicatuc de lilis .(. in quid incópleté,ac &abíl raheretur à fpecicbus, et tàQuaft.I.Quomodo Gesws pradie-de indi, eArt.IIT.. £3 $ et tamen de (pecie, et indiuiduo pradicatur in quid incómpleté, ergo (cmpe: habet rationem generis. Ruríus ad pradicationé gencris nà requiritur, imó eft prorfus impertinés cognitio tot;us cflentiz fubiecti,ergo cum dicimus boc animal eft animal, non pra dicatur tota e(fentia de fubie&o, et fi tota predicareruryiam illud indiuiduum e(fet dilinété: .& adzquaté conceptum,quod eft contra rationem in» iuidui generici ; Tandem ideo dicuntur indinidua generica »uia de illispradica. tur genus per modum generis, alioquin.» fpecificadicideberenb  Refp.folutione intet arguendü datà; ad impugnationem dicimus, illa quatuor indioidua in flatu cxiftentiz realis vtique (pecie differre yat à vidente talcm: diffcrentiá non percipi, vnde in eius con€cpru folo numero differunc fub genere tamen in ordinc ad illa y . Wt. fic cognita-, induit modiim fpeciei quia rcípicitilla, vt (olo numero diffctenisquod et proprium feci Diees Y (  €rgó genus geocralitimi habere potet genus quiaomms :  €abihs eft quoquejfubijcib/lis . Refp.be:: v et cius probationem: ait effe: fpecisbus vt funt ordinatae in przdicamento, ille.n. ordo refpondet. natura rerum qua poftular, vc gradus genericus: .defcendat ad' indiuiduazionenr per fpeci€, et ita ómnis fpecies prasdicabilis. cft fübijcibilis;potcft ramen intelleáus hoc ordine noníeruato faceré fpeciem: pra dicabilem quz nonfit(ubijcbilis, Ad Confir. Ncg. affumptum; vt cóftac ezdidis. Adaliam, quando de Petro: cnunciamus effe animal, non fub rationc Petri, quia(ub hoc nomine importar indiuiduum fpecificum, fcd (üb ratione huiusanimalis, vtique-nomcenüneianir tota: efsétia, quam habet à. parte renqpia przter animalitatem includit ratiomalitatem fed'enünciatur tota cffefitia ilhus, vc ftat (ubmeftro concepta: ;; cum enim à nobis 1n concipiatur", nifi (üb raiione huius que! i bic&i eft cffeanimal, et fic Petrus (ub tali conceptu im ratione indiuidui gencrici pót dici diflinSté,& adaquaté cogni À indiuidui (pecifici con» usé, et inadzquaté, quia nomartingitur fpecifica differentia elplicinde Ad vit. hocanimal, et illad animal non dicuntur indiaidua genetica ., quiade illispradis cetur genus per modum generis, quias plané cx hcc capite: potius fj pecifica di« ci deberent (ed dicumur generica, et nom fpecificaq doilla dicuntur (óecifica indiaidua, quae genus párticipaüt mediante fpecie, vnde quia ifta genu$. participant immediate  . ideo generica appellari confüeucrunt . 44 Exd:&is colligitur refoiutio illius quztti, dc. quo fuse nimis agunt Recens tiorcsnonnulli, quodnam fit cotrelatiz vum generis, vw ei correfpondet intra» tione fübij. ibilis 5: primum enims et im« medíatum füntfpec:es,, mediarum indie idua » tatione enim fpecierum przdicae c indiuiduis, quando dc illis prz dicatur per modüm generis, quando cnim de indiuiduis incompletis immediate, &C U. ique Pri ime RET mos dum fpeciei, et talis przdicatioad fecun» dum fpectatpra dicabile, nàad' primum. Hac de caufa alij dicunt fpecics. effe ter« minum formalem genereicaris,indiuiduamaterialem ille enim dicitur. terminus focmalis alicaiusrelationis, qui pro rié et per (e illi correfpondet, materia is veró, qui cam terminar ratióne ipfius: termini formaliscum quo reperitur cone iun&us, et non tam feipfo,, quàminter uentu alterius, Neque ramen: hinc iofe-: ras cum Páíquailg, 1.p.füg Met.difp. 14. fcc.2.0. r2. indiurduà meré per: accidens; (c haberead genus: in rarione fubijcibie: lis,atque ideo adzquatum. correlatiuumi generis c(fe (ólam.ipeciem, vnde ad indiuiduacomparatnm, fiueciufdem: y. fiue: diuer( (pecie, nullo mod rà tionem genetis. Hoc eniav eb prorías:  je diferté: flum. ; quia Porph.c-deípeci &ocet., nedum cilc gcnus reípectu. fpcanimalis, fan& cum dc Fetro fic coücepto: cierumíub (e eonrétacum »fedietiam rez icitur boc animal eft animal, tota cfiéne v indiui duorum,ad'qua rctcetur s tía enumciatur quia toracffentiaillius lus jo id manifcfi collum ex Erici uia ex confueto loquendi mo» Nx... S ct e 436 Oo Difp. V. De Voiuenfin panico: inifione quam dicitur przdicari. de pluribus bo Rie differencibus., quevct; nÉ non tantum conuenit fpecicbus, fed etiam earum indiuiduis, non enia rantum equus, et homo fpecie differunt, fed etiam Petrus, et Buccphalus, crgo. (i genuspropriéfubrationcgeneriseft. prailedeindiuiduis, 1ndiuidua. Quoque proptiécruntfubijcibiliare fpe&uillius. &.qnamaisindiudaanon. fubijciancurncri,nifimediantefpecie,&depensterMt:"eopriafubjcibilitasdiftiataàfübicibilitare(pecie»quafifolafpeciesfitvnicum, &adaruatumfübijcibilegcis(uar5.declarari poteft ex doctrim,quam Sco:us docet quol. 18. adit. inquit enim ibi, quod licec a&us exterior non. habeat rationem volantarij et liberi, nii mediante adu. in.. terioti volütatis.qiádo t a&us. exterior coniungirur cum interiori, et ex illo propotort fic; et in ratione'a&us conuentüt vniuocé forma fubttantialis, et accidentalis,cíto accidental:s non a&uet, niti me diante forma (uübftantialis, quod exemplum valeat,quantum poteft, Colhig:tur etiam folutio alterius qua» fiti,' Angenus cadem hibinidinc refpis ciat [pecies,& indiuidua in ratione fübij. €ibilium;an potius diüería, dicendum .r, cít, quod itudine eiufdem rationis refertur ad vtrumque: Ratio eft; quia ex parte generis femper e(t cadé ratiofundandi, (iue ad (pecies referatur, fiuc ad indiaidua, nam dc omnibas przdicatur, vt pars materialis, et vt praedicatum incom pletum;X é contra ex parte: fpecierum, et indiuidaorum ratio terminandi cft eadem, quia terminant generetarem wt.,  plura fpecie diftintta, (iue (pccifiza s flue "muümerica,ergo ad vtru;mq; refertur relas tione eiufdem rationis,Scfpeciei; Anvedeereidims T ro referatur ad vtrumque ea I i» -ne ctiam numerali, per quam cedit,tunc ille excerioggrt di ftin&us, haH, bet ratioticm volanafi y diftin&al. fpeciem attíngat, &i aré,3 ] "t quia vofuntarij meliaté, vade hoc iplD  -poreftdici quod fi e lito 0 hábet diftin&am rationem liberiabimteintelle&us natütam Eo, EUM et indiuidais,cadem indimitblitelatione  xo vtrumque, fecusautem » fihoc  i£, us e riori,quia interior eft liber immcediaté., qua do&trina ex integro poteft huic propolito applicari, et per cam probari ctiá s ITEM om indiuidua eíTe proprie fub jcibilia gene; Ed ris, licet mediaté,& depédemer à (pecie: et hac (ententia eft Scoti q. 17. Vniucr.in fol.ad s.quam paífimal:j (cquuntur. 4$ Vnde fi etià velimus a(hiznare ada, quatam, et totale cortelatiuum gencris in ratione (ubijcibilis, prater... quod nil aliud eft,quod habitudinem generistetminatc poffit, hoc fané erum fpecies, ac andiuidua (imul ; vcl (1 placet, poterit €t conftitui aliquod commone illis. impot1atum per hoc, quod eft plura fpec.e di-. flintía, quatenus ambo conaeniuot in rationc fubijcibilis ad genus. Nec. obflat,quód fpecics immediate fübijciatur enerisindiuidua veràó mediate, nam hac ftante hac difparitate potfunt haberctationem communem, et vniuocam in rationc fubijcibilis,(ic.n.de fa&o videmus rarionem (ubttàriax vniuocam eífe corpoEi,vt 16, et cali corpori,cám tamen ad tale vorpus non dcícendapnifi mediante cor" T UA d vd . Expediuutur varia quafitade G 46 Y. nr lit in quid przdicari exercice S in recto de (uis inferioribus dicendo,ho-ndis eft prec "e da itandi cíL,quia pars,vt fic, eitó potficin obliquo pradicari de toto, veré enim di«imus homo con(tat anima, habet corpus; caput, &c.inre&o tamen enunciaci non pote(t,vnde non bene d.citur, homo c(tanima, homo e(t corpus, i43; docuit Arift.4« Topic. cap. 2. et fuadet manitefta ratio, quia hoc przdicatam 25/mal vt pars dioit isé in homine gradum feniitiuum, et nihil alind, vade ii przdicaretar,yc pacsfaccrec banc (entum, homo e(t animal .i.bomo c(t ca aacmàl, fiuc homo nóe(t plu(auam anunil; vnde vt aliquid de alio vcre pradiectur A "Te " 5.1.45 Genuspradic.cvt totumyvelpars.evfrt. IV. 437 &o, debet aliquo modo dicete totum il lud;quod dicit fubiectü,hoc .n de rigore importare vidctur copala eff in illa pc.  dicatione bomo eft animal, ncmpe sé(us eft,animal cft totá illud quod cft homo; cum igiturin propofito, vt conftat ex di&is, animal dicat partemceffentie (uorü inferiorum,non vidctur pote cam vecitate de illis enunciati in przdicationcexer«ita, et io redo . . 47 Adhoc dubiü dicunt aliqui,vt Auerfa q. 16. dc gencte fc. 5. in finc, Didac.a lefu difput.6.3.5. Blanc. difpu.5. fec.ro.& alij, quod illud axioma ; gy pars nó przdicatur de toto, verificatur ctun de partibus phyficis, vt (unt materia, et forma;ac etiam integrantibas,vt caputy&c brachium, non tamen de. Metaphyficis, huius rationem reddit Didac.quem (equitur Blanc.qüia cum partes Meraphyice Tamantur à tota tei entitate, nimirü animal, € rationale ab incegra. humanitate, fub diuer(is ramen gradibus concepta», hinc eft, quód ctiam in ratione pacium dicunt totam naturam fpeciei, cunus süc partes, et idcó etiam in ratione veh am potfunt predicari de roto, quod dici hePid partibus Phyficis,quarum neutra icit totam entitatem ret conitituta . Hic dicéd: mod is n5 fufficit, mí aliud addatur,quia vt vt bene notauit Ru:uus c. dc genere q.. j. imó et Scotus ipfe q. 16, Vniuerf.ratio allata, quód pars nequeat Cer detoto, zqué m litat io partiMetaphyiicis, et rauons, ficut in Phylicis. et vealib is, et excmpla &dducta ad'rd probandum fun: ind ffercater de. 5 partibus his, et ilis. Raciocna. difcrimims adduct: à Didic. nihil conclidit,cum | falfo innitatur fundamento, vt infra vidcbimus . 3. cftó cnim genus diceretur fu. mi à tota enutate phy(ica rci, non tamen itat à tota entitate metaphyiica, de qua hic ett (ermo,qu:a nó fumitur à d ffe rentia, quod, (i (amereiur à tora encitace : Ca, cü prz dicatum dicat quantü actu in (c continet,tunc genus coa c(fenià fuorum infcriorum.predicaret, cü toram actu imporret, quod acc ipíc i:dac.concedcret, cü nobifcum tencat (olü dicerc partem matcrialcm cícnuz, 25 48 Alij dicür,quod licet genus, vt psce metaphyfica a&taalis, néqueat cum vcritate przdicar: de fuis inferioribus ; vc probatallararatio, tamen vt pocentialis -i,non vt a&u componens, fed vt potens componere (ípeciem, poteft cum veritate przdicari, ficenim altquo modo cótiner totum, quod continet (ubic um, quia cü po (fit proxime coniungi cum hac, et illadiífccentia, continet illas omnes in poten. tia, et hoc atis cft, vt dicatur continere totum;quód continct fpecies, nempe vmá partem a&u, et alteram in potentia ;. ci. tatur à Ruuio pro hac opi. Cantecus qaídam hic c. de gen.q.5 Scd ratio allata, pars dc toto pizdicari nequeat pec modu partis,qué probat de adanili, et poten. tiali, «cbene notant Comjlat. difj»5 q. c. fepugaat eaim, quod pars metaphy(ica ; fiue conderetur, et a&u com»oart, (iue vtantecedit compof(itionca, formaliter y quatenus pars c(t, contiacat cotum illud, quod coatinet compofitum, cuius cft 5s, vt patceccontideranti . : Alij concedunt partem. poffe predt. cari pec modum partis, ncgantes ad vc» ritatem przdicationis necelfarium effe, e pradicatum importet totum cífe ubiet:, fiae explicit, tiue inplicité, fei(üfficit, vt importcet aliquid de fübie&o;feu quod includatur ia co, itavt (cn(us tit, liomo eft animal.i. coatiaet na« turam animalis, ira cum quibuí(dam alijs videtur (cnure Pafqualig. difp.s fcc.4. nu.2 scd hic diceadi modus satia reijcitur, quia (i jn predicationibus in recto (ola talis inclutio figa;ficaretur, et (uffis. ceret fenfus allatus, pofet etiá pars phys fica, tàm integralis, quàn eential.s de fao toto in recto jtd oi didtado, homo ett corpus,hoimo-éft capat, nam itae partes veré includuntur in (uo toto; at re vcra pizdicatio in rcéto aliquid plus. figurficat, nimirui hoc cile illud, vnde c dicimus homo ctl animal, noa cancum figuificacac animal includi in homine, (cd hoiiaem etle animal, et hoc clie quicqu;d iilud ctt., nain per ly animal. nihil excluditur ab homine;quaa homo (it iitum anunlynam pradicaco etfet £alfa. any icd aliquo modo denotatur Me » q  Difpat.1V. De Vise alibus.in partie. € 5 »quod importatur per hominem . 49 Hacigitur dc caufa Tlomiftar cómuniter (entiunt genus ., cfto fit tantum pars fpec ci pralcindens ab alia.cóporte ; .qua: eft differeotia » praedicari tamen de infcrioribus per modum tot'us potentialis ; «um«enim fübhac ratione continet implicite, et confuse ctiam differentias ; «onícqucnicr continebit toram | fpeciei quiddititem, «nde hac ratione poterit de ipfa inrcQo prz dicari,ita Suarcz dif p.1 j. Mct. fec. 140.16. Soto lic q. vn. ar. 2. CoójL&.Ruuius cit. Mafius fec.2-9.2.Caict.de cote, et eflen.c. 3. dicentes clic cxpreflam (ententiam S. Thong ibidcm;do «ent igityr ad ycritarem pracdicationis in 0 nó rcquitiquód prz dicatum actu, et Lomaliter dicar ; quicquid dicit (üb;c€&um(alioquinnon forct przdicatio formalis,(cd identica) fed fufficere, vt dicat impliciié,virtute?& potétia, et ideó quáuis genus in ratione totius vniuerfal:s non dicat aiu, formaliter, et exprefsé,cuicquid d;cunt fpecies, quiatamen e tum illud confusé, com (it totum portnziale confufüm includens differentias, po terit cum vcritatc przdicari in rcéio de fuis infcrior.bus (ub ratione totius vniueríalis,& poentialis . ] Cz terum neque hac fententia,. quamuis communis, rem bene explicat., cum €nim docct genus, quando praed catur de (pccicbus, nonfe babere, vt partem d vt totum potenciale, quatenus in confufo dicit, ac implicité totam (pcciei effentiam,de qua przdicatur; quzrimus, in quo fenfu id intelligant vcl enim eatenus icit totam fpeciei e(fentiam qnia contincat ind» ; &nonn poteniia rantum coníuío tamen, ac indeterminato diffcré1ias, quatenus non magts hanc dicit.quá illam,ted promifcué omnes, vc Suarez loc. cit. mfinuare videtur, et bic(enfus elt om ninó fal(us, mox enimottédcmus, genus jn potentia tantum. conuncre. ded. tiaS,non aucem in acta copfufo, et impli«ito, vnde liget pre dicetur tanquam totü potéciale de (peciebus, adhuc pra dicab:. tur canquam pars fpeciei, fi vcró dicát &ó £otincrc in actu confuío diffcrcntías, (cd tantum ligaificare totam náturam [pcciei ves?  (ub gradu vnineríali(upetiori, vt explicar Ruuius;fic fané manifefté patet non dice. retotá naturam fpeciei, quia dum fignificat naturam (peciei. folum fab gradu vniveríaliori, vtique fc haber tantum. vc par fpeciei abítrahens ab inferiorum d;fferé. vjs, et importans (olam rationem geneticam. communem. Accedit per. praedi. catum gencricum vnam fpeciem ab alia non d Ícctni, (ed prorfus copucairc, &itaenimciaridevnafpecie; vtnu!lapror(usfactamutationeilliusprag»!1cat;inef, fcobic&tiuo, potietaltericompetete, et»gonecexplicite. Nceimplicitedicittoruimefiefjecieialio quinperipsü. &yfpeciesdicer nereturabalia, &illudipsü prediestaumdevna fpecie enunciatum mó poffetaltcri competere, ergoetiamingaetionetotiuspotentialsveré. pradiEtantummodo,. vtparsRies!à»foDicendumigitorcftcum, Scot,16.Vniuerf. quodcflógenas, totumporentialedicattantumelicntiz, dumtamenprzdiciedicendo, homocítandicaturquianon fignificdumpartis, fed per modamtenus przdicatum inconctoexcon(esquenufignificattorumiuenimcft; ad.bocvr.portatur, pecfabie&tum;inris,quoditaexplicaripotftvcrapropofito, przdicaiuqfcidemcum(ubiecto,fedquando vni-ucríale przdicatur de inferiori in con»  creto. pizdicarum eftidem cum fubie&o in raiione habenuüs, dum enim dicio  mushomo eülanimal (cníasett;habens  humanitatem eft habens animali » quare pradicat €to in rationc fupgeliun ios malitatem, inlüc, modum faciliter rc hanc declarauit Door loc. cit. in fol-ad : 1,& 2. dumaitanimalpradicari de ho»  minc non per modum ni ledtotius, quia etli genus primario Importct. mas teciam, et diffrentia formam, M rio tamen 1mportant totum, quod cone notant, quod explicat cxemylo Auiceu, $.Met.de manuato, et capitato qua. diueifa fignificant primario f. manum, et caput, capüt, vttümque tamen ex confequenti B fi t touiin in ratione habentis, nàm |gnáfiatam exponitür per babens N vbi habens rigo eft de (igniticato manua| tis (ed demodo fipnificandi per. modum totius, vnde licéc dicére nion poflimus, homo eftuianus;eft cáput,dici tamen po teft,eft manbatas,e capitatus, et explicatur,eft habens matü;ctt habens capat.  $t Cotta hune rdiiodü explicandi quomodo fetioti tum eft denominatiuum, fi igicur genus, vtveré praedicetur de fpecie, debet predicar: in concreto: y jam deilla prdicaretur denominatiue, juod eft falso, qaia priedicacut v6isocé . Tam 2. quia vc vrm Blanc.citifilíum e(t, quod animal fit abés an'malitatem, quía porius e(t animalitas fubiifteas, concretum enim füb.  Pftantüle (tolum dicit: naturam cum fub|  filtentiz, €cgo aonbene explicatuc illas s homo ett amimal ; in rationc t dicacioy quia pozdicauum ex cónfequenci E cote dioe eilelbicdti » ergo praedicatio generis de [pecie, vel efT'et idenuca, vel nugatorid, quía rdem bisponeretur. Tam   4pportes phylfiez, et incegrantis magis di' dinseürucà totoquam metaphytice, ille Anmealiter diftingauncur à totosi(Ez nop; fedillit inconcreco przdicantutde toto dicendo,homo c(t animatus, cft corpora tus, cft capitatus, ergo iftz velut magis "intime poterunt veré praedicari de toto.  étiamlfimantur vt partos. fum tandem,  quia r.Po't;c.4. Anf, docux parces defi: niuónis preedicari de defimto . "Ust Refp. Doctcrhie neg:a(fumptá,li : romne  denominatiugar fit: concretum; ton camcn odnce concretum eft denomipatiaum, quia denominatiua proprié funtillaqüz caduntad lubic&um, vel 1T fübiectum .,. et ideó: nomine adicétiuo fignificautur, et pra dicantur inquaale totaarconítat cx corum dcfiaftione, vt explicuimusdilp. 2; q. 6. nus przdicetur in re&o de in-:, arguitur, quia omne concre9 Quimodo cont.Genus (pecies,cov differscodri.I. 439 animalautemmon cadit ad. (ubieztum » vcl quafi fubiectum s (ed proprie a4 :nfcrius, nec nomineadie&tiuo fignificitur » fcd (ubftantino, et predicatue in quid » Ad 1. fi Blanc. inceliigat, quód animal de principali fignificato non dicit habens 'animalitatem, fed animahcatem fubtiftentem,verum eft affumptum cun cius prob. quia nec Deus de perfe (igaificae tó impoitat babeos Deitatem, vt $corus docet 1.d.4.q. 1. a4 4. Si vcro incelligat, quod neque illud dicat.ex confequeati, ac de connotato, ncg. a(fumprum,quia 9 Darua(cenus à Doctore in ibi allegatus in hoc (enfu inquit, quód Dcus c( diu'e nam habes naturam ; ne ex hoc fequis tueuotcoDoogquaed mulünlicatiog nem conccetorum | fub&antialium. non fufficit maltipl:cacio fuppofitorum, fed requricut etiam. plurificatio formarum ; vtdiximusloc.c:t. difj.2.q. 6.ar. 2.in dininis autem funt vti que tria fappofita ey fed vna fingularis natura. in omoibus, . Ada. Negaur con(equentia,  nugatio enim, et identica pradicatio fequuntur tantum ex idenuitace. Priacipalis gnis cati,nonautem ex identitate connotati y. nam dicimus moülicusalbus currit abíque vlla j ror(us nogacione ; licét. vtrüque idé fübiettürconnotct, qua ref; olio inQuitue à Doctote hic q. 16. ad r Ad 4.quíta parte$ metaphyfice funt intimiotcs phyftciss &intcgrancibus,(equiturfolum,quodpotlincpradicaridetotoinconctetono «mnefübttagriuo,vtfacitgcnusyvbip atstcsphyficage;& integrales pradicarinesqueunt; ni(iadiectione, &pecmodumdesnominautis, nonfequanuartàmen;gpvnquaprzdcacpotlint pcr modü parus. Ad 4« ait Arilt. vique. partes defininionis praze dicari de definito.quod concedimus,nom tamenáit predicari per a oduim partise 5 $5. Quaritar tecundó, quomodo ges nus conu necat (pccics, X d. lrerendas,am actu faliim contu(o, et 'püeterininato;a poicftate folum; Ceriücft apad omnes y ipecies, et differenias non contineri m gencre formaliter, et explicité  ton€ «m dc nulla pecie poez. cns cuim P ien pradicari 4 nim dicendo lomo cit-snis mal, (caius cticu houio clt ani;al m a ias De Voiuerfalibus im partic. nale, et irrationale; nec poteft etiam implicité continere genus aliquam differentiam dererminaté, quia tunc noneíler in. differens ad omnes . Quamuis autem cópertü fit apud omn:s genus a&u in hoc fenfu d fferentias non continere, non dcfuere tamen, qui dixerint continere omnes implicité a& confufo, et indeterminato, quatenus oon magis hanc dicit,quà illà,vt dubio precedétiinGnuaunimus; cui fentent'a confemit. Auerfaq. 13. fe. 5. dum ait neceífe nó cffe, vt genus pesfcóté praícindat à differentijs de quo infrá.  $4. Dicendum tamen eft ci commuoi, nullo prorfusmodo genus continere in actu fpecies, et differeniias, fed poteftatefolum. Ia Dodo q.z5. Vm. propa"y, tum quia 2enus importat gradum fuperiocem ad illam, quem important fpe€ies, et diffcremia, et ab illis abfira&um «f. ab bomine,& ab equo; à rationali, et irratiopali, ergo aétu illanon includi, alioquin actu ab cis non prafcinderet ; tum quia hac ratione DoGor s. d.8. q.5. ad Conf.primi arg. pro Henrico inquit, €p conceptus generis, et aher quicunque «ois duobus cít neuter formaliter ad illa; tü quia vt arguit Aritt.7.Met. 42. (1 a&tu dhifferencias contineret, cum be fin omninó diucr(z,& oppofita, vinc actu eid€ oppofita ineífent, nec refers quod continentia (it contafa, et indetcrmimata s, sodó (ic actualis; tum tandem quia. gcmis, et diferencia font conceptus diaerfotum graduam eiu(dé natucz ergo ncutrum incladit atu alterü, Gcut in €ompofixo phyfico vna pars non includit aliam; remanet erg5,quód (olü potettate conrincit, axem eft natura füfceptiua omnjum differenciatum diuilim, et per cas contrahib.lis ad banc, vel illam (peciem «onftituédam, quó4 clare docuic Pocpb, €. dc ditfcr.dum dixit de gencee. poteflue idem babet omnes, qu Jub fe Junt 'fferentias, abu verb uud am, et Aciít. ipfe 1. Poft. c.8. dicens $upponauur tale e[fe genus, wt fit fecundi potentiam in plus. Yono bac rationc dicitur totü potentiile, quia nimirum a&u nó includit, nec fpecies,nec differédasfed poteftate cm.  $5 Relpoden: aliqui genus císe aftra &um à fjxcicbus, et differentijs, si cons ceptum explicitü, non autem i1mplicitü y. et idcó implicite importat differentias, et totam cfTentiam [peciei . Contrà, (ic vrgemus, vcl in abftractione peneris à Ípeciebus, et differentijs, intelle&us relinquit differentias,vel (ecum trahit, fi re« linquit ergo nullo modo actu eas iacludit,ti fecum trabit, esgoab illis non cfi facta abfira&io. Dices, relinquere explicité, fcd fecom trahere implicite. Córrà, n.hil poteft genus dicere in tali eíse obie &mo,nifi quod manifeftatur intali cogni tionc, nam genusvt fic, aliud e(fe non.» babet, nifi quod exprimitur inintclle&u ex vi talis cognitionis, vel 3 aei 4 iab cile obicétiuo includit differenuiam, vel non, fi lecundum habetur inventumy fi primum, ergo non tantum implicité, fcd ctiam explicité genus differentiam  e buius » Oniscótcmdivtdemonítret, quód rc(poadere genas. ip eie pracifo dicus differentias implicite eft a(ferere,quód ab[olaté illas non. b ou. tct,quia nihil pote dicere in illo el fc obie&iiuo, q» non manifeflatar inco iuone,vnde uit dcfend 1; quod od., includat osi HB rationc identifica» tionisqaam ci ipfis habet à paste rci, nà autem fecundam cffe ris S EN 16. Quàuis anté genuspoteftate. fo contineat fpecies, et ditkeremrias, b : men continentia potencialis non eft ciu dem rationis, fpeciesenim coninet, velac faas partes fubie&tiuas, de quibus ef przdicabile inquid, vade refpcótu ear dicitur totom potentiale, nam tale totam, illud eft,quod ita concinet faas partes, vt tamen cx illis nonc ur, led anta de illis it pradicabile » ac proinde illas   potius componat, et con(cquenscr fingala p fix ipfum totum,vt docet Scot. 2.d.3.q«4. Hi, et ideà non cft proprie totá, fed metaphoricé tantum, et (imilitudinarié, vnde Acifk, 1. Phyf. 4. non appellauit illad abfolut& totum, (cd quodammodo totum refpe&u veró diffccentiarü non dicitur totum, (ed pars poxentialis per illus perfe&ibihis, et determinabilis y et cius contiacntia cít. in generc cauíae masczialis eo modo, quo materia dicitur    Y lucibiles, nam (cipit formas, quibufcü conft ituit va.. tias [pecics, ita genus diucrfarum diffe. gentiarum eft (afceptiuum, qubiufcü mctaphyficé componit diuer(as fpecies.  In oppofitum folet obiici 1. quia Arift.1,Phyf.a4.ait, vniuerfale totü quoddà e(t, multa enim coprehendit, vt pattes. f. fpecies, et 7.Phyf. 3 1. ait; in genere latere . gquiuocationcs;quia .f. a&u continet diuer(as differentias, quz pariunt z:quiuo cationem. Tü 2,cum genus predicetur de ( fpecie; dcbet a&u cótinere cotum idjquod d dicit (ubieQum, alioquin falfa effet pra dicatio, non enim pars potefl pradicari dc toto. Tum 3.genus, vel eft pars actu, vcl cótum a&u,non primum crgo fccundü ;non cft auté totum metaphyficü;ergo : logici . y cófcquenter continet actu ipe |... €«s, et differentias laltim in contufo. TG -Asquia hsc ratione genas dicitur à Boctio nuis fimilitudo (pecierü, quod non cífet nitifaltim actu implicito eas cóntinczct5àc €arü differentias. Tü j. genus continet actualiter vnicué, et nontantü po1 &cialitetsgp cft ci realiter i&éuficatü (cd : lllercatié realiter 1déti ficantur cum ge(0 merestomnes facentur, ergo &c-Tü tanE . dtmquia gcnus cít rclatiuü ad fpecies,er ] go a&u dicit illas, et earum differentias. Y $7 hefp. Arift. primo loco loqui de coprchenftone potentiali, non a&uali,& loquitur dc vniuerfili in ordine ad partes fübiectiuas, nonin ordine ad. differétias, et vocat illud totum quodámodo, et timilitudinarié,vt diximus, et fimilitudo có diit in hocqp ficut touim talé habet latitudinemvt non à fingulis adequetur partibus, (ed ab omnibus tiniul, fingulas aüt Cxcedat, ita vniueríale poteft ivefle plu» ribus inferioribus, et de ploribus pra diCarijita tamco,quód eius inexiflentia, vel ptzdicatio non adcquatur à fingulis mferioribus ; nam licét totum fit in fipgulis non tamen totaliter, et adzquaté, nifi in omnibus fimul; in alio loco ait in genere latete zquiuocationcs, quatenus quz fub IC continentur, non in co rigoro(o gradu vniuocationis conueniunt ficut quz cocinétur fub eade (pecie athoLogica . i Len Genus f fpecies infima Viiüérfe det-IV :.441 ma,vt notat DoGor 1.d.5.3.3.Q.. Ad ?fauisconítat ex dubio poeced.ad vcritatem propofitionis nó requiri, qu ód prz dicatum a&u contineat, quicquid cont!net fübie&um, fed (ufficit, quó d fint idC in rationc habentis, et ficin propofito, cum genus przedicatur de (pecie in cócreto,przdicatum eft idem cum fubic&to in ratione babétis, licét non fint id€ formaliter in ratione totius, et partis. Ad 5. totum genctricum, vt tale cft,nec cfsetotum a&ualc; nec partem actualc, fed actu cfle totum potentiale,quia non dicitur totum potentiale,quafi potcriam habeat ad hoc; vt fit totum,fed quia potentia, non actu, fuas continet partes. Ad 4.dicitur genus tenuis timilitudo [pecicrum; quarenus im porrat rationem generica, 10 ta omnes inadzquaté conucniunr, et ex li:c inadzqua tione procedit tenu:tas fimilitudinis,. nó autem quia imglicité innalaat omni ü differentias, vt cx Scoto colligitur q.4.. Voiuerf.in finc. Ad 5. negatur difícrétias identificari realitati gencrica in (c fpe &arz, folum enim ei realiter identificatue rationc tertii .i, fpeciei; quam cóllituunt, vt notat Brafau, q.24. Vniaerf.inhoc.n.diftinguunturgenus,&differentiaàmateria,&forma, quód non vniuntur inter Íe v«nionc aliqua Ns ipfisdiftin&a, et fe. parabili, ficut materia, et forma, vniuntur fcipfis, et per identitatem in ters tio. Ad vlümum, probat tátum genus refpicere fpecies, et differentias, vclut terminum fuz aptitudinis, non autem tane quam partes intrinfecas,& formales, $8 Quaritur 3. An genus fit (pecics. infima Vmuerfalis.Aucría q. 10. Log.fec, 2.putat genus e(le capax diucrfitatis (e« cundum cífe formale vniuer(alitatis, et ideó non císe vnum fpecie ahoma ; (ed diuidi poffe in dincrías ipecics, ita vt diueríitas proueniat ab ipía aatura, et 1e« dundet etiam in ipfam genercitatem,   Dicendum tam£ cft cum cói genus ef. fe fpeciem athomam in rationc genetis, ica q» nó dantur plutes fpecics genereita, tis;led vnafola infimasita Scot.q.9. Vni, uetf.vbi ocs cius E» pofitorcs ;& quol.ó X. et (cquitur ex dictis difp, prac. q. vlt." vbi flauimus diuine vpiucriale in cói o in 343 .  Dif.V. De in genus, (pecie, &c. efTe diuifioné gene-. foi : propofito i  Ki [j'ecics infimas,& abe ID .«étfundamenta remora(int diuerfa,&  di&is, quia genercirates fundatz: in na» ter C turis, etiam diuerfilfimis, vc fübftantias quantitate, &c. quoad rationem denominandi illas, et predicandi de iplisomnino conueniunt, et (olum ratione. conno1áti dift:nguuntur;(icat albedo hominis, et cqui ciufdem funt fpeciei, et (olum fpecie differunt materialiter, et rationc fundamenti. Confir; quía fpecies vaiuet falis per dinerfüm modü cíTendi in multisvel przdicandide multis di(cernücur, fed omnia genera, fiue fuprema, [iuc fubalterna, (iuc fubftantialia,Gue accidentalia,& quacunq.excogitari poísunt;habéc cundem modum cedi inmultis, et predicandi de illis, nempe per modum parcis materialis, ergo omnia illa fub fpecie in. fima generis continétur, et ró gencris in cói oibus illis coucnit, tanquá indiuiduis naturz genetica formaliter accepta, $9 Sed vrget Auerfa cit. diueriitas relationis, et aptitudinis, no (olum fumitur €x diuerío modo reípiciedi, fed etiam ex diuctfitate fübie&orum, et terminorum, nam de ratione relationis, et aptitudinis non folum eft talis, vel talis modus tcípi£iendi, fcd etiam ordo ad talem, vel talé terminam»& ordo talis,val talis fubiecti, crgo exteali diueríitate eorum reíuitat euam formalis diuerfitas in 1pí(a relatiome, et aptitudine, atque ita diucrátas quantitatis  et fubftantiz cedundabit in, gros geuscn malc,  ARcelp. hane, et alias rationes eiu(dem tcnoris, quas ibi Auer(a cógerit,nó infero  xc inpluribus generibus diuecforum pre. dicamenterum srh eíse formale generis, . fed uh sim materialocontingit enim tauaum fecundi naturam, quz fübítecnitur neteitati ; quod ex eo £otugin, uia diuerlitas non importar diuersa . bitudiné ad inferiora;fcd folum diuerfam rem,qua referatur, vt qp fic (ubftaria, vel accidens; igitur ad arg.diftingui debct af fumptü, quod fundamétum remotum nó diuerfificat relationes, fed fundamentum proximum, [eu ratio fundandi, fimiliter tetminus materialis nó diuerfitcat relaignes, fed cerminus forsaalis, (ca ratie tionis, vt probatü eft, quia omaes naturis fundant relationem geucreitatis, quatee. funt plura fpecie diuecfa'. 7T JN" ftem si fa MSS ws (M  ww lis terminandi, et ià rmini materiales, tatio tamé fundandi, acterminádiin omnibus cít ciu(dei ra» musapugsüteücin mulüspermodupartis materislis effenciae, && omnes naturae terminant ralem relaionem, quatenus 6o Rurlusvrgcbis adhuc fortias, quia enus (ubfc continet generalilimum, &. fubalterpum fed hzc fpecie diftinguuntur,ergo nó eft fpecies infima ; maior c(t «erciffima apud oinnes y ita quod plufqua pueriliter ecrauic Fuentes, cü dixit q. 17. diff. r.art.1. geaus primum przdicabile e(fe dütaxat genus intermedium Prob. min-tum quia illa fpecie differant que   diuerías habéc deinitiones, et paffiones, "m. fcd genus (apremum,& fabaltermam funt. .huiufmodi;vt patet cx Porph.cidefpecie, ergo &c. tum quia plus diffecunt inte quàm duo genera fub d ha tum nuieto diffccunt,ergo illa difi fpecie, quia inrer diftiactionem mu " &am, et fpecificam non datur medium. Refp. quód licét geouslupremum, et intermedium, quatenus talia fpecie diftin guantur ( dequocamen eft aliqua diffi .cultasapud nónullos Scotiftasq.12.Vni«  uctf.) non tamen effentialiter di nantur in ratione generis, et vniucrfalis, ««ü codem modo fint i0 multis, et przdi'd centur de multis, gp enim genus (upremü : v nulli alteri (ubijciatur i,fed interme "o dium vtique, accidit illis quatenus gene' ra funt, et vniuerfalia, quia hac r fubijcibilitatis nihil attinet ad róaenm vniuerfalitatis, que conftitüitur perordiné,ad inferiorayde quibus predicetur,non ad "faperiora,quibus fübijeiaturgadhuc ctiam quod genus fupremum plura habeat infcriora,quàm intermedium, meré per accideris fc habet ad illa, quatenus gencra o», quia codé modo de illis multis predican.tür, et illa refpiciunt, nimirum vc mulia,effentialiter diüerfa, vade non nifi differentiam accidentalem inter ea poieft in« ferte, quemadmodum lineam decé palmorum per excellum quantitatis intcaza  gan| "mes tandem linez fpeciem infímam dicimus .. à bipalmariaccidentaliter tantü d'fferre; .. Éx quo etiam facilé occurritur Poncio difp.2.n.11 1. diftinguéti genus fuperiusy SH EEUU Mise vridicakilium que licet vtrimq; prdicetur, vt pars contrahibilis, tamen vnum: pratdicatur, vt pars contrahibilis per d fereatian nó vltima ; élTentialemi, aliud verà puta infimum; vt (4 pars contrahibilis per differentiam: vlti gnam effentialem. Hoc enim parü refece 'ea diftinguenda in ratione pradicabit Rs De enim iiec tegere. tias, quibus contrahi munt ratioe dens brdicabiu, fed per dcdirienrad ats  fériorz,& modum prz dicaridi de illis;co demautem modo pradicátur deill;s tans X genusfaperius,quam inferiué, quia refpiiot illa, vcwulta effentialiter d:uer(as füagis autem, vel mipus intra candcim liinonvariant fpecieme ET LVASTIOT 34i r i» ? 3! Pate HG À " deillo, qdod przdicatur quid vt cot   de pluribus numeto differencibas de »  fpecie, et meritó quidem, cum genus, et t (becics relanua cenfeantur ; et quamuis gnirio rocius pendext ex parobos; vr. "videtar prius de diffciétia cractarideesi .. buiffe, vt poté qua ctt alcera pars fpeciei, et priticipslis ; cameri quia hic nó agimus de Specie; ficuc neque de slijs Vniuerfafibus, fecundi cile reale, et metaphyfici, fed intentionale;& fog:cü, quomodo fpe . €ies prius rcfercur ad genus, vtCcorcelati wunj quàm ad differenciam, vt ad partem, ide) immediate poft zenus de ipfa difpu tamus, Tri&at autem lorph.c.de fpecie, noti tantum de ipecie fpecialifliima,& infima 5quatantü conftituit hoc fecundum vniuct(ale;fed etiam de fpecie (ubalterna, quia Icéchaec in ratione vniucrfalis, et pizdicabilis à (pecie omumnó difcrimineu. quia pra d cacur de plutibus fpecie differentibus, € idco ad primum vniuerE TU TC 3 | €0 VER (ale (petat, tamen quia in ratione (ub j443 cibilis in ordine ad genera fuperiora oinninà conuenit curo [pecie fecuhdo prz« dicabili,ideó de ipfa agit in cap.de fpecié, quatenus eft fubijcibilis, cum cius natura explicuetit in ratione vniuerfalis cap. de genere. Diximus autem fpeciem fübalter nauy ia ratione fübijcibilis omnim eifene tialiter couenirecum (pecie infima, quia. g:nus celationie eiu(dem rationis refertuc o spe fiue (it (upremumt, fiuc interiedium;ex eo fo!um,quia refertur ad in f'riora ;im quibus e(t, vt pars materialis eiT.ntiz, vt in finc przced. quaft. et arc. dicebamus,ergo  cortuerfo in propofito eiufdear rationis erit relatio (ub Jcibilitatis (peciei infima, et fübalternz, cum ad ca refcrantur, vt ad partem materialé (az eilentiz, imo hac raiione poffümus dicerc füb;jcibilitatem fpeciei, et indiuidui effe eiufdem rationis, vt benc nocauitDidac.difp.7.quaft.r.ínfinc. Exquoconttat, nonrectAuerfamditinguerefiasfpecieseffsntialicer.etiiinraionefübijcibilsq.t. Log.fet.3. ex€oquiafubijcibilitas fubalternafuadacuedit. invniuer(aticategeneríca, &fübijcicurgeisnerij quodhobctfubealisgenecaya€ibilitasvecóinfimafanda corinvniuereubfealiageneca,(ubijfalitate pecifica, et idcó fübiicitur gene« rísquod fub fe habet tantum fpecies, quare cum fundamenta et termini fubijcibilitatis vtciufq; fint diuerti, diuer(a quoqs etit (ubticibilitas. Sed hiec omnía nónili accidént'em diuerfitatem inferugt intet fpeciem fübaltcrnam, et infimam in ratione fübücibilis,& vr füpra notauíaus s diueriitas fundamentorum, et terminorud materialium non diuertificat etfene raliter relationes,fed formalium, bieaue tem eadem eft formalis ratio fundandii fabi.cibiliratem ex parte (pecierum, et eadem ter minandi ex parte generü, quia omnes ad ea referuntur, vt ad partem mas terialem (uz effentiz; et diuerfitas, qu& oftendere conatur Auer(a,non elt, mifi materialis, vt patet confideranti « Flzc autem qozftio, quia diucrfas continet difficultates, in varios (ecabitur Artie culos, Oo b AR-444 vn [pecic: [ubijcibilis e pradicabilis A3 etant suia non poceft dati vna 'definitio cómunis vtrique fpecici formarecià definiantur . 62 Mere cft pro intelligétia qua'fiti, quód eadcm omninó natura intra feriem pre dicamentalem fecü dum diueríos re(pcectus dicit pra dicabilis, et fub;icibilis ; przdicabilis, quatenus refpicit foa inferrora; fübiicibilis refjpcóta fuperiorum, quod ecam concedendó cít in ipla fpecie fpecialiffima,quamuis enim Porph;cap.de fpecie dicere videatur, vnicam in ea cíje habitudinem fimul attingétcin, et genus; fub quo cft, et indiuidua, quz (üb ipfa (untyid tamcn intelligendum €fl dc vnitate nominis,vt notant ibi Ant. "And. Mauritius ex Scot.q.2 1. Vniucrf. ad A. Caict.Soncin. et alii Expofitores, qua-XCcnus in [pecie infima vnum cft nomen vtrinque habitudinis, nam cuicü]ue com retursfiue fuperioribus, fiue inferiorius,(emper eft fpecies ; vbi in fpecie (ubalterna vtraque habitudo. diucríimodé maturam demominat, nam i icr fupe. u riorum fpecies dicitur, refpectu infcriorü gcnus, Suntigitur diuerfz ifte relauonc5, non tantum numeraliter, (cd etià cfÉcntialiter,imó et oppofita, ficut rclationcs Patris, et filij,-Domioi, et fübditi, unt aurem effentialiter diuerfz, licet in vno;codéque fübiecto vniantur, quia relationum diucrfitas à formali diuctlitate damenti, et termini attenditur, talis autem diuetíitas interucnit in propofito, quia terminus predicabilitats funt ioferiorayde quibus natura predicatur, fun o. daméum veró ipía naturz communitas, vin qua;illa ieferiora conueniunt; terminus aurcm fubiicibilitatis eft ipfum faperius, «ui eadem natura (ubiicitur, fundaméntü vcrà ivfcrioritas, (cu dependentia ab illo; adhuc tamen benc poüiunt oppofitae. rcTationcs eidem conuenire refpectu diuer-/ forum, et füb diucr(a ratione . 63 Exquo deducitur, vtbene Mayró adnotauit pa(fu 3. et 4. Vniuer(.& (equütur Complat. difp.6.q. 1. Sot. c. de ípecic, Mafius (e&t. 1.q. 4. Sanc-q. 5 3. Auería q. 11fec.5, et alij. Speciem reipectu (ubiitibiis ; et pta djcabilis gquiuocü nomen Difjut. V. De P'uiuef. im parti. -ne fpeciei, cum aliqua tamen analogia s . hitionis generis;vnde folü ccftat explicas ia ifti tefpe&us fant oppofiti, et ita diuer(i, vc Ee odins fpeciei in nul. liter (umptz; cóueniunt ergo fpecies predicabilis, et (ubiicibilis xar. in nomiquia vt aduertit Orbel.cap.de fpecie, no: men fpeciei verius conuenit. fpeciei (pecialiflime,quàm fubalternz, dicitur namquc fpecies à (pccificando,ícu determinado,gcnus autem magis determinatur in fpecie fpccialiffima, quz non poteft vite rius (peciacari, et determina: per differentas formales, quà in (pecie fübalternayquzadhuceft (pecificabilis, &dererminabiliseísécialiter. Hacigiturdecau(a Porph.dittin&tasdevtraquefpecie tradiditdefinitiones;X(peciéprzdicabilemdefinitperordinemadinferiora |dicendo$peciesefl, qu&depinribhammero differeniibusinquidpradafub:jcibilemveróinordineadfüperiodicedo fpecies efljqua |ubiciturgeneris   C de qua genus in quid prd. pra babile enim eft hanc eífe vnicz gum definitioné, vt ipnuit Sce ol.ad ;.non veró plures,v arbitrati; Quariturergoi iftz Worm eue de a 64. Dicendü eit vtráque ef fignatà; ita comniver D'adtorc tus pre(ertim q.2 1. Vniuer(. et probatur, quia vcraque harum definiionum explicat adzquaté edentiam definiti, ipfum]; di(tinguit à od nó c(t ipsi ; vt patet di(currenti per (ingulas; et quidé definitionem fpeciei pradicabilis, duistum ad eas particulas, in quibus conuenit cum genere, explicare nó elt inod? nece fe, ci (atis liqueanr cx explicatiouc defit€ particulam diftinguentem (pccicm à genere; quz eft illa de pluribus, n.4mcro differentibus, et expofitiué dcbet in:clligh vt et de illa particula pluribus jpecie differentibus diximus circa dcfinitionzin generis quatenus exponit, et dac iniclligere propriam diffcrenciam,qus ctt prqdicari totam cllentiam ind uiduorun, ii eut eim id, quod praedicatur de plui. bus basfpecie differentibos, neceffarió dicit folum partem cffentiz illorum, ita quod przdicatur in quid. de pluribus numero L differentibus,co ipfo dicit totam eficntià  jlloram;d/fferentia cnim numceralis fola.» 4 non eft cffentialis, fed materialis. Vnde numcrus bic accipi non dcbet pro numero przdicamentali, qui fpe&at ad pradicamentum quantitaris, atque idcó dicitur : titatiuus,& fit ex diuifione continui, fed pro numero tranfcendentali, ac enti tatiuo qui rcfültat,& conftituitur cx pluralitate quarumcunque rerum 5 et per res numeratas intelligimus illas,qua süt mulwiplicate per differentias intriníecas indiwiduales, quz dici folent hzcccitates, ac proindc funt vlterius inconimunicabiics, bzc cnim (unt ca;qua propr:é numceraliter differre dicuntur, et dicuntur indiuidua. Parum auté refert quod hzc ind:uidua fint qualis perfcétionis', vr aliqui expofcunt,quia apud admittentes ralé ;nz qualitatem indiurduocü (ub cadé fpecie, fu  Lr fioi illa effentialiter diuerfay ..  fed folum indiuidaaliter,quia inzqualitas adi  a continctur infra latitudiné graduum alitu. ditam (pc dta titudo, de quà fpecics dicair, an a&unlis in re, veles im intelle&u, an füffciat tr aptitudinalis, vt dicit de Sole, Luna; Phenice et c. dicemus ar 5. 65 Definitio ctiam fpeciei fübiicibilis o eftexa& tradita, vt patebit di(currendo -pereius particulas; Cü enim dicitur fpe&iesefl, que fubycitur generi, poffet ita   explicari,vt fecimus in Inflit.cü cói, vt fit illud fübiicibile, y generi immaediace fu| huic iid escladinss indiuiduum : quod nó (übücitur generi immediate, (ed Y mediáte (pecie, vnde et ipía incompleta, . feugenerica, efto immediate gencij fubdantur, vt qua ft. przced.art.3.d &tü cft, adhuc t£ ci (übduntur. fub rationc fpeciei potius, quam generis. Verü quia praetcre quam quod ap, oncndo ly immediate ett novain particulam definitioni ad exeludendá indiniduum data hac cpotitione4equicuryquód homo non cff. fpc€ics l'übitancigsvcl corporis animaus uia fab nilio iftorum immediaid. ponitur, vt : "bene vrget Maycon.patf.4» Ide cum ipfo Logica, wr o9.11. Quid fpecies [ubijcibilis.co pradic. c/frt.I1. ibidcm praftat d cere fenfam illius definition'$ etie, quód fpecies tit vniucr(aleg quod generi fübiicitur, quia hic folü agimus dc co,quod tanqaam vniucr(ale, fcu vnum cx quinquc przdicabilibus fübiicitur; vnde co ipfo excluditurindiuidaum; quod elto gencri fübiiciatur, non tamen tanquam va.ucrfale, quam expofitionem recipiunt Louanicnf. et Aucría fedt. 2. Fuent. Loan.à S. T ho.& alij,licet Poncius prima adharcatrefpóo!ioni. Quodfiobiicias,fpeciemvtfibi;cibilemnocffevniacrfalé, acproindenequevtponiturfubgenere. Occurriturfacilecxdicendisatt, fe].quodlicétformaliter, &reduplicatiué[pecies,vt(übiicibilisnonfitvniuer«falis,material ter tamen; et fpecificatiné tulis cft; illaveró particula, ponitur fub genere, vel generi [ubi citurscxplicat naturam [peciei.fubiicibilis, et relationem fubiicibilitatis, per quem conftitaiturin tali effe, et tandem dum additur, de que genus in. co quodquid efl pradicatur,explicatur modus fübücibilitatis nempe. » fübiici inquid, et fic explanatz manent hi duz definitiones . Neaütyt conatur ofléderc Arriaga difp.7. fc&. 2. in his definitionibus ciras committi dicatur, dum fpecies per genus, et genus per fpeciem definitur y obferuandum cft cum Tatar. q.de fpecie $.Secundó ciendum, quód vuum relatiuum non debet definiti per fuum correlatinum, fed per fundamentum (ui correlatiuivt euitetur circulus,& fic in propofito fpecies no debct intelligi effe definita per genus formaliter captum, (ed fundamétaliter, quà doctrina laté profequitur Blanc.feG. 8.de genere; et fet. a. de fj cic, et ex co confirmar, quia genus refpicit fpecie, et fpecies genus eo m vniucr(ale refpicit interiora)fed vniaeríale nó refpicit inferiora;vt rclatiua süt,ere go nec genus (pcciem, nec fpecies genus s. minor patct nam 1n dcfinitione vn;uerfalis arie mentio cepisse n tis, definitur namque y fit vnum aptum cflein multis, eigo ealedale folum refiricit intcriora,vt multa funt,non vt inferiora funt; ícd quomodo vnü relarinü de« b«ai definire ger aliud, xis Qo 3 D 445 C Tn oppofitiim obijcitur 1. conta dee itionem fpeciei przdicabilis, quiacóuenit alij5à acfinito ; tum quia conuenit Dco, qui pre dicatur in qui d de pluribus numero differentibus f. de Patre, Filio, et Spiriui San&o, qui in cadem matura fubíftentes. con(Lituunt numerü trium períonarü . Tam 2. quia etia perfona c 1llis tribus,vt perfona (ant,pradicatur in Quid, talem enim cóccprum effe ab illis abftiabibilem cócedic Do&or s.d. 23:4. vn.in finc et clariusd.26. q. vn. infra Y. et in illis tcipfa multiplicarur, quia trcs petíonz diuiog rcal.ter intec fe diftinguuntur; vt perfoaz (unc,& tanien neque Deus; nec conceptus perfonz diuina: ad "Ma tria (appofita eft (pecies. Tum 3.alia etiam multa predicatur de pluribus nume tod:ffereatibus ià quid, que ramen non fun: fpecies, vt patct de anima rationali ide materia prima, de pancto;& alijs quibufdam entibus incompletis. Tum randé quia ditferentia, proprium, et accidens prdicátur in quid,'& vt cota effentia de fuis inferioribus; rationale .n. rifibile, et albi praedicantur, wt tota e(fentia,de hoc tational:,de hoc ritibili, et de hoc albo . 6? Reip.negandoa(lumptum, adpri"mam prob.conitat ex dictis ifp. przced. «q.2.art2prope finem, quod natura diuimà in tribus péríonis cxittens nequit dici, "vniuerfalis per modü 4peciei,vt docet Do kót t /d.8.q. 3: prope (in& et Tatàát: Qj. 1. dicam.dub.5. quia nó cft in eis cá (ui iuifioneyac multiphicitare nuaerali, fed   "éademnumcto. in omnibas, vnde licét bx "diti inttres numero per(onit, nó ta"snentres numero Dij., qua ratione docet "Scotus 1.d.24 Q vn. cria diuina füppofita Ton poffe áb/olu:e,& fimpliciter dici namero diffecentia (ed tancü ssi quad | .cü hac decerminatione peifonarti, quáateous "dici poc quód funt tres namero per(onz. «Ad'. difficilior eft folutio, (i datar talis "€onteptas communis petfonz ad tres di"minas per(onas, quia ralis ratio communis "eflet veré malcplicara it illis, et ideó atvjant Auctores; concedunt aliqui habere "modum tpctiei, quia in ratione pet(onz "ino nift numero differunt, Arciag. difp.7. fcóis j« iiquit hibere: 4qnodum. genctis t d GA Difput. V. DeVuiutf. inpar... .diuinas períonas non folo nu vero differ. quia dining perfonz in ratione perfonaf »rmali fpecie differunt, quia Paternitas, Filiatio ; et Spiratio funt relationes diuer(z fpeciei, Hurtad. id concedit. f.tres tc, áddit tamen nec proprie differre (pecic, quia süt pror(us zjuales in perfe&ione,(pecies autem nequeunt elfe equales ;. ideo concludit conceptum períone,vt fic, participate de genere, et de (pecie, et cf. fe vn:ueríale quoddam, oy Porph. igno. rauit, qui tant cognouit vniuer(ale rerá crcatarum, italoquitar. difp. $. fe&. 2,  Pafqual.verà difp.74.,(e&; 1. data cómu. nitate talis conceptusnegat hab.re rationem gencris,vel (peciei,quia "gui rad horumconceptuum fiaitus e(t, aclimita.   tus, at quicquid eft in Deo, illimitatam  e(t; (cd nonexplicat poflea, qualis effet   cius vniuerfalitás. Nos dicimus, fiadmnits  q:3. in finc, quia licet Paternitas t0,'& Spiratio, quatenus rela alterius fpecieis tamenin nalitatum folo numero differ rct etiam fuo modo ille conc Xc ceptu generico, et differen nn ab« ftrahi poffit per intelle&tür adbuc inadaquat concipientem cóceptüs commuais nis creatis, et increatis, vt Scotu$  docet loc.cit. qui haberet modü generis cü hoc tfi ftatquicquid cft in Do à te rci, effe infinitam, et illimitatam, ifi.    namque cóceprus inadquati pendent ex. no(tro concipiendi modo, ncc explicapt res,vt funt infe di(Ltin&té  et adzquate, . 68 Ad 4. ref, ex Caiet. Cóplug. Amic.Toan.de S. T hom. et alij, quod entiaincompleta ficut noa ponuntur in re£a liüca, ità nec proprie, et fimplicite? (unt vaiuet(alia genera » aut fpecies, (ed tancumsin quid. Sed vcconftat ex dics difp.prazed.q.a. dub. 2. etiam natara is» xóplcuc fundarc poffunt vcrá, et períca& vni 2 .II. Quid fpecies fubijcibilis, co» pyadicecfrT.  a wilucrülitatem, quia eodé modo rcípiiciunt (ua inferiora y licut natur cóplet, nam ficut animal eft pars msterialis ho. minis, et Lconis,& vt fic de illis predicatur ficanima eft pars materialis animz vcgctantis, et (enuentis, X vt tic de illis przdicatar, vnde licét natura in (e tiat incomplete, yniucr(alitas tamen lli conueniens eft completa. Necobitat, quód . ponfinrdire&é in przdicamento, bene enim ftat,quód ali.juid (ic directe in przt dicabil:bus quod indirecte rantü repeti: tur in przdicamenris,vt patet de ditferéà tiayquz eft vnum de pradicabilibus, et ri '  . poneít directe in pra dicamentis ; quare cum huiufmodi geoera, et fpecies d;cun"E tur incompleta, id dcbct intelligi fundafnentaliter cantum, nó formaliter ratione ipüius vniuer(alitatis,cui docteing fub(cri bunc Murcia hic q.3.dub.6. Blác.di!p.3. fedt. 16.& alijÁd 4. concedimus differe. tiam, propiium, et accidens fic conüdci; in ordine .[. ad propria infepiora y .. habere rónemfpeciei, tunc enim tantum 'audent ratione illorum trinm vniucr(aQuando coparantrad fatui. vel quati fübieéta, V nouae Mayron, 3 Na Vrsebiadbc contra candem dcfinitionem,quia homo cftfpecies ; et tamer prz dícatuc de placíbus fpecie differentibus, yt de inafculo, et feemina, plus mmque duferant vir, et mulier, quà duo [4 witi ied hi numero differunt, ergo illi (pe [ cie, quia inter differentiam numcricam, et (pecificam nulla mediat. Hac de caufa i Redulphus Aericola lib. y.de inuét. c.6. &quidam alij dixerunr [pecie infimam lle cle genus intermedium; fed pror1nepté, cü hoc 6t ompinó impoflrbile; quantum vero fpe&tat ad argumentum in fe, dicendum eft mafculum, et feeminam non d. ferrc, nitifpecie accidentali, nó vcró effenuiali, vt ex profeísó docuit Arift. 10: Metitox. 2 $ de quo vidcatur ibi Dottor,& Alcifisin expo(itione rextus; et io hoc sé(à vetá eft plus ditferre vir y et mulierem ; quàm dào viri abinuiccan ; vude in differeoria numcerali admittenda €tt latitudo accidencalis. Deinde arguitut contra. definitioncm fpeciei fübijéibilis, quia agar aliqu : fpe, cies praedicabilis, quae nulli genezi [uo .j« Citur, vt materia prima, qua iuxta noftzg fententiamia Phyf dif, 2.q.4»art. 1. cft fpccics infima, et ramen non cít (ub genere fubltaug in przdicamento, et idcm cít de pan&o quantitatis,quod nó eft (ub gencre quantitatis, cü non fic quantitas . Etquod mags vrzct.genus gencrali(fimü fubtlantiz reípectu huius, et illius fubftae. tz induit modum fpeciei ex dictis praz€cd.q.art. 3. dub, z. ergo faltim reípcétu indiuiduoium incomplerorum, quz dís cuntur genericasdabitur fpecies'predicab.lisnemini fuperior! fübijcibilis, 70 Refj.cuidam Thomiflz, quód fi €ut non inconuenit dari fpeciem fub jcibilem,qua nó eft predicabilis, yt ipli ces nent de fjeciebus Angclicis, ita nec inz «conuen:t dari fpeciem przdicabilem,quae non fit fubijcibilis,ende cófequenter hác difhinitionemnonrecipiunt,quibus fauet €aicr.eap.de fpecie,& Tarer quaft. de diffcréria un me. Nos veró vuiumq ; hae bemus proincoucementi, et quidé in propolito prorfus ablurdü clt (pecem pra di cab lem admiticresqua non fit (übijcibie Wis,quis omois (pecics, vt talis,debct eífe füb gencre, cóponitur cnim metaphy(ücé coniidcrar« ex genere, et differentia, om illosyt ex gradufuperiori, ex hac au:£ ve -ex rationc particulari& coowahente ge rus. d.cendum igitur cfl,gp ficu: omnis fpc cies lubijcibilts dcbet etie infe yniucre lalis vt arte. tà omnis przdicabilis cft eua (ubijcibiiis, fub genere aliquo có» tincturjquod iiexira przdicametum cOfti uitur, nonquia:aiiqnid vniucr(alitas us ad genus requifitze er deficiat, (ed quia non fuudatur in natura completa, cui foli datur locus in predicaméto,vr modó cótextum eft, Kato buius c(t, «uia omais natura (pecifica (emper cóuemt cum altqua alia natura jn aliquo gradu eflentialig y.g» inexemplis al latls materia puimacóos fübitunte prout diio gar db acécen ub1tanums prout diíliu 9esiet 1C; CÓuenit ctiam in conceptu. pattis phy« fice cifentialis,licét quoad modum con» ftitiendt cópolitam phyticü habeant ras tiones primó diucc(ss, vt docuit Dot, 2s Oo 4 Qn 448 d.12.q.1.$. fequitur [ecundó. Pariter pü &ü quátitaris coucnit cü inttáti téporis in €Oceptu indui (ib lis cótinuaciui, et termi natiut partium abftraheado à quantitate permanéti, et (ucccetli ua, vnde licut dixi. mus definitionem fpeciei pradicabilis, €t materiz prima, puncto, et alijs naturis incópletis competcre cum omni proprie tatequanium cft cx parte vniuerfalitatis; fic ctiam pet hunc dicendi modü, quem fcquitur Auct(a q.2, de fpecie cum multis alijs, opiimé defendicur definitionem fpecici fübijcibilis enfdem conuenire. 7 Adalud de gcnere faptemo de. 5 fuis indiuiduis przd:cante per modü (pccici, concedimus co caía dari (ci predicabilem,quz nonctt fübijcibilis,vt ecia loc.cit.diximus ex Didac.difp. 7.3.1.qui bene aducrtit,cum dicitur, omnem fpccié redicabilem efle quoque (übijcibilem, $d debere intelligi de (peciebus p:edican tibus dc fuis indiuiduis, vt (unt a. parte tei, et (cruato ordine, qué poltulat nacara rerum,cui corre(pondcet oido przdicamétalis, iuxta quem genus non detcendit  inindiuidua,nifi per (peciem; quarc fi interdum ind:tidaa immediate: fübijciuntur gencraslifimo, non ett connaturaliter, Íccüdum quod indiu du s debetur, fcd per intelle&tü immediate iodiurduantem naturá generica fpreto ordine naturali; iraque argument m («t6 fübule) non ofhicitquia P defiaiur fpecicin faübijcibilem, vt (pectat ad icriem vradi lem, qu contexta eít iuxta cxi» ( 0 gentiam natucz recum.,   Sed ruríusobijcies contra eandé defi. -"mitionem, quia pore(t etià indiu:duü imi. mediaté contineri (ab genere, ergo illa. s definitio cópetitetiam i0d:iuiduo  J/rob. affumptum in illis (peciebus, quae süc immulciplicabiles imdiuidualiter, vt funt fpe ciesangelice in (enrentia D. Thoma,& rclationcs diuinz, ncque enin poflunt efTc duo Patics;aut Fiiij eterni cum 1gitur in his [peciebus ratio indiuidualis fit eadem formaiitlimé cü fpecifica.ponerur vtique immediate iub generc . Hoc argumentum exiftimat Arriag.di(j»7.(ect.2. cam infoluiá reliquerit. Specicsideó cft diflicilis (olutionis,& re vera d:fhicilc cft apud admittétes illas fpccics et dittingucDifp. V. De Voinérfal.in párticul..  tes fpecie fubijcibilem ab indiwiduo pef hoc ;quód !mmediacé ponitur (ub generc;at neutrum bo;um nos tenemus,negamus .n. has fpecies, vt conflat ex di&is difp.przced.q.4.dub.1. et magis pat-bit €x dicendis att.feq. neq; pet. iilam pofitionem immcediatam fub seacre. przcisé dittinximus fpeciem fubijcibilem ab indiuiduo, fed per hoc, quód fpecies fübijcibilis seper eít in fe vamuertilis, licét nó quatenus fubijcibilis,vt inox dicemus, Per quid. conflituatur [pecies in effe 1 vuiuer(alis num vt jubucib.lis, vel predicabilus . (Vminfpccicinfina, quz eft sii vniueríale, cócurrac haec duplex habitudo .f fub.jcib litatis ad fuperioragg et pr dicab litatisad inferiora; nuncine  dazandam eft, per quam habitud:né maliter conftitucur m cífe eaiuertoli hac quz'flio poteft eui agiraci defpecie fubalterna, quacenusin ea con eadem duple: habicado ; in qua . E ris cft opinio Caiet. ca Mac d vl His Ri gnificauit fpeciéim ince peciet,& fe.  erfübijcibicundi vniucríal s conftitui' per fübi liraccimad gcnus ; vnicum eius func tum futt, jura propria ratio (peciei fe cortclatuum generis, hanc autemratonem corrclacui non habet per ordinéad inferiora, dc quibus dicitürs fed per ordinem ad genus, (üb «uo ponitur. Dicendua tan;cn ctt cum cói fpeciem conftitui micinfecé, et torma'licer in etfe vniucríal's, non per otdine;n ad fuperiora, quibus fubiicitur » fed ad infcriora, de. quibus prz dicatar9& ca quidé folo nume ro diffciert o. Conclafio eft apud omnes vnanin.i cof. n(u contra Caicrrecepta, et eft Scoti q.2 1.cit.infol.ad 4.vbiait fecüe dan dcfinitioné de fpccie;datà, quód .f. ptzdicatur de pluribus nuchero differen" tibus, eiie proptiá eius, inquantü cit vni» ucríale ; et probatur rationc tam valida ab ipfomet Gatet. cx: (Eimata, vt loc. cit. vnü dc numero vniuerfaliü, quia particie pat ronem vaiucríalis in coi ; ergo coltt:: tuti» . tionem.i. ad füperiora. tutam eius debet effe infra laruidinem formalis conftitutiui ipfius vniucr(alis in cóoi,implicat enim quàd relatio quzdam in cói tendatad vnum termin,& rclatio fab ca contenta, veluti fpecies tendat ad oppofitá, ergo cum vniuer(ale in cói cáfiituatur in effe tali per habitudine ad inferiora, covfequenter quodlibet vniuerfale (ub eo cotentum deber incfie tali có ftitui per rclationé. ciu(dem rationis magis coar&atá,& non pcr oppofitam rela'jod autem vni  werfile conftituatur per habitudinem ad inferiora in efkc tali, patec, quia refpeótu füi termini, fe habet vt fuperiis,ende illü fibi (übixcit, nóautem ei (übijcitur ; ergo (pecies non conttituitur in cfíc vniuerfabis per cfe (ubijc:bilem fuperioribus, (ed per e(fe ptadicob/lé de inferioribus. Accedit (ubi jcibil:carem fpecier,& indiuidui tox cflc ciutdé róois, efto ex parte atetialis (ondamcnti duferant, vt dixi. mus inito quaflionis; ergo per fubijcibi(Go Vitatécóftiui nequit in effe; eniuer(olis,cü X «adem lubijcibilnas competat indiuiduo, 233 Fonaan,vcco. Caen, facile dituitur cx decina, quà habet Scouus in bac i«€it; ad 4. vbi docet» quod viüque fpccies sm tuum propriam (Q Jem dicitur ad-genus velut ad eius prmvü corrclatiuum, àt sm rationé fui gcneris y. fub juo coutinecur «f; vaiaetfalis dicirur ctíá rclatiué ad inferiora, de quibuspra-' dicata r, vmucrf.le n. refertur ab fübijcibile;cx quo infert. qj fpecies per fe primó fécfertur'ad gcnus, pei (e aücnon. prim, ad indiuidua, velut interiora; quia ratione fai gcneris.(Cvniucrfalis: vnde tandé coaeludit, quód c(to dei: nitio eius in ratione fübijcibilis .f. data in ordine ad genus, fit fpecici propriaíccuncü'fe ; quia datur per €iQs primum correllauuum, fecanda-tamen;quz da:rür per ordinem ad ipferiorà; licét detur pcr. pofterius corrclatiuis «4 pec indiuidua;adhuccft magis ad propotitam, quia eft proptia (pectei, in.quátum eft vniueríaic, quo modo praefertim hic confideraur à Porph. cx quo. patet ad argumentuca. Caict. falfum cífe; quod genus tit correlligiuam fpeciei, quatenus ctt va'uecfale quoddun, n formna 50 II. £uo emflituatur fpeciesin effe Volikédrt.1T  449 74 1n oppofitum tamen adhuc vcg:'t poteit ; quia quod immediate fubijcicat eneri eft vniucr(ale, fed (pecies quacenut fübjcibilis immediaté fubijcicue. generi » ergo quatenus fubijcibilis eft vniuerfalis . Tum 2.quia fpecies ideà, eft vnum de namero vaiucr(alium, uia corinerur fub vniuer(al: in communi, vt eius. pars (übic&iua, (icut homo dicitur animal,uia continetur fub animali, fe 1 (pecies, quatenus fub vniuerfali continctur, c(t (ubijcibilis,ergo &c. Tum 3. vi fpecies fubijciatur generi, opus eftvt abftrahatuc ab indiuiduis, erga vt ic e(t «nuuerüalis Tum. 4. (pecies (übiycibilis praedicatur de hac, et illa fpecie fubijcibili, ergo inquancum (ub jcibitis et tormalitec voinec(alis. Tam 5. quia. fpecies (ubijcibilis femper eft vniaec(alis,& é contra, vt dictum elt, € adhuc magis patebit ex dicendis, ergo &c. Relp. quod. immediaté fübijcitur generi cile vniuer(ale materialiter, et ced ci&icatiué, et fenlus c(t, naturam, quz ponituc (ub gencre, cffe vniucrfalem, non tamen formaliter, et redupl.catiué, quafi liz yniuer(alis, quiailli (ubijcitur, quiae re(pectu eius vniaeríalitatem nà exercet, " eu fuperiocitatemyfed infcrioritaré. Ad a. patet. per idem, fpecie., quatenus continetur (ub vniuerlali,effz vninerfalem materialicec, et fpecificatiue ; vcl potias ncg. arfamptum cumeius probationc, homo . n. non dicitar animal, quia. fübiicitar animalit generi (uo,(ed pouus contra fubiicis tur animali, quia eft animal, et participat rationem ipfius,hoc enim cít fundamentü relationis (üb;;cibiliaus, qua illi accidit per intellectum; (ic igitar in propofito » non ideàprz: dicabilia. (unt. vniuer(alia as formal«er,:quia fab. vaiuerfíali continentur, fcd pot:us ideó vniucr(ile de his quin» que przd:catur, quia hec. fuat wee la, et rauooem parucipanc ip ucr(alis; quz confiftit in ordinc a inferiora .' Ad 3. in co ftatu abítra&t.opiscít folum. vniuerfalis meraphyficé, non logicé, et quando conccderemus etiam loBi«é vaiertalem cic., tunc dicere praeftarct potlidere vmucr(alitatem ex vi db» itra&ionisab imfetioribus, non €x vi (ubic&ionis ád (uperiora. Ad «orgiégaltqs, qu ày6 " CDs. De Foüerf-inpánie.  o0 quia ex cópararione fpecici ipfius fabij€ibitis ad hanc; et illam refü!cat in. ipfizs Vniuetr(alitas,à quo formaliter denominatur vnuerfalis, et (ic induit modü fpeciei prrdicabilis vnde tals fpecies erit fubijcibilis,vt quid, prz dicabilis, vt modus, Ad $fNeg.fequcla,verum quidé et! fpeciem, que (uBijcib lis eft effe vniuerfalem, non: tamcn talis ett quatenus lubijcibilis.ficut écon'ra fpccics que eft praedicibilis, ett ttiam vtique fub;jcibilis, noa tamen talis € ftjquatepus przdicabilis,  $1 Sed adhucfortius vrgebis,genus fub alterniim non contticuitur in ele vniucrfas (obaltethi per priedicabilitatem, fcd p.t fobijcibil:tatem, ergo et fpecics poterit quoqae pet propriam fubijcibilitatem conflicui in etfe yniucerfalisinfimi, Ptob. affumptum, quia non conítituitur in tali vniuerfal tate per-przdicabilitatem de pluribus fpecie differentibus quia hzc ctiam'covuenit generifüpremo: ; nec per etinquzcft de pluribas numero differétibus,quia hezcctiam conuenit fieciei in-: mz, ctgo per nallam przedicabilitatem conftituitur;(ed praecise per fübijcibilitater. Refp.hiccommittifallaciam,quasficfecundumpluresInterrogationes,vtvnà,petiturenim,per'quidconftituaturgeousfubalternuminmtálieffe,quatiquidvnum fit in co effe gcnus et cffe [übalernd quae tamen dao vlde diuetía (unr;nam ete 2cnus conuenit ei pcr habitudinem ad ipfefiora,de quibus dicitur,efle veró fubalcernum conuenit ei per ordinem ad (upcriora, quibus (abijcitur ; et quatenus fpecies fübijcibilis, non quatenus genusjitaque arg.dicimus, quód efto genus fubálternü, ZUG fubalternum, conftitnatur per bijcibilitatem,nihilominus quatenus ge: nus conftituitur per przdicabilitatem de: pluribus fpecic differentibus: nec obftat, uod tális prz-dicabilitas competat etiam  generi fupremo, quia vt diximus arzvlt.q. przced,in fine gerius (lüpremum;& fabalternum non differo fionegencris, et vniuer(alis » JníLabis adhuc;genus generali (Tfimü »on conftituitur in hac fopretma voiuerfalitate per ordinem ad i nferiora,fed prz€ise pcr hocjquàd fupra fealiud 2enusnó ad' rationc alterius, fiue vna fundamétum al» nt cflentialiter in ràhabet,ergo genus (ubalternüin &a coaes  Gara vniuerfalitace conflituctur precisà p hoc,g fuprafc habct aliad genus, Prob, allumptum;tum ex Pocph.ci ex»coc 1. d.8.9.5.O.vbi docet nó cllc dzrat'oncge   ncris general;(fimi plures (üb (z haber fpecies, X dat exemplum de quauao, 44 3l conflituitur vnü ex. 10.2enetbus (upres mis.licét fub fc paucas habeat fj«cics, aut nullas,eo praecise quia non habe: aliud (uprauen és genus. R ef]. fimiliter vt ad pre ccdens,sl;ud cfle loqui de genere gencras liffimo,v: genus cft, et vc generalitfimuag cit,verü cnim elt atiumptum, fi con(ideretur vc gencraliffimum eit)nonautem vb  genusett,& inhoc fenfuloquütur Porph.  et Sco. qui optimé dixitgeneralilimo,vttaliprorfus accidere, quód habeat fih d [05  fc (pecies, quia non con(ticuitar io zal fc pct ordinem ad inícriora, fed pe tionem ordinis ad aliud fuperius contra fi genetali (fimum, et fal conhiderentur,quatenus vatuerfa fes acciditeis habere, vcl non. nus fupraucniens, vt notà Mauri. q. 12. Vniuerfe E. 77 Pro compleméto huiusa sj OS fiat dubium diloluendum ;quódhicagie  tarifolet, quiaciusrefolntio multum jue  uatad cognitionem fpecici üpredicabilis ; cumenim vidcamush duis D habitudines (übijcibilitatis, et prdicabie | ic infima, et fub€r Acci" litatis concurrere in fpecie infim: alterna, quaritur anconcurrant per à i» dens et veluti difparatz,an pouus cOÓcurrafit,vt perfe coonexzita quod vna fit de. terius, et origo,. Ciica quod dubium tria prafertim reperimus Auctorum placita y duo extrema, et aliud medium cum dittin. ione procedés. Prima ira inio CX. ema abíoluté atfetit e(Ie dil paratas,itavt. yna vm accidés va dem " aliam 5 nec fübijci gencti e e dc ratiose nmontuit ad edicsidid mulus s. nec € córra cíle predicabile c(t dc ratione. d ret eet tae enim, et de£acto vna. " rationum reperitur bae alia ; cuimif: i generibus (upremis reperiatur przdicabis. litas finefubijcibiliate, et inindmiduis: (übijcibilitas line pradicabilitate, ita AlW beit. f,, Ti eft bect.ttae 4. zdicab.c.2. Complat. diíp. am Milos fcc. 1«0.4« Didac.d:fp.7.2. ZiKuuiusq. 1;Galleg.controu. 14. et aij. .. 1 Akera opinio extrema. docet cie. pec conneXas,& vnam originari ab alia;nimirum vel fübijcibilitatem ex. przdicabilitate y veHé contta; Caiet.cir. poftquam conftituit effentíam (peciei in fubiicibilitate, ait deinde przdicabilitatem (equi ád rationé fübijciblis, vt eius propriam paffionéyravt dicere valeat, ideó (pecies €ft apra dc indiuiduis predicari quia fubij €itur generi. Tolet.écontra q.vn. de fpe€ic,& Sachez q.35 Log. fignuicát fubijcibili 'vaiuer(aliratem., velut paffionem, itavt dicere valeat, fpeCics, ideó scelti a immediate, Quia eft quid vntuerfale in fe, indiuidua » enim non imimedtaté fubduntar. generi . "Tertia opinio media cum diftin&ione it,& ait) quód fi fiat (ermo de his n  abijibiltat et przedicabiliecis? confideratis, vtique nonsüt vt bene demonfttát ratio', nec vna per [c condNEutemfiTnitata,&coarctara,qualiseftvniuetfalitàs(peciei,vtiqueinhoc(enfadicendum "eft ex ip(a oriti (übijcio;litatem immedia. "fam ad $,vt eius propriam paffioné, dicét enimex|vniuerfahitace,vt ticnequéac 'oriti (übijcibilitas, quatenus tamé limita'ta,& determinata benc fequi potefl;con"elitdit igitur przdicabilitatem,& (ubi jct!bilitatem in hoc (cna ede perte connexa in (pecie, quarenus eius vmuerfaliras non fuprema, fed limitata, et fübordinata 'hoc.n.ipfo quod pred;:cabilitas, que per"finer ad ratione; Ipecici: non cft prediCabilicas faprema,fed inferior, per fe, et non dilpáraté: perit. fundare relauonem fübijcibilitatiss fine qua ratio infcriorita"tis ne [uit intelligi ; omne cnim inferius NOn. quia fecundum prze"dicabile nom liabet eife vniuerfale e 'modocunqué y (ed vniue;lale (ubordinatumj et minus aleto,(, genere,ergo idjcp " ncccílació coniangunxar in fpeci (0107 T. Qseolinacar [peces nef Vuiatifreder. LI: ast xondueic ad hoc, vt fit vhiuetfale minu£ amplum altero;nó poteft di(paraté (c habere ad có flitutionem ralis yniuerfalis, fiuidé de intrinfeca rationc cius cft, quód 1t vniue:fale fubordinatum, et inferius ficut non difparaté fe habet ad conftituedam caufam (ccundá hoc quod ett (abordinari caufz prime, i inordine politico tniniíito inferiori nonelt per accidens, et diiparauim, quod bou fuperio tijita loan.de S. Thom.q.8, art. 1. idcmq; fentire videtur Aucría q. 11.Log.fec.3.. 78 Dicendü eft pro rcíoluaone. dubij fubijcibilitatem,& przdicabi!tatem vtiquc in (pecie aeccílarió connc&i, nó tamen velut caufam, et effcétum, quafi g» vna per fc oriaiur ab. altcra, (cd potius veluti d.ios etfe&tus ab eadem caufa. procedentes, (ub diuerfis tamen caufandi rationibus. Conclufio í(cquitur cx didis, et mox dicendis, eftue coníona doctrina $coti q. 21. cir. et quoad omncs. par,tes probarur,& primo quidem illas duas rationcs. in. fpecie: nece(Tarió. conne&i €x eo conflat, quod in ferie predicamen-tali,& inxta ordinem a natura inflitutum üi xv enim pradicabilitatis v. g. cmullacít (pccies predicabilis, quz non Mit fab /jcibilis, quia fpecies effeoualiter €onttituicar cx genere, et differentia, ergo ncéettarib alicui fübijcitur generi, et Qaando genus (upremam. przdicatur (uis finguiaribus immediate per m fpeciei, conftat ex diétis in finc preced. att; id e(le prater ordinem connacuralem rerum, et ex mero intelle&us beneplacito,& re vera tüc genus fapremü, vt fubftantia adbuc habet rationem gencris, li cet induat modum praedicandi fpeciei, «ne de cft genus, «t qud, fpecics vt modus, "quarc cuu rc vera fpecies non üt, mirud non ctt,li gencri non (ubrjcitur y ex alias euam parte non eft dabius £pecies fabijftc cx dictis difp. przzced.q.4. dub. adhuc dicemus iterum,. ergo ha di tioncs fubijcibtlicatis et przdi L &bilis, que non lit przdidabilis, vt. con i5, Que non fit pr, e E rà quantuim-eft de (e: inüte nici in diuer(is (obiectis vt bcnc demons ítrancrationcs priv lemienuz 4, 79: Deinde quod non enc D wp sz JEN LOL 4 r.c 452: flat caufa,& cfíc&us, probatur,:quiaifte habitudincs funt oppoficz,vnü autem oppofitum nenperícoriturex alio, nec phylicé,nec metaphyf(icé;tum quia tota. gatio (ubijcibilitatis fita eft in relati inferioris ad (aperius, ratio praedicabilitatisé contra, ergo ab his rclationib.nequcunt deriuari nifi relationes ad coídem terminos,non autem ad oppo(itos. Si di€as cum 3.opinm., 9p licét íubi jcibilirasnequeat deriuari ex prz dicabilitace,vt fic nà ita funt oppofita, bene tamen cx przdicabilitate, quatenus limitata, et (übordinata,. nam hoc ipfo quod przd:cabilitas non eft (üprema, fed fuübordinata, uc preedicabiliras petit fundare. relationem fubiicibilitatis. Contra hoc cft, quod iila limitatio,& fübordinatio non tollit opmes przdicabilitatis cum fubijcillitate,ergo adhucobflat, nc vna cxalia deriuctur ; tum quia non videtur maior ratio, cur fübijcibilitas potius oriatur ex pradicabilicate limitata, et fabordinata, quàm é contra, imó fübordinatio pradicabilitatis videtur fapponere fübicctiomem pradicabilis potius, quàm pracce«lcre;ita quàd fit verum dicere, idco przdlicabilitas animalis, vel hominis eít limitata,& coarctata, quia animal non cít fupremum genus, fcd (ubalternnm,, non «rgo fübijcibilitasex pradicabilitate età i et coar&ata deriuatur 5 (cd poaius à coutra dici deberec, fi invicem fubwrdinarentur in ratione cau(x, et effe&tus ., 8o Sidicas iterüi cum Au&oribus teraix opinionis, ideo porius (ubijcibilitaté -x pradicabil itate limitata oriri, quàm € contra;quia prior, et effentialiter eft in "fpecie habitudo ad inferiora; per quà conitürtür Ip ratione vniucríalis, quàm sbitudoad füperiora. Contra boc cft;quod 165 potius oppofito modo (e babet ; quód smimirum 10 fpecic, vt fpecies eft ; prior » Wk eilentialior eft fübijcibilitas, &ordo 18d füperiora, quàm ad inferiota, vt Scot. «loxet. q. cic. in fol. ad 4. vbi proinde gemus appellat primum correllatiuum fpe.Xiei s indiurdua veró correllatiuum po"f&crius, quem (equantur. Complot. cit. Blanc.difp.5. fcc. 3.Fuent.q. 8.diff. 1.ar,3. et alij quamplores,. et probatur manifcs Difp. IV. De Vniuerfalibus in partic. ' hzc (oluiio ex ipfius di&isreijcitur; nam P . €líc (ccundi pre dicabilis, parum ge ? c ftaratione, qaia prius eft rem confticull in fua effentia, quam aliud conílitucres vcl alteri communt:cari, dum enim communicatur, iam in (uo etfe conítituta (upponitur,(ed[peciesperfubic&t'onemadgenusintelligitariliud.parcziciparevelugrationem füuperiorem, et partem eífentias €ius, per przdicationem verà intelligi tur alijs communicari, ergo 1n (pecie. fus bijcibilitasre vera przedicabilitatem pra» cdit ; Et adhuc magis declaratur, prius naturam (pecificam intelligimus contrahere genus, quàm coatrahi ab indiuiduis, quia per contrahere genus media ditferentia conílituitur in cfle fpcciety(ed quatenus genus conrahit,imcelligitur (ubijcibilis, quatenas contrahitur ab indiuiduis incelligitus pradicabilis, ergo (ubijcibilia tas prz cedit przdicabilitacem . L $1 Reípondet Ioan.de S. Tho:aliudef  fe (peciem contrahere genus, et aliud fü  bijcigeneri, illudemim perümetad cone  fututionem naturz in (e, quz fitper genus, et differennam, fubijabilitas autem   dicit rclauonem canonis, qua coordina» tur fpécies generi, et fic pertinet ad cundam intenuonem natura, non ad con ftitationem, et in hoc generi ioni$ prior eft vniucríalitas, et pr: ilitasin ordine ad. conítituendum fecundum przdicabile,. quod cft (fpecies, quàm fue ijcibilitas j licet refpeá rg fecun dum fe. ptius intelligatat.contradio. ge» neris, qua cít fubijcibilitatis,quam coni fabibilitas ad indinidua, qua cft fundamentum vniuetfalitatis ; Sed [| fi verum ctt, vc ipfefacetur, contractio. ncm generis ia fpecie eífe tundameniam  fubijcibilitatis, et praecedere coatrahibilitatem ab indiuiduis, qua cft fundamentum pra dicabilitatis; fané fequicur. eciam (ecundá intentionem fübiicibilitatis pra» cedere debere intentionem pradicabilitae iis, nam ifte inrentiones cundem rationis ordinem fandant inter (e, quem hibcnc à parte rei fundamenta, alioquin non dicere tur ficti cum fundamento in re. Quod autem inquic relatione pradicabilitaus eife riorem quoad conítituendam (peciemin E hocenim vtique verum eft, imó. nó fol eft prior, (ed vnica et pracifa ratio cótti. 9 tuens fpeciemin effe pradicabilis, at hoc . monquzritürin propofito;fed quzritur, S uznam iftarum rationum przce dar inca f ecic » vtfpecies eft, abfolute loqucno, non vt vaiuerfale » . 81 Denique q; connectantur potius ; veluti dao effectus ab eadem caufa. pro.. «edentes fub d:uer(is rationibus caufanJ.. diqua erat vltima pars cóclulionis pro»  batur,quia differentia c(lentialis duo ha»bet,roum eft, quod e(t determinatiua, et |. . «onuadciua efentiz generis ad confti 4uendam fpeciem : alterum ett, quod in. fe importat. gradum formalem eifentie . adhuc communicabilem, quia licéc rem E. à fe «on&titutam conftimar. in e(fe fubii eibiliad geodiquen cótrahit, non tame "HN eam confi ituit in vltimo cffe (übiicibili, (0 st facit ind iutdualis d; ferenti; cum igi a Voi unas e o dor d Fat in Z E mco, titur E. bili ad genus,q conflit fübillo c in pluribus, plné co taccm, et przzd'cabilitarem in fpeciea differentia fpecifica oriri (üb diuerfis tamen rationibus ex ipfa namque vt contractiua gencris fübiicibilitas derimatur, S ex cadem, vc vlrerius communicabili . eritur pra-dicabilitas [peciei. . $3 Etexhis facile fatisfit fandamentis carüi opinionum prafercim tertie que wtijue maiorem hi bebat ceteris. apparenuam veritatis, ni| enim aliad efficaciter probar, quam duas illasrationes (übiicibilitatis, et pradicabiliratis non omnino per accidens, et difpararé concurrere ad conítitutioné huius fecundi predicabilis, dc cuius intrinfecaratione cít cile vmuet(alc iubordinatam, et minus amplum genere. Hoc (ané verum eft, et nos quoque vltró facemur, atq; 1deo bac de cau(a dixunus, illas raciones etie. neccilar;ó connexas in [pecie, verum non probat «ile connexionem inier. jlla 9 v&« Q.II. dn [ubijcib.ey predic fimt COBWOX d Aot M. Ag lat effe&us& caufas,ita quod vaa depenz dea, et oriatur ab alia a. sed obiicies, quod dri po(fint,imo de fa&o dentut fpecies (ubiicibiles, quz nó fiot pradicabiles, multi namque tales cie aíIccuat relationcs diuinas, quae funt immulciplicabiles intra fpeciem infimá y. quemidmodum ponuntur à Thomiftis: natu:z angelica ; nequc enim pofsüt eífe. duoPatres,autFiliieterni;&tamenhaerelationes funt inter fe vcluti fpecie dis   &in&z cx D.Tho.1.3.32,art.2.& q.10« de potentar. 2.ad 12. R.eíp. prorfus ime plicare fpecies, qua vaum duntaxat indiuiduum (ub (e habere poffint, atque id:o ünt folum fubiicibiles, non verà pradicabiles, vt afferit Arriag diíp.7. n. 35. 0b rationem allatam,quia fi talis [pecies conftat ex genere;fub quo ponitur » et differentia (pcafica contrahente, non apparct, vnde repugnet illi communicabilitasad plura ex principiis cius intrin« (ecis uia nec ratione gradus genericiilli repagnaret,vt defe patet, neue differentialis, quia hic etiam eft adhuc vlteS: .communicabilis ; cam non fit indialis, Relationesaurem diainz j vt. liximusart. prezed. in fol.ad r.quams be Di MR DADO En drint "n |» quaratione funt multiplicab ] imus in creatis, éum quibus conueniun in pracifa ratione relationis;quarenas tfi petíonalitates diuinz, quo fenfa funt immultiplicabilcs,non fpecie differunt, fed quafi numera !iter ; quatenus im conceptu Communi diuinz perfomalitatis ab cis abftrahibili (pecifice conueniunt, vt ibis dem explicuimus . capu Species in vnico indiuiduo, C" Ge4 nus in vnica Jpecie conferuari 84 Enus, a&uali .i fecundum (ua pradicata effentialia, vel vt tota quaedam potentialia fuas partes fübieGiuas refpicientia, &Choc vel metaphylicé,vel logicé ; difficule tas non cit de iplis primo modo infpe» étis, iic enim omncs concedunt, et ge« nus ia ynica [pecie et fpeciemin Mos les, vtcer Species ex dici cóGdg: rari poiluüt,vel vt tota quzdam (dua tefpe 454 indiuiduo conferuari polTe ; quia fecun dum 1otam fiam cílentiam commanicantur cuilibet fuo inferiori, qua tatione" dicimus torrm animal effe in fpecie humana,& toram humanitaté in Petro, fed' non rotaliter; et hoc fignificare voluerunt Parifienfes,cum c. de gem. dixerunt pofic genus fecundum cxiftentiaur (aluari in vnica fpecie, quia deftructis omnibus (pecicbus fola li remanentc,adliic homo effet animal, E (t ergo dif ficultas de ipfis, vt tota potentialia, ícu' vasti qua nictaphyficay quàm logica ; et (enlasefl, amad coníeruandany cotafitarenr fuam potentialem fecundum ftacuai ei conmaturaliter debitaur exigat gcaus le esactu fpecies, et fpecies plura iodiuidua, av potius (üfficíat apritu« dinalis entia 4 et quod illa plures fpecies rein gris, Né plura iioi: ul fp eciei (int. poffibilia, 10ad genus,tres exrant. opiniones ' dux exceiz, et vna mediz. Príara exa docet totalitatem potentialem,(eut rfalitatemy generis tàm atetaphyfi&am, quimlogicam in vna fola fpecie €onferuati pofTe,ctiam (i aliat fotent unpolfibilesita Celcftin. difp. $. Log. fec.2, euayaliisquibu(dam; Fundamentum huias opinionis eft ; quia ad lioc, vt gertus fit vmaer(ale metaphyficum, (uflicit, vc veniat in compofitionea fpecici;tanqua E müatcríalis PR 3E paco haberet illafpecíc, etiamfi aliz implicarcat . Fanrfusde ratioue vniacrfali logict cf y quod (ic vua in multis y velat pars ma. tciialis coram, fed relatum ad indiuidua illiaé fpeciei actualia, vc! poffibilia ; iam habetcífe vum y nanr ab illis omnibus indiuidu's abttralii potett ratio animalis, item lrabet efe ii multis, riempé inidiuis duis, et candem dicit folani parten ma. tecialem ipforaat,quia (i illa e(fet (pecics humaaa, (tinc adhiic artimalitas non diCcret totam edentiam liomim s,ac indiuia duorum eiusfed patte; et haac quidem taatetialétn,erg aihil te vera illi deficetet requiitum a4. vatüec(alitarem ram logicainquam mctaphy (ica. Hinc iarunt non ita pile de [pecie dici, quod juvmico. coníccaetut iadiniduo quoad LiJput. LV. Le Feuer alius im partic. fuam'vniuetfalitatem logicam, vel meta2 phylicam, fi alia indiuidua implicarent, uia de rane vniüet(alis cft, q» plura re"T piciat infetiora, inillo antem cafa non pofíet illa (pecies plura inferiora habere!y qtfod nori contingit de gerere admi(fa. » vtia (pecie,quia haberet pro inferioribus: indiudua illins fpeciei « 8$ Altera Opinio extrema affcrit genus pro (ua vniuerfalitate con(cruanda y tàni logica, quám qu LE lares fj cics requítere, non folurb po (fi biles : fed etid actu exifteote$ ; Fundamientü huias fentétiat eft ex ipfa natura. generis deduGi, cum.n.hzc fit effenrialiter iicomples tayvt exiftat fccundum fuum ftatum conz natatalem; petit effentialitct perfici per d.fierentias,,uia perfectus (stus potens tiz yr ado ex MEM qut. fz t. vna differentia non cft adus. adz: d potentíg generis; cuni poffir Mid Es iebus eed, aliasyv : uari, uifi iri duabus [peci adminu$  a&tu exiflentibus,& aliquiin(imuant, ops . pofitum nec per Dci potentiam fieci pof. fe,quia duz ad minus (pecies funr necefle riz, vt intell:garar genu npos tétialey nec poteft senusintel! ipe n& 1 09 differentiam diuidi, et ad un MAUS. " Put dre fimulabaliacondiuidarur,  et inaliafpecierépoaatuf, vadéinquit Átitl, 3. Mct, 10.neceffé ef UNA que generis differentias e[fe. Hinc i fufit, rion ità de (pecié poffe dici, quia Ii-« cet dicat poteritiam pet diífercacias indi « uiduale$ perfe&ibilem y quia: tamen bat 4 non (unt e(icnitiale$ 5 (ed marertales, et la(i accidentarim ; ad (uum perfectum flatum cotinaturalem nom indigct natu ra (pécifica y vt 4&u  exiftac im. pluribus indiuidui$ ; fed quoad totam (iam petfedionent e(lemialem; et ftatum perícGum illi debitum conferuari potet iu vtlico indiuiduo,vt patet de Solc, Luna s &c.quare ad vniuerlalitatem fpeciei co (eruandam (uffici pluralitas indiuiduoP tum poflibilisiità Boculib. dc diuif. Ale; and. lib. 1. naeiral. quaft.cii 1; D. Th. 1 Poft.c.5.IcG.12. Fonf. $. Met c.28.q. 14: [ect.5. Sot.in Log.queíi. de fpecie » Tolct.ibidem«Niget q. 41. Lac lib. 1.de deducunt genus non po Asl ples . XA uh. Fs | lures requirat fpft.eobecinl, feit. 455 uS 6j ae Mis" UE .de Demonftrat. q. 17.art.i.Complut. quiritur, vt pater ex Summ ilis, Ncq; didips. j-2.Ioan.deS.Thom.q.8. at. 4. cas effe neceffacia illa pluc1, vt a» ci» 2alii lhomifte paífim.Immo vniuer ftrahanturille vuiuer(alitates » vt vid.falitatem prefertim logicam fpecieiait tur innuete Do&or q cit-quia licet regu«onfetuaripoffe infpécie, füb qua non   lariterita ficri foleat ábítractio natur   gmifi vnum indiuiduum fit poffibile,& ità ab inferioribus, quo (enfu ibi loquitur loquuntardeípeciebusangelicis:  Scot.abfolutg tamen poteft vaiueríalitas "dertiafententia media afferit, vtiq; tota ab vno folo infctiori exiftente abVU 1-9 |.  sequiri plataliratem fpecierum ad fer flrahi,ficuc à pluribus, imo ctiam (i nul.. gandam yniuerfalitatem gencris,itemg;   lü cxilterec poffer adbuc abftrahi à pofAM indiuiduorum ad(cruandam vniuerfali  fibilibus (alim ab intelle tu angelico à . «atem fpeciei tàmlogicam ; quàm mefcnfibus noa dependcte,vt ibi diximus, taphy(icam, negat camen hanc effe debe  et fuse probat Pa(qnalig.cit. (c&.4.  geneceílario a&tualem, S& "zc videtur   87 Quid auté requirant illa inferiora  «communis Scotiftarü, vceft videre apud   a&tu exitte ntta. obicétiué in intelic&u, Parifien(es cap.de genere, Ant.Andr.ibi probatur ; quia vniuer(aliras cft relatio,d€, fic.n.Scotus inlinnalTe videturq. r$, conueniens naturg per opus intellectus, Vniaerf.hoc idé a(Terunt ibi eius Expoíi fed nó pot effe,aeq; cognoci relutio (inc  .orcs Maurit.Anglic.& alii,S& fequuntur. fuo cermiíno; ergo cum adiequatus tcrmi-«€x Modernis quáplures Ruuius in Log. nus vniuctí.litacis tint ioferiora;aon poj:4. de fpccíc. Auerf.q. Wer eii telt hzc relatio fundari in natuca, ni(i ia&.a4.dub. 3. Louan.cap. degenete. telligatur terminata ad illa plura iie: icd.contr.4. Log.pur yid, telle&um apprehen(ía, quod cft habere 4 Blanc.difp.3. fet. T legen. et .exi(tentiam obiectiuam ; et hec pracisé ir r ificat ad fufficit ad cerminandam vniuerfilitatem, | f exiftétianam relatio non maiorem a&tualitaceaa orum per in tü, requirit in termino, quàm ip(a fiibeat, ami ci. Didac.a Te(u difp. 7. Eo genas logicum,vt fic, obie&tiq-4-Pafqualig.tom.1.Mer.difp.g6. Rocu8 folum in inzellectu exiftat, ad fummü Cap.de gen.q.4. et alij quamplures.   requiret im termino exiftentiam obie&ti'.£us ! 86 Dicendü t. quod hzc vaiuerfalia | uam. Hic tamen aduertendum eft, cum   sfiformaliterconfiderenrur, quantum ad. dicimur hac vniuer(alia logice infpecta Jogicam vniuerfalitatem;licet non requircquirere pro tetmino vniucr(alitatis plu rant plura inferiora à parterei actu cxira inferiora obiectiué exi(tentia, non eft Ítentia, requirunt nihilominus illaa&u intelligendum, quod illa üc actu exigár, .exiftentia obie&tiue inintelle&u itàtavt ig eis actu cile concipiantur, fed vt men yt quamuis à partezei non exiftant, concipiantar a&tu illis inc(le, vcl faltim fint tamen poffibilia illa plura Concluproximé potcatia in eis exiftere, et ratio fio cft Do&torisq. 18. Vniu. in fineybi  cít,quia vt vidimus di(p. praeced. q. 2. art. dum ait genus multas a&u fpecies requi3. non neceffarió conftituitur vnuerfale rerc perintelle&tum apprehe(as, explicat per a&um ctlendi in moltis ; fed ctiam Maur: ipfam1oqui de vniuerfalitate Jo»   per aptitudinem proximam:;quia veró et &a ; et docet quoq; Barg. t. d. 3. a. €. apa aptitudorationis (uum termin eX& "tob.quoad omnes partes, et quidé quo  poícit obiectiué exiftécem in intellectus ad primam, quod nempé plurainfetiora vt bene probat Doctor queft.cit.ideó di» a&u exiltentianon requirant, conítatex cimus vniuer(ale plura actu lnfcriota exi dictis dip. pzced.q.4«uiahzcsüt vni gere,non tamen in quibus necelfarió ada. uerfalià eifencialia,ac proin dé quidditati/ concipiayir ineffe, fed vcl a&u,;vel apti ué przdicantia dc fuis inferiotibóEnd ve dine, quod manifctle Doctor innuit ia ritatem au:em przdicadonis cífentialis,  fine quzft.cum ait N ora, quod fimplicis . ; ncc fubiecti, nec attributiexiftenta re.   zer tenti potefl quod genns non en SR es su: " atum dici de multisynifi que concipiim tur ab intellctiu, en quomodo, efto pos nat ila plura a&u concepta, selationem tamen vniucríalis ad illa ponit aptitudinalem, nam bené poteft cffe, quod am extrema confcrantur adinuicé.(.inferius, et (uperius, in ratione fubijcibilis, et pradicabilis, non ver a&u fubiecti, et pradicati,& fic collatio, et conceptio extremorum etit quidé a&ualis, fed relatio inter ca veríans erit apcitudinalis . 88 Poftremo,gp illa plura a&tu conce fa debeant à parte rei (ub illis maturis effe potlibilia, fatiscon(tat ex dictis q.4. praeced. difp. vbi contra Thomiftas lace probauimus naturas nó cffe capaces vniuer(alitatislogica, nili (inc à parte rei larificabiles, ac proindé vniuerfilitaté peci quam ipfi fabricant fuper naturas angelicas, (ub quibus non ni(i vnum indiuiduum poffibile agno(cüt, efie pror fus chymcricam,& commentitiam,quod etiam adhuc probatur, nam de ratione naturg vniucrfalis eft, vt fit vel po(Tit efle vna iri mulus, (ed natura angelica, vt ponitur à Thomiítis, nequit etfe vna in multis;ergo nequit cfle vuiuer(alis, Prob. min .quia ve] illa multa funt a&t« exiftentia à parte rci, et hoc non;quia vnum tàtü extat indiuiduü. füb his Thomiftarum fpecicbus,vel poflibilia,& hoc no, vt ip ficócedunt, vel(altim funt ab intelle&u cóoficta, vt poffibilia,vcl a&u cxiftentia, et neq;hoc,quia refpe&u talià indiu duo tum fictorum nüprzdicaretur quiddizatiué natura angelica, quia ens reale non dicitur quidd;tatiué. de ente rationis, ' Kcfpondent Cóplur.difp.6.q. 4.angelicam ratüram conceptá vt logicé vniuer. efle vnam in multis, ad hoc tamen ncccílarium non ele, quando natura cft yniucríalis fecandum rationem un vt eft in propofito,gy illa multa (int actu cxifté tia,vcl adu po(libilia,vel a&tu ab intelle&u confi&ia;fed tufficit, quod ex noftro concipiédi modo ità comparetur ad proprium indiuiduum, ac (i habere alia plu£a,quod tunc fit, cum nobis apprchendiir,vt füpetior ad illud,& indifferens, nà vt fic conceptz, non repugnat multiplicxrio in ilis indiuiduis, à poffibiliafoDiju: V, Dé Vel pii 0 T m t MJ sent. Sané hac folutío incapibilis cft, ci An, vniucríale dicat ordinem ad plura.» y. quando natura angclica cócipitur vt vni! uerfalis,vtique plurapyad quz referatur, aflignari debent, ncq; affignari poffunt, nifi in aliquo ftatu illorum trium, vt di« fcurcenti. patebit . 1 . Contta banc Concdl.ftant Tbomiüie,  inquantum coníttuunt aliquas fpecies   vn:ueríales inordine ad multa, etiam(i  illa plura non fintà parte tei poffibilia 2» fub illis ipeciebus, quod probant, Tum quia natura Gabticlis pre(cindi potcft heir emer à differentia indiuidua« i(ub qua au eft, et vt fic accepta non eft fingularis, ergovniuerfalis, quia (ub   tali precifione concipi potefl, vrapta ad.etfieadam in multis. Tum2.quiaconcée ptus naturz fic precise cófideratz,quate do praedicatur de rndiuiduo, inquo eft,  fit praedicatio füperioris deinfeiori, mà conceptus ilie non cft ita decermi V es ficut conceptus indiuidui. Tum 3.indiwuidaum Gabriclis ponitur in: przdi mento fubftantiz,& non ponitur 1 diaté fub genere, ergo fi athoma, uz erit praedi Tum 4-ip!z natura a d:camenro, vcíccu i ha funt vniuerfales c. de fobfl, ego &c« Tumtandem, quia natura Gabriclis Michaelis ditferun: fpecie, et cx gcnere, et differentia, ergo funt fpecies. predicabites . gm 89 Reíp ad hzc omnia vno vetbo;effe verayquia nauirz angclicz veré fünt mul riplicabiles à parte rein plura indiuidua ciu(dem rationis, quo principio negato tunc data hypoihcfi, Ad 1.negandum cft fieri poflc taíem przcifionem quia talis abftractio natura ab indiuiduationc, vt bene notaut Hurt.difp. s. fec.3. fundatur. in diftin&ione naturz à fingularitatc vel formali, vcl (altim virtuali, qug cum in naturis angclicis nó rcperiatursquia que libet eft de (e haec in (entécia Thomitiarum, conícquenter in eis talis abilractio fieri non poterit (ine mendacio ; qua etiá admifla;tunc adhuc negandum erit patüram (ic; ab(ltactam clic formilirer vniueríalemytüc enim [olum ad abitcactionen clicee iif "T" wu  nem fequitur vniuetfalitas, quando natuPeabfiradta non eft de. fc determina: ad talem fingularitatem, vt. cuenit in nacu. gis materialibus quia enim nulla iftarum  . gefeeitad hzcceitatem determinata», "n idco abflra&a dicitur vniuerfalis ; at na| £urà ica ponitur de fe determinata ad talé fingularitatem . Dices, natura fic abfiracta non cft (ingularis, quia nih:l c(t fingulate (ine fingularirate, ergo eft vniwerlalis. N koe (equclaqu:a et ipfi na] guras reales à tingularibus abftractas aiüt . &um Caict. neque cffe vniucrfales, neque (ed effc naturà sri fc, X in (uis  pradicaus cflenalibus. Nec dicas eífe | wmiucr(alem, quiatunc conciperctur, vt c icetimsias Ac indifiertne Hoc enim  efifalfum, quia talis cóccptus dc narura .  illac(let omnino fiitius, velut omnino | gepugnans eius conmaturali conditioni, quz cít effe determinatam ad vnum fingulare; vnde quando etiá (ic cóciperetur, ci nó poffet natura veré vniucríaàm concepta ad modi vniueria ille eft indetermio ex opere intellc&us cum repugnantia ex parte obie&ti, iam ille conceptus cric im!  plicatorius, et folum fite cífet illa pra] dicatio fuperioris dc inferior! veré auté 4 foret zqualis dc equali, quia licét natara | concipcretur cum taiori latitudine, qua | indiuiduü, tamen à parte rei forent zqua Jisambitos natura,& haecceitas « Ad 3» data bypothefi; poneretur Gabriel imme diaié (ib genere, idc. cnim regulariter ponuntur indiuidua, mediaté .antum fub €, quia ali juo modo cxnatura rci ittinguuntur natura, et indiniduatio;vcl 1» poncrctuc fub (pecie achoma, illa foret fubvjcib.li tantum,nó vero pradicabilis, nifi dc vno folo. Ad 4. cífcnt fceüda (ubftintia,juia vniuccé pradicarentus de primissnó quidem co modo;quo genera, 3 Ipecies, cü à pazte rernou forent amplioies prins fcd co modo, quo ait Ari(. c.de fub. etiam differentás vanioeé piadicar) dc primis fublkanujs « Ad vloncg. Logica» gh IT. fn Genus plures requirat [oet eo lac inde. 457 con(eq. quia illacompofitio ex g«nere, et differenua folum facit, vi. bnt (pceics fub:jcibiles;vt autem forent ctiá predica bilcs,opus etfet, vt illa d:fferétia eflet pof Ábihs in pluribus indiuiduis à parte rci 9o Nec etia noftra cóclufioni obe ft fundamentum prima fententiz, quo có» tendebam fcruari poífe vniuer(alitatem gener;sin fola fpecie, etiamfializ implicarent, plura fü fe indiuidua habente, quia nimirü adhuc pradicaretur de illis incomplete, et per modum partis materialis, quod cft proprium gencris . Hoc aijumptum eft penitus fallum, ideó enim modó apimal v.g. pradicatur incompleté, et vt pars materialis de Petro, quia cfl indifferens, et contrahibile ad aliasfpecies anrmalium 5 verum fi nullum animal effet poffibile prxter hominem,cum tunc nó magis pateret anima], quàm homo,& nO minus per ashes unit. L0 humanitaté diftingueretur Petrus ab indiuiduis aliarum fpecierü, plane implicat, qp data illa bypothe(i pr. cosmecon Pag iei per modum partis materialis, Vt magi adhuc conftabit conclufione fequenti, Sed dices, adhac 1n co caíu dicendo y petrus efl animal, non cxplicaretur tota effentia Petri, ficut fi diceremus, Petras tfl bomo; &rgo adhuc in co cafu prdicasretur incoroplet?, et per confequens, vt. genus, Probatur affumptum,quia data il ha bypoxhefi adhuc homo haberet princie ium difcurtendi,& fcntiendi, fed per il.propofitionem folum explicaretug principium fentiendi, quia animal nó principiuagdifcurrendi, ergo &c. Rcíp. negando affumptum, quia cung €x hypoxheii animal non effet. poffibile in alia fpecie prz ter humanam; qui dice« ret animal,diceret ctiam ME pee M im implicite, et concorhitanter ob mutuam «onncxionem,qua tüc efdet intor animal» et rationale, ncque enim ad faciendam pra dicationcm copleram femper eft nes Cciie exprimere quemcungae gradum effeptia, nam cum dicimus bomo cft anie mal rationale, bac eft. praedicatio come plea, et "a ieplicicé folam explie cantur gradus (aperiorcs viucnus,cor pae 1is) &c. &; hoc totum y Mnr 2s Ace iP pe 458 $tadi&is,vbi oftédimus práfertim att. q-przced.omnem ptedicationem mmediatam dc pluribus numero diffctentibus cnonciare cotam eflcntiam illorum. Die «es, licét data hypotliefi non poflct. anis malrcpctiri cxtra humaná fpeciem, ad« huc tametfi dicendo,. homo cftanimal y pra ícinderctur a rationali, et vt fic pracifum non dicerct toram hominis .cffert« 1iá,ergo cflet przdicatio generica. Refj tünc non dati talem pracilionem, mo enim datnr ob diítin&tioner formalem; O vel virrualemsque reperitur intet animae litatem,& rationalitaterbtuncautem nul la eflet diflin&io, et idem elc omninó principium (entiendi, et di(currendi,om nisautcm pracifio fundatur fuper aliqua dittin&ioncm. V cl fi darctur talis pracif:osdicendum;vt nupet;quod adhuc prt'dicatio foret completasquia affirmans ho mincm cfie (ana affirmarct ét virtute s et implicité effc rationalem; et quando etiampradicatio foretincompleta,.non tatnen efiet genetica, quia non efTet pet tnodam partis matcrialis, quod (ignificat eífe conrrahibileni per plures diffcrentias effentiales . Dices; faltim concedi dcbete, quod fi darentur vcl dari poffent plura indiuidaa dillin&z rationis, quorum tamcn ratio dittnétiia nó fic comotiicabilis vlterius.; aut faltim confidctarinon debcat, vt talissita .(..vt fi efiet tantiim vnus homo flibilisy et vnum bratü, adliuc animal rationem genetisec(pcétu limi. fiis, et bui, quia tunc prz dicaretuc pet modum: parüs cflentiz deterrminabilis, pliciedy diceret  MN E iplicité, nec implicité;ergo (altim in loc fen(ümatura generica non cequirit plures fpecies pofib/les, et poceft in pluribus indiuiduis cdaferuari » qu£ e(Tcatialitet 4diffctant, Porcius ditpia. Log«q:3:concluf.1. ob predi&tam rationem concedit, quod in tali cafu fine. fpeeierum pluralitàte (aluaretüt adhuc conceptus pzenctis, vt diftinguitür a: cteteris:prsdicabilibus. Negat Auería quaft. 10/Log, fc&.4; qui vlt ratione-gencris, vt diflingciur à fpe:xie y eft vc offic efle 1n pluribus fpecicursi etiim genus nequit efleynidi in pluk 4 1 et  Difput. V. De Puiuenfinpartites «so o sci te. tunm ribus ifidiuiduis, iam effet fpecies, nó 263.. nus, Sed bc Aucr.ratio non concludit; . quaia ifto cafu (upponitut illa plura in« iuidua cfe diftindtz rationis effentias lis,& pluíquam numero diftin&a: (pecies autem nequit efle ; ni(iin indiuiduis (olo manet differeteibus « Ad hanc itaque . inftantiatn dicendum cft argumentum cx, vriaparte c tiuibcete anittial teteriturum ratioricm generis co ipfo, quod effer praz« dicabile de duobus indiuiduis diftin&zrationisc(sentialis,feüctTentialiterdi£ferentibus, pet modua partis materialis ctiárnfi de alijsmó effet predicabile, hec dlijecbmimicdbile 3 fed ex alia parte cae fum .císe implicatorium, quia £i illa indi» uidoa (urit ditindte inct£ tationis e(fentialisy. feüedentialitet differunt, et plu(quà nue. metosergo differunt (pecie et fantin die   uet(is rene,qu2cun;j; enim diffe   rünt entialiter ; differark ctiam fpc   m cie, endé in eo cafü data hy potliefá t. dum e(ct,quod vnumq:0dqj illot VES diaiduoram propriam [ fpes   ciem, quemadinodum de indiuiduis ame gelicisfolent dicere : e ME 2 Dicendum 2. quód htec vnider(alia.(o genus, et fpecics fundamemtalitetinfpca  €&ta,[. quantum ad vniuer(alitatem mea taphyficam requirunt plura inícriora, «2 genus plures (pecies, et (pecies plara ute diuidua, non tatnen atu à parte exi tiajfed folum potlib:lia; ita quad vniuer4 falitas metapltyfica generis poffit ferua« tiin vrlica tantum fpecie à parre rci exis ftente, et vniucríalitas (peciei 11. vnicd indiuiduo-ob platalitatem iti(criorü pof fibilem:. Cericlufio colligitur ex Scord eit. et e(t communis Auctoribus tertia fen:entiz, atque probatur quoad omncs tes; et quidé vcab. vltima incipiamus, àtio,euidcns cam conuincit ; quia vtnas tura: aliqua (it vniucría metaphyficé y de« bet efle capax. vniuerc(alitatis logic, na tuta autem generica y quz folum vnaud fpctiem po (lib.lem.habet, et (pecitica que vnum (oium indiuidaum,non pote a eísc'eniuétíalogicé.ergonec metaphy (i€ 55 iA ccedit ; vmucriale quoque Ae i fhy acam d. &ioiri ed Lillud ; quod;e ajuü icísc in mulcs.falam remuté s;fi&Mf thbi'swv] -w MES: Peg ARM m r4 xc /QAT. An Geyus plerrbti fpei ev acidic 11. 49 cedet fale Yogicü dicitur c(sc illud, n mulcis; vel aptum cft e(se in vetya oximé, ergo vt terminus adzquatus vni uerfalitatis generi pin boc sé(u sác plu. "res fpecies poffibiles, et vniuerfaliratis fpecifice plara indiuidua poffibilia .. 91 Sed quia eft pracipua difficultas p ett ob Au&orcs prima fentétiz, ia aicmt pose faluari quoad vaiuer(alira tem genetícam in vnica tantum fpecie, ét fiíalig implicarent,eo precise quia venirec i&eius compofitionem per modó partis . materialis probatur id efse falfum, qu "modo in:antum eft pars materialis. 7i £ie:quia ad plures (pecies cft contraliibide,ergo 6 voa tantum císet polfibilis cer &é non pofset conf(titui eius pars materialis; Probatur a(sumptam, quia fi genus non císet communius fpecie ; quà conftitüit,& differentia,qua cotrabitur, veré nó po(set dici contrabi, &ccoar&ari per difrentiám, quia noa e(set cuaioris ampliLAPIS potentiális illias fpeciei, nam y]timü rugis tec pe a (e biber, t irt ais; S differentia talis e(sentize: Co ia ficut in cópotito i uda pocencialis cius .,quia eft (üícepriua alrerius forma: ab illa. in qua efl,ita in compofito met hyfico na tura geaétíca dicirur pars potécialit cius, quia eft fufeeptiua aliarum differentiarü, vndc fi aliz fpecies implicarent, omnino deftrueretur porécialicas generis, ergo cx hociQ venit in cópo(itionem fpeciei per tnodum partis materialis, arguere debemus, qp pro faa vniucríalitate (eruáda pla tes neccísarió exigat fpecies polffibües,  Refpódent aliqui. pofsc faluari adhuc potétialitarem generis in vna (ola (pccie potlibili ; quod declarant exemplo mates fiz coctus, que adhuc per modum po rentiz etlivaita torma Cai enamtialterius capax non (ir. Sed falfa clbpoísc dari materiam: phyáücam; quz lic vnibifirm. 4nateria dicitur lis cum vnica tantu forma, vc lace demonítramus in pby(cis diip.2 .q-4arc. 1. et Dod&or di(erté oltendir 2.d. 14. q..1. 'vbi acriter euellic do&rinam illam d.  . materia celefti; fed quicquid fit de. hoc, -plané repugnat genus. poise fic vniti.cum diffetéua, (eruata adbuc (ua porentialitatc, li.n; non eft. magis de, fe indctermi natum, quam differentia, fà noa latius illa, cur magis dicetur: geaus per difterentiam determinari, i£ coac&ari quam differ per genus? Demum diffzrentia «eft gradas 'císencialiter (eparans tem ab 'alia iden» genus Participaorc,ctgo e(sentialeett geneci pluribus differentiis (pc"éificis eíse concrahibile., et confequeriter pluces(pecies poffibiles re(picere .... "94: Deibdé probatur altera pars coclu fionis,'quod noa requiranar inferiora a&Gu exitkentia pro vaiuerfalitate meta«phylica ; et quia cft przcipua diffi culras 'de genere propter Auctores fccundz sé'Tenpiz, qui contendunt genus iu rationc totius potentialis,& «niuer(alis metaphy fici plures a&u ípecics à. parte rci cxigere, Probatur hoc eísc falium, quia vninerfalitas generis metapbyficanon confitit ia hoc, quod; habeat plures partcs fubie&iuas, in quibus actu exiftat, (cd «antuar quibus poffit. incísce, cim ecgo.  waiuér(alitas metaphy(ica generis conuftat in relatione aptitudi nali fcu ra queritur terminus actualis, nam folusapztudinalis (afficit, bic 3utem. ctt (pccies ipfz potfibiles (ub genere; ergo (utlicien rer(aluacar vniger(alitas genccis per. otdinem, ad (alas (pecies poffibiles . Refpondent A u&torcs 2. (cac. no pro»pter ipsá vniucrfalitatem geacris requiri plures. (peciesactu cxiftenies, (ed (oluad -exiftentià perfe&tam naturg generica /ftatü connaturalem ejus «Sed contrà, t quia hac rationc non folum plucium y led -omnium proríusfpecierü fub genere pe "fibilium exi&&cia requicerernz, vt genus «eset vndequag; perfcétüs i tgiuur modo -de facto genus cxi(Lir X colecuatur, qut fufficit ad (tarum eius connacurslean uge wovlpcticbusíab ea pallio isa go 4 é finc iflis,quas de fadto/ub4c habeo («rati vna duntaxaz jacolu ni» Jd ian quta E Pp 2 gra. 460 gratis damus, quod genus exiftens in voica fpecie non haberet omnem perícitio«fed nem;quam haberet in pluribus, (ed propier hoc non dc(ineret eíse genus, qui talis perfectio eft prorfus ei extrinfecaz zz, vndé animalitas hominis dicitur perfe&ior,quam equi, ratione tantum diffcrétiz adianttz, ficuc etiam de fa&o nó dcfinit eíse genus, etiamfi non exiftat fees pr ebus perfe&tieribus pof re in aliis(peci ieribus po fibilibus t qiit idem fuo modo dicendü eíset de f pccie, Cbené notat Hart.diíp. 4. fe&.4. 11 admittatur inzqualitas quoad mer indiuidaales intra latitudine ciufem fpeciei. Tum tandem, quia quando etiam haec omnia admitteremus, nó pro'bant necefsarium ;eíse fimpliciter macutám gencricam tali modo exillere, («d ád fammunm naturaliter ítà efse debere . 94 Et hocmodo (atisfit fundamento fecundz (cntentiz; non .n. nece(ditaiem oftendunt, fed (olam cógcuitatem, quod sa&tu (ub (e habeat. plures fpecics, n. tuxtà naturalem retom difpofitiotiem vtiq; magis debitum eft generi,quà fpeciei, quia| naturaliter loquendo (ub omni genere nobis noto inueniuntur pla tes (pecies exittentes, vbi (übquibu(dam fpcciebus non fifi vnum duntaxat indiuiduum reperitur, vt patet de Sole,& Lunaj tum quia multó magiscontert ad (ple dorem vniucrli, et ad varietatem rerum fnultiplicatio fpecierü, quàm idiuiduotum; et inhoc feu locuti funt veteres ilii Auctores, qui pro (ccunda (entendia adduccbantur., Cótra hanc concluf.inftant 1. pluribus Arift. tc(limonijs, quibus docet generis plurcs debere c(le di fferentias ncceffarió, plurefa; fpecies, ità loquitur 1. Topic. c. 3. loc.29.& cap.6.loc. 71. et 3. Mer. 10. et 7.Mct.4 2.& 10. Met. 14.& alibi (zrpe. Dcindé rationibus, Tom quía nequit intelligi genus per vnam differenciá diuidi, K ad vnam (pecié contrahi, nifi fimul ab alia condiuidatur, et in alia fpecie repomatur. T( 2. quia diffcretiz fpccificae süt oppofitz, et veluti cótrariz,cxiftentc au tem vno contrariorü debct cxifierc, et a"Bud 2. Carli 48, T j.gcnus nequit cfc fi» e&ioné quà pofsethaq Difpa.V . De Veiserfalibusim parties o  differentia, cá qua conftituit (peciemy differentia facit actu, diffctre (pecie -con(titutam ab omoi alia fpecie; quod e(fc acquit, nili alize Ípecies actu eti à: d rd am aote goo 15 ad tes (pecies eft potentia naturalis, "bet reduci ad a&um, ne o A c 9$ Refp-Arift. velle dumtaxat, quod plures relpiciar fpecies poffibiles, uia hoc fufficit ad cius vniueríaliratem "metaphyficam ; Q(ialicubirequiritexi"lientiamaQtuálemearum;cuncvelloqui;tacdegenerephyfico,hoceft,iuxtanaturalcarerumdifpoíitionem,quofenfu«oncedimuspluresexigere(peciesinexiftentia reali, vcl loquitur de genere logi€o; qp plures etiam a&tu exigit fpecics in exiftentia obieckiua . Sic etiam dicitur ad rationes; Ad 1. ex diuifionc generis fae a per differentias vtique neccífarió tefpicere. dcbcre. plures fpes Cics, non tamen necc(larió po«cerunt cócipi plures (pecies quz inuoluant naturam gcnerici parté materialem có(tituuuam ipfarume, Ad 1. negatur diffcrentias feci : ptoprié cótratias » quia .carumoppofitio pocius reducitur ad priuatiuam, quatenus vna femper cft perícior, alia "e: eftde tior. Ariít.aüt 2.de Coelo locutus cft contratijs proprie dictis,& non dc omnibus oppotitis, de quibus potius.dixit ip poftprzdicam. vt notauit Auerfa q10» e nó cffc acceffarium hoc exifterc, fi exiftit illud. Ad 3. zqué cocludit deípe€ie,q» ncqueat cóferuari in vnico indiuiduo,quia ét talis diffcrétia nameralis di« ftinguit nümericé indiuiduum, q» coaftituit, ab oí alio; negatur itaq; minor quo ad (ccüdà parté,quia differecia diftinguit fpecié,q contlituit, non folü à (peciebu actu exittétibus;fed ét po(libilibus diftin Gione rcali negatiua. Ad vlr. illud plus probat, velit Aducríarius,cü.n. potcntialitas gcneris nó fit ad duas differentias uh,ícd ad (yncathegocematice infinitas, cócladit genus debere fub (e cótinere de facto fpccios infinitas ; patet igitur cx di« Gis q.4.praced. di (p.dub; 1.qüo potencia generis, et «uiusliber vniucr(alis lit nae turalis ad (ui mulciplicationé; X nc potc tja S AC tw AUi  E .. €ajnonautem logica, quz confiftit in foM lanon i E  QI. cn Genus plures requirat [pec.eos hac ind.j4rt 1T. 461 tia ipfa naturalis dicatur ese. fruftra inquit DoGtor 4.d .49.q16.$..4 d primum ; mentre cit vt tit redu&a ad i&um in aliqua fpecie, vel indiuiduo, fic enim non fruftratar potentia fccundum tom. velfpecié ; et idco fi genus vnam axat haberet fub fe fpeciem inaGu, eius potentia naturalis non diccretur fruftra ; Imó illud commune dí&um, fruflra eft illa potentia, € c. ex. plicact (olet de potentia naturali phyfiMetas elicn ad f ulti ) vniuer(alium ad fui. multiplicationem ex di&tis ibidem. mend bd. T LC VE 9.$. 1s "Quo fenfu y € anve&tà bic definiatur XT PUVsuM vor: 56 Por c.de fpecie (ub fine agit de Indiuiduo, quia eft proprium seluscorfellatiuü, potat au! Tauar. c.de yftantia 9.2. $. Tertio fciehun. ; efie wt n deme iui echec Ts m 'o(hec.n. unt y ; ima 3 politum ac perfonam indiuiduum  a fingalare& vnum numcro t ! | C, "ognat diuidi in plures partes fübici .m plura ifetioté v het albedo, .hic ipis", mquoliber prexicamento feperitur cám f.fuübflátia, quàm accidétis;füpppohtum véró reperitur tátur praedicamento fubttantiz, et di ud, quod eft a!tcri incommumg  Thy,  tàm vr quo.ificut forma fübicé&tejquàm ?vt quod 4i, ficut (uperius infet iori, wt eXplicat Doétor in 1.d. 2.9.7. $.44d prima uejlioncm Perfcna tandem reperitur tantum in gcBicre naturz intellectualis, Vnde yt notat. Doctor t. d. 23. q. vn. $. VI quxftionem, definiwirex  Ricar. 4. dc Trin c. 22. quód fit intellectualis natutz incomtunicabilis cxiftétia, 1ta quod fuppfitum addit fupra indiuiduii, quód "BC fubftantia, et períona füpra füppofitix,quód fix fubftantia inteile&ualiss& fic ifta tria fe habent vt magis'amplum ; vel minüusamplum, nam omnis pcríona eit (uppoltitum fcd nó é contra, et omne fuppotitum cft vnum numero, Ieniudiuduum,fed non é contra . Logrea L 97 Rurlus,vt notat idem Tatar. q. de fpecie $. Quartà fciendum jind:uiduü, vt c » poteft (ümi pro fecunda intentione attributa illi, cui repognac diuidi in plura feipía.i.in plura inferiora ciu(dem ra« tionis, quorum quodlibet fit ipfum, eo modo quo diuidi folet voiuerfale, alio modo primo intentionaliter.i. pro denos minato ab illa relatione rationis; Primo modo fümptum duplicem potcft fundas re telationem rationis, vna dicitur (übi " cibilitatis, per quam conftitu:tur corre itiüum fpeciei, fub qua ponitur imme diaté, altera pradicabilitatis, qua conftituitur potems pradicari, non de aliqua. inferiori,fed de feipfo; luxta hanc tripli €em confiderationem tres quoque affignat Porph. inditidui definitiones. Pri« mà c(t indiuidui primà intéuionilitercapti,quz talis eft, Indiuiduum efl cuius tolleio proprietatum ín nullo alioeadem erit, quz propticratesillis carminis Dus dcfignantur, Forma; figura, locus s tempus cum nomine, fanguis, "Patria » futit feptem qua noti bábet vnus, et alter .' Alias duas tradit de indiuiduo pro fccunda inteotione, vnam quidé ex pars te 2 licabilitatis dicens ; Indiniduu eft illudyquod de vno folo pradicaturyakeram ex parte fubijcibilitatisy fic Indiuie duum efl quod continetur fub fpecie. Dubitatur ereo in prefenti; am per has fin'tiones explicetur aliqua ratio coms nis, inqua vltra conuenientiam fpes cam conucniant quoque vt indiut dua üc; deinde an finr recté a(Bignatee;Qauoad ptimü dubiü Caict.c.dc fpecie, Alberte Soto, Tolet. Louan.ibidé Morifan.& Paf pend to.2. Met.d.24.nu. 1 1. Martinez && c [pccie q.3.negát indiuiduü hic defcrie bi fub aliqua rationc cóvuni quia nalla talis affi gnati poteft, cüindinidua intet fe fit primó diuerfa; vtindiuidua funt, VE €t ftequcoter docet Scotus 1.0.3.9.3-F» 2. dift.3.quzft.6.& 7. alibi, ac prc dc volunt hic. definiri indiuiduüm con fusé [imptum, ita quod omnta 1mme d:áté defcribantur, nullum tamenec expritmatur detxermiinaté, ficür de Indi duo vago dicere folemus ; quód guiticat rcm yram communem, fed par» Pp 35 tud 4 "462 ticulatcm, fumptam tà indeterminaté .  Dicendum tamen cít;po(fe per has de finitioncsexplicari rationem indiuidni,. vt fic, vniuocé communem | omnibus in-. diuiduis,& de fingulis pra dicabilem ina Quid,qua ratio commuais habcbit modum przdicandi fpecici. Conclufio proculdübio cft de mente Do&oris,qui concedit ab vltimis differencijs, et conftitutis per cas ab(trahi po(ie ab intellectu ia | adaquaté concipiente rationem communem in quid, vt conftat 1. d.2 3.q. vn. in finc et clariusd.26.q. vn. Y. vbi, et cius Expofitores przfertim Lichetus, idem colligitur cx 1.d.2.q. 3.8. 4d illa vbi do «ct hanc propofitionem effe concedendam fingulare efl vninerfale, quia licet quod concipitur (it finguláritas, modus tamen;(ub quo concipirur, eft vniuerfalitas,quia quod concipitur,vt cócipitur, habct ind fferentiam A ha: quod etia tepetit 4.d.13-q. 1.infra T; idem quoque ids q.12. Vniucrf.in fol.ad AC ait; gp indiuiduü, vt (ic., e(t fpecies re(peQu intention;s, et fequuntur eius Expofitores ibidé,vbi Brafauol.prefertim explicat iniduum, vt fic cffe vniueríale dcnominatiué.& effe aliquod illoràquinque;néfpeciem, quia exercité pradicatuc de eng illo indiuiduo, Gicerià Tatar. loc. cir.& Barg. 1.4.24.in finc $./4d qugfltotic et ait císe mentem Doéctorisq 7.& $.Vniuer(.& Fuent.q.8. n. 3 3. (cquuntuf  Recentiores pa(im. Kuuius c.de fpecie q.6. Hurtad, di(j.5 .íec.7. A rriag. dilp. m. £5Compluc.di(p.6.4.6.X f: uec S.T T-p.q:39.art.4. quem fequitur Caict. ibi Gi immemor alibi; vbi etiam Sàcius Do  &or bene aducrrit, quod non dctur 1(Le Ventepas communis indiuidui (ccundü £em,fed folum fccundum rationcm, quatenus à parte rei nulla ci corrc(pondet na tura communis, qug per talem conceptu adaquaré exprimatur » ficut regular;ccr dere folet generi, et fpccici, vc humanitas, (ed co;cefponomnes fingularitates rcalcs se, et inadzquaté conceytz qua de gana conceptus indiuiduationis, vt. fic,  (ogpacitus dicitur inadaquatus. 99 Probatur auc ; um quia definitio Difput. V. De Paiuerf. ín partic. xut "JJ uu VIP " ! » pd  "i  Te x p E: indinidui, vt fic, eft communis omnibu$.   1 indiuidais, ergo aliquod commune ipi$  1 peceam exprimitur, et quidemcommu 1 ne vniuocum, quía zquiuocam definiri non potcít; Tü quia ti hic non definituc ratio aliqua communis indiuiduorü, nec . defi niri pote(l,ergó tot a(fignandz erunt. dcfinitiones, quot süt indiuidua; T i quia indiuiduo,v: ftc, apponirur figna quátitatis,omuis;nullys aliquis, dicimus enim omne indiuiduü,aliquod idiniduü, ergo e(t terminus communis, quia hzcsütti».gnaterminicommánis.Tumeuam, juia hic fyllogifmus cit bonus; vr ait Rauius s Omne indiuidoum e(t incommunicabile, Petrus cft indiuiduum.ergo Xc.Sed (a nihitcommune datur -indiuiduis vniuocum, eciam vindi dua funt, crít vitio fus,quia medium erit gquiuocudm, aut tas liter analogumsquód cius vnitas non fuf ficict ad vniratem medii, qua ratione, 9 Scotus 1.d.3. q. 3. demonitrat vniua tioncm entis. Tum tàdcin, quia pofsumu: indiuidua cona, cic, juatenus funt timi lia in hoc,quod non func vlterius diu lia in plura inferiora, ergo vniuocé con. ueniunt ip ratione idm dui Sed cótra obiici folet 1,quia fi "v mis differcoti's abftrah: potefl ralis radio commun s,que hicdefiniaturgà nO crüt primo diuecizrqnia in aliquo 4uidditatiué conucment ; Éa€ habeb pes Icetuia 1mpliciter limplicé, et vlrimó denlantem, quia adhuc tetola poterüt ptum communem, et proprium $ dcm dabitur, sus in infinitü » «quia fi viumis. differentiis affignari potclilid, in quo conucatunt, et perc Sfibncadm erit rato de ills differen tspcrquasdifleruntque fantrationes, s Doctor probat 1.d:3.q.3.vltimas cenuas non incladcte. conceptum enus qu:dditatiué; et hoc e(t vnicum fun-.dameatum A duerlariorum, E 1co Kelp.hasrationesprobarefolü.p ab vlu mis diffecentiis nequeat abitrahi concepuis communis ada quatus, et realitatem impottaps, nam fi calem conceprum communem habcrent, tunc viique non forent a parte rei primó. diacr(z 5 quia conucnicenr ia rcalitate, vc Petrus » et YN d €& Paulus in humonitase ; f percoatc-. quens non eflcn vitis d: freni dg v ora | pa ruris deberent alijs diderenu)s o ti ferre, item nó haberep: concepium c mA0 Her gsfers veter quia cilet retolubilis e vlieriores conceptus, qu'àans propr a t. vndc nec rcarealitatcs corre fj . f&di, fed deberet dari vIterior procetlus, et fic in infiaitum erit proceílus in realitatibus ;at ponendo, quód ralis cóceptus  abíira&us, inquo conueniunt, fit inadaQquatus  cuitatur talis proceffus in concegpribus, quia indiu:dua confiderata fub il| doieitee cómuni non d:ftinguuntur rur fus per alias differétias indiuiduales, (cd 1 per eafdem adzquaté, et claré confide. yatas,yt bene notant Ruuius, Hutt.& Ar tiag. cir, Sed inftabis adhuc fecuturum goceffum in infinitum in cóceptibus in.. adequatisjquia cü ab hac, et illa hecceini Negat kurtad. $.69. cófeq. jia r primum actü abflradi ue lum Iadi tract Minfonmi hac RicuppuR (i: gnanctinillis racio iadiuiduationis, qua abfirahitar, (ed tantum remanent conce«pius differentiales,: qui funt primo diherfi;& 1deo non datur proceíius in infifit (ed in prima abflractione datur ftatus. Hac refpontio füpponit vnum falsü; quod nimirü cum fit abftractio (uperiotisab inferioribus,quodammodo fcparetur ab cisin eüc obicétiuo y quod eft fal. füm, lic. n. ficret abitractio mendax, vt docct in fimili Do&or 1.d.2.q.7. $. Te| fiendo; verí.cum autem infers, quod mahifcité pacer, cum enim animal przfcinditurab homine, fané non ob id home $rarfcinditur ab antmali licct .n. hzc mue | taa pr&cifio f:cri poffit inter fuperius, et ditferentiam illud contrahentem;non ta1nen inter fuperius, et inferius, quia intetius cflenuatirer incladit fuperius. |o 101 Quare potius concedendü cft fa€&ta abiliactione indiuiduauonis ab hac, Jitas differentia cífet prac:la ratio di ieFor Q.H. Quo fesfuTadiuiduum definiatur eMrIV.465 et ila haecceitates manere adhuc raioné «oueniendi 15 Hiis ob aliacam rationcm h. ctanieg non fequitur procefdus ia ia« finum, (cd adbuc deber dari ftauus ino prima abftractione obiecrina, quiaratio conuenicndi,qea manct in illiscft eadé, qua fea clab(tracta fuic 4 vnde fi fecun$Ó, velteruió redeat intclleótus per va« rias rcflexioncs ad. illam abllrahendamy dabitur vtique proceffus in infinitum in przcitionibus formalibus .i. 1n actibas iprelledtus,non tamcnin obicctiuis, quia. ratio; quz abftrahitur per fecüdü,& cer» tium actum, cft cadem, quz abitracta fuit per primum; nullum autem cft incóueniens admittere proceffum in infiniti in przcifionibus formalibus, quia poteft iatelle&us ad libi: cedire ad huiufmodi -abtira&tiones faciédas ; (cd bene incóucnicns foret, fi daretur in obiectiuis, quia tunc admitteretur in indiuiduis-infiaitac rationes cómünes,& gradus couenicndi.  Secüdo obijcitur ad idem]; Tum» quia indiuidunm definitur à Porph.efTe id, qy de vno tantam praedicatur, et caius » proprietatum connexio in nullo alio reLage e maie commune pluribus, Tum 2-quia formalis ratio: differendi nequit cíle ratio cóuenicndi, (ed indiuiduatio eft formalis ratio differendi, ergo in €a nequit effc couenientia. Tü 3 quia talisratio cóis implicateffet enim fimul, &c Ícmel cómunis, et fingularis, communis. uidé,quia cóuenit omnibus indiuiduis g ngularis autem, quia et fingularis ipfa » Tum 4.quia tác cocipi poffet natura hue mana cum indiuiduauone illa communi s qua faceret compofitum, quod non eflet. c«ommune;nec fingulare, noncommunes quia fi€ natura illa non effet indiniduata » ncc tingulate;quia fic ratio indiuiduatio« nis non ciet communis, (ed jars Tum 5. fi indiuidua vt talia, aliquam d communem : etiam fpecics,vt fpecies.i. quoad | tias Ípecificas, non confiderando, quodi fint haius,vel illius genaris, hàbere potee rum talem rationcm Les qi ira fit media inter proximum genus, et ipe» &cs. Tüm 6.quia fi daretur ialisratio cómunis ; hace deberet pur Der Pp4 dí P. Y. B  am v EE yp «464. differentias indiaidaales, hoc autem imce nam quod eit contrahibile pec di£ erentias indiniduales, non ef intra rationem indiuiduatiouis,fed effentise (pecificz . Tum 7fi ratio indiuidui effet có« munis omnib. hzc effet praedicatio mediata; Petrus e(t homo;quia mediaret ratio indiuidui humani inter Petrum; et ho minem. Tum $. poftquam Porph. tradidit pra fatas dcfinitiones, fubiungit hac exempla, $ocrates boc album, eego haec omn a indiuidua immediaté deícriptit, et confusé, non autem aliquid commune ips. Tum tandem, quía (i dati pót con. ceptas indiuiduationis didus in quid de vltimis differentijs idcm quoque de cóccptu entis poterimus, et debebimus aíferere contra expre(fam mentem Scoti r, .3.q.3:F. prz'crtim,cum non imporcet t£ealitatem adzquité cognitam ; vt docet 1. d.  prope finem : 103 Reíp. ad rz. Tatar. in Petr. Hifp. c.de fpecie, $ Tertio fciendum, indiuiduü (ecundó intentionaluer captum przdicationee xercira prdicari de pluribus numero differentibus.(-de hoc,& illo indiuiduo per modum fpeciei,fed przdicationc (ignata dici de eno folo. At hzc folatio non (atisfacit, quia fi pro fecunda 5 ifitentione induit modum fpeciei, nó folum exetcité, fed etiam fignaté pradicari debet de immo hic e(t proprius rhodus pra dicádi ( pecieiratis; praftat er8o t (icut talís ratio cóis indiuiduorü, vt indiuidua funt, eft (olü cómu fis,vt modus, fed fiagularis, vc quid, itd DE cóuenitj& de vno (olo prz» vt quid, fed de pluribus, vc mom exercité, quà (ignaté; nec repugnat indiuiduum confuse ; et inadz quate €ógn:tü przdicari de pluribus, fed tantü illi r, t;quádo eft claré, et adaqua1€ cognicim. Ad z.dicimus ad min.quod ind iüjduatio io cói, et confusà cognita non eft ratio diffcrendi, fed ipfamet perfe, et adgquaté cognita,quo modo ex| per Petreitatem, et Pauleitacem, ideó quamuis indinidaat:o, vt quidsfit ratio t, fà confusé cognita cli gatio couenrendi,vt modus, (cu denomiBatiüé « Ad 3. cllct cóisy& fingularis, (cd Difpu.. De Vuiuefalibasim prit non codé raodo, nam cffet fingularis, we. quidycóis, vt modus. Ad 4.natura conces pta c indiuidustione illa cói non efficeret cópofitum aliquod vnum in intelle&a noftro, quia indiuiduatio non concipitur intali ftatu per modü cótrahentis, et determinanus,fed potius per modum cone. trahibilis, et decerminabilis ; quod ti có. cipetetur az quaré,& di (t:n&é,vtiq, cfficeret quid vnum, quia tunc cóciperetur fingularis, vt vcré eft in fe Ad s. concedimus idé iudicium fieri potle de differcm tijs [pecificis adinuicem collatis, ticut de indiuidualibus, quod licét sipropriasràtionesnonconucniantia aliquoillorum generum, quzdiuidunt, conueniunttameninhoc, quodhabeatfimilem modá, diuidendi geuus,& coftituendi (peciem » quá rationé cómunem defcripit Porphe ; cap.dc diff. cuns ait differentiam effe, 2» » cft diuifiua generis, et conftitutiua vx peciei, et talisratio communis fpecies . rum,vt fpecies (unt, nó mediat inter: ximum genus,& (pecies,quia non eft illi cóuunis, vi quid, fed tantum«t m  Adfextum dicimus: eft contrahibile per di, e LE de min indui AM AI duales,vt quid, et velat &.. lis ad illas, vriq; reveraefleetlentiiàfpeCificá quia fpecies: iddi&atalérealitatem pre(efcrredebet,vcfüpradiximus  retine Ati " non; d quod cttcostra tantü, yt : 4 vcluti conceptus inadzquatus eiufdem  realitatis confusé cognige,vt eftindiui duatio tn cómuni, hoc .n. dicitur (pecics tantum,vt modus.Ad 7 non eft inconueniens inter indiuiduum; et (peciem infiroam dari mediü per rationer, licét fint immediata à parte rei licut etiam q.prz» «td. att. 3. diccbamus inconucuicns non | esc indiuiduum cffe gencri immediatum. pet ratione, efto fit mediatü à parte rei ; vcrü tamen cft, quod iodiuiduum hamanuim;vt fic, non ponitur in predicaméco vt inedium inter Petrü, et hominem,qui ibi ponuutur natura, à realitates, no autem mod: naturz,& puri cóceptus inadeuati, qualis eit indiuiduatio, Ad 8.trait illa exempla, non quia imncdiaté definiantur Socrates, et boc albü, (cd quia omnc, t bà   JI. Cio fenfu Indiuiduum definir. ete-IV. omne, qnod figoatur infecundis incérioid Lima in primis, vc (upradi&ü ft dc exemplis adductis à Poryh.pro cxJV  plicatione dcfinitionum generis, et (pc|. &ici. Ad vlt. concedit Lichet. loc.cir. ens pofíevniuocé dicietiam de vltim s diffcrentijsco modo, quo dicitur dc Dcó, x et creatura, quia vt fic dicit conceptum i uacum. nullam prae(ctecens realici zatem, nontamcen eo. modo,quod dicitur, dedecem przdicamentis, quia vt fic. di. .. €itconceptum adzquatum, et realitaté, | Tfepugnat autem vltimis differentijs conuenire in realitate, cum in ea. fint primà : dhuer(z, et in hoc (cnínait procedere ra tjonesScoti 1.d.3..q. 3« Sed. quia de hoc ; agendum cft in.Met.: poteft pro nunc dici non cífc.candem ratjonem de. vItimis diffcrentiis ad cócepum«ómunem heceeitatis ab illis abitcahibilem comparatis, Wr c et ad cócepum communé entis, etenim ad iftum comparantur velut contra hens ntrahibije, ad illum veróvt inferius uperius, prz dic tio autem fude infcrioti femper ett quiddia  Agit us trou:5. Log. pun. 3.vbi ait, quod licet in   fententia pcz (cindenaium formaliter tan  £üm,'& cx parte a&tus, poffit prafcindi io communis omnibus indiuiduationibus, ac ctiam ipfis indiuiduis formaliter fumptis, camen in fententia praícindétium etiamex patte obie&i nequit admiti calis ratio cómuuis, quia PY ciat | indiuidualis nó cft re(olubilis.in duos cà&eptas,quorum vnus lir ratio conueniendi «umaliis, et alter ratio differendi., quia primus cóceprcus non attineret ad rationem indiuidualis diffecentiz, fed edzquaté conft ituitur per fccundü,cum 15 à. conceptus tit. facere vltimo differre ; Foncius cx codem fundamé to idemtenct di(j.7. Log. q. 2. Sed hec ratio, ficut et al;zz, quas ib1 Poncius ad| ducit, coincidunt cum modó rcíaus, et iam foluuis,ncq; aliud ad (ummum probant sni(i abvltimis di&fereariis abítrahi non poffe conceptü cómunem adaquatii, ac rcalitatem importantein, vt importare folent cóceptus generici,& fpecifici przdicamenrales ; et praíeram rationes Pócij 1n hocíenfu procedunt, vt patcbit difcurrenti perillas  et liquido conftabic difp.9. Met. de principio indiuiduationis, vbi curíus de hac cc redibit (ermo, et exad&ius de-hacre di(putabitur cum his duobus Recentioribus; interim nota Pocium in ea ip(a quzítione non faris fibi con(tare, quia (ub n. 18. conccdit, quod fi rgularitates, ac indinidua omnia, qua talias fint comceptibilia conceptu tam detetminato,quam oancs homincs, qua ho mines; et quod edam tnt tam fimilia inter (e et dcünibilia vna definiuonc vniuocé competente iplis, quod&(upràconccil'erat.ineademdifp.n.7.&tamcnnegat ibidem hinc (cqui, quod cóueni;nc in aliqua rationc abflra&a ab iplis, et pracifa » que plane. e(t manifetta couradi&ia,vt loc.cic.difp.9. Mctapb, demons ftrabitut ; codem quo js modo procedüc rationes, quibus idé Au&tor probat difp. 7-Log.qj.n. $$. differentias vluimas (pe-€ificas.non conuenire. in aliqua ratione differente vlimz, alioquin. non client vltima, probant enim non polse conucnire inzali racione ; quz fundctur. in aliqua reelirate, et fit illis cómunis;vt quid; quod autem in. concepta imadze juaco. àllis communi, vt modus., conucnire nequeant, minime probant. 10$. Quoad 2. dubium, vt conftet de fafficienuia definitionum,quas ex Porph. retulimus, notandum eft, qp per cas Porphir. non definit indiuiduuiu vagum, (ed fignatum vt patet in exéplis ab ipfo addu&is Socrates, et boc album jid -n. indi uiduum proprie dicitur de vno (olo p dicati,quia illud detis indiuiduum veró vagü nó niae quid etadicadder plura fu ne nam v, g. aliqvis bomo idem (onat » Q hic, vcl illehomo, et hic eft proprius modus figui&candi indiuidui vagi,vt,diximus quett. $ prac ed.difp.ex Scot«q.12« predicam, et licec in.crdum in propofitonc difiücttoe . iis 466 tione cius fignificatü reftringatar ad fuppofitionem determinatam iuxta exigentiá przdicati, vcl fubicéti ; quod requirit 3llam reftri&tionem;aur ex intétione profcrentis, vt cum quis dicit quidam bomo futt occifus,nam ex intentione fic loquétis ly quidam determinate (apponit, abfolutd tamen, et cx matura fuafemper plora fignificat indetermmaté. . Sed quamuishic defimiatur indiuiduü fignatum, nonramen definir particularitcr tentà f.pro Petrojaut Paulo,quia fic non efl definitionis capax, vt dictum eft difp. 1.q.4-ar.3. fed vniueríaliter tentons nimirum pro concepra indiaidui in communi, quem ab eis ctiam vt. indiuidua funt, abflrabi pofíe iam demonftramimus, fic enim indiuiduü eft capax definitionis, cum induat modum vniucr(alis.Diccs,hic definiri indiuiduum;t fic, ergo non fub ratione vnincrfalis « Refp. vcrum effeaflumptum, quatenus ly vt fic excludit conuenientiam indiuiduorü in illa fpecie, quorom fant indiuidua;no "gutem conuenientiam in aliqua ratione €ommnni rationc indiniduationis przci&&. Diccs rurfus,hic definitur indiuiduü, hen predicabile quoddam de vno olo dicibile diftin&ürn ab alijsvniuer. falibus, crgo nonpoteft definiti fub razionc irídiüidui in cómuni, quia fic prz«licaretur de plüribns,ticut alia vniucr(aAia;& prafertim nom diftingueretar à Í "«icquia predicaretur de lioc,& illo indiaiiduo, vt de pluribus numero differentim Refp conceffo antecineg. cofeq.ad. uc cnim bene ftatjquódà fpecie;ad quà reduciur,& ab alijs vniuer(alibus indioidunt in corbmoni diflinguatur, quia.» 7 Npecics,& alia vniuerfalia de pluribus prie &licantur, vt quid, indiniduáü veró non ni"fi vt modus, ficut fipgulare non cft vniuer fale,nifi tt modas cx Scor.cit; 106 In illa igitur prima dcfinitione inQiuidu:, qua dcfinicbacut indiuiduü pritnó intentionaliter captum, et dicebatur Üescuius colletfioproprietatu in nullo alie eadem erit, definitur ratio indiui"duatiohis realis in communi in concre"ojhoh eft autem iniclligepda hec. dcfi" hiug de eifdem numero. proprictatibus Difp. V. De Vuiuerfal. in particul. accidentia extrinfeca colleétim fumpta .et ait Doétor loc. cit.$. 4d auttoritae ;$num indiuiduum: cíle alteri timile;8 itnhoc enim (cna non folum tota colle. €tio, fcd ex aliqua ex illis-poteft effe   in codem fübic&o, quia nó poteft idem. numero accideasnaturaliter. e(fe in duobus fübieQtis,fed ett intelligéda de accidentibus omnino fimilibus ; quia fecandum communem naturz coríum nullum: indiuidamm cft alteri lumile 10. omniuam proprietatum colle&ione, fiue fit accidens indiuiduum, fiue fubftantia ; qnod addimus ob maltos, qui dicunt hanc definitionem non c ehendere; niii indiuidua humana, et bruta, juia inquiüt indiuidua reram inanimararum non ha« bere proprietates contentas in illis carminibus,& quia aliquádo ita inter fe süt fimilia, vt inter illa d/ícerninequeat, vt. patet de duabus partibus aqu » albedi» nis,aut ligni inter fe. Sed quamuis veram  fit cx. illis m: magis iater fe diftingui,& diícerni indiuidua animata, quia plures earum participant »i nimata, tamen negat: ncquit y. inanimata ex eibi cà ticipant,fufficientet ir tionem etiarn aliquo mod derc indiuidua inanimata, et x neà; Quamuis a(it hec definitio noi effentialis  et quidditatiua, qnia res noa funt indiuiduz per aceidétia,led per pro« prias differentias indiuidaalcs cis incrine fecas,ac rcaliter identificatas y vt probat Do&or 2.d.3.q.4. et (cq.clt tamen (aff &ienter defcriptiga, quia optimé infinua» tur differeritia nümeralis intriufeca. per tes,glo(ans illad Boctij 1.dc Trin.cap. t« V arietas accidentium facit in fubstame 1ia differentiam. numeralem, et ratio eft;quia vt dicebasus; nequit naturaliter omnium proríus aceidentinin collcótio» ne j quia tamen licét hoc tix naturaliicer impofli bil) tamen non repugoat de po» ini cea lane 1900 Pu tentia Dei abfoluta, ideó illa de(crijtio mon cít in toto rigore exa&a. Alrera definitio Indiuidui,d crat illad efe, duod de vno folo predicatur, affercbatur de indiuiduo fub róne przdicabilis yt diximus, et con(equentet fccando iatentionaliter capto, Vt aute intelligatur modus przdicandi indiuidui, aduertendum eft ex. infra dicendis difp. to. duplicem e(fe przdicationem, vnam formalem, et ditcétam, alteram identicam, prima cít, inqua przdicatum eft aliquo modo à fubiecto diucríum, vel inrc concepta, vel alin in modo concipiendi explicitum, vel implicitum, dicitur aurem dirc&ta,quando in ca cít (ubie&um, quod cx natura rei natum eft (ubijci& pra:dicaum, quod natü cft prz. dicati, vndc hzc ptzdicatio, hono c(t animal rationale v . g, dicitur formalis, quia licet (ubiettum, et pradicatum in tc figu ficata non differant, differunt tamen penes inodu.a fignificandi explicitum,& iaplici.am, nam przdicatum dicit explicité, quod (übie&um confuse, et ideo dici (olet przdicatio doctrina.  0 5 "hsS&(cientialis, quia facit (cire aliquid., quod prius non. fciebatur, vel faltim non (ciebatut ido, nempé diltinClé, qua ratione. etiam dici folet pra4 dicatio arrificio(a, quia fini arcis infer, qua ali.jüid ignotum notificatur ; cft .euam illà predicatio dicecta, quia dcfi7 mitio naa c(t przdicari de dcfinito. Idé. tica vcro predicatio cít, in qua vtcü.que extree&uaum codem modo concipitur, ncc di(tinguuntur, ni(i rationc ratiocinante, vt cum dicimusbogo efl bomo, Petrus efl Petrus,& hac pradicatio dicitur na-«  guralis,quia cx natura rei fignificaiz non potett verior cíle ; nam vt aiebat. Boct. nulli eftverior predicatio, quàm eiu(dem de feiplo,adhuc tamen dicitur prorfus ad (cientiam inepta, quia pcr cam nihil aotificatur ignotum . ] ! 108 Hoc fappofito; Tolet.Sot.& alij ita explicant hanc definitronem;vt predi cabilicas,que conuenit indiuiduo, cü. tit tancüm dc feip[o,non fit nii 1dentica, et naturalis, ac proinde ad fcientiam. pror« fus iuepray& sad cau(iimjuiunt Ari« IT. Qu fein Iudiniduum defiuatufigte. I   467 ftot.inantepred.& c.de (ub(t.& 2. rior. c. 27. docere tadiuiduum de. nullo pta:dicari,quia nimiram predicib;le propci& fumptum, vt fic, dealio dicituc, et eius przdicatio eft aliquo modo do&rinalis, Atquia hec explicatio (ic abfolute fum. pra non cít (aic ens,nà pra:dicazio idé. tica etiam conucait rebus in vaiuerali ac ceptis, dicimus enim homo elt homo, animal elt animal,ad fant alij, vt hzc/definitio (oli indiuid:10 applicecur,quod ids quod folu:n identicé, et non alio modo praedicari potett de vao, illuleít indiuiduum, res cnum in communi, etfi identie cé przdicari pollinc, tamcn ctiam alio modo przdicari eis conuenit .f. formali ter, et directe de (uisinferioribus. 109 Sed hic dicendi modas,quocunq." modo explicetur, (i intendat negare indi amaem focmailem praedicatione, adittendus non cft, nam in peimis certum eft indiuiduum accidentis veré, &c proprié przdicari de indiuiduo. fu5ftantiz, vcdocuit Alexand. t. Priorum (cc. 2.& certé negari acquit hinc cffe przdicatioaem formalem, quia dum dicimus Tetrus e$t boc album, ly album tcact locum formz refpc&u (ubie&i, et cxplicité dicit aliquid ; quod non dicit (us bicctum ; neque ifta przdicato eft nagatoria, vt putauic Tolet. quia ali.juid amplius explicatur per przdicatum, fignificatur enim Pettum habere ratione [ubic&i re(pe&u hu:us albedinis; et ddo Arift. in anteprzd. dixit boc album. de nullo pradicari, intelligcb it tan quam de inferiori,non tan juam dc (ubiecto, vt ex ipfo contextu coliigitur. Imó cum verumfit, quod docet Scotus 1. d.8. 3. 5. prope finemcuiuslibet vaiuec(alis dati propriü indiuiduum,nimitum hoc animalhoc rationale,hoc rifibile, hoc album, quz dici folent ind aidua incompleta, fané ficut ha rationes in communi fumpta predi cantuc formaliter, et directé de indiais duo completo, et fpecifico «e de Petro, 'q» ücanianl, g» fc racionsdis;titb.l s, ale bus, üc etiam fümpue Nec ael lingularitate. poflunt. adhuc | liec, et directé. przdicari dc codea udiuiduo complctojuon quidem aestadà . 468 riori, fed tanquam de fubiecto, refpe&tu cuxus babent rationem forma ; omniu» namquc indiuidua incompleta fünt come municabilia, vt quo, vnde ift predica£ioncs erunt formales, et direótz, Petrus: «ft hocánimal, eft hoc rationale, hoc rifibile, hoc album ; quam Scoticam do&rinam páffim recipiunt Recentiores q. dc indiniduo ;Conimb.Amic.Hurtad,Blanc.Didac.&alijquamplures;&illepradicarionesfuomodoreducenturad1llavniuerfalia, quorum fingularia incópleta praedicantur de completo; et fpecicó, nam ifta przdicatio Petrus cft boc animal erit in quid illa vero eff boc raéionale etit in quale quid,& (ic dc alijs ; imó fimiles predicationes potecunt dici doctrinalcs, et artificiofa in ref[jc&tu ad praedicationem omnino identicam.f. Petrus e(t Petrus, qura per przdicatum aliquid € explicatur, quà per fübic Gt ; vnde reítat folum indiutduum | completüm effe illud,quod no ni(i identicé przdicari pot de leipfo, vt dicendo Tetrus efl Tetrus,vcl Petruseft bic bomo,famé ly bic bomo 6gnáté, et particulariter, non autcm pro conceptu humani indiuidui fingulis indiuiduis humanis cómuni, uatenus et Petruscft hic homo, et Pauus cft hic homo, fic cnim son habet rationem tndiuidui, [ed vpiuetfalis, vt modus ex di&islopra . Quace concludendü €it cum negat Aciít. indiuiduum dcealiquo praóicari, locuítur vt de inferiori, ac ctiam intcrdum ípeciatim loquitur de indiuiduis fubitantig complcus, que non Rifiidenticé predicaripollunt.  Vltma deínitio,qua crat, ízdipiduum efie qitod continéiur 1t Jpecie, tradebatut de ipíb in rationc fübijcibilis, aurem intelligi de indiuiduo (pccifico,& tubie&tiche immcdiatas nam indiuidua generica immediate ctiam generi fobijciuntur cx di&is q. praeced. art. 3, et Ipecifica ipfa fübijciütur cidé mediate ; yerum ramen cft, quos cum genus non Fiedicetar de fuis indjuicuis. icnciicis pili pct modum (pccict, vcib: dictum cit, abíoluié dici poictt.ornnta indiuidua irimediaié conticti (ub ipccie ; fubdit auVen l'orph. poitquam darc indiuiduum Difp.V. De Viiwrfim patti, 00 cóntincti füb fpecie, fpéiemquoquecó: tiri genet dic didntoe c timetur Jub (pecie, fpecies autem [u ge quali hzc particula fpe&et ad irtejedus deRiitiotis 1ndinidui füb róne vltimü ubijcibile, vt pote fub genere, 82 . coti um, et nüllum dari indiuiuum fab aliqua fpecie, cp confequenter n6 fit füb aliquo genere. Ex quia mdiuiduum opponitur vniuer(ali, i cut inferius fuperioti;hic c(t aduertendum fübijcibilitaté, quz eft relatio indiuidui, vt infes rioris ad (ua fupcriora, effe precrpuum, in ind«uiduo inertia principalis r Índiuidui cft ró 1ferioritatis ad voiuct(ale, Me De Pifferentia . íi. Y'324 i£ Lr MEOS ;w. 7 111. y Xpeditis Vniuerfalibus in E przdicantibus, acce ad Vmuctíalia, qua poe et primó agehdü de Differentia, dicatur in quale effentialé, cum fentiale przcedat acgidét ex vi nominis dicituf fcrre; pro quo notdngum Doctore 1.d.5. q.2 48. 4 et noflris Forma ! eíIc idem differeos cnim dicunturdifferentia, quatpriusialiquocommuniconuenuntdeindepetaliquidillicommu: fuperadditum diffcrunr, illa veró dicugeur diuer(a, qua nó per quid (uperad ditum toris (ecernuntor quam doztriaain ai Do&or etfe Atift. 10. Met. 12. Lour ig hic Porph. de differentia, noa. de À uerfitate, et cam diuidit in cominuné, propriam, et magis projriam y icu proe pujffimam, qua (ofa conftituit hoc ter tium vniuerüale. Cy;amuis autcm baec di uilio non fit bime;nbris, facile tamen e ;teduc;bilis ad bimembrem,yt notat Orbell.c.de differ. Differentia namque ; v aitipfe Porph vci facir aliud, vel facitalteram "eu aleratü i. vt cottct exponiit vcl facit differre cilantialier, vcl accidétaliter, primo inodo;b.betur differentia pcoprijduma, et in hoc sela d:cimus homi(cdfeipis,& fe    eninem per rationalitatem à bruto differ tc, cds node ibo edisic pow códos dupliciter, vel per accidens pro. in(cparabile ; et (ic habetut difI ia proptia » et in hoc fenfu Sortes fimus dilicrtà Platone aquilo vel demü per accidés commune,& feparabile, quo . modo dicimus Sortem fedentem diflerfc à Platone ftante,& fic habetur differe « tia cómunis,qua ideó talis dicitur, quia attenditur penes accidétia rei prorfas ex .&rinfeca, et (eparabilia ; ficut € contra 5  proprijffima calis dicitur,quia facit differ .. gc eisétialiter, proptia ver intra effeatiam, vel ad vecta ;, realis exiftentiz non eft aliud, quàm diuifio, et multiplicatio ipfius naturz: pracedés abflra&ionem intelle&us, fed hec diuifio, et multiplicatio veré datur à parte rei,ergo hoc primü mimus differeariz circa na turam gencricamin ftatu realis exiftétize reali modo exerceur, Maior patet; Prob. min.quia alia eft animalitasquz in equo reperitur,& alia, quz 1n homine, et quidemalia, et alia realiter, et nonratione tantum. Hac autem diuilio animalitatis à parte rei per differétias, cíto fit realis, nó ti fit eo modo; quo diuifio vnius conti» nui v.g. ligni in plures pattes, vt bene no« tauit Tatar.q.de differ.$. Quartó fciendis et ratio eft, quia animalitas à parte rei ng habct rationé totius in ordine ad (peciess fed!potias partis, materialis, et contrahibilis,ac rc vera determinabilis per differentias. Nec dicitur diuidi, quati quód vna e(set entitas realis ante aduentum differentiz, et poftea per ipfam (cindatur, &€ amittat vnitatem fuam po velé com. tra cam retinendo folá extrinfecé dittintur per differentias a4diras, quianon natura creata talem vnitaté rcalem in omnibus per inexiftétiam, vt innuimus di(p.pr&ced.q.1.ar.2. folum igitur dicitar dinidi, quatenus vna, ac cadem manens, ita contrahitur per. hanc diffcrentià v.g. rationalis ad conftitutionem huius fpecici.[. hominis, vt eadem, quátum eft ex c, contrahi poffet, di fiunctim tamen, adi conftitnendá aliam fpeciem. v«g. equi pet hinnibilitatem ; ita chimrc vera narüra generica metaphylicé contrahitur,& determinatur per realitarem differente, fi« cuc materia phy(icé contrahitur, deter minatuc per. formam;& dicitur ctià re wes ra diuidi excrin(ecé per ditfereorlá, quates nus animalitas hominis per rationali fpecificé diflinguitur ab animalitate equis et in hunc modam explicat Dactor diui« fibilitatem natur per difícrentias in ef(c rcalis exiltentiat n 1.d.5.9.2-$. Tertió et quamuisibi loquatur de natura fpecificii. cm tamen dicendum eft quoque de generica proporcione (cruata « : 120 Sed obijciestota natura effentiey Q3 E 474 «..g. integra animalis natura e(t in homi« ne,& equo ; ergo non eft veré diui(a per differentias, qu:a tunc nori effet iniegea us in quolibet, Cóf.quia natura eft veré vna dn omnibus inferioribus,cum oqinia fünt eiufdem naturz, ergo nom diuiditur rc vcra pcr differétias; quia per diuifionent defituitut vnitas, Refp. illud ptobare fo« lum;quód no fit quzdam realis diuifio ; velut cótius actaalisin fuas pattes, quod vertieft, qiia à parte rei matura arniimalis intantum dicitur diuidi ab liacy et illa diffcrentia,inquantdám " ipfas contralitur et determinatut ad hanc ; vel illani "fpeciem. Ad Conf. dicimus effe vnam iri omnibus pet indifferentiam, non per ircxiftétiá,co módo,qüo explicarü eft difp. ptaced.q.1. ar; 1. nec per talem diuifion& collitut hec vnitas,quia nó e(t vera diüi(io,vt alicuius totius in partes j cd potius cotra£tio partis potentiali$ ; et ideo bià deítruitut illá vnitas per indifferétia ; fed «im ab extrinfeco determinatur;& IirhitatarDices, fi datura nó elt vna in om fiibüs per vA Peri dp potius iri mul tis mültiplet hoc modo ; ergo erit tealitet;ac entitatiué diui(a in multis aritc difÉctentias,atqüe ità re verd nó dioidctur p differétias.Refp.quocuntue modo (e lta; beat natura anite dificrétiussnà lioc nó cft e pracntis ncgotij:lioc cettü cl jante diffe -t&tia$nó pofle dici Vnà in multis, uec mtl tiplicem,qutia cü diffcrentijs ipfis conti tttit illa multaj& quia in tali cont itutione fe habet per eiodü realitatis poteritialis ;& detefmitabilis pet ditferérias hoc fcafa dicitür diuidi pec ila$,ac ctià id alio feüfa y quatenus exctiafecé mcrito diffetcntig adiufi&lz ariimalitas hoininis [pc: cie diffett ab animalitate equi ; »121i Dicirhus 2.(i natuta gerierica 6ódideretut io ftatu cxiflétie obiediugyüc proptié cocipitur diuidi ad modum tovius 1f fuas partesstotius himirtim potentialis in füas partes fabicétiuas, licet talis diuifionó fiat; nifi per opus intclle&us ; Hanc ctiam concl.ponit Tatar; loc: cit; Vbi ait genusin hoc ftatd diuidi pet diffcrebtias diüi(ione lógicáli, lioc autem aliud non cft; vcipie ibi explicat ; quam ljenus manife(tart à poltcriori quoad Difpu.. De Fuisérfaliuin par: 000 eius cómunitatem per eius partes fubiea &iuas, Sed adhuc melins, et clariusexplis   catur cócla(ío;qui4 gerius in tali ftatu abftra&ionis conici pitur per modif cuiu(d& totius yniuetfali$, vt Sco, docet 1.d.1.q. iD.& qum toti poterniuale concipi tur diuidi ini plures partes poteftatiuas. (; in plura ioferiora v.g.in animal liominé y in animal equü per diuerías di ffcrentias y. ergo in tali (tatu proprie diuiditur per dif fereritias. Fit autem talis diuifio, et cotraGio per intellc&um, quia (upponit natu ram petintelle&ü abitra&à, et itavnàg qualis nom eft à parte rei; quia iri aliae Te ftractione füpponitur haberé. viii per iridifferentiam poüitiuam,& concipis  uic diuidi per differertiasim plures (pecies Ynd, et cadem manens per inexifté« tiam ir illisvt di&umeftdifp.pr&c.q. $a  árt.1. quani certevnitatem non habetd  pátte tei diui(aj& multiplicata « V ir 1ii Sedobijcies i.finatdrd animali$  Vna Torn. per inexiffencià im (uis; re " fioribus,ergo no cócipitur diuifaper di   ferétias iri "iis acmíi wi». AS iion vuliidinésie üli dis. 12 pedit vitare. Kefp.rieg.cófeq. quia M Er Pit loquendo vnius cópotiblci cà Dod diiifione non (ibi oppofita, &quomi«   riot eft; (tat cum diuitiorie maioris quare ficut vnitás fpecifica ftat cü pu cde A numerali, (ic vgitas geriecis (fat cd mal: tudine fpecifica «. Dices diuifio tollit afiquam vnitaté, nec didi(uat poft dic p gemanet iridiaifum, ftcut afitea nus pet differentiasdiuiditurinipecie$ ;  ctim diuidinon poffit,mi( stt vaitaterd  genericaim, vtique per illas diuifurti talé vnitaté nó retinebit. Re(p. quód (icut (je Cic$, cum diuiditbr ii indiuidua, non vtis que cadit diuifio fiiper. Vnitatem fpecificám;quia (ecundü liané indiuifibilis cft cum h&c noi tollatur ; nifi per differen. tia$ eflentiale$, et formales, ad qiias. eft inipotcehs (pecies infima, fed fuper vnitárerti numeralem rationis, quati d : u rit eo ipfo, qdàd ab indiuiduis abttc  tut, quo fen(u Vecum eft quód contra&tá "per iatelle&um, et diui(a nó remanet fic vna, et indiuifa, Gcuci priuscrae in. ftátil 1 abfiractionis j lic à pári cam gx g A " I4 Ru JJ /   min dividitur jn fpeciesper differen. A, non vtique cadit diuifjo fuper. vni "Raté gencricà generis proximi, quia hzc ; 'tolk ncequir,niii per diffcrentias fubalter. nas;sm quas proríus indinifibile cft gchus roxiait et infimi, fed fuper indiutfione Tpecific quà ope intclle&tus acquifiuit, .um à fpecicbus abftracta fuit ; et in boc fenfu ctiam dc genere verum ett dicete, uód cótractum per differentias,ac diuifum pec intelle&um nó remanet fic vnü, wtpriuserat inf(taruab(traGtionis  . Sccundo,fi cadem fimplex natura exifleret reáliter in ploribus, ficut de facto matura diuina efl n tribus perlonis, et (à | vna albedo etict in pluribus fitbiedtis col. locata, hzc vu]; non effet diuifio natura 1 E An multis, aut contract:o iplius ad malE t2, fcd potius eflct quafi applicatio quz|.   . dam naturz ad plura fübicéta, ergo bac E i ; fliuiio generisin (pecics per differentias  ..gonbenéa[fignitur, quod yna, et cadcm (ger inexiftétià in pluribus cócipiatur [pe S3 '€icbas, qu'a fic proprie nó concipitur có|. hi ad plura,& diuidi in multas nacuras . &iu[dem rationis, lees juodam mo | o candcm maurtam pl uribus fubicct;s ap H plicari, Refp.neg.paritarem, nam licét in E. &aíu noftro natura genetica concipiarur s vna per jacxiftentiam imn pluribus fpeciee bus,& fpecifica in pluribus indiuiduis, ui gotca, bcné concipitut fic vna manens "proprie diuidi in plura. feipía per diffe,EKentiss ; vt hominem v.g.in plures homi nes,& animal in plura animalia. ..333  Tetüó,hec duo pugnare yidécur, natura v.g.animalis effe diuisá per. ditfeE renti in fingulas fpecies, et effe totá eíse tialiter in (ingul.s,& non potius per par1cs ditlra&tà in illis, ergo talis diuifio genctis per diffetétias nó poteft modo 1am explicato ficri: Prob.aísüprü,quod.n.dipiditur,in partes diuiditur, et quod eft co rum in hngul;s,nó porett cile diuisir, fed ynum,X tidem erit in omnibus, Kelp.bené cxjlicari,quo;nodo hzc to talitas cuin diuiiione cobzrear; fi aduertamus, quod ani nal... potett. có/iderari,vt to:um c(ientiale rc(pe&u füorü pre. icatorum eff.atialiày ]uz formaliter, et quia hzc vniras non eft numeralis fed mi e ." SEE TE Quomodo Differentia dividat gens. e ist-L, 475 intrinfecg in fe continet a&u;& v: cottim pot£tiale refpeétu füorum ipferiorr, uz dicitur contincre in potentia,co quia non funt de conceptu efséali illius; vniüetíale igitur anuma], et quodl;bet aliud diuiditur in (Da inferiora,non quatenus totum t(Ienriale, quati in plures partes fug. ef feniiz,quarum yna cócrahatur ad hoc infcrius,& aliaad illud v.g. ex homine animal contrahatur ad Petrum; et rationale ad Pauli, quia (i tota cíleotia hominis nó tifec in vnoquoque, quilibet effec quafi dimidiarus hoino, vcl potius non; homo,ícd diuiditur qua(i tot. porétiale in plures partcs fübicétiuas-i.pluta inferio rajatg;ità non repugnat maturam vniuerfa'é clle jn fuis inferioribus diuifam et (1mul rotam sm c(sériamin Gingilis manes rcquia diuiditur (olum (fecundum toralitatem potentialem, non veró actuale, sc ctientíalé X hoc cft,quod vulgó dicitur, | vnius (ale effe totü in m fao inferior' fed nó touliter ; quolibet inferiori quoad ro:alitaté cllenicitar cffecoiü in 1alem,& a&tualcoi,non autem toralirer, quia ab illo inferiori non adze.uatur roralitas eius, fcu latitudo potencialis. SORORHFEYIVS IL Quomodo differentia fim«l cum genere fpeciemconflituat, vbi de coi . pofitione Metapbyf[ica, 124 Oc fecüdii different/z monas, quod eft conflitucre fpecie p modum partis actualis, (ufficienter intinuauit Porph. per primam dcfinitionem «ius,cum dixir Drfferenriam e[Je,quo fpe ies excedit genus,eel abundat à genere vt alij legunt ; vt.n.notat Do&or 4. 27. citin (ol.ad $.conuenit diffecétiz,vt cft cóftitatiua [pecici;fenfus.n.cius eft,quod differentia eft, quz cum genere conflituit [peciemy;itaquod ibi pooitur fpccies, vt cotrelatiuum differentiz, inquantum fpecies clt contlituta; et differentia. conftituciaa ; abondat a genere ponitur pro Conítituere,& propria rationc conítituédi, quia non vt genus conftituit seien ità explicat ibi Do&tor prafatam defim tionem; vndéimmceritó ezm carpit PeQi 2 trus «476  Difput. V. De Pwiuerfalibus im partic. m b trus Greg.in Syntzxi tom. 1.lib.z.cap. o. quod diflercntiz monus adhuc ettam uia gis explicuit Porph. per quintam dcfinitionem, quz cít aliarum pracedentium declaratius, dum ait, diiferenuá effe id,quod«d(ubflantiamyrarionemq; cfert, «C quodqiars eius efl rei, cuius differenfia dicitur e[fe . Et quidem differentiam cum gcnere fpeciem cóftituece adeó verüc(i, vt nemo de hagre dubitauerit vnquà,id.n di(erié dock: Arift.7;: Met.(olü dubiü cft,de modo;quo munus hoc à diffcrentia excrceiur in fpeciei cóftitucione an.(.exerccatur modo reali, ita vt quando dicimus d:ffcrentiá addi gceneti ad cóftitucndam (pecié, fit hzc additio, et cófüitutio;cx natura rei, et rcalis, an pocius fit additio rónis. f.quoad rón& aliquà có€eptam,vcl quoad maiorem expl.cauoné jn modo cócipiendi eádem r&, et ralis cófüicutio fimiliter fit per noirá incelligédi modü; Et qua (tio procedit de (pecicbus naturarum rcaliom y non autem de fpce ciebus,qua f ngi folcnt in enubus ratioeis,cum. n.iflz fint mera entia rationis, certum cf non poflc in illis reperiri cópotitiorem realem ex gencrey& differentia ; Similiter qua flio noncft de Ípecie formaliter fumpta, et pro fecunda intentione, fi. n. exploratum elt, rclavoncm illam non confütui ex relatione gencrci-. tatis, et difterentiz,quia hu:ufmodi relationes funt inter (e diuerfa císétialiter, et fingulz cófliruüt pradicabile d;ftin€um, gitur quzftio eit de fpecie matetialitcr,.i. de natura fpecifica rerü reali. 12$ Qua inre Primaojinio ett Nomi malium, quj ficut nó admitrüt vniuerfalia vllo modg in cendo, fed tà: à 'n fignifi «ádo, itd ncgát copo(itioné fpeciei ex ge nere, diffcrétia factà fiué realé, fiue rationis,ità Ocham 1.d.2.9.6.& 'bidé Gabriel,& i.p. Log.cap.16.& 17.& quol.$. Qq.11.& 13.Adà 1.d,33.4. 8. art. 1. et tequitur Hurt $.Met.fcét.5. et 10.Ouured., €ótr.6. Log.punc. 2.& ex parte cósétit Auería q.1 3. Log.(cCt.6.vbi ait cóftitutioné (pecici ex genere, et differctia nó (em cfe per modü compoiit onis, led inper modü (olus explicationis ; quando pimirü gcnus nop perícété piaM fcindit à difterentia. Secunda opinioeft Thomiítarü,quificutinegant genus, et   diff:rentiá,aliotq; gradusmctaphylicos   cllecx natura tei actualicer diftintos y   affirmantes fola ratione diflingui cü fuds  daméto inrc,quatenus inrelle&tus virtde    te przcifiua,qua pollet, eandé iimpliceaa  entitaté partitur in diuer(as formilicateg obic&iuas,quarü vna habcat rationé determinabilis,& alia detcrmimatiui, ità im propofito docent comyolitionem fpecie   cx genere, et differentia elle tamummos  dorationis cü fundaméco inre, iraquod  cum dicitur [pccicm componi ex genere;& dífferen:ia,(cníus fit. cóceptü obietivum fpecie có»oni ex conceptu obit étiuo gencris,& d ffcrcniz ; tàlbigaifi cat.S. | hom.de ente, et eiientia cap. 4« "a vbi Caict. Capreol, 1.d 8.4.2.art. 3. Son cin.7.Met.q.36. Laucl. ibidem «18. Mo rif. difp. 1. q.9. Complut. difp-s q-$ to.q.1. Vniucrí. Ruuius cap, de d ffc 4Murcia cap.de fpecie q4. Didac de gen.q.3. Blanc.difp.3 (e&t. difp.15. ct. fc&.r 1 P. À et alij hecentiores paffim eft scor ftarum,qui ficutiinrer genus, et diffcrentiam agnolcunt diftinctionem ex  natura rc; formalem, quemadmodü cti& inter coeieros gradus przdicamentales,  ità conícquenter afferunt talem compó, fiuonem eflc aliquo modo realem,i oon    €x diuctiis rebus, vt e(t phylica compofi tio, ('iItim cx diuerfis realiratibuseiufdé rciante operationem intelle&us abinui»   ccm di (tinctis; ità ex profello docet Scoe   tus 2.d,3.].6. et 1.d.8.q.3. 8, Teneo opis   niont m mcam mediam,vbifusé Lichets et Bargius, item 7. Mct. q. 19, vbi Ant, And.q. 14. Zerbius q» 144 et 1$. Fabet. ibidem diis. 18. Canon.1.Phyf. q-7. Tróbet. in Formalit p.2. art. 2. cx exteris ve rà Fonfec.4. Mct.cap.1.q«4. (e&t 3. et f» Mer.cap.7.q. 3 (ect. 3. Molin, 1. p«q.$9 "i art.2, Amic.tract. 4. Log q.3 dub. 4« arc.3. et tribuitur Ferrar. 1, conrca gene tc$ Cap.24. et 41. pro refolurione. 116 Dicendá;el » quod cópofitio fpe Ciei cx genere, et differentia quz dici [o« let mecapbyfica ; licét non hit realis cx regc et rey vt pbyfica ; cft tamen formalis ex natu. "12 EA 1&6] eX realitate yj &rrezlicire;nó au(folam rationis ex diver iis coc epribus "Giu . Ità Scot.& Scor:íte cit: Cócl,   bxc fundantur in diftin&ione formali a f&ualt, quam diximus dif]. praeced. q. t. art. 1-verfari inter gradus imetaphylicos 'ilertim gencricum, et differeutiolem, e Quia iuxtà modum dittin&tionishorum LET graduüm explicandus cft modus conftitütionis, et cópofitionis fpeciei ; et qui dé hic potíemus vrgenter: oftendere talé diftin&:onem, quia nimirum gradus geficricus eít ratio cóueniencig à parte rei, mon autem dif£-rentialis, ité gradus gene Kicus, vtracio magiscómun s dicitur in cópolitione.metaphyfica diffecentialea rz cedere ex natura reí; et per ipfum cótrahi; rur(as gradus gener'cus füapte na tura cít pcrfeGtibilis per difterentialem, |. »monécó:ra, m vtique faluari nequcunt Eu Ero cege d;ftin&ione ex natura rei in-: y Te" c llos,nàá à hiec muncra cui Lu liter. cribuerétur ex libico intelle&us, T ue foruel. IT. De compifit. gentiis fon differ ear I. 47 cft c métaphyficé cópofitus, Cum etian ipfe refolai poffit ab intellectu (ic cócipiente in conceptam cómunein, et proprium, quia ét Deus conuenit cum creatura in gradibus tranfceadenralibus entis, fubttantiz, (piritus,viuentis,&c.qua (iat lirado; et conacnientia poteriteffe fundamentumt alisabütra&ionis. Tandem(àcompofitiofpecieicxgenere»&dificrentiaooncltàpartecei;ledcmrationis,fe»iturfpeciemeísentialiterinrecífeiraIunplicem,effcaciadiuina.R.e(pondet Mori(an. cit. ad hoc argu. mentunn, et ad przcedens deductum cx dittin&ione graduum, et inquit ; qp licet hzc coinpoficio fit cationis, non inde, fequituc poffe ad libitum concipere intclleé&um 2radum hunc, vcl ill: promifcue pocencialem, vel determinantem,quia ng eitiomninó confidta(ed habet (fundamé-, tum in rc,róne cuius potcft, ac deber intellectus hunc gradum,qui . (eft principii cóueniendi cü pluribus,vt potentiale,1llü. i T nóminuspoffet cum verirate.cócipi vcrà,qui eft principii diff-rédi,vt astuaE E orm prior animalitate, et ve. lemy& determinantem non é conuerso ««ontrahibilis, ac perfe&ibilis per eam,  Subdit ctiam hanc eo tionem repus. | . quéécontra: ;Scd quia hzcdittin&tioingnare Deo, non quía fit aliquo modo ex |. ttr gradus meta e vniuerfum o-. naturarei, et lapponat di (tináioné fore, fiendenda cft in Met.& interim ipfe Do-'  malem inter hos gradus, fed ex alio capimw &or facis cam demóltrat loc, cic. 7. Met; ] Q» 19. Vb: probat cóceptibus obiectiuis ge neris, ac differentiz dittinctas correfpodere dcberc realitates,vt veré faa itinera exercere dicantur, ideó,Le&toremadip«fümpronuncremi.cumus;&folumex raVyone ipfius compofitionis metaphyfice tonibimur dcayonflzate ip(m non po(fe effc rauonis, et ex (olis conceptibus obie &inis cum fundamchto ín re, 1 327Probatur ergo fic, Co pofitio me« taphy ica cx gradu aerierico  et differentiali calis cft, juód Dco repugnat, et eius fumma timplicicat, vr patfim farenur. Omnes,.crzo cít aliquo inodo realis, et nan rationis tantum, dbia hac non tollit. 1citatem à parte cei. Ec confir. quia ad taluandain cópoiitionem metaphylicà in uatura creata non (ufheic ipsa eile refo lübilem in cOceptum cómunc, et propcrü ci fundamento in rc ab intcilc&uinadaquaté concipiente,quia wine Deus ejam 2 ' Logica, " tc f. ex illimitatione, et infnirate natura diuinz,ratione cuius fic, vt nullus in cas: poffit concipi gradus cóis, qui nonincludatur in rattonc particulari propter (ume : mam fimplicitatem, &, fit potentialis ad illam ob cius fummam a&ualitatem -Vtraque folurio facile refutatur,, Prima quidem, nam petimus;an ftáte tali . fündamento, et exigentia à parte rei, vt hic gradus concipiatur, vt pocentialis, ile ! le vero, vtdcterminans, poflit intelleótus ; inuertcre ordinem; vel non,(i primü ere  go talis ditin&io, et compofitio non-ef& . cum fandamento in re, quia per fundas: mentum n reintelligitur maziuum ; feu occaíio necefficans inte. ) ad (iC: et ic concipiendum, et non alio modo; fi ecundum, ergo illi conceptus Í " nunt rcalitates à parte, rei formaliter di», ftinctas,& non vnamtantum nedequ té conceptam, quia ordo rcquirit diftin-. Quos paa ades. : wu» 478 t, tibil eniti ad (eip(um omninà ordis . nouit, et qualis cft ordo, talis eff diftine . &io,cüm igitur odo fit ex rei ipfius exis gentia préfitus, nonimtnutabilisab inielicéta;difün&tia quoque et corbpof(itio crit ek natura rei. Neéetiam folutio ad'ar : giunentum ex cópofirione deductumiifa: usiscit,& à Dco fufficienter expellitury fi cfi rztionis, nam falfum e(t y p in.Deo ne:xucat cócipi graduscómunis entis (ubfinu, et c. perfecte pritfcindens à parz ticulari, neque huiufmodi: pracitio tollit fuco man fi ip licitateinyquia ad ipsá (ufiit (ümmaidenurasá patte ri. intecilé lá; qox abibütcea pra(cindumtur,ncc po tenudalitas copcepta in illaraciónecomus fiiad particulare collet a&ualitatem; qua : d:patte rei reperitut. irilla ratiane ; vndc cürb to:a 1mperfeótio cópoticioni$ metas phificie, vt ponitur ab Aducrfarijs, pcndeat cx noflro iimperfe&o:cócipiédi mo« do;& non ex natura óbicéti, fané non vc« poguabit Dco, vndehiac rauónc Valq. 1«; p» difp. 22; toncft vatitus cuta in Dco admittcte, qua inre cettéalijs ett mas gi$ conféquenter locótus. 7129 Refípotdet Kuuiuscit.talem com potituoné non poffe pori in Deo; tà quia «Óceptus genericus debet efe vninocus, à Dec atté nequit przlcindtcóceptus. (ibi vhigocus;d cteaturis; vüquia conceptus. |o oir ride c£natuta e ibilis cttepcialitec peti cónent diffc e-« tiat.; Sed hcq; biec écfpotfio alet quia fal(utitelt nó pofe à Dco pseícindi consi «eptatri entis;, &fabitàntiz bi eniuoci, é&ccteatutis,vt ib Metridiceaus quod ad t due gehcticus fit (uapcé natura per. fedtibilis per difíetétialem; ideoque cepi: gnet in Deo reperiri corroborát argumé' iam, et ipfcrt aliqoá di (Hin&ionem ex na tra rei inter hos gradus, quia nihil potet cü veritate cócipi ; vt à (erplo perfc&ibi. Ié,& cófequentet concedit aliuam cópg fnionem cx fiatuta rei ab ipfis refutare o :"Kefpóndct proiide Auerfa conceden'ilientiat crtatam nop habcre máioré cópofitionem; d tónisjadliuc tamct non; &d£qüarc (i mplicitacem ditinam;quia licétin e(Jentia creata cópofitio ex predi cxiis eíicaualibus nOdit tcalsy uircepctrjV ! Difput. V.-De Phiutrfe im partis Ut i-o tür éópofitio ex natura, et fubfi fétía, e: fabflantia,& accidenti jAlijsq/modis Deo Cue apr Scd hzc folutio exeo fo« lum fatis ab(urda conuincitut, gi cócedit: creaturam omnem catere cópo (itioné ef« (cotiali quoad gradus metaphyficos, &juátum ad liaric ad£quare. fimplicitatemi: tuinami 5 patumi áutéqi refert rionadzs quare ob ceteras copofitiones, quas ipfe . commemorat ; quia illz potius funt acci : dentales, vnde creatura (pirituales mates: tia formá carentes in ordine ad cópoti«: tiohé metaphyticam erüt puri(fimii a&ase 130: Deinde coricínfio oaftrademon: firatürà priori, quia adcópolitioné fea:   leni, vtdiftiaguiur à compofitionie ra.  üonisdug coiiditionesrequiruntur;prie; ma cfl di(tin&tro rcali$ compónentium 5E vr án cópolicione phyfica liquét, vbi mas; teria, et forma realiter dift vel: faltinp non fint: perfe Qté ideiatapl e. A tunc coribgit, quando :la.on ex ig tionibus idétificántutsfed quatenus vni. tüt in tert:o;cuirealiter (unt idet: da cft, draltera pars excom bént ratiopcm poreürii;& a&us;fed:ambas iltasco conctptüs 8eneris,& differe! priftam;quia hcàt gcadosaftipon di guanturreakue itullé ia quoinucaiugk tur, tfi corum idé&tiiasnon debet Ü ck corumirationibus fortnalibus, fed tam: tutntatione illius tertij, ib quo vniüncur) et identificanutr, stávt.imtatitum funt eae dem itire (es quatenus fum réalitce ideri! tificaraillrtettioà qdof&abliiahantar j   notrretnapet (ótficiens: auo. idetuitatis-yf 4 vt dircété docet DoGor i.d. S. «-4/atol c ] ptin. vhde mon valct dicerejanimalxcaseff | rauonalitas, ed.be&e in hoinineagicunal cit ragonale ; habeht quoque fecunda (o« ditionem 5 quia fecundum Aríü.7. Met; 41:&.43; ideo ex gchere, X differentia tcíukat (pecics perfe vna;quia gradus ge« neticashaber ratidnem potentialis,& cá:wahibilis, grádus autérm difterentialis des terminantis  et conuabentis; 5: k o Ü In oppof«tü arguit Didac.e: Ade tcolo-; íi genus eüet difinctum d parié rei à differcnujs, cü qnibus proinde rea lem cflicecec cópoliionem ; winc trahla T . mutárt Uu WEE LZ. CUTS., A... Mgsutári poffer de vna differentia (verifica "E  ónaliam, quiag 1dorcs potentialis, .& i 00 pri refpicit plures a&tualitatesoppofi/  gas, poteít illam Deus de vna tranímuta| sein aliam; vt conftat de materia habente I C tentiam ad oppofitas formas ; et ratio Ww ius e(t; quia orrinis tealitas ab(oluta. ji jvc et ab ca diftincta realiter, f Rs. feparari ab illa,quia non dependet ab illa |.  "wtScotus ip(e concedit 2«d. 12.9.2. at daIp "£i genus fine differentijs eft prorfus im "pollibile Mas: 16.& 3. Met.c. 3. Conf. IRA -iuia idé cim feipfo nequirrealem efficere |. . ópofitionem, fed genus cít idé realiter 3 » . kum differétia, ergo nequibit cum ca rca(0. dem .efücere compofitionem, fed rationis. 2009 C C Refp.neg.confeq. qua teneret,fi inter |. e«genus,& differétiam realem poneremus P. diftinctionem,at folam fomalem admitimus ; quz minor cftreali, et maior di| ftin&ione rationisràm ratiocinante, quà   átiocinata ex di&tis di(p.t. q. y. art. 1. et fui taibus reale dintis, vt n: /  hate »lóquitur Doétor loc.  &it.& ett folutioeiafdé 7. Met. g.13.nu. .. 2e, Adconfir. vtique «pcftidem realiter . ea »,üequit cum eo efficere ; COD ofi aieepnis i Hec onibus iuinis, quz qui im cuiufque in ASTU Duictn De fim idehsificatut, ideo nullá pror(us efficiunt cópolitionem, atqui idéificantur imper£c&té, nimirum folum ratione terij, in quo vniürdr, vc ett in propofito de gene et difíctentia, potluntaliquam ex natara rci efficere compofitionem, vt mox adhuciiagis declarabitur, 13 "Secundo argaitur ex Ocham  geous vion eft ver? et realiter poteritialead differentia; fed tantüm per noftrum coricipiendi modum; crgo nequit cüm &a efficere compofitioniem vllo modo rcalem, fed ti rationis ; Prob. affumptü, tüquia nulla res e(t iri potgntiá ad (cipfam,nec à feipía perfectibilie . Neqi dicasat 1d fufficete diftinGtotié formale. Quia re vera hax nó (ufficit ;;vt vni dicatur potentiále ad áliud, quis per Scotü effeatia. diva eiufq; attribüta sür ex naturarei formalis cer diftinGa,& tamen nó eft perfe&ibilis ab cis ob identita:€ rcalem. Tum quia: fi pir m ueft IT. "De compofit gener.» diffs. c 4n. IL  4?9 | « genus effet vere ede ad differentiis, tunc,quantum eft de fe, non minus pofi: t effe füb hac, quam fübalía, et tic diftinguctetur realiter ab illa, quod enim effe potcft tine alio, vtiq; realiter diftinguitur ab illo, ergo cum implicet getius efle (inc diffítentia, fub qua eft, fatendum eft non efe verd potentiale ad illam, fedtantum per noftrum coricipiendi modum. 131 Rep. negando af(umptum ; eftó,n. genus non fit veré potentidlead ditferentiá;vt ad quid realiter diftinctü, ficut -ft materia ad formam, eft tamen poten. 'tiale ad illam, vt ad id; c quo cft imperfe&é identificatum.f. ratione tertij, yc ;n, diximus fufficit imperfe&a identitas, wt «ni dicatur saecu ad aliud; et per hoc patet ad primam probat. affumpti, concludit enjm vnum non poffe/dici potétiale ad illad;cum quo eft perfecte id£, Alioquin foret in potétia ad fcipfumneq; nos Uc ép potentiale ad dif: aped ob folam € formaJem inter ca repettam, alioquin, et cffentia diuina dici poffet potentialis ad acttíbuta, vt bené probat illa inftantia, fed atfe rimus e(se potentiale ad illam ob imperfectam eius identiratem cum e, quia eft identitas mendicata à tertio, à quo fi ab-firahantur, non (anc idem realicer, vnde rcalitas generica, vt praecedit differendialegy;erit veré potentialis ad illam, et pecfe&ibilis per illam, vt docet Doctor f, d. 8.9.3 iofra I. Alia vero probawo tàgic arduam difficultatem examinanda in Metaph. dip.de natura cói,de qua videri po te(b Licher.2.d. 5.0: f. vbi pro eiusfolae «ione tnultadieitg intetim dicimus faluati potential tém generis dd di(ferentiám b imperfc&tám identitatem eius cá differentia in certioquod cü spfa cóftituit, ratione cuius imperfeGite rdentitacis dieiturjqtantum eft de (6; poffe effe fiáe illas non quidé porentia nathrali, et ad atur rcducibili,(ed logica, quátenus (i cófrderede vtptius'riaciralitee differentia cOHE AVRNNA NI imdénitün perg i ] ci repagnetieffe (ab alia; éó (reonfr retur, vCConiuncrü v i tio implicet (eparari pote ab illa oh tealoch identitatéeqei ptc (xi cób/gsdióde Qq 4' sme «430 Difpu I. De Fniutrfalibus i parti: amborü in tettio, cui identificantur, ità dilerté docet Door 7.Met.q.1 5 cit; n. 20. vbi ait, quod centradt(lio includitur, quod feparetur propter vnitiuam continentiam y dius reddens rationem fübdit, quedam natura in fe non repugnanty C tamen repugnant ofi ten e[fe, vel fatta. Dices, fiextra tertium nó (unt realiter idé ; ergo per vnionemintertio nequeunt fieri idem, quia talis vnio non habet vim tollendi realem corü diftin&ioné,vt patet de materia,& forma, quz etia in cópofito vnitz adhuc inter (c di (tinguuntur realiter. Refp. 9» aliqua poffunt voiri in aliquo terdo dupli citer, vc innuit Do&or 2.d.12, q.2.ad r. grin. velfola vnitate vnionis, vcl etiam, vaitatc identiratistranfcundo nimirum in tcalem identitat£ ipfius, vnio primi gene.£isnótollit diftinétionem realé vnitorü, . quo genere vnionis vniuntur materia ; et in phyfico compofitojin quo etià vnite realiter ab co diftinguuntur, vt lusd demonftramus in Phyf.difp.$.q.13.ar. 1. bené mor vnio fecundi modi,qua quislé genis, et differentia vniunturin compofito Metaphyfico,vndé cá illud cóftituant fcipías illi realiter identificado ;illa qu0q; tealis idétitas in ip(a reddat, qua£cnus qua funt eadem vni tertio, ét inrer | Kc cadem cen(entur, quatenus vnira ineo. 133 Tertio vrget Auería,(i natura geseris diftinguitut à differentia, petendü eft,nam animalitas,que eftjn hominc,(ccüdum ill&entitatem, qua dieitur diftingui à rationalitate,fit à parte rci determi mata; et diftin&a ab animalitatesqua e(t in equo, vcl indifferens, et indiftin&a, lIoc fecundum dici nequit, quia entitas gnimalitatis, quz cft in bomine, non eft snttinfecé entitas animalitatis, quz cfl in aíino,videmus .n. afinum interire, et homincm remanere sm omné fuá encitaté; (i primü;crgo in ca formalitate dicit diffcrentiá determi adcó ab ca M rei Co c includ tiam, pc ftinguitur à differé:ia (ua. bac NER ola epum um, quod folet vrgeri coma Scotittas. :miné,& afinum,quia animalitas hominis,  tati d ;Cendentibus » quibus " rminapté,& diftinguenté;atq; in tnatcría de natura; communi, de qüó etiam multa Lichet. loc. cit, illudq; opti» mé foluit Doétor 7.Mct.loc.cir.vbi quzrens, an natura Sortis realiter: diftin E à natura eae res Me,inquit; quod natara Sortis, ficut differentía numerali circum(cripta,non ma« net vna maxima vnitate in fe, (ed tantum illa vnitate minori, quz eft communis, fic neceft diuifa: ab human:tate Platonis diuifione numerali, nec aliqua ;quia nom fpecifica, ita Do&or; quam etiam refpófioné applicat ibi' naturis genericis, nam circum(criptis differenujs fpecificis nulla remanet effencialis d:ffzrétia inter ho&aliniprzcifis illis fuat-cadementitas, et cíientia, fumcndo ens ter, 66   nominiliter; fed de hocex profedodtcemus in Mct.«nterim vt ben& hanc Sco» tirefípontionem percipias, vide, qum die  ximus difp. ptzced. q.i. art. 2.ad 3. Ad Conf. dicimus genus& differeniamtom  dici proprie difiecétia qnin iquoquid."epis, nifi forte. V N te,dequo in Mex. fed ptopsiédienntur  diuerfa . i. (c totisdiffimilia, &non pet aliquid fui, vc docet Arit.g.Met.lo. Tandemobijcitur, quia Ati, 7. Met.31. air, quod genus nihil eft pracer eas,qua fant generis fpecies,etgn grada. £ art genericuas nihil dicità parte rei lua ciicum, et d fferentialem . Tam quia vi ab(tra&io horü graduü fiat ab mtelic&a linc fi&ione, nó indiget pro f.indamento di (inctione ex natura rei pluriam rcalitatum illis conceptibus correípondenziit., vt Scotus vulr 7. Met.q.19.cic(ed (ufficit diftin&io virtualis& emincntia ci fimplicis entitatis, rationc cuius polea intellc&u partici (ine mendacio in diucrfas fórmalitatesobie£kiuas, vc maior | Scotittarü cócedunt de concepubus tráfs |, ponunt correr | fpondere realitates| integras à parte rei | ncadmitdt rien 6 in Deo, quibut expreísé fauet Scotus ipfe 1.4.8,q.3« pFO | pé inem. Tum demum, quia omaes grav dos Metaphy ici, vc pluciinum fundantut in vna fimplici encitate, vc patet in Ángelis, et accidentibus,quz (unt forma fime i IM » (Mlicts s ergo mon füpponun: diftin&ioné (felis vie fumenrar, concen à | cfficilit compo (i tione, nifi ronis.  Refp.DoGor 7. Met.q.19.& 4d. 11. | «Qe 3 Cc quod au&oritas illa adducitur |. -AruncataaiGn. Arift. quod genus,aut nó eft aliquid prater eas, qua vg pim fpcciessaut fi eft,vt marcria c(t, et fecüda pars difiunctionis efl vera. Ad 2. neg. D -aflumptiüm, ad prob.dicimus non effe ca.. dem rationem de gradibusprzdicamenLIÉ D nibus tranícco contio, is.m. COnccdu peboimicteuaedc up qen! !. la debet correfponderc realitas à parte. fei per ipfosádequate explicata;alioquin |» poneretur compofitio in Deo, vt bené g 5 Doch eir. q. 3. oltédic& Bargius, ac Lichet.ibidem ; gradibus veró przdi. camentalibus correípodere debent tcali» loci. Do&or cic7, Mcc. q.' 19. ac etiam ad; 2 -a«1«ex profeílo; quà di(patitaté in'éc.gracus pr:édicametales,& uranícendé alius declarare muneris eft metaphy 4 fia «Ad 3-licét gradus metaphyfici gene. a&us,& perficiéus;poteft (0 fi$;ac differentia (zepius fundétar 1n vna (Oo coemücace fioplici phytice, prout fimplici . tas excludit copolitioné cx re,& re, illa tf entitas eric muluplex, et con mctaphyficé. fex rcalitate, et tealitate ;yna poténal:;à qua (umaátur genus;altcra -a&uali,à qua füiatur ditferéua, et talem «cüpolitionem habét Aogeli,& accidéiia. 45$: Sed ad maiorem copofitionis me -taphyfice notitiam occafione przcedétis -atgumenci venit hic declarandum axioiaiilud ex: Arift. (amptum 7.& 8. Met. quod genus fumitur à materia, et diffcrentia à forma, non enim videtur verifi«ari pofle in illisrebus,que carent mateIia,& forma, et tamen habent proprium genus,& differentiam, c (iut in przdi&amento,yvt (unt. A ngceli;& accidentia; Gum igitur cfle Toctph pc (umatur ab e(Te phy (ico,.à quo abilrahitur, indagádü eft, an hzc duo principia copofiui mztcaiiiimoper defumi debeant, et abitra partibus phyficis,genus quid& à ma fes et 1d. 5.q.3. 0 teriasdificrentia à forma .. Comunis opi»  yg ; nio eft in.hulla re. senus dcfumi à marcia, et diffcrentiamá torma; (cd vttüg;gvadü k c 3 e A QUIE Decompofulene generis em differ, eet Ir, a8 promi(cué a totanaturá, et catitate ret dcfümi;diuccfimodé tamen concepta.», genus à totacntitate, vt vlterius pciíc€tibili,& determinabili, feu vt cum alijs in aliquo gradu cóuenir;differentiam vctà ab cade totaentitate, vt contrahebte, et determinante, fcu vt áb alijs in aliquo gradu difcrepat, ità Vafq. t. p.difp. 179. cap. 3. Routus q.5. dc ditfer; Sanchez in Log.q.45Aucríaq. 13.fc&t.2. Suarez d. -. 6 lc Ct. 11. Palqualig.tom. 1. Met.difp.6o.. Blanc. di(p.3.(cAt.14. Didac. Complut. et alij paflim;vndé inquiunt illud Arift: dictum non debere intellig: proprié, fed . pet quandam analogiam, et fimilitadiné; et quidem ità loquitur Atift.nam 8. Met. cap.2«ait,sportet boc quidéyvt materia, illud veró,vt formam e[Je;cadé fere verba habet cap. 3. et fic ctià loquit Porph. tates adzquaté, vt facere poffint veram . cap. vlr, genus preterea fimile efl matezompofitionem metapbyicam, vt bene . rie, differenti forma, ES ri ada €, axioma illud fic efse intelligendá, genus : fumi ab co;quod habet ratione materie.t, potenciz, et perfc&ibilis, differenti veró à UP n €0,quod habct rationem aütem vzriufc Iationem fübire tota natura. fub diuerfis &onccptibus, atq; ità à tota illa diuerfilé concepta fumi vterque gradus. 136 Hicth dicendi modus recipiens dus non K. ;cü.n.hucu(q;probatü fit có,ceptibus generis, et difiercug neceffarió te[pondeic debere in cad& natura diítin, &asrealitatcscon(equenter. dicendü eft non fufficere candem naiurà diuerfimodé concepubilem,vt ab ca. fümantur. cóerr genciis,& diffcrentiz fed in caza afi;guari debere diuerías realitates,ynam uidé (uapte natura potentialem;à qua. umatur genus,altcram a&tualcmyà qua.» fug;atur S eENAME quod cflà opus, non fit gcnus, et differentiam (umi spet cx diuctíis pattibus phy ficis, img freqactct (umanuur ab eadcin natura DT., vt in, Aogclis, et accidenubus femper tí lumi, dcbcant cx. diaerfis páttibus metas Phyliegpird docti 'ottor loc.cit, 7. Met. ;9 qc. n dbi ie poumAO gres ep ade bi epe,e quidem T Md yiLrae Anift.7. Meaph. 17, vbi ai arces dcfinitopis ) quis [105 SOUS, PVP Bid) m" 7492 '' Dif.P: De Vuiuerfal.in partici, . ! Cérrefpondere partibus dcfiniti, ergo per ' Arifi.(emper de(umi deben: ex diftinctis partibus definiti,nó phyticis, quia no om  ne definium tiles habet,erzo. metaphyfi cis. Nec poteft dici, quod tátii fundamé taliter ia ve definita huiufmodi partes  metaphyficzcorrefpondeant | partibus "definitionis Quia Arift. ipfam definitum vocat formaliter, et actualiter totumser£0 formaliter, et actualiter habebit pac' Rcs E ry qe ; et cum ex huiufinodi partibus debeat fieti vnum per. fe totum : metaphvficü,neccífe etit, vt vna cealitas habcat róné partis potenrialis à qua futratur tó'eeneris,& alia roné partis ada. C fis qua fumator ratio d:(feréciz, vt docet Arif, 8. Mer. 9.& 7. Met. 42.& 43. et hac rationejnguit Door, dicitar gcnus  fumí à materia, differentia à forma, non quidé proprie, (ed per quandam propor' tionem ad partes compofiti plyyfici. Subdit tamé Do&or loc.cit. interdum in phy ali differentia fumantur à diuerfis partibus M incorporibus animatis cor ' pus;qugd eft zenus;fümitur à corpore. » pro altera parte compofiíti, quod habet rationgm matcri,vt oflendimus in Phyficis difp.2.q.4.at. z.animatum verà. ab iaima;fufilis de Irc re bené difcurrit Pó«iusdifp.4.Los.q.4.At obijcit Auerfa,opus nó effe ge mus fumi (emper ex realitate potétiali, et differentiam ex a&tuali nam vel differen "tig intermedig fam(ütut à formajfeu rea"litate a&uali, et Gc folum genus gencra"liffimum fumetur à materia, feu realita"re eap ; fübalterna autem firmentur et forma, et ira non falüatur sradus potétiales (emper (umi à materia ; vcl famantur à materia, et fic (ola dikfetentia vlti. ma fumetur à fori, et habetur intétü-, quod nó omnis differentia fumitut à realitate a&aali. R efp.oés dificrentias fub"alternas,vt differentiz fant, defui à réa litate actuali,& genera fübalterna, vt fic modo ex hoc; quied differentia conftitutiug generum fübalternorum filmantur forma, feqaatur etiaai ip(amet genera fuübalterna conftituta(umi;quíaanimalv. g.conftituiturexviuentetan quàmcxgenere,&(enfibili,tarquamexdifterentia,viuensfumiturexrealitatcpotentialiiftiusfpeciei fübaltetnzs, (en.fibileexrealitateactualis, exquibusrealitatibusrefultathatcfpeciesfubalternafanimal,quoditerumcumvenitincó-infima fpeciei... hominis cá rationali,animal importat realitatem po«tentialem iftins fpeciei, rationale reali tatem actualem, (ic de fingulis 5 et (ic patet femper differentias omnes fumi cx rcalitate a&uali illius fpeciei, quam conftituunt, fiue (ic infima: fiue fubaltecnay et genera fimiliter ex i ds: ; 138 Poflremó cx módo ià declarato s. quo genus;& differentia cócurrüt ad cá. flitationem compofiti metaphyfici coclu dédam eft contra Murciam q. 4. de fy cic, et Blanc.difp. 3.fec. 12. et alios quc dam, differentiam femper effe perfeébig. ic ua aod conrthir re FR ' ert plut.q. 5. Kuuiusq. 6.&c Paf   " ficis cópofitis cotingere poffe, vt penus vIcdaci p otefí ex Doctore 1.d. 8.9.1.ad es bi do qualig.di(p.6 $ .cuius ratio €et,quod quàádo aliqua duo cómparantti in perfe&ione, pen ndum eft,quzmam illatum perfc&ionum fimpliciter, et abfoluté magis excellat, et ex dit, quod quamuis matcria fit fimplicior «ompofito, tamen quia compofitum eft aGualius matetiaabfoluté dicendum.ett compofitumeffe perfc&ius materías actualitas eft pertc&tio abfolutà à tior fimplicitatey cum igitur ín ptopo(ito differentia séper excedat genusin actua litate, quantamcunquc perte&ioné inueniamus in gencre, tameníemper maioc erit perfectio differentia quia habetima gis de a&ualitate;eft.n. gradus dererminatiuus gcaeris,illudque cflentialiter perficiens. Accedit, quód vt ait Porph. diffe 'rentia cít qua fpecies excedit genus, vciué in pertcétionc;ergo fempcr elt perfe ior illo, noo folü in ratione partis,quia 'eft pars actualis,vz ait Blanc.fed ecià ià tatione entis, quia magis accedit ad actua litatem; et quidem fi (pecies.cxcedim gez nus ín perfectione, vt omnes concedunt; . ctiani A duerfarij ipfi, fane lunc exocísü à (uis principiis habere debet, ex quibas conttituxur,cum:nequcat habere a ge« ncte,vrique habebir à diferencia . ; | Sc ex a STE altioris natu. uda s t femper ipo nebiliores, vt ratiotale refpeétu animalis; quod cleuat ad EAE gradü inteletioi, que tanien ipfum có. ..' finus perfectus reperitür gradus fem .. ghificite naturam (etificiuam abftra&am : (Es ab his defe&ibu.   |   .-139 Refp.argumétü, fi quid habet ro: re  ;j probare don f'olua differéncas fe: y OR  cutdi genetís, (ed etiam fpecies confti.  tüutaó pet eas effe ip(o gencre irhperfe :: ' prater eleuationeiad p oré opta: tatio: : opea: ! tis d (Fereritiadleuat geriüs, et ide. feme .perelft perfectior illo; vride eti Kame in ánitialibus  iniperfettiy: perfe. $ rcpecitur gradus (enciendi, quàm i inpfo gencte, quia in iptisseperitur des: térmitiacus, et (pecificusimgenete icon-fufus,&itideteéminatusab(ltahésà: pet«fecto, &imperfe&toy quodaucemdetecmiríatuecft., atque«diftinétum;perfe:&iuseftindeccrminato,&confulo5.Addias tamen, tjéftó animalia illaumper: Éc&a careat alkjdà opctatione vitali, id. Cit pet accidehs,vt bcne notat Paíqualig.: aima non reperit 1à tali Corporeorgavi teuifita ad. calessopetationes j Quod ni ex defectu operationü va» lecet€ it perfectiorem differen « tiam s'etiüifiargur deberet genus iipecfe&ius, quia de(unt o perauones geuctice alia qumedam argumenti addunc Có. plat.cit. que eodem modo toluuntar,:i Ad €oaplaam nouta liuigs axccdpyLj (000 UI Deep genes e ifie, ats ticfidi ; quàm i genere ipfo animalis (1. ficz.compoficionis (pe&aret etiam re-. folutio illorüi dubiorü, Quomodo in qua libet fpecie pmo et differentia d-fignari, et An entia Canftitur.ua fpeciei debeat effe ei, eiufgsgeneti pro-: t ifitra proptium gradü, vt fe habet / ptia,adeó vc alteri eouenire nequeat fed: irtationiale re(pe&u ei,non$ürno  Opporumiusca tractamus dip. feq«q.:4. biliores,fed vel eque mobiles, quia rion. oceafione declarationis fecunda cegulat. €onflituunt fpeciem liaberit perfe&tior& «| antepca dic.diuerforum generum: &c. operationem fenfiriua, quz gradu: gene" fi$propriaeít,& etiamnónunquá;guo:  ARTTICVLVS IL | biliores, quia conftitaurit (pecicai, que : | habet minusperfe&tü gradum fenuendi: Quomodo differentia diflingudt. effet 2 ipfogenere animalis j vt patet de talpis, tialiter ; vifo yquam,confi iuit y.al. S Olftreis,& ront bad tacdtumnullü;  ais, vbrde mnuiua précifione ' alium fenfum habere vidétur, ergoin his;   ris d differenti; acettam d P uli ' tialem fuperioris, d inferioris &. Orpli.pet quartà definitionc à fe s p Cotreci, et "explicatá ita definit: D ffcrentiam,quod fit id,quo diffevitef fentialiter later fe fingula. w (ingalarfga cies, vel Gngula indiridua vaius fpeciek à ingülis alcerius,. fpecies enim noa dif& fcrunt fecuadumi genus, cum in ipfo.con4 uemattt;fed per proprías differencias ges nas illud jitaque quara etr tini T MUN orones y quod.ctat diltiaguere etfentisljter.wnam fpecicítab alia ; pro cnius déclatationc lig diderenduar eft ;an!Ditferentia i 'in fuo concepus genus, quod diuidit,;& differenti am (ito petiorem cui fubordinatur,vc v.g. nüb rae: tionale includat in (a0 conceptu-animal;! vel fenübile, fi eniminc ladit, non magis» dici poterit ratio diffcrendi:.,.quàm conse ueéniendi;& (icállata defiotco recta non? erit quod ii nón incladit) ccit precise rase tio diffcrendis et üicilludcne veré mue nus dítferenrz,a2 allara definito: bod: et cum hic quz (tione coincjdunralie fub al'jtitul;s propofitzean..(. di n fapalterna per fc pred:ceiuir de iofimazasg. &can genus inclifdanirin differencjs vla timis, et randeman perfe przdicctur de difcrearijs perxgms diuiditur, Nonef& doxé uam ode difligreatia io fenfü aae cectal;,at idinercoproot n: miruin (ignie ficat tac:onatestoe cationalitar € habens., fic cnim éxpiorauun eit includeresges nus; B. E La, 464 ODifpa. IP. De Viiutrfalibul in partie. 5 2 fus, et differentiam fuperiprem illud cófüituentem,fed quz ft :o cft de differentia pró formali, nimirugr fecundum perfe &ioncm illam;(cu gradum,per quem cóftituit hanc;vel illam fpeciem, vt notauit Do&or 1.Poft.q.24.6. 4d queflionem. 141; Tresopinioncs. hic. inaenimus y: duas extremas;& rertià med:á; Prima ex trema eft af&rmatiuayque a(feric differctià infcrioré faciudese Diivéficeks aui lini fubordinarut,ac erià genas ipfüm, quod diuidit,tribuitolet Themiftio, et Nomi nalibus;fcd prafertir quàtü ad inclafiofiém dificrentiarum füperiorum tam tué tr Soncin,2.Met.q. 37. land. 2. Met. 11. Barthol/Spia 7. Met.defenf. 16. Cáce tus c.dc differ. Altera extrema id prorfus fncgat tam de genere, quàm de differentia fuperiori,» inclodatur ip infér:ótibuss&.. efi communis inter Scoriftas,& Thomilas, ita docuit Do&torex ptofeffo 4. d, 11.93. $.:4d rationes, et 1, Ppft.q. 24. et q.9«X 13. Vniuer(. vbi Mautit. et 7. Met.q«17.vbi Ant. And. q« 14. Faber d.. 39.Canon.1. Phy. q« 7 Poricius difp. 7. Log.q« 4. et fequuntur T homitt& paffim Caj:col.laucl. Ferrar. Complus. Sot, Fó-, fec; Tolct.Sacffan.Hutt.Blinc.Didac.Paf qualig.Celettin.& alij omnes; Teruasé-: tcntia media eft Fecentiorum qtorudá inguentiü de duplici genere. differen Ri liud. Candsnct proptii ali€xius generis,fed foteft etiam inalirepe dirij& gcrius quoq; c(fe potcft fine tali dit fctentia& hoc gcnus differéntiararb inquiunt períc et preícindere à perierc,qy «onttahit, et genus qnoque perfc&té prazÉcindcre à diftcrentijs jfalind vetó genus: aiíferentiarum cft; quod eft propritt ali. ; . €uius generis, et &im illo cantum feperitur ;& hoc aiGt &on pevfect? prefcindere à gcncreyneq; écontra genusà differen-. $ijsjita loquitut Auctía q.i 5. 16g. fec. f. ficciam Losup sue opdec. r.diftin, uic de duplici gencre difierentia rü,quidà chim escrabüt rationem genecicá ad diiquá eliam operatione; qua iit extta ge nus,vt atimatuw s que cleuat mixtü ad ationem vitalem, et rationale, quz €«Icuat animal ad operationem intcelicctivà, et has diffcrenias. concedis nó includete rationem gencticam formaliset, ij fi differétia talis fit, vc non refpiciat opes rationesnifi formaliter contentas fub ge. nere ad modum quo vifio materialis et quzdam fenfauo, auditio, olfa&io, &c. : inquit in fentétia noflra admitrente prae: ciftones obie&tiuas omninó cen&dü eífe genus, ac differédias (uperiores in talibus : infcriocibus formaliter imcludi, 141 Dicédüett cum fecunda sécctía ; nec genus in fuo conceptu obie&iuo dif ferenuias formaliter includete,ne3; é có| tra, P pos Pd infcriorem includere faperiorem., Ex quidem quód us non includat diferencias, (ed ome nino in fuo conce pu pracindar ab illis: deducitur ex dictisarr, praeced. vbi dixi« mus genas, S differenciam fumi à diuer; fis teplisanibus ex DAIICA RM E Vt fCde litas,qua refpondet conceptui gencricos " dida eit abea, quz reípondet di Ze rentíali; et probatur cxperientia ipfa a. cnim concipimus animal, vel tüc ; 1 7x menti obuerfanwr rauomalitas,& irratio nalitas, vcl non, non primum; qaia tunc; menti nil aliud obijeitur,quàm fub(tásia |  anjmatá (cnfitiua;ergo sm. aut£eít:   tnum ab alio obiectiué pia inderei.co | nofci fine illo, aux illo noe cognito ; fed. . c pars conclu(ionis (offici proba. tà cfl qi 1, huius di(p-art«4.dub: tbiofté dimus differentias nulle modoadu,  formaliter contineri id. .explicité, nec impliciié fed poteftate folum, 143 Sed e neque contra differentia ipcludar getus, aut differentias luperio» ; rc$,quibus fubordinatut, lt Acid .4« To: picea. et libó.c. 3 -& 4 Mer-10.& fi 115. cap.1.his enim locis dierté docer: geous,; ree e(lentía   ntiarum jn: ex, uitur ; neque ditfetentiam füpee: oen lt de eoicrp He fi .di., fcn(ibile effet de cffentia raionalis,etiam act o de effeotia eiu(dem, ficut cuí inttipfccé conuenit rationaluás, intrin« fecé etiatn conuenit effe homin£;& pro» ; batur rationibus euidétibus ex Scot, loc.; cit: Tumquía. à differentia inferior con. ; tinet (uperiorem effenualiter,& genus,, re d'uidictá fpecies non differtà dif «. crentía, quia in fpecis nihil continciut 1 quid. (000 Q-HIL De precfione generis, acdif dre HT,   ag qe iué preter genus, et diffcrétia. um 2.diffcrenta. fimpliciter cit principium diitinguendi (pecicm, quam confüitu:t, abillis quz (ub eodé genere continentur ;ctgo nequit cíTentialiter includcrc genus, aut differentiam genericam (aper;orem, 2s fi includeret, ficuc eft priocipium diffeceni, effet etiam principium conueniédi cum illis ipfis, à quibus (pcciem diftinguit ; quia includit c(fcntialiter illud ;in quo cóueniüt; Tum 3. ( diit eure debeo bomo efl animal c rationale, eifet vitiofa, quia bis repcteretur genus, &d'fferentia generica fupctior, (emcl quidé per (e loquédo de gene tc, et itcrum,vt inclufum in rationali, tic et fcnlibile bis diceretur (emel in animali,& iterum in rationaliquá fationé addu xit Arif.6. Topic.c.6. Tum 4.fi rationale includit s&(ibile,aut animal adhuc aliquid iu4 addere dcbet (uper illa, rationc cujd "m conf(timiar, et fpecifice diflingmat ab equo; et a(ino, «  quibuscon Wenit in rat MN Umdlitiun et feafibili  &atis,tunc de illo gradu przcifo, quod (ueo praanimal,& rationale addit rat onalc, quzcédum eft,an in eo, vt fic;includatar heu 00, et quidem repugnat. diccre, qp includatar, fi enun cft ali.juid faperadditü animal, et fenfibili, aliquid altud ett praeter illa.ergo &c.Tum f-Quía tunc daretur proce(fus in infinitam, (1 .n. rauonale,& irrationale,vt fic, includunt fenübile;vel animal, in quo conueniunt, per alias different fccerni debebunt, de quibus redit cadein quzilio,ergo dicendum cft differentiam inferiorem ete E Ii mpliciter implicem non refoubilem in vltetiore$ conceptus generis » quod diuidit, et differentiz fuperioris cui (ubordinatur. Tà tàdem quia fi genus, et differentia nó dicunt duos gradus perfcGé przcifos in mente noftra, itavt genus non includatut in cóceptu differét 2, ncque é contra fcquitur, fpeciem nulo modo etle metaphy cé coaipotitá etiam noftrum intell;gendi modum, quia compol1itio cff duirum partium;q uarum vnà non includit aliam, (ed amba in conftituto,qualil cunque fit talis copotitio, in.Ó hoc «ft ue iaGone paras non incl: di in altera,neq;illam iacludere;& hz rationes probant ia vniuer(ümde quocurrque genete differentiarum . 144. Aucrfa cit. fec.ó.gratis concedit. conítitutionem fpeciei ex generc, et diffe récia non femper effe per inodum cópofitionis,fed interdum pcc modum cxplicacionis, qui1 genus, et diíferentia noa (emper fe habent, tanquam dua partes condi(tin&z, quarum vna adda:ur alte. : ri, (cd (c habentnonnunquam permodd conceptus expliciti et impliciterufdem, quatenusf.quod13conceptagenerisimplicite,&indcterminaté con tincbaiur,in concejtu differenu:e poftea explicatur, et determinatur. Scd oppofixü conuiucunt rationes allatz, probant enim differentiam addi geaeri, vt aliquid ab ipfo perfe&té condiftin&lum ; quod adhuc magis declaratur, nam gcuus in fuo conceptu rcipectu diffecenuz (eha-. bet;vt fubic&tum, differentia veró vt fore ma illi aducniens, ergo fecundum ftas ra;t'ones. formales. fcinuicem excludunt, qua fccundü (uas ratioucs formales vna aduenit alteri. Neque dicageuin Aucifay ad id (afficere, quód genus fic explicité extra ditfcrenuiam, c quo ftat, quód ad hoc implicité ipuolaatur intpía. Nam quzrimus, qud intelligatur per hoc, q» genus includitur implicite in ditfereatias. vcl enim tignificatur id, quod cócipiturg quádo differentia cognofcitur, cile realitcr euam genus,Icu cfTc entitatem illam, qua ct.à gcnus includit, et hoc non ett includi amplicice in concept formali dif. ferétz, (cd potius includi in cóceptu ma terialijracióne 1dcafi cationis, no adteqi sm efle przciíum;& fic nonfumus in cafu, quialoquimur de cáccptibus formalibus, et obic&iuisnon de materialibus, ac identicis ; 5i dicar Auer(a includi in ipfa formalitate diffcrenciz,(cd implicite; üc iterua rogamus,an includatur in ipfas v€ cít à patte rci, vci vt eft obictiué inins teliectu, non primiümj quia bic recurrerec ad (enium materialé, et idcuticü ; neque sth, quia fi includitur in. 1pfa sz illud efz fc, quod miclicétui reprlentatur, €rgo   includctar ?n ea ex plicités non autem ime pHEcixé Lolumyquod .n. attingicur à cognie  » tione » am j » 4 h "A. 486 ficne, et per ipfam reprafcnratur, expli€ité dicitur efje in intellectu,u/a per 1psá cognitionem cxplicatur,& expanduur il"]i, (i autem nó includitar inipía sm illud  (Te, quod intelle&tur reprzfentatur, ergo abiolui? non relucer m cóceptuobicpendit ab ipfo genere, necimplieite dici "potett genus in ca inuolti, nifi róne idcnKificaionis, d. habet cü ipfo à parte rei, " d4$ Zeibius 7. Met. q.16. ello «à Do "orcteneat coclufionem, aic ramen eniá "oppofitam parté ; qp (di fferéuia inferior : füperiorci:, ce probabilem, et rauoncs D coris facilier fihoi poísc, vnde ad illan: dc procefiu in :nfinitü ne E confe. cü fit dcuienire ad alicuss ditfcrentiasqua non incladunt alias, et que feipfis dillingauntur, (icut fünr differen tic; quibus diuiditur genus generali! limü Sic ét ac illam rónem, qua cócludebstur, nd differentia effer fpecies;negat conTe |nam iJlud, quod includit ditfetenuá, tcon(t iturumincluditcontlituens,il"ludcftyerafpccies,nonauremillud,quodincluditalindper modwuincontrahencisgcnus, qualiseftd.fferentia,Scdceriénonitafacilefoluuntur rationcs alat, vt putauit Zerbius ; et quidem quantum fj &at ad illà de procctlu in in5n:tum;aduertendü cft Doétoré per ipfam non ab(oluté concludere proccisü dninfinitum,(cd d. Ganctiué,vel quod da&etur talis proceífus in infiattüm, vcl daretur tandein al;qua differentia; que non includcret ptior£, per quod vult concladere ncn clTe de rarionc diffcrerievt (ic, pow; rc gradum fibi camunem cü difcrentia oppofita, atque 1dcó e(ló quod dcnuur d ffctencz fübalterne;non cile de. ratione illac(i ; vt diffcrentz (unt, quod anfctiorcs includant füpeciorcs y fed (olü quód eas fupponant, quatenus fübalter: »in comuni contlituto ; (ed q-ando et o&or per illam rationem abíolucé cócluderet proce(sum in infinitum, adhuc beneargueret, nec ratio foluitur à Zcc-, quia (i ratioüale v. g. et irrauonale "xd vam d f&crentias (üperiores .f. ientiens, viuens, &c. pre aifgnare alias diffccentias, quibus feccrnanur ; de quiDifpui. P. DePwuerf.in paribas tedic cadem qugftio,nec vaquam de.  ueniemus ad (upremas, que feiplis di(tig guamur; in illis namque qua diuidunt cnus generali fimü,cóueniuntrat/onac,&irrationale;nóergoillus,fedaliasdcbetZerbiusa(fignare,perquasiradifunguanur, yc rurf.s ipf non diftinguátur per alias, Accedic écde RE diuiden'bus genus generaliimum redire difücultatem, (i noa de ditfetentia alias fupciiori y (alum de iplo genere, g d:uidont ; nim fi illud íacludunt, rurfas alige   diffcrenuz. affignari debebunt, quibus diffciant, INec etiam benefoluiruüc afia rà:i0, quod d:ra hy »otheti,tunc differen tia c//-t fpecies, Qiia fi femel cóceditur  «i ffcrenuam fupcciorem e(fentalizer in». ciudiin inferiot . ftatim fe itur, gi i Y includatur, vc cóft cuens in fao cól icut nim pidicarum citntiale habet ratiogécoit, tutjui rcípecru ilius; cui efi cOucait,ergo erit yeré (p nil includatuc MIC di 146 Reípondent alij, has. concludere, quia eodem m rent eti tranfcendentia, vt y includi in diffccencjs (uorum t vt cooftabit dilcurrenti per (ing in primis adducere inconuent  | non cft Íoiuere. uve jdncó  uenicns, et eifdem rationibus fuftineri polTe videtar ens non ioca 1 quidditati ué in fuis vltimis differentijs y : modis contrihencibus, immó hzc L tur eflc mens Doctoris expretfa 1. d. 3. quat. 3. $. 4d quaflionem,fed quia hows pücti decifio ad pra (ens nó [pe&tat ; adhuc admil(fa opinione cói de etfenciali inclufios ne entis in vltimis diffecetijs patfion;bus, modi(;; oranibus realibus rerum, dicendü cft, non cl[c tantam neceffitarem ; vt ens excludatur ab illis, licut zenusà fuis differentijs,quia genus,& ditfcrentia faciant cópo(raoncin metaphyficamsergo necellario debct haberc rationem cópartis cum differentia, atque adeó excludi dcbet ab ilia de ratione namq; partis cft, quód non includatur in altcra,ens autem cum fuis concrahentibus coimpotitionem non facit, vt pact in Dco, X bene Do&vr oltcadit 1.3.4.3. ad princ. $ oppofitam 1. obijci folet Ac.it.7: .vE itia doce de si itha differen. 4ia.Primtm, quód in definitione parum is  viae trim differenkia po patur, vel etiám omnes fuperiorcs, quia vltima includit omnes. Secundum quod €]tima differeritia eft tota rei fubftantia j et idcó (i ca ponatur ini definitione; non licere aliam fupertoté addere ; quia comfnitteretur nugatio. Terium;quód ad iriV, PAD ee diuidere fuperioré pet Que cft differentia animalis per diuifum fotmalitet fumptam tibus; &tandem inquitibi Arift. quod filio pedis est quedam pedalitas, qua przdicatio, cum t id abitracto; c(t c[ fentialis, et quidditatiud; : iuk47. (pedet ad hzc omnia Doctor d Atift. ibiaffignat duplicé modü E E k : e: pét fpem dae|.Orünc sdifferentiasVclperproximügeI SENS$vperudebite,&fubdit.dirus,|patamreferre; cseaobra| ..fiesquadatiproximumgenuspo«UoARfüpetióres,quiaomnesh.12temdicit,quódincludanturidiffeétia.vltima, nili in fenfa identico, et materiali. Et cam dicit vltimam diffetencia effe totam fpecici fübftanuiam, ait Doctor id nion effe intelligedum totaliter, (ed completiué, quia complet fübftanuam cei, et dctet minat in vltimo c(fe fpecifico« Tettium vcro quod ait de diuifione fuperiotis diffcréiz per inf: riores, non proprié; et fotmaliter intelligi debet, quali quod differentia (upetior vcre diuidatur per idFetioret Oppolitas;(ed matetialitet)& idé ticé,ratione inn quod cóftituit, ipsü enim propri diuidiwr, non quide ia dit: Ferentias ojpo íitas (ed 1o fpecies per ile las, vnde membra diuidentia, alia [unt in Qua, et in his includitur diuifuat, alra süt pee $6 et in hi$ non iucladicar; cü vec  praedicat ibi (apeciorem differentiam de E 1nfe;iocis!lla prédicatio non eft formalis, et propria yitavt vaa in aliera Fotimaliter üeniendani differétiam vltimam alicuius. tas inferiores oppolita$, vtbipedem, as inferiores oppolitas, s v fion fios pedes habentem,clatum atem eít, qu alitet (um incaditt: in fidguli$ membris dididenQue ITI De preci. generi, acdiferssdenII,  387 includatur ; vnde non dixit abfolute f/ffío efl pedalitas, (ed fiffio efl quadam pedalitas, vbi ly quedam; vt notant pracipué Expofitorcs,dicit improprietatem quan» dam; voloit igitur tátum Philofophus per illum loquédi modii indicareait Doctors filionem pedis effe difterentiam per fe dixi fiuà pedalitatis inse(u explicato, 8c nori per accidens,vt cífe alat et nó alatüe At Coritra hanc expohitionem vrgebisquód Arift.declarans ibi modum definiendis ait non debere dici anima! habens pedesbipes, quid faceret hunc fensü,animal habens pedcs duos habens pedes, fed dcbet dici, animal bipes, quia dicédo bipes s qua ett differentia inferior, dicitur etiam labens pede$,. qua ett füperior. Refp. non dcberc (ic exponi illü textums alioquin fibi cótradiceret, cü dicit ibide y quód licet d: fioire pet primum genus, &c Omncs inferiores differentias, igitur per ]y pedes bxbens, intelligi debet 22aus talem differentiam contticutd, vnde vule dicete Philofophus, quó4 cum tot (pecies animalis pede$ habentis (int, quot difícfentiz. pedum non debct definiti per hgc omnia gencra (übalterna ; v.g. Hoo ett corpus, viuens animal, rationale, quia.» vnumincludiurinalio, Secundó arguitur rationibus;norr poteft cócipi tugibile formaliter,quin for maliter concipiatur fenfibile, et viuens.z ergo ha differentiz fupeciores iacladuntut forinaliter: in illa inferioti, Probatat aliuinptum, quia rugitus Leonis eft formalicet qagdam (cn(atio, et quidà a&us Vitalis, et hoc atgamentum putat efse ine folubile Artíag. in fententia noftra admittente prcilioncs obiectiuas, Refp. tamen facile negando atfumprum cá fua probatione, dificrentia :n. mferior, pratÍertim qua nan cleuat genus ad altiorem gtadum oaturz, non cft Iimpliciter  et adgquaté principium opetationum, qua (unt propriz calis fpeciei, quia hat opee tationes dependent à tora natura, quare« nus impoctat talem effentrá complecam, quare ditferentia infzrior folum ett principium taliu. opcrat.onum,quatenis ta« les (unt, vnde difterentia v.s. tragicus mont addit nouam actionem à emycr di] inAue fH LIED prácf. generis, acdifer-eA   £85) differencijs aliorum generum . Verü-bzc folutiomulusreijcuur ab Auería cit. et te vera non fubütütquia cadem difficul tas fieri poteft ctiá de illo conceptu fub. ftanig, vC eriam comprehendic incom pletisnam et fubftátia, vt fic, diuidi poteíl per fpiritnalem; vt eft anima,& corpotcam, vt alia quelibet forma (übftantialis, re(pe&tu quarum non ita analoga e(Tet,vt excluderet ratióné generis vniuo ci,vt patebit d.7.q. 1 Potius ergo dicédü cft,quód rationale v. g.formaliter loquédo non cft (übflanria,nec accidens, fed ali uid (ubftantiz quatenus eft determinao illius, ncc potelt dici füb(tantia ; nifi realiter, et identicé,vnde etiam;& in cómuni modo loquendi differentiz illius przdicamé:i dicuntur fübítantiales, non autem fübflantig, qua ratione ipfe Awería quofdam modos v.g. fubfiitentia,vnioné materiz,& forma,&c . vocare folet fübítüuialesnon autem fübftantias Quia formaliter fübflantia nó sür, fed ci €ius modificatio ; fic ergo de différentijs 'endam eft edy rieired rion quia -imuoluant tati. formalé (abfátie,fed ; Ema ge cundé ordinempin quo eft ibftantia, et eam determinantes, et contrahentes fab eodé ordinc; fic etiá dicendü crit de differentijs aliorü generüferuara proportione, vnde differentia relationis erunt relatiuz, non formaliter, et cfTentialirerfed identicé tii, et realiter, uia nó funt formaliter relationes, fed ta,. hitates celacionis;verü quidé eft frequenter differentiá cali nomine nücupatri ; «p necceflarió ex vi nominis vidctur eflentialiter includere genus, quod diuidir, vel diffcrentias faperiores, vt eft de longitudinc,latitadine, et profunditate in geneTc quantitatis continuz que necetfarió videntur includere extenfionem, fedid totum euenit ob nominum penuria. Ad Conf. neg. aflnmprum effe vniuerfaliter vcrum, nam et pa(fionem pra (cindimus à proprio fübiccto,& é conuerfo, et tamcn pa(Tio nequitdicidealiofubic&o; valetigitutaffuupiumfolumimillisfotmaJitatibus, qua(uotcomm'ünior:sillis: &quibusprafandunt; Advlt,concedimasinierpeceeitatemincommuniy&Logiéav hanc, et illam in particulari non poffe in« tercederc mutuá przcifioné «quia cóparantur ficut fuperius; et inferius, et licet: fuperius poffit ab inferioti prt(cindi, nó tf contra, quia inferius séper inuoluit: e(lenualiter fuperiusvt ditü eft. q.praeced. art.vlt. dubi r.in folad 1-aliud aüteme cft comparare inferius ad füperius,quod inclodit, aliüd comparare differentiam ad gcnus,quod contrahit, contra&tíouns enim vtiq.prz (cindi poteft à fuperiori, qs contráhit,non ramen inferius; quod fi A« uería loquatur de differentijs rationis quibus cócipitur contrahi cóceptus Ceítatis in communi ad modum cuiu(d& naturz communis, tunc de illis differentijs rationis debemus proportionaliteg loqui,ficut dc realibus, 1$2 Demüobiicitur; tü quia tunc rea litas diffctétig effet omnjnó fimplex, &c purus actus; tum quia tunc differentias vltima eflet faprema, nam differentia fue puse dicitur,quz nullà aliá habet fupra &;quà includat ficut ove illud dicitur nullum aliud habet fupra fe, qe includat,     hec propofitio eft effentialis, et per fe;rationale eft fenfa tiu&yeft anima!, ergo predicatum c(fentialiter includitur.in fübiecto. Re(p.ad 1. i Seer quia cum fit entiam. includit ad coóponédü totü,& participane dü effe Félegis wi eft comune omni ti, vt Scotusdocetquol. 9. M. et imbibit intrin(eccam imperfe&ionemintratio  ne partis ei proueniété;& cadé difficultas fieri poifet de gencre (apremo, quod nà habet cóceptum refolubilé in vlteriorc9 realitates, quar dicendü hos gradus fu ptemü,& infimum, non efle puros actus, quia licét careant cópofitionis ex his me taphytice,non tfi cópofitione cühisquia stt cü alijs cóponibiles . Ad 2«neg,it€ fee quela, quia nó cx eo differétia dicitur fue prema, quia nà habeat fupcrioré, quà ine cludat,fed quia in có (tituto per eà nó fuponit priocé differentiá, cuifübordineturquaté omhis illa dicetur inferior, que prieré fapponit im conftituto cui (ubor" dinatur. À d tunc rationale fu ma tcrialiter,& in fcnfa identico. pro babé te ratiopaliatéjnon auccm, formaliter, ] Rr ojised 4ee. Dipu.. De Voiutrfalibusin pantiés s... $3. Sed dices,(amcdo rationale fora tnalitet vel illa prz dicat ioncssüt pere y; ecl pet accidens, na fecüdi, quia tunc, ex ehitmali,& rationali fieret vnugiper. acci deos,ergo t. Ref; pras dicari per agctdég. ftat dupliciter, vc] per accidons pr dica. amétale, ge, icauir pet áccidés de differentia. ia eft exta ratione illius, bile, vcl pet accidens pradic fus prá primo modo: ] no auté fecundo modo, quia fpe&ant idé ptadicamentü, et ideb ex cis adhac rà vnü per (c. Sed dices iterü, liec iio aétia eft optima in Darapti,omh:s ligmac Ea Gmais homo eft tamoMie odé pepe al (fi$ diajor,& rainot extre tnita£ inclodütur et pradicatar formali. ter,& per fe de medio;ergo in cóclufious inaior etremitas C fenfibili iicladitür ; et przdicatar formaliter, et perfe demi fiori; rat ionali hitet Au&totes, et re(pon(ie eft Scoti 1; Poft.q.25.vt berti notat. Amicquod. ex eirtüte foras (yliogiflice folum extte1hitate$ eniuniur inter (c ir coficlufione b vüiione cardi iri pizasifTi sinen támé " exviciaídemfotma opus eft,quod vaiátur codem rhódo ; ficdt in przmiffis, quod propolittones eandeti habeát pciácitatem; et fic contingere poteft, vc in propofito quod ptzmiflz infenfu fot tuali tint vert;conclofio éctó folim inia 9A materiali; et idebiico : vnde inquit &of loc.cit.lianc (jyllogi(innm nó teiere; lomo «ft per.(c animal ; hlomoeft per fe rationalis;ecgo rarionale e(t pér fe iral; quia licét ex neceffarijs fequatut &óclulfio ricceffarias nà alias po(Tet cx vez fb fequi fal(im;tamé ex per (e nofi (cnirompen quia nó oportet;quod fittahta nio exctemorü ad iiuic&;quari&a Eft cü tettio;fic igitur eti non cft octele ;quod ek prami(lis in s&(u formali &rrificatis inferatut conclifid vcta etiá ip (enfa formali (ed fufficit; quod it fenfu Sidentico;quod miltis$ exemplis derbonfitari potett;prefercim in certia figtica yt '9mne iac cft album', omne lac eft dulce ; rgo aliquod dulce eft album 2»   d rationale eft feni(bis,,4 Refpondent commu.. tetitias cie genericas, et nullas dari (o8 S | Quomodo diffeventia pradice1 tur dep "us. o5 ;» i$4. CEcunda de&nkio yifferentia, gj, 5. MJ fir illaque pridicatur de pluribus diff erentibus [pecie in. quale quid. y traditá eft de diffzrécia jn rationc. yniuet falis,vt de fe.có(tat; nà irn ordinc ad ca., de quibus przdicatur, in ratione vniuerfalis cóftituitur;Supponimus autc hic, gi fer£ omnesdocernit Auctoresca Do& teq.27: Vuiucif. Anc. And. Tar, et alijs. Scoiiftiscorita Caiec;& Sot.indioc cap. Porphiper (ecundao illam definitionem (olum Eotsies dcfin'jtfe tar autem nz; fimas,(ola .n. genct;ca cft illaque prz dicatur de pluribus (pecie differétibus im... qualequid .. Quod autegi ait Caiet.dele   nirionemillam ciam infimis conucnireg quia illis cx praci(a rationg diffcreatiz yt ic, quiz e(t facere differre non at clfc in altis (peciebus,, licet vt. ir ma (o'itelle po(lior in vna Sane pro cet a(ino,quatentís afinus ell:, 1 effe taticualem id tàmeni. rior. repu : ei, quatenus animal ; poa rd M uu bicmodnsdelümindi, quemCaiet. ago     pellat per tion repügagitiárts comuenicns cffet, tuc definitio vniu$fpecici conues hiretalteri ; vt bend. inferunt. Coriplut; ' q. 3. fiquidem. differeritiaconfticuitiua d yniu$ fpeciei non repugadt. alteti ob. rationem cofnmubctm ; et denericam ; (ed Ob rationcm propriam ;& (pecificam ; cü uia fi (pecibicis non tepugnarex predic iw de phi (pecie diferte jadliuc definitio pro eis rmianca foret, quia à etiatn pr&dicantur de pluribus nunizro difterenibut.,..  . 14$. Curamé has folas defiaierit, iod .eft explotatü fatis,quidà eni. dicüt ità eci(Te;quia putánit omnes prorfus difíeCificas proprias vai foli infina (eciet y (gd omncs talcs cífc compo /itas cx uc  AW o | n. Quoi Mfopeel di phi I An bus. ni fingulz gulg alijs fpecicbus etfenc Lose on ee ide propeniioJes dixériit, quod ytiq; differétias vlrimas ugnouit,altim quáti ad 6 eft, (ed (olum d enericas definiuit, tàánquá notiores, X E |qu&riores, Sed quicquid fit de Porph. Be cuiüs mete fint ; qai ve)int, folliciti, cóítabit ek dicedis dilp.fég.d:vlt.omniaó dri débere vlrimas differécias;& fimpliEs,qüz en post de pluribus nà : mero differéntibus in qualeqoid, et ideo : tum y ye a(fignaaerit definitione, in iséccómuné.cólequebter nó defioiuit itam, proüt eft tértiüm prdicabi Ie,vc (icin;coprebénait cà fübalternz, quá -jnfiinam, vt docet Do&or loc. cir. quarc dà eft in hoc art: quomodo definiri flit; ac debeat differetitia tertium przicabile,qua eft commanisycria; et re: fina quorfi conftinyaturin effe vniuer: 1 lis, ah, conttitgatur in effe cali per. or«  &linem ád'fpeci& qaam conft icuit,vt indi  &àt Caiéc Sor. et ToLin hóc cap,& fequi?  Petros, q.3.d« Differart4. an potius dinem ad inferiora illitis [peciet y ve | € olo CEBP» 3 co 76 Katioauré, rate: tiü duo capita cedocatur boc sh dubi,etb quia d quatur, vel quinque cóparati potett diffecehcla.Primo ad genüs cuius eft di£fcrehcia, vr ttionale ad animal, et cer m Eft je baric compatariónem ip elle tértij yniuer(alis nón coltitut, vt nocat Do&or q.19. Vàiget(, ad ttum quia de illo mon |n effenrialiter,zd inere in quac: vnde elt przd'catio quinti vniyer(alis tum quia yniuer(aleconftrtüicur rale per tdinem àd inferius, gedus autem'reípe| (übe ó 65 differétiz potius babet rationein 1 dor. per cg contrahitur, et limicatur Secundo ad alias diferencias inferiores vt cotporeü ad animat, et inanimatum, et ticetiam certum eft ex bac comparationc non conftitui in ratione vniuerfalisquia cum aon includatur in iliis effentizliter ; yt vifam eftart.przc. nequc de effencaliter prazdicariquo tame mo do przdicari debet differentia 1h rációné tertij vniuerfalis; vide qui oppáticot teneni;tt confequencer 'oquácur, depent posae ond füperiorerh 'Te[pe&u ipferiorü babtre tónem cuiufddry vniucrfalis éfsentialis, et (ic (éntit Auerfa q.12.fec. 3. Vbiaici roto rigore bibcre rationem gencris,aut fpeciei, (i fumatur ad moduin per (e ftanus, Ter com parari potett ad propria inferiora yt ratiopale àd hoc, et illud citiodale 5 et nezue fic babere vaiuerfalitatem differentig concedunt o-nues, quia de illis oon pra dicatur in quale, (edmeréinquid,velpermodumper(eftxmtis,vade€tpraedicaturipabflra&o,&vctotacfjentia,vthzcratiópalirase(t rationalitas. Quarta tádem comparari po:gft et a1 fpeciem, quam con(tituit, et cuius eft pars formalis, yt fenciens ad animal, et rationale ad hominem, ác etiá ad inferiora illius fpe Eiel;vc fegrieps ad hominem, et equum ; rationaléad Petrum,& Paulum, et quía refpe&i amborum,tàm f. fjeciel, quai inferiorum ciusfcrüat enndem moduri przdicaodi .f, in qualequid,binc ad ee tancüm duo capira reducitur. difficultas » 14 Dicimus r.differentià teruiü vnis er(afe, quz e& cómunis infime, X fübal rerng, itz definiri debere, ee id, tio T de pluribus in qualequid, ett i loc, cit,q. 27. Vniuerf.ybi eius Ex,'à titotes Mautit. Anglic. Sarnan. Bráfauol. item Ant. And, Tárar. et alij Scoriftg in hoccap.& (quitur Au&or-aliarü Sclio lar b debfetrum Huc. Accag. et Cóplut. et probatur; quia omittédo illà parricul It cje differen: ibs ampliaput defiaitio iravt adzquaté cópreheridar, tà differes tià fubalterna, quà infima, et facilc pof»   fit vnicuique applicari, eta in fpeciead dedo pancdom Jpecieyvel numero d: rentibus. Pet haic etiam definitiope óptimée explicatur effeaca. dilferentig: yt éR vmuerfalis, nam cius edentia in ra tionc ymuer(alis cófi ftit in hoc, qu in pluribus per modd partis formalis | feutiz, hoc autem torum explicatur illam particulam in qualequid, per? hoi eiim, "s id; oftcr yet DD 25 adiongitut fn qu4te ott Partem ford m. nti et qu. iem » quia : [t] iu M pt cati per ipformancis, &akeri c 492 facentis, vc fcequenter di&um e(t ; Po9b ctcepnet ditferencil hoc modo przdi terittaniem in hac defiaitione affige&   care ri,quod tenet locum gencris, et quoddif fit pre(crtim ita praedicari de fpecie, vcl fcrentiz, vt in definitione aliorum vniucríalium feruata proportione, licét.n. diffzrentia materialiter fümpta, et pro prim4 intentione mon iacladat genus, et diffcrencá fed (ic forma limplex; fecuadó tamen intencionalitet capta, et quatemus e(t certium vniuerfale, con(tac. ex genere, et ditferentia, inqaantum concipitut, vt fpecies quedam vmucr(ilis in communi;in hoc reo o irit -" iodaliquam po c ingerere difM isi: modusifte przdicand i» qualequid., nam videtar modus predicand. impo((fibil s,& tibi repugnans, prz dicar! .n. in quid eft przdicari, vt quid eflentiale, et quiddiratiué, przdicare in quale cft przdicari, vt quid extra cílen tiam, deno;ninatiué, at iflz ritiopes funt inuicem incompoffibiles, ergo &c. Conf.quia difp. przced.4. $.1de» n.ga«imas defiaiionem coníticuece vnum vniuerfalcà caeeris dittinstü, qu'a przdicatur i» quale quid, nun ratione. gecris przdicatur ia qutd, rinone d.fferéti przdicatur in qua!e,atque ita nó habet vnum przdicandi modum, (ed.dajliccm crgo idem crit in propoüto de dif Écrentia dicendam . ' 158 Pa(qualig.1.p.fuz Mer.d.5 o. fec. .vt hàc foluat d: fficultaten, cócedit rcí eiufdem noo poiic idcm cffc. prz'dicatü in quid, et in quale ncque refpeeiuídem id conuenire d.Iferenriz, nà Kc habct vc przdicatuinin quid. refjcctu fpecici cum fit pars effencialis ipiius, et eft icatum in quale refpedtu genc&i5, quia eft extra quidditatem illius, et Mlli adiacet, et quia mediante gencre cciá fhoc modo,. p modii adiacécis przedica€ur de fpecie,.& cius infertocib is,ideó ada'quatus modus predicádi eius d.ciiur is qualequid. Hec folutio aliquid cócinet ve titatis (ed (1 melius nó exphcetur nó (ufGcitnà re(pectu ciutdé debet differentia 'exercece hüc puedicàdimodü,& prziccti inordine ad fpecié,aut inferiora cius, 'pe&tu quor(ü cótlituitur in eíic vniucr alis;hoc igitur explicádü cft, quomodo Difp.V. De Psiuef-in pati.  reípcétu eiu(dem, et qnomodo po(cius inferioribus, quibustamcn certum ett non ad'acere,(ed potius uxciro te e(fcarialiteciaclad: ; Hoc a utem por explicari cx&»1o có,ouci phyfici; fi .n foc ma cÓpare ur cü matctia,vt'queett om. nin extra etfenciá eius, ac mccé illi ada. cet,li verà comparetur cü có »oliro (a nà eít ex. ca eius efséc à, adhu: ramé dicis tur illi adiacerz, quia ad acecvnriote dle   lias, quod euá fudct có.mun's loqnendi: modus, animam .n. 'oleinus dicere formambhominis, etiamfi re vera fit foraa folus natcetize, fiuc corporis pro altera parte com»otiti5 lic is;tur eftia asp fito metaphyfico, d ffcrenaa, eramt dc iliius e(f.n' ia, adhi cam i dici porc ritilli adiacerg, q2tenus idiacer. alietà eiuscomparti, et fic poterit deapfo ib quale uid praedicans ; (0:quid » uatenug   ett intra cius elfzntiam; in quale 9 quotes   nus ci adiacer ràuione. alterius. com. tis; rato lii us ed, quja ad veciratem pres   dica'ionis, ncdum tcqu ritur, quod pe ipfam explicetuc praedicacum im fa bie&o,tcd edam «cod. sjquo ipfi mfit. 1$9. Ex hoc au 6 bene deducitur,quok modoh. duo modi prz -anji nonfint  incom,offibiles ref»cétuemídem, quia  non codem inodo pradicuur di e Ta   in 4uale dc genere, et de (pecie, de geacreen' m propr €, lecuadum rem piuedicatur in uale, qu'a re vera cft extra cius etfenriam, at de (pecie y et eius infe» tioribus przdicatur in. quale tagcum fe» td im modum, quatenus per terminum adiedtiuum. üignificatur. adiacece alt eius coaiparti ; vnde concludit. Do&ot q.28. Vmuer(.(ub fisem in diff-rentia, vt pradicatur de lpecie, rationes predicare diin quid, et in quale non cilc oppofi tas, uia pradicaci 10 qu d (ecüdum rem, et inquale (ecundum rem, vtique oppo nonurat przdicari in quid fecudü rem y in quale veró tancum fccandum 1 non vtique opponuntur, licor plurale» et tingulare non opponauatur, fà iilud (umatur,vt quid, hoc veró, vt modus, Ec cum diccbaiuc, quód przdicari in quale ct. pezdiZEE pradicari denominatiué,quod oppo nituic icationi effentiali, rcfpodet pcr ide, quod praedicari in quale sm rem boc eft án quale accidentale, vique opponitur redicationi eísétial& e(l propr:é preLen denominatiua, non tomen pradicari in quale fecundum modum tantum, modus enim przdicandi in quale poteft etiam conucnire focmz fpecificz, in quo fenfu Arift. eriam appellat $« Met. cap. de quali; et 5. Phyf.18. qualitatem cfsentialem, vt norat Do&tor ibidem, ncc tamen con(tituit praedicationé denominatiuam,nifi fecundà modum,;quatenus nomine adietiuo (igni ficatur ; (ed quomodo concretis etiam fubftantialibus, dum nomine adicctiuo fignificátur, ratio dcpominatiuorü conucnirc poflit, e xplicui|, mus ex iplomct Doctore diíp.a.q.6.ar,t. Y -. 160 Ad Conf.neg. paritas,idcó .n.ex«lufimus (upra dcfinitionem à numero (0 gradicabiliu, quia cüexplicité conuneat «genus cesa i8 illas partes importet etiam quoad habitudinem, quá ba nter Íe,vt .f.vna habet modu infor E abet modum predicandi duplicis vni uctíalis .f; inquid ratione is, et in quale quid ratione dfíctentiz, at.differétia non pra dícatur, nili per vnieum tctminui perfe&é in qui d;nec perfe&e in quale przdicatur, fed fimul vtroq; modo iadiuifibiliter, et ideo vnü conítituit przdicabile à caeteris diftinctum. 161 Dicimus a. Differentiam noncóftitui inratione vniuerfalis per ordiné ad fpeciem;quá conftituit, fed per ocdinem ad inferiora fpeciei. Conclufio e(t communis Scoti, et Scotiftarum loc. cit. qui differentiam definicrunt in ratione pradicabilis, non per pradicari de fpecie; q coni ituit, (ed per predicari dc pluribus inferioribus, quod cà fccit Porph. ipfe, et ideó eam (cquuniur lk ecenuores omncs Sàchez, Onna, Ruuius, Didac. Aucr fa, Complut. Aciag. Paíqualig. Morif. Fuent. et alij pailim, et probacur euidéti ratione, quia refpectu fpeciei; quà confiuit,diiferétia nó cft (uperior,Ied ome nino aqualis, (cd quale non ett vniucra fale reípeétu zqualis,folum crgo eris vni» Logica L itis, et alia modü (ubiifléis, hinc eft, Q. III. Quomodo liffer.prad.deplirib.ety.IV..495ueríalisinordineadinfriorafecic,refpe &uquortihabetróneinfuperioris. Ualequid przedicabilis, Prob«min.tüqaüpcriusnoconuertiturcüinferioriin(abfitendiconfeq.exl'oftprzdic.cap.depriori,benétamenz qualecüqualitumquiafüperius córraluturadipferius,atzqualegócontrahitucabaquali; necdifferentiacótrahituràfpecie; cumquiaPorph.cap.de(pecie propéfinemdi (eriédiftinguirprgdicationemzqualisde, zqualiàprzdicatione fuperiorisd einferioridicens, namautpariadepáribus, vtbinnibiledeequosautmaiora de minoribus prsdicentur,oportet,vbi per predicatios nem maiori de minoribus vt1q intelligit p-adicationem vniucrfalium de inferiori" bus X illa appellat maiora; hzc minora quia illa latius patent iftis.  Conficm.quia vniuetfale, vt (ic conftituitur per ordiné ad multa; fed fpecies yt fic importat tantum naturam effentíaliter vnam, et plurilicas folum habetur. ab ipfius inferiorie bus, ergo folum inordine ad illa con(titui po:e(t in ratione vniuerfalis . 161 Nec valct illa re(poníio, quz hic affetti folet,fpeciem nimicü habere fuam virtualé pluralitatem, quatenuscontinct fab fe inferiora ; idcoq; przedicationé de fpecie zquiualere pluribus przdicationie bas de indía:dais,(1 eft vltima. Nam cons trà eft, g vniuer(ale conftituitur pet ocdiné ad inferiora plura forma!iter,in quie bus nimirum fit a&u maltiplicatum ; vcl maliplicabile  vndé refpicit fimpliciter ulta; fed indiuidua, prout cótinentur in fpecic,non funt fimpliciter multa, fed po uus fimpliciter vnum, vt dicebat Porph. participatione fpeciei plures bomines fuit »nus bomo. Conf.quia fpecificatiuíi aliéuins debet participare formaliter ró nem illam,sin quà fpecificat,vndé ad fp& cificandam vifjinam potentiam requiritur Obicétü, quod fit formaliter coloratum et non viraliter tancü;íed mulcitudo € terminus (pecificatiuus vniucr(aliaatis, cf go debet etíc formaliter talis, et nó virtua liter tancüm,. Tandem ex €o, quod fpe« ics fic virtualiter mulca »ad fummum fequi poteít quod diftzrencia re(pcóka eius -fitj quoqj virtualiter b curs non tà. r j men we 494 hen formaliter ; et a&ualiter, quia quas lis e& mukirudo,talise(t vniverfalitas ipfam tcfpicieos, neq; fpccificatiunm potef fpccificare vltra fuam virtutem. 164 Scd Contra obijciunt, quia natuta cóftituitur vninerfalis in ordinc ad ea y de quibus primó,& immediate prdicatur,(ed differentia primario, et immediaté przdicacür de ipfa fpecie, et mediante fyccie de infcrioribus ergó &c. Ti z.quia diffcrentia przdicatar de fpecie, et non vt fingolate, crgo vceniuerfale; Tum 3. quia codem gcnere pradicationis differcntia przdicatur de fpecie, et inferioribus eius, fi igitur przdicatur tanquá eni"ier(ale, Gc etiam à ipfa fpccie « Tutn 4. qnia prafertim refpectu fpeciei exercet differentia propri& praedicandi modum in quole quid, imó pottori tationeyquam teípe&u infcrioruthsin ordine ad quz potius abet rationem partis materialis, q formaliss quia ad illa arulca contrahitur per alias peculiates vationcs dcterminarr"xesipfam. Tum tabdem quia dantur qaozdam differénti&qu non adzquantar c á vna fpecie, fed corincniunt pluribus, vt €fic contifiuum, quod ncdum reperitur in quantitate permanenti, fcd etiam iu fücccffiaa, ergo datvraliqua differentia; 4o tcípeétu fpccierüm de pluribtts prie dliccur, atqae adeó fic vniucifalis.3464 Rclb,noteíse omninà ceriü,num «Sniverfale debeat n: ectlarió pradieart de iploríbus ithmed até, et Tarar«c. de proprio id negat,gcnas.n. € iam tefpeQta in« Wioicuerü Iuam retinet vmaetfalitatem, de quibus tf nó niti mediaté pre dicatur; «j&0 cti dito dicimus vlterius, nor quá€ung5 predicationem immediatam cóttittuere vhiuerlalitace, fed illam tatiiü, qua «ft fuperioris dc inferiori, quod non ha. bet differentia in ordirie ad. (peciem, fed tant inordinead inferiora eius ; et ideó quamois Petrus; et Paulus tiit rationales, :quia (ant homines,tamcn rónale nom ctt wnjuetlale quia refpicit hominé,fed quia are(picir Peirit& Paülum, vfidé vt notarit C oplat.hic cuo valde diucría (ont quod Peuo eonueniac cffe rationalem, quia itl homo,&q»odirationalicopueniatfecundaintentioyauct(alis, quia tcfp:eit c E 1 Box" 2L dh T" Difput. V. De Vniuerfalibus im partic. horinem ; prímum eft verum;at fecundi eft pror(us falíam, vide aliam folutionemt apud Tata. cit. hic applicabilemi. Ad 2. dicimus, quod ptzdicatur, vt vniuerfalis, non formaliter, et reduplicatiué, (ed matetialiter ; et fpecificatiue, vt fenfus fity differentia, quz przdicatur de fpecie;cft vniuerfalis, non támen refpectu illius,fed refpe&u faorum inferiorü, Gicat fpecies (ubijcibilis generi comparata cft vniters falis materialiter folam.i. nou per talem comparationem, vnde pratdicatio ifta us borno efl vationalis,nà tit alicuius prate dicabilis, vel (aperioris de fuo inferioris (cd erit prdicati topici de fubiecto cós muni, cum qug reciprocatur, ficut, et iT« la, bomo eft rifibilis s vndé à quibüldana appellantat prdicationes tertij; et quar« ti przdicati non autem przdicabilis, Ad 3. verum cft affumptumi, quatenus de (pecie ; quàm inferiortbuseii catur, vt diff-renitia,& inqraeqa füb cadem habitudine, qnia de prz dicatur, vt acquále, de atq vtró, vt füperias de inferiori re vcra tám refpecta fjeciei ; tiorant eius diftcrentia dicitur. nialis eorum ; £al(am.m. eft. diífei fuperiorcs dinidi ; et contrahi pe riore$ ad modurn partis materi. id vérit:catur tantum coricou identicé ratione gencris y q tuünt, vt fatis liquecex e m t idcó tam refpe&u fpecieisquám inferias r(t cius (emper préd:catut in qle quid s vt declatauimos concl. praeced. ramen.a " folum iti otdine ad indiuidua conft uiis. multa,. qaare licétin ordiaead fpe habcat fufficientem modum;praui yriucrfalis,nom camen habet fufficientent tctannuni vniuerfalitati$ ; qua requirit fnulta infetiora pro termino « Ad s. cori ccdit ob. id Áuerfa «f 1 1. (e&t. 3. aliquas diffetentias,qua fint vaiuct(ales re(pe&ta Toss fed quia d.fp. feq.q« vlt tiegamus oluté tale$ differentias itotiMa$ y quz poffint in pluribus reperiri. (peciebus, idcó tiegatut a(samptum; ad curas probat. ibi dicemus 16$ Quaces an Dificsoiaiómai tur inede vniuer(alis, quia relpicitilla;ve . » ie 3 «andi y ""Lu, fubaltetna fpecie differát in ratione predicabilisitavr duo yoiuerfalia cóftituát, ficut genus, fpecies. Auerfa q.12. (cd. 12.quem hic fequitur Pócius,afficmati né refpondet, et cius fundamentum ctt, quia intátum fpecies eft cora effentia, et s pars, inquantum fpeciei, adduntur . vitem AG (pg nó (unt gra. dus cülentiales, generi vero adduntur d f fecentiz [pccificz qua (unt gradus e(se£ialcs;fcd codem modo penitus (c babéc differenria infima,& (übalterna comparata ad inferiora » quia differentia ubal. zerng adduntur aliz differentiz, quz sut us e(leniiales, infimz verà adduntur aliz, quz non funt e(fentiales, ergo tantà diuerfirarem babent in ratione. vniuccíalis differentia generica, et (peci&ca,quàram habent genus,& (pecics . Nihilominus cum Scoto przdi&a q. 27 quem alij paffim (equuntat, ncgaunéelt refpondendum, et probatur, tum. quia tunc. fex foren; przdicabilia ; tum, quia de tariope differenti » vcett terriü e abile A irs prdicnri deis qnalequid S per hoc diftingaj: ir à ceteris vniner(alibus, (ed hoc viia i€ d ffcrentie conucnit,ergo &c. Tum. adcin, quia gcnus, et fpecies:deó a przdicabilia conltituebant, quia vnuin pta: d cat toram effe ntiam j et alterumis partem efIcntia, fed differentia, fiue fit anfima;fiue (ubalterna, femper pradicat partcm cífeatim, et ad boc omainó peraccidés cft, quód przdicauo fiac de multis f, dg. num. differ. ergo &c. dice undamé:ü ver doce nó fub. tncgatur .n. paritas affampta in minori,quia ex hocquód Me infime addantur aliz ditferentiz, quz non fant gradus e(lenuales,noa fequitur, quód diCat totá c[5étià indiuiduorü, ficut (cquiIUucex €o, q addütur fpeciei fpecialitfinz,& ro cít,quia (pccies infima sép diCit;cóceptü cópletü,(cd differentia ícaPer incompletum, etiam fit infima, . Atinítab $,ditferézia infima pradica-. tur d ibus in qualequid coipleté., et (gbalterna in qualcquid incomplet 65 crgo funt diier(a, prz dicabilia, licut. ccnus, et fpecies, Prob.alumptü, quia d fo;aino d [Lin juic c(.nfereada | Q.III. Quomodo differ-pradic. da plutib.ceee.I7.  tialiter (ud conflitutum à quocunque 9 n00 cít ip(un,quod non (acit dit rerenzia fubalterna,quia in ratiooe (en(ibils v. g. homo conuenit cu.a e juo hac vica rarione teftatuc Hartad. dil» 6. fec. 4. €i no nunquam placuiffe appofitam opinione. Rclponfio tamen facilis eft, op diffcre tiam infimà przdicari de plurib. in qualequid comp!cté poteft dupliciter intel« ligi, vel quia dicat rxtam eísétiam illorü plurinm, et tic fallo ctt adumptli, quia omnes dilfecentize fant conceptus incom pleti, nec mag:s complet rar-opale hominem, quàm f;nb le animals vel quia có». fticaicillamula adzquaé difiaiilia ab. omaibas indiu:duis cuiufcü jue. alcecius (peciei, izavc per eam excludatur. oinois ratio conueaiendi, et ita vcrum cft antecedeos, (ed Neg. coníeq. quia facere diffectrecompleté; et adzquaté in hoc. fcnfu non ett dicere conceprum rci completum;quia bic integratur ex rationc có, ucuiendi, et rationc vitima difterendi fed cft dicere conceptum incompletum yltimum, vtbenenotatHutt...DeProprio.167P2:traGauonéde Vniuetíali:busefsétialibusadvniucríaliaaccidétaliade fcédimus,quesc Propriü,SAccidés; &quiapropriiimaior&habeta£finitai£cumeffentiarei, quiaccidéscómune,vtpotéquod1mmediatéfluitabc3. ciieaeflrealiteride;ideópriusdeProprioagimus; quàde Accidéce; poteitaut&, vt hic omnes notàthocnomé propriumdupliciter fuinipoimó vt opponiz, ur improprio, et dicitur illud quod pro prié X abfque vlla metaphora rei conuenit;fecundo vt opponitur comuni, et tic! fignificat illud quod ita couenit ym rei y; vt alijs cópetere nó poffit et hocmo dcfinitio dici olet propria dcén;toydiffe 1éia dicitur propria fpecici,d calLituits,. vt racionilitas bominis, et deni; pallio. dicuar propria nature, à qoa dimanat,vt. riliblitas hominis, vctfi quia pio duo, pra licata cifentialia habent propria ng». mina, quibus 1 centur nani vnuni i. citur defioiuoyatetuln diff ct enda » bine factu cf,vt nomen próprij apprapriehr o4 rur A" «t 496 tur folum]przdicato extra e(lentiam, nece(Tarib tamen, et conucrtibiliter conucnicnti naturz quam in(cquitur, vt efl ri» fibil'tas in homine; et de l'roprio in hoc enía proponitur quzftio, fed quia rurfus potcft dupliciter capi, vel pro ipfi proptictatc ceal:, quz cealitet fluit ab cf fentia,& cüeffentia reciprocatur, vt eft rifibilitas qua ab hamanitate dimanat, vcl pro cadem affe&a iant vniuer(alitate logica in ordinc ad [peciem, et indiuidua eius ; hic agemus de Proprio ts vtcoque fenfu,quamuis.n. primo modo potius ad Metaphyicum [jedtet, tamen abs re non erit aliqua de ipío,etiam pro prima intctione,di(ferere,quia eius natura c xplicata conftabit magis quale fundamentà exigat vniuerfalitas quarti przdicabilis, quà hic explanare intédimus;itaque duobus articulis rem expediemus, in primo tractádo de proprio inratione proprij, feu pro natura rcali,inaltero de vniuet(alitate, », qua (üpcr cam fundari potett, Mgitur de "Proprio in ratione proprij jew pro natura reali, prafertim de diflinB tone ipfius à fubieclo . 168 MS diíputari folét de.,pprio in rónc proprij, nos hic quz magis neceffaria süt.& ad recta intelirgé tià vniucr(alitatis erus magis códucut,lteligemus;alia ad Meraph.dimittentes. Primo itaque dubitari folet, an ró formalis Proprij vt propriü eft, (it realis,vel rationis. Didacus à Icfu di(p.9. dub.3.cxi ftimat rationem formalé omnis proprietatis realis non in indiuiduo, fed in fpecie effe rationis, et sif intentionem, idque probat tali ratione, a qua fe conuinci fate tur.à parte rcifolum datar hzc, illa rifibilitas laens ab hoc, et illo homine,nó tfi rifibilitas in cómuni flués ab homine in cómuni, hzc.n. folum datur per intcl. le&ü abitcahenté proprietaté à differétijs indiuidualibas, fimiliterque effentià, aqua dimanát ergo licet dimanatio proprictatis in indiuiduo, ciufue cü indiui. duo adz uatio (itrealis, no tà emanatio proprietatis in fpecic;eiufq ;adaquatto cü entia in fpecie crit realis, (cd rationis, Difput. V. De Voiuerf. inpartic 2" Scd certé (i hzc ratio valeret, nonfo lum probaret rationem formalem omnis proprictatis realis effe rationis, (ed etiam rationem formalec cuiu(cunque natut£,humanitatis,equinitatis,& c. uia necà parte rci dantut harucz commus nes extraindiuidua, vt diximus di(pur, przced. Porius ergo dicendum eft, quód licét in entibus rationis proptictates illis corrcí podentes (int rationis, t naturis realibus proprig pa(Tiones debét corres fpondere reales, quarü formalisratio fit realisstü quia paífTio debet. proportionari fubiecto,(abie&tü aüt páffionü c(t naturajnó indiaiduü, (ubiGtd.[ primü,& ade quatumyergo fi natííra ett realis,proptiee tas quoquc, ac cius formalis tatio, cílc tealis,tü quia indiuidua realia debét [üb fpecie reali contineri ; fed hec rifibilitas, et illa (unt indiutdua realia rifibili(atis incommuni, ecgo et ipfarifibili« tas in communi debet cfTe realis ea reali tate,quz tribui folct ceteris naturis entirealium;tamenvcrumeft, qceTat.cap.prafenti, proprium:rationeproprijfundarepot Tefecurintétionemdiueríamabea, quaminrationevniuetfalis.M169Secüdoquaritur, quomodo Pro» priü ip róne proprij firglefiniédü. Refp, illud ab Aritt.definici t, Top.cap. 4, hoc modo, Proprium cfly9 non indicatiquid reisfoli autem inc[l, ci conuerfim pradicatur,quz (ane definitio datur de propriofüb ratione propt:j,non fub ratione vniuet(alis, vt notat Tatar. quia dcfinit per ordinem ad vnum folum, et per przdcati conuertibiliter,qua duo repugná vniuctíali ex dictis art, vlt.q. prac. et licét Do&or q.5 1. Vniuetf. in corp. dicat definitionem, quam tradidit. Porph-de proprio füb ratione vniueríalis, coincidere cum ifta Philofophi, noa debet intelligi formaliter;fed materialiter tantü, quatenus definitio l'orph. &equiualet illi, velillà infert ; vt Bralau.noauit ibidem. Cum ait proprium nó indicare quid rei intelligendum cftà priori ; quia à pofteriori bene indicare. poteft iuxta illad 2. de Anim.: r.accidentia magnam partem confcrant ad cognitionem (ubftantiz et ü "per  E im pet hoc ignificare voluit, proprium non et iecur intra effentiam;quia 5 tunc illam indicaret à priori, fed extra » effentiam ; addit veró foli antem incfi, quia proprium füb ratione proprij opponitur communi, et ideó ficut commune dicit relationem comrmunicatiui;feu conuenientiz ad multa, ita proprium dicit relationem conaenientig ad. vnum cum exclufione communicacionis ad extrancum,addit tandem, c conuerfim predi catur, vt per hoc fignificaret neceflariá, et mutuam conncxionem, quz incer fu"bie&um, et cius paffioné intetcedit, ratione quius (einuicem inferunt in fübfifiendí con(equenua, (i e(t homo,eft rifibile,& et contra; quod probat Ariít, dicens,nemo .n. proprium dicit quod contingit alij ine[Jey vt bomini dormire,neue ft forfitan per aliquod tempus ineft foii, pet quod fignificat proprium debe. re inefle foli, et temper, vt poftea magis | explicuit Porph.c.de prop. Ex quo colligitut tres conditiones rcquiri, vt aliquod predicatum dicatur proprtü, Mes cit, . qp non fit ptedicatum intra etlentiam;fecunda,cy conueniat foli, quia fà alteri nature conuentret iam non effct áccidens proprium;(ed commune; tertia demum, qp» neceffariam babeat cum fübieé&o connexionem, ita quod vbicunque talis ves inuenitur, et quandocunque;habcat (cmr anncXam talem proprietatem ex intrinfeca illias cxigentia, ac indigentia. s et dcficience aliqua ex his conditionibus, non;datur fimpliciter proprium, ncc intcgré, vt ibi ait Arift.quia non habet oés conditioncs ad ipfum effentialiter requifixas ; quanta autem fit neccílitas iftius connexionis diceinus poftea. 170 Sed dices,calor e(t propriü ignis, et tamé cóuenit alijs et rifibilitas ett pro prium Petri, et tamen non conuertitur eum ipfo, ergo particulz definitionis non bené a(fignamtur ; przícrrim etiam quia vna illaram fapertluit, nam fi conuertim przdicatur,íam inclt foli. Refp. concede do ca de caufa caloré non polle dici proiieri uai toto rigorc, quia non conuenit foli : cam autem dicitur proprium deb.re conuerti cum (uo fubicéto jid dcUPS Quafl.IV.. De Proprio inratione proprij-eAri.T. 497 bet intclligi de fubie&to adzquato,& pei mi, quia nonc(t neccíle, vt proprium couerratur cü inferioribus (ui (übiccli primo,quia ipfa fant fübicéta tantum fecun daria,& inada'quata,cacioné,n.praprij » vt ditinguitur à communi, totu habec in ordinc ad elfentiam, à qua immcediaté fluit,ná in ordine ad inferiora talis cse tie potius habet comunitaté,quá rationé proprij oppoliram communi igitur de rá tionc rifibils, quatenus proprium eft à communi códiftin&um; cft, qubd couertatur cum homine eius adzquato (ubie&o,non cum Petro,v:] Paulo ; Demum nulla particula eft faperflua, quia conticetibiliter przdicari non ponituc, vt fignificetur conuenire illi (oli, quia hoc per an . teriorem particulam explicatum erat, (ed ponitur ad tignifi candam necctlariam, et muruüam connexionemyquam dcbet pto ptium babere cü lubie&o, vt diximus, na ridere conuenit [oli homini,fcd quia nog habet cum eo cónexionem neceílariam 5 non e(t (impliciter proprium, 171. Tertió queritur,quodoá fit Propriü, q» hac definitione detinitur; pro quo recolenda eft illa quadraplex acceptio proptij, quam r. p.[nft.tradidimus cum | Porph.& Arift.nà propriü primo modo etat rp conuenit foli on tamen omni, vt homini effe Medicam ; fecundo modo ; quod conuenit omni ;fed non foli, vt homini e(le bipedem ;tertio modo !, quod conuenit omni,(oli, (ed non femper, vt homini cancfcete ; quarto modo, quod conuenit omni foli, et femper, vt homini effe ritbile ; quzritut ergo, nur proprium ex his modis fit hic definit Arriaga di(p.8. Log.(ect.2.inquit ea 2» accidentia, qua foli alicui fpeciei conueniunt; ctíi non femperilli conuemiant, vo canda c(le propria ab(oluté, quia in coms muni modo loquendi ridere dicitur proprium hominis,item dijcurrere,ctli non femper conueniat homini., item quando Peirus v. g. habet phra(im ali uam, aut modum (pccialem loquendi, vel inceden di,quo nullus alius vritur, illa phrafis. dicitur propria Petri, ec£ nontemper. Pee trus illa vtacar,id probat Arriag.ex ira Cic. 1« Top» caps 4» vbi folum ercusit à B8B.  Dipu.IP. De Vuinrfaliusin pari,   fatione proprij id, quod alijs conuenire poteft illis verbis,nemo proprium alien. aus vei di xerit. quod aljs coguenire po! tefl quare conclüdit proprium in fecunda cum acceptione excludi debere à ratione proprij rjgorosé (umpti,quia in illa acceptione tantum víurpatar pro eo, quod aon conuenit oli sd etiam alijs; at9;ideó illud folum ab bac excludi detinitione, cetera ver. incladi, 172 Vei cómunis opinio cft; propriü rigorosé fumjtum efTe tantum proprium quatto modoó;atq, adeo illad tantum pec cam definitionem explicari, ità fignificat Scot. 3 1. Vniuerf. et eft expreifaz us mens Arifl.& Porph. cit. et probatur, quia przdiétz trcs condition-s ad rigo. rofampropriü requifitze folum inaepiuatur in proprio quarto modo, proprijs au tem al:orum modorum (emper deficit ali qua illatum; nam ptoprifi primi modi cóuenit folis(ed non femper (omittimus di€cte,q non conuenit omni,vt ait Porph. quia hzc códicio couenit proprio in rationc vniucr(alis, in quo fen(u de ipfo loquebatur Porph. nó auté inratione proprij,vt nos hic de co loquimuc)ratio cft, adgucit au&otitatem ; non enim negat: AUTt.rantum e(Te veré proprium, g» alijg conuenire poté(t, (cd etiam illud ; quà4. licét foli conueniat, tamen noa conuenit femper, lic namq: loquitur Nemo enin proprium dicit, quod contingit alij inefJe,neque fi fov(itam per aliquad tempus inefl [oli ; vnde altos modos appellac ibi. Aritl.non limplicitet propria ; fed aliando, vel ad aliquid, nam ex dextrig quidem e(je aliquando proprium efl, bi. pes autem ad aliquid proprium eil. i. te« (pe&u alterius,cui nonconuenit,yade. 2 fubdit ibi b:ipedem cfle proprium homi«nis,non fimpliciter, et abfoluté fed comparatiu£ ad quadrupedia » quate conclus dimus, ridere non ede in rigore propriü hominis, (ed accidens commune, quod. et adeft,& abe(t,vt docet Scor.q.5 3Vai, uerf. in folut. ad 1. quod etiam expre(se Porphir. docuit . MUT173 Adhuc tn verü eft propria aliarum modorum po(fein aliquo fenfu te« duci ad proprium quarti modi,& &am participare de$nitionem, fi proprium primi, et tertij modi. i T quia yt. notat Tatar. c(le medicum ibi accipitarà Porph.vt dizit a&ü, et idco e(t fcparabile euà naturalitct, quiae(fe popria quarti modi,vt notat Tatar.cy citur ex ipfo Ariít. cit. vbi effe grammaur» yt dicunt apritudioé;(ic enim erunt m. à us. SENE) ticum dicit effe propriam hominis fim»  tc(l, vt nullus homo medicinam edifcat ; et vai róne propriü ro modo nó eft reré proprium quia cancícere accipitur, Enron a&tiquomodo non conuenit (em pet homini; proprium autem (ecüdo mo do,licét accipiatur, yt dicit aptitudinc,& non adtü (quicquid dicat Poncius)vt notatidé Tatar, quia a&u habere duos pedes,nó coucnit femper homini, adbuc cà nó cit in rigore proprii, quia nó cóuenit foli homini ;quare remanet, v: folü pro pn in 4 modo fit rigorose propriü, qp ic defioitur vnde falsüclt,g» affamit Ac riag.g Arift.in Top.cxcludat (olü à vera rationc proprij, et rigorofa id, go alijs cóuenire pote(t,ná excludit etiáà,quod conuenit rei feparabiliter, et cótingéter per illam patticulam conuerfim. pradicatur de re,per quam Ggarficatur gp femper rei £onaeniat jitaquod (cinuicem inferant in fübiifiendi con(cgaeniia, vndc truncatam pliciter,& in quarto modo, quia (urit illud, vt dicit iprrudioemynonadi; Hoc tamen intelligendum e(t, quotiecuoque. tales aptitudines ex pni ctfentiali-. bas fpeciecum ort ducant, et non aliunde,quod ideó dicimus, quia sát quadam. inclinationes, et aptitudines peculiares quorundam jndiuiduorum, quz potius oriuntur ex principijsindiuidualibus corum,ac vario humorum remperamento, vt peculiaris inclinatio et propenfio Pctriad arma, Pauli ad (cintas, et magis ad hanc,quam illam, qua proinde optirudincsnon veré dicuntur proptictates, fed potius accidentia quzdam de (ccunda (pecie qualitatis,yt notat DóGor 2.d. 16.q.vn. K. Dices, erunt (altim proptietates huius, et illius indiuidui, quia 0j 110«. tur ex principis indiuidualibus corua, licut fpecifica. dicitur propria. fpeciei y. quia ex princijujs cius ipscifict 0; hy., ucit, UTE. 7 Bad IF Quidsahi ft prijriu in rique 4.1. 499 lie e . teft ad quartum; (i quartus ità a wx dacit. Kefp. indiuidua non habere aliam eram proprietateai prater illam nature, quz cft in (ínguli$ cohtra&ta y quia que €unq; alia proprietas affigrictur inindiüiduo, poteft alia proríus fimilis in alio indiuiduo reperiri j quiaaliud effe poteft eiufdeet tempefamieniti,vndé per accidées eft; quod illi foli competat, imo pore(t ex infirmitate, vel alia cau(a naturali tempetamentü illud afiquarenas variari, et confequenier aptitudo, ifla deftrui ; Taridem €tiàm fecundus modus proptij reduci pomple (utnatur, vtcoréplé&atur proprium geneticum, et fpecificam, fecundus veró.f.císe bipedem ; tcferatur rion ad natüram hiifbatiam,fed ad illam natura animalis, qua €ómunis eft omnibus bi pedibus, vc à quadrupedibus diftinguuntur; tiam iri ordine Ad illam dicetué conucriire foli, et séper ; Porptli. autem diftinxit fecundum modii aquarto ; quia fecuu$ Arift. rion eft locutus, tiii de proprio fpecifico quarti tiodi, forte quia notius, vel quia vt notat Do&or q.17, Vniuert.ad 1. proprii nullius eftinquantum eft genus;(e4 inquantum eft fpecies, quia ptopriuas folum eft Alicuias, iriquantum eft apti natam effe bie&um demonftratiouis, et hoc (« meft inquantum fpecies, quia folum inquantuni fpecies definicur. 174. Quiartó queritur ; án Proptium tigocose dictum, feu in quarto modo, dicát femper aptitudinem; itaquod riequeat dicere actum. Communis opinio noftro. tüminfrà citatidi videtur e(se, quod fempet dicat aptitüdiné, vndé rcrü paffioncs paffim in aptitadinibascóftitaunt, et faücce videntur Arift, et Porpli. cit. qui dü Quarturri proprij modam atlignantyde. » &pritudinibus ex carpiificant, monde actibus, imd atus excludunt, Dicendum i eit licét vecuim lit propeietatcs recü tegulatiter,ac vt in plurimum dicete aptitudine$, interdu:n tamen non folum aptituduiem, (ed etiam actum dicuntaiic v.g. dicimus proprium eíse trianguli liabere tres angulos duobus rectis equales non tanium im aptitudinesíed ctià jn actu, fc €tiam inhztere eft. proprium accidentis teipeGidi noD tantum y vi dicit aptitudje net, ficuc eft inaccidente abfoluto, (ed ctii vt dicit actü, vt docet Do&. 4. d. 12. q.i. et ratio cft, quia huiufmodi naturj; non rantuni prafatz aptitudines necelfarió conneótuntut, fed et actus illis cor» rcípondentes, quod etiá cernimus im paf» fionibus difiuntis, vt eft par, et impat refpe&u numeri, re&um, et curuum re» fpectu line, conueniunt cnim fu s fübies tis necoffarió non folum im aprticudiné y fed e$ inaétu ; quare (i aliquod atttibutum habet etiam (ecundür actum; nece($ariam connexionem cum aliqua natura, et ei tátum cOuenir, nó videtur ; cur nomine proptietatis appellati nó poffic,cü Fri bear omnes códitiones ad eam rejuifitas, vine dé fi Arift. et Porph, vidétur actus exclu-dcre, loquuntur dc a&tibus nó habentibus €um fuüb;e&o ríecetlacíam connexionem. 17$ Quinto queritur, an ncceffiras Conne£ionis proprietacs c& faofübiccto tartta fit,vt neq; de potentia abíolara poffit ab eo (eparari. Negant Caprcol.1.d.3q-3. et Catet. 1. p. q. $4. art. 3. Soncin, 8, Met. 1.ad 4. &alij quamplures . A flirmant Fertar.4. contra gentes cap.65.S9« to q 2. dc propr;o, Bannes t..att. 6Alij veró d:ftinguunt duplex proprie tátaum genus, qua dam .0. à (abiecto rea» liter diitinictz noa (unt, vt fur paífiones entis, et appctitas materie ad formas; et liz nequcüt à fuo (ubie&o difiangi; quz. dam vctó futi realiter di ftiacté,vt quátita$ in matcriascalor vc octo in 1216, frigi« ditas süma in aqua, &c. et hz polltmr per potentiá Deiabtolurà à fuis fubiectis fee patari;ica Didac. difp.9.q. 1.dab.4. Auete q.14-fcct.5. et al;j lunores paffim, Dicendum tamen cit fcceifitatéconnexionis proptij cum (tuo fubie&o nom folum e(sc phyficam,quazenus (ecanduns Communcm natura curfum. nüquam poe teft (ubicétum line fuo proptio inueniri,, fed ctiam mctapbyGcam, itaquod entia Dei abloluca. poísunt fepara ansam | ('d nec ettam pet incellectum pe 'oísunt iotcllino fubiectum ipa e. rà colliis ex Scoio vbicung s loq.icar de pra. i cius Expolicoics 1.d; 3. ue Venet Q5.  $oa 85 ada. pro opin,2.d. 12. q. 2. ad 1. et 16.8.1. $. Sed quia via bac, et d, 15. q. vn. C.& 4.d.12. q. 3. $. Dico ergo ad poe et d.13. q. 1: art. 3. in prine alibi fapé, quem omncs (equuntut Sco tiflz Tatar. hic dub.3.Canon, 1. Phy(q. rt, 2. Tromb.4. Met-q.4. Lichet. q. 3. drolog. Rocc.q. 3. de proprio, Poncius ibid. Saxiustom. 1. Catalt, difp.1 1. q. 7. Faber 4.Mct.difp.6. et alij paffim.& tcquitur Nominalium Schola; et probatur €fficaciter (ic conclufio demóftrationis, in qua paffio demóftratar inhercre fubic€to,cítadeà vera, vt per nullam potentiá poffit falía réddi, ergo nequit (epararià fubic&o, alioquin Él cari poffet, nec effet eccrna veritatis  Refp. Didac. hanc conclufioné,homo cfl rifibilis, eífe atcrAg veritatis radicaliter, quia in homine neceífario (emper manet radix ri(ibilitatis, quz eft rationalitas, noncít autem &terna vetitatis formaliter. Contrá, hoc noncít aliud, quam dicere (olam illam pramiíiam dcmonítrationis, qua pertifict ad primum modum, cíTe tormaliter neceBariam,conclofioncm vcró effe formaliter,& in (e contingentem,quod omnino dici non potett. Kefp alij proindé, tunc fore vcram etia fórmaliter,non quia &&u cxiftat in homine rilibilitas,(ed quia «ónexio illius cum [ubicéto e(t 1n (ccundo modo períeitatis, et ità femper cft rifibilitas in homine fccundü cónexionem pet fe,licét nó fccundà cxitteutiá ; quamuis ero tune fa (Tec £al(a j bomo exifl;t vifibilis, ia tain emper veta forct, bomo efl vi[ibilts, quia cum cius veritas fit ncceífaria, ab(lrahit ab actuali cxiftenria, ontià,conexio per (e pred aci cü fübie to oritur cx neceffaria inhzrentia illius «um 1íto, ctgo fi riüibilitas neceilarió non áneft homini,non etit vera propofitio Íe«ündut connexionem per (c in fccundo 1nodo ; Et quamuis veritas propoiitionü nece(lariarü non pendeat ex a&ual éxificmia cxircmorum, poftulat ta.n6, quod fi cxtrema exiftunt,. przdicatum veré «Xillatinfubiecto, vnde earum veritas ampliatur ad omne tempus,vt diximus 1, :s ft. cract t. cap, 11, et explicatur per . ticam condiWonalca, vt v.g. lo-Difp.V.. De Voiuerfal. in particul. M 8 mo eft vifibilis, .i. à fait, fuit camrifibis litate, (i eft, cum rilibilitate exiitit,6 erit crit cum rilibilitate, ergo fi fena. exiftic, fi Deus auferat;ab co rilibili« tatem, propofitio neq; vera erit fecundiá cónexionem pcr fe. Refp.tandé alij, propolitiones (ccundi modi dici neceffarias, quia neceffarió cópetunt fubie&o (ecun« dam naturalem facultatem, et innatá eius cxigentiam,non tamen abíoluté,& in or« dine ad potenrià diuiná, ita Arriag.di(p, 16.Log.(cét.7. n.61. Conwrà, neceífitas conclaüonis non folum elt phyüca,. fed etiam logica, alioquin etiam accidentia naturaliter infeparabilia poffent demona ftrari de (ais (ubiectis, quia neceffitate phy fica illis coherent, ergo pra dicata fecundi modi debent necellarió competere: fubic&is abíoluté, etam in ordine pocitum disinam Mee. Zabarei. in Log. lib. t.de propofitionibus neceffarijs Eris 11« vbi difecé oftendit ies tionibus fcceundi modi nedum i . €cilitatem phyficam, fed etiam] nam accidens proprium,cum ab effer et forma (ui (ubicéti fluat,e[sem dens dicitur, quia eifentiam coni ideo neq; re, ncq; mentc poteft rijquod etiamreplicat 1.Pofl.cap.ó. . Ex quo rar(us roboratur afsert noftrü,oam (i Deus pollerjfeparar Ec priam pa(lioncm à (ubic&o,ergo. erit difcrimen inter accidens proprii, et accidens cómune infeparabile,quia vtri« ufa; connexio eum fubie&o císet eode modo ne«eílariá, nempé necellitate phy« fica, et fecundü cómunem natura cursu $ fed per potenuam Dei virüg; ab(olucé poísct feparari à (ubie&to« Reip. Didacncg.conícq. quia fepatata tifibilitate ab bominc, diceretur radicalitet rifibilis,ó& maneret in Co debitum habendi talé proe» prietatem, quia maneret in eo rationali« tas, qug cft radix illius, et principi exi« gitiuum eius, quod non potcít dici de.» «oruo refpectu nigredinis(i abcofeparetur.Contrà;quiaeademrationecoruüsdicipoffe tradicalitcrniger, quiamaneretineo principiumradicaleilhusnigce «dinis,nempétaliscomplexio, &taleteaperamcntum,, &confequencermaneret PEparv€.vtw.LdeC" Tenpropriumà[ubieBopepefepavaristei. L.$01fintodebitihabendinigredinem. R.efg. idemaffcréndo aliuddifcrimen, 9fepagatariibilitareabhomine,adhuc homini conucoitet císe rifibile fecundü propriam 'fubieQi virtutem, et naturalem facultatem, vnde -. et sb cina iam pa(Tionem, et poftea illà rclinLi e isque, ftatim naturaliter diwmanaret ab ea, noii fic dc accidente infc»parabili. Contrà, quia in multis accidentibus etiam naturaliter feparabilibus experimar quód fübic&um illis denudatü, fi non impediatur, (ua nacurali facultate, da dcmnó fibi comparat, vt patct de aqua calida íe ad priftinum gradum frigiditatis reducente, crgo tanto magis id cuenigerin accidentibus naturaliter infeparabilibus at; ita nulla cft difparitas allata sn reiponfione, et ex lus manent ex»lofa te(ponfiones sanchez ad argumenta ailata, nàm cum pra'factis coincidunt. Demum, gp neceffitas connexiomis inter fübicé&um, et pa(Tionem fit eti logica, ita «quod ncqucat (ubie&tum fine patlione ;ntelligi, vcl tub bfpolto cius; Probatur, quia vt docet Door q.3 1. Vniuerí.ad vlc. et alibi (ape, licét poffimus nó miclligere hominem cum rilibilitate uta abürahertium non cft mendaciü cx 2.1 hyf. 12 vt ipfe aocet 1. d.2. q.7, infca J.& 5.d. 3.q.vn.G ncquaquam tamé poffumus inrcll gcre hominé ünc ribil tate, vcl (ub ojpoito cifiollitaus abíque a iudicio ciientiz ipfius hominis, negando mimirum rifib.ltatem de homine, aut affiroando eius oppofitum, et ratio etl, quia licut. ex rifibilitate recte infertur à criori humanitas, ita ex negationc rifibilitatis re&é icfertur negatio buinanitatis, et vriucrfaliter ex negatione paffionis dcflru&tio (ubic&isergo nece(Ttas €onnctionisinter (ubicétum,& psffioré eit euam logica; Afsumptum conccditur ab omnibus etian: ab ipfis Thounttis, yt. patetapud Complur. ditp. 8. q.1. vbi bene notant per hoc d'ttingui proprium ab aceidente communi, euià infcpatabili, quia aec fine tali. accidente diu diué poteít intell/giimió fub oppof(ito cius, vedi ipfe Pub €. de IER, €x quo cflicax deducitür argumentum cota Thormiftas, quia (i accidens propriü pct hoc diftinguitur ab accidente có!, quod nec mente potcft à [uo fübie&to diuidi, feparati, quomodo pofsun: ipfi asc: cre, quód ctiam à parte rci fit feparabile? 178. Sed contra obijciunt, quia omne prius, inquantum prius, cft (altiim per diuinam potentiá (ep:rabile à fao pofterio ti, fed (ubicétum e(t prius natura paffionc ex Arift.in poftprzd. c. de fimul, ergo&c. Tum quia pec Arift. c. Met. 1 6, priora nat.ra d.cuntur illa, qua polsunt císc tine alijs, non tamen alia fine ipfis; ergo (i (abretum ctt prius natura paílio.pc, poteft císe (incilla de potentia abíoluta. Tá 3. quia (i (abie&um nequit efe fine paffionc,iam dcpenderct ab ilia,atq; ita etiec poíterius ca; quód (i non depen. det,ergo pót effe tine illa . Tum 4. quicQuia eft 1n aliquo infláti, in quo noa eft aliud, poteft à Dco confcruat; pro quocunque alio inttanti fine illo víedi (ubie&ü cít in aliquo prior: inflanti naturz;,in quo non cft (ua propria padioscteo &c. Tum tandem,quia quantitas eft pailio (ubttantiz corporea, calor vt octo 1g0is, licut. frigusaquz, et tamen de potétia Dci abÍo Bé poritar hzc ab illis feparari-. Reíp. maiorem cfTe veram, cum prius eft realiter diftin&ü à pofterioi, vt do» cet Scor.a.d.12,q. 2.A, ac etiam ell vaiucr(aliter vera fumédo ly inquantum rcduplicatiué,quia prius,inquantü prius,nó dependet à potleriori, et ita poteft eífe finc illoyinquantum priüs, (ed ex alio capite potctt ede impedimentum. f.ex identitate (cali, vi notac Tátar,cit.,& ita cft in propotitosgy (ubiecto nà repugnat effe fine paffione, ca rationcsqua prius cft il. la) fcd quia cfi idcm realirer,cü lla. A d 27 duplex cíE prionitas natura, vt fufius in» . Éra di[p. 9. q. 2. vna effcndi, et explicatu£ pet poísc cse pnus fine pofteriori, alia iocciligendi cum fundainento in re, quae non rc&té. cXplicaiur per polle císe, vel fcpatari prius line. pofteciori, fed cantum pcr potie voum abíaue al osvcl prius alia intelligi, quia non includ;t illud in fag conccxuyyi docct Doctor 3.d. 5. q. 1. G« Aufl. oc-cic. loqu.tur de pioritate natu» rg Ciendiycd (ub.e&tum cft prius pa(Tioe " nc $02 fic (folum priorirate nátura intellizendi . Ad 3, (enderet ab ca pendétia quam yo' cant à poflcriori, et mielus diceretut co-exigcntia,cuo fenfu dicere folemus,causà formalem p&dere à fuo efic&u formal, Quátenns nequit efsedfiie 1o. Ad 4/ncg. min. quia yt bene nórát Canon, cit. efse qpuus nacura non eft efseprius in aliquo fiznó,in quo non'fit poRerms quia nullus feiexiftentia menfurauir perinftans ratu. ( tz, fic qnod a] quo exiftat id ; duod dici"tur natura prius,i&quo non exiftat, quod ft nacura pofteriüs, ted tantum yerfi cft, Ev io al;qtio inftanti intel! gitur illud, quà non 1melligitur iftud; ynde pti. ritas fola dirationis ex plicatur pet ycrbum efl ;& in'quo, (cd prioritas nacorz expliatur [olütm per verbum poteft effe& im quos 6ett prioritas naturz c(scudi, yel pec deseo intelligituvy et in quot cR incclligendi ; v futius infra difp. 9. cir. Ad j. ncy. illa cfse propria in rigore illorü fübie &orü, fcd (unt accidétia quaedá illis conmaturaliter debita, quare potius propétio €is innata ad talia accidentia recipienda dicenda eft corü fübiectorü proprietas. 179 Deinde argaunt cx modo;quo paf fio caufatur à fübie&o, omnes enim contecunt caufari ab co, vcl in genere caufz efficientis, vcl materialis; vel vtriufque fimul; (i dicatur primom, poteft £u bic&ü c(se fine paflione ; quia Deus impedire poteft omnem effectum in genere efficienris; fi dicatur fecundi neq; faluaturneceffitas connexionis pa(li onis «um fübicéto, quia caufalitas materia. fie tc potentiz palfiuz eft coxiradi&ionis i& contingens ex 9. Mer. 17. li dicatur 3. uam quod runc fnatetia ; et effiCicris cOinciderent, contra Arift.2. l-hyf. 79adhuc fequitur propofitum, quia ncc eaufalitas materi, nec efficientis elt ne£císaria, vt probatam eft," Reíp.fübie&um efse caufam pa(fionis; hedum in genere materialis caufz, quiá tunc certé non eíset necefsarià conncxio pitlionisad (ubie&um, vt norat Dottor 1.d.3.0.7. S; et 2, d. 25. q, và. C: et D. "Tho.opuíc.48. c.de proptio, fed etiá inr egeat entis non quidem phy ict, et pet verum j ae realem igfluxum ;  Difpu P DeVwunf is ppc: 7 in genere caua efficientis f nim in hoc fen(u aliany caufam nó babet abeaquz ip(uin produxit fübie&tum, (ed li uerunt fotnine ebullitionis j ac fimplicig £eroerét; vcdiximus ig Phyf. dilp. 7. qa, quamurs igirarpolsec Deus omnem caus d tarm phyiicam-efficientem 1 i "Metaphyticam. Dices, Deusliberé confionem,érgo poterit fuum cócurfam füb., alioquin libere non concurrereay et lic: fabie&um (ne palfione maneret, bet in produ&ione paffionis à coneurfu, quo producitur fübie&ü;quod noncredimus,non concurrit libeté,(ed nece(sarió, non quidem neceffitate fimplicitec, fed ncce ffitate fuppofitionis, quia en. do fubicétuin, necefsarió tenetür cócur rerecum co ad produ&ionem fuz paffioe nis, quod etiam ip mulus ajijseucnm Et cum dicebarur, ep marcriay& efhciens ng. coincidunr 1.phyf. Refp. Scot. loc. cit, : di&um Arift.eíse verü de materia ex quay feu materia partis,non de materia in quay qualis c(t (übie&um refpectu (ug pa(lio» nis; vide Do&torem q.3 ; Vols ríad3..Sextotandemquazricur, quomoe do paffio fic indifsolubiliter ynita fubice &o diftinguatur ab co ; Thomiftz adhue non obftante tali nece[saria connexione, pa ffioné realiter à fübie&to diftinguunty eftb quafdam nó dittingaant;ità Capreol, Caiet.& Soncin. cit, Nomina!es é contra negant vllo modo diftingui à parte fei fed cantüm ratione raciocinata ; ita Greg 24d. 16.q.3. vbi Gabriq. 1. Marfil 1. q.7« art. j, Durand, 2.d.3.q.2. Scouftz. cü fug Dodt.loc.cit. medi&tesinter bas opinios ncs extremas diftinguunc illa diftin&ionc ex natura rei formali ; qua fcequenter ytuntür in rebus megaphyficis ; Et quidé quód non d:ftinguantot realiter potefl in primis deduci ex di&is in vefolutione przcedentis'dubi) y fi enim eft tanta. nece(saria connexio inter illa, vc ne mente diuidi poffint; ergo neque cealiter diflinguentur ; nam in ab[olutis, quz pecie ACT, OP. De difiucl: jrijrijh fublefa «Met.   S03, Pride pk E ao Lipa e id 4 Probaur ud.jue ratione ex Scotodedudis n2 p Adnan ilm » quia vt ait ibi D,mrinfeca .litás (cparationis duocü ex triplici capite procedere pateft,icl quia süt iul natura ;. vt eft de duobus rclatiu s;, quia ynuni ef pons » à quo effertialitct dependet poílerius ; ratione cuius dc. pendencig loc riequir ede (ine illo, yt cft. de toto, et partibus, vel quia funt idé rca« liet,vnde poftea infert in eoáC 2. d, 2..q.. 1.A.& B. gj illud; gi fi ellex dittiactam áb.aliquo ; sies pofterius eo natdraliter, tiéccilarió eft idem illi;(i impoffibile ett, .. illad aluide(fe Gne ilo, et qv nihil realiter ftirituiti ab. aliquo, (inc quo gequi: eíi. fibi contradictionescft prius co.fed eft poftcerius co naturaliter, vcl fimul natura Cü eo; (cd fübie&d eft pritts natura ip(a palin ex ineo fimul;quia (übie cauía illius ; etgo fi &um. rícqui eds niet pro sex c [13 ) inuiníéco : n Ó fi id ded or one ead ii ide CHÍO, 0c CIA nora Qui Arift, enrétia (unt in(eparabilia, non cx inttin'cà caeli nátura, (cd à cau(a estcinfeca.i; ab inreliigestia pecellacid ninoente,non infert ccaledi identitatem, ( yt notat ibí DoctogitN.) id etit vtiqy ob idencitateri zcaleni inter eajquix nunquam implicat ab intzinfeco. prius (cparari, à e tigri;nifi propter idenutatetn realem. [afüper pa(liones,vt platiaum, dicunt innatas aptitudines ad aliquid agédum, vcl cccipicüdum; at tales Eel, enis niliil rea le (uperaddunt nátarz. (ic apt cx Scoto 4:0: 49-3. 10:ab initio v.g: tilibilitas ni reale humanitati fupecaddit, ratione cuius fitcapat rifus, vcl apuasad illum;nara Iubiectum quod ponitur ab ifta aptitudinc realiter d: ftin&tum, immó à quibuídà €x Adacrtarijsfeparabile, antecedécer ad illa UK IRBALAUT-SO €a ».vcl e(t naturas l;cerilius capax, vel non; non (ecunduin, tc 9 priunum; tunc.crgo de ilia priort ajuicidiné quarendua cftyvtcum, Gt cadegi rcalicer (ubieGtosvel. non, i prunumy;crao pt lebat ftare in ilia (oja apciungine ad a&tü fübiccto realiter identificata, et non, poncrc anteriorem capacitatem, et apti tudinem ad ipfam; fi noo; ergo. pcoceditur, vt prius,& (icininBnitü; vide Trób., et Canon.cit. 1. Fh (:q. 1.art.vlt.bené hàc. ratioricm perttactantes. Tandé palfioncs entis fant adem cü ip(o ex Acift. 4. Met,, et cóccdunt, ipti Thomiílas, erg» fiinilis tet, X alig pa(íliones cuin (uis fubicctisg. quia ficut. (c habet pa(Tio entis ad ipfum €n5, ita talis paíljo ad tale cns,.nec vnqu& poterit afferri (ufficiens dilpacitas . 181. Quod veró cum taliideniiate teali ftec dillinctio formalis,probaturexillogenerali,principio1nferiusiacicidadiíg.8,.quad,nallumabfolatumidécificactibiform.lirerrefpectiuum,quiaab(olutü,vt lic,cftad fe, refpeótiuü ad aliud, (iué talis relatio. (it predicamentalis,. fiue tran(cendentalis, parum refert, vt ibi dicetus,fcd (ubiectü, vt plarimd; eft quid abíolutom, et paffio cft relatio aptitudinalisad actum (übieéto naturaliter con» wcniehtem » ergo &c.. Deinde verificanz tut contradictoria ex natura rci de [ubi &o, et paífione, ergo ex natura rei di; flinguuntur $ quia contradi&tio fcmper arguit diftinctionem vt dip.9. g« 1.ar 2, dicemus, et quidem talem;qualis ipfa efl; Prob. a(famptum,nam (übiectum dicituc nauraliter prius ip(a paffione, pa(fio pg» ftetior,(ubiectum e(t cau(a patfionis, no. é contra, et tandem paífio aon eft de gà, ccptu quidditatiuo fubie&i, cum de ipío prédicetor tahrum, in 2, modo, crgo, ad minus inter ilta requiritur. diflia&ig fore malis, et ex natura rei, prz (ercim quand natura importat yeram realitatem, et no tantü pracifionem obiectiuam inadz tàn, vt cft de rapicendentibus, nà vugg inter naturas: tran/cendentcs  et carum pathoncs nonnifi diftin&io ratiocinata intercedere poteft ; vndé dc paffionibus tranícendenuium admini potcft Nomi. naliumn in » at hic loquimur de na; taris. praedicamen bs opa Sed obijcitur Monta qnod dine grantur rcalitet; quia caufa, et caufarur realiter. di ftipguuntr, fed (ubie&tum c cauía pa »,cgo&c. Tum xad ryveiip bae menn SRd ee iuReke "Maaiig $04 thento 9. Mct. 13. ergo propria paffio, qut dictt potentiam ad actum accideptaIcir y vt rifibilitasad ridendü, collocabi« tür in prazdicamcnro-accidentis., vt ipfe a&us, et tic à fubic&o ; quod cft in pra dicamento fubftantiz realiter diftioguetur. Tum 3. quia fufcipit magis.& minus, pam vnus homo dicitur magis riübilis alio, ergo eft accidens realiter à fubicéto diftiactum. Tum 4.2 Cus efl nobilior potentia ipfum refpiciente, ergo fi rifus cft accidens,ctiam potentia jpfum rcfpiciés. Tumtandem,quia illa contradictoria, Quod fübicétum elt prius, paísio poftefiot, &c.non tantum diftin&ioncm formalcm fed etiam realem inferre videntur, quia nihil potcft pra.cederc feipfum. 183 Reíp. afjumptum valere de caufa phy fica per verum, et realcm influxum agente,ró de mctaphyfica, ficut cft (ubie &um cauía paffionis, vndé proprie non debet dici paffionem caufari, vel effici à fuübie&o; fcd tantum puliulare, et ebulab co, hzc enim vocabula infinuant &Gioncm utr i be per fimplicem emanationem; illà vcró phyficam,& rcalem; vide Maurit.q.30. Voiuerf. declaran ' wem hanc cómuncm Scotiftarü rcfponfiorcm. Ad z.ait Do&or 2.d.16.4.vn. A.ve1 cfíc atffumpram de actu et potentia, vt funt difícrentig diuifibz cntis «f. pro po tentia obieétiua, et a&u cotitatiuo,nó au&€m de potentia, vt cft principium opceráe di, quahs in propofito eft propria paflio án ordinc ad fuum a&tum . Dices, paflio tfi in pra dicamento qualitatis in tertia» fpecie. Ncgatur,loquedo de paísione pro $nnata rei proprierato)beec . n.ponitur re« xuétine inilio przdicamento ip guo eft tius lubicctum ob idcpiitatem realem cü illot qua nam autem fit paffio de tertia» fpecie qualitatis,dictü eft in Inf! 1.p. Ad 9. ncg. affumptum,re.n. vera non fuüfcipit magis,& minus illud;quod veré eft potétía,& aptitudo ad ridendi, fed illa maior, vcl ninor facilitas ad rifüm orta ex peculiari temperamento indiuidui, que quidé facilitas cft potentia naturalis de fccanda fpecie qualitatis, vt docct Do&or modó Jic. R« Ad 4. verum efi à um de yotenua seipiciene aétam y qui fi perfeC uet Difput. V... De Vniuerfalibus im parti: &io lab(tantialis, non auté fi fit perfcétia accidentalis, vt eft in propofito; nifi accie piatur in fenfu reduplicatiuo, fic .n. vais ' uerfaliter a&us cft nobilior potétiaquod ' non officit . Dices, proprium vel eft fübftantia;vel accidens,nó (ubitantia, vt pa« tet,crgo accidens . Refp. cum Canon.cit, formaliter neutrum cffe, (ed pec identitas tem vtrumque quia in (ubftantijs eft reas litet ac identicé fubitantia, in accidenti» bus accidens. Ad $.non quacunque contradi&toria etiam ex natura rei inferunt realem di ftinctionem,fedtantilla,qua:radicanturindioerfiscebus,quaenimra«dicantutindiuerfisformalitatinififormaleminferunt.diftinctionem;vt ex-« plicabitur difp.9. cic. quamuis ergo prio« ritas,& pofterioritas temporis femper fan denrurin diuerfis   arque idcó fint cótradiétoria diflindtionem realem indu. centia,nó tamenquacunque prioritas ma emis ete édiqualiseft,qug   intercedit inter fubi Y& 183. Deinde pró Nominalibus vrge« tury$ ratio Canon. et Tromb.allatacontra diftin&ion£ paffionis à (übiecto rea lcm militet etiam contra formalem, nan circfcripta rifibilitateab homine per telleétum, aut homini repugnat rilus y 8c rifibilitas ipfa;att non. i ; ry enki 9 fccundil;atq; ita fübie&tü erit cspax ifbus aputudinis : nec. dicas effe cantum capax fundamenraliter;quia fic etiam refponderent Thomiftz; vcl igitür ante aptitudiné dabitur femper aptitudo in fübicéto, vel non cft diflingaenda paffioà fübic&o ; nifi perrationem. Refp.ti illa ratio non bene percipiaturs nontantum contra formalem diftin&tios ncm paflionisà fübicéto, fed eriam cótra diftin&ionem rationis,' videtur poiic re torqueri; dicimus ergo cum Tromb.cit.& Brafauol.q.3 3: Vniuet(. non qué milita re contra formalem, (icut coatra cealemg quia formalis aptitudo ; et capacitas de» bct vtique poni in fübicéto refpe&u illius quod eft fibi conucniens, et ab co realiter diftinctum, nec fufficit capacitas fundamentalis ; non autem poni poceft refpc&u eius, quod eft realiter idem (ibi, «uóia albi dici proptie eif in poremin à S HN Sueft. IV. De Proprio inratione Vuiuef. ide L. $05 ad (cipsü, et capax fai ipfins,quare circü (cripta: rifibilitate ab homine; vtique ipfi pórcpugpat ri(ibiliras, quia eft fundamé talicer capax, fed non bene infertur,ergo «ft formaliter capax,& pofitiué talis apei tudinis, quia in tali przcifione quidditatiua nalla capacitas, (rae naturalis aptita do tibi cópet:t,quia hzc przdicata aducniunt in (ecundo modo, et pofteriori (igmo, &ücintali przcifione fübic&tüm €ft tantum capax priuatiue,f(cü negatiué, vt ait Tromb. quatenus non inclut aliquid repugnans, fed fi przícindat pa(fio £ealiter à iübye&to,vt condunt Thom:fte feri polTe, tüc (ubie&o affignari debe bx pofita capacitas, et formalis aptitodo ad apticudinem, qua praccifa fuit quia datar formalis aptitudo ad attributü cóucniés fubie&to, et ab co realiter diftn&um.& ét quia ralis przcifionon ef fet per intelleétü ted à parte cei, in quo fia fübie&ü eft pofitiué capax. cuiuícü que arcriburi ibi naturaliter debit, mamet ecgo illa ratio in fuo robore,adeó vt Zan. teftetur à nemine vng fu: (fe (olua . De hac qozftione diftin&ionis patfionis à (uo füb:c&o, quz. cft precipua intec Scoiittas, et Thomiflas; et à qua multe aliz dependen: refolutiones in Philofo. m » videri poffunt Canon. et Tromb. oc.Cit, et cx V ecentioribus .Sax us tom, 1. fug Cataft. difp. «1. 96. et 7. vbifu5€,  conformiter ad principia Scoti de bac rc tractat. IvC gitur de Proprio inratione vniuer (alis . Xplicita narura Proprijqnz na184 t cft fundare vn uetlalita:é hiius ua. ti przdicobils, nun. expl cana n anet ratio ift. us vojucríai citis, et quomodo natura realis Fr. p ij couftiuator in ratione qoarti poedicabius. Dicenduum igitur. ett cu. communi Do&trum proprium conftiu in rauionc quai ds per etie pradit'abile de pluribis im quale accidentale nece[farió, et imiran[mutabiliter, (cu :n (ccundo modo dicendi pet fc ; ita. DoLogica. Gor q.'36. Vniuerf. et Scotiflz ibidem, et przlertim latar.c.de proprio. Probatur,& declaratur Cóclufio,per hoc enim, qubd dicirur effe ptidivuble de pluribus, fignificatur propriam non cfe vniueríalc ccípectu foliusfpeciei, vt aliqui dixcruat, quia vn'act(ale pluca refpicit, (cd natura communis, cai propeium ada. quatur,confi dcratur,vt vna, fed in otdinc ad indiuidua erus ; et co.cir. ad 1.qua vationc ctia art vIcq.przced. negaaiimus differentiam conflitni in catione pradicabilis in ordine a4 fpeciem, quamconft ituic. Pet hoc,quód explicite nan additur mamero, vel frecie igmtcatur ad hoc przdicatile, non folum (pcctare pro pus fpecificam vr ritibile, quamvis ife ud tantum definicri (quicquid Ruuius d'cat) hic Porpb. cb r; tionem allatam, ptzcced.art.dub. 3. in rr proprium gencricum, vr fenübile, eo prorfus modo,quo fupra dicebaa us de siferentia. Per hoc, quàd additur ín quale accidentale, goificamar ditin&io a tri bas vniuerfalibus prioribus, quz dicunur effeatialiayquia (pe&ant ad elfenuam rci, et infinuantar etii fubij ibilia ipfius proptij in cone vniucr(alis, hec enim nó funt fua inferiora quidditatiué, vc hoc rifibile vel iilud, hoc, vel illud fenfibile, quia de iflis non prdicatur in «uale, fed in quid ad modü generis, vel fpeciei, (ed fub jcibilia eius in ra&ióne qusrtt przdicabiiis [um 10ferora illios narurz commun;$,cu! proprium sdzq«aiur, de. ittis enun pidicajur 10. juale accidentale, vt S.oi, docet q. 30. Vn'ucirf. in corp. Per hoc tandcu4 quód additur «eceiiarió, e ini au[mut abdtti: y Wfinuaur. dtiftin& o yropr:j quarti pred cab; s ab acci. dnte quimto,rgdicabili, cu'a proprium de tuis füb:jcbil.bus ta necelTarió, x intial omtab.d cer. pigd catur,vi de ill som n nó ncaart ne.(ucat; licet cnim poffimus nou inclligcre hominem cim ritibilitatc ; neiuaquam tamen mielligcre potfuz mus honané (Ot fibié, vc) yi c tib Té ab( qae pia iudicio eisériz fius: à xoéya t;one pallron.s. valet. nferri. detiruét 0, Icu iiegau0 lubicéti, juod non cft verum, dc «cdente quigto predicabih, eria im st fcpago6 Difp. De Vuiuefal. in partiode s. feparabili ; quia fub eius oppotico poteft itclligi fine repugnantia, nam potett intelligi coruus tine nigredinz, 1mÓ (ub albedinc, vt ait Forph. et Sco. 4.3 2. ad vlt. 185 Hinc infertur 1.nó bene difinzui propriü in ratione quarti prz dicabilis ab accidente quinto pr&dicabili per conuerc tibiliter prz dicat), (etiam diximas. difj»4-q. tatio eft, quia vt frequenter in7 culcatü ett; »radicari conuertibiliter omninó repugnat raugoi yniucr(als,qycum comiparerur riis, de quibus przedicatur, wt füpccius fuis 'efsrior bus, et fit pradicabilc de (inguls, età (corti fumotis, muonquam «um eis conuerciur in fuoliendi coníequentia » igitur per conuer;biliter radicari ditbinguitur ab acciente (olum in ratione proprij; aliud aukem eft looi de rrlibilisvel (coüb.li ina fationc propri), et aliud in ratione przdicabilis, et vainerfalis, vt notat Ta ar. quia yt proprium refpicit folam natutá, cüi adgquarur j vt ycró yoruet lale, infefiora illius naturz, quia propt:uin tale, » dicitur in ord nc ad vnum folum, vniucrfale veró re(pc&u ylurium, vnde repugna idem tcípectu eifdem: elfe vniuerale, et proprium. vc docet Dottor 4.30. ad 1. et ita. intelligi debet. 1pleiiet 120&or ; fi q»andoque. proprium dittnguit ab accidente per comertibiliter prg (i-a rj, quód n& c illud tunc di (t inguat in ra. tione proprij, non in rauonc vaaertans, 186. oféttur (ecá.4ó de Biniconé Pro prijá Por, h.tradita;quod,accidic orn y folii [emper eile ab plo dará de proptio in ratione przdicabilis, noa autein proprij contra Tatar., et conftat ex iila parucula omni » qu£ non tribuitur proprio (ub ratione proprij,nam («b hac ratione conuent vni foli cx di&is art. praeccd,ita docet ScÓ:, j 1. Vniueri. in corp». vbi aitquod pet p£imain parículan ac cidit habetur ratio pred ca, et moti zdicaudi f. in quale accidem ale, per. y omui, dr foli babéur lub j:ib lta pro prij, fepertr epe puyqu. ila neceffitas prz dicandi y per guam diftiagu cuc A quioto przdicab [;& licéc Porph.defi. nicrit cantum proprium (pccificum, poteli amen eadem proríus dcónuio appli  cati proprio generico, (i per ly omni, eo Joli imelligantut omaes, et lo € fpect allius genetis, cu' ade juator. proorium genericti ; serumramen ett, quod Arift. 1. Top. cap. 4proprium dclinzaít (ub ratione propr J »& ideó omific illam pate ticuülam omar Aciaftabis cciam Por h. definijiT: propriuin (ub ritione prop'] non vniuerfal.s, quia illa d tio pm iefpi  cit fpeciem, et dicit conucc ibifiratem cá illa, nec poteit adaptari iadindors Negs alfumprum cum cius prob. ficurenta omni inünuat indiuidua fpecie',ita &tia ly foli ad cadem retertur', vt excladandur indindga cuty(cu ue alceríus [pecicis ene de facit vine fenfum, proprium eit quo conenit oit c7. (0/4 omnsbusind uiduis ill.us fpeciei et ilis toL s:poie!t d dici, quod per illam partculam a0tnuatioidoadfpeciem,quiaprope üm non przdicatur. de idigiduis, ni participant naturam fjccificar i princi» js emanat, 187 dofcrtur (dé decifi b multos ang t, quodoà i tuor adduct sà l'orpb.fundare p .ffitnos,uonem quart: przzdicabilis, et dubiü eft . dc ipbus primis. Nam 6 fümamur &ips   fa, vt dicuo' aptitudinein, inboctcafü fundare poitunt, quia fic reducuntur a propr um quarto modo, vt art. preced. dub. 3, di&um cft ; At qu a Porph.oro prium primo, X tertio osa put, vt dicunt a&um, palam ett ficfumpra fane  ic dare non potíc hanc vniuertalitaten. quia primum non conuenit omni, et terium non conuenit (empet, et ideà pétrinent ad s.praedicabile.. Tota ditliculkas efl de proprio fecundo njodo jaa plerique dlud excluduat, qiiia conuenit omni qui« da(ed noafol:, A lij écontri dad i7 €luduntquta;quod couucnit o mát, et sé pei neceffar'o copuenit, juancum tüurh cit Ad. excludendam contiagenuam qn prgdicábihis, et paruin refert, quód non. &ouueniat [olt » quia licéc haec ut conditio cequitira ad propri (ub ratiooe pro porpett cà omnino Lnpertincs ad propri 4ub ratione vn ucrfal;s, nam cale di «itur per ordinem ad piurajuon ad vaum (ol; et ita dc facto cic iniellectiuu m pro potentia | 12m . Suefl IP De PpsioüivatióhePuiurf e dll. gen | proxima dicimus prar icaride hoibine in fccindo modo perícitatis', velut EorÁA e des eftó nófoli homini contieniat, (ed'etiam Angelis", ergó proprii fccundo modo (ufficit ad fundandá:i ftam vhittcr(alitarear ita (ertinüt Conimb; q. Y.de Ptoprio,' et Lousm ibidem, et fuit fementia Fofec. 5, Mct.c.28.9.19: fec.4. 188. Hec diffi cültas decidéda eft ius ta di&à art. praiced. dub. 3. ibi náque dixirbu$ propriü fecundo modo poffe parti2x definitioné proprij/ quarto modo' Arift. traditi, quod coueniar foli" cs femper, (i ceferacur ad: gradü fübalternü Vte(Te bipedé ad gradu omnibus bipediBuscómuné, fic .n: dicetur illi foli cóue: fire, et séper;quo quidé seíu reducitur ad: topriüquarco modo. Sic ergo ét dicedü iri propofito, qaàd'in hoc (enfu fundare poteft hác vniuerfalitaté propr'j generi ci, et quàuis, quód cóueníat foli, non fit conditio requi (iraad" formafitatem vni-tretalicatis haus, prerequirirur tamen in eíus fandaiéto,nifi.n. illa proprietas có . lieniret prius alicii gradui fübalterno,nó: "A 4 ftique riccelfartó conueniret omnibus indiuidais alicuius (pecici, et et alterius, nà intát i habét necefsaria cónex ion&7im hac i'optictate indiuidua illard (pecierü, inRr ratticipát euhdent communé gra; m fubslternam, qui eft principi exi» gitinam eius,quod patet de intelle&tiuo: quod dicitar angelis, et hominibuscon. Übcá're, vt proprium, rationc gradus intellectualis cis communis; vnde patet fecundum modum proprijnó fundare vii; üerlalitatem proprij, tili generícam, et quatenus reduc tur ad quartis n& falíum bom a;ant Cónimb: aliquas proprieeselfe phiribus fpecicbus cómunes, et fion ratione «licuíus gradus geerici com unis illis; à certé (1 nó darectdr calis gra   dusgcnericus ab illis part icipatus,nec vti jué darccur proprietas eiufóé raudB isin ;$, proprii enim femper: pottalat adequacam effentiamsà qua promanat, extra equa nó repcrirur y. et perquá nece(sarió é einnibus inferroribus iZam pat tic ipantibus;,ncé videtur im alio poíse fan dart ralis neéclliras; nifi logradufubalcá fu trao plaribus ipeeicBus communi. | 183 Inoppofitü obijcitur t.quod pros priü nó (it vninerfale;quia proprii et comune opponüuntur; et ét quia non praxdicatur de plaribus:i mmedtatéjqnia ri bie le priedicatut dé Perro, et Pàulo mediantc homine . Refp. propriü,& cómunedisr uetfo modo fumpta nà efse oppofita,di« Citat itaq; propritrípecieiscü qua conuere titurj& cc(pe&tueius concedimus nó dici Vniucrfile, dicitur aaté cómune indiuis» duis illius (pecici, et refpectu quo j;illord dícitut vníacr(ale,vndé cü Scoto q:50. ad 1.cócedimus propriü quatenus propriü s. et MAU e cuius eft propriü,no effe vnis uet(ale, (ed'tárü cefpe&tuillorü: plurium s quibusc(t cómane,vnde propri d, et q t vniaer(ale süt id£ materialiter, nó maliter; poíset tírdici proptiü'; ét refpes &uillorü, quia h'ec comunitas nó elt ad extranea;fed'ad indiuidua prie natura,Adaliud',vel dicimus vead r,cótra 2, có» cl.vir.art, q. priced. vel.cum Tar. hic, ? aliquid dicitur immediaté predicari-de ali quo düpliciter, vno modo immediatioa ne modi predicandi; (ic videlicet q»integ ip(um et (ua: (übijcibilia ni medict,q ha: beat talem modü przdicandi refpectu ils lori,& tic ri(bile immediate przdicatao de Petro, et Paulo,quia nihil e(t inter ip« s, et hzc indinidua,q» hibet cal modii pezdicand:.f.in qualeaccideotale nece(a farib ako modo 1mmrediatione cauíe, vel fubre&ti, et (ic nom pradicatur immedias té : »rdi eor meowpost ali« id effe predicabile proprié fumptum. pe Secüdo arguitnr;quod nó fit vni» ucríale diftin&ü ab accidere; Tü quia có muniter diuidi folet accidens m przdicav mécale, et pradicabile ; (abquo:compree lienditur ét proprium.quia aecidens "dicabile eftjquod pradicatut extra e tiá. Tü quia przdicarr in pale ctl cntiale vnirun conflítait pradicabilesetgo etiamy pte dicari in quale accidétale«T U 4.quia accidés diuiditur in (cpatabile,  inlepar tabileyproptimm videtur ace:dens yofepae fabile. l'um tandem quia modus c& d: eft idem tn proprio, et accidéu, quod aüt rcs, qui pradicatr, hic cónexayec] no à fubiecto, habet fc peracerdens In or» dific ad pracdicationemy!n qua nea ex " St 1 t t 308 Difyai. V. De Vuintfalibus in pari, -eaturilla cónexio, nec rationeillius vn&  Vniuer(. hac racione probat proprium ef alio modo przdicatur, q alind,qua róne Atriag.difp.8. Log.in fine tenet,pprium nó c(Ic diftin&ü vaiuerfaleab accidente. R efp.ad 1.cftó verü fit. affümitur, th accidens prz dicabile (übdiuiditor per. modos przdicandi diueríos c(Tentialiter, quales íunt przdicari extra eflcotiam cü ncceílaria cónexione cum ipfía,& (ine. » tali connexione. Ad z.neg.paritas,quia non datut, nifi vnüs modus pradicadi in quale cffentialejnon autem pradicadi in quale accidentale. Ad 3.negat Doctot q. 32.ad vit. minorem, quaa €t accidens imíe parabik habet rónem generalem accidé-. is .f. adefle, et abeffe faltim logicé, quia eius oppofito pót (ubiectum intelligi fine repugnantia,vt diciwrintemu de. » toruo;& JEthiope ;fed fub oppofito pro ijno poteft, et idcó proprii maiorem, Uva is intrinfecam cónexionem habea «ii fubiecto, quáaccidens infeparabile, quia hoc non habet radicem in principijs matura. licét ex aliqua cau(a cxtriníeca.» feparari non poffit quaritii ad exittentia. Ad 4neg aflumptum;nam ratione ncccf fati, vc) contipzentis connexionis prz' dicati cum fubicéto variantur. e(fentialiter pra dicabilia quoad modum p:zdican di,cui no'obftat,]uod in a&uali przdicatione non (emper exprimatar talis caditio,vel prz dicandi modus,fic.n. c enus, Sc ies nonconflituerensdiuetfaprzdi-«abilia, quía in actuali predicatiene folus exprimitur modus przdicandi in quid et per modü termini fubftanciui, qui eft vtriq; communis, non autem e» primitur quod pee dicat part£ effentig fpecies to tam; he etiam differentia, et propriü non diftingueremur in ratione pradicabiliü, ajuia in actuali icatione folum expri mitur modus przdicadi in quale, et per modii ponens adiediui, d.c Me a . 191 Tertii arguitur, gp proptiü (it vni ucrfale rcfpeQtu meme qua cóuertisur pocius,quam indiuiduorum . Tà quia fpecics,de qua przdicatur proprium, ef& vniucrális,ergo éc& proprium y cum in 3ali pradicatione (ic ci zquale ; qua róoe tenet Mafius proprium ét reípeta fpe9xci effe voiueilale, imo Doctor q. 39. fc vniuer(ale, Tü qui PAPE Am ones generis re(pe&u inferiorü nó[t habent vt propria quarto modo, fed (ecundo,vt conftat de bipede, quod eft proprii ani malis códiftin&ti à qnadrupcdibus, eft genus innominatum refpectu omni bipedum, et tamen re(pe&tu hominis cff. proprium fecundo modo,ergo proprium non dicitur quartü przdicabile reípe&ta infcriorum, fed refpe&tu iplius naturz,, €um qua conuertitur. Tum tandem quia fi fubijcibilia proprij in ratione vainerfalis (anc indiuidua (pecici,vel generis, sis qp propriü eft fpecificü,ve] genericü, er» go cadé erüt fubi jcibilia proprij, ac gene ris,vcl (pecici, et (ic nó erüx diuerfa pdicabilia,quia non func diuerfa fubijcibilia. Refp. neg. affumptum, quiafpecies im   tali przdicatione habet rationem v4 cibilis, quaratione non eft vniuerfalis gicé,ícd xantum metaphylicé,vndé neg. etiam confeq; nam ad (ummum in pradicauonc proprium. babebit ratio"  nem przdicati cómunis, non prz dicabilis. Ncgs Do&or loc.cit. ea ratione baui proprium cffe vniucrfale, fed id x oflenditcx co quia przdicanrde pluri  bus,hocautemprobat, quia copuertitut   cum fpecie, vndé pradicatur inqaale de omnibusillis ; dc quibus fpecies przdicatur in quid quod collat cile medi long diuerfum ab co,quod tangitur inargumé te. Dices, fi reípcótu fpecicieft piadi«atum, ergo alicuius praedicabiks cff pradicatum, atq; ideo in ordine ad illam erit pradicabile Refp. cffc vciq;alicuius raedicabilis pra dicatum; (ed nónper tacomparationé eft pradicabile, ficut fpecies tubijeibilis refpeétu geueris cff vniuer(alis, ícd non pet talem comparationem. Ad 2.cóftat cx dictisauper in 3. €onfe&ario,qua ratione proprium gent" riscft ctiam proprium fpecierü in quarto modo : vocat autem Porph. bipedem proprium hominisin fccundo modo ; nó inquarte, quia inquarto pofuit tantum proprium (pecificum » vndé (i proprium 4n quarto modo pauló Jauus fümatur y em fecundi modr ad illud attinec, «ei»quomode pow dici propr:üfpeerum, e TAUTA QJ Anc Acádem [it Voiuerfeo bend defindrt.I. $09 ieram,fi eft illis communc? Refp.candé DE ioleem de proprio fpecifico, igitur,quod eft proprium alicuius nature, [ as dicatur commune ommbus inferio ribus illius, adhuc tamen ctiam refpe&tu illorum dici poteft proprium, nó qu:dem yt proprium diftinguitur cotra cominunc, Ícd contra extrancum; quatenus eius com munitas non cft ad extranea fed ad infcriora eiuí(dem naturz.. Ad 5.neg. confeq. quia licét nt eadé (ubijcibilia materialiterjnon camen formaliter, quia generi, et fpeciei (ubijciütur in quidproprio ia qua Je:aliaargumenta cótra boc (olui poffunt ex diis in lirmili (uperius de differentia . De cci dente. 192 x 7 T manus extrema huic impona j V tür difputacioni de V niuerfali;busin particulari,cemanet hoc vltino lodum de accidente ; et quidem ra.tionabi eto xpo iod cít omninó extra effíenam illorü,de quibus pradicatur; . et meré cótingenter illis tribuitar,& duoobuspariter articulis rem expediemus. n AAccidens n"  ratione vniuer[a lis yc vt tale defimatur: à Porpb. [6 retià. x . N Oneft hic que(tio de accidente reé ípc&a fuorum ioferiorum, vt de co lorc refpectu albedinis, et nigredinis, et . de albedine refpeótu huius ; et illius albedinis, quia fatentur omnes in ordine adil la habere rationcm. generis, vel fpeciei ; ' fed quattio cft de accidentein ordine ad fua fubiecta, refpecto quor proprie di.. €itur accidens, .i. de albedine v. g. in ordine ad aiuem, et lac ; cum enim in con-. reto süp:a poffit veré dc [ubieQtis qui, im abíftza&o poceft tantum de (uis inkcrioribus przdicari c[senuialiter,vt bec al. bedo eit alocdo) «uaritor, an cum de: pluribus przdicacut. hoc modo, ingerat nouam vrxoeríalivacem dittinctam à quaa. iur jà declaraus. ecenuorcs nonaulli Logica, bus accidit, pradicari accidentaliter (riá .. iter identifietur cam illis; arbitrantes ab ip(is (tare totam Grecor á catecuam, vt diximus difput.4. q. $. uc runt accidens e(Te veré vniuetfale, quibus faucet Suarez difp. 6. Mer.(cét. 4. n. 4. vbi ait proprium, et accidens non effc proprie vnuer(alia, quia propria vnitas vni« uerfalis eit re(pe&u corum, qua füb illa e(fentialiter continentar « 193 Dicendum tamen c& cü cómuni, accidensquintum pradicabile efse veré, et proptié vniuerfale, Ita Do&or q. 44. Vniuetf. deducitur, et probatur ex dictis loc.cic. difp.4. q.5. nam de efsentia vniucríalis eft, quod fit vnum in multis cum fai multiplicatione, przfcindédo ab hac, quàd it e'sentialitec in illis multis, vel accidentaliter, fed accidens in concreto fümptum e vnumin pluribus fabietis, quia Petrus eft albus ; Paulus eft albus ; et cum fui multiplicatione, nam non habet idem cfle album à parte rei Petrus, et Paulus,ergoaccidens cít eísétialiter vni uerfale, licét non fit vniuerfale eíJentiale, quia qu/bus conuenit, accidentaliter cóuenit, et non effentialiter. Conf. quia accidens hoc modo fumptum .f. in concreto rcfpe&u forum fubie&orum babet, guicasiá tequiritut ad rationem voiacralis, vnitatem .f. et multiplicationetn in pluribus, habet vnitatem per abftra&tionem imellcns,, quando nempe abftrahit naturam albedinis, non folum ab hac, et illaalbedine, (ed esiam ab hoc, et illo fibie&to albo, vndé album in communi, vt fpe&at ad hoc vniüerfale,non folum dicit pateram albedin:s przfcindendo ab bac, et illa albedine, fed etiam connotat fübicctum in communi pra(cindendo. à 'ingulis fübicé&tis in particulari ; babet eam commanitatem cum fui tiplicauone, quia album fic abfiractum cone. cipitur contrahi,.ac diuidi in plura alba «o modo, quo fupra diximus de diuifione, vniuerfalis pes differentias, ergo Xe. 194 Obijceide ratione. vpiuctlair eft qp includacuc in bà (ubicótis ef ES milis VP dicatio n tora de inferiozibus,vel etd que dà identitas cationis vnius natur có pluribus-, wclillam aliquo modo ptzfupponit à parie rei, «ü ergo ra nd ità | » 3 L I" . E $10 fe habeat in ordine ad fubiecta, quibus accidit, fané tcÍpe&tu eorum vniuer(ale mon cuit. Refp.neg.aiumptum; vt«n.c6flat ex dictis difp.4. q. 4. non cfide rone vniuctfalis, p p'adicetür de ;plüribusin quid, et cflcitialiter, cons niil talepóna«toc in eius definitione, fed fufficitetiá, gp pradicetur denominatiué, dtm modo-raAio pra dicans (it in [e vna 5'ncc miss reuiritur idtitas rea!is nature cá plaribus, in quibus eft, fed (uflicitetiam idenutas quzdam accidentalis, (ctr qualifcq; con«tetio ndtuiae ad illa, «nde licut in pradicationibas effentialibus intcllc&us pradícando identi&icat naturá «nam cum plu tibus inferiofibus effcmtialiter, erf in re nó fit cadem in illis pcr inexift ent: am, 1tà jmaccidétalibus idétificats(cu potius vnit -patoram albedinis c(i j luribus fubicé&tis, licét à parte rei in illisnon fit vna', et ea-dem albedo, non folum vnitate nnmeraVj,(cd nec euiá vitate minori, per incxientiam, fed £antum per indifferenziam . 19$ secundo li accidens haberet tóné wniuetfalis in ordine ad plura (ubic&a, quibus incfle poteft, fequitur dari poffe .  wiiucrfile à parte tei, cafa quo poneretur -à Dcoidé accidens ia plaribus (abiectis. 3Rély.cómpniter ncg.(eq quia vniuct(ale éicitor ee jn mulus per. fui multiplica? ionem, et dimtfionem, at ià cafu accidés . "bó diceretur de plur bus per (ui multipli"xXauoBem fcd potis idé numcto indiuisü 7 diceretur de i;lucibus per folam fui repli"«adont:Hgc ett cómwoisfolutio, qoa nes qj inceeduas s(i (atas, At fané nó vi; plené (atisficere,quia in coca(u ef"séoplura alba, «uod malé negat hic Blác. jum ad multiplicationem concretorü ac€ideocalium (ufficiat (ola (abic&ord mul miplicatio ex diíp. 2.q.6« ait, 2.X tanc ve"fésb illis abftrahi potict ratio communis -dibi nempé (übic&i habentis albedinem, ua tatio malt iplicatctur in illis, quiageUf cent plura Bübentia albedinem ; non taníé hioe tequitur dari vniuerfale à pátte tei, quia qood €ftyaierfale, non cftal;bedo, fcd album, album autera non eft "anti à parce rei; fed mülople£, Atiac.é fi vis comun: adirerere folutioni,dicctt oportebit 3 qcod e(ià ilia hiat plura alDifput. V. De Vninerfalibus in partic. ba, album tamen non eft vniuerfale re fpe&u illorum, quia effent plora alba prae ciséob (olà multi jüciiepdin fübic&torá, nonautem albedinis in (ilis, quod camen ncectiacium effet;quia forma ipía aceidctalis cl, qua importatur per concretum huios vniuctía!is; iubie&um veró, quod cft hábcos illam,folum cónotarurs& idcó non videtur potíe habere rationem vniuctfalistcfpectu illorü plurium,efto mul uplicctur in ei$,quia multriplicatur,ytcós. notáturm, non vt principale fignificatum ; 196 Teitio vniacríale poteft i ri démulus, antequam a parterei exi in tnaltis(ed id accidéi couenire Ux a ergo &c.Prob.rbai-quia in natora fufficit qnod praecedat aptitudo pluribas ine(fen di, vcl fi illa plata actu requiruncut, fufficitjquodfintperintellectumappreherefa,vtcóflat ex fuperius dictis; Prab.min. uia accidens non potcft veré prz dicari dc fübicéto, nifi prz oppofita a&tgali exi ftentia illius, vc patet ex Summwlis y. vbi alia przdicari pottont prefcindendo ab exiflentía,& omi temporis different Refp hoc argamentam mulcos fc, fcd finc caufa nam facil foluitut-dicendo, accidétal:s de pluribus ficri nicgüeat fine exifteacia (ubiectorum, quibus actualiter in(it,ob ratioacm allatam,tan ue rentiam aptitudinalein, 3 habct accidens ad fübiecta, etiam poílibilia, potcft fieri pradicatio aptirudinalis de plovibus, qdibus ineffe aptttm eft;quod (afficit ad vniaer(alitatem ( fi illa aptitudo concipiatur vt proxima ) nam ex di&tis difp. 4. q. 2. att. 3 s cilentia vmuerfalis nó tantum €óufitit inipfomet a&u etsédi in mulws,fed etd faluatur in ipfa apcitudineproxima ibi explicata ad císendü in cis; quaré hoc erit difcrimen intet hoc vltimum vniuett 'faley& coetcta ex alia parte, quod exerciti praedicationis in ittis ficri poteft veré erá nullo infertori exiftente, a nó inac€idente y apcitüdinalis priedicatio'tamen «ntvera in omnibus ob apticudicénatu1& ad cffcndü in mulcis fiue e(fentialiter, Áiué denominariue. Vrgebis,(ubicéta noa exiftéca nequeant ab accidéte refpiciynili per aoc6 poll; biliü, in quibus poffibili[   ex. s 4 bx 2 ad died 'e(Lo exercitium piedicationi$.   QV. cAneAcidens fit Pniuerfeo bené defin. cdi. v1 get effe poteit ;(ed exiftécia porfibilis nó | toni rrr efienislitas, q104 po.ejs ade(Je,etabeffe fine [ubie ter, et necefsarib, vade hecpropotio  fz,cr non tnefJe, non dcfiaict fecandá inmodalis, 4 dam iter efl albus, eft tentioneyyfeu accidens, vc vniuetfalc for ncceflaria, vt con(tat ex dictis in Sümulis, ergo vmuer(alitas quint) predicabilis fion bene conft tuitorin ordine'ad (übic&s cantum poflibilia,(ed debenteffe exiftenta.. Refp/in pridicacionibus aptítudinal bus quinti cabilisnon poffibilitatem, aut exiftentiá poffibilem przdicati de fübicé&tis non exiftentibus;, Gc .n, €onc luderet argumentum,(ed przdicaror ipía é-rma accidentalis, quz ill.sipeffe cft contingenter, vndé licéc fjr neceffaro aptà ad effendum in illisenon tomen ad.c(lendumin illisneceBarió ; (cd cótimgeniec, et adeo per hincaptitudinalem praedicatione accidcutis de (ubie&nis poffibilibus,quibus ine(e potett;bené explicatur cius vniucríalitas,-cftb exerciuium icationis requirat realem exiftétiam fubicétoram, vt vera fir,  ü "ing arto tandem vnimquodqicófüiruicur 2 eccle qrotiinfadcs aqui; bus abttrahitur,(cd album; g» cft quintum 'dicabile, non abftrahiturà Peuo, et aulo,vt fic, fcd quatenus hac alba, ergo €óftituitur vniuerfale in ordine ad ilia,tà uam inícriora, quz cft vniuer(alitas efnrialis, non tanquam fubiecta,ergo noo datur vniuer(alitas quina przd:cabiis. Refp.Didac.gemim rcíponfioge, qua: fum ncutra valet, vt foclb conl ibit cas nte vndé cas refcrre non curamus; euiter dicendü ad min. quod licécalbü nonab(trahatur à Petro, et Paulo, vtüc, quia hoc modo (um jofcriora à sturz humanz,utcab ipfis vcforingliter alba, quia hoc modo céícetut itctiora albedinis in . «oncreto;abftrahicur tfi ab iliis crus funt. denominatiue alba, et nus fant fubieta 4b aibedinc deoominabilia, fic sn. conueniunt in albo accidentaliter, et inariué, vndé ratione talis conoeit ab ipíis,vt (ic, albüabflra m vmueríale conftituat. altcrá quaaci partea 10.de Tasatt. rhuuius q. 3: Atriag. 3. cümubtis alijs aflerunt-per identis'á 1-orph.atlignamaliter,:nam abeffe, et non abcffe habet accideas ex aturafua ; partetei,  Dicendütamé ett cum cói hic definiri accidens. fecundo intentronaliter capti et conícquenter in racione vniuec(alistal tim jmpliciiéjirà DoStor q. 34. Vniuerfi yb! notat accidens (umi pote priv in tentionaliter; vt idcm fonat,quod iohierens sve! al.erradiacens,& (ecupdo interitionalitec, quomodo nó importat, nifffecuadi inten:t0n£, quz acccb.crur alieuij quod fine ibpircanua pore!t alfi" mari, et negari de fübiecko, et fubda. Porph. in lioc rantuafenfu hic de accideo:e loqui. Hinc demdé q. 35: explicans dcfiaitioné prafacamaccidencisait, quod per nomen fabiect: intelligitur fubic&é przdicationisjX nà iahz lonis, et il'a vciba adeffes. € abejje bic non capi realiter, et priaió intécionaliter,yc fenfus tic, inhzrer,& nó indir afficit; et non afficit fübic&im pracer ipfius fübie&ti corruptionem ; fed intelligt fecundà iatentiopiliter, vt (eme fus tit, cuius affirmatio, et negatio nihil derogat eflentize (ubie& ;, (ic vc fübiedti eílentia ex hutofmodi affirmatione; vel negatione non dettruitur. 199 Etqudé quód defiuitio Porph. debeat fic imelligi, Propstur;quia confi deratio accidentis primo modo fumpti (pedtat ad Metaph. et ett potias cófidctá tio accidétis prae icamentalis quam przed'cabilis, de juo ett nic (emo ; tum quia Ii dcfiaitio iraderetur de accidente realis, tünc diuiíio accidentis realis in fcparabiley et infeparabile dircéte rept ct defi mitioni, ex vi cuidas quodam accideus cófticuitur: feparábile abfquefabicéti rüptione; cá tandem brob.ex ipfo Porph accidend. qti videns diffcultaié, qoa ex bus infeparabil ibus có:ca dc flaicioné ori batut, rc( poet prafacá definicione m ená 'acéidéa inieparabili cógenire, quia cc&e intelligi poc fubiedtü fine tili accidens teyvc/Ethiops gos niger, iind ser ne ipffus eor inc,erzo Porph. loca e cei i o i orn ST 4 "ek Gicorrupttone,ucl quod poteft eidé inef $12 eidentis cá (obie&o, vcl feparatione per intellcGü,quz nó fiuntnifiperfecüdamintcllc&tusopcrat;onem;illaveroparticula, (7, in del;nitione pofita tcoeti debct di(iunctiué,(i adeft, et abeft,(umantur pro a&u afficmandi, et negandi,(i autcm (amantur, vt dicont aptitudinem, q» magis przrítar, quia non ett de effentia o accidentis, quod a&u affi rmctut, vel negetur, fic potcft adbucteneti copulatiué, quia cfto afhrmari,& negari Gnt oppotita,non tamcn potentia ad illa, quia nó cft ad illos a&us fimul, fcd fücceffiue . Explicatür etiam accidens pet cam de finitionem in ratione quinti vniuer(alis, quia vt ait DoG.cit. per totom illud copu latum adefl €? abefl prater fubiecti corruptionem in(inuatur genus, et differcntia,nemrc pradicari in quale accidentale tran(mutabiliter ; diximus veró explicari inrationc vniuerfalis (folü implicite,quia non definitur explicità pet ordiné ad plufa (ubicéta vt fieri deberet, vt explicité in ratione vniuerfalis defcriberetur, (ed «im implicite, quatenus per fubicétü in communi infinuatur hoc, vcl illud in particalari, cumquo pó accidens concingenter concdti; et g diximus dc prima dchinitio nc,dicat €t dc (ecüda, d c ü ea coincidit, 200 Et hac dc6nitione fic explicara o per terminos fccumdz intéuonis tollitur omnis di ficultas emergens ex illis accidé tibus, quz vel fuo aduentu, et prz'ícntia Iructionemaffecüt(abiecto,vcmorsyiuentibus;combuftiolignis,calor(ummasaqua et fimilia,vel ablentia (ua,vc vi vere, calor naturalis, debita téperies ani» malibus,&cnam cu dicitur acc:dés adeffc,vcl abeffc precer (übie&ti corruptioné, intelligitur quoad e(Tentiá, no quoad exiflentiam, vi fcn(us fit, accidens adcfle, abeffe 1. aHirmari, vel negari de fübiedto Citra cius císétig prariudiciü, et in hoc séfu verü eft etfeniam homius integré có. cipi poffe (ine vita, et (ub oppotito cius, quia neutrü [pe&tat ad hominis effentiá, ncc mors opponitur c(icatiz rei, fed exi-. ftenig. At hic vrgetur difficultas de morc te,quia quádo pradicatur dc animali,tollit ab co prz dicatum efenciale, quod cf viucns,ergo non potcít affirmar!, et ucDifput. V. De Veiuef.in pário 50500 ri integra manente homiuis effentía 1s; cíp. hic (ine cauía trepidace Auctores Caiet. Sot. Sanchez, Complot. Mafiuin,. et alios recurrendo ad varias folutiones y. quas tcfert,& reijcit Fuencesq. 1 1. d.ff.r, art.2. et ipfc candem relpondet, quod cá definitio (it intclligenda de abícotia, et pra(enua intentionali,(ufficit qp (abieótá po(TDt incellii tine contradict onc (ub yi ta,& (ub oppcfito eius.f. morte.Scd ipfe difficultatem tolit,hoc .n.probat ats gumentum;nó potle cocipi hominem fiue contradi&ionc fub oppoltito vita:, quia viuens cíl przdicatamc(lenualecrus Facilc tamen reí ponde. ur, q» viens poteft fumi dupliciter, vcl verbaluer, feu participialiter,vc dicit actü,vcl nominaliger wt dicit aptirud.nem, et ablolui. uc a rempos re, primo modo ctt/predicatum: cohtingcns,& ci vt fic mors opponitur, non ad« tem oppon:tur ci fecundo modo,;quo pa&o eft przdicatum. eflenpiale,& folucio innuitur à Tatar. q.vit.przdicab.dub.3. . 201 Demü tic explicata definitio cóuenit omn: definito; quia TCccundz integ tiones dicütur accidenua primarü,& ade   (unt, vel abfunt prater earuin Corruptio« nem hoc modo, conuenit eciam tecmanis (ubflantialibus, dem alijs accidunt, vt patebit art, feq. hoc autem dici. non pollet, fie plicaretür de. inhzrenca reali, quia hzc nec cntibus ration/s conuemr y nec fubftantijs ; faluatur euam hoc modo di. fcrimen inter accidens. prz dicamentale, et pizdicabile, quód accidens primi ge. neris concraponitut. fübltanug, et ftat pro accidente inhzrente j accidens verà predicabile concadi(Linguitur à przdicato efsenuali, et (ic quicquid non-coancait e[scnrialitet y dicitur accidens praz« dicabile, (iue fic aliquid reale, finc rationis, uc inhzrns,huc fublftens, quo fen fu dicimus haac e(se pet accidens ammal efl bomo, quatenus inferius (emper accidit (upcriori przzdicabiluer . Hoc autem difcrimen penitus ruit iuxta primam (en tentiam, quia fi accideos pra: dicabile, de quo hic agitur, coaftiuitur y S defini per inhzrcnugm, realca, non.remanct vnde dittingaatur à pigdicamentali, qp onfbruxur « ét. pet realem inba geotia n m | QV e dncAaidon fà Vase. eene df ch f13 ., Sed obijcies 1.quod et definitio intclligitur dc (cparatione per intelle&um;ergo mullum etit accidens infeparabile .. Rcíp. confeq. erit enim accidens inícpaable tealiter, de qua leparatione ioitur Porph. cum diuidit accidens in hie infepatabile. Dices,(i diuiit accidens reale, ergo illad ipíum deit, quiacodem modo (mitur accidens in definitione,& diuifione.Neg. confeq. «um cius Prob. Porph.cnim dcfiniuit accidcns iacentionale,& poftca coníulto di vifit realc, tum vt facilius pofemus cam imcelligere dietas quomodo-f. accidens po(fit fcgari de fübic&to, cum dcntur aliqua in(cparab;lia, (übdir .n., quod funt inleparabilia realiter, feparabilia tamen pcr intclledtum ; «um quia vt magis explicaret accidens fecunda intentionaliter captum, affignauit ftatim fübiecta rcalia, quz à tali intentione denominari poflunt. quod etiam in alijs ob(eruauit vniuer(alibus, dum explicuit coram dcfnitioncs per naturas reales. .&0£. Secundó definito fic ex plicata ét conueniret proprio, quàd (altim per intclicctum feparan poc à fübiecto .. Neg. con(cq. licét enim proprium poffit à [ubicéto,tafcindi per primam. operatiopem,nontamen bncmendacio[cpararipoxctt.per(ccundamnegandoipfumdefubic&to,veloppolitudafirmado,quodfieripoccít de accidente etiam infcparabili, vc ait Porph. et rario huius patet ex di&is 4. rzced. Dices, ram fala cft. negato . accidentis infeparabilis de (ubieéto, quàm propr:j de natura. Neg. paritas: » nam dicendo coruns non eff ntger, propofiuo eft fal( quia (ecundum communcin naturz cur(um omnis coruus cft .. Digersat diceedo bomo non efl rifibilis citfaliayquia implicat eius (cparatio,ctià dufallitatis hzc propofitio reperitur y illayita €x Scoto q.35.in finc; Aclit, quod quamuis rcbus fic flantibus illa it £al(a coruus non cfl niger,'amen fi id dicatur, nihil dicitur contra. cíicntiam coruisimo ii faciat hunc feofüm, nigredo nonsi de cílenuia corüineque cuin eius principis neceflario cóncxa, propofito erit vera. Artiag.cirac ét Quuicd, hic acguit cotra hác cómuné foluuoné oflcdés, uód cító valeat de. pcoptio rcalitcc indi indo à tübic&o, vi ett rifibile,nó ctamé dc co,quod realiter di[Hiaghitur ; Sed cü nos nullua tale adaittamus. proprium, non vrgct argumentum, carent, qui talia propria admictunt . ' Tertio arguit Io. de S. Thom.idquod explicant ift dcfinitioncs, inucnftur cti& in accidenti fi ngulari,quia adc(fe, et ab etie à (übie&o conucnit ctiam accidenti indiuidualiter accepto, (edqnicquidinuenitutinlingularibus,&adIxdefcendit,nonpertinctad intentione vniuere falitatis, quia hzc non dcícendit ad (iagularia,ergo hic priura intentio acciden tis definitur, non (caunda.. Rcíp. quod,  explicant definitiones accidentis in communi inucniri etiàm in quolibet accidenti in parciculari (ecundó. intentionilitec. cua nietos ies &ilaintendoadcidenialicatis huic, et illi rcali accident apiicatz fuat indiaidud"zecidentalitatig in communi, et hoc mado non inconucnit ; jmà opas cít vniuec(alitatem ad (ua inferioradeícendere. Quzres,an pee fata accidéris defi nitio po(li: explicari de accidéte rcali;ita quod ly adefl, C abeft intelligatur dc.» reali prz(entia,& ab(entia ; aco difticultatis ct,quam moui, Porph.ipfe,quia, nimirum tunc ifta definitio. non videtur. ffe competere accid.ntibus infeparailibus. Refp.quod fiade(l, c abe[l (umatur pro inhzrere,& non inharete,nullo.modo applicari poteft accideaci rcali, dequo hic cft ermo ; et eft tundamctum viue; falitatis huiusyquia iahzrcere, et nó inbarere conuenit. foli accidenti prazzdicamentali, at nonfolum accidens przzdicamentale, fed ctiam fubítantia hanc vniocríalitatcm fundarc potcft, vt mox diccmus ; fi autcm adcflc, et abetfe dicat conungcnter copuenirey& cura vilam cf» (entia rci cx genuam ficapplicari potcft ctiam accidenti reali. non t. ntum Ícparae bili,1ed cios ul ARM » quia talis ina Íepatabilitas non 1pcétatur. cipis cficnug rci » [cd piens. We libus, vadé cum hoc, quod fic neccliacid. " Wt " con$14 | Difput, V. De Vniwerfalibus in-pattie. Neo connexám cum indiyidao, flat femper, quod fit contiagenter connexum c. eius efientia, re(pe&tu cuius omne accidens dici poterit feparabile ; itaq; potcft tàm dcfinitio,quàm diuifio accidenti reali ap licarí, :taquod adeíle, et abetje (inc fu. biccti corruptione attendatur. refpe&u quidditatis, e(Te vero feparabile, et infe: parabile attendatur. refpeétu (ubic&i ex parte indiuiduationis, Quibus naturis conueniat vniuer[(alitas accidentis, repeti n quorum, 204 Váplurcs afferüt vniuerfalitaté Q quinti przdicabilis füdari folü füpet accidens commune,quod à (ubftátia códiflinguitur ita figoificauit Burlcus hic quem fequitur Tolet.cap.de accidente dub. 1. Amic.ibid.q. 1, et ex noftris An glic. q.51,,& Brafauol. in q.3 4. Vniuerf. Dicendum tamen eft vniucrlalitatem quinti przd.cabilis fündari potfe fapra 5 quodcunq; predicatum contingenter cóiteniens alteri, fiue illud fit praedicatum fubftantiale, find accidens przdicamentale. Ità Scor.in 3.d.7. q.1. vbi. Lichet, Jtem D. Th.1, Poft. 9.& 1. Top.4.cap.& e(t communiter recéptum; Probatur autem. Tuin quia hic definitur accidés prz dicabilejnon ptz dicamentale,fed (ub eo etiam fubflantia continetur, quatenus poteft dcalioperaccidenspraedicari,ergo&c. Tàm quia numerus pra dicabilium non fumitur ex varietate rerum,quz pra dicaotur,fed epe modi,quo przedicatum cam (übie&to connedtitur; (ed grzdicara fubftantialia potlunt alteri có' tinzenrer conuenire, non iinus, quam aécidentia;ergo potetunt ipla quoq; hánc vniuerfalitatem fandare; Prob min. forma.n.(abftantialis afficit materiam; et de ea przdicatur,non in quid, fed denominatiné, et in quale,dicimus .n. materiam (fe informátar, corpus effe animatum, loquendo de corpore pro áltera patte, vc docet [ 1d. 8.3.4. X-& quol. 3.O. item bomo denom:nacur vcílitus à veít ibus,vas deauratum abaaro, et é contta fole: forma ab ipía. materia. dcneminari dicendo hzc coroqa eft aüfes, cathedra  eft lignea, vasargcoreüm, quz-ounücg predicauoneg ad quintum pre ficabie fpectant,quia agrum, et arseuccü cone trahant figaram coroaz, vel valjs, quar de tc indi tferés erat, vt e(fet lignea, vcl pidea, atque'yta fc habet rcípectu ies per modi formz; dec ad »rzdicationeay quinti v maerfalis requit.cuc inhier&ia im alio,fed fola conuenieatis concingense 210; Relpódct Tolet.id illis praedica tionibus aon p-zdicari fubttan iar aurrg vcl argenti de váfe,& cocona;(ed tancum rcípectum vafis, vel coronz ad aurü,vel argentum, ex quibusconflaca fuac, qui refpe&ug eft accideus (pe&ans ad przedicamettum habitus, (icut enun vas eife album, e& habere albcdinem, vt ibidocet Aüctor fcx princ. ita elfe auteuin, vel deauratuim eft habere aurum circüftans, vcl tanquam materiam (ui, vnde inquit: has przdicationes,vas eft deaucatum, ha mo cft vetirus, aquiuslereillis, home eft habens veftes.vas eft aurum ; in quibus (olum ille refpectus habitionis pradicatur dc fubic&o,non verà veftis » vel aurum. At (i hzc folauo valetyfequirar nullam accidens prz dicari de (ubie&o,fed tantam illum refpectam habitios ms de przdicamento habitus ; Prob. EE. nam corpus effe quanium cde album, ei habere quantiratem, et albedinem, &c. Sidicas,in his prz dicarionibus; quod formaliter praedicatur, etfe illa accidentia, quia (umunturin concreto, quando vere retoluuntur. inillas xv est babens q«auitatemye sl babens albedinem,quod . tormaliter praedicatur, etfe illumirefpe€tam habitionis, non aute accidentia s quantitatis, et albedims, quia fümuatar in ab(tra&o, et in obliquo . Sic nos: dicc mus in p fitoqa cum dicitur, homo e(t veftitus, corónà cft aurca, quod formaliter przdicacar, eftvcttis, et au rum adie&tiue virtue ee a s ; aliis praedicatioe mz accidentalis;licét in à niDus,in quàs rclolui poffunt. f. homo eft habens vettem, id; quod formaliter pras dicatur, ic ille refpectus habitiónis Alij fateotuc hits pra4icatroues effe. 7 vtique accidenilc$ j' non tainci quinti : pras "Uu Z» "-n» TO  pradicabilisquia efe auteum,vel argentcum dicit tátum partem niaucríalé com pafiti artificialis, vt autem lit quifiti prat dicabilis, debet ali dicere totü Compolitum. Scd hoc nihil eft, quia pars illaprzdicatur per modum totius in concreto, et adie&tiuc;ac mere contingéter, atqua ideó fimiles pre dicat [pectát ad hoc quintum przdicabile, séíus enia earum cít, vas eft fabricatum in argenti matcríds corona eft fabricata in materia auri, e(fc autem ex tali, vc] tali materia as eft accidentale vafi& coronz . Manear £rgo (ubitantiam poffe fuadare modum icádi quinti vniuetfalis, nam adbuc bemus exenpla magis obuia, in uibas non videtur afferri poffe inflantia a, uad valeat, vt cum dicimus y animal eft poe cati efl rationale, hic .n. quod ptzdicatur, (ubftantia eft, modus pra .dicandi accidenualis, et conungens cft, Quia iint » et differentia accidunt ioribus, t 106 Sed obijcius 21d nó e(fe de mente Porph. qui attulit exempja. de accidente -gredicamentali ; et cum agit de commu. Aitatibus vniuettaliuns, multa tribuit ac;cidemi quinto pradicabiliy ua lubttaatiz'repughant, ctiam de ineate 5catiná loc. cit. 3, d. 7. vidctur dicere, quad de facto nihil, quod cft in p: dicamento (übttanriz; fundat habiudinem accidenti$quod cít quintum pradicsbtle«Kcíp.Tor,h.affctreexempladcaccidenceipfoptedicamenrali,&mulcadiccre;qua ipfi 'oli.copucnium,, quia modus pradi.-£andi quinti vniucríaus mags praéticatur in ugue in (ubft;oua, adeoquod c cem ili (oli: coguenire cenfctuc, sulibitcamen negauit, poiic etiam con, ucnice lubltanuz .. Ex quamuis D'o&tor jta loquatur ioc. cit. camca infra (ubdis., quód non «(t de iatiunc accidentis y vc elt qunm vnrueríale, apylicari pracisd prima intentionis qoa: a M.rapbe dicis tut accidens,imó quod torte ita cfl de fa&oy& licéc viatur pacticula de (cnientia tamen D'octor;s dubitari no potell cum frequenter alibi dicat prac dicationem form. lubttanuialis dc tubiccto cüc aceidentalem, denominattuam «  itatiua,, Q.V. Quibus conpetat Vaiuerf. actidentis &rIT.  x5 Deinde arguitur ratíone ; t quia vt aic Anglicus, quod veréjeft, nulli accidit ex Arift. 1. Dhy(; ergo cum fubftantia nulli accidat, denullo praedicari pote(t pet modum accidentis, tam quia vt aít Brafauol.quod przdicatur per cdam nini vniueralis, dcbet habere rationem informantis, et inhzrentis reípe&u fübicQi actualiter, vel faltim. aptitudinaliter, quia pradicatio accidentis de (übieto ell folum vera per inhzrentiam, fed hoe tepugnar (ubítantie crgo &c. tum tandé quia modus pradicandi (equitur modü cf sédi,(ed (ub(látia, et accidés differant in modo císédi,ergo et in modo predicádie, Rep. eife quidem de ratione acciden tis przdicamentalis, quod femper refpiciat (ubie&tum inhzíionis a&ualiter, vel faltim aptitudinaliter, nion tamcn de ratione accidentis przdicabilis, cuius ran« tum eft refpicere (ubiectum prsdicationis meré pet wor Len diximus adefte se abe[fe in definitione accidentis 1ton fumi pro inhaerere, vel non inhzceresfed pro affirmari, vel negari de fübie&o abíqu: cius deftru&ione, vnde ratio Angl'ci nil aliud probat, m(i quód (ubftantia nequ:t accidece metaphyficé,non autem quód nequeat accidere logicé ; et Bra(auol.talíum atfamit, quód accidegs pradicabilezale dicatur per ordinem ad fubicclü inhziionis, vt bene notauit Lichet.ci.3. d.7.9. 1. Ad 3. neg.abfoluté ma ior modus enim pizd!candi non fequitur;ab(oluté modum cilendi, fed vt (ubftat nofiro concipiendi modo, et fecündum habitudinem, quam habet ad (ubieGum, alio.juin tot elieot. predicabilia y q uot prae dicamcnta . 107 Circa alteram qug (iti parté, certá eft c: dictis atc. prz ced. accidens coniti tui quintum voiaet(ale,non n ordine inferiora fua, in quibusquidditatiue it claditur,(cd ccfpectu (ubicétorum bus meré.cenungeotcr. aduenit, quare quantum ad hoc nibil addcadumn eft . E et lolum al:qua ditficultas,an hec (ub:eótas,feipectu quotum conititucur quintam vouucr(aley dc,cant.cise olo nuineto diffczétia tavit cclpeét [pecierum pluriam dari nequeat accidens o enericüa, Vd foj ; um $16 Wa tefpe&u indiniduorü accidés fpecificü, ita.n.afscoeran: aliqui,inter quos videtur Sanch.q.80.vnde nolant album dici praedicabile quintum refpc&u Cigni;niurs, et la&is, (ed proprie refpe&uhatus homimis, haius niuis »I»uius lactis, ' Dicendum tamen eft cum communi poíse conftitui accidens quintum pradicabile in ordine ad fübiecta, nedum. numero fed etiam fpecie diuerfa, atq; adeo dati accidens gencricum, et fpeeificum . Prcbatur euisencer,quia dantur accidentia qme dam,qoe non folum corimuünia s Tont plüribus indioiduis,fed etiam pluribus genctibus,& fpccicbus,& dc hisomnibus przdicatur accidés commune modo ab omnibus alijs prz dicabehibus diuerío, et codem modo pradicaur dc il1is .f. in quale accidentale tranfmutabilitcr. R efp. quód licét codem modo pradicetur in hoc fenfa de indiuiduis ; et fpccicbus, quibus conuenit, attamen de 3ndiuiduis (olum przdicatut immediaie, de fpccicbus veró mediaté .f. mediancibusindiuiduis;qua [unt propria accidenium (übicéta, vndc Arift.c. de fübft. ait indiuidua mayis fübtlare, quàm gencra 4X fpecics,quia fabttant ipfis generibus, et fpccicbus, et etiam accidentibus, qui"Ipusnon fubttanr genera ; et fpecies ; nita "quatenus sücin ipfis indiuiduis,vndc ho"mo intantum diciuir albus, inquantum  hic, vel illc homo eft albus, et idcó cum 'accidensnon przdicetur immediate. de  pluribus fpeciebus, non potcrit refpcéta Mlotum dici qnintum przdicabile.  308 Atcerié hoc no obítat, quin etiá  relpc&u fgccieram dici. poflit quintum rz d. cubile; rum quia lieet fubiecta 1nlionis accidentifm. realium "e ; fit indioidaü, vt ait Arit.cit.c, de (ubR. fpceics tamen cffe poicft (übictt om przz' éicarionis accidentalis, quod fufficit,vt fufuübijabile huius quidti. vniuer(alis, ' aum quia vt conflat eX diótis, non eft dc rationc yniuerfal:s, quod pradieetur immcediaté dc pluribus,cum nullum rale po ' painr in cius dc fin.tione ; tum ctiam qsia (o przdacatur mediaié de fpecie raediatio yc cauía:,vcl (übie&ti, non autem mcdia uoac mod; prx ditandi fic«quod inter ip. (c : Bifput. V. De nisierf. impartic, (um,& fpecies mediet aliquid, quod ha beattalet modur pradicandi tefpe&u   illarum, talis autem medíetas non impedit aliquid eíse przdicabile proprie (amprum, alioquin nec differentia, nec pro9  prium e(sent veré i siepe As prt dicantur de indiuiduis medrante. fpecie y et de fpecicbus mediante bees ram dem;quia fuac aliqua accidétia rationis y quz pradicantur tmmediaté de maturis communimus, vc cam dieitus homo eft fpecies, animal ett genus, ite .m. pradis,& timiles funt. quintrpraedicas bisits; et competunt homini, et ammali y non vt quzdam naturz(ingalaces.füntvtvoluitSanch.ci.fedproprià,vt(ung miturz communes ab indíniduis condifun&r. Igitur ad (ümmum indiuidu a erunt terminus proximus iftius pcaedicabilis, nonautem adz quatus fed (ubijéibile ade juatum erit Lr een; €um quo accidens contingeaté nexionem, huc illud (i: genus, fiue fpecies, (iue indiuiduam, hzc .n. differentia fab; jcibilium meré materialiter fe habet quoad modam przdicandi, quem accidés exercet reípectuillorü;vadé Porph cap. vk. etiam dixit accidens praditará  dc pluribus fpecic diffetécibus,per quod fignificat fe in qainto pradicabili agnouiffe non tantom vniueríale fpecificum» fcd piani: ers) afi 109 Quueres, an Acci nac tn fic n: itr vites, oncius t difp.9. Log.n. 9. confzqué tcr ad dits ab codem dip. nae Mine probat, quia accidens (eparabile mituratitec, vt vedo refpectu muri, X accidens patabile naturaliter, vt 0127edo refi  &u córut, drilinguantor in pczedicabilitate plu quam duo accidentia feparabilias ergo di ferunt fpecie in prardicabilitate e Tum quia proprium eft przdicabile dif'inctz (peciei abaccidéce cómuni quimi przdicabilis eo;quia przdicatur per modrm alicuins neccfísario cóucaremisfais infcriotibus, accidens veró prardicasur per modum contingenter conueaientis ; erge illad accidens quod prardicator pet modum ità conucnienus conanzentcr,vt vequeat uaiuraliter fepararr et iud gp pes 2,w» d grzdicatur per modum ità cont inzenter «onuenientis, vt poffit naturaliter fepafari, erant diftinctz "eee . Tam deinà, quia accidentia infeparabilia emanát aliquo modo à (ubicctis fuis, et connaturaliter exigantur ab ipfis, alia veró accidentia feparabilia non ità emanant, nec ità connaturáliter exiguntur, ergo alio modo conueniunt fübicctis, et confequéter diuer(o modo funt przdicabilia dc ipfis. Ceterum conícquenter ad di&a (au perius di(p.4.q.6. n.108. et difp. $.q. 1. art. 4. n. 8. oppofitum tenendum elt cum Do&orc q.9. Vniuerf. vbi docet quinque fpccics Vnucr(, à Porphyrio a(fignatas effe inimas; et hocpra'(ertim de accidente alicrendum ett, quia fiué fit (eparabile,liué in(eparabile, femper tamen fubie€&to contingenter vnitur, neq; ad cius cffentiam vlio modo fpe&tat nec in primo; pec in fecundo modo dicendi per fe; pa. fum vcró refert ; quod accidens fübie&to vniatür feparabiliter ; vel infeparabiliter, quia non omnes modi variant per fe rationcm przdicabilis; alioquin aimis multiplicarentut fpecies praedicabilium, fed illi tantüm cflentialiter, et accidentaliter fe habere, per modum quid, ve! qualis, sicce(iarió, et contingenter. Cont. quia ficut modus concludendi contingenter, vc! neceflarió variat eflencialiter ipeciem fyilogifmi, quando enim conclud:tor ex principijs necetfarijs conftituitur fyllogifmus demonfítraciuus, qnando veró có€luditur ex contingentibus fit fyllo gifs probabilis, qui fpecie d:fferunt ; hic in.2 propofito modi pradicandi ncceffarió, et conungenter funt modi. praedicandi c(Tcntialicer diftin&i, quia contingens, et ncec(idariom e(fentialiter opponuntur ; bac autem ratio non zqué militat de modis przdicandi feparabiliter, et infeparabiliier, quia infeparabilicas accidegtisà (ubic&to infcrt folam neceffitatem phylicam, et natutalcm connexionis cius €um (ubiecto, non vcré mctaphyficam, vel logicam, qua fola conftiiuit modum pra dicandi ncceffarió eilentialiter diitin €turm à modo przdécandi contingeuccr. Conf. adhac; et amplius declavatir, quia fiué accidenstit Ícpa. abile, Gué infcpatabile pawraliter à (ubicctotcmper vnitus contingenter €um eo, vt cótingentia excludit oeceffita em metaphylicam, et lo« gicam,vnde fcparabilitas,& infeparabilitas accidents infert (olum maiorem, vel minorein contingentiam oppofitam nc« ce(Titati logicz, et metaphyüca,fed magis, et mtinusintrà candcm lincam non yariant (peciem;ergo &e, Hinc facilé occurritür rationibus Pócij in oppoitum addu&is. Ad 1. dicendü illam diuer(itatem ptzed'candi feparabie liter, et in(cparabiliter non etfenifi ace cidentalemn, nec illum modum arguendí femper teaere j non enim valet arguere, maículus et foemina di ftinguuntar plus y q duo mafculi;ergo dittinguütur fpecie y linea palmaris, et bipalmaris di t iguütue plusq duc linee palmares inter fc,ergo di ftinguütur fpecie, quia talis diuerfitas eft folü accidétalis intrà eandé fpecié effentialem . Ad a.negatur paritas ob rationes allatas, nam ficut ex diuerfitate matcrim contingentis ; vel neceflariz re(ultat differentia effentialis in fyllogifmo ex bacs velilla conftituto, ità ex diuerfitate eiuf dem materiz refaltare poteft differentia ctfentialis in predicabili, quod conftitui tur cx predicato conuenicnte fübiccto contingenter,vel neceffario ; non autem conueniente lubiecto magis, vcl minus contingenter, quia magis, vel minus non variant fpeciem; ficut à pari,fi fierét duo fyl'ogifmi, quorü vnus con(laret ex pro« pofitionibus contingentibüós, in quibus rzdicatum €onuemret fübie&to feparailiter etià naturaliter,alter veto ex pro« potitionibus contingentibus,in quibus praedicatum conucniret fabiecto feparae biliter (ohàm fupernatucahiter, noo fpecie inter (e d:flerrent, fcd adhuc ambo effent fyllogifmi probabiles, et eiufdem fpecieis folüm ex aliqua conditione aecidentalá diffcrentes, Ad 3. licet accidentia infepas rabilia manent aliquo modo à fübiclis fu s, et connaturaliter exigantur ab eis €a tamen exigentia talisnon cfl, vt infe rat cce (litfftem cónexionis cum eis mee t phy(icam& logicam; qua fola copftie wi modum pradicandi neceffarió etlene taliter. diftinétum :à modo pradicandi contingenter, (ed (olim infert maiorem» vcl aninorem contingenuam; et  illa ieQ.V Quibus competat couiuer[alitas accidemite/AMfrt.1. $17 " | is Ed aripoteratytm quo tata rerum dierfitas ad decé capita eu [uprema gez 4 $18  Difp. DeVuiurfallbusimpani, 50 alictas conueniendi fubieétis, &praidima fed quia alia opinio interScotiflag   candi de ipfis cít (olüim accidedtalis,non' ell commuhiory et Do&ori conformior, vcro c(fentialis ; Verum ett 2 nobnullis:. ilir libenter acquicfcimus,. et pra(erumScouftis oppolitum teneri quod: aimi»   quia pro' oppolita fententia: conuincens; rum fpecics vniuerfaliuay non int infi  ratio non apparct, 2 Peur d MM ELi. c mv ARRA ARCET S. De Pradicameéntis in Communi, ese c/dstepradicamemis: wzsn, Rift. fue Teripatbeticd dotlriri& ab hoc libro de Predicamenpo tisfeude decem catbegorijs infcriptó [umpfit exordium:in quar wu de Tradicamentisegitynom quidem mateyialiter acceptis, " fRabflvatlo, quomodo dicunt res in. predicameito reponi" WA biles vt fic a. ad Metapb[peGant y fed forinaliter fimptis y A, o fenju fignificantves vt ordimatas ad inpitémyO" connexas. aed Jecundnm debitum [ubieClionem,cz pradicationem fiut coor-. dinatioxes illas ili vatione predicabilisy C fubijcibilis y Cr wt fic quid rationij dicunty.jzrelatiohes ordinis inte fuperioray C imferiora,pradicationes umquam uis babeant futdamentum in rcbus y formaliter tamen fiunt ab intelletdu ; in bot Quo 2 fenfu pevtment ad Logicum yvt docet Scotis q.2. pradicaih.mam Lo timuen  coordinare naturas iores, Qr irfertores,vt ciamus, quid rit? de aliquó affirmare ju ussvel uegare. Tum qtia libér sflé valde confert ad tritt opera; r3 Y gromum intelle&ias divcitionem yeteuiim ne. prónti[cug itelletius ves apprebende Tetyad rità affirmandnyvel negandiy C ad re? dif currendum,nilvtiluus tra&batu/  Yd fénocaturgnatmr& comumores [ipra, imiuus commpnites infra collocantur,Q idem [cicutes re&? indicares [cimus confequerite? ve clé deducerescr uferre.,, Iti boc tra£latn vr dé [nbictTo non agitur de votibus y velde vebus y vt notat Do» 9 q1pra dicam. [ed de aliquo intentionaliyqmia fubieésl «nd per fea Word T8 aliqua parte. [cientia debet babere attributionem ad totale, ad&quátuth uod in Logica .Arifl.efl quid ini£ntionalé y non reale ex diclis q. Prodn. Et. Quamuis popa votibussetl rcbus cohucniuti jexplicauerit griflenom vrgetyqiua de illis egit, vt fuat [; gnificat iut intentionum; de ifli$ vt fundamenta inteniionma,inz terdum m. expe reri denominatarum natkrata iDuefligare vt inxtá etus exis gehtiam.prdicationes exerceantur « Hoc y eróintentionale non efl. »yuimer[ale ovs dimabile in. gentresmets ihodn$ pradicardisquia ordiriabilitasgquee cfl pajjioycons &eénit allsspuid indiuiduisy CF fubicibilUns, qua ptr 7 ordinasur in prd: c.unéta W $c0.34d/2 1. B« (9 3:d,3-4-4. D-&7 bic per Je. con(i Vantur,cum de ip[is demos teh paffionesyvt dc prima fubfl antia fignificare boc aliquid,no.e(fen jubiecto, nec dici de fubiettoErit igitur [ubte(lum bi c pradicamemiu in communiyvr dicit ratiotié qtandamisqua aliqua ordinantur fc cünda [ubijci, C7 pradicari 5 Yatio eft y guia pra[vpponituy quid; C7 quiaydum bic liber de pr&ducaman[cribiturydemü[lran iur pa[fiones de ip[oyiam vt aif Scot.cit, cr 4.7. niu quando aliquod [ubiectum. Mari hito faihousdufdr de fuis inferioribus demáftrentuy non primós,co.n. ipfo de [ubietto tà communi primó demonftrahtuvsnec cómiltuu error $ quia non Bias ftat etica, de ad Quatis [übictiiss G tandem omnia blc có »€ ita (ul»ratione pr&dicabdis C: fubyciends traduntur; qua. eld predicamcnti4530, (im: gratiam ipfuss yel vt partes fubicéliua 4 vt pradicamenta y. vc vt ed Om E) po, 2 r. AHt€44 P] L  oQudflio T. Quot fiut Peedicameuta,.. epadicemeniun Q pofipradicamenta. H H ipeteffavia ad ipfius intelligentiam, vt ant er intres partes pri ond $19 uiditur tratbatus ifley pruma vocatur -Quapro, bi xe Camentis, 1 4 va de quibu|dam agitur,nece[Jarijs ad collocationem, e ordinationem verum in predicamentis pertinentibus, P talia fuat tres definitiomnes, wniuocorum,[-aquinocorum, C denominatiuorum,du£ diuifiones, et dua veguia. Secunda pars dicitur de IPradicameniis,que decem. enumerantur . Tertia de fPoflpridicamenis, q«g funt modi quidamyZ7 vel adomnia, vel adaliqua pradisamenta copjequumnimr, Hc Difputatto correfpondet prime parti 4. C7 quia de MW ninocis, A CQuinocis «P Denominatiuis [auis pidimus difp.2..q-4-$« C" 6. fol. dic de y», qu dicameuto reponuntur y agemus "eb ; Quot [imt Predicamenta . A. Radicamentü, vt.ex prefatione di(p. conftat, cit quoddam -aciificio(um opus ab incellectuforma [2 | FEAR iu, et conflru&ü cx ;na«uris reràm in cerra, et determipara (crie &olicétarum fecundi dipoliioné fuperior fubugcibilitatis cum funda: mcuto 1n re, im quo arcif cio velucfondaanentum toris ficuctuug func indiuidua, fpecies fpecial ffin;a deindc gencra . fübaltecna, fi adlunt (non an. efl de ratio mne przdicamenti, quod.dcnurcalia;gcnotatSco;:d.8.93.0.)tandem«ftgcnusgencraliffimum,quodtan «juamtecta,ifapremumfebabetiniilare «;ramcolle&ionev:n.1là (upra(etanquágenusrefjiciat; luncoriturquetlioquotfincbu: atmodiprzdicamenta, inquibustanquam jndeteraánatis manionibusrcs Vniuerlicollocant.r, &habitant.FlatoinSoph:ftayeum pofuit. jtzdi€amentum f. c5; Xcoocratcs et Anaronicus duo, (ubttantiam,& accidens ; alij tt: ffatucront iubftanniam Creatam,.ub | flaniam incccatams& accidens, vcl (c üduin alios fubtiarg am, accidens abtolutum, et accidens rclaiiuum, alij qua uor €lie dis erant; fübftanuao, quonticatem H Quahtazea, et rclatiopem, coe cra ver IDpropté dici pra dicaméta, ciatur Fof. $ Mer«.7.4.8.icct.4Ammon. prediCimn,c.de arts 1 auctus dilp. 1. M ct. €27 et dip. c.13. AL j quinque 1. cticntá » ide nyaltccaasttatnn, et mom, ta quie Hun Plavonici Alij (c& enuincra: lubitá& ad. ip[a Tredicamenta in Conmuni, Gr regaiis corum, qua in Tr&tiam,quaptitatemqualitatem, télatiené, vbi et «uid action: et patfion cómüne ; quibus ab) addant.Q uando.Fcrchius vctig. 7. cenumctat octo. P'eripathetici adjungut $uü, et habitum contiituétcs naimccuum denarium: quem numerum cxcedunt. al; ob entia rationiswndecimum praedicamcntum.con (Litaentia,ita quani iplures ex vofiris, vt vidimus difj,3 ..q.7. ad 3. Quidam dicunt accidentalia prz dicamcnta e(lc decem, et odto;nouem cx teroiinis abi radtis& nonem ex terminis «oncret;squ bus daniur intelligi termina .connotuau J'ihagorici tandem viginti a(Áignaurnt, doccbant n. duas e(fe coordinàtioncs. rerum, «pam determinatorum s, Andeterminarogü alteram, et in vnaquaq; Alkarum pogcbant decem quali principias an prima fioitu S par,vnum, dcxuti mae (culum quic[ccns,ccétum,lu:ncn, bond y et quadracum ; in fccunda infinitum,imparmulzcud.nem,inittrum, (geminam, anotumyobliquum, tenebram, malum T aliera parte longius ; qua; ad deceui capis t4 rduccbant atbanando ynicuiquc dno oppofita, vt pary& pat, Kc.  .€ numcro 1gi ur pta dicamcntorum 4i niter vtamur nümero d«nàco ab Ati«Angcns tuit controucríia, Aaab AU. flor. affign«to cu us ramen primus Inu&4or dicii Aichitas Tarcpunus PuhagofICUS, OubC$ Lanicn in hoc conucmont 4p numcrus iftc depar;us cfi. caci reione Ot édi 10 potcft wecmonct $ o.q.1; re dicam dc quo fuse Suatcz tip. ; 9.  ct. feét.2. X Amic,uacliS aub. 5. mà vbicunqs Doctor loquicut dc iov oiumcero inquit rccprendai cuc non ob laua &fficaccin ratioucu (juicquid dica Bu ] Icol, $20 $c0l.1.d. 30. I. p. art. 3.prop. 6.) (ed propier E hilefophorum veterum auchoritatcm; tum quia jam inoleuir ;n Scholis, et ' euahit f:imofa d:uifto, ità quol. 1 1. att.4. et 4.d.15 quaft, 1.C. fecutus Auihorem fex princip. diccntem, nos iflius numeri denarij pig dicam. habcre fidem, non fcientiam, et ideo (pé fepius dubitat Lo &or de ifla díuifione, vt loc.cit. et in 4. d.10.q.1. K et $. Met. j et 6, et in cón. $. Mct.tex. 1 3.& alibi; idcm h«bet Mayr. paffu 8. fuper prz dicam. 1 3 Dicendum;in vno fenfu vnum domtaxat prz dicamentum debet conflitur, in alio féníi plura, vcl pauciora ad lib tum ; ad maiorcm tamcn commoditatem et fa ciltorcm captüm con muntter con (titu&tur dcccn. genera. Et quamus hoc affer "tum apud antiques $cola(i cos non :nue "Wiatur.vt poré quibus piaculum eidcbátur in Fhilofcph'a m gare illa decem c(le cm nino pr ma,& luyrema genera, et aliud Bees admüterc fupra ilia, modó tamen 'Recentiorib.paffi m recipitor, ita Hurt, "Arrisg.& Quuted. in Metaph. Auerfa in Log.q. 16.(c&. 1. Poncius d fp. 11. Log. q.1. et alij paffim. Conclutio tres ho»bec paries, prcbatur,& explicatur tmul; Gemus generalifbmum poteft dupl.citci iu«iy Prim ó in cigore, prout cft ;l.e gradus füpren us, et cómunitfimus, qui non hi. bet al uii füperiorem habentem rauoné generis,quo fenfu de eo locutus cft Porph& Doctor 1.4.8.9. O alio modo e, gradu generico nó tm liciter,& abuté fuprem.o; [cd «n quid, et in ;liquo €crto ordine, quo tcntu vidctur locucus Scotus 4 d.19 cit. defammuus decen gene . Kibus vbi ca vocat decem fuprema gcne£2,non nbsp cra ncqueat gradus ad huc genericus illi faperior (ed quia ad ca tinquam ad (aprcmá capita 10. diuerius coordinationibus reduci. potiunt omnia » et lufficicnter cuacuant toiim €n$ creatum, imm;ó in hoc tenía eiiam locutus videtur ip(e Aci (t. c.vltantep. dum omnia ait effe; aet lubftantiam; aut itacem &c. nec ilta app.liaun gcnera (impl;citer íencrali rase 'Si gencraliflii'um: primo modo (uina tur, tic non qii. vnum fopremü geDifp. VI. De "Pradicamentis in Commun X nus ftatui poteft, et confcquenter vmm dicamentutn, cu'us iftud tit apex, id aüt c(Ic nequit ens tranfcendenter (umptum cómune Deo;& creaturis, cx di&ig difp. praeced. q. 1. art. 2. «nde non rect Auerfa q. 16. (eót.2. hoc purat probabile; et (equur Ponc uscic.n. 13. coouca quem plura vide diíp.2. Met. an. (3 2. fed itla fupreri.um genus erit ens Bnitum, e vcluti genus Dim phciter fumaum dcícene det poltea in decem genera, veuridecás dum quid luprema,vt claré docuit Scotug cit. 1. di&.q 3. N. ibi cn. non oblcui có. ftituit ens iniu m genus füpreo d ad de€cm genera, vel potus in eà d.tcéndat or dinc uodam .f, tnfubítaniam, et accie dens, et (ic de nceps tobft;aria iacorpotcam, et in incorporcam,accidens ii abe tolutum,& refpcétiuu,hoc in intrinf-cus, et cxtrinlecus adaen ens, &c. lic euam habcc quol. cin fioc, Tü quiasdeo Scot; cii. excludi rac oné gencris ab ente, quia non cfi conceptus luoatus, ícd indiffe, reos ad fiaicum,& infinium, ecgo cá cóe ceptus ens finiti de fc ffi limqatus, nuls là ecu ratio,cor genus non dicatar. Tua Tum   4 quia Scous7.Met,q.1.ai,quàd liinhate  i | rentia accident s c(let de eientia 3píius s quantitas, qualitas, et relatio non forent generali(fima, quia cum inharrencia vi» deaur eiutdem rationis in oun bus, ac€ dcncbus, potetit abit rahi «nus conceptus cómunis dictus in quid de tpfis, qui eiiec .nfcriorconceptu entis, X (fuperior cis, oninis autem talis ( ait iple) ctt «o.c ptus generis : quz. ratio magis videtur conctudere dc concexu enus niin refpe &u decem gencrum, quia dicicur de ei in quid, et ett inferior concejuu entis, 4. Dices,non elf penus, quia non eft vniuocum-(ed analogü, cum perfccté nà ptetcindat à differ. nij»; Sed hoc tà ££ improbatum dil p.2.q. 5. art, 2, et 3. voi cum analogia tl arc-vn.uoCde tionem, &dicere conceptum à dilferens tjs ptecitam. Dices, ideo cns finiü 00a cie genus, quia non importat ccalitatés fed conceptums vei t hancfgaificasnom.ertperfepoteacialis, &pecaittecentiagconitahibilus, fedpermodsinccinfecos, adquosnoncfi.veré. potenualisscumutcadcmTwo» AL.|ELolaSdwQuaflioI. Quotfin Predicamema eadcmcumillis; acproinde noneftvefa contra&tio;infimnrevidentacaliquScotiftz,vtAn&AnJ.f. Met. 4.7. Faber Theor.q.7.& 7. Met. difp. ? c. 1. et dilp. 1.c.1. Hoc tamem e(t omnino vo luntarié di&tum,quia renétur adhac otté dere,cur hic conceptus finicus, et limitatus non poffit dicere realiratein veré po  t&ríalem per differentias contrahibilem, €ó vel maxime, quód fubftantia ; et acci. dens effcacialiter ditferunt iater fe, et e(fentialiter in ente finito conueniunt, er| non fitens finitum inditferens,& creaturis,nihil videcur obítire cur non fit genus . Si dicatur obflare, ne decem genera in aliqua realitate per diffe rentiam contrahibili conueniant. quidditatiué, ac pro:nde nec. amplius ünt primó diuerfa, nec genera generali(Tima, iam petitur principium;hoc.ncoatendimus mod5,illa decem genera non effe pri rno diuerfa. Si dicatur, conceprum immediaté abítrahibilem à decem generibus effe conceptum entstran(cendentis, vnde ens finitum primó, ac immediate decem genera ign ficet.. ExploduucfaCilliim&, quia conceptus encis finiti. eft diftin&us à conceptu (ub(tantic quantitatis, &c. crgo eft ab eisimmediaté abftrahibilis: nobi(cum fentit Bargius 1. d, $ q. 7. a(fignans definitionem modi intrinfcci vbi citat Canon. (ed de hoc vide rurfus di(p. 1. Mer. 3. 6-art.2.3 n. 165. && indé vbi hoc ex proteíso probatur . $ Sec&ádo quod (umédo genus generalifimum in fccundo fenfu, poffit duo, vcl plura affignari praedicamenta |, prob. quia posent primo conftitui duo, ncm(ubttantia,& accidensy.uia eps finitü mmed até diuiditar in (übttantia, et accidens, uod alteri inharere nacum ít: Vbi pet accidens non intelligimus efsc im, feu inhirentiam actualem accidentis; vt explicat P. Fabcr in Mer.cir.vt fic.n.dicit éloechum qnendam informationis ab ac «idente ab(oluco realiter diftinctum,ted imclligumus eus illud, quod immediate à fübitantia diftinguitac, et 5m xao ceteTà ptdicamenta conueniunt e(sentialitcr, maiorem .m conucnienuam habet el. fcn tia quancitacis cuun e[senca qualitatis, . ege. $i! vel relationis, quamcum (üb(tantia, qui gradus circumícribitur. per apticudimalé inhzrétciam Et cercé gidiculume(t, quod aíserunt Ant. And. et Faber eit, diuifionem caus finiti in(ubftaniam, et accidens non eíse priorem diuilione eiu(dem in decem genera, (ed eíse omainó eandé breuius explicatam, quia (ub accidente Dove reliqua nouem pradicamen ta, Nam quam vnitatem, et communis tatem babet (ub(tantia cefpecri (ubitane tiarum,pacircr habet accidés re(pe&u ace €iden. ium: nulla.n. di( paritas pote(t a(fignari,ergo (i ens finicum non immediaté deícendit in fübttanuiam corpoream, et iniacorporcam, fed 1o fubftantiam vtri com nunem;nec etiam immediaté deíc det in abfolutuin accidens, et ;refpe&is   uum ; fed inaccidens vtriq; commune .: quacc fi fubftantia habet rationem gene r1$, ctiam accidens in ferie accidearium rationcm generis (upremi. 6 Deindc ficut accidés in comuni ynà M dc  accidentibus ta olutis,quam r uis, ita aci rta, vniuocé dicetur de Mm ab(olatis, et refpe&tiuum de ce(pe&tiais. et ità tria tantum fuprema genera tui pofsencíub(tantiayaccidens abíoluty et accidens refpectiuun .. Rurfus quia e quim vaitatem,& commanitacemyatqs adco genericam vniuer(alitaté habet. re» fpectus intrinfecus adueniens ad omnes huius generis refpcctus, pariter habet re fpe&us extrinfecus adueniens adomnescia(demgenerisrefpectus; hacrónequa»tuorpollentconftitui praedicamenta, &iocisquatuorgencra (uprema,fübítàciasaccideasabo 'utá,refpectusintrinfecusadueniens, &ce(pcóusexc einfecusadaenicos;queetfeac (umma, lupremasquastenusconumíTiimaforent.oimn. busconteacis (ubiuapeculiari(erics Xcoordinaetione;at; itadilarando,vclrücinqeddcOcepr .isinentisaugetipoccib, vclmi prcedicamenoramnaacrusadlibram, Diccs, accidensab(olutamaon .poffeconfttuigenus, numctkcommunequanetitatq4xconlequitacmateriam, X qua litau, qua formam tafequitur, hiac.| ficut TRaccriz, et focinx noa commuac l Tt gcauss $2; penus,pariformiter nec quátitati,& quaitati. Tum quia abfolntum folum dicit ncgatiorem relationis, quz cóucnit quà» titati, et qualitati ex proprijs rationibus formalibus, non propter rationem pofitiuam vtriq; communem, ficut negatio Ieconis conuenit homini, et equo per pro prias differentias, non per quid commune pofitiuum; cum ergo negatio non poffit c(fet genus ad entia pofitiua, non poterit rcété accidens abíolutam dici genus, et conícquenter nec relatio . 7 Scd primum nó valet; tum quia materia, et forma babent proprium genus commune vt dicemus;tum quia acci tia illa confeqoantur totum compofitum ex di&is in Phy(.dif, 3-9. 1.tüm quia mais differunt in ordine ad principta qualitcs naturales, et fapernaturalcs, quàm nera et qualitas, natusa'es .n. cauntur ab ente creato, fupernataralcs immediate à Deo, Densautenr,& crcatura magisdiftingwontur inter (equàm matcSia, et forma ; et tamcn non ob id'fequiitür qualitatem naturalem, et fupernaturalem non habere commune genus, ergo meq;ex hoc capite dencgandum erit quátitaci, et qualitati, Nec tccundum aliquid prodeft, mam abíolurum non dicit fimplicem negationem refpcétus, fed quen. dam modum pofiriuü-eficrdi ad'fe, quis Cohn am explicetur, ficut vnitas tur per negationcm,reuera tamcn. €ft qmd politiuumi; imé poflct cx oppofio quis dicere e(fe ad aliud cflc quid ncgatiunm, quatenus habet annexam ncga"tionem c fTend?sd fe, (ed dc hoc in Met. .. Tandem hoc iptum prob. cx (ufficientijs, quibus aduerfarij hunc numeram conentur oftendcte, ouncs.m. fufficicntiz dnpliciver peccant, vt aduertit $cotus 5. Met. q.6 primà.n. oftendunt oppofitum pte pobiti,nam fi hzc decem: a cient firjrema in rigorcydeberet cns immedia té inilia diuidi, et non pern uhas diui fioncs fubordmatas, co .n. iplo qued cns finiiom in duo tantum ü.c«mbra. primó diu:diuut, et vtrumq; deindc in aka,daiur intelhgi intcr ens. finitum, et ifta genera Difp.V1. De Pradicámentis in Communi fionem illam fic pra cisé,& non aliter fieri debere, ergo voluntaria eft hzc diaifio, non necetfaria$ Tertio quod numerus ifte denarius. fit congruus, rationabilis, commodus, &c vtilis, atq; ideó retinendus, prob. Tam: quia denarius numerus vniucrfalitaté (ignificat,quarc inquit Hurt, congrué vaiueríitas rerü ad dccem capita reducitur Tum quia omnia membra fimul (umpta adaquanr totum diui(umyJ.(. ens prz dica" mentales& finitum, et quia longe maior eft copia, et diuerfitasaccidentium, quà: (übftantiarum, vnde im vnica (ubftancia (apius inueniuntur omnia illaaccidétiay quz varia con(tituunr pradicamenta. o y. hinc optima ratione fa&um.ef vt [ub ftanriajynum dumtaxat conflitueret prz. dicamencum, accidens ver per plura di» ftribueretur,ne canta accidentiuar varietas pareret confutionem,. Tum quia eft valde virilis, et accomodata captu cuiu(-. cun ; et qua(i fenübusobuia., quia deducla cít ex varijs interrogauonibus;que communiter fieri folent, vt Aritt, docuit $. Metaph. 1 4cuicung; enim harum pet: fpecialem fatisfic. pr dicationem; quare fingulis interrogationibus. fingula: cor: refpondcbuor piadicationes,& cófe.juéter fingula prz dicamenta De indiuiduo itaq; fubftantiali;, vel quzriturquid fit z et reípodctur,quód cft homo, et fic przdicamenium fubflanua 5 vel quarituc quale it, et ref. efle calidum,album, et habetur prz dicamemum. qualitatis : vef quaricary quantum fit : et reíp.latumy,om. gumy& cft przdicamenram quantitatis z vcl quzcicur,quid reípiciat «& rfj. fiti, fi efl parec y eruum;fi clt dominus, et habetur pra dicamentüiclacionis : velquaritur, quid-agat : vcl quid pariaturz& refp, peraétioncs fcribic, vcl loquitur, vel per paffioncs,calcfit vapulat, et funt przdicamcermta actions, et paff onis; vel quzritürsvoi fitz& refp.n foro, inle&o, et babetur prz dicamcntem vbi: vcl quaitur y uomodo ht in co loco : et scfp.per itü at fedet; vcl quaerite quado hir, et reíg. heri, hodic; et habetur prad:cau.encum mediae plurcs comceptus gencucos, Quuando;vcl tandem «uar:iir,quomodó Yeceant fccundo quia. non ptobant /dim4c habeas: et rel p. hoc, vel illos odo fe hibeenqQuafl. T. Quot fint Pradicamewa.  Wiabete, et eft priedicamentum habitus . 'icque aliqua alia interrogatio fieri potetit, que ad vnam iltarum non reducatur, Tandem patet.gp rationabilis hzc diuifio affigna tcimqtancitatemy&c. quam per illos ter. minos Platonicorum vcl Pythagoreorü, hi namq, potius per quafdam paíTiones 'conflituant przdicameéta,vt funt motus, ftatus, idem, alterum, par, et impar, &c. s& tamen. przdicamenta ex generibus, et fpecicbus debent conftrui. 9 Sed cotra 1. 'Concl. partem, et z.arguitur oftendendo decem effe füprcma genera generaliffima in rigore, et confeuenter decem inrigore przdicamenta . ü quia Arift. 10, Met. 12.& 5. Met. t2. vocat decem illa genera primó diuerfa, ideft in nulla realitate geaerica conuenientia, quod dictum valde familiare cft apud Focmaliftas, et affertur à Sco.a.d. 34 D. qua ratione m 4 «d.1 ; qi. €. veretur concedere rationem vnam communem quiddiratiué omnibas refpettibbus. Tum z.quia 12.Mer.19.& 28. do€et Ari(tot. principia «erum .i, naturas Przdicamentorum non effe cadein (cd diaerfayS& dumtax:t ali.jno modo.i, anagicé eadem . Tum 3. t. Pott. 108. ait propofrtionem 5::n qua vnum gencralit1imum negatur de alio, efTe imimediatà, vt hzc,(ubflamtia non e(l quantitas,quia fon datur praedicatum faperius, quod de vno dicatut, et nondzalio. Tum 4.8. Mceth.16. docet,ens,cum diuiditur in deCem genera, non cfle genus, ideoq; non efic ponendum 1n de&nitionibus,qua cx "genere, et differentiacóflaut: et 5; Met. 16.ait non effe genus, quia in d. fferen'ijs incladitur, quod generi repugnat . Tum $. in antepradic c.4. diftinguit genera» in fubalterna,& nó lubaltetna, per prima intelligens, quorum vnum continetur (ub alio, vel fubtertio illis füpetiori et fübdit animal, et fcientiam non eflc fubalterna,quia nec continetur vnum fub alio,ncc ambo füb tertio; fed fi cns finitü ctict gcnus ad illa decem ; iam ilia omnia poticnt dici genera fuübalterna in 2.fenfu., 10 Refp.ad 1. locumiliü cffe pronobis,quia in illis locis docet afiac(fediucre tur per fubitantiam, qualitan $23 fa,& alia differétia, diuctfa vocat, qua in nulla realitaté couenunudiffercnua;q «o in aliqua conueniunt .aut generica, aut fpecifica, et inter ditfcrétia numerat do«cm genera, crgo (ecundumiplumin a4qua communi realitate conueniunt ; et dum dixit genere diffe, noluit ob id negare »quin in aliquo fupcrioti genere «onucnircent, ad difcrimen diuer(orum quz prz mifecat, (ed (olumiatinuare vo luit,q» non tanum (pecilicis diffetenrijg differunt,fed etiani gencricis, € his quie dem (ccundum quid fupremis: &, in hoc Len(ulocuti fant Formalitte, dum ca vocàt primó diuct(a, et Scotus in a. cit. qui vercbatur concedere rationcm rcípe&tus «ómunem omnibus qui 1ditatiu£ nc contradicerét authoritatibus Philoforhorü, vt ibi (e explicat, non veró;quin oppofj«um ratiofuadcat ; et quidem in 2. d. tq. $.P.inquirquàd pra fertim loquendo.de «el jeétiuis, negari poteft, quód lint. priaró diuerfa .. Ad 2.per principiarcrü ibi Ariit, non incclligit ellentias rcrum, fed poncipia phytica,.f. materiam, formam; et priuationem, quz dixit effe eadé analogicé i. proportione in omn:bus praedicaméts. Ad 3.vocauit propolfitionem illam immediatam, fi omniailla deccia ita fümantur, vt immediate fubftent enti finito, fic .n. quia in illo gradu fupcriori Omnia coucniunt;nonm porerit per illud càquam per mediü vaumf'ab alio diftingui : vetó illa decem nóita fumcrenrur, (cd fubordinaté, itavt ens finixum prin;ó dc(cendat infubflantiam,& accidés, poftca in accidens ab(olutum, et refpectiuu c. hoc certé modo illa propofitio 1mmedia ta non císet, probari .n. poffet per fubftantia non cft accidens, Ad 4.it. illis locis loquicur Arift.de ente traniceae denti; quia ctiam ibi loquitar de vbo,qua eft adzquata pafhio «nus zaliter fumpti s 4p coccáimus non ctic i áccediry quod in 2. loco folü di(puraré diticrim ncc al;quid afiertlué ponit, vt notat Do&or (luper illom 4ex.-& cim d.3.q.3«IN. j. icíp. te vera polle dici fübalterna Arilt.autéibi negat animali, et (cienciag fuba!ternationem illam, quam concedit ijs, que in eadem c pia d. camentali S&Tt oa .conT A mo RF, rv 24 continentur, hzc autem fübalternari. diambo fub tertio,«p ett determinatü genus in illa coordinatione, quo fenfu animal,& (cientia (ubaltepáari nequeupt, cü in diuerfis coordinationibus reperiantur, 11 Sccundo arguitur, quod non (inr decem. Tum quia $. Met. 14.0&o tantum enumceraz Arift. omitrens ficum, et habitum; quód non debemus afferere, tecille breuitatss caufa, vt reí(pondet Commen. nam ait I o&or ibi,& $.Met.q.5. quena prolixitss fuiflet addere. dumtaxat duo vcrba, Gitum,& habitum;vel vnum, .(.his fimilia, vt fecit 1.Eth. c.6. vbi (ex tantum enumeratis adiecit e bis fimilia, vt coetera comprehenderct. Tum 2.fi actio, et pallio duo prima genera conttituunt, crgo Gmil:ter vbi actiuum, et vbi pafiuü, fitus aCtiuus, et fitus paffiuus. Tum 3. ando non dicit al quid reale, vt dicemus diíp.8.q.vlt. fed denominationé cxtrinfccam,ergo plura przdicamenta,quia in infinitum tales denominationes multiLag ; peur cx a&tibus vitalibus. um 4.multz po(funt fieri interrogationcs de indiuiduo (übftantiz ad genus mo £5 pertinentes, vt elfe Regem, Dodtoré, bonum, malam, &c. quibus nequit fieri fatis pcr predicationes horum generum, nam entia moralia in nulio horum conunentur; idé dicendum de ent.bus rationis. Tum 5. 6icutà caufalitatibus cau(ai'um &fficientis,& materialis (umuntur duo ge nera aCtionás .(. et paflionis, ita duo alia affignari debent à cau(alitatibus caufa fornnalis,& t nalis defumpta . Tü 6. quia f£nótus, et cetera pofljrzdicamenia habéc aliquam entis rationem, ergo dcbent ha're propriam coordipationem, et malta aliarcperiontur ad i(ta przdicamcnta no zeducibilia,vt modi intcipfeci, pafflioncs, entia artificialia,& timilia. Tandem yrzdicabiba funt quinque,. przdicata (unt Quatuor, cur decem przdicamcenta ? -12. E efp. idcirco adanuffim ibi dece £e non enumcrat, mo ncc in (iota.a etaphyfica,vt ibi Do&or aducirtitquia nümerum denariü flocci facicbat,vtpotequinonni(iinpopulari[eoíu fun, zlamcfium haberet ; et non in aliqua (oli» c Difp.J/T. De Prediamesitis ip Communi . da tatione. At inftat Ferchius ojt.veflig. 7. Atifl. Gedüm ibi, (ed eciamalijslocs ab ipfo de»romptis ex libris (cientificis ftadiosé octo dütaxat! praedicamenta »ccenfere oamilTis tito, et habitu ab(4; addi» tione paruiculz colle&iuz, quam tamen alijs in locis addere (olet cum alia predicamenta prztermittir; lignü ergo eft predicamenta apud Ar;(t.oGtonari numerü non excedere, ncc ab co deficere. Sed hic Auctor,qui intima Acift. séla proficetur erucre, (i data opera id fccit; rationem ex ipfo adducere debebar, cur (iius, et hab:tus à numero predicamentorü finr expüe genda, notare tamen libet At fd. loc.cit, f Met. 14. pa uis interiectis vctbisaddere particulam colle&tiuam fimiliter autem, c? in alijs Sed quicquid tit de Aci (enfu, hic nos loquimur de diuifione en. tis n dccem pred camenia ex, natara rei, Ad 2. licet Ant. And. iilud. putauecit infolubile, dicimus tamen non valcre paritatem, et congruitas cft, quiaa&io, et paíTio veram, et realem rationem agendi, et pauendi prz(eferont, non ita vbi actinum, et vbi paffiuum, nam vt notat Orbell.(up. pre dicam. vbi, circamfcris ptio a&iua,qua fundatur m loco circumÍcribente, quamuis fignificetur per verbum actiuum grammaucaliter, non cí tamen vcra a&tio, et idem elt dice de vbi paffiuo, quod veram paffionénon hgnif;car, et de ceeceris praedicamentis, Ad 3. dicimus re vera predicamentum, Quando, ctfe denominationem extri cam, conpumerari tamen inccr pradicamenta realia, quia cüm h cnumcerus in vulgari hominum a tlimationce fundetur, et ex D. Aug. 11. confell. c. 14. nil fic notius, quam tcmporis cXiftentia, videiur hoc,quod cft in tempore cx;tterc tte alie quid rcalc, licut tempus vt quid reale, et noti (limum apprchenditut ab omnibus, cum tamcn formaliter fit ensrationis cx d.&is in I hyt.difp. 13.9.4. art. 2. quaproz pier inrigore cÜct expungendum de numero prg-iicamcntorum;stolleratur rame propter vulgarer opin onc, quod fic eos calc : dcnomivatoncs tau:cn cxtr;picct ex a&ubus vitalibus yt intelhist, videri, &c, nonconfütuuunt hts dapi) di4 Quu451.1, Summo diflinguantur abinuicem.   $25 finum, quia non (unt cntia realia,nec vt (ic indicantur effe, fed potius reducune tuc ad pcedicamétü qualitacis, in quo cft formi qua de(üma ntur. A 1 4.per idem denomimtiones in moralibus (unc extria fece,vt plarimü ex a&ibus volunzatis, et humanis legibus prouenientes; non entia realia ; entia deinderationis nó debét cóftrucre prz dicamentü diftin&á, vt dixi mus d. 3.q.7.ad ;. Ad 5. caufalicates caufarum ad efe&us,qnzcun3; int, collocá tur in przdicaméto relationis,cüfintintrinfecusaducniétes,cau(alitates agentis ad mareriá,& é cótra cóftiruüt duo przdicam&ta a&ionis,& paffionis,caufalitates forrmz ad materiam,& é conuerfo, .f. informationis a&iuz, et paffrac, funt in £dicaméto habitus, et cü nó dict rea. € aGioné,(ed grammaticalé, non conttituunt duo,(ed vnum przdicamentum, yt fais locis dicemus. Ad 6. motus non eft per fe ia aliquo przdicamenxo, quia non eft refpe&us ümpliciter realis,(ed (ecun IL omodo Predicamenta fint 2 inter fe diffinda.  Qu eft,anque in diuerfis przdicamentis collocanrur,debeàc diftingui inter fe realiter, an formaliter vel (utficiat di (tin&io rationis ratiocinat£,1c proinde eft fermo de przdicamentis materialiter acceptis. (pro prima intentionc, non foranliter, et pro fecunda intentione,vt (ic.n. clarum e(t non diftin gui, niti diftin&ione numerali racionis, vt docet Door q. 1 1.prcdic.in corpore. Prima opinio a(ferit non neceffarió re quiri diftiationem aliquam ex natura le rei, fed (afficere diftin&ionem rationis rátiocimatz,ita communiter Thomiftz, ques neothericis fequütur Vaf. r. p. 138. n.4.& difp. 17 ;.nu.5. Saarez d, 39. pom irsqondii p hic id fin.   cam. Ruu.in antep.c.4.q. 3. Hurt. difp. 9. Mert.fe&.1. Auerfa q. 16. Log. fec. Sec dum quid, ideo ad predicamentü fui ter., da opinio admittit neceffarià e(Te diftinmini reducibilis,vt fuse diximus in Phyf. difp. 1 $.4. 1.poftpredicaméta potius func quzdam entium attributa, quam encia di recté ; modi intrin(eci,& pafiones, cum mon diftinguantur realiter à (ais fübie&is,non (unt in diftin&is predicamencis: tandem entia artificialia, quia non funt vnum per fe, fed per accidens, neq; fümc in vno przd:camento collocabilia. Haec omnia re&é percipientur. ex dicendis in hac,& feq. difp. Ad vlr. ratio difcriminis eft, quis przdicabilium numerus ex di&is d:fp.4.q. f.ad 1.de(umitur in ordine ad modos przdicandi in quid, et in quale dc fübie&is, neq;dicunt quafdam reales effentias, (ed intentiones fecundas applicabiles naturis diueríorum przdicamentorum ; pra dicata famuntur in otdine ad diale&ticas een quz per quatuor z-dicata (olauntur,& funt ctiam fecunintentiones applicabiles primisjat diuifio pradicamentorum defumitur per modos varios efíendi, quibus diuiditat ens, et perquosin (ua. inferiora de(ceadit,, que diuifio varijs modis afbgnari potcít;vt di . : € . Logica. &ionemex natura rei actualem, fiué formalem,fiué realem;ita Fonf. $. Met. c. 7. q.3.fe&t.5. Amic. tra 18.3. 4.dub. r. Dicimus, przdicamenta nece(fario debere di(tingui inter (e realiter, ita DoGor in 2.d. 3. q. 4. D. et $. Met. q. 6. fe» quuntur Scoti(lz omnes,& Zetb.q.7.V e netus sapit ge LR ar. 2. Nyphus q.1 2.& 4.Met.q.4. Iand. 3. Phyf. q. $.citatur ctià Caict 1. p. q.28. ar. 1. ybi x hoc, quod faübftantia eft in vno genere,rclatio in aliodeducir realiter inter fe diftingui, et Morif. dif|.4.Log.q.7.qui differt folum, quod diítin&ionem ter refpe&tus, et fandamenta vocat modalé, nonrealem iuxta; v(itatum loquendi modum recentiorum, vt vidimus diíp. 1. q. $. ar. 2.cum haac diftin&ionem explicanimus. Probatur ex his; quz habet DoGor cit.nulla ces poteit fimul, et edens tialiter contineri fab diaertis diíparatis fpeciebus,ergo nulla res pox etfe in bus przdicamentis, fed tantumin vno,er go resdiuerforum funt. interfe realiter diftio&z, Antec.patet,quia nulla res babet duasctfentias, ergo nulla res continetur indaabus (peciebus. T6 quia qua jJ: 3 nmu€ p?  ji6   Difp.V1.De Pradicánieniis in Coppmini. numero differunt, realiter diffetunt, res diucr(orum. pradicameptorum numcro d.ffcrunt,quia diftinctio gencfica arguit fjecificam,& numcralem, et resifle geriere differunt ergo Xc. 14. kefpondet Auctía veri effe afsüptum de re sr candé ratione formalem ; ró sm diucr(as,quia vt fic poterit effe fado diuerfis Ípecicbus, et haberediuerfas cffentias. non rcáliter fedratione diuerfas,timiliter diflinctio numcralis nó séper eit realis; fed aliquaodo rationis cum fun damentoin re : nam bene potfunt in vna re reperiri duz tationcs formales virtualicer diftin&z anteopusintellectus;(cd $étualiter,vt flát (ub duobus cóceptibus inadzequatisjitavt vna non iit de cfientia alterius,& Ee poteritintclie&tus for matc doo prZdicamenta dittinéta peropus incclicétus cü fundamento in tc: (ecü dam quis rátióhes deinde prdicamenta dicuntur mpertmixta, habere diuerfa gccra fpecies;& diffecentias. " Contra iftam re(pentionem prim ar-. £e poffer ómnibus illis rationibus, quius ofl éditur dift;n&io attaalis ex natu ra rci anteopus intellccttis: maxime quae defumantut €x contradi&torijscum.n.io ab opere. incelle&us. praedi€amentis conucniant cócradi&toria, quod praecipue probaiut in actione, et pall;ont (qua. per aducríarios virtualiter diflinguuntor )nà 2ctio de fva rat:one forilt cft aiusagentis, et cerminatur ad pátlüm, non eft actus paffipa(lio non cR atus 32cnt s, funditur in pao, rclpi€t agens, crgo ance opus intelleckns nc€éffarró (uot di(lin&a .. Tum quia repugnat, vt ab cadem t€ abftraliantur duo cà €cptus inadzauati duarum d.fferentiatü . diüdentium idem genes, vt patet, nequit «n.cadem rcs e(le virtualiter rationalis,& irrat;onalis, eadem que nritas virtaaliter longa, non lata, et longa timul,& lata;cro répiignat, vt ab cadem re duo ab(tiaantur fnadaquati conceptus diffcrécatutm diuctía gcrera diuideniium,patet (e qucla,quia ifta: magis inter fe difiir,quia diuerforum jcedicamenioram,quam :1.Ta, qz (unt eiu(dem predicamentu. Tam Qui alis res cífet ens per accidens, quia  infuo adaquato conctncludere t. res. dinerforum przdicamentorum . Tüquia c1 vao genere, et vna differentia conftitnitar vna fpecies realis, non rationis, cx. ifta.,. et cx differentia ind;uiduali conti. tuitur indruiduum rcale à-parte rci exiflens,non pct opus intcll:&tus, (ed in quo Llbet praedicamento adeft hzc compolitio cx genere,& differenua& cx fpecie, et bzcecitate ergo in-quolibet przdica menco adeft fuum iadiuidaum reale, fcu ojnia indiu:dua rcalia realiter diftinguü. tur,& con(equenter [pecic, et genere (i fünt diuer(orum generum, ergo ifta pradicamenta realiter diftinguütur. Tü quia data hac refponfione fi, vaus. conciperet inadequaté rem (fccundum. conceptum fubttantialem,alter vero fecundum conceptum accidentalem, res illa eflette[pe&u vnius (ubftantia,re(pe&tu alterius acCidens, et tamen à parie rei necclarió, vel effet (ubftantiasvel accidés,nó vtrü ; Hüc fpcétant: quac infra. dicemus de regula illadiuer[orum generum y Qt. . Secundo principaliter. potett. probari Conclu(io inductione;nam fubftantia as rcalter diflinguitar ab omni accidenre pradicamentali,cum poffit ab omni ab. foluto feparari per abíolutam Dei poten tiam, et etiam fer&ab omni refpcctiuo iuxta dicta in Phyf.difp.3.q.4«art: t.quátitasquo3; eft realiter à fabttantia ; et qualitaxibtis diftin&a, et multó magis à relatione, vt diximus difp. 9. Poyf. q. 1. ar. 1,de qualitate nullus ambigit » relatio. ex dicendis infra difp.8.cft realiter à fundarmento diftincta, nam que ct realiter. idenuficata,non eft predicamentalss, fed uanfcendcutalis, idem ciiam d: ecinus Ae aljs fcx pre dicamentis;crgo &c. In oppofitunrarg. ex Atift.c. dequil,  iti fiuc,vbi concedit, idcm poffe ad plura. praedicamenta fpe&are fecundum d:uer fas rauomes. Tum 2.uia cx 5 Phylza 2, a&tio, et pa(Tio realiter non ditinguun-. tut ; rclaio non poniiwr à andamento. quid real:eer di tinctum, nec fex, vluma, gencraliffima, cum fint mod; etis; multz quo5;relationcsiealiter com fundas. mcnto identificantur, -Tuin 3. pred'caWienta pcr artem 5 .& rationem dilpofird funt, u€ 4 Y gt Ó  4 vtt, etgo bené fieri poteft, vt diftin&a pred ca menta (ügnentur, et conftituan r cx ration bus codem modo diftinátis, |. pec intelleétü. Tum 4.ex Rau. gradus etientialcs rei, non dilbinguütur, nifi victualiter,vcl (alim nó realiter, fed polTunt przdicaméta ineodé reperiri, inquo nó " dittingiantur si gradus eísentiales,. fed tantuin penes modos effeadi, vt (abftaria ' ab accidente per modü effendi per fe jac " €identia peres díuerfos modos effendi in, "etgo nó neceffarió realiter differüt, quia mag s diftinguuntut. gradus etfentiales, cin modi eflendi: Tum $ ex eodé, quan 0 plura in cod reperiuntur non per cópofitionem,di(tinguantur ratione, nam multa non poffunt vnü con(tituere,(i st ex natura rci dittinQka, nifi vnà fe habcat vt àctus;altétum vt potentiayíed przdicaméta aliqua funt huiufmodi ; vt patet in a&tione, X pa(fione, quz (unt in motu abíq;compohtionesergo«c. à 1$. Refp.ad 1. vel Acif-ibi locutas eft ex fentétia aliorum; vt ex Adueriarijsét Auct(3 concedit, quía neq;diueriicacem rationis ibi expel vel folü haberevo"lait, vt ibii(aa paraphra notat IKoccus, De hicét nibil eentialiter poffit eGein,diucrfis generibus; potett tamen effe accidentalner, et decnominatiué, quacenas rcs effentialiter varus generis, potett rem alterius denominare,vt vniucrfaliter docet Do&or 4. d.12.q.1. D. (ic Petrus qua tenus (ubltantia ett e(Tentialier. in.przdicamento fübttanuzquacenus denominatuc pater;cít in predicam.relationi s ac cidenialiter, veftis eft in predica m.(ub7 fianue, quatenus denommatut hab«us, eit accidenralicer imn priedicam. habitus . Ad 1. patebit ex dicendis fao loco, et ex di& s in Phyf.qualirer Ariit.ibi loquatur dca&ione, et patlione materialiter pro re actà,non formaliter pro. re(pe&tibus im agente, et in paffo fundatis ; relatio quoquc et iex vltim: genera dittinguütur rea liter à fundameacs, (nam quz relationes fuot realiter identifica, noa (uacin prz dicamento) et quaimiuis tint modi, adhuc dcbenr dici realiter dittincti ex dictis difput. 1,.5.ar.2. Ad 3.pradicamenta formalitet [umpra süc coordunauoncs intelIc&as, at materialiter dicunt. ;pías aita. tas rcales per differentias contcactas, «c in inferioribus contencas, quo (enu aon funt quid rationis (ed reale. Ad 4. vecum cft gradus effentiales fübordinatos eju(dé rci non diftingui realiter, negamus ramcn idem de przdicamentis dicendum,quia ' funt gradas effenciales difparati, et diuerfarum rerum ; faltain quog; ctl pradicamen'a folum per modos efícndi differre ; hi.n. modi citcum(cribunt nobis diffzren tias etientiales, quod patet, uia predica menta (uat diucr(a genera, et (pccies diÍparatayergo proprias h. bé ditferentias: tum quia (1 pcacs modos tantum (übttan tia, et accideos. differrent, cuch modus non vatiet c(lentiam, cuiusett modus, non differrent effentialiter, alirer haocrent elicaciales differentias, ergo de juo dicicat (ubftantia quiddiratiué, dicezur ét accidens,etfic valecet dicere homo quid' ditatiue elt accidens, nec przdicamentca el(ientialiter different ; et con(equencer noneffent genera generalitliaa 5. £díuin -tandem ett przdicamenta. poifc in codé " Feperiti, in quoetlentualiter conueniant . Ad s-patet cx dictis, quicquid fic de ma. quod actio;& paíTio func refpe ctus reali» ter diltinti, et in rundamentis diuerc(is y vt diíp.7. Phylq.3.explicatum eft. 46 'Sccundo ad idé ex Sco.a. d.t. q. fPjvoiprobabilem pütat modum illu: po nendi praedicamenta eile primo diue. (a in tónibus formalibus, iraut nuliüilloruin : foraalicer incladat aicerü, nec aliquid alteríüs, quà.us per idéatacé in exittendo ' vn cÓ' incat alter quod eíl dicere, ad pradicamenta fufficere diftint. one É rmalen. Tum 2.d;ttinckio grzdicamé orü fumitur ex diuerüs inodis praedicandi, ergo illa diftinétio requiritur ad praedica meta qua fufficit ad variauogem prz Jicauonisscalis eft diitinctio rationis, T um 3 omnia (unt vnum in ente, [ed qua "eadem vni tertio,(unt eadem mcer fe y crgo&c. Tandem quando vnum .nteccac necetfarió ab alio, tunt idem incecíc,lua"ftanua " accidcus, et é contra, aliter katíepararergo&e, PRep-s xumib: non approbare refpaniionem illam, (cd e e put f "n. X s ) X gat Difp. V I. De Pradicamentis in Communi ; te;eo quia fufficiebat pro (olutione illius. dà ad probationem illius partis affampti argumcnti, nam (i przdicamenta formaliter diftirguuntur, cclatio creatur ad Deum, cum fit à crcatura formaliter di(in&a, poflct poni indiuct(o przdica(ento à creatura ; tamen ibi dat alià re(pófionem, quàd illa relatio eft ttanfcé dentalis, cum fit realiter idencificata ; ex quo col!igiwr per Scotum, quz pontitur n diuerfis prz dicamenus, cfle realiter diftin&a. Ad 1. fal(umeft a(fumptui, alitet quia diuerfimodé pre dicatur abítra€um a concreto, deberent accidentium dicamcnta multiplicari; quare dicimus przdicaméta diflingui pencs modos dicandi dc prima (ue intia logicé, proximé loquendo, at metaphyice, et remocté penes modos cflendi cireumícribentes proprias differentias . Ad 3. fequitur omnia cífc vnum in conceptu ens, A eadcm Mosis hs Mp ima vcl etica interfe, Ad 4. neg.affumptü,vt Buct in cauía, et eficctu, et in telativis.  Poftrcmó arguitur, mobilitas, riübilitas, et sla relationes apt rudinales (ub. ftantiaram (unt iilis realiter identifica: ertim in fchola Subtilium, et tamen adbuc (unt in peidicamento ad aliquid, €um fiot intcin(ccus aducnientes, ergo tcs vnius przdicamenti non cft ncce(iafio rcaliet. diftin&aà rc alierius przdi«amenti . Conf. quia paífio eft in przdi€amenio qualitas,& tamen apud Sco&iftas przícrrim identificar realiter ci fübic&o,quod cft in alio przdicamento . Dcmum eadcm figure entitas (pc &at ad tatem, vt cít fuperficics lineis terminata ; ad Qualitatem vcró, wt dicit ipsà £erminationem linearum, vt docet Scot. q.10.przdicam. Reíp. ncg. affumpium quoad 2. partem,cít enimregula generalis, quod quic id realiter ident: ficauir alicui, debet c ad pra dicameptü illius rci; cui idenuficatur, et (ic omnes rclatiooes realiter. identificaue cü (ubítantia dicuntur cfle in predicamento fabftá tiz, nonquidem formaliter, et dircété, fed tcduétiug s " identitatem nde tales relationes. d;cuntur potius tranícédcniales, un josdcims c5quia n$  Attinent ad quartum przdicam£tum ; vnÉ tur talcs relationes fundamétis iden tificatas e(ie proprie intcinfecus aduenié tes quia talis diderentia eft proprie rclationum przdicamemalium, vc. infrà (uo loca dicemus; intanrüm ergo poffunt dici intciníccus aduenientes, quatenus neceílarió (equuntur ad fundamentum cum tcali identitate cum ipfo. Ad Conf. ncgatur affümptum quoad primam párrem, íi paffio (umatur pro innata cei ptoprice tate, quia et hzc reductiué ponitur in.» przdicamento (ui fubic&i, vt rifibilitas in przdicaméto (üb(tatiz ex dictis difp. $.q.4.art. 1. quo aurem feníu paffio fic in tertia [pccie qualitatis explicabitur inius di(.7. q. 3. art. 2. Ad vlt. non ait &ort candem figurz enutatem ad diuería przdicamenta (pectare fub diuería ratione,(ed inquit figuramefle vocem zquiuocam,& quatenus fignificat luperficiem lincis terminatam fpectare ad quantitaté ; quatenus veró ipfam terminationem fignificat, quz realiter diftinguitur à fuperficiey(pcétare ad qualitatem, quod nec in toto rigore intelligendum ett, (cd tantüm in co fenfu,quia calisterminatios efto re vcra relationem pra'ícferat, adhuc tamen habet modum pradicandi, et denominandi qualitatis, vt. explicabitut infra loc. cic difp.7.q. 5. art. 2. Qv £STIO III. Quae res, &r quomodo reponantur in'Predicamemto.  17 C» primam qua (iri partem fupponiaus cum Tat.q.preamb. przdicam.dub. 2. res per (ey propri£, aC principaliter, et non voccs in. Przdicaméto collocari, ex rcbus cnim, nó ex vo Cctbus przdicaméta (unt cófltructa, et res funt, quz in przdicamento difponunturs . licét non ita difponantur, nifi quatenus füb(unt mentis nofttz coacepuibus, rem pamq; in przdicamento reponi: aliud né cft quàm rem à nobis concipi fub ratione  fupcmioritaris,yel inferiorizatis, voccs igi. pet accidens, et minus princidicamenro penentor, qua« figna corü. qua pcr fe font m tur palicer in tnus .f;   Quaf. LIT. Que ponantur in Pradicam. ei... $19 dn przdicamento,ifta 4. vox,homo,non difponi debere, «y probabilius cenfet Aonercrur in przdicaméto (ubftáris, niti Ribes fignificaret;vcrüm tamé c(t, quod ctiam veccsipíz.,fi non veluti (igna serum, fed potiuswt qua dà res confide Doy s felocum habét in predicamétis, et determinate (pe&ant ad, przdica'mentü qualitatis, quatenus f. (unt quali. tates paffionem inferétes (enfui auditus. 18 Supponimus deinde cü codem Tatar.ibidem dob.3. cripliciter aliquid pof. fcponiinorzdicamento,(cuin(criepredicamentali,prim?dire&é,feuinrectalinca;fecundoindire&é,(euadlatus;ter1:0 redu&tiué: in re&ta linca ponit 2enus lapcemum, et eade quibus przdica'sur in quid, genera .f. fubalterna, fpecics, et indiuidua; ad latus ponuntur diffcren' «iz c(lentiales, per quas naturz generica diuiduntur,& fpecies conft tuentur, redu &iué denique, quz ncc (unt genera, neq; fpecies neque indiuidua, neque differcntiz e(fentiales, aliquo tamé modo ad ali"quid illorum pertinent,quta vcl funt par' £es intcgrantes, et caput, manus, brachia, ' &c. velíunt partes elientiales pbylicz, vc   materia, et forma reípc&tu cópofiti phy. fici, vcl paffiones, vt tilibiliras reípzétu hon inis, vel (unt termini rerum, vt püda reípeátu linez,vel ncgationes carum,vc] aliud quid huiu(modi; bic ergoquaritur, quznam dirc&te in przdicamento colloccntut, an .f. entia rcalia,cl etiam rationis,an entia per fe, vel etiam per accicés, an complexa, «cl incompleXa, an cópleta, vel partialia an finita, vel infinita, an uibechd ía tandem, vcl particularia, et indiuidua . Circa (ecundá partem quarftionis quztimus;an res ifl, cum poffint, im abfiraXo, et in concreto fumi, debeant in przdicamentis collocari fub nominibus abfira&tis, vcl concrets ; et quidem de fubflantjs omnes conuesiunt fob nominibus '&oncreus dilponi dc bere, de accidentibus eft difficultas, cui occationem dedit Atilt.ipfe, qui (ccundü varias veríiopes pre dicamenta accidenaum di(potuit tà fuo tcrm niscoücretis, quàm (ub abilraGtis iN yoh-j .Metq 4. X 7: Tol. Uu. 2. Foti pr. Llanc.diip. 7-4c€t. 3. tuentur in concreto ' mic.tract.i8,/q.3. dub. 2. Alij comuni. cc inabítra&o, Iaucl.5. Mct.q. 16. Onna q. 3.art.4. Sot.q. t.de quant. Fuentesq.15. diff. 2.art. 1. Conimmbr.c. 4. pra dicam.q. 2. at. 1. Moril.dip. 4. Log q«4« Didac. à Icí(u difp. proaeme przdicam. Complut. difp.14.q.vlr.dub. 1, Acriag. diíp. f» Met. fc&.1. Tandein quidam aMj dicuntytroe modo pofle di(poni i1 Auer(aq.ió. og.(cót.$. Mafhic (c&t s.q.4. Ium. q.2. Huürt.ditp.9. M ct.$. 17. Caict. de ente, et elfcn.c.7.id aüt nó 1n codé sé(u dcfendür. ANUDTCYEVCVSUE Conditiones reponibilium in predica" mente afiguantar. "D Icimus entia cealia,non rationis, per Íc,non per accidens. 1ncomplexa,non complexa, complcta,non incé  pleta,finita cflenzialicer,non iufinita,liuc gencta fint, fiue fpecies, liuc indiurdua pere; et dire&é in pracdicamenüs collocati . Probantur, et explicantur finguia ; et primó quód entia zcalia debeant cffe e(t Arift. 4. Met. 14. et 6. Met.4. diuidit cis in ens in anima, fcurationis, et in cns  extra animam, (cu rcale, quod deinde ia decem pra dicamenta (ubdiuidit ; tá quia przdicamenta fünt coordinationcs corüs qua vcra eflentia conttant;quod non folà de pradicamentis,vc à Meta phytico cófidcrantur, eft verum, (cd ctiam vc à Logi,non cnim alia przdicamenta itte ab illo coniiderat. Hic autem per ens rcalcaon cft intelligcndumens rcalc verbaliter, (cu ensexins; quia qua ponuntur in prz dicaméto, abtirahunt ab cxiltentia actuali, vt cit communis omnium fcníus ;. nec cít ncceífe res actu exi ttcre ad cóllractrone prz dicamentoruim, quia in 1$ ponü(ut fuperiora tanquam cfiepuialia praedicata infetiorum, et hzc vt quidduadué includentia ilia,cxifentia aucem de nulla crea" 10a qu.ddicatiué przidicatuc, ita Doctor 2.d.3.]. 5. lumitur. €rgo ens teile noihinaliei pro cosquod exiftere potett inrenatura. Per hoc ex-luduuntut à praedicamentus negationes, et gi liiationesyuamun 430 Difp VI. De Predicamentisin jommi, -.. fwm licét aliquz dentur rcelcs, quatenus font privationcs, vel negarionces alicuius foraz rcalis, et nonintentional s; ninquam: idcirco poflant dici entia realia; et quamuis ab alicuibus entia rcalia ncgatua voccntür, id taméc(t filíum yam cadcm ratione morié vocare goíseni.yitam priuatiuam, et vitium vittutem negatiuá, vt diximes 10 Ey ( ditp.aeq. mart. 1. Ex Cluduntüt ctiam entia rationis omnia, contta E urid.ib fig. pradicam. dicentein entia rationis in predicam. relationis col locari, et concea-illos$cotiftas admitcen tcs vndecimü pradicamentum entiü cànis, nam cumnon int fimpliciter, entia, fed entiü vmb:z, nequeunt per (ein pradicameniis realibus reponi; et potius rcductià in przzd:camenus illorü,quorum fanc fimulacra, et vmbra, quá in proprio pradicamento, vt diximus difp. 3.9.7. ficucnegationcs, et prinationcs in prz di» camcntis 4llaram reraum,quarum funt negationes,ex (Lentia quoque, et pa(Tiones ert um; ficat nà (unt quidditariuée enua, fed :denticé, nó habent diftin&ta,& propria pra dicamenta, (ed reductiue ad przdicam. illias cffentiz ; cuius cft exiftentia, et pa(Tioncs, aciinent,  10 Secundo, quód fint entia per fe,& non per accidés, colligitur cx Arift. s. Me Ataphoir4.vbi cü diuififlet ens in ens per fe, d& cns per accidens, diuiditeos per (c in da dicam, Hic aüt accipitur cns per "fe pro cmte vnus cülentiz, (eu e(Tentialicec D 'proinde fimpliciter, et (inc ad dito dici poteft vum; vtleo;homo;albe-. : parte 1 . ptdicandi, y ticui [pecies, quafi c mple4ój ens autem per accidens, importat ens "etfentialiter multiplek vcl. potius plura entia,vt accruus lapidü domus,& etiam concreta accidentalia, albumsdulce, vt asqualiterimportant formá, et (ubic&tum, "quialicér faciantwnü, non tamen faciunt vaum effentialiter, g» dicitur fimpliciter vn, (ed accidétaliter ex duabus eífentjs fimul cóiun&is, quarü vna non ett per fc | potentia,nec alia per fe a&us;cx quo colligitur ratio, quia ens per accidens ficut proptié nó e(t vnum.fed plura entia, nó "eft vnius e(Lentiz fed multiplicis, ita po"nitequit in vao pradicaméto, (ed in plutibus, vt albü rauonc fübiccti,.q cf iubDET Qna, (peétat ad prz dicam» (ubftantie,. rauone vero foring ad ped cam. quilitacs« Per hoc excladuntui à. prz ficuméito ómuia arcficialia, qua xalià, conftant «n, ex materia v.g-ligaos quod ctt (uottás tia,& cx figura arificiali quz perti -ad qulitatem, vcl celationem, et cónfequenter non funt vnum quid,vc non 20 or 4.4.1.4]. 1.5, Multa hichabet 1 ocids ad explicandum quodoam, (it ens per fe vnum, et quod vnum per.accideus; fed de hoc aginius. ex profetsó ditp. s. M qe vbi varios cxplicamus vnitat;s gradus ex quibus ctiam facilé dignofces,an dita h à l'oncio ftent ad urucmam veritatis. 11 Tertio quod dcbeant elfe incó nr xa, habezar ab Arift n antep. c.ylt.vbidi-uiditindecempraedicamentaeaquz fecüdumnullamcomplexionemdicundit&ratiohuiuse ftquiarra&tatioprzdicamentorum, &eoramd'uifio,acdi!€tiofactacft.prz(crrimadcopftiruendaprimaelcméta,iinuencrerücon«cptus,ergocónftiturdebentex.tcbusincomplex;s. Sedcompleaalia(untfecundumrem, quad;ucríasnat. Tasfignificantjaliafccundum modomtignifiÜcandi,licet(ecundumremvn; auacemnaturamlignificent, vtdcfinito ex proprio gencre, &A.Conítantesvtanimalrationae(naa funt date per additamcnrui,d us prefecntat naturas) licét,n.an gal rationálc fecundum rcm ligoif.cer vaam nargram humanitatis, qu'a camcn plam diui« ditin partcs, vndc oon habet vati modum xé illam fignificat, alia funt comple tantum fecundum vocet, Ícd jncom,lexa fecunduin rcc, et moduin ligoificane di,vt Marcus Tullius Ciccro; Cum Arift. exclufit à pradicamenus omnia có. plexasccrium cft non cile jocu u de complexis iecundum voceus tantum, fed de coinplexis ecunduii rem ; an rS c : reiececit complexain ugnifi cando «f. finitioné puré quidd tatiuam, vt luttinet Fon(..$ Mct.67.4.8. Ruutus bic c.4«Q-1«& Amic.tradt-18.3. j.dib.3.vclillandis  re&tà in pradicam,collocsu;r,vt « omaiuniter aüeritur, cít dubium. igielt cube es rl uÓ 4 ndos(n.p'ces 5 H d: "2j B w e  Qua[l.II. Qua poantur in "Predicam. ed L.  $31 dieijquod:fi definitio (ümi'ur,vt dicit totum mcetaphyficum refuliás ex partibus, quaratio;ce habet vntrm modum predi. candi fpecie; in qu d, iuxra di&a difp. 4. Q.$. im 3. probat.con;l. cum Scoto q. 12. ' Vniu.ad 1:8 q.21.ad 5. fic poffe direóté poni im przdicamento » quia vc fic habet rationem (peciei ; vnde Porph, c. de fpe' €ic incoordinacone pralicamenti quzm genera n»mimauit per tcrininos cóplexos,& per definitionem;vt corpus ani matumyanimal rationale, 104 fecuadum Lis erat commune genus Angel;s, et injbus. Ac( fumitur defiaiio, vt explicite dicit genus,& differentia, (ic quia non hibet vnum przdicand. modü, nec poteft dici fpecies, vcloc.cit diximus bità: pred camento excludi. 22 Quarto quod entia tocalia, et c6pleta,cít 'Ar:(t.7. Mer.8. vb: expre(sé ma tctiam teijcità przdcamenro, quod eriá demateria docuit c0. 2.d. 12,4. T. D.illà ponens folum reductiud in praedicam. et 3:d. 22: B. eodem mato loquitur " €or| pore proalrera parte cópofici in 4« d. 11, Q.3.H h. idemafferit de pacte forma 'i,ét " dcanima rationali 2. d. 1.6. C. et vniuec faliter de partibus c(fentialibus id docer ex profeíloq;1$. pradicam-in corpore vbi ctiam idem. afferit de partibus integratibus,& de differentijs q.t 2. vadé mo». dó feré commonterinomni( cholateueturperhanccompletioniscond'tiopem, &totalitarisexcladipartesphyíicasmàid xextenduntadpartesmeraphy(i€35,dicentes propterea different as poni à laterc,quia funt entia mncompleta; quod noo placet Hurc. difj.9. Metfe&. 3. quia ánquit,non cft maior ratio de genccesquá : . de differentia, et ad di/paritatem inuemié damycur genus ponatur dirc&te in recta o. linea, aon differentia, valde laborant oppolitum (utLinentcs: et cercé quando Sco tu$ q.1 f. cic. exclufit partes à przdicam. nullam meationem fecit partium mctam, forté né ctiam per hoc gcnas e xcludetet .. Et cur(us qui partesmetaphy(icas in prz dicam. reponunt, valdé infüdan: ad inueaiendam rationem, cur partes phytcé excludantur j et rationes, quz communiter adducuntur, vel nihil . concludunt, velidem de partibus metaphy icis oftendunt. Et precipué quod ait Auería cit. hoc effc,qota per hoc lolum, quod torum ex hisconftans per fe poniiur in prz dicamento,co ipfo imucniun:ut in przd;camento per inclutionem io illo, et idco (upcrtluic illas (epararim ponere, quia bis ponerentar; Non valet, qnia «dé concludit de generc . Haec dictis vcl gragis z(timatar ab authoribus,vt cfl videte apud Ruu.& A ici, velimnis, et nominalis,vt ab Arciag, difp. 3. M.z-. (c&. 1. et forté non tinc fund imento 5 peadect «n. ex ácceprione huius ter.iini direct à reponi inpredicaméto,& ab explicitione, et acceptione generis (opremi, nam vt videbimus difp.(eq.. 1.fub tania po« teft ira genus fupremum conttitui, vt lit comunis entibus completis,& incó»!ctis. 23 Vtautcm à cómuni nó reccdamus, '& rationem aífigaeinus, quz zque militet de partibus metaphy(icis, rccolendu eft, quae dilp.praced.q. 1.ar.4.diximus.f; partem decoro. przdicari non po(fe per modum partis,cum igitur linea predicamentalis dicceéta ex ijs conftituatur, qua ele pofíuat fubic&umvcl pri dicatü tor malis przedication's, quia füpcriora e/Tentialiter ptzdicantur de inferioribus, et inferiora recipiür przdicationem illorü ex hoc fequisor manife(té nihil quod babeat modum partis, et incompleti, pofe dircéte poni in przzdicamen:o, fed quicp«ibi ponitur, debere reponi per moim totius,& cnuüs completi ; ex quo (coem »ad hoc vt aliquid ponatur in przicamento non e(fe neceifariuin, quód fit ets completum fimpliciter ; et fecundum rem, (ed fufficit, quod fit completü fecundum quid, (cu .(ccundum modum, qüz ratio concludit dc omnibas, n ficu inateria, apima, pes, caput, vt fic dirc& non yonuntür in przdicam.quia retinent modü partis, ca pari apimalitas, DHT na litas, corporietas non ponuntur dire&€6 iu predicarequig tic in abfLrato retinebt riodum parus,fed tantumpoDun?turinconcrero,quomodobabentratiosnem totus, Attamé quia vcali.jud fic dis . rcá&éin przdicam. non tufijcit quod prz dicar: potlit de interioribus (Alier diffe1cnua LS $32 sentia e(sct dire&te in predicam. quára. tione mouetur Hurt. ad id afferendum ) etiam,quod potfit fafcipefc przdicationem fuperiorum graduum y uod nequit facerc differentia, cum ef(sé tialiter iftos non includat, idcirco-etli ex primo capite poffit in przdicam.reponi, ampcdimentum tamren oritar ex 2. Accedit,quod adbuc,vt tic, non habet rationé totius, ficut gcnus, quia figaificatuc per modum altetiadiacenus,& in quale przdicarur, non pcr modum per fe (tanus, et inquid vt genus (quod eft enum ex requifitis fecundum aliquos, vt aliquid dicatur per fe, et dire&é ingencre ) quàdo enim dicimus, quod Plato cft aoimal, cx tali modo loquendi nó Ggnificatur, quod prater animahtatem inuoluat aliam par tem e[sentialem, [ed quando dicitur ; qp cft rationalis, vel fenfitiuus, ex modoloquendi datur intelligi, quod prater rationalitatcm, et fenfitiuitatem includat aliam partemefsentialem, cui adiaccrc concipitur vt eius determinatiuum . 24 Ceterum quia partes frmnilarcs, et homogencz, qué recipiunt przdicationcm eísentialem vniuerfalis fuperioris, ficut totü integrale, cuius funt partcs, vt SSco.monct 2.d.53.q.4.H.& 3.d.2.q. 1. H. 1à n. tota aqua quam quzlibet cius pars eft císchtialiter aqua, et non dicuntur aqu císentialiter à toto integrali homodependeater, fed independcnter, quod nen conuenit partibus etherogeeis, et diflrmiliribus, nan manus náqu& E dici homo idcirco contra Suarez iíp.33. Met.c&. 1 .& 3 4-fc&t. 8. Ku. et AA tmc. partes bomogeneae tux directe in pradicomento, pon atherogencz, nam «quamuis homogenez fint aétu partes to1ius integralis, caius pra dicationem nó eam pofsunt recipere; tamen (ont vcré indiuidua totius císeitialis vniaer(alis, && per accidens (e habet,quód (nt a&u par€es ocius quantitatiui ; nom.n. ex hoc, qp parsaquz cít akeri vnita, idcirco non di€itut císcatialiter aqua, et indiuiduüi totius vniucrfal:s : qnod ctiam tenent Louanienf. V illalpand. Blanc. Fuent& alij. Raio vcró, quam adducüt;quia iftz par 165 non ordinanir eísentialicr ad comDifp.V I. De Pradicamemis in Communi . jw mem aliud, non conuincit, nam va« eret ctiam de ztherogeneis « Oo hinc eandem rationem lomo manus fine bra. Chio, vcl pede, quamuis dici polit pars hatterogenea totius integralis re(ultantis ex ipfo, et brachio, vcl pede deficiente; tamen quia adhuc retinet denominatio: tocius, et recipit przdicationca c(fentialem vniuerfalis (ipicioris,non minüs q totum rllud integrale,quod ex ipfo rcíaitarct, et pede,vel brachio deficiente,nam adhuc dicitur homo, et animal racio nale perindé, ac quilibet alius home integer, idco ponitur directe in pradicaméo (ub. ftanuz,quod dici nequit de manu,vel pe-de abfcitio, quia talem pradicacionem nó: recipit, eftó Ouuied. hic idem quoq; iadicium faciat de his membris ex hypothe: fi, quod abíciffa adhuc informentur ani« ma,nam manus abfci([a, (r cadem potirctur an.ma, veré di homo ( inquit iple) etfencialitec cópletus, ticuti » i caret pede, vel brachio; quod noa vi«etur omninó bené dictum; quia cora iis etur mácum;pede;vcl brachio adhac ce 1 idoncumy& adzquatum anima perfecbi bile,quantüm fufficit ». vt totum indé re(ultans homo dicatur, non (ic manus, vcl brachium abfciffa,vt dicetuc inlib. de. » Anim. yndc membra actu non fungantur munere pasti, quia tamen manent femper effenualiter ocdiBata, vt informentur ab anima, séper habent rasioncm entisincempleti, et ordinabilise(fentialiter ad conftitutioné altetius, atq; idcó neq; in (tatu (epatationis à corpore funt in przdicainenxo direété, quicqoid dicat ied. tum. quia lie «et in rationc totius incegralis forcé poffcnt imrarc predicamenuxan, et dici en tia completa im genere (uo, quia ip tali.  ftatu non funt partcs, fed tosa, tamen ia ratione totius eífencialis adhac (um iacompleta, perindéacmateria, velanimaÍeparata; Vtergoquoadhochibeatucregulageneralis,exentibusphyicisilla deben cenferi comp vcl noncócurrunt,vel nonfünt nata concurrere, tà  Quain partcs ; ad compofitionem alicuius phyficam, vel etlentialem vel intcgraié 5 vel fi ad talem naga snsapuddh E abfci(fa y ctiam tüc"i ! c "E Tac tamen ità concurrunt; vt habeant dcnominationem illiufinet entis, quod cófRituunt;& c(fentiam metaphyfica eiuídé rationis cum ipfo participent. Ex gradibus veró metaphy(icis illi tantüm censetur completi, quantum fofficit vt dirc&te ip przdicamento reponantur, qui funt pradicabiles in quid, et per modum to1ius; ac per fe ftantis& quia fola genera, et fpecies fic predicantur, idco itti tantü gradus mctaphyfici dirctté. in predica mento ponuntur . 15 Quinto, quód entia effentialitec Qüta» at finita,eft Scoti 1. d.3. q.3 H. et 4.8.9.3.. Teneo opinionem meamscitq; cómunis,vt videbimus difp. feq. q. 1.promunc prob. quia quicquid eft in przdic. aut cfl genus aut fpecies, aut indiuiduum, ens 1n etilentria inffartum non poteft «(Te gienus, quia ex €o, quód eft infinitum, nó cft pcrfcétibile à differentia, caius cit perficere genus effentialiter ; nó fpecies, quia bzc conftat ex gencre, et differentia, qua fi non funt infinita, ncqucant infnitu onlt icucre nec tandem indiuiduum, quia hoc conflat ex fpecie; et indipidvali differentia, fpecies non eft iu bita cx dictis ncquc ditferentiaquiá hec itialis, et incompleta ; hac rationc 5 vtuntur Fonfeca, Vaf. et alij, quz tamen wt Tatar.q. 1.ptz dicam. dub. 3. et licet Poncius cam hic inficiétur, ei occurtemus inftà difp.7.q.r.arb1.m.9.    Tandem quód eciam indinidea dirc&? in przdicam. collocentur, efl Scoti 2.d. 3. q. 4. D.& 3.d.2 2. B. et fequi oc ex dictis, quia indiuiduum ett. ens perfe » ynum mcomylexam;fini'um, et completui; infe conciüers omnia przdicara linca pizdicamentilis, quibus tubijcitur . Tum quia Arift.in przd.fubtt. per fe ex plicauit (ubltanuam primam, et fecundá, i. ingularem, et vniacrfalem ; tom quia Fidix perle ad arborein fpcctat, et bafis &d colümnam, indiuidourm ett radix, et batis przdicamenu ex Scot. cit. 16 |noppol. atp. 1. contra 1. 2. et 3. conditionein, Tua quia predicamentum fit per fe ex generibus ; et tjceicbus, qve [un entia rauonis . Tum 2. quód tubtiata fit prior corpore, et corpus puus vi| Quefi. LIT. Que ponantur in Predicásn. e ft.I.. $33 nentc, non hibetat ex niturarei, (cd cx opere intelle&ustendentis jitius in fubftantiam,quàmincorpus,ergotalisfzrics,&predicamentumcítensratienis. T3.deenteperaccidensprobatus, quiaquantitasdifcectayc &ficexplaribusquidagstegatum,c(tcnsperaccideüs, &tamencftinpradicanquantitatis ;(cientíaettinqualitaspraedicam. &c(lvnumaggregatione ex plut bus habinbus;imó eft quid ex ab(oluro,& refpeétu ad gbiectü intrinfccé cóltitoti ; veftis cft in predic. habitos, et tamen ctt quid accificiale ; etiatn patet in omn bus conctetis accidetium. Tandem oratio c(l qu'd coplexum, et ett in przdicamento quantitatis Refp.pradicamentum conftitoi ex gez neribus, et fpeciebus materialiter,no focmaliter, i, ex rebus ipfis ; quz dicuntat genera, et fpecies jmon c; ipta; genereitae te, et fjecicitate ; vnde Onod ponitur im pratdic. e&t res; Quo ponitur eft intentio, quia non ponun:ur res in przdicam. nift vt fubftant conceptibus cationis. Ad 2,acgum. vrgere contra Thomiftas nczantes diftin&ionem ex natura rer inter.evadus prz dicamentales, ac proinde ctiam prioritatem, et pofterioritatem ex natura rci, non autem coutra nos, qui vtrunque admittimus. Ad 3.patebit ex dicédis in proprijslocis; nam quantitas di(creta non eft vcra fpecies ; (cientià eft vna qualitatis fpecies, vt dicit vnum per fe habitam, ro vt dicit illam aggregationem,, vt explicabinusdifp.12. et quamuis dicat rcípetár realiter identificatum ad obicétum,nó ob id eft ens pet accidens; «jura non ponimus illum dc effentia fcievtig ; veftis ponitur in przdicam. habitus ian. aam materiales et fundau entum habition;s pafTiuz, quae eit formalit;s habitas ; et concicta 2cctdentium poruntur in pradicim. non vt fignificat, ex zquo fübicétum, et formam, vt ip fcq. att. diccaiuss Tandem ot;tro ron cfi vcra quapatatis ipeCiC5, VE fuoiecovidebimus .: iy Sccundo,coptra 4«& 5. conditionén; Tum quia accidcnca inabltradto fua j'rzdicamenta con(ticount  et camen abttracta higoibcant per mod.im partis. Tum 2. partes phylica j $1 Difp. VI. DeTredicamentisin Communi. .  foa genera, fpecies], et differentias, vnde multis inlocis fubítantiz vocátur.ab Arift. poffant concipi vt abülraéra»& concreta in fuis inferioribus, et habec omnes paffiones fübftantiz, ergo perfe funt in pradicamento. Tum 3.genus,& differetia quomodocunq; fumantur,(empersüt «entia incompleta, ergo fi genus eft per fe in predicamento, omncs ali partcs de. bent reponi. TumA.cx 1. Top.c7. omnia pra dicgta dialectica in ptzdicamencis rceciantur, fed dialetica di(pütat de entis cópletis,& incopletis,ergo &c. Tu 5. rotü non cft (ine partibus, ergo fi totum eft per (c in predicamento,partes nó pof funt excludi. Tandem contra quintani .s Chri(tus cà in predicameto fubftantia, et tamenthabet c(Tentiam infinité. perfc&à,& (i daretur linea infinita, adhuc ef. fet in przdicaméto quátitatis ex d. 8. q.5. «rgo finitas non cüneceflaria conditio. Refp.ad 1. patebitex feq.art. Ad 2. difp. feq. q. 1-art. 1.dicemus poffe quoq; ordinari: aliuam feriem przdicamentalem ex iftis entibus incompletis ad inftar przdicamentorum entium completorü, quz modó (uot in vu, nontamen fequitur dcberc in his dire&é reponi. Ad 5. quamuis fint entia iacomjleta. fecüdum rem;(unt tamencompleta fecundum m;odum in tatione habentis,quod (ufficit, vt poffint de inferioribus przdicarí,S€ cum genus etiam fit potens fuícipere pradica tionem fuperiorum graduum cf(lentialé, erit dire&té in gencrc. Dices,genus fupremum folum de inferioribus per modum totiüs przdicatur, non auté (üícipit prz . dicationem-gradus fapetioris, cum non adíit, crgo differentia, quia eifenualiter . deinferioribus pradicaturquamuis non recipiat predicationcs fupeciorum, debet elfe dicc&é in genere . Reíp. ncg.patitatcm, quia genus fupremum falciim potctt tccipete praedicationem c(lentialem cn. tis tranfcendentis, quod non habet d;ffcrentiayquia non eft formaliter ens ; tum que pesdieater pcr modum per fe antis ; et liveliscam Hurt. ad e(lc per fe,cx dirc&é in generc íufficerc pofle de altero ciTentialitcr pradicati, et confcquenter diffeentiam » quamuis à latere; dici.camen per fe in genere, eft quefti? de nomine. Ad 4. verum eít afjumptum» fiue dire&é, tué indirekte.,-vel cedu&ia€. Ad 5.folum ptobat partespertinere ad idem predicamétum indire&é, vel redu&iu&, quacenus funt racione totius in przdicamento. Ad 6. Chrittum effe ig przdicamento tatione natur haman£, 1 non diuiz vt difp.(eq.q. 1.dicemus ; deinde negatar paritas de linea infinita, et de infinito in edientia,qu a linca eífet dua| taxat infinita (ccundum quid, fimpliciter tamen e(Tet limitacae, et fini naturcze. 28 Tandé contra 6.arg. Tumquia pre | : dicam&um cftcoordinado plurium praedicabilium fecundum fub, et füpra,indiwiduum non eft huiufmodi. Tà 2. Porph. claudit praedicamenta genere fummo, et fpecie infima, et ad indiuidua defcendere proh bet,quia (unt infinita iuxtá przceptum Platon:s, Tum 3: indiuidua ad fcicntiam per (c no (pe&ant, ergo ad pra dicamenta per fe nó (pe&abuntquz fi 23 4 parsprecipuilogicz,&adícientian ot" dinantur. Tum 4.indiuiduu mg en vhi   : uoecam, quianoncít de plucibusfecun dumidemnomen,&rauonem,ergonod   eft per fe in przdicamento, quia heceft vna principalis coaditio. Tandem indi» :uidua funt entía per accidens, quia ftant ex rebus diucríi ocdinis, vt fecunda definitione Porph. Indíuiduwm : e[l, cuius collectio proprietatum, qua im  vno e(l,in alio non poteft reperiri. n Refp. ad 1. przdicamentum eft coordinatio non folum przdicabilium, fed et 2 fubijcibilium,de quorum numero eft ia] diuiduum..A d 2.im9 debere claudi a" T re, fummo, et indiu!duo, fi cat. n.apex po ! nitarprzdicasum, de quo nil aliad dici| tur in re&ta [nea ita bafis debet poai fubiectam,;cui nil aliud fub: jcitür, vc Scot. M ue doccun acit. Porph. ita fecitquia emu/ merarc folum carauit prz-dicata elfcatiaE: 112; et Piato indiuidua in prdicam. recé ; (ere vetabar, quatenus iafin ita (ánt, non Y Quatenus iadiuidua quo eciam (&afu non €ft nece(fe (pccics in praedicamento recé 4 fcre neges numctan4o ; vcl Porph.tantum volux diuitionem, qua fic per diesrcnias,non jrogre 4i vica pecie. Ad : j üua" mmo amant Uo w"uameEi É £). LII. Qunmede ponantur impredicám.cMfrt;II.  $35 3-ficut pertinent ad. predicamentum vt fubiecta Lars oes omnes. gradus fueriores,ita ad (criem przdicamentalem: peers velut id,ex quo vt ex fundaméto: zdificium priedicamét conftruicur ; nec, efi neceffe, quacunq; in: predicamento: ponuntur, immediatéad fcie nciam pertinere. Ad 4.iliam folam;effe conditionem corum, qua ponuntuc in: prz: dicamento: vt gradus prz dicabik s& communes, nó indiuidui quod folum ponitur vt fubijci bile. Ad 5. ratio indinidui non cófiftit 1n ptoptietatibus extrinfecis, ied (olum includit naturam; et differentiam indiuidualem;definitio Porph.cft quedam notificatio indiuidui à pofteriori.. Conffrutiio v edicamenti in terminis: abflra&lis » vel concretis de terminatur Dess in prdicaméto fübffatiae naturas di(pon debere in. cocre  to;in predicameotis veró'accidemiiü in ri gpre reponi debere imab(tra&o: non vlti mata abftraGione, e ipe demie etiam in: to poffent: col . Et quidem de fubit antiali przdicaméto doeet ipfemer vías, videmus.n. in eo gemera, et fpecies difponi nominibus concretis (ubttanria, corpus viuens,animal,homo;& ratio eft, quia re$ nom difponun turin preedicam nifi quatenus gradus (uperior poteft efsétialrter dicr de. inferiori& inferior talem pradicationem fuícipere,at in abíl ra&o fieri nejucunt tales przdica: ioncs,non.n.dici mus humanitas. eft animal t55, «uia natura fic bgnificatz babent rationem parcs,X enusancópletiyat iv concreto haben: ratiomem enhes me et totalis, vt diximus dilp. praced.q.r.ar 4. X ex profe(lo agemus difp. 10.q.5. nam cum natura fubitantialis nata fit cfle in (u, potito, inquo fuum bubet co: plememum, .f. fubuftentiam, ftauimac d (uppohico abitralitur, babet ranonem parc s,& torag metaphylica. 39. Sccundó. g accidécia debcat n me dia abftrachone reponi, mnitcfté Ret «x d icédis dif. 10, cit nam ab fracta media abftra&tione funt termini illi, qui à ft bic&o abftrahunt, quod in concreto cócernunt,fed nomab inferioribus, vt albedo abftrahità ligno;per album conmotato.fed non ab hac;vel illa albedine, vltí« ma veró abflractione bte et pos ctam ab indiuiduis pra(cindit.,, vt albedincitas,dcbentágitur accidentium. prg« dicamenta in terminis media abflractione abflractis-di(pom,vt docet Sco. q. 1 f Vniu; poft.refp.ad 2.princ.& q. 1 r.predi cam. poft. rcp. ad 3. et probarar auth, Arift, qui multa przdicamenta accidentiumrita difpofnit, (pccies n. quantitatis» et qualitatis (nb nomine abftracto refert. lineam, fuperficiem, fcientiam, egritue dinem, &c. Tum quia przdicameptum e(t coordinatio pluriü in tali ftatu,.qa fuperiora ies przdicari per modum gencris, vcl (peciei, fed termini accidentales media abflractione abftracti adhuc permanent in tali ftatu, (ignificant .n.for mas accidentales per modum per fe cxiftentis,& completa naturz;quod non Có: uenit terminis vItimaté abíiracts,nam yt. fic tignificant formas vt incompletas, et per modum parus; cum ab omni habitus dine im ratione. habentis prafcindant « Imó quia coordinatio pre dicamenti eft ordo quidam effentialis intcr. pradicat fuperiora& inferiora, et per accidens fe haber ordo ad exerancum potius przdicamenta accidentium difponi debent im terminis'abítra&tis, quibus praícinditur à quolibet ordine ad cxtraneü (ubiectü ». et ordo effentialis inter fuperiora, et mfcriora denotaturquàm in-concretis,que ordinem dicunt ad (ubicóétum. e 31. Tertio tandé noncxcludimus ons nino cóctcta ab ; (Lis przdicamentis,nam. Scotus cit.quamuis fimpliciter I dicat ab(tra&ta accidentium ordinari 1m pradicamentis, addit tamen ctiam crcta poffe per Íc ordinari ficut Means et interius,, non quidem concretum f abftraéte,vt album fi ub qualitate ed cócretum inferius fub cócreto fuperiori t album tub.quali, vulr itaq; pra dicamentum acciécnüum;velcotum imabiliactos vcl tomum concreto potic rc&te conttitwi:binc Agfa. vlt. de Monta die $36  Difp.VI. Dc PredicamentisisGimmunls 0 dentium praedicamenta in concreto recepfait, et inprédicam, qualit. etiam de: 7 egit fub nomine concreto. Tum quia 1 quid obftaret;aut effet, quia concreti efl en: per accidés,vtvniucc(aliter Arift. dixit de quocunj; concreto accidentali . Met. z. aut quia non poteft pet fe fub-: ijci& pradicari; fed primum nó obftat, quia licéc fumendo concretum accitétaJe pro aggregato ex €quo;ex fübie&o,& forma,quomodó de llo loquebatur Ariflot. cit. non poffit definiri, ncc poni in przdicam. vc notat $co.q. 1$ Vni. ad z. zameh formafliter,vt dicit formam, et pro tonnotató fübicétum,nonett ens per accidens ; vt fzpe dictum clt : Neqiper fe nitas accidencisexcluditurpera&tualemdependentiamad(übre&urn,quiafübietum non pertinet ad intelle&um eius vt pars, fed vt terminnstalis dependentiz . vt Sco.docct 4.d. 1.4.2. A. et q. 8. Vniu. infine: cum ergo termini (int in prdi«ar. ratione faorum fignificarorum forium,non matcrialiü, vt notat Tar. q. procm.ad predicam.dub. 2 albüerit forfnaliter in przdicaméto qmilitatis. Neq; &t impedimentum oriri potcft ex 1. cap, &ria criam in concretis accidencalibus dà tut przd;cationes per fe fuperioris de inte xiori,vt album e(t coloratüalbuim cft qua Ye,vt Scotus docet q. r. Vniuerf.vbi ctiam fiotar à talibus concretis ad abtiracta teinerc cóufcq.vt album cft quale;crgo albe do cft qualitas ; vnde r. Top.c.vk.ait Afiftor.alburrcontineri fub colorato,tanquam fpeciem fub genere .  gz Cótra arg.pamo;quód n6 poffint inabüracto difpont ; Tumquia vtficfe ibent per modam partis,vt fant abtirafübftantiahia, pars veró non potett toto przdicari. Tum 2. accidentia deent poni in przdicam. eo modo,quo de fubflantia pradicantor,quia pradicaméa accidentium diftingauntur per ordiem ad (übftantiam,vt diximus; (ed przitatis,veflisin przdicam. fübftamntiz, ergo hac altim neceífe eft con(titüere in concreto, Tum 4.. modus inheré tie, quo forma accidentalis inzft (ubieGo; pcttinet ad idem prz dicam. firi acci dentis,at hic modus fignificarur: per.nge men concretum, quod concernit fübie» Gumnon per abítra&tum, quod à fubies: &o prat(cindic. Tum 5: ficuc fe habet (ub. fiftentia ad naturas (ubitanciales; ita in hzrentia ad accidentales, (ed (ubttantias les quamuis (int magiscntia, et perfe&i0ra, nibilomtinus vcab(tra à (ub. fittentia, (ant catía incópleta, multo magis aecidentales., vc ab'trahanc ab. nha rentia: ma. paret quia ficuc natura (uübftantialis completur vltuna.é per (ubüfteatiati;ita accidentalis pec imhzrentia. Tandem connaturalius. cft accidenc cife iafübic&o, quàm abillo pezfcindereserce go (alin re& us prz dicamenta accidentium difponentur per.concreta, qua oom   folum otdinem ad infcriora, fed eua fabie&a tigniftcancy] üàm per qua à (ub:ecto preícimdunt,   33 Refp.ad r.accidés vltimaré &um effe quid 1zcompletum:, ' dia abtlra&tioncabftractum, in te lit pars concresi ad (ub bet ta nen modum fignificandà totius.,, quia cft concrecum ad (ingulace, ea. ! [cinditab ordine in ratione babentis, vt. tzpé dictuas cft,non fic abítra&ts (nba tialia quz licec dicam ocdinemad propria indiusdua, vnde hzc ef veras hzc hamanitas eft humanitas, bzc ananilikase(t animalitas,non tamea ifLi, am initas. eít animalitas, nam. animalitas tocaliter ptrzícindit à (pecicbus. Ad.1. neg. maquia licec diuifio prazdicamentoram. ac cidencium facta fic juxta diuer(irm ordi nem;queim dicua: ad (ubtitanuam, coordinatio tamen eorum in fuis pradicametis non eft fa&a, quatenus pra dicantus de fubftantia in. quale accidencale, fed dx "dicamar de fübüantia in concreto; nó in (0. Jabffracto,erzo &c. Tum 3. formz quo-. . ""yundam predricamentorum.f. Vbi, Situs, ve : s uel,& habere, frabitradté (uman "tur, incladuntur inalijs przdicamentis, Wempe locas ; et tempus in. predicam, quacenus praedicancur inquid dc (uis. in» tetioribus : tam quia licéc accideatia 10 abítracto nó afliciant a&ualitec(ubáantiáso fliciupt tamen aptitudinalicet, un? etlam in aliquo fen(u actualicr, dicimus €ninqu9d corpus habet quancitaté due t Q. III. Quomodo ponantur in predicam.cidri. 1. bet albed: nem; fimiliter quanucas e: tco dit (ubic&tum, qualitas afhicit, &c. Ad 3. n«g. affumptum ; quia illà etiam quaruor przdicamenia in abflra&o fumpta. funt diuerfa à predicamenro quanctaus, et fabftantiz, «à praicferam varios rcfpc&us extrinfecus aducnientes, vtanfra in fu:s locis videbicur. Ad 4.neg.ina.vniuer faliter, quia :nhzrenua, quando ett rca. liter ab accidente diftinéta, eftin przdicam.habitus,vt ibi dicemus, &'folü denominatiué vagatur per ilia prz dicaméta, vt docet $co.4. d. 1 2.9. 1: negatur etià mi. quia vtro«uc modo fignif;catur, vocatar .n. predicamentum habitus, et habere. Ad g.negatur patitas,quia e(fentialior cft habitudo naturz fubítant'alis ad proptiam fuppolitam, quod eft eiu(de m przdicament: «quàm accidentis ad fubie&um,quod ett ipfi extraneum quare ftatim ac natura fubítanualis à (uppofito  yrzícindit, cenfeiur incompletum ens, faltim in modo fignificandi, non (ic acci dens, quia adhuc retinet habitudinem ad interiora ; neque in hoc attendi debct qmaior, vcl minor perfc&tio :n entitate, nam adhuc hamanitas vt quid incompletü c(t perfc&tior accidente in concreto, od habet modum completi entis, re picitur .a.'ad modum fignificandi, non ad rem fignificatà, Ad6. patet ex dictis, de rationc .n. przdicamenti ett predicatio,& (ubiectio cffentialis, et qu:dditatiua,non accidenialis,& qualitatiua; aliter pradicamemtum accidentis non deberet conítitui ex generibus, et [pecicbus accidentis inter (e ordinatis fecundum füb, et fupra,(ed ex accidenre, et fübic&o, inter quz cadit przdicatio accidentalis. 34. Secundo arg.contra diipofiionem intermin:is concrcus. Tum quia Sco.ipfe q.1$. Vniu.ait,concrcta accidentalia non tlie in gencre, nifi reductiue fimpliciter uendo. Tum 2. Atifl.3. Top.c.1. ait iuttitiams non iuftem cite 10 predicam. Tum 3. concreta nO potlunt cüe genera, et (;ecies,quia ca folum potfunt genera, vcl fpecies c inari quz figoificát na turam per fe ftantem, et non alieri adia€entemyaliter pre dicarentur in quale,nó in quid accidenua verà in cocreto ligaiLogica .  ficant naturam non per fe ftantem, hinc Arift. 2. T0j.c.2. ait coloratü non dici de albo ranquam genus, fed denominatiué. Reip.ad i.& 2. vel loqui Scotum, et Arift.de cócreto pro aggregato, ycl quia ron eit in predicamento, ni(i ratione for m (igniticauz, et quia coordiDatio cone crctorum pendet à coordinatione formarum, ficut vniuerfaliter verum eft denominatiua pendercà form.s denominátibus. Ad 3. dicimus probare folum in rigore debere ifta predicaméta in abítracto con(litu:, adbuc tà etiam in concreto poffunt conflitur,nam concret, licét vt refpicit fubiectá babeat rationem qualis, attamen vt refpicit inferiora ratione formz,quàm forvaliter importat, habet rationem quid, nec vt adiacens prdicarur dc inferioribus, fed vt elfentialiter inclufum. Arift. auté fumpfit album, non pro formali, (ed' pro materiali, et (übie&o quomodo coloratum denominatiué dicitur de illo .. Declaratur amplius hzc folutio,,uiaalbum, et nigrum, fi conlideranuur vt talia formaliter, nó veró pro ut connotant fübie Cum, coloratam prz « dicari potefl de 1pfis per modum generis, et fpeciei, interroganti AIOROP Sid fit album, vel nigrum fic fampta,bené repo detucquod cit coloratum, vndé licet fit concretum adiectinum; attamen nO prz dicatur per modum adiacentis, nili refpe &u fübie&orum de quibus accidentaliter predicatur refpectu veró inferiorum predicatur e(fendaliterjac per modum pet fe ftantis; licet connaturaltot modus cócretorum adiectiuorum fic. praedicari. per modum adiacentis  De diuifionibus, et regulis antepredicam.  35 q)OR definitiones vninocorum "T quiuocorum, et uorum, quas dip. 2. explicauimus » fubdidie Arifi.in Antepradic. duas diuifiones, Sc duas rezulas, dc quibus erit Ícrmo in bac quzitionc. . r "vpn Prima diuifioeft corum, quz dicuntur» nam alia dicuntur, cum coin Vu: psc $38  Difp.VI.De "Pradicamentis in Communi. fic, vt homo albus, alia fine complexiome, vt homo equus; et valet hec. regula ad d:gnofcendam conditionem eorum y Quse in pra dicaméto repom debent, que eft incomplex'o, vt diximus q. pra'ced. árt.1. ac proinde Arift. incomplexa .pofica diuidit indecem praedicamenta . Ex quo deducitur, hanc diuitionem principaliter effe rerum, feu conceptuum obic&iuorum, et minus principahter vocum, quatenus pereas (igmficantur res, et cóceptus, nam fcientia przdicamentorum non e(t de vocibus; quapropter ly dicuntur in prafata diu(ione id (onat, quod concipiüntur, «t etiam dicebamus in definitionibus vimrimocorum, et a'1uiuocorum atq; irà fenfusdiui(ronis eric. Retam alie figmfrcantur conceptibas complexis, aliz incomplexis; et licét complexio, et incompletio (in: paíTioncs vo€um, conueniunt ramen primó concepti . bus, et complexio, aut incomplexio vo. tumyttendimur proprie ex coxnplexione, aut incomplexione coaceptuum,itaut il. Ja vox incóplexa cenferi debeat y cui vnus tantum correfportdet cóceptus, compleXa vcro, cui plures, vt determigauimus in r. p.inft. tract. 1. c.3. 36 Sccundadiuitio eft eorü, que funt quod alia de (ubieto dicumur, et in (ubic&o non funt, vt (obftat; vniuerfales, homo;animal;alia infubiectofunt, fed dc fübic&o nullo dicuntur, vt accidétia par ficularia,harc albedo 5 aiia dicumtur de firbie&o, et (ant in fübiecto, vt accidentia tniucríilia,coler, albedo; al:a deni ]z1ec fant in (abie&o; nec dicitur de fübicctoy vt fingularia (ab(tantiat Petrus Sortes; fin qua diuitione (olum ett adaertendum cffe in (ubicGo;& dici de fütrie&o diuerfimodé (umiab Arift. nam «ffe in fubie Gto accipit provera, et reali inhe(ione in co; quomodo accidentibus conuenit nan li «ét forma fuübütàárialis fitim materia vc. in fübiecto; non tamen inhieliad, vt docet Scot. quo]. y. À. (ed per vetam infotmationcm, nam inlrerere dicit informatiofticim nou per fe, hoc ett, quod inbzrens, «um non (it à Gus Gicaphiciter 5fed Lecait1m quid, non facic vnum per fe cam fuMs4ào,(cà per accidens ;at forma (ub" ffantialis eft a&us fimpliciter, et cü maz teria facit vium pet (e, et ideó non dici. tur e(fe inubieGo per inhzrentiam. Dici verb de (übie&o (fumitur, vt fignificat pradicari dealiquo vt de inferiori quid. ditatiué . Valet hacc diui (io nedumad di gaofcendum difcrimen corüsqua in prar dicamento fubflantia reperiücur jab hiss. quz ponuntur in przdicamento accidentis,(ed eram ad cogaofcendam conftitus tionem przdicamenti tam fubitantig;qu& accidentiam, qma illud cóftituitur ex fübs flantijs varaerfalibus, et particularibus s et (iiliter iita ex accidentibus vniuerfalibus, et particularibus, nec aliud di. cend.1m occuttit de his diuifiomibus . 37 Primaregula anteprzdicamentalis eft. Quindo alterum de altero (tzedicatur,vt dc (ubie&o, hoceft; vt de quidditatiué inferiori, quzcunq.de praedicato   dicuntur, etiam de fubiecto dici neceffe  eft; nimi homoeflentialrer induditur in Petro, ét effentia hsminis in eo inclus. de:ur, erzo (i homo e(fcaialiter eft anis mal, etiá Petrus effcacialirer erit anim Valct ifta regiila ad cogaofcendum or nem eorum, qui pomintur im predi nierito, nani qua in re&a lirica p deben: effc effentialiter fubor: ut faperiora im inferioribus : j s et de illisquiddiatiué dicamur. Ex l$  deducitur regulam valere, et tradifolang  de prad:caris effcavialibus   vt 1. p. imft, trat. t.c. S. diximus, quia talia funt faperi0ra cefpe&u inferiorum im linca prasdicamemali; et his quidem ; quz predicato competumet fupponitabfoluté, nó  autem vt (upponic fimpliciter, vel quar different iam ponant imer prz dicati ipe fuay et fubrectum, eft pradicationes m fccundis iatentionibus fiunt. per acti fie gnatum non y iq; exerceri dcb: buntsaili im primis, et (ze pius diximus z quar omnia  éx Sco..9 ptz:dicam.& quibus obteruatis toluumtu: omm f ta,quz contra liinc regulam ficri f, quo autem fenfu poffit exreridi quoq« ad prédicata accidenetlia i bid.explicarü eft. Sccunda regola ; Diweiforum genetít, et non (abalcermaurm pofitorum diueríar funt [pecies, et differenu, vcl vt alij le RI. lr. »9 -. Quef IV. De diuifion. e) reg. c Antepsádic.   559 gunt, diucrfz font. fpecie diffcrentig ; vt animalis .& (cience (ibalternorum vcró nil proh:bet caídem «ile d:fferentias, nà füperiora de inferioribus dicuntur. Valct hzc tegula ad cognotcendum ordiné coram;quz ponuntur in diftinctis pradicamenc$,diuerfa .n. przdicamenta diuerfas habét fpecies,& differentias, Circa hanc regulam primó dubitari folet ; quid intelligar per genera. fübalternatim, et non fubalternatim pofira; genera .n. alia funt, quz in nullo füper:or) genere conuenirir, «t fant illa diuer(orum. przdicamentorü, alia, qua funt fub aliquo gcnere » inter fe verb (e habent, vt difparata,vt animal, et planta,qua dicuntur fübetternasquatenus in vno tertio conueniunt,,f. in corpore, et in viuéte, quzdam tádem dicütur fübaltetna proprijffimé, quia vnum (ub altero centinetur vt animal, et viucns. Soto, et Complut. hic explicant geneta fübalterna c(fe, quotum vnum fub alio continetur,uon fübalterna, quorum vnü non continet aliud, fiue fob tertio comufnicontineantur, fincin diuerfis fint przdicamétis;fauct $cot.q.10.predicam.fun damérum (fumitur ex 1pfo contexcu, nam explicans Arift.quz fint gencra fübalter52, adducit excmpla de fuperioribus refpe&u inferiorum . Tum quia hocclaré habctut in verfione Argyrop. quz cft om tibus caftigatior, Quando genera diuerf funt, neque »num ab a'tero continetur, eorum ét differenti [pecie diffcerut; eorum autem generum, n »num fub altero contimetur, nibil probibet eafdem differentias e[fe. idem habet 1. Top, €.13.ib1 à pofitione generum,vbi explicans Arift.genera (ubalcerna,& non alterna, in hoc fenfu,tradit hanc eandem tcgalam, et doctrinam . 39 Cómunisopinio, quà tradidit Tatar. m fumm.in ex pofit. huius regulaper genera fübalterna intelligit ca, quorum vnum fab altero cótinetur, vcl ambo füb tertio, non fubalt rna vcró, quein conueniunt ; Fundatur in hoc, quód exéplilicans Arift, de generibus non fübalcernis mentionem fecit ; de his, que prazedicamento differunt, vt animal, et fcicntiaj tum quia 6. Top.c.2.loc.41. quz: (ub nullo quód gcnera alia funt alia inadzquata, de qui, tcrtio continentur, fabalterna vocat, de sce docet, non implicare haberc diícrentiam coem, ergo cum hjc ait &cne;a (übalerna habere cafdem fpecie ditfcicntias, €t de contentis fub tertio intellexi: . Awuan;é quia rcgula ifta de genctibus füb tertio coi contentis intellecta in vno fenfu eft vera, in altero falfa, vt videbimüs,ytràque cxpofitionem poffumus admiucre?& qp per fübalcernagenera intelligátar, qua (ub tectio conupcntur quà ad illas differentias, quas po(funt habere €ócs; et quód per no fübalterna accipiat » meia vnum non e(t fubaltero ; fiue (int ub tertio, fiuc nó,ex plicando reg.lam in eneribus fub tertio contentis quà ad illas differentias, quas nequeunt in cói pof fidere; eó vcl maximé, qp ia textu vtragi expofitio fundamentü habet, vt vidimus j quapropter explorare debemus quà veriratem babeat hzcregula, przcipué ia generibus füb vno zertio contentis, de uibus eft maior difficultas; non quidem c conftitutiuis illuus generis communis, ha namque omnibus inferioribus conucniunt vt diffcrentiz conftitatiug viuentis conueniant animali, et planta, (ed de diuifinis, an .f. differenti diuifiuz generi$communisconuenirepoffiotindiffetentergeneribuscótentis (übillocoi.40Primaopiniocftaffirmariua,fedAuthores iftiusopinionisdioififunt;aliui n. indifferenter de qualibet differentta loquuntur,; eo quia putant nullas císc differentias proprias vnius Ípecici cóftitutiuas,& vnius gencris diuifiuas, (cd quà libet communiorem cfic fpecie, et folü adaquati cü illa, quatenus eft alteri coniundla differentiz, cx: qua combinatio-. nereíultat adzquarum conftituriuü fj €ici ; ac proinde admittunt eandem di ferentiam pluribus generibus. pofleaduce nire, illaque diuidere ; ita. Auería q. 15« Log.fe&. i. nod: vni. c.de di fc i 8.qui alios citat. Ali A ita non polunt habete communcs frecies, concedunt in ie rcperii policy in qua deicédanc iicrentuas inadz quatas; unde licét Vu à mera "NS vna fac l. LJ  3 OU Wo Lue iui  L4 549 fixa difparata haberc communes diffctentias, admittit tamen continere fub fe communcm fpcciem, quam inaditquaté contlituunt,dc qu busnon erit verum di«cre, quód generum ad inuicem non (ub ordinatorum diuerfa (int fpecies ; ita 5 Arriag.di(p.8.Log.fc&. 1.fub fe&t.2. Alij ditiinguun: de differcntijs,& generibus, nam quz dam differentig (unt vniuerfales, gor totam lineam przdicamentalem unt, vt Corporeum, et incorporcum in przdicam. fubftantiz,& gencra ab illis conftitata d:cuntur. vniuerfalia, quia totaliter Jineam. przdicamentalem amle&tuntur, vt corpus, et (piritus,& dc iftis verum cft,quód non habent differentias diuifiuas fuperioris generis cócs,quia . talcs (unt illz vniuer(ales formaliter opofitz, quz nequeunt in codé repctiri;adig (un: differentiz particulares, partica "late genus diuidentes, et de iitis verü e(t pofie pluribus generibus infcrioribus có' uenire, refpc&u quorum non fe habebüt t difterentiz adequate coftitutiuz, has «n. afferant non poffe e(íc cómuncs, fcd inadaquaté,& non vltimaté ita Rau,hic, et Amic. af(eront exemplum de quanti«tate;quz primo diniditur in permanenté, et (uccefliua,qua genera habent cócs dif ferentias. f. córinuiy& difcreii, qua (unt t diuifiuz quantitatis in comuni, nà datur quantitas perganens continua, Vel difcreta, et quantitas iucccfTiua conma, " wel difcreta,confentit Ponc. difp-7.n-46. Secunda opinio afferit, quodlibet gcanus habere proprias differentias diuilijitávt.vna diffcrenua fit vnius tantum generis d ufiua ., et vois (pecici conftituuua,ita Doctor q. 10.przdicam.q. 27. "V niu.& 2.Poft.q.58. et alijs inlecis infra it. efta; apud Antiquos communis, quà «x Recentioribus (equuntur Mor;f, difp. . Log.q.6. Conplut. hic; Pafq. tom. r. €Mecdifp.61.67.& 68, Pro cuius refolut.  4t Dicimus prymó, genera diuetíoiü przdicamentorum nullam babere communem differentiam conf(litutinam, aut diuiiuam, ncque. communes fpecies; áta Sco.ci.& 2.d.5.q.4. D. Probatur,quia praedicamenta (unt impermixta, itavt &num etfcnualiter non parucipat natura | $ Es d   P Difp.J/I. De Pradicapsentis in Communi . alterius, ergo quz fub ipfis continentur, nullam habcbun: d.firrcotiam cóem, nec conflitutiuam, nec diuifiuàa ; fapponimus n. nunc decem genera non habere (upra . (e aliud genus,na (i velimus loqui infententia admittenre vnum, vel pauciora, quàm decem przdicamenta,. fic de illis idem iudicium faciédum eft, ac de gene ribus (üb communi tertio coaftitutis,de quibus in feq. concl. ex quo paret alias pats de fpeciebus, nam fpecies nonnili cx genere, et differentia coale(cunt, ergo ex diucr(s generibus, et differenrijs diuer(a quoque ífpeciesconfiruuntur, 41 Dicimus 2.geneta iater fe fübordinata comunes habent omnes diífereniias fuperiorum generum conftitutiuas,quod ctiam eft vcrum de generibus füb cói tertio cótentis; quia clecitind in diffecécia  illius certi conttitutiua; eft cóis cü Ari(l. hic,& patet, ná animal includit oés differendas, (. corporcum quz e(t conttitutiua corporis, animarü, :,uz eft coltitutis ua viuenus, et fentibile, quie cft propria ipfius animalis; (i militer animal, et pla habét diftereacias cóitituguas coi i& viucnus. et fequitur ex prima T alteri de aliéro predicat X hinc cá dic mos horum generum eafden c(lc ditfcrenias conttimutiuas mil aid. fignificatur, quá rationem generis lupes tioris inueniri in inferioribus, non veró differentiam. conftitutiui generis fuperioris elfe vitimaté conitiruriuá generis infcrioris,hoc.n,cftimpoffibile.Scquitue etiam gencra inter [e (ubalterpa. particie pare aiiquas d.ui(iuas (aperiorüs nà anidiuifiiuis fubitanciz h:.bet corpo rcü,ex diu .fiuis corporis habet animati » ex diuifiuis viu&tis habet (enfibile ; quod etiam elt alicrendum de alijs (ub tertio ' cóhtcátis, quz habent commuaes diífcrcntias diuiliuas, que gegera'conftitüunt in illis inclu(a j praeterquam diuifiuas 1mmediati generis fuperioris, v.g. animal «& planta babeat communes diifcrentias. diuuiuss fubftanue,X corporis, puta COE reum, et animatum, nontamenbas /      t communcs differentias diuttiuas vi« uentissvt eít,(cnibile, et vcgcetabile, 5», vrmoxdicmus,    c mpm 4 DiPi : I p TAX PV  | t Duft. IV.De divifonib. evregulis e dntepr «di.   Dicimus 3. nulla differentia diuifiua itnius generis poteft efte diuitua alterius generis, fed quelibet determinatum fibi genus vendicat, ita Sco.cit. quam probat q. 10.przd. fi eadem differenua fiue vltima,fiué nó vltima aducniret pluribus generibus, (equeretur idem fpecie,vel gene re inferiori effe in diueríis gener bus non fubalterdis,quod implicat, quia idem fpe €ie,vel gencre inferiori habet vnam císétiam, genera autem non fübalcerna, (ed difparata, ctiam ciuí(dem przdicamenti, non faciunt vnam ctfentiam, vt patet deanimali, et planta;fcquela probatur;quorum c(t vna differentia ;|vna eft entitas fpecifica, nam vnitas fpecifica nonniíi à ifferentia potefl prouenire, in caíu vna e(Tet differentia. Dicesa iefle diucrfitacé nercum; ideo conftituta non eífe ciu(dé peciei.Contrá;genera funt rationes con» ucniendi in (pecicbus, diffeietiz funt rationes difconucnicndi, hinc genus dicitur à differentia contrahi, clc magis vniuerfale, differentia minus vniuerfalis : vnde ger diffcrétiam magis accedit ad cffe in. diuiduale, co qtia eius communitas per differentiam reftringitur ; qua ratione die citur genus inquid pra dicari, differentia in quale, et per modum adiacentis ; ergo ab illis generibus non poterit prouenire differétia [pecifica ; imó fi hocafferatur, potius illa differétia fe haberet vt. genus, quia omnia generis attributa illi copeteret, gencra vcró fc haberet vt differciig, Refpondet Auerfa cit. et (c&t.5. nullü efle inconucnicos idem habere modo rationem generis, modó raüonem differen. tiz modo cGcipi vt cóius,modó vt minus communc;quia genus, et differentia non funt quz dam entitates ex natura rej difunctz, fed vantü virtualiter, vnde ad libirum poterit intellectus nofter formare diueríos conceptus srn diuer(as a (fi milaSee af ceucmentaedquis habet eadem (pecifica patura refpcótu dimerforü. . 44 Contra T sia icipon Gers n à argumenta probantia di 10n€ formale M dr gradus metaphylicos . Tü quia admitla funda rali diftin&ionc » adbuc efl talia, ná dittinGtio rationis rat iocjnata per boc diifcita diftünétione (o ka. | rationis ratiocinantis,quod illa non ad Tibitum noftri intelle&us poteft tribui rebus, et inter aliqua conc.pi (zd neceffitatur intelle&tusad tales vel tales concepius formandos ex fundamento reperta in re, non fic cuenit in dittinctione ronis ratiocinantis ; cum ergo per Aduerfarios gradus mctaphyfici diflinguátur ratione cü fundamento inre, neceffarió concipi dcbét deterniinato modo,& nO ad libitü intelle&us noftri .. Tum quia ex 7. Met, 41. et 43. definitio dicitur per (c vna, quia vna pars eius cft per feactus, altera per fc potétia, (cd f1 ex noftro capite vna pars dicitur actualis,altera potentialis, et non,quia fic exigitur à parte rei,nulla ef[et pct fe a&us, vcl per fe potentia, fed qualibet ciiet per accidens a&us, vel peg accidens potentia, quia nou ex fc ipfis, fed quoniam (ic à nobiscócipiuntur. TG quia vt arguit D'o&or quol. 1.P.qualis oc do perfe realis effet inter aliqua, (i eflent realiter diftin&ta, talis pcr (e ordo eft in» ter ilia,correlpondens, illi di(tin&ioni » quam habent, puta rationis, fi diflinguae tur ratione; (ed fi genus, et differentia e efsét à parte rei diftincta,neceffarió prior e(let ratio gencris, et vniuerfalior, ratio veró differentiz poflerior, et minus vniücríalis,& hoccx proprijs rationibus fot malibus ipforum ; crgo et fi ratione po« nautur ditlin&a (emper ratio gencris de» bet concipi, vt prior, et communior,non autem ad libitum n:; ftrum ; mai patet,ná ideo conceptus diuinz effentiz concipitur vt prior quam fapientia diuina ( quae per Adueríarios ratione diftinguuntur ) quia vbi ifta realiter diftinguuntur, vt im crcatis,eflentia clt priorjquam fapientia, et quz iiber alia attributalis ratio. Aliter teípond. sfl'umptumyalere de dificientjs conftitutiuis vltimate fpeciae rumynon dc diuibuis communibus. Contrà qualibet differentia hobet, vt fit diuifiua generis, et conftitatiua fpeciei, fi e vluma;l peciei intima, fi non vltima, fpc cici fubalternz,yt (eq.concl. dicem go.quaübe: ncceffario eri minus cómue 215,qUÀ genus, et non poterit nii vni fub alicrno gencri conuenire » non. «n, datur diffcrenua aliqua, qua fit diuifiva genez T Yo 5 m5 fas  Difj.VI.De Predicametisin Comum: . tis, quin ctiam aliquá fpeciem confliruat: hoc .n. eft diuidere genus.f.facere, vt id, cum illo addito vni tantam. 4$ Refp Run.d:fferentiam diuifiuam ü gcnere conflituere propriam fpecienr,cá hoc tamé flat, qnod inadzquate conftiwat illa genera. inferiora., quibus conucfiit, vt fücceffio aduen;ens quantitati adequate conftituit. fpeciem quantitatis fucceffiuz, et quia cft comtait illasinadequacé,ade'juaté tamen cóftitauntur à ditcrenup proprijs vitimis. quaté conftituta per differentiam diuitigam qualis affi ematur quantitas fuccetftitia, vcté fe habct vt quid commune poten tiale ad quantitatem continuam,& difcre tam, per continnitatcem, et diícreuonem diuilibile, et cotrahibilead illas fpecies, Wt ad inferiora; et in hoc fenfu non difpu. tamus, quia effer diccre gencra inferiora habere füpra fe genus, à quo inadaquate conftitauntur, quod efl verum;vel non fe hibet vt genus fuperius, fed potius vt dif fcréria conflituens inadequate ex (c motur, oti eft fpecies quantitaris continua fucccfliae, irauc fjmul cum continuitate diüidat quaritiratem in communi, et cóftituat fimul cum illa viotum, et in hoc fcntu coincidit cum illa opinionn ponen tc differentiom vltimam nom effe vnam fimplicem differentiam, fedex pluibus «ombinatam, quam opinione ipfe 1: uuius «onfütat, X nc sconclaf. feq. nam continuitas hoc modo non pcfftt e(ie ade quate conftitutiua motus, ficx aquo concur. tit (acceffio ad contra&tioncm quantitaLo commani, et conflitutionem moitaut vna finc altera non fuffic:ar. Tàdem principaliter conf.quia ficut in phyficisin fententia ipforum admittentium lures materiasdiuer(z.raticnisinceleibus,&(ublunatibus;nompoteft materia caeleftis intormari forma füblunari mec (fublunaris materia forma aliqua coei proptet ordinem intrinfecam,quem inuicem dicunt, ita quia genus fc ha| Yt rnatcria i| ica, et dificrentia vt forma nictaphytica et vnum geras. "tfe eft alterius rationis ab alteto,nom poterit diuidi, et actuar: per differériam alterius «ris fed quodlibet petit propriam di" tiam,& hzc proprium genus, 46 Dicimus 4. quamlibet fpecic tàtm infimam; quà fubalternam non conftitui in proprio cíTe per plurium differentiatü combinatiónenr, et vríioncm, quarü (in gola alijs (pecicbus finr communes; fed fimul fumpta nonnifi in fpccie,qua con ftituunt, imeniaritur;(ed con(litui detetminata differentia. fimplici, quat ita. fit ptopra illius fpeciei vt non fit alterius, fed cum ipfa adzquetur, et conuertaturz conftitui quoq; determinato, et certo ge nctc proximo, qued vnur crit, non ra; clt Scoti cit, &in 4. d.11.3.3. CC. vbi docet rerum differentías fumpliees ef Íe et in r.d.11.q. 2. C. vulehiominé per esos cp non folum abhis d;ftinui, quz (ub eodem g:ncre proximo có« Lage som, led edaà lapide, licét nonadzquaté,& claré d. 8.q.3.in fine Prima pars dc differentia prob.ex 7. Met.45.vbi do» cent artem conftruenda delinitioms ait tandem dimdendo gencra deucniri ad timas differencias, et indiuifibiles. Tu quia quzlibct ilierum differentiarum:  quibus combinauo 1lla coalefcit, Gom determinata ad banc fpeciem, cumquzlibet ponatür cxcddens,ergo neq ; cómumétz poterunt dici ad hanc. (peciem: minat, Prob. conícq; pcr itlamc nacionem differentiz 1llg nomamittunt proprias entitates, quarum qualiec ponitut indetermina:a, ncc per ibam come binationem aliquid de nouo aduen,t; ni vnio, quz cft ccípe&us quidam non has bens vim determinandi, (icut (i plura gencra difparata (imul vnirenrur; ex il vnione non refültaret aliquod determi». natü, (cd c(fent adhuc plura radeterminata vnita, co quia talia inier ic, ergo in combinatione ditferentiarüm debet affignari. necetlánó aliqua. detcravunata diffcientia, qua conftwaror fpecies, et hzc ecteonuertibilis cum ipfa ; vt eueniti combinatronc gcucris, et ditfzrene tit j €x qua idco determinata 1alurgit fpecies, quia et i genus üt quid commu, et indeterminatua; adeft tamen ip(a differentia determinant qx li non dcfcrimiaret y quontumcanque vniceatuc, fiup quain cefaltarec( pecics . 47 Hirecratio, quam fuse profequitur pa qual . cic. adducitur a $co. q.5 8. Poft. in oppoltü, quarens n. ibi, an quxlibec pars definitionis fit in'plus,(eu communior,quàm d.-fiuitum, pro ncg iciua parte arguit » jud (i non cft aliqua pars concrabliscam definito, non effet aliqua cau(4, cur tota definitio conuertatur. Et fi diceretur, gy ex hoc, gy vnü additur alccri,vnum per alterü dererminatur. Contra arguit, nihil additum alteri determi nat iplum ad aliquid inferius eo, qdód addicur, v. g. fenübile additum corpori nó determinat corpus ad hominem, qui eft inferior fen(ibili, (ed ad animal, quod &óuecnitur cum ipfo ; (ed (i qualibet pars definitionis eft coómunior dcfinito, nulla ipfarum addita potefl deccraiinare dcfi. mitionem ad defiatum ; quod ponitur 1aferius (eu minus cómune. Deinde refol. uendoqueft.renet athicimatiuam partem; quando definitum pcr mulcas differentias circumfcribétes vItimam, nà. «na determinatur ab alia; et affert exemplum de defiaitione reruarij, .(. quàd. ar numcrus impar: primus,' quz definitio conuertitur cü tecnario,& tamen ibet cius pars eft communior üingillati fumpta, vt patet: quare ad replicam ait, verum efe a(lumptum dequalibet patte abíoluie,& ex (e,non tamen vt mutuo, et vicitIim aliam determinat,& àb iila deterainatur,vt patet in exemplo adducto, nam ly impar c(t differentiacommunis ad ternarium, quinatium, &c. ly primus cft ' indifferens ad dualitatem, quz ex alio numero non integratur, et ad tetnarii qui ett primus, quia partes ipfius no funt numeri, (ed ümul (umpta determinátur ad inuicem, nam ly impar decerminat ly Primus; vt ftet pro ternario, non pro bivario,.& lyprimus detecmninat ]y impar adcernaciüm,;non ad quinatium;quarc ex mutuacoatractione fit cotam conucrtibile cum definito,  Haceadem do&trina poteft refpondefi ptobation: Mus qnod ex mutua có-« combinatam, fe tra&tione differentia ille et a nc cun fpco Que IF. Dc diuifionib. évregaliscfotepredic. $45 cic cóuectibiles;quauis (cor(im accep: e in plus c hibeant ; quod potett con aM ni exemplo quantitatis permanentis ctinuz, namha differenti pecmancacia .(. et cóxinuitas ting;llazim 1a plus(c habét;  permanentia.n. potefl conuenire quantitati difcretz, et continuitas quantitati facce (Tiuz, at vt adinuicem determinantur, et combinantut, conacttuntur Cg peremnentiquantitate coatinuà,  Sedaduertendum,quód Scotus ibi dittinguit de differécia, quo. alia fit fe, et eísétialis, alia per accides, et accid talis ; de prima ait, quód eft cü propria fpecie cóuertibilis neceísarib, et probat ex Arift.z. Mer. 41. et 43. vbi ait, quód  fuficit definite pec vIrimam differentiam 'cuta genere, quia vltima jàcludit totam f'ibitantiam defifiti: de 2; concedit poffe fcorlia excedsoe dzfiaitum, fcd couiunGim conuerti ; figaüm. euidens doctrina allatam no c/Te vniuerfaliter veram, et de differentijs ellentialibus; aliter n&àroportcbat diliingacte, et diuer(imode decidefequa (icum, quapropter coacedímus éc nos,quando vltimz ditfetentiz nos latet, ero A accidentia fimul combinata &icumtccibere naturam fpeciei deBaitio.. ne dcfcriptina', non quiddicatiaa; (icut cü volumus fignificare aliquod ind.aiduum inpatticulari, circumfccibimus ipsü per x. accidentia excriníeca, quz timul colle&a ia ipfo tantum reperiuntur, (eoríiq vecó in alijs; at à di(tincte, et propriévellemus ipium fignificare, oporterc attingere. differentiam indinidaalem, qua vna eit, et (implex, non plures; ratio. verà difparitatis cíE;, quia ad definitionem accidentalem de(cripriuam fuff€it, vt partes illa aliquo pa&o vniancur y at in definitione quidditauua, quia hec explicat vnum per fc ; quz ponuntuc in definitione, debent ctiam fc habeFe vt per fc vnita, quod non fix, nili cu vnum (cbabet; vt per. fc actus, alterum, vt per (c potentia, quod nequit reperiri an illis diffcrentijs in vnum combinatis, ergo 1mplicac differentiai conftcu:tuam vmus fpeciei cffe ex pluribus i düinplex ; et d.tecmie  natz eie dcbzr. E Eeedore VU 4   49 Quod EN t wN (x x To E 49 Quod verb illz differétiz nó poffint mutuó fe determinare, probatur,implicat idem refpe&u eiufdem effc fimul genus, et differentiam, namquarationc effet genus, eflct per fe potentia, qua ta» tione e(let differencia, e(fet per (eacus, quarc fimul erit in potétis,& in aóu formali; ergo implicat illas differécias inter fe determinari; Prob.confeq.quia fi continuitas v.g. per fe coar&taret permanentiam,cui aducnit,iam effet iptius differéti2, et a&us, permanentia veró fe habcbit vt potentia; et vt quid efTentialiter dcterminabile, et per coníequens effet gcnus; in hoc .n.cófiftit ratio generis,quod fit quid cótrahibile per aliquam aliam ta tionem effentialem fupcradditam tanquá uid contra&iuum, € actualc . Dcindc 1 continuitas eft effemialiter à permané tia determinabilis,iam ccit genus, et pcrmnanentia erit differentia. Quibus accedic, quod vcl ex ifta combinationc diffctentiacum rce(ultat vna per fe differentia totalis,& adzquata, vel non, fi (ccunad, terca inquirimus ab Arriaga, quomodo alia genera dicütur adaequata, quorü vnü uin poteft We Ud $44 Difp. L.De Predicamentisin Conmi; (pecicicóuenice, et aliainadzs,  quata,quorü duo, vel plura poísüt ad(pe €i€ coftituendà concurrere, an.fiex M v. 4 prianatura (íotadequara, vclinadequa  ta,an veró vnüdicitur inadzquatum ex   concurfu aliorá, reuera tá in (e Meo, J quatü, (i (olü cócurreret. Si hoc alleratur,vana ett ifta diftiXtio ; gp fpecies poffic in duobus generibus imadequatis re. periti,nó veró adz juatis,qua Arift, expli. cat ; dum ncgat diuerforü generü ag (üb« ordinatorü cafídem cíle (pecies faceret n.hunc fensü ; fpecies non poteft eífe fub duobus generibus adzquatis.i. 6 elt cm. (ub vno gcnere, nequit tunc e(fe füb du bus,nà iilud dicicur genus ade quatü,quo« fc (olo conftituit (peciem,quamais poffit cum alio concurrere ; qua eft eidicula 2» expotitio . Si dicatur primum quia illa.» genera poffent (eparari, nam a&us, qui ex motiuo obedientig, et rel;gionis elici tur,poterat ex folo motiuo obed. Cuz fie 2 s 2 V ri,iam cffent diftincta cealitec, et confes Me ergo erunt] quid accidétaliter aggregatü: quenter nonpoílent vnamperfeípeciem vnde ncc vnam per fe (peciem poterunt conftitucrc"; fi primum, preecerquá quod talis eflct (pecics conftituta, vnde nó pof fet poni differentia alterius confticutiua, adhuc tamen ipía poneretur differentia 1s adaequaté conflitatiua illius fpeciei, Ex ifta doctrina impugnatur rcípon(io Ar. riag.ait .n. (peciem non pofle conftitui cx duabus differentijs adzquaris, fed benéex Unete Nam quzrimus ab ipfo foe o iflz differentiz concurrüc adcottitutionem ynius ada quaue diffecétiz, non per aggregationé,quia mon conficcrent vnum per íci, fi per cópofitioné, ià cedit argumenti factü, pro cuius folatione, Ponc. cit, valde laborat,;& tandem ad diuerías recurrit confiderationcs . $o Sccüda emis concluf. eft praccipud cotra Arriag.i& fequitur ex dictis, i. .n. fpecies nó nili ex vnica diffcrentia cóftitui pót propria, et adzquatay& hac dütaxat vni generi pot conuenire; tà qualibet Épccics cx vnico genere proximo, et vni€a differéuia decerminatis)& ceris, ficuc rminatá, et certá habct entitatem,S& non cx noftro capite, erit cOftituta, Pracon(titucre,mfi phyticé per modüadus, | Rm et potenciz facerent compoutioné,quod eft tilíum, Tum quia genera ill, uia fe» cüdum iplum habé: proprias differen:ias, quibus contrahuntur, conttituent pro» pr.as fpecies inadzquatas, et tic pocius actus illa effet in duabus. fpeci inadzquaus, quam in vna (pecie ; quz (ub duobus inade juatis generibus cóciicatur, Ex his patet fenius fecunda regula an» tepra dicam.nam fi cft (crmo de d.ffcren tjs cft itutiurs (aperiorum generum, lic p«r gencra non fübalterna ncceffario intelligit Aritl. genera, quz nec fub aliquo communi tecuo conunentur, fed in diueríis funt praedicamentis, et per (übaltérna,qua: vel ad (c inuicem, vel (ub tertio (ubord nantur. Si veró erit (crmo de differentijs diuifiais& maxime de diuili uis generis proximi, tunc per (aübalteraa debcat intelligi, qua ad (ciuuicem (ubor« dinatur pcr non fübakerna etiam » qux fub cominuni teriio continentur, cuius diuifiuz diff-rcatig non potlunc illis ge» neribus cífe conmunes; et reuera hic videtur [ P TOURAN RM 00000 CMM MP PRDPRREPEEE X tuns diuerfoe funt fpecies, differéris E n non d e diuerfis  etidug tur przdicamentis, non poflünt haberc Ípecies communes;(ed neq;illa fub communi tertio contenta cx dictis in his cócl. . $oluuntur rationes in oppo[itum . $1 Ontra cóclaf. vrgetur, quod eedé m fpecies poffint eife in diuerfis pre dic. et coníequenter etiam ezdem diíferentiz ; nam corpus e(t in gencre (ubftantiz, et quaniitaris ; igura cftin gcnere quantitatis, nam per fe con(ideratur à geometra » qui folas quantitates coníiderat, et eít eciá in predicam. qua lit. doplum, et dimidium fünt quantitates, et relatiua, ende (imul. ponuntur ab E Ariftotelicus f'enfus;pracipué fi leActilt.ia vcroq: predicam. fic fimile, &. diffimile fant relatiua,& qualitates, mo tusex H Phyf.cft in tribus pradicamétis. Relp.5co.q. 10. prz dicam.neg.afiumptüm, nam corpus inratione corporis z-u'uocé dicitur de corpore füb(tantie, et quantitatis, illad namq; eft (abttantia capax fuapié nitufa tring dimenfionis:, hoc vet eft iplumet cina dimenfio «. Fi gura poteft accipivel pro fuperficie figufata, et terminata, et fic ett quantitas, Vel pro ipfa fizuratione, et terminato nc, et fic eft qualitas, vcl faltimhabet inodum qualitatis, vc üoloco dicemus. Duplum, et dimidium, zquale, et inzqualc formaliter fumi. fj mpliciter rclatiuajfolum fundamentaliter in genere quan titatis,quatenusiptorum fundamentum eft quanttas;pariter (imile,& diffimile, quorum fundamentum eft qualitas . De motu autem diximus difp. 15. Phy, quod non e(t dire&é in predicamento,fed redu&tiut in przdicamento (ai cermini ; cü non fit re(pectus (impliciter realis .  .$2 Secüdo cótra alias concluf. arguitur authoritatibus Arift. nam 2. Pott.c, dd definiuonibus poni debere plures differétias, quarum qualibet excedat dcfinitum;fed (imul (umptz cum illo coucrtanturs& adducit exemplum de ;d« fipitione ternarij, quod fit numerus impar primus ; qua reguli vfus e Porph. c. de dif£. et c.de commit. gcn, et diff, dum 4X MA " Qual IV. De dinfnil. cpoigalie/fitpralie 345 definienslhominemdixit e(Te animal c1tionale mortale,quz daz: differenti mul fumptz conuerruntur cum homine » (coríim vero excedunt ; Tumquia 2. d part. Ani.non admittit cot diffecencias vltimas,quot fpecies infimas; Tam 3. quia 1. Top.c7.&6. Top. c.3. docct diffzrcntiam,que definitionem ingreditur fj ciei,in plus (e habere, quam (pecies . fà 4. quia 6. Top.lec.«1.& 4. Top.locart. -ait genera (ub communi tertio.contenta non effe inconucniens habcrc communes (pecics, et differentias ; qua rationc quamuis animal diuidi (oleat pec rationa« le, et irtationale atramen 7. Mct. 43. ip» fum diuifit in habens, et nou habzns pedes;& hic c.4. in greffibile,aquarile, Sc volatile,tignuw euidens diffzrencias non neceífarió conuenire certo geacri, fed ad libitum fccundum noftram concipicn di modum, modó vni;modó alteri applicati potl'e;quapropter non implicabit cá dem differentiam effe communem | pluribus generibus,& candem fpeciem fub pluri bus generibus contineri. Refp.cx Sco.q.58. Poft. documentum Ari(t.obíeraandum,cum vltimz d:ffcrea tiz nos latent, quz circumícribi debenc per plurcsaccidentales, vt diximus in.» probat.concl.& quia Porph. putauit da« ri animalia rationalia immortalia, idcirco defin:uit homincm per morale, vt fic circumfcribens vIrimam ditferéuiam hominis ipfi 12notam. Ad z. ibi. Arift, pec differentias vltimas intellexit accidentales,quibus vuimur loco effentialium,quae veré excedunt, non etfenciales, de quibus loquimur. Ad 3. ibiloquicur Mibintentijs. med:js,aon de proprijs, et adzquatis (pecicbus Ad 4 intelligi debere illa loca non de diffetentijs edcntial bus, fed accidentalibus, quoeníu cadem fpecies poterit cíle fub diuerfis generibus, in vno €ficntialiccr, in alie denomipatiué, et ace cidentalier, vt mox dicemus. Teruo ad idé arguicuc multis exéplis;Corpus.n. dniditur in viuens, et non viuens, et tamenvjuensreperiturinArtegelis;Qrutascontinuadividiturinpetmancnicm,&focceffiuam,quedifferenUgrepcriüturinquanutare StmHAus&$346..Difj.L. DePradicámeptis in(ommwi.bitusdiuiditur pernaturalem,&Küperna.turalem, perntelle&ualem, &moralem, &c.quedíffetenuzconuen'unt.et:ama&busintellectus, Potentiacogno(citiUadiuidituriocorporalem,firituale, ug dif(ccentia competunt etiam potenUr appetitiuz. Bipes eft differentia volalis, et greffibilis. Incorruptibilitas «onueni: (ub (Lantiz corporcz.f.celefti, et incorporez .. Pra&icum, et fpeculatinum funt diffecentiz (cientie in communi, et eidcm a&ui (cientifico poffunt conuenire .. Prudentia eft (ub genere habitws,& (ub genere virtutis moralis. Idé actus moralis, (i fiat ex dupl:ci motiuo duarum virtutum, vt charitatis, et obedientiz, cx equo mouentibus voluntate erit (imul in illis gener.bus. virtutum cffentialiter ;non.n. effet maior ratio, cur wna (pecics fit illi a&ui effentialis,& non alia. Przdicariin quid  et in quale (unt differente diuidentes pradicabile in cómunis& vtraq; conuenit ditlerentiz cer&i0 prz'dicabili,quz in quale quid przdicatur; Propofitio affirmatiua diuiditur án veram,& falíam, qua differentiz propofitioni negatiug quoq; competunt j et ' multa alia pofícnt exempla adduci. Nea: dicas (ait Auería) cum differentia ma-; 85 patet, quam genus, yel fpecies non debere na intora latitudinc (ed in fenfu magisaccomodaro, et determinato . làm vcl. ifta . minario prouenit cx nfort:io generis, et habetur incencum, Lin fe (pectatam diffetent.á eile ad plura Erosr eO orti ex Aqua raione incláfa ia conceptu talis d;tfcrétig, Bebe efcHilanyais detenta ia ; Vsg. viüens, vg: copas pur cii poo jus Y corporc. p-differentiá emper refcingei $4 .re genus, et monitum eft in metaphy fi€a dicerc gerius etiam reftringerc diffcrentiamyquanquam id|coacedat Auería ; quare cum Ai gira: addita generi vide tur cx vi nominis plus extendi,non debet . fumiin tota amplitadine, vt nomé fonat, . fcd (ub ratione magi propria, et determinata; licét indigcamus oominibus (zEun determinationem exprimenti5j. tationale diuidit animal,& (cicn tiams& attamen virobiq;(amitur difforz miterz al.ud exemplum addacit Arift, 12.   Top. c.13. nam acutum conuenit quaus   | tita: q'ita darur angulus acuus, Xquas  litati, f£. voci acurz . nontaneneft eas   demdifirenta. Necofliciquodvox,  et ansu'us finc diuetforum pradicamens  toram,ficuraaimal&(cienta,namprzs cipue in (ententia Aucríz vnum ptzdie  caméntu.n poneatis, hzc generare vera.   fe habebunt vc duo (ub communi tertio.  contenta, Noncrgocílcadcm differeas  | tiahic, et ibi, quamuiscodennomiüe.  appellata,vel ti eft cade m,non erit. e(fca"PEE tialis;(cd accidentalis: »cr quod poifet ad omnia illa exempla refpon cad impugnationem dicimus nunquam differen . tiamà genere detecminati, fedex (c des. terminatam effe, quia ralis eft natura dif feceatiz, vnde negamus, yt à genere prae«fcindit in plus fe habere tuac.  p concipitur, non et di renda is ge.!iLaneri$,(edconceptusalteriusshinc prelbag  ad (ingula exempla re(pondere. bf "D $$ Cücorpus diuid:tur in viuegs, et E non viuens, ly viaens non deben id. MN tora (uaamplitudine,fecundum quam ét  conuenit Angelis, (c4 fumi debi p. DUM. animato, quo (en(üunonexceditcorpus;  fed illad retkcingit.Qisanutas có d nua j i €um diuiditur in perinanentem, et fuc. E ccífiuam, item et di(cceta » pecia,  et fuccetliuum vtrobique non eodé mo: do (umuntur, licét idem nomen id (igni3 ficare videatur quicquid reclamer. AuerZ2 faiprzterquam quod hzc-eft diutfio acz cidentalis,aar vt (uo loco dice;nus, fpe: ' cies quantitatis [anctancun tres,liaca, fa »! perficies.& corpus . Habituum differen2 : tig a(figaatz quz (unt accidcatales,con. ccdímus actibus conuenire, non tainea eentiales qua diuerfx fuot in adtibus, a et hibitibus; quod przcipaé imnotefcit ; quód alio modo inteliectualitas ; velía4 pernaturalitas explicatur in a&,. et in E bhabitu,nam cum ex noltra igaorantia pe netrarc ne(ciamus. vltimus, et proprias rerum diffe rentías, fz»e adiing inus generibus quaídam difiecentias! cominuniotes, quas poltea per aliquid. aliud icfringimus j fic rauonileimportare vis | "Ww v TOTEM detur : liquod comaune Anzclis, et ho. mmimbus, circumfcribit ramen nobis aliquid homini peculiare, per quod ab Ange diftingaitur,vt docet Scor.2.d. r.q. Idem de differents potentiz dicendum. Bipes cft accideni. Es differentia : Tncorruptibilitas celi eft diuerfz. rationis ab inco:rujxibilitate Angeli; ficut radix elt diuerfa in ccelo, et in Angelo . Pra&ticum,& fpeculariuum numuá. pof ." funt eidem actui conuenire, vcHabitui., «t fuo locooftendea:us. In prudentia ra»' .Homoralitatis e(t accidentalis, cum di. eat denominarioncin extrinfecam ex ordine ad voluntatem prouenientem, vel fi dicit rai enem pracbci, quia prudentia €ft regula dircétiua operationem voluntatis,iic eft iph eífentialis, et habi:us intelicétitüs cft gradus genericus fobfe 5 contínens tamquam fuba'ternas. fpecies hibitus practicos;& fpeculatiuos . Actus ex duplici motio el'citus porius etfec in dujlici (pecie inima, quàm fub dupii. €i gcnere; idco dicimns, ft mouua funt fübordinata, ete invna fpecie centia liter,in alia accidéialiter, ti ex aquo mouerentyn genere phyfico edet in vi rer tia pecie mnominatayquia à mot iuis folum exttinfecé fpecificatur actus ;' non ' intrinfece ideo non fequeretur duss diffcrentias fpecificas imul. vnam fpeciem con!Lituere jm gebcere monis, vel ide. di. cendum vel quó-l nonimpicat, quia ràtio moralitaus eft extrinfeca. denomina tio ina&u, non quidefientiale. Fradtcari in quid, ecà praedicari in quale difüinguitur,non tignificat pradicari císentaliter, quomodo diffcrentiz dicitur conucoire;vt difp. praced. diximus. Tàdem veritas,& faliitas; vc! non funt císen tialia przdicata propofiioms,vel ri funt eifentialia,veritas timé, et falfitas viriuf que erunt alterius, et alterius rationis « e 48 Quarto cx codé Aucría,quód mon neceflarió differentia detetmimatum ge: V nip rep " s ex Aritt.2. Met. 43. voi 5 icatis c(sentialibus. CA aie est T fub: fiantia yquo namque modo imtelligere eportet poc quidem prius tllud vero poerint Tum 2«folet genus hominis a[-& «4 " Quaft-IV. "De diuifionib. eo regulise-Antepradi.   $47 figmari anirfial ;, ditferentia raitomale ; at zqué bene potuit affi gnart fubftantia in» tellc&tualis, quod cft ipfi commune cum Angelis, et deinde ditfcrentia poteft a(z figaari vel corpoream, vel mortale, vel ditcarfiuum, Infüper corpus animatum ponitur genus amimalis,feu viuens,in qua conuen;t cum plantis, et diftert ab Angelis,st aqué bene poceft affignari viueng cognoícitiuumyin quo conuenit cum Angelis& differt a plaris,& ditfzrentia erit effe (enfitiuum, vcl corporeum, fübttantia modó diuiditur. immediaté pet «ors poream, et incorpoream, et (ubttantia : corporea eft genus, juod diuidituc in vi« uens, et non viucos; voi viuens fe. habet vt differentia, fed pariformiter diuidi po teft prius in viuentem, et non viuentem y ac po(tea viucns in corporcam, et in in« corporeá,vbi vines eft genus, císe corporeum eft differétis,ergo nó plus vna ratia e(t ex natura rei prioryquam alia, et cum uodlibet icc s diuidi pluribus mo dis immediate T ibusctiam modis 2e« nus,ditferent'a defjgnar: poterunt, et codem fcre difcurfu vtitur Ponc.cic. Refp. ad t. exSco-4.d. 114. 3. C C. 'ex hoc loco mon colligi, quod non fit per fc ordo n icarís e(lentialibus, nam immediaté ante voluit ; gj fi. eft nagatio addendo in definitione priorem di tiampofteriori, q» pari róne erit nugatio é conuerfo addendo poltertorem priori s puta fiue dicatur homo eft anim rónale (cnfibile,vcl sétibile rationale, fempep committitut nugatio,non . n. fubiungit s cft talisordo in lübftantijs,.i.in his, quae percinenr ad rationem alicuius definiti uam; alius; vel alius ordo tollat, vel fa« ciat nugationem;ncgat igitur ordin non in predicatis inter ie, fed te[pe&tu nugae tionis inferenáz, vel tollenda. Ad 2. zu bene a(I gnari genus hominis füb flantiam intellectualem, et differenriam. elle corporeum, vcl mortale, quia de ratione differentiae cftminuspaterc,quàmgenus,cumfitcoatractiua; fiigitur€or.porcum,vclmortale ponetditierétia,tuncróne diffcrentiaecumplucibuss«df alumnoncum paucioribusconueniarct, quamrationegenerissnamiperenut EwÉ MEELLEL. $48£onueniretfolumcum Angels,perdiffer Cnt;amcüomtiicreatura corporea:difcurfinum veró alfignari nó poteft, quiaAngelus etiam eft. difcurfiuus in fententia Scoti, et cadem ratione non bene aífignarctur vinés cognitiuum genus. proximum animalis,corporcum veró, aut mortale differentia; Neq; fubftantia poteít prius in viueotem, et non viuentem diuidi, quia ficut in Angelo prius cft effe fpiritum,quàm viuentem, et viuenté,qui intelle&iuum, quia Ipiritualitas eft radix vitz intellectualis ; et in his infcriotibus prius cít effe cerpus;quam tale corgpus.(tim plex,vel mixtum, aut animatü 5 ita immediatiusd uiditur fübftantia per corpoream, et incorporea; quàm per vinentem,& non viuentem, et vniucrlali1er loquendo ctfi concedamus hac .& 6milia exemplayquz pro fe adducit Aucrfa; non tamen obiíta negobimus cfle ordinem naturalem inrer. prz dicata cífenaialia,ícd dicemus hàc ipsom con. tingere, quia ifle ordo nos latet am ad idc vna, et eadé fpecies potcft cilentialiter conuenire, vel in vna, wclinaliazatione cum varijs fpecicbus, et ctiam varijs rationibus ib eifdem dif. ferre,crgo inxta has varias cóuenientias, et diftin&ioncs poterunt varia pra dicata cíientialia progencribus, et diffcrenatijs fingularum fpecierum conttitai, Tá z.per cundem gradum corporci. v.g. d:£ fctt homo ab Angelis, et conuenit cum «mni creatura corporca, ergo ide gradps apetta dinetforum crit genericus, et differ ga rci di ffcrentialis, ergo non crunt ex natufa rci diftincti, et determinati. Tum 3.1nacllectiuum ip bia dicitur de bominc, Angelo, ergo poteft poni gcnus AIST-VT.ATI -ÉBatienem eoridem m particulari, Q7 primo Difp. V I: De Predicamentis in Communi tia intelle&ualis continetur immediatd fub corporc ; et (ub fpiritu, et (ic cadem differentia ad plura genera fpc&tabir; aut non continetur, et (ic quia eft communis: homini,& Angelo,poterit diuidi per cor poream, et incorporcam, quz | tig nunc ponumtur diuidere fübitantiá in communi, ergo nullus determinatus. ordo reperitur inter pdicata quiddiratiua . $8 Refj.ad 1. coccd.totü,fed hincnon fequituc poffe indifferenter. ex hac, vel illa ratione genus, et differentiam (umi y. nullo ordine feruato,imó (icut ex ratione   cóueniendi vt tic (unitur tatio geaeris y et e LE diftinguendi vt fic rG diffe reiiz, ita ex rationc coueniendi vniuere falioti,feu cà pluribus (üumitar genus ma gjs remotumyex ratione conueniendi mis nus vniuer(ali fumitur genüs minustemo tum; et fimiliter ex rauone minus dili &iua,(cu qua alijs conuenit à conflituto, Íumitur differentia magis remota, et ex magis diftinztiua, et paucioribus conucuiente diffcrenria magis propria. Ad 1. concedimus ctiam geous dilinguere   conftitutum ab his,quz nó (unt (übcod&gencre»fed negamus ob id dici poffe diffe rétià, quia hec dutinguitur illud ab his, süt (abeodé gencre» Ad 3. conceptus illc Có:s nó effet proprié genericusyquia non correfpóleret à quse re; rcalitas generi cayquia hzc nó eflet diuitibilis per e rcà, et fpiritual&, cum bz differenug fint priorcs ex propria natura, nam incorpo« Ycüá, feu fpirius cft radix. intellc&ualitae tis, quare i(ta nata cft aduenire fpiritui nó é contra; et intcllcétuale cóueniés homi. ni; et cü corporco cópoffibile nó citintel Icétuale in cói fcd corpori proportionatü, et illios informatiuum, quod Angelo non competit. Pcr hoc patet ad vitimuwn. O SEPTIMA: Dc "Predicamentis im particulari, cov primo de abfolutis.o abjolnta [S Tralietione "'Pradicaneniorum in Communi gradum. facimus ad tra« €onfideranda,quia bat ex naturarei praecedunt fL raises rc[petina5vt potà,qu& fundantur, rm ipfis, identitas m : De bis aem Pradicamenis abfolue   qantitate, Pm itinde in gualitatesvt i    nbflantia, «qualitas im z COTURCOUPUERIm o (DM (oOCSCUOHERBAQR-GesgU  c JGBTEEUN uo T €M Rw-€  Quafl.I. Be generalis.Predicars.[ubfl.,dét.T.   $49 tis ea folum ip m qua nece[Jaria [unt ad eorum coordinationem conteteas dam, in boc .n. en[u ad Logicum pertinent ves.n. ipfe e fiet C e vt d tali ordine prtcifa, [petant ad alias facultates,vnd3 de. fabfkantia, C accidente, »t fic, agitur in Metapb. de quantitate agitur in Pby[ic. trai. de Conttnuo ad 6. phyf. de QV£5STIO I Dbesubflantia. | 1 Vre premittit Arift.defcedens ad predicamenta in pac ticulari fabftantiam cereris accidentium predicamcetis, cü ipfa fit fundamétü,& caufa omniüacvidet ü, eaq ;pcedat tépore;natura,& co gnitone ex 7. Met.cap.1.co tf modo;quo expltcat Doct.2.d. 3.9.4.füb B. Nos igitur quoq: ceadé de cauli ab ipfa exordicfnor,vbi notádü hic fübftáuá nó (umi in illa amplitudine;per q excéditur ad (igni ficádà natara,& effentia cuiufcunq;enris, quia lic etidaccidentibus conucnit,. (ed prout ab accidéte condiftinguitur et cü €o adquaté diuidit ens reale, in hoc igitur figni ficato inftituituc queftio de fub. flantia, quamtibus atticulis ab(oluemus. ATYWTICVyDpws tL De generalifimo buius pradicam. ac £ius fpeciebus. 2 (C Vbfttátia,vt lic de ca loquimmr;pót fumi trifariam,commaailfimé, cómunitcr,& (trice; primo modo lübftan. tía dicitur omnc illud ens, qd ett. pcc fe, fiué per fe exittic; et non mn alio pec inhz rentiam, fiué a&ualiter, fiuéaptitudinaliter;fiué talem effendi modü à (e habet, fiué ab alio; et in hoc fen(u cóprchendic De fubftàtias crcaras,t& fimplices, quá cotmipofitas,& pattes eat ; tameííentiales,Q integrales; vt Scot.docet q. 1 5. Przdicam.& 1.d. 8.q.3: l'cét.n. forma fit in materia, et pars intcgralis in toto, nullum tamé horü eft in alio, ráquà accidés in íubiecto; quia inbarere conuenit anui lli, quod nó e(t per fc actüs,ncc facit vn per f: cum (ubiecto,cui infidet,vt Doétor no rat qtiol. 3:$.& quol.9. A. et hoc modo f'abítantia nc jici à (ublando, quia Deus in hoc . eft (ubltanua, et tame fpeciebus qualitatis egitur in lib. de /gmim. ci. de'wen. nulli rei fubeft, nalla accidemtia fufcipit, fed dicitut (ubftantia à lubtiftédo.i.à pec fc ftando,'& non in alio ad modam accidentis, et licéc ifta per(citas efl'endiexplicaci foleat per negacionem effendi in alio ad inflar accidcacis, noneft,quia for maliter in tali ncgatione contiltat, vceft communis omniü (cn(us cotitra Soncim. $ Met.q.r4itum quia ratio pet fe cxittédi, vt conftitaic (übftantiam, et eamabaccidentedí(tinguit,cftratiopotitiuzs,ficutfübfantia, vtficeftentitaspofitit3,vtaitDo&torcit.quol.3.tàiquiavai» uerfalitecnullumensrealepoficiuutspotCltin(uàcilentiaconftitu lperfolammegationemi:tumtádeinquis;vtdocetDoQtor2,d.5.9.2&. Coniraifia,nilulfimepliciterrepugnatal; cuientiperfolamne gationeergoinhzrcotianonpotettfübftantiz repugnare per folam negationem inhztentiz inip(r cepertam, fed potius per aliquod pofitiuum, inquo fandacuc talisnegatio, ficut ncgatio hinnibilitatis in homine fundator in rationalitate ; igitur petfeiras fubftantia explicatur pef ncgationem inharentiefolum;vcluci pét quid cócomitans,qua de cauía cam. enu merauit Arift. inter (übftantiz propries tates,dicés efle commnne omn: fubitauüz in fubie&o nó effc ; et fubftantia hoc prímo modo fumpta fimul cumaccideace membra funt entis tranfcendenter s üptia 3j Subitàtia (ccundo modo fumpta .(C communiter, cft quodcunr, ens parte! rfi fej& pec fc exiftens, et noninalio modü accidcnus,nó ran € à fcyfed ab alio. et in hoc icniu tubftanua fimul c. accidéte diuidit ens finitüy lmitatüs& come prehendit ompé tubftantiá creará, tà cópletam, 4 incoiplcia, cam fimplices ; q. cpmpolütas,á parces cac, tàm C lcs, inicgcales, vt notac Scot. cit. qa 9. A. et lübflantia in hoc fepfuyeon [a] a [übi.ficndo [ubíitátia aiciuui jverim etia à fabítando, quia cis (ubllantia iae 4  institu adi $56 fübfl are potcft alicui accidenti, vr docet Scot. cit. 1. d.8. q. 5. F. má ramen vt fola ratio fubfificndi y vel pcr fe exitlend: dit eticntialis,& primara,ratio veró fubflandi (ccondzria, et concomitans, quia fubijci acc'dcnibus non clt prin:, quod inucnitur in (obfiantia, prius .n. efl r€ ia fe clle. quàm alijs (ibefie, et non idco fubftantia pet fcexiftit,& conüftit quia accidcnübus fubefl, (ed é contra ; qua. dc caufa merito. Arift. rationem fubftandi inter affc&ones fubflantiz connumerauitycam dixit effe fufcepibilem contrariotum,quod cft poffe fubflare accidentibus,intcr qua contrarietas exercitur. . 4 Tertio tádem modo fubftantia dicitüuromnc ens infe, et per fc exiftens (li«ét mon à (c) prout per fe e(fe excludit non folum inhzrere, et inalio effe per modum accidentis, verumetiam vt exclu dit cflc in alio, vt pars in toto, vcl in alia cóparte per modum informátis, vt Scor. notat quol.4. M.& in hocfen(u comprehendit (olum fubfiátias creatas copletas, 1àm fimplices,q compofitas excludendo mo earum;tà e(lentiales, quà intcgra$, inquo fen(ü (obQátia diuidit ens finitum deícendens in decem praedicamenta, et dicitur ubflantia tàm à (ubfiftendo,q à (ubfládo potiori quodam modo, quam fubftantia communiter di&a, quia fubftamia cópleta magis dicitur per fe fub. fifterc,g incompleta, quatenus excellentiori modo in fe, et per (e exitlit, q. illa, et magis etiam dicitur (ubftare,quá illa, ia proprium fübicétum accidentia eft ftantía completa, vt dicimus in I hyf. juxta hanc triplicem (ubflátiz acceptionem epe folet effe opinio de genere, » generali(Iimo huius przdicamenti, f Prima opinie cóítituit genus fupremum huius przdicamenti fi ià communiffimé fumptàá,vt in eo é Deü ipfum reponant, ità Naim omnes Greg. 1.d.8. q.3 "Gabricl ibi, et Rubion. q. 1. art, t. et art. 3. Maior d. 8.9.2. Marfil. r. 12,art. 2. Baccon.d.8.art.2.& 3. Bonet. lib.1. Theol.Nat.cap. 1. et lib. 2. cap. 1. 2.& 3. quibuscx parte fauent ex Tunioribus Auer(a q. 17. (c&. 3. Hart. i. Met. "Difp. VH. De Ptedicaritu:s in partic, quam n £5: caotar Au&oresifti, De&. inpre dicimcento non conuneri,vt de fa€&o cit 1n v/»; aiunt tame». polle contliiii in prz ticamenro fübitantiz, (i fub. ftantia ità amp!é tumatur, vc omnéfubftàrià compleétatur crea:3, et increatam pizcifis imperfectionibus quz modo adinueniuntur in przdic»mento fubftanGg . Add r Hurr.g» i1 cófticai nequit pras dicamcotim tubttantiz,(ub quoc creae turis cont/nearur Deus, omninó tamen potíc, ac debere conftitui przdicamentü fubftanriz incceatz diftin&tü à predicaméto creauge,nà &r Deus habet ferié pdi; catorü ordine collocatorí, eft.n ens. fab» ftantiale, có; lecü fpirituale eterni, &c. Sccüda (cotentia genusfapremam huius predicamenti conftituit (übftantiam communiter fumptam, vt in icamen . to recludat ctiam partes (ubftàniales, fi« ue cffentiales, et phyficas, vt fant mates ria, et forma;fiuc int » Vt caput 5 manus, et pedes ; itaden(iffe videatur ex Grzcis quamplarcs Ammonius,Simpli« cius, Boctius,& alij, quietiam differene tias (ubftantiales per fc sn hoc pni mento, ac dircété pofuerür, pro qua fent. citantur etiam Holc. 1.4.6; Venet. 4s fuz Mct.& Zimar.:n Theor.     Tertia tandem, et communis fent.cone flituit füpremum genus huius przedicamenti fübftantiam tertio modo fumptà .l.creatam,& finitá,vt exc Deus, et completam, vt excludátor entia inco pleta, quz reductiué (olum ad przdicamentum fpectant; Verum eít non dcfuiffe, qui generali(fimum huius przdicam. adhuc magisr cftcinxcrünt afferentes (o« lam ubftátiamcorporcam effc íummum genus, vt Angelos excluderent ab hoc pradicam.vt Plotinus Engad.6. li. 1, c. 2. A lberr.trac. t. przdicam. c. 7. 4&gid. ibie dcm, et quol.1 q.8.& (eg.Honorat. hic. Imó quidam hoc fupremum .adhuc magis coar&tarunt ad (übndnciam corpoream corruptibilem, «t'Coelos ex« cladetent, et tribuitur Auerr.Nypho, Gandauenf;& alijs quibufdam. E 6 Huius «olutio pédet ex di&is e sire 2, att. I« vbi affignauimus conditiones entium in przdicamento 1e« poniQueft. I. De geni ali[si"Predicam.fubfl.cfs.T.  gx ibilium: &«quàmuis Arriag. cenfeat € e(ic meram qónem de nomme, nam iuxta variam acceprioné generis, et przdicimeni poteft Deus includi in przdicanto, vel excludi, vndc per hoc explicat Auctocitates. Patrum excludenci um Dcüà pradicumétostamé nó cit ita, nifi veliarus abut nominibs,, et ea exnoftro Capite con&ingere, hinc cíly'qy K ecentiofes,(ed prelectim A'riag.omnesferé queftiones reducüt ad litem de nomine; quta nimirum nolun: vocabulis vt: fccundum vulgarem acceptionem;cti ramé Arift. in Top. et Scotus 4.4.1 1, docuerint vtédum cffe nominibus fecundum commurem víum loquentium ; concecdemus et ros Dcum efTc in genere, fi hoc ita accipiatur, vt nullam dicat imperfe&ionem, fed hic labor, hoc opus cíl, nifi .n« abutt velimus nomine generis, vidcbimas geflus etiam cx vi ipfius nominis impcrfeétiónem importare ; ftando igitur com-fnuni loquentium víui de genere, et de etie in pr&dicamento, ctiam fapicntium y et Philefophoru m.s « 7 Dicimus t. fübftantíam cómuniffi mé («emptam, vt .(«. comprchendit creatam,X increatam, nec poffe, nzc debere poni gencraliilimum haus prz dicamenti,quia Deus nullo modo pont poteft in hoc pr&dicamento . Conclu(io eft reccptifftma in vtrag; Schzla Thomiftaram, et Scot;ltarum, quam expreís cradiderunt SS. Pattcs, quorum teftimonia affct Didac. difput.12.q. 2. nobis fufficiat Aaguft. rettimonium pro mille,'gr refert Dottor 1.d.8.9.3.8. Teneo opinimeam $ncdiam ex 7.de 1 iin.c. $. vbi diferte docet Deü non cde fübftantiam huius przdicaménti. Re(p« Arnag.cü alijs ibi Auguft. accipere (übftamiam pro ea, quz Saphisinbus fubttat,quo fcnfu veri cft tiec eile lubttantiam,fec in przdicamento füb(tantiz. Vk taterur Doét.in boc fen(a Aug. ibi'accipcre (abftamam, (ed €x hoc;ait;colligi in nullo [cnfu poffe poBi wibfübllanua,vt genus cít, quia vt e(t pu ME limitata, vt ftatim probxur, omnisautem tubttamia limitata capax cft accidentisycrgo ft Deus efte in geacue (abftauizy pollet accidéu fubftare, n hunc modum ait Do&or tenere tarionem Aagift. Probat autem ibi cócl. Scot. ex triplici capite ex süma. Dei (implicitace, ex infinitate;& ex necef(Titatc . Ex timplicicate diuina lic arguit j quia fi Dcusetfet (ub gcaere, vuque cx illo confücueretur per additionem differentiz ;atque ita effet mctaphylicé compaitus, gy o5 ftat (fumma iimplicitati «Nec valet (olutio Vaf. 1. p. dilp. 22. vbi etfi nobi(cum concl.teneat, inquit ta men hác rationem non valere, quia cam compo(itio c; genere,& differentia fit rationis y noa deítcux Dei irmpiiciraté. Non valet; tum qaiacum gcnus, et differentia dicant diuerías realitates, affereat veram. compofitionem metaphyücam, vt probauimus difj. $.93.art.z. tum quia ei G. eg non diftinguamas ex natura tei ane opus imelle&tus, vamenvt Ruuius aduertit y hzc cóceptuam diuerfitas,ne fic fictitia s debet habere fondamentü in aliqua compolitione, fiué ex materia, et forma, fiud €x a& ;,& potéia,ná ni ti inre (it aliquid fc haoens,vt potentia ; et aliquid (c labens,vt a&us;abíq, nto ibi conciperetur genus,& differentiayergo etiam &i compoirio ex geaere,& diffeccucia im mediaté coaipioticioné ex natura rei non affzrret, et fornaliter "illam tamen inferc. radicaliter quta illam (apponic, Nec etiz valet íolu:io Hartad. a(figrari potle differentiam infinitam,quz contrahat con, ceptum communem Deo; et creacurz, et qp de fa&o perfona diuina in. comuni. ità contrahitur ad tres períonas diuinas . Nó valet, nam tàm conceptui geacris, quàm diff-rétiz repugnat in&mtas, cum de fua racione habcant. ratioaem partis, quod infinito repugnat, vt mox dicemus, de conceptu autem pceríonz communi ad trcs diuinas perfonas fatis diximus f.quzit.z.art.i.infol.ad 1.   9 8 Ex ratioue infinitas fic arguit; reg litas generis (emper ett potentialisad rca litatem uid euis reciri nequ;t in yin quo qozlibet rea Los ctt i sisienat realitas infioitay quá tumcurr];pracise (umatur nequit. effe 1a potentia ad aliam rcalitacm,cum mfiniÍubtüiitscui nibil entuatis dceít, co modo » quo $ft Quo poffibile eft illud haberi in aliquo -yno, vt Do&er explicst quol. $. B. Nec valct comunis Nominalium folutio Dcü efie in genere füblatis impcrfc&:omibus, finitatc f. ex limitationes vndé ait Augrfa,admitti poffe Dcum cffe in genere Ta16 (umpto, et (ubftantiam communiffimé fumpram poffe appellari genus, ficut et cns communiffiiné fümprum, fumendo népé genus proomni przedicato,quod non folo nomine;fzd etiam ratione figaificata dicitur in quid de pluribus, et non cft (pcciesquod vocat genus tranfecadé&ale q.16.Íe Gt. 2. At iam di(p. $.q. 1. att. 2. prope finem oftendiimus contra. Arriag. ens non elTe genus,& cadem ratione ncgamus hic poffe dici genus fübflantiá cosnuni (fime fumptam, niti vocabulo gc"mcrisabuti velimus, et in tàm fufa fignificationc accipcre,vt idem fit, quod prdicatum vniuocum, nà in hocíenf(u vtiq, non inficiabimur Dci e(fc(ub genere ; fed fi dc genere loqui velimus, vt fapientes locuti funt, certe implicat in ad:ecto «dati genus tranícendenrale,quia cum gemusíuayte natura importet conceptü po sentialem, et per modum partis, femper 4e (c quid initum eft, et limitatum,tranfccnácns veró «um dicat COnceptum inalifferentem ad finitum,& infinità,viriq; prafcindit à limitaiionc, non ergo fübfta ia communifTiine fümpta poterit appcle lari geous, cum fit tranfcendens, et im| exo dicere Deum eífe in genere fubisimperfectiomibus. Cont, concedaanos fübftantiam fic faimptam e(Te genus, tunc velad Dcum contrahitur per differentiá finitam,vel infiaitam,nó primum, 'vt patccincg; (ecundum;quia cum fübflan aia vt fic, fit perfectio fimpliciter, ià crig ambibita in ipía diffcrétia ratione (uz infinitatis, alioquin infinita non cflet, com €i aliqua perfe&io dee(Tcr; quod ft in ipfa includitot, ergo non eric genus, neq; t ipfam contrahetur,quia genus manet empcr à differenujs exclafüm, 9 Ex nccelfitate Dci tádem idipsü co Vincit, quia nulium gcnus eft neceif'e. efdescxum omnc taletit in vltima. a&ualitaLn vero formaliter fit in potentia d vla tatcm, at quod «ít ncDifput. VII. De Pradicam.im partic, -eeffe effe, non poteft cóflitui ex aliqua. uodnon cft necefle ele, ergo &c. Nec valet reflexio huius rationis,quam contra Dod&orenm facit Greg. quod népé Deus con(Lituitur ex ente;ac infinito,& ramen ens in fe formaliter none neceffe efle 5. Nà Bargius bené neg;t paritatem, quia cómunitas entis non cft alicuius realitatis,quz vna,& eadem formaliter per indif ferentiam reperiatur in Dco, X in crcatu ra,vt laté difp.2.Met.(ed tantum eit com munitasconceptas inadquati,vndé rea.   litas, quam ens dicit im Dcod parce rei, c(t necefie e(Te; et non eft conititutio faGa ex ence, et infinico,velu:exduabusrcalicstibusformaliter diftinctis,at communis generis eft communitas. realis. ! per indifferentiam,& compofijo,quam  ficit cum differentia, eft metaphyficà  realis. Alij alijs ratiouibu No Dac AU) : rün non abfoluté probant Deum nó cífe "ur in generc (ubftanuz fed rantum non c(fe inco,vt modó contesitur. Etinhoc dis fcuríu dedu&oà Scotocx süma Derfigs  plicitate,in'initate,& neceffitate, fundas  4 ? tut racio, eua difp.6.q.3.art.s.m.2 4. prO»   batum eft lola entia cbialiter À "Mu przdicamento contineri, quia quic cft in caen Pe eitiliusgenus   gcoerah fimum, aut fub co con my nihil autem, nifi fiaituin e nusgencraliffiinunwautíub eocontentü,  vt ibi deducebatuc. Ac Poncius difp. 10. Log.n.24. contra hanc rationem ait fa cere, quod valdé difficilee(t allignace fa, tionem, cur fubttantia,vt fic, non lit genus refpectu Dei  et aliaruin (ubtlantiarum; vnde n.25 . aliter ipfe probat, quod Deusnon fit in predicariento, et inge. nerc fabftantiz quia re vera Philofophos non voluit diuidcre ig prdicamenta;nili entia crcata ac finita, vndé certuin debet e(Te, quod in. pradicamencs his decem à Philotopho a(ligoaus né ponatur Deus ; et quod coníequenter vn ex condiionibus reramin illispofitacum fit finitas, At €x dicuríu Do&or:s conitat illam ratio nem eífe bonam;quia loquendo de genere,vt genus cít et 1n accepuone apud Phi loíophos vfitata, non autem ad iibitum   «uiuíaj confi nus cx fua ratione di« cit (NH. 43-3 ; | EIER ERE Butt. Begiseralifs Pradicam de daI.  353 Iit tealitatem veré potentialem, et per differentias contrahibilem, et ideó ram genus,quam quz (unt lüb genere imper&Gionem inaoluunc compofitionis . vcl componibilitatis metaphylicz, vt cuam fatius dicetur difp. 2. Meraph. n.131. et indé, et n.165 . Ratio vero, quà ex pro[ow capite a(Tignauit Poncius racionibus &oris noftri non acquieíceps eft om ninó frinola, Pr;mó quia non abíoluté probat Deum non effe rn genere fubftantiz,fed can üm nó e(T ineo, vt modó ab Atift. contextum eft ; deindé quia com. mittitur in ca manifefta petitio principij, dum ait reuera Philofophum nolui diuidere in przdicamenta,ni(i entia crea ta;ac finita ; nam boc ipfum eft, quod hic controuertitur, mum ab Arift.przdicamé ta ità fuerit difpotitayvt (ola entia creata, et finita füb eis contineantur, an potíus intanta amplitudine,vt etiam Ded ipfum €üceteris Intcll.gétijs fab (e coprehedár. 30 Dicimus 2. neq; fübftantiam finitam comuniter famptam, vt cóprehendit fab(tantias completas,& incompletas effc (apremü genus in zdicamento, Ya Doót.q.14.& 1 Í pradic. depédetq; exdlictis dil peace .q.2. art, 1. in expli«anda quatta cond'tione entis reponibi lis in przdicamento, ibi .na(T;gnatà eft ratio, cur entia incempleta locum in predicamento habe:e nequeant. $atis nunc fit adducere Aritt.ipfum, ficut .n. ab ipfo accipimus huius pra dicamenti texturam, ita cius icítimonio flare debemus quoad eius generaliffimum, in hoc igitur €.dum ait primam (übftantiz affetioné, . [non effe in fübiecto, conuenire no (olum fübftantijs,fedetiam fübftantiarum differentijs manifcfté difereuit ditferen 1ias à fubftantijs huius predicamenti ; et $n 2.de An, c. 1. loquens de partibus effcnialibus phyficis /aquit » materiam fe&undum fe non eite boc aliquid ; et forfoam cile pcr quam fx hoc aliquid; com[geris vero e(le boc aliquidcum igicur oc aliqud fit prima fübftantia,vt in hoc €. docc:,reilas materiam, formam non ce fubitantias huius prz dicamenusnili rcdactuié o din partes prima fubftanuz « Tandem 7. Met. 56. diccns Logica ' corum, qua videntur fübftantiz, mukas cíIe (abftantiarum partes, «f. pedes, mas nus, caput, man:fefte fübft antiam (ecers nit à. partibns integralibus fubftantiali» bs, tignanter veró loquitur de partibus integrantibus ammaliam;qua fünt athe« rogcnc£, quia dc homogeocis conclufig iniclligenda non cft, vt fuperius loc.cit; notauimus,vade rextus hic non modicam fidem facit dictis ibidem. Z5 11 Dicimus 3. (üpremum genus cathe gotiz (ubftà:ie elfe (ubítatiam tertio mo do EN nempe finità& completá, cótrahibilé per di fferétias ad omncs fini» tas fubflárias cópletas, tà corporcas, quá ve ricas itavt in hoc pradicamenta coprehendantur ét angeli, et corpora ce Icftia; ita Do&. loc.cit. et in 4.d.6.3. 19» M.& cft cómun s Thomitt.& Scoti ft.& e(t expreísé Arift. s. Met.15 et lib.7.tex. 5$. vbi. inter fpecies fübftantia numcrat demonia, caelos, et aftra, et 8. Met. 1. ponit in przdicaméto (ubflantias ab om nibus conceífas inter quas coelos enume rat,& alias conceífas tantü à quibusdà .i« non omnibusnotasquz ex iplius (encen tia funt incelligentiz vt colligatur ex 6. Met. 2.& 12. Mer. 5. diuidit fubftantiam przdicamentalem in fenübilem, et in» fenfibilem,per banc intelligens Angelos. 12 Probatur età ratione, quia Ange li, et corpora celcítia habent o€s condi tioncs loc.cit.de(ideratas ad ens reponi bile in prz dicamento, (ant .n. entia rea« lia per íe completayincomplexa,finita, et vniuocé conuenientia cá alijs fübitantijs ioferioribusin ratione cómuni. fubftauia abítrahentis à corporca, et incorporea y atcrna; et incortupnibili. Tnm quia eis cóuenit ró formal;s (ubftáciz, quz con fhitaitur apcx butus cathegoriz, omnefqs affc&ioncs, quas cijaflignat A rift. nà ra» tio formalis fub ft antiz,vt fupréwum ge nus huius przdicamenti, efl per fe effe,vt excludit etíe in alio ;nedumper.moaccidenus,(edétpermodumpartisinto»toyprzlertimcfientialis, quia non omneg integrales cxcludütur, vt diximus yaffee 6&0 veró pracipua eft übftare acciden ubus,;vt Arift. docet in hocce. et 1,d.8, 4. 5 lub F. ex E ru [cd vrumgs x €. Aime afedd $:4   Dif. VIL. De Pradicamemisim pártio   . A €onuenit cetli$& Anzclis; omnia namqy fant (abftantig cópletade celis pacet,de Angelis probat vrgenter DoGtor z. d« 1e .6.& quol.g. vbi ofiendic ron pofse in imare matcéris,& in alterius vemre có pofitioncm per modirpartis ; fubftart ét accidenubus, non quidé corruptiuis» (ed rf &iuis, Angelus nimirüintelle&tioni s, et volitionibus, corpora coelcftiaza quantirati, et luminryadmi& üt ét cótra zi2, nà angclus contrariorum aficétaü .f amoris, et odije(t capax, et ce&lü modà iliuminatürymodó lumine priuatur,vt pa tet de Luna nunc eftin Oriente nunc im Occidtnte fecand diuerfas partesatque ita admittit conwaria faltimi lacé süpta; imó et preísé, quia afficitur raritare, && dé(ftate, vcHaltim opacicate; et diaplia neitate, qua funt cótrariz qualitates. Ti quia etizafi fecundü cómunem ponan tür hz incorruptibiles (übftanuze carere phytica cópofitjone ex maceriay fotmay adliuc tamen habent Metaphyficà ex vea litate potentials a&tuali; et hoc cft fuf ficiens fundameniü vnde intellectus de fümot gcnus, et d:ffereatiam ( qua cópo fitio neceífaria zft ad reponibile in prz . dicamento) nar in accidentibus habcat genus, et ditfcrentia tine copofsione ma teriz, et form2 . Tü tandem quia fi An geli excluderentur, quia nacurd (piritua: kes.tunc ob candé rationé a pradicamen. tisaccidentiua: excludi deberent accidé tiafpiitualiaac Aft. et caxcri Fhilofo ghi (cientias,& virtarcs collécant imea fhicgoria qualitatis non obttance carum fpiricalitarcgergo idem taciend(t de An gelis m pialdican;enco fabfantiasqua id eircó diuiditur in apice m corporcam, et incorpoream y quz diuifio vttque mánis elict, ti aliqua fübttantia fpiritalis ad. hoc gra dicameniunm nod pertineret « 13 Arbor itaq; pradicamenti fübftà tkv ica etit coordináda, g» (upremirzenus fit (ubítanuia fimica& copleta modo iam declarato. Diuiditur in (piritualé, et cot potalem, (p ritnalisin varias Angeloruar fpécics Corpus im corruptibile, X incor raptibile. Iacorrupcbile in varias fpecies €:'orum, et Planctaruar. Corruptibile R5 vWcass et non vigens . INon viuensin elementare, et mixtum, quomm quodli« bet varias fpecies hbet . Vincdiiin feni  tium vt animal, et infenfi ciuüvt planta; Plantain variasarborümpecies y et her barum . Ammal in ratiopale y et irratios. male. Irratioralein variasbrutorumfpes  : Rationile pite vt Sortes . &. Plato : quam difpofitionem cathego rz abanis nom 1ta' porfectam rw affi gnautt c. de (pcie,fed quafi mutila y quia notadamu(fim oTa enumerauit ge« nera; (ed'ea tantum, quiz notiora! erant lioc .n; faris erat ibi tuo inftituto: Diti mius autem animal im ratronaley et irrae uonale, fcu brutum et hoc imvaridsbrus   torum fpecies ; quia non eít' ommnino'cere. tuaramal effe immiediatd genus tefpe  &n brutord, (icut rcfpectu hominis; quá uis .n. ita pleci]ue fentiant become | mtn efl valde probabile, et manifefté in mitur ab Arif.7. Met,z&vbiintereQuís et animal confticaic aliud genusinnomi 1 natüm dicens, quod s,cómwneeff|u per equum, CP afimumsnonefl nommati    d proximum genusyquamuisatillud dicat  císe innomimatum, confacuit tamcn po«  E wr fica appellari nominc byutie  Satiifit ObieGiombus  s T I4 | Sis Lern [coutra r,! q Deus fitum genece T: trate P'i'«Damafcenitib. 1.fidei e.97 1. In(t.c.7. vbi dicit yi i eife d. f E ferentiam(ubttantiz, X fo (d concinne" Deum,& Angelos, et Aug. 4. de Trin.c. "a S. vbi ait, quzdam pradicaiméta dici pro pe de Dco, (ubttantiam &, relauioneimy aétionem;coetcra iasproprié, et ineta phoricé. Tum Aci(t; nam 1 2: Met. ?. ap pellar Deum primam fabitantiaims X r« Éthic.c 6. et $. Meter ci rer exépla eo ram quz (unc in przdic.nuimerar Dieumy : et 4 Top. c. 3. loc. 17. ponit Deum (ub. E genere animalis, Tuay 3. rone, qnia inlt« nitas addita quantitati, vel qualirati nou cas cxtralit à prz dicamentis quanuatis et qualitatis, fi .n« darecur lnexintinita y  adhuc ad catbegoriam qaantiaris (e&tas 14 ret, vC dicemusq. fej. ergo neque addita. fabftanmar ipfam excrahet ab h»c przdi camento, Tum 4. Chriftus i Po cww fimpliciter infinitàcá (it Deus, et tamen 2 prz d:camento fübftantiz, cum (i mu! (ir nobifcfi vniuocé homo, ergo infi itas nonobítat, Tum 5. arguit Auería fubftantia ample tumpta, vt coprchendit £rcaram, et incceatam, importat Conce pium vcré.voum illis commanem,vcgo . conftitui potettiyna fcries predicatorum incipiendo ab huiufmodi conceptu com muni(fimo, qui praedicetur elfentialiter, et inquid de .omnibus (übitantijs, et hoc dicetur ynum rotius fübítancie praedica mentum, Tum. falcim redu&tiué, (i nó dice&é, (pe&abit Deus ad hoc przdica mentum, tanquam principium, et caufa itoxius (abítanciz creatz, vt .dixicSim plic. in hoc c. Tum tandem, quia faltim, vt vrget Hurtad. poterit conftitui przedi «amentum f(üb(tantig increatz diftiodtü À przdicamento creata, et in ip(o Deus reponi, et tale pradicamétü erir ens (ub "ftantialecópletín fpirituale, à (ey zternü. 1$ Refp.ad Has Pairum auctoritates Do&tor loc.cit.g fi intelligi deberent vt . aéferantur,& fonant, ponenda cfsent in Deo aliqua accidentia ; mens igitur Pa rum fuit terminos fignifignies pradi amentacx víu Philofoj im couenire Deo, non quidem co (en(ü, quo v(urpari funt ab cis ad puedicamenta fignificáda, quz funtres quzdam limitatz, fed ina propria fua Ggnificatiane;q habent prz fcindendo ab imperfe&tionibus, vnde ij:dé  Patres Damaícen. in clementario cap. 8. et lib.r.de fidecap.1. et 8. et Aug. 7. de Trin. c5. affirmat Deum non elfc eps .(. pradicamentale, fed (upra ens neq; fub ftantia, (ed fapra (übftantiam,qui loqué di modus (tis apcrté oftendit non fuifse  Patrum inteationem Dcü in przdicam. reponere, ità Doctor cit. (ub V. qua 1c Íponlione vtuntur Didac. et Vafq. cit. fed (i Damaíc. ità claré loqui vt re fertur, multum fauct oppo fitz fententie. Ad Arilt.dicimus illis ia locis Dci n0 mine y vel Deorum non intelligere ve rum Deum, quem vnum efe agnouit,fed inrcliiga Deos pofitos ab antiquis,qui di ccbant cile (ubitancias qua/dum iu; erio icsylubulifTima eorpora habentes, hniilcs qu.dea hoaxn:bas, (cd eis perf Ct. ore, Quo De genenili. "Puedicam.fubf.edn.T.  $55 quia immortales, ità notauit Do&or f. Met. intex.illam 15. Hic rameneít ad :uertendum, glicécAci(t.t 2. Met,inue ftigádo naturà primi principij diftinguat. .ens in decem prz dicam. et poflea diltin. guat fübftantiam in fenüblem, et infen aIDHCmTUD quia pernic qoradies spem i LS inde tame Ee tede ioetri abaliquibus,, Dcum poni in predicamento (ubítantias quia fuübttantia, quz ibi diuiditur, nó eft przdicamentalis, (ed cranícendens, bené tamen adhuc ad inueftigandimi cem, quz: eft extra przdicamentum, predicamcenra diuidit, vt.armirum facilius à (en libilibus. ad cognitionem infcn(ibilium peraents ret, et ab his, qu.e (unt in generc, ad res; qua funtextra genus gradum faceret, Ad 3. negat Scoc. paritatem fub R. aliud eft n. loqui de infinito fimpliciter, qualis eft infinita fubitaatia, altud de 1nfinita uid, fcu. in determinato ; nete, vt e(t aufinita quatitas, vcl qualitas, hzc .n. infinitasmon rollit amaem poten tialitatemyncc aufert omnem limitationé in genere entis, fedrantumin tali genere. linea infiaita dicetur edes illimis tata itas,nó tamca illimitatü ens ; et ideo cum tali infinitate (ecundá quid ftat ratio generis, non tamen cum infint tate Kimpltciter, quia hzc tollit omneqn limitacionem,& potentialitatenms, vt pro batugn cft; gide ibi auream do&rinam.16Addi,saatishicdifputarc,qualis(itvnitasChuftiDomin;cft.n.ncgot&metétheologici; hoctàcertumeftquodfiinhoctreponiturprzdicamento, 1deicontingittationehumangnaturz»nondiuine,vtomncsdicunt; vbiomnino cauemodüloquendi Poncijvaldéimproriumquidi( p.11.Log.infinen. $c.adargumentum inquit. ChrilLumponi4nprzdicamento(ubttantiz,(icófidere10r,vtcftfuppofiuimhumanumprzcisdsabttrabédoabinclufioncdiuinitatis. Hic fané loquédi godus valde improprius cfty ne dicamus erroneit,quia yc fides docet in Chri(Lo vnà tancámodo (üppofitum .re peritun& boc diuiaum,quamuiss crgo có fiderari policy vt fuppolitem diuind «n humana natura (ubfilcns, nequaquam uà coníidccari potcft, vt foppot tü human. Kos  e $56 To prazced.nó ponuntur in prz dicamento goificatz in abftra&o, fed in concreto, i1 concernunt fuppofitum, fed in rifto aliud fuppofitum non reperitur, uà diuinum, ergo faltim diuinü füppo ti .ep cft inGnitem,collocabitutin pr dicamento . Refp. fubfiftentiam fecun. dum fe in przzdicamento non poni,fed cf fc conditioné neceffarió requifitam, vt naturà ibi ponatur; vndé concreta fub fla. tialia dicuntur effe in przdicamento ra tione principalis fignificati.(.naturz non auté connotati, gerit auté hoc munus có ditionis fine qua non abfolute, quatenus Tabfiftentia e(t,prafcindendoabhoc,qfitfinita,velinfinita,natura.n.humana, co on con(tituit hominem, gy termina «ur fübfiftentia, fiu hec fit finta, (iae in finita, vt bené notat Didac. Ex quo dedu citur,nónifi accidentali(li mé, vt (ic dica mus;ac mcré materialiter fuppofitü diui. num in Chri(to ad hoc (pe&are predica mentum ; tum quia fubfifiécia diuina eft tantum conditio, qua Chri fti humanitas in hoc reponitur pra dicamento ; tü $» tale munus gerit, vt fübfiftetia pracise, non vt diuina. Ad s.conceditur conftitui poffe calem prz dicatorü (errem, (ed ne gatur 4p praedicatum illud (ubftantiz có munithia um haberet rationem generis, quia cà fit conceptus tranícendcns jssnol lam à parte rci przícfert reTlitatem, vn de ncque contrahibilis etiet per conce ptus veré diffecentialcs . Dices;taliscon ceptus communis eft potcntialis,& inde terminarus,(cu ind;fferens,& de pluribus fpecie diffecenribus dicerctut in quid, er go effet genus. Refp.g ibi nulla eft poté tialitas,uia talis prztupponit realitaté à parte rei; vel tantum cft ibi potentialitas co modo, quo conceditur communitas,. et indifferentia nimirum per intellectum ctdtowi ientem, quz commu itas, et potcentialitas nó fufficit ad hoc, vt aliquis conceptus (it.veré genericus, fedzantum per noftrum intclligcndi mo dü,vt notauit Bargius r.d.8.q. 3. pag.no bis 18c. loquens de conceptu «nus, (,17. Ad6, necbene diceretur Dcü rc auctiuc perüncre ad hoc pradicanicgtü, Difp. V1I. De Predicametisin partic. Dices,natutz fubftátiales ex didis di« quía id fonat imperfe&o modo patticí pare rónem illius; nec quia eft principii, et cauía totius fubftaciz, debet reduci ad: illad przdicamentum, quia cum etiam tig.   principium, et caufa accidencium, ad illa rzdicamenta reduci deberet, non itaqiIDeus$ ad crcaturà, (ed porius creatura ad. Dc reduci debet,vt ad primam caufam, in qua virtualiter,ac eminécer cócineture Ad vlt. illud nonum przzd: camentum pro diuinis ab Hurt. inuectü ett prorfus chy« mericum,tü quiare vera feries illa prz« dicatocum non poílet dici predicamen tum, quia effec cantum ordinatio conce piuum à noftro confi&a intelle&u cane dem proríus tem concipiente per modü magis, et minus cóis; przdicamentü ve« ro accipitur pro coordinattone realiratü, qua natz funt facere compoólitioné mee taphyficam, quz Deo repugnat ; 'ü ran fi concedatur e(fe predicamentum, plam | nequit poni à praedicamento fubftoniz  creata diftinctum, vc contendit Huraad.     quia pradieata illa ens,fübftancale, comre Y d pleuum, (piritaale ; (int praedicata comes munia Dco, et creaturis. Secü ijc.conaz,Cond gd  ét pattes fia éinprgdicaméto qua Arift. in hocc. defendit partes integran tc$ veras c(fe (übitantias,quia nor in alio, velucin fubie&o, fed v toto &c.ad aliquid illas coputat inter primas, et (ccüdas fubftátias, caput, quoddam ca püt,manus, quedà manus . Et $5. Met. 15. intet fübítantias enumerat partcs, et de nique 2.de Ani.2.& 3. Met.z. et libi 12.   tcx. 12.(uübftantiá diuidit in materia; for mam, et cópofitum,ex quo a licet  fuperius dittin&ü in infcriora quidditatte ué predicatur de illis,ergo fubftátia quid ditatiué pradicatur dc materia et toria. Refp. quádo At:ft. inhoc c. partes in» tegrales appellauit (ubitanrias,(olum do» cere voluit illas effe (ub(tancias, non ace cidentia, quia non funcinfuübiecto, non idcircó cas ditedé in; praedicamento co' locauit; dixit ét effe vecas (ubttantias hue ius prz dicamenti, quia iliis non'repugaat e(fe tales, quaten:is süt partcs integrales» nam fi (int (i milarcsy intrat predicamés uim; ccró ad aliquid aliud myftcc uas voluit yt VOR. COE PSU. Queft1 De gentralifs. gu ou TOLL IIT noe er; " voluit nobis aperire Arift. appellauit .n.  eas primas, et fecundis fübftanuias, vc in  dicaret ét rerum incójletarü, et partia lium poífe nos fericm przdicamencalcm conflituere ad inftar przdicament: com. pletarü ; quatenus étipipfismucniunturprzdicatafüperioray& inferiora,genera;& fpecies, quarationediximusdifp.4. q.4»infinequamcun quevniacrfalitatis fpe€itabc Befuadariincnabusincomletis,licutcomplet;s,vnde porerit v.g.affi  gnari, v: genus fubftantia phy(ica partia his, que diuidatur in materiam, et formá, et hzc incorporcam, et fpitizaalem, ilia in codleftem,& füblunarem;fiin ceelcfti bus corporibus admittitur materia et qui dem alterius rationis ab jfta inferiorum . Quod malé inficiatur Sancb. 4. j. ad 8.ca rat one fretus, q» hzc funt entia incóple ta ac proindé inepta. ad praedicationem. Nam licet re vera tint incompleta, €a ta men intellectus concipere poteft per mo dum entis fic completi, ficut requiritur : ad praedicationem, idq; totum innuit A rift.cit.fieri pofle vocans manus, et caput fecundas (ubftantias,& fimul partes fub  flantiatum, qua dircé&te füpt in pradica mento. Ad locum ex 5. Mec. vtiq; Inter fubftantias enumerat partes ibi rame de clarat non dici (übítantias, ficut compo fita conftituga pcr cas,cxcipe partes fimi. latcs y qua recipiunt przdicationem vni ucríahs, (icut ipfum torum. Demum di uifio illa (ubflantiz in materiam, forma, et compolitum non cft proprie ditufio fubftantig in cómuni huius przdicamen ti, (ed potius quzdam refolurio fübftan 1iz pradicamentalis compofitz, q cx co patere pó:, quia illa diuifio non continet Angelos, qui tamé süt if bac cathegoria, 19 At diccs,materia, et forma,manus, et pes (up quidditatiue fubftantia ; non minus,g cópofirü,ergo fi hoc eft in pre dicameuro directé, eu et illa. Refp. ve rum eile affumptum, fi fubftantia cómu niter famatur, qnomodo dici folet fubftà tia ana iagfus uten. comprehendit ram completas fubitantias, quà incompletas, fallar WR CUAM,h Rida fumatur, vt cft fupremumgenus buius przdicam:é tiic n. non dire&té, (ed lateraliter tane Logica « Pradic. fubft. etrt.T.  $$7 tum, et reductiué dicitur de m arccia, 8€ forma, ratione .f. compofiti, ac proindé non qu'dditatiué, ficut fuperius de infe riori. Ais, ergo fubftantia communiter diQa,vcluti commune genus etit ad fub ftanuas completas, et incompletas, cua talis conceptus fübítantiz: non fit tran« (cendens, (cd finitus, et limitatus,& alto qn vnuocus przícrtim infententia no ra, Refp.ità efle, quod in hocfen(a par» tes cffenriales phy fice cadunt fub eodem. genere cü compofiro, ac ét partes inte gralesaherogenez (en. habent ad füb ftàciam tic (ümpram, vt modo homoge neg ad przdicamentalé, ficut .n. ifta re cipiunt przdicationem fübüantie pradie camentalisdircété non minus, q totum ipíum, ita vniuerfaliter oés fübftantiarü partes przdicationem analog I ubflatiz recipiunt nó minus,quà tota per cas cone ftiruta; exhoc tamen non fequitur,quod €odé modo recipiant praedicatione fi flantiz przdicamental:s, atq; idcó dire &é poni debeant in hoc przdicamento . Hinc dedacitur, potuiffe vcig; fieri praz« dicámentü fubftantiz, qp cople&terctur (ubftantias omnes creatas, tam cópletas La since quo bené diícurrit Aucr cit. nó tamen qp vlterius cópledter etiam mcrcatam, in quo Aucría deficit. 20 Solet quoq; hic afferri difficuitas dc corpore jito altera parte compofiti iu viuentibuscüm «ri. praedicetur quiddita tiré de viuente, vt fuperias de inferiori y vt cü dicimus; gy homo eft corpus;coníe« quenter videtur dircété poni in predica mento,non obftante,gp fit pars. Hac dif ficultas vrget íolum ponentes 1n viuenti bus formam corporcitatis preter animá s Q cx profefío docet Doctor 4. d.11q.3« Mairon.pafíu 40. fuper Vnerf. conce dit alumptum . Dicendum tamence Scotcit, H H. q cum dicimus ani Íc corpus, ly corpus non ftat proaltera parte compofiti,li accipiatur vt ica» uo quidditatiua;& is,fed pro cor pore mecaphyfico, q» inlimea predicamé tali elt gradus gencricusad viuésyqui vtie quc gradus delumitur à corpore pro alte» |. Ka parte » vt fuse mia Ic TE A Phyl.q4«ast 2» pradcrtim in fol.ad1.8€Xx3ibii"y$583.vbietiamadducunturquxdamgraues dfficu'taccsbicàMaiton.co&a,&folvuritor. Rogabis;anfaltimpottaiimaedifcciium, velinteritumcorpusproaltera parte ponaturdirecteiggetiere?Zabarel.lib. de pluralit. form. annuit, €ó quia turic nom habet amplius rationem partis, [ed tocius ; vnde cuadit ens com pletum,& proportióratum predicamen (QV Atperpc ane TU GAST colt anim»! ciereritipiadbuc manet ens anccinpkeuü ; et aniv z effenrialiter fub erdinatüm pef modum materi ; licut € contra ariima rationalis pofl (eparationé á corpóre adliuc manet enis incomplet y quia e(sétialiter (ubordinata corpori per modurn form: tum quía eff quid inte gratum ex pluribus formis pattialibus cx dié&is difp.Ehyf.citz 21 Tertio obijcitur coritra 3. concl. ptobando nec Angelos, nec corpora coe ]Jefta in hoc contineri pradicaméto; pra fettiri itr Arift. fcotentía, nam 10. Met. 16. cortüptibile, et incorrupubile diffe 1üt gericre fed h&c (unt incorrüptibilia ; ergo noi haberi: genus cómunc cum ca ducis; et códein lib.tex. 12. inquit ea dif fcrre getiere j &. pradicauonis figura .i« pre dicamento, vtomnes exponunt1uo rum rom cft communis materia, quod ét habet $.Met.$3. at Céli, et Angeli nom habcntcommunem materiam cuar cada tet 6 ficc coimiune genus. : «Do&or 4d.6.9.10. M. Atiflo qui de genere pliyfico. i. matetianion ad. 1é logico, qu£ cft. cóis e» pofitio, et vult corruptibilia ; et incorcupubilia nomncommunicate in materia; qat (enfus «oll;gitut ex. cap praeced. et qoidem fa miliart eft Atiftinomine generis fignifi care materiam, vt coríttat ex 1, Polt.19. vbi docet iti fcientijs fieri noti debere. » uran(icü de genetein geüus.i. ex (ubiecta vnius in fubicétü altefius, et 4.Mct.2. vbi ait vnius feti(us vmü c(Te genus i. mate riam circa quám« Vel (i loquitar de gene re logico,non vriq'loquitdr de fupremo, fed intermedio, qj co'ticidit cüm fpecie fubalterna, alio.,uin araumencá adductü ibi ab Acift.ad probanduai corruptibile, et incorruptibile differte getiece ; e(ict in  Difp. FII. De "Pradicamentis in partic. quatuor terminis,initio.n. textusficeri   it rónemycumz contraria [pécie diuer[d. int, corruptibile autém'y  incorrupti? bile contraria (int y neceffe eft diuerfum incorruptibi enus e[fe corruptibile, det in cóclüfore fius difci genus non intelligit fabalternim, effet u quatuor terminis ; quomodo auté ten argumentum Ariit. intelligendo de ge nece phylico vide ibi Scorum, et Alen fem  Adalium locum, non ità loquitur ibi Aritt. (ed aic differte gere eque noü eft cóis materia, et eid T fa cathegoriz figura y it loquirurada muffim $. Met. 33. fpecie veró differre ait,quorum idem eft genus : Joquitur era go Atit.de genere phyüico; vt cur(us ibi Do&or explicat;& fen(usett genere phy fico ditferre, et quz (untimdiuet(is, ca« thegorijs, hzc .n. adinuicem non tranf mutantur quia non fit 'ex füperz ficié y neq; é contra, et quat (unti codé prdicamento, fed iri materia nom coms  mudüicant : pecie veró differre y idem eft genus;i. di ficá, à'qua fumitur differentia fpectfica f comgéntunt im materia ; aliam cti$ expoa fitionc riobisproficui vide apud Alense; ii Dices.vf Aritt.pofüiffciptelligem tias actus purosy& limplicessaceidenti d incapaces 8. Met. 16.9. Mer. (7 et lib: ro; tex. 30.& lib.12.43. ergo nó folir phyli cà, (ed et metaphy ticam cópofitioné ne gat in cis;quod conf.ex Scot.quol.r$.C., et quol.7. Gg. vbi docet Arítt.in imelli geritijs pofuitle intelligere idé c (ui (ub. flácia quia fünt puri actus fecundá ipsi. Refp.& cft folutio cóis Acift. vocare cas á&tus puros, et fimplice$quatenüs carent cópofitiorie pliyticaj& negat in eis poté tiá cóttadi&tionis ad e(fendd, X nó eísen dum; quia funt incorruptibtles, non auté ri: gat conyoliioncani potenciam mc tapliy(ic&, ben& ri. nouit nou cífe puros; et fimriplices, vt intelligentia prima: qua dc caua nec etiam credibile eft pofuitle ilias omnium. dccidentitim prorfus 1mcd« paces,nani faltim rion videtur in cis tiegaf' fe accidentia reípeétiua ab ipiis realitet diftinavarios nem uic ;ad orbem moti ; ad [uos cíícctuss tOAÀIsS  Éerre per tormá pliya s ! ré(pcitusad foin»   ji t.  à i. og H "rr N '. 4e fc hanc, .& nón 4 Ab? Ac. J) ! ;7« ad 1.prin. docere ibet intelligentiá cffe differentiam indi uidualem,ob nece(fitatem effendi, quà ci tribuit. Refp.fi ita eft, plané difficile ctle  tueri intelligentias fecüdum Atift.in hoc pradicam.contincri, imó et corpora ce Asso 1.4.3. do fent. Arift. quan   leftia, cü code modo ea videatur pofuiite entia nece(faria, vndé non abs re Auer. in «ap.de (pecie, et 10. Mct. cap. 26. nega uit bzc in przdicamcntofubflantiz con tineri. Sed (i Arift. prz di&ta expofitioné nó patitur, curent al;j explicarcqui fin gola eius di&a vt Sacramenta recipiunt, quamuis .n. acris fuerit ingenij, et mul. tas(atis reconditas veritates lololumi nis naturz du&u attigeritfatendi tamen eít e defe&u luminis fider in multis ce cutire prelertim cü de Deo loquitur,& intelligét;js, d (uperát humanu captum, Quo fenfu diuidatur fubflantia in pri : fs " er fecundam, 7 vtraque bic  '. defimatur, ac vuaalteri comparetur. ag Goyuifie Acftin hoc c. fübftantià 4 D in primam, et fccüdam, viráq ;defininit, ac demum ad magis eer :viriufd; nauram vnam altetí cóparauir ; hz igitur tria in hoc art. nobis funt cx plananda, diuitio fnbflantiz in primam, et (ccundam, vcriufque definitio; et eatü comparatio adinu:ccm ab Acift. facta. Quoad primum dubitatur, quomodo accipiatur fubftantia, dum diusditur in primam, et fccunda, an.í. pimó, vel fe» cundo intentionaliter 5 dicunt aliqui di uidi (ubftantiam quoad. primam intétio neim,vt Suarez difp.3 5.Met.fe&t.2. quem fequitur Eaber 7. Mct. difp.7. cap. 1. alij aflerunt diuidi quoad (ccundam, vt Soto in hoc puedic.q.1. att. 1, Sed vtrumq; de fendi porefl, vt abfolute verum, ac eriam de Atiit, mente ; vt docet Doctor qu. 4. Vniü, in (ol. ad 2. vbi inquirens; quo séíu diuiferit Ari. fubftantiam in. prtmam, et Íccundam, ait, qp non cantan. antelli git debis qu [unz prater operationem imtellecus, uibus vcrbis 6gnificac Do &or joie viroque modo. explicari Aut : Sudf.1. De generalis. Pradicam.[ubft. Ant. L $59 At quocunque modo explicetur diu; fio; ruríus «ft difhicultas,quodpam fit diuisó, et quide Authores in hoc oés conuenire videtur, vtnotatAuer(aq«16.(ec.2.,(ubftantiam,vteftapcxhuiusptzdic. nódiuidiinprimam,&fccüdam,quafiin(uas Ápecies,licutdiuiditurquantitasinconunuam,&dilcretam,quiafubftantia, vtfic.continetur.fübaltero exicmbrisdiuidcotibus, népefub fubftantiafecunda, atdiuilumdebetc(icquidindi fferensadprimam,.&fecunda,Scdneq; hocrc&éa(leritur,quiabenepoteflà1u:süaliquodcót inertaccidentaliterfubaliquocsmébrisdiuidentibus,vtconftatdevniucrfasli; quod accidentalitercontineturfubalteroexmcnibris diuidenibus,népcfübgenere ;quamuisigitur fifubftantia füprema capiaturproprimaintentione, nó poffit diuidi 1n primam, et fecundam, vt notat Tat.9.1, | redicam.nor.3. cx cor, q.12.Pre dicam.in fine, quia vt fic figni» ficat naturam cócm, non autcm fingulas rem,& indiuiduá, qualis importatur pet pramá tüb(tantiam ; tamen fifumatur pco ' 2. inuentione, diuidi potcfl incas vt in fuas fpecies, (ic. n. vt quid, abftrabic à fecundis intentionibus vniucrfaliracis, et fingularitatis, vt à iuis (pcciebus, et (o 'eoncipitur yniueríalis, vt modus, 24 Yoiipitur in primis accipi f. b(tan a/a,vt genus g« ncrali(fin à, et diuidi prz. fato modo ip primam,& fecundam, vclut n (uas (pecies;pozeft et acci pi fubftancia pro quocangue dirc&té. ponibili in hoc pradicamento, ex Tatar.ibidem,quo sc(u dicitur fubftantia. praedican.éial $,  có prehendit fupremam,intermcdià, et infi mam;& í£ic. diuidi in primam, et fecundà, biniliá,quz ponitur ihfimo loco, hec eft prima fubttantia, et in illam, quz po nicur in aliquo fiction loco,& cft [cci da, ícu in T8 quz folü ponir in. pre dicaméto, vt (ubijcib.lis,qua eft prima, à in cam, quz ponucur yt. pradicab;lis, et cit íccunda ; in qua diuiionc fi fubítan tia przdicauentalis fui  peo prie intenuonc.r. pro Datura; et clientia rea li quatenus affici,'Ot. intentionibus vni» ucclalirauis et fingularitals, fic cri duis. fio (ubi€& in aco dé. ja ; (1 veró (umatur RIS Xx 4   pious E MEET $60 prout pracfcfert illam (ccundam intentio Dein ordinabilitatis in predica méto, (ic €rit diu;fio peneris in (jccics, quia ita di uiditur. oidinabile, in prz dicamento in Pra dicabile, et virimü fubijcibile, itá do €et Tatar cit.quem dicédi modum multi €x Recentioribus fequuntur ; iuxta quod tal sdiuitio | 6: é fuo modo affignati m pradicau entis accidétium fimnendo (ab ftanuam ampli ([imé pro nitutay& e(Ten tia rei, et pr mà pro natura fingulari, et fobijcibili, (ecüidam pro natara vniuería li;& przdicabili,vt optimé notauit Mau rit.q.4. Vniu dub.5.Pót é diuidi (ubftà tia in primam, et fccandam sm rationem fubfittend:, et (ubütandi alijs, primario, et (ccüdarió velui per varios modos, vc volebat Suarez, vt faciat huac fensü,(ub. füantia alia cft, cui primo, et per (e conuenit (ubfiftere, et accidécibus (ubftare, et hzc cft prima, alia veró, cui conucnit fübtiftere, et alijs l(abftare mediae, et fecandarió, et hzc cít (ccunda, et in hoc fen(u etiam poteft diuifio cxplicari per terminos (ecundarum inrentionü, quate mus (ubttantia poteft accidentibus copa rari, ncdum per modum fübic&i inh ii0 fis, vcrametià przdicationis, quod vciq; €i conuenit pro fccunda intentione. 25 Exhis patet poffe hic diuifionem explicari primb,& fecundó intencionali tcr,tàm cx parté totius diui (i, quàm mem brorü diuidéuum ; et licet Do&t. cic. in nucre videatur prafatam diuiliónem ex par:e mébrorum diuidentiü nonnifi per fecundas iotcationes affi gnati poffe, ca ratione fretus ; q» membra diuitionis dc bent opponi non coincidere, at quod e ft fecunda (übftantia preter. operationem intellc&us, nó opponitur prin ze füb(tan tiz,[ed e(t id, ergo &c. nihilominus nó eft ita in rigore intelligendus Doctor, quali prima, et (ccunda fubftantia à par te rei comcidant omninó, et realiter, et formaliter, nam certum cft in cius (encé €&ianaturam commanem, fuper quam fun daturjmcentiovniucrfalitacis,diftingui€xnatura4ciabndiuiduo, fuperefundatur(cundaintentio (ingulatitdtis,&quodammodoopponi, fcdtantuimvogitiadicaremaioremo ppofitionéccrni»WeDifp.VII.DePradicamentisinpartic .aiemtinterprimam,&(ccandamfubftantiafecundóintentional:tercaptas,juamprO.prima10rentione,quiatic fanc realitet   1demsat iflo modo func intentiones pror fus diuecíz,& oppofitz, vadepercica  membra diuitio magis clacet . | e etm 16 letes.quo modo ex bismagisdie«  uiferit Arift. Refp.Suarez,Faber, Blane  et alij diuifitie terio modo, et pro pri ma incentione, quia hic explicat fubftan tiá pernon efle :n (ubiecto, et períübftas   reaccidétibus, qua (unt rationes reales   et iuxta duplicem modü realem fubüfté di, et fübftandi acciden:ibus diuidit fab ftantian in primam, et fecundam; prima eft, quz per fc, et primario fübhflir, et ac encbut fubftat, (econda veró, uz ecundario. Sed plané fallum eftArift;  hictantum confidcrare fubttanrra quoad. rauonen, (ub tiftendi, et fubftandi acci dentibus, quamuis .n. quoad hanc óié y illam bic peculiari quodam modoconti deiaucrit,vtpoté pérquáab accidéte(e:.cernitur, tal;$.n. coofideratio accidens  bus appl.cari non potet; adhuc tamen: : iplam cólidcrauit, vt eft ponibilis. &. dinabil.s in radicaniéto, que lané coe fideratio tota intentionalis cft, nequefolum di(tinxit primam, et fecundam fu ftanuiam per. illos modos »timarió; fecundatio fubít andi, vcl fubfiftc: ed. preferum etiam per non dici, vel dicrde: fubiecto, imà quand. eciam primam füb ftantiam ditlinxit à [ccunds, quia (übij cirüc omnibus alijs ctiamipiis fecundis y hac certé iubicctio dicit fecundam int& tionem in prima füb(tantia, ficat dici de intcationem oppofitam.ponit in fecüdas. et etiam in accidentibus ipfis, quia in or dine ad illa, nedum hic comparatur, vt fubie&uminhatüonis ; verametiam pfe d:cationis, vt mox dicemus, quarc Con cludimos cum Do&tore cit.q. 4. Vniu.& q.1 2. Pradicam.in finc prarfatami diuifio nem porius explicandam effe per fecun dis intentiones, quàm per primas, quia fecundum eam coafidcrationem prafer tim pertinent pradicam:nta dd Logicil; et non tantum tertio modo, verumetam alijs accipi poffe etiam de. mente Arift.  et fic manet breuiter cxplicata hec füb JM E » Y» 8.1. De diuifone fubfiamtin primam, feere. IT. $6t LN E nti diuifio, circa: uam tot verba in | . nt inatiliter Au&ores paffim ; et o /. . forté improbabilis prorfus non c(t A mo.  mijsopinio hancnó tàm efe diuitionem, /.. quàmenumerationem,& (eriem quandá eorum, quz in hoc predicam.ponuntur, velati cam dicitar, difcumbentium hic, eft primas; ille (ecundus,&c. qnem tame dicendi modam non adeó approbare dc. bemus, vt al:j modi dicédi iam relati om ninó dcbean: reprobari, vt facic hic Pon cius,cuius rationibus occurrere ex dictis non c(t difficile ; fed recipi poteft, quia e(t expeditioralijs ; et minores paticuc difficul'ates . Quoad 1. Arift.codé c. definit, vel tius dz(cribit ptimum fubftantiam effe lam;qua nec e(t 1n fubietfoynec dicitur de fabiccto,(ecundam vero, quz 5n eff in [ub:e Ho, fed dicitur de [ubiecko, vor p fubie&m intelligitur (ubie&um inhe fionis,& prz dicationis, ni quando vtraT; dicitur non cife in füb.ccto, fermo eíl de füb:e&o 1nhzlionis,nam pet hoc fubita tia dillingaitur ab accidente;vadé pet it €i negauonem citcamfcribitar modas gotiuimus períeicitis fübitandam conttr tuens,& ab accidente diftioguens ; quan do vcró de primaltübttantmia ncgacur dicr detübiecto, et de fceüda afficinatar, tnc fit lermo de (abie&o przdicarionis,& pe ncs hoc diftinganatur prima, et («cunda fübttantia, quia prima fibitantia nullum babet inferius, dequo przdicecur, bené camé fecüda;quia hec cft vniaerfalis,illa fingularis, quacé etiam alteta negatio in dcliaicone primz fübftantiz, qua nega tuc dici de tubiecto,circamfcribit po (ici am hzcceirarem ; per quam ei repugaat dici de lubieéto.i. de inferiori; hinc patet lomodo hz d«cfiaitiones bené remexplicent,quiaeftódenturperncgationes,'nótamépfimplices negatrones,alioquin definitio priimz/(ubftanuzetià chymcse conueniret,fed per negacrones mdicances quid pofitiuuin,vt notat Tatar.cit.not«4. patet etiam quomodo ambz poffint cx plicari pro prima intentione. Verüm quía cffe in Jebietlo,& dici de [ubiecto no cà tum primo intentionafiter, (ed eciam (e cund? intentionalitec capi poflunt, ità ni c miram vt effe in fubie&io idem fic, quod przdicari accidentaliter, et denominati ué,quicft proprius modus przdican di accidentium; et dici de fubietto i. d« in fcriori, fit prazdicari e(fencialiter,ideó po terunt etiam przface defiaitiones expli« cati (ccan ió inréciónaliter, ica nimirum, St fecunda fub(tantia dicatur illayqua nó eft in [wbiztto fcd dicitur de [ubi ek o i. quz uon acciden:alitec, fed cilencialiter predicatar de prima, prima vctró fubítaa tía fit illa, quz nec cfl in fubietto,uec di citur de fübietfo à. nec przdicatur de . alio accidentaliter,nec cílentialiter ; itag» ifta duplex negatio indicet oppolitàin tentioné fübijcibilitacis omnimoda, pec quam excludatur omnis pradicabilttas et hoc man fefté infinuat. Arilt. pcr illud dc prima fubíftátia pronunciatum, quod accipiunt aliqui vc aliam prime. fübtcan tize defia cionem eff qua propri? princi aliter? maxim [ubil are dicitur, pet c.n. fignificat; qa0d ill non funt purz negationes/fed mobis citcüfceibunt omni modam fubrjcibilitatem prime fübftan tia? 1n qnacunq; pred catione, tài elfed  riali,q accidental adeoquod boc proná ciarum fic potius declaratio" dcfimtionis prima fubttantig,qua vt tradita pcr nc gatronss poteracaltquá. parere fulpicio  nem Q noua,& diitin&a definitio, vel cd Mairoa.paílu 9.dicendum,q cü ea vnam cont icait definitionem, et ett de cius in tegrirate;irà pec fecundas intétiones ex plicát has definitiones primz, et fecunda (ubítantiz Io. de Magiftrisq. 1. hu ius prz'dicam. not, 2. quz quidem expli catio ci! inftitato logico multà magis ac« comodata,quám przccedens,& etiam ma HR demente Arift. qui defiait primam ubftantiam per oppofitionem ad (ccua dam;cum ergo fecundá dcfiniat per prae dicati ; conueniens cft, vt primam dcfi niret pec fubijci, . . tu 28 Scd dices, ex hoc; gp prima fübítan tiaomnibus alijs fubftar, accidentibus n& póX& ipáü(met fecundis (ubitanti]s, rofert. Autt.deflruBis primis fabitantus vr fibile ejfe aliquid aliarü ve manere:, aucem nequit incclligi, miquoad effe» x actualis ciens Cam «n, turn Ac ides D ALD  S Lia » Ii joe ci ois ecu NR ER Z6. Dig.VIL DePrédicmiioh pani: tia, tum naturz communcs in fe immedia té non exitiàt fed in indiuiduis, tolle in diuidua,tolluntur ctiam. et accidentia) et natutz communcs,omnia.n.corrümpun 1ut ad corruptionem indíuidui ; vr docet. Doctor 3.d.2 2.4. vn:G.quo autem ad cf. fe obie&inum, et effentiz non eft vera illa propofitio, quia nullo fingulaci cxi. ftéte,achuc poteft quidditas intelligi  et formati de illa propofitiones vera et ne ce(lariz m ordine ad pradicata. cilentia lia,vt clacé docuit Forph. cap. 7. dicens fublatis indiuiduis nó tolli fpecics, vel ge nera,quo .(. ad effe obiectiuum, et etien tiz, ergo vt hoc Arift. dictum vcrifice tur;oportet yt aliud dictum, vndé dedu citur, quod. f.(ubftantia prima principa liter, c maxim? fubflare dicitur jintel ligatur de (ubftare realiter, et vera (u(té tatione rcfpeQu accidétium, ac reali in clufione naturz communis, quz efl. fe «unda (ubflatia, non aot€ de tubttare in tétionaliter, feu fubijci in praedicatione . Refp.quod ficut primum Arift.di&ü, . quod prima (übftáta principaliter;& ma ximé fubftat; poteft explicari tàm pro pri m4;d pro fccunda intentionc,népé de rca liaut intentionali fübiectione in prz dica tione, ità etiam confe&tarium ex co de du&um;vt bené aduertit idé Io. de Mag. citdub. 5, vndé ex illo primo di&o tea liter intellecto deducitur hoc fecüdü rca liter intelle&um eo modo, quo demon. fratur i arguméio.(. quod deftradis pri mis fübftanujs dettruuntur alia omnia .f. patüra: comunes,& accidentia quoad eífe actoalis exiltentge, et ex eodem logica liter intelle&o,deducitur illud idem con tium logicaliter intelle&ü hoc mo do;quod cü bic có (ideretur prima (ubítà tia in ordinc ad (ccundas, et ad accidcn tia in ratione fübijcibilis, bac verà 01a in ordine ad primam in ratione przd;cabi lis, vcl m Ken 2 velaccidentaliter, quia relatiua pofita fe ponunt, et perem Le Deribit nnl fublatis primis fub ijs riecht denso S oidipis  . 49 Exquo patet modo fit yerü il  lad Aritt.di& defirudtis primis fübftan tijs,&c.tàm phyucé,g logicé, Dices,dc flrucis omaibus ; hominibus adhuc c  ll aR n mane:et anima rationalis, et matería, vé «corpus pro altera parte compotiti cum  fuis accidécibus, ergo falfam illud di&ü,, : E efp.Louan:cnt.ob id habent pro fu(pes. &o Es Arift. dictum, veluti tendens ad. animz mortalitatem, Alij e» plicant de totali.deflru&ione primarum fubftantia: rumjnemp? quoad vtramq; partem, quafi  Arift. apertis oculis agnouetit annihis . l:tionem ; Mairon, pallu 11.ad 4,ait,per primas (ubftantias bic Aritt. intelligere   fubftantias o€s lingulares, tam comple« tas,G incóplctas,quod fané textui fatis co fonü nó cfl. Facilis rame eft folutio, et ex. ipfo consxuco lige e NE ftlo quitur fimpl:cirer.de onmibus, quafi oía   prorfus interitura(intdeftru&isprimisfubtantijs,(edloquiturfignarédefecu nedisfubftanujs,&accidentibusqua(ub.eflentanturincis (vt.n.dicimusinPhyf, «oumpofitumeftadz quatumfübiedum accidencium, non matctia príma)nam per nt lhancpropofitionemiptendit Aril.demó  ftrarc dependentiamtàmfecundar | fláriarum, q accidétiumà primis,parum    auté ad hoc icfert,quod facta prime füb« flàriz dcftructione adhuc aliqua mancat Vh ;eius pars fuperfles, nam Dué mancat,fiué nomcertam cft naturá, quz in ipfa exta bat, paritcr et accidentia in ipfa fundar .deleri;quod dictum, ficut verificatur c mé in lub ftanujs integris peii, de qu bus rcucra przcipue illud pronun «iauit hic Acift.:tàcumomini veritate po. terit applicati quoque fubftantijs partia libus et incomplecis con(Lituendo,& di ftinguendo ctiam in ipfis primas, et fe,cundas iuxtà füperius dita, Quares, quomodo intelligatur aliud  Ari(t.dictum; prima fubftantia proprié ; principaliter, et maxime fubflat,d gá [. ponantur ille particulz JRefp. Orbcl. quod ponitur propri? ad diffeiéiam ac .Cidentium, licét .n. accidens polit effe fübie&tum accidentis, non tamen vItima té terminat cius depeadentià, vt lace ofté,dit Do&or 4. d.1 2.q.1.pomitur principa liter ad differentiam fecundaram füb ftanttarum, quz non (ubftan: accidenti bus,ni(i prout funt in primis, homo. n. nó dicitar albus, vel niger) nifi quia. Sortes, vel B. Vo  uu WEM. . m N Mos 4752 . " "as FEN : i |». sel Plato eft albus ; Et tandem ponitur 3 M. Bointsa oftendédá, quod prime fub | flantiz pluribas fübftant, quam fecunda, eh VE p yt T :".A "Wir Sec A1  Pairs cared quibus (ub . . jo fccunda, et cum hoc i pis fecundis. . $0 Quoad tertia fübflantia fingularis vuiuerfali cóparata dicitur prima fübftan tia, et magis osieimds erit quá m primitateim perfe ctionis im partici ando ronem fubftantiz, q nó haber fub  Au c nuarl3lie [ra Arift. in hac cap. ailtid Viliuvsaaisss  anth aam 8 À enius compararionis declárarioné re Wer. a T nep 1e €olendum eft ex di&is (übftantiam ità ap pellari,vef à (ubftando, quz eft denomi fiatio relatiua;vt ait Orbel. quia füb(tare fonat (ub alio ftare;aut alteri (ubelTe,vel vt inferius fuperiori, vel (abiectum acci denti, aut à fübfiftendo,qua eft denomi nitio abfoluta, quia (ubtiftere fonat. pec fe ftare, et nonin alio,cui inkzreat ; hzc e(t ratio effencialis (ubftamtia, illa veró i accidentalis, et iftam confequens ; fatio abíoluta,& effentialis equaliter có petit omnibus (ub(tantiis, cum a&qualiter . omuibus repugnet alteti inhzrere, vndé  ex lioc capite, nimitum róne fubti (tendi, non datur primiz,& fecunda fübítátiaynec fübftadtia particularis eft magis fuübftan tia, q vniueralis ; vndé minus rc&é ali qui &t.ex hoc capite .(: quantum ad ratio  neni fubíiftédi, aiuat fübttantiam prima effe aiagis (ub(tantiamsd (ecundam, quia erfe&tiori aiodo participat fübiiftentia, q (ecunda, cum partici pet illam imimedia té,(ccunía vero mediate, quia .f. ratio fuppofiti primó conuenit indiuiduo, et €ommuonia nonnili per indiuidua fuppo fitanuur. Minus redde hoc dicitur., nam vt rotat Do&or quol.4. M. et quol. $. V. et quol.9. A. aliud eítloqui de fübüttere pro p fe eiie, vt excludi imnhatrete, aliud prout idem cit,:juod incómunicabiliter pet fe cxifteccquod eit pro»riam füppo fiti,& petíonat ; quando hic fic compa fatio iter primam, (ccundain fubftan tíam; et quaritur queam cacum perfe €t.0ri modo racionem (übttanua partici petsquattio efe debet de ali quaratione, qua (ic ecriqscomanais, c n.tieri folec quacum; comparatio, in tora nempe : n oing. t j ed E ual Le dif [di is rimen ep female 65, tur fübtittere pro acórhutiicábiliter per fe e(Te, fubttantias primáe düritaxat com perat, ex hoc capite non debet dici prima in rationc fubfittendi;quam fecüda, et ana gis fübftantia, quam illi» . : 31 Potius ergo talisprimitas, et maio ritas attendi debet peincsdenóminati oné relatiuam fub(tandi, hec .& ratio perfe &ieri modo partícipari pót ab vna (ub ftantia, q ab alia, quatenus vna. füb(tare potce(t Dudbos pradicatis, ac magis in denendenter, q alia, et (ane in hoc fenfi Anft. primasfubftantias appellauit tabe ftantias fingulares, f(ecundas auré vniuet fales;ac illas etiam magis fabttantias di xit;ità colligitur ex ipío contextu, vbi fic loquitur,prime [ub[lantie ide, omni bus alij$ [ubijciutur y C alia ommnia,vel de ipfis predicamtur, vel in ipfis [unt y propter boc maxim? fubflantie prim& dicum ury& ex hoc etiam capite comparaudo adinuic em fccundas fübtt arias ait, fpecies effe mag s (ub(tantias generibus y nempe quia pluribus (abftant,d genera, et itd explicat Tat.cit.dub. 2. At (ubftantias fingulares cífe primas (ubftantias in hoc fenfu, magi; (ubftantias vn:uer(alibus potet adhuc dupliciter explicari, vcl realiter, et pro prima intentione, vel logicalitcry et pro fecanda. Primo modo fubftantia (ngularis dicitur priiha füb ftàtia,quia quoad actualem exi (tentiam, et phyí(icam omnia fundátur in ip(a, quia et natui£ communes, et accidentia ipfa 2» exiftunt ad exiftenuiam cíus,& ea. fublata ruunt quoad exifEentiam, quod infinua uit Arift. dicens, non cxi flentibus primis fubftanujs rmpotlibile cffe aliquid aliorü remanere j cum igicur fit bafis, et tundamentum, cut cete.a innituntur quoad exi ftentiam, optimaratione prima fübftan tia dicetur,quarenus prímó,& immediate exiltit, et nature comuncs (fecunda fübfiátiz dicécur,quatenus fecüdarió,& me diaté exiftüt,ad cxiftentia.(. primarürité magis (abitanti dicetur., quía pluribus realiter (ubfta:,d. commuüncs, juia eGenialiter includit naturas. coipmunes fuperiores, &accidentaliter plurima (u" fcipit accidentia;à quibus poftea median pit Ag tc denominantur euam f ; prima | jio. LI $64 | Dif».  De "Tradicamentis im parti;  z é 31 Alioautémodo .f.los;caliterfubftantiz cenfequens ad rationem effen2 Ns ftátia fingularis magis fubtiátia dicitur. j vniuerfa is, quia plaribus fub ftat praedi€atisloquendo de pradicatione tài cffentiali, d accidencali, et diciiur ctiam pri ma fobftantia ; quia in predicationibus accidentalibus immmediaté lübijcitur, et primarió, fccundz vero lübftantiz mediaté, et (ccundarió 1 vbi aduertendum ex hac prazfertim fübiectione in pradicationibus accidenralibus attendi denominetjonem (ubflantie, auia in prz dicationibus c(Tentialibusetiamaccidentia. Fubijciumturfuisprzdicatisfapcrioribus ;&excoyq:odeftlubie&tioimmediata," 2cindependens, diciturfübftantiafingolaris prima fübflantia, &magisfubflan1ia,qvniucrfalis,vndélicethomov .g.pluzibus(übttetaccidentibus,qPerrus;quiafubfitomnibusaccidentibus Petri,a caliorumfimulindiniduotum, ramen.adhucL Eetrusdicidebetmagisfubftantia, quamhomoinrationcfubflandi;tüquiapluribus predicatis(ubftat, loquendoetiadecflenualibus; tumquiaefló loquendo dc accidenralibus tantum; fubftetpaucio.yibus;adhuctamenfubftatnobiliori modo,nimirum propria virtute,quia imme diat &,ac independenter ab alio. homo au1€m. fübftat illis dependenter ab ipfis ;ndiuiduis,quz expofitio cx ipfo contextu «olligitr 5'v bi hac ratione diccbat Arift. anter primás(übftantias, et inter. fpccics vnam non cfle mogis fubftantiam, quàm aliam qoia zqualiter fubftanr,quod vtig; nequit cxcéfiué inrelligiquia hic homo; sel é homoin cómuni pluribus accidéti, bus fubflat,ac przdicauscffenialibus, q hiclapis, vel lapis, fcdjintelligit in (centu prefato, qj equaliter fübflát prime fubflantuz;quia vna in fübítando non depen dct ab alia, et pariter omnes fpecies [pecia Viflimz zqualiter à prima depédem fübftantia,nec vna dependet abalia, 3Scd obijcics,vniueríalia precedere fingularia ca prioritate,à qua nó couertitur. (ubfiftendi confeq. ergo debent. dici prima fubftanug, et fingularia (ccundz. kem $.Mct.2. ai nue Meri raid n:agis lubltantias.q laria « Tandcm ier ase acides ibus eil proprietas (ubtalem eiusquz cit lubhftere, ergo cui conucnit prius talis ratio fubflantie, eidé  quoq; ralts proprietas prius conueniet, at illaratio prius conuenit (übftantijs vni uerfalibus, ergo &c. Et cctté quantum ad: (ubftare accidentibus proprijs negati nequit fubftátias (ccüdas prius,& magisJub ftare primis, nà accidentia propría prius. cóueniüt naturis,& per cas ingularibus . Refp. ad 1. hic Arif.accipere primitatem;non eo modoy(ed alio Jogé diuerío, vt explicauimus,& notar Tatar. cit. Hot. 3. Ad z.ibi Art(t.loquitar fecundümentem Platonis ponétis ideas (cparatas, vt ibi communiter Es pofitores notant,prz fertim Scot. Ad 3.ncg.(ub illata minor y nam ratio fübftantiz in communi, vr cfk prz dicamentum a ceteris diüetfum, vel equaliter competit omnibus fübftantijs prmmis,& fecundis, vt dicebamus, quatenusomnibus ex aquo repugnat inhzrc« re;vcl ti aliqua intercedit analogia, pere fe&iori modo conueniet primis, quà fe» cundis, vt poté quz includunt totam Icctionem fecundarü,& aliquid amplius. Dices, (i equaliter cis coücnit ratio come munis (ubfi (tédi, ergo et proprictas fübftandi,qua ab ca dimanit . Refp,etiam(ü aptitudo fübttand: 2.jualiter ; imó prius. fubttantijs fecundis conucniret, aétus ta» men ipie tabítandi prius cxercemur in pri imis,quàm in fecundis, in quibusexcrceri nequit, ni(i mediate, ac dependenier ab illis. Ad illud denique de (übftare accidentibus proprijs,vluró concedimus prius cóuenire naturis, quàm fingularibus,, S. ijs conuenire medianiibusillis fed iam. di. ximus denominationem prima fubitantiz non attendi dcbere ex (übie&ione ad: huiufmodi prz dicara, quia ctiam aecidem tia fuüblunt füis vniucrialibus, ac eorum paffionibus mcdiantibus illis, led attendi ex fübicctione ad accidentia communia Addunt alii, qi immediata;ac i bati cue uenit Eesti g cdm vadit .9 quoad cíientiam, et necc ftcnuam tes e, conua fc haber » idco. «ew aj orent EMEND: FU "C" 7 enim ti(ibile realiter exiftit in homine, dud exile realiter in Petro » vcl Palo, ita Sanchez, Complut.& alij; Declaratitur proprietates, Q attributa exoc3 fubfl antt. 3 4Q Ex proprietates, vel attributa adícri pfit Atif. fubftantiz, vt dictü efi 1. p.Inft.quarum aliquz ei couueniunt pro ima intentione, aliqua pro fecunda.», quzdam tandem pro prima, et pro fecun da, quatenus vtroq ; modo explicari poffunt, folct.n. Arift.in his preferam pradicam. multa primarum inten'ionum ad mifcere in gratiam fecundarum, vt nimirü mclios difcamus iuxta earum extigentiam fecundas fundare intentiones, cas autern vocamus ét attributa, quia nó os conueniunt fübftantiz in quarto n;odo. Prima fubftantiz affe&tio eft in lubie&o non cífe,i: in nullo harrere fubiecto, fi explicetur primó intentionzliter  et hac non cit propria fabftantie przdicamentalis ;n quarto modo propri jquia a €onucnit o9 pro-(us fub ftantise Là. inHaken finz, tam complere quam incomplet, tàm ptimis,quárm fecundis ; licér:n. (ubftantiz fccundz dicantur de fubic&to,nó tamcn funt in (übiecto, quia natura nob inberet fuis ipferioribus, fcd potus illa contütuit in efic quidditauiuo '& torma fübftantialis, licet reciprarur. in fmarcria, et ab ca in cfle, et fieri dependeat fi cft materialis, nnnquam tan di€i poteit iij inhercre;quia vt Scotus do€et quol. 5.S.& quol. y. À. inhzrerce dicit ron per fe informare, nec facere per fe vnum, fcd facere vmum per accidens, et darc effe, vel a&um [ccundum quid alicui priori fimpliciter enti :at forma fobflantialis, vt per fc actus, per fe informat trateriam;dat ei a&tü fimpliciter;& cum €a facit per (e vnam ; partcs phyfica integrales (unt quidem in toto,non tamé tan quam in fübicéto,quia illi non ipbzrcnts fcd pouusillud coniticuunc integralitec: et tandcm hac affectio cóuemt. ctiam dif f. tentijs fuübflantialibus, vt ait Avift, intextusquia eque ipfe iphgrenc ei cuius Quafi. I. De prprietatibid fubflamis edre11I.. $65 funt differentig,(cd conftitaant in eíic (pecifico jac determinato. Ex quo fe« quitut,quàd licét ifta affc&tionó fit. pcopria fabftantiz przdicamentalis in quarto modo, cít tamen fic propria tiz in tota fuà latitadiaic, vt contcadilümguitut ab accidente ; falfum namq; efty quod inquit Tatar.hic,hanc affe&ionem Conucn:re accidenti feparato. in Euchati. ftia;quamuis.n. non fit ibi ía (ub:.eóto a» &uahiter, cft tamen a jxitudioalitet, dum autem dicimus proprium efk fübítantiz in (ubie&o non cí(le,vtroque modo intelligitut.Poteft ctiam hzc affe&tio cxplicari pto fecunda intentionesvt idem fit. (ub. ftantiam in fübic&o non effe, quod nom eife aptam de aliquo accidentaliter prae dicati, vtfapradiccbamus exponendo fecundó intentionaliter eandem particulam in dcfinitionc fubftanti . . Sed inftabis effe in fubteCEo male intcr affectiones recen(eti (ubftantiz, cum fit de ipfius definitiones et maléetiam cxplicari per lioc, quod fubftantia nequeat de aliquo accidentaliter predicari, cadi oppofitum ex profetfo docaerimus di(p. $. q.$. art. 2. Refp. inrer affectioncs teceníeri, quatenus eff negatio immediate fequens ad rationem politiuam fuübftai tiz, ficut paffio fequi folet ad c(fentià y vndé dimanat, et ponitur in definitione fübftantiz, non (ccundam fe formaliter confiderata (ed vt indicat, et circumliribit rationem politiam fübftantiz, vnd& fatemur nocificationé illá (ub(tantiz potus effe de(criptioné,quàm dcfiiiioné 5 cando autem difp.cír.q.vlt.di ximus pof Íc tübitantiam quoq;acctdentuliter prasdicari;loqucbamaur de pizriicari accidcditaliter per imodurb accidentis przdicabilis, hic autédicimus pradicaci noa poffe per modum accidétis przdicamentalis quia fundamentum huius predicacioni$. cít veta;ac propria inherent forme,que przdicatur, in (ubieéioy de quo pradicatur,quz inhzrencia fübftantrig repugnat » et in hoc nulla eft contradictio. » 3j Sccundaqua cóuenit determinat fecundis fubítanujs, ac ctam ad carum ditfercntias cxtenditut, eft vniuocé pr dicari de primis i, (ecundum ide nomen ; et ra$66 E em in illis etfencialiter inclufam ; «X quo patet hanc affectionem elfe meTé;nten;onalem. quia przdicari eft fe€undarum intemtiondm, et inrell'2i .deberede przdicatione figoata non exer€ita,non.n.in tecminisfecundarum inten tionum valct dicere » lub(tantia prima» e(l. (ccunda, bené tamen in terminis primarum, Petraefthoao;e(tanimal, eftpationalis; Vtautemhaecaffc&iofolumAn(ubftácjsreperiatur, dcbentaccipiprimz,&fecunde(abftanrieinrgore, namfifuséaccipianturproquacun:j; natura.»vniaerfali,velparticulari, camhocmodopoffintetiaminprzdicamenusaccidentiumdiftribui,&a(Tignari,vtart.prz€cd.dub.1.diximus, potecitconfequen1ethzcproprictasetiamadvaiueríalia2» Accidentiumextendi, cumipfaquoq;de fuis inferioribus vniuocé prz«dicentur, vt di&um e(t 1.p.Inft.tra&t. 1.c.6.at rc(pc&u (uerum fubie&orum;eftó poffint effc vniuoca praedicata,.quia dici poffunt de eis (ecundum idem nomen, et rationem, vt conflar.de albo ref pé&u niuis, et papyri, nunquá tamen poffunt vaiuocé gra dicari, quia talis conceptus non incladitur e(fentialiter in illis, wt declarauimus diíp,2.q. 6. art. 1. quod alij dicunt pofie de illis praedicari vniuocé. accidenpi e eücoridier x : 36 Tertiaquz determinate conuenit eta Lor rv iat hoc aliquid.i.igni ficare aliquod determinatum, et lingulare non vlterius communicabile, ad differentiam (ccundarum » quz. figaificant quale quid .i. aliquod. indetetminauum voluecle ; et communicabile pluribas . Neqae hinc inferas, genera ; et fpe€ies in qualequid pradicari conrra dicta in difp.g. Nam vt notauimus in Iaft. non famitur hic quale quid in ptzdicamentis,vt (imebatur in prgdicabilibus ; quia bic (uautur, vt contrad/ftinguitur ab boc aliquid, quod (ignificat (ub (tantiam ità per fe exiltcotem, vt poditdigito demóÍlrari dicendo, hoceit aliquid; € contra veró quaJe quid (ignificat lubaantia. vniuct(alem aon per fe primó, et iinmediaté (ub (tencem,(cd per primam fubítan. tiam, in quo vidctur habcre mo jum quaT Difp. VII. De Pradicamentisin partic... litatis,qua: nó pcr fe, (ed per aliud exi (titg potcft etiam E BACEEA fub ffir figals ficare quiequid,non a&iué, vt differens tiay fed paffiué, quatenus fi gdificatinactram vleerius communicabilem., et qualificabilem per e(fenuales differentias, "Vt autem hzc atfc&io fingulacibus td» tum fubítantiatim conueniat, cum dici« tur prima fabftantia boc a[iquid figni care,non fufficit dicere, quod fignificet aliquid determinatum,& vnum numero s non alteri infcriori vlterius communicabile, quia in hoc feníu etiam fingularibus accidentium conuenire potcft, yt diximus in Inft.(ed addere debemus, quod illad determinatum,acnumcro T | fignificat, ità fit incommunicabile, vt alteri nequeat cómunicari,nec vt fuperius inferiori, quod cít e(fe incommunicabi le, vt quod, necvtformafübiccto, fiud  fubftantialis, (ind accidentalis, eit. e(fe incommunicabile vt. atio. n.(i : politi " quod hi: Ariít, imcelligit per pris roam fubftantiam,yt notat Mair. paíT.1 1,nam ipíc nondiftinxit, vt nos Theologi, inter fuppofitum, et ngulare fubflan  tig)confifticin hacdupliciinoommunis   «cabilitate, vt quó ; &vvtquód, ytdocet Scot.1.d.2.3.7.$..4(d primam queft.Düautem  dicimus primam fubftantiam hoc   aliquid fignificare, et fcciüdà quale. fumitur prima, et (ccunda fubftantia &cntionaliter, ríon.n.folummominibus;   Ícd etiam intentionibusconuenitfignificare res feu effe (igna rerum, alioqui £4 (umantur primó jntenttonaliter, tunc, yt ) notat Tatar. actus f/gnatus capitur A a&u cxercito,vt (cn(üs (it prima fübftan tia lignificat hoc aliquid.i.eft hoc aligd . Quarta, quz cóncoit omnifubità tiz,non (olumdirecté, (cd etiamlatera  liter ; acindirecté exiftenti in przdica  ? mento,ett,noa habere conccarium, quod quidem intelligendum ett de contrarieta te proprie dicta, qua verfaturinter for mas politiuas übi inuicem oppofitas, et ab codem (ubie&o fc mutaó expelientes,  vt funt au umPladas qualitates ; hoc.n, modo nulla (abitaotia alceri opponitur quia cito vna forma fubitantialis à matc ria cXcludatur per aducnium alterins, nó  idur.  e yu  CREER 7 a sd Que A. De proprietatibus fubfrdmia: c/fotIT. idcircà cótrariz cenferi debent, quia c8. trarietas eft (pecies oppofitionis, at inter formas (abftantiales non: vcr(ator repu ia oppofita,(ed tantum diíyarata s [m qua duplici repagnantia vide infra. difj.9.q.1.art. 1.. ) nam abioluté loquen, do forma füb(tantialis non decetminatam: formam excludit, et magis hanc ; quam illam, quod ad oppofitionem requiritur fed Qué excludit omnem d; (paratam 5.& € quacunq; codem modo íncompotli bilis eft,& non magis cum vna;q cü alia;; Quod á dicas, faltim formas cicmenta tes lic opponi,nam forma ignis magisre . t cífe«um forma aquz, Q.aeris vt €olligitar ex z. de Gen... Ref. forma: ignis fecundum fe (ümptam z'ju& in ca denr máteria repugnare cü forma aeris, ac cum forma aque, dicitur tamemmagis pugnare cam hac;quam cum rila, racione qualitaturs illas formas: infequentium ; quz veré,& propri& inter fc comrarian tac Ais, qualicates itta ab iplis: clemen torum fübítant;js dimariant ergo prius iu ipfisslacontrarietasteperitur, d. dcin de paci. Ref: cum Tatar hic 4.2« it (ol.ad 5. prin. g» cótrarietas in etfc&ti bus. nom arguit femper in caufis contra. fietarem focmalem (ed rátum virtualem,. et radicalem, qu& vltró adanctimus in ele mentis, quia vt ait Tatar. aliqui hibere conttarictacem victualem non eft aliud, Q illud poffe contraria producere «. IKkur fus quamuis priuatio veré opponatur for. ma (ubftantiali, oppoiitio tamea noa eft contraria, féd folum priuatiua, cum priua tio nihil reale pouiuuay yorat. im fubic &ooppofitum formz. Deaunr ncq;dif fctenug fübitanviales idea genus. con dinidentes propt € dici polf'anc cótrariz, quía nom infun: gem ri, veluti conum fu biccto,à quo vt fiam fe potfinc exclude fe led dicun:ur coacrariz, quatenos fant primo diuería: ; cx quo patet erratle Ma ir patfaü 16. dum his rationibus conuictus fiacuicin lübttant/js veram  contraricta tem; ita |; de cont: arietate Fus? lumpta y m arum vel pro nobili diuertitate  et incompo libilizate atit pro oppofitione pruauua explicandus ett Arift. cum 1. Vuyl. go. ait iv omni genre. vnam cflc wA  $67 contrarictatem,& 10. Mcr. 24. differens tias (pecificasfubftantiarum e(fe contra. rjas;de quo vide Ant» And: cap; de fübft. quomudo autem hatc affe&io: quantitati quo; conueriiat dicemusq. feq. Quia, qne Er omaiilteirie el uenit cft non(ufcipere magis et minass vt accidenuia,quia velconfideramus fube ftantias quoad rationem ipíam commue nem.(ubítantis; prout fübftaxia dicitur, non quidem à (ubftando, (ic .n. vna (uüb« flátia dicitur magis (ubflátiay q aliayuia heccft ratioaccidentalis, fed, vt dicitur a fub(itiédo,vel pcr (c e(fendo,& fic vna (übilantia non poteft dici magis fübttan tia, alia; vt Scor, docet q. 1 $.predicam, propé finem, nec cadem (ubttaatia in: fe potelt dici modó magis.» modo minus fubftantia » ficut vanum album eft magis: albuar quàm aliud, vel lodié infe ma gis album, Q bati, vcl etiam confideran.turfobftintig(ccédumrationes peculiaresearumy.&ticneg;fubflantiafufcipicmag, s, &, vnus.n« homo: noncitmagishomo, quamalter, necidem: homopotcftfaccefTiuéfierimagis. vclminuslomo;vteueuitde: accidente, Pro:;acintentionis Ari(t.no,d.17.q.5.formàá.fufciperemagis&., Q.ipfambaberelatitudigemquadam, quaelacitadoaliud non eft., quammagnitudo: formae, magnitudoautem: formaduplexefl, vna(ecundumquampluresfubie& tpartesinformat, &diciturmagnitudoexcen(ronisproueniensexlatituriineen. uitatiuaformz; akerafccundüqipfafotmamáior, autminorcítin(cipa, Scinuaeeadzmpacte (ubicéti, &dicitur magnitudo inten(ionisproucniens ex latrtudis. ncgradual: forma; gradusautemformae duplexettex Do&.ibideXXosoditaciuus, &fecundumiftumgradum effereami mindiaiibi Ticonfiflic, quiagradushuiufmodiaddatur, vcl(birahiaturymutarut[pecics,non.n.cltmáipfas.metdifferentia(pecibicayquazioduuifibisliter(pecieconjuan jbeacaiebatArif2$Mcr.10.rcrumc(eniiasfchabere, venumeroS, ju:busadditavoitace,velfub .tracta [ratumcilenualiternumeius. iuratatur;$68" Difp.VIL.De" Predicath entisinpartie...tatur;altereftgradus perfe&ionisinditidualisquz eftquedamrealitas formamatavniricumaliarealirateeiufdemfortmzad integrandamvnamformamaalemfic, vclficintenfam. CüigiturArift.bicnegat (übitátiáred defubflant'a (ecundumgradumpecificü,fic.n.neq; albedofufcipitmaier magis albedo albedine, vt dto,atque ita per hanc proprietatem nó «li ftingueret Arift. fübftaptiam ab acci dente;vt ipfe pretend t;loquitur ergo de ipfa praefertim fecundam exiftentiam in indinidüis, et ait etiam in hoc fenfa non fuícipere magis, et minus; veram non ita abíoluté loquitur, vt ex hoc loco vidca tur penitus przcludi via tuendi fubflan tià füícipere magis, et minus quoad gra dus indiuiduales, vt putauit. Mercen. in fuis dilacid. nam potius videtur compara tiué loqui, qj nempe et quoad iftos gra. dus magis, et minus non füfcipit,vt quali tátes,quia albedo v.g.vel calor fecundum exit entiam ita füfcipit magis, et minus, vt paulatim, et diuilibiliter acquiratur, ec 1ntendatut, et acquifitus remittatur, ya quod fit modo magis, modó minus in aeníus; at forma fübítantialis (6i habet bonc graduum latiudinem, hoc .n. difca tere non cít praríencis ncgotij) plané non habcbit,ficut forma accidentalis,nà to a fimul fecundum oés dicetur induci, et femel indu&a,non amplus fuccetfiué in. tendetur, vel remiuetur, fed (emper com €is permanebit, quoufque corrumpatur, boc .vt. modo Scotiflz quampintcs dc fcnidvot fab(tanriam (afcipere magis, et minus ex Dodore 8. Met. q. 3. vt Faber Theor.;$.fedanfalicitcrfuolocovidebimus;Scotiftznàq, nonignobilestuentur fubflantiáneq; hocmodopollema,gis,&minusfüfcipere,vtTatar.in:hoc€ap.q«2.dub.2.Barg. 1. d. 8$.q«2. $. 4d «liud de attributione.. Maior paffu 17. Caucl). im Anim.difp.1. (c&. 10. et alij, Quomodo autem hec affeGio ctiam quantitati conueniat dicemus q.feq . .40 Sexta demü, ac vlrima proprietas ef; quod (ubitáiia vna  et cad numero eft córrariorü füfceptiua fucceffiuà, de n eft d fficultas, an competat foli fab antig,& omni,nempe tam prima, quá. fecüda,communisfteré opinio Scr j €o quia céfer banc cffe proprietatem fübe  ftantiz przdicamentalis in quarto imo do, ac proinde cum ea in tali latitudine. conuertibilem, ita .n. communiter inter prezantur illa Ari(t. verba maxim verb proprium fubflantia, &c. ita.Au&ores paffim przfertim Thomi(tz Caier. Sot, Maf. Sanch. Complut. et alij. Alia opin negat effe propr in quarto modo, quia. nó tantum competit (ubftantia: predica mentali,(ed ctiam extca pradi nam anima feparata recipit accidentia ae. cótraria » ac etiam materia prima y rüríus non folum comperit fubftantiz, fed etia. quantitati, eadem,n. fuperi cies modo  cít alba, modó nigra yndeait Maior. paf fu 18. quód qui vult hanc proprieta ? feruarc, debet tenere. ualitates contrarig immediaté informant (ubftan: tiamficut quantitas ipfa "mo Scd media viatenendaeft,quod nimi     ram hac proprietas foli vrig; ful bfant Nco conueniat, non   [miei d prim: dumtaxat, atquea lius tantum erit. propria quarto modo, itadocent ex Sco.    tiftisquipluresin hoc cap. Delphinzs ;.    Io.de Mag Au. And.«ui piOurX ; quod cum Arift. ait maximae autem p prium [nbflantie videtur, ly maxime accipi debet nominaliter, non adactoia liter,nimirum pronomineadicttino ; ge  €onítcuatur cum illo geniuuo fubflus« « uj vt fcnfus fic maxima fübtlácix. t. pri.  mz fubftantia eft proprina;&c. Vt. aue, tem hzc affeétio (oli (ubftanriz conue niat,& non etiam accidentibus, non tan» tum dc concratijs refpe&iuis inielligene, da eft,(cd dc concrarijs abfolutis praster tim, vt norant Mair. paífü 18. et Io. dc Maz. hic $.5.$ciends,conuaria.n«tcfpe &uma fafcipit oratio, cum cadem perícuc rans ex aliqna dumtaxat. accidentali 3 riatione traníit de veritate ad falütatem y. aut é contra ; et boc fignificawt. Arilt, ipfe, dumad banc obiectionem de ora tione tefj inquit, orationcm elle fuccefliue capacem verjtaris, et faltitae Sta k € $ iE D  PA A t Mat Quafi I De preprieratibus fubfanti.eAytIT. | $69 isnon per mutationem (ui, fed rei, non ym. vul: negare, Q» etiam aliquo modo in fc non mutctur,icd (olum,quod nen mu tatur co modo,quo (übflanua,cum füfci pit contraria: ipfa .n. per folam fuiamu tationem contraria (uícipit, ncc neceífa 110 f(upponit. mutationem alterius, quia syoutatur mutatione ad fe recipiendo con traria abíoluta : at oratio contraria fufci 1 mutationem altcrius, quia muta | so angit ad aliud ceci cótca ria reípeétiua, vt funt veritas, et faliitas. 41 lIncelligenda eft. etiam de fübiecto vltimato, ac prorfus independent, nà fic excluditur quátítas cfto.n. pott et ipfa fufcipereconuaria abíoluta, et per fui gütationé, nunquam.tamen ia recipere ' poteft, vt fübicctum vltimaté rerminans corum dependentiam, fcd rantü vt fubie €tum proximam, et minus principale, vt €x profctio Scot.docet 4 « d. 12. q.2. quia Ficét in quantitate iamediate. recipiatur albedo,calor, &c. tamen quia etiam ipfa nancitas eft accidens, et eadem depen ia dependens, ac qualitas ( et idé di endüef(fct de inrelle&fa recip;ente fcien tiam, et errorem, íi poneretur accidens realiter ab anima diflinctum ) non poceft illa (uftemare, niti bencficio (ubftantia fuftentantis ipfam, qp licét actu non pra ftet fübflantia in Eucbariftia, przítacurfamenà Deo fuppléte vicesillus, et actu fatentantem quáxitatem in gencre caufa efficientis : vode (emper vcrum e(t dice re, quod quantitasab alio (u(tentata. fuü fleniat, et in virtute altecius, et quamuis incali flatu a&u non dependcat ad (übftà tiam, vc ad lubieGum inhzrlionis, adhuc tamen dependet. apsitudinaliter, et idcó m dici potefl. (abic&um princi palc, ac indcpenders ; vnde conítat opus non cífc, vt aicbat Mairon. ad (eruandam hanc proprictatem tencre, quod qualitas immediate inharcat (ubftantig, ficut ipfa quantizas, Nec minus acgare quantitatem mediare inter fubitantiam, et qualitaté, vt fabic&um quod, et rccipicns, (ed tan ttim vt fübie£tum qao, et rationem rcci paendi, vt ail omplut. difj.12. q. f et Lo.de S. .1.art. f. Nam quana tàtem veré effc tubicdtà. q«od immedia logia, NS um aliorá accidentium per quod fuübfti .tiz inhazrere dicuntur, fusé monflramus diíp. 5l hy(.q.3art.1. et 2. neque hic af fert Cóplat. pro parte oppofita aliqui n €x ibi dictis non mancat perfc& olutum. Tandem bene ét dcfend: poteft hanc proprictatem covuenire folum hu ius przdicaméti (ubflaotijs, quatenus conutuir; niti iliis, quz (unt directe, vcl faltimreductiue in ipfo, vt [unt anima, et matcria prima,& corpus pro altera parte compofiri; vel t sueri velimus (quod crit difficile) conuenire tantum fobilàcjs di scéé in ipfo repofitis,negandü eft mate» riam primam effc fabicétü accidenrium, vt nos late tuemur difp.3.Phyf.q 1. Cor» pus auté,& anima rationalis, quando sü£ feparata,nó ampliuscenfentur partes, fed tota, et habent quati rationem fuppofitiy et idcó bene potfünt accidétia fuícipere., 41. Quod veró non omni fabftantiz huius predicamenti cópetat, (ed tanum ptimz, quod prater Scotiftas cir. tencng Ammon. Canter. Didac. Ruoius, et alij Prob.in primis Arift.teftimonio, qui mi mimé docuit hanc proprictatem eíse có muné omni fubflancg,(ed dixit efc ma ximé propriam,vt (ok fubflantiz ill3 tri buerct,& accidentibus negaret, quin po» iius c xpre(Tit conuenire (ubfLantig, quae eft vna nuincro, bac autem cft fola pri ma fubftantia, Nec valet folutio Tatar. hic in (ol.ad p uz eft communis Thomift. quod licét (ecunda fübftantia, Íecundum (e nó fit vna numero, bene ta men denominatiué, et per accidens dici tur vna numero, vt ipfingularibus repe ritur. Non valet, quia «um talis exiflétia numeralis (« necetlarió requi fita,vr fubie Gum dicatur realiter contraria in fe ve« €ipere, plané (i natura, (cu fecunda füb ftantia (ceandum fe taliter nó exiftig;, «3 tantum pez accidens ex conun&ione c diffcreniia indiuiduali, ic neq; per fe di €ctur «ontiariorum fofccpriuayfcd rant per accidés. Neq; fatisfacit, gy al j dicüns illam particulam (am vnam» 7. 1dé nie mero fityidem fonare, ac vna, et eadé nue mero períeuerans, quo [cnfu poteit ét ta« lis vnitas (ccundis conacnire fübflanujs, Quio, vt diximus; pcr es vbum numero y m vU  ETAT Te   UDfg VU. De "Pelicanientisin fatti... dititeligie fisgalarem fübüftctii qua ome "finó neceffaria e&t ad (ubieclanr, inquo eóttrariarecipi dcberit y et non fola períe süctantià (obicéti qualitercir]. esi(lentis; o Ratione idipíam prob.quia Aríft.do €uit hanc proprieratem conuenire primae fübftantix ob eias (ifigularé modi cfien. 4, et (abftandi propria virtute, ac indc. pendenter abialio, et ide negauit con (cniré orationi, quia fecipir.coptraria nó "per marationé füi5fed altcrius, at fecüda ftantie nequeant hoe modo cótariz Tccipete, (ed tantam mediate, et depen denter à primis ; quod non fufficit, v eis «ilis próptiéta$ conuemte dieacur ; alio Quir etiamoration y et alijs accidentibus Opetére poffety quia et ipfa poffunt re« vipete córratia in virtute altcrius, ac dee pendétet à prima fabflaiia,ergo &c. Ac cedit;cuod fi hic proprietas nonconue mit fecüdit, nift per ptiRas, ergo re vcra folü cft proptia prima tubflanuiz, et cü xa tonoertib;lis.euia proptietas lolum cü 6 conaertitut (übicéto,cui pra. 0,& im tfhédiaté conachit, don cor cóuenit me idiaté, et fecandarió, vt patet de rifibili Tefpcétubofninis,& Petr, vel Pauli;  4$ At dices,fufciperc cóttoria nil alind «eft; d fubBare conirarijs; fed fubftareace tidentibas eft afie&tio: fequés fübftancia pé&dicon entaletn, vt fic ; cx Scot, cit; 1; €l/8.9:3. 6. Teneo opinion m; crgo faíci pere cóncatia hon tstÉrüm prima, fediit Kfecanda cotüeniv fob fran. Retp.cda €tdédó min. fi (obflore lurhatür qnocüg ; hod fiac media é,1.06 immediate, hind depehdenter ; fii€ iodepeadenter, vndé  "étiatu ?v hoé fenfu eoncedi dcbet habc Bréprictatem edat fecunda compewere e, vtbené Roujus.adhotat (ed fi fübttare famatür proprie, princi ter, et tiakimés(olüm peim& cottpe« (übflatitizs fica pati, fi cobtraria tccie peretüm atar pet fcj?e indopcadenter, vt Beirat 2b Arift. folom, prim comperit füb frd is $0tandüm tamen eft, ey pro« priccas (ofesprendi CÓttatra homdicit de fictéc fob etis im vota faalatitodine, MU 6n folum dicirüctefpe &tu vtalfoioi fedus in ecdiaead prt i 'eveita Lpuierag et proprias pa (Tons,  X x 5. oc PR. quibus omnibus fubftat. prima: fobflast" tia s bac autem proprieta$attenditurío,   lum penes contraria accidentia, quibu fubitare poteft independenter:    55. Vtaurem hac affectio: cuicárgs primar fubftantia conuenire dicarur. non:cft nes €ctfe, ep (u(cepriua fit (uceé(liué omit.   coniiranoruim, fed fufficit aliqua poffe fue fcipete fecundum conueniermiamfug: naa ture, itaquod efe fufceprutam 2 tiorü indcBnit€ (umatür, neq; debet irà intcliig: de contrarijs abfoluris,:& ptos prie (ümptis, €t prorfus refpcétiud exclu daritur,& minus propr: é dida; Ex. ' caelis, et angelis necetíe ett " trare(atém qualitatomactiuapü A pàfa   fisaram, vt bene hic notar Orcbel.ícd. fier aliquam a(fignare, cui itideper | terfoübRcar.Et candem cumrdicimus$(abafrantiame(Tecontratioruattiuar2sfuecef baé,valiéwotandu meft.quoddo €et$co.4.d.49.q .13.$:eg,hocL L:»nondeberei nteliigidequibuf cungsconatrarijsac ceptisfecundumnut mecum,nec.déquocan gqseodemfecanidumendfed decomcrarijsfe cundumfpecie€cptis,&decodemfecundumT&tideeodemfccundummiy nomomni,fedaliqno;quiatüncvilium(bid étumdecerminaret(ibaltetoriorum,oconitateidefalfum;gideterminatuseftadcalorés.:efauitDoctorq.15Pciidicam.infine, aitjidebquaimcunqsfübftantiam:dicicGattariotum(afícepriuamyquianuliafubfÜe:tiacx ratione(ubftanuaprohi betuccó« rraríafufc ipere,licétaliquaexfudproeptiá formadetermineturad. Vnücontrastramfhe commadicrdcbuerücprocóeletatiot itiahumuspfoprictaus,qaarcuhintentiotialitctpotcftexplicari4vciludsdicaturcóirafia(ulci petedc«juoprardáecatacóttatía(ücceffruéverificaripoísüteHyeyio$uedog quimsQv£AST IOIL $1»"aiainul!t7p ni:b»be Qrdntitalec. i346n«B44(xVabtitatémol is, quehoeptadeCoWdcamerkumconitmuisciedésteah cerdifiaétüaLubtta ea6fl«nabingisóm nium(cnías.con; tdiNe«.num[!".de'poten Nopind es, &uiaidfuseprobamu sdifp.9.Phy,q:art.2.nibilhicfup erc(taddend amadibidi &a,nifipAtr iag.nuper timàdifp.s.fec.xtenetquantitatcfondifti nguiàmatetiaprima, idquetuc fürpeculiariquadamvia,etiamàNosninahibusdiaetía, fedcertgminusfelicitet.Vt.n.refpondeatadilludincluctabicargimenta;quan títa$ partis (eparata manet ab cia(dé (ub. ftantia, cühoftiaconfecráta nequeat c A lio corpore compenetrari: » qui eft effe &us quát itatis, qug corpora exteadir ad impenecrabilitatem ; ait, quàd licet ma feria recedat ex viiconfecrationis, ma: fient taletía ieationes ciüs,qug proti mé: fündànt mmpenerrationem; quatents natura faa fant mcompoffibiles cum alijs «bicatiodibus alterius diaterig. Sane hoe eft contra cotmunem: doótrinam ceram m Socíet atis, qi modos (de quor(rnu vbicstio apnd omat m' à re wbicarà diftingwentes ) patfiei docent ef fe infeparábilesà rebus ; quani fuat mo  di, et per hoc modum à rc dittingunat, di Z eius e(tentiam in hoc có(tiraum ; femper fitaffixusrei vom   a rer in rerum natucaexiftere poffit eiaga Dci abfcluta, Falíum ctiam eft ibicationem fórinaliter, et  ptoxidie fondáre impenctrationém, quia cüdic rie que Des poffcr dao corpora in'eodélo  £ocoinpenetráre, quia vnumquódq; faà petit vbicatióncm numcericam,nec vnum poteft in loco conftiui per alterius vbi Cationem aut ambo per eandem;vt oíté dimüs difp. 11. Phy(.q.5.arr,1.agnnos isi tur hic de quancirate, vclut dé accidente à: fubftantia realiter diftin&o ; idq; modó fapponiaus cum communi ; cótra quam licec.Poncius difp. 14..Log. n. $9. argu fnentüm proponat, quód ei videtur yal. dé difficile, áttamen bené percepta quá  titatis elfentia; prout diftinguiturà fub ftautia materiali, ex bic diecndis, et in Phyca loc.cit. facillime'diluitar; fala eníai affikmit; quod quantitas ex fui maru ra nofi hibeac faa eot«tate abfolata partes fias extraj(é  Anuicé cum proporuone. ad. paccesloci.: precise, et fovdialíter ex Quat: Y De quamitiledfola] OE!   $7 inipenetcabilite? sed hoc habeit ex r& (pe&tibus vaionis rater.pattes adindicé s quia fimiles refpédtas treperiuncuc intcr partes (ubfkintiz Gae cili. impcenetrabi Hitate, (igaumeuidens banc prouenire à pattib.is quantitatis vt c ; Quare auc Acitt. immediate poft (ubttaucam teit Éct de quaatt tace ear praferendo quá. htati,qdie rémen digarot videcur, et tio biliot, vari rationes ab Expotitoribus dt féruatur, catimen precipug eft quà reds d.t Do&. 4.d. 11.4,5. F. q od cum Arift, (ülstadtiam cotitide auecit in rone fubz ftandídceiden'ibus ca.a in hoc muere qà inifis migif [ioftantiá imitecury qu quabtis, et fit fabRaacie propidqaiof fecànduin hapé rationem, quia e(E. pro. ximuin, et immediatum fuübiedtam alió fum aceidencigim, Bac de cau(a po(t (ub fantiam imipediaté agit de quantitate,   JO 29 Seu 2»tt Bi s ARTTICYVLVS.E ? un quantitas gostinua, C7 di feret fai vere. fpecies buius predieamegti . ay. E quáátitate cótingà deno vtm sut cen € y& roa id (peciem' huius: pratdicdasedtí y qai Plo ctt LIN dn rieui] petat t ac £ideas à [ubft stra diftincbini, preferrzay in Vy qeu tr iis venir ed tci püé eft, «quz babet parten eerac Bireéh, nedui entitaciue y fed et (icaaWa tet, et impenetrabiliter y vnde'tórporíbas inhzrens illa magnifica, et extendic ad occujandum locpm ab altérius corporíg Joco diftihctü, at proide d:cirárquasa  ritas mólis, et magnitudinis j imó anto foquendoip dante cgi Ton iin oquendo ipfa datur inteHigi. To cültas Deoolsitaf ád quantitate dif ctecam,qüg eft nurberns, &óratio, .n;ncgát fiumerurm effeens, et aca pet (e vnum, qain porius effe apo ri& multorü (ine ali o'vitiéuló, vene adinüicem, iegeten ep prie fpeciem huius priedicamentis valga rite? tf é&feri ralem ob» quaddam a tixeirs quá habet éüboc priedicamentó et inalogiam,quamdhabet dd quácitate c9rinuatu; ica NNomipales omnesOcbá 4 X3 3 d.14. "d E $72 d.24.q. 1. Greg.ibi q.z.ar. 1. Marfil.q. 27. att.1. lehiondaz. q.2. feres tod quam acriter ex Recentioribus defcadür quamplures Conimb.c.de quantitae q«2. att r.Suarcz d.41.Mct.fed.1. Fonícc.s. Mct.c13q.4. Aucría q.18.(ect. 2. Blanc. dilp.10.Log.(c&. 1. Mori(an.difp.6.q.5. et alij. € contra vcró, qui faciunt numerü ens aliquo modo per (e vnum, conícqué. €cr reponuot in hoc przJicamento, vc veram cius (peciemyita S.Tho.t.p.q.11.att.1.&2.&q.30.att.3.€ThomitlzcàmuniterCapreol.Caiet.Soncin.Iaucl.Niger,Matius,Sanch.Petron.Complut.Io.dcS. Thoma; idem tenuit Scotus 5, Mct.q. 9. et Scouftz Tatar. lo. de Mag. et alij Parificníes in Przdicam. quant. Ant. And.Zcrb.Faber, et alij .Met. 46 Dicimus, quantitaté di(ccetam nó efTc veré (pecicm huius predicamenti, quia nec numetus;nec oratio (unt aliquid pec fe vnum, ficut exigitur ad hoc, vt ali id in przdicaméto reponatur.Hzc có dloapud 005 efl tà cetta,ut quando etià Scotus,& Atift. ipfc oppofitu fentirent, adhuc ab ca reccdcre non dcberemus,tà tà ct cuidétia rónum,quibus cóuincitur . «tamcn defunt pro ea Arift. Scoti, et Scouftarü teftimonta, pluribus n. in lo. €is ncgat ckpre(sc Arift. numerü cífe cns prés sausyagans Mad lara exci, et xnitatji cogetiem, ità legitur 3. 68.5. Mer. ox lib.«o. E et auct Auctr, 5. Phy(. 68. Scots autem quamuis oppofitam tenuifTct (entétiam, tunc temporis cómumis crat, q. 16. icam.X 4.Met,q. 2. lib. $.3.9.po fica tà. 1.d.14. q. vn. manct problemati €us, ncq; pro hac, yclilla parte vult (co tenuá ferre, cd ilius dubij decitioné pol  licctur,quando «a&abit dc numeris, nec. fc remittit ad ca, qug de hoc dixerat in Met. mos auté Do&oris cft (c cemittere in lib.(cat.ad ea,quz dixit in Merz. cü illa. acceptat tanquam yea et confooantia cü di&s in libris (cot. et idco cü in propoli to noh le remittat ad.ca, quz de pumero, docuetat ia Mec. certum eflc deber non. firmiter adhadiTe illi fententia ; et quide €x lib. ícat. potius colligitur (enti o. ; In 4« d. 3.2. 2.ad 1loguens de Difp. VII. De Pradicamentis ihi partie,   oratione, manifcflé docet n6 effe ens per. Íc vnü,& d. 12«q.4.T. loqués de diuifione cótinui, ex qua rcíaltat numerus, ait per talé diuilionem (preter indiuifibilia ter»  minantia) nibil pofitiuum genctari de no. uo,& ia partib.nóé fieri ni(i trá(mutatio né priuatiuá, quatenus acquirunt effe pre cisü,(cu difcétinuatü vnius ab alia, quae przcilio,& di(cótinuitas nó cít, nifi nega tio cótinuationis, et cóiun&ionis vnius partis cü al/ayex quo manifefte coll:gitat in sététia Do&oris numcrá nà cffe verü accidés per fc vnum vnitatibus quátirati  uis,cx qu bus cóponitur realiter faperade dici :cü igitor iu xta regulà initio Log.tra ditá tuert nó ceneamuc opiniones Docto risin Log. vel Met. quas in libris (ent.vbi maioré facit au&oricaté,vel retractauit, vcl (altim in dubiü reuocauic, ideo in hac tc opinione deferimus;quá illisinlocis do cuit; et cà amplectimür, in qu&expre(sé inclinat inlib. (ent.pr zfercim qui. pco hac parte non de(unt Scoti de oratione id tenct [o.de Mag.in hoc prz« dicam. et dc numero idem (cutire vide wr cn tur Canon. 4. Phyf.q. f. act, 14 Baffol. t, . ; de iort e o à et Paulas. i.   8 po! ptoribidem,&cxReceatioribus. nos Poncius diíp. t tiber oes : 47 Probanur tait Los BMC UA nqi ti a(fignantut gradus vnitatis, trt deed Do&. Lag HLIREUNG pe nitur vnitas aggregationis in 2.vn:ta$ Or« dinis,n 3.vaitas per accidens,in 4. vnitas cópoliti per (c,in s. deinü vnitas timplici tatis (ed nó vidcturquiná gradas vaitatis poffit numero tribu; à pacte rei,nifi prie mus,vel ad sümum fecuadus, quatenus à, patte rei datur aliquis ordo inter res nus meratas,quádo népé rcs ip(e habét intet fc cóncxioné vcl (ubordinationé quàdam Quantum ad locum,vcl tempus,vel digni" tat, vcl caufalitatem,aur alio modo;cum. igitur ncuter horum graduum lufficiarvt aliquid (ic vnuin ponatur in prgdicamzn tojalioquin, et cumulus lapiduai, inquo reperitur prima vaitas, et reípublica, aut €xcrCitus, in quo repericur (ccunda, in prz dicamento forent rcponenda, coucluden dum cít numerum non conltituerc verá fpeciem huius pre dicament, » " in quarto gr    Quaft:H. De quantit are diferéta . ri, T. ' 48 Comi (unt müki tribuere numero vnitatem in quarto gradu ( nam ncc ter tius gradas fufficit) a(figna'cs in eo vni tátes matetialesqua habeant rónem po tenti, et mareriz, et vnitatem formale, «t illis aduemiens per modá formae có. ftituit ens pet fe vnà, ità paffim Thomi ftz, et Scotifiz oppofitü defendentes, ui tamé pottea nó cóueniunt in affignà di hac vnitate formali; Thomifte namq; hanc vnitaté formalé ;quz ceteris aduc hiens,vt a&us potétiz, reddit. numcrum fe vni, dixerant efe vlrimam, et po temá vnitatem: Scotiftz veró dierum efle potiusaliam quandam vnitaté tran fcendentalem omnibus fuperucni entem, qua fit forma fpecifica illis numeri, et in omnibos vnitatibus materialibus illius numeri re(idens,vclur in [ua materia. At plané incapibilis eft hzc Thomi .. far&do&rina,nam luce clarius patet per vltimai itatem fuperaeniencem prio resn o0 à parte rci imer fe vniri ad p vraies per íe conftitueodum, cá n. decem nummos numeramus, qj vnio nem aequ adinuicem priores ex hoc, quod poftremo illis adijcitur decimus? et quomodo hzc vltima vnitas ceteris ad venés illas informat,& a&tuat? Accedit, quid licet in rebus numeratis a(gnari poffit prima,(ecüdastertia,& vltima vni tas rónc loci vel temporis,vcl d' gnitatis; aut cx eliquoalio accidenti vt diximus, nontamcen pet fe habeturtalis ordo ex róne numeri,quati à patterei determina tum fit hanc effe priorem nitatem, et il lam potictiorem, ac vkimam, fed talis ordo eft prorfus ad libitum, nam ex decé nummis non magis vnus, quàm alter pot effe primus,vel vitimus in numeratione. 49 Refp. Complut. difp.13. q« 8 hac omnia E non e(Te ita vnü adu, ficut compofitum phy ficum per veram » et intrinfccamvnioné partium, ac reccptionem forma in mate riajquod vcrum cft quia com compofitio nuieti fiat per patres. diícreas, folà re quirit vnionem ordinis, et quód vna ex irin(ecé recipiatur in alia, nempe vltima in prex edentibus terminando extriníecé carum incomplet '» qui logiése  per modum partis ad » qui cà modus $73 informationis, et a&Guationis proportio ratus natura entis difcreti; et quamuis ex natura tei defignata mon (it prima vcl vltima nitas, inquiant; tamen, ex natura tei vnamquamque ita fe habere, vt pol fit determinare alias, fi vltimo loco acci piatur, vel ab alia determinari, (1 accipias tur antecedenter ; quare coacludunt vni» tatem numeri elfe vnitatem ordinis) nom qualis reperitur imcer partes exercitus y vel rcipublicz, quia in his non inuenitur aliqua realis, et phyfica entitas »acóplera aliam determinabilis, (icut in oume 10; vbi vnitates antecedentes (ont per yl timam extrinícce per (e derecminabiles; et bzc eftcommunis folatio Recentio rum, Thomiftarum, Sanch. Araux. Maf. Io.de S. Thoma, quam inquiuat effc D. Thom.7.Mcr.Icét.vlt. : Hzc íolutio ex mukis capitibus reij cienda eft ; tum quia admittit ex natura rei eandé vnitaté poffe effc per fe a&um, vel per fe potétiam refpectu alterius vni tati$, proríus repugnat; nam fi cft nata eic a&us illius,quomodo effc poteft etiam per fe potentia ab ca perfectibilis, ex hoc autem, qp hac in numerando pri mo accipiatur loco, et i lla vltimo, fequi tur folum per accidens vnam e(fe a&um, ' et aliam poté&tiam; tü quia adm'ttit vni tatéordinis, qua tit vnjtas per fe actus, et potétic,q eft prorfus fal(um,quia vni» tas ordims attenditur penes prius, et po fterius, non penesactum, et potentiam; tum quia forma extrinícca non cóftituit vnum pert fe:cum illo, cuius eft forma y nam obic&um poni folet forma extrine fcca a&us, et potentiz terminus i nis, &c. ex quibus tamen nemo dicit fice zi per (e vnum,cum ramen magis pendeat relatio à termino, a&usab obiecto, quá ceterz vnitates ab vltima, Dumautem aiunt Complut.determinationem extrine fccam,quz. fix à forma : ionem alte rius, fufficere ad conflit .vn& per fc et hoc folum in numero reperiri ; ma» Bifcflam committunt petitionem prinei pij,nam alio excmplo nequeunt hàác por tentofam per íc vnisatem oltendetc, nie fi in puncro, de quocft controuerfia, yy 5; . Tum 37x "T'fà quis ponédo vnitatem numeri cffe Wnitatem ordinis labuntur iunctis pedi büsin illorum fententiam y qui;ftataunt hntimetum formadffrelarimam; quae cóitér rEijcitur, établlis,quitenent'namerame flecnsperfevnum;namveliftere fpe&us;inquoformaliterc onfifticnumers,poniturtranfce ndentalis,&fic.innulIoc ritprzdicamento,velpredic amentalis,&ficpodusad'predicament umrelationisfpce&abit;qu àmquantitatis, Tum tina ia detmarius: numerusita deftrui» rA tollendo vitimam; (icut primam, vel '€fiárram vnitatem ; ergo in cen(Litutionc Yohs numeri vna viciffim ab alia depen. det, et vna per alieram completur, et nó tintum ceeterz omncs per vItimam « '«o &cotiflatam quoque folurio allata rion fubüftir ; nam fi vpisas illatranfcé dentilis aduenicts vnitatibus materiali bus, quati vocari formá fpec;ficá nume xi,rcíidet it oibas illis, vt in (na prepria, et adarquara materia, vcl eft hac forma divifibilis, et diuifibilitcr exiftens sin plu fcs partes in illis vnixatibus matcrialibus, vel indiuifiFilis, ac proinde cota exiftens Snquacunque materiali vnitate; non $m, : tüm quía repiigrat quantitati c(ie indiui fibilem tum quía repugnat idé accidens effc fimul in pluribus fubiectis realiter  "diftin&is, c loco diffitis, quaotücunque Tnadazquatá ponantur, nam ncq; anima ' rationali id conceditur, quia non infor sat fübie&a (ua partialías& inada quara; fili vnita ; fi ptrmum; iam à capite redit Mifficulzs, nam dinila pétpartes, et fic aMilperfa in fingulis vniratibus materiali Büsnullamillis prebet vnionem inter fe; et pethioc téijcitur communis refpontio I wenus dicentium non effe incóuc de accidéte difcrero; qy fit in diucr fis fübiectis, quia natura (ua ea eft, vc po ' ftulet effe indtuerfis (übicétis. Hoc.n.ip füm oftendit accidens diféretam non efie Quid vnum ; quia vtique'aon habetipfum uoad in ndum maiora pritilegia, idm arfimaratiomalis: Fabri veró cic. f. et.difp. 1 5.c. 3. folutionem omittimus, ' quia (an& vimargua;, percipere noluit. 3 1 eer R efp.aliqui hzc oi probare quan dien! tonic c voii c, Difp. VI1:Be Paeicámeutisià partie. » ' ris; vel dignitatis; tüm qaia cuiáli in rc rum «ft a. non probant,a» at vnititemproportionatam 1n fuo genere, juamuis igitur partes numeri, eoquiafunt diuifz, finc pror(usinepte: ad.canflitucndü vnum vnitate cont t tatis; pofTuntadhuc camen RAT tuere $i rationá quantitaris.di(creiae, mulca in vno fen(a poflunt efie ynü in alio fenfa,vt multilapides(umt vnü zdificiü. fic igitur mulca continuaceffe poísür ynü diíctetü.Hoc torü nosq concedi. mus; (cd ncgamus, quaréunt maulta i no feníu; faccre seyer per fe viiuminalto sé fa ; vc patet on Sactploab igi o de mulcis lapidibus y üc igitur concedimus vtique amita continua facere jvnüdifcre tüm; fed dicimus loc vaum, quad cófti tuunt,;, non effe vcréper(evnum,quiavnitasabvnioneprocedit, qieftvnitasexpluribus, vtexpartibusconfurgens, cirigiurinterpattesMemarpetidvnio,autPhyficus nexus We Y vtique aliquod per fe vnü et illudappellatevnü difereuum ditio di (Lrahens, nam difctetio. ratio potius tollit vnionemsquài f2 Alijigitur fatentur,non polle uri. bui numero aliquá per fe vnitaté: inquar to grado.ex amicam (cd tátü vni» tatein ordinis in lecundo gradu, quà ha t bent vriitates quantiratinarà parte rei vt M narmerari poffin,vnaprins akerapoflc    tius abfque vlla ratione actus, et poten ti vndeiaquiunt nurerum conflizui cx vnitatibus sn aptitudinem, qua nümcera ri) et ordinarrpoffitinà in bocditungui tur vnitates, Vt éomponuot cumulum, et numerum ;: g»ibi dican:mulriiidint có fulam, nonaqtem hic : ita graecum Ru uius c.de quanit.q i6; rà, qu.a hic ordp prioris, et pofterioris nóclt in ipfisrebus à parte. rei,nifi ex accidenu, vt diximus, .(. vcl ratione oci, vcl tépo Py Acp »n bd v ( bus poneret quid reale, nonádcireó nu mctus ab co haberet talcm vnitatem pcr quàm conftitui dcbéat cns pet fc vni in "genere quantitatis, quia alta cuam entia 'realia quanticatcecarentia biberentcalem   nuffietab:litatem,nec taraca ob :d numes rustran'evigcns exeis copiticutus poni ux " Quo I. De quwiónedifHeta A ÁRKi   m dhrsb WrnéAUecebes ensper ledittinGóc ab tlli efie büeirumeratis ;tum quia [oti Vitas ordi; quoarodocunque coftituatüc y non fufficit ad confüituendum t$ pet fevnü 1n canento ; t quia bac potius eft vrii&ds?rélatiua j quàm abolitd,dc apros mier rtm conítienda (peciedr Büius pradicamenti;; tüth 'tàndcm quia numerabilitas ad fum» -"mudi 'conítitaeret numerum; potentias 1em, nón a&tiialé, de quo hicloquimur, et dici multitadinem vnitatum,non huTüerabilem tantum ; fed numeratam. Alij tandem ingenue fatentur quantitatem difcrctami nullam prorfus habcre ynionem hy(icam, penes quà cius vnita$ attendatur iun potius ex fua eHentia 'pofcic negatione vaionis inter eius purier vade aiüt, rodur in (cyrpoquerere, qui vinculum phyficum quarie m quan£itate difcreta ; adhuc tamen babere vnitatém fufficientem metapby fiéam, quia fiber jam elfeetiam quandcatis. f. gex et diffcremiam » p eft habere partes à pártes non vmitas cermimo cómuni, n folutió ftatim vef: llitur, quia 'éhtitas metaphyficá téi/nà cft rcaliter diuet(a ab DER A qi orit vnitas per fe metapli datür im vnitáte ae phyfica rei vel có pofitiónis,vt im EM ;j eel üimpliciLube in'Angehis, iit qidciracc dicreta iillla talispyeanitasrepetit ur,nequecojofit ionis;:;(iinglléitatis,imóocqaeord inis/vctiicufqué"Brobacáefl,erg oneq;eiCoilpotdegfundamctitojhrevnitasper[emietaphyficafufficisàdcamconttiruendam[ubvrogenete.$3 Concduüdéndum igitur eft: cü Baffol. cit, quód cum numcrus, et conrinuü " Pon differant, nifi licut vnurb j '& plura vnayquia üumerusfir ex druiftone contifui ex 3. '& 6. HOM ce àmplius differunt, quàm vnum album, et plura» alba » atq; adco ficit álbutt, et albanon ditfcrar pecie ita neq; numerus, et €ótinuü: Et cum kh übion.citd» ficuc ume€a entis realis fun. pet. fc quantitas;out fmafpeci tis, (ed plures ; s; Rul/a à Quid atterri poteft. rario difpáriratis fubultés, eodenr.n. modo prior numerus etd mult.tudo» vnitzatum tranfcendentaliam, ficti numerus quátitarjnns eft nlWiltimdo vniz tat ü-quáutatiuarü. Accedit, (icur.vni tas tranícendens praedicatur Mentis de vnitatc quanütatiua, ità numerus tràne (cendeos de numeto quantitatiuo, fed nd inerus tranfcendés duarü quantitatü; nog cít vnum ens; (icut ned; numerus duarum (ub& anuarü, vcl rclationü, ergo neq; voa qaantitas -& vnafpecic eius, tcuc gy nee quit fe vnum animal, nequit e(le vaus bomo,à fuperioti.n. ad inferius tenet deg firuétiué . Et certe heec paritas de numero tranfcendenti, &przdicamental; e(t ità cuidcus, vt à Rubion. vrgetur, vc vcl «ietq.nomezus poni debear quid p fe vni à tebus numeratis diftin&tum;vci neuter, qNeq; difparirgs., quam afferunt Cóplute -4:6-fufficivad ponendü numerü predicae métalé accidés xealiter fupcradditü rcbus mumeratis, vt infrà:dicecus in (ol. ad 4-; :!$4Ex dictis infertur €t, q licat nume rus tranfcendenalis realis (.juia €t applicari pót entibus rationis ) folü pro matexiáii'cft aliquid reale, vcl potius aliqua ica a, népé res ipfae numerabiles;foraaliter veró non habet effe niti pec intellectü illa £lura colligen eminwnusm ordiné prioris, et poftertoris, 1dé pariter aicendü de nürero quátitaciuo,g»-népe fold pro.ma teriali figà pacte. s€i ab imiclleétu eeu habcar vhitaté formalé, qf iila plura col. ligit pet modü vnus, cü «n. nuila vnioné 1calé habeat à parte rei,(i aliua hét ; dicédü eft ei ab inrelleétu deriuac,g Arif. manifcíte fiznificauit 4.1 yi. 15 1.dü di» xit;ablata amma;tolli quoq; numerü, per Q noluit vtique dicere auferri ipfas vnitae tcs reales materiales, quae extant à parae rei, nec pendent abintclicótus opcratioe ne, fed (olam vnitatem formalem quá trini ecé illis cónnicat, cum illas in: colhgit, atque ità datur à parte rci nüuice 3 mattriali,: ] tus tranfcendens nun eft ens per fe vnum   fü es c ti ee pi i néQ; v sémnisvrcócedimt Aduct s ifi his non obitát,busj addimus (ari; pluta encid'hartierata j& pieferti-.i numer ita nc; i f vna : : ptacdicae Yy 4   unene imetitá, quia non eft agccegatü per acci- dens Prts diae (UrEdh Send cio: eum,vt homo albus,(ed cx rebus ciu(dem prz dicamenci,ex diuertis nCpé quantita- tibus cótinuis abinuicem diui (is,imó nu- merus aliud non eft,q ipfamet quantitas cootinna in plures partes diuifa, ergo ra- tionabiliter fub hoc predicaméto coniü- gitur cam quantitate continua; vndé cum Arift. dixic. quanti aliud difcretum. aliud continud;nó diuifit quátitaté in cói, vclut in daas (pecies, (ed potius ipfam quanti- taté continuá, velut 1n duplici ftatu có(i- derau t, nimirá, et fub vnione faarü par- tiü, et (ub diuifione, in quo ftatu dicitur di(creta. Quia tamen adhuc fub tali fta- tu realis diui(ionis, in quo numcrum có- ftituit ; qui oritur ex diui(ione continui, folct ab iniclle&tu concipi per modum vnius, non quidem continui, fcd diícreti, quz vnitas ct omninó alterius rationis ab vnicate continui, hinc cólucuit de illa loqui velot dc fjccie códiftincta,à eina tatc continuayq» etia nos deinceps obí(er. uabimus, quia loqucndücft cái mulus; vc ait adapium, at (cnticndnm cum paucis. Soluuntur ObieEiiones . f iv oppof.obijc.t Arift. nedum hic in przdicamenus, vbi frequenter famose loquitur, fcd etiam $. Mec. c.15. vbi cx méce propria loquiuir de (pccieb. Quátitat is,quanutaté diuidit in conunuá, et di(cvetam, vclut genus in (uas (pecies, imó quod pondcrandá ett, ibi data opcra aliquas fpecies quantitatis omilit, quas . hic recen(uerat, vt per hoc dca.ó(traret fe 1n przdicamentis. fuiffe famosé loca. tum,& tamcn non omilit quandtaté difctctam, ergo fignum ctl re vera puiafie effe veram (peciem quantitatis . Conf. nà ratio quantitatis ita bene cQucnit diícret£ licut córinuzsratio .n. quantitaus dicitur cóiter eflc exrenfio partium extra partes, ac.éc numerus habct partes extra partes, cü coponatur ex vnitatibus quantitatiuis, quar vna ncceflarió cft extra aliam; fimiliter et proprietates quanutas camelis » «cl inzqualiras, finitas, vcl nitas,effe diui bile, menfurabilc, 4 eque itt quantitati dülcreAo  79 eu Difp, VII. De Prad icamentisin partic. tz,accontinuz. Tandem (i ad ens per. fe vnam in pradicamit ponibsc requititur vnitas ex perícaétu, et per fe poten tia, et non (uffici: vi tas ordinis ad con. ftituendam fpeciem huius predicamenti, quia eft vnitas relata, fcquicuc nó foluna quantitatem di(crejam, (ed etiam coa tinuam ab hoc przzdicam. cli minandam cífc,quia nec ipía cgattituicur ex fuis par» tibus integralibus vt ex per fc a&u,& pos» tentia, quia nulla habet rationem a&us, vcl potentiz refpc&u alterius, cum fint eiu(dem rationis : item vnicas qu09; con» tinuitatis cft rclaciua, vt notauit Mayron. paffu.20. quia intelligitur. p copulationé pattiü ad termi co&«n at jità ad aliud, $6 Kcfp patere ex proxime dictis, io quo (en(u A citt. diuierit quantitatem ia conunuá,& diícrctá, et falsum loc. cit.in Mert. enumerare fpecies proprias quantis tatis dütaxat, imà pocius explicat ibi o&s modos, et ugnificara, quibus explicari pót quantitas, vndé ibidé diuidit quanta qp alia fint per (c,alia per accidés; et (at: conftat cx alijs locis initio art. cit, i; P non tribu;ffe numero vnitaté aliqua i lé. Ad Conf.ncg.a(lumptü,quia in quátie tatc difcreta vna vnitas non eit pats comalia coponés vnü ens, vndé nó habet partes extra partes, fed poriustota extra ro» tá,.ncq; quantitas dilcreta,vt lic, vllà fe» cum aftert exten(ionem wniracum fed folü multiplicauoné X uz libet vanitas, vc vnü rotà continuü, ion Opriam ex:éfioné, vndéexcenfio exfola quatitate ctinua,vt Dcshabctur,non ex di(creta ; fic €&t nó proprié, (cd tátüi proporcione quadà (olent ci tribui paffioncs quanutatis " quo ecià ícniu uc ibai folent multitudini tran(cendcorali, quz tamen ob id non aí(Íccitar ad hoc. (pe&are prz dicamcacum; aut aliquà determinatam fpecié 1n gencrc enus conítitucre, lic «n. ei tribuuntur vt non arguant aliquá vnà e(fentiá, à qua oriantur : vodé finitas conucnit quantitatlcontinuz proptié rüne termini przfixi à partc rci, at non ità proprié coucnit numcro, quia terminatur pcr vitunà vnitaté, et hoc non Cit à parte rei determipata, fed tif pcr intellectus detignationé qui ci libito magis haüc, 3 illà exl 1La Quafi. 11. "De quaptitate difcreta. e/drt.T. iltímá;zqualitas, et insqualitas non süt telationes aliquzsqug in toto numcro inwcniaptat re(pe&tu alterius, (ed funt ipfz mulcitudines vnitatum, quatenus vna cft maiot, vel minor alia, quo (cnfu aceruus tritici dicirur equalis, vel inzqualis altcri vcl fi funt relationes, non (unt nifi rationis,quz bcné fundari pofunt in pluribus (fubieCtisét dift in&is,vt Sco.docet 4. d.1.q. zin fol.ad 1.prin. diuifibilitas etiá wtiq; non copuenit illi in ordine ad adum realem diui(ionis quia hec íupponit vuitaté parti in ce diuitibili, qua ibi nulla cft, (cd táiü prouenit ei ab intellc&tu vnitates abinuicem feparante, quas in vnum colicgecat; Et candé quáuis ratio men(ut€ libi proprie cópctat » hoc tamé magis elt axributá rónis;q reale, vt docec Doc. quol.13.art.a, Ad vir. concedimus vluà uantitaté continuá non conltitui in prz dicem. folà vnitaté continuitatis,quia hax pót repctici ét inrer (pecie diuer(a,vt (üoioco dicemus,ted ob vnitaté cfsétie, et natnre ex pet (c au, et potcnua mctapbyíica conftiitz qua quia carct numcrus,eà qp ocquit talis effentiz accidentalis proportionarum reperiri fübicétum, ádeó exclodisur. à przdicamento, et ccnfctur potius aggregatum pet accidens. Falíum eft au.éqpMair.aicbatvnitatemcontinuitatiseileformaliterrelauuam, conuinaitas «n.eftforinaabíoluta, vtdoetScot«4.d.10.4.6.ad1.prin.citóperteípeótum(olcacexplicari, «pmagisCXplicarurinPhyfdifp.deConunuo;ficraaiónalecxplicatarpctordinemaddiícur(um,&tameninfecítformaabloluta.$7Sccundoobijciun:Coplut.róvnius pet Íe;quantii fufficit vt quid in predicamento reponatut, non conb ftit in indiai fibili, (ed habez plures gradus;fiquidem Angclus el magis per [e ens,& vnum, q füLttantia mate rialis,& hzc plufquá quan titas continua,erso laluim in inf mo £raaliquid dicretum effe per fc vnü, (i partes eius fint quid incomplet,& habcant intet fc ordiné, nà talis vnitas ordi nis (ufficicvt illad! cópoficü dicatur fime pliciter vnum, probant cx D. Thom.7, Meclect.vltexéplo domus, et fyllabz, qui ob ordincm inter iilorura parces repertü non cen(entur aggregata per accidés, (icut aceruu$ quia illorü pacres. dici poísüc inutce vnitz (ald vnitatc ordinis. Refp.iam nos ex Scoto reruli(ie omncs gradus vnitatis& pcobalc enitatem odi nis,ét G6 darctur à parre rei inter vnicates nameralcs,q» non cit vec, non (ufficerc vt aliquid lic ità vnü,quátüfufficit, vt in pradicaméto repooatur,alio4u n, S Ref publica, et exetcitus,& don us, et omnia alia artifi cialia compolita in przdicamen to locü habcrent;in his .a. omnibus reperitur aliquis ordo ad vnü fin£, vcl cfficiés et c. Neq; dicas cum Complut.partcs fio tà cópo(itorü nó clfe re vera, et phyfice entia inconplcta cflentialiter ord nata ad vnius totius coftitatiopE, (i cu funt vniratcs numeralcs.Nà falíam eft hoc, et illud corpus c(Te entia c(féntialiter incompletaimmó Arift. s. Met. 18.diferté docet pattes,in quas diuiditur continuum, et ex uibus dicitur cófurgere numcrus, co ipÁo, q» (unt abinuicem [cparatz, effe finguias hoc aliquid;& ens completum.Nce dicas eíic entia cópleta in genere continui, fed incompleta in generc difcreti. Na tunc nullum ens poflet a(fignari completumyfíed g/libet inc, et, et ordi nabile ad aliud effentialiter : quia pót venirc cii alio in alicuius numeri compofitionem;numerus ergo dici nequit ens per Ác5&t in infimo gradu;nam qui cóponunt iplumyfont cntia per fe tota,cum habeant proprios terminos et lub hac róne conftituunt numerum, vndé per accidens babent tónem partium,quatemus [f.colligun tur fub ratione numerab4i, qu& ratio ncdum nou deltruit rationcm totins., quas -cft in partibus, fed potias illam exigir; uia tamen concurrunt ad numcr! coriitutiobem aliquo ord me mier. fe fcruatO» accedit magis ad vnitaté numerus cx eis conflitutus, quamaceruus, et aliud quid timile mot dinaié collc&um. | Dices,concreta accidentalia pontintur. in przdicaméto folum ex co,quia habept aliquam rónem perfeitaus;licét nimpliciter, et abfoluté int entia per accidens quia mcludunt accidens, et iubens Kefp.vt ponuntur in pradicamcnto non clic enia per accidens j «cd connotat:ua, $73 Quianonfignificant zqué primó vtráqi pentfes(e primario fignificit formam, fécundarió flibie&um, vnde ponuntar in przdicamento tantum róne formz; at hon fic dici pó: de numcro, cüm nequeat dari à patte rei forma accidentalis, quae copnótat plora, et diftin&ta (abiecta, etiá inadzqtaca,quibas ibhiereat . Tértio numerus eft propri(i, et pcc fcobic&á Arcithmeticz,ergo nó pot cffc ens pcr accidens,de quo non datur. verafcientia 6. Mét.e.2, cumque Acithmetica fit (cientia rEalis, ftanteridus eft namerusens pecft vnumj& teale. Hoc argumenuim valde éxagzerant Thomiftz, ex hoc folo putánz pralij refiere. vitià,cum tamen et ipfi ad eius cencantar folutionem, quia Arii hmetica nonal. ligat numceto quantiratiuo, cà propor. tioncs ntimcrotum, ac proportionalitates qué bene demóflret in numero tranfccndentisqué tamen ipfi non diftinguüt à.tebusnumeraris, ncc facit (peciem per fc vnam in geuere entis; (1 teneatur de en tc. per accidens, qp non eft mer aggregatum, poffe dari (cientiam, vt tenét quamiplurcs, ftatim Achilles ifte profternitur; Ri vero hoc nofiteneatur,tuncdicendum €t dc obictto Arithmerticz, ficut dicimus dc obiecto Politice, et militaris infra dip.12,q.2:a1,3. quodnigirum cum Pe TR proportiones inter numeros | poor e ropórtiones nó inueniantur An rebus ipfis numerab;libus, vt fundanc Anitatemyícd potius difcretionc, et qmultitüdipem, vt bene notat Suar.cit. n.19. Adeo hibet pro obic&o, nó formalé vnitatem numezi,fed materiale numeti j'ipfas nempe rerum multitudines!, vt adinuicem cóparabiles pcr habituditiés proportions,& peopoR dnalitátbd, radit bL'que erit vnus per fe habiuis ; (ed plürés aliquo ordine congregati; Quod fi cupiás aliquam ei vnitatem cx paric obieGti tribuere, tunc dicas con(idccare numerum vclut in actu fignato,qüo dicit vnum per fc conceptum, üic.n, dicimus ctiam ipfum €i5 per accidens,quatenus cale in dois,Bi confideratum.cffe (cibile; (ed quia tacft orininà racionis, non pe» . "rit ek loc capice Atinetién dice. d  E Dify. Vr: DE"besfiiiiminis in partieeo. tiafeafis ; Neqae lic vocem exiollatit Thomift, niin quando eciam quis alfo» reret Arithinecicám non hmitart ad ge« nus fcienrize rcalis, forcé non ira iprarioe nabiliter REN » vcipti picanc nam fi naturam i mus, plané eius démoltraciones .ta procedunt in fappurarione entiam. ratios nis, ticur rea irm, vnde ablatis omn.bus endübüs realibusadhuc Arithmetica: £s maneret, et exerceri pollec im ipfa mule tirudine enti ronis;hoc arg. adducit Baf fol.cit.fed dcelt (olutió ex defe&u (eres d'mus) typcgraphi,nónaüttods s o0 $9 Quare vcgét Cóplur. 1debnumes rustrápfcédés non elt accidensdfuperadditü rebus numeratis, quíanec»vaitatestranfcendentálesexquibüsconftituituryillisaccidunt; vndcfititquilibetres(ev.ip(ac(ttrancendentalitervnayita:code»imfumptaà(ciptis(antmaliz, ergo € contra quia vnirates quantitatiuz-accis dun: rebus corporeis dfi coatinuum «di» uidituccófequencer mimerüs'ex ers! eon ftitutus dcbet pom "accidéns tuperaddie tum rebus corporeis. Confres nunquam effc poilurie fine numcro rranfcendentas Ii,quía vna ncquit traufice n aliam, bene tamen finc quaütitatiuo, vnde dua gutte aque (cp rate, fi inuicem cóndinuentur, amiitunr dualitatem pra dicamenralé; &c quantitatiuám;quia no àmpliosfürc-dua quantitdrés,fcd vna pér continuitarem,ad huc tamén retinent ddalitatem tranfcene dentalem, quia aduhe funt duze res, nón vna per identitateni ; fed t per conianctionem, ergo numetüs quandtatis uus cft accidens fuperaddicum  7: Refj-non effe extra contróuetliá y o vnitas quátitatiuaalíquid reale fuperaddit quantitati diuifz ab alia ; imo (i vez lirit Complut przter indiüifiblle terminans aliquid al:tid fuperaddere, lioc eft omninó falfum, quia vc dixwnus ex Scoto 4.d. 1 1341. diuiíioritis xjuantitatis continuz in partibus d'uifis) prater indiuiibilia teeminantia;nihil proi (us:de nouo generatur ;vnde vnitas quantitat iua vitra illa nihil dicit, nili puram negacionem contiuuitatis,,& quando partes illae icerum reuniuntar, praeter EY. lus féientiz beoe perpendae T E E n L., "s  fus amitonrquiro illam negationem, et inboc fen(u.dicumoramittere dualuavemquia.ficuz quantitàs Cont.pu2 intclligicet effe vita praecise ex indiuitone, ita. quantitas di(c reca ;vcellig. ur cfle nu» merus przcisé ex diaitione.contingz, cx ornon fequitar ontrnm aliquid jofrtiud fuperaddere paribus diuius, Res etiaír; en tates quanticatiuas. in. prataco feafu., (i. vecà intelligant Complut. additit partibus dinifis per yniaté  qUan; £4. De quastitie canina fpecie wenl 29 noluiffe Aciff, indicare numerum dicere tertiam entitatem pet. fe vna € partibus, cx quibus componitur; realiter diftinctà, vt dicitur de toto effentia[isquia tot cof le&tioü nó d'cit aliquid aliud pratet Lx partes, vt fusé oft imus diff .s.Ph :q. 13«art. 2. fed folum fignificalc volüiphu merun confiere n coile&iobe Or iü fuarum vnirarum,,& efle magis Va dec upsquia habet vniratem otdinis, qu Yd ret acerugs. ». vr loco nuper citato mà Gatiuam edeindinifibile rermingn& s, Yt. declatamas vbi et intenrionem Scot. cit. severa intelligere, vciun dic uc» apcrimus, À d-alurm osur,nó fatis con: at deficiunt latimacum (übdunciulinflanquid Arift. inceligar pet viipá vài diuifibi iadditwn, parti. diuife | reddere tateaq aitclieformamnarjéti» Thoillamceentialitepincompleta, &con:mftnamjivoluntellcpotlrem; vidcftitaercpartemeffentioluer,ocdiuatàadcomponenda numerum predicamca:afem,quia porius res. conira fe haber » qp dum proprios acquirit terminossc ficitur ens in fe füb(ittens ». et completum hoc aliquid » vt Arift. docet $» Met. 18, Scd icquid fit de hoc,. ao.vniras quanticatiua addat lupra quantitate Maud politi uumsvel folam usd ionis,nam dc hoc ex profeffo in Met. dicemus certum eft, vnum;vcl eom vedi (em nara ile T ng pars tendo m. gp illz vnitates;ut 10r diuifis sliquid reale fuperaddant., adhu: explicandà manet, quomodo confpiratc po (lint ad coftitaédü numera » vc'ut ens p fc vnü,i quo cóli(tit cardo difficultatis. ..60 Quinto tádé yrgét au&oritatcs Arif. qui $. Met. 19« ait numerü fenariü uà cílz bis tria)fed Ícmel fex. volens numerum haberc (aam pcr fe vnitatem,& non   par cffe vnum pet oggrcgationem, fient. acer vus, gy écdixit Doctor 3,d.à 2q.vn.L.vo lens binc probare totum dicere vnam per fc entitatem realiter à partibus diftincta . Et 8.Mct.. 10.indicare volés,vade vnitas i (amatur,, fcu à quo dicatur per vnpm»aic in fingulis pumerorü (pcciebus vitimam. vnitaté ellc formá numeri, liue KA (4. oeil numero peeititens v] rimus gradus e fTentialis tei dicitur eius Íorma,& diffec&tia-Et tandé 2.de Anim. cap.6. ponit numerum fenhibiie commune;at | (ab fenfum cadit;reale cil.   Relp.vtiqs per.illum loquendi modü, cima denarij& cente(imá cécendrij; Scatill vcro figni icant clTe quandam vairaten tormalem,& tran(cendentea que bis omnibus fuperuegit ; et ex illis conftituit nümerum vag,(cd quomodocunqs id explicetur, certuin cfe dcbet. hác vni taté cíle non po(fc,nifi raionis,quiaiuXe tà primum cxplicand. modu'ii vciq; peadet cx numerantis atbittie fi (tere intali vltima vnitatc,quz nümerum compleat vel peificiai vel vlterius nuinerare, et infrà quemors numerü pot ad libkumilla, qua ficbac vltima vnitasyficri prima y aut quarta; et etiam iuxtd alterum explicandi modum fatis conftat jliá vnirarem füperuenientem omnibus vnitatibus ex adbuafi nuincratione nó proueuirc,ni(i ab intelle &u;lla fingula colligéte in vnü,no.n.di cijpote(l prouenire, ficut dicimus de toto eíséuali,ex rcali caufalitate;q exerceant tcs cóponétes erga numerü, quia nulla talis adeft. Ad locü cx 2. de Anim. dicie mus numerü effe sélibilé in fuo materia fin rebus numerab;libus;in quibus vide mus, et femimus ncgationcm continuationis,quo modo cft quid reale. jL61 eh nullo intelle cófidecdte süt cot eleméta;tot X c.ergo et » ad formale al. fuis t. Ne gatur [cq.quia folam parte rei dátur ma teriale numeri, nempe illa res numcrabiles qua ab intellcéta in «nom colligi »otiupt, et ideo vnitacm numeri non hant, nh abintclicdtu .. Aus, intelle&us non facit numerum, fcd illum cognolcit, crgo m. VATLA AL Ch. € P.€-€KTR Nh,  ; De Pradicameniis im partic. €igo fecundum fuam formalitatem M opus intelle&us. Refp.ex vfulo.. quendi materiale numeri dici folere nu "'merum, quia parte rej cft quid nimerab:le,in qua numerabilitate non penrec ab intelle&u a&ualiter numerante, et fe«undum hoc dicitar numerus eífe in rebus ctiam a&tu,quando non numeratnus, licét re vera numerus formaliter mon (it, nifi quando actu numctramus. Dices randem;etgo faltim ifta numerabilitas ponit inipi s ynitatibus formalitarem aliquam; rationc cu:us peffit dici numerus habere in rcbus vnitatem realem.ac pet fe abfa; vllo ordine ad animam. Ncgàtur. confeq. quia rc vera numerab.litas illa cft tantuar denominatio cxirinfeca proueniens ipiis rebus ab intelle&tr potente colligere, aut mce»furare multitudinem carum, vt Arif. fignificat 4. Phyf. 13 1. dum ait ablato intelIc&tu numerante non amplius remane re quidquam numcrabile ;cuius ratio cít, uia hac numcerabilitas attenditor fecunü prius, et poftcrius,quz nó conueniunt vnitatib.cx natura ip(arü,vt probatü cft.  If. Quid fit quantitas continua, CT qua fpecicseius. 6i Voad prinsà quetiti parté Com Q plac difp. 13.102.q. 3. cfsetiam e oer «Ouinuz in eo ponüt, gy fit acci tribuens partcs fubflancias, feu accidens fübttantie extentiaum abí(olute, et fimpliciter,quia fubftantia materialis antecederer ad quátitacer nullam pror(üs habet extenfionern, aut partes ctiam en. airatiuas aCtualiter,fed tantum aptitudina liter, et radicaliter, vndéin eo ftatu nulYo modo extenfa dici debet,fed vi extéfibilis, et in hoc inquiant differre à fubftaniia fpirituali quz deg; exten(a, nt; extenlibibsett, Hocautem probant ex duplici capite, primó oftendendo exten. fioacm tllam catítatiuam im (abftantia a precedencem ipfam quantitaté non cfe ncceffatiá, fecuado oftendendo cile im  potfibile;prinmuim femonftrantquia hzc D a : r i pluralitas partiü entitacima ; idcó ponitur à Scouftis infubft € »  antia fhaterialifccundüfe,vtpoffit reciperequad  titaté,né ihbalfübile recipiatur in(übie&o  indidifibiliadhocautemminimé efi nes cetfaria, quia accidens requirit: (olum ini fabie&o potétià pafTiaà ad illud recipiem » dum, (icut ergo fubftatia ante albedinem M. non cft alba,fed dealbabilis tic ame quà titáté non ett extenfa,fed excentibilis, et ficut dealbabilitas in (ubttantía nó eftzali qua albedo entitatiua,fed potentia: patffiua ad recipienda albedin£, ità exteatibi. ltasnoneftaliqoaextenfioentiatiun sg  fed capacitas ad illà recipiendá 5 et ficug enu nó recipit albedinem hsc ems al. üs, nec tenus nuger, fe | dealbabilis nondü e albus, et fic dc | alijs accidentibus, (ic fübftanria non re: cipit .juátitatem,quatenus dimifibil:s, vel indiu!fibilis fi per diniibilitatem,& indi ui (ibiliratem imelligantur forme aliqua contrarié,vel contradictorié oppofita at 1i per indiuifibilitatem intelligatur priuacio,fic fübftantia recipit quátitatem,quatenus indiuifibilis,indé camé nó fequitur ! femper manere indiuitbilé quiaacquifs Is. rà foraza, ftatim deperditut priaari m. E d € dici pot,gy recipiat vajoscems dil . . lisradiciliter; vadéconciudunt,( Deus  fübítanuá materiíalé quantitate exuetet ; tnc nonámplias manfuraayd'uitibilem, ncc indivifibilem potuiué /ficut püctus vcl anoclus, fed intiuiüibilearprinatiué, et ità neq; maneret in Toco,ne; haberet fitü, cà litus,& vbi quanatté (npponác, vndé cxifteret tunc in vniuerío, non tans quam locat á in loco, (ed velut pars in to-. 10, doctrinà ex Caiet. acceperit t,p.q« f2.art.1. Probant dcindé (ecundü.f. cx tcnfioné entitatiuá. pracederenon poffe quantitaté in fubftantia, quia dicunt com pofitioné pattiam iategraki, ét entitatiuarum; effe accidentalein, nam rales partcs dicontar. iixcotales, vc diftinguantue ab eicntialibus, ergo compolitio ex illis   €oalcícens cHencialisaon ent; et haec eft. communis Thomiftarüm opinio, 65 Loan.de S. Tl. q. 16.arc. 1. banc fen tenuá moderatar, et ak quaptiracé przz« bere partes integrales (übitácia no cóllituendo illas, (ed ordinando inter fc, vndé dcclarat quétitatcm prebere diftin&ionm   Quafi I: De quémizate cobtiosseys elis fp dot. IT. y m partium (abftantiz, aom quidé vt difind oom fimplici cred io, (ed vt itur cófu(ioni ; quaré videtur coo dip Ioh materiali qul tiplicitaté partiü: antecedenter ad quantitatem,fed in cogfufo,& concedit. compofitioné cx partibas lic vnitis . re(ultanté cíie fubftantiale, qua omnia folent nc» c alij Thomi (Ez: ait weró quantitatem fübflanciz adacnientem illas inter fe or éinarc tollendo confu(ionem, &.vnà akc ti vnicndo, non fc totá, (cdi(ccuo dum aliquid illi lecüdum cxuenitatem, rónecuius dicitur poncre. vnà . ttem pa (t aliam, X nó (ccundü fe totà p eie cr italiextenlione parcium in ordine ad totum videtur. ftatuere. focmalitatem quancitatis, q fententiá aulct trad:dere Sconiítz |, et (cquirur nupercimé Fabct $. Mct. difp. 15.cap. $. Prabat autem lioc Loande S. Th. etiá ex duplici cipite, primà exillo communi principio Thomiftaní qj materia fignata quantirate (ic indiuiduationis principiam, ex illo . f fequituryg fi quantitas efl defignatiua tnatérig: quantum ad indiuiduationé, feu diftin&ionem tadiuiduor ét erit quàtü ad di(tinftionem partium. Pcobat dcindé ex alio capice, quia extcafio partiü in toto non eft quzcunq;vnio carum ier (c, fed vnio penes exttemitates tantil, itacy non vniatur vna pars alteti (c tora, itaut im illa peneccetur, et imbibatur, (icuceft vni:o forma cum mareria ; talis aut& vnio fá&a pec excremitates.& indiuifibilia dicitur proprie vnio integralis, et nonctt fobftantialis, (cd accidentalis qua habctec-i(übftantia bencficio quantitatis, cu i$ effe&us formalis primarius cft poncre vnam parté fubftantiz exua aliam inliter, et tine penctratione,quod fi faantia ex (c habere non potc(, quia cius escitrà quantitaté extremitates non Eisen: non habentur nifi per ind:uifibilia,ua ex fc fubftantia nó laaber v.g.lineá, (opecGciem, et punda ; tü quia hzc (unt (pecies proprie quanti« tatis ; tum quia fi fubftantia talia habercr. indiut(ibilia aeà quantitat&,cüc cius par. tcs vhirentur adinuicem  impencttabili-: ter,quia nó ynirentur (e totis fcd pcr cx-; ub quia non haber illas plucificatas exiétiomodum. tcemitates, et fic fa»ftaecia haberet cx fc. fufRiciés principium, v telifteret peucte -. tieni q00a 1 locü,quod eft fal(um, quia quátitas (ola poaitur ab omuib.tale prin cipi:Ec fi dicas calem excen(ioné impcnetrabdé in ordiae ad locum cx ordinar vnione parziü ia taro proucnirc nompolfeyqutacaléerdinedbabent.parcesct1risChrittiiaEuchacillia,vbicànonha: bcarExtenGonelocale.lcfp.ipfevtitàléordinérepcrcüi nterpartescorporig.Chaftietieprincipium fufficiensadimpenécrationc m,&cxié(toneminocdinc ad. lacum,niii diuinizus igpedicetur ifte effe, &us,qui cft lccudarius ia quantitare,primarius auteaa,& in(eparabilis eft ponere, vàim partem extra aliam in toto. fine pc. netrauone vnius cum alia, quam extre nitatem «tiquchabent. partes corporis Chritti in Eacharittia. &4. l'ottca tà in folucione obie&tionü. noo videtur ibi conítare,ait.n. cum com: muni Thomiftarü,quod ablata quátitate à partibas nó mancot actu diít. nct, (ed, contu(ie,& vna enutas cum capacitate | » ralicali diftinctionis partialis, quia rcmota quantcatc (o'uitur illa «nio (ic or dinata,& exi£(a,& (uccedicalia, qua par tes ille (c totis, et confuse raiuatur,(cu potius fit vnum in (ubftantia, et ruríus. qua fubtátia quátitate exuta aeque. c(t: 1Bans,nec alicubi peliriué,(ed folam has beret cxiftentiaun (uam (ine loco, (icut. res excca muadum, et angelus non operans ; (ubdit cà, quod adhuc disferret à (ub(lantia (pirituali,, quia (jNcitus catct partibus.ncgatiué,& ecundum incapaci« tacemyfabftanria autem. materialis caret. partibus priuaciue, et cum capacitate ad. illas.(cd non dicizur atu illashaberc.»ync/[.«namcxtraaliam,(edadivauspercontafionemrcdadtasinterfe. et non (olum in ordine ad locü, quzelt. cóis opi. 1 homift finccré à Copl. relata... 65. Hc Thomiftarü séiétia, fiuc enos. fiuc aitcro modo cxpl;cata graücs (cmpet: pátfa cit difficultates, &4usé à nobis rcfelduu dilp-9, Phy. q, 1-381. 1, vbt agimus. cx ptofciia de eíjontia quantitatis contiDug; et «n» puso dor rplierva s (nd m $82 Difp. Y H: DePoidisames malta éontinet manife(t? (alfa: ; prim: námq; fal(am ett in (ubftantia materiali: rionprarequiri pluralitatem-partiüm en« titatiuarum, in quibüs recipidotut partes quatíticatis,-nam ficat forma mazerialis? prefüpponit fubiectii imatédíale vita par«: tes fociia: (npponant dif inétas partes fuc: bic&f;e quibus éducantur, et in hac plu-' fálitáte barcium-eótitatiaarum: fundatur: potentia pafTiua: füb flantige anater ialis ad récípietdsm quantitatem y et per hanc à fifa piti difinsuitur, et certé tali patciuifi Mactilitate negata non videtátin quo fündári poffit porentia pa: fiu fübftantizinfater ialis ad qüanritaceai recipiendamyn& (i dicat fundari in hoc. «y fab antia marecialis habet illas radicálier, hocidem etiam deimmareriali dci poterit, vel afferri. debebit difparitas.que fi sfferatur hoc modo. qy maremalis fobftantta caret partibus priuatiué tácum,immatefialis veró-negatiué, fiUi repugdat-quantitatem recipere; hzc e(t manifcfta petitio principi] y haius.n« rationé qua'rimuc., cur tepagocc fnbftam tiz immareriali recipere quantitatem, et non immatetiali,& cur iftà radicaliter xo bhabeat,nó illa, et plané huius nulalia ratio reddi poteft ni(i quia materialis füb(tantia habet plaraliracem: par: tium integralíam, nonautem immaterialis. Exemplum autem allatum de albedineex hoc tárum capite tenet, quod ficut non fupporiit fubie&ti, in quo recipi debet album, fed dealbabile; ita nec quantitas fupponit fubie&um:, in quo recipi dtbet quantitatiue, (eu impeneuabiliter exten(am,(ed extcn(bile-, at cffe fic exten(bile eftetie 'a&aaliter exteofum cntitatiüd, et (üb(tantialiter, quia ralis exten: fio:atualis eft fundamehrum extentibi« litatis ilhüs j ex alio autedi capite nonte« nct,quiaalbedo, et nigredo: nallo modo. pettinet ad: (ibítaneiani materialem: y vt cau(atinam illarum;& ideo nulla albedo., aut mgcedo, quz enticatipa dicatur, debet peecedere in-(ubf&antia receptíone ipfarum,acexten(io aliqua prerequiricut: in(ubiecto ad receptionem forma ma-: tetialis,vt cft quátitas, quia vt veré dica-: £ür ex co educi ; forma tora educi. dcbet: F (7 "E TPLEVTS EF". QN  At. a, detoto fabtie&o prz(ajpólito, et partes forma ex diuertis partibus (ubic&i prar«exiftentibus:, et cumcaliscexteufió pras  füppofira.iufubttanda:adrec ipiendamquantitatemefjeneqacagquantitatiud y quiaxaárivas (ibi 1pti fupponccecur, debet poni catitariaa) et fubitácialis. Neqi talis'extenfio entitauidà baberucimeriu quantitatisan (ab(tantia, diet plut. quia wt:docet Scor.2.d. 3. q. 4« $. C9 tra Pd T pre x in caufando,non poxe re fato; quia runc cau(a i orans [uffici adcaafandam oífetcau(ata à » et effet illad cauíacü fui ape fanto po(let dare cauíz caufationem. fai. iptus, (cd extenfio, S diuilibilitas entia tatiua fala cft conditio mcceiFaria ma« terialis cauíat ad. caufandáraccidens, ma, teríale, alioquin &r caufari poffet à fubftantia imanatcciali,ergo talis exréfto ly beri ncquic pec quantitaté, quía tunc da ret fug cauíz cauíationemmtui 66 Rudüsnóbenediciut, quod(ub.    füátia exuta quátitate nollibi poficiué cf fccnec ab altquo diftarer;(ed in varueríg (fet, veluti pars eius,ficut angelus nó oj rans, Hoc.n. Thomitt. cómentum quod fait. Durand. 1.d.37.p.2. q.1. efficaciter. rcijcumus de fübítanria materidli exuta    uatitate di(x9;cit. PhyGq tar. 2. in có tatione 2. [ol.ad 3. princ, et de angelo. non operante diíp.11.q«$«attva;concle 1« imó non poífe cciam de potentia abíoluta cceacutam in ceram natura. exi(lencena quacunqie . prorfus prafenca em probabilius etfe demoaicamus cad, difp;; q4«ar.1,fine.Tandemfaliumquoquie ttaerCompluc.fandamétumsquodcompofitiop arciuun intcgralium accidat, rei matcrialij& corporca,cum podus fin de concept eius effen:ialtwt fic yralis.n« compo(nio eft, qua-c(Tencialitec diftio. guit fübftantiam corpoream abincorpo 1Ca,non autem compolitio materie »A.   forma, cumhizec ctiam de faóto copetat fccundum cultos fubftantijs«jueque fpiz ritualibus;quae (cocentia veriiliima e 12 admicrererüc vna inateria peuna. fubftan, tiarom fpirigaalumn .correípondens mas, teriz pria corporalium j vnde et tales. ; 1 pate    (a, prO .11. De quantitale.cautmeG eo oi paese eati IT. 69g sites imepvales voffanr ciam: dici efenjales fob ttancize materialis; quatenus is ; nonerzo hibere: vtcunque accidit fobft anc ie matotiali, fcd     Deere n benc notat Hurtalilp. 13 Met-(eci4.$.19. op feque nih hanc (entenira. detendi Otelt »t explicatur à.fo:de S. Th. vt; .. mon(kcarus di p.:9. cit. Ehyfz q. T. arc. 1. fübftantia matetialis antccedenter 4d quanti cacem non folü habet fuas. partcs (übftantiales diftinctas, fed ctiam imüicemordimatas, et vnitas per proprsás éxtremitates, ac iadiuilibiulia, pam fi pfufes illz párte$ qua6 lo« de S; T ho. concedit (ubttantig materiali antecedegter ad quantitatém:,concipecentur hine vaione adinuicem fa&a pcr indiuifibilia (ubftanGalia,iamnonctíeteritita$corporea,fed potias in indiuiübilia rcfoluta, et (i corr. €ipiuntur cum Ynioné adimu;cem y ncceffarib cum aliquo intet. fe ordine concipi debét,quia indiuitibile quod copulat hac partem cum illa, pianà non cat copulat immediate. cum ália, fed-illa medianté imo net mente €óncipi. porcít rübítantia eorporca plüres habens partes fic confu; $? vnitas, vc enaquzq; pats fit omtibus, et ángulis itnmediaté vnit as et nó pocius vàa mediate ália et ibi fuse ofl enditias z folent zutem pcculiati quodà modo hzc indinifibilia vribui quáttàati, ctiaofi alijs fcbus corporcifcompctantquia haec (ac la cft; quz molem facit et corpora ma gnificat per longum; laurm,& profundi; et ea icddít: occapacitie loci impenettabiliter ; et in hocfcn(u de. iptis)oquigür Aritt.6.Phyf.vt conftac ex demóftrario, nesquá ibi fici de panótisab initio;, qua probat continuum :cx illis componi nom potes quia «tium alteri addituth non faCit giolém: j-ncclocom petit dillin&tum à loco illius,vnde falsü «f, quod aiebat hic Auétorjuod quz cü.joc wniopariü per indiuiübilia fa£ta tcddat eas ádinuicé iropenieteabilcs,aoc «n; folum vesura cft dexaianc paruud «facta. peroindioihbi Wa: dc: génere:quantitacus; qua cít vrigit ; et Lax bpeseiabihizris prifici psum, ld'amei y Quod fummé:diiplicctiai hod AuGóre;eit itquacmediots xn 1e i: fokad arg; düplicem itnpcesietratione: di"ftinguit velie biiinus proucnicatem, vria cit parium in toto:, quatenus vna nó cf fe cotz vnita cum alia ; (ed .per fiat extremitatem ygaltera partium ir lp. o, quatenus vna eft incorn po(Tibilis cam alia in eodemlocó, et inquit primam effe&um primariuarquancitats ;alterartr vetó fecundarium, qui proindefeyarabilis e(t àiquantirace ;, vt patet de corpore Chrifti ir Eüchárift. vbr partes noa. font intet fe fe penetrat in toto, quia caput noneft immedracé vonum:cum ventte y iiec venter cum pede, fed bene in loco id vbi e(t capat, ibi venter.eft  jbt pev esy&c. Falfa plané e(t rora.bec doGtrie nj vt loc; cit.oftendimüsin(ol.ad z, vbé euridé loquendit mod repiehisndimus im noftris qibuídamScoxiftis, quia pene» tratid corporc, aut pdrtiü ciuidé corparisa dianicé acieriditur folum ig orifice ad locü,nonaudté in ordine àd (ubitintia eoe ruf fic. n. compenetrata dici no-poísésy mi iv quando vria téanfirer in alia per ideatitatem,qud penetratio bilis e(k& fcattráagkur diltingauur de penettario» nc [artium in toto ji inloco,. cum (olü   ad-locim aetendatut ; m tedi ver alterius principi) meraphy(icu quod:mateuia fignata Qaáurarexfic. pri Á p: indiuiduationis,v nde déducebat.ltq Autor alteram probacionea fentenridg Thomiftica,' non eit prz(encisüegouij deionftrare'; fed.ad Metifpe&tatie 5» 68 Dicédüigitur ett je(Tentiati quan« tità:iscótminuz confifterein, extenfiong pastium fütapte natura incompo (lbiliua, 1n eodcm loco, quam incompoflbilitatá noivlibenz parces fnb tan tige materials. quia aatucalter, et cicra mirücoluuy funt inuicem compencttart .Scvaactalid    flantra macerialis eum alakqnatiutag;veec -.  ró;illis.fuporaeniens.ita rhusesteddtts b vnaghzqQae d; iLinótum-potlalecdocum nce potlit oppotitum cosu0gcro auradi taculum; b cheiconft ax. vbt ufs corpor rs datiflbiná u femit;s loco-nó-finelmagng miraculo:, cams quanarasquaséti rin qpity exi dictum inompotlibiliifus paruuman eodede doy cay iesu pollulags ieptosuabiieiía qua. j$4  Dipfu: VIL DePraliamoin parie.  70 quz fementia colligitur ex Scoto 4. d. 49.q. 16.$. 14 lij dicunt,vbi docet rónem ámpcenetrabilitatis in corporibus à quantitate przcisé prouenire jita vthic ác effc&vs formalis susntitatis primarius, fc«undarius ver6 ab «a feparabilis à «ft a&iualis es pulfio, et impencrracio, et loc dedocit Doétor ex ipfo Arift.4. Phy fic.26.77. vbi ait,quod fi dux. dimenfiones à fubftária feparari poísécadhuc íc pe nctrare nó poísét, per quod innuit quantiratem folam eic pracifam radicem imnetrabilitatis, vnde licét impenetrabincn fit ipfaquátitatise(icntia, aptius van.€n per eam explicat ratio quanccatis,quàm per ctteras paffioncs,quia hac . eft omiü primag et rationi formali pro&imier,vhdémaleaiunt€ooplut.€i.q.rinfineinpenetrabilitatem àquantivate feparari pofle, imó fieri poflc penetrabilem et ita de fa&io contigiffe in naauitate Chrifti Domini& quando ad difeigulos incrauit ianuis culis « Nam in iliis cafibus vtique impeditus foit actus Éecondus impeneirabilitatis,quia non ícquta fuit ad eam impenetratioy& a&ualis expuifio vnius corporisab alio,(ed n6 ob I ablata fuit impenetrabilitasipfa, vnde áritas in illisca fibus dycitar facta fuiftà Dco pcnettabilis, vt diciv ncgationé 26&us fccundi, f. impenetracionis,aon a(&us primm .&, smmpenctéabilitatis ; Et cir€a exphcationem buius fenientiz ; qua «communis cfi jo Schola noftra, et abommibus Neotericis plovibiliser: recepta ; ic immorari ton licct, quia ex prefctio «am tradimus in Phyf. loc. cir. vhi ciiam enocleaté ex licamus arcapam, et admi-. ' makilem quantitatis continuz compofi. «onflituendo pam ex diui(ibilibus vy e3 partibus componcentibus, et astegrantibus molem corpoream, ex indmübilibusveró, vtpartes continuan' aibus,ac vetminantibus;vt docet Arift. 6. Yhyk. 4 qua Peripaiecca fententia Attimé dilp. 16. Phyl. e(ló receIde tamen rac rimus) vtadamuíTim quicunque dicit s non diluantür à. nobis difp. 9. cit. q. a« etiam antequam ipfum viderimus., Scd dices, íi (übftanria materialis par» tes haberc: extrà (cinuicem citráà quantis tatem,imo et extenías vcl (altim excentia biles in otdine ad locum,ergo poffet fun. dare zqualitaem, et inzqualhtavé molis ex illis partibus coníurgentis,non mibus quam quantitas, atq; ideo ifla aon foret »roprictas quantitatis in quarto modo; vt c ait Aritt. Rf]. data noftrafencentia negari non pofle zqualitatem, et inequatatem in fübitantia quoq; materiali citrà quantitatem vtcanqs pode P yna (ub(tantia palmaris diceretur aqua lisakeri pahnari, et inzqualis bipalmaFi; vcrimtamen im rigore loquendo in fov Ja quantitate fundantur ille relationes y €um cnim ipfa fit, quar habet partem extrà partem, ncdum entitatiué ; fed etiam ficualiter, et impenezrabiliter »' ipfa corporibus inharens illa proprié magnificat y et cxtendit adoccopandum locüabake  «rius corpotis loco diftin&um, ide citar quantitas molis, et itüdinis óc.   proprie fündarc zqualitaté, vel ingqualitatem in molc, et magniuadine ; quidem non ità proprié dc fubtkaniamas teriali dici poteft, quia vaa fubflária pus maris f) fundat imzqualitacem cam alte bipahnari,id eft per acci maris poteft naturaliter9S citrà miraculum reduci ad magnitudinem palimarcmy fi vna medietas cum alia compenetretury qnod poteft naxuralter contingere, qu'afolaquantitasaffertimpenctrap. litatemcorporibus,&hcfundabuntzzqualitat€z quantitates verócumex nacurafuaruae partiumconftituanttantam,veltancame molem. et determinentur ad occupandit tantum oue nens co adcout oppofitum citrà miraculü contingere nequeat, ideó proprie, et pcr fc fundant aqualitaQ.II. De quantitate continga, e tius fpreeteiTr. $85  licet cum: ratione naturaliter poffibili ; (obdit tamen id inteiligédum etie de | quantitate, et (ubftantia materiali modó exiftcntibus,nam íi (it (ermo de alia fpecie quantitatis poffibilis, ac ciam fubflantiz materialis pofDbilis, potefl dari quantitas indiuilibilis, et (ubítantia matcrialis fuapte natura impenctrabilis : Fa| temur omnipotentiz Dei concedendum poffibili quicqu'd contradictionem nó implicat,& quz ítiones motas dc tentia Dci ab(olata difficillime poffe refolui,cum affucti (imus naturis rerü modó cxiítentibus; adhuc tamen veru cít cx his encibus modó exiftentibus conicctare » fle, quid dicendum cflet de alijs rebus ola fpecie ab his differentibus, nam [altim cum eis conucnire deberent in przdicatis gencricis ; modà quantitas à toto genzre, vt ux, s put füb fe fpecies ncdü exiftentcs, íed etiam poffibiles, videtur importare entitarem ex pluribus ibus integralibus conftitutam,& di  mitibilitas eius in plures tales partes ponitur cius pa(fio genericé fümpta, ergo repugnare videtur in terminis quantitas indumifibilis tum quia quantitas » vt fic et magnitudiné at entitas indiuifibilis ad hoc munus cit prorfus inepta, vr laté probat. Aciít.6. Phyf. per totum contrà Zenoniftas. Sic etiam repugnarc vidctur fubltantia materialis (uaptc natura impenctrabilis, quia impenetrabilicas non cft de cóceptu cius, vt materialis eft,& vt diftinéta à (ub(lantia fpirituali » fcd fola pluralitas partium iategralium ; impeneurabilitas aute fcü princi piuin cius;c(t accidens illi operae ditum, nullo caíu vidctur illi pote identificari« Tum quia fi affcritur poffe produci (bisftantiam materialé (uapte natura im ilem, et non per accides füpcradditnm » cadem ratione afferi potfex i poffe (ubitantiam faapte nazura albam, vel frigidam, hac enim funt accidentia realiter diftin&ta à fubftantia materialis ficut quantitas, qua cft principium impe litatis, vndc nen videtur maior ratio de vao, quam de alio. Tá quia videretur cademrauonc affeiri potT CWMNUP C occ. f e,quod dari po(fit alia [pecies homini, Logiéd v Es Hi qua fit irrationalis,& alia brutoramqnq fit rationaUs . 69 Circa alterá que(iti partem, Arift. c.de quant. enumerans, fpecies quantitatis cótinug memorat lineam, fupcrficié, corpus, et locum, vt fpecies quantitatis continu permanétis, dcinde tempus affignat,vtfpecieraquantitatiscontinuzfucceff)uz,acetiaminprogre(luaddit motum, Caeterum $. M etc. 13. vbi accuraté magis,X cx propria loquitur (ententiade quantitate; fpecies enumerás quan titatis cótinuz memorat tantum lincam, fuperficié, et corpus,locum aüt omittit, mo:ü veró, et tempus ait effe quanta per accidens. Hinc ort funt opi.dtuer(ie;alij ná]; affirmant has oés e(fe vcras fpecies quantitat;s continu, alij ncgant. Dicendum cítjlineam; luper ciem, et corpus e(fe veras,ac proprias (pzcics quá titatis continuz,non tamen locum, motum,& tempus . Concl, eft fcré commfinis, przíertim quoad primà parrem,quae fupponit darià parte rei in corporibus lineas, fuperficies, ac etiam pundca, velut entitatesrcales, et non effeibi tantü per imaginationem noflram,vt cótendüt Nominalcs,contra quos laté agimus difj aem Lhy(.& Faber 5. Met.difp.14. Probarut aüt quoad fingulas partes ; et quidé quod non tantum corpus, fed ettam linca et fü perficies tint vera fpecies quantitatis cótinuz,contra Duran.2. d. 2.0.4. Hartad, diíp.13. Met. fe&. 6. Caber.hic difp.2. dub. s. Blanc.difp.8. fe&.5. et ct uU dim paucos : Probatur, rumauctoritate Aritt.qui tàm hic s. Mer.c. 13. hastres [pecres a(Tignat quatitatis continuz fingu las dcícribendo ; tum ratione, quia omnia rationcm cómunem quantitatis e[' fcntialiter participant,&in(uperaddu ntillieifencialesdifferentias, ita vpicnique conueoientes, vt fingula perillasetiene tialiter ab alijs di fferant, ergo &c. E alfumprum,hac .n. omnia funt € ter cxiéfiones habétes partes extra partes modo (üpcerius explicatojdiuerfinaodé tf quia inea dicit Formalé ex iiBoneDE udinis, faperficics lacitudinis, corpus pro fundi linea formaliter cit quàtita$ conunua cxtenía fecundü diimenfioe acm TE ed Ww" " ME (€ Wat 416 ge feciiate ii B iani Xuperficies eft quantitas conticua extenía fecundum dimenfionen formalem latitudinis,corpus eft quantitas couinda cktehfa (ecundü dimchfiohem formalem profanditar;s. 7o Dcindc gy locus nó fit fpecies quátitatiscontinoz', vcl (altim aon dittinctd à rüperficic,vt opif&acus eft Canoa. 4. Phy fic.a. t.Sot. T olcc. Flaad; Maf. Villalpan. et vidcitr confenrire Faber f. Met difp. 17fab fiac, vbi arccontinentiatn,quam additlocus fujra fuperficiem, else moduin cotinentiz [pecialem conflitnentem peculiatem fpeciem de gencic quátitatis cft Scoti q. 23. pid cam, et Ant; Andt. ip hoc cap. &$.Mct. qi i0: ac TatariZerbij s.Metq.14/& aliorum cómus hitcr;& p tcbstur, quia locus poteft fami dlupliciter,vt Scotus docet quol. t 1;a1t;2. et 3. vclmaterialiter, vcl formaliter matctial.cer noi eft, mf (uptificies conca13 corporis contifientis vt docuit Arii 2. V hyt.4i. fotimliter vecó eit ipfamet 1clarjo continentia, vel circomfeeiprionis actinz fundata in fupetficie cócaua corporis locadtis,& terminata ad contiexami locáti; quz ét dici folet Vbi actiuum, vt Doé&or notit :bidem,& hzc eft cómnnis Goétiipa Scotifl; à nobis ex profe(to cx. jlicata difp.rt.Fhyf.q.1: adco quod mitl tit, uomodo Faber cit. oppofituin dó Ccat,vt de menie Do&toris. S1 igttur I5us fortbalitéc fumarur iam man: fcfte pattt nÓ pertitere ad hoc pr&dicamentum; " Prin pullus rc(pe&tus perrinet ád préd:ptüabfolvti, fed ptoprie (pectatad &dicamcntü Vbi,vr docet Doator loc. KIt.& 4.d.10.q. 1. antem fümartir mateicf pro fondamento .f. 1liivs contitias ficvuiqs «d lioc atciner pra dicae tchitum,fed nó contiituit fpecicmnáà fai Bicic di (tinétam, quia nullam peculias   Tem ád3it (aperficiei extentionem; fed fo Jam contihentiam, vcl dd fümmü figurá. f £oncavar,trgo mon ctl fpecics diitinéta, et fupetficie, nam f ratione. Bgurz s vel conupc fitis ciset d frincta fpetics, eciam füpcrficics alba, et n grá d.üerías quanti« . pU (pectes conftiuucrent: tdm cmi illi didit contibcntis, et heo et illa figaAasfieut heec, ecl ila qoabitas, Y Difp. VII. De Predicamentis impartic. ? Demunmi,.qy neque motas, auteiu$   (uccetlio, ti diftinguatur ab eo j ncquetépusfiotverafpeciesquantitatiscontiriuzvthicopinatus.&Mair,patluz4.Zerb.cit.Ant.And.f.Met.q.10.multi(equuncur. Recentiores y: probat Bafsol. 1.d.19.q.1. Faber s. Mer. difput. 18. et nosex profcffo in phyf. dc morü quidé difp. $.q. 1. concl;r. de fucce(fione atitem ead.di(p.q.6.art. 1.vbi et foluuntar rationcs iri oppofitum: de tem pore tandem difp. 15. q. 4. quatenus ibi oftendimus realiter à motu non diffingui, vnde fi motus non cít vera fpecies quantitatis continuz,nec erianierit tem» pus, et probatar ex ibi dictis, quia tépusg vt hic de eoloqüirnur, non e(t dili duratio ipfius motus, hic .ti nó loquimar dc tépore extrinfeco; quod eft duratio motus Cali, per quam menfurantur onines ifti mous inferiores per horas, dies;mefcs,& c. fed loquiaiur de tempote imcrims fcco; quod eft propria ac inttinfeca du« ratio ipfius miocus,fed nuliius zci duratio. eft quáatirau$cius,etgo, &c. Prob. mi T. duratio nó cft aliqtiid realiter probamus,& lianc fenteiciam late def dit Suarez i0 Met.dilp.4o.(eci8.vbi quà plates cit Et quidé hzc fuitexpreísamés Arift. 5. Mer.c. 13.dumt mot ponit quamta per accidens, noa folua ly per accidens! idem fonat, qdod per aliud j quaternis fpecies motus fumü. türà partibus magnitudinis, ütperq. fic quemadmodí teatarüc quidam explicarcy (ed ctiam vt ly per acctdens idem fo. nat, dp accidetitaliter, 4c mere abiexcrine [eco omnes .n. morisfaltem de pocerttia. abfoluca fieci poffunt. in inftanti, etiam motus ijfe localis yti:non accipiatur. vt dicit totarti réaliratem motus,vc explica ifia$ difp. 15. €it. q«6« art. 3. Et tandeag difp. 15. Phyf. oftendimus morum pro. forthali qu:d. teípe&tiuum dicere, craor nequit (pe&taread hoc pradicam:: (. $olnagtur Obietiiones . $ 1Noppof.obijc. t. probando nec li. I neá, tiéc (uperficie cíle veras quan.  titatis có; imus fpecies ; uia fusi fpecies . ditun m E 44 P" um à re duraate,vtloc. ci €x pir » de cu d Quafi. II."De quantitate contin. eov eius [pec codrt.IL. $87 diftingaüátur per quid pofitiuum fed linea diftinguitar à foperficie per carencii latitudinis, et fuperficies à corpore. per carenciim profundiratis.ergo Xc. Tu 2. prima paffio quantitatis cft impenciraDiuiras ; (ed linee, et fuperficies adinuicé naruraliger penctrátur;vs patetydum duo corpora plana (e tangunt, tunc.n. faperficiesambz incodem (patio coexiftunr, uia indiuiüibile non habet, quo tangat aad indiuilibile, et quo non rangat. (ed tangit (ccuadum fe zotum,crgo &c. T ü 5. tulhi genus przdicatur de fuis (peciebus denominatiue, et veluti accidétaliter, (ed 'efsccialiter tiy ac (übtáciue,at quantitas denominatiaé df del nea, et faperheie, dicimus. lidea e(t quanta, ergo &c. Tfi 4. [pecics effc debet quid completü jar linca, et foperficies fuat qu d incópletum, nam lineà e (cntialiter ordinatur ad con. ftitationem füperficiei, Gcluperficies ad conftitutiottem corporis, (icut panctam ud codftitütionem (ines ; ficut ergo pua"Üumhac de caüía mon genierur jwopria dieu duds gta neclinea;SX (upercies. Tum tandem, qu'alinex fecuodam propriam extenfionem-inclad gar ini faperficic, et vira; in corporc, (ccundü qp £orpus PRO à(ionem; ergo mon (unt propria fpecies y Quia: vna. fpecies non iru cendalitee im alia. "73 Refpad t neg. min.licur .n, vnaquiz 1 (pectes relatz quam ratis cóinug chftituitur per peculiarem politiuamex; teníioné,vt di&um etl,'tà per eandein ab ália etientialicet d: (tinguitur, licet hoc quindoq;à pefterjori per ncgationé (oleat explicari,vt inpropofito.. Ad 2. pcnietranuirTineg, et füperficies ca parte, qua indinifibiles funt, nó qua diuifibilcs, nec .n. linca fecundi longitudinem pot €ü alia penetrari, nec füperficies cum alia faperficie in latitudiacs vadé cü duo corence tangunt, eorü luperficies dici dcbét potiüs eite limul ia codemloco, quá cópenettari,quia penetratio, vcl impenetrátloatéd:tur in rebus corporeis cx ea pittes qua fant diui (ibiles y vc dicimus in Phy(tráétide Cótrinao. Ad 3. 2 jud probat de corpore; dicunas .n. €c corpas cft quái, dicédü ergo eiie fpcc.ale peiuiie. giü quátitatis, nedum fubftinciue, 'e1àt tub forma denominitiua ( licet non Cina denominatiuo;(ed effentali) de [us [pe'ciebus przed carí immó et de (e pla, d:cimus n. quátitas eft ranta, eft exiéfa; dte. Velotius.negàdam lincam, fuperfici£, et corpus quanta»dvi proprié, fi abfolu1€ faantur, quia fic potius-dici debent quantitatcs jfcd quanta dicuntur, quatenus funt im mater:a, xtatit coricretum generis prgdiceiur de concreto fpeciei, vndà non erit pred cazio denominatina, et accidentalis, (cd eíleatialis in concreto, quemadimo4ü in gcnete. qualitatis folemas diccre, alum et? colocatum, poffe autem (ic in concreto di(poni.genera X fpecies accidenziüi iam diximus difp.pre-&ed.ita Scoc. q.17. Przdicam.ad 1.9.16. A ddunt alij, quod cum dicimus quantitas eft quanta, lincaquanta,longa,litperfi cies lata, corpus profandü, nó e(fe rationée[fentialeim quantitatis, qua tunc pre dicavut, led eius affectiones, et attributa 4. cite diaifibilem,menfurabilem, tàram, &c.qu.bus eriam nómen quantitatis fte.quéter applicatur,vt docet A rift. 5, Met. 13: vnd? fenfus earü.propotitionum erit y "quantitas e(t quaata.«eft d:uiübils, linea elt longe (t brcuis i. eft tant vel tabi"ue lorizitudiais X fic decoeteris. |; | 4. Ad 4. (olet comuniter vefpond lincá nó ordinari ad. cóftitutrone fuperficici, et füpetficié ad conflituxioné corpafis nifi quatenus indiu fibilia continuatiua, aut terminatina parcium corum!, ex Pei capite vtiq; nec (unc quantitates,nec pecies 'quanticanis:, et quoad hoc tenét paritasatiumpta de pun&o ; et ex quo.capitc funt diuifibiles, fant proprié (pecies quantitatis, nec vna ordioatór 4d conflitucronem alterius. Hzc tame folutio metito rcijeitur à Blàe.cit. et ab Auetfa hic Íe&.4. vt manifcfié falla, quia reuera li. nca copulat, et terminat partcs £ici, von Meier i cd ét, quatenus longa, alioquin et ctia term niti per puricta, qua font non lata :& fuperficics copulat, X terminat partes corporis non tànrü quatenus neo profun do, lic .n. ét per lineas, et punéta terminas ti j otict, fed quo; quatcous lata, Quaré a Zz i fe Lj coim Auctía diuerfo modo gencra y et fpecies difoni in praedicamento. (übftantiz, et in predicamento quartitatis, vt nempe bireponantur folum entía cópleta illius geocris, hic autem ctiá incóeta, vndé concedit lincà, et fuperficié isin pra dicamento reponi, femel dire&té ub conceptu cói quantitatis, vt abíoluté dicit exccntonem,fiué n.agnitudiné ab(trahendo à detereinatione vnius, vcl duplicis, aut trinz dimenfionis; et iterü tcdu&tiué per inclofionem in fpecie corris, 0cq; :d iudicat abfurdum . Scd faré hzc íolutio cft peior priori, tum quia flatim concedit, q» A duer(arij cótendüt, lineam, et fupetticiemeffe fpccies incóletas Kd uia conditio f] iilis illius, q; dirc&éeftponibileiniddicamcento,vtmodocóflru&tumett,ccapudipfumq.16.(c&.$.crat,qpefietquid completü, vbi et bac pcerfertim rationc entia incóplcta,& partialia à przzdicameto extrahebat, quia bis effent in co, (mel tatione (ui dire&é, et ruríus redu&tiué tatione totius, quod conftituüit, vndé n; tü cft;qo bic accipiat  q» ibi re;ecerat, Zetbius cit.in fol.ad 3. princ. ait, q lifca, et (aperficies poflunt dupliciter cóft derari,vno modo, vt fignificant quandam perfe&ioné quant catis, praícindendo à perícétione alterius perfetionis quantitaciuz, quo (enfa dicimus lincam tignificarc longkudinem (ne latkudine, X (utficiem latitudinem fine protunditate, hoc modo contiderate non accipiuntur, vt tctmint alterius quancitatis,(cd wc habentes in (ciplis ccrtam, ac determinátam rónem quantitatis; alio modo confidcrari po(junr quatenus vna includitur in alia, et ordinata ad cius conflitutronem, et fic non fün: (jccics di(tin&z. Ac ncq; hzc (olutio fatisfacit, (ic n. etiam dcfcndere potlemus materiam, et formam císe fpecies completas, et dirc&é.! politas in ptzdicamceato, fi con(iderencr, vt dicür quendam certum gradum f(ubttantialem, incomplctas vcio, et indirecte, fi conüderentur, vtcffentialiter ordinabilcs ad alterius (peciei confticutionem. 75 1raq; rcipondcndum ctt, lincam,& i€, licet matetialitec corpus (uo b 3 $8 Difp. VII.De"Tradicamentis in partic. : modo componant adhuc tamen efsc v&ras,& completas quantitatis (pecies, uia dirc&é recipiüt,ac c(sétialicer jllius prazdicationem, ficuti corpus, quando auté ita (e habent partes reípcétu totius, tunc bené poffunt dircté poni in codem ge« ncre cum iplo, et dici (peciescomplerae illius generis, ticuc iplum : nec obftat, d» ordinentur ad cius conft tutioné,dümodo cü ipfo recipiant praedicationem eiu(dcm generis, vndé hac ine dicebamus di(j. przced. q. 3. paties homogeneas, età   Aid » adhac diccdté in predicamento reponi; non poísumaus autem fic dicere de materia,& forma, quia ipía non recipiunt diredé. przdicationé ubftantiz przdicamcntalisncc cciam de punéto,quia omninó caret. partibus, nec vilam pcor(us habet quantitatem . Ad $. poíset ndcri per idem,ta« men ad maiorem harum ípecierum cx« cationé dicimus, quod lcér cie: includat longitudiné, non fi formaliter, (icut linea, ícd matecialiter uy, et prae (appotitiué, quo et'á (enfu corpus ;ncludit latitudinem : ró huius e(l, quia cü fus  ». qerficies (it dimen(io, quz continuará dcbet per indiuilibilia (fecundum latitudinem, diu;fibilia camen (ecundü longitadiné, ficuc funt lince, idcó necefsc cft fuperficiem habere longitudinem : item Quia profunditas cft dimenfio ; que contjnuari deber per. indiuitibilia fecundum profunditatem, non tfi m latitudincnaquales funt füperficicsnecefsc eft corpus habere laritudincm, non quidem formaliter, quaii longirudo, vel lauitudo fit corum císcntialis excenlio, (ed mate rialiter (olum; et przíuppolitiué, quia.f. fupceficies indiget lineis, «quz (unt long£, et corpus (uperficicbas, quz (uai lai£ ad fuarum partium conunuationem 2 lunc cft, quod iuxta phra(im Ariit. f. Mct.13.nó dicere (olemus faperficié cise longitudinem, et latitudinem, fed juód ci latitudo cii longitudine, et quod cotpus cft profunditas cá latikudine, et lógitud;nc, vnde (uperficies includit formaliter, et in re&o (olam latitudinem, et corpus profunditatem, ceteras vero dimcne fioncs in obliquo, et materialiter : quod totum 1I. De quaytiarcomimia; eor eius peciebe dri... 589 "totum expliciri poteft in quantitate diTereta, in qua vnus numerus aliam prz» "füpponit ád fui conftitutionem, et non eft ille formaliter  quare cum dicimus cooset longum ; et latum, erit pradi€atio tantiim materialis ; et hec eft comTniais inio Suarez di!j.40. Met. fed. 6. Pla.di 1:4 1 de quan Complut. dif. 13. q.4. et aliorum.   .76 Quidam ta nen, vt Blanc. cit.(ec. -€.& Aucrf. (eet. 4. efto concedant longitudinem linez, et latitndinem füperficiei fion ni(i przfuppolitiue conuenire corpori,& lógitusinem linez fuperficiei ine quiunt tamem conicedendam cffe aliam longitadinemyquam efferialiter includat faperficies citra lineam, et aliam rarfus Tongitudimem, et latitudinem, qti efentialiter corpus includat antccedenter ad fincam, et füperficiem& in hoc fenfü c(   cífe   tpe neÀ ed $cft longam, &latum ; ant ratriplciter. T üá s apetficits n6 foIum includit fineds longas, fed etiam (uas partes, quas habec ia Jatitud:ne longas, et longitado harum partiumom eft longitudo lneard, quia partes (unt liricas, et faac longz,& lace ; Tam x. quia quantumuis in fuperficie prfcindamus fatitudinemà line1, femper in exten(ionie Ila lata lózitudo etiam quedam eft ; quia lacicadine hanc poffümas linea metiri, qus ngn cft menfura latitudinis, fed longitudinis, Tum 3. quantum non fumit à continmtiuis excenfionein y fed potius extenfio in co fupponitur, et per illà cótindatnrgergo cü Limea, et fuperficies lint contndatiua corporis, nó cric corpus per ipfa extenfum petlóngug, et lantm, fed per feantecedenter ad 1lli, vade ex fc diet folettrina   j o 4« quia ptofanda nequit intelligi trina di pe; n tic "mis folum verfus longiradnem;efict linca; ti folaas verfus latitudinem 'etice faperficies. Tum tandé vid tefminus imus nequit rerminare dinentionem aüó5n latim; crgo cum fuperficuv Gereri ubt tus roit te ifs re profunditatem torporis ; bit et ipfa fit lata « Coaf. quia fuperficies cérmmans corpus vtique non eit immediate cóiun" Logica, Ga cum alia üperficie, fed cum parte.» corporis, qu erat lata, cuim qua latitudine remaneret ctiam fe a fuperficie terminante: his tidoatus Did. difp. 13.4. f. hanc opin. cenfet probabilem. 77 Nihilominusà cómuni rcgédendü non cff,quia frfemel in fuperficie er "longitudinem linez aliam proptiam ovi. At qi oec duplici loogitudine effe longam, leve] propria long;tudine, et iterum lógirudine linez, imó corpustér erit rain et bislatum,cum taxmen vna o fa fíciar ad extcadendam in 16gü faperficie, et (imnleius partes vmi dim in fatiurdine, et vna latitudine ad e» tendendam corpas verfus ! itera, et vni&das;ac contintandas eius partes per próe faaditatem ; Seqrticuritem corpus hibere tripl cata pacti et faperficiem duplicat, quibus contíngari deberent ill: patteslongitudioss "Ruür(us praci(a linca et füperficie, adhac in ea lineam repetiri uia adhnc ia eareperitur longitudo pítAniverhrhsta fudaicun nón ett, ni(i linca, et iic de fupetficie refpectu corpo ris. lem poffe dati fapecficiem finc omni liqea, et corps finc omni füperficie y quia adhuc effec longim, et lat (ine illis. Nec iuuat, quod aít Blanc.cüt Didac, neccífaria adhuc effe, vt continuatiua, lineas qnidem partium füperfciei, (aperfie cies vero partium corporis « Nam-fi fi perficies [eip(a cft longa, cur talis longitudo non fufficict ad cam terminandam, et etus partescomtinuandas? et (i cocp feipfo eftlonzanm, et latum ; cur talis titudo (ufficiens non cfit ad eius prófua: ditatem contimuandam; ac cerminitidame Kefpe blanc, nonfufficere qiia longitue. do,& latitudo corporis e(t profund: nul« Ja carens diinenfione, continuauuü veri ac terminatiuum aliqua debet cárc mentioae, Sed contrá ;quia quando etia admirtetetür. latitaditicm cde cifentialis tet longam, '& profünditareim: latam ; et profundauy nom tamen € conrra adaiitrí ce aliua longitudo, quat ht c(lentias n Vwerim laticado, q«at (ic eflentias iet indo: 3 "ea fcindicà y et latitudo pto dicic ergo proíus ircationabihs: eit ala 72.7 lata 4 /$9e Difp, VII. De Pradicamentisin partic: 7 ; Rata folutic: alia quoq; abfurda fequuntur €x hac pofitiope, vt difcarrenti patebit, (78 Neq; rationcs in oppofitü vrgét . Ad 1. neg. partcs (uperficiei habcre propriam lorgitudincm feclufa linca Ad 2.,meg. poflc przícindi à füperfcie oues bncas rcmaréte cius latitudinc,(icut prafcindi ncqucun: pun&a à linca remancntc cius longitudine. Ad 3.cftó corpus nó fumat cxtcntioné à coniinuatiuis, quatenus conunuatiua,& indiuifibilia (unt,po1cf tf aliqua ét ab eis fumcre, quatenus diuifibilia (unt,materialiter nGpé,& prazfopsotus in quo €t fenfu imtell gendü €ít, quod corpus lit crina dimenfio, quia "f. materialiier eft longam,& latum formaliter veró profundumitaut in (ola pro funditate cius natura confumctur. Ad 4.,gatet per idcm. Ad $. pofict pcr ide proari fub(i(tentiam non. poffe cffc tctmipum natura fu5ftantialis,quia fubfiften1ia ncquit c(fe terminus natura nó (ub fj ftentis;(ieut igitur fübfiflétia dicitur terminus naturz. non fubíüiftentis privatiué gantí, non auté contrarié ficut cft accidens, ita in quantitate serminus latus dicitur terminus dimenfionis non lata, nó Suidem contrarie, quo fenfulinca dicitur, mon Jata, quia cft incapox latitudinis, (cd priuatiué tantum ; pcr gy foluitur cuiá illa €onfiz maio ; ceterum 101clligeptia baius dobijtota pendet ex traét. dc Continuo, vndeé ad illam diffcstur exactiot cognitio ierum quantitatis concrmoa . 79 S«cido yrincipaliter obifc. prob. um e(sc veram fpeciem quatttatis cótina um aaCtoi kate Arift. illà hic ena €ncrants; rà rénc à Canoa.X alijs allata, quiararto menfura, a qualitas, diuiibilie 14$, et c otera: euamitatis affcetinnes lo» «o cóacniüt locus n. cfl zqualis locato, eft diurfibilis, méfurat locati, ergo &c. R«efp.DoG&or q.25.«it, Predicam.Tar. Mair. et alij Scotifla Arift. bàc vulgaritcr Melo pov e iip, tunc tépori$ vigcbat, dicencium lod UM fpatiü. dimenfioparü intcr latcra &otporisconiinentis intcrceptü, q. opiv:cué poitea rcfellic ex 4 Ebyf, iuam tr : $. Mer.c.13. fpecics quantitas s ads (entcnüamdclorp, vidé | propria mente a(fi locinon meminit . Ad rationem dicimus probare (olum locum pto materiali effe in przdicamen. to quátitatisPfic.n. illi cóucniüt illa pred cata,qua (olent quantitati attribui nom tfi probat cíle (pest à fuperficie diflinGà; nec ité probat locü formaliter effc im przdicaméto quátitat s, (ic. n. fpectat ad przdicamentum Vbi; vt dicimusin Phyf. Tertio obijc. de motu, et temporc, n& babent pattes nouo modo extenfas .(. pe» ncs d:uet(as moras, ac fucce(fiones, quibus partes fluunt,habent cría diueríAs in» diuiibilia, quibus partes facceffiud copulintur .(. ín motu mutata effe, et in té, pore inftantia, ergo nihil decft illis a4 ra» tionem quantitaus per fe ; neq; .n. requis ritur cíientialiter ad quantitatem exten fio per fpatiü locale fed (ufficit,g (it pee fpatium daracionis, in hoc autem fpatio vcra cxteníio parcium fücceffiuarum das tur, quarum yna non penetratur cd alia, fcd (uccedit ipfi. Neq; exam qp quantitas facce (iua à continua permancn tc obílat, quin motus, et tempus (int ve» rz fpecies,nam corpus de à fupetfxie,& linca, et tamé eft veraquantitas. $o Refp.neg.affamprü,partes .n.mo5,000 tàm addunt partibus magnitudinis,(uper et fit)nouá exten(ioné, g nouG modum oppofit á permanétia; quarepus partcs motus non fimul exiftunt ; et rurfus ifta(ucceffio,&extreita spartiümotusinordineadfpatiumdurdtionis;nontàmprouenitcxmaturapartiummotus,qex imperfe&ione agentis non valcatis, fimultotü Les 1adaccte; vcl ex refifl entia ccrarij in » propter € vincendá forma (  dnd. idco non cít per (c quastiati Br paritas affumpta de corpore in ordine ad fuperfi. cicm valet quia licét corpus fu 11 perficiem,tf addit nouas partes adillam, (cd motus non addit nouas partes ad magnitudincq fpatij, feu diftantiz,in qua. cxcréküt, ncq; tépus addit nouas partes ad motáü ; cum veró dicebatur tempus, Sc motum diuería babere indiuitibilizjid cfl cndà de tempore exirineco pro meníura accepto, nonautem de temporc igtrinfeeoshoc n. eut cft omninó idcm cum Quafi. T. De quantitate continua, eo elus fpec. edoi.i. $9 cm motu, cuius eft duratio, ita ea(dem Babet prorfus partes, ac indiui(ibilia cadem cà ipfo, vt dicimus in Phy. difp.15. Ex didis im hoc att. colligitur fpecies proprias quátitatis continue effe pccrmanentes, cum fü o continüa non fit vera quantitas y et has effc tantam ttes iá commemoratas, lineam; fuperficiem, et Corpus, quia ratio quátitatis e(t extéfio, fed hzc extenfiotribus tantü modis pót  diuer(ificari .(. in longam;latum,& profundum, nec alius modus poteft cogitati, vt Mathematici d t, ergo &c. Süt etiam omncs huiufmodi fpecies infimz;quia linea v.g.non diuiditur, ni(i in curuam,& re&am, faperficies in concauam, et connexam, corpus ia rotüdà, et quadratum, omnes autem huiufinodi difléreutiaduk accidétales, quia redticudo, et curuitas, concanitas, et cóncxitas, &c. lolum dicunt varias figuras; ve ro accidit quanerati ; idem dic alijs quaptitatibus continuis ein(dem fi« guia (cd inequalibus,vt eft linea bicubi: ta,& tricubita; quantitas . n. cócinua maior, et minor ineodé genere ektenfionis non differunt e Gentialiter, (edíolü accidentaliter per;zmaius,& minus, ficut c; lor: vt vnü,& vt octo per magis, et maus; fic: etiam in quantitate fucce(liua differunt biduum, et triduum; biconium, et trienniü, vnde malé dixit Zerb. cit. has etie (pecies (übalternas, et linea ce&à, et circularem, bicub:tam; et tricubitam fpecie differre, hoc .n. falsá efi loquendo de fpc cic ctientiali, de qua ibi loquitur; verum tamcn eít loquendo de accidencali ; dicí ctiam poteft quantitates inzquales fpe€ic diflerre in ratione menfurz ; hoc cít; diuer(as men(uras conftituere Duid fit quantitas difcretas C7 que 0o fpedtes eius. $1: (x Vantitatem difcreram dcfiniuit, . Atift. in lioc predicam. effe ill3, cuius comuni, abinuicem (olutz, neq; circa eius e(fentiam indagandam ett am plius hic laborádum ; quiafatisliquet cx umdce ral '5non copulantur termino dictis art. t. fed tanium c'tc& cius fpecies aflignandas,duas .n. a(liga:uit hic Acitt. numerum .f. et orationem, et quidé numerum affignauit pra quantitate difcret1 permanenti, orationem vero pro (ücce(Tiua, vc communiter explicant. Circa numerum folet dubitari primb; 1n hanc (peciem ia tata affi gnauerit am plicadine, vc (ab ca comprebendat mul. titudinem, nedum entium cocporaliums. verumetiam fpiritualium . Ec communis opinio docet, gy hic per nu icelli gat malticudiaem folum vaitaumequantitatidacam, quz repccianrur fohii im cones tinuis diui(is, A (eparatis abinoscenr, vn dé confequenter loquens inquit Acifk. &C 3. et 6. Phy numerum cefuliare ck digtifione continui, et (ic mulcradine talium vnitautm vocant numerum przdicamoeastalem,multitadinem vero aliaruay cerunt quárenus quzlibct cft in fe tranícendene iter viia, vocant numerü rran(cenden« talem, et ab'hoc praedicamento expuagunt, quía per omnia vagatur przxdicsmenia, et ecamad res fpirituales extenditur, nam nimerádo dicimus, due qualicates,tres fab dátie quatuor Angeli, &c, Nominalesé coatrà namerü owniü rer criam fpiritualium vidétur io oc przdicimceoto reponere, quamuis,u. à. rebus: fpiritualibus, quantitatis nomen videatur prorfus ablegatur, iaqaiunt, id intelligé de quanticare molis, et continaa, non aut de quantitate difcréta, cuius ratio, et affcQtiones qué bené falaancic in mulci-: tudine rerum pluriura (piritualiü, ac core poraliá, tres . Augcli n6 copulétur tecmino cói, et (aat numero impares, &c« 81 Quamuis hzc queít o. fic magna €x parte de nomine,cum .n.numerus, liu& quantitatiuus, fiu tran(cendens, nullü ac cidens per (c vnü, atq; realiter di(tinckü t pter res nuaeratas, idem té iudicium poft ficri de vtroq; tamé' vt ob(cructur re&us loquendi modus, di cendu eft numerum rerum fpiritualium. vtq; ad boc predicamentum non fpe&tare, Ícd tantum numecam rerum cotporaliam, intclligendo pcr rcs corporeas non tantum illas quet quántitate predit (nt bitcritipdtib he vt srt £2 4 Wü. e 921. enuniter intelligi, fed etiam illas, que anteccdenier ad quant igatemshabent aliquá matetialitatem y vt art. przccd, diccbamus de iub ftantia materiali, qua-fpa ha» bet maierialicatem anié quantitatem, li« cét com alia evctrabilé, idem a(fecendm cft dc «ualitatibus corporeis ; hzc an. omnia (uam habent matecialitatem ; et corporeitarcm eitrà quantitatem.,nec ab ca rccipiun!, nifi impenetrabilitatem. Ratio huius ficrti.eft, quia ilia-(ola mul» tittdo conilituit numerum, huis pradi£amenti-» qua accidentaliter. dicitur de rebus aumceratis» at multitüdo entikatiua » feurerem, quatenus vnaqueq; eft iranfcendentalitergna;intrinfccé, et quafi cf fentialiter dicitur dc illis, quia vna traü« fare .ncquit in alam per idcnutatem ; eatitatiné Joquendo (empcet. vna rcs € ab alia difcreta ; «um igitur multitudo ex vnitatibus1ranfcendétibus aggregata nO dicatur acci liter de rcbus, numera". us, rc&e dicitur numerus trancendens,. et non przdicamentals, hic -n, pradica-, tur per. modum accidenus ; € contra ecrà, quia multitudo rerum exicníarum de iplis dicitur accidentaliter, inquantum.f. unt abinnicem diuifz, et difiun&tz » q» ipfis mcré accidit.cum ex-natura fuacótinuari poffint, vt cOftat de duabusaqua Mopeh «onunuentur, non amplius dicuntur,-fed na. pra dicamentaliier ( ict adbuc duz. maneant. tcanícendenter, quia voitates tranfcendeniales nó pereunt ex conunuatione » fed cantá pre. dicamentales ) idcó talis. numerus recté. inbboc przdicamento confltuitur,& folis. rebus corporeis conuenit, nam (piziques et incorpotea ità (unt durifz, et crei, yr nullatenus modo continugcj pofliniEx quia etiam di(eretioy &. mulucudo, quirelükArcupndlipl o Mesia fubtiantiz, et qualitatis matcrialis [celufa quanütace » meré accidercr illis quia ex natura fua policnt illz plures partes ; cenrinuaci cum, fubftantia materialis, et ; Cartera accidentia corporea, ctiam PN v quaputatcm y proptià haber nt có-.. t;nuitaté, vt dicin.us s Phy[se p:9» ideo. bacnuluiudo rerum, cuamfi. non bnt impenugoilcs [aapte nara; rede dices EE c1 " TX Difp. V1. De-Pradicamemisin partit i5. tir numerus pdicamétalis, et erit fpecies. P   etze huius prz dicaméti et vo modo dicetur. refulrare. ex iut one. córinui: vide Tat-hic $. Tertio fciendam. 83 Secnodó Dubitaursao (üb hac fpe cic comprehédatuc (ola amulitudo cetuug. corporcaruim permaneniü y verumetiam facceffiuarü, 2equé.n. Ke er tcs lapidesac deos,vel cesdies, vel ane, nos, trcs item vel quatuor ootus, Negat communis opintos qtia Arift. numcruam reccoíet pro fpecie. quantitatis dilcretzs. permanentis, et pro quantitate fuece (Ti. va aliam Eisdem conftituit 4f. orationem; ideó dicunt mulcitudiné «ntium (acce fuorum,«um pumeraturs, reduci debere ad orationem, Sed plané fatemur,ounquam.nos capere potuiffe y. qu pacto, quoué fenfu tres anni,rcl mE, €5 aut tres fDotus poflint dici oratio, £ libenter fciremus, quodnam genus orae. tionis conflituant; immo affer pi ineptus, ac infultius afferi poffe; dicedü. igktur eft € multirudinem motai et tem, porumad hác (peciem periere, et vni ueríaliter rerum. quanimcung; fucceffi-. m ipfa WM d Tus quida elt,vc poftca dicemus j Per get aire i Los fpecie quantitatis di(cretae is. pracisé, imó ficextus legatur, gon inue. nitur cum exprefíe diftinxitfe quantitate . difcretam in pcrmanentem, fub qua dumtaxat fit onmerus;& fucceíTiuam, (ub qua . conflituatur oratio; et quidem nec appa -. rens (appetit ratio, cur numcrus folis re-. bus permanentibus; debeat. concedi, et ; facce (Buis dencgariscum ifiz., ficat ilz. poffintenumerari y &-in vnum «olligis ;. qu aré autem oratio /pecialitet fucrit aís gnata pro fpecie quantitatis diícretae fucecilibe sum tamen (ob [e qme Aium fucce(fiuo dacadinem. non as echo rang re rag 84 [sue Dubirari folet,an numcrus infima; vel íübalternaland.3, Phy(q.11,& 2. Met. q4. tenere cierüiofimamyvndé inquit, quo 1 licut in quam itare €óunua Jincagmaiors et ninor. Ju difcceta maior y et mindonumerj | L4 " t "CV -. ' Q.II. De fpecieb.quamitatis diférete. Ast. LII. $93 came opinio Commient. 8; Mer. -€om;10. At contrarium verius eft, &c communi calculo receptum, qj probant optime Tyombet. 2. Met.q.4: $. 4d bec ripondetur et Zetb.5. Mcet.q.14. nam Arithmetica aliam paffipnem probat, et deimnóttrát de tecnariojaliam de binario, et tic de 8iijs,ergo per alia principia quae fun: pet fc,& tic nedum indiaidualitec, fed'ettam fpecie differunt ; ex quo dedu éitut, non valére paritatem a(fumptaim dé linca maiori, et minori eiufdem figu (ft etiam magis mox explicabitur) ia nümeri inzquales potius affimilantür quantiratibus continuis diuerfzfieurz, vade fict in quantitate córitibua. ad-« dito vnoangulo alijs refültat alia fpecies figu, fic in di(ercta addita lia ynitate relültabit alia 4pecies numeri ; diximus aütem numeros inzquales inter fe fpecie differre, quia dno z quales, vt hie; &ille ternarius; folo nomero differunt. ' '8jAtfolet obijci, dp numerus minor ft pars: ris ex Arift. 5. Mer. tap. de Colobon. et Euclid; 4; Geometretgo nó eft fpecies ab eo códiftin&a, ti«ut neq; anima eft fpecies codiflindta: ab hoinine;(ed pars fpeciei. Hoc argamentü multos'diuexat abfq; cau(a, coincidit .n,. cumillo;g feti folec in quantitate cóntinaa de linea, et fuperficie, quz includüntot in corpore, cui  abundé fatisfecimus. art; przccd.in fol. ad-4. que quidem 1olatio eriam in przfenxi fufficerec 5 (ed ad vbetiorcm do&trinam, et maiorem notitiam compofitionis nomcri addimus ex Trób.cit.g; numerus minor-non eft pats nütmeri maioris, nifi potentialiter acceptus,& quantum ad vnitates materiales,vndé fi numerus terparius có(tituitur ex binarió;hoc ídeo eft, quia binarius gemi  naai continet ynitatém ; €x qua cum alia. vnitate conftitucor cecparius, fed quàn: tum ad foramm fpecifi camyquam importat binariüs,vt e(t diftincta fpecies ab ipfo, et quantum ad vnitate formalé m2 f. m fpecificam /(ccundum i maitre c vnitate (pecifis: licuit ternàrium, fed  Jabarütn tagtümtresvmtates, qua raiione duxit Arift, 5. Met, 13.fex (ecunduin £peciem y et lubftantiam füam non effe bis trii au£ tcr duo, fed tantum effe (emel fex. Siautemquaztarur, àqho fuam famat ynitaiem quzelibet (pecies nutaeti. Refp. colligiur.ex dicis art. 1-vnamquémque numerum dici vnum (ua vüirate formali, quz omnes vanitates materiales (imul fümpras confequitur, vtinbipario dudlt: Írtis, in ternario trinitas ; et nonab'vltigiavüitate dareriali, vc conrendebant Thomtfl.ibi citati; hac autem vn'tas for malis numer: non cft aliquid reale in re2 bis nuuieratis,fed ett vnius illa rón's, q: ill;s teibuit intelle&&us,dum a&tuaaliter au merando finzulas in vn colligit, ex quo deducitur nulli numerum cífe verarg fpecicmà parte rei ; (cd tantum pcr' opus incclle&ns,vt docet Cano. 4. Phy(.q.5. et Do&or ini;nuat 4: Met. q. 2. Etcx hoc rutfüs deducitor, cur potius numcri inzquálcs, quam linez dicantur diucrfas (pe cies conftituere, cum.n. effentia name: ri confiffat in adonatione, quam facit intéllc&tüs per colle&ionem pluriam vnitatífyinita diuerfascolledioneg, et aduciés sumerorim confliruuntur, at linea habet vcram et realemeffentiam, et ideó non: porcft re vera vna differre ab alia 25 fecundu magis, et minus in codcm. genettexicnlignis,   LEE 86" Circa Orationé vero qux coftitue batür altera quantitdus difcreue fpecies y non poffamus illos nor irridere, qui tàra: anxij, ac folliciti funt in declarando quo oratio veram rationem quantitatis pat ticipet, vt defendant effc vcram fpeciem Iniius przdicaayenii . Sed [an oleum ; ac. operá pe cdürit; rumWquia, vc diximus art. r«ex Scoto 4.d. 1.9.2 ;ad 1. nonimportat. eis per fe vgum z tum qaia intantum di-; citur qu&üritas, inquantüm cofffat fj 2 bis longis ; '& breutbus (fermo,n. | » oratione vocali ) at quou;odocanq oc explicetut, nanquá oft ur cffe quan ttrátem per [e,& contlituere (pec; em cfferitialiterà mimero diftin&lam ; nam fr coifideretur ;vt eft adundtio pluri rure gantiuqy tie nou tranfcead t ra némimtri   i, d» UO" 2 w&RSUMM $94 €rit;ni(i namerus fyMabarum ; fi con(idcfeturyquatenus conftat fyllabis, quaram vna breuj mora proferri debet, alia longiori, fic .n. videtur quanta difcerté cx molcitudinc morularum, quibus motus ipfi prolationis durant, Neq; ét ficoften ditur cffc quanta per (c, quia menfurabilitas illa non conuenit illis (yllabis ex na tura tei,(ed ex hominum voluntate hanc fyllabam cortipientium, illam producentium ob loquendi iucanditatem,& leporé, et morulz illz ac motus, quibus proferuntur nó funt quanta n:fi per accidens ex art. preced. Nec etiam per id faluatur cíTe (pcciem à numcro diftin&am, (ed tantum e(fc numerum temporum, et motuum, et ideo, Baffol. 1.d. 1 1.q. 9. concludicorationem non cíTe quantitatem . At inquit Ruuias, non hac ratione có. ftitui (pcciem quantitatis, vt commanitcr cenfetur, qua numerus mocuum, vel dutationum breuis, et longioris eriam in pulfatiene Cytharz reperitur, et tamen non eft oratio de genere quantitatis, inquit igitur conftitui fpeciem quantitatis sa corpulétiam foni, aut vocis, qua protur, qua nó cft aliud, quàm dilatatio, et prolungatio eiufdcm;& hec maior,vel minor corpu]entia orationis non defumitür cx motu, quo ipía profertur, vel tem pore,quod confumitur in eius prolationeed cx natura ipfarum fyllabarum,(yllabacnim qu intcr,plures con(onantes interijcitur,Jongam jouet, et coriam petit, vt ftirps trabs, &c.non €; qua fimpliciter profertur, et inter confonantes non interijcitur, 87 Cetcerü mialé negar Ruuius orationem conttítui fpeciem quátitatis difcrctg ratione téporis, quo eius fyllabz pronunc tatdé,vel citó, quia Arift. ipfc €x co probat orationem cfe quantam, quia menfuratur yllaba loga, vel breai, aclongitudinem, et breuitatem fyllaba; accipiunt à tempore;nam ca dicitur longajin cuius prolatione plus infaritur téporis,illa breuisyin qua minus, ergo tem; non corpalentia foni, aut vocis pra. ftat quantitatem orationi, qualií cunque i lla üt; os binc ícquitur pulfationem Cytharz cíic orationem, quia non qui» Dipfuc. VII. De Predicam.in partic. libet namerus motaum, vel temporis at. tinet ad orationem, (ed ille dátaxat, qui infümitur in loquédo,& proferendo.Ac« cedit,non benc explicari à Ruuio,. quómodo per corpulentiá foni, vel vocis fiat. oratio vocalis quanta, nam cxtenfio, && corpulentia vocis,vt ipfe explicat,nó eft. diftinda ab extentione aeris verberati, ad prolationé vocis, fcd quo paGo quan titas aeris poteft orationem ipfam quam: tificare ; et quomodo ex plaribus aeris. exten(ionibus poteft componi quantitas difcreta,quz (t oratio? Sed plura contra hoc Rauij cómentnm videri pofsüt apud Amic.trac. 14.q.2. dub. 2. et Blanc. dif]. . 10.fec. 3.n0s (olü hic addimus, malé etiá Ruuiü affercre maiorcm;vel minoré vo« cis protenfionem in oratione cx natura a (yllabarum prouenire, hoc caíin proríus. filíam e(t, cum ex (ola hominum1nftitatione id ortum duxerit, jaidem apud. Graecos quamplurima f ylla ipseque on-. fontes MR (in quibus preíercim vim faciebat Ruuius) breui&tur, vc liquet. ver(atis ioilloidiomate.   2 3b .u£1 88Cócludédii igitur eft ex dihisota,, tioncm non cíle per (c quantam, (ed tan». tum per accidens, (ccundum q» conftat. fyllabis (ibi di(creté accedentibus cum certa breuitate yc longitudine in prolas t;onc,atque idco materialiter tantumy&, accidéaliter à numcro diffingui, vt curuitas,& fimitas cx Tatar.loc. cit, ficut .m. huiuímodi figurz,ex eo foli diftinguun. tur,quia curuitas in omni materia pote(t inueniri,non.n. determinat libi materia, vel(ubie&um, ficut fimitas, quz determinat fibi nalum»tic numerus, et oratio . differunt folum accidentaliter ; et mates . rialiter,quia numerus nop determinat fj» bi (abie&um.; fed ingeniri poteft in omnibus continuis diuilis, et feparatis » orae. tio autem inuenitur folum 1n fyllabis ali» . cuius vocis,atque ita abíolaté. loquendo vaa tantum eft (pecics quantitatis di(crei£ f. numerus,(eu mulutado, quz vt in uenitur in [yllabis dicitur oratio,vt inca teris continuis,dicitur numerus; ge fcrtq» DoGor q. 19. Vniuerf. diftioxcric. . orationem à numcro, etiam cíffentia litets. ibi 3 locutus eft dc oratione y vt fpecie . per 5 r i " add. f Tu 7 ger [evna, at cum aliter doccat in libris "Bepten.illa erre non ligamur iuxtà regulam traditam. $9 Sed dices;(i oratio nó eft (pecies à numero condiftin&a, (cd numcrus ipfe ih talibus rebus repertus .£. fyllabis longis, et brcuibos,cur illam fpecialiter memorauit, veluti fpeciem coodittin&am ? Refp.vt fupra dictum cft in (tru&urahuiusprzdicam.acciusfpeciesco nftituendo,Ariftor.fecu tumcífevalgaremloDmodum,&1ncom muniloquenimodoqu antitasdifcreta fucce(Tiuatribuitur orationirationefyl l;barum;vndeapudGranimaric osextatintegertrattatusdequancitarc(yllabari;at$.Met.vbicxpropriasététialoquitur, (peciesquàtitatisaffisnansorationisnonmeminit. Itaqueexdi&is.colligitur, inrigoreo,genusfupremumhuiuspredicam, e(lequantitatemcontinuampermanentem, quadici[oletquantitasmolis, nonhabens (ubfe"rwygenusintermedium, fedimmediate (ub fe conillas tres fpecies wem deny, uperficiem, et corpus, de qui us tra& de Continuo in Phy(.& hoc diferte docuit Baffol. cit.1.d. 1 9.q 1. vbi notat non dari quantitatem fuccefliuam, quae fit veré quantitas, imó inquit re vera nun quam Arift. diftioxifTe quantitatem in permancntem,& fucceffiuam, fcd tancü in continuam, et difcretam,& neq; hanc effc veram quantitatem demonftrat infcrius d. 2 4. vndc concludit, gp Arift.ideó hic pofuit numerum, tempus,& orationem.quantitatcs,quia famofum erat temporibas fcis, et voluit loqui, vt plurcs; scílat igirur folam quantitatem pertnaoctem continuam effc re vera quanütatem, et ipfam folam hoc przdicamentum conRitucre; quam fententiam communiter tuentur Ncoterici, quibus praiuit Suarez in Met. difp. 40. íc&. 8. ARTICVLVS IV. peclarantur proprietates, C" attribue, fa quantitatis . Ril.cap.de quát. docet eam habe i: sei fubfdua duo attributa «ó Q9. 11. De fpecieb. quantitatis difereta.e rt. YIL.   $95 un «f. aed e contratium, ned iperernagis, et minus, quz ità (unt Peer e s in Infl.nó moltà fint addenda;licét.m.in quantitate comtratietas illi inneniatury q ad motum cxi« git Arift.s. Phyf.diftátia nempé termino rü motus, q nó nifiintempore potcft mo bile pertrantire, non tfi repetitut contta« rictasilla proprie di&a,q habent inter fe qualitates ab codem (ubie&ofe inuicem cxpcllentes,vt docuit Scot.q. 24. pradic, tum quia inter quantitates non. verfatur repugnantia formalis,vt idem docet 4. d. 49-q-16.ad 1. pr.opin. immo nec proptid virtual;s,cü non fint formz actiug, et q.uis ab codem loco quantitates fc pellant, non proindé dicédz (unt contrariz, quia vt notat Do&or cit.repugnanua contra« ria eft in ordine ad idem (übie&um;quátitatcs autem duorum corporum non tc« fpiciuat locü,vt cóe fübie&um, (ed funt in illis cotporibus,vt in jpprijs fubie&is. Quamuis ctiam quantitas continua;& di Ícteta, magnum, et paruum, multum, et parum ; linea curua,& re&a; furfum,& deoríam, que funt differente loci aliquàá oppofirionem inter (c habere videantur, rc tamé vera hzc omnia propriéinterfenócontrariátur,vcelfialiquasütcótrariayplanéadI; ocgcnusuonfpectabüt;continuatio3gitur, &difcretiocritvclutoppo fitio differcntiarü vnnm communc gcnus diuidentiom;magni;& paruum in quanti tate opponitur, vclut intcnsü,& remiffüm in qualitate, vbi tamé calor, vt vnü, et vt o&o contraria nó indicantur,vel certé nó opponuntur;ni (i relatiu£ vt docet. Arift. in textu, vndc voum, ac idem fubi dici poteft magnum, et parumm ad diuerfa comparatü, idcm dici dcbet de multo,& pauco; re&itndo quoq; et curuitas vcl propri nó opponuncur;vel fi funt op» pofita ad pradicamcotum quantitatis nó rema ípecics eius, fed potiusad 4» pcciem qualitatis; fic tandem furfum, et deorfum, vc) non nifi relatiua ! Uur,vt Scotus docct 4.d.11.q.2 «ad 1.prin.. vcl fiué fint contratia, fiué 16, parum refcrt ad propofitum, vt ide docct in Log, loc.cit quia locus,cuins fant differcntiz y non cít [pccics huius generis . ! NE MEER Y. 31 Aliud ; "an $96 Dify. VI. DeTradicámentis ju párii RES Ro 91 Aliüdattribatü, d habct quantitas €ominoane cum fübflantia, cft non fufcipere magis,& mirius.i.nou pote intendi, et remitcisper incenfionem m.plures partcs forma (urit ín eodem fitu, X in eade partc fubic&i, per remi fionem veró tollantur, quarititas$ autem eft ratio,vt pattes cxienfionis diucríam loci partem petanr,& ideo non cft capax imenfionis, et remiffionis; fufcipit ramen maius, et minus,datur. n, linea ma"or, [inea minor, nuinerus maior,numctrus minor, et fu(cipere maius, et minus in quantitate cominua eft cfle pias,vel minuscxcen(inn,in qaan titate veró di(creta elt habere pluzes vel pauciores vanitates. Soli difficultacé (accre pot, ait Acilt.c.dc ad aliquid a£. uale 4. et inzqnale fuíciprre magis, S minus, ficut etiam timile;& diffimi;ie, et nó niti tonc fundamenti,(ecuniduim.ri d» quis par ticipat qualitatem, tcl quantitateualteri conücgichtem,dicitar magis, vel minus fimiliss& z«qoalis iliergo quaritas,qoe eft fandamcntum &qualitatis,fufcipiv ma $i5, et minus, Facilé tamen occurritur, nc2.confeqsquia vt aequalitasin qüanzita te fundata (ulcipidt magis ; X minus, (ufficit vt quantitas ipía luícipiat maius, et thinu$;(i c.n. fecundum uajatorem, vel mifiórcm difletenuiam im quantitate dicitur maáiór,vel a; imor inz qualitas « . gi Vuigitur vcras ac adzquátas proptictaccs,omni j;quantitati communes;tá conunuz,d dilcrctz deelaremus, dicesidum ctt eilequatuor, qaas per ardinem teceniet Scot. $. Met. q. 9. $. Concedos et Anc And.q. 10,X colb guntur cx Arif, 3$: Phyt. et $. Meti Prima eit d'uifibiliras ini partes iacegeales (juod. dicitar ob dithfibilitatem : Aa eifentales qua có tienit (abitanti compoficeciràquanutate)pergAciít,$.Mec.(8. explicuitelientiamquariritatis;ícddiutolex e(t diuifib:I«as iti partes integrales : alia,qüze imi portat folam pacuum dittip&ionem ertitatitá;ac feparabilitatem vo-usab alia et hac or eíl paffió quanticatjs adaquata,nam cotiuemt cca Lubttanug, et quae ktati inaterialteg dictis act 1«alia qua pars c(t (eparabiiis ab alia parte per incó« potliblitatem carum adinuiccn, et  inftraumento quanti altcriquiba combi ogalatesumdem locum, et hac ett propria quarititauis ax Do&ore 4-d.1.4. f.infta F. et fubftantiz, et «ualitati conuenit foluar quadricateai ex codem «d. 1 2.q. 2. igitur hzc nó fit ratio conflituiua quanutatis,vt denóftramus in Phy(.diíp. 9. q. t.art, 1 fequitur effe ptoprià, et adzquatam paffioncar, et dici poteít diuifibilitas quanititatiua, vt ab entitariua f tur;quz alijs competit à quantitate: Hec itaq; daritibilitas eft. propria tati Am quarto modo, quia ei (olt conuenit ; vr probatum eft conuermit omniy quia nulIt:comínua ab hac exiafitur diui (ibilitay tcylicét interdií nou poffit ab agenté na» uicali ad actü reduci, vt con(tat de quan titate Celi: di(creta etiam, de. qua minus. videtargeaar aliquo modo participat, d.» uis .a. à porte rei diui (it y. quatemista, med ab incelle&u  nuimeranse colligi in vni. potett ub cali colie&ioue ab 1n: telleaa diuidi, et ita dcfa&o diuidi totalemi nmumeruiu fececmc ia.duos tiales pares, vel unpares,X qti vnd: tem (ecernic áb ali j$, x talis-diurtüb illi (ufficit cum non (ic vera fpecicsq titacis. Conuemt deut (cinpersqui quam quantitas pot ad. talea dla duci,vrim ind.u bile (efoludtutgec in inGini itin diuitibiis, rc dieitur. vnde et ipfuaz minima nmacurale. vt. int« niii cato, poceftqaantuai ett de fep ad« hiuc vlterius diuidi prarfercia, vi -juanca y ett3 ab agcarc nicurali nequeat 10:lcas micüto corporeo fiari talis. doumlio s vC vea ró diiuioig iafiaità proucahi porc, P : bct fict pct partes proporuonales, cit minores séper986 ininorcs s Vt. diciiug tra&t.de Coutimuo,naa (i fiac pcr aiqit ds titas,qua diuiditur y (it fioica, nan ft ias finita foret y eriam er partcs qe qualesprotralii iftinfitituom diuilig.   | 9$. Second t pcoprictas ctt, elfe Mitis infinictmsc ur ex Acitt. f. i ln, E RERN x eius delicati conttabit hác inicmicdiate fequi ad diui. fibiliatennó€ exilla ociti y finita magnis fi. tudo dicitur qug-nó nifiintot: partes zqoa. les,diaitio tan.lem faici poterit bsdane L9 p ! I4  ÀUÀ Ww | QI. Deproprietatib. Quamtitatis, eet; 1c 107 fes, (cu eiofdem magnitudinis. diuidi Soeft, et finita multitudo, qua in fc tot vnitatcs, et nó plurcs colligit, in quas diuidi poffit. Aliud veró membrum intel-figipoteft,veldeinfinitoinactu, &(impliciter, fcucatbegorematico, qy.f.tota&uhabet parteszquales, graliashabcrcrepugnat, quarécftinfinità, exté(um;, fi cft in quantitate continua; veltot continet vnitates,g» plures habere repagnac, fi eft in   tn ; vel dc infinito in poteritia ncathcgorematico, quod uodammodo inedier intet. fimpliciter fiaicum, et Gmpliciter infinitum, vt explicamus in Phyf. di(p.9. q. 1. art.6. in fol ad $.& dif]. to.q. t-ar. r.cx profeffo, numerus .n. v. g. fimplicitec finitus eft, qui tot continet vnitates, et non plurcs ; fimpliciter infinitus vero, qui tot continet, g plures cótinere nequit, c(t in (uprema multitudine; infinitustandem fyncathegorematicé dicitur, qui continct lares, et plores vaitates (ine termino, . punquam tamen in tánti mulrirudine, vt dici poffint timpliciter infinita; et additionis incapaces, vnde cum maiorari poffit, folet etiam dici infinitum in potenia ex Acift 4. Phyf. j 94 Si deinfinito lincathegorematico, feu m poréria fic (cemo,nulla elt difficultas, quin omni quantitati conuéniat, quia vtraue quaniitas,'á continua,quá diícre tà fuo modo hác infinitatem participat, continua, n.nuilum habct. prz fikü tecmimum im d'uifione procedendo pec partcs proportionales, ex quo mamteflé dedu. citur, easim coniouo effe (yncachegorematicé infinitas, vt demonftramus inia Phyf.loc.cit. numeras etiá (emper augcti potelt in infinitum per additioné: vnitatum ex diuitionc concinui refultantium ; crgo re vcra talis infinitas competit dc fa&o quátitati& in hoc sé(u explicat hoc m Scotus 2. Met.q.6. et por &ni tum, et infimtum hoc modo conucnire copulauoé quantitati, uia non repagnat cádem quantitatem cile initam in actu, et infinitamin potentia. Atfrittud membrum in alio fenfu. intelligatur ; nempe de infinito in actu : et cathegorematicos dubium ctt, an poilic quantitati conuenire, tutores infini abfoluté volant infinitatem et in hoc fen(u explicatam effe vcram quátiratis proprietatem, quia calis infinitas in qnantitate non repugnat iue difcreta, (iuc continua ; Qui veró tale infinitum reputant impoffibilc prorfus, quibusnos (ubícribimus in Phyf.difp. ro. diui(i funt, quid& inquiunt hanc infinitatem elfe quantitatispropriecatem in fen(u conditionato, quia fi daretur, vel dari poffet quantitae infinita, nonni(i ad hoc prz dicamentum fpc&aret ; Alij id negant etiam in fen(a conditionato,quia infinitas a&aalis de"ftruit raionem quantitatis, non.n.infinitum mení(urabile forct, non effet diuifbile, non poff« aliquid illi addi, vcl de trahi,& alia multa illi tepugnant,que cómunitet quantitati tribui (olent, vt dicimus difp.1 e. Phyf.q. «.art.2, qua de cauía dixit Arilt. $. Mct. c. 13. de carione naameti e(fe numcrabilitatem, (icut de ratio. ne magnitudinis menfarabilitatem. Alij demum,vt Ruuius hic q.vlt. concedunt, li daretur quantitas continua actu innitayad hoc prz dicamentum fpe&aret, nontamen diícreta ; ratio autem huius di(criminis ett (ait ipfe) varia natura vtriü(que quancitatis, nam namerus, cum varictur císétialiter ex addizione vnitatis) ái additio erit infinita, fict e(fcntia infinita, non quidem fimpliciter, licut cít Deus,(cd RA » quod (atis cft vt excludatur à przdicamento quantitati5; at veró continua, etiamfi addantur infinitz partcs, (emper manct in. detecminata. c(fentia as . . 9$ Dicédü cà eft,quod (i daretur qutitas actu infinita, (iue continua, fiue. » difcreta, c(fet ia. przdicamento quantttaus,ita Doctor r,d.8.q.5. R. et elt cómunis. Suarcz difp.41.(cc.4. Soto hic q. 1.Sonc. $.Met.q.1 $. et Scorilt. padlim, colligitut ex Acitl.6. Topic. loc. 78. vbt docct lineam finitam, et infinitam eiofdcm efie fpeciei, fi bzc dareuic, et pro» quia fi daretur linea infiaita, c(tó infinita foret in certo genere,» entis.(. infinita quantitas abfolute camem in generc enus focet fiaita, et | lunrata » neque,n, ob id valetet dicere;ctt infini! tà 4  22 Sa I" CU  fa quantitas, ergo infinitam ens; quia ni uam ad (ammumin inferiori lequituc umm! m fuperiori, n fi iud inferius dit nobili(lioum contentum (ub illo faperiori, vtnon (equitar. perfecti(fimus ali nus, crgo perfe&ti(Timum animal, (e quitur tamé perfe&iifimus homo, ergo. perfe&iffimum anima! ; quialiomo cft perfe&i(imum animalium, cum igitur tale non fit, quicquid continetur. füb g nere accidentium, nunquam fequitur ctt infinita quantitas, cft infinita qualitas, ergo infinitumens, et confequenter non excluditur à przdicaméto ; Que ró probat etiam de quantitate di(creta ; quia vel (pe cies numcrorum non funt vcre fpecies, ficut necnumerus in fe e(t ver cns reale ex di&is,vcl fi lunt verz fpecies,camcn vt communiter dici folet,non (pectant ad petfc&ionem vniuecti;& Ruuius ipfe: » fatetur talem e(fentiam numeri non ric futuram fimpliciter infinitam, fed tancü fecundum quid, talis autem infinitas non excludit à predicamento . Neque omninà euidens cft,& adhucà priori probaciá infinitatem actualcm de(truere raionea quantitatis (cd tantü à po(teriori id colligere folemas:, vt dicimus in Phyf. difp. cit. et ideó ficut infinita albedo ad przdicamentl quiliratis atineret (fi. daretur ita in propofito linea intinita( (i daretar; ad przdicamentum quantitatis (pe&arct, quia cum ipto maiorem affinitatem. hiáberet, quàm cumquolibetalio;Nequebuicobítatq uódquedamquátit atisattributavidenturt ofioito.repugnare,quiaattribataillaporiusqu áticaticonueniuntaratione,quafinitac(tnonvecó,quao"quantas,vtfic,&(2n&inhocfeniuloqaebaturAcift.cic.£.Mct.coà3.declarás «nbi, quid intelligeret per mulctudiné numerabilem et magnitudinem meníurabilem, ait fc intelligere amfltitudinem, et magnitudinem finitam ; abfolute igitur concludendum eftt infinitatem aGualem non cífe proprictatem quaatizatis, Quia fi non repugnet racioni formali ipfius quantitatisscamen 1n fc repugnat rationc ip(ius infinitudinis ente ; adhuc tamen concedendum eft pofle dici eius proprietatem in (entu conditionato, ni Difp. VIL pe Prédicamenlisinpdftic: » mirii (i darctursvel dati. uet talis infiniras,,uz no induceret. infinita1é in generc entis (imjliciter)fed raatíi ii certo gencre entis aujuc idcó non exclu. deret a. pred camento rem fic infiaitam, 96. Quáuisaüt ad przí(cos non f»e&ct infiniti attualis impoflibilitatem oltendere, de hoc enim agimus ex profeiTo in PhyLaifp.zo.cit.tamen pretereundii nó cft,nuper poft noftram impreffioné tcntaffe Actiag.di(j.13 dh probare infinitum nó repugnare, ex duobus praefzciiay ptincip;js » qua iacit fec. 1.primuin eft, potfe vnum infia: tum c(lemarus alio, alterum cítanfinitum cà-n in magnitudine, qudàm in multitudine poffe duobus. ter» minis includi, dummodo ill; diftent inter fe infinità;ncc fucce(fiué ab vno in aliam pcrueniri pofBt, q» probat, juia interhos minem., S lapidem clauduntur ii fpecies anima'iim inz vales iater fe, reltimas, quia eít (pectu quarü homo e;t vlci € perfectiffimus Vni cnr editis ; 4d quia eft.imperfegti(im his ptincipijs conatut (oluere argum fcire folutionem, quia fi Deus produc 4 pycamidéiofinité longam, et iater illiü olas traijcerentur ] ncz à cofta ip cor fengiailen e MAH fi.utaey quadam i mi, nam aliquas videret. ntcetic. 4&as iter.co(tas finite diflantes m quafz daminfinité cx fiiis autem cognofcir fané omnium maximam, quia intcr omncs,fin;tas nece(lum eft vnam. effe maximam ;tunc quzricur que (uccedic poft hanceít ne infinita» vcl finita, finita cfe non poteít,quia efi maior, quàm maxima omnium finitarü,neque infinita, quia nó habet niii dao; puncta, v.g. plus quam altcra finitascui luccedit,fin:tum autem ad ditum finito anf eh PMID 5 " 97 sed duo illafuadaméta;quibus tot infa imolem commendauit À tria. effe penitus cuinofa, laté demontlrauus id Thyl. difp. 10; cit. primum quidem q. t. art. 2.alterü vcró Q» 4« ratione quarta pco concl. € «xcinplum adduéctom d. infinitate fpecicrum poílibilium bcutoiua intct lapidem, X ho:ninem non cít ad t€, quia in oppotitum,vnodunraxat excepto» Cu»   ius (e ia&tat inucntorcin, fed USB T w 4 2 ui. abl E bocegue ti  "n "ER 9. I1. De propr. ja talis infinitas: eft firicathegorema. tica, et infinito fincathegorematico vti . que terminns extrin(ecus a(fignari pót, ad quem f.ficin via, nqoá camen attin at, vnde imallato exemplo malé dicicur fono terminus vlumus. illius infigitatis, nam per hoc figmficatur, quod lit tec minus intrinfecus, infinito veràcathegorematico omnis prorfus repugnat ter « minus àm intrinfecus,quà extrinfecus ; et illa ratio de pyramide ab ipfo addu&a fané oftédit manife'té repognare in. finitum pra(ertim mter terminos quantümcurque di tantes iacluíam ; et (lum à Dco fieri poffe in&nirum fincathegofetaticum, (ic .9. poteft à Deo produ€i pyramis infinitz longicudinis, et linca intct eius coftis iacere tz infinita latitudinis, non aüt catliegoremíaticà ; quotum intelligentia pender totaliter ex ibi dictis;vbi etiam q. 2.art. 2, optime detegitur fallacia, qua deceptus Arriag. dixit fec.j. poffe De producere creaturá om nium perfe&iífimá,(uppon:t.n.ipfe,q to tacollcétio crcaturarum à Dco poffibiliü fit quid certum; ac determinatum;vt pol« fittotum fimal accipi, et ad.a&um reduci quod cft prorfus falsü,"nam de fe e(t quid indcterminatü,& cófufum, ficut to ta diuitió conunui,vc ibrexplicamus .... : 98 Ternaproor etase(t equilitas, adt inzquiliras, et vc notat Dot 2. d. 1. q.3. k.no cft propcietas,nifi quátitats fi nitz, maius .n.& minns, quale, et inzquale (oli quanttad fimi coueniür,quia dc ratioa? quancitatis aadior;$ eft exccdeccsmiaoris cxcedi,& equalis commen fürari,quos omnia videntur. finizatem ar  ere, vasé proprie loquendo vnam infisitum dici non poffet aquale alteri in« finito, cx quo colligit Do&or;hanc pro prietatem neceflario. (apponere. praiccdcotem, nempc prius conucaire. quanto c(fc inim, vcl infimum, quàm aqua Ic, velineqoale . INon cítautem quauitatis affedtio 2 ualitas, vcl inzqualitas, vc £ormalitertelationes important conncn;emug, veldiconuenicotia duoruar in qi ancitacestrensdugr relationes intriníÍccus aduenienes à quaniitarc realiter d. itincig y (d pallio quantitaus cft apti ib» Quantitatis.esdrt. 17. | r 99 tudo ad cas findandas,. vnde cum dicit Arift. hic maximé proprium efle quantitati fecundum eam aequale, vcl inzquale dici,ly Jccumdnum non dicit rationein fot malem, fed fundamétalem, feu dicit Quo fündamentale, non formale, vt Doctor norat quol.6. A.non quidem a&tuale fem per»& proximum,fed aptitudinale, et rc» motum, et in hoc fenfu competit oii quantitati ràm continuz,quim difcreta, et (empcer,vnde fi omnes quantitates vna (olae ceptasdeftcuerentut,illa adhuc di ccretur zc jualis, vel infequalis alceri poffibiliquatenus fi illa produceretur, nata cítillicó fandare refecta eius zqualitatem vel inequalitatem ; conuenit ctiam folt quanritaci, fi in rigore fümatur, pro cooueaientia (vcl difconuenientia in exten(ione, vcl diferetione;& per quantitatem ceteris tcbus;(ed quia nomen ip qua: ti atis,non (olü (gnificat extenfionem, diícretionem rerum corporcarti vcrüm etian tráslauum eft ad fignificandam perfe&ionem, et virtutem cuiufcunque tei, idc etiam nomen ajqualicatis!, iozqualitatis translata (unt ad fignificandam perfe&ani vcl imperfe&à conucaientiam retum in perfe&one, intenione, et virtute,, vnde dicimus fpecies eíic inzquales.in perfe&ione nuin calo tem alteii qualem in gradibus, vel ina qualem, vnum pondus alteri 2 uale, vel inzquale in grauitate ( falfum enim eft q:od aliqui fomniant, portdas etfe quantatem) et licut quátitaté virtutis quia in omnibus reperitur, Do&tor appellat tranícendentalem, ita ctíam ze3ualitatem, velinequalitatem in ipfa fundatam tranfcendenzalem vocat 1.d.19.3. 1. et 4« d.6.9.10. fub D, et quol. ó. et alibi (2 p 99 Quarta proprietas ett ró menfure, tà a&ina, quam pafífiua, vt colligitur ex 10.Mer.tex. 1.& 2, deber auté fumi aptis tudinaliter, fic.n. qua'!ibet quantitas men farate; «cl mznfararí pocetl, fiue fit con? tinua, fiuc dilcreia, vina .f. certific poteit magnitudinem páaiynumerus, f nurneral.s vnitas iultitudinem mimanó. tumyat actualier non cit necctfe, quias places (ünt udo d dig actu menfurant,ncc men(urautui ; bac aute pos i 3 prictas í Li 600 prietas fupponit neceffarió przcedetem oritutque ex illa (vnde tátum abeft, quod fit tatio formal s quantiraus ratio ipa » tncníutz,vt quidam aiunt, cp nec cít priima, vec (ccunda cius affectio., fed potius Omhiom vltima)4uia vna quantitas alteri Comparata idcó illam meníarare potett, vcl menfurari per eam ; quiaett ei zqualis, vclinzqualis : fi zqualis, erit mcníüra pcr applicationem, fiue tuperpolitioncm: fi ingualis,erit per rcplicationé,fcu rcpetitioné,fi quantitas menfurans eti minor meníurata,i veró eft maior, Gc quantitas minor méfürari dicitur per acccísü maioré ad cam, vel im:norem tcceísü ab ca, ita notauit. Doctor 2. d.2. q.2.6.,4d fecidd pariemsvbi €t aducruit, €y ficut ratio quantitatis transfertur ad fignificádà quantitaté virtutis, et rci perfe «lión&ita etià ró menfíurz transfertur ad notificádü quáta fit perfe&io rei, et hoc modo meníüta ponitur in quidditatibus rcrum, vbi perfc&ior femper dicitur metrum ; et menfura imperfe&iorum, iuxta illud primum in "vnoquogue genere efi ined e cgterorum y vnde mepíara in quidditatibus séper exercetur per accefsü ad pei fcétiorem, vel recefiumab ca 5 vt noit ibi Do&tor, et fundatur in ipíarum serum natura,népe in excellentia, et perc&ione vnius natura fupcr aliam,in quo differt men(ura quidditatina à quantitatiua;ga hzc vt cóftituatur in ratione méfurz, him proxime femper exigit ha&nanam inflituiionem, quod. n. men(uxta fit tani longitudinis ; aut ponderis, ndet ex hominum inftituto. Caterüm inter menfüram per applistationem (quam alij vocant per accomXodationem) et per repetitionem, feu scplicationem hoc intereft, quod illa conWcnit proprié quantitati continuz., (ic.n. na quantitasalieri fuperimponitar, et «tius tantitatem noram facit abfque repeaitione jat men(ura per replicationé pro« Brie, et pet fciprimó conuenit quantitas Xi difcretz,vt docet Arift. 10. Met.c.z. et son conuchit concinaz nifi quatenus ali2 inodo patticipat rationem vnitaris » quantitatis diícreta ficin.dicimus maitudiné clic quatuor vel fex palmorü;4poris,falime xtrinfecadegenerclitusyDifp.V11. DePradicamentisinpartic. Adrationemveróm enfaraquantitatiugploresexiguncurco nditionesex. Arift.10,Met.c.2.3.&4 .quasbicreferrenonOpor tet,namcascxprofcíiorecenf emausdifp.13.Phyf.q4ar. 2.agentesdc'tempor ecxcrinfeco,v bietiápluradeclaramus&cxa&iusderationc mé(urz,dequaplur avideripoffantap udSuarezdiíput. 40. Met.fcc.3.Ruuiumhicq.2.&3.Amic,inLog.trac.14.q«4.dub.j.1coPofttem óaaequadirecéferifolétproprictaresqua(untpeculiaresma«gnitudinis,fcuquantitatismolis,quarumpracipua,àquaceteraoriginemdücunt, eftimpenctrabilitas,vtcolligiturex A«rift.4.Fhyf76.& 77.hazc n. eit itainima quantitati, vt per principiam eius re» &é explicetur efentia quantitatis, et ita immediacé effentiam quantitatis conco« mitatut,vt cam nece(Tario (upponat ipfa» met diuifibilitas quatitatiua, quia prius efl rem etie impenetrabilem,quàm quáe ticatiué diuifibilem, idcó .n. reset quas. titatiué diuifibilis, et inftrumento cor» porco, quia eft impenetrabilis, vt fupra explicabamus, quando autem cum Scoto in Met. po(uirpus diaifbilitaré ef fc primam paffionem quantitatis, (ermo   erat de proprietatibus, quz: communcs crant omni quantitati,ràmcontinüz, quá difcretz, inter eas .n. diuitibilitas vrique rimum obrinet locum ;at impenctrabiitas eft paíIio peculiaris magnitudinis, nam proprie non coauenit quantitati die fcretz, nifi ratione vnitatum ; ex quibàs cbalcícit, quatenus carü fingula propria continent quantitaté cum quancitate alteriusimpenetrabilem. ]tem ex impcnea trabilitate feqauntur aliz affc&ioncsmagnicudinis, nimirum figurabilitas, X vbi. cabilitas, figura .n. refultat ex ordinc qucm adinuicem dicum partes ordinaua intoto,& ficuatz inloco,& hzc nccetfario przfapponit partium impenctrab:li» tatem, data,p. penctrationc paruum adinuicem, non amplius cólüiftit nguracor« vt conftat de corpore Chrittr 10 Sacramento, qucd tal fi zura caretettó inccin fccam rctincat, vc Do&tor docet 4. d. 10. q1-$. Dico rigo, iaiapia cer. " q4eq. »." Á.  a PRUNUS ITIN CUL p RA Ds Qua[l IT. De. proprietatib, Quamtitatis.om.21.. 60x / feq.ar.2. fic ctiam vbicabilitas circumiptiua dicitur cóuenire corpor ibus ró. fic quantitatis, vnde quantitas coiter dici folet ratio e(fendi in loco circu:nfcriptiéé,& colligitur ex Aciít.t.Pliy( 15.& 4. Phy(:76.& docet Door 4. d. 10.3.5. et tel.to. H. id aut em non debet Persi fimplici circumfcriptione, vt dicit folam locabilitatem diuthibilem, principiü «tí. fic etlendi inloco diuilibiliter eftíola corporeitas, vt docet Scot. quol. 11.ar. 3. et hac vtique quantitatem pracedit io fubftantia materiali, quia corpus de gefiere (ub(tanti praecedit corpus dc gcriere quátitatis, fed deber imeiligi de circuibícri ptione impenetfabili, modus .n. e(fendi in lóco impenetrabiliter competit corporibus ratione, quanti tatis, vt fufius explicamus in Phyl. difp. 9. q. ett. t. . et difp.1 1.q.$. att. I Qv4STIO. IIf. LUXUS mega, . 102:,"xValitasomnes precedit relatio(e à due ordine diguitatis,quamplufes etià otdine caufalitaui$, qua de cauía 'Arift. y. Met. immediaté poft quantitaté egit de qualitate, licét alijs quibu(dam de caufis hic im Logica relationem praemifccit qualitati, quia tái ordo in Metaph. fertiatus rationabilior elt ., ac: abíolute tnelior, et valde ctiam |; infetuit ordini doétinz, qui plané perturbatar,fi intcr przdicameatum rclationis, &alia fex, qus etiam non ni(i relaciones cxtrinfc«us adueniemes praícferunt, pradicathentü abíolutum qualitatis interijciturs idcircó eum obíeruabimas in praríenti . liA RT XC V, bois a Quid fit Qualitas, vt fl [upremum Gesos DAS buius predicamenti. 493 x Valitas cripliciter (ami póty vt 775 A bmn:s hic nozant ex, Arift. 5. Mete 14: priaio pro caiuícunque reieí-fentralrdifferéua y4uo (cnfu dixit Lo -diffetent.à pradicari dc ploubus in qua-lequid, Secundo pro quocunque accideMp ug refpcetiuoyquo (ene Lógicds. s fu idem Porph. dixit accidés omni przdicari in quale. Tertio tandé pro fpeciaii quodam, ac determinato accidente ; quo quales effe dicimur,& in hocíen(u cottituit hoc przdicamenum,; vclut fupremü genus; ita declarat Ariftapfe in textu, dü qualitatem dcícribedo dixit. cffeformam illam accidentalem, qua denominamut quales, vade: per ly quales excludantur primo differéua effentialis,per quà quidpiam dicitur qualcquid, item accidentia cartera, à quibus (ubieétum non proprié quale denominatur, fed quàtum,vcl relatum, vel alio modo, et Porphi.quando dixit accidens omne przd:carí in quale 55 accipit quale iu lata fipnificatione, vt hic notat Tatar. prout praedicari in quale condiftipeuitur à modo przdicandi effentiali, et qudditatiuo. De qualitatis definitione, vt hoc conftituit predicamentum, eft maximainter Auctores controuctíia, quia cum lati(Ii» tné pateat. et varias fub fe conuneat fpe» €ie$, quz diuerfo inodo (ubftaniiamafRiciunc;difficile inueniri potefl ratiocómu nisomnibus illis, vt tcílatur D. Aug.lib. Categor. vndc Arift, ipíe iudicauitcommodius dcfimri non poffe ; vt fic incói,qtiampcreffe&üform alemnomincfuiconc retifignificatum,;vixmn.al iquidcla»rius,acnopi$potiusap parctqualitatiimcommuni adzquatéce(p ondens.Verümple riqueirtidenrha ncdcfiaition em.abAritt.tradi tamdequa litate,velut omninbva nam;fic .n.facileforetqu afotmamdefinire;qu antitasctt,(ccunduuim quantidici mur;fimilitudo;fecunequam dicimurfimiles,&c.i móinqu:uatArift.m anifcftum,circulumcóimtiffe,duminprincipiocapitis qualita» tem definit per quale,,& poitea in pro» greiiu quale per qualitatem. ALlj contendunt cile bonam definiaoné, qula datur pet effectumformalem ; quem cófert (us bic&o, quomodo definicelicet omnem formam ; àb alijs fiquidem accidentibus fubitantia denominatur .qpanra y velata, agen$paticns, &c.à «qualitate. veró fim» pliciter denominatur qualis;& negant ab Acifl.ciréulumcommud y quia vt bié notat Tato driproifetenilun dcRnitio T : Aaa. Quali» a  ALLEE Los rtg fla "€0o£ qualitatis datar per quale,tanquá per aliquid notius nobis, (cd quale defimitur pet qualitatem, tanquá pcr aliquid notius $m naturam; circulus autem proprié dicitur, uando vni definitur per aliud code moquo aliud defmnitue per ipfum, quod non contingit in prefenti ; ita Complut. Didac.Murcia, et "ife hoc pradicam. 104 Ceciüm cftó przfata definitio zradatur in ord;ne ad cffc Gum formalem ipfius qualitatis, atque idcó vtcunque dc$cndi poflit, negari tamé nó potcft quod per cam non nifi confusé cücntia qalitatis explicctur, ficut confusé vtique cxylicaretur quátitatis etientia;fi diceremus €ísc illam formam, à qua denominamur quanti; nec rcfert, qp cffcétus formalis, ger qucm definitur, fit nobisnotior ip£2 quia tota adhuc ifta notitia eit contufa, vnde Ari (t.cefiniensqualc, definit illud per qualitatem, et hoc ipfum fatentus &iià Auétorescitati,vnde non (olii, ccpudiantcs Arift definiuenem, fedieuá illam ample&tétes,quia vidé effe nimis contuy& pcr gencsalia tradit&;aliam clariozem inucit;garc (araguntqua magis nota fiat qualitas natura, qua per definitioné ab Arii, allatam, qua ccité magis vergit ad dcfinitioné nominis,quàm rei; et quidcm mirum efi;qua varia fint in hoc Au€ orum placita, nà due Auctores pent, velis candem   erronea  Artiag.difp. s. Met. Íc&. 2. definit quaSita ie decidi abfolutum Probat, quia naj|ücft accidens abfolutü y. n6 fis «qualitas, (1 gp .n. e(iet maxime quantitas; at quauzus a fübflantia pc» 3pfum non di» Stinguitur.Scd.quia hos cius principrü cit faifi imum cx dictis.cua ft.praecd. idc€x hoc ipíó fatisrcte litur cius definitio. -Hurtad.difp. 14M etfece1. definit, 9 fit accidens ab[olutum à quátiiate diftinélu ficat Arif. explicat mater iam prie &am;d non eft quid,nec quale, ncc quáSum 7. Mict. et per ncgationemaliorum.Scd (ané, (i aliam no habcbat Hu. dfi nitionem de qualitate prodeadam, nó c (t €ur ita irriderct loc. cit. definitioné qualitatis ab Arii. allatamsquia re «cra Anf. definitio plos expl im ifta, illa. Re um pacflcdum Socuniflau eae. De Pradicamentisin partic. plicat,quid (it qualitas,fed ifta fignificat. quid non fit,licét igitur hec definitio có« petat omni, et foli qualitatijadhuc tamen nimis obícura,& confuía e(t,quia nó exe plicat; quid fit illud, per qualitasà. quantitate diftinguitur, et ceteris pradicamentis, ncc per cam formatur conces ptus diftin&us ipfius qualitatis ; immo in bunc modum facile foret co«tera quoqj predicamenta definire f. cp quantitas eít accidens ablolutü à qualitate diftinctü, &c. Et falíam eft Arift. 7. Met. materiam definijtle per (implicem negationem, talem .nmodü definiendí vclut imperfe&i(Iimà fpernit 1. Top. c.4. quinimó-addit afficmationem, per quam explicatüt potentialicas materiz,qua elt differentia rllus conititutiua,vt 1ibie(l videre .. 10$ Suarez dilp.42.Mcet.fcct.i. defis    nit,9 fit accidens ab[olutum ordinatuns ad coplendam perfe&ionem fubflantia. tám inagendo, quam in exifle. definitionem ibi fusé declarat, et acriter impugnant Complut.cit. Sed breuter re fcliitur, quia falfumj ctt qualitatem cóplementum fübftaniig incxiftédo,& im agendo,nam complementum fubftantia in cxiftendo eft Bé rti (5s ea fiintelhgat dc complemento inaliquo eite E91 ca efi adhuc qualias bcne dicitur cemplementum fubitantig, quia: etiam cartera accidentia hoc modo come plent(ubftantiam, in aliquo.f. effe acci denrali . Ncc etiam, bene dicitur compie mentü in agendo, quia (ubflantia eft ime mediaté actiua, etiam antecedenter ad qualitates. ; tum etiam quia plurima (unt qualitates, qua actiux non (unc. Blanc.dilpe 12. (c&. a.definit, qnod Git accidens ab[olutum ordinatum ad perficien dam fubflamiiam ep videtur tump(üffe ex Suarez cit, qui bigoificar qualitareay efie à natura inftitutam vt fivornamencü. fub(tantiz . Sed hzc definitio comperi alijs accidentibus;qua fuo modo: Ínbic&ta perficiunt, nec comuenit omn& qualitati, quia ncc calor eít aquzin cífe naturali, nec vitium volun« tatis in efie morali. INecreipondere iue -uat, ita intelligi dcbere, vt omms qualie agit peiiecuo sel peto fubie&ri,cui ef Cone períectio. Quafi. IT. Quid fit qualitas eMni-L. .  603. €onnaturalis,non aliorum vnde calor jli«ét non perficiat aquam, perficit camco jgnem .Nam contra eft quod calor,ncdü re(pc&tu ignis habet rationem qualitatis, fcd et refpc&tu aqua,quà t non perficit ; nec explicari poteft, qüo habitus viticti fint ornameniü,& perfe&tio voluntatis. 106 Auería q. 20. fec. 1. poft logü difcursü fa&ü per plures gradus efscuialcs, ibus qualitas ab alijs pradicamentis ftingukur, tandem colligiteius definitionem hoc modo, efl forma accidentadis conueniens [nbietto fecundum certá al iquam denominatienem, C indiuifibiliter. Scd facile reijcitur ;1ü quiaalia quoquc accidentia certam quandam. denominationem fuübie&o prabent : tom m e(ló non pertineat ad qualitaié red€ lubie&tii fuum diui (ibile s, vt fpeétac ad quantizaté,,non adhuc rc&té dicitur có uenire illi indiuifibilitet, hoc .n. dici pót duinraxat de accidentibus (piritualibus. /[ Complat.cum ceteris Thomifts dcfiniunt cüm D. Thom. br 28.art. 2,quod qu atas eft difpofitio: fubflantis,(cu ace«deus. difpefitiwum fubftantia, et cum codcm p.2 q. 49 art.2. quod cft accidens modificatiuum s[inà determinatiui fdbflanti&, quas é« finit.oncs aiunt comcide re. Scd certé ifle dcfin.ioncs non cxplicant, qua fit ifia ratio d fpofirionis propria qualiiat! d d. fferenuá aliorum accidentiü.neq5 d deicrminatioré afleiat peculiarcm ikandi, q illi fuo modo non affctan: c aec ra quoq; accidentia. Muliis explicare conantur Cimj lut. cit. quaná fit illa dilpofirio, que cft peculiaris cfiee &us qualitatis. Scd quando etià totà do€ riná;quà ibi dc hoc fusé wadür, admitteremus, adhuc prafatas definitiones nó recipcremus, quia ex vi illarü definition non datur intelligi quid fit talis difpofi . tio)» quod fieri deberet y vt effent exacta duliuonss ; imó dzfinitio jpía ab Arift. longé melius rcm explicat, ait n, jtà determinare (ubítanuá, vt per eam dica:ür qualis,vnde cp amplius dicit, quà D. 1h. 1c7 Alij aemü dcfin.üt, quod fitaccidens abjoluiii conjéquens formam;hcut éconciá quátitas dici folet] accidcs conícqwens matcriá, Scd coicr rcicitur, tum quia inueniuntur qualitates etiam in fubftant;js (piritualibus, in quibus a olla eft forma partis; tam quia idcó quan ti tas dicitur fcqui copofitü tóne mater, quali tàs vcro rationc forma. 5th. quaadam asccomodationcm, quatenus quantit as. cft folum ratio patiendi, qualitas ver à frequeniius cit racio agendi,in quo quantiras imitatur n3xuram materiz,q uz eft ra dix omnis paífionis, et qualitas natürans forma, que cft radix omnis act ionis, vt explicat Sco:.4.d. 12. q.2. (ub C, (ed cer uim eft non omnes qualitates. eífe a&iuas, ergo in bocfenfü nequic omnis qualitas dict accidens confequens formam . » Quid sgitur in tanta varietate rcfoluemus? breniter dicimus, qp ticat quaft. praced. dicebamus, bené pcr radice impenetrabilitatis infinuari rónem formalem quaatitatis, có quia ymucr(aliter lo quendo folemus per propriam paffione preiertim primam, et proximam rerum differenuas circumícribete, quz nos vt plurimom latent ; fic in propotito apuor via ad qualitatis cífentia.indagandáerit,primam,&pcoximáciusadinucnireaffe&ioncm,& indé arguere. principii cius exigitiuutm ellc efíentiam ipfam qualitatis; talis aut proprietas cft fuf cipere magis, et minus,leu intendi, et remitti «n. affeciio foliconuenit qualitatiy vt poftca dicemus, conucnit omni, quia nulla cit,quz fit incapax inteofionis& remiífionis,& conuenit séper; ficuc igitur quis utas dcfinicbitur inordine ad partes extenfionis, et omncs teré in hoc coueniebant, l.cét diuer mode ;llas partes exten 1juas cx plicarent » lic in propofito qüalitas crit definienda per ordinem ad paiteg intenuonis, quz Íolét dici gradus, et ficut ctfcétus formalis quanutaus eiat afferre (übic&o pluralitatem partiam cxtéüuarum, ficin propoluo ecu formalis or qualitatis erit afferre. fubicéto. pluralitas tem partium intenfiuarü, Ec certe miri cit,cur omaes acquicfcat dcfiditiom qu& | utatis dauz per pluralitatem part tcnionis, nec polkea videant cade i cilitatc joie ac debere explicat; effenuam qualitatis. per pluralitatem paruum intentionis » A&à à ac ium ere Maneatigiur qulitarcelle,  LABELALAS dduala dish A . » 604 aecidens abfolutum, ratione cuius [ubie Bum qualific atum pótintendt, et vemit ti;(ic .n.bené diftinguitur qualitas à quo€tin3; alio accidente, et cius formalis effc&us dift 'n&ius defi gnatur, quàm abfo luté dicendo, quod fit forma, à qua denomtinamur quales. Scd hanc noft:à qualitatis deícriptioncm 'mpugparunt poflcà Poncius, et Ouvicdus,illc quidem difp. 16. Log.q.1. n.8. impugnat primó,quia quani quaJiras non etlet. intenfibilá aut remiffibiTis ; adhuc baberet rationem qual tatis. Deindé, quia non quel. bet qualitas cft ánténüibilis,nam certe vna intelle o numero non poteft intendi, aut remit. Tandem quia effe inten(ibile, et remiffibile non magis conuenit qualitati, ranuam proprietas, quam haberc contrafium, crgo tam bcné poflet defcribi cfle accidens ábtolutum habens contrariü ; q accidens ab(olutum intenfibile, ac fei fibile . Hinc pofteà faam profertdefinitioncm quod qualitas optime explicatur effe occidens abfolutum penetrabile, nmonqudem illa Ponc j,quod qualitas fit uia hzc de(criptio omni, et foli qualitati conuenit, et cuadit difficultates aliorü modorum dicendi ; dicitur accidens,vt diftinguatur à fübitantia, dicitur abfolutum, WE ng à relationibus ; dicitur penetrabile, feü compatibile cx fe €um alijs rébus in codem loco, vt di(tinguatür à quantitate. Ouuied. autem controu. 8. Met. pun&. 1. candem noftrá dcfiniionem impugnat ex. potentijs vitalibus, qua lunt qualitates, abe nó funt iintenfionis capaces,quod et quamplures T ri de charactere affirmát, et tanaullus Fhilofophus, vel Thcologus ncgát po(libilem e(le qualitatem noninten(ibilem. Dcindé fündamentü eucrtit nofüz deícriptionis, cum probatur ex patitate extenfionis in quantitate, negat . «nim eodem modo competere exteníios.... re intendi pofle in cói fent£tia éapiewita c"? mem quantitati, quo compctit mten io qualitáti fi effentia quantitatis imexigctia cxtenfionis cofti Deniq; et ipfe (uam dcfinitionem affi gnat qualitatem effe accidens, quod fecundi rationé fu| predicaméti tantüm fequitur sühalitaté perfeiam, et per a&ualita€  L DifyII. De "Predicamentis in partic. tem perfe&am inielligit id, quo vltimo conft:taitur totü Lib taotiale, cy in coro cópofito eft forma,& in toro Iinpliciyt Angelo, c(t cadcnnunet zotius (uoftinua; Jis iipartibilis enccas; hocaocé probat qu nulla qualizas (e«quicar materiam, cd; fit potus indifferens ad ómacs, ied (e a»: per infequanac foraiam, qua eft perfe€ actualizas ; neq; allata defcriptio po« teft alteri aécidenui à. qualitate diuer(o competere,nam relatio,prz fentia, actio, ; E »4ffio, zqué materiam, et formam, füb: 1 antiam, et accidens fequunrur ; quod 6. pra:entia forma aliudaé modal ill;us ac €idens canc üm potfcc (equ: fotmàm, qua eft perfcéta aérualicas, hoc non illi cópe-; tet cx przdicato generico, (cü fuperiori. pra dicamenti, fed ex prz dicato [pecifi€o .(: quia eft ralis przztentia, talis duras . tio,ve] relatio; qualiras autem e precisó. PE uod fit qualitas, quacunq; alia fpeciali « diffecéndi feclufa feniper fequicur pere: . Mer T » Ds fcctam a&tualitatem, |. Itt& ramcn dcfinitiones non placent, : accidens abíolutü penetrabile, quia. differentia tangitur in eajqua tic propria, et adaquata qualitati,nam ratio abloloti competit quantitati, et ratio penetrabi: 1 litatis cópetit fub(tantize, vnde illa defiaiuo dcícndi non poteft, nili aiferédo ipccics conftitui P mbinationc,&c vnioncm plurium dif iar inadz qua tarum ; quod foprà refuratum cft dilp. 6. | q.4.nüu. 46. Tumquia tota illa definitio competit cX inticgro pan&o de generc rra 1 bd quantitatis, nam illud eft accidens abio Mo lutum,vtomnces facentur indiuilibilia admittétes,& elt peneit. bile cá alijs rcbus incodé loco;quia eft ex omni patte indiuiübile. Tíquia gradü albedinis,vel caY loris poffe cü alio gradu co, rari in 'eadé parte fobiecti,cftalbediné,vel caloü inten(joné per gcraduü pluralicaté;ergo qualitaté eife accidens abíoiutum penetcabile in hoc fcnlueft eíleaccidens intenfibile,vndé fic intellecta iila defcriptio coincideret cü noftra, quam Pon ciusinficiatur,. Tum quia illa dfia4:0 dependet ex eo, quod cít incóroueria,     Queft; IT. "Quid fit qualitas. crt. 1. y agg realiter diftinguatur à füb. ntia, et qualitate, quo («mcl negato cotruit : Neq; raciones, quibus noftram imp ; funt vilius. moment:namad1,dicitur,quodfappolitointendit&remiti efe paffionem primam, et adzquatam qualitatis, licet ex deitru&tione taIis paífion:s non (cquatur intrinfecé, et à priori deftrar rationem qualitatis, defttuitur tamen à pofteriori,co modo quo dicitur fubic&uc deltrui ex deftructionc paf(fioniscum eo realiter identificare. Ad 1. negatur affunptum, vt infrà patebit art. 4. 0.126. cuius probatio (i effi cax foret, probaret pariter nullum accidens idem numero pofle intendi, et remitti, quia addendo, vel detrahendo gradus,varitur aliquo. pacto identitas numeralis eius im racione totius integralis : poteft ergo eadem numero intelic&io intendi, et remitti inco fen(u, quo id explicari . folet inalijs accidentibus, vt dicemus in lib. de Generat. et Corr. Ad 3. negatur rurfus afamptum, vt enim patebit cx inftà dicendis art. 4« magis propria, et adequata paffio qualitatis eft fo(cipere mais, et minus, quam habere contrarium y idcó aptius per eam poteft. effentia o qualitatis indigitari ; et circumfcribi. At neq; defrnitio qualiratis, quam cogitauit Ouuied.cft (acis idonea, nec enim €mni qualitati conuenit, nec foli : non quidem omni, quia non comprehendit nifi qualitates fübie&ns connacuraliter de bitas;non vctó quz violenter,vel neutraJiter eis conueniunt, calor enim reperitur fraqua, et albedo in pariete, ncc tamen fcquantur a&ualitatem períeétam illorum ; multz etiamq nüeniunc emibusincompleus, vt anima leparatz » et corpor: pro altera patte cópofiti, qua: tamen noa funt in vltima a&tuaiitate;ace étiam conuenit foli qualiraci illa delcrifio, non eim minus actio dicitur for mam infequi, quam qualitas, et hoc qui| ex ratione generica actionis, non autem (peciali,nam forma dicitur effe radix omnisa&ionis, qua talis cfly& a&io proprié dida nequaquam ma«ctiz conuenire. 1, cum eius proprium tit pa» ti; [ed à toto generc auribuitur forma «  o Logicae,69$ Dc:ndé impugnatio, quanvindacic con, tr2 noftram definitionem,. ex porentijs vitalibus aninvz nulla eft quia faifiim c(t potentis animz effe qualicates.eius ('ibftantiz fuperadditas, cum potius fint facultatcscidem confüb(tantiales, ac rea» liter identificata ; de chara&etc quid (it, dicendum apparebit moxart. 3.nu. 119. Deniq. gratis negat effentiam qualitatis. bené explicari per exigentiam intenfionis, quemadmodum cífentia quantitatis: per exigentiam extenfionis folet cxpliCati, fi femel concedatur intenfionem, et remiffionem qualitaci cenuenirc, vt propriam, et adarquatam cius pa(Tion, quia. vniuerfaliter loquendo bené (olemus per propriam pa(fioncm przíertim primam et proximam rcerüm differentias circume feribere. Explicantur quatuor combinationes, ip quas diuiditur qualitas. 108 Inifit Arift.inhocprzdicamequalitateminquataor claffes, Íeit combinationes, primo in habitum, et difpo(iGoncm, fecundo in naturalem potentiam, et impprcntiam  tertió in paffione, et paffibilem qualitatem ; quart in formam,& figüram,quas pcr i explicuimus t. p.Inft, et quidem mirum eft, quanta fik Anctorum varictas in his cla(fibus afiignandis, et declarandis, cum tamenres non (it magni momenti, quia Arift. ipfc, poftquam ip(as enumerauits fatetur intexta non effe enumerationem proríus exa&am Nosigitur maiori, qua poterit fieri breuitate, ré explicabi prout magis confonam; videbitur veritatati, € Arift. intencioni, non curantes diftin&te referre Auctorum placita.   . Prima qualitatum claffis cft Habitus s et Dilpoütio,& per habitum A ard vniuer(aliser omnis qualitas fubic& fponensad operandum vcl patiendum, ab extrinfeco ei proucniés, qua t ab co fig, mobilis diflicuker ü.j;ideucniat, et per diípofitioncm omnis fimilitcr qualitas ab excrinfceo. prooepicnsy& fubic&um ad operádum, vcl patiendum dilponens ; qua tamenab co fit facilite i Aaa j we "kl    » €o6,  Dipfut.VIl. De Pradicam.in partic... mobilis,jvndecunq; hoc tit; et ideb mein bta huius comb:nationisnon diftinguuntur effcnrialitery fed tant accidemalitery et qualitas có;s vrciq; membro, et primae huiusclatfis cótticiua eft qualitas proucniens (obiecto ab extrin(eco, et illud ordinans,ac pte parans ad ageridum, vel pátiendum,& non tantum ad fic agendi, vc! patiendum j fed ctiam ad (impliciter agendum, vel pattendum « Colligitur ex Scoto q. 36. predicam.$. ad 1.9. et in 2. d.3. q.10. $. 4d qua (tionem, et cft Taiar. lo.de Mag. Ant. And. Mir. Orbcl.& aliorum Scorft. in hoc pra dicam. Probantur, et explicantur fingula ; in primis .n. pon lolurh qmaliratesqua ordinantur ad sgcndü (cd ét, quz ad y atiendum, m hac clatle recenfentur ab A ciít; lilc.n.po nit: ritudinem, qoz plane non difponit fifbicétum ad agendum, [cd potius ad paticndum; crgo malé fcntiunt, qui folam qnalitatcrm ad opctand difponentem di. «unt hanc ptimam claficim conftituere « Secundo in hacclatie reponit tantü qua. Kitates aduécitias;& ab extrinfeco proueniétcs,vt bené Simpl.& Albert.norarüt, nO a(t innatas, et ex naturali cóf itutio. ne [ubic&o dcbitas;quia ift ad 2.cla(se pétrtinecti& td manifcfté conflat ex cxépli$ ab iplo Arift. addu&is de fcicpua ; et victore, calidirate.& frigiditate in. hofninc;fariitate,& a gritudine ergo falluntüf, qui qualitates 1nnatas ad agendum; $cl patiendum difponentes in hac clafíe yeponünr. Tertio bicicponuntur,rófolá quaitaic ua ab cxtrinfeco pro« tcnientes ibie&to conf.runt fic agerc.i« faciliter agis, vel minus, et fort omncs hibitus, (al i fiaturaliter acqeifiti, fed   küiamy quse danr fimpl.citet agerc, vt cft alor in aqua, quse dar ci poffe fimplici. «er calcfacere, et fpecies in intelicctu y &ui licét a&tiurtatem non conferacin ordi né uo, (ecuim camen timpliciter concurfit ad intcllcétionem cfliciendam «i habitus (upcinaioralcsiuxtà cómuniorem, nontfolom potcttiatn 1Odant ad: opcrane .. xum (td ilh: confcrunt potie Gmplicicer an (upétnaturaliter érzo malé feu; titmitqui dicunt liinc cpi oam fpeciei ef feillarear jualicituyquie (uppouéces po» tentiam, illi velut coadiutantes foperad duntur ad operandum, nam neq. calor in aqua fupponit poteatiam ad calcfacien. dumynec habitus füpernaturalis in anima potentiam ad (upernaturaliter operaodá . nii forté obedientialem. Qasrto tandé y quia Atift. habitumhic appellat qualitas tem (ubic&o firmiter adherentem:id n. datuc inxelligiex vi ipfius ominis, 9 dicit petícétam pofle(hionem,& radicationem y fiué hzc radicatio proueniat ex . a&uü frequcnitatione, vt eft dc habitibus. acquifitis fué diuturnitate temporis » yt cfi de febri, que lonigiori tépore fic ethica, fiué ex peculiari rone (übic&ti, quod cít alicuius qualitatis tenax, vt cft de (pecie intelligibili iníntelle&u y róne cuius permanéttz cócedit Doctor in 2.loc.cit« poffe habitum appellari, vt hic de habitu loquitar Arift. Ec per di(pofitionem. €. «ontra intelligit qualitatem: ab es aci: mobilem, vndecuaq; hoc prouenit, fiué | ex defe&u ftrequentationi, fiue : cx brcuitate temporis y vt febris cita trá-. fiens, fiué quia fub:ectum nom fic illius: tcnax,vt eft de fpeciebus fcnfibilibus (en-, fuum prafcctim extérmocum; fiue exalio. capite hinc manifc(ià deducitur membra huius cóbinationis um accidentaliter di fingui ; nam inltoc enu cadem qualitas in vro fübiecto dicitur; inalio difpotitio ; imo t bitus,modà di pori É.quas, litatem iilam, quarerat difpofitio, (i ia fubie&to valdeinuslefcat, dici habitam; fcientiam in tyronibus di/po(iuioné vo« catquz in eidem proue&us fic hibicuss. 109 Ex hoc facile tefcllituc communis loquédi modus Thomtt. «x D. Tho. p.2« q-4g«att. j cicligdautrum inne. ciem qualitaus per difponere beac y vcl malé (ubicétum, vt eti videre and QA plut difp.t $3 Nam vel ince de difpolitioüe bona, vcl mala moraliter, et Hoc niap., aai«quía tonc ad. liinc pecie fpcétarent tolain hibitus iorales,no au» tem incelle&tuales; rüni quia ciam 1n ge nere mori$ dari poicft babitus indi rens ncc bené, nec malé (ub»ectuai di« (poucnt-ex Scoto 4. d« 6: ... Vel. p«r ocac,& male (ubiectuui difpouerm 1 ; ; incl Ld pecié a Mts F Quaft III. De fpeciebas qualitatis . cur. 17. dntellisuntidé, «quod. conuen enter, vcl diícoaucnieoter ad nacuram fubie&i ilud allicere, namfcientía, et virtus conue mencer d;íponaat intclledtom, et volantiicim, ercóry et sirium diconucnicnter, calor conuenicnter d (ponit ig0em, d:ícó ucnienter aquam; Ecncque id benc dicitur,quia hoc non tantum huicfpeciei cóuenit fed eciam ceteris, vnde datur poten tianaiuralis bene, vcl malé difponens fübicctum,nam falubritas bene difponit, infalubritas malé, tic etià. 10 tercia fpecie quzdam qualitates bene fenfum afficiunt, quzdam male, imó hoc conuenit omni forma informanti fübie&um iuxta inclimationem faz naturz, vel contta illà, ita «quod nequit affignariratio,cur hoc munus bcne, vel aialé afficiendi lubiectü ma gis qualitatibus peimz fpeciei conueniat, quàm careris . Hinc ctiá rcfellitur comanunis loqucndi modus co mex D. "Th.cit;art2.ad 3.effenualiter, et (pecifix diftinguentià babixà, et difpolitioné, quia habitum accipiunt. pro: qualitate ex m fua diticuker mmn na: icut eftícientia quia fpeciem fumic ab obie&o ncccario, à caníanecctlaria producitur f. demonftratione, idco "firmiteibarcec in intellectu eiiam vnico a&uacqat(ra ob ncccilitatem, S euidentiam cáuíz; difpoiitionem veró accipiupt pro qualizate ex (ua natura leuiter: haiéte in [ubicéto,iicur eit opinio, qui quia fpeciem (amit ab obiecto conungena, et hibet pro: caufa argum. ntum probabile folum;:dcó facile potett ab intcllcéta diucili . Quamu;s. n. f(umendo 10 hoc fenfa habitum, &-dpo(itionem cffentialicer et (pecificé anter fe diftinguantur, vt pa'tets tamen fumendo hibirum,. et difpofit;onem pro qualttate quacunquz. ratione mobilier, vclimmobiiiret inharente Tübiccto, Lue 1d fic cx natura (ua, buc.» fubiceti, Guc cx parce tcmporis aui frequentatione acum, vt (unit Ariit, plané inhoc feníu accidentaliter tanium diues ca ur ex ers e ms vara io uis, et dilpofiuonis Mes iara Tatar. cit. : 110Sccunda qualitacum cla(fis e(t naturalis povcatia; óc impocentia, vbi vc 607 notant Do&ot q.36.cit. $. .4 1 tertiam qusflionem, et Scotia (apraci.pot-ntia,& impotenua famunturfandamceo:aliter pro qualitacibus ablolutisnats £andarc relationes potentie, &. impotcatiar, et pro facultatib:s (abie&to innat;s ; e'q; ex fua maurali conftitutionedebitis,pccqu odexcludunturfpeciesAngelica zeft,n.fiutAngeiiscógeni teabiniaocreationiseo rum:adbuctamenpert ineatadprimamq aalitacis[peciem,quianon etanzcisdcbiteexnaturalieorumconftitutione,vthicnatat Q:bcl,Etpertfacukaaesianatashuiusfpecici, nonfolumin»telligiatur.qualitatesillae, quafübienaturaliterdbitz, &&congsnitecoriillicagere, facilitec.ivcldiflicolter» verumetiam,quzdaotfimpliciteragere; vtcalor1aignesfrigusinagaaj graeuitasingrauiylegitasinIci, calor. n,e(tpotenciacalcfadtiugigais, fcigasique&c.cumhoctamend; (crimine,vtinotaeuimus1;p»Init:cumDoctor:2.di16sqvn..P.&Scocdittisomnibusiohocpradi€ain.quodnóoinesfacultates innate, Sc Anitura dat ad (impliciter agendum.as hic ccponuntur,q«ia ncc potéuz anime, nec paíliones propriz ad: hoc fpcctanz pradicams fed rani ü yirtutesaCtiuz, jud a (uis (ubsectisTuot ccabrcr di (Linde sha bilitates vero, vcl inhabilitates naturales ad ytendüm butulmodi ficultatibus à naturca datis, liue realiter à [ubiedtis di(tinéris fiue ydenuficaris, pectant io vniuer fumad hanc [peciem 5 i ic explicandi (unt Sotus, i Scociltz, cum inquiuot im hac fecunda (pecie collocari tantum. fa cilitates,& difficultates natucalesad vtea dum facultatibus inpais, no autem iplagnatiuas racultaccs; per hoc.n. volunt taatum fignificare folas praedictas babilitatess& imbabilicates vcedi f£ coliacbus. ianius vojuec(alier in hic fpecie reponi; s non autem volüt excludere omncs proce fus ficultarcsipnatas d natara ditas ad fimpliciter agendua fed ilias vani, uge «um (ubicétis realiter idenificantur, et 4n hoc Jcniu.a9s quoque locuti fumus 1. p-Init.irac. 1.c.6.(ecuti co.nusé lo quendi nioduin 5couftarum. Ex quo conttat. k.lli cos, qui dicunt hanc (ceundam (gge  Aaà 4. ciem "d $o$ Difp. V1. De Predicantentisin partic.  £ie m cíle tantum earom qualitatum; quz   Amic.trac. 16.difp.3.q. 3. dub.g« per fe primó date funt ad fimpliciter ope fandum,vt Suarez d fp.z.lcc. 4«  111. Per naturale iguur potet intelligirur qualitas innata, qua fimpliciter, cl facile fubie&tum ea praeditum agit vel refiflit contrario ; per mataralem verÓ impotentiam vtique non incelligicuc dcfe&tus,& priuatio potentias tic. n. qualitas non£oret » vt-docct Doétor loc. cit. án przdicam. in fol.ad 2. quztt. 3-(ed vt ait Do&or ibidem, fignificat modü qua. lita'is,fecandum quod ila ett principium difficulter agendi, vel faciliter patiendi, vndc non tantum fumi d.bet pro facultate debili& imbeciili agendi, et retiftédi, vt pa(Iim Ex, ofitorcs accipiunt, fcd ttiam pro qual;tate pofitiué rerardaate, et impediente fubicctum ab a&ione, vcl efi (tentia, neque hoc cít alienum ab Atiit wt aiunt quamplures, przíertim Suatez dilp.4 1. Met.íec.g yxe rietelatie cudus affert cxemplü non conf.rt vllo modo (ubicéto poientiam-refittendrconita €ijs,imó pottus formaliter oppoutdi prae fac ced acnfübiectuméacile ad paucndum à contrariospariter moll;ties non cft potentia retittendidiuilioni, nec perte€» ncc mperée&ta, Icd porius eft quali tas reddens fubicétum facile poficiue, vt diuitionem patiatur. Hoc aucem interctt ánterhos duos «/0dos acc picnd! ;naturadem impotét &, quod ti accipiatur primo todo.non diftin2uitur á naturali »otentía fpecificé, et etl'entialiter, quia inhoc Afeníu (ignificat virrutem dobilem,& iabecillem ad egendum,vel refi tendum, «bi natatalis potentia bgnilicar virtutem »Salidam,& forie, vnde fic non dífierunt, mili ficut petfc&Ga et imperfcéta poienria ántra cac dem fpeciem; atin fecundomo . do fumaturynempe pro ate patiendi -aliqu;d facile,vel retardante-(ubicétü ab,a& onc, vt n quibuídam c(t naturalis quadam 4«(idia, et inervia yel votaliter Riskeoce ab aliqua actione,quo modo &oxius humor in oculo dicitur naturalis ámpotentiaa1 videndüs fic-naturalis 4mpotcatia cíícntialiter, et fpccificéa na  potentia differt, et impotentiam in bocíen(u cona Suarez cuam admittit v SK xac 112. Tecaaqualicatü cla(fis e(t paffia, et patlbilisqualitas, in cuius delignatione maior cft difficultas, qu: m in duabusprzcedentibus, (cd relictis alioruas placitis,Doétor q. 36. prdicam. cit. ad. 4: qua(t. inquit, quódi(ta tertia fpecies cootlituitur per. comparationem quali» tatis ad (üb:e&tum natum alterari fecundum eam velad se(um;cui infert pa(fioncm, (i pramo modo de(tgnetur. hzc fpe» cies, tunc ad cam Ipe&tabunt difpofiriones maicriam przparanics pro. receptios ne formz (abftantial;s, at ti conftituacoe (ecix!o-modo, quod magis vider ad intcatiónem Ai itt.accedere, tunc difpofis tiones imatcriam plz paràtes ad primam fpeciem redigi debent quia diximus. ip (am conflit per qualitatem, non tanti di(poncatem fubicéótum ad agendum, vt XOitcr putatur, (cd etiam ad patiendum et recipiendü,detignanda igitur erit hac tertia (peciesad meniem Aritlper ordincm «d (cofum, quatenus ov nis. qualitas buius tpeciei vel paílioneg cffic in fen Áu wtontionalem, nam color vilum, fa' por guttum;fonus audi:um, calor, et tri» gustaétum,odor olfad'ummoucnr,& at ficiupt, vnde.non ponuntur qualitates a» €tiuz hic, ai(i in ordine ad actionem imtcnuonalem, «cl quía efficitur ex aliqua 5 lcu imtenuonali immutarione ipius fenfüs, vt ribedo ex verecundia, €1 timore pallor, vcl quia tandem per (e ett paffio afficieos animam, vt [unt 0me ncs /ffcdus qui appellátur pa (ones aps peus fentitiui,irayamor,od:uas,&c. hz -n. paffionesad h nc (peciem percent, vt lign/ficat Arilt. in extus et notat Do&or quol.13.Cc. vbi etiam (ubdit ; non taniun pafliones appetitus (enliuui, fed etiam inicelle&iui ad hanc [peciem poffc, ac debcreteduci, et quód Arift. hic mentioaem teci expreísé de patlionibus corp ralibus, et hanc fpeciem defigoauit in o; dine ad (cníum, quia iftz (unt qualitates -huius (pecie. mamfeitiores » Hinccollige Poncium hic dip. | 6.0.2. 4-20. 29 nec ad menicm Scoti,oec Arif.bené cittinguere qualitates hu:us gccti& fpccicrà qualitaubus pruna, et d ! ipi pape  ntc alie Quieft. TIT. Be fpeciebus qualituit edi /699 dz, qued ilia fom fcnfbilcs sétu externo, Tz autcemnon . Nam in bac ictcia(pecic Ari(. ponit amorem,& odium;qua nós&t qualitates fepfibiles fenfu externo, et 10 prima,& fecunda ponit calorem, et frigus (licet fub diverfa rationc)quz tunt qualitatcs lenfibiles fenfu externo . 113 Ex quoauté capite, &.quo ps&o inter fe differant mébra huius combimationis,ait Doé&tor 2.d. 13.9.vn.$ De feci do per paffibilé qualitatem intelligi »jsà qualitatem fenfibilem, per paffionévció inteliigi fpeciem, fcu intentionem ipáus qualitatis fenfibilis; qz expofitio, c(to vera fit, non tamen omninó ad mentem Aci ft. ipfe namq; per paffibilem qualitatem iniclligit Ham, qua firmiter, et di fubie&o inbaret, (cu qua in fübic&to fe habct jer modum permanenti, vt ruber prouen:cos ex ngturali complexr'onc, per | veró illamyquae de facili tran» it, vt rubor idem cx. verecundia proces 'dens,' ex Quo conflat membra combinationis huiusron nifr accidentalitec dif. fcri e; cum quia Aríftipte (rgnificat pat'fiorem in. paffibilem qualitatem. (ofie tiarfi ey fi cx alquoace denti, aut alio medo im fubicéo perícueranter n anest; 'tü qu'a vbi eft idem formalis cfleótus in fpecies ncn potlunt diueríge caulas 10 fpeCic aflignari, quod imsx:imé verü cft de "qualitatibus, nam qua eundem ctfcétum ds alcai vatz iom caufare, cedé Ipecie qual tates (unt, fcd calicer fe babent palfio, acpatfibiiis:ualiras,rubedo .n. et ! mnt. 6ué did permanesni:fiué citó cà fcant, zqualiter habcnr rubeum quid, vcl pallium efficere, ac aenominare pro ié€, quo fubicéto inbzrent, nimirü vel n effe quieto, et permancnter,, vclin fieri, et tranícunter, qua de caufa ait Arilt, verecündum potius dici debere ciubuii'fe;quà rubcum «cflcctum efie. Neq, huic 'obitat, g denr aliqua qualitates ex. vatura fua pcricucranies im fobicáis, à aliz fuapte n.tura iranlcunic$,vt lun.en& onus in acre, &cxbcccapiteábinuicedifferreetsetialicer,S icut.n.inprimalpecieAritt.nonfüm itbabr.amyaif,c(iueneproqu alicatibusexna turaiuamob;libus,«climm obiliousàiubicào;ted.proniafcué proqualitatequomodocunq; mobili,vcl1n4mobikinfabicétoyitaInhzctertia (pcciepecpa(lionen, &pallib4cqualitatemintelíigicfenübilesqualitatesquacunq; citioncmcbiles,vcliemob: Icsà(übicéto, vtconítatexexemplis ab iplo Atift. allacis 114. Quatta claffiseft forma, et fizufa,vbi per formá nÓ intelligit cuid ab 1pfa gura diftinctum, vcl bi quid dittinG intell:git, hoc nequit eife ; niti accidenta.liter diltinGum pet aliquod nempé accid€s fieurz lupersdditum,q) figuram ipsa Rer arch vel deforme $ er Bert. inquit figutam d:c?, qux afficit quantitatem;,& forman dici pulchrirudincm, vel deformits tem ; quem dicendi modü Suas rez amplcétitor explicans. pulchritudincm per concemitaatiam colorum ; vel erunt accidentaliter di füin&ta ex diucrfitatc fubic&lorum, vt figura d:catur in artificialibus.forma in naturalibus, vcl figu ra. tribuatur rebusinanimatir, forma aní matis iuxtà varios dicendi modosExpofivorom de hacic.. Hoc vnam nobis (ufficia, 9 cmnes diftingoentes formam à figura,nó nifi accidencaliter dift inguüt, vno excepto Auer(a, qui q. 20.[c&t.4. tot qualitates ad harc fpeciem reducit fub membro forma, vt necctlarió agnofcere debeat inier. ea diftin&tioné efkcntialein, ad fot mam fiquidem reducit omnes quas litaies ncn opcrattuas, et non fenlibiles, et nominatimaétus omncs v cales séfuü extcinorum;,qp fané on;ninó nouitaté fae pit abiq; vllo jiocíus fü4dau;étoscü actus omncs vitulcs, tam exicini, d. ntecni ad primam, vel tertiam fpecicmcómod;us tcduci | offiat, vt dicciius ait. le. Cótinunur autem bac quarta (pecieg qualitatis cx ordinc quem dicunt adipuie €cm, et ctiam ii ordine ad locui partes ciuídeu corporis figura. n. di. jut modus sra afficiens, quatenus x erio moe o tcrminatam, vade alia eis figura Cir» cularis, alia angularis j quia (91065 hu us inuicem corparata alio i: odo c babent fiualiter,q partes:llius; binc dicebamus 1. p» Inft. cum Oibel, poiic in 1€ figurata tria conbideratis ipfam 4; «m Baucoa.as yt lignum, 2« quanit«teun €;u5 I,vel uc 2 Sls Ne "TS TR "€16 3. tandem ipfammet terminatione, vcl difpotitonem quantitatis, wt cft rectitudo, €oruiias,criangularo, et hec eft, qc di&ilolet forma, et f'gura hanc ;uattà (pe/&tem cont tiucas; Hnc ce&té ibrieus deducebamus cum Do&ore 4.d. 1.9.1.5. et d. 12.4.4. 1. qualitatcs hu us quare (pe€ici non cífe proprie aualitatcs3;quod ét hic adnotant Tatar. Mayr. et alij Scotiftz cit.quia pot us quid relacinü dicunt, figura .n. vltrà quantitatem ( ait Doctorcit.)nondicit, nifirelationemtermino.Tumir.c'udcntiumpartesadfeinuicé;dicuntorramenqualitates,quia habent modum dcnominandi, vel przdicandi quaJitatis, quitenus modo quodam abfoluio puedicantor.non in nuante ordinem ad aliud,co.n. ipfo, gpiliquid dicitur. fimiJe,z quale, diucrium; &c. illico infinuatur ordo ad ;liud, «t dum aliquid dicitur rectum curaum,triangulatum, nullus cec 1e exprimitur ordo ad aliud, qua. etiam de cala (an t;s, et zgriiudo, deformi-£2a5, et pulchritudó qualitates dicuntur ; quia neinpé modum przdicandi, et denominandi: qualitatis habent, cum tamcn in (c cclationem y yz relationes inportent,vc notat De&or quol. 1 8.T. 11$ Figura igitur proprié pertinct ad rzdicamcatci Sus, vt hic aduertit Tat. iem tomé intelligendum eft dc figura pofuiué accepta ; quia fi priuatiué umatur, non dicit, nifi terminationem quandam Amrinfccam magnitudinis, que ml. pofitiuum addit vltia illam: (cd priuauoncm folum vlterioris exrentionis,.quo.(en fü dc figura locutus. videtur Auctor. (cx ] princip. dum ait, quod artifex facic figuk  süincifionis nil addendo ; (cd pouus icP -moucndo, et in hoc feníu figura non .di ftinguitur realiter à rc figataca,nec ab ea fcp»taripotefl, nec cft in alio pradicam. ab ca,ita notauit Tromb.7. Met. q.3. ad Jsprin. Sed adhuc .de figura ponti. é ac : "wr -i Sagem ditlmguere, «uod yna cít f intrinícca, q«a. funda in pofitione de  genere quanutais, et im ordine, qué ierdunt jnu;cem partcs intoto, alia. cxirine feca, qua fundatur in pofitionc de gc neae lius, ia orduic, quem inuicem Ira. ho e "Difp, VII. De Pradicamentis in panic. terminatam linealiter, vel fuper ficialiter:: gant partesin loco,quz diftin&io tradi  V" -4 torà Tatar.z.Ehyf;q.1 dub.3. et colig: tur ex Scoto 4.d.10.). 1.6. Dico ergo, vhi.  vult corpus Chr'ftiin Sacramento,1-ét.  caieac figura fecundi genenss, idh ic ta-. mcn illam priorem retinercs4 »itenus c put non efl immediaié vnica cum pedes fed mediantibas alijs partibus ;qur ordo parcium ;n toto videtar vcigque aliquam fi guram conftituere, cum ergo. d.cimus figuram proprié. pertinere ad prz dicam. Sius,lermo praefertim ett de figura pofitiua extrinfeca: hanc eandem dittindtioné fgure hic etiam Recétores agaofcunt, mutatis tamen: terminis, nam ; gurà ex« trinfecam vocant marhciaàaricam, tein ufecam veró appellant phyticam. Sed Di». ces, Aritt, poft4uam poluit figurauá fi hac fpecie,remouet ftam deo(um,rarü,   afperü,& lene; vtpote pertinentia ad genus (itus,fignum cuidens fizuram de mé-te Arilt.ad litum non fpe&tare; tum qu'a. domus in vacuo figuram retineret, vb. ui nullus adeffet locus, fcu fuperficies E biens. Refp.Mavr.paffu 42. potius diritfe rarum,& deníum ad jtgdicam. fitus fpe&are, quàm se&um, et curumm, quia. «illa magis cxpriimunt.& praeferunt pot. tiones de generc fitus,qua i(ta,vt fere ip. fa nomina oftendunt, vnde figurze magis fi gnificantur per age mea cu mus veró in vacuo; vel haberet folam figutam jnrrinfecam, vel e tam exrriníe.cam in ordine ad [patium imaginar um ; vidcatur Tar.loc. cit.przfíctcm 1. Phyf. 116 Quaics,an figura (it modus folius quantitatis, vel an ctiam connaeniat alijs-tebus inaterialibus? 1 homitlz ne» gantes in fubftaotia, et abjs rebus matetialibus pluralitatem partium, et omnem. . proríus | excenfionem. anreccdenter. ad.   quantitate., confcquenrer dicunt figurà cifeioodü folasquantitatis. Scoc tta: vccÓ,qui plaralitate'n partum,acetiam.    otdincun earum ad. nuicem agnofcuot ia fubilantia materiali aateccdérer ad quas    Aateq.aliquam «quoque er &isuram coa»  cedere ienentu:, alum inirinlccam, cx «ocnim inquaecratercía)at figurass, quia partcs quantitatis fünr exten(e, ore dina, et proprijs teziniais terminar y cx1ex:LInwCNENCSv2eXtonamq uedefiniturfiguraqualitasy velrelatiorefültapseXt erminatione,»partium quantitatis,ergohetiam parteslabftant iz:material is,cuiuslibetalteriusac cidentismateri alishabentquantitatefecla(aordinationem,extenfionem, &teriminacionem propriamy planéexillisiliquateíultabitfigura,&Gcnobifctmdefendic. Blanc. difp. 12. fedt. 9. et tenet Amic. q. f. dub. 4.19. vlterius fubftantia marcriali tribuit. etiam citrá quahtitatem figaram cxcrinfecam, quia etia nobrfcum concedit effe capacem rhodi fitus citrà uantrtatem j quare coacludit figuram, quocumque modo fuma» tur;conuenire cuicunque rei mátcriali, et don foli quantitati, Verum quia commufiitet dicitar figara modus quantitatís,imo inter affe&iones eius cónumeratuc, vt vidimus q. przced. dicendum eft, quod licéc figura iricrinifeca poffit, et debcat cuicírque rei materiali conuenire ob tationem allatà pro Scotittis; figura came exttinfeca poni debet modas quantitatis propfius, et racio eft quia licet (ubftátia materialis poffit effe in loco diuiüibilitet (eclu(aqnan:itate, atque ideo fundare in (üis partibus pofitionem de gencre. fitüsadliuc tamen partes illa: poffunt 1nuicem rararaliter pererratí yat fi zuratio exirin(écz, et fitualis impenetrauionem: | uya ncceffarió poftulat, et in ea fun. aur, faa .n. tali penetratione coufarduntur, et cotmi(centur partes innicem juanium ad locum;atque ideó figura /li (uat '& cxtriníeca cuane(cit folaiatrinfeca cemanente,quia ex commixtione | 5» et contu(ione partiü in loco non deftrui tur ordo earum inter (e; at vbi et quantitas, ibi necetlarló reperitur impeactratiopartium, nec naturaliter poteít oppofina euenire, atque ideo tacurali neceffitate ad ipíam quantitatem fequicur figüta extrinfcca ; qua nece(fitate not fequituf ad altas res materiales ; rationabilitet ergo dicemus figuram extrinfecam «iE propram quant;tatis cali modo,vt do cetens rebus materialibus cóGueire nequeat » | 2o anis ou s "ac "» jJ " "UE e Quaft: LIT. De fpeciebus qualitatis. eAp"An prafata diuifío fit fuffciens,cr veré generis in fpecies n7 Voad primà& quaiti parté licet dicere poffemus nom enumetaf fehic Arif: adamuffim omncs qtüalitatis fpecics,fed magis famofas, vt ait Do&or .36.cit przdicam.in refol.q.6.qy amni feíté infinuauit Arift.ipfe,dum pott ex« plicarioné quartz (pecierait, C7 fortaf$ V pirteae alg apparét qualitatis modi, fed qui maxim dicuntur, [un: bistacaen quía aliquatenus ampliando fpecies ab iplo afgnatas commodé omnes qualitas tes reducuntat ad illas, diuifio prafata $ vclut idonca,& fufficiens eft amplccten: da;ltoc autem probibimus, non quidem inquirendo fufficientiam sliquaim, quas oftendatur neceffitas illius quatctoarij numcri, vt faciunt quamplares, cum.n. illa diuifto non tit omnino exacta, et abfoluta,nulla talis affigaari potc(t, fed re«cenfendo qualicates omnes, que aliquam difficulratem videntur ingerere, et often6cndo omnts poffe aliquo modo reduci ad vnam, vel alteram illarum fpecieci, la prins afferri folet dubitatio de pul« chritudine, ac deformitate, z2citudi ac fanitate,quz non videntur reduci pof fe ad aliquam illatitm quaraot (pecierü $ et (i-dicatarad 4«educi, vt innait Do&. cit.quol. 18. Loppoaitur (t atim,q quali« tates quati. fpeciei non füfcipiuat magis, et minus, bene ramen pulchram, :& deforme, zzgrum,& fanum, Varíasad hoc folutionesaffert Amic.tra& 16.3. 5;art« 1,breuiter tamen dicendum eft illanon cífe iimplices catitates, fed aggregatazas potius ex dider(is, vt bene bic Burleus adno:auit,& tenent Fonfec:Suar.& alij y pulchritudo .n. eft quid aggregatum ex colore, et debita eiembroram propor« tione,zritudo, et fanitas ex debita, vel: indebita humorum temperie, eotamen.a fenfu, quo dicuntur quilitates, reduci debent ad 4.(pcciem jvc docec Doctor loc. étr, et q.illa 36. prope finem, vbi ét füb« dit n0n negaiic Arift. ab omnibus«qualitatibus quaru (pecici faicipere magis, et minus, (ed a quibuídam  me athe. 612 Mathematicis ; poffant ctiam pertinere ad pr. mam fpeciem, vel fecundam fanita5,& xc gritudo,quarenus valide vel debiliter di(ponunt ad opera exerccada, zum in hoc fení(u Arift. ca rcceafuit ia. prima fpccie,& ctiam in fccunda, iuxtà quod (alubritas, et infalubcitas fünt iamatz, vel acquifitar . 118 Sccüdo dubitatar de a&tibus intel Ic&us,& volütatis,cü.n. huiu(inodi a&us. mon int opcratiui, vcl caufatiui y fed. poziustermini actionum. potentiarum illarum,vt fusé probat Doctor qol. 1 3. hac rationc nor vidcntur poffe reduci ad primam, vel. fecundam fpcciem,in quib.collocari folent qualitates aliquam a&iuitatcm habentes ; ad tertiam licàc reduci : ac iret fenfitiui » non tamcn intel&iui,. quiere (pirituales. funt, genus autem tertz fpeciei eftqualicas fenfibiLs,ad-quariam tandem coní(tat non. poffc rcduci Variasquoque foludioncsrefertad hoc Amic. cit. fed breuiter cum: Scor.quok 13. € c. ducendum pofle commodé reducradprimam, vel tertiam fpecicm, poffunt ad primam-redaci fub di. fpatitione, licét .nper ipfosnihil caufan poffit vt per a&ionem prod.étiuam y ora ipfi non funt a& iones. productiuz d terarni potius tal.um a&ionum;pof" funt es velat APYSax Quo y et ratopr endialiquid caufareynempe, » babita, hoc mem dicimus habitum., nr fcequétatie actibus, vt.cx rationi : prodecendi, vt notat Do&or 1.d.3s. m fine, pollunt etiam. commodius iuc reduci ad terram fpeciem fub. patfdionc,vt diximus 1.p. Foft/i pracisé conAüdereniur, vt termintoperati per actioRcs intellc&tiuas, et cune negandum cít qualitatem (cnfibilem etfe adequatum genus illius verti a fpeciei, Aritt.veró de MNsraptum mentionem feci(le velut mat fcftioribus ; quomodo autem intclligendus (ie Arift. dum ro. Ethic. e. 5. ncgat operationes virtutis e(le qualitates, explicat bene Doctorloc.cit 319 Demücf di&ficulas dc qualitatib, fupernaturalibust fant fides, (pos, cha; ditas, lumen gloriz,charaéter ; qui por . &juzdam Sacragienta impriwigut, dc pà Difs. VH. De Pradicameniris partic; .À non videtur ad qaam iftarü. fpecierü re duci debcát; imà nec videntur pofle fub hoc przdicameoto reponi (i n. ex Ari(10. Met.tex.vlt.corruptibile, et incorru« pribile differunt genere, tanro magis nas turalc, et (upernaturale. Reip. Dot. 4.d. 6-q. 19. M. etia qualitates (upecnaturales | oiao debere in hoc przdicamento reponi, quia illis veré conuenit ratio generica. qualitatis neq; [apernaturalitas poc. eas. extrahere ab hoc prz dicam., quia naturalitas,& (upernaturalitas nó fant conditionés,nili per cóparationc ad agens, talis aüt cópatatio nó variat aliquid quantum ad effein generc, quia responitur. in genere sr fuà propria quidditaté formae I&circüícripta relatione ad.agens, dictum: veró Plulofophi explicat de genere phyfico, vc diximus q. 1. huius di(p. ar. 1. [A quidem qualitatü fapernaturalium maxi ma pacs pertinent ad primamfpceciea, et xaeleriimenamerarz concinentur fab ha: Le éode fides (pes, charitas, vocatur ha., bitus theologici,ac ét ipfumlumen glorie habitus-dici (olet ;Soliveftaliquadifficule    tas de Ci esAueríaloc.cit. reducit   ad 4. Ípecié, quatenus eft figura quedam: fpiritualisanimá contingens, et Chri(to cóGigurans,fed hoc reijcit Do&-ibid. ga nihil collocatur in gencre per proprieta tes i ifta chacadtecit i ris in anima, alioquin X ps-effet  um gencre fü iae Edad tup petra,& fi &tpofletípecicsintelligibilisinh«c(peciereponi,quiaconfizuratanimàiplrobiedocogni to;AitergoDodhicharaéterponatu rformaab(olutue(dehoc.n.eftihiproble mmicus)poteinfccüda(pecieFepo ni,ariadoeNtentiaqnfupernaturalis;ve|mcl iusinprimafubbabiru,qu iaeftdedifficilémobi lis»&cítaliquodododifp oürioradbeneagendum,falcimre mota,&im»píedavtdeclaratfu blit.P.eté&aliquomópraeui adifpofitioinajaad graciamigerónereceptiuiettforma priorfincquanórecip ereturformapofteriorcxpactodiuino,obhzcigiturmuneraoptiméreduci.arimcna(p ecié.»20Circaalteráquartiparce,ettfctéMMd2T"c6isopini»9 MÀQuafi.LLL.dnhatdiifi ofàfufetens,eer...61518generi sinfpecies»itapa(fi mTho mifiz.Scousaütq.illa36.predicam. quáuis$.4domne: iflasmodumdoceatdefendendihanccommunemopin.;abíolutétaméinprzcedétbusdocet,ficut i& in 4. loc. cit, N.nó effe reuera diuitionem  gencrisin (jecies per differentias, fed po tius per quofdam modos diuerfos,qui eidcm pror(us qualitati cépetere potlunt, atquc ideó fentit effe porius diui(ionem fübie&i io accidentia, et hecett cois o'pinio Scotift. in hoc predicam. Tarar. o.de Mag. Otbcl. Rocc. Ant. And .Mait. palT. 4 2. Fabri 5. Met.dilp. 16. Zerb.ib. q.1 $.& aliorum in 4. d.6.q. 10. probatur aüt tü Arift.au&oritare;qui xradita qualitatis diuifione in has 4. combimationes, inquit jillos efle diuerfos modos qualita. tis; tümrónc, quia nequit res vnius fpe€ici cifential: ter tran(ire ad aliam fpecie, fcc fimul fub pluribus fpeciebus effenzialiter cóciaeri at eadem qualitas ad pla rcs qualitatis clatles attinet, quia calor in aqua pertinet ad primi (pecié;in igne ad (ccundam,vt virtus naturalis cius, inquantam caufat paffionéin. fenfu actus, pertinet ad rertiam, e alli funt diuerfi modi accidentalis qua differentia eifenciales, et Faber ait: hanc fuifle opinionem anciquorum interpres: tum Autfor.& przfecim Albert, Refp. Thomiflz concedédo eidé 'qua litati cQucnire potle oés rationes formales fpecicrum illarum, negant tn inde fequi,quod fpecics cfentialiter diucr(as nó conitituát;quia bené potet cadé res matcrialiter ptincre ad diuetías fpecies fub. diucriis ronibus formalibus,quas habet, imó ad diuerfa przdicamenta, vt conttat dc a&ione,& pà (fione, quz cum fit eadé entitas realis motus, eflicruat ti diuería predicamentà pp rationes tormales diner(as.Hac «à cctpófio explofa eft difp. ptzced.q.2. vbi oftendimus reale diftinGionem pradicamcatorum, qdz do&ri-. icdaderuie pinu fi ice diuio podatur gencris in fpecies plane jftz fpecies poni deben realiter dittingta, et non táptum formaliter fcu róne; Ec qujde incapibileeit;'qüo cadem cniütas. ca. "oris poffit ede die is [pecicbus c(sé-" a itus, nonautem: ualiter, cum vnaresnonnifi (üb vai fpecic eílentiali contineri queat ; Nec iuuat &iccre boc eucnire beneficio diaerfarum Formalitatum;hoc .n. elt,gp im pugnatur, non pole candem tem fub eodé generc €on titu: fimul et femel (ub diuertis f[pecicbus cí(lentialiter. 4 quia vnius entitatis ynà tantü eít. etfentalis conttirutio fab €odé gencre,& oppolitüafferere eft manifettus error ia Metaph.nó ergo pt eadé res cfle (ub dincríisipecieb. nifiacci.dentaliteriuxta diuer(as formaliates illi &ontingentcs,quod fi ira intelligant T miítz iam à nobis non diffentiunr. 121 Suarez proinde d. 42. Mer.fec. 4. poftquam et ipfereiecir alla.à Thomift. folationem,refpoadet re vera vnam rem pon nili in vna fpecie effeatiali conítitui poífe, adhuc ramen pofle ín al;js conititui accidenraliter,& fic ia propolito vna qualitas erit in. vna tantum illaram fpes cierü eflentialiter, poterit tf effc in alijs accidentaliter jf illi cótingat fecundarió, et pcr accidenseszercere muacta aliarum fpecierum; Et fic ét refpódéj lkecétiores Thomiftz fatentes illà vererum Thomi« ftatem do&trini e(Te proríus erroneá. in Metapb. vndeIo.deS.Th.q.18.ar.2.aitnullamqualitatemeff e,nifiinvnacantáfp eciecífentiali,fedaccidental iterpoffeelfeinalia,quznáa ucemfitformalitagyqueill iaffercfpeciemeffencialé,& quiaccidente,aitidi udicandüe(Te,velexeffe&ibusqu alitatigpuca(ivideamussePSvnàformaliraté inueniriinvnaquaitate,v tincaloreeffecerminüalteratiosnis, aliánonfemper, hatc fecupda (pecie accidentalem prebcbir;vel ex peincipijss À quibus caufatur qualitas; (i videlicet ex illis ord matur ad a&ionc, vel patlionem, conuenieotià vel dif conuenientiam natu ra, &c.tüpc «m. id eric Mine Y Won vcró inquit, tas cl! per fe ordin ta ad tri EDU S yeiesieni e [ubttans tig f, velillam Verücens ia fei vcl in ordine ad operation£, non otdinar: auc et ad duos effe&tus tribu&dos aque primó.y Ícd ad vnü tantam ;, et non niu (ccundas rió, et concomnantec ad alcetam,, acque idcó ex cffc&u primario attendcadü cí fc tpeciem eflentialea) qualitas, et ex AES 614, &cundarió. accidentalem . Sed licét tota hzc do&rina admitti poffit,tà (i bene ponderemus fotmalitates ; quz ponantur con(tituere. quatuor affignatas fpccies, videbimus, et qué sépericontra Io.de S. Th. et equé primó contra Suarez eidem qualitau conuenire poffc,& fi hoc nóinuenitur in omnib. qualitatibus inueniri tamé pót in aliquibus, erit fufficiens inditiü has non cfle differentias cffentiales; qp aüt hoc ita fity probatur eodem exemplo caloris, illi.n. femper conuenit effe immutatiuü fenfus ta&us cffe principiü naturale calcfaciendi, et male, vcl bene difponere fubic&tü, fi fitin aqua, veligne,ergo erit zqué primo in omnibus iilis tribus fpecicbus, ac effentialiter, fic ctiam per fe, et zqué pri tó ordinatur calor ad calcfaciendum,& immutandü (enfüm ta&us, vcl faltim ad bunc effc&ü non ordinatur per accidés ; ergo erit cflentialiter in fecüda, et tertia fpecie ; item licét accidat calori e(le inia aqua,tam fiue fit in aqua,fiue in ignes qué per fe,& jjrimó ordinatur ad calcfaCiendd, ergo ex hoc capite faltim cílensialiter erit in prima, et fccunda fpecie, prarfiat ergo dicere formahitates, qua po nuntur illas cla(ies qualita conftituere, efie potius diuctfos modos accidentales, quàm vetas, ac pec fe differentias, atque ita przfatam diuifioné cfe potius (übie&i m accidentia,quàá generis in [pécies; qui veró vellet oppofitum tueri vtatur via,uàm docct Do6.loc.cit. qux plane mclior c(t illa,qua|procedunt Thomifta. 121 Sed dices, o€srenétur admurrere przdicanié ü qualitatis, boc cft, g, hic affiguatur ab Arift, at pradicaméum cft cootdinatio ex (iipremo genere, et (uübordiaatis (peciebus, ergo-cü genus huius po ab Aiift. per ha um,& potentii, et ilé qualitate, et figuram,veré hzc eiit. fpecies illius. Accedit, [quód qualitas cffentialiter przdicatur dc habiti dc natural: potentia, et de paffione, et non nifi vx fuperius de eriori, ergo vere funt fpecies,, Refp. neg. confeq. nam in affignandisfpeciebus pradicam. in Logica (atis 1s cáftat Aritt, (curi (uiffc cómunem lo. Difp. VII. De Predicamentisin partie;, » quédi modum tunc temporisyid patet ia przdicam. quantitatis ex quztt. prac. &c ét in hoc przdicam. przíertim quoad 4.. fpecié quz certé nonnifi sf dici fpe&at ad hoc prz dicam.mirü ergo etle non debet (i genuinas (pecies nó affi gnauit,nec genus diuilit per proprias differentias . Ad Conf. neg.confeg. nà animal ris, et tamé nó funt (pecies animalis; Vcl melius ad vttüg; dicatur,re vera Arif.al i quas veras fpeeics a(fignaffe hu:us gencristales .n. vtique funt babitus, et naturalis potétiay& pa ffibilis qualitas (ed nó aflignaffe veras, ac proprias differentias huius generis diuiliuas ; et illarü fpecierum conftitutiuas, (ed potius nodos accidentalcs eidé fpecici conuenire valentes,& inhoc fenfu dicimus veras fpecies nó alli gna(Te ; alia quz dam Icuiorismo« menti cócra hoc obijcit Suarez cit. quz foluuntur ex dictis vel tj libet, foluta videri poflunt apud Fabr. cit.. 115 hogas,qüo ergo vt efict diuo emi, infpecies? Refp, Mair.pa(l.42.qnem fequitur Amc.hic q. vlt. debere diuidi, ficuc (ubítanua diuidebatur in ípiritnalem,& corporaie, cor» poralis in fenfibilem, et infenübilé, (cn« fibilis in vifibilem,& ipuilibilem, vitibilis vt color in difgregatiuum,& congreatiud, vt unt allcdo,& nigredo, et hzc in fua indiuidua, Dices,quo hz poffunt cíie diffcrentiz qualitatis, li funt fübftan tiz cum diuerforum genetü diuer(e fint diffcrentiz ex regula aoteprzdic. Refp. Mair.g c le, et fpirizuale dicuntur dc qualitgribus fecudü analogiam ad fubftantiam, non auté yniuocé, et idcó non funt cz dem differ&iz quidditatiue ; vult dicere, gy licet ezdem videantur diffcr&tiz,re ramen vera non (untezdem, quia circumfcribunt nobis differentias penitus diucrías,quia aia cft e(fentia fubftantig, alia qual;tatis, vt notauimus dilp . prec. q.vlt.io vniüer(um dc omnibus illis gene ribus, quae per tur diuidi -5 vide Mair. loc. cit, vbi circa hoc alias mouct di flicultates yifu dignas; Nemo autcm miretur, fi brevibus huius  pradicaméu ftiuéturam expedimus, c. tanen | T.  de Pee . tro,& Paulo predicatur per modü gencdeberet diuidi, easdem differentias viden-, e LA   T 4  b." Éuofl IIT. "De pooprietatib. qualtate &Aj.IT. 6x tamen eius amplitudo fit maxima, et eius cognitio cuià magis neceffaria, quà aliorum,quia non tancum confert ad natura. Iem philofophiam;(ed ét ad moralé, nec non ad Theologiam ipfam; id namq; fecimus;quia (pecierum eius exacta cognitio pendet ex peculiaribus (cientijs;przfertim vcró ex lib.de Anim. de gener. et corrup.ag etiá ex Morali, vnde coníulto hic dimittimus multiplicem diuitionem qualitatü, et pra'ertim habituum intcllc&us,& voluntatis, quam hic inferunt quamplures, huiufmodi .n diuifiones cómodius tradentur fingulz in (uis locis, MAffetliones, D attributa qualitatis declarantur. 114 yjRima qualitatisaffe&io eft haD bere cótrariü, illique cóuenit tá in concreto quá in abftra&tostrigidum.n. contrariatur calido, et frigiditas caliditati, albam nigro, et albedo nigredini 5 Cum autemconrrarietas ponitur qualitatis aff-&tio, rion (umiturintotorigore;qui ainhocfenfüprimisduntaxatc onuenitqualitatibus,q ua:abeodemfubiectofein uicépe llunta&tionepropria,fedabfolo téfumiturprorepugnantiad uarumforma rummag isinterfepugnantiü,quá«umtertio,&abc odemcóifobicCrofeformaliterexpell entiü,fineidfiata&tionc propria,fiuea&tionealterí us,aliojui niuftitia,&iniuttitia,albedo,&nigredo€onirarianombenedicere ntur,eumnonfcexpellantàf ubicéteadtioncpro pria;fcdfoluma&ione(uarumca ufarü, quod benehicadnotauitTatar.$. Quartofeiédum.N equedicascontrarietatefiefümpramnonpoflediciqualitatisaffectioncm;quia cópctitétformisfubftancialibus,quzformaliterabcode mfübieétofepelluntinuicemabf.;;a&ionepropria.Hocn.atiumpiumeftprorfusfalfum,vtdiximusq.7.huius[difp.ar:.v1t.nàforma fubftantialisabiolutéloqueudonon excluditde terminatamformamà fübic€&o,nec magis hác, quàm illam. (qua determinata rcpüguantia ad veram contradieatemexigkur, qua cit qualitaus affcio,vt dicemus difj.9. q. 1.att. 1.) fed aque excludit omnem difparatà, et cam quacü.jue éodem modo incompo flibilis cft, et idcó contrarietas (ümpta pro hae determinata repugnantia imer duas for» mas circa idé (ubiectum propria eft qua. litati ; et illi foli conaenit, licét .n. tribui folcat etiam actioni,& paílioni, id toc fit ratione qualitatum contrariarum, ad quas terminantur, lic etiam dicirur relationibus conuenire,vt poftea dicemus. 12 $ Sed dubiücfl;an in hoc séíu cópetat omni (0à in primo feníu certü c& folis primis quataor qualitatibus conuenirc) Arift. negatiné refpondet, quia in coloribus medijs talis et contrarietas nà reperitur,non.n. pallidum viridicontrariatur: Nihilominus hecaffe&io ita vs intclligi,vt competat omni qualitati,fi ly ómui diflribuit pto secius finznlorumyinuen ti .n. potett hzc contrarietas in prima fpecie. mter plurimos hab:tus 5 et di[potitiones inueniri potcft in fecuada,famendo prafettim naturakm im ténà pro pofitiua incptitudine ad aliqu actionem, fic in oculo qualitas facilitans.. "vfum potentiz vifiug contratia crit hue mori moxio illum pofitiué impedientisdc tertia nemo dabitat; demum prout quarta fpceics fpe&at ad hoc pradicamentü ;, ét inca potett affisnari contrarietas alie uainiet fanitaté, et e sritud.oé, formo» fitatem, et dcformitatem, quo fenía di-. cebat D. Aug.in Ench.  nullus cibus, aut potus fimul dukis eft,.& amaerus, nullum corpus fiiul vbi album, ibi et mgrum, nutlá (imal vbi deforme, ibi formofüro : Imó céinegauit coleres mcd:os habere contrarietatem, iatelligit n& haberc talem, qualis cft inter extremos alioqui ex maioti, vcl minori extremo rum participatione bene potcft medius €olor cxuiemo comtrariati, fic viride die citur albo contrariari,inquascum inclu dit aliquid nigredims, id; celligiur ex Arift. 5. hyf. c. 1 itaque medij colores non rationc (ui, fcd ratione extremorü qua formaliter, vel verius vitaliter có tinent bonc proprietate pactieiparc pof ; circa quam noncit ampliusimmo yandum ; 9a cius períccta intelligenuia ya»  o9 92" &16.  Difg.De Tradicamentis,im parti. ] TUR dez ndet e& dicendis infra difp. 9. cit. q 1« eretur magis, vel 1 calot,'alioqui s 1. de oppolitionc contraria y ibi náq» dere ipfa non eff ambigendilocus veré   €x profetto hanc oppofirionem ex plica .n. ip(a forrha,qua cft ix fübie&o, (u(ci bin us,contrariorumq. definitionem, et | pitmagi et minus ; et idco vnum calidi dpcriemus,qualis,& quanta fit difüiantia, dicitor magis calidum alio, quia habet. quz dici folet inter contraria veríari.; infe mags intenfum calorem y imó t in hoc folutti cft bicaduertendum, qualitas ab (Erato folerbus dicere magis, vel mi» tcs quasdá vtigs nullü habere cótrarioms mus incéfam caliditatemsitavt magis, ve pam ncc lutné,nec fpecies feníibiles, nec minuscadatíüpra lantudinem: graduum     intclligibilescontrarium aliquod habents indiidualium, nonautemimnediatefü  atque idc diimus poflc. dici hamc pro pta quidditaié imabílra&ofigmificatamy   prietatem competere omni qualitati filY qua imi indiüifibili confiftit.IKeCté igitur     otmhi dil ribuat pro gcnerib. (ingulorumy ar. 1. huius qu&fi.eficntiam qualitatis eX» non autem pro degils gencrüme |   plicabatnus per. liabete partes ititenio; 126 Sccüdaqualitatisaffcótio eft,fu   ni$;tum quia per hoc euidétet diftngui fcipere magis, et minusfenintédi &te  tar quátisate' cuiusefkmntiaexplicatur   sini, vna.n.qualitascft imrenlioralit.s,   per habere parte$extentionis ;tum quia     vynàm calidum magis calidum alio, «ma hec proptietas cft ita qualitaci p ipe pe habct plares gradus caloris, quà ilud,& vt nallo fenfualijscóuemrepoflio mf p idé;ndiucerlotéporemodo magis modÓ ipfam, et nulla poffit qualitas aí ly irizascalidum;& hec proprietasefle ni»   qué ipfam rion participet; gi.naiü: Tho inicüm intenbbilé ; et remiffibilé fecun mitasiatclle&um,& rola gus. dom gradus indiuiduales lora a. eft ita   itatcs, nec tamcn magis, et min M qualitatiadzquata, vcillifoli competat, perc,eft proríus fal(um, quia vcinlb. de. et onini et (caper; illi quidem folicope   Amim.dicemus cx Scoto 1« d.16.q. Wü.  iit, quia érfi relatioties aliqua» ité actio y fant potentia: cum ipfa ania, (ubl et pellioymagis, et minus fufciperc dicane realiter idem,don autem qualitates deie7  tar, hoc planécisconuctit depcndenter  cumda fpeciesyt ipfi,opinantut e. à qualitate, fuper qua fondantur illt r7  . 127 Vltima affe io, qu£ er qualitatt lanoncs, et ad quam terminatur inrdü jn quarto dodo euenire UI a&tio, X pa(fio; conuctit etiarn onini, nà siti cam aliquid fimile, v citó Ait. vidcatur hanc negare Pgur$ .catür, .quanutat AMathematicis quartz fpeciei, 1d tamen. le, vcl inzquale,& co ori os contüirbare non dcbetytum quia qua   hacpropricta$ explicandavenityjuo CX«   ponuntur ip quatta f[.ccic, non iunt vera plicata fuit illa in quantate, qp nempé qualtates ; uim quia vt norat Doctor q fecundi dicat tón& fandamencalem, nam. 6.pr£dicam.in fine,nc. €t omnib. qua fotmalés& fimile, ac di(fimile acciptame itaribus quartz (peciei cam proprictaté   tur, vt dicumt aptitadinem,non a&am;& cnc fauitnam pulchriiudo, et delermt demum ficut.ibi diccbamus. mqualita y  tas(anuas, &gritudo fofcipiunt magis, et inzqdalitatc (ami pofle pdicamentali d minus. imo et figuris Matlicmarcis tet, uálcédércr, tic ét in ppoüto dicia: &tiam in aliquo fenfu conacnire potcft s. musde timilicadine,& didimditcudiac, E quia vná Jineá dicimus ellc magis rcétam;  máqyarple (umátur, et abfolute pto qua vcl cdtuam alia,compctittàdeinséegzer, .cüque coueniiétiayvcl di(caucniétia, vt aes rácfó Arifl.dicarnon conucnite qua  cipifoletiricói modo loquéd:, vuiqué i ]iati rn acftraéto 5 quia non dicimus vnà ct propriü qualitatis [ed pec omnta tere albedinem ellc magts albediné alia $ hoc . vagatur,duasn« relationes dicimus f tantum fpe£&tat ad icodutn loquédi,qui1 . les, vt dua$ paternitatcs;filiaciopé vel «um. per abflracta nomina denotentur  .& paterniraté dilimiles,& tic de quidditaies, et ell coa eium copfiftàt .fi prefsé,ac determinaié fuinantut, 1p máiailbil:, non benc in abflraéto di .. ilo tanum pradicámento repeti " .» Tow qal "ww p ICM KEW NP We quM CP a v TN AM us t 6:17 De Predicamentis Refpetlinis . Eqs of] "Pradicamenta abfoluta fequitur Trattatio dev Giuis; e j| quia Relationum in Tbilofopbia frequétifimus eft vjus,nil enim P| frequeniius babent inore Tbilofopbi, quam boc referri ad illud, | materiam nempà ad formás atiionem, Cr. pa(fianem pro formali eam dicererclationemyC"c.ideó de Relatione int Di[putationé,que quamuis re veraad Meta abic infituimus [icum pert ineat s ficut C" exalda rratlatio aliorum Pradicamétorum; perfetía ta men, € abfoluta cognitio relationis potius, quam aliorum rradicamentorum in Logica e$i anticipan da ob' relationum neceffitatem ad "Pbilofopbiam tradendanz praefertim iss totarelatiomibus [catet ; non igitur bac tratlatioad Me n differenda 0, uit quia ignorata relationis matura, vix efl poffibilis ad pbi phiam ingrefins fed blc in Logica ex profeJo tradédas prout munc ageredimur,  L uid fit Relatio realis, Cr quotuplex, ybi difcrimen a(fignatur interpra dicamentalem, C tran»   fcendentalem .  [: Voad primam quzfiti parté Relatio fectidom fm enl prz cifam, fiuc fit realis, fiue rationis, definitar, quod fic vatio formalis, qua vnum vefpicit aliud, et 1.p.Inft.tra&. 1. c. 7. diximns in qua cung; relatione tria confiderari dcbere, fuübicct&.f.fcu fundamentum,quod rcfr tur, rationcm fupdandi,per d rcferiar, et terminum, ad c refertur, hzc nimirü mia cermunrur ;n bmilitudine Petri ad Paultm in albedinc, nà Fetrus relatus cft fübicctum,feu fundamentum relationis, Paulus eft terminus, albedo demum c(t ratio ipfam fundandi,quz eriam fuo mo doin rclation:bus rations interuemiunt fe qua re inira Q. 4. «xa&ior erit fermo) fed quia de relacionibusiationis facis di &um cft dilp.3 et 4. bic folem efl fermo de relatione reali, et nquirimusquid.fit y uaué conditions ad. ipíam requirantur. ft autemy vt ibi diximus, quz cx.fit in rcbus, vel faltim cxiftére poteft feclufo quocunque opere imiclle&us, ita quod fuü e(Te non cíF (uum intcliig), vt cft in rcla tionibus rations, vnde ibidé dicebamus tres con ditiopcs seguiti ad relationcin Logica . eant ; : a mt ter Spem  realé ex Scoto 1.d.3 1. qvn.$. 4d qu&ft et quol.6. LI. Prima cft, quod extrema eius (int realia, ita quod 1n ratione fun. i inandi abintelle&anomlin&ta,quiaidemadfei pfumrealiterreferrinonpoteft .Tertiatandem,quoda&umcópar atinumintclie&tus;quaconAC HIdCompldipJeqtiivider eomplut.difp.14.quzf t.Meindyin7.Met.fe&t.9.&alios;adrumt amencít,hicpotiusprefüpponidebere,quàmprobari,quiacxact aearumcognitiopendetompinócxinfradiccndi sdefübic&ko;&terminorelationisHincrel atiorationisàcontradiciturilla, quznone ftàparterei interduoext ema(edeisadueni tperoperation emintelle&us;folett amenMpellarirelatioratio nisaliquaveratiocóprzcis?, quiadcficiteialiqua predictarumconditionum;vtnotathicTa«tar.ex$co. quol.13.N.talierclatioeftsdiflinttiomatctizàprimatione, &ucr(aliterentisànonente, quiahzcnondifiingountur perfolamfi&ionem ncftráy(edvéréàparte. Rciadhuctamenillarelatiodiftin &icnisdiciturrationis,quia.noneftadterminumpofirinnm, &reaJem,&hocipfumcontingitinmultisalijsrelationibus.: 2Quoadalicramquefitipartem; pre«Bbbcipua$c$18Cipuarclatíonis diuifio efl in przd:camé talem, et tranfcendentalé, inter quas non. idemab omnibus affignatur d:ícrimen. Aliqui pofucrunt difcrimen cx parte ter tnin:, quia przdicamentalis requirit ter» minumrealem,& realiter cxiflcnrem, et à fundamento realiter diftin&üs vnde (u pradicta tres càditiones cóitcr tradi fo lent de rclatione przdicamentali ; at rcla tio traní(cendens nó neceflarió petit ter minum realem; vt conftat de coguitione entis rationis, et priuationis ; nec realiter exiflentem, vt conftat dc fcientia, et po tétia rcípe&tu obie&ti: pollibilis ; nec rca liter diftinQtü, vt patct in fcientia diuina 1e (pe&u císetiz inter qua efd relatio trà. fcendens,non tam € realis diftin&tio . Ceterum licet fit verü illastres conditioncs. etíc praecipue rclationis pradicaq.éralis,  tamen negari nequit, quin ét (uo modo copctant relauionitranfcendenti, quia et | ipta relatio realiscft, non rónis; et quidé. (ccanda conditio, q». fi fit; inter extrema. ict.c.7. de ente; et ctf qngno modo realiter di ftin&a, zqué nc a cfl ad vrranque ;. quia effe nequit tcípcGtus realis, fiue predicamétalis, $uc wanícendenseiufdem ad (cipfum  nà rc" fpicicntia; et tendentia. neccffario cft ad: aliud alioquin idé dici. poflet: fibi ipü ze» quale, et funile; et quoad lioc nulla pror| fusafierti potef diparitas. inter relatio tedicamentalem; et traf cendentalé,, | um elt fcientiam diuinà tra:  Kcédentaliter referti ad diuinam e(sctia,. auillo-modo à patte rci actualiter. diftinTT   ueniuntur in relatione tran(cendétali, qn: eft:a&ualis, et nonaptitudibalistantum,. . nam vilio intuititia.crcata-dioit tranfceadent2lé ordinem: ad: obiectum aétu: cxiiens; orcario pafíTlua.ad Deum, et deoift 1dipsüconflatde vnione, actione, et paffionc,qva per.adaer(arios relationcsimportant tranfcendemalcs, et intelligi ncqueunt fincexccemis.realibus: a&ta. exis flentibus, ergo ex patte termin: hac. caioncidiftingui nequcütrelaiio pra dicamentalis, et tonlcendeps adaquaté,quia telatianes«ranicendentesactuaics rcquie Difj. IIT. De Predicam. GefpetHiuis$ mat relationes fecundum etie, Prob. aísüz1 vt ciusobicótum, prz(ertim in fententia. ptumsquia effentia relationis efteffc cd,    D  . ergo diftinguere relationes wanfcenden., f&enteattributa abeflentia; Imódmóíot ' Yum liac: conditio, fcd ét alig interdü in rcillas, quatenus relationes; fed penes aliquam. runt terminum realem. a&u exiflentem 7 et (i interd nonrequirunt, hoc cis conuenit; quatenus funt relationes aptitudinalcs, non tranfcendentcs.. 3. [dcircó Thomiflz alio modo colliguo diftiné&ionem harum relationum ex. parte termini, in boc nimirü (eníu, quód. relatio ptadicamentalis teípicit terminü. fub rone puri termini, nullu munus cxer cendo circa illum, ed omnino gratis; at. tran(cendentalisnon refpicit iptum omninó gratis, et vt puré terminum, fedaliquidcfficiédocircaipfum, vel.f.producendoipfum,velamando,vc lcogaoícendo; velvniendo, vel recipiendo,velactuádo,&c.exquofir,water minusharürela.tionumnonpür éterminusvocetu r,(ed.obie&um,fubiectum,principium, vclaliquoalionominciuxtadiaerfitatemmuneris, quodcircacürelatiocxercetjita:, NEdMeMeshic.ciS.Th.Mafius,&alij Tho,camCa. j.deeme&elfentag rpfequun-.  tur Fonfec. -Met.c.1 5. q.1. (eda suat   di(p.47. Met. fc& 4. Conimb.hicq: re   » Amic.q.1.dub.3.ar. 1. et alij; xb Verüm hoc difcrimen optime refellit P  Faber $.Met.difp.10.c. 1namdicere, g» rclationes tranícendentales refpicianta-. liudjnon vt purum cit dcfiruee toa UE E hii ionemrelariomis,quamtameninipfis.   agnolcinprafertim Suatez, cumillas po cs.à przdicamentalibuspenes aliud,   quam. penesad, non cít diftinguercillas,, aliam differentiam extraneam,&c accidetalem,. Tum quia ét liocniodo poffemus;  iplasrelationes predicamentalesinter(e: diftinguere,vt patermitatcm à fimilitudi  nc ».quia paternitaseft ad filium ;. vt, eft: foppot itum viens; nmilitudó ad albumy. vt fiogularenaturgaccidentalis,T üquiadilcorrendo:peromnes:relatio ncsttanfcendentales,patet,quodomneilladige :refpiciutyvaiquevtcecmi n umrefpicr, vcconfiatdecreationequainomnifens1cntia. creataDeumrefpicitLs1nzeldVÁROS"DEUEpm8Bnt n R SEE. v ? e X " : x us RN : p. ws ». T   Quafi. T. De Relatione Pradicam. eT lfenl. o€19 dentaliter,& tamen relpicit Deum,vt pusé terminum, quia creatüra nullum mumus exercet circa Deum. Tum quia é contra relatio paternitatis ín omni fententia eft predicameutalis, et tamen parer ali. quid cfficit circa filium,cum illud produ. cat. Tum tandem quia illud (peciale manus ; quod ponitur rclatio cranfcendens circa (um terminum exercere, dici pot aliud reipfa noa cífe, quàm ipfum refpicere tali, vebtali modo v.g.in vnione vnü 'exttemum alteri coniungere cft vnionem tefpicere illud extremum tali modo f. coniungendo, in a&u reprzfeatare obicGum cít, illad refpicere tali modo .f. re pra(emando, quz diucrfitates etià inacniuptur in relationibus przdicamentalibus iuxta diucrfitatem modorum, quib.is fuos rc(p;ciunt terminos, (imilitudo.n.dicitur aflimilare, qualitas adzequarc;(ecuitus fubijccre,&c. Atq; ideó bene inquit Acriag difp.12. fed. 4. ninquam capere potuiffe, quid velint fignificare Auctores cir. per hec, quod cfl refpicere, vt purd terminum,& non vt puré terminum; quia nulla relatio, (iac pra dicamentalis, ftae tran(cendens ex zali re(picientia. ponit aliquid in teriiíno, fed (olum extrinfecé illum denominant tcrminum,vndc omnes illum refpiciunt, vt puré terminum. 4 Al] pro:nde diftinguunt has relattoncscx parte fundamenti, ita quod relatio tranfcendens cft illa, quz ita eft de effentia (übie&, vt tic ill;adzquaré identifi«ata', et eilentialiter, vade ctiam proue. nit, vt fine illa neque effe, neque inielligi po (fi, v.g.relatio a&us ad fuumobiectü, vnionis ad terminü, creatarz ad Deum, potétiz ad a&us poffibiles, &c. pradicareniaiis veró cft illa, qu& fubie&o meré accidit, et ab co (cparari pót,vt paternitas à Petro, (imiitudo ab albo,ita Hurt.difput.1 $. Met. (cct. 1. Ouuicd.controu. ro. Mert. punc. 1. Arriag.cit.& Recécores paf fim, qui '9És conuzniuat in hoc, g relatio tranfícédencalis fit de (lentia fundaméc. Scd hoc quoque difcrimen infringiar ex dicédis q-(eq. vbi ex. ;pteffo oftendeaius nulià pror(us relatione, ércranfcende nca lm, poni potfe de eifentia ab(oluci ; imà h»c manifctlà ingoluere contrad;ctioa€ . Alij diftinguunt has r latioaes ex parte vrriufque nempe tecmini, et fundameatij& inquiunt predicamentalem illam e((e, cuius toram effe:e& ad. aliud (e hibzr€ cx 2. definitione vaditaab Aritl, c. ad aliquid; traáfcendentalem vero, cuius to» . tum effe non ctt (ojum adaliad, fea non eft (olum re(pe&tiuum, (ed partim ab(os lutam,patticd ce(pectiauim, vade nonfos lü gerit munis refiendi, fedetiam adus   | nus ab(oluta n ex parte fundamenti, v&€  fcientia v.g. non tatum rofert intelle&tüad venit: eft rnunus celatiuam, fed ét illum qaalificats ess cft munus abfolutum. Ate:tam q. (eq. conftabit implicare entitatem perfeynam, quzclfentialitee   partim fit abíolutay et ad fe; partim rclatía1, X ad al.ud,quiatanc contrad;ctoría vcrificarenrac de ea,quod sth candzm fuá roaém formale, quatalis eftjeifet ad (e; et nonad (c, ad aliud, et nonad aliud, $ Scorittz vcrà alia procedunt via, 'docent.n. illas celationes e(Te cranícendentalcs, quz pec plara vagantur. gezd:catnena, qualis e relatio crcarürz ad Deam, pradicamentales veto, qui (pez ciale contlitaant predicamentum, vc paternitas,(imilicudo, Xc.ita Tat. et Fab. loc c t. et Lichec.2.d.1.q. $. $ "Nwncfol  uend 1,qui proinde aduertant n9 0moem relationei (andamento realiter ideacifi€atam ede ccanfcenidentalein, n23; € contta omae rraafceadentalem etf (abiccto realiter eandem ;. fundaatac autein in dicto Do&oris 1.d.1. q-5. in fol. ad 1. prin. vbi ex eo docet creacioaem elfe ce« lationem tranícendencem, quia conuenit enti, antequam in genera delcendar, et ommce, quo4 conuenit enct in tali priocizate,cít canícendens, et non eft alicuius determinati genetis, vt ipfe prius docuit 1.d.8.4:4. N.& O.fequuatur plures exte ri, vnde f'olet.liic q. 1:non vocat relatio nes traafcendentales,nifi eas, quz ita (ane comauncs, vt prediceatar de. placib'is przdicamcatis, fic ctiain loquituc Suarez difp.cit.fe8t. 3. mum105: 7 Sed (an&, quxmais D3&. [oec cit. et &t 1.d.19. q.1. C. hoc igaitic itü felationis tran[cendeatis agnodm-ric, noatadi en hoc dixit cie paeci(u n, et adeq iatum Gades Bob 2 fà;  "TC" . T tr s€10 Dif VAI. De Pradicam. "t IM. NN "ficatom cius, alioquin quamplurimz relationes rebus vnius deterininat?: przdi«amenti cócs, illifq; realiter identi carae, vt lunt omaes aptitadines, ac peculiares rerum inclinationes, qua ad illud przdicamenium determinate l'peGant, in quo rcs ille inaeniantur;ab hoc membro excluderentur, et pradicamécales dici de berent, tamen falfum ett .quia pet rcla tionem przdicamentalem intelligi folet, quz quaritüconítituit przd camentü aat faltim vnam ex al;js fex . Coníe teat, quia pet hác diuifioné a juaté. diuid:tut relatio realis, avt quzlibet (ub alte£0 iftorum membrorum debeat ncccifa£io contineri. -6 Vt igitur relationis tran(cendencal's adaquatam róncm a (fi gnemus in coxa fua latitudine, inucftigandum eft, in quo cófiftat ró relationis przdicamentalis, hinc efi. facilc erit deducere rónem tranfcédétalis, quz illi opponitur ; plané Do. cit. 2d.1.q. $. diferté docet illas cffe relationes quescupcdien quz fuis accidunt fundamentis, ac projnde ab cis feparabiles (unt; ergo e contra ill erunt tranfcéte HÀ eis nó accidunt, (ed fant idé, monquidcm effentialiter (quia hoc iinpli€at,vt dicemus) (cd rcaliter,fiue ifta (int aGuales, fiuc aptitudinales, ac proinde funt ab cis proríus infeparabiles. Ex qua doctrina colligitur ratio, quarc relationes prioris ordinis dicátur pra dicamentales, tzranfcendéiales veró ordinis poítetioris, uia .n.illz rebas omninó accidunt,acciit .n. huic albo effe iili fimile, Petro cffe Gilium,vcl patrem Pauli, hinc peculiare genus accidentis conftituere debent ; at Quia rclationes pofterioris ordinis, vt reJatio crcaturz ad Deum, materiz ad formi tcaa(cendüc ; X quafi peruadant ipsá rei entitatem, peculiare genus accidenris nó collituant, fed per reductioné (pe&át ad przdicaméta rerü quibus realiter 1dC ificaue ponuntur; quamus crgo quzdam aRElaciones peciali quodà titulo tranfcendentales dicantur, quia nimirum enti cóueaiunt priu(qua in decé predic. deícendat, X ideó pec oia illa vagantur, adhuc th et iflz, et omnes aliz tundamécis rcaMeer idéaücaiz dicuntur ccan(cédenzatcs S)  S y " ? i ddbudas Aden. a ] cageneraliratione, quardusperidemi:   tat eee eh imp ipe dunt enritaté fundamétorum fuot itayt enera/im loquendo omnisrelatio tran-. cenden:alis (it realiter idem cum fundzmento,& é contra, et rarfus omars priedicamentalis accidat fundamento, et et contra,ita cx noftris a(fignauit di(ccimen mter has celaciones Mair,t.d. 19.q.1.ar.3 et Io. de Mag. hic q. 1. dub. 3. vbi dant talem regalam, Omnis relatio, quz nó cft realiter dittiactià fao fundamento, cít ex le tranfcendeas, quia oinais. relatio, quz eft dirc&é in genere relationis vel in aliquo aliorum fex vltimorü przdic.cft accidens realiter à (ao fundamento diftin&um ; relatio autem, qua eít cadem cum fuo fundamento, non eítaccidens fibi, ergo talisrelatio non erit. przdicamentalis, quare relinquitur, quód erit tcan(cendens hzc illi ; idem [entit Zecb. $.Met.q. 17. $. Propter tertium, et Baífol.1.d.30.q.t.ad5.prin.&Ponc iushic.7Deindealiaprzcipuare lationisdiai(10tradifoletinrelatonems mefse,&fecundumdici,.quamman:feftéafigaaui tArift.c.deidaliquid,nonqui demdeipfarelatio neinab(Ira&o,fedderelatiuisin concteto,&reucrahocmodoaffigna ridcbet,tumquiaficea mAcift.indicauit;tumquiae xeorumdifcrimineipeeban cdiuitionéapolicarinonpo €erelationibusipfismabftra&o, fedtantu minconcreto,vtali afiacrclatiua. fecundamefse,ali a(ccundüdici,quamuisaucemo maeshuiu(modidiuiionemreci piant, nontamenomnesco demmodocom)&ciusmemb radiftinguunt,homittzcit.pucant.han cdiurfionemcoincide recumprzcedenti,&i dcrelatiua$13.c(seconfuaduntcumprzdicamentalibus, relatiua fecüdum dici cü tràfcendcatalious . Sed imineritó; tum quia fcuftra a(fi gaaretur hzc diuiiio, vt ditin&a ab illa; cam quia relatiua tranfcendétia císent.aliter depeadent à. fuis termie nis,& correlatiuis noa minus; d predicamétalia, ergo vel inagis vel eué rela tua.  $rh efse vocari debat; tádei ti hoc veri ciset, ita eisentialrer refercctur creatura ad Dcü ; vc ala ad alatum, naim ala, vt ait Ad(t. | : ! Quafi... De Relatione Pradicam. éovTranfeend. | 621. Arif. íntex.refertur ad allatum sm dici, Neotherici quáplures opinantur hanc diui onem coincidere cü d:uitione relationis inrealem, et rationis, vnde relatiua sif (fc confundunt cum telatiuis r ealibus, rclaciua fecundü dici cum relariuis rationis ; à qua. explicatione parü differt aliaquam tradi: Fonf.cit. Vafq. 1.p. difp. 173.0. 13. Conimb. bic q.1. et Faber cit. quod rclatiua fecundü ede (unr illa, quae veré à parte rei ad. aliud cefcruntur ; fiuc pradicamentaliter, (iue tran(cendentaliter, relatiua vcró [ecundum dici;quz non veré, (ed vocetantum, et fecundü loquédi modum referuntur ad aliud, vtala ad alacam, quod exemplü attulit Arift. Scd neutra explicatio recipi debet, non prima; tum quia fruftra affignaretur hac diuiiio, velut diftin&ta à diurione in realem, et rationis; tum quia rclationcs ronis Cópatari debent inter relationes fecundum cfic,nam füo modo non (olü dicuntur,fed ctiam funt ad aliud . Neq; fecunda;quia Arift.inter telatiua fccundum dici quzdam enumerat, qua veré dicunt relationem ad aliud,vt fenfum, (ci&uiam, &c.ergo non omnia relatiua fecundü dici calia tunt fn vocem tantum, nequc hac rationc relatiua srh dici appellantur, fcd potius quia accidentaliter, ac denomina. tiué (unt relata ad. differentiam relati-uorumfecundumcfle, que(untrelatiuaeiTe ntialiter,vtmoxex plicabimus.A ljexplicát illaefferelaiua fecundüdici,qu aciiveréabf olutaiincfolüapparcnt iambabentrelatinor um,vndenódi.cunturrelatiua, quiaordiiemdicantadaliud verum,vclfi&tum,fedporius, quiaaliareferunturad.ipfa;ita(cibilediciturrclatiuumad(cientiam,nonquiaordinéaliquem habcat ad (cientia,(ed quia fcien tia refertur ad ipfum fcibile; relatiua vero fecundum effe illa vocant, qua habent rei ad aliud vcram, vel f: é&am. Sed hgc potius ett explicatio alterius diuitionisyqua relatiua diuidi (olent in mutua, et non mutua, vt illa dican.ur, qua adicuice rcciprocé reférunur reali relatione, ifta vetb non ; Ícd vnum dicitur ad aliud referr1y quatenus illud ad ipsü retcrcur, (eu r1erinat rclotoncm alterius. cxiremi »  c Logica, Accedit Ariftor, non fcibile, fed ipfam fcientiam, neq; fenübile, (ed (eníum inter relatiua connumerati, ergo przdicta explicatio non eft, ad Arift. mentem . 8 Melius ergo lic diftinguuntur;ac ad Aritt.mencem, g relatiua [ecandum effe fint illa, qua süc effentialiter relatiua ita vt corug ctientia fit ad aliud (e babereg telatiua veró fecundum dici,qua relatiua $üt accidéntaliter tantü,& denominatiués ' formaliter veró, et effencialiter (unt abs foluta ; ita exponunt oés Scotiftz hic Io. de Mag. Orbel. Tatar. Mair. loc. cit. Baffol. 1.d.36.q.1 art.1. in fine, qua de cauía " Do&ot q. 16.przdicam.hac vocat zquiuocé relatiaa; et colligitur hoc difcrimen ex ipío Ariít.qui prima definitione com ple&ens relatiua oia fecundü dici multa enumerat abtoluta partes fübftantiz ; vt manus, caput; &c. habitum»fen(um,fcien tiam;quz plané ad alia [pectant pra. dicamenta, neque in hoc reponi poflunt, nifi denominatiué, quatenusnempe relationcs aliquas fundat, eo modo; quo Petrus albus sm albedinem denominatimé ponit in przdic. qnalitatis ; at fecunda definie tione explicans fola relariua fecundü effe enumerat duplum, et dimidiü, mclius, et pe us, et alia buiufmodi, quz plane omn nia sip corü etienua ad aliud referuntur, u" nihil prater ordiné ad aliud de ipfis t maliter acceptis intelligere poffimuss fic pater refertur ad filium  feruus ad dominü, quia fub rónc patris aliud intelli« gere nequimus ; nifi quod ad filiü referturjlicét fundamétaliter,& cónotatiué ea róne,qua accidens cocrerg eft, (abictum infinuct; et hanc esplicationem videtur fequi Tolet, cit. Vnum tamcn circa hoc Doéct.aducttit quo]. 13.ad 1: princ. et cü co Tatar. hic not. 2. ncccílarium eíle ad relatiuum sm dici, quod importet abíoe lutum, et relationem (ub eodem noinine annexá,quod paet in ipío nomine fciene tig,quod impofitü eft.nó folum ad fignis ficandá qualitatem intellectui inbzreaté verum ét cclationem ad. obic&tum fci illi annexam, et totum hoc aggregati fi» gnificaiur per illud nomen, licét «ni prie matió,& aliud fecundatio ; idem patet de nomine manus, capitis, et aliarum paru ' S Bbb 3 14 FE EB Rida, €21 fubftátiz,dc quib. exéplificat Arift. quareres omncs abíolutz per nomenabío. Jutum importatz relatiua fccundum di« €i noh erunt, &fi actualiter relauonem aliquam fundarent, fed (olum quàdo defiznàtar nomine non purcabíoluto, fed €órnotante relationem ad aliud . Dc bac diuifione fuse agunt Auerfa jus. Logs fcét. 3. Amic. trac. 15q. 1. dub. 2. vbi alios inutiles modos rcfetunt ; qui fadle ex dictis rcfel'untur . Qualis, Cr quanta. fit identites relatio, man tran|cendentalium cum rebus. | 9 'Y) Elationes tranfcendentales cü ree ' bus idétificari diximus q«praced, imó ex hoc capite aufpicati (amus diícrie tocn carü à przdicamécalibus;vt aüt magis cluccat affignatü difcrimen,& ipfana tura rclationü :ranfcédenialiüs quaerimus in przfenti qualis, et quàáia fit talis1dentítàs; vt «n. ibi innuimus, Thomiítz, ac Wcotherici paíIim (upportunt huiufmodi relationes rebusidétificari, non folü realiter,fcd etià tormaliter, et quidditatiué, vnde cócludunt rclationé trancendentaléà fundamen:o fuo nullo prorfus modo «x natura rei formaliter difliagui ; fed c(le penitus cádcem entitatem abíolutá fundaanéti,quz nó cfk pure abfoluta,(ed in ipío iikinl ecc conccpurincludit ordinem ad aliud, ita qp (ine taliordiae c(Teniialiter et quidditatiné neveat imelligi& vitro fateàtuc imentibus creatis nullum clfeita abiolutüm, quin im. fua effenuia mncludat aliquem trantcendentalé reípectü, (aisim enus ctLens per. participationem per »cellentialter pendens ab ente per eífentià; quis .n. actualis dependencia ctdet relatio cximatura tci à ctcatura diftincta, tpritudinalis tamen formali (Iimé cà ipfa cveatürz entitas ; addüt etin reb. quamplutiais ab alijs m aliquo per fe pendentibus fpcciales relationes ttáfcendétales ihcludi; ita inquiüt ip róne potenua ordinem ad aétü cticncisliter ibibi, et in tOuéc ai us ordiné ad obicciá, et in róuc  qaciscitentiaiier iacópleur ordinco-ad. «dependentia apritadmali ad (ubüan "alim co » vt funt materia; et for), -Difput. VII, De Pradicam-sefpeBliuis.  ma et icisrmükis lij; -. hoc eft prin cipium metaph iini icol bicationeni non moucant, (cd is materijs velut indabitarum.acs   cipiant; ita Suarez difp.47. cit.ícók. 5.mu. 12. cam Caiet. loc, iam cit, ] Scotiftie veró é contrà licet cócedant identitatem realem harü relationum cü rebuscü eorum DoG.z, d. 1.35. $. 4d qua[lionem ifl am,& 4.d.12.q-1.F.negat tamé cóflanter formalé, et e(fentialé cü codém ibid. et quol. 1 1.art 4.X quol. 13. art.3.& alibi frequenter,vnde eft princi» pium Metaphyfíicum in noftraSchola s nullum prorfasrefpectum indudi incó«     ceptru quidditatiuo ab(oluti ; et quia hie quotus eft quam maxime neceflarius in rebus Philofophicis,ac Theologicis,idebdiligenterett hicexaminandus   5 19 Dicimus 1.relationcs tran(cédentales rebus realiter identi ia Doc ifl, et citn m veddmer wis quidam scotiftz cit. d. przc.quafe   hotrelaciones à rete res diia dep s vocent tranfcendentales,eo quia per plus ra przdicam. diuagátur, qualis eft actualis inhzrentia accidétis, quz cóis eft nouem generibuscercü tamen eft in sétéria Do&toris hác,& cófimiles relationes cíTe pet fe determinati generis, et folü denominatiue carceris conuenire, et itaidocet ipfc deinhercntia accidentis 4.d. 12.4. 1. $..4d qu&fl ionem D. et ideo formaliter, et quidditauu? he relationes ccüt pradicamentales, quia perfe funt deterininatdd  generis,& folüm denominatiué tan(cendentales, quatenus denoininzre potfu res aliorum generü,& ideó eft queftio de folo noie. Noftra át Cócl.procedit de "i lacionibus veré, et pcr (e tran(cendental bus, et folidé probauur à Do&in 1. loc, cit.hoc modo; Ois lla relatio eft realiter. identifi cata cü funJamento, fioc qua fua damétum cffe implicat ab ;ntrinfeco, fed nulla rcs, etià de potentia. Dei abfolata, cfle pót rine ordine, quem dicit tranfcen'décaliter ad aliá, vt creatura finerelattgs    '&e dependentig ad Dcum, accidens fii matctiá (inc ordincad formam ; et f e dijs ergo tc minos patetex differé&ia, quam priced. quzft. affignauimus inter relationes tráfcendentales, et przdicamé tales, hzc .n. rebus accidunt, et poflunt adeffe,& abcife preter earam corruptionem, vt paret de (iailitudine, paternitate;&c.attranfcédenralesminim,(edcáipfareinci piunt, &definür;Maiorprob. àScoto,quiaintrinfecaimpoffi bilitas(eparationisduorumext riplicicapiteproCederepór,r elquiafuntfimulnatura,v tcftdeduobusrelatiuis,velquiavnumcftprius, àquoeffentialiterdeppottcfius,rónecu iusdependentiznequiteffefincco,vteftd etotophy(ico,acciuspartibus,velquiafu ntidemrealiter, yndepofteainfe rtineodem2.d.2.9.2.$.Centrai ftud,illud,quodtieffetditt inctüabaliquo,effetpo tteriuseonaturaliter;necefzfarióeff eidemilli;(iimpoffibilee(t.illud aliudeffetineifto,&quodm hil.tcaliterdiftinétüabalio,(imequoneq uite(lcfiniecontradi&ione;eftpriu sco,fedcftpofteriusnaturaliter,vel(ímuli naturacumeo; fedfandamétüaeceffariócftpriusnaturaipfarelationefundata,ergofifundamétünonpoteftcffe(ineta lirelatione,&hocimplicatabintrinfeco,ideritvciqueobide ntitatemrealemcáea,quianunquamimplicatabintrinfecopriusfeparar1àofteriori,nifiobidentit atemrealem, vtConftatdefübie&o; &propriapaf fione.1: Cofultóa ütin1llamaio riaddimusabintrinfeco, quiatitalism(eparabili tasfolumabextrin(ecoprocedit,n oninfertrealemidentitateuiin tercadficiníepatabilia dicuntur, ita monet Doct.loc.cit. 2.d.1.q. f. N. vbi afferc exemplü de Coelo, quod sm Philcfophü implicat efic ti| he motu, nccob id fequitur realis identttas intet illa.ga talisimpo(libilitas no puenitab incrinfeco, et ex natura ipiius | Co rli,(ed à cau(a extrinfeca .i. ab Iatelli"itia necesario Lene mouéte; eit ét exemplü de partibus vhicis, qua süt prioFA NMBMI pof coc me co, X tamé diftingauntur reatiter ab co. ex Do&t. 7. d. 2.q.2. quia talís impoflibilitas no prouenit ex abfoluta earü enticate, ed ab al1We oro UMANE CMUUCKMUMPSMY T. PERTENECER aueaememnEEPEUPNGouue Sp -€ » dns. extrinfeco, népe ex carü eni'oncsquz s accidi et qua Ítta nequeunt nó et LC PE. Quafi. T Deident. velat. feapfeend.cum fünd.   623 caufare totít y cá fintcaufe intrinfcce,v notat Lichet.2.d.12:qi24 pót ctiá « £c exemplü de veritate. propolitionü necc(fariarü,;& cérinzenti, nam COci es nequcunt eíse (ine illa;fappolito.Dei dc creto;nec proinde hne enar di quia talis inteparabilitas prouenit; ab cxtrinfeco f, ex Dei deccero, et contra in neceísarijs veritas c( illis realiter identi, ficata,quía nequeunt efse fine illa ex cari natura, et ab intrinfeco. [n propotito aüc incópoflibiliias eísendi creaturam ab(a; dependentia ad Dcà e(t ex rationc intrin (eca ciusy(ic etiam incópoflibilitas e(sens di accidensfinedependent iaad(übie&um,&ioh z,(mileía;alizrelationesrealite rfundamentís:identifica ntur.Hictamenaduertendáücft,illamScorimax' máproenmaioriaísumptamina rgumentoàScodiftiscoit erficv(urpari,Ofsrelatioychi usfendam entorepugnatefJe,finetermino,eflideutificatarealiter.cia€oyquofenfuprolatagraucs patitur infa» tias, primo n. fal(avrdetur de omat ccfpeétaaptitudinali,q01a fundamentü cu, iufcanque talis poc exiftece fine actuali exiftétia termini,vt homo line ri(u, X ta. mcn rifibilitas et cum homine re licec cadem et quilibet talisrefpectas.cü fuo fundamento; Deindc hamanitas a Veroo atlamptanon pór eise inrerum natüra, quin eciam V erbü éxiftar, et camen vaio hypottatica nó eft ci realiter identifica. tà,quas inftantias Vallo toluece aidicac trac. Formal. in explic. diuilionis entis in dcpendens,& iadependens ;.(ed m«lius cit propolitionem aísuimere, vt ponitur -à Doct.loc.cit. in2.i 3.d.1. q«1. ks 4 d. 1 2:q. 1. I et alibi, quód. neape relario omnis cft cadem fandamento ; íi ne;]ua fundamentum implicat e(se ab intrin(es co, irat. impoflibilias (eparationis à fundamento (ic ipfius rien A fumpta ceísat omnis dubitatio y vt rect notat Gadiusno(ter quol.19. 5 5s 12 Contrá hanc Cócl.ob;jcics, hiac (ce quiomnia entia müdi e(se rclatuni, quod. vclati maximü incoucnicas intulit Aci(l, 4. Met. córra alscrentes omnes rerü veri» tatc$ eíse apparentes : i/rob.feq. quia 01a enia dicunt dependentiam ad Deü. Tum Bbb 4  a«x 621 fübftátiz,dc quib. exéplificat Arift. quare'res omncs abfolute per nomcnabío. Jutum importatz relatiua fecundum di €i noh erunt, éfi actualiter relationem aliquam fundarent, (cd fojum quàdo dcfiznatot nomine non parcabfoluto, fed córnotantc relationem ad aliud . "s bac diuifione fusó agunt Auería q. 19. Log. fect. 5. Atmic. fn ue ies ry 6» 1 vii alios inutiles modos rcfetunt, qui facile ex dictis rcfel'untur . n2 Qv &STIO IL Qualis, C quanta fi identit«s relatio, Aun tranjcendentalium cum vebus. : g Y) Elationes tranfcendentalcs cü re» t EX bus idétificari diximus q. praeced, jmó cx hoc capite aufpicati amus diícrie tocn carü à przdicamécalibus;vt aüt magis cluccat affignarü difcrimeny& ipfana. turarclationü vanícedentaliüs quaerimus in przíenti qualis, et quáia fit talis 1dentitas; Vt «n. ibi innuimus, Thomiftz, ac Ncotherici paíIim (upportnt huiufmodi relationes rebusidéuficari, non folü rea» liter,fed exià tormaliter,& quidditatiué, vnde cócludunr relationé tranícendentalé à fundamento füo nullo prorí(us modo «x natura rei formaliter diftingui ; fed c(le pénitus cádem entitatem abíolutà fundaique nó eft pure abíolutay(ed in ipío intrin(eco conccpurincludit ordinem ad ita qp inetaliordiae c(Tcnialiter, et quidditatiue nequeat intelligi; et vitro fatentur im entibus creatis nullum clfeita tüm, quin mfua effenia includat aliquem trantcendentalé rc(pectà, faitim enus ettens per. participationem per »& efienuaimer pendens ab ente. per cí  fentia quis n. actualis dependencia cflet relatio cx natura tcj à cteatura diftindta, tpritudinalis tamen formali (Timé cá ipfa cveatbre entitas ; addüt étin reb. quampluriais ab alijs m aliquo pet fc pendenWbus fpcciales relationes trá(cendétales ihcludi; ita inquiüt in rónc potentia or"dinem ad 2&u ctic ncisliter uimbibi, et in tOnc adt us ordiné ad obicdli, et in rGac pacis citentiaiter iacópleug oidineoad "alim cópartem et (unt matetia et torDifput. VH De Pradicam.vefpeHlinis. ma,& fic inmultis alijs ; &. hoc eft prin-. cipium metaphyficum apud ipfos ita cói calculo receptum,vt dc hoc fpecialem da. birationeni non moucant, (ed vbiquein fingulis materijs velut indubitatum ac« cipiant; ita Suarez diíp.47. cit.ícók. 5.ntr. 12. cam Caier. loc. iam cit, | Scotiftie veró é contrà, licét cócedant identitatem realem harü relationum cü tebus ci corum Do&.z. d. 1.3.5. $. 4d qua (lionem ifl amy& 4.d.12.q. 1.F.negát tamé cóflanter formalé, et cífentialé cü codém ibid.& quol. 1 1.art, 4. X quol. 13. art.3.& alib! frequenter,vnde rtincie pium-Meraphyficum : noftra la nullum prorfus refpeétum includi in cóceptu quidditatiuo ab(oluti ; et quia hic puo&us eft qam maximé neceflarius in rebus Philofophicis,ac Theologicis,ideo diligenterett hicexaminandus.: Dicimus 1.relationcs tranf tales rebus realiter identificati.Irta Doc Citin 2. hanc cócedüt ocs Thomiftz, &€ uis quidam scotiftz cit. q. prac. quafam relaciones à rebus realiter diftin&as vocent tranfcendentales,co quia per plus ra przdicam. diuagátur, qualis eft actualis inhzrentia accidétis, quz cóis eft nouem generibuscercü tamen eft in séteria Do&oris hic,& cófimiles relationes cíTe pet fe determinati generis, et folü denominatiué caeceris conuenire, et itaidocct ipfc deinhercntia accidentis 4.d. 12.4.1. $..4d br ida D. et ide? formaliter, et quidditauu? he relationes ccüt prardicamentales, quia per (e (unc deterininaci generis,& folum denominatiué tran(cendentales, quatenus denoininzre. po(funt res altorutn generü,& ide eft quxttio de folo noic.Noftra &t Cócl.procedn dc re lacionibus veré, et pcr (etranfcendenta!ibus, et folidé probatur à Do&. in 2. loc, cit.hoc modo: Oislla relatio eft realiter identificata cü fundamento, fioe qua fua damétum cffe implicat ab ;ntr;nfeco, (ed nulla res, etià de porentia. Dci abíolata, cíle pót tine ordine, quem dicit cranfcen:décaliter ad aliá, vt creatura fine relatio"e dependentig ad Dcum, accidens (ine "dependenia apritadinali ad (ubüanriam, "mátctià fine ordinc ad formam ; pora  "2 c" elena d s E [ ( ] SABES ! 1 : [ A n LI » dd J jÓ  preeced. quz ft. affigasuimus inter : Bouger tráfcendentales, et przdicamé . tàles, hzc .n. rebus accidunt, et poffunt adeffe,& abetfe preter eatum corruptio fiem, vt paret de fi alitudine, patetnitate; &c. át cranfcédenrales minimé, fed cü ipfa rc incipiunt,& de(inüt; Maior prob. à Scoto, quia intrin(eca impo fibilitas feparationis duorum ex triplici capite procedere pót, el quia fünt fimul natura, vt eft de duobus relariuis, vel quia vnum eft prius, à quo effentialiter dep pettctius, tóne cuius dependentiz nequit effc fine co,vt eft de toto phyfico, ac cius par tibus,vel quia funt idem realiter,y nde po ftea infert in eodem 2.d.2.9.2.$. Contra iftud, illud; quod ti effet dittinctüab ali, effet potteriuseo naturaliter, necefz farió effe idem lli, (i impoflibile e(t illud aliud effe fine ifto, et quod mhil tcaliter diftín&tü ab alio, (ime quo ncquit e(e-tinie Contradi &ione;cít cà co;fed cít poft. rius nataralicer, vel (rmul.natura cum eo; fed fundamécü neceffarió cítprias natura ipfa relatione fundata, ergo fi fundamétü non poteft cífe fine tali rclaione, et hoc implicat ab intrinfeco, id erit vcique ob identitatem realem cá ea., quia nunquam implicat ab inrrinfeco prius feparar1 à ofteriori, nifi ob identitatem realem vt ab intrinfeco, quia ti talis mfeparabilitas ab extriníeco procedit, n«n infert tealem identitateui inter cad (c inlepatabilia dicuntur, ita monet Doct.loc.cit. 2.d.1.q. f. N. vbi afferc exemplü de Coelo, quod si Phiicfophü implicat efic tihie motu, necob id fequitur realis identitas inte? illa.g talisimpotlibilitas no,püenitab intrin(eco, et ex nacura ipiius Corli,fed à caufa extriníeca .i. ab fatelligentia neceísarió Coelum mouéte; ett ét cxemplü de partibus vhiuis,qua süt prio: pofsüt e(se tine co, et camé iuntur realiter ab eo. ex Do&t. 3. .d.2.q.2. E impoflibilitas nó pro." Utmitexabíoluta earü cnticate, (ed ab aliDN T extrinfeco, népe ex carü énioncsquz À Jaume qua fttà nequeunt nó I: ro 6 &c. minor patetex differéia, -à Doct.loc.cit. ini2.i& 3.d.1. q«i. k. Quafi. TE Deident. velar. franftend.cumfünd. cau(are toti, cá fintcaufe intrin(zce, v notat Lichet.2.d.12:q:2$ pot ctiá «ff. exemplü de veritate propolitionü nece(fatiarü,;& céringenti, nam cócingentes ncqucunt císe (ine illa;fappoltito Dei dccreto;nec proinde Bree e s Tg quia talis inteparabilitas prouenit; ab cx. trinfeco.f, ex Dci deccero, et é contra, neceísatijs veritas c( illis realiter identificata;quía nequeunt efse (ine «la ex ear natura, et ab intrinfeco. [n propotito ac incópoflibiliias císendi creaturam abfq; dependentia ad Deà e(t ex ratione intrin (eca cius, ic etiam incópoffibilitase(sen, di accidens fine dependentia ad (übie&um, &10 hz  timilcíq; aliz relationes realiter fundamentis: identi ficantur. Hictamen aduertendü cft, illamSco:tmax'nmáproemaioriaísumpraminargumentoàScoriftiscóiter(icv(urpari, Osrelatioycuiusfandamentorepugnatefe, fmetermino,eflideutificatarealiter. cia€oyquofenfuprolatagraucspatiturin(tá»tias,primo.n.fal(avideturdeomuicc(pcétaaptitudinali,quiafanda meptücu,iufcanquetalispocexiftecefineac tualiexiftétiar ermiai,vthomofinerifuyXtamenrifibiliraseftcum hominereLicecadem;&quilibettalisrefpectus. cü(uafundamento; Deindchamanitasa Verooatiumptanonpóteíscinrerumnatüra,qumeciam Verbüéxiftar,&tamen;vaiohypottaticanóeftcirealiteridentifica.tà, quasinftanriasVallotolueceaidicactrac. Formal.inexplic. diuilionisentisindcpendens, &independens;. (edm«luscitpcopolitionemaísuimere,vtpoaitur&d. 12:q.1.I.&alibi,quód.nempeudomniscftcademfandamento; (ine;]uafundamentamimplicate(seabintrinie €o,itavt.impoflibiliiasepiscfundamento fixipfiusrclationisyüc.n.fumptaceisatomnisdubitatioy. vtrectenotatGadiusno(terquol;19...(s12Contráhanc Cócl.ob;jcies, hiac(c»quiomniaentiamüdie(serclatuni, quad.vclatimaximiincoucnieusintolit Acl, 4.Met.cócraalscrentesomnesreruvertetateseiseapparentes:i/rob.[eq.quia01aentiadicuntdependentiamad Dcu.TumBbb4aex$142:exAug.$.deTrin.c.5. increaturis, quicquidnonsrifübftantiamdicitur, tevtsriaccidésdicatue, &infrac.16.apertàdocetrelationem oém in creaturis effe accidens, düait illa effe accidentia relatiua, quz cum aliqua mutatione rerum, de quibus dicuntur, accidunt, ex quo deducit ctiam relationem creaturz ad Deü cíIc accidens, etiam expreffius do«ct in fine cap. . hoiuímodi relatio ncs fpe&ant ad predicamentáü relationis, ergo accidunt rebus, Prob. affum ptum, uta relationes iftz (unt relationes fecun efle, ex quibus przdicamencü relationis con(tituitur, et omninó competit fecunda relatiuorü definitio tradita ab Ari(t. quia corum effe cít ad aliud efientialiter (e habere. Tum 4.relatio tran(ce- denialis effentialiter pendetiab extremis, ergo rcaliter à fundamento di(tinguitur, quia dependentia effentialis (emper in- Ker. diftin&ionem realem inter depen- dens, et terminum dependentiz, Refp. Do&or inconueniens cffe pm fere ota ad aliquid formaliter, et quiddi- tatiué, vt aflerebat opinio ibiab Ari(t.re- ic&ta,non tamen realiter, et identicé. Ad 2. concedit relationes in creaturis c(Ie |.» accidentia, (i fant ad illa, ad quz c(sétia- liter non dependent, at fi (unt ad illa, ac. cidentia non funt, nifi fumendo accidens E extraneo à quidditate rei, et in hoc en(ü ait Aug. (ümere accidens, cum re- lationem creaturz ad Deum vocat acci- dens, g é dicit cfle motabile; non tamen mancnte fundamento,ícd per mutationé etiam ipfius fundamenti. Ad 5.neg.aísüptum ordo .n effentialis rerí ad fuos ter fnínos ponitur-per cedué&tionem in pradicam. ipfatum rerum ; ad prob.dicimus, non quaícunque relationes sin c(le con. ftituece przd;cam. relationis, et ibi dcfinici fcd illas ui, quz rebus accidunt qualesnoníunt tran(cen dentales. Ad 4.relatio tran(cendentalis dicitur cfTentialiter dere à fundamento,eo modo quo paf dicitur. penderc à fubie&o ; quatenus nempe cft fibi cófubflantialis,& realiter identificata, proprie tamen dici nequit €Gentialitcr dependere, quia non cft ab £9 raliter, et phyficécauíata, Difj. IIT. De "Pradicam. tefpetiuis. 13 Dicimus 2.relationem ttanfcendétalem formaliter diftingui à fundamento fuo abfoluto, ita vt nó intrat cóceptum formalem,& quidditatiuum eius;ita Do&or loc.cit.przfertim in 2. qué (eq.Smiglec.difp. 10. q.8.Log.q» probat ui au&o. ritate allata Arift.4. Met. vbi contra Hcraclic. et Cratl. córendentes veritates rerum effe apparentes infert vt ab(urdü, gy oia effent ad aliquid, non inconuenit aüt oía effe ad aliquid identicé,& realiter,vt modó probatum eft, ergo formaliter, et quidditatiué,ait Doctor; Tumau&orit. Aug.7.de Trin.c. 2. dum ait.omne, quod relatiué dicitur, effe aliquid excepto rclatiuo, fundamentum relation:s cít aliqua entitas formaliter no incladens ;1lam relationem;quá fundat;arq; ideó cü primum, et principale tundumcenrum relationis fit aliquid ab(olutum, hoc vti q$ iter non includet relationem fundatá. Tum quia id apparet in rclacionib, diuinis, vbi e(t maxima identitzs in f; n damento, et tamen fundamenti non ctl formaliter relatio,quia tunc nó eflet per» fc&ie formaliter infinita. Tum quiatüc in definitione hominis,equi, lapidis, et c. poni deberet relatio depedenue ad Deü, quia definitio quidditatiua có.inct, quic Me eit de e(encia defniti, et unc quo efinitum ncquit quidditatiué intcll gi Tum tandem róne à. priori, qua pa(Iim vtuntur Scotiflz, realitas rclationis non includit formaliter realitarem abfolati, neque é contrà, ergo neceflarió fimpli citer entitas abfoluta formaliter di(tin guicur à relatiua, Prob. a(ífumptum, quia entitas abfoluta, v: fic, cft formaliter ad fe, relatiua vt lic eit formaliter ad aliud, ergo voa non includitur in conceptu for» mali, et praciío alterius,al;oqu:n eadcm cin entitas per eüdem formal;(Timé có ceptum cflet fimul ad fc,& non ad fe, ad aliud,& non ad aliud, q» impl;cat . Prob. tt gm ca róne, qua cft ad (e;non cít ad aliud;& caróne,qua cft ad aliud, non cft ad fc. Re(p. argum.probare folum de re fpc&u predicamcncali,g non tit de cone ccptu abioluti, non aüt dc tranícenden tali. Contrà, arsumentum quantü ad hoc &qué probat dc vtroque et otledit 2 rd     ue., Quaft IT. De idem. velaticn.tranfcend.eumfund.. 62$ talis tes in (no per fe conceptu contradi &oria clauderet,ex com. quod cft rcs ab folnta,ef formaliter, et quidditatiud ad fc,nó ad aliud,& ex eo, quod formaliter includit refpe&ü, ctt formaliter ad aliud, non ad fc, ergo sm eundé cóceptü forma lem; qui ei conuenirct, inquátü «ale ens, effet ad (c,& nó ad fe, ad aliud, et non ad aliud ; et fané parum rcfert ad contradi &ioné euítádà,quod (it ad aliud pradica fnentaliter,vel tranfcendentaliter,quia v traque rclatio e(fentialiter e(t. habitudo ad aliud, et íolum in hoc differunt, quód vna accidit meré (o fundamento, nó àl 'teraj tum quia vt bene arguit Datíol, 1..d. 12.Q.1.6.Contra tertium modum, abío  lutam,& refpectiuum diuidüt totam lati tudinem,antequáinprzdicamentadcícendat,ergoprz(cindendoetiamàccfpetupredicamentali, te(pectiuumnequitcoinciderecumabíolutoquantu madconceptusquidditatiuos1 4Refp.nullàfequicótradictionem,quodeadéresfitimulabfoluta, &relatiuatranfcendentaliter, quiaincarehoitóncsad (c,adaliud(unt&zabm apervnicam,&vlrimàdifferentià(pe cificam,ergo,à quibusprzdicatacontradior ia(umaptur,itanequeuntduoconceptuspartialesilliscotrcfpondentesintegcarevnàtotaléfpecificumitaquodcademressm( uanronem(pccificá,quavnicac ít,fitadfe,&uonad(e,adali ud,&aonadaliud,Reíp.aliqui,quo drelatiotrá(cédésn&oppon itureüeab(sluto,(cdrant« metféintranfcendca ti,atqueiócoceptücntisabbac(olaopponitucabfoluto,purusce(pe&us.Contra;quiacelacotranfcendcusduodicit,&rationemformal& tclationis, et ip(am traifcendentiá, quis igitur racione cranfcendentiz opponatut ellc iatcanfcendenti;tamen rónc relatio  nis opponitur etiam clTe abfoluto;& fal fum ctt relationem pred icamétalé, qua tenus przdicamentalis, opponi e(Te abfo luto qa vt (ic opponitur eife trá(cenden ti ; opponitur vcró efTe abfoluto, quate inuicem, e(tó fint ambz deinregrocon   nus relatio, inqua cói róne conuenit cum ceyxu illius rei ; et ideó non sih candem róné, fcd diner(as dicitor res 1]la. (imul, et (emcl rclatiua,& abfoluta.Contra, q. uis ponantur formalitares di(tin&z, po nuntur tàmcn vnum pcr fe concept in tegrarc illiusrerquatcnus talis cft de iflo igitur vno pcr (e conceptu,quem conítti tüunt, quaritar an fit formaliter relaci uus, vel ab(olutus,vel vtrumque,& fi tcr tium dicant, ecce ftatim 1mplicancià, nà licét fingule illz formalitates pattialcs fint diftin&z, tamen combinatz ponun tut efficere vnum per fe conceptum fimul relatiuam, et abíolutum; INeq; iuuat cum quibusdà recurrere ad conceptus diuer fosinadzquatos ; quia hic loquimur de conceptu adzquato illius tei abfolute, q ponitur e(sécialiter imbibere tranfcen deniualem rcfpectü et illà adzquaté con ftituit in tali ipccie, et quarimus, an fit abfolutus, vel relatiuus ; vcl fimul vterq; et hoc vlcimum impugnamus, velut con ccprum oinó inplicatoriam, quia quarli bct res eft i0 vna dumtaxat fpccie atho  4. E "is  relatione tranfcédéti, et idcó quantü ad boc femper currit cadem paritas de vtra que,v:de difp.z.Phyf.que(t.j.art. $..  15$ Inoppof.obijc. t. inueniuntur res quz dà ex,p»ria códitionc ità im pfc&te, vt carü e(sccia intrinfecá dicat jppottio nem cum alijs, ad que cx natura [ua otdi natur,fic accidentia rcferuncur ad (üblta tia habitus, et potentia ad obie&um, ad od ità referantur, vt illorü e(sétia, 8C (ftin&tio omnino iutclligi nequeat, nec uidé a Dco,& Angelis nifi p ordiné ad al.cét ergo a&us ad effentiá. potétiz nó ptineat,nec obiectü ad eisécià atus 5  c unt rcs proríus intet fe d uct(z, tamem ordo ad ilia nece(farió, et c(cncioliter im bibitur in cis. Conf.nó pó',nec quidem ; Deo;cócipi a&us vitalis, vc à nó vital; die ftinguicur, nifi cum ordine intrinfeco ad princip:ü vitale, ergo talis ordo pertinet Omninó ad conceprü quiddiraunü . Rur fus accidens realiter, et etlentialirer cft ens aptü igbarere fubftantiz, rio dicit ordincm inuaníccü ad tübItàcià,& quid» 08636  Difp. PUt. DePredicamrefpeGluis, o dit:tiu? nequit concipi, et explicari, nifi p.talem ordiiem; q» cóftat ex ipfo nomi» nc accidentis,nà accidens eft vtiq; alicu ius accidens, et qy accidit; alícui accidit ; qua de cauía accidens dicitür entisens 7: Met. cap. 2. Demum fi entitas creatus rz formaliter diftinguitut à relatione de: pendente, nec ineius é(Téntia includi turjquerit vel vt fic eft à Dco dependens, vcl independens nó fecüidü ergo primü . Refp. neg.a(fampti, adprob.dicimus,fionideoaccidensdefiniripetfüb ie&ü,tehtiáperPu&a& tüperobiecti, uiahitermini,velhabitüdinesadipíos(diitiaillarur àrerum,&adconjuidditatiu amearum|pertine àr,cmapdececffentialisDed1ndefinitionecuiufcüq;pon itcumhzcnólicminuseffe ntialisali js,vtdocetDoarin4. d.12.q.I.L.edratioeft,ializ c,&aliahuiafmodiobim perfeeorüentitate mnóhabentperfe&üceptumquidditatiuü,&quietatiuum,nifia ddatürillud,adquodordinantur,ficformaAberandaccidentalis,fedetiamfubflaniialis,perfe&té nó exprimi tur, et quietatiué, nifi infinuetur fobie &um,cuius eft forma, vc notat Doctor ibidem; pót igitur accidens cGcipi,& de finiri finc ordine ad fübie&tum,;fed hic nó erit«onceptus rei quietatiuus;fed tantum idditatinus,per quem perfe&é Deus, et forte ctiam A ngeli attingunt quiddita. tcm accidentis ab(oluti . Ob eandem ra tionem, vcl potius ob affignatam à |Sco to quol. 15. ad r.ptin.porentia nequit p fc&é concipi, nifi p ordinem ad actum, et a&us, (eu operatio pcr ordiné ad obic quiaf.cóiter voces linpotitz ad fi gnifi candum operationes important relà tionem abfoluto anncxarn,quacé Tem oportet coiatelligere obiectum in rone termini, vndé (i vox pracisé imponere tur ad fignificandam enritatem abíoluta, uz cít in epcratione, et per íe in gencre qualitatis, fignificatum illius vocis poffet intelligi non cointellige ndo obicétum in tóne termini. Hinc Doctor quol.cod fub H h. et 2.d. 24.3.1.in fol. 2.ài g.ait aucto ritatem Arift, a de Anim 33 poten   tamen ifta babitudo ad quácüque FN eit indwiitur per a/kus,G alfus per obie, 4, debcte intelligi extrinfecé,& manife, ftatiud,obiectoram.n.diftinctio manife ftior e(t nobis di/timóbonzactuü, X di ftin&o a&uü ditt n&ioncpotentiaru ny non auié intemfece, &etfenvialicer, quia fic propr'js d'fférerinjs abinuicem (ccer nütur,quas vu;atungüc Deus,& angeli, 16 Ad Cont.ncg.atfamprásficur .n. ad habédut conceptum quidditatuuum ac« cidentis neceffaria non eft jiammó iaperti nens inhzcéntia aptitudinalis, fed (uffici attingere radicem talis aptitud'nis, fic in propofité ad conceprum quidditatiuum a&us vitàlis non eft neceflarius talis or4 do,nec a&ualis,nec aptitudmalis, fed (uf fiéit attingere differentiam abíolotà cxi« itiuam talis ordinis, et irà vniuerfaliter icéndum eft de quocun j; abfoluto dicé te ordinem tranfcendentalem ad aliud, q» ad eius conceptum qu:dditatiuü (pectat y nonordoille,(ed ratio abfoluta poftulans íllàm quomodo folent explicari omnipo tentia Deià Theologis, et alia attributa ad extra;non .n. dicendum elt has perfe &iones in Dco includere relationes tran ' fcendentales ad creaturas, vt aliqui perpe tam arbitrantur,quia eadem ratio, qua excludit à Deo relationes przdicamen tales ad creaturas, excludit etià tranícene dentales, vt infra dicemus,,. an Ad aliam accidens pót fumi duplici« ter, vt norat Do&t.ac.in 4.6./4d qonems vel formaliter, et pro pet fe fignificato nempe pro iplamet accideatalitace, et in hzrenria accidentis, aut materialiter, et pro denominato ab ilta v. g. pro albedi ne,primo modo vtiquc eft quid rclaiuü etfentialiter, quia eft ipiamet relatio ac cidentalicatis,acinhzrenrig, et de acci dente in hoc fen(u procedit argaimentü » nonautem fi accipiatur (ecunio modo . Dicitur aütaccidens etc ens, «qu'a cnus [edi qp ly quia noct caulaliratem ormalem, quafi formalisró entitac s in accidente (it inhiecere cali eni i. (ubtiá tig, vnigerfaliter n. canfaturn à quacun uecau(a its quocürue generc caufa cit illudyquod eít qa raliter enis. t. calis caus (& in tali genere,& ordinecautand! ; nec p E  "5.  pA eL T t. eftformale,vel effentiale in caufato, quia tünc nullum caufatü effet formaliter ab folutum;ita exponit Do&.loc.cit.(ub G. Ad vit. entitas creature ab(oluta praci sé, et fccüdü fe contiderata,neque c(l de pédés; neq,indepédés formaliter,led eft dependens£andamen:alkter quia ip!i de betur formnalisdependenzia, (icit homo formaliter, nec cít r:íi5.Irs,nec non cif  bilis in primo modo d: cadi per fe y. fed tantum radicaliter, qi1acenus inlecundo   fignoci debetur ri(ibilitas ;  cQYASTIO IIL J   " e 4nvelàtio predicam. fit accidens ex  remis euus [uperadditum, e ab . eis reipja condiflinct um. 17 Kern o€s,vno,vel altero difcre páte.relationcs trà cédétales eife vetas, et rcales formas in rccü natura. exi fté&ces modo precedenti qui (t. enarrato ; i eft controueríia dz relation.b. libus, an fint forma tcales accidentales rebus ipfis. fuperaddiue,.& ab cis ccaliter,vel(altim modaliter d:(tin &z,nam pro parte negatiua adsüt. toncs tanti momenti, vt ab Au&oribus haius fententia inolubiles repatentur, et qui. eítà nos eas non ccnfcamus iniolu biles, facemur nihilominus magaá prafc ferre apparentiam, et forté maiorem quàm rationcs pro parte affirmatiüa .  res itaque tamofar extant de. hac re in.duz extrema, et voa med;a, prima té nega: relationes pr dicam, cffe c rcalcs formas accidentales, fcd aíferite(ie tantám denominationes cx trin(ecas desüpcas ex collcctione,f(cu có binatione rcrum, ta vt relatio praedicam. aliud non íit,quàm cocomitantia, et .co exiftentia duorum exicemorum,.  fimili tudo v.g. duorum alborum combinaco, iriaca, velalteriuscereg. inen: furz coexiftentia ; diffimilitudo veró al bi,& nigti combinatio, inz«qualitas quan . títauis palmaris,& bipalmar!s cocxittcn   tia, et fic de alijs: à Nominales paflim q.d. 28. 29. et 49. Ocham. Greg. Gab. aqualiras duarum quantitati palatium, | et velbi  .. Q. III . De diflinczelationis predicam, ab exirtmis. 61.7. quos (equuntur Recentiores nonaulli » qui ob naufeam, quam illis afferunt. (en tentiz Arift. D. Thoin.& Scou toties ia Scholis decantatz libenter ia Nominali( mum iun&is pedibas ruunt, vade in Lo gica negàt relationes, in Philofophia in, diui (ibilia, in Metaph. pra&cifiones obie &iuas, et naturas cóes, quibus principi] negatis plane euercütur prefate fcientig gs; pra (ercim vt fuat ab Arift. craditge, et ias (Litutae, et SS. Patribus; negant igitur c Nominal.celationes pdicamentales Hut tad.difp. 16. Mer. fe&. 2. et 3. eius late« ro Atriag.d.12. Log.fect.6.& feq. Auere faq. 25. hy(: (eter. et 2.& alijquibus fà obijcias in hac opinione auferri vn. pra d ca néntü; efp.nós itr'dendo nó ob hoc aufecci ab Eccle(ia ynü Sacramentü, aut Decalogi pr&ceptum;in q (ent.lapíus cft Vulpes t.p.com.3 .difp.$ 8arc.9.n. 1 $ vbi (olü prz d:csméta ab(oluta admittit. eífe entiarealia formaliter, alia idencicé can tuin, vnd? feptem demit pradicameata. 18. Secüda opinio extteaa affirmat ree lationé pre dicamentalé cífe; vecà formá accidentalem rcbus fupecaddita, et ab eis reipfa dittin&, fiue talis diftan&tio: rea lis vocetur,Gué folii modalis, eó quia ree latio non fit proprié res, f. us rei g Hecett (nía cóisin (chola Peri eticag nà Aríít.hicia Logica, et rut(us 5; Mete flatuit vccum, et reale pradicamentü rela tionis, quod vuiq; nequit ex fola denomi nátione extrinfecacon(litui, vt dicemus Qt immo nó folü in fchola. Peripar, fed et Platonica; d verpetuó fecati funt oés AriftInterpre:es à Arabes,q Gtzci;& Lacni, vt teftatur Soátcz difp. 47; Mere fc&. 1.0.10. et tota RV calium Schola Tho. mitará, et Scotiflarü, id namq. ex pro« tcilo docuerunt angelicus Do&or p. 1.94 13ari.7.& q.18.arc 1.& q. 7; de potenta artig.ac alib: (zpé,S& Subtili$ x:d. 1.q« 3:d .1.]:1.8& 4; d. 12.9.1. et quol 1145 alibi irte quod fola tot;ac «án4 torü auctoriras virorum hanc fententiam reddit oppoiita valdà ili dif  Tertia demum opinio mcdiasconcedit, 6:9 Difp."UL. De Pradicam.te|peHliuis | | te diftin&asab eis,(cd tr fundamentali cum diuina (ubtlaaria identificantur,non. tc, ac rone rariocinata, formaliter veró, ficincteaturis. Refp, imó ex hoc capite et a&ualiter folü diftingui p intelle&ü ; nos non benc ex diuinis relationibus de ità Henric.quol.9.3.3. Alcn[ $. Met.cir ducere ercatas accidentales;quia illz süt €àtex.20 Baccon.1.d.28.q.r.art.4. dub.   fübflanciales, et rranfcendentales. Coa 3.Soncin. j.Met.q.28. opinionécx in  trasquia hac (unt prad:cata cóia Deo, et tegro poflea cüalijs nonnullis amplexus creaturis, ergo ficut fcientiaqua in Deo eft Suarez di(p.cit. fe&. 2. vbrwult rela.  ponit (ubítanua, in creaturis ponitur ac tioné adzquaté ident ficari cü fundam   cidens;quia (ci&cia in cói abitrahit à (cié 1O,cXigere tamen tctminum,non vt parté  tiaincreata,quz cft (ubftanua in Deo,& formalemrelationis,fed vtquid cónota a (cictia creata, qug cít accidens in crea t6 in obliquo, vndé cócladit,relationem   turis, ic pariter de relatione dicendum e(Te formam ab(olutam,nonabíoluté sü   erit,ncc poterit negari paritas, nifi negan ptam, (ed vcrefpicientem aliam,quam   dorclationemin crcaus dicere accidens opinionem tribuit Nominalibus, à rcbascondiftin&tü,qua tané effec ma. : nifcila petitio princip:j,:d.n.eft qued,p ARTICVLVS I bare contendimus per aífumptam parita elato pradicam. eft accidens ab ex   Sed qusamus hanc ratonenex diii qo mremis veipfa condifiintium. nis rclationib.dedüctà,quia meré Theo 19 T hec veritas facilius deducatur,   logica cfl, non .n. data opera cam addu prius vtramq;fentenriá à noftro  ximus, fed (olum vtprzíatos Auctores aflferto recedentem impugnabimus, et   conuinceremus;qui Theologi (unc, et A poftea noflram flatuemus. rift.au&oritacem a(pernantur, quos etiá Dicimus r.gp relatio predicam. nó eft   credimus faclé negaturos relationes fola duorumextremorü concomitantia, quoque diuinas;ni(i fides obuiaret . vcl combinatio . Conclutio ftatuitur có:  . ao láigitur accingimur ad roné nata ara primam opin. et prob. primó,quiaex   ralem;quaz funditus bác cucliit opin.;dá opin.toliitur przdicamétam relatio   tur in creaturis denomipat;oncs puté re mis, quod certé conflitui nequit inmera   latius, etgo dátur puré relationes, d funt denoniinatione cxtrinfeca;,vt poíteadi  pradicamentales.Coníe. patet, quia ef» &cmus;& oés relationes ponütur mutuz,   fe&us formalis non ctt, nifi forma ipfa à plané totam euertit peripatheticam do   fübiecto participata ; aisüptü poffet pro» dastisc omnis gratisconccdunt Ad   bari cum Scot.cit. 24d. q.5. ex denomie Tíarij parü curantes de cucríione pr2   nationibus fundatis in aione; et paffio slicamenti relationis dicentes, nonobid   ne,in vnione, pratentia; et alijs (cx pradi woilialiquod facramentum ab Ecclefia 9  camenus ; quiaimportant puras rclacio sut przceptum à Decalogo.Sed'(anéne   nes, vt q.vlchuius difp. et tutusin Fhyf; o rclationes rcales, aut omninó tol  probamus;ti quia Aducr(arij bas negant, aut yaldé labefactant myíterium ze   efferelauones pradicam., fed aiunt cílc . "'Triadis, vt hic vrget lo. de Mag. qp. traaíceodencales importantes abíolutum eft maximum Sacramcntü in fide noftra,   cum re(pe&u, idco ad probanionem a( At inquiunt has negare in ereatis mon in   (ampi inducemus denominauioncs fi» diuinis, Contra, firclactonesin diuini milis, et diffimilis mes, et inzqua« funt realcs,& non taptumn extrema coe   Iis, et alias haiufmodi fundacas (u p vnd xiflentia ; ergo etiamincreatis,coníegj   et mulza ex $.Met« 1 9bas .n. conccáunt par er,quia omnia attributa Deo,& erea'  efTc denominationesrclatiuas pure. prz» iuris communia,ti in Deo (ant realia, ét   dicamenrales; fiergo dancur i(te dcao i in creaturis, con(tat deranione (übítà   minatione$reales, vtique foinz reae ti, (apienug, c. hoc foluminterei, g   lessclatiuz dari debebunt, a quibus de»   io Dco obíumupá bmplieaiem diua   (umancur » [Nc iuuat discre has clje pue   a. wea x dE ou no eon C CONI TTTABI SIT. omnis extriaíe iüfeca denominatio realis ex forma aliqua reali exiftente in aliquo (u bie&o femper defümatur, vt conitat. de effe vifo, et cognito in obic&o,plané ha iu(modicelaciuz denominaciones extrin fece à forma alicui (übie&o intrinfeca 5 fumi dedcbunt,& hzc vtique dcbebit c( fe forma relatiua, (i .n. ab(oluta foret,v tique denominationem relatiaam. dare non poflet, quía denominatio forma de nominanti proportionari debet . Rcíp. denominationem relatiu& vtiq; db vna forma abíoluta derinari non poí febcne tamen à pluribus, vnde denomi natio Gimilis íamitur à duob. albis fimal coexiftcatibus; hinc ait Hurt. cit. $. 39. relationem przdicam. cííe duos conce tus abfolutos qui eó quia non ab vna re la,'fed à duabus fimul exitentibus dc fumuntur, propterea fimile d£ ad aliud, al bü vero ad (e, quia fumitur ab. vna albe dine (ola, Ec (abit Arrrag.c41. non eífc denomin. príasextrinfecá,fedpartimáwinfecáquatenusdicitipsi füdamétü;partimexcrifeciquaten? dicitterminü..a1Hacdirefpófiocflicaciterreijcitur,quiafimiliudonondicitpraecisecóceptusduarüalbed:num,fedaliquidamphus. f.habitudinemillarü,quz.explicaturperficur, ergo&c.prob.allumjxumquia(imilitudodicitardevnoquoq. cxtremorü(eiunctim,namhzcalbedodicirfimilisilli, dezautemalbedincslimulexitte ntesnonitàprzdicaripoílunt,nonenimdicipoteft, quodhacalbedoficduzalbedines(imulexiftentes;erzofimilitndononcftidemquodduzalbedineslimulcxiftentes,n ecfimileidemyquodduoalbafimulexiftentia,Tum.iaperhancc opulatiuam,Petrusclts, &Pauluseftalbu s,vriqueexplicat urcoexiten tiad uorum alborum,non.ta menadhuccxplicatüreorumfimiliru do,quiaPetrum,&Paulumeífemilesnont antumdicitPetrüef fealbü,&Paulumeílealbum,fedPect umctfealbum;fieuPaulus,vadepreterhaac,Xilla matbedinemdicitétcomparati onem.yniusadaliuexnatu carei,€no ntantumer:" neeTamquiacxhaccopa»«M""|edistintiilat.pradic.abctremis.ds.L.619.fü$denoimina tioncsextrinfecas.Nàcamlatiga Petruseftalbus,&Paulus.c(taibusabíq;petitioneprincipijbencded uciturhocconíequeas, ergofuarfimiles,nonergofimilitndoeftformaliter, &fcisécoexiftentiaalbedindPetri;&Paulijalioquipetereturprincipium,&probareturidemperidé.TumquiaalbedoPe tri, et albedo Pauli coexittente s (ecüdü (aos conceptus abíoluros aliud non effi ciunt, d binaciumalbedinü,nec denomi gant illas albediaes, nili e(fe duas, vt n. vnialbedo vnum facic albam,tic duz al  bedines duo alba, quz denominatio cft abíoluta (pe&ins ad predicamécü quan utatis,non vec relati 1a . T'ücà lem quia, explicare ten&ur, qüo hac albá, et illud. album extrea dicantur, cur hoc dicatur fuadamentum,& illud terminus, non .n redté dici pofsüc extrema,nilidetuc qd vcluti mediü inter ea,cuius dicantur ex trema,hiic .n. ratione materia, et forma in compofitco dicuntur extrema vnionis » neq;éthoc exrcemü bene diceretur fan damentá relationis, neq; illud tecminus s fi celatio dicit folum duos conceptus ab folutos,aon.n. vnus coaceptus abfolutus. dici pür terminus alterius concejxtus ab foluti5neq ; fufficit recurrere. ad habitu diné ration s;quia tüc nó falaatur deno  minationemcelatiuam effe realem. 21 Auer( cit.(ec.a.vt faluctin cóco mitantia extremorü abíolutorü deno mi  nationem veré rclatiuam, ait illà conco, mitantiá non ita debere explicari, vt di cat vtrámque extremum ia recto,& z qué primó ; licut aiebat Hurt. fed ita vt primario,& dire&é dicat vnü,népé tan damentum;fecundarió » et in obli.juo di catfeu connotet aliud .£. tcr: nü, (ic n. inquit explicari beoe denoiinationé re lattuá.Sed non ob id euadit Auería pro potitas difficultates; Td quia choc mo do explicando combinarione:m ab(oluca ram, non vaa rcsrclatiua erit relaco, led, duz abfolutz vna in recto, altera in ooli quo,imó cum nà mag s ejfe 4n xj ejje ad, fit de concepra relationis, mie ponicac teriings eile connotatuiày et tuadamcüe tum folum principale igmficauim,vade iuxta hanc via melius loquuature y qui ce. neni yt/4j qué. proa pec cclaupaegs; : MM impor / CERERI T 6,6 importari. Tum quia licét ponendo ter  minum in obliquo,videatur expiimmicone  u ceptas relaiuus;& cóparatio fundamens   CILE ECT CI X Mo Me. rget em dflicultas, vel refpe&i : hábetur intétu, ücur.n.illa (cultas ponitur rclatio rcaliscocxitenciae idem 4s ni ] ti ad termini, re tame vera nihil tale ex. pariter dici dcb:bit de fi miliadine i primitur, quia etiamfi dicamus hoc albi  cft (imile illi, «n insététia iftorum hoc tantumimportat;quantum fi diceremus, hoc eft album, et tllud eft album, wel hac funt duo alba,9» (i aliquid realeamplius exprimitur vitra hos ducs conceptus ab folutos, fané nil aliud crit, nili vcrus or do, ac realiscomparatio vnius ad aliud. Tum tandem; quia quocunque modo ex  plicetur relatio per concomtantiam, vcl combinationem duorum extremorum. malé definirentar rclatiua ex Arif. cffc ; c ipfum, quód (unt, ad aliud funt queen dcfiniri dcberent ad aliud effe illa,quorum effe eft cum alio eíte |. 5 cum relatio fecundü iftos nó lit habitu . do vnius ad aliud fed cocxiftétia potius ; vel combinatio vnius cam alio . 3 Denique prob.cócl.róne Mair.r.d. 394. 1. quia &t vtitur Zerbius y. Met. q. 17:quicquid cft in duabus albedinib. i mul exifientibus,totum eft in duab. fuc cedentibus fibi innicem,ergo fi fimilitu do non dicit aliquid reale fupra entitates olutas illarum, ita fimilis erit yna al bcdo exiftés alteri futora,, ficut alteri co dem temporc exiftenti, qp tamen citer cgatut;etid ab AduerfariJs qui ad rcla 1ionem pradicam, etiam vt ab cis cócc yrequirunt terminum actu exi(tété, aflumptum patet; Ptob.coníeq.à pari na merus darum albedinum, quianihil di €it (uper entitates abfoluras illarü, pra fertim fecüdum Nominales ita faluatur in illis fimul exiftentibus, ficut fibi inui. cem fuccedentibus, ergo ét ita in propo fito;quia fimilitudo nihil dicit prater en 1itatcs abfolutas illatum. Si dicas requiri fimultatem durationis ambarum. Contra vrget Máir. tum quia düratio eft modus poíterior ipfa rc durante, ergo fimilitu do;quz dicit pracisé enrirates abiolutas duarüm non videtur pendere à duratione fimultanca illatum, tum quia vcl illa fimultas eft aliquid rcale prater illas albedines,vc('non,ti non,redit diffi guliat  Gcyvel hoc elt ablolusum, et ad  .24. Dicimus z.relationé predicam.nà elle aliquid füperadditui fundamento fo li tóne dift/actü ab co Eft Scoci loc.cit. «ontr3 3 opin.quz adz juaté à parte cei cclation«m pradicam. cum fundamento ident ficabat, Et prob. nam in hacfenten ua vel relatio habetur in fundamento ad poíütioné termini de nouo, vel fapponc batur iam in fandamento quoad totü (ui eíic:G primü, ergo vcl erit fola amborü xtremorü cocxiitentia, aut denomina  tio indé defumpta, quz crat Nominaliü opinio,vel forma aliqua de nouo rc(ultás in fundamento ad politionem termini., qua eft noftra: verà dicatur fecundum, nempé (upponi fundamento identificatà ante m termini, tunc przterquá qp non faluatur effe verum accidens, quia hoc non identi(icatar cü labie&o;cü pof fitadefÍc, et abeffe,(cmper in fubie&to daretur tàm ante, d poft exiftentiam tet. . mini, et femper fübie&tum atu deno  minarct relaiuum, quia«ffe&tus forma  lis relationis prz dicamentalis elt a&u re ferte fübie&um, vndé Petrus albus fimi lis dicererur Paulo nondü albo, et patcr illius filij,quem nódü genuit; Et rurfus (e quitur, vel relationem srn (uà fpeci rónem à termino non pendere, vel.ré de pedenté exifteie tine co,à quo det. Reíp. Auctores 5 .fenc.telationé sCpcr in fundamento reperiri quátü ad enticaté realé,q dicit,quia hzcnon eft diucría ab entitate fundaaíenti,non tame (emper in co reperiri cum denominatione relatiua, quia hzc denominatiq etíam péder à ter  mino;hanc veró termini neceffitatem, vt habeatur in fundamento relatiua. dcno minatio, nonoéscodemmodoe»plicant.Aliquidicu ntrelationemi nfondamentodeliteicereinelfeincom pleto,&inchoa.t0antecxi(tentí amtermini;copleriaus.t empottca.peradu entumter mioi,&hacdecauíaan teanonprzbercfundamenta rclatíuamdenominati onem;ità Baccon,&Soncin.loc.cit.SedContra., quiapecrclarionemjncffeincompletoyvclinicle. v4Ed|1ligantTT" 7"VTE".xIlfolamentitatem abíolutamfunda.. métiexposfitoterminonataeftrc«fültarerelatio,.&hoc vtiq;benédicitur,fednoninf eruridentitasr elationiscumfu ndamento,fedpotiusveraàpart ereidiftin&io;velintelliguntveramformamrclat iuárone(olüfeuvniuer [aliterdiftin& áabentitateabíolutafüunda menti, &ficdicend oredirdifficaltas, quiafeclu,foterminohab ereturtotarelationisefsétia,acproindéfübi cctüacureferretantcexiflen tiamtermini;Imm o(icdicendónontantumneceffariuse ritterminusadden ominati onemr clatiuá,fedecáà:ad ipfamentitate mrelationis,quiaantéter.. minumponiturinchoatafolum.. 4$5Idcircocóccdütalijpre exiftererefadoneminfundamento (ecundumeffccompletumquoadencitatem, nontamem:ipfum referre,vela&tudenomi nare,quia: adhocrequiriturterminus,velutneceífariaconditio,v ndécxpe&taturterminus,.LRss|autementicatisità Suarczcit..baceuifioeftminusrationabilis, quam:(00precedens, namillaanteexiftentiamteric&um;, (edtantüradicaliter,& inchoaté, ícdiftaconceditanteexiff entiamter"(ogerfc&ioné(uamforaliter, & in actuy&   megat prabere denominationé a&tualé, vndé duo dicit difficilia capta, «pum ctt ;. . Sy dttur relatio przdicam: a&ualis,& có  . "pietafine termino,alterü cf; juod calisde   Aut in (ubi&o; et rumcns Gta non. deno . minetillad; Et nunquam ifti esplicabunt;, A .  Quopad&otertipinus fit neceflacia: condi . t9; vt relàtio przcx.ftens im: fundamcn ...  tfecüduin rocam cnutacea Lua: illud;    . ga&udenoaiinet rclitum, aifi ponat ha tudo real's ad illtid; uta (i fecandum ef huc fentiam nullam: babet cum co neceffariá eonnexionem; cur liabebit quantüad degsominationeny Ncc tandem vnquam fa   o diresplicabunigüomodo poflit effe coca; "p o  perícétio intrinicca: fimilicudtpis nifor   màsliubiedum,ntc illud denoiinct fimi    Je et hacc fuicratio Scou $:Mct;q.1 1 ne "yContrà  xtinfecum Forma rclatiuz | tcrminus,qoi connotatur'. .   mini non concedebat relationem. in fundamento aCtualiter; et formaliter,& hinc: |... deducebat nó poffe au denominare (ubmisi relationem jn fundamento sm totá   QUIT. De diflineyelat-predic.ab extremisesfer.I. €3x 11. vbiait, fi relatio vniformiter infot-. mat tàm ante;q poft productioné termie ni,quaté non vniformitet denomina: ? I«Refpondent multi ex Suatez cit. ide( íc proprium cffe&uum cónoratiuocum s. vt non tribuantur à forma infarmante fü» bie&tum, nifi ponatur id, qupd neceffario connoratur,. vt multis conltat exéplis;. nam fi vifio poneretur in lapide, non fa« ceret illü videntem;quia bic,effc&as cone : norat fübiectü vitale, et negatio vi(usim. eodem non ipfum denominat cecü, quia. ceciras cónotat in fübie&o: aptitudinem. ad videadum,que dec (t lapidi: res in pri« mo in(tanti dicitur creari,non conferua« '  tij& é contra in cempore fcquéti. dicitut confetuari,non creari,non quia defit ali uid reale ad creationem,. aut con(erua nionem:requi fitü,fed quia de(ant conno tata f. refpectus ad non effe immediate rzcedens, vel refpectus ad efe przha itam, idem igitar dicunt de fundamen to rclitionis,quod ante exiftétià cermi ni nó deauminatur per rclationé e(Te re. latum, nomquiailli defit id qued eft in rinfc iuz ; (ed quia dce .16 Inhanc doctrinamde connotatis: hic acriter inachuatar Hurt. Arcíag. &. Ouuied;in Mer.controu..9. punc. 4. in1« mó Hutt.paffim eam carpit difp.5. Phyf.. à $.18. dip. 11. à . 11. difp. 6. Mec. X $. 39. et alibi, quia fi femel admititatur hzc doctrina, quod: poffit variari deno minatto. ex fola. varzatione. connotatoe rum extrinfecorum abfque vlla: penitus: variadone fa&a in entitate forma., fané pra betur anía cladendi omnia argumen tà ; quibusprobarc(olemus dari modos: dittinctos à rebus, (icut .n; in propofica: inquiunt dari fimilitudiné realiter im Pes tro albo ante exiftentiam albedinis Paue li;quoad entitatem; non quoad: denomís: nationem (ic paritet (i fieret argumentü. quod.materia4& forma exiftenitbus nom: exiit it vnto,& potlca cxitlit,ergo vnio di: ftinguitut a cacerta,& forma, reponde ri'poffetnó exiftere vnionem: ia: materia: quoad denominationem,.cxt (terc tamen: quoad entitacem;denominare autc matc riam vnitá: dum connotat formam ; imà» $i Difp. PII. De Pradicam.Re(pelliuis: 0 pofict quadlibet parsdoxum fuflineri, ve v.p.quod fola animarónalis ett homo in. &riníccé,connotando materiam, et vnios nem, vt puré terminos, et facta diffolu. tionc ani mg à corpore máncre afiimá ra« tionalem in cffe hominis quoad entitaté, fion quoad denominationem ; quia dcfi. «tunt connotata requifita «, 27 Scdquomodo vrédum fit doctrina de connotatis', nii non e(t prorfus à (cholis abic| ifti putant, et quo £00do connotatiua non fiot cum relaciuis «onfundenda, dicemus in fin. art. in quo See MARRIS deceptus eft Suarez . «onfundenshzccumillis, Cum tamen in tet vtraq; fit magnum difcrimen ; mulii iter e it folutio Suarez; Tam !DO minus fit de cóceptu relatio '4dy juàm e(Te in, malé docet rela importare entitatem fundamen KP ficque ét deftru&o termino flabit deno A eoa CLQUN cUMdmab clc idem dici poterat de ipfa relatione Tumquiía effectus formalis proportiona ur cau(z formali, itaquod (i effe&us,fcu denominatio eft abfoluta caufa eri erit abfoluca, ti cffe&us eft connotatiuus, pa riter et caufa,ergo fi denominatio relati "eayquiacft effectus connotatiwus, necef  farió dependetà termino, qui el conno : tá, ide quoq; dicédü cft de relatione, gy : nimirü sm fe (it caufa'formalis.connota tua, Tü candé,quia focma relariua nó fo. lüquoad cffe&u formslé dcnomivandi,  fed et in abftzacto sri. (e fampta pedet à aermiao,ergo fecundum (uam perfectio mcm. propriam etiam. prefcindendo ab effc&u formali denominationis non po 1cít poni in fundamento, et ibi confcrua st non cxittente termino. 28 BReíp.tádé quidam Iuniorcs entita em fundamenti continere petfe&tionem Asclationis ante exi tentiam termini, quia: Jn. findamento: incít intriafecé: rclacío «j1zdam tráfcendentalis ad tetiminü po( fibilem, quz eclatio tranfcendcntalis. fic Predicamentalis exiitente termino fine: wa muatione intrim(eca. fundamenu., [ox abeffe prater cius eptrptioB ds : fed (olum extrinfecascó quod tráfc&détaz Tis diffctat à przdicamenrali, non fecun düintrinfcca, fed tantü ex connotatione extrinfeca tcrmini, non fimpliciter, fed quoad varium modum effendi, vt v. . al bedo flatim;ac eft folitarié produ&a, di citar, cx vi ordinis tranfcendeatalis affi milab:lis albedini non exiftenti,cum ve ro e(t produ&a altera albedo, df a&u af fimilata,que actualis affiinilatio nihil in trinfecü ponit in priori albedine;fed can tum extrinfec coplementà, ratione cu ius a(fimilabiliras fjat actualis a(Tiinila tioj& ait Amic. cir. trac. 15.9. f. dub. a. hüc eife probabil. modü defededi 3. sét, Ceterumiilla opin.ne3; hoc modo re &? detenditur; Tá quia impoflibile eft.,. relatio, quz erat tralcédenali ac proinde realiter Jidenzifica ta,€x politione termini fiat accidentalis,. et pra dicamentalis, et ab. eodé fundamé to poftea diftinguatr ; Tum quia qfi et hzc metamorphofis cocederetur, adhuc difficulter explicabitur, qüo id: contin» gere pofficin illo fundamento ab&; vlla prorfus fai matatione; hoc am priailegium vix diuinz conceditur volütati,vt potens ad aliquod obiectum terminata tandem quia cam albedo folitati produ a potens alteri a(fimiliari, a&u deinde: illi iam producte a (fimilatur, illa fimili« fit actualis, nó cftocdoille crá dit a(Timilabilis cuicunqz 'albedini pellibil fed c(t eadem fimilita do in indiuiduo,qua prius erat in poten tia obiectiaa, et poftca fit ima&u, ficat: cótingit inproductione cuiüfcunn; alte vius.imdiaidui, quod priuserat in poten tía obie&tiua,& poflea fit ima&tu 29 Dicimustàdé relawonem predica ee cíic i: oro p slm mé:o (uperadditam, wt quid reipfa ab cox actualicer diflnchls Vo D. Tic& Scote loc, cit, et $, Met. q. 1 1.cum corum affe clis, quam probat Doctor róne, quo alij patfim vtuntur. Pót relatioprzdicamene talis alicui fündaméto fapcraddi,qp prius finc ca extiterat, et etiam ab eo tolli 4162. vt finc ex temaneat, ergo cü poilit ade   od 5 ter   Y minetur ad illud finc fui matatione. Tum.    v ; y  mibust Refp/A  Kiss  fóndamce Sy.  Q. LIT. De diflinclaglat. radical extrewtseut.T.  63 x 4céfdefis al» eO .reipfa diftinGtum n(éq. patet eic definitione accidentis, et tx 'co rper reati fufficiens foditfum realis diftin&ionis intcr aliqua áo 5 atiteC. cotiftat: expecientia .imiom tionibus, Quorum fundamenta finé fe&tiis effe poliunr dam album (o litarümveft fide timilirudine: 4:qua» po   Coxefulrar: adialteriis ortum et eliaüct dd eiufdem intevituma o5 67 ores 3 Jent neg. cofeq;quia Pereasalbus fic fienlis l'aulo:dcaiba 1 Ryo acquirit nouam eütitategfaper albcdinerh j (ed tahtim nouam denori tiatióned eX! nóvacohinotatione teayi ni ; g cónl.rcadt exéplo a&uü liberoruhi Dci, potditin Dcas non vcllemunduni, a&us (jio3d entitaté ató. potuit nà cfie, portiticdime quoad dehomimarioné; affc ruccetà iüftántiam de«teátionc, &.cone feruatioóeqae nó diflinguaritur à párie rci, et caniemin pritooinftau eft création; doticéóhferiatio Sit rempbre (cr " e t oisfébaatió, qen ercatido. o1 ( got Hae lia doinSuarez,quatdcicefperisHureSériag.roptohendct?int;&quidemmeritósTümquia$nbacfolàciedic mániteffa ifiüaluittirper tio priniciitjs dor dium Petinmalboin hábete tota civiturem fimdimdmisqua dici poft fiebihis alteri álbo:poflibilt no £amem dici acd lingilems quia nor tiabet B iaielle T vwerirt i wa Pet ftd petitio principi cftim; ac fà dices roin digauc inj qnirib  denorj tatüt [jmilisyo eft Ecfpodere idé prt dé, Tua 'quia vt aicbat Hurt.rc vera ex hic dodrina de connozatis /fic:malé adhibi ta prizcluditut via probandi. modos.à re» s diftin&tos,nec poterit per argum. al. fatü probari vnio v.g. diftin&a à mate» 4; et loti,quo tamen argum, ad. hoc icrivtuozar ipti Aduerfarij.; INà ;mpér iégabitur. confeq. et dicetur ià fnat etiltere 'vnioné in rone ctis tatis, nón infóne denominationis 4 po fteáick noua connotationc. forma. Vnio nem:denominare materiam vaitam, Tum qtriabzeé ipfa éóoocatio, qua: rclaaioni i i ypracxittentianzónc entita cis cófcrt róncm quoqs deaominatignisy Ny EE vel eft gopcitisite ibo ds Adr minü, vcb(emper adfoiiofundaawinio ; fi prim y idé dici poteratde, telacione 1pr (a:ab'initio;íi sm,cur.crao idee ced mótabat tcrmiwüt modo; ad; connoG«? T quia lias diucríitatis alia ratio rcddi ner iqaitndi quia factà éft ci aliqua realis ad» ditioynon . n; intelligi. por fundamentum iabere nouum; et incoinfecb ordinem ad «evminü: ne noua; acintciofeca additipr ie ; fic albedo, antequam coacipiatürig fube&oexifiensy ncm icorimorebar, quid «ex rinfécum;pcticaquipónitut ia (abiur £o, cx idine reali ad dicione inhaer&tiz diF citür cóntotarcfobiéCtuay E xemplá we» 1ó; s. quod affert; du aGibuslibetis Dei, potiuscft poo nobis, actus.n, diuina: «o» lmátatis óbTiam illimitationeu ab(q5ád: ditiorie ialicuius:irea lis tel pectus. dicituc teniinari.ad: crezsutá volicam efTe, quod potecat non velle, abíqg vlla prorfus fai tnutàt ont ani rgo in creaturis rális il Jlichitatio:nom fit; nompóteticio fondam€ :t6.darisiouatecafinixcDnotatioab(qi rear  liadditione ; vel ad; &ram( fyadagenráa :denominabitareclatum per ptam deno iinátionciegttinfecamoes pofitionecén (mini extcinfeca, cum exhoc nib ioci :fccüiilliaddatr ; ep taméneqyip(ieouas orijadinituntsfrergo.illadcnominatioeft   nt£infeca; &noud;certé curb fit. realis; SE nontnis;aiiquid reale additur rundamé "to:ex patitionetermini y qua rátio planc: Ónmniniconuincit,vrnotat Faber Met, difp.19c.:4» Nec etiaminftanua y squad affetzebantyde creatione, Aocóferuauone cft ad rem; «(aia à modo, qno.bec (cpaz ranurirà difbogauntnt, feparantur. auté nonróne realis refpcótus dcpendentig s ui per vramq; formaliter amportatur s ed iQucad:re(pcótus: cóbnotaros ad non cílc immediattpracedens,; qui connotá tur à crcationey et ad.etfe prchabirü 5 qui tonnotacur à coriferuatione s! 5505] iugipi Rep; proindé; Auctores 1 iópit pe diud ars. bene. cóairici diftinctioncin Hmilizudims à folofnadamento . nontas micn.à fundamento y et ttrminoj; jua ab vttoq; (cpacázidmpolTibile tt«cuag gà potentia abfolnta y exquo dednciur: efie adeqdatiadé;cü vitoq; ag cile uideis us  Ccc perad 634   "Difp, PITDà Poédicito Rol petliu . 0 'eraddere; Quz (olutio cófir;quia dü vp; amus probate vnioné,vbicationé;actio né,patlioné, &c.c(fe modos rebus fuper additos,cx eo probatur, quia poffunt. re periti extrema in rerum matura fine illis modis, vt corpus, et anima fine vníone, et lsinc deducimus diftioctioné abeis, cà crgo'de hisrelationibus przdicamentali bus,fimilitud;ne,z qualitate; &c;oppolie tü expetiamur,ep extrema ftne illis repc riri aequcunr, oppofitü ét debemus deda cete,qd népé nófunt aliquid excreinis fu radditü,& ab eis códiftin&tü. Sed ncq; c folutio fatisfacit; tü quia non dcíuat, ui patent poffe à Dco Ícpararifimilitu inc à dodies albis,itauc fola £andamen taliter maneant fimilia;tit 2 licét fcpa tabilitas femper infctat realC. diftinctio né inter aliqua éuo non tamen in(cpara bilitas femper infert identitatem,vt dixi mus difp. 1. q. $. art. 2. atq; ideó concc dendo duo alba non potic cífe inc fimili : tudine,non rité hinc infertur fimilitudiné identihicari cum illis . INec tandem valet affumpta paritas dé vnione, vbicationc, &c.quiaillz (ubt relationes extriníecus aduenientcs nó infurgentes, nifi facta ex tremorum approximatrione » atque idcó extrema reperiri poffunt in. reram natura fine illis, at fimilitudo, aqualitas,& alig relationcs, de quibus hic pra fercim eft (cr sno, funt intrinfecus aduenienres iníuc $.«f. cX natura extremorum, atquc idco illis pofitis neceffario refultat,.& hinc eft,quod extrema nequcunt (inc illis in rerum natura reperiti ;, fatemur tamcn bac de. cau(ía cuidentius oftendi per ra 1ionem allatam diftinctionem relationü esiriofecus aduenientium ab exttemis, 8 intriníecus aduenicnrium, vndé cofulto tam pteeíertim Do&or attulit ad often dendam diftin&ionum iftarum à funda mento,nonabvtroq;cxtemo .   . Deinde lo. de Magifitis hic affert. ad idé alià róné (atis euidenté,qua et vtuntur Complut.impoflib;le cít.fimul, et fex.el candé formà intendi, et remitti, quia iri« tenfio, et remifTio funt motus contrarij y: fcd telatio p 6cintendi, quàdo (uü tunda "ment( temittitur& remitti quando inté relatio, et fundamcntü nó süt vna:fonía rcalicer, Prob» minor, quía fu pofito quod Sortes latalbior Platonc,, remittitur albedo Sortisytüc Sortes fit ma gis fiaulis.Platont;; (i vccó. albedo Sociis 1ntendatür, tunc Getminus(imilisPlatomi,.cÓquia:Sorüsicóunuocecedità$radualbedinisPlatogis.Tacdemalijsanonibus idipsü probat DoGor loc.cit. xjuz apud ipumvideri poífunz,& imme ritó carpuntur luc à.Poncio, veiut infut ficientes, et non fol rationibus, fcd erià au&toritacibus Parrum et Plilofophorü, Vf. Aug.$;de Trin. c.g. Amb.lib. t. dc fide ad Gratianum cap; 5 . Hilarij 12.de Trin. Acift; 12« Metz 2. et tcx, $2. Auicen. j, Metfuteéap.de celat, fimpl. fuper prz dic. qui omaes doccat relationes. przdi camentalcs effc accidentia sem j i /$2 An vet praíata diftin&tio,que in ter celauoné,& fundam6:à reperitur, dici debeat realis, vel potius ce ficut et an relatio dici debeat ees, velmnodus, cít magnti inter Aafkores i emanat Co plut.difp. 14.9«5; cótendunt effe reale, et relatione debere dici t€, Neorerici paffim cót&dunt debere dici modum;ac proinde di(tin&ione cius à fundamento folü c(le modalcem. D'oGor in 2.d. 1.9. 5. $. Quod fi adbucsait, hance(To cotentionem de no mine, vt poté quz pendet ex acceptione terminoru ren modi,diftintiionis i74 lis" modalis,& inquit Doctorrelatio nem poffe dici ré, et modü por dict mo. dus, quatenus c(t imperfecta entitas a quácunq; abíolutà cóparata per fe cxifte» rc nó potens, fcd fatal; ncce(itate (emper alteri áffixa.quod modificar ; pot dici res» quatenusef(lentialiter. cadit. (ub.diüifione enusrealis,& tam talc eft ges, viá mo €o diftipguitur; modi 0. ie loquen do dc. modis;& aru funt gradus "rins indi non indui s militcr' c quidditatiué, pra Y Y Schola Late pieno Mer.dicinus.  1etià diftin&io realis; fümawr pro ca diuctfi». tatc quz inter dao reperitur quorü vnit. pót ftare fine alio, fioe id mutuo fit pof Pes or aia ue fenfu fmi pofle» dn x ips. q»cg, att. 2. dic da fun&io, queda iind relag. né repctiturypotidici. real;s;. li vero magis, x3 3433 ngo í009$ . V 0 M oo eR M Nur Rr m M) a nen Dre Er.Bm Eo £   m» 9 £9 NO mne c m o£572z   X [umiacarqpro;ca diuckfitate quae 'duo repetitum :quor&alrerü poteft effe (incaltero reciproce, nó pot dici rea lis; (ed modalisi; Przftat tamcn ab(oluté. loquendo cá appellare rcalery nó moda Tern,rum qtria nom eo ipfo, €p aliqua diro ita inter vt vaü eife poí« fit finie alio non é contra;.dici debent lo Iá modaliter. diftingui, co €nim gencre diftitctionis diftinguüntur Deus, crca tuta, quia Des cffe pot fine ifla non é cótra,& rfinon (unt modaliter! dift incta, fed tcaliter ; t&quia diftinttio modalis in fchola noftra in alia fenfu accipitur, q à Modetnis víarpetur,vtloc.cit:declaraui mus; Nc igitur pariatur cófulio in teemi nis,vocetur 1 (chola noftra diftin&io rea lis, vc ibi dctecrminauimus, cító.n.relatio nequeat cffe finc fundaméto, hoc nó ob ftat;quin fint mutuorealitcr d«ftincta;fed tiq nó fint mutuo feparabilia cü reten tíonc yppriz exiflctiz gp addimus ob nó. nüllosqui przfatà diftinctioné appellant realem non mutuam, in quo valde fallun tnr; tumquia omnis diftin&io realis cft mntüa, vt ibi probauimus ; ü quia quod re lationequeat cfle fine fundaméto ; infert folum, quod non int mutuo feparabilia, nonautem; non (irit mutuó realiter diftin&a, et hunc loquendi: modum ob feruamus in. Phyf. loquendo dc Vnione Aiíp. $ qua ft.9.. $2 e : 33 Procóplémento huius art. aducr tendum cít, quod licet relatiua videantur «um connotatinis habcre affinitatem, quia: dicant :juédam ordinem ad aliud; et ababíoluus cótradi ftinguantur; re tamen vera fi virorügs natura perpen datur, in mulis differre deprehenduntur; primo .n. relatiuum per fc; prin;ó, et di re&té aliud. teíp:cit, vt poter fibum, con  potatiuum ver fec io et indirecte, acmunius. principalitct ; vt «oncretum ac cidentis, quod principaliter importat for mà; foadeo, K minus principaliter có cerni fübie: ; dcindé relatinum te icitali pcise 4 vk Lermioum. prai cindendo yalia, rauiene 5 con motatiuum veró rei icit aliud per modum annexi, et accetiorij przícindendo à ra dt Now . III. Bo dellincl, velat prédichmn:abéxtr.id.L. 635. té. v. 2;mavt terminü,fed vr (übie&tum; vnde conotatio ctiá in rebus abfolutis rc pecitut., vt conftat in exéplo addu&o de albo; dcmü differüc,q» cónotatio proprid pertinet ad modü Ggnificandi,nóad rem 1psà, vt di& à eft 1. p. Inf yractur« c, 4,86 roperitucin nominibus,qua ex eorü impo. fitione vnum fignificat, et ex modo (igni ficádi principalis (ignificati dant ak gd dur» telligere (ecundarió, vc ibi declaratum ett €xéplo nominis cgne, qua ex vi nominis figaificat cóme(t;ionem, tamenex modo figaificandi vo mA Gt figmcari dat in telligere tépus vefoercinunm, et hoc dici tur connotati; relatio aatem percíinet rcs ipfas, et idcó quamuistamrelatiuamy quam cónotat iuum diflinguantur .ab ab oluto, hoc t intereít, quod cónotatiuür proprie diftingiic terminos, quorua al ter elt ab(oluuis, alter connotatiuus, re latiuum veró diftinguic ces ipfas, quarum aliz.[unc abfolutg, alia relatiuz . 34; Quanta alk fit connotatiuorü ne ccílicas, nemo eft, qui non videat;pa(fiaa n. infciencjs »mpinguimus in hostermi nos cónoratiuos, vnde incófuló videntur illos ablegare Hurt. Arciag. et alij quid& Recentiotescontendences bói. nomina plata (imul fignificanria diuecfz natura s qua proinde nos appellamus connotati Ua, (1gnificare illaplura qué primo,& per fe, vnde inquiunt v.gvcritaté in actu mielle&us equé primà fignificare entita tem actus, et entitatem obic&i, itavt fic dcnominaiio partim intrinfeca, partita extcinfeca y (ic ét oipotentiam fign: ficare fimul perf&ioné incinfecam Deijacen»   titaté poffibilem creatucc z qué primo,ac in propolito fimilitudinem dicere zqu& primo duo aloa . Hic modus dicendi cft 9inó nouus, ac à vcritace alienus, Logic namq; dixerunt noujina isnct t AM fignificantia vnum fignificare primó, && puncipaliter, alerum aát fecundarió, et minus principalier, quia cum illa res fi £nificatz fint diucr(z natura, nó poffunt ub vna cói rationc fignificari aque pi mÓ, quia fiait non (unt nata faccre per vnum, ita explicari ncqucum rónc per fe vnayfaciédo aüc, qd vnii fignihi cetur prie gnario»& aliud tátum fecundarió, nó ime Kou uc wo s MA 6j X Dp VIT DesPrddicam: Re/JoGDinih 6 XV. .0 pedimueiwnitas concepcus; vt norat. DoGt: ad. 1t:q.3. ecgodum iiti Kecearioreslifar quüiurit ces diuer(ás pet /illa»cnomina im fortatas arque primó:figflificar::; plane: dettraufit vniraté conceptus. qutaxob: e&c eam diuer(icate hiequcuof cffe pet (e par. €es vnios conceptusnon ergo fecedeadü: eft à confueto modo Dogicoriexpkican € hoía illa connotatiua et iconibtario ferminorü ficexjlicata nó e(t darináda, fed potiusabommbus:ampleótéda vt su. frié neceffaria ad declatafida:placa Philo fophita, &c Tlscolonica s duratio in; crca tió' coiefuatio 3& alia huia[modi fime Coünocatione oWequetrit: perfecte expli «ari; ve fuis;locis dicens. o c0 no CNeruti tarrictreft ex alia parte; non in emnibusferé termiais mifcédam effecó riótetióticm y vtfaciunt Recentiores alij ci Süarcy ; oco? expliéandz e(Te. vt ip(e facitqued po dic alicui reiladuenite noua. «ónotatió et ex hacinfürgereinre moti, &rintrinfecá denominato q priásinó ha bebat, abf; vla prorfus eiusceatatiobe ; Mi i aiebat aloud: qaodprias nófi crat fitrille, deinceps denominari fiuiile (8&6 qi &l€ inttinfece quia habebác in fetotà tr; siillicadinisentitar€ ) poft productionem siherias albi ?plane hoc prfasrepugaat, jid nequit fieí realis; et phy(icustran   bere dius contradi&orio iri conctadictoriü fine aliqua reali mutatione y fiergo hioc butt? priusrióndiccbatur (mile; et poft itóductioactm álcerias: dli dicirut: reali: t fiftile; certe fi hattidenóminatio'eft 3átrin(ecáyáó re(ültatyi(i pet ahquátn inz zfin[écà toditate j &'mriüratióne illias ati y téc vncüam explicabitsaarez, quoc odo prafercimi rebusctcatisdati pol ? noua ceréetatio »& imrinfeca denos iraíaciaj qüath prius noh habent, abíque xil prerlascaruamutadone  c oos 3ó . omiaq aazonciasi mon sposzhiagn x os RUDTTC L5 y,S:tg moni 1H. 221 511 [23 RIUDe12)14£012006cunttriocgmanaliunfundameniadiruentur.ATeesrefolutionéprecedütt.ac71XCyguuntNomidsalesitiadétoritA35608:P hyfito,vbidi(erüsvéibisdocer"Wirelitiohénóàdatémotü,quraducnicavescosun ibiioieeiusasiutd"2:tioncp eríólammutationéakeriusextre »tib;déinquiuntaffezere;D;An(clinMosnolos;c.14:wbiait.vnü hominem. ex na», tiai£atb alterius fictiei i milerb, equaley! &ciabíque vlla fui mucátioncy; vnde hac! decauía ibi de nouo admanicin; Deo dest nomjnationcs relatiuas ; quía; x ip (isnule; la fequitub mutatio ime yfient ego: (a]« uantut: rn: Dco verse denórbinaciórics. ee latiuz ab(qj diftinótis. celationibus,nquag tnutationem faciant ; itactiá imalijs. ome; nibus (aldari poterunt ;jac debcebus ; (à cerent autem mutationem. fi cient: tórs mg rcales fubiectis: fupcradditz ;15.1:) 7 oRefp:Do&ocin 2.4.10: (Gy et $od& Y«Qa1 lo6cquoL 1 1: R; Aciftzibi affignas reto przdicamenta fit per (emotuss enam forma propria acqui (itionesac: nón üatcatquiramel y éxcladitng ab. bao gcnece rwermratier vue ris SLUT niéci»; vty opriiácqui fr uoné habét, eo pice rir cofequü« tur extresma iá pofitá;fed séper ip accidéa trem car abfoluto acquifitórin ühctó relarótami jncqs:ibi moti p» fi t ad'quécia refpeétujimg:conecdit mo tü ad Vbi;quià ett de gcnere corüre(pe &uüjqui non neceffariycóféqunmurexa trema in effe pofita;jideóq; proptiamhaa sohicigis e pófsür ionem ;. Arift áit Doctor; nebare per huiufmodi rclationes fübiectü mutat. iharatione.có muiter di Anilaliüd efto m:fu bicáifaliter fc 'e'àünc y quánypriuss atari bpm aeg relatio» '"DvAmb.& Simpl,cit, expre(TiTimé,Sc Ariftipfe $1/Met. c4; dunkaib., toc. efle: (pecics marationis; quot entis;fed.cátüas negauiv mutatione proprie diétás qua; cfi ad termini propria anouicatcfis bile, et per fc ititent i, abrágétc; Ino ita, (eexplicatibid.y.Phyf7i oma poftquane Sauitad relatióné eflt per fe moi fenfg: "explicato fübdit') quare si accidens vo» tus boram efl j vi benà hicnotarunt Cos fiimb.qut; Et fieetiim exponi debet Am» fel.prs (ertimquià mnfiécap. modibillü: "oquédi,vt iucert(t pratermittity vt notae (Suarez difp.gy e&t fina. à ampliüs. ritcédat; vcaliqui yrgerc ex caauftorit. ANI ÓIURUMUR: Lies ME £. HI De difinc.velat. predicam. ab eitr-dr.H.  $37 fofitü dixi(Te, et ide fi D. Anfel.nó ftat amobis;alij Patres non defünt. Ratio ait cur denominationes relatiuz dicátur de Deo ex tépore abfq vlla eius macatione, eft quia dicüitur de ipfo períolà denomi macioné extrinfecá; per terminationem ni mirü relationis in creatura cxiftentis, vt paffim Theologi docét;neq.quoad deno minationé rclatiuam licet argumentari a Dco ad Creaturas,quia Deus cft a «cidentis;non ficcreatarz,vtnotat&or1.d.30.q.z.36Secüdoargaütróne;pofitisduobus albis,quoc(iq;alio precifo,illa dicnn tut fimilia nó rantü fundamétaliter,vt te deri folet,(ed'ctià formaliter, fimilia 4n. cx 5. Mct.dicütur;quori qualitas cfe vna.i eiusdem rationis, talia aüt foret illa duo alba abfi.vllo modo fuperaddito,nà modus füperadditus((i datetur) nó vciq. faceret illa eiufdé rónis, fed' talia reperi ret; (i6 é argui pót de duabus quanritaci bus Wikuribur ortho alio fccla fo,pr&ter eatü enricvates fiot formaliter e quales,quía equalia formaliter dicuntur, cei t eiu(dé mé(urie nec pluccs.partes ontinétur in vno,quá in altero. IHdé ar métü,& cü maiori euidétia, fit in relatio nibus di(quiperantie,pofito.n.albo, et wi grosquoci ].alio feclufo,eo ipfo sü: difi m les;ti.n.(ngulisaddas relationes di fi militudinis,hz potiüs cóueniétid causat, quam d!fcrepantia, quta ille'dose relatio  '! fits sit ciusdé cónisi& rbagisinterfecoa tienitmt quàm albü;& oigrü fic € pofita itate palmari,& bipalmari ftatim quoc. àl:o feclufo süt formaliter in |! quales quia formalis inzsqualitas có(i (tit . iminelafione pluriü partiüsquam aliayfed hác inchifioné habet bipslmaris formali scr, non fondam. ntraliter, immó quic lid fingitur addi,non poteft facere inz E P ak y quia nonfacit quantitatem maiorem. vel minorem; cü nóoadd t, ecl M X »(d (apponit, excel süyquo . bipal fupcrar palinarem, et 1nzqua Vicas formaliter conüftt in tali exceffü: . Teir(us hoc magis :dhuc cuidemer ofté ditur, «9ia Petrus eft effenrialiccr diuer fus à Buccfalo, ergo relauo diucrfitatis, qua fie diüer(a dicuntur, nequit cflc acci  OUT Lok. xcd Ln. SATINdens eorü entitatibus fapcradditum;quia tunc per illà formaliter denominarentut d:uer(a accidentaliter, non e(fentialiter » non.n.caufa formalispót producere cffe &tum formalem feipfía perfe&tiorem. Tá dem precifa (imilitad'ne a duobus albis: diftin&ione à Petro, et Paulo, diftantia à Celo;& Terra,& tic de alijs,adhuc intel ligitur fta fe habere hocalbü, ficut illud y. item Petráe(fe diftinctuma Paulo, celi diftare à terrayquàtü prius Sirurfus dica mas data hypotcfi res fore (imiles fanda mentaliter, fic €t diftin&tas,& diltantes . Contra vrgét querendo, vnde motiuum habeamus ad ponendi aliam fimilitadi né prater illam, quam fundamentalem di cimus, nul]a.n.experientia:id conuincit y uia nec illa formalis fimilitudo in feip [A videri potcft, nec ab ca vllas procedit eífe&us, ex quoà pofteriori nofzatur. ; ergo prater fundamentalem pulla alia» fimilitudo admittenda eft, nequ: diftan tia inter Colum,'& Terram,.& illa ipe fa form;lis eft dicenda, 37 Resp.vtibi,duoalba, et duo pil maria,féclufo quocanq.tefpe&u ;nó cffe: fimilia,& gqualia,nififündamétaliter fi eut pa(Trm dicimus fubit áciá füblara fub fittentia nóe(fe formaliter fab itétem 5. fed't:nt& fundamécaliter,ac éc hamanita, tem pracifa rifibilitareremancre rifibis lem tantü fun tamentaliter, nonformali ter,ynde cam hac do&tina ipti: A duer(a« rij in al jsvcancur,nóelft ; euc cam ità fe ucré damnent in propofi«o,nó;n, facilius: vnum a(jeritur,quá aliudyauc ergo omnes: prorfus modos eliminent raut et relatio ncs$admittant;ad impugnationé hiriasío: ludonisdeductà ex definitionib: (imili tudinis, et aiqualiratisex $ ; Met. dicimus: cà Scoto cir.in 2. H. ib: definiri per fun» damncnta, quia cuf relaco in fe b. minie mz emitatis;ac imrelligibilitatis:, facilias per fundaméta digoofCitur, et definitur. Sic ét refp. ad idemargum; factü in rela  tiombasd.(qui parantiz;nam inalbo, et nigro requirantor relaciones dili militu dinis, vt formaliter d:íh milia dicatur, à  licec ille diffiviliadines: inter fe: magis conutuiant, G:albü ; $c nigrumy.tà banc: écnominauonem ills non prabcut s (cdi L  QUI Dédlisgeue jeeictte MER QUIT. 6859 jedgtta&isy et loco diílitis  numiii ióaddpliciais qua mupérus quater riis hoctiiméan:cét iduplus: ejnt i ;j, itifiderec m. im ils. quatuor. hoa qiibus; ficuter. : negauimns (u i05 iim«efle accidensc realiter dRRUSEUR nl ré büs numétaris; lici n.pco io deeelatione:dicendüm, tti non Sie aaend vélyrelausao ci bnoi bt ib£6: TS(scudov. ex: Nbairecit, nullü:f iab Gerda; imas pprimé né cffanidi id«Fiifiquidiéncat jordirié in yauer(o; Gra ;dfte fint livipfoi:dmn ont ord inco) ad jid) eae hac eftinconachiens., c0. oi ifia fort lv voüerfo y fimt adistuicé. ordi" Ráta iN eofine tcs nio vo &otar Doótor X36 im a Sem quts conia negantes boc qocemóbigéis ebd Ibitófdplit e. Mcty «és Ciresdorh. rp tales imconaex aim faciuat xBlünd PfubtTanc lá pneqs b continu tetnisositddo im cncibusánco nuc ait, RA adipriimsi mulatip ad.fa iUhedpiidiiondscitcoamntm dh me di pesa pota v vit TT RA pd amuta «Foris hoi rRércánut Neélgomcóuenicns efti vp0j et eoücavenncstótcónceg crc félitioués diftinttiomis,diitài ig a quat Rit éncra im xnigerta:gquiayr ami 7Maor ái Aducr(icionmn adipirat iunesdri deciceisportáreunitiatn efiibnas; Neodi cat Aaefa citoquod elt nonironisdu Tóc, magnü tamen, X ibroliecabile omus vténtellectai y má.ceplicar Marr, norieíTe iones; niti ifitelle£tui to Jos Ecàne d Paicloludo «oci vidcatur conirracs.chy Syiefíca j re camen veranullamalia/baber xipüd cosiconfutauionem yratct adanca» biotfes!  et ckclamutioncs yit ipfe facctur Hiireait.S. 28; et ideà bané aitlocatgu üimyquod'quidam tanti fáciumts ouhal ludere; et adhuc mitus vrgecin feg fédtia S. Thotn noh multiphcanus rcla tienes ad malriplicarióné numericá: ter» iiáótüo; wquicin quod eadem tiaiit dihej qua 9nüdtbam telyncicbát alcerüa te et illud,:quod dc nono fir, SC quà dà petit vilirex his;alterttnóL omui torü fipüididen timplicisec (ed toldncad illud vidé ihe fentétianótahca yatierasads mittitur invmuer(bjncctanta rclauonua copíain eadeni tej/ lunc meatodacdrg ad imc nkurinjdam erguré Zr; beats n! A pellarung co quod nogconmnca aif pic ibcay Ici MEME OHp 4d. motum digiti vos ebésgwnatstb 5.sgt Ad iva) (ibt imodieuadéódi apart Maur. ett 21.d.39:q pa ad;duosr edieun itor, Prunus ett eórum qUinegant re tionem ycxé:, o ncopnté produci. uu xx dicubi qelàtia &gs post, PATER Y lam eoncautari;al:j dic ü« proi id po cap Mart; quia écia io potius efl. (oque la qipr (mótà, Qaeosüfbehus y;indà sasitacie "futgar ps dii mánacénb ostro) is 100 du  iem cthculMaiwxecoriuem (eurn do. idc Maditrss dithbimg iic ide actigac phg ficasxanecephotreu (a Merapht ligas x oes vulc) Margó);& airluclecundaas «tionerejarieniai graduci à; terni9.in stundahaento: jua jare. i00; £0quurit de 3tcy mimatüováat om iterég ous 6 psrieo 2ficis podtula tatio phyjca.y Biemodus xclfaadendi ad: propolitamn ddfliquleaui, ecl cit xbnninàtalíus s vel. Colum confitlac inverbisgoctiumoang.oinne cns £ calc zereátsi jozcrü odturzexiftés habete e4a 35ifüi productus thmedigtéo wel Giluig umediaté ; «ci talb: lit veré cau(anim yat ribonunétaplrocice e«nrüyr to. n déronah :quis etfcatusalyali qua; cat(a y, v. dà hinalraaphorice cau(atusjadhyc t zdebet ciarílignari caufarcalis Xi phyled: n9 ergo fufficit. diceres quod iclatie pra ducium (à xetminaactione metaghogca; :iéc etiam dicerefufficityguod cius cau(a ditas (it oxctapliyá cá; qnia pecibanc nó pro ccdic.àrcaufae fectus: realice dit inétus, cam non fé pec vérugvinflaxua phy ncumy endcdhoc modoos Scottita dice | re folemiüs paífiodtan à :£abicéto cabiari » uidicam nod diftmyunmus:cealitér ab d ;lo, rero: liec qodo dicámus relatione sCau(áti ab exuremis, nomam ius tà: rga diter di ucceaus: ab illis; Miei d uod.cauí&turpermelulàe     «iájócraturalé ícqaiciànasquiacéfudsamrual,   4 dunamanomaumalsno eiOedurerap   xetBgiepuaphyficamijniltquabdofumit Tioccaufulitate mi fap yia !tototx 4oidítenil;musohi(po y: Myfcqu 2ode baut dicetid: aodot» i T hzc rotülramoia: et lg rit zer Ccc 4.   eu T4 VELUM . comic; Metüm fc rcf 449. Difp. VIII. De Pradicam. Re[pelliuiss Cxofalitatem, tollitar via probádi aliquid efic caufatum in vnucrío, quia calor di «ctur fcquela ignis, compofitum fequela materie, et forma, et vatucríum fequela Dei,non autcm cffe&us corti, Nec tandé fufficit dicere relationem cócaufari,quía yt ciiambené vrget Mait. ex, hoc; quod caufctur cum alio, non rollitargquin veré caufetur, nam et Arift.  Phyf.. docet formam non caufari, fed concaufari,quia tion per fe fola producitur, fed ad proda €ioncm cópofiti quod tamen nó obftat, quin fit veré producta, Ex his impugna tionibus, quas facit Mair. deducitur ips ü fentire9quod relatio veré, et realiter cau fertur à termino,vc] producente terminü . Sed certé dum fobdit caufari non per aGionem phyficam, fed mctaphoricam, intentum fuum non affequitur, vel potius mos non a(fcquimur, quid iatellexerit pec actionem metapboricam, cum non fatis fe declaret, ex quo an(am fump(it Mar dubitandi, an textus it mendofus, et . potius legendum putet a&tionem mcta phyficam,quà m metaphoricam ; fed etiá fic legendo, non adhuc Mair. probarct intentum, quia caufalitas metaphy (ica i5 noneftreilis, et per verum influxum in effe&um, vt diximus ; At peiusomnibus loquitur Vulpes, dum ait relationem pul. lulare ab cxttemis pullulatione rattom:s 2.p.tom.1.difp.7. art. 3. 42 Alter modus dicendi. cft eorum, Qui fatentur ingenue relationem veré, et vcaliter caufati, et hi ruríus diuiti funt, quidá .n. dicunt caufari à olo fundamen to pofito termino, veluti códiticne, qui dà écontraproducitoraliteràterminoinfar.dam cntomerépaffiuéfehabente,vclàproducenreterm inum.Etaddifficul.atempropofitàaiunt,quodli cétnequeatgcrslmitataminquacunquediftanti aproducereformamabíolutàpoflctamen£clauiuam;itaTatar.bicBurlifct,&Vallotra&,Formalit. et Faber cit. ac ét Rae uus, qui addit relationem produci ab a gente, quod prodaxit terminum; propter ica. Uns ad fundamenium, et intcr alios modos (excepto fuo )hüc Ma ndat, vt magis de mente Doct. endo manifc/ta con. mittitur petitio principij: cenentur.n.af fignare róné, cur productio cffe&us ab folati in quantacunque dittantia à limita. tione agentis impediatur, non aüt produ &io relatiui, nà asensgqué manet limi, tatum invtriufque produ&tiene, necrae tio à Ruuio aífignata fufficit  quzcitur n. quid fit ec correípondentia, cermini ad fundamentum, et qo hac poflit cle vare virtutemagentis, vt agat intàta di ftantia. Zerbius $. Met. q. 17. prppé Giné tcnens hunc dicendi modü., inquit, qu uiuis agens inordine ad effectu, quem p c primo producir, requirat contactü dic menlionalem, velvircualem.cii ps ffo ; no tamen in ordine ad cíffecti,quem produ cit pcr meram concomitantiam ; et hzc folutio eft Baffol.1.d.30. att.2. quz fané maius habct fundamentü,q aliz, ex his, qua habct Doct.in 4.d. 10. q 4. et 5. vb: expre(sé videtur hanc vradere doctrini, quem tf Zerb. nó citat. Caeterum hanc quoq, folutioné oftendimus elTe infuffi cienté difp. 11. P hyf.q.9.in fol.ad 2.prin. vbi etiam explicamus Doctorem loc.cit. 43 Frazfítat igitur diccre relationem gpximé, et immediaté produci à folo fun damento, pofitotamen termino, vcluti códitione necef(Tarió requifita, pet reful tantiá quandam, et naturalem (equelam, que tamen nó excludat vcram cflicientiá eo modo, quo dcícen(um dcorsi in lapi de dicimusnaturaliter re(ultare cx ipfa Ja pidis grauitate, ad hác tamen re(ultantia Cócutrcre remouens prohibens, vt códi tionem (ine qua non;quia igitur tcrminus non cócutrir per veri, X phyticü ipu xü ad rcfultáuiàá relationis, hinc cít;quod diftantia no cbítat,quó minus pofito tcr mino reíulict relatio in fundamento ia quátacung; diftantia, et multze in multis fundaments ; hunc dicendi modü, quc cóitcr fequuntur Recentiores; Comjlu:, Amic.Morit. Io.de S. Th.docucrüt noltri Licher.2.d.1.4.5.ad 2. Ochá, et quol. 11. rcfpódendo ad inilanuas contra cccuium dictum; et Bonct. ih (uis przdicam libel, de relationibus, vbi ab initio nonlongé fic cü cgregié declarat in hac veiba . Die camus igitur jd ifta dependentia cí]entias lis relationis ad terininüc[t qua dà cocsi gu dA oe Ll dh b ada css . Q.1H. De diflincerelat pradic.ab extrem. e2dri.11.. 623 eec ipsü termini, ficut lud (ine quo non;quia nec preduci, noc vófecuari à quocüque .pót fine termino, et cx natara fa habet hoc, nam ficut. vo luntasnon pór volitioné clicere refpcótu alicuius obic&i,nifiobic&ü (it precogni tü, &tà cognitio obie&incc cít caufa "produ&iua nec cóferuatiuaynec fübiecti «à volitionis,ab illa:tamé dep£det coexigitiué, Gimiliter intcllectusno clicit intel-Je&tionem, nifi circa obiectü, et tamen obicé&ü à pluribus non ponitur caufa cffe iua, nec cóferuatiua, nec fubie&tiua intelle&ionis,palà aüt quod fic cGformiter efl dicendum de. dependentia cflentiali "relationis à termino, quoniam ipfa rclatio eft ralisencitasde cuius natura cft cp 'nó poffit cxi(Lere, nifi terminus cxiftais hec ille facis erudite; hic denique dicendi modus tsibuendi toram caufalitavem rclationis.fundaméto pofito termino; vt «onditione colligitur ex Doctore;qui loqués dc otigine rclationis, et modo,quo producitur, non (emel ait, relationé confequi fundamentum pofüto termino, feu qermino non exclufo y ita loquitur. 4. d. 33.9.1 D. et quol. rr. et alibi(epe. 44. Ad 3.reípondet Zerb.cit. q.16. $. Tropter tertéum in finc Bullam relationé in (abiecto fuo c(Ic accidens exteaíum, aliter qualibet pars eius denominaret par té (ubic&i,in quo fundaretut, ficut et rcVua accidcatia.& confequenter quali" bet pars hominis e(fet Pater ; Sed hac folut:o przterquam quod admittit accidens indiuifibile rccipi in fübie&o diui4ibili, quod (olam conceditur anima rationali ob eiusindependentiam à (ubicto, adhuc non cuadit argumentum, imó 1i tota duplicitas eft, non folum intota, quantitate v. g.palmari»fed ét in qualibet eius parte, adi uc magis fcquitur quamli. bet. partcm denominari duplam, vt inferebatur in argumento .. Ideo Lichet. cit, . 2.d.14q. $ infol. ad arg. Ocham. $.N4nc rcflatyad pcnult.conccdit, et ipfe1clauoncm duplicitatis effe indiuibiliter in(ü . bic&o,lübdit tamen nó denominare partcaj, quia primo determinat fibi: touim, et non pattem;& (ic nara eft canti deno .  Munare totum 5 quamuis ex, conteguena dicatur ctiam effe in. pattibus/, quz doGrina veta eft, et poreraz pcr eam Li'chet, fufficienter argumento fatisfacerc abf; eo, quod concederet abfatdum 1l lud, quó relatio (it accidens, igdiuiübi le, et in fubie&o re(idens indiutfibiliter; dicimus crgo duplicitatem,gxqualitatem, 4 alias huius generis relationcs elle diuifibiles, et in fübiecto extenfas, non tamé partes fub céticodem modo denominatc, nó quia patres illarum relationes fint altcrius rationis, ac a iherogencaz, vt hic dixerunt Coplut. hoc.n.oimninó irratio nabile ct, (ed ob rónemà Lichet. allatá, quia illz rclationcs.requirunt. integrum fundamentum, vt fiac denominatio, ticutz anima, licé fit eiufdem rónis in omnibus paribus, nó tamen denominatur animal qual.bet pars. fed totum dumtaxat, quia nimimm iud folum bi dcterainat, vt pertc&ibile adzquatim, fic etià modus (fubtüftentiz. in fententia illu poncnte litiüum non denominat fuppolitum.s anc, et illam partem aquz;íed totam illam aquam, quz non cft alteti vaita, et fi modus hic etiam in partibus reperiatur ; imó inaccidentibus ctiam habemus exépla.cotum, quz denominant tantum (ubie&ü adaquaui,cciam(i (int quoque in partibus,narn longitudo palmatis v.g.cít vtique accidens ; quod non (olum ctt in toto palmo. (cd etiam omncs, et (ingulas eius partesatringit, fed qvia hasinadequate tant ü refpicit, et rotam fibi determinat,vclut adaquatuin fubic&um, ideo tot. duntaxat palmare denominat tan1ü,non ycró partes et ideó dicebat Aciít. 2. Top. c.1. nó fempcr tenere copícquéctiam ab incíTe ad dcnominari ;vetam tamen cít, multa quoq; cile accidentia, &c fcré omnes qualitates ita (e habere,quód indifferenter denominant tam (obice adzquatum, quam inadzquatum denominauonc ciu(dem rationis, vc albedo in paricte,calor jn aqua;lumcn in acre,quotum cxempla affercbantur in args   :45Ad 4 rcf p. Doétcit. in z«in (olad 4. H€ric.  onqualibe: relatio vniuctfa. Iter loquendo ditiingaium realiter à fao fundamento;fed tani illa, fine qua, óc cius termino fundameatü exillece pots IE. : 3 «tun $a Li fpa PU DisPradürans: vé beau VA. Q. A m.fufidamentum (inc-illa relationes E diustérasimoporett exi(tiec; hoccftíndicioni vhanife ttü:di£t impio HExchlis yi 'efgo rclatio:nequeacex litere fioe funda fnento;idqs ab inrineco: b? fepngbct, féquitór,duüd oj ille rf pectissquo.pofiitür, vel Corcipiur dd (uumorcbecri fün dsniémuniyfiucadiliud proferatur, vcad "ádycut fcalicerinliaeeec sel à quio cealiter ditteoguicaryvelahó n30;tu qd'fimerzea»Ticerddenoificaws,ita vtícipfarealiooad à 'fondizmétü vefékator, yzab»ce xfi dla » ytilhi fodligrets)ve diflumilisy)iragzin jiro pofi otelatio'drftin&tinis Fetri à Dauio rt edaquee talia vealiterà Petco 5 'fcdhec 7 alieras how eft alia relatio rcaliteriditlio  8d telirione diaértitaris ja: Petrus Is diftingeitor à-Paülo fcd cft (ibi ccalicr 1 eadéyitast feipfa rcalicet tais relatio diTftitictionisfivdmerQlà' Pettosqua rcgu? f&adhtiéndbis:decliratiDoérr cit;.fub SN quandam inftantrar facit Ochà coheta allatadido&orisolurionem ;quam iet stridens crie Qm 11 3? Sedrdíéts; qdamuis diuerhtas nonalia : diuerfitaic y ded: (erp(a dicauur diiei(a à -Petto s qnià nequit effe fane illo: cum: t "i eitis fündarmientutit-Xamen Decus nequit 7 eei feipferdiuetfüsa diuct(itate qua dif"feità Paulojqiiibpór ettefine ilia, atque jóindigebit alia relatione dittinctayqua ?diuét[us dieatutaprimá:lladnierfrate, E cin ab itla (Acàndadiueristaze; s ""di&trát testicery quia:por effe ime ilia; cur füs quóq»alía indigebicrelationc diuerf do dicatur abc diucr(ds,:Gct c disi finis Refp. quod/ficoo cxparterc. ""Aitionis datat flaut;cum talis z (gi fun7 dale nr ü sequiceffe tbe ila; &eiusccr"minoyvt diétd tfbita dotirftafüs ex por L te fundaimeri in eo?gedete Ps quoda r'tjó3liüd'dewómiuatydicxnasoria 3i drei "ur alià vifioxrevmita vmonigqua'iügitur tormancc productio diciwr alia. produ. 7€tione produótay& ró eft; quia gpeft;Qyo in aliqüo/geneve; nón ptelóáppoun au . Lbie&o aliud Quo iméódem gcnéccs vnde Tatar; hic dubi. in fine dac duas rebülas «x DoGtore clicitasprima ettqmanao àliquid eff tale denomiiatinà € aliud eft formálitertale eut flandum cft in nilo quoárjyf ipm altersale; Altera a ink A avion Mig «Confirmaciui gàdd o cus &tilejt mie -d'yumcib ili 42-ukdote à nénoparies tali untedima [eis adosd ure iy f ed tsi ifeipjom 13a edited wc idmyquado u&brna (x pius boni in :Phyf; loqugodo d:éhis ulodrsypraeceüid Oquendo de re, ivone $rodicboais; et ca faltiatis di(je. 7:4:2: quomodo nom aita pródudtione di i cacuc iéodüéba s Rage ad iro; licam der zfàcs Pcorum nce eéis zzvlasiopás; diy e -tatís ion dici pro sie darerfümm Gier hec 2miaterià prope id ;ciuci imioni vasta ; óc ikatio E quia fscuc nb labor: Quoy ita ree -porcítadiiei » fed folum dicetur diductus exttm(ccépét terminationem di'ucrfitauisiquam diti pesma diuctfitas ad "ipia -Fetrum-y quaé cft cam ipfa teahrer ridettiFicata, gro«qidovideid«éga in-PbyfJloc;citzquibus fobícribit Ponzlue:o. 117. ci u$ Ads aídzanc Scotill z-paffim t CEhowifte poflc;auczclationem fic fine "esummis ét deipot&izabfolutay obie(feg "tialé depédenciab eis j:aut extrema fiü "relatione ob neccíTaniá cius(equclam a ca et hanceffe ácniéDaoétocis teltarur Licli.ci.in (ola hocar.gy erat 3.Ocbà, et Bargi r. d. iaps-dia vbicir; loqut. «tütde vélatione iatciofecus adücnientea ;fémperconftaiter docet Icquicabíoluta -ncceffitave potitis vut emis;1dqi Cr tener -Zétls cite Etad:probauoné ruríus negát "priubtealiter/diit inctü:po(tceriori pof "fe ab'ipfo fepaksri, (i hoc ex ilo dimanét "pecnaturalé(eque[a3ac nccaftariam xoi. "éótbítantiám; et atleranc exéplir de fubfiftehtia's qua-tealiet diftnguiut daas Atta (übttantia]i s et cftipodteriot ea it fisora 4 quantitita,Sccamé siéOcmincefaderesavufà(imeialiquafü b."trftétici3jquamREdfin efiuras/co;quiaficaliquidatyüci!ellitàtchiatoti feqaüncardtlasentitacesz.AtGoxírihancicómoneim (Uluuogcn:fkàrNeotericiSuasÁuer(a. Amic.Blanc.gxü«Deus'hdexeirlibérecocumarad qualibecetRetárpotió oterannoy&fun dasnieiitospor(ulptodereconcuciumradreslatiónéinyBccrtüefapud(1heologos;Dspoifeipipedireomuécaufabtazcmcaufakejauane:indpfonQESrEDEmvvnoebasErerisreieriedeTipsaljqn&camen distinc dd cóucrere oegcilacibimece(D tate et ex fi uppofitiongyga: id ger ea Rrcrfrlionegn cessio esp Ja dp oA pais fp exiftcaciá pari canere ad naui ralétez! [One cedr duet ie defun Eaailyséry Quia toti « RU Mina srius;elt concur, D cona it ad. exi iran dn ijcauarom lumumodi «quod, dida io Mu e » Cit. in 2i M jl;ad obiettio Và xus Mon f. tenetfinailesme BERN E TEES: Fiaeci agent bu das pes Vader en aeptioru. Ex £i Fd rcu cft Deira ET dac k€ COCWCE E 1 »4d; dE 1 depitae sitin ce(ulvati; fo, 319; cécurrir ad M da n ENIM, stir modis era pene unes ) el loni ao nr €CÀ Jp cát ide m1 Poffecergeciusgrefaca (a 4o. 3 Scottus npugnari ex€9 y. qid loccb Docks liac qsfüb Mug, n&ye;tmzoffioilia&fepacatiortis diorü esti iet capite pedere pósvel quiadum liy pazacayvel quia ynüzib priusyá quo effepzialuer de pendcetpo tjus 4,Sidc à dioc ne:uitab: €o fep iraavel demam, mapa ins ils le: poltca Inisru2 a» abjni: £i y.quod.pui'saequuns«(R Janeppfte| Fior neccllan à eitade li quando hee : impo ibbilzasprouemt ab»; min(e C9» ceullgude,libjedta, S palliono € quo yihilg esl sey din tano ab lione «quo BÓ gor. elle lineconuad. Goog: elt prius: &0, («d cft ppftar us naturaliter, vel fimul puo cum. fanc cx hae regula Scori ux apifede inferis quod 1 n cxtreRURSUS tont, 6«;,; aliadeft; quam ipfa.cxacenaa Tu: sb Denm; hac deeauíaaljj gai cocte omms et proprio Mare addideruac aicdad vngae mm II. Pe definite loesplSn d GR MEL IT. 64.30 raul gef: lida «i&jcgg repugaaz fme.illa con Valid UÉpe alitas; fenacis boc ccit;pr vocas Del P cansam iur dominia rio nil polisas.. a à Dro«oícruad.exccema Gne xela SE ita. Booty in hoc pradics Mir, et Fab cisbepha placettaeráco m modii 9; Rn my9ccuryt poc exdittis q» pearceda) lla regala Doctoris valer | pus zl Lowe sialisimnolldras nori Sae og rt ap Vitcglegg, nara, prige, ris, SD ab. al laine picos ipemet explisatin hac q» ficautem cft us, prognüito, qubd mpo(ljbticas feparatio nj& s et tieccifaria eoacy io eHEemo rm ei relazione proxeoit;nà ab iatrinleca natu. rajfiagulorü ie Ani [ed.à Gmalrate. dücarionis cui Ambo, cpexiftur,qua vii. illisett accidenzalis,quia vnd de(tcu: poc. alio reaagenre; $ed quicquid fit de hoc ». cocladimus, gti pec pofibile,velipo(s;fibilea,daobasalbisauetur, "telaio a; naymanerét (Lava formaliterile Bol fqndamécalicets vr; dice isst nt «49, Ade licec pümerus.ex dicbs egi Prices, nonett ens aliquo: lpxi eA nis cd olno aagfriry Bai xglauo numasia sn 4 guae [3:53,no cft vna relacio (ayplex, led i8 quoli (ubie&» (ua xeladou gasket: cid pacs eo. paneasiilm exalcit Tapas compara: tiid-fe babens in exctilu», vel de je ctu; pates alrerius numeri quod po; familiae tiexemplo declacau de pins fun tralicntibus y nam imQuoljber c s] aon ualienris pliciter. nx 3 [ed coadiuuaniis ad .trahéndg,& Ic ET lida conttiuunc i iategram araGtio,, is&eolligitace x Do&ore 4d. 1« q«2 7i £e (ol. ad 1pin-vb; loquitur cum particu. laduoracipa: forr? ob illos, qui tt; " ), 9 X ngoyctuaens per 6e vnamynon quia appoittug tac x gunóra qued A. x mi nofis avamegsi 4d hang; quit ad PU yawidet-go(Tunt. apud. Lachet, 5x x &. sw tie cda RA Wn goulfi axkagistaeiunt ; Neaceriet ene contcougr aa (qa ita glosiamuj de (u Íenréziaynag: wudeargamcatulam vaum Omni4 "xMUS INN STE AUIS sddr dee NC hd "WALEY .202€ LY ' wmegite valde vr.  Difp.VUI De CPredicanivegellui 5 cmnia fump[crunt ab Ochá. Greg. Rub. ' et Autcol. (.d. 50. part. att 2,4 quo pratfertim mazrà partem fue note doctcina mutua; unt,vt nó imnterító (oleat àinobis appellati infiguisille Doctor Tromptua:: yum "N coterícorian. Alia vero args ta fpecialcs relationestágentia vt aGtioné, vnionc,inhzrentiá,vbicationem;&c. (has.n.oés negat veteres Nominalcs) in Phyf.fuislocis adducuntur, et diluantur. Poncius difp.15. Log.n.43. mouet co. xra no(lranfcntearia dificultatea quà dam ; q&sf»ait efle grauitfi mam, nec de ca focatienem ficri lolere;vidccir enim; qued fimilirudo duorumalbot am nó fic diftin&tá realiter à coexiftentia illorum, fed illa coekiftentia ett relatio cxcinfo: eüsaduen ens,cergo non datur relatio intrinfetusaduenicns-diftinéta realiter à elatione exttinfecus aduenicnie; minor patct quieilla cocaiftemtia aon prefüppobit aliquid ex parte fundamentivel cec amini, ad'quod neecffatio (cquarut, ergo 3ton cíticlitio inrinfecüsaduenicns;co' fequcntia eit cuidens; probatur maior; : 3n qua fola vidctur ede difficultas.quia» aton eft vllum 4ignam di (tin&ionis realis antcr ip(a, neq.cnim poffuntcfle fine feinticcmyneg. yoam eft caufa, fcà principium altcrius; neq.fübiectzgrar in füb:e«s rcálitcr diftin&is,vt patct,ergo Xe £t quamuis (inquit ) potient euaderefa«ilé difficultatem qui exiftimant cama EX och ba per potentiam Dei abíotai po(Tc fiu:ul exittere ine (imilita4line,tamcn ín (entétia probubiliori hoc. propolita difficultas; et ob id inquit Ponc.n. 45. iudicare va: see probabile quod non detut vlià relatio 3initinfecüs aduenicns, qua (t dillinita: ealiterà-coexiítentia duorum extteuro pua, licct fit diftin&ta realiter abexturcmis,que coexiflünt et per eam ceferunun Attamen tcenendo cómuniorem Sco: tiftarum (cntentiam refpondet poftea ne . gando maioremyquamuis,n.cocxiftentia «uorum v.galbofüin nó poffit effs,quia fic fimilitudo, nec funihtudo etan;quio ie cocxi ffenniaallorum, tamen: po: etfe füm:ilitudo linc vita detéeminata cccxiÉcutia;quamuis cuim varicturcacxifi&tiayqiiia eft quid (ucceffidum, nam dicit" quscaqdenponighod eft quid füccef uum ramen non variatur fimilitudo, fique e(t fundamérum pra: cius;duo enim alba eadem nume: cut ncc albedo, xini rofimihtudine femperrcfecuntur ad fe inuicem non autem cadem numero du ratione femper durant, dum durant;neq. cadem etiam coexiftentia propter candem rationem coexiftunt. Nullustamen fang mentis ex adeó im: becilli ratione adduci debet adiudicandut probabile hoc abfürduni;quod nul]3 detur relatio intrinfecus aduenicos;, q. fit di(tiné&ta realiter& coexiftentia duorum exccemorum;quam ait efTe exuinfes cus sducniewem Quiamairaem argue mentum firfacilis (olutionis,adhuc tamé' non exa&té (oluitur ab-ipfo;cttó enim có: cederetur fimilitudinem duorum alborü: diflinzut à-Coexiftentia illorum;quia hec: variatur, cam fic fucceffiua, ad variatto«: nem remporis;cui-coexiftit, non vero fis militudo, adhuc tamcn pofiet argumen tum vrgeri de duoram Angelorum diuecfitate,quz men(urantur za0,& nontem: pore, vndé corum cocxiftentià ad communemdurationem: permanenten. 5» qualis cft zuum, confequenter etit pec  manens; et non fucce (fius, argamen:um: igitur vrgebit faltim de relationibus fun« datisin entibus, que menfürantur auo:,. 1tod e(t duratio permanens, R efpó den.m igítur aliter cítad argumentum, qp licet finilitudo, et quilibet aliarclitio füppomat extrema coexiffentia., adhuc: tamen rcalitet diftinguitur drelationc il la coexiftentiz amborum ; Que-quidear rcalis diftin&to licet dignolci, vel colli « gi nequcat ex earam feparatione, adhac tamen colligitur ex boc coexiftene tia exttemorumctt veluti caula rclationis f(cquentis,cum a&oalisrélauo no caa (ctur,nifi ab exicemisa&u exittentibus, et adliuc euidentius colligitur ex diucrfiscfle&kibusformalibuscarum; nam coe xiftent:a vv g. duorum alberum num,u& ilia poteft dcnominarc fimilia, nam rae tionerciationis cocxiflentia tai coexis flere dicuntur duo alba, quam vnum ah bum, et vaunniSrun quia coexifleniia in 1!  É-o 082-6 ns 0-9 eem amo 0-6 0m E" Ge ODD I" A0 o" E" E o UC ae à o 9 O0   Seo. EE isses tet di AE URB Ede eGuar mon [of p sie vetita . itatdáf eitídeas, d a rein nhen estt vel uet fitate fünddtut proximié card fim Niadoyvél diffinsilitadoyó autem in fim plici; et ata amboórü coexiftedria,quia y v di quántumad effeótum fora lem eocxittendi extrema omnidm relatiotitiiéodé todo denoiinanturs Có« fx: hic felució y quiaicam lioc quod:duo alba (icf coettiltant, ac etian vbuml« bit; Aa pint det snnt rat / ad effettám coexi(tendi codem avodo fe habeant y adhiic táme lioc album aliter fe. pomo oar paper ted jám in ordine adnigrumgquia ett illie: dc dhmicaeérü ditior » (icmilitusa: q6'&c diffimititudó diuerfaa important. m reumimemehe ves y corte tériírbictámut veta,-qdod nempétoéxifteiitia fit relatio exerinfecás ad eoieni un) duo entia aGbr exiftentia, rantümicdaqi(mrieter (e détantia, dirmodo iti coder tertiporeyeidetmq:duraptm ftáht y fequitur ad illa 'ece(fac fiojac iadifpen(abiliter relatio coexiften f étitic quani memorat Dockor x. d..3 9. $. guion nio ioqait eile rea: Ké, atho declaratnimo-fit intrin(ecus,vel excritifecus adueniós, fed Wielüid modo tit dehac nfiáoti y fofflicit peo folutione cufcatis Filsáeffe enaigrei Ouujed .cóà/$; Met.pün-4-fequitur cum alijs R.e cetitióribus (us Societatis Nominalium placitüm de indiflin&ione relacioríis pra dicamentalts ab exi eris; fed non adduit, ni(i cod(üetas, et decantatas Nominállim rátióhes-iam adduétas,&c (olutass ascftó masnificare;& corroboraré co Set arg borum orhártiefris, reipf$ cinentüuflàm imgerancvlaorem diflicültateta ; quae ex dictis (afficienciffimé son ddüatut. Aüreolus    4 itii tió quaidatii adducit árgumneuta $. Sed in vppofifuimy que catum péobant relatio hei ion darrin rerum natuta prater opus intelle&ds-pet modum cuiufdam inverualli ioietéxcr eina, vi vtibüitur Henri" uit QI Bede elu rica .odMII 64$ ca; dequo iari mp9: alia vero argumens ta;quibds probatart/1.nec relaciones (e» cindi,& vercij irodf effe reales; qao.fen(i conclud.nt pacebít infcà q. to. art; 2. ex» plicando relationes illarum modorum . : : "4f a 65:01, 2pnloldz2udioSbi» : Qv E ST1O-'LIEL.». An relatio guedicamentalis couffitae -pioturper effein, vel ad., vel... £a f pervirumqQs » jo 'tgpeer deem fentire vidécut 7 Qu irelationem effencialiter cóttitui praecise pec e[fe ad,effe in autem ercoauerite in (ecando modo dicedi per fe ad modáü pa (Tronis realttes idemificare jg» co!liganc ex Seoto 44. t 2.q. r.ita Trom. q:Mét.4.1.Ant Andbidem ; Mair. cit; 8C 4d. 1250.7.in fiae, et fic etiam lo nur Bonecéit. Alijew aduerfo, vt cet Rad p. picontr.à 3 art. 7. 1n finc habitudinein relationis-ad fundamentá pofae rant efencialem, no veró habitudiné adtetiminum Thomiftze veró ex D. Th. pq. iBarti zidicunr relationem confti Cai pleviransqufedefre ix óucnite tela eU pé e comer accidentis, e[fe ad sin tonc proprizrelationis, qu& udinermi,vt prafeindit à róne e(fendj in, qaidamedicunt non effé real, (ed'àab P wid ab v rcalij et tónis, eru et "Canacrenf. p. p.q.att; cic /Capreo s 25:Q. Li rime VO MeGa 25 LI Aj du fic ptizcisé (umpta volunt efe realem; ità pàtfim Recentiores: Thomifti Baanes; Nazár. Ripaatt. cit. Gcatiad. contto. $2 ttact; 5. di(p. 1. Complu.difp.1 4. log.3. r« Vafqaez p.p.difp.1 24.c. 3. Suar/in Met. dilp.47.(e&t 2; et alij communiter.  7! $r Dicendameit relationeminó tan tüccofticei pet effe am ; (ed etiá per effe inynontamcn eo modó; quo ponuat Thoaiftz j quaft efr e ir congürrat praes cise, vcrátio generica anie ] plicacác conci .quoad oinnes páftes;: in quod relatio conftituatar per effe ad probat óptiine P. Kada citccontra Aus &ores fccoindas feat. et tes ett ira perfe clara yt. próbatione non indigeat,nà om nes cum Acilt: róniem telaciuórum sépet explicuerant p hóv; cy cil joiwpe ug 846   "Dif. IL De Predicdm.reféBinil et numquam aliter, vndc DoG. 1.d. 2.3. yn. C.ait rclationcrn, vt relatio cílscfse ad. aliud,adco,inquit qp fi non fit ad'aliud y vtique rclatio non cit,hec.n.eft differen tia fpccitica, qua ipfam. diflinguit ab ac cidentibus abfolatis ; imó hoc ita intclli gendü cft, vt ipfum efseadalind a&tuali tcr, et formaliter relationem conflituat, ncn autein efse adaliud dp:itudinaliter tantum,& radicaliter;vr Atctores illi (i gnificabant,e(sencia.n.relationis cft ipfa met formalis,& actualis ordo, et babitu do,nó yeroquafi perentíar& Laculgás ce  ferendi ynum ad aliud; quavadeb sen kft,vt eciamjn relationibus aptitudinali bus veritatem habestip(a.n. ét apritudi nalisrelatio a&ualiter (uà, munus rcferé di exercer; vnde nó diciwt apiitudinalis, oeka m fuiractu non referat, alu ratam non denomiucr, fed quia t£ ribus; ad quemaétu fundamegtü re. Xctts) adl) exiftit y (cdaptitudine falü, et io potéti2,qua de caufa rclatio illa, nó actualis » (cd apciredidalistantum nuncu patur,quod cott fignificauit Doó&t.quol. 33«infol.ad 1.prin. fic mobilitas v.g.de rominat cerpus naturale actu mobile, et &&u jllud RCM ordipat ad motü, Íed nonad motà ina&u;(ed in potentia tan tum, (cquitur Suar.difp.47.fcc.5.n. 9. et $a9is explicabitur ipfrà q8.in ine. .. Sceando hec ratio e(sehdi ad aliud (d veté realis.& non preícindens à reali et ronis, vt diccbaut illi [bomifiz ;tam qa dierentiz entium realium debent císe reales, cum.ergo [et eff e 4d. contrabatur ens finità, € accidens realc.ad cottituen dum genus accideotiii relatiuorü vciq.ef fc debet racio veré, et efsenuialiter ceilis ; tum G; quia relacioprasdicaajezalis nà fo lum c(t cnsrealc,& accidens realc, fcd éc zclatio realis,nà per eam veré, rcaliter fabiectum refertur ad alud non imiaus, Quá veré& realiter (it quantam per quà Xirató quale per qualitatem; ergo inrcla tjonc non (olum ratio e(fendi 1n,quz illi £ópctit,vt accidens,elft realis, (ed ctii. ra Aioscfiédi adyqum iibi cóuenic pracisé vt elatio; Demuay rationes omnes, qug jp bam relacionem cilc enscealeyofte adunt Ir ad cle real:, quawmas probant reali» tet reerre lubie&umadaliud. |... i.c «$2. Tertió,g»effe in coftituatrelatioz, nénon minus cí[sétiaJiter,q effe ad;& nào, tantum vi fario generica, fed etià vt (pes. cifica, probatur, quia vt docet Bargius, 14d.3. q 5.4 quo haius quac(ici refolutios . nem accepi mus, in fündaméto rclarionis, ercate, qua cft accidens;alia eft ratio fun damenis, et alia (ubiedti, et io in ca duz babitadines effendi.in (ant, apii » vna ad fundamentum fab róne fubic&i,. inquantum e(t accidens, qua proprie di citur inhzrentia;alia ad fuadamen:6 rc, duplicatiue (ub ratione fundagenti, in» quantum cfl relatio; € quod bz doa ha. bitudiaes in relatione creata (int diftin Ge, ex eo patet, quod relatio diuina in cludit rationem ef$édi in veluti in fünda.mento,nontamenvelatin(übiecto,cum.nà(itaccidens,vtdocet Doctor4.d.12.q.1.infioe,&fegrurAmic.cit.qgedub.xar.2. Sügitureffein(amatusprorónecendiinyvc]utinfubie&o, concurritad.óontlitutionemrelationispradicam.ve,lutratiogenerica,quiaficvcleftipfaróaccidenusin.cóiadab(olutum,&reípeGiuum;vel(altim«amnobiscircam(cribit,(iverofumatucprorationeeffendi inyvelur ia fündaméto;, (ané in hoc (enfi concurrit ad conftitutionem relationis y velut ratio fpecifica nó minus,q e(ie ad y q multipliciter probatur 1. ga relatio vt: relatio e(t.habitudo eíséialiter iter duo exirema, ergo talis. habicudo a:qué. cífca tialicer petit fundari,& cerminari.Secun do non minus implicat relationem effe: fine fundamento, quam eife fine termi no, ergo (i ratio effends ad clbe(lentials; rclationi vt rclatio eft, etiam et ratio ef fendi im» Testio.cadem funt principia có: tlitu€di,& diftinguédi;(ed Arift. s. Mcr .difinguit relationes;é& penes fuadamenta, ergo ratio effendi in-conftituit rclationé quoq; vt relatio e 9 ad cóflituendà relationemin fuo cile proprio et (pecifico non fufficit terminus, ícd ec requiritur fandamétü, ergo vttaq.tó cócurrit ad.conftitutioné rcelationi,vt relaAjo eft. Demülicet ro effend: in,veluc im (ubiccto, vniuerfaliter conueniat omnis bus accidentibus;idca 3; wienn có1uftitütionem cócurrat, vclut ró generica, et cóis, th roeffendi in, velot in fundamiéto conucnit pezcisé relationi,vt à ceteris entibus di(tinguitur, et relationibus dicamentalibus,vt ab accidentibus aiorum genetü (ecernuntury ergo rclationi compctit,vt differentia propria, et ró fpeafica non minus, q efse ad ; immo id ita intelligendum eft,vt ratio efsendi in, et ad non (int due diffcrentie, fcd vnam, &cadzquatam nobis circumfcribant cóftituété genus cc lationü in tali e(Te fuo ; quia ratio effendi ad aliud in relatione re vera aliud nó eft in te, q certus, et pecüliaris modus afficiendi | realiter. (oum 'Kubic&um, nempe referendo, et ordioádo:ad alind; hoc idem docct Zeib. f. Met..19.$. proptertertinmw i; 500 -0$3 Quarto g/ hoc fitde mére Docto ris, aperté colhgttur cx his, quz babet in 4 loc.citiprobáco fccundi'cocluf. vbi lo: quitur de habicudine ad. fundamentü, (ub one fundamenti)quiaJoquitar de illay-vt c conuenit relauonidiuinz y. bec funt Eius vctba: Secunda coimcinfio. pobatur, quiarcfpectis Éefséttaliter babitudodn ter duo-extremasQ7 io ficut tollere terminii ad qué re(peGi usé tollere, vel de» firgere refpettit y1ta tollere tllud, cuius 7 refpettus,efl colicre refpecium, Cr de ruevévoné vefpectus, rion ergo qui uc. Fidés VefpeCwefd aceidés, adeorequirit fubiectu vel fidamentiy fed quare JpetluseftvefpoGins Ji deà requirit cuius yd adquid (iettam iu duuuis)Certà . vX(ingalis verbis Doctoris benc peníatis cólligiturquód ratio efsédi in velut in fandamento fit dc e(fentia relationis, vt rcl ició éft Pritmó inquit, quód us pt habitudo inter duo exire ;érgo e(fentialiter peticilla duo,vt tc« Cs rere quodtollere funda. tamyvel illud,cuius eft refpe&us;,e(t tollere refpectü,& deftrucre rónem ipfiásyergo ratio e[fendi m,velut in füdamé tó pertinet ad rónem proprià refpe&tus.; Tertió aityquod re(pectus, qvia eftrefpe étusjideo requirir,cuius fit ad qp fityer:Rs ad ali go reípe&tus j vt re(pc Gus neceliario pe tit füdarrnó mius quam tetminari, T4 dcm; àiry quod (rquctollere cermioumLI. Po quid conftitsatur velatig -.  adquem;cft.detlruere cefpoct »,.irà collcre idycuias eftymanitefie indicauir.c(Tc de iritrinfeca 100€ refpectus,vt fic,no minus effe in fundaméto,d e[sead terminum y Q» etià clarius docuir q.2.il!ius di(l.in (al. ad 5.prin.dü ait,quód depedentia rclatio nis ad fundamécü eft eücnt ialiilima, ita q linc ca nó potelt effc ratio telationis, 45$4Sed obijc.1. auctor;t. Siimpl.(üper predic.dicentis, quod efie jj nó coftituig relationem,(ed e/se ad.Sccüdo Ari(t.de« Éinit rclationé (emper per cf/se-ad,&. mon per efse in. Teztio fi vtraq»hibizado ett dc ellen relationis,ergo relatio eft ens per. accidens, quia duo nón pofunutiee, re ynum pet fcsni (1 yn fiu per feactus,al.ud per te potéia 8. Metis v Ir (ed illae dua hab:tudincs aon (jc fe haberi: quia lgquijhar de Hine ejr di inimtun dameto,no vc in fubieQo.Quarto arguit icemb.locicit.probás,quad « ih natuza có p«tat sclacíont, tang: à Pee d flicuens in clie effentiali,& efse-iy pote rius naturastanqua pa(Tio quandocü ];àn d ooeéasid tas pet du differtriag ) quoc à yna coftitu:t fpeciem Sade] d di Mditut pcr Wie ti, et refpcétiuü, hac duo pe immediatc oppofita cit£a ens, et totam narurá ends cuacuant;czgo pre eodem figao quo abfoluc cft ad. ipo eode tc uum eft ad aliud, (ed abfolutü pzius natu ra e[t'ad [c quàm infit alteri, ergo tc(pe&iuü ét prius natura erít ad aliüd;quà in alio, et hoc cít atgumcatü Mair.cit.q-3, «$$ Reíp.Simp .nà loqui tle Hy Y. infudaméco, fed vt in (übic&o; neq. e[se in hoc modorelationé non coottitue r€5(td nó cóftituere aliquod (pceiale gcnus accideüti l rario. co in deis ME ano yt 15 omntum. 649 Difp. VIL. De CTeadicame.ve[yetHiniro. fundamentnim, altera ad termipum vt vi-: detuc voluife Baflol.t.d. 36. qi: art, 2«fcd ipfamcet telatio e(t vna-fünplex habi tudo fundata in fundamento, et tetimina. tà ad termini, cui z qué effcociale eft fua daei, (icut et técmiriari; Ad 4; Tromb los quitur de effe insvt it (übie&ojnos auté; vt in fundamcnto, &c idco nihil ad rem;ad buc tamen ad arg. ir (c neg. min.ràm primi fyllogifniiy quam (ubillatam fecundi ; tiep. prima minor,quíia ens peiédicamentalé prius diuiditut ín ens infe Gc ens ina lio,& hoc poftea diuiditur in ab(olucüy& teípc&iudi; ncg. ctiamfubillata minor dp ens abfolutü pris nacura fied fe, quá in he Diei alió radicakter; fic 2n,vcl eífe in alió natura ptaicedic iri aceideate ábfolito c(fe ad (é, ficat córora fo. lent mínus cóia priecedere, vel.faliia (imul aátuca babebit vtcumq. et idem erit proportiene dicécidum de effe, in lio et elle ad alind in accidente refpectiao,.  -:/$6 Deindé obijcies; cóceptü relatio: nis;vt eft ad,nó cffe rcalemyquia aeque có uenit relatioaí rátionis, ac reali, ergo qid tü e& de (e, ab vtcoq; praícindit; Ref ncg.affumptum, quia relanioni tcali, tatiónis nihil abflrahi pót cóe yniuocd, vt docct Doctor 1;d.26/q;vn. Accedit y li-ad effet coe, et in eflct cóesquia hiec tio-fubt nece(farib: a: vt diximus; in télationenec cm y quantiicinq. fingats referre ad alitid, nifi aliqoid rféferat-; Tandépietidmfi concederetur ad (T coe v niuócam yitiq.rclationnnes pibitur (emper con(éq.nám ad,qaod cóf t elatio pri iicdmretipdle t ads cotiuenit parte tei.  je "da fine huios quzft:nota, cp cir dicimy ad, hoc: intél afi cerénimus et timdamentum fint iffeutíd réfationis yacetaci patcesi]las jnttiniec cjlicet. nid habeant dicere No? tinalés, quid fácjetit felaciónem; velati ntítatem compofitamex fundamento ; tetriino;id'tamé nullo modo affer: po in fententis Realiumyqui pórtumt relaüionem eic formati fimplicct depen dentem tanuioiexcrinfece àfundamérito  termsoyaecéflario tamch, co mos s telatiónem effentialiter /coh(titaip dogquo dicimus! porcntiaas, vela tum al (cian tacui ycü    nà 1t. «oníititutiua petentigyvelastus clnodá» hoic (née Guidi nonfà Stet minus rox (iat dec: conzepru: relauónmisg imtidfece ning cua d eonfliutiué, pras batüc ex Mair, cia: (tám quia terminus, et tundameacü regulatiter tan ab(oluta j cr3o wequeont ette parces intiiníecg; i tioais;, quia reswntus. predicamenzi nee queunteífe parrcsintdníccas ; et couftis rüciuz rei àlcerius praedicamentis cü prine cipia cci: conttitutiua àd-tdem. pratdicas meniumpertineát cudi re cóftituta,, fal" aim teductiué;tüm quía terininus,& fune» damierituin mon.(uat genus, et differentia aglationis, fed (olur:cxcréma illius, ergo ficut extremitates in linea go tes ovrgeo tm s neis ques SR i qus (uat partcs relationis; tüm tádem ga lioc dato multà fequecentar abía:da .(. Deum eíse dc efsentia éreatarzy& &iiun de elaectia arris;vicrelatina fimt inen bedinem de e(sentía familitudinis 4 c, «$2 Cüm ergo dicimis relatione. e(sen tialiter cóflitut per effe 18 alio, :& e(ie ad aliud (umi debent iz, X ad, vt dicüt (im. plicem ipfam habitudinem,nà autem vt écimcladant extrema ipfius biDicudiqus » và vt bene notat Mair. cit. e[se ad aliud Aen rai de eísc in alio,vtin (ut yento)partim e(t intcinfecumyparrim extrinfccum,imtrin(tcurb quidem,quatcnus dicicipfam habitudinem exprcísam per-ad,cxtririccom vcró y vt dicit terminum illius habitudinisjprimuni eft deintelle&uzclatiui,(ccii di. vero de cointelle&usquia ponitur tantum,vtaddicamene tá ín définitionc ipíarelatiub &;hinc efty quód potius dicituc.tclatío-eonftitim pec ined csi enel mái i se ad 4 quia péroillas patti itarie fümptas ex pridiu tclationis formaltters& folyotvittualitery et cx con(équcntiunuatitut extrema, d lant werd nom Ex quo:colligitur.fundamentum;& terminumoonnit extriníccé y à terminatiue ;accefsarió:tamcovelut, ad-, dita, ingredi defioittonem relationis, vt t Doctorína«d.1 2.q 1.5. et quidein maiori neccflitate; qnam piena iggte-. d laua]. 1. Per quid conflituatur relatio . sliatur definitionem accidentis, quia requiruntur pp formale eífe rclationis, ni zelatio formaliter.eft habitudo vnius ad :aliud, vnde Mair.cit. hoc difcrimen ponit inter accidétia relatiua, et abíoluta, quz etiam per additamentum dcfiniuntur, q definitio quidditatiua in abfolutis quictat intclle&um diftin&é attingentem 2c sius, et diffcrentiam eorum, etiamfi aliud non cointelligat, velut additü, fed nó ita in relatiuis, nam quantumcunque habcatur conccptus fui gencris, et differentia, non quictatur intelle&tus, nifi coinicllicndo terminum, et fundamentum, et honc dicendi modum tencnt R ecentio4cs omncs Suarcz difp.47. (cét.vIt. Amic. loc.cit. et al:j paffim. Sed dices, illud cft de efsctia alicuius, fine quo mc cfle,ncc intelligi pot fed rclatio nec effe, ncc incelligi pot finc fundamenjo, et termino ergo &c. Refp. cx Barg. 1:d. 28. 9.3.aliquid (fe de cílentia alicuius poc dupliciter accipi primó,p «o,fine quo rcs intcll;gi nequit, fiuc hoc ántret definitionem, vt pars eflentialis, fi uc vt additum, et Éic dicimus fibic ctum efle de c(Ícaria accidentis, quia eius dcfinitionem ingreditur ; vt additum, et in hoc fcnfu vtique extrema funt de c(scntia rclationis; alio modo,quód fit pars cfsen tialis;& intret deBnitionem, vt genus,vel diffeiefha, et in boc feníu extreima non funt de císcntia rclationis, quia nó intrant eius definitionem in rc &o, fed tartun; in ebliqao, et vcluti addita, pertincntq; ad €oiptclle&um, non aüt ad purum intelle. um rclatiui ; vt diximus ex Mair.cit. -.QVvVESTIO V Tn qua cor[ideratur relatio ex parte fa. : bictli, feu fundamenti . C48 qoia vt dixlmusq.przc. Relatio ud przdicam, conflituitur. €x efc ad, et in, idcó nedullitus contideranda venittàm cx partc fundan;éu, G termini primum pra (tabimus q. prafenti, alterü q«feq. et quia relatio pradicam. accidens cft, idcó fundamétum cius é fübicctum appellamus quatenus ei incft pcr inhei ca|. "mum; (olet vero diflingui dupicx [ub;cs 645 &um, feu fundamentum relationis, p oximum, et remoi ; proximum ctt illud, inquo immediate di relatio, remotü, in quo e(l tantü med'até, fic v.g. relatio zqualitatis prox;mé eft in quant.tate, rcmote in fubftantia, relatio timilitudinis proximé in qualitate, remote in quantica te, et fob (Lancia ; notat autem Doctor 5. Mct.tex. 20. in fine, et q.11. n.7. folum fundamentum proximum abíoluté dici debere fundamentum, temotü veró dici dcbcre fübie&tum relationis, non fundamen;um quód etiam ex alijs locis fent. colligic P. l'áber 5. Met. difp. 22.6.2. Piatet hzc affignari ctiam folerratio fandandi relatioucm, et frequenter condiuo aliqua, finc qua non fequererar rclatio ad fundamentum, quz duo ncn sür confondenda, vt faciunt aliqui, cum fint oínó difLincta, vt Do&or declarat quoi. 12.C. in relatione paternitatis, cuius ratio fundandi cft | otentia generati Pattis, condit;o vcró pracuia eft a&io generauua ciu(dem, qua flatim tiáfit, et idco non proprie caufa, fcd tantum conditio prauia, finé qua relatio non fequeretur, appellari cólucuit, in hoc autem praícrtim ró fundandi proxima à (undamento roximo diftinguitur ( licet multoties ie duo confundi folcant, prcipué quà do fundamentü proximü confertur cum rcmoto, tunc-n. dicitur ró fundandi, vc albedo qua dicitur ró fandandi timilitudinem inter Petrum, et Paulum) quod fandamentü proximü relationis non eft ita Quo,quin et poffit efle Qaod, pót .n. fu(cipere denominauioné relationis ; quia et quantitas dicirur equalis, et qualitas fimilis, at rauo fundandi clita Qao,ve nequeat cfjc Quod ;quamuis.n.&duasquantitatesdicamu szquales,&duasal«bedin csfimiles,nontamen usnquicftratioproximafundandihuirclationcszquiparanugcx$.Met.c.1f.dcnomiozuurfimilis,zqualis, nec poten« tia genceratina Patris dicitur pater.     $9 Quamuis aüt relationis ciufdé pof finc c(le plura fübicéta diucrfarumratio4 nuincü lubordinationc declarata, qp vnl Íit proxiu d, alegum temocü, vc declaratuzi €lt, camcn aki v rationis, X. . à dd aque i EL CL m Uum 6570 zqué immediata omnin3 impoflibile eft,qu'a cum relatio lit verum accidens; et per (c voum,vnicum ét fübie&ü in hoc : "e&(u poftulabit ; Vndé proríus abijcien dà eft à Scholis.opinio,juz tribu tur Hé ric.quo!.9 qu. 3.aflerens rclutjionem elTe veluti interuallum quoddam ioter. duo extrema, itavt fit vaa, ac cademhabitudointcr illa, et in ambobus infidcns, vclat in proprio, et adzquato fobic&o; id fané vt. prorfus irtationabile dánat. Do&or cit. y. Met.q.11.n.7.& joe Sua. di(p.47. fc&.6.n.3.nam vcl relatio, qua intercedit inter illa abinuicem diftantia ; eft et in medio, veloti cordi. quz nc&it cornua arcus, vel hon, fed in extremis tátüm,non primum,quia paternitas nó rccipitur in acrc;neq. $m, quia idé numero accidens nequit e(Te naturaliter in daob. fübic&is tcaliter diftin&is, et loco di(fitis;relatio igitur cft tantum in illo extre fno, 9 refcrtar ad aliud, et fi illu4 aliud. ad hoc referatur, dabiturin illo alio. noua relatio, et fic nan erit yna, et cadem rclatio in ducbus,vt in vno fübie&o, fed in vno, et ad aliud inquit Do&or cit. de hoc igitur vno fubie&o quod, et quale cf fe debeat, inuefligabimus in przfenti queft, et quia in hoc variz funt difficultatcs; duos ioftituimus articulos, ARTICVLWVS I.utn fubieftum relationis debeat effe ens reale,Co finitum, itaquod nequeat efie infinitum . 60 G Reg.15d.28.4 3.fignificauit relationes przdic.écin non cntibus fundati poffe,& quidem apud omnes in confefsó eft priuationem fundare rc.Jationé principij ad generationé;& pariter caufa finalis dicitar fundare relationé cauíalitatis ad effectum, cum adliuc ipfe finis non cxiftit,vt conftat dc fanitate re fpectu deambularionis& (ic in multis alijs,qua an(am prbucrunt dubitandi an relatio przzdicam. neceffarió petat fubic£o teale, et cxiflens ; Concedit ctiam i Greg. relationes przdicam. in Deo ad creaturas quz cft communis Nominajunn opinio, quaré coa(cqueaicr a(ieDifput. VIII, De Praliceni refe iuis runt (übie&um huiufmodi telationii non e(fe retaM tinitum, et limitaxum., Dicendü tamen cft, no c(fe idoncü relationis prz c. (ub .c&um, ní(i cas realeac finxum.E 1 comunis in f(chola Realiam, et necetfario fequitur ex noftris princip:js, ti .n. relatio,(i: accidens reale fundamento rc vera fapcradd tà, (cquiturc neceffir.o ta'e findamentü effz cn. titatea rcalcin,ac fiaità, quia nó eos nequit per modu (ube&i fuftentare verum accidens; et eos'mnfmitü, ficuti eft Deus, cft accidentis incapax, quia eft ab omni potentialitate femotí ; vnde et Nomina. lcs ipfi ideo concedür in Deo relationes reales ad crcatucas, quia negant hisfuperaddere fundamento verá rcalitaté accidentis,(ed ftatuunt ipfas in mera denominationc,& concomitantia rerum;idco €um a nobis difcrepent in principijs,etiá in conclafione ditfentiunt; et hac dc caufa Nominalium fententia, licét repugnet comuni nfodo loqueadi Theologorà vna nimiter negantium relationes przdicam, in Dto ad creaturas, quóad rem damnari nequit.vt multi inconfultó faciunt, quia non ponendo relationem accidens realiter a fundamento diflin&ü, nulla (cuitut mutatio,aut cópofirio in Dco ex co, quód ponatur in tempore rcferri de nopo ad creaturas (ub ràtionc cceatoris,domini, &c. folü ergo damnari pt quoad modam loquendi ; qui (an? inconfuctus cft apud priícos Theologos, nec grauiori cenfuca inuri debet Nominalium fententia vt nota  fec.1 $.n. 17. at proEe nus concio noftram quoad vtramque partem (ingillatim., 61 In primis, y fubic&um relationis predicum.ens reale debeat e(fe, et potitinum, fatis conftat ex modó diótis ; et docet Scot. 4.d.6.4. 10.$. fed reflant, et probat Baflol.1.d.30.ar. «quia cum fit accidens reale; et pofitiuü, cofequentec nequit in non ente fundari, quia non cns nó cít aptü entis rcalis fulcihentum,tum quia vt con(tat ex ditis q.prac.art. 2.relatio fuam entitatem realem habet a fun damento in generc cficientis cau'z, etgo neceffario debct. cíle ens reale, quia nemp dat,quod nop habet. V ecu uu [2:207] -" toto ri. e .[. babeat illas ues conren Seat. relatas.in 1. q. fed quavenus contrradiftinguitur à relatione rationis, quz fit pera&ü collatiuü intclle&us,vt Scot. loquítur quol.13. P. et pro tanto realisró dicitur, quia nó habet o&s illas conditiones, fed vna, vcl altera fibi deficit, potet relatio realis inhoc fenfu fandart in non ente ad ens, et in hoc fenfu dici poteft priuatio fundare rclationé zcalem principi: in ordinc ad generationem, et admitti pót in codé opin. Greg. dicentis relationes. reales ét non entibus €onucnire, non quód huiulmodi relationcs fint entia realia pofitiua, quia verum accidens,& realé non póx in non ente fubic&ati, (ed dicütrurrealesco fenía, quo tenebras, et caecitatem negationces realcs appellare folemus, quatenusdantur nullo cogitante intelle&u, (ic.n. nullo cogitáte intclle& priuacio [uo modo cócurrit ad generationem per mod principij, quo eti (enfü Doct. 1.d. 28. q. 2. ad 2-aic iogenium in Patre diccre celationé rcalem negatiuá; Difficulras autem mota de finc nulla cft,quia v: dicimus in Phyl. difpur.7.4.8.art. f. ry noncít vere caufa rcalis,& phyíica, féd cani metaphori€a, quia.ccalitec non dat cííe » fed rancüin moue agens, vc det illud,in ratione amati, et dcfiderati, quare non fundac rclationem veram, et rcalem. . Sed dices, Arift. 5. Met.c.1 f. imer relationcs i zdicam.cónumerare relationé ealefattiui ad calefactibile, et ctus, qnod fecitsad id, quod fa&ü.cft, et eius, quod fatur cit ad rd, quod factendü cfl, crgo, &c. Refp.juód.ficut tesalig confidc. gari potluntfüb duplici flatu, nempé exiftcnugsauc folius poffibilivatis, ita ctiam &iclaiioucs píz cónderari poffunt, vcl vt atu cxiftéces, vel prout aliquádo tucrint, vel futura fiot, aut tanquam rcalitec ioffibiles, et in hoc (ecüdo fcnía eas cófiderauit-Ariftilcc.cit. pertelacioncm .n. exlcfactiu, ad. calcfaGbile wvtiq; nonin« xcllexic apinudinem calcfacicndi v. g. in igne, quia bax non clt rclauo pradicam. fcd:ttap(cendentalis ed. cam intcllexit, qua yolleatacta approximatione cale 25. c ERIT en fab. Rel.debeat effe ens reali e fimit «rz. 655 eft, quod.(i relatio ical s fumztur ncn in fa&iui, et calefattibil:sactu infurgit, vbt priusante approximationem habcbat (o lüetfe poffibiles.in pra(enti verà ett [ecmo de rclationibusprz dicamentalibus non füb ftatu merz potli bilitatis,(cd prar (etim fub ftatu a£tualis exitcnue . 62 Kltcra veró pars, q relationis realis fubiectum ete debeat ens finitum, et limitatü, docetur à Scoto 1. d. 30. q.2. vbi cum cónuni Thcologorum remouet à Dcorelationes reales ad creaturam, idque efficaciter pcobat $. 44d. 1. qu.t[Honenycx pexEs&a (implicitate,K ex perfe&a neceffitare Dei, quia .n. Deus perfe&é limplex eft, nihil c(t ineo, qnod ao eft ipfum, sih Aug. rr. de Ciu.n. to. ef go relatio! realis noua in Deo ad crcataras nequit adm tti in tempore, cum ver compolicionci faciat cum co,.cui aduenit,vt probat Do&or 2. d. 1. q. 5. $. 4d prinui alterius opinionis. Scd q» ncque ctiam ab z:erno;prob.ex nece(litate, pfecta.n. eius necetTitas cft ex (c elle tales. quod nà vatiabitar cius efe, quacunque hypothefi pofita, fiae poffibilt, (iuc impotlibili, circa aliudà fe, quia alia nó süt ncCeffaria, niii fecüdarió y ergo nalla poc in co ad. nitti tealit as, ne3; abseterao,nequc intempore, qux neceffaci-coexigat aliad à fc, tale .n. neceffarib. cocxigens. aliud à Dco non effet illocoexa&o non exillente, et pec cófequens aliquid, quod perfecte efíct idé Deo non cfict, aliquo alioyquod noncft neceffitium ex. fc,.non exiftente, (cd relatio rcalis de neceffirata cocxizit ad (uum effe terminum cius, et» g» 1n Deo falua ciusindemnitatecoaftirutnequitrelatiorealisadaliud.àfesNeq;lacisfacitrefpótio,quetibuiturGil.bert.Porret.daripo(fei0Deorelation&realemadcreaturá.,nonvciqueill;inbzz»rentem,fedveluti atfiftentem. Nam (i illa relauo ett accidens, vt fapponimus, alicui. (ubicé&to hzcebit necelfatió y mifi dicatuteile pecfe lubtiftens, quod ctt irrarionabile pror(us, et accidenci directe repas gnans. Rettaccrgo facta füppofii. nc, ge 1clatio. predicamentalis (it accidens fundaméco tüperadditá, olá cns fiotuin, S6 limitatam cde cius idoneum (ubicétum.. 5, Sed obijc. Relac. (ecunai modi re» Dud laii 6iz latmorü; quz nempé fundantur in a&ione, et paflione, (unt realcs, et mutuz $« Met.c.1 5. fed tales (unt' relationes Dei 2d creaturam, inquantum c ft cauía, et cffKc&us illius, ergo &c. Deinde (icut forqma cít in ane ita denominat illud, er€o fi non eft aliqua relatio in Deo ad «tcaturam realiter, Deus non cft realiter «rcator, non eft rcaliter Dominus, non: «fl realiter à creatura diflinctus . Refp.ad 1. fi teneamus relationcs primi, et fecundi modi in hoc tátam differrc àtcertio modo rclatiuorum, quia in eis. clt mutuitas, non iniftis, vt Do&or velle videtur loc.cit. 1.d. 30.8. Re/p.ad r.quaf. tüc negáda cít minor ; quia dcfcétu iftius foutuitat'$. omncs. relaciones. creatura 2d Deum, qualefcunque (int, ad tertium modo. [pcétant, vbi vniucc(aliter collo: . antur relationes non mutuz, et fic innuit ibi Do&or, et iterum in eodem 1.4. 3.4]. $-& d.2 $.q vn. et quol. 15. Si vero dicamus diverfitatem Deià creatura in: prz dicatis proprijs, et conuenientiam in. 1ranícCdentibus effe relationes primi mo: di, relationem in róne caufzs, et cffcctus: tfc (ccundi, nc pida cfl vniuerfaliter maior, quamuis .n. relationes huiufmodi in: «rcaturisfint mutuz, nontamen in Dceo,. nec oportet rclatioa tcttij modi. in hoc pra-cisé differre ab alijs, quód in illisoés. relationes fiot mutuz; inifto nunquam ; ger lioc . n. (ufficienter diflinguuntur, g» antertio numquá fünt mutug, in alijs ve£Ó fic, lícét non M ita refp. Baís. 1.d.. 39.q. rar. 4. et (cq t Suar.cit.(ec.tg.n 27; Ad aliud Eodosbisi» Dum iode Fealiter cteotorem,.dominum, et à creae tura di (Lin&tumincrinfecé, et (übic&iue y. fed extrinfocà, &terminatiue, quatenus terminat realitercreationem pa (liuam in: Greatura cxilteatem» atque itahzc propofitio e(t vcra:,. Peusejt realiter creaor, vt ly realiter determinat inharcntiam-.1. totam propofitionem,non inhzrens. i.cxtremum propofitionis.(cu predicatum ita Doctor cit.in fine .64. Sed contra hanc Do&toris refolu tion&, quz-cóis eft'in Schola Realium,. diccs r. quo paco (aluantur ha: denomimationcs rclatiuz in Deo fiu:diftinctis. Difp, PIT. De Pradicam. Re[peHliuis -.  relationibus ; poterunt ctjá, ac debebang faluari in rebuscreatis fine tanta entium. multiplicirate, et mutatione, vt ait Aucr[a q. 25. fe&t.4. Secundo relationes oppofitz dant denominationes oppofita, ergo creatio paíTiua in creatura exiftés neuit Dcü denominare creatorem, ficut liatio nequit denominare Patrem. Tcrtio Deus dicitur Creator. quatenus ad: creaturas referuir, fed ad creaturas referri non potefl per relationem, quz eft in creatura, ergo, c. Tandem quando alie quid denominatur denominationc qua cít in altcro, accipit denominationem illius, ergo ti Deus denominatur denominatione in crcatura exiftente, diceretur creatura, ita vrgebat Scotum: Thomas Anglicus apud Barg, .. Refp.ad 1. patere ex dictis q. praced.. denominatio .n. relatiua neceffació. fieri: debet, vcl per realem füfceprionem relationis, vel per realem: eius terminatione: ex Arilt.5. Mer. c.ad aliquid, dü a(Tignat tres modos rclatiuorum ; cüigitar Deus. non (it fubie&um capax relationis, falua ri debent in co denominationcs relatiuze per realem terminationem,.& quia crea turz funt capacescclationum., faluari debent in eis per realé [ufceptionem, et cü: vtrumq; extremum cft relationis capax » in vtr03; debet admitti qnia non cft maior ratio, cur potius in.vno refültet,quam: inalio:, ficutíuntrelacionesprimi,&(e«cundimodi,itainnuitDoG.cit.infraQ.Ad1.re(p.relationes.oppofitasdenomi nationes oppofitas prebere (ubic&iué;,& intrinfecé, at non inconuenit candé re: lationem vnam denominationem prabe re fubic&o;cui inhzret, intrinfecé, et fu bic&iué,& oppofitam termino extrin(e cé; et terminatiud, vt patet de viüione,, qua intrinfecé, et fubie&iué denominac. oculum vidétem, extriníecé, et termina  tiu parietem vium. Ad 5. Deus dicitur: creator realiter,nomquia ipfe ad creatae ras realiter teferatur, fed quia creatura: iati dei arta fabile exeoprecfe dicitur relariuum fcientiz, quia fcie tía referturadipfum; qua roónc s Cit; fub F. o&s relationes Creaturz ad: Deum: eoo PV fuis quem: «a alea dt" ' QD Quali deheateffe flic relationis dI. 633 de denominationc formali, et intrinfeca Ceatoris, vtiq. dicitur creator, quia refertur ad creararas, fedtalis relatio eft rationis, in Deo à nobisexcogitata. Ad 4. cócluderet vtiq. fi vmiformis e(fet derioiuiioario,at in pcopofico vna eft intrin. feca,& fübiectiua, alia extrin(cca, et termipatíua, et hanc Deus accipit adcreata ra,non illam; Q'u; plura de hac re defide rat,videat Dot.loc.cit. et Birg.& Mai. 3.d. 30.q. r.& 2. vbi fusà banc materiam tractant, et luculenter. 65 Quaresan (altim poffint admitti in relationes tráfcendentales ad crea turas? et ró dubiridi eft, quam affert Do &or cit. q. 2. quia Dcus cx natura rci feelu(a intellectusoperatione dicitüt. oarnipotens,acormnifciens;ifta .n. ponuntur in Dco, licut attributa dicentia perfz&ionem fimpliciter, et omne tale eft ibi ex ríatura tct, fed ifta dictmt refpectü poter tig, et (cibilitatis ad creaturam poffibilem, nam nequit Deus concipi omnipotens fine creatura poflibili, et implicantibus creaturis Deus non effet ompipotens,quia nihil potfet produccre, ergo re fpec&tus (alim tran(cendentales'sd cceatu ras poterüt, ac debebír in Dco admitti . . Mart.loc.cit.q.5 . quem multi fequuntar Recentiores, huiafinodi ce(psétus in Dco libenter admittit. Ceterum Do&. loc.cit.& ibid. Lichet. Ba(lol. Barg. Vige rius, S acriter Mair. infequitur, et alij Scotiftz paffim hos etiam relpe&tusne[we in Deoad creaturas, et quidem ratio &. allara ex neceffitate Dei deducta vrget etiá de traafcédentibus, quia crcatura,criam quoad etfe polfibile;& fcibile contiderata, adhac non eft in eo 2radu necefficacis necetíaria, in quo eft femper .n. eius ncceffitas crit participat2, et idco ponere cccacuramrnó ede poffibilem,non e;iet ita impoffibile, ficut a« liquam realitatem in Deo aon cffe ;quia aihuin eile potfibih non eft ita ncceffari, vt Deus, et une ex hac pofiuione imnas nnporlib;a videretur fequi iaspof fibiliis, wouigitar ad creaturam euam intals (tatu necetfitauscon(ideratam ad. mti deber in D'oiclatio realis ; quias Deus cfct;ctianifi omnis cteatura rcpuLega. ie pute e ficut Mehr non ar in [uo effe a contingenti, feu ( nc lis de    d iz )illud E AF exigit ad (ium effe; ita neq; magis necef farium pendet in(axede à anas neceífarió, fcu illud necetfarió cóexigit, alioquin vmm non effet magis necelfarium. alio, fed effent in equali gradu neceffitatis, nam implicat in adie&to dicere vaü ens neceffatium coexigere aliud ad (uum eife, et adhuc effe magis ncee(facium il lo, quia fi concedatur mag,s neceflarium. potle deficere deficiente ininus neccífario,& € contra;iam illa duo effc equas lis necefTizatis, quia ità vnum coextgeret aliud ad fui efie, ficut € conira; et hac róne Scotica captiuati. Vaf. dilp. 104» c.6. Suar;di(j.47.cit.(c&t. 3«n.6. et (e&. 1$ n.1 j. et p.p.traCL, 1. lib.2.c.26.n. 14. Hur.dilp.t s. Met.fec.9.& alij negat rela tionesttá(cédétalesin Deo ad creaturas. 66 Adtauoné dubitandi allatà Doct, cit.$.,4d arg. 1.qu&fl. remitti: fc ad inferius dicenda de omnifci entia et omri»o tentia Dci in. feqaenub. diítinctionibus 3$.36.& 43. vbi docet huiufmodi perfe&iones potie dupliciter fpectari, vno mo. do fundaaicntaliter,& pro denominato; et fic fant perfe&ioncs abíolutz Deum: dénominantes fandamentalitet omnipo-. renteas& omniícientem, alio modo proe formali, et fic fupperadduat rcfpcctü ra« tionis, vndcimplicantibus creaturis ad huc Dcus diceretur omni potensob per4 fc&tionem abfolutà,q in ipío omnipotétia importat ene ovis refjcétüratioms ad creatnras, 6 poílibilestorent $ hocottendituc euidenter, quia etiam de fa&to non idcó €hyixara diciruc impoffibilis quia Deus ncueaviliam produe ecre, et illi potentia der, led et contrà po:entia De: nonposefi exire im actum Circa chymzram,quia ipfi dccfl potentia paíliua,vt pcoducatur, ergo detectus po tete Fafbux incrca.ura ad produci nó infert in Dco dcfcétum potenti actiuae ad producere, aiioquin vciann e(let dicere chymeram eiie uon poile,non tantum ia ipfa ex íc repugnet, fed eiiam quia. eus non pót ilia producc:c,cum ergo impoffibilitas [cinpcr cencatuc ex. paite Ddd 3 p 654   Dif-VIUI. De Peedlictm. gefpslluisz rei, non ex parte Dei, fatendum eft,quod fihomo eflet in. fe impoflbilis ;ac etiam quzlibetalia creatura, adhuc. Dcus effet emnipotens crátum ad intrinfecam perfcétionem, et virtuté produ&inam cius, nam repugnantia hominis aon oriretur cx Dco, (ed exipfo homine, (icutnunc eritur ex chymera ; et hac (olutione vcunturomnesiclatt Auctores.    Dices,on nipotétia in fe efl virtos acti ua, crgo infe cft a&ina alicuius fact;bilis,quia nó cft a&iuafui, crgo neceffari refpicit trácendentaliter aliud à (c. Cof. 1tà fe habct potentia faétiua. ad fa&tibile, ficut vifiua ad vifibile, crgo ficut hac concipi ncquit fine obic&o vitibili, ita nec illa fine tcrmino fa&ibili, R cfp.quod oniniporctiain Deo, vt«fl perfectio 1unpliciter, efl virtusactiua olicuins fa&ibilis, ncn qvod formaliter conftituatir in fuo efie pet ordinem tranfcédentalem ad illud, fed (olum quiaeft perfectio ab(olu-, tanata terminare dependétiam creaturarüns poff. bilium ad ipfam ac etiam ad illas,vt jofli bilcs,fundare ordinc rónis, de quo vidc Lichet.1.d.30.q.vn.iníol. adar gum. Greg. Ad confir. nó currit paritas, quia potentia vifiua ip fua entitatc depen detab obicéto, et idcó dicirordmé uanfcendentalem ad illud,id aüt aífcri nequit dc poicmia factiua D ej,fcd tota ciustormalitas debet indemnis faluari finc depédentia à creaturis, et ideó conflitni dcbet in perfc&ione abfoluta nata: fundare rcfpeGtum rationis ad creaturas poffibiles,. veléatum réalem dcpendentiam in tali ftatu poffibili terciimare, quia vt fzpias. dictum ett, quantum ad denominationes rclatiuasnon cft ferendum idem iudicium de Dco, et creauris ARTICVLVS. «n fubieium. Relationis efie debeat ncce[sarió accidens, e? boc abjolutum ita quód.ncqueat. e[se « re[pettiuum 67 Tuus Tho. 4; cotra gentesc. 14. nega(e videtur fubflantià eflc gofle proximü, et immediatum B clarioais prédicam.fundamétum, vnde quidaar Thomiftz folam verborum S.Do&oris(uperficiem attendentes, hanc fentétiam;, vt de cius m&e SP RHInpPeuiD: fauere videtur Zerbius nofter 5. Mct.q.18.. ad . Dicendum feriatim. Oppnfitüta men docct, vcl potius (upponit Doa. fMct.q.1z. et 2.d.5.q. r, et paffim in fua: do&rina, et cum co Scotiílz omnes, ac Ncotherici, Suarez ; Ruuius, Blanc. et Thomiflz melioris notz Caiet. Ferrar. Sencin. Iauell. Mafius, Capreol. et alij,. qui explicant D.Th.loc.cit.locutum fui(fe de Relationibus maiori ex patte, qua fundantur inaccidenti immediate, nan pofle quog; aliquasin fubftantia fundari expre(sé docet opuf.48. trac.5.c.4.& cft expre(Ia Arift. mens $.. Met. c. 1 $. vbi ait vnitatcm in fubftantia facere identitate ficut in qualitate facit fimilitudinc, et ia quapiitatc zqualitaté, idque probat Mair-r.d.29.q. 3. mauife(ta rationc, ir$c eR rationabile vidctur, quod habeant inter fe conformitatem, quz (it rclatto prz dicam. et dicitur fimilitudo, et quod duz (übftantiz ciu(dem (pecici y. v.g. duo liomines non habeant fuam propottionatam cóformitatem, quz dicatut identitas effentialis, ficut .n. qualitatibus attenditur fimilitudo, vcl difIimilitudo: accidentalis, ita. im (ubütantijs attenditur fimilitudo, et | di(Timilitudo ciTenzialis: imnatura qua dicitur identitas, et di uerfitas,. et (unt rclationcs. prz dicam.. quia dcftru&o v.g. Brunello nomamplius. Petrus dicitur ab co actualiter. digcríus,,. fed (olum potentialitet,. (icutalbedo nom dicituramplius (imilis alteri albedini ia deftrudtz,. Ruclus dum. ignis. generat ignem, et homo homiucax » generatio prius. termimatuc ad. ignis ES » u&m ad vllum accidés, ergoinillo priori Codex relatio effectus in. (ubitannia i» nullo medio accidente, et filiatro in homine ad. patrem, Nee dicas Paternitatemy. et filiationem fundari ina&ione, et pa(-. fione, quz funt accidentia. Nam  inferius cum Scot. quol. 1 z. C. et 4. d.6:4.10.. I. et d. 13. q. 1, V.id effe filium oftendemus, quia illis tranfaQtis manent. yrzfai relauionesadcó quod inuncdiaté füdart dcbentin fübflantia Patris, et Filij aua QJ. ei Una Relatio fundari poft aliai Ge IT. 653 üt faltim in potentia a&iua,& palfiua, "quz vtique realiter mon d:ftinguitur ab orum fübftantia, vr accidens (upcradditum;'«t dicetar in lib. de Anima. Dicces;vnitatem, et pluralitatem geneticam, et (pecificam in omnibus predi. €am. reperiri, et (ic etiá relationes (uper illasfaudacz.(-idétitatem, et diuerfitate,, €rgo(unt relationes tranfcendentales, no przdicam« Neg. confeq. quia relatio non dicitur tran(cendens ex co praecise, quia per omnia;vel plura przedicam. vagetar, wt dictam eft q. 1.lic. n. inhzrentia actualis edet relatio tiáíceodens, fed quia identificatur.cum (uo fundamento;igitur quia "identitas, et diuec(itas (pecifica, vel generica realiter a fuo fundamento diftinguütar,idcó cen(eri debent relationes przdicam. et licet fpecialiter fundari dicantur in fübtlantia, tamen (uo modo fundantur 'etiá in alijs predicam. vnde in quátitate, "& qualitatefundátur ratione vaitatis rcTationcs duplicis generis, ambae tamen ad "primum modi telatiuorum fpe&antes, nam rónc vnitatis in (lentia fündát rclationem identitatis, ac ratione vnitatis in radibus intenfionis qualitas fundat rcAel fimilitudinis, X rationc vaitatis in partibus extenfionis quantitas fundat relacionem zqualizatis ; cx quo patet fimilitudinem, et zjualiratem non funda. ri in qualitate, et quantitate rationc eísctiz, nam hac rationc dug. albedencs dicuntur ez dem, (ed ratione alicuius modi accidentalis. Videantur dehac re Mair. cit. et Ant. And.lib.[ex. princ..q. 9. 68 Maior cít difficaltascitca alià que fiti partem, an vna relatio füperalià fundari poffit, Negat D. Tho. 1.p.q.42. art. uad 4,& q.3. de potentia art. 3. adiz. et cum ip(o Thomiftz ocs Caiet.& Canar. 1:p.loc.cit; Fertar.2. contra gentes c. 12. et 13. Sócin. ;. Met. q. 29. Vaíq. difput. 166.c, 4. Didac.difp. 14. Log.q.3 .Coplut. difp.cit.& alij palim. Aflirmat Scor. 2. d.i.3. f-H, et iterum $..4d qusfl. vbi fc . Citacm 1.d.19. q. 1. $. Hic primó videndiis et 4.d.6.q. 10. E-& quol. 6. $. de rerti0,& alibi frequeacer,X cü iplo $cocitte omncs Mair.& Ant. And.;am cit. Liche. in 24loc.cit. Tatar.X lo. de Mag. in Log. etb.5. Met.g« 18.in fiae; Fab. ibid. dif». 24. Durand. 1,dig, q.2« Suarez difj. 47. feck.rr,n r1. et alij Aliqui vere has opiniones quali conciliate volétesim uiuat, relationem poffe conüdecari dupliciter, primo formaliter, et e(Tentialiter, quo pa. Cto «ít rario referendi voum extremü ad altccum libi oppofiti vt v, 2. paternitas, etl ratio rcécrendi. patrem ad filium, .& fic ncgant relationem efe poífe fundaamcncam relationis, quia vt üc eft.ratio referendi noa id, quod rcfertac ; (ecundó macecialitery et accideataliter ; quatenus . f. vaarelatio conacnit cum aliá eiu(dem tÓais, vt paternitas compatata cum alfa parernitate, ad quam fuad it relationé. (imilitidinis,vel identitatis, fic.n. non cft ratio referendi, fcd id, quod refertur, et in hoc inquiunt relationem cum abfoluco conuenire iX accidere relationi, vt rclatio cít,quia vt zal.s nó refertur,(ed refert; dicun: igitur D. Thom. negare rclationc primo 0 con(ideratam polfc. aliam tclationem fundare, non aucein fecundo modo, in quo cantüm.fenfü afficmauic Scor. ita videtur (enüre Fland.5. M.t.4. 16. Ruuius in Log.c.7.q. 11. Dlàc.difp. 11. [ect 8. Sed fané hac conciliatio friuola cít, quiaqua(tio non eft de relatione in primo fen(usfed in fecundo, et in co nzgac S. Thom.po(Tc aliam fundate telationear, vt ex ciu$ratonibus conftib.t, et Scotus affirmat, quare przfati Auctores ita feutiendo (tant à (carentia Scoti., nam adamuflimin eo feníu, quo ipti declavát, intelligit Doctor poífe vnam telationea cíle alterius fundamentum, 69 Dicendü itaque cum (ecunda (entenua vnam relationé poífefaper aliam fundari Ita Scotus loc.cit.cum Scoti(tis. quos teftatur Auería q. 15. Phy. fe&. magis confequentcer loqui, poftquam fe» mel técHdenne peuianct ird pen &as à rebus,quàin ipfi Thoini Doétor au&orit, Euclid. 5. lib. Gcometri, vbi definit proporcionalitatea  cife duarum preportionü fimilitudinem, fed proportio, et proportionalitas funr rela. uones,crgo &c.. Probá: deinde Mair, et Ant. Aiid.cit. ratiooc cuiden:iffima, qua Suarcz& alij noti (unt ad no5ilcuin [ens 3 Ddd,4 | dei"s €;6 tiendum, quia relationes etià denominationcs rcletiuas (ufcipiant veras, acreae les,non minus,quàm eatia ab(oluta ; duze «fi. paternitates dicuntur inter fe (imiles, ficut duz albedincs, limilitudo cít enti tas diucría à filiatione,ac patetnitate, et P es magis rcfert, eft, quod huiu(modi cnominationes (unt prefaus rclacioni  bus accidentales, (tante .n. pateraitate, v.g.Pctri, incipit de nouo effe (imilis, ali paternitas de nouo m" uc, et deli. nit cíle fimilis, eadem deftra&a ; incipit e(Te diuerfa ab albedine, fi hzc de nouo producatur, definit effe diuer(a, fi de fteuatur albedoscrgo huiufinodi denom: nationes fiét per relationes veré  et rea liter (aperadditas, quia hoc fuit fuperius venom cx pracipuis métis ad diftin £ucndum relationes à rebus abfolatis, Refp.Thomiftz neg. paritatem, quia dur dra vien (unt inter fe fimiles fun. damentali'er tantumj& negatiué, quatc nus non (unt diueríz (pedis daz albe. dines (unt fi miles pofitiue per relationem [uperadditam. Hzc vtique c(fet optima reípon(io,fl a(fi gnaretur ratio,cur potius duz albedincs habeant inter fe conformi tatem pof(itiuam, nó autem duz paterni tatesícd hic labor hoc opus eft, fi autem hzc maior ratio non a(fignetar,aut etiá  jnabíolatis nogandz eunt rclationes cü Nominalibus, aut. ctiam in ipfis quoque relationibus alias quoque fundart pote faxcodum etit cum Scotiftis. Dicunt igi tur aliqui paternitates non poffe fundare relationem (i militudinis adinuicem,bene tamen albedincs,quia rclatio eft minima, ac dcbili(mz enriratis, vnde non porc rit cüe caufa,nec materialis ncc cff ctis ua alterius forme, et cffedtas. A 7o Piiuclatamenrefponfio,nà quan» t ípe&at sd munus füftentandi, ncgant sah fundamentum etie (emper maroris entitaus re fundata, nà materia prima eft perfectior ipía forma (ubftantiali, quá tamen futtentat ; et quando ét id concc deretur, inquit Zerb. cic. licét relatio fit dimriput entitat;s reípcótu accidentium abíolutorum,tamen intrà fericim relauo gum poterit vna cfie perfectior alia, et cgn(equentgr idougum cias fugdamcnua, Difp. LT. De Pradicam.refjetliuis Tua quia :elario fundanda non eft tani. ' ponderis, vt ad cam füftenrandam alia 2» relatio non fufficiat, immo cum fit debi lioris cncitatis,quàin relatio fundans non multüim eam grauabit, et quando n'mis pene, cum prima relatio fupponatue undata ;n abíoluto, non cít ruinrz ti mendum, nám faftentabitin virtute ab foluti, cui tandém tota rcelaionum ftzaes innititur ; Quantum veró fpe&tatad mu nus efficiendi, cum relationuu cfficictia fit.p modü (implicis re(ulrárie, et dima nationis, vt fupra dictum cft,nó eft necef (aria maxima entitas, et virtus ad illam 5 et fi pót vna rclatio aliam cau(are in gc nere materialis caufz ipfa (ubítentando, vt ptobatum cft, potetit et 1n genere cf ficientis przfato modo; nec talis cfficien tia viderur repugnare relationi fundanti » (crtim fi ponamus cam in ordine teationisc(feperfe&ioremfunda ta.Tan«demhzcre(poníi ononeuadicdifficultat emprincipalé,quomodoinrelationibus(aluécurdenominationesrclatiuzfincalijsrelationibus, quzponütur1abjsreb,Alijproindealiama(fignàátdi(paritatem,quódrelatiocítmodusrei, atmodusnonhabetmodumineogenere, quomodificat,vndeactionisnócftaG0, nequefigurafigura,cüigiturrelatio,fityquaaliarefcruotur;nonperaliamcelatonemfed(eip(arefcrcur,&ficpaternitas(cipfadiciturfimilisalteripaternitatij(imilitudo feipfa eft diuería à patetni tate, ita Sóc.Caict. Ferrar. Fonfec. Vaf& alij ex D. Thom. 1.p«1.42.cit. et tatio, huius cft illa vniucríatis regula, quód ia uocuna; gencre id, quo aliq uid eft tale, fuipjo, Q" non per aliquid aliud e[i tale, quam etiam nos recepimus fupra q. 2 art, . 1, infol.ad 4. inconucnicns. 71 Hzc& folutio facilé reijcitur,quia licét modi noa detur modus in codc gc ncre, quo ipfe modificar, datur tamco in diuerío; vt v.g.licét vnio nó indigeat alio vnionts modo, quo ipfa vniaz, vel vnia« tury indiget tà a&ione à (e diftincta, qua producatur, quia vnio non c(t ró agndi; ideni dc buds figura,& al.js modis otic dipotelt, et ratio buiusc(t, quia gp cft Quo in ypo gencre, potcítefie Quod in Q.V. efnvna Relatio fundare po[sit aliam, dArt.H. 857 alio, vc cóftat de cognitione v.g. lapidis, «um .n. ipfa it Quo epr(entaur lapis non cgct alia cognitione, vt ipfum reprzc.   rA ndwtttor id get alia cognitione quia fic cuadit Quod, Sic zigiur in propofito, licétrelatio (eip fa atur ad (aam tecminü oppofitü, vt paternitas ad filii, neq; ad hoc alia in digeat relatione fuperaddita, quia reí pe &u illius eft Quo, ad difparauum tamen fcipfa non refertur v.g. ad aliá paternita tem in ratione (imilis, vel ad aliquod ab folutum inratione di(Timilis, (ed indiget noaa rclatione fimilitudinis,& diucrficatis,& huius tatio cít, qaia paternitas rcÍpe&u filij vtiq; habet rónem relationis, non tamen rcfpcé&tu albi, vel alterius patctnitatis,(cd habet rationem entisdifparati,& idco inordinc adilla bene funda. re poteft rclationem fimilitadinis vel diucriitatis abfq; quàd relaciones dicatuc cflc relatio, ficut de cognitione lapidis dicebamus, quód alia reflexa cognitionc cognoíci pot abf4; quód. cognitionis ut c(le cognitio, quia tunc non habct rónem cognitionis ed obie&i ; vndà ' €x hoc potius noftrum pot cófirmati arguincntum, quia (icut modus indigetalio inodo 1n diuerfío gencte ad habendum ncmpc eífectü formalé diuer(um ab co, quem ipfe prabet, (ic paternitas, vt d;catur limilisalteri paternitatijindiget nota rclatione fimilitadinis, quia eife fimile eft effectus valde diuer(us ab ille, qucm ipfaptzebci Illa vero regula 1djs q49 alí1 esi tale, C c. inteliigéda eti formatct .t in ordine ad illud, refpe&tu cuius habet rationem Qo, non aüt reipcétu alterius, refpectu cuiis pot hsbere rationé Quod', vt conftat ex allatis cxempls 72 Inoppof obijc. 1. cenui(fimà end' taiérelauonis, qua poinde inepta eft ad aliam füftentandam. 2. quia tria tantüm ta rclationü pofuit Arift, 5. Met. €-15, vnitatem fuübftanciz quantitatis, &c qualitatis pro primo gencre, actionem, et patTionem pro (ccundo', et men(uram pro tertio, feá relatio nihil horum ett, vt cóftat. Tertio quia in diumis darétur aliz relationes reales prater quatuor, nam tclationes illa: habent inter (e «bitinctioné, et oppofitionem, qui cíTent ali rclationes (apet ipfas fundatzs, Quacto a&io non fit per aliam actionem 5. Phy(. 10. ergo nec relatio rcfertar pet aliam rclationé. Nec valct allata tefpontio moi pole e(fe mpdü in dinerío genecc modificádi. Quia hic femper fiftimusin code gcnecc.l. reterendi, ücut ergo aGtionis noncít a&io,quia u gcnere agendi ipfa met eft ratio agendi, tic nec rclauionis eft relatio,quiaà toto gencre ipfa ettratio referendi . Quintotandem darctur. pro ceflus in infinitü in relationibus realibus,, fi .n. paternitas fundat rclationem (imi liradmis ad aliam paternitacem,& é con« tra; hzc vtiq; fimilitudo rurfus tundabie fimilitudinem ad aliam, et e contra, quas fimilitudines erüt etiam inter fe fim:les. 73 Necvalet rcfpofio Scoti in 2. loc. cit. non dari proccílum in infinitum, (ed duri ftatum in (ccundis reltionibus,quae feipfis ceferantuc,vndé dà dus paternita tes dicuntur fimiles, vtiq; tales dicuntue per Gmilitud:né tingulis add.tà,(ed .uan4o pottea i(teduz fiailitudines inter (e dicuntur fi miles)boc noa fic alijs relatio implicat vrram (ine altera con(eruari, ci fint (imul nazura, eft autem a generalis à nobis ex Scoto in fuperioribus tta dita,g» quando fundamentum ncquit e(fe fioe ccemino., ad quod refertur, relatio, a referturnó.eft ab iplo realiter ditim& Nonvalet, quia optigé vcget Oz hi, quamyis identitas Sortis ad Platonem nó flit efie (ine identitate coricfpondete latonis ad Sorté, atq; ideo in his poffit re(ponfio Scoti habere locü,camzn iden» titas Sortisad Platone pór effe [ine identitate Ioannis ad Paulum ; vel (tando in exemplo de paternitatibus,icét m.l:tudo vnius ad aliam nequeat. cífe fine fimi Iitudine alterius (ibr correfgoadente, ta» m (imilitado duarum potett cife finc fi militudine re perza inter ali55 duas, X tic in lis re(pon(o Scotr noa valct . : 74 Ad i. [atis pater ex di&is. Ad 2.ef Scot.4.d. 6.q.10. lub D. quod vnitas, et pluralitas generica, et (pecifica, (upec quas füdácur relationes primt modt,reperiancur in oib. prz dicamétisíctuata pro pote "653 portione, et analogia ad ipsü (ubflantiz, atque ideó &c in, ptzdicameato relationis reperiri pot. fufficiens fanda-. mentum relationü primi modi y quia vna relatio cum altera comparáta vel cfteiufdcm vcl diuerfa ration;s ab illa,& Aviíc. loc.cit.pcr vnitatem fübftancig intelligit vnitatcm e(fentiz qua eríam in acciden : tibus reperitur. A d 5. Faber loc. cit.con. cedit relationes oppofitionis, et d'itin&ionis in diuinis e(fe relationes di (Lin. &as à rclationibusoriginis fundatasin illis;Sed potiusnegáda cít co(eq. quia per regulam coti ci. 2.d. 1.4.5 infra N,ordo pofitionis relatiuz vnius elationis ci ia& diftinctionis ab illa, nó debet eíe alia relatio realiter diftinGa, quia implicat vnà fine altera cóoferuari,cü (int fimul matura, vnde Suarez cit.hác Scoti doctri. ná, (ecatus inquit aliquos re(pe&us c(Ie intime inclu(os in ipfis relationibus,vt q. : üt ad propriosterminos,& relauones op : pu, quam do&rinam immerità Fanon rccipir,ci hit expre(sé ScotisaliQuos veró cffe accidentarios, cuiu(mo4i funt;qui refpiciüt alios terminos,qui per accidens (e habent ad talcs relationes ; vt v.g.in paternitare cx co,gp cft ratio referendi patré ad filii, includitur intrinfecé, et ineparabiliteroppofitio cum filiatione;atq. adcó diftinctio, at verb refpectus fimilitudinis vnius: paternitatis ad alian non includitur inuínfece in ipfa paternitate fed accidentaliter quia yna paternitas eftterminus per accidens alterius, et vna potett cífe (ine, refpectu ad aliam,vt v.g.fi illa alia deruerciur. Ad 4. ficut a&io creature dicitur ficri per actio né Dci,quiarefpe&tu Dei nó habct rón€ premit P effc&us,quia no c(t Deo ro arendi,íed crcaturg., fic relatio, licec reípe&tu termini fui nó dicatur referti, (ed refcrreyre(pectu tamé termini extranei, ac difparati poteft dicireferri,quia reípe &u illius noti habet rationem rclationis fed entis cuiu(dam difparati,vnde conce"dimas rclationem,vt (ic formaliter cóofi 'deratá, nó fundare aliá relauonem, quia vt lic conlideratur inordine ad propriü terminum, vt conftat ex dictis . 75 Ads. cócedunt aliqui progrcffum Difp. VII. De Pradicam.vefpeiliuis:   7 ininfinitum.Sed licet Do&or loc.cit. ip. Sum ad uitat in relationibus róais,negat tamé oino in reslibusprafercim 4.d.6.q. 16. E. in quibus eft euitandus, quantum ficri poc,prz(ercrm in pecíc ordiaatis,et docet Arift.2, Mer. inrer relatione vero, et fan lamenrü datar per (cocdo, quare cóc'udic Doctor, gy ficut in accidentibus dacur voü (ic vltimum, valens fabie&ü etie nequear,ica in relationibus, ideà alij negant progceffum in infinitum, (ed variant in affignanda ratione; quidam ne fam proccífum ininfinitum,qu:a tàdem cuenitur ad ab(olutam;quod eft vltimatum (abie&um omniü relationum, Sed ifti nó capiunt argumcotum, gp probare contendit proccílum in infinitum in aícé dendo refpe&u relationum, quia nunquá daretur vltima fundata. Alij proinde negant hüc proce(fumquia cum etfeétus p cedens à caufa eà fit imperfe&tior, et impotentior ad producendü,quó magis recedit à (ua caufa, vt patet ex calore produdo ab igne vniformiter difformiter,na dcuenitur ad calorem, qui non poffica. lium producere, fit vt relatio, quó magis recedit à primo fundame:o, có (itimperfe&tior,atq.adeodcucniaturadr elatio.né,quaznóhabeatvimfunda ndialiam,&hanccenfetAm ic.q.6.dub.3.ar.2.eifetutioré folutionem;quzdaripoflit. Ceterüncq.ifta(acisfacit;tüquiaquofaluabuatiftidenominationesrclariuas in illis re. lationibus vl iimis,qua alias non fundát, faluati et dcbebüt in ceteris celationibus ab(a, additionc aliarum, imó et in ipfis abfolutis ab(4; vlls pzfus. relationibus; rum quia hac (olutio nititur ilii falfa do&ring de tenaitate relatignis, quod alià fu ftentare nequeat, (upra refutatz 76 Itaq. rcfp.folutione Scoti inter arguendum data, pro qua vide fupta q. 5. ar,2.in (ol. ad 4.ablurdum, Ad impugnationé ibi fact ne. etiá progrelsum in infinitum;dabitur n. fL atus in ca recla» tioneycum qua ceicrey quz conciperene tur con(ürgere sconueniunt in tonc fundandi, et in ratione refcrendi,v.g.duc pa tecpitates fundant relationem tiailitudinisinter fe, fi hzc (unilitudo cooferacur qum altcra,qua tepzritur inter alias duas zx pater[S . o0 Ghpreous, 9.V.cnrvna relatio pfsit aliam fedes. 659 paternitates,vt eft cafus in arsumeto pofitus,(cipía dicetur fimilisilliy et nonalia fuperaddita, quia fi vlterius pergas, eandem femper reperiés ronem fundádi.f. có ucnientiam,& eamdem femper rationem referendi;& terminandi.f. vt fimile; et ja riter rcípódendü eft fi argumétir fieret ad multiplicandas relationes diffimilita.. dinis, fcu diuer(icatis eodem modo argué do; lXóné huius afferunt Ant.And.& Ma it.cir,quia cum in vnaquaq. denominatio ne deueniendum fit ad aliquid quod in illo ordine dcnominandi eft ita Gxo; vt ne queat efTe Qod vt albedo nequit efie al ba;quátitas quanta;& fic de aliis fic in p polito (i (tendüfemper cft in illis relatio nibus;qua dicücur ad al.ud per denomina tioné etudem rónis cum ilia; q intrinfecé fecü atferü:,vt dü fimilitudo dicitur timilis, diuer(itas diuería ad fufci prendas n. has denominationes nó jadigét relatione realiter diftin&a;(ed ad fammü formaliter,qua foluriome ctiam vtitur Suarez loc. Cit. et eft do&rina Scoti 5. Met. q.12.$. vd ta5dü loquitur de id entitate, Sed cótra hác folationem vrget Aucrfa cit. quia relatio ad fimmü poterit per fcipfam dici ad cundem fuüterminü, nó aüt ad alium terminü difparatum; fcd ad hunc indigebit alia relatione vt fimilitudo vnius paternitatis cít alia poterit vtiq. fcipfa dici fimiDs timilirudini fundate in alia paternitate;ga cft fimilitado ilii coc relatiué oppo(ica.at fimilis alteri imihitu dini i alio termino diipararo fundate dici non potcriaGnifi per nouam (rmilitudiné praectim per Scotü, qu: rehitiones mul. tiplicat ad multiplicrate cerminorü. T ü quia fempcr vrger ró tandamé:alis dittin guendi re lationcs à fundamento, fimiltudo .n. duacü patcrn.tacü dicitur fimilis fimalitadini 2 lia cir tuarüs «u:bus detiru€snonamplus tic itur fimilis ergo nom feipta, fed per rclactonéfimilitudinis fapcetaddità antca dicc bscur brmilis; Tütádé, quia poxerix (alum hic rclationüpro€ctius minfintüirah: p deoomimauoné femper diverfa ronis ab 1l rclationescur tribuitur j vt patetnitas et. milis alteri . paternitati hax firailitudo cft diffimilis hac diffimilinido cft üaulis alteridiffimilitudini ;& (ic deinceps tráfeüdo de vna in aliany nationé « 77 Mefp.affumptü efle verumquando relatio dicitur ad alium terminam per de nominationé diuer(z rónis, quia fic ha» bet rónem Quod at fiftendo in eodé ge. nere denominandi,(eipfa tefertar ad qué cüq. termipü, quia jn illo genere femper eft t6 formalis referendi, et ett ita Quo y vt riequeat cíe. Quod,cü aürc Scoc.docet in 3.d.8.relationes muluplicari ad multiplicationé terminori, intc!ligit, qp relae tiones eiufdem ronis, et denominiconis multiplicentur in eodé fundaméto, prefertim abfoluto, iraquód o&s immediate fundcntur in illoy& non vna fuper aliam vt infra 4 6.atr.2.ad 3.confir. 4.arg.prin. Ad z. valet illa ró ad dittinguendas rclationes à (undamentis inalijs rebas, quia fuadiméta illa fumt ita Quod, vc indigzát Quo ad (afcipiendas denominationcs rc «latiuas,nó:aütvaletdeformisrclatiuisiaordineadformalesdenominationes, quasfeciaffcrunrinicinítcé, quiainillogeneredenomimndr(untita Quo,vtnequeáteffeQuod;quare ad hzc, et fimilia argumenta negandum c(t (imilitadinem abfox lute, et in re&o poffe dici timilé, et diuer firacé diuerfamyücut vnig nom pot ab alia vntone denomimiri y neciprzsétia ab aliz praíenta,qua doctrina paffim €t ab ad ueríarijs docetur. Ad 5. difficilior eft rez fponíio, quia proce(lus in infiniti trahi tür per denominationes femper diuer(ae rónis ab 1lla relatione cui tribuitur, poffcé tf dici fimilitudinem, q'denominat paternitatenr (imilem;fufficere ét ad deno ininanda (rmilem di (fimilitudinem imipe fa fundatá; Prauidit hác cefpoionem A. uería idco conatur eam pracludcre, quia: relatiocft modus, nec habet denominateg feüteferre,niti fuum fabicétü,cui ineft tum quia dü fimilitudo dicebatur diffrmilis, et poftea diffimilitudo timilis, nó pot dcnomrmari (milis pet candem illam fimilitudinemyin illa. n.tanquam in fubi Go fundabatut, tcs aüt debct referri  et dcnomimari per relatione fibi inlwereté. Hzc tamen tó param vrget, quia no folum forma in (ubicé&tü ; [ed etiam fübieGum n formam denominationem deriuarie eco   Difp. VII.De Pradicam. Refpetliuis tiare pót,nam nom folum quantitatem di«imus aibaa,fed ét albedibem quautá,vt £use oficndimus difp. 5 .Phyf.q.3.art.a. (i &üt ergo quátitas, quz mediat inter (ub. flantiam, et qualitatem, vtrág. denomi« niat quantá, fic in propoüto relatio fi mi. Yitudinis, quz in coordinarionc illarü relationü, velati mediat inter patcraitaté, inqua fundatur,& di (Timilitudinem,quà Südat,fufficiens eft ad «tri. denominandà (imilem,vnàquáq. tà in füo ordine ni(irum paternitarem alteri paternitati S aliffim:litadinem alteri di(Timilitudini . 78. Solum contra sien pofíct, » tum hzc extrema fint. non folum numczo; fcd ctiam fpecie diuer(a, nempe dua gatern.tates,& dag di flimilitudines,non videntur per eandem fpecie relatione rcferti pofle,fed per aliam, et aliam, efto in gradu generico fimilis poflint cóaenire ; Sed huius folutio dubij pendet ex infra di«endis de fpecificatione relationi ab exztemis q. ro.art. r.in fine,vbi oltendemus fatisprobabile c(Te omnes timilitudines, inter qua cüq.cxtrema reperiatur efle intct Íe ciu(dem rónis, qua admiffa do&trinaibi probanda, abfurdum non crit ean dé numero (imilitudinem referre paternitatem;in qua fundatur, ad alià,& et dif" fimiliwdinem;quz fuadatur;in 1pía ad a Vià atiter diffimilitudinó, quia .n. limul, et (emel aflicic paternitatem,& di (fimili taüdiné modo pradechlicato,idcircó quàuis formaliter fit vna relatio, rf virtuili£cr eft duplex, et rcfert ad duos termimos ; hac reíponíio videbitur forté cuipam voluntaria (ed cogitet i(le quid mel5, nos«n. ingenué fatemur aliam vfque znodo nos non videre viam euadcndi, et libentiusprasfate ref pótioni volumus aceuicítere, quàm pcocelfum in infinituay admittere Caucat tamcn à Camer. qui. qu. 9. log.ad euitandam hanc difficulta&c m, negat diftin&ionem; diuerfitarem y diffimilitudioem, et alia idi€crcre sclationcsreales, aiferenseffe, » tantüm negationcsrelationam oppofita. sum y quod conítat cx dictis clle falíum .. Qv &STIO VE In qua confideratur relatio ex parte termini. ip gone natura relationis ex parte fundamenti,nunc vcnit confiderá da cx parte termini, et quia ctiam ex bac: parte plures emergunt de rclatione diffiCultates, ideó hzc quaítio in plures diflcibuitur articulos . ARTICVLVS I. "1n relatiorealis nece[Jarió. petat terminum realem y, € attu exiffentem . 79 py Eltionem rcalemneceffario pe tere terminum,in quem tendat ;. fatis cóttat ex dict. q. 3. etiamfi circa illànullà exerceat caufalitaté phyficá,& realem,vt di&ü eft q.2.art.2.infol. 1:abfur dü;quia vt docet Lich.quol. 1 1. in refpófione ad inftantias contra 3. ditum, li cét terminus non requiratuc ad relatio. né,vclut caufa totalis, vcl pactialis cius,. cum non caufetar ab illo, requiritur ta« mé ue formale effe relationis, quia: relatio formaliter eft habitudo ad aliud,. itaquod fi nihil ciet ad quod relatio ter. minaretur,relatio nullo modo effet, itavt terminatiué cau(at, tanquam conditio» neceffaria, qug caufalitas reductiné perunctad caufalitatem forinalem exicinfe cam, et ifte cócurfus in genere caufg ter minantis cft ita nece(larius,vt frequenter aduertit Barg.ex DoG.$. d. 15. 4. vn. in: fol.princ.vt ncc ét à Dco fuppleri qneats,vt patet de atu intcilé&us ; et voluatae tisin ordinc ad'obicáta, potcft .D, vuque Dcus fapplere vices obieGti in genere cf. ficientis cau(z, non c terminantis ; ficuc ctgo nequit a Deo cobfetuari relatiofi ne fundamétojita nec (inc termino; quà tücunq. in abftraGto confidéretur ;; Non: igitur quaflio pracfens quaerit, num«aelauo po aliquà ntiam fine ter« mino doicrian, D ióen elicnualicer dependeac ab illo modo fapetius expli« cato, hicncceifario fupponitur ad relawioné cermini exigentiayed [olüm quaeri: . füf ata. num Íempct reae lis& pofitiuus& in quo tatu cui requit Waty QVI Au vilar. petat term.vealen,gJ exifl etr... 661 $250. (femper in ftatua&ualis exiftétig. $o Etquidem non eft quzftio de rela 1ione tráscendentali omncs fiquidem có cedere videntur cum Mair.1. d. 2 9. q. 6. host quos ibi fundamentales ap pellat ad termipum non realem, ncq. a&ü cxiftentem terminari pofle ; et patet manifeftis exemplis potentia n. relpicit a&tü ét vt poffibilem, et non a&tu exiftétem, fciétia babet ordinem ad Ícibile nó neccffarió exiftés, immo, et ad cns quod exiftere nequit, vt funt negationes,& em tia ronis,faltim vt ad obiecta terminatiua vt laté oftendit Ouuicd.contro. 10. Mct. n.2.& ita vniucrfaliter eft de refpe&tiaptitudinalibus, qua-tendunt ad fuos terminos, non vt exiftens, (ed vt poffibiles,& fub tali ftatu po ffibilitatis officien tes unt., vc talestefpectus confurgant in fundamentis . Et fané minus re&é aiunt aliquijquibus cófentit Faber $.Met.difp. a21.& cx profeffo docuit Baffol. 5. dif. $.q.1 rt. 1. przfatos refr effe rationis, non aüt reales nifi quando termini actu ponuntur, vt potentia nondicere refpc&um realem ad a&ü,nifi quando popitur in effcjhac ratione conui&ti quia » relatio dicit effe ad aliud,vt ad terminü, at non ens,vel ens tanti in potentianequit dici aliud, Nórc&e fpeculantur Au étores ifti quia inde (equerctur nullà paf fionem c(le realem,fiquidcm omnes fere co(iftüt in refpe&ibus aptitudinalibus ad a&tus eis cósétaneos, aut faltim tales rcfpe&us neceífario includunt, ité potétia matetiq nó císe realé, vt refpicit formas. poffibiles in ea recipi, et alia fimilia abfurda, licec illi hec o1a concedant ; neq ; eorü ró conuincit quia ly aliud ex vi ug gnificationis non dicit diuccfitatem exi ftentia, fed cfientia qualifci..it;in quo fenfu nó ens bené d:ci óc aliud ab cnte.$1 Remanet igitur fola queítio de re fatione przdicacn.aut ad pre dicamentalé zeducibli ( qu. d adduus ob aliquas rc lauonesimpertectas: .,uz non habécom ncs conditioncs ad realcin exacté neceffarias)& cur(us non cft que ftio de illa tccundum ftatum efscntig.& pollibilicatis có (i derata;fic. n. bene poísunc huiu(modi iclationcs édercad vermunos nó exi ftentes, fed poffibiles, vnde etiam in cói modo loquendi dicere (olemus vnum album cfse alteri fimile, et quantitatem pal marem effe femipalmari maiorem, éfinullum album, et nullum quantum exifteret, hac.n. enunciantur de illis (ecandum ftatum effentiz confideratis,alioqui in ftatu realisexiftentiz non enunciantur, nifi vtroque excremo exiftente ; qGitaque eft, an relatio pradicam. in ftatu a&ualis exiftentie confiderata petat ter» minum realem actu exiflétem in rerum. natura; et comunis opinio contra Greg. cit. eft affirmans, quam Do&or femper docere vifus elt,quotiefcunque aífigmauit illas tres conditiones relationis prz dicam.q. 1. relatas, et ex profefo defene dunt Mair.cic. Baffol. 3.d.8.q.1.art. 1. et 1.d. 3c-3. rar. 1.& Lichabidé, vbi foluit argum. Greg.in oppolitü,Faber loc. cit. et (cquütur Thomifie paffim,& alijNeo therici vnanimiter, quare pro re(olutionequaz(ti cum hac communi opinione, i Dicendum eft relationem predic. petete tecminum realem;& actu cxillentem; eft Scot. 4.d.6.q.10. $. Sed reflant y et ab omnibus rceipitur. Sed quàuis hzc concl.íit cis; cam tamen nó omncs codem modo probant;quia difficile cft haius affertionis a(Dgnare rationem, quae e" non procedat de tranfcendétibus, : vt bené suarez aduertit fec. 8. et quidem. quamplures illa rónes, quas affert Maire cit. pro hac conclufione, quibus paffim vtuntur al;j hanc patiuntur calumnjams. quód zqué de tran(cendentibus conuincere videntar,quas tamen iple vltró cons ccdit tédere ad noo exift ens, vnde fi pro batur relationem przd;cam. effe nópo(ft ad terminum nócxiftentem, quiaens reale,qualis cit ipfa nequit pendereà nG entc,& quia alioqui palet quoque ab en te rónis pédere, et quía relatio cft nexus inter extrema;at non pofsunt realitet ne&i, niti exccema rcalia plane buiufino di, et (milcs róncs a qué de sel pe&ibus tranfcendenribus, vc difcure reati conftabit .. Ideà Suarez alitcr pro» bat ; primo nimirum cx proprietate rclae tiuorum przdicamentalium, qua clt vs dicantur ad conuértenriam,, quae aur co» gertuntur; oportet, vt (imul coexiftant, alioqui couerti nó poffent.quz eft vna ex probationibus à Mair. adductis; deinde probat ex natura relationis przdicam.que idcó accidentalis dicitur, quia re(ultat ia £undimcnto cx pofitione termini, vnde ncceífarió fupponere videtur extcemorü exiftentiam,vt ex eis rcfültare dicatuc . Sed neque hac ratio conuincens cft, nili mclius deducatur, nà-& naturalis fi multas extremorum fuo-etià: modocxigirur ad relationem traní(cendentalem., nam neque potentia marcriz fübfifteret aut ri fibilitashominis, ni(i forma fubttantialis,& actus ridédi forét potlibilis,.& eciá extrema fuo modo fapponuntur,antequà concipiamus in fundamento. rclationes tranfcendentales confürgere,vt v. g. prius fupponzur formapof(fibilis., quàmintelVigamus materiam potentem illam recipezcsprius fappoaitur rifus poffibilis, quà homo intelligatur rifibilis, et (ic inalijs rclationibus tranfcendenubus. Accedity. quàd Suarcz ibi colligit hanc probationem affertionis pofitz cx quibufdam differentijs.,, quas ipfe (upra po(uerat inter rclationem. przdicamentalem,. et tranfcendentalem, à nobisq. 1.refucatis.. $5. Ratio igitur affertionisno(tra potius.cx.co deducéda eft;quia extrema rclationis przdicam.ta fe habent, qj füdaancntumetle poteft (ine termino, et cófeuenrer finc rclationc adillü: et ideo roJatio dicitur illi accidere, nà (à fundamen «um finetcrmino effe non f90eoiá rclao forct illi cealirer identilicata ex regu. là Scoti fuperius. frequenter inculcata ad Ea eMS kel idc itaceca AE m fundamento; cx hocautG uitur. rclationem predicam, non pole : tendere in terminü, vt po flibile, us "&effarió vt exiftenté, quia fundamencum: eius.nequit eife finc termino polfibili;be aéihfine illo; cxiftenti,.vndé: poftca ad. zouà production& et cxiftenuátermini icitur per.accideas ce(ultare de nouo re Yauo-in fundamento. Et hinc eftygy.relatiopradicam, vt à:tcan(cédéci diitiagui&uo, fcinpec dicitur a&tualis,catio eib,quia: SR i ad: viramq;, teciinascoexigatur » vc dics Gag celaliace va Lü » diugciie modétí id c&inzit vtrobiq; nam flatutmeré poffibilitaus (üfficit intermino, vt relatio tranfcendens a&u à fundaméto dimaret,vt conftat inexéplisallatis,non tá (afficit vt refultet relatio przdicam. vt -nquisdicatur a&u Pater,nó fufficit, vt refpiciat filium.in (olo ftatu pof(fibilitatisy alioquin B.V. non folü dici poffet Marec Chrifti fed et aliorü,quia alios: potuit ha b:re filios,.(eddebet re(picere filium in a&u realis exiftétizs, (ic.n. quia aGualis: exi ftentia accídit terminojideó etiam dicimus relationem: przdicamentalem ab co pendentem accidere fundamento, 84 Hictamé recolédü cít ;'qj cü Tar aduertimusab initio huius dip. ex Scde to quol. 13. fub N. et alibi frequenter. dari pofTet relationé realem, eri. prz dicamentalé, et atu (übie&ü denominantem, quz terminctur ad non ens, (eu ad aliquá ncgationem,.vel priuationé, talis: e(t diftin&io;qua forma dicitur à fua pri: uatione diftingui, et dependentia &ómpofiti phyfici à priuatione in fieri, et refpe» quem dicit creatio adnoneffe reii immediaté pracedensex Scoto quol. 1 2. art. 2. et réfpe&us informationisad nom informationé immediate quecas ou uem dicit mutatio ex eodem 2.d. 1q.5.,& 4«d. 1T. q. 1. F.hi omnes re(pe&tus, et alij quamplures his fimiles, (unt ad n» ens,tàquá adaeuminü;ad huc tamé dicun turreales, tum quia ex mrtura rei equun tur ad fundamétü; Tü quia terminus eo« rü,eftó quid poficiuum non fit, adhac ta«men non eft ens ronis habens c(le przcie sé per opusintellectus, fed eft vera negaetio rcalis,qua €t dici poteft actu exittens: (comodo, quo pót negstionibas, et pri uationibus exiftentia competere) quatenus cxiftit modo 'accomodato, vt relatio: refultet. in fandamento et bac e(t cois: doGrina Scotiftarum, qui hos, et (imiles: tcípectus agnoícunt pro realibus, et ali» quid ponenubusin fundamenro,& (olum: reales.non vocant, aut realcs sim qu;d vcl ronis, quatenus illisdcficit vna ex condi« tionibus requifitisad.relationem exactà tcalé,-Neq; ab(urdum eft dati potte rcla uoné1cale, cuius tecminusnon fi: realis. et poliuuus quia vcin ingttiorilgiien USTED US Rn oM Q.V Ten Kdatiopttat term. claratum e(t, relatio nop caufatur à ter mino, fed à fundamento, terminus auté cit folaconditio fine qua non; non inconuenitauté negationc realéc(Ic conditioné neceffaria ad pofitioné alicuius ctfc&us pofitiui,ita .n. (chabet priuatio rc(pc&u cópofiti, quia concurrit ad mi| nus vt coditio,c et cóflat in mulis alijs. $5 Etopinio Greg. inhocsé(u intellecta nulla pót efficaci ronercfelli;quia fi non inconacnit relationes tranfcendenta les, cítà fint forma rcalcs,c(fe ad terminum noncxi(Lenté, et ad nonens ac ab co pendere in fuo.cffc relatiuo idem dicetur,patitcr de relationibus przdicamenralius, nec vnqua poterit afferri quoad hoc dilparitas, quar valeat;vndé mirum cft, quomodo L:chet.cit.1.d.530.tam acriter Grcg.opinionem reprehendar,cum et ipfc alibicum Do&ore paflim tales refpe&us rcalcs admittat ad non cns, et fatcatuuc rcípc&um in effe; et conferuarià cer'mino non pendere, nili velati à coditionc nece(faria,neq; minus terminandi cx we termini alio mó exercetur, quà. per olim extrifecà denominationem, vndé non videtur, cur nequeat non cnti cópetete poffeycum nib.l reile in termino ponàt; Verum tamcn cil relationem pradicamentalem tendere non polle in terininum, vt pofTibilemsqnia hoc folum tran fccndentalibus conucaire potefi, vnd? X ipfe przdicameutales, quando ad aliqua tcalé negztionem terminantur, tendunt jnillam vcloti (u0 modo actu exiftenic, nonauté vcluti poffib:lem.. Vcrum ét ctt exempla relationd que Greg.affert ad id probandü,noncíle ad ré, nà exempla iila. de fcientia in ordine ad [cibile etiam non exiftens dc potéua reípcétu effectus pof fibilisdc memoria re(pe&u prateritorü, currunt de relatione tranfcendentali, qua zqué cflc potcft 2d terminá cxiftentem, "ac nom exiltentem 5. exemplum veró de ftaua Celaris, qua dicitur illi fimilis, età (à nonexiftut, X q albedo cxiftens d£ fimil;s albedini po(h bili parü et;à vrget, quia nec flatua Cafaris fundat ad illu nó cxiflentem realem, et aéctualem fimilitu' dinem,vt bené gi L:cheucit.nec albedo, .. adaliampoftibilé (cd folà poventialcu;;  UE UA, realem,esexifl-codr. T. 66$ quatcaus funt fundaméta apta ad cas rclationes fuadandas terainis cxi (tentibus86 Reftat igitut, vt fateamur, qp (icut re(pectus tranlcendétales e(Te po Tnt ad non ens, ita et aliqui preedicamen:alcs, vc] íi id negatur de iftis, debet quoq; pariter negati de illis cum Au&orib. initio art.citaus, vnde Dafiol ibi cir. vt loquatut confequentec, negat quo;. telationeg wanícendentales ad cerminü non exitten tcm e(ie reales, vade negac mafcriam effe in potentia ad os formas pcr aliqaam re lation. rcalé ad illas cermioatà, (cd dicic e(fc in po:cntia fandamenzalitec, quatenus efLaptazx (creforri exiftente termi-no;&étquiahibetncgationérepugnantaa dformasrccipiendas,quenega tiodiciturpotentiaCO'ienitq;mater; zàpartcrei,&idemdicitdeinclina tioneanimigadcorpus,&inharen tiaaptitudinaliaccidétisfe paratiad(ubiectüyqu amopi.nioné(« cutuseftadamufiim$mglec.difput.10.log.q.11.Sedhzcopinionóc(ttenenfa,quianegatrelationestranfcendentales reales,& (olá illas ponit in con ceptit ab(oluto cü relatione rón:s, qd eft tillum;ttua quia indé fequitu: oés patlio ' ncs efe formaliter refpe&us cóais ; tum quia cert eft apcitudiné aliquid aliud di cere vItra nó repagnátiam, quia fimplex non rcpugoantia conttituit potenriá new trà in [übic&to,non aptitudinem;tü tan« dem quia clt contra commuaem.  Jnvna', et eadem numero relatio poffit plures refpicere terminos.   7 8g On eft quaftio dz plurib. ter« N minis fpecic ditin&is, fic. n.ca ftat ad plures terminos; plures quoq; ac diuerfas tendere relationes,vt in code ho minc alia eft relatio filiat;onis ad patré ; alia paternitatis ad filiü,alia (i militudinis ad albü, fed cft quattio dc terminis eiufdem ronis, et folo namero inicr (c d.ftin&is;& quia i(ti funt adbuc du; licis generisquidamadeqaati, et rotales, quorum f. finguli per fe fümpci fofliciences luat ad terminandam tcluti one fuz (pcciel, et (c hibent plores fil:j in ordine àd paterni : taiem, tatem,quilibet.n.folus, et per (c fümptus fufficit ad terminandam patetniratis r tionem,quidam vero funt inadzquati;& pmo nee finguli per fe fumpti in fuf cientes (unt ad terminandaimzelationó fed fimul (umpti conftituunt vnum tota1cm,& adzzquacum, quo fenfu fingula par tcs Íunt termini i uati dependentiz totius, et indiuidua rniuerfalitatis [peciei, quzft:o inprafenti non e(t de terminis partialibus,& inadequatis,conftat n.vnà tclationé ad plures huiusmodi terminos tendcte,qoia in omncs illos tendit, velut in vnum adzquatum, et totalem,vt docct Do&or it 4.d.1. q.2.in fine.Sed cft queftio de terminis totalibus, et adzquatis; ótavt fen(us eft,an quando vnü relatiuum rcs tefpicit terminos eiufdem fpecici,. vt fimile plura Jimilia, et pater plurcs filios, num fingulos refpiciat, et artingat pet diftinctas numero relationes, vel per vná,& candé numero extensá ad omnes. -Cómunis,& perpetua Thom.opi.affir enat pluresterminos eiusdé rationis attingit pet vnam, ac eandem numcro relationem, ita D.Th.3.p.4.2 5att. $. quol. 14r.2.& quol.9. art.4. Caiet. et Medin. ibidem,& Aluatez difp. 4 ;.nu. 16.Com plut. diíp. Jas Logi 15.4 vbt citant Ca(ie Hcruz.Canartenf. Ri pam, Bánes, alud.Soncin. Iaucl.Ma(.Sácb.Did. feq. To.dc S. Tho.4.17.art.6. Ruuius hic q. 8. Fland.8.Met.q. 9.at. 3. Aquar. j.Met.dilucid.9. Morif. difp. 8. Log.a.8.Sueffan. 5. Met. et fuit iam pridem fent. Henrici quol.4..2.& Alber.in pred cam. ad aliquid c.vlt. Oppofita fcnt.cf Scoti,3, d. 8. q.vn. Lichet. ibid. Trób.5 .Mer.q.7. Batfol 3. d.8.q.gn.Zcrb. $. Met.q. 19.$. proprer fecundum. Pacifienf. hic q. 3. Mair. 1-d. 16. q.2.ad 2. Tatar.hic dub. 3. Faber H ent. difp. 21. et alij Scotiftz paffim, eq Baccon.3 4. 8.qu. 1.art.2. Fonfec. 5. Mctc.15.q. 5. Suitezidifp. 47.1ec. 17. Va « fqucz to.4-m pie cp 4. Blác. disp. t 1 fec.18. Amic.trac.1 $.q.7.dub.8. idemque tuentur iuxta fua. principia». . Hurt. diíp.15, Met.fec. to. Auerfa q. 2 j. Phyfec. $.Siniglec.difp. 10.q. 14.& alij .. 88 Dicendü cft cühac z.fcnc.nó pofDif. VIL, De "Pralicam re[jetluis. (c vnicim relationé plares attingere tet minos eiufdem ronis, (edrelaronis debere numericé soultiplicari ad jnultiplicationem numcricá terminorü . Ita Do&or loc.cit.quod probat folidi(fimis rationibus, quas quia conatisunt foluere Thomifte excogitádo varios modos fal. viádi vnitatem numericá relationis ad plu res numcroterminos, ideó (ingulos Md cemus,& reijciemus,vt inde magis pateat euidentia hutus concluGonis, et foliditas rónü Do&orisquibus paffim alijs vtüt. Primus modus (aluadi hanc vnitatem relationis ad plures terminos fatis frcqués in Schola Thomiftarü eft ad productioné noui termini ciuídem rationis vt v. g. noui filij nó refulcare in patre nouà relationé patcrnitatis,fed priorem extédi ad illum,& tic deinceps ; et aiunt extenlioncm iftam eiufdem relationis ad diuetfos termirics nó fieri per additionem rclationis nouz fed per explicationem pre exiftécis,quatenas ip(a de (e tefpicit omnesterminos procedentes ex eodem fundamento, q pontücur in efse abf. mutatione intriníeca illius relationis, fed p (olam extrinfecá dcnominationé (umptà ex noua cxiftentia termini. Hocq. multis declarant exéplis, fed przícttim habitus Ícientifici circa vnam concl. qi .n. hibetur demonftratio circa aliá eiufdem obie &i non aduenit nouus hibitus,(ed noua exten(ia pecxiften:isad illá, ficetiam dicunt vnam, et candem numero vi(ioncm,crefcéte numero hominü occurcntium, plura illa ob:céta attingere per fo« lam extcnfionem eiufdem, non per additionem aliarum vi tionum;eadé quátitas abíq.additione alcerius,fed per (olam exten(ionem ciuídem matorem occupat locam, et (ic in mulcis alijs, vnde conclus dunt nouam cxtentjomem telationis ad nouum ter minü nihil noui ponere precer cocxiflentiam noui cermint ficut ti fhigatar baculus in Fluüio, cui fuccedüt variae pattes aquz, dicitor illis de nouo coexiftere ex (ola nouitate partium aqua fuccedencium . 89 Caterum hic modus dicendi fempet graues; paísus efl diticultates; Tüga in primis labc£&a: £anJaméti quo Tao miíta Q.V. c/fn Relatoefpiciat plorestermoedyi1.  665 dfe nobi (cuiicon(enferünc in diftin&ionem tealem relationum prz dicamétaliü à fundamétis, et anfam przbet Nominalibus illud eludédi, (i .n. antiqua relatio paternitatis non cxiftcnte (ecundo filio non refect' patrem ad illum, exiftétc a&t refert, nulla fa&a additione nouz cntitatis przter noui tertnini cocxiflentià, ita dicét Nominales, entitatem patris nó exiftentc filio non extendi ad illum, (:u non rcfetre patrem ad filium, at exiftéte filio,có ipfoad illum extendi,& illum refpicere nulla additione facta nou entitates, ficut .n.aiunt Thomiftz paternitatem, quzin Petrorefaltauit ad primi filij produ&i fe virtualiter tédere ad (fecundum, et certiü filium, et dcfe&ü formalis, et actualis tendentiz folü proCedere ex defc&u illorum, fic pariter di€üt Nominales de ip(a entitate patris ia ordine ad filià fimpliciter, qp apta cft darcdénominationé relatiuam, et prius nó dat cx dctectu exittentiz « Tum2. quia hec cxcenfio ; vel eft tantum per intelle€um, et hoc non, quía à patte rei refpicit nouum filium, vel in rc, et tunc debet accedere aliquis nouus reípé&tus ; quia extenfio ad hunc nouum terminum ( in. quit Doctor) non potcft effe formaliter, nifi relatro,cum.n. non fit quid abfolutm, refpeétus cífe debebit. Tum 5. ncquic intclliai excenfio prioris relationis ad nouum terminum pcr eandem pracisé terminauonem, qua cft ad priorem terminum, ficut neq; anima intelligi potcft extendi ad nouam partem ex aliméto additam per informationem priore, lcd per houam,, crgo debet extendi per alià cerminacdonem, quz nO crit, nili noua relatio. T ü4. quia paternitas fundatur tuper C cohvainem » vcl faltim  1llà neceffarió equitür,ergo ficut nó generatione prioris 6lij atuniic katerquoque fecundum, et tertium pcr inaiorcm eius extentioné, fed per nouam 5enerationem, ita ctíà illum reipicic get nouam patcrnitacem. Tü tandeir, quia e: Ca allaca (€i duo prio ra faliam «O'ineant doctrinam vtfuo lo€O vidcbic ur ) idem couincunt, quia [cien tia de vna cóculiofle, dua excenditur ad aliam circa idem obiectum;realiter,ac intrinfecé immutatursvt (ateotur Complut. vilio etiam eadem numero noa potctl ad plura obie&a ex tendi,vcl 6i potcft; i4 (né erit pet nouos faltim attingentiz rcfpcétus additos, extenfio quaotitatis ad maiorem locum ponitur ab omnibus po"uus modusà quanutate diftin&tus; randem licét entitas abfoluta' baculi mancat inuariata in medio fluuij luentibus yndis,tamcen cóiun&ioncs illius cum partibusaqua variantur ad vatiationem illarum, quia quelibet coniun&o determinatur ab illa parte aqua, ad quam eft, 9o Secüdus modus faluandi hanc vnitatem relationssad plures terminos cítg ponendo ipfos partiales;ac inadzquarosg ita vt conficiant vnum tozalé,& adequatum 3 fed quia quilibet filius (ufficic ponerc rclationem paternitatis ; at]; ideo cít adequatus;& votalis,ideo dift ingaunc de duplici ada quatione,vna (ufficcitie,q -fufficit,vt res tota exi(lat altera perfe Gionis,quacxiftit fccundü coram (uana »erfc&ionem illi debitam, fic dicere (omus ánimal adzquaté exifiere in vnz fpecie adaquatione (ufficientiz, quia im vna exiftit (écundum omnes gradus fua cíicntie, at vcró noncxiflit in vna adzquaté adaxquatione perfectionis,quia a exigit perfici à pluribus fpecificis diffcrécijs ; itain propofito exiftente vno filo, adequaté. exiit relatio adzquationc fufficientiz, non tamen perfc&ionis, uia ficut poteatia gencratiua ; in qua a» undatur, adzquaté refpicit omnes filios à (e poflibiles generati, fingulos veró inadzquaté, ita et paternitas. Verüneq; hic modus bene faluat hanc vnitatem ; tum quia ad hoc vt quilibet filius potfit, ac debeat propriam terminarc paternisatem, fatis cft, vt finguli fint termini adaquati adzquatione (ufficieniz ; tà quia inadequauo perícé&tionis nG inada'quati vnica rc m yater fucceffii plures generaus voü poft alteriug interit flugulos vtiq; refpicit, vr cermie nos inadzuaros quoad perfe&ionem, et tamcn fingulos rcípicit fingulis relationibus]. tum tandem quiaaliud. eft loqui dc porenua generatiua, aliud de ij-666Difp.VII.De"Predicam.re[jetHiuisuQfoa&uationis,quoillareducituradactum,&deipíapaternitate, illa .p. vtiq; inadzquaté reípicit os filios, at nó bzc, velilla paternitas,hac vel illa genetatio (cd adzquai? refpicit bunc, et ill. gr Tertius modus cft aliorum diftinguentiü terminü formalem relationis, et materialem, ille eft ;qui per fe primo re(picitur, et terminat relationis tendentiá, qatctrialis veró elt, ys per accidés termi tat,& ratione formalis; paternitas crgo, quz cí! in Petro, non refpicit pcr (c prito hunc, vel illum filium in patticulari, quia illa (appofita funt termini mareriales, (cd períe primó re(picit rónem filij, vt ficà (egeniti, et quia hzceademratio formalis interdum reperitur in pluribus, idco poteft vna relatio terminari ad plugesterminos materiales, quia terminatur ad ilios (üb «na róne formali, et hinc et fit, vt variatis cerminis materialibus, (i mancat ratio formalis in vno, ríon varictur, (ed conferuetur relatio ; ita figaifi. cant Complat. cit. : Sed ctiam ifte modus, efto quandam habeat appatentiam veritatis, non (übtiftit ; tum quia dum multiplicatur termis ni, multiplicatur etiam in eis racio terminandi, et cum hzc lit filiatio in propofito, pizíertim fecundum Thomiftas vtiq; hzc plorificatur in fuppofitis à Petro proiriserge etiam multiplicari debet reio ad cam terminata ; tum quia cum plures generat vnum poft aíterius, interigum, (emper attingit fingulos per diftia&as numero relationes, eriamíi cadem fcmpcr tit fpecifica ró terminandi, nó alia róoe, nifi quia numero multiplicatur, at ira eft etiam quando plures illos filios habet fuperftites ; tum tandem quia pcncs terminum formalem, vt fie, .i, pencs cómuncm rónem filij attenditur vnitas fpecifica relationis, hzc pouus dcíumi d; tione talis filij, namga tiones mutng ita fetefpici iss ctiam et alia, led paternitas in hoc pat lingularis, ergo et rclazio c1 re! pódens, vt cerminus primus . 91 Quarius modus faluandi banc vnitatc clic no vtiqi prima paternitas, qua: dzquaté, et omncs ad efl ad primi filium refpicit (ingulostuz indiu: (ibie. liter, fed ita quód prima pacernitas has beat pro adzquato icrmino woum filiü, alia veró daos, alia tres,quarc ad genera, tionem fecundi flij nouam trclationem oriri,que indiuifib:liter, et adaquaté re« . fert hominem ad duos filios, et primam perire, veluti (iperfliam, et ad genera» tionem tertij filij ittam interire, et alia de nouo oriri, quz ad tres filiosa lzquas té refcrat, quorum nullas íeorfim oed talem relationem terminare. Sed neq;ifte modus cft idoneus ; tum quia cftà dari poffit aliquarelatio, qua plara re(jiciat adaquaté, quando ;lla plura nece(Taria funt ad ipfam ex vi (uz fpeciei, ramen paternitas, timilitado, &c,nó funt huiufmodi, paternitas .n. (afficienter refultat ad pofitionem vnius filij (olum; tum quia tu»c non omncs paternitates forent eiuf» dem ronis, quia vna ex fua róne peteret vnum terminum, alia duos, &c. run qui& geuito fecundo filio gratis omninó dicie tur perire relationem ad primü cum pere maneat ipfo (uperftite tàm ex parte fandamenti, quàm termini, quicquid ad có» feruationem illius relationis exigitur ; tü tádem quia idco Thomittz ab initio di» xerüt per vnam relationem pofle fundamentü ad plures terminos referri, ne rcs 065 tot, táj; frequentibus mutacionibus fubijcerent, fed ita dicendo in illud incóucniens labuntur,quod cuitare cótendüt, et quidem abfürdius, quia quoties fieret nouum album, cetera alba exiftentia e (uas fimilitudines permutarent, Quintus mous cfl, gp vna, ac eadem relato pót modo incipere, modó defie nere referre lubie&um polio népé, vel ablato termino. nulla prorfus additione fa&a nouz entitas; Scd ifle modus incurrit omnes difficultates primi modi ; et pr&tereá impugnatur ; quia relatio no fe habct, vt potenua,& apritodo refcrendiquat modo rcfrre polli;, modó nó s fed eftipfea:et actus c fcredi, icut ao cit a&us agendi ; vum quia ti rclauo mo dó exercet, modó nen cxercet actum rcferendi, iam actus ille rctei 4i erit quid fvperadditum cnatati. cias; de eoim Q.V1. c/u ona Ril.refpiciat plures terminos. e/Afrr.IT.. 667 gedibic difficultas, an poflit tendercina   et ci nequeat magis hicaffignari, quam cs numero terminos . illedici deber etie fimul natura c& omni93 Sextus modus eft aliorü,qui cóce  bus (ecundü (ubftantiá relationis. Rurfus. dunt in generatione fecundi lij nouáre  fequitur tale rclationé effentialite? pédelationé addi fundamento ; et ficingenere ab vnoquoq; illorü terminorum; quia ratione tertij fed ad faluandam vnuaté   os, et fingulos attingit, et relatio peninquíüt, ex omnibus hisrelationibus vnà | det etlentialiter à termino; et ex alia parintegrari ade juatam,& toralem perquá  tc fequitur non dependere, quia quolibet dà additioné qua(i gradvalem relationis. po » eadem relatio manet. Nec ree Sed modus ifte dicendi ce veraconcedit   fpondere iuuat ab vno tantü termino detotum, pretend: mus, addition uempé   pédcre indeterminato tà, et vago . Quia teal£in rclatiuo facta additione nouiterrelatio quoad exi(tentiam pendet à termini, vt bené notauit Suarez m19. et (o  mino exiftenti, ergo implicat dependere Kü inter nos rcinanet m denomine àtermino vago, quia quicquid exiftir án illud additum fit dift;n&ta relatio; vel   ncquit cffe, nifi determinatam, ergo ter€omponat vná cum przcxiftéce ; ficut fe minus, à quo dependet hzc numero ree éibdis graduscum primo cóponitvnum  latio,cítdeterminatus;tàquiaticutrecalore;&fanéquantumadhoc attinet,   latioin coi totum fuum efle hibet ad termulla vera vnitas inter eas relationesfia minü in cói,ita hec numero relatio haber gi pót preterextrinfecá,q habentex vni  totü fuá eílead bunc numero terminum tatc fubie&i nó quidé vnitascópofitiofignaté,& noun vagé, Tandé fcquitur cánis, quia bzc fit ex actu,& potétia,quam   dé relationé (imul intendi, et remitti, vt proportionem nó hábent adinuicemillg   fi (int tria calida, quorum duo in equali relationes, neq; continuitatis » c9 d gradu haberét fimilitudiné perfe&ioré queüt affigoar! indiuifibilia, qa et alterü effet in gradu inzquali, ià (i carelationes continuentur adinuicem, nec   lidum zquale recederet ab zqualitate ile tandé vnitas alicuius perfe connexionis, lius, et alterum inzquale accederet ad quia neq; talis connexio reperitur inter zqualitatem cü co, tunc fimilitudo in ilterajinosa gbus relationes ille depédét.   lo tcrtio calido refpe&ta vnios ineadere« 94 Deindéprobat Doctor idem (let   tur, et refpeóa alterius remitteretur,. tüab inconuenienti, fequeretur.m.  re«.  9$ Inoppof.obijc. Thomittz 1. non latiua nó etfent (imul natura, quia pater. pollunt in codem (uübie&o recipi plura ncdü eft corrclatiuü primi, fedét (ccundi | accidentia numero folo differentia, quia filij et tamen nedum natura, fed etiaté  omnis diltinótio numerica accideniium pore pracedit sin cum celatione illi cor  fümituc à fubie&to, ergo nequcunt elfe im re[pondente, et percunze primo adhuc | eodem (üb:e&toplarcs cefpectus [olo nue manet in eilerelátiuo per eandemrelamero d.ffcrentes; et hoc eft vnicum eotion£, que ad ipfumterminabatur. Nec   rum fandamentam, ex quo eriam foluere valct, qp aiunt, eiTe fimul natura eum pris   prz (umunt omnia argumenta inoppofis mo &élio fecundu fubftanciá relationis, tüm;a:unt .nquod licét fccunda, et ter€um caeteris veró fccundum exrentioné   tia generatio lj lu fficiens ctiet,vt refüleius accidenralem . Quia refpicere ter-.  taret relatio paccrnitatis in Petro, ramét mnibum oó eft accidencale fedellentiale | per accidens eucnit ; vt non prodücatür y telationi ; cá tocuun edercladionrs (üt ad   quia datur impedimentum ex parte füpe  . aliud, ergo relatiua funt (iinul natura;szb   damenti, quod non poteft rccipcre plura (ub relationis, et non per(oiáex  accidentia folo numero diuerfa . i teafionéaccidemaléciuide relaionis, d.   iefp. ncg.aflumptum, cuius probatio. adhác nonniljgwerbolitace explicuerum   efló fit quoddam me licum princie Thomittz; pere primo, debét   pium in Schola Thoniift. efi camen prope allignare cum quocaetcrord euadat ya»   fus filium vt Doctor, demon trat loc. ier zal natüra sm tibilanua relationis,   cu. quem (equuntur 3 kccentiores, €68  )Difp.VIIL De Pradicam. Refpetliuis 2... (£s .n. formz tàm fubftantiales,  acci ternitate cft ynns pater, et hae paternitaelentales nó pcr fubiectü, g illiseft pror   te eft hic patet, ergo alia paternitate erit fus cxtrinfecü, fed pcr proprias hacceitaalius pater. Negat rucfus Do&or confeg. tcs indiuiduantur formaliter, vndé falíum | cum(üa prob. et ait in illa forma argue€/t affumptü, nonfolum de accidentibus di, lac paternitate efl hicpater, ergo £clatiuis, (ed ét abfolutis, cü.n. quis vi aliapaternitate alius pater committi faldle: plureshomines, vnüquemq; per pro laciam coníequentis à deftru&ione anpriamfpecié, certé habet in oculoplures | tecedentis,quia ad alietatem patris non Épcciesintentionalesfolo numero diftin  fufficit alietas forma, fed requiritur as; tunc igitur folürepugnantinfübieetiam alietas fuppofiti, vnde intereunte sio codem plura accidentia folo numero   primo filio, et nafcente fecundo, vtique diffcrcotia, quando omnia tribuerenteü  eciam fecundum Adaerfarios alia pater» «dem proríus cffe&um formalem, quod   nitate dicitur pater refpectu illius íecun3n caíunoflro non euenit, quiahzc nu»  di,nec ramen dicitut alius numero pater. merotelatiorefert ad hunc numeroter   Tertio filius per vnicam numero relaaninum, et alia ad alium, ficut hzc nu| tionemá&iliacionis refpicit duos terminos meto ípecies reprafentar Petrum, illa. .(, vtrumq; parentem,fpecie quidem diFrancifcum. Dices, accidens à (ubicéto | ftintos, fi mater non «oncurrit a&iué, "accipit entitatem,crgo et vnitaté,& prz-. velccccé numero, fi concurrit a&iué, 1 fertim rehitio quz effectiué pendet à fo-. verius eft,ergo &c. Refp. negando afsü Yo fondaméto ex di&is. Refp.Do&tor 4. ptum; quicquid alij dicanc duas enim red. 12.9. 1. Gaffumptü effe verüextrines habet filius (alti namero diftim fccé in genere .£. cauíz efficicatis,& ma  Gas, quarum vna indiuifibiliter refpicit 1erialisno intrinfecé in generecau(zz for patrem» et alia matrem, et vna manet (imalis ; hinc autem nou fequitur plurana  gialcera, pereunte f. altcto parertum g mcro accidentia in eodem fübie&o effe "vt docet Zerb«$. Met.q.19. S. propter 1. inon poffe, quia cum vnitate cauíz ftare et hoc idem fateciteaentur Thomiftas (i pót pluralitaseffe&us, vt fufius in Met.   dicunt mattem concurrere tantüm paffi.96 Secundo fi plures numero pater  u&, cunc -npocentia gencratiua vtriufq. mitates potfunt e(fe in codé, iam iflenon | parentise(szt omniab alterius rais, et €íjet vnus patcer;fed plures,quiaadmulticonfequentereundemfpecie,&nudieroplicationemabfranimultiplicatur,&Ereterminarenonpolscat,vidé«oncretum.Rep.Do&cit.(ubF.neg; magisipfi, quam nos tenentes cum Sco«oníeq.cum prob. quia ad multiplicatio. to, et Oaleno concurrere actiué, id co» nem concretorá nó (ufficit multiplicatio guntucafserere ; (cd etiam fi a(sumptums fonnarü, (ed et rcquiritur multiplicatio | admitteretur, adhac negari deberet coaÁKuppofitocü; vc di&tü eft difp.2.q.6.art. feq. quia pater,& marer (um termini per 2-Qiiaconcretüno folü (igaificat forma, fc cóncxi dependeuia fil; j, quia alter fiMed &t (abic&tü conno:at, quar? vtriuf(q; | nealtero no fufficit ad generacionem, et plurificationemneccísarió cxigit bac de 4 con(cquenter ad terminandam filration&, «auía bomo habens plures (cientias vnus  ain propolito vnufqui(q; filius eft cecfciens dicitar ;& non plures fcientes, vt minus ad: quatus, et tocalis paternitatis, notat Dodorquol.ii.H, fic ;gituc ho  quare paritas proifus negari deberet. mo habés plurespaternitatesdicitur vti  97 a tandem obijc. Tum quia que placies pater,fcd non plures patres.   quado pluces filij nafcütur ex eodé parices, Petrus babens plurcs filios,e(t tan  tu,relat;o patris non pó: effe, nifi vnica, ium vnus pater namero, ergo per vmam | qu a in eadem actione fundatur, crgo et mumciorclauonein ad omnes,& (ingn quádo per pluresa&tiones producuntur » Jos,quia i pcr aliam numero, ergo non   per irouri cit, Stllporc geneftidem numero pater refpedtu ommiü, | raciua reducatur ad a&tti per vnà ; vel plüfcd alus, et alius numero, quia vna pa». rcsationes . Tum 2. quia. cficctustorQUI. en va lar. re[piciat pluresterm.cedri.Il. 669 inalis «elationis fecundzr iampofitus eft   4.d. 1.q.2./n fine. Diccs,id etíam contiaper primá,ergo fuperfluit fecüda, Prob. gere io ordine ad terminos adaquatos, alfumptum,;quia effc&tus iliusefet con  et toralcs, quia vc diximusq. 4 art. 2. ia ftituere bunc patr, fed fufficientercon  fol.ad g.fim:litudo,que elt in vna patera ftituitur hic pater per illam primam . Tü   nitate ad aliam, non(olum refpicit fimiios petétia viiua plurcs refpieit co.   litudinem alterius paternitatis fibi core res, vna potétia materiz plutesformas,   refpondentem,fed aliam quoq.fiinilitudis vna rifibilitas multos a&u ridédi, X plu  nem difpararam inter aliis duas paterni» res trahentes nauim vnica rclatione re-.  tates repertá abfq; vllo füperaddito re» fpiciücar à naut, ergo &c. Tum 4; muli  fpe&uin ipfa fundzto Refp.dcbere vtiq... plicatis terminis non uukiplicamuroja | incodem fundamento prafertim abfolaFequi(ica ad relationem ;quia non multi  to multiplicari relationes ciusdé ratios pon fundamétum, ergo neg; relatio.   nis ad terminorum multiplicationeanng um tandem ita dicendo imfintz prope   quidem itavt vna fundetur fupcr aliam s modum relationes forent himiliudinis,   quia cum o€s fint ciu(dem rónis, vna nó qualitatis diuerfitaus, &c. et oés res   poteft vt Ouod lufcipere denoininationé «ot, tà uc frequentibus fübrjeeréturmu  alterius, (ed itavt ots immediatéineod&.    tationibus, vt hoc folam inconueniens   fubie&to fundentur, fic exprcfísé docuit hanc fententiam redeat improbabilem.  Scotus 3:d.8.q.vn.cic.$. Contra, verf.pra 98 Kefp.ad 1. neg.affumptum, cuius   terea pater aliquo modo aliter rejicit probatio nullaet, quia fal(um eft paren  bunc filium, C7 illum y1bi .n. ait debere £cs vaica aCbomc generatiua attingere   in patrc poni plurcs paternítatcs, non ita gemellos, et fal(um eft paterniratem fün p paternitas primi fiij excédatuc ad alios darrin prauiaactione, «um potius hec   perrelpeusalios in ipfa fondatos, quia fc habcat vcluti przuia diíj "&quiilli rcfpeGtus effent pateroitates ; qnando 4 pisa omnia concederentur, adies refpcétas fant see NEREAS io non concludit, quia fuper ü ett vnü fuper alium fundare ; fed Shàns. et idc m fandamenti point funhaud omnes ifti refpectus immed'até dici plures relagiones, tum fucce(liué, tà | fundétuc in abfoluta cniitate patris; quae, fimul uia vnitas priotisltatcü plurali  rein cafüargumenti aliati fimili.ado non tate polterioris. Ad 2. neg-alfumptü c   fundat diucifts rcfpe&tus ad alras. fimilis prob. quia neceffe&us prumz paternita.. tudines, quia illi etfenc ecfpzctus eiufdé tis,nec ecundz eft conttituere hanc pa-'  ronis cum ipfayatq. idcó /llos fandare n& trem fübitanzialiter, nam ille paterdici  poteft, vndc vel feipía dicetar limil;s, velt tut lic ancccedentec ad qua-ü]; formam   abfolu:é (fimilis noo dicetur ; cum in g2« accidentalé ; etfeckus igitur huius nume  nerea(Timiland: 6c ita Gro, vt nequeat ro relationis et referre patrem ad hunc || e(fe Quod, quod valde adnotabis, quia numero termini,& alcerius ad aliua nub iptláua Exéta nó ell ica facilis (olutionis, merotcrininum, et pervnà numero re9, 9; Ad 4. neg. coníeq. quia plurium fi Btione.n dicitur cantdim vna vice paters  lorü ad eindcm patrem fuat plurcsrelae.  et pct piuces dicirur pluries pater, juod  tiones,& pluciüalborü ad vou. ;loü plu etiam dicere deoenc hoi tte, cumiuce   res fimiliidincs, et taoé cit vnicus cere &ce(lue paccr plures. acquipc patermica.  minus,ficutergo vnicusccririnus fu tes gencriado vaum. filium potkalterms..  eirad plurcs vel.tiories terminandas. ita sterium. Ad 3. cx; la iila nontuetad   vnicum fuadapicn. om ad j lares fundangear uia lojuan.uc dc terminis ?mada  das non,o. ncceil: elt ad jlunificarionem uatiytales.n. ium üaguli colores telpe   polterioris plur;ficari prius » Men ad u potétiz vinug, nula forme relpe"   mulciplcano vel verm norum, vel (uni € potenti iiatet.g, yag dlrackuscidés: menioraim (officit ad muiupl candas nue di refpeczusiipibiacisy ungulitriben  ericé c Juuioncs (loqvédo 4r S in&ip rcipecbd tractus nauis, Vvactat DOGb.   is et tr,ninis adaquatis "mig iur) Logiéa e ".»   ee. Ju nte 20 voasRips lee Diedietnt vofPa ife. Ys. viéetreyaititmeneceffiriorwt iuf, cktbes aiti reujtgilic aiosfed fb flic is ilbimitat iarfüidaniofri asl jrlüces: relasoags: (antlandas, S termini ad plures vertainandas 7 A dog. fifa inoppo fiai (emtencaprórtus-curtaTuramültifudo rclatianum;SCfnequehs rá "funi Varishio«noad bífenclasimntmquare fichioc argumentóstercii cblionuflat ideir:6à: dixcrane sdacki vrelátionem: pofie: ad $lorestetrhinós Ciuftlem ritionisTefenrr, tiagiscisiaxpedienseran ctenat c: piros (us Telitiches«mitolNominalibus jy)aam illis percent se o eiacplsnr Tcu qa «d'pátidionehpilzhnnt ende benc ioquit SRuerfa, naiscoblequentesloqurSco eu gmvé Homof(ubpdiendl asi sme ibuscóbodwme vhaarpoltiv (irperaliai Bat); Bargs Lighessgni id&bahet quoly Aat) 2« «Mere gilpità I; E6kbder Mst.sp19-pragrer primum Lode Maga inhpocap. Mair-1«d. £g.q «44 fe Ui dun KEccwiores pa(fim Maíad«p,diípu:a5; co huaridijoqz Metdacct ib Hbi diípun den 7. Valliustomax«l 93.4: 344 eu OnQRAS qu tytrtg Quiicdi cer Due 9)iN pics cAuer(ai..r5 eV byla fec Biàne difputzt 1,(ec5 4 $; Mwrkia d -3»0:62 Nouidiliun 3 LopaepIDiassip. us ps2aq. n5uniglec. diípot, x9: (9; imo S bhotviflaseolehtes &apreolii,di ren Ie ar2.ad;3-Sónciti («M EG. 9. 399 2 PR Qe Soto ilt.hoc apii 1« ad Sica ib den viquéopinioxmcdtanquin rd ori onc aue tuas tersbenáciid wlaruunay nonam uas; ME d mpelcipdAmato sc nibiluplieasiüd: ipelapléd Sani mum eng inorü. Om jvcituesinimac s i ver enc wig ] tiem er ad pofitiontml cclauonum ; in. ja. i6 Di (cim conieniasita 2:510::5 v &inpagodbnid squat soiétuf)oq 21151 obo Je T€: Ts Wo 8/5 Ho: ii zUl 200/252 5E tto nu 2f Fh. ADAM Veréradabfoluturtoy.isa T homi(l: quam plicesyaetoralitenviderent encd uat poe ern n tiep V A á Fattan:o0ntra; Gat. cout Mafiggibiq fe$o3isqua. Io. de 8« qq dio js Cog centzou;s gc Rauius bc iari qq difp. a; punc, salNipbo $-Mecdi(pe 13 Hifpal;t 3»&gae&a]ijs (5s 5did3l A 1o. Dicendüas eflcuoras foot, eui0S duxa(tSeor.oGot;relatiopanoniawtuá s adabfolütunxrerminbrá j dias affi squafiti;efi | probatiDoótor.an.$.Re /podao igit «do satrehmiónC/fuxoprelauoalo 10q. de rdabianibusimou suuni €x ardt $kaeinilnu losectimasob(ólntà. Mt est iquiar el jo nis bajada odi sr phus; vi guru rdPétsuin patrc dodaul: quavdicanurtergjimpdissielaup (elena Lid ee eU Si Sn LI tu tie ad. Lcjbile y renal atac-od ecd) UH, ar y Petri formalis S priinariüsag porius. in]uo nullaitlacorcef pen daas quA cel: . fopttanus ceniza fauiramqua díffidulta  ioyScideo digitni gon ayoray; Cr S non (00 Mexees (unc lontentae jíddascivtrómae yc   teemimatusadicelarione uar ibl noD rS Sjft$ aediai')unaliutémaaljeriigrofm  peittirs (edad enritatevieugab(o]ntan) y L perismitcn ica posa quani tion, Necvalet dicere un Qníeceeit. fecu dy gister mimü formalgm celadonig cíterminum cy ais se aso nisse jene feahqueipelatienéinaliouxsémó cot-. oppotiramevekvoalgsG cübaiiaisel rot sf ünticatemftiaiecflicarocieSchnlais  bi&y eerie ui j 9s Hic ft Cie m Dig.20«donelim; dn. lNamcórraivüao ékeindec eit dias terae, quyalioecpotBiipicBedius gov eiat cir éxcagomirim alieaies relau opis yq xai: Baurcs bgdabavit., Nazan.heit fryja.puljaPARx$6/Sa okhiib.sliog.qazaGomplucdss .tarrigmosasi&ioeoxauarerelauofio mMiidodcetctnMon.£i15eeubse menscriaMSycelekiemaqcn eodxiopofitoridtior.ementisct IRAwfbitietolinistaarm utusQuàiionmanifidàadu(ide ravusabiunre]Yeóscelacóemceciniaani ud:abíoiutin,|luyaeiciontiar éaliserA(erspradlcibeyAHtcom"SciólaScopfiancannodifcrelenuliointelleG«anüxcranie,criaesendetsomaXena.laccbuossuopainGb,nop)ALAOL332'»hauu WHDw $1. 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N42 aj dicione xquáuis inirelatiurg Mielarteh n i à piraéreicon hae pese ihuues seh ione o brinase né rore cisüs c bn nee; ; hübectadie stan u3éi &enelrieatióné a relactónd attedius! tret proueniente y pet Quat ieate vu tópriilict in Severe voli n silber refaedü iue jacluo: sah eliob Arte op ijo on ydtifii Luis : «tet óc pem delarim ust ES ;énenis ditam cietduadiofo xh. nearalceriénctif] à ráripoteítob xituerli lanaysiplapec« $73 2 ham ce ipfam dicitura fav ik achete ir adipsü,t qai ovest nani licatio(a!t (Gáieriy nififenfus Ref ca aleriim extiten ca ris ones iir iini ei tione-tib iinbecenteied:icpelationa €xtfteticeih oZ» exuiémooy Bo «boc fofliccte woiliudotrtór malires crelaz siuraffec a «qnácü woperauoneinrellactas;radà Qa Uti qtrtó teladiuin non»marud sc B: t QérorSceuliter relacina, (j6ut sir muttdy xumdvoc folam dicrinihe qnod 1n100div excromuabeft relati um per relación "ubi iaxriti(ecam s: (cddo mon dte y rb tanedrma cto peut peotclatior névrb bi ioris cod a bud cto perdcande sietaui onem peferamfibi exccintecame : 5 MmefmonoyidHoc do&ttima Caict,:de ncJatiais tec j'senecis moriü'ab oum. bi 1c:)6inos walortimeoràSdhalà D:Tbo G0sjuas difféackincForràri 2;cont. -Genccapat? m$/Thvibidoóc San y; Metim esc 30) Tux jaxcrininusxt(biactus eh celsus i tme E imr etoile mo» Gutirelat items tem e condi dr Prviptüms ónilin creed engen adfieies;» Toni qui rpéert i prepé cft hübere $à fé velationé j engin (oae plicátuliquid peo eio ted em yvndg Arif. V ARS Mi fülto sencid) fed ideo dici telis Bite wecqui riüem ;'quia eiie tci ad ipíaymat "Hiiquia werdicendo Cajetoigdidere vbs decer i$ apimior Hoonribi ah ommiyti ckplofam;vc diximus q5: iban. ;gtosqni da céb ac welatiórtég ibxecduo e cremaiieo vitai et candem Rabicidin sani cun Gier deett via Thebis Abe vicóntctud et vatione vitii d que Xd qucm dim uctías » preeber rt dgnominabiDqc5extre ráisySe quamuis Acift y Phyfiandacem révideátur? ;cotirarcm roocasilive rbettes choneme cf dba ge ése gabe -: teeipivup ip paliosri Q (c; ]uii nuts g:quiatnüis s    uentisica denomt » reíos Gusisn ipfáv faridatds sei portaos pend dy8cin quoga acin praferiti (auno eb de mu, SG ümplpei cipue eiie non percer e 87x Difp.VIIT. De Pradicam. Refpetliuls 2  gon poteft extrema rcfcrentijs diuerüis, et oppotiris,vt creaturá in tóne creaturae Deum in tónc creatoris; Ncc dicas candem relationem pofle prebere diuerías, et oppotitas denominationes extremis, attingendo vnum intrinfecé,& (übic&tiué,aliud exccinfecé folüm, et adhz fiue, vt cóftat de vi(ione,qua denominat ocu lum videntem,& parietem vifum. Quia .terminus relationis poteft benà denominari inttin[ecé, quatenus eà terminat, nó tamen per cam referri extrinfecé,nam re ferri neceflarió dicit intrinfecam denomi nationém in re relata,cü.n. e(sentia rclationisconliftarin ordine vnius ad aliud, vt tribuat cffc&um formalem referendi, dcbet ine(fe intrinfecé inre relata, quia non potcft ad aliud ordinari per ordincm exiftcntem inalio. Tá tandem;quia prius natura intelligitur. fcibile terminare rclationem,quàm accipiat denominationem rclatiuam à relatione (cientiz, nam quia terminat denominatur ab illa relatione, '' ergo non cft terminus illus zclationis per talem denominationem relatiuam, quz fupponit terminationem fa&am. 104. Neq. Ari(.à Caiec.cit.dü numerauic intcr isis Ícibiley& lenübile, voluit in&cre, quód fint veré, et realiter talia, et quód formaliter fpc&ent ad predi camétum ad aliquid; immo negat ibi exprese cie veré relatiuasqui non reffcruntur,&aitinboc tantam(enfüdicipoffeada liquid,coquódaliadicant uradipfa|«i.pertinereadgenusada liquid,tanquamterminos,verótanquarela tina,exquoconetdhórconiraCaicr.relatiuanómutua,nonineoconfiftere,vtipfedicebat;quódvtrunq extremum fit vere rela tiuum reale,licet vnum intrinfece, alierü extrin(ccé, (ed ineo, quód in vno cxtremo fit inurin(ecé relatio realis, in altero veró non, fed (it ens ab(olutum, vt docet Do&t.loc.cit. 1. d.50. Neq. ex Arift. ibi deducitur,qued relatio (cientiz terminetur ad (cibile (ub denominatione relatiua ex eius terminatione-in ipfo dereli&a, et fic vniuerfaliter contiogat in relatiuis tertij modi,immó oppofitum exprcísé docet, tenim in fine capitisintelle&tum nó feuminari ad ipfüm intelligibile ; quatcnus intelligibiie ideft quoad de nomina: tionem relatiuam cius,quia alioqui idem bis diceretur, et idem explicaretur per,nemj iatellig bile eft;cuius cft in« tellectus, et intellectus et eius, cuius eft &us,qua foret inutilis repetitio,Sc hinc infett vium debere dici ad colorem,  aut lumen, non autcm ad vitibile, ergà manifefté expretlit relauua tertij modi dici ad terminum fecundum entitatem eius abfolutan,& non aliter, hic eniin eft germanus fenfus illorum verborum, vt notat Zetb. cit. $. propter primum, cx Do&orcquol. :5.in fineart.2.fed fufam concertationem conira Caiet, habet D, Faber loc.cit. 10$ Dicimus 2.ét relationcs matuas nó, nili ad ab(olutum, itaut licét inalio extremo inueniant relatione correfpondentem, illatamen non eft forma lisro terminandi, fed entitas ipía, in qua fundatur, vndé ad fummum illa relatio di 1 poteft terminus concomitans . Ira.» Do&t. loc. cit. quamoptimis rónibus indé deductis optimé jnter alios Scotiftas probant Bafiol.Mair.& 7erb. cit. quibus. deinde alj paffim vtuntur; probatur igitur 1. quia relatio non tantum przcxigit fandamentum,fed et rerminum,ergo ter-minusvnius relationis nequit effe oppofita relatio, quia fic vna relatio przíupponeretur alteri ; ficut vniuerfaliter ter minus füppooitur relationi, at hoc eft fal sii, quia rcJationes mutuz funt fimul naturay in codem figno confurgüt pofitis extremis. 2, hoc,quod cft vnü extremum terminare relationem alterius eft mera à denominatio extrinfeca proue pre€is€ ex co, quod aliud eft ad ipfum fuppofita in ipfo ratione terminandi,& non €x co,quód ipfum (it ad aliud, quia termino,vt terminus eft,accidit,quod refe,vt ait Do&.(üb lic, G.ergo ró formalis terminandi in termino ncn cft referti, (cu ipfa mutua relatio, fed entiras ip [a abíoluta termini, quiatendétia, et terminatio potius opponuntur.3. ficut ratio fundandi e(t illa, que eft proxima caufa, ob q vna res ad alia refertur sità ratio rerminandi ett illa, quz e(t proxima caufa y ob quam aliud referatur adillà, (ed hac    QVI.cAn Rlatioterm.ad alfol.vvel efe, uat. III. 67 y        semufa in relatiuis mutuis zquiparantiz   . adem cft ad fundandam rclationem,& "tetminandam, ergo fi vna cft abíoluta €t et altera, mimor patet, nam vnü olbü ft alteri fimile inalbedine, vnde (i quaratur, cur hoc album fundet (imilitudi€ adaliud, affignacur albedo, et fi qua ratur cau(a,cor illod aliud terminer fimilitudinem, adbuc affignatur albedo, non fimilitudo, quía in albed;ne cóparantur, non autem in ipfa fimilitodinis relacione.4. hoc totum confirm.manitetis cxéplis, palmus ett zqualis alteri paliro, non autem zqualitati illius pal mi,albü cft fimile alterialbo ; non aüt fimilitudini alterius albi, immo illi collatü eft diffimi1e, quia albedo formaliter af[imilatur albedini, et non fimilitudini « Imó hoc ita verü elt, vt tà paternitas ad aliam patetpitaté referatur in rónc fimilis,adbuc diti ncn pór in fenfo Aducrfariorüi terminum talis relationis cffe reípc&um fbi formaliter oppofitum, quia fimilitudo vnius paternitatis refpicit formalitet entitatum altcrius paternitatis et nofimi. litudimem mutuam illius ; quare paternitasalia terminando relationem fimiliadinis,rc(pc&u i]i.us non fc habet;vt rclatie,quia non cft tbi oppofita, (ed perinde ac fi eliet quid ablolucum ; vnde intali cafu terminus relationis adhuc dici poteft abíolutus,cftó mon vt quid, faliim vt modus, vt vniüeríaliter verum fit, faltim in aliquo fenfu, róné terminant efc abfolutà, vcl habere modum abfoluti, quia t€ veca terminare nó eft cenderc, fed potius tendentiam liftere, vt conftat cx vi vocabuli, Quinto tandé probat D oétor, uia ou.ne relauuü definiri debet; et exdicas per füum tern, num ex Arift. 6. op.C, 2. li crgo vna relatio mutua ad al. teram termrmarcetur ; vtraq; debebit pec alteram dc finiri ; atque ita fequerctur il. ludabiurdum, quód Arift. cit. $. Met.15. inferebat, fi inccllcétus ad. 1micllgibite términetur (ub ratione rclatiua nimirum quód idem bis diccretur, et cxplicaretur idcm per idem, quod inconueniens cuitatur, 4i relatio vnius extremi definiatur pct. entitatem abíolutam alterius, et e xontra; Scd de modo dcí£niendi relatiuadicemusinferius.    . 106 Refp. ad bec omnia CóplutsNa zar. et alij Tbomiflz,in quocüque rclatiuo dift nguendá efie duplicem rationc terminádi,vpam formalé,aliam radicale, et materialem, encitas abíoluta vtiqs eft ratio matcrialis verminanstclationem,st Tatio formalis terminans eftoppofita te. latio fundata in illa entitste abfoluta;, imquiupt igitur allata argum. probarefolü de tetmino materiali; non formali, et ex inaducrtentia huius dittinctionis;ait Ruvius,nos dccipi, quia nunqpam loquimur dc formali, fed de materialitermmo,dü dicimus limilitadinem terminari ad album; et ad illud referri, non ad (imile,inZ quiuat tandé,vt foluant prima rationem, qua fané caidenti(Tima eft;cü aiunt DDialcétici relationem refüktare expotitione termini cum fundamento, loqui de termino materiali,non formali, quia (ide 1flo fit fermo, no cft dicendücclationem dependere à termino; fed ad terminum, quia nó przcxigittcerminü inboc fcnfus fed potius cóflituitur per formalc oppofitionemad illum, vnde ftat opta qui relationem efIc rationem formalem »Üer. tninádi altam, et efle fimul natura cü illa. 107 Sedfalfum eft noflram fententi£ procedere ex inaducrtentia prafatae diflin&ionis,nam quando ab initio gónem inftituimus dc termino celationis, fermo fuit de rónc formali terminandi, et hanc dichvus efTe entitatem abfolucam, quia in fimilitudine v.g. duorum alborum, ficut albedo in vno extremo eít ratio formalis fundandi cam, ita in alio eft ratio formaliscerminandi. Tum quiaille dicitut terminus focmalis relationis, qui fafficiens ett ad (pecificandam rclationé, hoc «n» cit elle formaliter terminum relatio ni. (ed hoc totam hibet entitas abfoluta altcrius extremi ergo. Tu quia illud dicitur. formaliret. tctminus rclationis » qp hbet cóné vluimi, et finis; in qué ten» dit tclatio, ralis autem cft albedo vnius cxuemi, oon aüt fiaditudo, quà fundat ad aliud, Tum quia termalis,& per fe tere munus relations illc dicitur, qui fempe neccflarius cf! ad terminandam relauoncm talis autem elt enutas Dati im pads conflat in relarinis nó mutgis, uii MR: Tandcmdi£linttio, bc. tionis formali, à nera Done ;expligatur à. T howit scili Enitns. 3. et Lolum excogiat videtur ; deeda nofira.argamentaj emper aue. rtis gendccs ab extremis, reflxare ap opor is MA An Ig imieponcit Peer. ia os fu'fía determino, matetiali,oundoaeicfor ijqnia loquebantac dc jlqucm. eunt elle reliua. v ücorad Fr 1, eum.et Baca dieit i e $usm elt rclatiosyr ad ali £ neas «fle de, Ei iHd 5 a.enhci cali s e; quifit fic iii RAPPRuem ternis, 12133, ed "Refpo v pent ERA qu in und rplpir.Áp. itio vrcunques(ed quod refpigin vt Use V mea Icm inta, cisé. per boc, quoc f Bg elaupsendii» (ed per corzelat TH Hie rui er n. DATI Peli uo 1 vbi in termino, ai int i& ideà de 3óne,setmini formalis relationis avt a f£ leaued s aianpolerus pppolitione e A dein gey yt demólirar feein 9.cócl. accidit di poicla Ves tend a Qo refcrave leal Ad aliud : Uum quiain.relatiuis nó mu» -€X pace vnbitextreui veta cRAUM ANM MUNI UE À cflen tionis, et tam&i aliud Wie er dta er eloppofitís Turn .quia conc tpi porapta eGenua rglaionis.cu. :n9b9 confi pia uide hee pn bna MIEUBin xehulkater diliauip in eee 9» beur. air. D. Tha» Messager Mussyne telatio r his marérnitatisad filium Chr; (tam,& ta. men nó idaiuoinGbrilto BJ:atio realis ad. ipfam, datohoccaíu. dhicgareuias à. foret cns ap(olugua (eg telgtiuun 4 quia: Qà effet ad (eyed ad aliud, vnde de ratio uc entsiclatini $)g» nà in; Íe.Liftacicd.ad. 1431 $E 1e re(piceres miparc wer gi váteni wi tg lHerius .&o aliudoüenirgs ALIOD a., Uchisabloluro » v&io n gahtis, a So cim wenrerdanonit n -Xbi. p. ipt.,Fefp is Vio fccunda iljam d xus Mus -liszclauo exin EMpehrrun; Ee rM a i vna c um -auté To.de Roads udi d su p iaoppoft litez scri. C opu ia t dà, diciormuma BEHLOncm ze : oper npe "ans umq. apum neferzut ad, i; id;erg bre ia «atur gmutu rH $c.no 1i quod: Sire » tio termin cd (atis; Lcise onem -kerendi in e extremo qued v eu adhucett,ti ab(o/uci teum:naci ponatür; Accedit, quod relation conjcnit niu nus termina di EH be Mb S Pins E i -trabeprisnempe, MARS Don à ;potcrit com ireabin 'olureyjuo, (Mà genus re «uius ogp un 4 yes ift Vd rdi s áp] guia po gui ec rona 5f Ya Aq. sri oleae aQmpo t ; emma], Tandem temper o diosqugdá ekminare pocius e "olaesquam relaaion;s, ue f Seta Qua 4ezminasc nop.e xcd kel pito rendere a Puy Íf3, fcd Alea tendentlag) alterigSad | M o Jiplidipu BMemaies: o 1 Mni Lapis ae A Anf. jo deby anelasion $swbionsser rclauitiocti, propticáates ponip;qs dicantucad conus, tenti, et declacapsimogdum;quo &cri ides, betdasconserncotiayat »ficri debre p. belit iones. hihc inde, iac LCireu infeiip u$; omiibusabjsà Domino,. hoc foa mre cto 5 moni putuds I o "Cw TS Puma Deieitas ef ener ferüus y ii'aaeem mei dr UE eraieied iL ea ituri dp [jh fex bern o icárbane y: ie eft vecmii je peifonaliiona qua P ó-hbréter i fertae iius file Alt abun S yn f erede tài; ri id forifrafis;& poet Tiaidis iem Marge $31gEft OTT PEE poA) &«hós Adtores ofdito hae dh tenestenermya fires ad cige fotun abrAef bi 1 itii eifütiéctl denti ibustolati. A Br hitirdis jrcecfion ih iRe pidbesin fotad. ud yrs eo ra Wie e pof Dis " E Vd es poaae " í d-€ e MALE bao d IX qiti Ec bM UPTAPiMiMMBenwiudot dier éyo 50393 obecimdoc8e eft pripeipale fundatá oppefita fertoreladua:, quarenas Do forhaltet tahág dkereentóppoficioncm telatiuar; fed oppotitto're]jatiuae(sétialiter ttcludit rationes referendi et terris tandi jer25vitüquetiiunus exercent ro; latiuà! pef réfactones cmalormplisec y quiiá rehítiu4 pet apfastelaciouBs Go nione pat fhtidacisenen 'dbfoluct fortantit forara [ei o poutiétiehi y awn probi quia. pofita mdi aa cof uri hoc! jxprelizi robes Létélpieiant, &crdladooes fmras 156 8e 5s dd ófe cef'piciédis (ed indie véfpitege Eft qiodhbetire(pleere alíids ie uber epis ]quiod eft tecininarenéldcionem eiie erBania mai oppofionre per relalieriée fuctà virumque incli Nick raus reftendi, quee »d« s Cien V ite iet vtique pet. E iy téciinarecaütexcapes L isedicer /in«quibussbTee fre ieé O1 T Gi quscin retattue opp esa Juss cesi i tim sape kr eei ptimo dti opgomtae fd divite Rer uA en)teg ortilegieroo yt fic à aeysté fbr dC eercgc  füerfsice IR Rdd tede. e 6) qiacéngs ud'$ wie wA obs | voi pe DEREN »& frio fi Sie Gertiditd 676 Difp. VII. De Pradicam. RefpeBlinis. arg. princ.neg.min.ad cuius prob.conce. «lin:us vnam relationem oppofitang aliam !gefpicere,& ab caviciffim refpici,hinc ta mcn non ícquitur illamterminare, a qua gcípicitur, quia vnü proprie termiaare re fpe&ium altcrius e(t. ita ab co refpici, vt illud vicuTim no refpiciat, quia vi [pius $nculcatum cft,cermipare non eft cendczc, nec vllo modo /llud efséialiter includit, (cd cí(ientialiter cft littere c€desciam alteriusad feipfum, et ideo proprie cít gnunus entitatsabfolute qua vt fic ad aliad non tendit,vndé bona cft folutio inzer arguendum data,li ita explicetur. Ad X.impugnat. conceditur cotum argu. (cd neg. tub illata cófeq. quia no quicquid rc fpicitur ab alio, diciruc illum rc(pectum xerminare proprie, (ed quado ita refpicitur,vt non vaciffim refpiciat illud ; quod folüm conuenit abfolutis.Ad :. Barg.negat cafum, vclut implicantem per locum snttipfccü, eo tamen per impoflibile admitfo,inqu:t Baffol.quód tales relationes à tundamcnuis (eparacz cílent vtiq.oppo füig,ctcnt mutüz,& le inuicem coexise zcntnontamcn cient terminata, fed ter minabiles, vnde paternitas elfet ad filia. gioncim, velut ad oppolitü,non vcró tan«juà ad terminum, Ad 4. neg. cófeq. quia ad oppofitioné rclatiua nó exigitur eís&tialiter munuscerainandi, (ed tutficit, vt fücoppolita tcinuicé et regione refpiciár.. 11z Dices relatio includit oppotitio' mécü fuo UMEN «dic.c.de oppofitis, vbi Arift. definicns reJatiue oppofita inquit, qu&ciiq. vt relaMua dicuturcaipja,qua [nnt o portes at Got ipi Hr doc cic.negat mai.ad prob.ait, vel | ct echac iau correlauuücius,&-repe : aluer ad Metodo relauua non tendit ad ab: folutü, fcd ad correlatiaüiergo c. Barg« non va Mecc hanc confeq, celatiua dicuntur ad tua «pjolta, ergo terminantur ad ca, vcl ibi «pi oppoiicum pro fundamentco,nó pro i, [ amen admitfa maiori poc nega Iiwiinor qaia oppofitio relauiua duplex  €(L vna cit (ormalis, et e(t, qua verlatur áutcr eclauonem vaius exicemi, et altcrà . oticipondceniem.n alio excrcmo, fcu ina jaliera dici folet terminariua,quia nimirü verfatur inter relationem,& terminum cius, cum.n.relatio nequeat eife eiufdé ad Í ep (um;necellarió debet efle ad aliud à fe di functum, atq; adco hactationc inter fe pugnaat, et hzcoppofitiocít intrinfeca. omni rclationi; Et immeritó Io.de S. Th. cic. hanc oppofitioné inficiaturqua (i extrancam ab illis quatuor fpecicb. oppofitionis ab Arift. a(fignatis c. de uppotitis,nà veré; et proprie eft oppolitio relatiua,cü.n.oppofita dicantur,quz in code tepognant reípe&u ciuf(dem,vbicüa. repcerituc hzc repugnantia, ponitur oppoe fitio, quádo igitur hzc repugnantia repe titur inter eayquag fe non tcefpiciunr, vt in« ter caloré,& frigas,formara,& priuationé,vcl negatione,conftituir oppofitioné cotrarià,priuatiua,& cótradictorii,qnádo aüt vcrfatur inter cayquocü vnü refpj. cit aliud, conitituic relatiuà, ralis.aüc cít repugnantia relationis cum fao terminos et idco proprié eft relatiua oppotitio; && ex hac doctrina de oppofitione relatiua;. quam paffim admittunt Recentiores, pre im Suar.& Amic.cit. adhuc magis e« nctuatur fundamentum allatü Thomift.. cuius vis toca rm hoc erat, quod relatio includeret oppoíitionem rclatiuam cum; termino, et quod oppofitio relatiua vere fareur folam inter relatioum, et corree latiuü, vndc ftatim deduccbaat correlas| tinum effe termmam telationis ; conftat -aüt minoré non effe vaiucrfaliter veram. 113 Teruó relaxiones diuinz rcípi ciunt focmalitet fuos tecminos quoad cc  laaiones mutuasoppofitaspater.n. referz tur, cerminatur ad filiam, vt (ic,& non: ad aliquod ab(olutam,tan:quà ad terminü: rcaliter diltinctum, ergo idem erit dc re lauonibuscrcatis. Confir. quia: nfi. quiaetiam im   creatus relationes traníceodentales cera nantur ad corrclatiuum forimnaliter,vt patet de materia,& forma intet fe celaci$y G& aQtu, et potentia, qva inter fe refe runtur fecundum propriam eifentiamgcr go eti ariones. przdicamentales. y eee iohes, qua dc h sconcludunt,vie ur quoq; de illis concladere . R«fp. Matr. ci'negac maiorem, et coe vatur oflé dere, quod ct relationes diging Win TENET  "1 21 UM SC N M tvRUM M. Q.VT.c/n Relatio term.ad abfol.vvel refpetl.c/dr.II]. 677 tetminántar ad eífentiam, at nó fatis explicat, qüo poflit effentia vcré conttitui terminus diuinarum relationü, cü non fit ab cas realiter diftin&a,' Baísol, inquit, d cuc filius in crcatis. e(E terminus duod rclationis patern;tatis, cít5 terminus Quo fit entitas eius abfoluta, fic etià in diuinis, vndé videtur velle, quod inter rclationem, et cius terminum Quod rcquiatur realis diftin&tio, non auté femper inter cam; et cius terminum Quo» in uam recidit (olutio Fabri cit. c. 4. Pre-tamcndicerecumBargio, quod(iteneturper(onasdiuinasperab íolutaconftitui,dcbetnegariabte cedens,atcenen7feíad ocommun emviam;debetne gariconquiaib irelatiocóftit uitfuppof itumoLeper(onzabaliai ralitecSUnMnecantérelationemintelligiturinroneper(onzdiftin&z,aut.habetaliquid,uoterminerrelationemperfonalem;noficcítincreaturis,vbipriusincelligiturxesabíolutafccundumentitatemfuà,fc:eundum quam terminare poteft relationemalcerius extremi ; quam folutionem z ECcipiunt Recentioresomnes. 114 Ac conantur euertece Complut, hanc te(pontioné loc.cit. ybi probare cótendunt, gr relationes diuinas terminari ad relatiuum oriatur ex ipfa formali (Tina róne relationis, non autem ex co ; x (int infinitz, fübfiftentes, et conftiruciuz um, quia inquiunt omnia diícrimina reperta inter relationcs diuinas, et €reatas oriri exe[fe,m, create «n. funt in fübie&o,non diuinz, creata accidencia o fünt,nóp i]lz, non aucem cx effe ad... at relato in fua formalitate conftituitur per ad, nó vctà per efie 7, adcáom sino materialiter (e haber cü :gitur quoad effe ad omninà conueniam creta, &c diuina ; (i ifte funz ad-ter (inum relati, yumyetiam à illa. Verom an/ta) cx diGisq.3hans doctrinze Esificassnà cffe D vel enro f, innt poi par tatem relatonis,non wyaus, Q, 0€ «d; X quando £t boe ex cdengmis s ncgabimus € creatas ompgilas :eclianio coexigic cum tiones ad abfolutim non terminantur, e contra veró rcs fe habet. in cteatis ; vad potius dicendum cft relationé vt fic cendere in abfolutum,vt in teriminü, ei tamé accidere, quatenus infinita, et fubfiftens, gptendat in rclatiuum. Ad Conf. qui tenent rclationcs tranfcendétalesc(lentiale e(Te rebus ab(olutis, concedunt affumptü, (cd negát confeq. at nos dicentes cuam relationes tranfcendentes effe (aperadditasyaltim formaliter, rebus abfolutis, nec elfe idem cum ipfis, nifi realiter, po(fu. mus feruata proportione, paricatem concedere, et ità videcur fenure Doctor cit. lic. F, dum docet actum terminare rela tionem potentiz ub rónc abfoluta, quae in ipfoa&u faltim formaliter diftingaitur à rclatiua;& bzc (olutio eft magis expedita,quia nobis nó incumbit onus oftédendi quomodo róncs allat& concludant de przdicamentalibus, nonautem tranfcendentalibus,. ficut incumbit prefatis Au&oribus qui valdé in hoc laborant. 115 Quarto fi relatio nó habet pro ter mino alia relationemf;equitur relatiua nó e(Ie fimul natura, et cognitione, contra Arift. et eorunt naturalem conditionem, Prob.affump:um, tü quia paternitas ter« minaturad filium, oon vt rclatjuuin eft, fed vc abfoluzum, et (ubftantia genita, yt fic autcm cít prior filiaione; ergo patetnitas cít prior filiatione ; tum quia rclatio, vi relatio folum pendet à Fundamento, et termino in efe et in cognofci, efgo (i terminus non cít rclatio oppofíta y non poftulat illam in codem inflanu,nec pendet ab illa in fua cognitioneyatq; ideo .non (um fimul natura, et cognitione, Kefp. neg. cóíeq. ad 1.prob. ite; d neg, «&ou(eq. quia vt ait Do&t. cit. fub G. tam fubftantia generans patris, q genita filij -pracedut relationes paternitatis, et fili iohis priorirate naturz, et in fe DE,nauua ambe (imul refultant p Andiuilibilem concomitantiams vnde patctniras non terminatur ad ubftantiam lij. ua fit Gmal natura cam ipfa, vt vi»,detuc lüpponcre argumeritum . Ad alte» sin j&obe neg. cuam confcg.ob eandem FAtuQ $uia Quantum a ellc illamjnee igi in (ecundo digno patur rcíultent amba pofitisextremis; pollunt eciam dici timol cognitione, non Quia re vcri cognitio woius fit necetfaria ad cognitionem alrerius, ná vr bené probat argumentum, et resmaürfc(ta ett im clauis non mutus, füfficit cognofcere abíolutumiad quod terminatur, (ed quia «um fandamentum;& terminus (int caufz mcré naturalcs, (icut ipfis po(icisne«cffarió caufantar rclatfones m effe, ità etiam ambo extrema caufant necefTarió jn codem (igno cognitionem carum, vt elocet Lich.cit.in tol ad 2 et 3.Suc(T.li«cr refpódet Baffol. fed allata € (ufficiés . 116 Atdices fi vna relatio nó pendet &balia,vcl ad aliam,tanquám ad termini, fon cit vndé oriatur neccílitas;vt polita nà ponatur alia, tà quia ex ipfa ratione «d atcenditur fimultas eatum ; tam quia fatis cft ad pofitioné relationis poni tundamentum;& cius cerminum neceflariü . SRurfus fi ad in ln relationis cognofci debet abíolutum, ad terini natur, non poterit cognoíci dependentia «rcatureà Deo;nifi cognofcetetar Deus fccüdum cius effe abfolutam . Refp. neg. «onfeq. nà fimultas naturz inter rclationcs mutuas nó oritur ex co,quod vna ordinetur ad aliam, fed ex neceffaria conncxione inter ilias hac autein attendi debet exconcomitantia caufarum concürrentium ad vtramq. rclationem, ex qui Difput. PLI, De Pradicam. vefpeGliuis. 1 c diceretur ad filium;nec duplum ad dimi« dium,vt dimidiü eft. Tum 1. quia omnia relatiua e(fent tertij modi, quia omnia a» terminarentur ad abfolutuai in altero extremo. Tum 3. terminus debet ede eiufdei gener s; ü coyquod terminat t patet d (ubirftenría, qua eft terminus (ubftantiz,X iadiuifibilibus,que terminant quátitatem, ergo terminus rclationis nequit efle ablolutum. Tum tandem, quia relaciaum debet definiri per (uum terminam 6.TOj.c. 2. at definiri debet per (uis correlatioum ex cod. 6. Topic. vb: ait Arift.duplum tine dimidio non definiri y et ex pradicam. adaliquid, vbi ait cognofcentem definité vnum relatiuorü co Levy et reliquum, et ex Porph. c. de ie dicente in vtrorumq. racionibus oportere vtrifg. vti, ergo &c. 117 Refp.ex Barg.cit.vtiq.partem di €i ad filium, duplum a dimidiam redu. plicariué vt 6ic,quia fub nomine relaciao. fieti tconuettentia, et reciprocatio rélatiuotum;non tàmé terminatur pater ad filium,duplum ad dimidiü, nifi (pecie ficatiuc.i. ad id, Quod cft filius, et dimidium; vel (i placet; dicascum Baffol. qu& fequitur Faber,filium,& dimidii,& vaiuerfaliter conftitutü ex ab(olato,& relatione effe cerminü Q 40d relationis, abÍolutü veró effe terminam Qwo; Vel vc im quiipfa z.conclu(, innnimus dicas ip(am tebus necetlarió refultant relationes ; neq. ália concomitanria eft accidétalis omni'$ó, fed per fe, quatenas cádem fünt. extrema, cx quibus rcfultam relaiones;li| €ét diuerío modo,cxtremum.n.quod reI rr vnius concurrit,vt fundamentam, &u alterius coacurrit, vc terminus. Ad aliud conceditur. con(éq. et ideó fa"€emuc non poffe naturaliter 'i diftin&té à.nobis relationem dependencia «reature ad Deum ; vt Do&or imnuit q. 1. Prolog, et ibi fusé Lichet. poteft tame «&ognofti vtcunq. ficat é cotusé artingeve potlumus perfe&ioné abfolutà omnipotentia De:, hinctüinon fequitur Deü Es dcberein dcánitionc creattitz,quia tio depenuécz non ct de eius intrin rónc, et quidditatiua'ex dictis q. 1. exudiatg, Tua quia tunc pátet nio lationem effe terminü cócomitátem, n tamé pet fe   vt terminus pri» maritis terminer, quia fine ip(opóc abo lucé ficti terasinatio, vt conttat in rclatiuisnómutuis. Ad 2.neg-co(eq. cü Lichs loc.cit.mon.n.diffecüt relatiua tertij mo-« ete s,quia Fe era S ma ad abío m;rion aliajf 2 'olutum, ad técininátur, nóni eer Prey ad ut b oFReew m,yt quit Arift. s. et. Ad 3.Zerbicit.abfoline negat aum pium, quia re vera 'Ipe&at adi cero ol im tiri vt conftat ex is in acg. ; isi cergo dicendü inpropoii ; mino relatiónisjnec incouenit térmimim: ditc&é pertinere ád aliud przdicam, et tcdàctiué 'olum ad'przdicam.relationisg "& pet illu cclationcim defiairi dati Q.VII. c dnrelatiopetat extrema realiter difline. | 679 is definitio dicitur effe per additamentü, ivt diximusq 3.Ad 4.potiuscít ad oppolitum, quia vt (upra diximus ex Scot. in vIt,róne pro 2.cGcl. y magis infca dcclarabimus prp iniuntur relatiua fundam.fui correlatiui, quam per ipfim correlariuà formaliter,vndé à quane do Arift. et Porph. aiunt rel atiui definiri debere per correlatiuum |, explicari :debent fundamentalitet . ybi confideratur relatio ex parte. vtriu[que extremi quoad eorum '  diflintlionem abinuicem. 318 Vplex occurit difficultas exa. D | cust d q. prima eft, an requiratur ditt in&tio in re incer fundatenrum,& üyqua dicuntur exuctna relationis, quanta eife debcar;quidam pauci dixernac. nallam di cione effc nccetiariausquod probapr ex rel nc identitatis ad fcipíum,quz realitfjma videtur, quia tam proprie  et à parte rei fiae fi&ione intelic&us cít aliquod ensidem (ibi, cut e(l diuer(um ab alio vel. tnile alieri; Alij dixerüc debere vtiq, rerminom,& fu ex natura rei tocaliter dift mgui, non taucn (emper rcalitcr, quia eiudem ad (cipfum;potc «tie £clatio réalisfub: diuerfis formahtatibus confideratü, vt v. g cum :dem mouet f. ipfum, vt voluntas producendo in fe yolitioncin,vel graue deícentum;tunc.n.voJuntas in rationc mouencis realiter refcrtür ad (cipíam,vt motamita Baffol. 1.d. 0.q.1.ab initio,vbi ioquit,quod licet rc jones cauíanuis, et caulat, producen tis, et producti requirant diftindionem rtalé inter extrema,quia nilul pocctt feip fum cau(ate,vcl producere 1d tamen nccellarium nó cft in relauonibus a&iui ad paffiuum,mouentis ad ànotum;quia intcr motum et paticos cít rclatiotealis, et tameo volunds agit in fc causando a&tüm fuum, taquod ipla ctt agens,& paucns,mouens, mota, idem docuit Greg. 1.d.28.q. 2. Et videtur mes $c t 1.d 2.9.7. 2d. 2:410. d.25.q yn.lub L.vbi uiplex dillingoit genusrediftind B Agna lationum,primum eft earum, quz dicunt dependenuam elfentialé, vc relatio caufatt ad caufam; fecandnm e(t earum, quz dicunt (olam originarioné vnius ab «l:o przfcindendo à dependentia, vt (unt diuioz productiones, tertium tandem eft carum, quz dicunt (olam dependenti accidentalem, vt rclariones adii, et pafliuiymouentis, et moti, et relationes primi generis,iaquit, repugnare incadé natura, et (uppoíito, relaiones fecundi repugnare in codem (uppofito,non naturas tclariones tainé cera generis ncc eciá in codem (appofito repugnate,quia idé potcit in feipío. perfe&tionem accidécalem caufare; vndé po(tea inferius infol, prime. ait, quod voluntas inquantum potentia Ida, qu. pt elicere (uam volitionems cit alia tor:malis r8 à porenuasvel ratione recipiendi (uam voliuoaé ipfam perficiétem, et cum dicitur, quod poteatia ariUa cit p: IPEA Ui utandi pian inqua tum aliud, jaquic or,quod ly inqu& 1m dit reduplicat formalem d ins aliam folum quando mouens, G motune funt ndifliuél a fubie&los[ed quado [unt Wubiettoyreduplicat rem alia, iib is manifcfté (ignificat fnflzice 1c diltindionem ex natura rei fotmalega inter exirema relarionis actiui,& pa(liui, mouentis, et moti, quz vtiq. cft relacio tealis;id.-defendunc ForaaaliLa illi,qui docent diltindioné ex natuea rei forialem pra ícferre in te celationé poütiuam actuglé,vt Vallo p.2.focm.arc.4.in fiac, ..119. Dicendum tamen c(t, relitioncaa tealé( proprie de ip(a lo u&do) petere ex trema E dittia&a,ita Dod.1.d.3t.&quol.6.vbienumeransconditionesad.relationemrealemrequititas,hanccnumerat,vtprzcipua,&e(tcóisopi.Thomift.&Scori(t.gdocetP.Faber ;. Mete difp. 12.c.3..Barg.1.d. $«q. Vecf. J"tdb adducutursLich. 2.d.2 jj. vn. et alij A fi my probatur; quia per hoc probar A.» rit. 4. Mer. 1dentitatem ciufdem ad (cipe (um non c(le relarionem realem, quia re» latio cealis inter duo veríatur, 1dem aut pon cft duo rcalicer,yade idem ad feijsü tanium i6ae refercur 1d€ labi 1pli. copa rando, ac (i cileut duo exircaaa, diciuur t autcm 630 " Difp. VII. DePrallicam. tefpecliuis s : AUS. 2 vt ilià habet, vt ait Lichiet. cit; 2.d.5. $ autem quodcunq. ens idem fibi fine vlla fi&ione intelle&us, non quía illa identitas dicat aliquam relationem realé eiufdem ad fcipíum, fcd quatenus dicit negationem diftin&tionis rcalis ; qua negatio eít realis (00 modo. Deinde, vcl rerminus relationis realis eft oppofita correlae tio, vcl abfolutum, in quo illa fundatur quodeunq. dicatur, femper concladitur realis di(tin&io fandamenti à terminio, quia extrema nata funt fundare relationes oppofitas. Nec fufficit dicere ad hic oppofitionem rclatiuá, qua femper verfatur inter extrema relationis, fufficcre diftiodtionem ex natura rei formalé incer illa/Nam ex relatiua oppofitione inter di qritias perfonas nó bene colligerét Thcotum SS. Patribus réalé d:ftin&tioné inicc illa$5 et praefertim cü hic Git fermo de relatione rzdicam: quz eft verum ac cidens,nó videtur poffe inter formalirates ipfas cadere. pati Fetibalical nó eft f.fficiens fübie&um immed iati phy tici accid£tis, 9» (olàm fübie&fatur in re phyfica . 1270 Neq. Dottor foc.cit.oppofitum docuit, fed fuppotita coi doGrmn de diftin&ionc reali exttemotti celationis,fo Jum docere voluit, non effe nece(Tariam &qualé in oibus, (ed inxta maturá ipfarü relationum, nam fi important fimplicem briginationé, petit realé diftin&tionen, tantü fappofitoram, (i viteriug important orto em e(fentialem,petüt cealem diftinctionem non tánturm fuppofitorü, fed et naturarum ; (i vcro importent (oli üependentiam acctdentalé, neutra requirüc, quiaidem pót à fcipfo a ctidenutts dependere cau(ando in (cipío aliquá pcr fe&tioné accidental vnde non idcirco i rali cafu excludit Do&tor realem diftin&ioné quácunq. inter extrema relationis rcalis, fed cantum (appo(italem, et fic in co caíu, vcl ncganda eftrelaiio realis inter mouens,& motum, et admittenda (o lum inter mosens, et ctle&tum de nouo productum in móto, vt ait Bargius loc. cit.& (eq. Cauell,difp.5.de anim.fec. 13. fi. 10. vel fi concedatur etiam inter motiens, motum cunc dicendumidem, vt tion habens aliquam formam rcalem diRingui ccalitet accidentaliter à fcipío innuit Doctor ibid.in (0l. ad arg.prin. ait qp inquanttm medicus e(d [anans, eff aliud d. feipfo €  fánatur ; dum üt ibi fobdit,g; duplicat róticm formalé aliá,nó veró ali rem, per hoc nó intendit excludere intet. movens, et motum omné diflin&tionem rcalem quando idem m.ouct fcipfum, fed tantom diftioGionem realem pocos rum. Quod fi in tali cafu intendit excludcic ab | fis o&m,realcm diflinQionem, et (olam formalem aftruere » tunc ncgabimus intet moaens, et morum realem relationem verfari, quam ibi non exprimit Do&or inter ca verfari. "111 Hinc igitur concludimus realiter diflingui debere extrema relationis propré di&z. g ide addimus, quia fi relas . tio bes bur mans fumeretur, pro ea ;f. quz nori eft penitusrationis, et pro iia ordine inter aliqua. ipit» que ex nacurá rei reperto, qui tamcn o0n '$mportet verom accidens,ita cócedi pot petere extrema rea liter diftin&as& lis iam forct de folo nemitie; in quo ét (enfu concedi pót diftin&ionem formalemam portate ccalé cclationem inrer! formalitates ex Datura rei diítin&as, non tamen proprie loquendo de relatione tceali,vt diximus a qe. ar. 2. cü plurib.Scotittis, c.n. folà dicit fiegationem fotmalis identicatis . inimé veró necelfariüi arbitramur, gy volunt aliqui, et famp(erunt à Soncin, f. Met. q.29.tátam debere eflc huin(modi realem dittin&tionem, wt fit inter eR» tía determinat, quz nü fe habeant, vt to tüm,& pars,» ideà' dixerunt, vt cuitarét infinitam propemodum miultitudiné relationurb partium proportionalium in có tinoo, fed (ane nullam videmus nccc(fitai iftius limitationis; nec numerus rcla tiorium inter partes«coniunui proportio maiorem habet d.fficultatem;quam nümerds ipfirum partium, vnde qu dicitur dé multinudine ipfarum parcium s hot idein «dicendum ecit. dc. rclationibas ipfarumadinuiccm . 112. Altera diflficulras inter Scotiítas, &'Thomilt, cftjan ratio fundandi debear   aliud,re£uef V1. en Rel. petat oxttr. vealiter diflüintla. 691. teffe plurificata in exuremis., vt illa dicani rry inter fe referti fccundü illam, vt v.g. an vt l'errus dicatur realiter fimilis Paulo,debeat albedo, que eft ro fundádi talem relationem, cflc in illis exuremis geminata. Affirmant Thomiftz paffim cà D.Th. r.p. q4 zat. 1. vbi ob hanc róné negat zqualitatem;que cft inter diuinas perfonas, effe relationem realem, quia fundatur ine(fentia, quz eft eadem in tribus,vnde Catet.ibide, Bannes, Molina, et alij inferunt confequenter, quód fi vna, et cadem albedo numero poneretut in duobus fubiectis, ibi non efse fimilitudinem realem, fed rationis, et hac etiam cít communis fententia Neothcricorum im Log.& Metaph. Dicendü tamen cit ;hanc non effe códittonem neccílarió requifitam ad relationem realem, vnde fi eadem albedo numcro effet ia duob. fubie&is » adhuc inter illa foret realis fimilitado . Ita. Doct, €x pcofeíso 1.d.51.q.vn.& quol.6. per to tum, vbi hac róne tenet à concra zqualitatem; et fimilicudiné in diuinis e(se reales relationes, fequuntur oé scias difcipu liibidem Faber in 1. dif p. 47. Rada 1. p. €ontr.26.ar.3. Vulpes 3 .to. r.p.difp. 68. ar, 2. Bonctus in hoc pradicam.& alij paf fim,etló deuiet Baísol r.d.5 r.q. r.ar.4.X T Do&or probat aísertum rationibus '[heologicis, nos tancum ex iple Mctaphyficas deducemus; probatur 1taq5 Tam quia ad relationem realem tres  illar(uffi€iunc condictoncs frequenter inculcata vyexcrema tint realia, qp» fint realiter dittinGa, et cyoriatur cx natura extremofü cicrà opus intellectus, acita res (e haberet. (i eade numero albedo effer in. Petro;& Pauloquia hzc forent. duo fimilia sullo cog:tan:e incelle&u y et realia, ac realiter di (tinta, vt patct, ecgo &c. T quiagqualitas, et fimilitado fundantur fuper voitatem quantitatis, aut qualita" tis in dittinótis cxcceimis;cergo quáto major, ac wcrior cft voicasaliquorum duoTán coi ratione fundandi, tanto maior, acverioraqualitas, vel timilitado erit incer illa; vnde magis fimilia funt duo alba, quia conueniunt i vna caionc fundádi (pccifica.quam album, et nigrum, qua €onueniunt in generica, ergo fi aliqua s duo extrema conucmirent in vna ratione fondandi numerica, ficut hzc eít vnicas omnium maior, ita et relatio eíset vera. et realiffima. Tum tandé,quia vt ait Rada,fané eft resmiranda, q dao alba ean» dem albedinem fpecie babétia fint inui. cem fimilia fimilitudiae reali, vam illa haberent candem numero albedinem, efsent quidem fimilia nullo confiderante intelle&tu, non tamen fimilitudinc teali » fed rationis, certé hoc album formaliter eset illi alteri fimile, ncc poíset nó oriri fimilitudo inter illa extrema ex natura,» tci; ergo e(set vcra fimilitado realis, 1213 Reípadét o&s ex Caier.cit. preter illas tres conditiones, requiri ét aliam,q».   ratio fundádi, feu fundamentà proximu fit in ipfis extremis plurificatum, vt v. galia fit albedo in Petro, alia in aulo, ró eoráü cít,quia fundamenta proKima funt uz primó referuntur, remota verà, feu biecta medianubusillis, wt albedo in Petro,& albedo in Paulo (unt primo fimiles, Petrus autem, et Paulus medianribus illis; imó inquiunt hác conditionem includi in illis eg dum .n. dicitur exe trema relationis debere e(se diftinGta s hoc cert non debet tác icelligi de extremis materialibus et remotis, vt funt Pecras,& Paulus in fimil:cudine,(ed prafertim de proximis, et formalibus, hec m. fünt, quz primó refecuntur; et ruríus cum dicitur relationem debere oriti natura extremorum, vtique debe: intel. ligi de extremus ipfis formalibus, quia vt dc Íe conftat,inter Petrum, et Paulü non oritur (imilitudo ex natura ipforü in fe y fed.ex natura albedinum eis inhzcentiü 5 hinc poftea dicant ad aiia risen »Qqe po(ica eadem numero abedine in Petros ix Paulo, císent vtique veré,& realiterfie milia racione fundamenti realis nó tam& róne denominationis rclaciuz,quia 1 eísct rationis, quo ctiam fenfu ens dicitur efse idem e nn cia odcunque opus inte, Leto tá rhtioyi qua fondamar. vni €é oppofica (cutentia, labilis eft,& fluxay quidem innicitar ei» quod dc fa&o contingit in fundandis x TTA et hoe 681.   "Dig. VIL. De'Pradicam.vefpeGliuis «. affumit, vt conditionem per fc necelfariam ad relationem rcalem,ex quo capite itrepíit tota Adueríariorum deceptio; verum quidem cft, ita de fa&o in creatis -€ontingete, quód ratio fundandi eft plurificata in extremis,vt v.g«albedo in duo bus albis, et idc albedines (unt. fundamcnta proxima. y quae primó referuntur per (imilitudiné, et róné ipfarum Petrus, et Paulus ; at hoc totum eít per accidens. ad realitatem relationis, procedit .n. ex "hoc ; quod aon eft poffibile in creaturis rcperite extrema quz fint realiter diftin -."€iaj& gp ratio fundandi in cis fit vna nümeto, ex quo cci fit confequenter, vt. in €teatis ró fundandi fit inextremis gemi nata, at quantum eft cx parte rclarionis 'hoc totum c(t per accidens,quiarelatto acs,primi modi prz(ertim,cxigunt vnita temin róne: ! $» Met.tex.20. non dliftin&ionem, vcl pluralitat£, imó vt ait : Doctor quol. 6. $. iflarum quatuor rationum ; in diuinis rclationcs ipfz origifiisquzad sii modum attinere vidétur, "fundantur in effentia;quz in tribus períomis cít omninó vna,& indiftin&a; quare deducitur, quód fi Deus poneret candem : albediné in l'etro, et Panlo, fimilitudo intcr ipfa effet relatio realis, tunc .n. ip(a -&fsent proxima fundaméta illius relatio- nis, et pomórelata per ipfam, et pariter xzclatio ociretur ex natura ip(orüvt ftant fub illa :atione fundandi, atqueita adhuc xxcrema relationis etiam formaliter ac- eepta effent realiter diftincta, quialicet aunc ró fandandi vnam relatione non di- düinzucretur à róne terminandi, dift in- gucrctut taméà termino totali, quia ter- sinus totalis ea "a praise albedo im altero extremo, fed iplum exttemü com » albedine;& timiliter ex parte fundamen- ti,namtotale fi um effet (ubic- «&ü cüalbedine, atque adcà extrema to- talia di(tinguerétur et parte reis quod (ut. ficerct ad realitacem relationis, ficut (u£- ficit in diuinis ad veran et cealem.pcrío- nirum productionem sm Theologos, et soliigitur cx Doétorc t. d.7.q. vn. infra ..- quód priacipium Qnod, et totale rca- "liter di(tinguatur àcermino Qui, et to- »saliy non au tem ncecíle eft » quód ita di- upto: principium formale,& termi nus formalis, nam tenct patitas,quia non minot diflin&io requiritur inter produ. cens, et producti rationc produ&tionis intet relatum, et terminum ratione re- lationis, quia ipfa produ&io relatio eft. el (ine relatione concipi nequit ; vnde ex hoc à fortiori poffet corra Thomiftas deduci validum argum., quàd fi ad reali- tatem proda&ionis nó requiritur necef- fario extrema Quo effc realitec diftin&ta,. fed (ufficit talis diftinctio inter extrema. Quod,ita quoquein relatione - Probatur ét contra allatam rcípófio« n6,» fi Petrus, et Paulus candé. numero haberent albedinem, forent fimilia rea- liter et quantum ad realitatem relationi. et nófolias fundamenti, tárex modo di- &is; tum quia fubie&tuim nó dicitur [umi- leex relatione fundata in albedinc in ab- flracto;fed inalbedinc, vt ei tribuit fuum effectum formalé, at in cafu pofito funt duo effe&us formales à patte rct diftin- &i, etiamli [it vna forma alb:, quia de- ftructio effcétu formali informani Pe- tram, pót adhuc remanere effc&us for- malisa& vnio cum Paulo, ergo funt duo exirema formalia rebitionts (imilitudiniss quia Percus elt (imilis Paulà proxime ró nc cffe&us formalis,qué recipit à forma, 115. lnoppof. obsjc. 1. rationé füpra: inlinuatamycdp exqrema ccferuntur realiter rone iy v.g.albedinis, ergo ratio fundádi debet eifc d. fEncta in exirem's,. Pcob. coa(eq. quia fandamenta proxima. fünt,qua ne referuntor, et per ip referuntur excrema materialia, feu (ub:c&a. Relp.Scotittae commaniíter neg, fua damenta proxima effe, quz primo referuntur y nom.n. vna albedo dicitur alteri ftmilis) nec vna quantitas alteri qualis, fed cadem in naturay& Ipccie ; tunduméta ergo proxima uon referuntur v. g.albc ines,ícd remota ;i, fübiecta habenti s illus albedines, funr, que primo, et proprié referantur ..Sed ccrcé iimeriió negant quancitares duas non potfe,ac d.bes re dici equales etiam. pcazcifts fuübiectis y. ac pariter. duas. qualitates fimiles. cam. -&fe equales et inaquale, timile, X di£sfimile ponantur proyrictatcs illarum, nó» Que] VI. e Ahvatiofund debeat in éxir uif. 655 m fübftantiz,cui inhrent ; et ncmo »g nientis c orti otii et al. bedines duarum ho: we confecratat( dici camomni proprietate zquales, S fimiles kn? Mroppofitun; nà folum c(t manifeflé contra rationem, quia Máahenmatica demonftrat has palfiones de quantitate feparata à fubftantia, (ed«etia «ontra Do&erenm in 3.d. 1 2. q.2. vbi füb lit. A:& G. ex protétto oftendit has retationes immediate fundari fuper fingala165 quantirates, et qualitatessittaut hz fint €xirema prim relata ctiam quando funt án (übic&o. Ec cum dicunt vnam albedinem,vel quantitatem non effe alteri fimiTem, et zqualem, fed candem in fpecie, et maturis perpendere debebant, quod obfccuauimus fupra q.4. art. 2. ab initio in uantitate, et qualitate ratione vnitatis ndari potfe relationes duplicis pex 1 eam ratione vairaris ineffentia tundant rclationem idenutatis, at ratione vitatis «uiu(dam accidenralis fündánt fimilitudinem, &zequalitstem, enim vero ratiothc vnitacis ià gradibus intentionis qualita5 fuadat fimilitudinem, et ratione vni« tatis in partibus extenfionis quantitas et juahtirem. Refp.'ergo ex di&is; cócedendo quantitates in extremis e(fequa primó dicü: tur zquales, et albediacsfimiles, et iptis gicdiantibus fübic&à dici tálía ; verü hoc totum accidit, quantum attinet ad rcalitatein relatiomum, zqualitas .n.& fimilitudo potios perunt vnitatem;quàm plu» ralitatem in fundamento ; vnde (i cadem albedo effet in pluribus fübie&tis, tunc illa dicerentur realiter fimilia, ctià quantutrrad denominationem relatiuam; quia jpfamzt fubie&ta ià eo cafu forent extrema qua prim referuntur ; et etiam polfent dici io extrema formalia e icati effe&us formalis, quos forma tilucrer ilis vt explicatum eft, et demum effet rcalis d:ftin&tio inter exuc» ma totalia, et adzquata . 1216 Demdéob;jci. quia extrema natà funt fandate oppoíitas rclationes,id]; benc ficio ipfuissationis fundandi, crgo hzc dcbet etfe diftiata io illis «. Coar. gquailitas, et fimüitudo referunt exacma,vt vnum, €rgoó quando vnitas cxtrcmoruminratione fandand: foret maxima f. numerica, rcferrentilla, vt vaum pumero, atq; ideó relatio aequalitatiss fimiliradinis inter.ca tealis non efTet, fi€t nec relatio eiufdem ad feipfum . Refp. oppofitionemrelaciaá. relationam zquiparanriz,de quibus przfertim cft przefens d: fficulcas, ede minimam in» ter omnes, vtbené Suir. obízruat difpe 47. Met.(ect.16. n.40. conliftit enim in hoc; quod due tclationces 4ingalares ità interfe oppunantur,vt quamuis habeant fandamenta ciu(dem rationis, non tamen pofBintineffe (imul vni, et eidem; quia nequit vnum;& idem cilc fundamentum, et terminusrefpe&a ciufdem; palam autem eft haiu(ímodiroppotitionem nó c([etantam, quin poílit ab cadcmeriam nu mero oriri ratione fandandi, (i hac in duobus extremis cflet replicata, quiatam inumcrodidinguun.ur daz fiailicadines exortz à duibus albedinibus ; quam illae duz ; quz orireatarab cadem albsdinc. in duobus (ubie&is xeplicatay nec maior. op potitio effet inter illas «4m iarer iftas, quiatota earum oppotitio: vtrobiqy confiftit in hoc, quod é regione contrapo: erue germs cit fandamen:um vnius, cít terminus alterius,& € contra, uz etiam folutio notanda eft ;quia nec atis candidé Scotifte:cit. ab hoc argumento fe expediunt, aiunt.n.extreima nonopponi relariué fecundum, fe;fed me ritó rclationum oppofitaram,quod vtiq; verumceft ; ac nil refpondent ad hoc ; 1n quo confifit tora difficultas quod relationes oppoficz orixur in extremis mezitó rationis fundandi, quz proindé debet effe diuerfa in extremis. Ad Conf. facilior cft (olutioncg. adiumptum, quia nihil realiter dicitur fibi fimile,vel equa leyac proindé vera, et rcalis aequalitas eft inter duo extrema realiter diftincta; ve« rum. tamen efl id, 4n quo dicuntur 3ffimilari,velaxquar cile vnum) . at illa adinuicem realiter lier diftin Ga. Fff z QVE. 694   Difj. VIT. DePredicm. Refjeiis: | iatrinecus, et cxtrznlecus aeníientem s QV.AESTIO VIII. Quotuplex fit. Relatio Pr&dicam. et quanam con[litwat quartum   Tr«dicamentum . 117 D2& non femel relationé Prz; dicam. yt à trá(cenienrali iccernitur diui fit in intrinfecus,& extrin(ccus aducniété, lic praefertim im 3.d. 1.q.1. $.ai illud inoppofitii im 4.d.6.q. 10.$.bic dicitury& d. 10 g.1.1.& d.15. 071. $. ad buius autem,& quol. 11. art.4 C wien in locisprefertim duobus vltimis, hanc diuifionem rrádit velut íuo t&pore cómuniter icccpram, et a prifcis Arift. Incerpretibus tradiram, et quidem ctiam Auctor fcx princip.cod.lib.c. r.in fine hanc d:vifionemaffignat, et veluti famoíam fupit et de vlrimis fex pra dicam.agit,vc ti de refpe&tibus extrinfecus aducmicntibus, dum aitea veró, qu&ex'rinjecus contmguntyaut a& us aut pati  Wi difpo» fitiesaut ejJe alicubiaut 1n morayaut ba ' dperenecefiario erunt,cíto ibifub accidente intrinfecus adueniente. cóprehendat quóq; quantitatem, et qualitaté. Hác tamen diuilionem vt. eucrcerentc, omnes fecere conatus Thomiflz . et wii juamplurcs,Ha rueus quol. 7. q. 14. Ca Viel d.«-tp1. Bnocin$. Mer. q.3 9. Caiet. 1. p.9.63-art.2« Sot.in hoc. przdicam, q.1.& S Pita zar Sr died Met.fc&.1. Ruuius bic . ifp.15. Met. à $.147. Attiag.difp.12. Log.(cc. 2. Auería q. 15. Log. et ali ? paffim hanc diuiionem in&cianur cx Aurcol, 1.d. jo. párc 1 arr. 5. 2 m " 128 Dicendumtamen cft, rclationes pradicométales poffe, imó dcbere diftin guum relationes intrinfecus, X extrinfe€us aduenicnies, et per illas hoc quarcum conftitui predicam. per alias veró vltima fex yrgdicam.et q.vIt-dicemus.1ta Do&. loc; c:t. cum tota ium Schola circa eadem loca, vel in przdi dernis noftris fuli(fimé defendit P. Faber f: Met.difp. 23. ex exteris veró cam admiccüc Vencer.$.fug Met c.36. et 37. Lop hic AM o.Log. d «Q9» peripat. Probatur in primis explicá do, qud Dod incliga: pr relationem pet illam. n.inceilig t quz nece(sarió cGfürgit potiro fondam éco, X termino, feu orkur ex natura extremorum, et non ex aliquo eis exirinfece accedente, per ifta, veró intcllgitsquz infargit,nonex natu  ra extremorü, ied virtute alicuius, quod omn:no ab extrinfeco venit, nec perti« net ad ióné cxiremorum, vt exirema fünt «ij vt habent rationem fundamenti, et ter mini, led 1ftz peculiares rationes oftendunt naturam h:rum rclationum effe cffentaliter aliam et aliain, ergo &c. Cóf. adhuc, et magis explicatur, quia dantur relanoncs quadam, qua pofiuse..tremis in rcrum natura, Virtute ipforum przcifa,& alio quoc j; (eclufo,infargunt; dan tur aliz, qug politis extremis noniofurgunt, (ed quedam alia requirunt penitus extrinfeca rone fuodamenti, et termini y. ergo diuiiio illa potett,ac deber admitti, Piob aifumptum ;quiarelationes fimilitud:nis, et z:qualitatis pofitis excrémis im rcrü natura etiam in quacüg; diflátia res (u'tant, quaíi ad corü pofitioné, nil aliud defideretue vlrrà ipfummet. effe exiremoráü, (ic relatio paternitatis, et fiiátio' nis, luppofito homine gcacrante,& genito, neccílarió rcfultat ;€ contra veró re lauo a&ion: us extremis i c(se v.g. igno& ligao in rerum natura,etiam a&tiuo eodem modo fe habente (ccundü potentiam actiuam,& pa(fiuo fecundü pa(fiuam, cx folo defectu alicuius excrinfe€i, v.g debitz approximationis non rcfultat, hoc vero adiun&to refultat ; fic ét et Vbi nàocitur ex. natura extremorum; uia tüc illisin efse pofitis, vt hac cathedra et plateajoriretur (latim relatio prefentialitatis eius ad plateà, quod eft falfum, (ed requicikur vitecius horáü exrremorum approximatio v.g. applicacio cathedizadplateam,vt.5cotdoc.quol,cit.TandemvtDod, arguit loc. cit. diftin&tio horü refpc&tuum ex prefsé colligitur ex 5. Phyf. tex. 10. vbi docet AuifI; ad genus ad aliquid non dari motü, quia non pet fc, (ed per accidens cclacioncs illius generis acquicaatur .(.ex ipfamet extcemorum pofiuonc, affi rmat tame dari motü ad Vbi; quia habct propriam noui"Q.V. Quunplex [se Relatio pradic. (at£, et propria acquilitione acquiritur mon vetoad acqui fitioné alterius, qp habeat róné fandameuri, vel termini, et ti Vbi noneft, ni(i refpe&us locati ad locum,vt infra dicemus, ergo omniso debét diftingui hi duo ordines rcípc&uü inuinfecüs, et exccin(ecüs aducnientium. Refp. Thomiftz communiter ; quód cum dicitur pofitis fandamento, et terminoyin rerum natura, non illicó poni re lationem extrinfecüs aducnientem ; et per hoc differre ab intriníecüs aducnien te, vcl fermo eft de fundamento, X termino proxiinis, et fic falíum cft illud a(fumptüde quacü;. relatione;etià extr fecus adàeniente,(i deremotiseft veri iríói.relatione cciá intrin(ecus aduenic tejham polito Petro;& Paulo;nó (Latim iníurgi: fimilitudo, quiailla (unc fundamentu,& terminus remota, at pofita albedine ini vtt0q. illorü, ftatim infurgit rc latio fimilitudinis,quia albedo eft fundamentum proximum fimilitudinis; vnde pariter in propofito fi a&tiuoy et palliuo po(itis,loco,& locabili,non ponitur rclatio, lioc proucnit,quia actiuü, vel locabile non dene im fundamenro proxiin cafu eft approximatio at po rec Me sncbir e certé ità neceffarió fequitur a&tio,X prasétialitas y ficut quae €ü3.alia relatio. Scotus ergo in hoc deccpus cít(inquiunt) quód de (ubic&o, (cu fundamento remoto relationis lecucus. eft,non dc proximo,& comparatione il lius affi gnauic relationem cxtrinfecusad uenientem;quod facere nó debebat, quia ficetiám ipia fimilitudo exrrin(ccus adue nit, refaltat n. in fübie&o per acce(fionem licuius exttin(éci,nempé aloed.  129 Atccettá potius dccipiuntur ipfi dum talcm fcrunt de Doc,noftro opioio né, na ipfc appellat a&tignem relatione ekitrinfecus adueniétem cóparatione füdarmienti proximi nó remoti, Vt cóflat in 4 der3iq.1. E, hoc aüt |proximum aQonisno cit approximatio; vt ip& arbitrantur, quia i pr xim recipit denominationem rclauo nis (ündarz immediaté,vt albedo » quat ett ratio fuadandi timilitadinemn, dicitor fimilis, ac approximazjo nó dicitur ages Logica « proipli pucant. fed neq. pati€s, fed e(t potentia a&iua, ficut paffioni, potentia pafliua ex $5. Mct. C. 1 j. Immo acutiffimus Do&. hác rcípo fionem-Aduerfariorü. przuidens 4. d. 6. q. 19. B.cam ftatim pracludit his verbis, $i dicas rejpettum aliqué aduenire extrinfecus [ubietlo no tamé fundaméto.y boc nibil efl, quia relationes intrinfec&s. vt poté fimilitudosqua cofequituv albediné, cj: buiu[modi, poffunt extrinfecus. aduenire fubietioquia fundamétum de nouo aduenit, ergo fi ille funt intrinfe€ Q" alie extrinfeca, erit differentia earum in sq ari one ad f[undamétii, di(erté igitur D'oétor docet relationé de bere appellari, et iudicari extrinfecus ad . uenientetn, non ex comparatione ad fübicétüs(cu fandamentü remotü, quia fic ois relatio cífer extrinfecus adueniens, (ed ex comparatione ad tundamentü pro ximum, vndc fi Thomiítz accurate ma« gis Do&. noftrum cuoluctent, (ané non tam frcquéter de cius (ubtilitate ita groffe (entirent.Deniq.falfum eft etiam,.juod aiüt,fa&a approximatione a&iui, et paf fiuiita necefTarió(equi relationem a&ionis, et paffionis inter illa, ficuc fequitur paternitas, et filiatio pofito homine gencrante, et genito,docent.n. Scoti (t re» lationcs.intrin(ecus aducnientes (equi ad extrema pofita £xali qnadam necef(litate, itavc nec ab ipfo Deo poffiat impediri, quod etiamfentiunt multi Thomi-. fta ; vt diximus q. à. art. 2. ad $. conf.s.  arg. prin. at actio et paífio,ctiam appro ximatis extremis poflunt i iri, vtO« llendit miraculum a. Deo factum in fot« nace babilonica in (acris litteris . 130 Etquia Aducr(arij nedü diuifioné huiu(inodi in (e impagnant;verumetia ipfamet vocabula relationis intrinfecus et extrin(ecus adueniétis adhuc vlterius ioo duae Scot. Pr ipiis E26 oh. proprie, cádi uaturyqui &or (ub hac dunfione có ahendeie.tn :euden tales, vt intelicxit relauoncs t folas pra ess prazdicamenalcs vero fecernuntur ab iL lisquia ifta: acciduntrebus, &cis adue« niunt, vt áccidentia mere extrinfecaynom (f 3 wont | ilz, v. didum eft 3,» ergo omvertelas 696 tiones przdicam. vt in vniuer(um à tran fcendeutibus (ecernunturc, ce&té vocantur à Scoto rclationcs aducnientes, quia veré adueniunt, et accidunt rebus; at dupliciter huiufmodi relationes potfünt extre« mis aduenire, vel ex fola, et przciía eotum pofit:one, et non ex additione ake. rius aducniicij, et ita reété dicétuir huiufmodi relationes intrinfecus adueniétcs, uia vt fzpius ait Do&tor loc.cit. refpen5 50n poteft magis intrinfecà aduenire fundamentoyqia quàd neceffarió fequati ip[na pofito termino ; vcl nóadueniunt extremis cx corum praciía pofrtione, fcd quidpiam aud aduentitiü add: debet,non pertinens ad ratione funda menti,vcl termini, et ifta rc& dicentur bac rationc cxirrinfecus aduenientes. Ac«cdir, 9 modus ille loquédi tonctempo1is erat cOitcr receptus, vt ipfe loc.cit.teflatur, dcbeimusautem vocabulis vti juxta communem v(um,yt docet 4«d. 1.9.2. Poftremó, cy folz relationesintrinfe«us aduen:cnies hoc quartum conflituàt prz dicameniü, alia veró fe vltima przdiicamiéta; probae Doótsloe.cit.quia predicamcnta font decem, viia (olà (unt abs foluta,rcliqua retpcé&tiua, vt poftca dicemus, fi igitur olsrelatio eflct vniusrónis generic, ita quod rclatio in cói aon habeat fub fe fuilcientco róncs formales ad " «onítitàcnda pla fuprema gencra, non quidem fimplciter,fcd in certa;ac deicrminata rcípcctuum ferie, przdicamenta santum quatuor forent, ergo ad faluandü famo(um illum buit ini mer ( ait Do&or) opportunior via non apparct, d diltinzucndo relationem przdicanientalem in cói inintrinfecus, et cxtriniccus aducmentem, itavt illa coaflituat quarcü icamentà, ifta vcró veluci maior:s ambitus per variasadhuc differentias cóibi poflit ad varia gencta relationü có» átituéda, et quid& iupicma in fuo ordine. Acceditsquód. Arift. recenfendo rclatios Bcs quati. przdicamenti meminit. sépcr «arum, qz ex iplamet extremorü politone refultác X diftzibuendo aha (ex;prg dica éa recolit ea, quz vluacxuemotü potionem aliud quid extriofecum exaBuatwi infurganoquod etiam ob[erualui D ifp. V1II.De Pradicam. Re[petliuis . Au&or fcx princ.loc.fupracit.ergo &c.. . Inoppof. obijc. 1. nee ed fud. iá in(inuatü nomine termini a&ionis ve] intelligitur pafsü v. g. aqua in calefa&tione, et in hocséí(u fumpro termino etiam exifteotibus Petro,& Paulo, pót non c[[c relatio fimilitudinis, ficut exiftente.a-qua,&igne poteft nó effc relatio calefa€tionis ; vel intelligitat terminus: immediatus, et proximus, vt albedo Pauli cf imrmediatus terminus Guilitudinis Petti, fed fic termino accepto, actio €t ncceffarió infurgit, non minas, quàm fimi litudo potita albedine in Paulo, quia teriminus calefaGionis immediatus, et proximus eft calor i ens, o1e inhaetére fübieto peceffario cft ato, ixavt neque per Dei potentiam impediri polit, quin (cquacur in igne relatio adio nis, et in aqua tef, paffionis . Ex quo dedaci poteft valida Conf. quia fimilitudo incer Petrüm, et Paulum in rónc albi ideó dicitur intriníccus aducniens, Sc ad quartum fpectat pra dicamentü, quia fappolita albedine in Paulo, oritur neceílarió,nec haber propriam nouitatem y et acquifitionemyquia acquiri nequit, ni(à ad acquifitionem alicuius torma abíolua .(. albedinis, fed itaeft in cafüde. » actione, et patTione, quia ncc atio, nec pa(lio proprie poliuncine(Te., niii prius Drei abfoluto caufato in paffo v«g, caote ina in aqua polito ftarim et Vide ame &c. 131 Refp. terminumactionis proprie Süpiz v. g. calcfadiionis, eíle patlum.(àquá,non veró caloi€,hic.n.eft tesminus productionis, que re(picit cff: Ctum,non actionis,qua rcípicit (ubiectü, quod paUtup,& rran(nusatuc recipiendo formá de nouo product, vnde poa dicimus calo:€ calcfieri& tranfmuari'fed. ly aquam vercó non produciyfed c j traautari per calosern. im ijía recepi y quz okaaceuracé declacat Doctor 4. d. 13, q5. et nos difp.7.Phyf. q-3. Ex quo ia qns. ocn itid,Simneiati n.a coni aquam sm (uam poteram. proximá;, (cut vermis nus pa(lomseit.ignis sm (uam potenug Sebuam proXiuzun . Cuin vcro   » Qual VALIT. Quotuplex fir Relatio Predicam. | 687   in aqua tal itura&io non minus,quam (cquatur fimilitdo tecepta albedine in PAo 4 Refp.cum Lichet.quol 11. in fol. ad inftantias contra 4« dictum, cócedendo; g; etiam relatio extrinfecus adueniens ncceflarió infurgit interdü. pofitis aliquib. prater fundamentum,& terminum, fic fitis abfoluté corpore, et loco natura|n ncceffario fequitur Vbisfed pofito orein loco naturali ; vt coextenío, naturaliter fequitur Vbi; pofita materia, et forma, nonneceffario fequitur vnio, fed pofitaforma in materia, neceffario (cquitur vnio; et in cafu pofito igne, et ligno nó neceffario fequitur a&io in igne; piffio in ligno, fed indu&a caliditate in figno, neceffarió fequitur, fed nó idcircb dici poffunt relationes intrinfccus aduenientcs, ac neceffarió oriri, vt fimilitado; quia neceffitas (imilitudinis procedit ex natura termini et fandamenti, et neceffario oritur ab. extremis abfolute inis, non fic prafati re(pectus vbicais, vnionis, aétionis, et pafTionis, fed eorum necceffitas procedit abaliquo cxttinfeco, quod rationem non habet ; nec Éondamenti, nectermini,   Hioc ad conf. ncg.min. fimilitudo pàque dicitur reípectus intrinfecus aducniens, quia Lec neceflarió ad acquificionem albedinis in Paulo, qua habet rónem fundandi vnam fimilitudiné, et aliam terminandi,vnde non potcft etie noua Gne nouitate fundamenti, vel termini,at in propofito licét a&io, et paflio inequeant, nifi prius aliquo abíoluto caufato in paffo,tamen abíolutü ilIud nullo modo pertinet ad ronem proximam fundádi,negue ai enmiern it nec fundat paífione, nec terminat actio|o me Lichet. doctrina valde notáda; ficat é contra prorfus abijctenda ; quam tradidit Vallo tra&.Formalit. fuper diuifionem, ibi nàq; vt hanc euitaret difficultatem, negauit re(pectum producen. tis ydudtü, (cu educentis ad eduétü praccedere teípe&tum agentis ad paffum, fed ait rem € contra (c habere cuius. oppofitum demonftramus in F/hyf. loc.cit. et (ané id cfl contra omnem róncmquia ncquit fubie&um pati, et rran(murari,nifi per formam in ipfo receptam, et produ. d. fi ergo pa(fio fupponit neceffarió re fpe&ü educentis, ac producentis ad edu um;vel produciü, con(equéter ét et a €t, cum (it (imul natura cumpaffione, 132. Secundo € cootra alique funt re lationcs qu: adhoc 4. prz dicamentum (pe&are dicütur, et tamen non oriuntur neccífació exiftente v.co9; extremo ; ita fe habet rclacio cau(e ad cffc&tum, quia nó pórt caufa (uü effe&um producere in quacunq; d (Lancia, (ed requic tur debita approximatio,lic et fe habet relatio pro pinquitatis inter Petit, et Paulum, quz nó ttatim fequitar iplis pofitis ;a rerum natura, (cdín illis eft tantum fundamen tum quati remotum, et oporteraliud ad iungete, q» fit proxima tatio fundandi, et quafi excitandi relationem ; fic tandé c(l de paternitate; qug actionem ctpc Gat, vt re(ultet in Petro patre refpedta Pauli Lj, et fic vniacrfaliter e( dc re lationibus fecundi modi quz conditione extrinfccam poftulant, vt inlurgant,& tamenípe&antad4.przdicam., Refp. neg. afumptum, ad 1. prob. di cimusomninó diftinguendum cffe iotec actionem,& produétionem,vt cx Doct. 4jd. 13. innuimus,& inter caufam, yt ag tém,& vt producentem, ignis,n. v.  vt agens refpicit paum f. a ]uam,vt produ .cens refpicit cfie&tum .i. calorc inaqua predu&um, non igitur requiritur appro Ximatio effe&us ad caufam producentée, fed paíTi ad caufam agentem, vt .f. in co approximato » ac bené diípofito poflit formam imprimere, itaq ; formaliter, 8c per fe requiritur approximatio, vt refül tet reípcétus actionis ad patum, non au tem produ&ionis ad cffc&um, nifi mc ré per accidens, et concomitanter. Ad 2« prob. negat P. Fabér cumalijs Scotiftis affumptum, quia putaat relationcs difta  tiz, et propinquitatis [pe&tate ad przdi cam. Vbi, br quia Vbi ctt tundamenria proximum ipfarum,vt docct Do&tor in 4d. 10... ad 1. prip Sed plané concee dendum cft a(lumptum quoad hanc par tem 5 quia fuppofitis duobus corporis bus ybicatis in rerum natura ità nceeí Fíf 4 fai 633 Dif». VIII. De Pradicam: gefpetlinis. farió confargit inter illa relatio ditantie tanta, aut propinquitatis, ficut füppo fitis duobus corporibus albis, fequitar inter ca fimilitado ; et vtiqueverum cft etiam tales rclationesmon (ui abfolutas entiratcs Pcrri, et Pauli ; quia hec (unt fundamenta remota, inordine ad qua diiudicari non debet relatio intrinfecus, vel extriníccus adueniens, fic n. omncs relationes forent extrinfecus aducnien tcs, vt diximus ex Scoto ; fequuntur ta men necefTarió entítates Petri, et Pau li,vt vbicatas, et ideó dici debent intrin fecus aduenientes, quia néceffarió con farguntinter extrema proxima : Ad 5. prob. dicimus di(parem efle rationcm,nà relationes intrinfecus aduenienres expe Gant interd conditionem ad hoc dun taXat, vt ponatur terminus, vt conftat in cxéplo ibi allato de paternitate, quo po fito ftatim neceffario refultat, at extrin fecus adueniétes, adhuc pofito termino, cxpc&ant aliá códitionem proríus extrin fccam, et aducntitiam róni cermini ; an vero omnes relationes fecüdi modi (int intripfecus aduenientes videbitur infrà. 133 Tertió tandem arguunt, q non bene diftinguantur e(l entialiter per con fequi extrema,necefsarió,vel contingen tct, vcl faltim non itavt conftituant di uería praedicamenta. Tum quia neceffa ría io, vel conti non va riat rci císentiam » vt patet de nigredinc quz cft ciu(dé fpeciei in coruo, et in ho " sninc)licét inhzteat illi neceflatió, homi pi ci ita . Tum vciosames exne ce(fitate, et coringentia có i fun damcent& variarentur eGedulieer fpeci ficé relationcs,non tamenindé fequitur  quod differát » immoó cum omnes conuenire in cói róne refpe&us, fi eit bona diuj(io,omnes quoq; ad idem przdicam. pertinebant . Tum etiam quia qualitates quoq; fic fe habent, quod ali uz. intrinfecus aducniunt, vt qualitates fpeciei, et quzdam extrinfecus, vt qualitates prim fpeciei, et tamen ab Arift. Omnespenunturineodem prediportunécam.erg oficétinpropofito.Tumtand éfirclationes4.przdicam.diftinguu nturabalijsperintriníecusadue nire,ncccffariumomnino'erat incargmdefinitionehancdiffcré tiamexprimere,fedhocnec.quid eminltinuauit.Arift.fedporíustota,acintegradefinitie rclatinoru mquartiprzdicam.ciumquoq;rclatiuismerumfexpradicam.ergovelnonperdifferuat, velomninofacidebisfubcodemprzdicam., &hzcfantargumentà Aurcol.1.d.50.part.1.art.3. Refp.ad1.eftónonfempcritafit;poffetamenioterdumconfequutioncmnc«ceffariam,velcontingentemabintrinfcco,vcl extrinfeco effe, vel (altim circum fcribere differentiam eflentialem accidé tium, vt conftat de qualitatibus prima, et fccunda fpeciei, qua per hoc ponun tur effencialiter differre, et fic eft in pro pofito . Ad a. gratis concedimus (cprem vltima pradicam. in concepta gencrico rclationis in communi conuenire, et no» uem genera in concepti quidditatiuo et generico accidentie, et omniadeniq,  decem in concepta vniuoco entis finiri, quem et damus effe genericum; atq; ità non dari, nili vnum predicamentum, et genus fimpliciter (apremum, quod erit ens finitum, fed hoc nou obftat, quin poftca pet varias differentias valdé com manes, et amplas (ubdiuidendo cns fini tom conítitui queant plura przdicamene ta, et plura genera fecundum quid, .i.in parem rerumf Trim sca i q r« Ad 5. poterat Arift. ficat fecit de i ; ita refpe&us omnes tam intrinfecus, quam extrinfecus aduenientes (üb codem concludere przdicam. tamen quia crat copia refpectuum extrinfecus aduenicne tiam, placuit Philofophis ad commodioremdoótrinam, vt ait Smiglec. illos difiribuere in (ex przdicamenta, et vnum conftituerc ex intrinfecus aducnicntibus, vt poté quz non (unt in tanta varictate, et cadem rationc qualitatcs ctiam omnes fob codem przdicam. conclu(it . Ad 4. conftabit ex q. feq. Alia quaedam argumenta folent hic confici, que opmagis adducentur q. vir, conira conftitutíonem fex przdicam. Daft. EX. De. fuprewo gosre quavüTradi.   639 " QwYVESTIO IX. nodnam fit. fupremum Genus. quarti » Tradicamenti, et anab Jtrifl. T (it benà. definitum . 1 Irca primá parté quzfiti non cft i: Ci C huic Wriüiiadiento fupre m genas affi gnare, cum :n. genus fupremü in quocüq; predicamento vnum e(Te debeat, videtar. inhoc quarto przdicatento vnü genus affignari non poffe ;.& ratio dubitandi eft, quz affertur à ScoMA 15. puedicam.in 5.arg.ad oppof. et molefta eft; vt vq; i hanc diem Autres angat; et eft ita quia non videtur poffe ahgnari tertuinus adequatus tclationis in comuni, quz dittutfupre mi genus, nam fi ponitur. effe correlatini, iam crunt duo füpreroa gencraadauata,fiponiturabfolutum,cumneccfarióinterminofequatur correlatio, fequitur et idem abfardum .f. dari corrclatiuum adzquatum fupremo generi, et fic érunt duo fuprema genera. : Di tamen eft hoc non'obftante; dari vnum fa ü genus buius predicamenti. Irà Do&or cit. et 1. d. 21.ad prin. et falsó Mafius illi impingit,quód Iuius przdicamenti a(Bjgnauerit duo fuprema genera;eft cómunis omnium fenfus, et probat DoGtor, quia (ecundü vnà rauoné dicitur de omnibus fuisinfcrioribus, Quz ratio eft habitudo vniusad aliuid, et quta oés«elationes habent cundem modü denominandi fubftantiá .f, in cóparatione ad aliud;at accidentia, qua codem modo imant fübftantiam, funt vnius generis. Accedit,quàd ficut monivo effet ponere in vno ci duo capita;ità in vno prz dicaméto duo fupre ma genera; imimo fifingátut bec duo (uprema gencra,cü habeant conaenientiam effentialé inter fe in róne efsédi ad aliud, fam ab ipíis potetit abftrahi conceptus comunis vtriq; cfTentialis, et hic erit gcnusfupremum: Hoc igitur affcrtum dc (e clar&eft, nec aliud reftat, quàm Gordianü illam nodá di(ioluere, cuiuscerté tor folutiones funt, quor capita, cum tamen folutio fit óbuiz,quam aflignabimus;al;js prius breuiter zclatis j,& scietis. 135 Aliqui,vt Io.de Mag. hic, 4ucm fequitur Fonfec. s. Met.c.25.fed 2. et 5. ait lapremuni genus hüius pradicamenti non cífc relatiuum in concreto, fcd relationé in abíl ra&o, relatio antem non cefcttur, fed tantü eft peincipiüreferendi . Ha folutio nó fatisfacit; tum quia ficuc nominatur rclatio in cói, ità et relatiuum in commun:, in quo effentialiter conueniont fiogula quae; relata cuim qtia ficut caetera accidentiit przdicamenta potfunc nedum in abftra&to,fed ctià in concteta difponi, vt di&om cft di(p. 6. q. 5. art.2. ità quo. hoc prz dicam. tum tandé quia cuiam-dc relatione in ab(tra&o redit cagerti dift Cum .n.tit habitado vnius ad aliud, defigati adhuc dc bent hec duoi extrema in communi, qua inu:cem fure dare porcrunt relationes mutuas. Nec valet; quód ait Io. de Mag. hoc cómune generali (fimam efle principi referendi, non diüfetfa exitema adinuicem, (ed idé ad fempfuim ; pütà hoc cámunc rclatittuma ad (cipfam. Nam »alidiffima cít inftantía,quam ipfe ibidem vrget contra hanc folutionem,quód tunc relatio, quam importat hoc genus gererali(Timü, effet rationis, non realis, quia eiu(dé ad (cipfua: non cft relátio realis, at predicamentuay reale debet € (uptemom genus rczle. Nec tandetiivaler,quod ait ad loc,te« látioné eiufdem numcro ad (epum vtiq; e(Te cationis,non tamcn eiu(denm generey vcl fpecie vt eftin propofito, Nain vtiq; rcalior eft identitàásnumeralis,quàm scnerica,& fpecifica, ergo fi eiu(dé numcro ad (cipfum relatio realis cfle nequit, tántó minus eiufdem senere, vcl fpecie. « Alij proindé cocedunt relationem yac etiam télatiuam in communi cflc hic (upremum gerius, (cd negant referri atu exereito y aiuntq; conhidctaci tantüm irf a&a fignáto, et mente concepto, et idea nó habcre termitium in cómuni,ità Thomiflz pafliat, Mafius hic feét. 1. q. f. et Sanch. 444 9. Sed ncc ifla (atisfacit, quia eflentia telationis confiftt in ordine ad termini, crgo fiué cóntideretur in effccxercito, fue hgoato, femper et cogitari debebit terminus einsexercité,vel tigaat, ficut à pati [icécaec:dGs in comuni acum inhzrendi ndn cxerceat,adhuc ta mea cogitacur fübic&um eius ia commu. ni,velut ine(fe (ignato, et (ic éceftà per vitioné in comuni nó videamus, a P. vifionisexerceamus, adhuc tameo in efle. fignato cog tatur vilibile, ad quod tendit. Accedit, quód relacio ia communi confcrt fubic&o relato in communi aliuod e(ic,& hoc vtiq. non cft abfolutum, ftd relatiuum, ergo ad aliud refert faltim in cffc (ignato . Per quod ctiam reijcituc figmentum eorum, qui dicun: relatione in communi nóà referre actu (übicctum, fed in potentia tantum. Nà implicat fandarc a&a relationem, et non aGu referri. 136. Alij concedant ev relatiuü in có muni referr,non tamen in fe et per feipfum,(ed Hi inferiora, et ideo non opottet aíTignare terminum ia communi, ad quod rcteratur, fed (atis el, quod (iagulis relatiuis corre(pondeat fua proportionata correlatiua, et hzc refponfio dickur effe grauiü Auctorum Simpl.Boct. Albert. land. Burl. et videtur effe Scoti. Cit. 1.d.21.ad 3 . quam proindé recipiunt "Tatar.hic dub. 5. et Zerb. $.Met. qu. 19. $. Propter quartum in (ol.ad $.immo di citur eífe intentio Arift. qui hac ratione relatiua dcfiniuit, ac nominauir in plurali, et non pcr modum vnius;ac etiam D. Aug.cap. 11, Categ.vbi in vniuer(um ait rclationem non generaliter confi. derari, (ed tant in fingulari in quolibet rclatiuo . Neque bec fatisfacit adbuc gnatur omninó, vt pracedens, et adhuc vlterius ; tum quia (icut relatio nunaerica refpicit terminum nuinericum,& (pecifica pecificum,ita generica genericum, ' vndc aiebat Ariít. 4. Top, cap. 4. (à (pccies cft ad aliquid, et genus erit ad alig d; tum quia relatio,& relatum in communi babent veram e(fentiam celari i nis;crgo funt ad aliud incói, immo cum refpicerc terminum fit. e(Teaiale przdicatum relationis, per (e primó competit relationi io communi, et per (c (ecundó rclatiuisin parffculari non antem é con. tra ; vt inquit hec folutio ; Nec valet dicere per ly aliud (igaificari varios termi nos in (peciali; Nam ficut varijs fandamentis prz(ciaditar fündamcatum in cQ Difp.I/1IT. De Predicam.refpeHinis T muni, quod a(lignatur relariani ia communi,ita ctiam de cermino loquendü cft, nec vnquam poterit a(Ti gnari di(paritas quz conuincat. 137 Neq. eft iatentio Scoti r. d. 21. : negate relauaum incómuni ad aliud etiá in communi referri ; tum quia in Logica loc. cit. hunc dicendi modum retellit ; tam quia ibi non loquitur de relatiuo in communi, fed de relatiuis zquipatantig, et dicit in hoc diftingui à relatiuis difquiparantiz,quod ifta quádo có ceptibus nofttis abftcahuntur,& in commun: conc Ipiuntur ? in ! tionibus fpecifiie poni nel iyngm relatigumCQc ad ali; d t enrii s ; ia fpioedt, üan alain vt purum terminum » quod e(t commune omnibas relariuis, (cd etiam vt correlatiuum, et oppofitum, (ic pater in cói refpicit filium in coi, Dominas (cruum, at relatiaum zquiparantice in cói, quamuis per feipfum ad aliud referatur,vt ad terminü, non tamen rcferri pót ad illud, vt ad correlatiuum oppofitam,quia cum relatiua huiufmodi fint. ciuídem rationis,habent em conces ptum (pecificum;vade in cali conceptu v« niuntur, et per modum vnius concipiuntur (ccundü id jin quo conueniunt, ideoque non potcít huiu(modi relatiuo in cG muni aliud zquale corref i fo diftin&um,ad jin as in communi, ncc equa : fed (olum róne indiui inquib. da. tur vnü fimile ditin&um ab alio fimili ; tclatiua verà  dif(quiparamiz, quia funt diuer(arum rationum, non concipiuntur i pecificosideó abftrahi ciopatq; i iculari, (ed etia in cói vnum ad aliud i.m tOnc correlatiui ; hzc e(t. mens Dot. ibi. Neq. cx cog Arift, relatiua dcfiniuit in plurali benc itr, gp non conueniant in viia rationc generica, lic . n. in plurali vniuoca definiuit,& dcuominatiua, que tamen omnia in vna coi ratione gcuerica cóuce Quafi. IX. on Relatiua bend definiatur giunt. Nec etiam D. Aug. dixit relatione non pofíc in communi coníiderati, cum eam fic ibi definiat ; fed ait naturam cius facilius dignoíci in fingularibus  cum.f. vnum i ad aliud fingulare referturjin ipíis.. realiter exercerur relationis munusdicendo ; hoc eft timile illi y hic homo eft filius illius, vbi in communinon realiter, (cd tantum cogitatione exercetur, vcl potius fi9natur . 13$ Alij proindé concedunt relatiuü in cói referri ad correlatiuü in coi, nó tamen ci fed inadzquatum;ac proind? nó süt duo fuprema quia he füb alio   ;& hec hs ptima folutio,quam Ta«ar. aíIgnat loc.cit. Scd cam reijcit Do&or ipfc in Log. loc. cit. nam relatiuum, X correlatiuum (unt fimul natura, crgo vnüncquit effe prius, et cómunius altero,quia fuperius cít prius, natura inferiori, debent ergo poni z-4ualia, et (cerunt duo al.ffiima .. Alijadhucconcedunt. relaciuo in cói érterminum, et corrclatiuum adzquatum, ad quod referatur,fed non tanquam ad aliud correlatiuum fecüdü a liam formam gencre, fed pet formam eiuídé generis, vnde nou fequitur dari duo zenera faprema, Sed licet hec (olutio poffet vc. cunque defendi cum aliqua explicatione, . et in(inuetur à Scoto. cit. in Log. ad 5. prin. tamen fic ab(oluté fampta nó cft à difficukatibus immunis, quia cx ca dirc&& (cquitur duo elfe fuprema genera hujus prz dicamenti,nà param retert,op illa extrema referantur per relationes ciufdemgencrisiimó quia ilz relaziones funt eiuíde generis, et arque primz,ob id con ftituent duo (aprema gencra eiuídé prae dicamenti5 Accedit, quod illa duo extretria in couimuni fic relata conuediunt ef. fcatialicer 1nzali przdicato .f. referri ad aliud, ergo pouus hic conceptus ytriquc eilentialis eit commune genus « . 139 Compl.icniq.dif14. 3.6. Log. in fine fupponentes do&rinam Caiet. 1. p.q.13-a7.7. de relagiuis pon mus, gy ncinpe itvnà ; et cadem relauo vcré, et rcalitec conftxucre duo cxcrema in cfc relaciuo vnum ivfot mando inttiníc«e, et pcr inharenciam, aliud exiriníece, z 691: et per adherentiamjinquiunt ipam com munem rónem relations,vt ab(trahic ab inferioribus non exigere,vtincorrelatiuofita liquarclatioilliinhaerens,à quaintrinfecédenomin etarMarii,lodadhoc(uff icere,vtdicatuccorrela tiuumperdenominaiionem fumptamàrelationcyq uamtermmat,vndehzc denominationonpoteftcófti tuerealiudfapremiáge nus,cumproueniatabcademrc lationc,àquaalterum extremum imrinfecé denominatur rclatiuum, ac proinde. ibi non dantur duo generali(Tima, fed eadé ratio cós relationis,(ecundü quà vcrume rr extremum denominat relatiuumscó« ituit (upremum genus huius pra menti . Haec tamen (olutio, quamuis ine iofa, in duobus deficit, primó quia undatur in illa Caiet.doGrina,quà prot fus falfam ex omniü có(enfü excca Scholam D.Th.demonflrauimus q. $.ar.3.cócl. boeds quia etià Wr dept nonbe. ne tur,genus .n. exequo euni fpecicbus, à crgo t egre minationem denominatiuam prebere extremis, vt per candem relauionem ambo extrema veré dicantor relatiua,eft proprit relationis nom mutuz,certé hoc cóvec. nequib:t relationi in cói,qua prae cindit à mutua, et non mutua, fed aliuas modam denoainadonis relariug pra» (ciadentem à proprijs iflaram a(Iignare debent relationi in communi, quod fas né nonfacilé przítabunt . ' 140 Reíp. itaq. quod licet arg. valde Thomiftas torquear ponentes vaum rela tiuam formaliter ad fauaj correlatiuum terminari,nos ramcn,qut dicimus terminati ad entitaté ab(olutam,vel faltim ha« bens modum abíolixi,vt conftat ex q. 5» ar. y. parumy et n. bil vrget; dicimns.n. qp tergyinus relationis 1n. cói, vt fic, eft ali qua entitas, vt habct viu; fofficientem adi terminandü, qua vt plurimü ett abfoluta, et ti interdum eft rclatiua,vt cum vna relatio fundatur in alia, 1d non habet, vt exercet muaus relationis oppoixa, vt babet cond:cioné aliquá cóem cum entitate abfoluta,cationc «uius terrainat ree lationem, vt ipi explicatum cít, vnde non fequitur dari duo gcncra fuprema, quia &crminus rclationis in cói noneft. rclatiuus, et hecre(pon(io cft nobilimm Scoti ftarum Mair. 1.d.29.q. y. in fine, et Zer. foc. cit. quam plaufibiliter amplectuntur Recentiorcs o€s Suar, Tolet. Ruu. Did, AAmic.Blanc.& alij, et cerré ape citur ex illo Scotico principio cocta Thomiftasg relatio non terminetur ad rclatiuunsvt fic. Dicesyadhiic hocmodo cóftituendo vnum genus rclationis,ha relatio in cói cfe nequit,nifi equiparátiz, nam rit prineipium referendi vtrumque extremum fecundam eandem formá, et perappellationé ciu(demróais in vtt0q. mam rclatiuum in Coi dicetur relatiui cetja inferiora erunt zquiparanci . Kcfp. genus hoc cóiffi mam effe celationé, vel Xclatinam z.juiparantag » vt modus, fed wt qid abttraherc ab omnibus,& ngu. lis telatiouü (peciebus,quéadaodá voixeríale cóc ad quinq. vniucrfalia, vt mohae cic ad illa quinque, vt quid  autemyabftrahizà Gingulis;vide aliam (oTutionemr apad Scot. q. 25. cit. prop fiuem; hzctamen eft clarior, et (afficit . 141 Circa alteramqualiti patté dicimus optimam e(fe definitionem relatiuo eii iri dü x "s v reel » quibus boc ip(um c[]e efl ad alit debeo » cuius fenfus c(t, relatiua eiTes Squorue totam fuü c(e cit ad terminum &ekctri. Ia Do&or q.26.pra dic. et prob. las explicando particulas, dicitur ad | fcu relatiua, quia vt iaquit Doc. jicnon defmitur relatio in abftra&o, ncquc fübicctüm relationis, ncqtotum aggregatum»fed relatio in concicto,vt ni à css ae pte ed  6 dicat partem eius, quod (1gnificacurs fed modü fighificandi, dicitur funt; quia hic definiancur tàntum rclaqua rcaliajnü rationis, cum-.n(pra diui(ecit ens rcale in 10. przdicam.& nunc dcfiniat reladio nem quarti pras dicamenad,confequenter loquitur de his,qu& süt ad aliud realiter y dicitac quibus, pec quam partigulum infinaacur proxancecedentc, vi scfus fiz,relaniua (aac accidentiarealia quibas &c. lupecius.n ..diuiferat accidens. rcale in. nou€ praedicamenta, vnde pex hoc excladuntar relationes díninz,que nó fant accidcatia, et ctiam relationes oés tranfcendcmales,qua non accidunt rebus;dicitur boc ipsu effe efl ad aliud fe babere i. quotumtora e(fentia in eo confiftit,t. ad aliud referantur per quod diftin tut ab abíolutis,& relatiu:s fecundum di ci,qua non eífencialiter, fed accidentaliter tantum,& denominatiué referuntur, et tandem ét per candem particulam infi naatut d.fferentia à relatiuisaliorü prz dicamentorü,írita ex tur illz parti cule boc ipfum eie efl ad aliud [e babe re.i. quz hoc ipfo habet e(Te.cp terminus. intelligitut efle, quia relationes huius pre. menti neceffarió pallalant in funda. mento pofito termino. quz differentia magis adhuc explicatur poítea per eam iecatem relatiuoram huius pradicam.quod (int (imul natura, et poíita (e nt,ac perempta fe pecimuat,quia pid non tantaminnuere voluit quod in ef. ferelatiuo habeat neceffiríam connexio: nem vt relatiuumcum (uo corrclatiuoy. quia in hoc fenfu conuenit etiam relati uis. aliorum ptzdicam. fed. etiam. infi nuare voluit, quod po(itisextremis in». rerum natura necefiació fequitur relatio. ex (ola amborum politione, et quod relatio perit cx (ol yambocam, vel altcrius: deftiactione, in qao fenfu non conuenit: relaciuis alioram predicamentorum ..  ; 442 Inoppofit.obijc. 1.relatio-haius. ic. eit accidés ergo malé dicitur to tü illius ee có(iftere 1n ordine ad aliud,. quia cum (i: acides, debet &cexprimi p: ejfe in-Re(p. Thoauitz ex D.Th.1.p. q.. 25-art. 1. SC Caiet,ibid. relationem pofle confiderari, vt accidesy et vt tale accidés. et (ccundum primam contideratiouc babere e(Je inyat iuxta fecundam cíle tocali. ter ad.aliud', et fecando modocontidcratam hic ab-Ayift.definiri . Hzc folutio non [atisfacit,.quiain relatjoac non. di fingiuatur aparte rci e(Te accidcatis, et c(le vclationis, ecgo fieri nequit, vt (ic zcaliter in-(ubie&o, quatenus accidens, &non fecundum.effc relatiuo, cam in ed scaliter non-di fbinguantuc clc relatiuü et cíke accidentales& cl pondent quód fale uim bormalier ditungaüuroX vr E eft infubic&o,(ed ad terminum. Contra quia relatio Lectt formaliter ; vt sclatio.cft acci Sen etiá fecundü effc peculiare relatiomis dicit effe in; 2. relatio etiá formaliter ; vt dicit effe ad, cít 1Ó referendi vnü ad aliud, ergo quatenus relatio debet cffe m co, quod refert, ergo vi relacio formaliter non. folum dicic ad;led ét in, et quidé paternitas fecundü vltimum füü concepti denominat; et afficit patré, càquá forma illias, ergo pctit efc in co ét fecandü vltimà fuam formas btavem.3. fi relatio,vt relatio, non diceret efie inyergo fecundi fuà vltimá formali. tatem nihil rcale foret in reram natura, non e(ler fubftantia, vt de fc conftat, non accidens, quia non dicit e(Je in, ergo nthitforet .. Tandem przícindendo omnipo a ratione accidentis adhue relatio, vt relatio, petit effz 12 velut in fundamento, et talis habitudo cit ei ef(fentialis nó mi nus ; quam ejfe ad, vx diximus q.4« er5o zcípooiio Thomift. non facisfacit 143: efp.igitür neg.conícg.quia qua do pictus i x Ai1elauo,eftcíT'e ad aliud, boc modo loquendi: no ántendic Arift, excludere a telatione 4r in vclut accidés infubic&to, et €t yt re uo infundaméto,quia re vera vttliq. habé przdicam,rclauo, (cd inteudit excladere e[Je 12. accidens abfoluti, quia accidens abfolutum-pet. (nam inhzerenaà ica aflicit (ubigétum;vcibi filtar, et no ad aiud ccferat, at relaiio, licét forinaliter, vt relatio, (t in tubicctoyilludq. afficiat, ita tá affici vr.in ip(o non fitta, [cd afl. Ciendo 1psü ordinet ad aliud, vndé pecu-, laris modusiohzrendi, et afficicadi relationü,vz dittinguütur, ab accidentibus abíolu.is,cit a ficere (ubie&tum refereado illud, et otdinando ad. alud, atq. ita tot eil'e relationis dicitur ad alind, non ia non fit in (ubictào, fcd quia non (iit,& quicícit in co . Daces;crgo relatio duas iones habebit effendi 15 vnà communem cum accidenübusabioluus, et aliam fibi proprià; cii tà yna lufficcie vidcatur . R.efp. Ita c(le,& vnam non füfficere, qnia licut quodiibet accidens abtoiu cum h.bct duplcx effe in commune; et parüculate, et babet,cómune vt acc vt tale accidens;verum e[Jendi in patticulatem i diftingui à parte rei adzeo dus ad,(ed tantum pet cc a quatos;porius.n.a parte rei ratio. di in; et ad ciccüfcribunt nobispropridg   et adzquatam relationis differentiam,vC   ab accidentibus abfolutis diitin ] Sed vrgcs,conccptus ineft abío ceptus ad cít relatiuus ) ergo.nondic cundem conceptum adzquatuma | rei. Neg.alfümptum quoad prima pat quandoquidem hax ratio effendi tmc munis, nec particul.ris efl abfoluta, non   ratio communis, quia [icut accidés come munc ad abíolutum,& refpeGiuum,netü»     trum eftformaliter,itaetiamiratioeffeme      di in cómuuis ; non ró effendi in partici Ef laris,quia hzc eit pare re(pe&iua, eft dé o certus, et peculiaris modus afficendi fu   d bieéum referendoillud,quarélicétcons     ceptus ad fe iit abfolutus,non tamen MTS ceptusim[eformalrerloquendo.   0 Sccuadó relatio eft eifentialiter ha2     bitudo vn.usad aliud, ergoin abftracto: concipi nequit fine tundamenzo, et ter« minosfcd boc eft £alfum; tum quia terme nus abítcactu s cil ille; qui formam fignificat áine ordinc ad (übicétum; rum quia termi nus viumata. abítractione ab(tra&us praccjndit ab omni co,quod aon eft de cjus ratione 1n primo mode dicendi Ey ex Scot, 1.d.5.q.2. Refp.neg. min. Cü probat. relatio .n« ex peculiari (ua rónc polítulat terminum,& fandamentá, ab ei(q.etientialiter depen Jet,itavt fioe illis con(eruari nequeat, fiueiu concreto, fiuc inabftrà&to, vt di&uin cit q. 3. vade, dum in abftra&o (igaificacuvs vaq. ooa datur intelligi fubiectum ex vi nominis per modum recipients denominatione a forma relauiua;beué taaien datur imtel-ligipcrznodum extremi relationzmfuadantis, et quamuis extrema non (int de clientia relationis in primo modo dicen di per fey adhuc tamen ita pendct ab cis ; vt rclauo fine illis concipi xhyc9n ncc iuiliAlti po fjcfttrniaioi fore(fe 4&us in ordine ad effc&us forTh..p3 faategulc Quo " ara. DNE males; fine pocemtiales, liuc actuales, il9 art.4. quem mr as di(cipu ride tur,Fland.5.Met.q.. "X ]am de fe habét intrin(ecam, fic igitur in (itotelatio etiam im potenua tanc exittens dicitur a&us referendi, non vt actus excludit potentialitatem exiftentie, fed vt excludit potentialitarem refctentiz,'& in hocfenfu negari i affumptum, fi tarnen a&us referendi fumarar pro ipíomet exercitio referent pót có€edr,quia relatio in potentia dicic a&tuaTem refecentiam. potius ina&u tignato, quam exercito « coQVAESTIO X Quot,C7 qu& [int genera, C fpecies velationum quarti predicamenti . T gencra;& fpecies inucftigemus fe V tiem liuius przdicamenti cóftituctes,fcrurandum prius eft, vade fumenda fit diftin&io, vel vnitas (pecitica relationum,' et declacandi (unt tres modi celatiuorum ab Arift.a(Iiguati $. Mct.hinc .n.   ftatim patebunt genera., et fpecies pradicamentum confítituentes . ARTICVLVS I. Vnde fumenda fit vuitas, vel diflintlio [pecifica relationum » 146 gie hic folüm inquirimus de vnitate, et diftinctione cffentiali& tpecifica relationum non auté de nunmerica,tum quizcx ea prafertim p& det (tatucre (eriem huius pezedic. türquia id lit de numerica dicendum, fatis cóatex dictis q. $-art.2. Tresatt przcipué cxtanc in hoc negotto fententie due extrem, et vna media; Prima afferit celationes accipere adzquaté hanc vnitaté,. que diitinctioné a fumdamentis;non veró: a terminis; l'atio cius cft, quia ad eundé fpecie; X numero cerminum potiunt plures. relationes (pecie dinet(z tendere, yt ad edndom albedinem relatio (imilitadi mis alcerius albediais& alterius nigredinis ditfimilitado, fi crgo vnus ctt cerminus;& duplcx (pecie tclauo, (ané vaitasy et diltirctió [pecifica carum, ex termi nis autendenda nom erit, ita f12aificat S» relationcs fumere vnitatem,& dittinctioncm [pecif:cam a terminis, nona runda mentis; Ratio eius eff, quia in cadé ome nino: entitate fundantur relationes fpe« cie differentes, vt in cadem albed;ne relatio fimilitudinis cum alia albedinc, &&.  ditfimilitudinis cum nizredine;crgo cum hic (it duplex relationis (pecies ; et non . duplex fundamenrum, fpecificatio relationisà fundamento nequaquá fumi pa4 terit ;quz opinio coitcr tribuitur Scoti ftis,có quod (rpius aiunt relationes fpe» Cificari per terminos;(cq.Sonc. 5. Met.q. 31. Araux. $. Met. q. . art. 6. concl. 3. &calij. Tertia tandem media;quz verior eft, et communior, ftatuit ab vtroq.defumi; ita ex noltris quamplures, prz(ertiniveró Io. de Mag. inhoc predic. q.5. hoc Zer.5.Met.4.19.(eq.Suar.di .fec.17. $ «:19-Leq hic t LE. n. r5. Rau'us hic q.6. Maf.hic. (ec. z.q. € Did difp. 14. [»2«q. 2. Sác.li. 5.9.38. Blan. di(p.1 2 fcc. 17. Comp.difp. 14.3.7. Io.de S. Thhic q.17«arr. 6. et alij paffiar . Pro rcíolutione quz fiti ob(eruàdü ex To.deMag.cit. et Zerb. in fol. ad arg, re« lationum duplicem eife ditlin&ionem s vnam intrinfccam, qua nimirum attcn ditur penes aliquod intrinfecum, et e(sé tiale in relatione,extrinfeci alteramjque artendicar penes aliqua, que li cét necc( faria fint ad celatiomscontk;tutioné, ad huc tá ad eam extrinfecé concarrüc. Kar (us recolend'im ex dictis Jjundament,, et termini rclacionis pote duplic tec fü mí,vcl marerialiter.f, pro entitatibus.ma. tcrialibuseorii, vel formaliter pro ratio nibus nempe formalibus fundandi,ac tep minandirclittonem, hoc prenotato ». 147 D'cendà eii ditt.nctioné fpecifi cà inuin(ecá relationü fumi ex proprijs ». et imriníccis earü differenti js,extrinfecar vctó fumi potie; camá fundamento (qe átcrmino,n0n quidem materialiter, formaliter confideratis, [tà Doctor 1. d. 1.4. f:inlol.ad, $» Henrici,& j ine q 32. in corp.quem fcquantur Scotifte o6s | prafertim citati, et Recentiorespaffim 3. ent. Quoad primam parté prob. Pra xerum clienti diftinguütr ab alijs e(sé tialiter per cadem principiayquibus.con fticuuntur,eadcm nàq. (unt principia có ftitutiua& di (tin&tiua, at relationes in» trinfecé, et effentialiter cóftituuntur per proprias differentias, cua n. fint acci dentia, non conftant ex matcria, et fot ma, et cumnon (int entiaomainó fim plicia, nece(fatió exigunt compofitioné €x genere, ac differentia . Nec dicas ter minam, et fundamentum poflc ralem di ftin&ionem intrinfecam coaferre. rela Aioni,tanquam   reise vie pec umodum gencris, iz. Licet, m. fhoc dici poffet in opinione Nominalium 'on(tituenrium rclatióncm ex. termino et fandamento, velut ex partibus intrio 00 fedis; quibus nil proríus (aperaddat ; ta » meninno(tra enrentia eam ab extremis di(tinguente realiter, nequaquà dici po teft, quia ficut diltinguitur ab entirate.  » zermini,& fundamenti, ita habet fuain ttinícca principiaquibus di (Linguitur ab illis., quz fané alia efle nequcuac, nit propric efleniales differentiae; tum quia genus, et differentia fpe&amt ad.ide pue «licamentum, ad uod scs ipfas (andamé 1umautem, et terminus (pe&tangrcgitehritecadal indpredicamentum.148:Quoad alterampartemprob.éc,.fiterminu s;&fundamentum:mazer  ialiter(pectentat,vtiq.nequicpenesa lla(umiditinétiorelationumIpecif ica,uia.&(uperidéfundame ntumtncosC«ufundar:pofluntdiflinctz(peciercJagiones,&adeundemterminumtendere,vtbenéprobantprima;&(ecunda opi nio. Cetcrü (i fpeCtentur formaliter, (ae né in hoc(eníü telationes (pecie diuecíae petunt quog. terminum, et fundamentü fpecie dinerfayaut faltim alterum eorum, quod euidenter oftenditur inipliscxem plispto prima,& (ccüda opinione addu €tis: naim albedo, vt dicit vnitatem fun dat, veltetminat rclationem limilicudi nis,vt vero:dicic pluralitarem;fuadac vcl Xerminat diífiailitudinem,, nà ratio for malis, et proxima fundandi, vcl. remis Di TIT. De Pradicam.vefpeéliuis   "nandi fimi litudinem eft vnitas, diffimiltz tudinem veró plucalitas,vt art. feq.& ex inadacrtentia huiuis diftin&ionis ortum cft diffidium prime,& fccundz opinio nis, quia vt earum róncs oftendunt, lo. quuntur de termino, et fundamento ma terialiter (umptis,non formaliter ; igitur in hoc fenfu verum eft pofse relationes sd tundamenta (pecifice diftingui;vt de &o diftinxit Arift. y, Met.cap.15.& in eodem feníu verum cft, quod frequen teraiunt Scotiftz polse quoq, per ter minos diftingui . ! 149 Dubium tamen eft, an cum dici mus relationes fpecificari extrinfecé à fundamento, et termino;id debeat intel ligi coiun&tim,itaut diuer(itas vtriufq. fi mul requiratur ad díuerfitaté relationis; vci dibi&timyitaut fufficiat diuerfitas al terutrius; Hoc (ecundum affirmat Io.de Mag. et probatur, quia (zpius videmus in codem. fundamento. formali diüerías fpecie relationes fandari ad diucrfos ter minos forazales,& é contra diuerfas fpc» cie relationés fuper diuería fundamenta    radicatasad eundemterminumformalé     tendcre, quod conftat, cum idé cffe&us. tcr miaat relationes.dicerfarum caufary et altcrius rónis,& é contra fundat diuer 9 fas (pecie habitudines dependentim adile     l:s,quia e$ parte illiuseftfempereadems"   atio fundandi,& terminandi dependens vili tias (pecie diuctfas, ergoad.dinecfitatem.      (pecificamrelationum fufficit diuer(itas   alterutrius. .f..vol termini, vcl fündamen ;  ti c2 urfr.ad vnitacem relationis (peci cam exigatur viriuf. vnitas,quod ec: : athrmant Compluc.cit.n.8 j. eitó exem : plà ; quibusid probant,non fint ad rem; m  quia funt dc fandaméto, et tetmino ma tcrialibus, videtutq, poffe id probari ex illa Scoti generali regula 2. d. 1. q. 6. ad: Y.prin.quod quzcunq.diffcrentia fufficit ad diftinguendum, fed nO qugcun;; idé ticas fufficit ad períe&tam idcatitatem.ali quorum, Quóàd titenere placeat ci alijs ad diftincionem fpecificam rclauonnm neceísariá.císe dit inctionem (pecificam vaiulq; fimul f. ter mint,& fundamentis tunc dicendum cüeifdem,quod cü idem. cHicctus terminat relauoncs diuerfarume     C ef X ett quo [piciftturvelatitcéAde IL. 697 ttaufardny » non illas terminat (ub cadem . gónc formali 5 Sed alter modus dicendi "magis arridet » quia hoc eft multiplicare entia fine nece(Titate, et (i percontemur, quznam fint iftz diuer(z rationes for males, füb quibus terminat, nó erit ita fa cile ipfasaffignare; Et iuxta vnum,vel al. terumex his dicendi modisrefoluenda eft difficultas de relationibus vtriufi; paren tis ad eundem filium terminatis, quam Auctores, et praefertim Thomiltz hic tà anxié exagitant;vel.n. negandum eft rela tiones paternitatis, et maternitatis e(Te. » fpecie diuerfas, vcl fi id concedatur ob iueríum modum concurrendi vtriufq; parentis, confequenter in filio quoq; ge minandz (unt habitudincs fpecie ditlin €t ad (ingulos parentes in cadem ratio ne ptoxima fundata, vel in diucr(is, iux tà relatos dicendi modos. Hic vero obferaandum efl, minus có fequenter lojui. Recentiores quamplu rC5, qui tenentes cum Galen.lib. 1.de (e . mine, scoto j,d.4.q.va. matré quoq; .. elle principium generationis actiuü, (ta |   unnt etiam ip patre, X matre vnam fpe: . €ierelationem, quia inquiunt fecundam   hanc viam candé fpecie efle ronem fun. dandi in ambobus (ficut eft virtus gene rauua eiufdem fpeciei) atq ;adco refpon dctcis in filio vna (pecie relatio . Fallun tur Auctores ifti, quia etiamfi ambo po nantüt concurrere aGiué, virtutes tamen zY quu in hoc genere aótiui cÓcurfus, unt altcrius ronis, quantü fufficit ad fun dandas diucrías fpecic relationes, vt in« nuit Do&or 1.d,3.9.7 $. 4d qu&flion£, et Tat, notat 2. Phyf. q. 2. $. Sciendum primó,vbiait, quod licet pater, et mater fint caula ciufdé (pecier inquázü quilibet cft homo, non tamen sr potentià causá di; quia potentie generatiuz patris,& ma tri$ lunt altetius, et alrcrias racionis. 1y0 Inoppot.obijc.1.rclationé nó pof fc [pecificariá tecmino, quia ab co rcla tio habet vnitaté,& diitinctioné, à quo babet efle; quia cadem fant pincipia c(  fandi et difinguendi,fcd babet £fle à io lo tundaincato,non à termino, vi dictum Cit q. 3 art» 2, nam polito tccanimo, vc có dicio oe,efficiécer dimanat à lolo/tunda   UKWCO cx dictus ibidem, crgo à fuadainc to, et non à termino babet vnitatem » et diftin&ionem. Refp. quod loquendo, de vnitate, vel pluralitate relationis quantü ad entitatem,& realitatem cíus, vt1q; re lationem non fpecificari,nifi à fnndamé  to ob rationcm allatá, quia re vera folü fundamentü cft vera cau(a efle, feu reae litatis relationis ; cgerum quia inter alia accidentia hoc fpeciale inuenitur in relae tione,g vitra habitadinem ad fundamens tum;à quo accipit effe, et realitaté, ordi« natur quoque cx propria natüra ad tet minum extriníecum, ideó etià inter alia accidentia hoc fpeciale habet, vt vnitaté, et diftin&ionem accipiat, non folum a co,in quo, et à quo babet effe, (zd'ét ab có, ad quod cft, et ratio huius ett, quía. non habet e(fe à fundamento vtcunq. (ed precise pofito termino;quod €: cucnit ia potétijs, nó dimanant ab a&ibus, et tà.   ab eis fpecificantur extrinfece, et actus ét fpecificátur ab obie&is,à quibus no && p accipiunt e(Te,yt habetur 2, dc. Anim. 55,  Dices,ergo re vcra dici nequit rclatio nem fpccificari à termino, quia cü non fit cius caufa, nó vidctur,in quo gencre cau [zz poffit hzc fpecificatio fieri. Ref». in rigore loquendo in nullo gencre caufe ab. co fpecificari, fed rantum tanquam à có ditione, et à quodam addito ad cius c(fe, et intellc&ioné neceffarió coexa&to, qiré fpecificandi modü folent Auctores redu Cere ad genus cau&e formalis extcinfecz, in quo ctiam gencre diccre folent potere tias (pecificari pera&tus, et actus per obicéta, atque ita. inquiunt fpecificatio nem relationis fumi à fondamento initia tiac,& radica]itcr,quia ct radix& caufa rclationis;à termino vcró completiué, et formaliter, quatenus eft id, in quo vlti« moóGflit relatio «. .. 1 $1. Sccüdo obijc.€ contra, qp nequeat.fpecificaciàtundaumento,nama elatio fi». militudinis ;otcr duas albedines, et rela; Uo (imilitüdinis ioter duas mgredinesy, non diltinguuatur [pecie,& camen fons, dimenta Ípccie dilunguüntür. Reip. alie, qui pcgando afiumptum cuv Lo.dc Mag. Qt, quia 1cut albedo cft alterius fpeciei à.nigredinc, tic et rclanoncs vnius albe din;s,& vnius nigredimis ad aliam fpecie, abinuicem diftinguuntur . Scd fi iflicou Gzg  c«eduüm 3w39 OBif. VUE Derim Nie. XÉcdunt vnitatem vnius zloedins 5 abt ni £rediniscumalia e(fe eiufdem :ratibais (tobique, et cx fola diucrtitateeatita tam albedinis,'& migrediàispratendant  Faluare diucrfitatem fpecrfi cailará cela"tioni parii coníequenter loquuntur ; nec "árgaaiento (atisfaciür, qtia ad drftinguéids (pecificé relatioges non atrenduncur fundaméta remota; et funr albedo; et ni$redo,(cd prox ma; (icut funt vnitates,vt "upta di&tam cft. Idciteó alij dicunt euá ondaméta proxima fpocic difzingui, niinirdnié vritaresipfas, ac proinde rela"ciones "proxime" im ipfis tandatas efle » quoquc fpecie differentes, et quidem cü n:ta$ (equatur naturam ; velut eius pro pa páffio, ad diuetfitatern naturac veofimileeft ctlam vnitatos ipfas vatiari; S Lice folutio abfgidubio melioreft:pre &cdenti, fi encre velimus froiilitudines "ocquevariari (pecie ad varistioncm Ratucarum y in quibüsreperiuntar «-! ;a2$2 Cotterüm non dc[üat, qui fentit fimilitadiné duarür-albédiat ctio €lu(dem fpeciei cuin fittilitudiae duatümiz gredirium,quia lcécoature ; qua fantexe trema illarum relationü, fincalcerius.cad tionis;modus ram vnitatis ; qui cft ratio próxifia fundandiillas, etl vcrobkqz eiuf. dcin rónis, eo modó, quo dicimus proboruouem duplam inter duo, et quátuot repertam ése € uldem rónisicümics, qua réperitur interquan uc et detcm eap mümeri, qui illas (dndadc, f pecie aser fe diffctant; fic CC inrcliGon bus cauoms diccre folemus gencteiatém ir (abltanti& fáhdatàm cflc c uldem fpeciei cü ez y uae furdatur in quantitate, quie nimirü idcarcft modus pced candi viciaf qu. sica Tgitüédicüt in propofitó, q omncs patec Ritatcs (unt eiu(dé ronis iter. fe ; omnes ilem fmilicidincs,& onines diffunilitudiücs, Qn. reperiantur in his; et illis naQiris prorius accidentale eft per ferónihus carum ; et hunc dicendi modü Blanc. (ajcacit. indicat próbsbiliorem. Quà Ki d.cas eoagis dittingui duas relationes . fimilicadints furidaras in aloedimbus, d duas, quarum vna m albedinibus, aliaiate nigredines tündecur, fcd priores iue mtto di ftinguüuir, ergo poftcriores dcUti (pecie tiitiazui. Ad hoc fepiusdie Sou de "uni ef ia:ndiiti cra&rando defendi Ánitentionbusuiaiorem illamdiftihótioz acte M MEME leat; et hec re(pontio;aut éft probibiliór prscedéti ; aut certéaiiagis niece(faria ad fedandaim grauem illatri diffi caltavem-fü erius motam qi 4 ác zin fine dé ptoce(z ui relitionum imn infinitum fundando vri füperaliam, vt ibrínnuimus ; neccaniins ficiari dcbétvilüs Scótifta,quiaedm'exs preflis verbis docuit Do&toc: 4. Met. q. 12. infnl.ad t? vbi aic (aper duo Befiera« lidima fandári iege oh tei 'tcici ; quia non eft nécelfecántáh effe diftinGionedii relitionibut quarita. eftin fundamentis ;'pre(ertim rémotisg idein teact Didác, digit 4. 1 p.q. 1. 77 2 -OQig RSOIADOAY:SaT C 1 T. v5ivfy . DÀ RTI C V.L 4 S IL 1354 Declarantur tres modi: Relatiuovur ae orci. Met. affignatio 2. 155 "q Rcs modos Rclativoram affi5127 A. gnaait Arift (; Mene rs. doces qé£dà relatiaa dici sch vnitatem, vel naz merü,fcu multitüdiné; vt (imitead limi Icsae uale 2d quate, dupl ad dimidiünd;" üiedádicifécandà aGinam potehtiaar y et pa(Ti&3m, ac criam potétiardi actiost nés; vr éaletictitàm ad talefü&tibile ca   Icfacicns ad éalcfa Gam et 'ofao aótiad  ad pa fliuum; quxdá randéjve «ic e 3d tenfüratm, et (cibile ad:(eicorians, 8C fe&tibiiead fenfum: Itad; ex triplici (àh«damepto, vt pali m traduác [rcérpietes y c3 difüinxit gencra telitiónuin, quaram priiday éft earum, quae in vititate, vel: pháralitate, Ica.oümero fundantur; vc zqiale, mic, et idc, quz fuper exicemoc Uim eoaeuientiam fandanur g daprü; && dimidium,-qua fundanrut füpec dilcondéniéatám « Altérum eft eacamy quz in' aGionc,vel paflione,ftu potenaa actua y et pa(Trtas vC pateraitas ; d flliatio, et in vniuersi relatio caufg, et effectus. Tertiàm denique illacámiet, qux fandancar' laper'ment(urámy& men(arabile,vt (creadà; et fcibile; et addic Ant. cclaüoses hírius ieráj generis non eife iius quia  f&ienga realiter rtfeccur ad-(eibriéy noa tamen é cosirascelationes oro prit ? fecundi 2cneris docet elemalas ; curas » diiiliónisepios: meuinic Doctor's fcd: UT et pres k  "us | sKelanonumi Quef De primomdo elati. ide. 11. 692 sputfertim 5; Mqt.qea 2) 1,d.3 4.$4X d. acque ita per naincrum,& multicud nem 732.42: $ Rc pod. ad 1,Q04 quol.13.V. explicatur primu modus Relatiuorim. o) hos cing gemets endi cft; q cá aic Arift. Hecate EOM multitudine, féu hünfero, ibi vn táteri,& nügienun nó "fumi pra dicamétaliter, pro enitatg nimi;fum quagutauscór nue, et numéro orro,£X diu'fiobe cóunui, qnia tuac relátiones Hiis generis, ncn nih inprzdicamento, quanutaus effept,fed (umuntur tranfcen. Man, quami f uo modo in vnoquo. que genere reperiri poísür, vt docet Sco. 13:d.19.qet i 1n2.d3:q«1. B. et D. Tho. -4y.7dc potentiaart. 9. qü€ (cquuncur Có. : pu e alij; et quauis exé: plaab Arift, allata vnitátemyac multirà: diacm innudnt quantiatiu& ; fatistamén /conüateios mentem füitie fondamentü huius genecis Md qune itc ndere, inquanturti mjuàni i (ER quodin sitas » chultirudoy im oftca lubdit, eadein cffe, quorum fubftant cit vna, fianlia, quorumqualitas cvna, zz qualia, quorum quantitas yn; quo :aürem fcn(u intelligi. debeant Sceuis s S.T h.cum 5. Mct; docencrclaiiones pri«tni triodi-fündart fuper rem de: geaerc :quarititausy benc ex plicat Zerb. 5. Met. 'g. 18: $.Propier tertii 7 7021 0v /7-Raríus ett ob(eraandü,quod c& inquit  Arift, relationes huius primrgeneris furi"datiid. vnitare, vel maluitu dine fic fumopta » per vnirarcm nop axceligit aliquid,Syreipfa vnum lit in extremis celaus, natura... hoounis, et Leonis, aut Peui, et IPauli non dicitur vna in ambobus, quafi fit vnasceadé enitas, rauonoe cnius inster illa extrema refuliec relacio idengtatis generic vcl fpccificas fed inicliigit "tonucninaam in alquo przdicato com muni vttifq; quod proinde dicitur vnam, n6 per incxiltencia, (ed per folam mdiffer&uam, in quo fenfu dumtaxat duoin"diuidua eiufdem fpeciei dicuntur vnius, '& eiufdem naturar,yt diximus difp.g. . r. att, 1. iX e» profcilo dicemus in Mct.quà vn.catem Doét.in 2. d. 3. q.1. vocat for: Anak, et c(fentialom, vt cain à n axerica . Condittr;guat, qua dica (olet materialis y ; intelliget plucalitatem entitatd alicruis, -& altceias rationis  et difconucnientiaua extremorum: in przdicato cootmuni «(5$. Cücrgo triphciter extrema poflint cóucnire, X vnà naturá participare trboc feafu .i. n:turá eiufdé ronis, Gc € cotra tzi-pliciter difcóaenice,hiac Arift: tres fpecies -affignauit ex parte vnicatis,S& totidé expar temulc;tudims; ex eo n.suía duo extrema cónenire poffunt in effzntia, et (ablbátia(per ? fübítantia fi quide incclligic ec Arift: effcu-tia,& quidditate, vt oes bic exponüty ori. -tur1détitas, q0afundatur fupcr vnitatem "fubftácialé,(eu effentialé quo teafu oia indi uidua tá fubftantiz; quà accidentis dicitur teiufd&effentiz,Bznaturz ; Ex co quia coz» -uenire poffunt m:quatitate;quatenus quamtitàs vaius nó excedir quantitacéaltcrius, -nieq; exceditur, oritur zqalitasyqus fun»daturin quáritatibus ne qiácenus sbt einf,dé-natarz,& róniseffenialis (fic in. fuadat iidehtytat&) £«d róne ickaalisexcéfioni siqua ius hzcrátzeft iaextéftonosquara eiLitdasex eo:tandé, qp.cóuenire poffunt ín quaAitate oritur frailitudo,qug pariter. funda-turin qualiratibas, nó quia fidt eiufdé n2:urz;ac e(fentiz (fic.n.& ipfa fundantidé:titacé) fed rónc emífdé inteuftoais. E' eGtrà -veró ;quia estrema tripliciter diíconucnire :pofsürt ;participando .f, naturas altgrins16-pis;cetidé fpeciesoppofitz oriütur ex paresekimdniser com diquaduo ot naturas alterius róais dicuntur diuería; :€o5g habentid'uerfas quiltates,ve cafdé, mb tamé in codé gradu; d: fimilia dieimtir, -& tasdé ex co, tpimproportionata funt ini -quátitate;dicütur jnzqualia.V erum camen eft id,q» aducrtit Do&t.in Met loc. cif et 1. d. 1s.q. rlhas.o€s fpecies vagari per tocá gc 'nus entis, fi metaphorice fumantur,nà omfic ensalteri cóparatü eft id& . vel dinerfum ánaliquo prgdicaro;cit equale vcl inzquale quanatate virtürisicit (ime ; vel-difiuile, -quateuus gicüq; ens propri habetdiffue1à,quz ab Ariit s. Met. appellater qualitas. Sedobijcies,Vnitas,qua c N relationis debet effz viricas plüriti, 03 vnttas vniufcuiufgs vt fic; aon dat tclationem ad alind, fed omois vnitas plurinavre diftin&orü eft ynitas róuis ; quia in creatis nulla vna;ac eadem entítas realis reperitur in duobus re diftinétis, ergo nulla relatio esc parte vuitatis eft realis. dicem mulotado,& numerus pluralitate coftituitur, ac diuifio . ne, quz in negatione foimalitér confit zt, vndc ingq.alitas v.g. in hoe PU t.ibJeo ' Difp. VIII: De "Preditam. vifjéeluis. s 7. datur, quód hzc quantitas Jan 9 habet,quod habet alia, crgo nulla: parte mulcitudinis elt realis, quia meatum reale, et pofitiuumnon habet. . 156 Reíp.coccffa maiori,neg.min.cuius probatio ees tantü de pte: formali per incxiftentià,nam quacung; ralisan crea tura nequit effe realis at nó probat de vnitate formali, per indifferérià: hcan.eft vnita5 realis, vcfusé oftendit Doct. cit. 2. d. s. q t& hzc cft,quz ponitur fundamentü harum rclationü primi g eneris. Ad aliud,licét multitwdo aliquo modo negatione inuoluat,fupponit tamé reales, et pofitiuas entitates quarít vna «ft diueríz ronis ab alia,at que ità relatio diuerfitatis v.g. fundatur in homine, et leone, nó róneillius negationis przcise fed rone propriz effentiz vaiuícuiufq;quatenus feeüdá vnitates formales süt plures effentialiter;redlatio po ceto dimi lij ad dupli fundatur in dimidio,nó róne defectus magnitudinis extremi oppofiti, fed in (ua propria entitate, quatenus hec tà at maior. n ob idtamé    | 065 relationes primü modum pettinkces effc reales ficut .n. Vnum multiplex efl vnü numero,fpecie,genere,& proótione;ita idétitas fundata fuper hoc, et illud ynü ad hunc primi modá fpeétabit,ét identitas nnmeralis, » apud o€s cft relatio rónis, quia eft ciu(dé ad feipfum, immo Arift. fub hocgenere exprefse recéfet proportiones oés inter numerosab Aritbmeti2 excogitatas,quz kdo reales jd unt i nequeat fubiectum per pride nidi ved numerus non cít re vera vni per fe ens,g; de tranfcendentali cecedunt omnes, in quo tamé proportiones fieri poflunt non fecus;ac in przdicam. Soléthic Au&ores dlfputare, an rclatio. Qesrcales huius primi generis fundentur in : nitate Ípecificafoli., an étin generica, et Ax licét nonulli id neget, feré tamé .oésa t ct Ant. And. y. Mej.q. 14. ad 5. aeg fundariin his oibus vnitatibus ét anaog3,dümodó fit talis,que dicat vnü concc9. obic&intt intrifiece eóuenienté vtriqg; analogatorü,quia nó minus sitfimilesá par terei, Petrus, et leo invóne animalis, quà Pe trus, et Paulus in róne fpecifica hominis fer udta proportionc,& ide arg ficri poteft de vnitate,ícu cóueniétia analoga. Nec refert, pA differétia fpecie, etfi one €óueniát;di. ir fimpliciter diffimilia, vt cóftat de albedinerefpe&u nigredinis.Ná lieet verá fic wiuerfitace (pecificà vocari abfolute diuerfit x6 adhuc 1f jdentitas genericain fuo or airelatio ex vni dine dicitur tripliciter calis Imbtipfarie nitas numeralis pót effe fundamentü refationü rcalium hutus generis fenfu fuperius " explicato q. 7. vt fiéadem numero albedo pogeeturin duobus fubiectis?, dicerentur liter fimilia., quod bene notauit Bonet. in hoc przdicamento. 1. Exponitwr fecuidns Relatiuori modus: 157 C Relationos fecüdi generis eft diifidium nó leue de earü fundàmento proximo,feu róne fundádi, an fit a&io,& pa a&tiua,& paffiu1, proxima, et formalis, vel potius demü fub. ftátia ipía,q eft principi radicsle actionis, et paífionis.Thomiftz paífim docét effe tp$4 actione, et palfioné ex D.Th.i.p.q.28.art. 4. K 4.cótra gent.c.24 Bt 3.d.8.q. 1. art. s.ita Caiet.5.p-q. 3 s.art y.Iaucll.: Met.q.: 1.SaChlib.5.Log.q.31.Sotohic,&s.Phyf.q.2.art.2.Cópl.cit.Io.deS.Th.&alij,»probát,nàillud eft proximü fiunt relationis, quo pofito, &fi es no ponantur,relatio ponitur, et quo fublato €t ceteris remanen tibus nó ponitur talis aüt eft a&io refpe&t paternitatis v.g.nà eoipfo, cp verü eft; hominé genuiffe verá, ac neceffariü eft habere relationem paternitatis ad' filium, et quotifque non ponitur a&io ; etiamfi alia ad(int,non confurgitrelatio, ergo NC.   Hác opin.Do& frequéter refellit hac pe fcrtim róae, quia ró fundádi, (eu fandamé TEerUnh HOD NNMEE debet,quádiu maone : la, crgo &c. Act.C.1$o &q Treirca Gin 4d. Me Ls . qoos quol :2,C.& alibi fi rRCP l. cócedendo relationes fecüdi generis poft ine fündaméto proximo manere, dà. odo manear fundamérü remotít, dp cft fibie&t& inhafionis eaiti;ró hhilts eft,quia TÓ "Fundádi in fis relatipnibusTolü eft necéfarain c» et in frio produci" relationis mónürinfaóto ez, et coferuari eius, fed ad ho fatlicit perféuetátia fundaméti remoci, -cui inlra réc, vndein hoc przfertim differüt relationes hniusfecüdi generis à relattoni.bus primi;op illainharét immediate fundaméto proximo,vt y.g.funilitido,pximeinherct albedini, &a  ;didte paricti,:t nó Ata efl dexelationibus huius generis, qjua paterniras proxime ipharet (ubilant'z homiais gencraotis, Rlratio fubftantia &critt, not Juccayfüidamento proximo, quz dne '&rina eft fiij, Didaci Morifani,N atiorüs quaidis Hmc opm.no teneanc quamlibemter Complut. receperunt, quia non minds idonea di ad fuam opiniortem ems : O    COMQERRMG SD QM   EPREPR P )o]po ILU PERIERE 148 Hac (olutio, ficut et dodrina, «ui inniutor,reijcitur à Do&ore loc. cit. pra (crtim veró 4.d. 6. q. 10. quiafundamétum proxim&s& formale,non tantum ett caufa relationis in fieri (ed £t in cffe, cuidéter deducitur ex (uperius dictis de undamento,& termino,rclatio .n.pédet, et Ípecificatur ab extremis, non vtcunq; fcd (ubratione formali (andandi, ac terminandi cófttutis y ficut ergo Petrus, et Paulus non fpecificant relationem finilitudivis, ni(i vt ftant (üb albedine ; quz €&t ratio fundádi illam ; ita Petrus pater, et Paulus filios nequeunt fpecificare relationes paternitatis, et filiationis;nifi vc flant füb rationc formali illas fundandi . Tum quia ficut fecundü fuas entitates abfolutas, et materiales nó funt nata huiufmodi extrema illas fundare rclaciones ita neque cófcruare, quia cofcruatio rtlationis pendet à modo fundandi, Tum quia fal(um cft etiá huiufmodi relationes non inletere immediate fondamento proxifno ficut relationes prifni generis, nà fi ignis calefacit medio calore, vt potentia a&tiua, qua illi fit ratio agendi  et ratio fundaad: a&ionem, vtique relatio a&tio-niszqué immediate inbaret calori, vt fimiilitudo albedini; et calor ab igne fcparatus diceretur agens, et caleíaciens, ficut albedo feparataà (ubie&o fimilis, et idem dicendum foret de paretnitate re(pectu potétiz gcneratiue, (1 hzc pone retur accidens realiter diftinctum à ' tentia generantis, vt ponunt Thomiflz. Nec rcfert, quod potentia generatiua nó denominatur pater, fcd fubttátia ipfa pattis ; quianó eft nece(Te accidens (emper wenominare fubjcctum proximum, cui inhaeret, nam intelle&io vtiq; proximé ánheret animz no(trz, et tamen denominatio toti conucnit homini, cy ét cerní tur in alijs multis accidentibus. 1 quia Cum relationi in cói vt fic, cíTencialiter CÓpctat pédereà rone fundandi,& fundatnento prox«mo,nedum in fieri, fed éc in elfe, et conícruari,hoc idem omnibus,& fingulis relationum ípeciebus conuenire debet, quia id eis conuenit róne generis, non at róne peculiaris differenuia, atque idcà malé per. hoc (cccrnuntur à jr&diDuefl.X. De fecundo modo Relatinorain. ife1r. 701 &is Auctoribusrcleiones buius (ecunc: gneris à relationibus primi. Tum to: €, quia fi aliquis reperitur effe&tus pédens à (ua caufa, ncdum in ficti, (cd ét in ccnferuari, telis praíertim céferi debet quz libet tclatio ob tenuem eius entitatem « 159 Idcircó Io.de $. Tho.hanc cóem Thomittarü rc(pófioné modcratur& inquit, q: actiones nó dicuntur fundare relatiores, sm «p (uat in ficti, fed sti quod in fi&o cic, hoc aürira declarat, quia licet atio in (e tr&feat,cft incaufa reltnquit determinatione quandá ad cffeétü iá pofità; hue per habreü, (iue per difpofition€, aut ius vcl liquid timile, rónc cuius pót fundare rclattonc ad illü quae fü:t refponfio cutüfdam Tocccllant apud Fandria $.Met.q. r6.art.4.talem aüc relaqui in caa determinationem cx actione pratecita cx coarguit Io.de $. Tho.quia tranfacta octionc,caufa ton amplius ordinatur ad ctfe&à,vc anre illam,quia ance illam ordinatur ad effe&ü, vt potlibilem ab ea produci, at poft illam ordinatur ad 'eum,vt impoffibile amplius ab ea produci, quia caufa ereata non pót reproducere 'eundé numero effe&ü.Ceeterü neq; hzc folutio fatisfacit;quia non apparet,quiná habitos, vel difpotitio relinquator ex a&iobe, m quibus fidari poflit relatio ad cffectü et quod idé numero cffc&tus nequcat à czulà creata reproduci, prouenit ex (olo extriifeco Dei decreto,vt oftendimus diíp.8. Phyf; q. 5. art. 1. et quando et ab aliquo intrinfeco proueniret relicto incaufa ex a&tione prterità,q eam redderet impotétem ad illüreproducendü; ia hoc nó císet tófundandi relatione rea"lem ad illü,ad hoc genus (pectantem.fed potius pofitiué impediret, nc ralem reJationé fuadare poffet. Tüm quia admiíso €t,g ex actione praeterita talis relinquete tut difpoficio, vel hibitusi caufa, inquo fundaretur relatio ad cffectü iam produ Cüscuoc relationes huis geoeris nó time mediate amplius fundarentur in actrone, vt conteadiric T howiitz, (ed'üpet quálitatem, quod neque ipti conceerent . 160 Alia proinaé sécétia eft Scoti Toc. €it.vbi docet nó a&tioné, et j'ai oné [eq potenuag1psá a&iuam,& paffiuam c(sg : Gzg 3 fu so . Difp VII. De Pradicam.-Refjelliuit.".  for dáméta proxima huiu(modi rclatio18i, explicat aüté id non debere inielligi de«oí pcétu, quem de fe dicit potétia, [cd dc abíoluto, quodà refpe&tu denominatur neq; de potentia nuda, fed vt jam ad actü redacta pera&ioné, itaut s&tio  et paftio fint (olam conditiones, fiué difpofitioncs ncceflarió ptarequitita, fundamentum vcro potentia ad adtü reducta, quz e(t cómunis Scotiftarum Ant. And. «. Met. q. 14. Bonet. in hocprzdicam. Zetb. q. 18. .. Proptor tertium, Fabri ibid. difj»& $. et fequuntur hic Recentiores mult Ruuius, Didac.Mori(, Smigl.& alij, ac c&à nonnulli Thomiftz Socin. $« Mct.q:2 «ad 2. Fland.cir. Araux.ibid., fatt.9.Et quidem magnum habet funamentü in Arift, ibidem, dum ait a(7j|o wa verb, C pa[fia fecundi chinann c affinam potétiam, Cr potentiari atiioues, quibus verbis vtram4; pertincrc ad fundamentum docuit, potétiam quidem, vt ie fundamentum,aGtioncm veró, et condit:onem neceffariam, et pracuiam difpolitionem, fine qua nequit potentia fundamentum proximum effe, vndé vt ait Dodor 4.d. 13. cit.bené (aluatur didum Arift.ibi, quod relationes (ccandi modi dicuntur fecundum potétiam a&iuam, et paffiuam, vt fecundum fundamé:a, et diuntur fccundum actiones potentiatum, vt fecundü difpofitiones prauias ad illas relationes, et coditiones omninó necc-farias, quiaha relationcs nó confurgunt €x cxiremis ctiam formalibus vtcunque, uia (i Petrus modó pater,& Paulus moo filius ponerentur percreationem etia cum (uis potentijs a&iuis,& paffiuis,non eticnt formaliter ipter fe relati per paternitatem, et filiationem,fcd ncocísarió requizitur, vt ynam producarnr ab alio, et P emis genera, Petti. determinetur ad fundadam relationem paternitatis pci produ&ionem Pauli BE cn. ipfa Re contrá potentia paffiua Pauli, Caerüm contra hanc opinione yigéc Eq y yi | Hurcdifp 1 jMet[e&t.10. et alij eandcm rón6quá Scotus vrgebat conira p Opiniomé guia Fertus viugnte filio A a d posentiam generatiuam, vt v.g. f: caftretur, tufic,n. przciditar feminis officina, vcl (alim à Dco auferci poteft, et tamen adhuc remanet pater,crgo potentia gene «ratiua non cít proximam furidamentum ternitatís,quia hoc ablato concidit tcatio, vt contra Thomiftas argucbamus. Nec valet refpondere cuin Ruuio, Did. Mori. et alijs abfutdum nó cffe relationes huius generis manerc in fuis fübic&is ctià ablato fundamento proximo, et róne fandandi . Nam hzc folutio abunié nupcr reie&a eft. Neque ctiam ipfi Scotiftz süt ab hac difficultate immunes;,có quis Do&or non di(tingaat realiter po.:tentias proximas agendià radicalibus 2. d..16. q. vn. vc faciunt Au&ores relati, Quamuis,v. ita nó dift ingaat illas, (i ac» cipiantur potentiz organicz incompleté, vt (ant partiales anim. perfectiones, tamen (i completé accipiantur, pro conftituto .f, ex determinato organo,& partiali animz perfe&ione, eas realiter. diftinguit, nec vllus oppofitum docet, quia fzpius hominem videmus orbari potcne tijs fic (lamptis; certum eft autem, ci inquit Doctor paternitatem fundari in potentia a&iua, loqui de illa in hoc fecando fen(uynon in primo, quia potétia generatiua in hoc feníu, eft proximum principium, et fundamentum procedendi vnius ab alio,vt de fe con(tat,nam finc organo non eft. potentia. generatiua reducibilis ad atum, atque idcó nec relationem paternitatis fundare poteft,   . by .. Kdcircb Suarez, et Hurt.cit. cum alijs, vt melius prouiderent   rela. tionis,allcrunt eam neq; in a&ionc, ned; i entia proxima fundati y fed inradie cali .iin ip(a fubftantia proxime, et immediaté, quia patec relationem, paternitatis in a&tu habet, non folum poftquam uan(it a&iofed ct:am( potentia gencradi amittatur, Verum neque hec Opi.pla€et ; quia rclationes huius generis (unt iones originis: ycl procellionis vniv usab alo,. proximum principium huius procc lionis cit ró (uadand; tales qescionsialenó: principium non elt ip« fa (ubftantia patris, fcd potenzacius generatiua cópleté lumpta » vt dicebamuse Cont, quia yc l'euus referamuc ad Paulds Quefl.X. Bs fétuido modo Ralatiuruni AI, 7057 vt pater ad filins; non (afficit intelligere fubfantiam vtriufq; precise, fed in fubftantia Petri debet concipi aliquid quafi pertinens ad rationem agendi, vt fübítantiam Pauli refpiciat in ratione effectus, etgo nuda fübflantia nequit cíle ratio fandandi patcraitatem, cüm finc potentia generatiua effe&um nonattingat. : ! 162. Pro tefolutione huius dubi; no» tandum eft inter effe&us aliquos effe, qui à cauía fecunda effentialiter dependent, non (olum in ficri, fed etiam in conferuati,vt con(tat de lumine, fono, &c. alios veró ab ca dependere folum in eo inftiti, quo fiunt; deinceps vero nullo modo, vt domusab adificatore, filius patre, &C. Cum ergo relationes huius fecundi modi fint. telationesoriginis, et proceffionis vniusabalio, effe&tus primi geneJis,X in primo inftanti productionis co-rüm,acetíamdcincepsfundatadc aufamrelationemre alemdependeotizs,&caufa€ contrarelationemoppofitamadip(os;&fifübftantiaponatutimmediatea&iua fine medijs potentijs realiter; vel formaliter ab ip(a diftin&is, vt. probabilius eft (exceptis quibufdám anima potenti)s, vt in lib. de Anim. dicimus) tunc in ipao immediate? erant:fundate it relatio. ncs, fi veró in quibufdam actionibus ac«identalibus,& teanfemttibus agit quoq; media potentia accidentali, vt Sol illumthàndo, ita camen vt et ipfa attingat cffe€tum,tunc vtri]; 12en$ proporttonatam fündabit relationem ad effe&um, quia vtrumque e(t verum agens in (uo ordife; quod fi non attingat effectum vllo do, nifi media potentia accidemali, inipía fola fandabitut relatio.  Effc&us veto fécandi ordinis cantum $n primo :nftanti fundát relationem rea» 'm dependencia: ad caufam, non aüt de1ctps, (cd poftea ex ipfoaétu caufalitais ttanfacto remanet tantum denominaLio qud ho fccit, &illüd fa&um eft, quz vtiq; eft &enom natio fcalis non tatné cclatió realis dependétiz,& calcsctie dlcnommationes patris, et 61i), nempe qp lic generadit,& tlle genius eit c: preise docct Arift. Mets €. 15. inquit o. quod ilc dicitur pater quia fecityllle fllius, quia quid paffam eft ; cui füffragatur commu nisloquendi modus, nam Paulü dicimus cflc filium Petri, np Petro defun&o,non alta ratione, ni(i quia ab ipfo ge« nitus fuit; Et quod parernitas,.& filiatio in creaus nó dicant relationes reales pro batut vrgenter, quia tales vtiq; forent cau falitatis, et dcpendentiz, fed poftquam filius genitus eft,non amplius à patre des pendet in effe, ergo nulla adeft ró deine ceps. fandandi relationes realcsad hunc modum fpe&antes, nam omnes iftz ali« quam importánt dependentiam vnius ab alios Etin hocfen(u admitti poffunt ra» tiones Aurcoli,quibus r.d.30.part. I,arte 2. ptobat relationes producentis,& produ&i ad'fécundum modum fpc&antes v.g. paternitatem, et fibationem non ef. 1635 Dices, adel[e etiam deinceps (ufficientem rationem fundandi relationem, ia-manent extrema, ad quorum poti« tionem neceffarió refültat relatio iatrinfecus aducniens, vt fant paternitas, et filiatio ;. Contrà, non qu&cusque extre ma (ufliciunt ad couftituendam relatios nem intrinfecus aducnienrem (cd dcbent eíle commenfutrara relationi, quz inde infürgere dcbet, at talia extrema noa funt Petrus, et Paulus, qui fuicab eo ge« nitus, fi (ecundum fuas emitates conti reütür, ergo prater illasoportet iotellie giin vno extremo aliquid quafi pertinés ad tóncm agendi, et in alio aliquam rónem dependentia, vc inuicem referantur relatione reali huius gener:s, cüm crgo »era&ta generatione, nihil tale pmancat in extremis, fatendum eít deinceps non inuicem referri eclationc reali haius. ge neris. Conf. quia fi vrget allata obieCio, ctiam deberet dici generationem ipfam mantre;cürmancant extrema.f.gencrans,K genitum, &spía fic relatio n trinfecus adueniens, ficut ergo ipfa non smanct,quia generans, et genirum fecundum fuas, entitatcs rion func etrema.ce jus formalia,(ed raiterialia raniumidem quoq.de paternitate, et filiatione di cft; quód có eel maxirié cft affercndum, quia patcrnita$,& generatio a&tiua, filiati0,& generato paffiua non difcruntyyt Gas 4 €x 204 Difp. VIII. De Predicam. Refpetliuis NE. €x Scoto colligitur 5.d.8. q.vnica. $. 4d quafi ionem, vbi eas codé modo definit, vt de (e conflat in relationibus diuinis Diccs,in diuinis paternitaté, et filia. tionem cfle rcales relationcs, ergo idcm aicendum eísc in creatis, Contra, imó ex hoc nofirum roboratur afscrtam, quia 5 &dco in diuinis id verü cft, quia ibi a&io gcneratiua, et parernus influxus in filium peace manet, crgo quia in creatis foüm talis infiuxasex parte cauíz reperi&ur in primoinítanti, et pariter dependen £a ex parte cffcétus, deinceps vero hec omnia ccísant, remanente nuda cniitate «auíz,& effectus, alserendum cft paternitatem, et filiationé non dicere rclationes cales, nifi in primo inftanti, et tunc paternitas fundabitur (uper poteatiam.» actiuà, vt flat fub actu E cido ; deinceps vcro Bon diccre, mfi denominationcs cx"rrinfecasex eo defumptas, quód ille ge». nuit, et iftegenituseft. Ncq;ab hac fcntentia alienoseft Door, nam in 5, d, 8. «it.(üb D. proponens hoc dubium, an filiatio dicat tclationem realem, tres adhibetrefpontiones,& quamuis tertize, quar «ómunis eft, videatur adherere, primam 2amen, quz cíl,quod filiatio lit fola realis denominatio cx a&u generationis, yracerito, non improbat, (icut (ecundá, m dicit else ab(urdam, figni euidens lam ceníere ptobabilem, tcttiz tíimagis adla (it neà cóirecedore vidctetar, « ilafuppolita locutuscft de patetnita1c, quarcns de illias fondamento locis omnibus füpraciatis ; Et hanc noftram opinionem de relationibus fecüdi modi, et cx cifdem motiuis fecutus eft pofleà Woncius difj. 15. Log. n. 64. et fcq. licet «am bi proferat, tanquam ;& proprio Marte inuemam. 164 Pecrüncnr autem ad, hunc (ceundum modum relatiuorum, nedum rclawoncs ininfecus aduenientes; fuper po1entiam fundata, (cd ciam extrinfccus «ducnienies pra([ertim dc geacre actioi5 et paflionis, vx Scot. notauit in 4. d. 1 3-Cit.intertia cxplicatione, quam adhiAet ad tex.20. 5. Met. Arill. .n.ibi in hoe 1€ct ndo modo, ncdum rccenfuit relacio525 caulg d «c ctum,  producenus ad productum, fed etiam agentis ad paf, fom, et a&iui ad paffinum, vt calefacitis ad calefadum; immo dicere poísa"mus omnesin vniuer(üm relationes, extrinfccus aduenientes fex vltima przdicamenra conftituentes ad hunc modam reduci, quatenus in aliquo fenfu omnes fundantur fuper potentiam actiuam, et paílhiuam "d Vbi paífiuum fupdatar in potenua padfiua, quam habet corpus co. tentum ad locari, et Vbi a&inum in potentia aCiua, quam babet corpus conti« nens ad locare, et ede sp. Spe&ant ctiam ad bunc modum, m prafatae relationes predicamentales, fed ctiam tran(cendentales, quz fandantur (uper potentiam actiuam, et paífiuam, vt rclatio iui ad producibile, a&iui ad affiuum, nam,hic quoque enumcrat reLinen calcía&iui ad calefa&tibile, », iones enim modi. fi (amantur, vt dicunt naturalem aptitudinem vw. g. iguisad producendum calorem, aut caIeiicietdi aquam, fant tcanícendentales, licet (àfamantur, vt (unt ipfzmer rclationes przdicamentales in c(se poffibili, et obicétiuo, adhucin tali ítatu predicam. dici debeant, quia eiufdem natura cft homo actu.exiftens,& homo polTibilis, vndé (actum eft ; vc quadam rclationes huius generis dicantur fundar; ip potentia abítrahendo ab actione, quales fant illa omncs, qua rcfpiciunt iy vt poffibilem, alie veró: fundantur im potentia, vt eft (ubactu fecundo, quales. funt illz, qua refpiciunt effe&um in ficri, nam harum omnium aculit Ariftor. excmpla in textu. Immo neque omnes: relationes, quas fub hoc modo recenfet,. funt reales;nam quafdam enumerat, qua fundantur in a&tione futura, vt quod facturum eft ad id, quod faciendum. cft, conftat autem tales relationes non císc: realesquia non habent extrema actu exi» fteniia, nequit aucem rclado habere. maius císe 1n. fuis extremis ; enumerat etiam rclatiua quadam, quz dicuntug priuat:onem potentig vt impoflibile, et &milai de quibus omnino «onítat non eísc rclauua realia « | Quas. X. De tertio modo Relatiuoremadr..   205 vlanatut tertius modus lati ad (cientiam,& fen(übile ad (enfum; tan£l ipf à cow quam men(urabile ad menfuram, at rese 365 Irca relationes tertij generis   Ctra fe habct;g» fcibile eft menfura fcie| .., eft cóisopinio,vt dicebamus   Ug, et fcnibilc fenfus, et Arift. codem ab initio act.diftiugui à relationibus primodo refetri dixit meníusabile ad menmi,& (ecundi modi penes fandamétum, furam, fcibile ad (cientiam, et fen(ibile quia nimicumift fundantur fupermenad fen(um;Nonergo tertium genus cone | Ádurá;& menfürabilc,non ille jidq. aperté flituit Arift. in rone menfürz nec pefiés docuit Scotus s. Met.q.15.dá ait in corp. . talc fundamentàà duobus primis diftinafit. hunc modürelatiuorum diftingui xit,(cd roné eius conftituit in €oyg» in cmeris, non per mutum dependen tá dicantur ad aliquid relatiua huius ge» giam, vel non rnutuam y fed per fundaneris,inquantum alia dicuntur ad ipfa, et damenta alia, € «lia:, atquc 1tà deícn«   diftinxit à duobus primis,quia inillis cft dant Ant, Aud. Faber, et enixe Zerb. f. relatio realis mutua in vtto]. eXtremo » Met.loc.cit. Bargius 1.d.30. et alijSco  in Boc veró relatio nó cft mutua,quia nó tiftz, et paffim Thomistz omnes, eft rcalisnifi cx parte vnius extremi, vn« Vecum hec opinio,eftà plaufibilis,nó dé ad hoc genus fpc&tant relationes nom eft ad menté Arift.neq.Scoti in lib.(ent,   mucug,vt fic, denominstioncs in termi nec infe verajnonad mentem Arift.quia   mis earum reíukátes ex tali terminatione. ipíc 5. Met.tex. 10.nunqué dixithasrela  166 Necopinio illa eft ad menté Sce tiones fundari ia róne menfurz, autdici  si,pam eftó in Met.loc.cit.cómunioregs sm rónem men(urz, dere dixerit relationes tertij generis di ationibus primi modi aitdicifecundum   flingaià ceteris per ja& alia fundamé | vnaq,S& muka,& relarionesíecundimo   sa,nonautem emiam mutuà, di dici sr potétiá a&tiua,vel paffiuá; ed et à i i folá dixit quz dá rclatiua dici,vt men(ü iorébabet auctoritatem, et magis cx (cn« rabile ad menfará,& fcibilead (cientiá, tentia loquitur, diferte docet hac relati& (cnüibile ad (cn(am, vbi potius hzc ua pracisé diftingui à relatiuisprimi, Sc emnia pofuit velut diftinGta exempla»$;   fecundi genctis,q» illa funt matua,nó ve| non rt oftenderct (cibile, et (en(ibWecó   ro ifla, itain 1.d.3. q. f. füb B.& d.39» tineri fab menfuraJ& menfurabili vtac  $. Re ndcotgitar ad primam;& $. td : eucaté notauit Suarez di(47Cit (có. arg. ecund. quaft. et infrà d. 35 idem 133. Nec. fatisfacit refponio Sanch.hic   repetit, et rurfüsquol. 13. (ub V. alibi q. jo-ad r.prin.dum ait Arift.inillispri  frequenter ncc alium di(cretionis mod mis ve: bisaliasvt menfurabile,ad men  imcr illa vnquam memora» Refp. Barfram explicatfe communem ronemha  fius loc.cit. diftin&ionem horum modo rü rclationum, et fccide propoiiionem   rum dupliciter inquici poffe, vno modo c esit erm dicetet,omaismeníü  e&e&iueS& exirinfecé) fic diftinguun« $a, et menfurabile eft relatiaum tertij tur yer fandamen'a, aliomodo intripfeneris,& cum(obiuagit C" feibilead jcié   €8; formaliter, et fic vtiq. diftinguüe tiam,C7 fenfibile ad fen(ums refoluitil   tur pec mutuo, vcl nom mutuo referri € Jam propofitioné vniueríalem pcr copü   quia fd competit relationibus róne diuer  fatiuas, et oftendit pet [pecies » quodim  fiatis fundamcntorum » namre ionet genere dixerat, vt fi dixiflet ) omnts ho tert'j generis rationc fui fundamenti no moeltanimal, et Pecriselt animal, et   petunt intermino rclationem realem ops Paulus eft an mal, Haec (olucio manifc pofitá) benc tamen relaciones primh fté tcXtum extoruenquia in primis vec cundi, idco prisa differentia huius mos bisdixitalia dicrv caem(arabilead men.   dià primis duobus petenda e à funda furam, (i ergo hac poíteriora adhibui   mentis.Sed h$: re[pontio facile rci]citurs fet in exemplüprioru,vcconte nditSan   Quia mox oitendemus hanc non mura | €ius colligere debuifigt cibi [c babere dc ndemiam relauuorum tert) » e risillis conuenire,non ratione fui funda menti, gp ita poftalet, (ed potius ex dif rmi afhignatione,extremorü, quorum vnum a(fignatur in a&u; et aliud in. po tentia, vnde hoc inducit inter relatiaa bar ius generis, et aliorü duorum potius dif. fcrentiam accidentalem. ex. tal; diffor mitate dc(umptam quam cffentialem à fundamenuspetitamz ;. 5. fa | 167 Vtigitur id magis patear,& qua» lis it diftinctio huius temi; modii dao bus primis;an.f fit effentiali potius accidentalis tantum, inaeftizandum cft, vnde procedat,g relationes huius gene risnon fant mutüz,aliorü vero sU d ponimus autc ex dictis q:6. art. 3. ec 1. illa dici gram n qua nih cem rcciproc "per relationes oppolitas vriq. realiter iulatcein, lla vcro non mutua, quorum vnum realirer fundat relationem;aliud veró tantum tcr minat,vndé nontam eft rclatiuum,quam abíolotum.Thomiüz paílim hanc ratio uem afferunt, quia vt extrema inaicé re ferantur rclationerealrin fingulisexifté tCodebcnt effe ciufdem ordinis, fic.n.in nuit D. Th. p.p.q. 1 3.att.7.& q.7.de pot. Att TO. et 2«contra gent;c.1 2. [m autem conditio deficit in men(ura ; et menlura 10,2 pertinent ad huac tcctió modu, quia &0n lunt eiufdem'ordinis, vnde (cié tia ícfertur ad fcibile, quia non cfl cxtrà ordinem fcibilis, (ad(cibile, quia eft ex ztá ordinem fcictias mon rcfcrtur ad (cié ti. Sed hec ratio patfim rcjcicur ab al; jo et prasertim à Durand. 1.4. 30.q. 5.0.  olbidemq. 1; art. 3.. et ctiam ab ip fo Scot.ibid.$. Contra primum, et qui« dem vía. adhue non ottenderimit 1ho mifta, que, ant quara eíle debeat hac communitas ordiis, nam vel miciligunt elTc debere eiuídem ordinis i inuicem fubordinazi, et mutuo dependere, vt exs rae Io.de S. Th. cit. et quia nontafe. d abent estrema tecti yinodis 1dcb &e, Et hoc non fatisfacityqu:a vt at Doc.citeft aperia petiuo principi), id.p.eitycp quar fimus,quaré hzc cxaema nonc quse 1uó fübotdinaia, Vel intcHigunt eiusor dinis 4. pra dicanieni, et hoc non, quia Mübilantia ;& accidens tont boc modo di Difp. VIL. De "Pradicam. refpelu: uerfi ordinis et adhuc inter fe mtttüó rez ferantur, vel intelligunt effe debere cinfdcmotdinis.i,generisnaturalis)VtaitFland.cit.art,6.quomodonaturaliadicuntureffealterinsordinisàbartificiali.bus,&(üpernaturalibas;&neq.hoc"quiainteractusfupernaturales,&poten«tidse(trelatiorealiscffe&usy&caue;vel debent effe ciu(dem ordiois i, cambo. finita, et limitata, vt Hzru. 1. di32.q.r. qua róne dieit Dcü ad creaturam nonrce terti; et hoc in propofito non conuincit;, quia multa extrema relation huius ter uj modi funt ambo limitatay& tame mu tuó.nor referuntur ; vel debent effe eiuf ordinis .i. ein(dem rationis quó ádMr accen itaut  ea fit fohim re'atio réalis vtrinq. io quibus eft eadcriy. caufa refcrrendi vnum ad aliud et cadem. ratio fundandi telationes,quo modo dao albà dicant effc eiu(dem otdinis »quia : fundamentum relationis mutuz eft eiu( dem fpeciei, et realitatis, vt vidctar explicare Caiet.p.p.q.13.art.7. et neq. hoc facisfacit;quia tunc fola relationes zQU. paramtiz cierit mutuz. Tádé vrger Bat; ità bené (cibile inquintü efficiens (eientiam cft excrà ordinem (cientix,; (icu ine quantum men(uransvel terimans, ergo fi nom obtlantc di heu: ( quomodocunq. explicetur) vt efliciensfunda: ad iplamtelationem realem de fe-. cundo inodo; (ic etiam vt meníurans, et terminans, vcl (i talisdinec(ütas ordinis hicimpedit, etiam et ibi . ! /168 Ex alioigitur capite hec ró dcr menda eít.£.ex ditlormiextremeram a((ignat:one,vt (upra innucbamus, et igné ' q-1 2. Met. infine,vbi proindé ait, quod fi in hoc tertio modo extema a(ligaarciur vniformiter.f. vel ambo in a&u, vel ambo in potentia, e(lct im cis mu:ua dependentia, ucut in alijs mo« /5310 quibus vaitormicer alfignantur, que cft communis ina Expoficorik Atiit. in hocpradic.Simpl. Boct.Amone Vorph.BuclCaiec. Tol. et aliorum, quod ampliusdeclarás Ant. And. . Met. . 16, adi. notat [cibile,&c ícicatiam(quod pae 1i modo de alijs reJatiuis huius generis dia debct ) poji dupliciter accipi, vale Quafl. X. De tertio mo do Relatiuóresm .Ayt.11.. 707 formiter.(. vt ambo (intin a&u, vcl am ibo io potentia ; aut difformiter i. vnum ijna&u, altcrü in potentia; primo mà liabét njutuá ance potita fe ponür, et perempta fe perimunt, et fic fcibilc cft ad aliud effentialiter .f. ad. fcientiam in potentia,ncc accidit fcibili,quàd fciatur in potentia, nam fcibile non cft (cibile, nifi quia cius potcft e(Te (cientia, quta fi effet (cibile, et ciusnon e(fet fcientia in ;potentia, eflet fcibile,& non (cibile, timilc eft de fcientia in a&u, et fcibili ia à&u 5 at fecando modo non habent inntuam dependentiam, fcibile «n. non dcndet à fcientia in a&usquia poteft ctlc cibile ia potentía ; cuiusnon (it (cientía 4n actu, et fen(bile ia potentia,cuius non fit (cn(us in a&u, vnde hoc modo nosüt fimul natura nec pofita fe ponunr,ac per einpta fe perimunt, «t docuit Ariflot.in hoc przdicam. iuxta ergo hanc fenfum ; quem docuit. in Logica debet explicari in Met.q; nempc affignande rcelauiua vni formiter,habét mutuam dependenvá, et ad primü,vel (ccund modu pertineat; affignando autem di fformiter mutuá dependentiam non habe2u; realem; et idcó adicrtium modü fpc &ent, cuius rei manifeltum inditium.eft, dq alligaando Ariit.relatjua primi, et fecundi modi,fempcr ca vniformiter a(lignat ; ambo, in a&u, vel ambo iu potentias qp prz fertiua dignoícitur in (ecundoyvbi refert calcfa&iuum ad calcfactibile, fectiuum ad [ccabile,dcinde calcfaciens ad calcfa&tam, fecás ad id, quod fecatur, et rux(us quod fccityad id qnod fa&um eft, et id, quod facturam ceít,ad idjquod faciendum cít 2 fic.n. panas eme E ARP ENSE re ícferunt dependentiam realem, vel s ceppiem in aliquibus 5 at aíIigaando iter, non habent mutuam depen. ope KE eíIc (cibile üne fciétia in u y calcfactibile fine calefadtione in Stu,m€ line menfura in acu, et fic in alijs, quare ip(amet relatiua primi, iX (ecundi modi boc modo affigaata, n€ pe difformiter, (pe&anc ad tertium modü,g .n. a(ligoatur ia acta ; vere, X cea, liter rcfeciurad id, quod aifignatur in po tenia vt fcienua ad Iibile, uon € cou; quia [cientia dependet à (cibili, non fcibile à fcientia in a&tu;atque ita a(lgpando hunc tertium modum Atift. in Mct. nil aliud docetc voluit, quam illud idem, quo dixcrat in Logica, relaziua nempe diformiter a(Tignata non mutuo refegri cuias rci inditiua) e(t quód vtrobiq, D dem vtitur exFlnplisfcientiz X cii fcnfus, et fcníibilis, nec rcacra intendit conftitiece hunc modum à duobus primis c(fentialiter dfünctum . zi 169. D'ces,é Q extcema rcladonit tec tij zencr'satlignentac vnifociiter, non ob hacamb»refectitur cealiter, erao nó cx diiform tate afigoationis corum nà[citur haruai relatioatin. non muruicas, fcd ex natura fuadamenti huius teicij mo di e(Tentialiterab alijscondg'in&i, Prabatur aümptum, nimaffipnac (cicntiain actu, et (cibili ia adu, fcientia vtique fundat eelarioné realcm ad obic&tüt, adhuc tamea inobie&o nulla infürait rcatio; quicenas c(t terminus eius, (ed foJaextuníeci denominatio (cii, X intellecti . Refp. neg. confeq..naty edam ia primo, et fccüdo modo dantur quzdam relationesnon mutuz, vt fclationcs diuctfitatis, ac ctiam cau(ar, et cff us in ter Deu, et cceatucam, hoctamen non praciudicat mutuitati, «uz iliis debetur €x ratione generica fui fundamenci,ctenim non muru;ias iatecdum-quibofià cà uenit relationibus illotü aj0dorum, von uiden per (e cx róne generica 1pfarum, ed ex rationc fpecifica alicuius peculiaps fundameati;(ic ctiam ip propotito 1e. ationibus rertij modi coggenit non m tuitas in yniuck(am ex ioa pea. a(fignationis extremorüjira quod fi vni« formiter aíligncatur, repecitur in cis aue tuitas, ficuc 1n relationibus aliorum modorü ; q Gi interdum oppofitam cucniat, in quibu(dam relatiuisquz etiim vnifo miter affjgaata non reterug. muta non cit cx ratione gi erica lotum, cx rónc qose i ll damenu,s et ideb.non ett fufficicns in CiU yt con D clícn.ialicer dilbactam. Accedit, gp età; maado Íci&uam in a Ts fcibl iu. actu, 'eioilz no referatur Faliter ad (eie 2o8  Difp.VIII. DePradicam. vepelliuis. tiam [ et relationem ipfi exrrinfecà tame aflignando ambo in potcutia,tunc € (cibile tealiter rctertor ad (centia, et derédct à (cicntiá in potentia, vt ditum cít . 170 T«nendücrgo etl hücteruü mo düm non diflingui cffentialiccr à duobus primis, ficut illa funt inter fe ditlin&ta cx effentiali fundamentotü Qiucrfitate;quia rclatiua aliorum modorum pertinent ad honc terijum,quando vpiformiter nó ;ffignantur,gp conftat cx iplis verbis Arif. qui nó pont aliam cóem ronem relationibus huius generis,nifi quia denominátur ex rclatiome cxiftentein altero, ergo fecundü eius mentem in hoc gencre non itur aliqua noua relatio » qua [it ininfcca (ubiecto denominato y fed (ola extrinícca denominatio fumpta à relationibus aliorjym cum . Et hoc fatis confentaneum ett intentioni Arift. c. illo 15,5. Met,quia vt notat Dot. cit. 4.d.1 jai infra V.non intédebat ibi explicate. folum naturam relationis pradiCam. (cd varios modos, quibus res dcnofnibátur relatiuz (ficut in c. de quali non tatum poait fpecies qualitatis, ed etiam modos)& dittinguit duos generales modos,«nü corum,quz denominantur,quia ifa referuntur, et bec diuidit ex dupli€i fandamento . (.quantitatis,& potétiz, alia veró, non quia ipfa referuntur, (cd oo die oria ea, vnde hic monón addit noui genus relationis, fed folum fpccialé modü denominationis, q conuenit terminis relationum pertinen tium ad alía gencra . Cum igitur fcientia poffit obiectum fuum rcípicere, vcl (ub rationc motiui, vcl terminatiui,vel mengeni, vt notat Do&or 4 d.1.4. 1. fub rint fundat ad illad in ratiene motiui, (pe&tat ad fecandum modum, quia cft rclatio effe&us ad caufam; alia, quam fandat ad illud in ratione terminatiul,& vocat Do&or quol.13.M. relatio nem attringentiat,ac tendentit in obie&tü, fpectat ad tertium modum, quatemus nó &ft mutua obiectum .n. nus termi us nullà fundat cotrclationem ad actá; fi vero cotideretur, vt fundatur inintrinfeca rtione,& conuenientia poten tg ad obicérum, ad primum fpedat ; cclatio tandé ad illad, vt menfüratiuum póc efie duplex, ficut obiectum pót bifartam conttitui menfura (cientiz, potett.n., cíle menfura (cientig quó ad veritate, quatenus notitia intantum vera cft, inquátü exprimit obie&um, (icut cft;quo s&fu de relatione men(íarabilis ad men(uram locutus cft Doctor quol.15.cit. et proprie dic: folet relatio confotmitatis actus ad obic&um, et ticappellatur à Do&. 1. d. vit.ad 1. et 4. d.8.3. 2. V. quatenus actus debet cffe ex preíta fimilitudo obiecti,vt verus fitnó quidem per cóicationé etufdem tormz, licut c(t albi ad album, fed per imitationem, ficut eft idcati ad idea ex Doc.quol.cit.O.& in hoc (en(u qnod libet obic&um cft menfuratinum fui a&us;quia quilibet (ud imitatur obici y ficut ideatum ideam; poteft ct obic&um conflitui menfura in pecfe&ione, quatenus a&tus eo cft perfedtior,quó eft perfe Giorisobiecti, quo (enfa de obie&to mé furatiuo loquitur DoG.cit.4.d. 1.9. 1. et hoc modo non quodlibet obiectum cft fai a&us menfuratiuum, quia meníurare hoc modo fupponit in menfura maiorem petfe&ionem, quàm in rc meníurata, vt notat Liche.quol.cit.$. Sequitur in litte va cuius ratio cítquia men(ura in perfe&ione fit per. excelfam perfe&ionis fupra rem menfüraram, vt att Doctor 2.d. 1.0.2. G.ynde in hoc sefu potett obie&ü eflc motiuum,non tamen menpfuratiuum, vt intelle&io albedinis non poteft per albedinem ia hóc fen(u proprie mení(urari, quía albedo eft accidens imperfcétius ipfa intelle&ione ; Itaq. relatio mcnfurg ad obic&tmmin vtroque (en(u, fi vaifocmireraffi snécur extrema, ad primü modum (jectabit, quia relatiua iliius modi dicuntur f(ccundü cóuenientiam aliqua; vel difconscnientiam, (iut fecundum accc(fum quendarb,vel recetium,mensara. tur autem fcientia ab obic&o vno, vcl altero modo pér acceftum addllid, m conformitate quidemy et Ui militudine primo tnodo; et it perfectione (ecundo modo ; poteft etiam redaci ad fccundum relatis uorum genus, fi ex parte ícient e ipeétes tur ratio menfurz paffiue, ex parce vcró obicéti rado menfura a&bur ; Cum aüc E Doe. » M ecsupmuiu Quat. aec psc fimilitudinem prztam imitationis ait ad tertium modum "fpedtare, non ad primum, ad quem rcijcit tantnm fimilitadinem vniuocationis, "loquiturrigoroséde primo modo.   171 num omnes huius tertij | generis relationes fint tran(cédétales,an aliqueetiam przdicam,& ratio dubitádi eft;quia hz relationes, vel tendüt ad terminum in potentia, vt eft relatio fcientiae "ad fcibile,(enfus ad fenübile,vel tendunt . ad terminum in atu,tine quo earum fun ' damentü exiftere m. d » quales (unt celationes creatore ad Deum quoad cfficientiam;diuerfitatem,&c. Refp. non cf. feomainó cercam, an omnes relationes 'tertij modi fiat fundaméto identificatz, de celatione fiquidem attingentiz quam :habet a&us ad obie&um, DoG&or manet anceps quol. 13. licàt in 3. d. 1 5.q. vn. ad 1, id atfirma(Te videatur,de quo in lib.de ' Anim. liergo o&shuiufmodi relationes i ponantur fundamento identificauz,om"fiéserunt tranfcendencales, nonautem i 'aliquz admittanar realiter diftinciz;alim autem tales dari inertio modo c(t atis probabile, .& foité talis efticlatio dexiri, et Gnidri in animali in ordine ad ' columnam ; quia in onimal: videtar elfe ' realis, quia inipfo funccor, et aliaorgán1, à quibus dextrapars trahit. robar, !& vires, in columna veto nullarefpon det realis correlatio (cd dicitur dextra, vcl tiniftra: fola denominatione fumpta :diduxta pofitionc animalis . ARTIGVLVS Ill: "Inn prefati tres modi. fufficienter affis gnentur y ac velut ein (i 5s x fría genera quarti pradicamenti .   171 47x Vidamafferant' modos rclati'uorü iam declatatos non effe füfficiétcr a(fi gnatosáb Atift.nec minus velutadzquata, et propria genoxa huius predi Ici quia Arift. ibi «. Metnon intendebat traderc,nec adasquatam totins relationis dinifionem,ncc propriam huius prz dicamenti, ita Auerfa q. 19. log. (cct.7. Alij é contra contenidunt banc cifc adzquatam totius relationis. diuifioDe fufficientia trium mid. velatszdre.LL 393 nem, et hac tria genera acceptant vclat adzquata,& proprià huius Bebicammnti, Alij tandem fatentur quidem cfle (otficientem diuifionem oés modos relatiuorum comple&tenté,negàát tamen mem. braillins cóftituere propcias,& adasqua.tà5 fpecics, vel genera laius predicamen ti,quia dinifio illa e(t lonzé marorisa bicus, ita (1gaificat Scotus 4d. r3. cit. q. 1, V. dum in juit, qaod Aritt.in hac díuifione non tantu ponit fpecies relationis, fed etiam modos, Jecundum quos aliqua dicuntar ad aliquidqua fenictia veciór cit, et ad Ari(t.mére magis accomodara. Dicimus itaq. primó tces modosrelati uorü cfTc (uffi cientet ali gnatos;ita DoGot cit;& 5. Met.q. 12. vbi ctiam Anr. And. Zerb, Faber, et alij Scoui(tz, ac Thomiftz ; Prob. quiaciló Ari(t. non exprimat in particulari omacs relatiuo' rum modos, (ed folam manifc(t:ores, yc notat ex Scoto Zerbius cit. $. Propter cfeeundum ios tamen ita a(figoauit in: quit Zerb. vt omncs alij facilé reducankoe per qud laiiodqcan,, &analogia;hocautem probari pot recé: ftndo ong i changé, Br rertür facere difficultatem, Sunt autem ii primis relationes cau(z. materialis, (o:. malis, et finalis ad (uos effe&us, qua non . fundantur in vmtate, et menfura, vt pa1 &ct, nec in potentia actiua, cum bzc (it : proptia cflicientis .. Ett ettam difficulcas dc relationibus propinquitatis, et diftan«tig, cocxiftentiz, dexui, et tiniflriintet columnam,. et animal, non. facile cít a(lignare modü;ad quem pertineant, . €x tribus illis .danfuper dubitatur de relatione vnionis,qua cert? ad (ecundum, et terti modii nequit reduci; quia eft mutua, et non fundatur in actionc;neq; eti ad primum, quia aliud c(t conucaientia, et vnitas, quz ibi a(fignatur pro fundamento»aliud vnio,& coniunctio duorü, quz poffunt etíe inter (e omninó ditincta, et genere, et (pecie, vc cóttat de vaio nc accidenus cum (übitantia ; huimanita. ti$ cin Vetbo,, .&c.Aurfus eft dubium dc rclationc arnoris ad amabile, et vriiuer(aliter s pgetitus ad appetibile,que re» latio ccalis «ft ; et non fundatur in vnitàe t5, te "Df tÉ, vcl i&tiode et cogitat, nc:jid rationc mcearfuce, quia-in amore,800 eft veritas, qua nien(ucetür per obicóamamabile: 175 At fi pe e ien i mé pr mi, et fecuadi-mod! jomnes ptefu fclafiogés $4& ducccüliniekodd. 'los reduci pótetunt rxtióne funda monti, et ad terium, quaddo:«muture nà faerint, ratione non murüstat;s, vade fi. poteacía a&iua amplé fümatat pro pocenra 6a1fatiua:, quz inoaini caufa. re pericurad fuum effc &aam,fie omncs celationescaufatumad fecunidüm modum (pc& ibunt, n valipotentiatundabitar propria. cau falitás Et et fundamentü priai modiiainplia(culé famatur,vmitas némpé, &-multitudo (ca rametus pro couen:ctia duórum; auc diconüenienua in aliquo. prz dicato etfenfialiyaut accidentalis propin itas, ditlatttia, cocxiftentia,.& cuná  Büles relationes ad primum modum ati  | ment ; nam ficut zqualitas ddorum pal. n cóucnientia ia quátitatesd io 14 rum.in qualitate, ita propim.utas erit conocniemia duorum mloco, X acce(ías, di (tantia ecit difconuenientiain loco, et ycluu rece(Tos abinui:cem inillo prz dicato, cocxiflenta etit door m có -uenientia in hoc; quod aqibo exiftunc in adem durauone, et fic dealijs ; relatio autem dextri et iimiftri aut real. s nó eft, fed mera denominatio extrinfeca ex. poii ione animal s defümpta, vel (i cft ceals -€1 parte animalis; fondabitur in. virtuie -imotiua illius[ooternite corpus collocare in «tali, vclzah ütiuimordinead columnam, «atque. iia rationc fundamenti ad fecundu modum ípect.bit:ati fi nó mutgitatis, "quia ercx parte columna nom corrcípondet reahscortelatio fpcétabit ad terri. 3Relatio ynionis ad primum. 'atctinct,fi vaitas, quar jbi fundamentum tiaAuucur, vkravnmnatem identiratsexcenda qturad vnitacern.vnionissper q aliqua duo jn vno tci uo affocianuirywe doces Scot«2. «d. 22.4.2, ad 1. vcmaterid, et forma in có ruo » duz quanmuates in voo indmitibbilypotcfteuam reduéi ad (ecubiaü cum ficiclauo earinfccus adueniens de przlicamento habitus, vc dictum cit in Inft, et magsinfra conftabit  et oimnia tcx ulla laii fps 3.50 -eltima-piiedué «ax2nta tedaci! po(fimt ad rfesandumexgenerali esi ioca quodque an actiuum:s et pallium diujditargsc dii cbauettar, freed. qfi ioter aliqua ectremamog sir 509103;« wc aft.de ivitode-Ionnzaieris ad Vermifi» rarone, fios axatuiraus :peétibiead:tétiom amo doamDerelxiónetartié amorisadobiéduofauhwd: éendaett ; vt fupra de rela« "none fzi& ai-ad fcib Je ;:936d faeooiMdretain ictuamoris relatioarsíagenriee ad obieCtam; qui refpectus «I. conuenit; quaceéms actus, vitabs eft j; vectiaisur: ad ptisüm modu, quatenus fundatur in in "trinféca illacGuearcotia, et proportione y 'qüg necetlaris exig rur incec potentiau) » :&bic&um, (cd quitenus ditóon motua iex parte'obie&tif pedkac ut; rcfeTatur ad obié&um; vc vts causá fpe&ticadíccundum ;. fi randem vc meg. furabile ad menlará ; non ijudcm n. ve"ritate, (ed iri perfectio eran : actosamoris cà perfc& ar eft j quà védit imobie&um perfectius; (pedtab;r ad pciTm nmodum. ; quia calis meníurauo in ipetfectione ft: per accefum cei:menfü'ftt ad meniuram in pcrfc&ione, acceffus verà vniuster ad aliam ia aliquo. actributo non ett,n.(i conuenientia aliqua be césm rima ago recetfus toe iquadi(conuemencia ; quarc tic ampliá do fun ta primi:, &fccund;; modi ab Arift. alhignara, facilé omnes telationesad cosreducentur,licétrc vera Arif, folü man feítintes exprefferit y vcanquit Do&or, vt inde alios deprchendercmus 174 ope ai Pi "ordi nera non effe propria, et adaquata hup? ptsdicimcnd Al et 'óbinibos a finr. OR IHatióncs reàli$ pfe fict: Imiibfecus zduenientes ; &: canttitaende fpecies huius;pradicashemrzGonclufio eft Scou Jot. cit. 4. d. i1g.& proD.quoad.omocs partcs., et primó quod non finti bres modi adz-juatà adhuius pradicam, quia rc vcio dtt ibi nominrendit propriam, rigo sofam-huus: prardicamn, coord naiioneqi narcfed expl c are omncs modos relaiuordas, ád quos vnasozq. rclat:o: paf fit aligua modo reduci y noa lolomre&prédieám; (   Quia DefoRbisamWl   zit fiscdéx Ealionis;nón [olam intcínfecos fedt excinfeorns siu ; immo: foiauz prie dicamentalis, fed'éctran(cenz dentalis;vt ipfa Aciftzexempla oitendür. | eóveI maxime: credondam eft jinquit Dost/quia Arift; ia cap. przeced. de dali ecdgar quadam enumerat; qag nod? fuac de dicam: qualizacsquia non i gendic ibi ponetc tancum fpecies quahta! tís, (cd omnes modos yquib;pócal . dici qualesergo veritimile ed codem moo do rocederc ina(fignandistelatiubra dr ; atq; idcó illa tria genecaimonftla ab ip(o a digtatà vclut propria; et dat: quàtà huius pt edicameati &1e04Mi rid -: Quod aureavex illis generibus ilte (o» himiclationesünt feli endz y wo fpecies: Mrd pedicincquararo ancreales; et pratdicam. ac idt infecus aduenientes fequi» tir cx przdi&iss quia hoc geas oaa cón(Licaitur ex célationibusrations) fed: realibus,nequc ex tranfcen denralibus fed: i alibüs; et hissqaideay iaccia: deer cd viia es pear iai ineat ad vItima fcx. przdi| de feddruibé amici tiniu(rmodi relationó, X fpecies atfu.n debere ex omnibus; et fingulis illotum geüeram ob nooaul-: los, qui hoc pratdicam. contesant folum» ex telationib.pridii modi, vt Aüerfa loc. ! cit. aut (olaui ex relation bus fecüdi mo: di,vt alij; Cin&h y et il Kallaatars quta cá» €x primo, qaámex fecunda imodocon1 ftraf potcítcü in vtcóq, paritetadiaucgantur denominationcs relaciua ad hoc : nis, agi etià vx ter uicmiodo poreritcontticürs li taceo emt. módí admuemacücüenomi aátion-s . INO : ettáit opas (ubdiuidere, vt aliqui factüco relationes hunus pradicamenci in relatio-.' nes zduiparácias S di(quipatubog, vteun 7 füppolitiónis, et laperpoutiors, vdluc : dias propriaynaud háiifmodi di? uliiónes £ ju beoe iuenrumtar fh rela tionib. extrinfecus adueniencibus | de hi$  vci diafiohibus breuiter daimustis p. loiticttact/ 146.7. et quis faa patuit in97! menti ', niFaliad occuriit addendum dequibus tamea pldra: videri póilànt apud  D. Dainafc. intua Dialett; c, $0.77 Lari 9 eeiabot dei ag (10139 -4 2" "y. e $: apo xpo mtb -Iv $21 e GIUpidE 215 mnbni5! 15 i1: Declar ntur ejfe Bones; yelaliupruom « ij 7X Vldnideétalitotgny projsrieta (7X Jo ces, ver potias artributsenge metádic Acift;éad aliquid,& nos cüipfo» $ipUlétlara Ct: €. 2:amiitü habete cÓtra! ri Bi GfGipere magis;& anus, dici ad có» ucrtétiuneifetittulmura;&effefiutiiionc,&definitione, circa quas no 'Occurrünt di fficultaves exachinade. i Ptiti5 Citéi primam dubium eft, ag (olui e5sapetat relatiuis fecuaduin dict, : et ttan(cendentalibus, an édamerchatiuis: (ccánddm effe, et pra dicamcatalibus j&' fi hs competit;num competat fundam£.' taliter (olaiya& poriusetdam formaliter; Tata; hic hot. 2; quem fequun üt Caiet. ' Coniplat. Didic. Saar. Ruu.Smigl.Sca s lij, docct conucuire rélatjuis canti fe«' cüdü dici(de hism.exéplifkat Arift. )sim ' eifcabfolutum; cyirspórtatvt fcientia fe ' condum eIfe à [ j contrariatur ignorantiz) (ed fecundum : télatic  » quam i j T A dicic  ad (cibilejnóa diicitur hàbere contrariü .' "hanc propttétatea éc ad -101 m AL j extendunt aliqua relatiaà fecundum effe, qua Acitt. ro, Mecvó.imcef exempla concaacio ' ram,non foluài vit um, et virtatem enu' wizrauity fed eriam axqualitatem, et inar qualitate, fiinilitudinem,& diffimilitue ' dráéim, :jüz fant relations haius przedi' €'heati ; 4áddunt tartien nos formaliter ' (cdtahtüi cónc faddamemd contrarieta' teivhis relatiuis aceidere y v& fimiles et ' diffidiile comttartà dicuatur ; quia fupee  qualitatcs cóntéácias funduncuc,ita Scot, : q:46. priediéaus. feqüuntut Tolet, ' Artic; Manu hic ei. ás D. dew 3$.  «de celdt: Albecnammoa-Sunplic Bo« 1 e Loiinienfi:& tos criam dedunus j v$ 1 cóm nuda t; p.-Intbit; loci cit!   ? /476 'Scd quaavuis ita tb: dacuerimus y 1 tü vt ctità Tyrónibus ofteaderemus vid y' 1 nsc itàtiabioitio ics memet ; b 1$vós dcc reeremasyrav quia comune : 7 n silia opio valdc probabilis eft: »:&' ! Sébto cónfémanea loc«ciGadd»mus ramé  nahc adliuc forcé probabilias eiie coas ólutumi,quodimportat, . arárietacéis proprram competere   AN "dam relatígis fecundum cfse, etiam fortaliter fecandum efse relatiuum, ita videtur cxprefse docuifse Do&. 1«d.5..7. T. et 2.d.15. q.vn. L. vbi diftinguit tres relationum rcalium fecüdi modi fpecies, quadam important dependentiam efsentalem, vtcau(z ad caufatum, alia funt rclationcsoriginis (inetali dependeatia, vt paternitas, et filiatio in diumis; alig tà dem important dependentiam tantum accidentale, vt mou£s,& motum ; fubdit dcinde relationcs tertij generis non repu gnare in codem fübie&o, ficut repugnat al:edo, et nigredo, bené tamen rclationes primi, et tecundi generis, quia idem | nó poteít caufarce,neq; produccre feipsü: vnde tandé concludit relationes aliquas rcpugnare in codem fubicé&to, non rationc ojpolitrionis relatiuz, quia aliqua relationcs oppofita potfunt c(se fimul y vt rclauo actiui,& paffiui, mouentis,& mo ti [cd róne dependentia efsentialis, aut . aliqua alia fpeciali ratione » ergo quibufiain relationibus, (ccundum cfse conuenit contrarictas in Scoti fententia, quam, etiam (ccatusett Ocham 1. p.(ue Log.c. . $2.& nuper Aucría q.19. Log. fec. 8. |. 177 Prob. tum au&toritate Arift. 10; Met. 16.iam allata;ncc fufficit dicere cff: contraria fandamentaliter,quia euaYitas,& inzqualitas in quantitate fandan tur, vbi non datur contratictas ; et diísi« tuiütado, poteit etiam fundari in qua'itatibus non contrarijs,vt albuin vt duo, et vt fex di(similia quidem funt,(ed non có» traria: Tum ctiam rationc, quia ceruum cft inter aliquas relationes efse repugná tiam circa idem fundamentum, vt patec« nitas,& fiiiatio fimilitudo,ac di(sumilitu do refpe&tu cin(dem, et quidem ita ree pugnant adinuicem, vt noneodem modo pugnent cum alia difpatata relatione, fed omnis talis repugnantia con(tittit oppo fitioncm,vt patebit difp.fe.q. 1. quia op volita (unt, quz circa idé fubie&tum ita inierfe pugnant, vt non aqué pagnéc cü tcttio, cü crgo talis oppoficio in itis relatronibus non fit cótradidkoria, nec privatíua, vc patet, ncc relariuas cum nó fiot coelatiua, ergo erit coatraria . Nec (ufticit dicerc haac conuarietarem non oriDifput. VIL Dé Pradicam.vefpeui tiex vi ipfarum relationum fed exvifu torum,quz cum nequeant effe in codem fübiecto, conf. irodot et ipfe te lationes incompoffibiles funt. Nó valet tum quia ad contrarictatem relationum vtdictum eft, non (emper c(t neceffaria contrarietas extremorum; tum quia hoc ad fümmum conuincit contrarietatem non ipfis conucn:re primarió, non tamen conuincit contrarietatem illam in ipfas uoq; relationes formaliter non redunare, . tandem ex ipfa contrariorá dcfinitionc, nam ca funt, quz ab codem fuübiecto (e mutaó expellunt, et ilii viciffim infunt,tales aurem fünt fimilitudo, et diffimilitudo refpe&u eiufdem termini;ncquceunt.n.cfTe (imul in eodem fubie Go,poffuntq. eidem fucce(Tiué inefTe, q»,n.crat alicui (imile, poftea fit diffimile, Upton. po et przcifa contratic. tate formarü ab(olutarum,& quando cótingit mediantibus formis abíolutis., id . ita fit, vt contrarietas nó folum fit in for, mis abfolatis, fed formaliter etiam in ip-; fis relationib, fcu denominationib. relat». "Obijcies, Tum quia Arift.c. de quant. negat relatiua habcre contratietatem, qj probar;quia fi magnum, et paruum func contraria, idem (frmul contraria fufcipees ; ret,nam idem fimul cft magnum,& par, v rcfpe&u dincríorü ; et cap. ad aliquid. ditm ait relatiqa habere contrariü, exemplificat folum de relatiuis (ecundum dici. Tum quia forme contrariz actiuz. (e cxpellunt ab codem (übie&to ; v: conftat de calore, et frigore in aqua, at non ita fc expellunt (imilitudo, et di (fimilituio, edam refpeé&tu eiufdem termini, ab codem (ubiecto . Tum quia contraria rc« fpiciant (ubie&um,circa quod hibé& ficri at relationes nonrefpiciunt fübiectü, fed terminum. Tum randem, quia vt. ait Caiet, tanc ad rclationem daretur per fe, motus, vbi «n. eft contrarietas, 101 potc(d €(fe per fe motusex f. lhyf. 178: Reip.Arif.ibi ncgare voluiffe ree, latiua effe cotratia rónc oppofitionis. ree; latiug precise, quod vtiq; verü cít, quia vt ex Scoto diximus, quz dam relationes oppofiue potfünt cflc ti mul, vc relatio ; aétiui, et pa(liui, mouentis; et E ' Li SPET . idi. pm " . PRA (  Dua. XL'Déaffllionilurrelaiurim$t ratio, q ibi fubdit Arift.de magno,& paruo refpe&a diuerforum, nihil cócludat;quia in hoc fen(à neq; (cictia,& igno rantia re(peétu diuerfarum conclufioná fant contraria,vndé Auer(a ait Arift. ibi arguere ad hominem ; quamuisauté cap. de rclat. de folis rclatiuis fecundum dici exemplificet, nom tamen alia excludit, vndé 10. Mcet.16. ctiam de rel«tiuis fecundum efTe exemplificat. Ad 2. non cft neceífc formas cótrarias a&tiué fe expelani abcodem foiano: nam s fecunda tates, quz habent proprié contraria; vt albedo, et nigredo, non fe ex pellant in generc cau(z cflicientis:, fed formalis, quod fufficit. Ad. 3.neg; min. cum: .m. relatio fit ratio referendi (ubiectum ad terminum; dicit ordinem ad vtrumq; Ad 4. alia eft concrarictas, quam Arift. $. Phyl. exigit ad motum, ab ca  dequa .hic loquimur ; nam per contrarictaté ad motum requifitam intelligit Arift.ibi difüantiam term;norüsmotus, quá nonnifi temporc pót mobile pertran(ice, vndé ad . Quantitatem ponit motüm, et tamen negatcontratietató, de qua hic eft (ermo ; non ergo cx ifta cóttarietace infi mo tusy(ed cx illa Accedit seq;nos, neq ; Ari fiot. ncgare motum ad relationem quo modocunq; (ed motü per (e prim, quia, nonacquiritur propria acquifitione, (ed refültat ad pofitionem alterius. 179 Secüdo altera affe&tio.(. (afcipere magis,& minus folct comuniter. explica ri, quod quibuldam conueniat celationibus;non focmaliter (ecandá fey fed canc rónc fundamenti y aliquis,n. dicitut magis vel minus tiailis aceri (ecádam quo. magis, vcl minus participat qualitate illi conuücniente, atq;ita€r nosexplicaui. mus in Intt. vt magis Tyronü capacitatiinclinaccinar . Verum (6 res ferius perpendatur, probabile cft qua(di relatio-. ncspotle magis; et minus (ufcipere,2uià ierlaisentirauibus, et nonin fundamentis tamtüsvtcx profeito docuit Mat. pa. fu 3 1. füpet przdicam. ep ét (cncire. v.de: tat Tatar«citsdum in finc not. 2« concludic uod reltionon fufcipit primo magis X m imus, licét per (c hoc medianWw iuo fundamento, quibus verbis fi 5nifiLogicae 471 NNI. A: 713 cat hanc affe&ioné etiam per fe in. ip(as redundare CREE DO dape nd citer à fundamentis, vt de contrarietate diccbamus, Prob. antem róne à priori ;quia reazdamem.s in iuifibili, vt qualitas ; duplum, et triphum;que fundantur in quantitate n minara;qua proindé y vt minimum variae ta y ftatim concidunt relationes illas;aliaz tamen non confi tunt in indiuifibili » fed liabent latitudinem,vt notat Tatar.cit.&c tales praefertim funt inzqualitas,& diffi militudogquia hzc dicuntur, cam alter. extremum deficit ab illa ind:uifibili men. fata ; inqua fundater aequalitas ; et fimi litrdocum ergo hic deíc&usnon con(iz   ftat inindiwifibilt, fed po(Iit mag s,& mt. nus crefcere, idé pariter eft. a(sercáüi de inzqualitatey& diffimilitudine,quz funditur 1n eo;vbi nota,quod per talé defe éü nó intelligimus purá tegationé, fed quátitaté;aut qualitatem illam indetermi   natam,inquatalismegatioreperitur.     180 Refp.Cóplat.Aucrfa, Amic.X alij affim«cum Fonfec. $. Met. cap. 1$.q«$« ec. 2. rclationesomnesconfiftere in in«   diui(ibili, ac proindé quando augetur s vcl minsitut quantitas,vel qualitas, non. augeri, aut minui relationes., fed variae ri, itaut priores deperdantur » et acquie rantur alie, yndé c(lo quantitas, et quae liras;in quibus fandantur, babeant latiture. dcm cendi poffunt intendi, et re mitti, non tamen quatenus fandant relationes,quia vt fic babent rónem quand& indiuifibilitatis « H«c tainen folotio fa« ciliter, et fol.dé impugnatur,primó quia hoc intere(t,vt dicebamus, inter zquali« tatem, et nz 21litarei,quod illa in in diuifibili fandaciryaó 1a, quia hzc. fan datar jy quancarate, vt deficit ab. indíui fib.li menfara,in qna illa fundabates, tà lis utem quantas hibet latigudiné, quia. uzcun; deügnetur y e(b digifibils, et ufficiensad fandandam nz qualitatem, Deindà «in dao calores (ant. fimiles in 1éiiuà, (hauc ac alter incipit remit » iri« ciii quoq; difimilis fir; ira quod part palfu procedant reni (lio, et difhimiiitu-do,& cü rcinitfio fiat in téporo; €t inteporc acquiri debet relatio dilinilitudie Hhb B5,  4minueHlinc támen nón (cquitürad co z E rene? e M ors rote d Sic  "fofcipere 1$; "a Edere vira (édemedar 25 itam indeter FRE 0 Dif Dr Pedido pin: 62 ffi5:, ac proide fuo modo debct habeta Fiieediné gvadiualc, vel fi dicatur. aequi« tiimigtlanti jcam diffimilz Lm foto moth,dcbebentadmittiphira anlás eia immediata, eteo huiafmodi.relationes; qua habeotlacitudinens irt fündamés ró;liabent ét tatitudinem ín fe tib cortés fpondentem,itaqued.iokcà-inrenfionemy. et remi(Donenilltusyetiamipfe infe in fendaptür ya€ temitartur y ita'etiam de 3&e'qnalitate difederíc Tatar. cit. dum ait: fundartrquamitsce indeterminata:, -&. ad eius vat iatiotim (écanduar maioritae t&f; vel mitióritaremvariati ; non quidé Creech:,ob ónen in et Ct militacimangumernnénto ; fed diuifibiliter., à tra 2i5,8c ininms, uifiad (0o viriacióné dlcétids ta tora Tat-loc. City vbi étiam obferüat jqmod'cü dicimus reAatíoric «vi pofle infemagisy& mb sefafciperég fed dependenrer à funda4 nteitisihóonondebet intelhgtiraut feay pecTicopus f.iadánsenaimyim fe (aferpes Fé iiais, && vriiiitis, A vabiari eadé prova füs:van attóne 5 qua variatürcelatio farrdád$, dift quaneitastiondufc ipit nis p ate fiae cimeirinetqinlitasfaper cà fira füfcipit-y SCimicxemplozallato de dàbb3icsforibus'in mifi one fimilibus dü&? alter vemittitar ereftic ., et inten diaíteltiTstitido;on .h.dici debet misi Md dià hac ponitu£ con(re fiereiamidioi bili ;vnd? obprimam cas fumjinqiicTdtafád o6,q104 relatio (dr foipiát másis,.& minus ynomfemper rea quiri,g» fundamentum:eiasfafcipratmaz gis, et imnimis; (éd'(ufficit squad. (ufcipiat maius, et minus; et obrfccundanra t., :g aliqnando relatiautir(atcipit magis; quà do cius fürtlamentum füfcip;icminus:, &€ contr, ita vt felatio'fa(cipiavmagiss et minus foffici in £üdaméto qualiicüg; NMactario, et muratio; &hane opinióifem: "femütap Smig ccihie difp.-190:q«p €$4térum efto iai ualiras y.& diffimilikndms habeant latitudinem quandath-, et forgé . esi& imilitado, quia dum: duo calores pac zi pa (Tu imtendurftuc y: crefcit etiam prz pextionaliter finrilitudonrer illosrztamé intet if itatem, &c di (fimilitudineme hoc vev(atur difcrimen y quod inzqaelie tas proyrié loquendo nom (üfcipirtmagis;s et inus; ratió eft ; quia citrláttado fai fündatmenti wort (it fecundam partes imo tenfionis (ed-extenfionis rantum ; confeé h rares pem 0 win redutx at inJp(nr itzequatitatem ; nequit effanifi ciufdent rationis; .f.extenfionis; bom intenfionis;vndé'e awsmentos vel decre: miegtoxquatiratis refulcat proprie loque do daiorsvcl miniotina'qualiras, non ma: . ji A Utrrm m ytnorauímus: cüs Jélphiao r. :Quod'eo;vel maxime. dicendum eft: quia vt dix imus dilige art. vlt. füfcipece tagis, et minus |i proprietas qualitatisfic adatquatay folicompetat, et mon alijs vifi'dcpendézt tét dlrez,vndé riam poteit conuenire rela: tionibus,ai fria ipfafaridads. « 2p | 362 Téttio cirea tertia affe&tlonéaitie quidaay xélatiuorum 'conutitentiam di cere/matuam depem4eémiamynim-relacisa ut abalio er celacionenr rcalea juvtcóst quopeie fan datimatdyideofolisrezt iis mutuiscortueriire: et fecundanr cf: fe;nomautemecelitiais fecutidutw dicitar inmtit Mafius Bic (céicr 9: Greg vero 14h 18:9. rz ex lacamutda relatiuotü cóc uerteriz corenditfempet;.&c in omni ter? mino: celátionis: inueniri" alia mutuama relation realé,& oia'extream effe corre: liriux; ac omnes relationes e(fe matuas. 7: 3 i Veráürcóisoiuursc(us eft bic e(fe-atz fe&iontrotbus relacimscócmymtntuis,. 8o nó (mutuis,st'effe; &c sm: dici yc €6fi fte ré5nóin mcn relacione reali: fibi inaicer cortefpondente, fed1anmm io mutaa de nominatione, n fumatur ex relattone reali;ide'raxonis; Flocrotum dedacieur: et ipfo-Ac&progretía:, tii quia intetaliz exéplaiilluLét addacit de tciécia, et (cibis liytumquia pec huiufmodi conuacrcentiá:yr et xveciptocatione docere volait mutuas denominatiónes -relataias.,, quz. poffunt: exerceri ci parte vpriu/que exicoroi, Zion  acdiftin&as relationes (cd quàd vn dicaturinordinc ad alind, liuc bic ordo 6c rcalis; Gucsón:s y vt fi dicimus Dominus ferurdominus, valcat euià dicere fcruus domini-ferous j' (cd huiu(modi denominatiófics cxerceri valent 5 ctiamíisclauo fitxealis ex parte ynius. extremi tantum, poterit zn. ficri cóuertentia fumendo tcr. tbimum fub relatione róais y vcl fub denominatione relatiua ex. terminatione rela tione dcfumpta, hoc .n. velillomodo scna comparantur adinuicem, vt correlatiua, quare non benc ex hoc intulicGreg.o€s relationes effe mutuas, et vant dene realitex cocrelaciua, ia hac ictas magis pertinet ad Sibdemicrjarndi de eelatinnibi, 1$ quàm ad vem et ad modit a(figaandi exucma oájum; quatenus cotrclátaua funt «por. actatr jvédocct Ariftintcex conuenicniios hominis (ckulisy nonconucnienter a(» digux j vtrité poffit: conaertcre: ve; ergo fiat corucniens; acidonea itio pro presen ppem ies s cort Betveramq;éxtremum fub-uomine cela: tino, Sdingerc tiominayái.nop ad(vat, fic «n. aífignata, Ícmpev vsrumquc extrem i aqnutuo dicciur ad aliud 4. Ex «juo deducitür Tianc:prapr;etatem competere: om xis S [olis celativis quicquid hic di» &aht Soto &iVeracruciusquadft; 5. c4 Ac obijcics; diciad conuertenzia e etie fimul: natara: vel fak«maliudinfextjae velariaa non; mota nó (unc fimul nee A va comen ades P itidéé contra videtur -ctiam.compceteiedenorinatiuis, nam album dicjuur àl :«bedinealbüm,& albedoalbi albedo. lojo fübiectum, et paílio, et quzdam propofitioncs folent! dici ad connertentiam ; weh folis telatinis | |.) diefquadi1..q» rclatiua non. mutua funt ipfa queque-faul natura, vc fubftancdetiomimárioni relatiux (ecundü qua dicun tor ad conuertentia. Ad 1.ncg.atfumpud, "jüra coBuer entia eft imucua denoaunauo róne alicuius habitudinis, denomina iio aüt non fc1ónc h;bitudinis muuiz tpud Z Qu AWSCMRTVILHMT-EEENEICU,   1 Wt d XE Deaffetllonibus Rt rds. ' éodinomnibusreperiri woluerit veras, Adaliud bene.diftipguunt Patilienf. 9» pee i n c rrr a Conacrtentiam, prima «n. cft próprictas rcrum. vcl terminorum ánter féaqualis vnucríalitatis  alcerà e(t propolitionuai; qua vna vettitur in aliam mutata; vel ferAuataquantitate: iuxta rcgulis Suminulidie: tcrtia tandem cit mutua denoinj: mato ratione alicuius habirudunis s 'qu folum conuenit rclatiuis « M ic. 2384 Quarta,aciníigats celatiuócit affe&tio ctt cfsc fimul naura.1.(igiul nac rali exitlentia,-ita quód vno exiftente aliud etiam exittecc (t peceffe, ica expli cui ip(cmct Art. intexu, vnde fubdit; qp polica (c ponunt, àc perempta fe peri snutit ». oam (i Pater ctt, filius cfl, e cOuaycapiendo patremsx t.linmn,noo quidd pro:dcuomumato, fcu. pro cüticatibus abFolucis » fed foraaliiec quoad plas dcnoz siinationcsrelacuas, oq in hocfeatü pater naci pao (iode üuLo aracua £0;& gcnus ca Pese muis.n. quo» tili elg ub(iitend; dou nrbt conuzrzantur » eonacqrünz 19r. «amen, quatenus lübflant (ceüdis in; térianibus,& relationibus ronis scnercitati$ ac Ípecicitatis ; imuib inhoc fenfu prias natura età imn] naruta éum fuo po fterioti ;non quód ces, quz elt ptioc, et re$,qua-€it: potterior natura, ot ficut patütay lioc 4n. manifetlé implicat ;. fed quia-relarioncs iplz prioritaus, et poftc.tyotitatis (nz fímulnaurra, vnde formaIter loquendo, voum pon dicetur. prius quoafque aliud dicatur None bailes nis, &&ficquoad has dengminarignes tcJutiussdiqumprs mel agtura s He spofsibile.eft, vtidem: dicatur prius alio, A timul nauta cum co cum, prioritas, et fimülras Got oppolita.? Reip. Dod q27. pradicame Jed clatjujyiS gleganglo 4:d.13«q: 1 T» nen c(lc, incoriucaiens p polita de codem ptadicari, dicada not €odé modo... vou quidditari S aliad denominatiné:o2m hoc modo folemus er vnü oppofitum pra dicari de alioyvt cone dtacinintentionibus logicalibusy/ato ad.  tcar cur non inconucpicít, quia lic ao faluatur vera oppofiuo, ci (c ditforqy modus: pozdicauonis, 3be AUC, CELL An Hhh 2 ' jo. propofito, ape cum dicimus prés, vt relatinum cft, cífe fimul natura cum poftctiori, priorits predicatur quidditatiué, fimultas denominatiud, eft prius wt quid,eft(imul,vtmodus.    185 Porró ad huias affe&ionis exaCà cogn.tioné tria pun&a funt hic examinanda ; Primum eft, quomodo fitexplicanda hzc naturalis relatiuor(i fimultas. Solct paffim explicari per duas códitiones, quas colligunt ex Arift. in poftpracd.c.5 vna cft, cp alter cum altero cóuettatur in fobfiftedi cofequetia ; alia eft, qp neutri fit caufaalterias his n. obferuatis conditionibusilla duo vere, et prie dicuntur fimul natura. Verum fi loquamur de illa fimultate natur poftprz icamentali, fatemor bene conftitui per illas duas cóoditiones, fed certé illa (imulta5, eftó conueniat rclatiuis, non tamen poteft eorum dici proprietas, nam alijs etiam cópetit vt duabus differenujs idem jus condiuidentibus;ibi.n. concurrunt ille du:z conditiones, nà vnainfert aliá ; ncc vna eft caufa akteríus, et idé dici poteft dc flcbili, et rifibili in homine. Dicédum ergo cft, timultatem rclatiuorü talé e(Te debere, vt fe mucuó inferant ia. cxiflendo, non vtcunque; (ed ex róne for» mali proptia, nonautemex rónc alicuius tettij, inquo vniuntar, vt eft de duabas diffcrentijs idem genus condiuidentibus, nam cx ratione formali propria vna non exigit aliam/led cantum ex ratione genetis, quod diuidunt ; ita hanc rclatiuorum fimuftatcm explicat Do&or 1.d.28. q. 5. T. dic&s,g relatiua efle (imal natura idem cfl, qj vnumabf(q; alio ab intrinfeco inc . cóntfadi&tionc exifterenon poffe, quia fivüum abfque alio poffet effe ; iam dicc,' retur ad fe, nec relatiü eset, vridc patet | rome fic explicatá cx intrinfcca retatiuótum natura, quatenus taliayorizificti habere, nec alijs competere pote . ' 186 Alterum difficultatis puncti confitit in explicanda radiceneceffitatis huins connexionis ; Qaidamopinancut fundari in maütua rclatiuorum ia, putánt .n. vnum correlatiuum iccà. finc alio exifterenon poffe, quia voum exigit alteram;vt terminum; qua opinio fuadaDifp. VIII. De Pradicamentis Ae[peéliuis,   tar inco, q» relationis terminus formalis fit alia corrclatio, et nó potius abfolutü » in quo fundatuc. At hoc fuse impugnauimus fupra q.6.art.3. vbi etiam o (tendimas, depeadentia tollit fimultatem na« türz, non autcm ponit,& ideó cum relatio dependeat à termino, non poteft effe fimul natura cum ipfo. Dicendd crgo eft; ex dictis ibid. przíertim in fol.ad 4.hanc ncce(Titaté fundati in cócomitantia caufarum concurrentium ad vtramque rclationé, quz funt cerminas,& fundamétü, nam cum fundamentum formale vnius fit terminus formalis alterius, et é cótra, cü in vno extremo rcfültat vna relatio, debet illicó in altero in(urgere oppofita cor relatio, quia wtrobiq; ponitur terminus, et fündamentü vtriu(que relationis, his autem pofitis neccífarió infurgit relatio, ita fignificat Do&or 1.d.50.q. 2. (ub G, Demü de hac proprietate dubitatur, an Conueniat omnibus rclatiuis, etiam no mutuis; Arift. exprimit in textu non conuenirc,quia ablato (enfibili,& fcibili,vtique: aufertur fenfus, et (cientia, at non € contra, ceni extant obic&a fcibilia, n quorü a&u : mcn son obítante, quamplures hanc affc&tionem extendunt ad oía prorfus re« latiua, fi ener (umantur, vt v.g. J ucin vel vtrüquce in potétiay fic i ae fimul natura, rirdoel Íe iafcrunt, nempe fcientia in a&u (citum, &c econtra, (cientia in potentia fcibile, et d contra; Arift, antemoppofitum docuit, quia nó vniformiterexcema affignauit, nàm, €x vna partc accepit fcientiam, &c fenum in actu pro a&uali cognitione, et fen(atione,& ex altera (cibile, et fenibile in potentia;quod .f. poteít (cirijpotc(t. fentiti, ita Caict, bic Soto. Tolet. Maí. Vetactux. Aucría citátes Barl. Simplic, Porph. Boct. Amon.& alios Aritt. Expofitorcs. Coetcrum: quamuis tota illa do€trina vera hity& nobis grauffima, vt cóftat ex ditis q.pra.ced. arc.2. 1r cx pl.cationc tercij modi rclatiuorum, tamen fi bancrelat;iuorü (i multatem accipere vce limus fecundü exittentiam,vt folct coms muniter umi, et re vcra (amic Arjli, faz n€ inhoc fcníu ncquit competere Quis us la datur (cientia. Hoctas again C Quafi: XI-Deafétlinibu: elitum.   717 K carprartantes nce can vniformiiparatis, quia (zpe cxiftit vnum, Aen exit 2nd vr conflat de (cien«tia detofain hyeme ; (Quare ex vnifotmiaf(fignatione folü concludi pót fimul. tas quoad: denominationem rclatiuam, quia ficalfignata feinuicem: inícrunt re; latiné non tamen femper iquoad realem . eXiftenitiam y.at fimukas quoad. denomi : nationem relatiuá porius (gc6tat ad pre i«€edentem próprictatem, Verum eít ia. . men, quod fi naturalis (rmoltas accipia. tür pro quadam naturali icxigentia, quam vnum rcjatiumm habet. Alteriusvvniformiterfümptisuamcauf av.inpoteritiaexigitcffcctibi nporentias&:cau(ai naQtucf"m1na&uj(icra tucalis:fimultas.eft»€ommunisromnibus:relatiniswnitormitct(umptis,neepertinctadpraecedentemproprictatctnjquiarevera Arilt.nontantumcontiertirtelatiuavniformiterfum.prasledctiamdiffotmiter,inquit.n.fcientia[cibilisfaientia, &(cibilefcientia(cibiles&accipitfcientiamina&u;.&(ciiempénebdhytpatetexcontextu.16g:guulcogmtione, cdefintuionecftdifhi. «ultasquomodgo intelligi debeat, quamplures,n« ita cx plicant, qüod ficut cx vi quce nigfugt imul formaliter et quoad deno minationesceladias, ita peritiam fignificauit Arift fimulraneam üxelligentiá, quoad .effe telatium: vtriufi« excremi y Ataur ficut exi (tere nequit Pater, vt:fic; nifi filius exiftat yita cognofci.nequeac: pa Aer in rationc pacis, nifi cogoófcatur filiusin tatione filsj.vádé inferunt vnürcJaguum debere: dfi aitiner alterum, eo . quia Aril.ait; 6 definitéicognofcitarvnü  &elagiuorum, dc finite é& debere eognofci Akgrum; it uadunc Thomiftat pa(Tim: ) ... .Baeimus tamtn,non fic bene explica» 1 hanc propíictratea, quafi relatio pater nitausdiítncté attingi nequeat fine co -gnitione relationis oppo fitarim filios néc pater definii-queae., mifi in.dcfinitione aifumatur filiasvt filias Probatur ; quia rclatioy vt relatio rcipicitteravnum, 1c]a: iuam fuflicienter explicatur ; vi 16 sum exprimitur órdo eius ad iyu terET logicae $ proprietatis cxtrema-rclatio minium sat relatio refpicit cermint quoad cutitatem abfolütati', et hzc przcise eft ratio tetmiiandi quamicá; relatione, vt dictum eft q.6.art.5.ergo vt cognofta tur relatio, faflicit cognitio abfoluti, in 9 tédit, etiam ignorata rélatione motaa in alio cxtremo-,: Et vcaliquid defiaiatur zjn cffe relatiui, füfficit affumcre entitaré abfolóluram correlátiui, non veró ipfum  €ortelatiuum vt fic quia exa&a relatio"mis cognitio dependet a fundamento ; et termino, nec alterius cognitio neccffaria eft; Qaod eriam probatát ex Scoto r. d. 30.$. re red igitur'ad queft. quia (1 pater deBinaatur pet filitim dicendo pa| Ferteftygtd babet filium cim loco nomf -nisin definitione pofiti liccat ponere: » 'faamdefinitionem ex Topicis', loco; liceb:t ponere dcfinirione eigs dicendo, : pater eft, qui genuiteum, qui habct. pa" trémyin qua dcfinitione.przter nvgarionem, et quàd ignotum per zqué ignorü define dion regulas bonz dcEnitiohis,quz debertradi per priora,& nouio' rà, committitur vitiofus circulus ab A« ;&wcaquintà. proptietaté effe.(j-. fit.damhatus 5. Met.c. r5. illisverbis no 2 ait intelle(lus ad illud; cuius intelleus soia e gh xfi Sce bis effet dicii, quare non vult sazclle&tum.tefininari ad intelligibile,quatenus intell igibile.i.quoad denomitiationeny relatiuam c105,3uia alioqui idem bis diceretub, et idem expli :€aretur per idóm,népé intelligibile eft cuigs cft intelle&us, et intellc&us cft.c-ias,cuius eft iotelle&us; qua foret inutilis repetitios& ita eflet in propofito,nam fi pater definitur per fili, et rur(üs fi. lius per pattema primo ad:vltimum «cer definite perfemetipfum .  : 288. [nveoiginir sé(a.liec affe&tio i Tigéda eft;quem tradit Licher. 1.d. 30. Ue n (obad s. Soeftaicquod.f.cum fonddmentüm,& cerchíinus cognita ncó pariant cogaitionemeclationi$ ; extééma euiafcun;. relationis cognita: necelfiri parient cognitionem vtriuc.]« relacionis isutud ;vc v.gicognitio paternitas depé ; det.a fündameniieognitionci pate, et abfojuti i& filio;igitur definit cés patrem dcfinité cognofcit rcm y quaclt pavery& remque cít filius,& quia funda Hhh 3 mem xDifp.VAT; De "Pradicam-vCliuis. .amentü, et term inus fuot caufz Acre na-: qu tamén 6on pof turales, fequiturquodres »qna.cft pater,, extra intellectum, &ressquz cft filius, cansar neceffarid «o-. funt labeicondineni an rone ! qaem relationum. patetnitatis,(«& . filiationis; et hoc e(t » quod comtsuniter . dicunt Recentiores nobilcumcentientes, . mhem deftruere prioris, &c quod cognitio relarionjs.non pepdet.for. maliter à coguitiope correlatipnis » fed . tántum concomitanter, anarends dü.«oenofcitar terminus. formalis y; fimul co«gnoícitur gorrelatio indc telultás. In boc ; €odem (fcnfu ioteJligitur, qnod definire cognofcens patrem y. dcfinité.cogno(cet -& fliü ;& quia. tota zelationis Cognitio .:ex exiremorum nouria dependet, binerc . € inert Acilt.. quód fi indetermipaté,, &in vniucrfalicogoofcatur pater, indeig minaté.ctiás et in vniuerfali cegnofci. il . 'uüt.id, cnius cft patefs &. fj determinate -.«ognofcaiuryquod 4. c( talis pater,deter-apipaté ctiàm. cognofci dcbebir .tezmi; nus... quad-talis-hlij e(t pater j vnde rc . vera Acift]y. definire fnmpfit pro deteyaninatà,& idco ex. bocmale iaferuntali.qniyquod vnü zelativum pcr aliud defmri dcbeat..Et quando eriam fic:dicetet Arift, inquit Tatar. €. de fpecie, et hié ir qradicam.relat«not. 4«exponidcbcce: in fenfu materialtquod. rejatiuuin detiniXi dcbet per. correlatingmn d yet fondamentum fuicorftlatini ; ita»n«-Aril ipfe folct relatiga dcfinirespam r.Pol. c 3.dcAiit feruum;bompy, quiettalterius iufis &non pex ordinem ad-dominur, vr osmaliter coreclatiuoty.i et patrem; quige;muit viuens fimile innaura; et 5. Mec c. p qst stro s qnorum     £ft ma,2qualia; quoraprquantitascft €ma, et huncmodum dcftoiendi telotmac epo Au&oresextraschoJam D. Tho. quid mehor earurrí part gm "Scoto dcfenduntrelationern terminar ad abíolutum; illumq; docct Doct paff fi.26.& 18.9.5.& d.30«0635 «A 43 7 "189. Obijc. fà relatiaa (unt. fsoju) c9gnitioneyergo vn& nequit effe prius origitc alio;quod eft falsíquia patet eft prior erigineého, cá (imaltate.m. natarz.flat guioritas originis c1 Scoto 1.d,28.9.5« F. vic in 4-d.15. q15. con(ej.prab. quia alija poísunt habere ordipé in intclledig, rue et et «£A -spo nullum poffünt haberc. ordinem extraántellectum; quia.hzc (imaltas vcloti maxima vidctut omhem à parte rei ordinem i ioris ; Deindc :qrobatur vnütclatiuam debere definiri . per alterüznàá ita docet Ari(ti6. Top;ca. et Porplic.de fpecie ; et cértéinperío didjnisque süt relatinz,id nó videtur.po( fe negaticü ibi zelationes otiginis.tetminétur ad correlatiuums vt fic; nó ad abíolutaim,vt conceffum etl q:6; art;3 ad 3. :ez Ad s; negat DoGt.cit.4.d.13.q. 1. Sx6: ferjad-prób. inquit;quod efle 6i mulia in:telic&tu poteft: intelirgi dupliciter, vel:ty illa fimultas determinec actum intelligen "dit:   aper obie&a;vel qu   -Anecip icótasqua intelligantur; ve aliter (& recidit iridem) oma f -dicerc:modum obieGtorum, vc intellige. -türgfeuvt.comparastur ad a&tumrintelligendi, vcl modum ipforum fecandum fe, rimo modo;propofitio eft falfa, qua: süc Mnitis auxelleóta,-àcc. quia euatrtum. €üm]zoportear ca cormiclliginort propier hoc tollitur aliquid, juod conüenit'cis:fe. cundamt:; Dices; vt (ub pnt -nibns. intelliguntur, :hapem frmukatert oronimodam.iw intellecta,.cr&0 nallaitz otdinem Ref(p.. Doct. proprie rationes cor habent queridam ordinem ínter. fe:, &tamen ipfavthabéria ori labenc .&iam/funulcátem ;f,-per comparationem adattumimtelligendi ; (ic Deusvnico a&u fimel,& femel imelligic (abiectum, -& paflionem;cficGtum,& caufa a «lo prioricaterm maturz » qua intcr ipfa. Sresíatoc cx natura rei, cum imoellgat res, ificmi funt s ifaut fimiitas fe tenet €x parce actus ; ordo cx parte.cerum cognitarum y cc vaum-3 iraliadz 5 € 15:390 Ad x.conftat exdi&is, qüo ill auctoritates fimt explicanda ;ad rationé :ieductam ex relauionib.diuinis multa folentatffeite WA ecentiores4 nos dicimuosob xam rationem poffe probabiliter teneri, xjuod relatimum potcttdefinici per fuam 4otrelatimumy hoc. .. tenuit. D'oGt. qv rf. "Vaiucr£ ip olad penuk-& pin. Queft. Xi: Dé elliimis fex TrédicaiieAsfI.   719ad a. ptinc.i&c velut probabile defendunt. . infigacssScotiftz Mautit. q;cit V niuerf. Zen».q« Met. qag:$. Troprer tertium: ;: yerj-dictdii feciidoyBarg.1.d.30.$. Hoc. etiam: w generalius;lmmo Do&t. locicit. fólui ex profcTozationem fape: riusadductam:pro. partc oppofira dicens . hereirenenerims CA Het i 4i cem uid-ingreditur-dcfmitionem ; fit prius. ': notius definito ; fed tantum inabíolu :: adiacentia.alicnius exuin(eci: de(uapto, fed in huius affi enatione non conucniü ts, . Aliqui folenr ea confliructe in mera dc-. nominatione extrin(cca taut nihil reale dicant prater formas abí(olatas à quibus . tales: fümunturinationcs y. vade "Vbis. g nibil aliud eft, quam der natio illaextrinícca qua prouenit (ubflant:z.à fipcrüciecontinére Quando à . tempore inéiicantes habitusà vctle adiatisy& loco» nominis-im definitiobepofiti. centes Kc . viburtor-D; T h. 5. Phy lecte : licer.dcfiriitionem eias.ponctesquandaril.$.& $. Mer. lect.o. (cqnütur Heeru quol, lud'ponitut in definitione j:tauquarh pars J. 1 44-9: Lauell. piiNlct. q«23Scoto in definitionis intrinfeca, et nom tanquam .: cap..Mafibidei qp 1«Sonc, 5 ;Met.3.49» met&. xiinftcos vt efti pro« » et 41; J0nfcc. g:Mer.cap. 15 7: (e pofito;vnde ceffani oiajlláinconucuien; Nigerio ciypiq. 61; Alij concedugt quie ;. tiayqua' indc ánfcrebantur,quam folutio:.| dem has.focimas pcedicámentales. ceíulnem euylum: oo: Mauritiüs j.&  tarc in rcbus exaadiaccia alicuius exirinocsadbibero Thomíflz.Q uando autem: ; cei y non.tamen 4oJa$ dcaomingationes . ' DoGt.in t4diyoaivrclariuumoon dcoc» | exrrinfecas ponere, (cd ali3uid reale, in..: rc dcíiniti pev cosrelaziuryfed.per fus: ; cuidas cxpltcatianc poft ea. nó c óueniuat, damentug .cius:; debet intelifgi (inquit. nam: quidam volunt cflezmodos abíolu. ; Barguis): de'cfimitione!data per: ptius; :: tos;vz Mocifan.difpco. q.va.1o,deS. Th.  et nocius; et mon de definitione abíoluré;: q.19.arít. 1, Cóplucdi(g.16.4. 1.qui alios : ; quomodoautem beric poffit;exponi uexs :; citanr, A/Jíj.Ravwüteffe paros reí pes,  tusille s ;Met c.p g« de rütellechu s Sc in«.!: quos vocintiextoinfecus aduenientes, ve :: tcllizibili | «itantrnon dfficiar;yy ideame; cos fecernant àcólarionibus quarti pcrd:.. Doctorquoli3.X. ' .»5 i550] r5 1catmenti j quas;appellant;intrin(ecusads 78) AG onn o M» rf »o1 Uefücatcs; ita Scocus, X ScórilLe omnes:  M57 T iy sl P5563 11; ciufüpraq:8: Alij demam virumque «9«  ope »itimis. (ex Pradicámentis «si 7 iungantatforenres pezíeterre abfolutum.. 1 REM »;cumtefpeQtus vov; g Vbi dicere locum. | ciE in trá&ationédiorü przdicamcn : cud relpcébinad locatdm ; ataIauins in. torüjnofiquid res t pari more et fa. | [. q.Seneralibpro vlc: prardicami, qui con cillima explicacionis;vtquidaba ainfit ná:i5 tendi hancefle£ententiamompipiIntcr. | et hax füos rabent tribulós;&:(pinasmon c; pretami Arift Pro refolutiooe quzfici  minusquá zocdemiajfed quia. ; 292 «Primo flatuciidü cftbecylumaoqnaeaoibcosPhyl.gadioUDofasipreedi caméiafalciuomnia(oladc€üium;dea&tioncfiquide,&pa(z::nomipationc cxtrin(ecaf(alüarinecpel|fione)Vbi;& Quaandojagiturin 3.:&;:(esnccdebere;namvclhocitaintelligi Phy.quamobi€nosquoq;paucishoe!:;tur,vtfitvbumquodqucborumpuradejtiamcxpedíémus»cüdehis ex pro.» nominatio extrin(ecaà fora teali desü  : urmus it liboPhyagitur prius ja: pta» vel quod tic ipfa forma.tc2!is Vr. 6xe  «Gmünii de ipfis agemus in vno articulg;, c ttrinfecé aliquod deno mi i E de hie de (insulis fihgillatim inálieró,, | «nó primit: quiz denomi natis cxtriploca y Tiles X pop. Nie Lpuiinoninyt Gesnihill reale ponit im (bie cto dene: ARTI € XE N, s. T; ad o cramifiauon, apex bis posdicugenr tO: Quid forimaliter dicant rv Itimiá. fex... Kunvfotmat depominantcs sac irati : yon. fPreedicamenta, coco oves inuinfece fabie Qty qi ofhsiunc name..; eme er boc ; quod hzc: aliqua oléfunt (ofBicienues rermbimni mos, : pra dicam, confi (uot; io: aliquo. 3 Iii dang (qe filia 3a es : ; ? pdiut 4 queunt jio  Difp.VII.De Prelicim. Refpecliis. 5.7 qücunt conft tui in extrinfecisdenomi  fatio funt in diuer(is predicamentis, vt nitioribus. Neq; fecundum, quiaforma   patet de relatiuis fecundum dici denbminis, vt fc tenet cx parte (übic&i 5. manus, caput, pes; crgo &c. Ncc minus - quód intrin(cc? denominat 5 iam füppos- fatisfacitdicere cá. R'ecétioribus vtrüq; nitur e(fcin fuo prz dicamento,vt vifio ;'' imporrariin vecto;quiaocdo, quem for - quatenus atus oculi, eft in predicamen- m borcü przdicametorü dicüt ad aliud, to qualitatissneq;cx hoc, quod aliud cx-. cít de numcro relationum tran(cenden- trinfccé denominat v. g.patierem, inafio | taliá, et in cis c(lentialiter imbibitut, ac. repouitur diftin&o przdicamento, ergo   proinde ex cis fit vnü per fe, vade dicunt hzc pradicansenta non faluantur per fo-  modos horü praedicameotorü effe cífea- las dcnominationcs excinfecas, quomo-   tialirer relatiuos in hoc fen(u,nontamen docunq; explicentur, ) mere relatiuos, quiano (unt tota Secundo nequeunt faluari per modos « do ad alind, vt modi quarti prd m«té abfoluros ex adiacéria alicuius cX-   ti, fed pattimad fe, partim ada trinicciia tebus refultantes ; probatur; - quo diftinguitur relatio tran(cetidentalis quia quantum ad inttinfecam corum ra« . à predicamentali. Non fatisfacit hzc fo tonem dicunt ordiné ad aliquod cxtrin-   lutio ; tumquia ee 3 2.iam probatum fecum, quo ablato dettruantur, nam ab- | eft cx abfoluto reípe&u conceptum lato effc&u, vcl paffo, tollitur a&io;abla   per fe vngmpod eotlelecce »ietiamli re- toloco;& vefte;tollitur Vbij& habitus, ; fpe&us fit tranfcendens ; tum quia falsü crgo nó (ant formae mer abíolutze.2Mtc efthec(exvltimapredicamentarelatio- | ; valct;quod aiuntaliqui, ifta przdicamen | nestranfcendentalesimportare, quia per. ;: ta dependere ab aliquo extrinfeco, non... fe conftituant pratdicamenta diuerfanon . vtà termino, (cd vt à principio, vclfor- :: minas,quá relationes quarti prz dicamerr ma,à qua fumitur denominatto. Ná con- ti, et non minusaccidunt rebus flat «&ionem v.g.refpicerc effe&G, vcl illa ; ita.n.accidit Petro effc filiu pa(sá;& ad illá intrinfece ordinari, non. »fimilem, &c. ac e(íc agentem ; nifi tàquam ad rcrmiüà, ficut ordioatur: tem, locatum, &c. paternicasad filium, nà actio alicuius eft 194 Atinquiüt in relatione tráfcéde- aftio, et inaliud tendere debet, vt fit. tali cofiderari debere id, quod proxime, adtio& ctfe&usapud Philofophos pro- | et immediate denominatur ad aliud, non prié dicitür cerminus aCtion:s, vnidépa  verb ceimoté quia comparatione fubies dct nos rem tám cxploratá probare ; efto. &i remoti ctiam tranícedentalis relatio illos non pudeat id negare ; Videaturdi| dicetur accidere fübiecto, fic fcientia difpat.r1.Phyf.q.3.art 2. quoloci probacitur cffentialiter referri ad fcibile rela-. ius Vbi nonctie tormamabíolutam, nà . tione tranícedenrali, intelle&us vcrà acille ratioacs procedunt de ceteris iflis | cidentaliter tantüm., quatenus fibi acci. fex pridicamentis, et hoc totum docuit dit ipfamet (cienitia |, uz cft . Boct;dé Tiin.dum inquit fepté efe pra imtediaté relata per relationem trandicamenia relatiga,& ja abfoluta. ; fcendentalem ; (icin propofito, quamuis, 195: Tertio nó bené cóftituüturexab. :cffe adcntem, patientem;locatum &c.ac-.. foluto:, et refpe&u (imul, nam ha:c duo: cidanc (ubiccto remoto .(. Petro; noa tanon faciunt concepti per fe vná, qualis:mcn fubiccto immediate relato y c(Ic dcbet conceptus cuiu(cunq; ptdifotma y (cu modus ipfe a&ionis, patTiocamenti, Nec iuuat rcfpondere cum quinis ; Vbi. &c. hasci tialiter dcmobuídam Thomiftis, abíolutum importa» .«minantur ad aliud, et funt etientialit r ri inte&o refípectumin obliquo ; me modi rclitiai Hzc tameit (o id non impoedic vnitatem conceptus .:. o libilis on e(t,nam4al(um c(t a&tionem, pàtli onem iuuat, quía abfolurum, et refpe&inum . . Vbi, &c. aliquo medo referri, tc .n. veficconmunca non poffunt vnum aliquod .. ra nonfünt tclata,(cd rationes referendi, x pradicameacur coafutuere ; [cd nece[s.  actio v-gicft (ccandum quam in i Quafl.XIT. De vvliimis fex Preditamenti:   72x fubijcitur, agcre dicimur, Vbinon refer  malitas con titui in refpe&ta extrinfccus: tuf ád corpus ambiens ; aut fpatium, fed  adueniente, quatenus ad inülarcius c£immediate refert rern locatam, et (icde  formatur ab intelle&u . alijs,ergo omnesifla forma relatiug st    In oppot.obijc. 1. quód fint mere deita accidentales (übic&tis fuis etiam pro nominationes extrinfecz ex rcbusaliorá ximis vt forme relatiue quarti przdi przedicam. defumptz, nam xa tignificacamentijatq; idco horfunttranfcendene | uit Autor fex princ.c. 1. infine ; didintalcs, fed przdicamentales, ficuc ille . pe n. ibi; quz extrinfecas cótinguntyab 195. Quartó igitut dicendá reftat fex   his, qua intrin(ecus (c habent, et illa di-. vltima predicaméta efle purosrefpe&tus, | ftribuit in (ex principia. Refp. Au&toté: et ratio cit, quia in omnibusiftisaliquid | fex princ. ideo hzc vltima fex pradicam. repcritur pertinens ad alia przdicamen appellatfe formas extrinfccas, quia func ta, néc ab illis inueniuntur diftin&a, nifi . relationes extcinfecus aducniétcsy vt ait per fuperadditamrelationemsergo refpe Do&t. quol.r t. R. nio autem quía impoz | &us erit formalistó conftitutiua corum, tent (olas denominstioncs extrinfecas . » cü fit difin&iua; prob. affumsptü difcur Vcl dicatur, resab his pre dicamétis pofrendo per fingula,.nam actio, et paffio fc denominari tti intrinfece, cum extrins dicunt candem formam fluentem, qua. fcc, intrinfccé quidem à modisip(isin: eft.inaliogenere,& diftinguunturab ca,   hzerétibus, exttinfecé vero ab aliquo ex& à feinuicé per fuperadditosrefpe&tus,trinfecoadiacente,cxcuiasadiacentiavt Arift,declarat3.Fhyf.2 9. Vbi dicit (a| talismodus refoltat in (übiecto, et quia perficiem, quz pertinet ad quantitatem; . : illüd cxctinfectim adiaceas notius cft, d: et diftinguitur ab: a: perxeípe&um fa; modus rezlis intrinfec?. (abiecto iühzpcradditum contitehtie; Situs dicic pat. | rens, hinc fizpeexplicari folent hac prztc$quátitaris;; fed:vario modo ordinatas | dicam. per denominationes cxtritíecas .. adlocum. Quando dicittempus,vtmen«  296 Secundo obijc. Complut. quod furam rei cemporanez, et deni. Habi-. nó dicant cefpe&tü, quia propria ró rclatus dicitremalterius przdicam. vtab ationis elt effe ad,fcu rcferrz vnd ad alind, lio-habitam; Quia vero huiuímodi refpeid áüt non conuenit lis prz dicam. vt có&us non infargunt ex naura extremos  ftat difcurtendo per fingala;nam quatuor. rum, fcd vltrà illa petunzaliquod extrins: sv ienujpralthcitus éx ptopría tóne dicuuc : fccum pro-eotum rcfültantia f. eorü ap» effet (quidem Vbi facit rem c(fein loproximationem modo iam explicato q. co, Cyiando in téth[iorc ; Situs difponic 8. idco Doct.3.d.1.q.1.& 4d. 15.9. 1.& . paires jntotco, et Habitus refultat cx co, uo; 1 1.art. 4. et alibi cos appellat refpcq veftistitincerpore. De a&ioneitem us exttinfecus aduenientes cum GilX pal(fione idem patet, tam quia ex probetc.lib.fex princip.c.r.in finej& perhoc | pria ratione non dicunt ad, (ed a&tio didiftinguüntut à relationibus quartiprecit effe ab agentc, pa(fio veró inpaffo dicaméti, quz omncs (unt intrinfecusad| tam etià quia fi effent verz relationes, ucníentes; et hanc fententiam praeter Sco: ncceflarió efeht niutuz; quod ramcn cfc tiflas ibi cit.fequuntor Louanienf-hie Ve ncqu:t ; qüia a&tio, et pallio nón (unt fia net. $.Met.c.56. et alij. Obferuanduin ifi mellaiuta, illie ett a&us a&ittijhec ve:eft,non ita debere cóftitui in re(pe&ibus | ro pattiui, ex 3. P hyf. 29:actiuum aüreft | extrinfecus aduenientibus hzc przdica caufa pa(liui;& piiusillo,vt de fe cótat. menta,quaíi fingula przícferant refpe   Refp. neg. min, ad prob, dicimus Vbi: : us reales y vt patfim videntur docere. ;faaereremin loco aliud non:efla ; quàm ' quia vt mox conítabit predica facererem ordinari ad locum, et idé paci ] ' non: potcit dicere te(';ritcríuo modo dicendumde Qoando;Sie pc »cumfacmaliter j& com«tu et Habitus nám eriam inhetcbca faplcté non cófurgat inrcbus, ni per opus | cit-accidensctfe in '(übiecto .Vnio facit.» intelle&us, poteft tamen ctiam cixs forformam clie in materia 5 et tamen adhuc. 722: Difp. VIL. Dé Pradicam: RefpeBidis. s. o. iinpottant quid relatiuum ; ex: hoc «ergo; necab illis.exbauriri totàm multitudiné .: jnfcrre non licet buiufmnodi prie dicamcue haiufmodi celationam...Atcontrahanc  ta non e(Te relatiua, (ed (olumio fuo gex ; folarionein direété procedit;inftantia. nere haberc peculiarem modum denoati«  Suar,& quamuis veraa (it re( potum aa : nandi, qui tamen adhuc relatiuus exits» vnienisy& alios quóflampetwaria: prz» :: ditcrfe .n. rclationesdiperfo modo fuos. pom a anri E rc pet accireípiciunt terminos pro carum diuerfita; dens,adluctamé: affigngri debetaliquod. te y. femper tamen selatiuomodo ». vnde . deter mínarum cx illis;nouem; 1n quo per. Vbi facere. cem in loco, ando in tem| fe, et quidditatiué reponatur, vc git Dopore, &c. alind non elt quàm refpicere | &or 4.d.12.q1$. Jd queflionem ; vbi, ipfum terminum, refpicete tamé tali, vol. : ctiam itmuit y: ;& clarius quo]. 1 v. art; 4. « tali modo .. Sic etiam dicendum ad illud . rcípe&us ómnes dexisinienis aduenien. . : dca&ione,& paffionc, et dum atio di. tcsin illisfcx/ptaducamicoacineri Qua ..: citur e(c ab, hoc non cft intelligendum i re.ibid;im 4: ait quod focteactirctad sc-. ; dc ipfa aGionc pro formali, vthoc przdi, nus paflionis, vt ic pa flo dicat non ran» ; catmentum conftituit fed pro materiali, / tamrefpe&tum paffi dd agens,fed ad for-. . . et pro re a&ta,(cu forma flaente,vt dici| mam; vclfori& ad genus a&tioais, wt fic . mus;n Phy. gratisetiam concedimus a. a&io dicat mon tàntumre(pe&tam 29en-. &ionem,& paffionem, fi pro formali cà« .tisad patiens; fed foma&.informantis ad; : fidezentur,cfle mutuas relationes, effc .; illud quod iaforahs; et quiz Door du. :: fimul naturayac é actiusm, et paffiuum,. ;bitatiueloquitac ideo Mair, 1. d. 1p. q. : v ná (ub denominatione relatiua ynü nO eft. : 1. art. 3. air pertincce ad przzdicam, Vbi :; canía alterias, nec prins alio;fed tant jp... proptet;itirigiam: prarfentialitater y Sed  mareriali,vt dici folct de patre;& filio... : ilius inquit Ba(Tol4.d.1 4q;t.at; : 197 Tertio arguit Suar, probans non |, 1 pertineread przdicam. habitus; quod ;: cffe rclationcsextrinfedus adnenientes, nos quoq. cociuumus 1: p» Inft, y amplis 1 nam vcl omnes relationcs extrinfecus ad us declarabimus arc. (eq. Ad arg; igicur: ! ucnientcs,que funr diltin&a ronis habét conceditur primüm membrum s et neg: vim conflituéndi diftin&um przdicamé :. faltitas ; €onftitutà (untautca plura ge :! tum vcl non,primum conflat c(fe falsii ; |! cra, et przdica, ex relacionibus extrin«.: nam.vnio fecundum Scotum eft relatio | /fccus aduénienribus ; quam cx alij$ j non. : cxtrinfccus aducnicns, et ramen gon per. ex matura rci, namaqué benà tve tinet adaliquod cx: fex prz dicamenus, | rum ex illis; ticut.ex iftis c i, fed: nec conftituit nouum. ptzdicamentüm,. ;totüm id factum €ft ad: commodiorem ícd pertinet ad przdicamentum formz |, |.dectrínam ; nam rgaiot cernitur diuerfis. quam yniofi vero dicatuc (ccundü. tunc tas ín modo denoasinand: mter relatioe.; cbet aíTignari regula difcernendi in quierae conem ws credet bus relationibus fit fufliciés ratio ad «on... j5;licur etiamdicet acci fubftana  ftiniendum diflin&um przdicamentum, ..:tia fint duo: membralens in commuaidi.: '; et in inue nop; vcl ficut.ex relationibus. uidentia quia vamcnanaior qu&dam dis :: inrinkecus;aducpientibus confitai rur y». necfitas.cérnicur indcr: accideritiaex di! ; num dunitaxat pra:dicamctumb ità ex exe; nerfs eorumimtticribus,idco noueáf ge« ::: tri(ccus aducnientibus debebit confii, .. nccaaccidécium conftiteca fdnb vmm! 5 tui altecum; Nec. n.videtur rà, curtor de |. fübitatcies Alia quaeidanmcoritra hioc fie «5 beant conítitui przdicamenta barumree   ri (olcntatgumtrita;) qua potiustangant ii lationum, et non illarumyprzfertim cum. | |predicamentaquadani iim (peciesjsideouio   non minor copia fit relationum intrinfe| comobogiusinirii adduoentar ;: Demum c cus, quam extin(ecus aduenientium, ;.| ;arguit pec Hore cr, aem n e VR Refp.Faber $.Met.difp.2 3. c. 3» ad 7, «fex predicamiéta non (unt re(pe&tus, quia,» concedit relationem vnionis non perti: .hodichic;ftare, federe &cateta non die : | peic ad aliquod iflorum fcx pradicam, . cunt habzzudincin d qum uü pt us, Tad PN an rM» bertóyqp (it Anas sir qd in i Quefl-XIIDeódftliont eg) Pagi. ex II. 1713 edad d aieeh And ia Log. deaiciie vt hoeeonhiuit pradicamé:toimn;né eft d'rpatec ex Anftih Log. et $( Met. $0: Negatüttuat; ámó ifla nequeunt explicari ine habitudincad -aliud,vt mox patebivesplicàdo sationc$ Jfinguloràm ; non vocatauteim A cift; icc fed traoftintátida fübie&i,itavt pro tecfnino refjicíat nó aliquet cffe&tum per /apfam fa&atti,téd aliquod fübiedtum per 7 apfam trá(matatum; quate dum'iga!sca, ad aliquid j quia perad aliquid urkogolefacit aqgatn, aGtio baius pratircamenti ! máfticd "ételligannirfalum -telasioties " fio tel ht jito termino caloté, fed aqua 4 cceli ram ht Fotmalifteho fiti trac:formalit.áte. 1 norant [olupy bitudines quarti pfedicamenti propcidre lationes appellari jcztetosautem diei dü -tàxat refpactus,quarnuiis re :vdra idt folàm difcrimen.in riomineyquia dilatio; -tefpe&us idem fum indigore: P zist sot anuo SH amneiton 1505.01 ds XA bTA CIA S USO be finduiis feu gradicamenii a et riast 2p | Crisy equíaricconfticuir pet. : n AUPÉ reperies om i dytuod fubititirsageve dicimeur-ivtexplicuimus t . p. Ift. trat. t. éap.7. cum Scoto idi q-t-cft refpe&us ipfias agentis ad paffti, quo agens dicirur formaliter ageris y circa quam definitionem noi immoramur, quia ibidé füffi crentec 6t ex plicata; Hic aücinaefli gátídum manet; quenam ctio tics ad lioc préidicamentum (pe&tent.  Ptimo'quericut an aCtió,quz hoc prz "dicamentam cótftivait: debeat effe pro:daétiua fai cerrbini ( €o modós qdo diei idpiatm pót relatione produci, vt rirmiTut ptificipio formali dénerhiitra ridi pró«docens y. ort adcedi vc tore formali prodücendi,cDocto Á icacin 4 lo€.cit. füb P. et Tatat-qiltpridicad. dub: 22 di. réf picere c pro sermino; et c thui s (entem id afficit talem effe debetéjimio apud"T Homiftas &(d ftacertum vt 1d potius füpyonant, quá probcat,fequá"ur Recentiores o6s ücinine dictepante, ea toe Min Qual. q:6.ad a difti q-47 Mi& qol. 2: Dd üieer podecit hoc purdicdit. Cetceruid   in cói modo 1o 3mendi . folcac aCtió fitáni pro' illa quz cít produ iiio teraiitii&Cageté pro actu cfficicndi pet eatorerti teanfmatatam;ita Do6tor«., v'jo€.cit; $. Md buitts autém difficultatis, fivbrdifereà hosdiftiüguit refpe&us, et ""félatiónem caufz prodacétis ad effe&tü 'ptédüGgm reijcit ad quartum predica"rhetínim;velut intcinfecasaduenienterb, t péfpe&tam autem cau: tráfmutaritis ad 'fübie&tim tran(motatum in hoc prdi: eartientó tepottit, vt iatritifecus adacnié"em (equuntür Scotifte omnes Zerb. y. "Mef.q. 10.8. Propter primum Tatatloc. "eie Ant. And.lib.fex prinq.6. et alij pat"im; Probatat auterhitum ex cius defini-&órie À Gillser.allata, fiam id,quod fubljetéat actioni aperitis,non efteffe&tus "ipfi ptódu&os propriéloqaendo, (ed materia; circaquam agit; cumet exéplis /ab ipfo Arift. "yore d i6 hoc eap. de eafefacere, R fribefacere jcálefieti, et frigefieri dele Qtaifi s &criftaris ignis. ndicitar éalefacete aquárm s tori catozern, et aqua -€alefleri; nón Calor, volimtás dicit af"ftari; delectári, et «tumi qdia fabieata di-eitut paffüinj8ó effettus, icáve palTio eft in (abiccto,nón ic effe&ierso agens,tt ""fefpicit pafluri, nó dicit habiadine prá-du&iui, fed potiés tranfrouraritis;tuim de "pim quid vt arBait Do&or cit. in44 G. foteutia a&iuá eft: priricipiunrtránfmittandi alid; inquantum aliud s. Met. 16. "tgo a&tio eft tranfmucatio alréruis j in Quantum eft alterum 5 fed refpe&us prtt'düctionismon éft 1e tranfmutatiol, Ee rion tcfpicit aliad gimquaneue a fed potius facit aliud; 'Neque Do&totlócisimóppefirur cit.volait oppofitamdf feréte ; (ed i&tionent de gencre a&tionis &ocát productiuarh raxta cóérm modáüin loquendi; et iri 4d: 15. vbi de fioc agit ex 'profelfo, faatsi profert fentesitiamyvel P -AQtiesen proprie di&tdin, et de genere :actionisintelligit sam, quz non rantein dicitàt adtroy quo fenfu '! graminátiealícer operaal dc Len "n Adam d n "operatie vitalis (pe&tins ad przdicamentum qualitatis dici folet a&io, quz expli catio colligitut ex ipfo conteXtu«. . '..199Sccundodubitatur,an fola actio | tranfiens fpe&et ad hoc praedica. vt vult -. Soncin.9. Mct.qu. 2 1. Ma BERE: ; alij an potius ét a&io immanens «Et di; €cndum e(l,qy licet accipiendo actionem Ammanérem pro operatione vitali, vt (uaiit Arift; 9.Mer. 16. non fpe&tet ad hoc "pradrcament, qnia in hoc (en(u non eft .. vera a&tio, fcd z:quiuocé (olum,& gramraticaliter, quatenus (ignificatur p verbuaadigumyvt int-lligece, velle; &c.va»xle Mopot Ípcétat ad genus qualitatis, vc . norat Do&tor.quol.13.DD. tamen accipi 10n2m immanentem pro ca,, que eft ad zerminum io ag£-, Xe fcu qua idé (cipsii immutat, vt actio, .quaaqua calida fe rcducit ad priilinà fci-:Sidiratem (ic [pe&at ad hoc pr . ttm;nop quidem ca ronc;qua cít produ-, &iuatermuni,(ed quazenus tran(inutatiMa ('abie&ti, quod ngu cft apagene di-, uerfumgquia,vz dicjü cft,lola atio trà(giutatiua ad. hoc pra dicam. attinet,.& idem dicendum et dc a&ione trasfeun&e» vt eltípccicshuius przdicim: . .. » Dices, potentiaacuua eft principium zan(outandialiad, inquan:um aliud s. Mt. 7. crgo [olaactio tranfiens eff fpe VU MERI ID ORA exalia paz3a icuoens funi moopers-Xiorc vitali videtur adRoc pedtare prz-Aicamótum;quia Arilt, hic enumerat deAuri et trillaciy qua (unz opcrationcs zvitales. Re(pad.1.cx DoQt.a-d.25.9.vn. d 2prine vera Arjft.ibi pontum die mire potenugdm factiuam; er aliqui conanlem à actiuam, affert Ps exem-,Plünm.deniedico feipfum medente, vcrü eit obícruandum non dicere ab(oluté. potentiam actiuá effe principium tranfatzationis.in alteros(ed.(ubdit;vel prout aL. Zerupz.esi, medicus:n. fanat (eipum;qui Kamen non cft aliud A cipfoy[ed: inquanmcdicus cft (anans; cft aliud à feipKoiingnantuniíanatur,fanatur.sinquam.  1 Aum infirmus y nc La a uni medicus; Ron érgo pei hocex Med landa,Bemtranícuntem.. Adall 4 724.  Difp.VTiT. De Predicam. vejpt. hoc "idip cdicamé.Omni .ueniung omniayqng dc actione hluus pr Arift, a&iones vitales in lioc predica: ob aliquam firciliradiaci po habeat «um; actionibus huius.przdicam.quatenus.f.eorum effe in fieri confiftit,& cam €ontinua dependentia ab agente. vt dcclarat Do&or cit-1.d.3.q.6.ad 1. prin.& .13:Dd.non autem quia veré fint ationes kaius predicamenti, Velideà eas hic enumerauit, quiain a&ibus vitalibus femper interuenit actio etiam. de genere a&ionis, cum obie&um immutet porentià;& por&iia dicatür intétionaliter pati. | 400 Tertio dobitatur., an íolaa£tio occu pedes a ic predicament 6. . Affirmat Sonc.loc.cit.quia Arif. 3. Phyf. 19.docet actionem effe motum, ui vtiq fuceeffiuuseft 5 acproipde cscludit a redicam.o£s actiones in(tantancas; DL Ye: doccre Do&tor loc. mi0:5; 8 q.9.0. et qaol. 17. Omninó tameg dicendum cfléj actiogé inftantaneam debere fub loc pfidicam. recladi;tà nia actiomi in(tantaneg cogdicam. folet enunciari;.tuqy quía malie pradicam. «onuenientius: collocari ncquit xli .n. dicasad pax di THREE ni pexancrey hgc idem.dc a&ione fhecetfiua diei pores Ncc Anifioppo(irü do«uir. quia ron(unii mqen. preise Eisen cse eer sum eft motuts eífe efiegiali cs i$uumynam et in ioftátr musin Phi Bcc papam locit Scotus,nam 4.d.43.q,$. 6 et H. ait animat;oncm ficri 1n 4p(kangi;&: tamen coa edis iid ivspad Sto naria dicam. et quod'ampli edit pof fe interdum actionem, e zi line quocanque mot et muazionc, vt -R fübiedhu LORI KR Ho praecedit tempore fub:ejus priuatione y. Aft autem 3. Phyl.i emper cfe coniunctascum mourn, quia fic regularis Mim o ol.cit.aCtipneuty 1 immutatn inftanpredicam.i intellectus fi qua »on mece(Tario debeat effe fucceffiua, et in 'Q.9.ait actionem fucceffiuam magis proprié dici adtioné quàm inGantanca, quia in (ucceffiua acquifitione formz in fübic€&o, vt caloris in aqua per totam boram, in toto illo tempore non dicitur aqua calefacta, (ed tantum calefieri propter con-tinuam fucce(fionem formg in abiecto, fed in acqui(itione inftantanea, vt luminis in aerc quamuis propter continuam dependentiam formz ab agente dici pof fit acr illuminari poteft tamen etiam illuminatus dici, cum fit a&io tota fimul, ob quam dcnominationé videtur à róne -a&ionis, et paffionis dcficece;qua folent res denominarc in ficri, non in fa&o e(Te. 201. Quarto dubitatur, an (ola actio  accidetalis ad hoc pertineat predicam.nü ét fubftantialis;& quamuis Suar.diíp.48. Íc&t.6.n. $-opinctur (olas accidétales hoc rzdicam. conftituere, dicendum tamcn "eft, ciam inipío fubitantiales contineri: . 1um quia formaliter, ac entiratiu£. ita cft accidens actio terminata ad quáutatem, et qualitatem, ficut terminata ad fübfta tiam, vt apud omnes eft in conic(s5, vndé generatio fubftantialis folum calis diitur extrin(cce denominatione à termino fumpta, qui cft fubftantia : tum qnia iantam connexionem habet aco. accidenialis cü (uo terminos(icur fubztá cialis cum (ao, ergo vel omnes reduci debent ad predicamcntum fui termini,vcl omnes adiftud ; tum quia aliz relationes funda12 in fubftantia; et ad fubflantiam termi"mate adhuc (pcctant ad geom relationis,non fubftatiz,vt docet ipie Suarez difp.47.cQ.7.n.4. crgo idem dicendü de a&ionc; et hic eft cómunis ogni fenfus   li £ontra Suatez. Ncc obftat quod ipft ait, fübítantiam,& accidens analogicé condenirc,non vniuocé;atque itaidem dicen -dum cíle dc actionibus ad ipfa termina tis. INam fal(um eft atfumpt yt di nius.in Mcr, quo etiam neg.confeq. quia opus mon.elt tantam etlc s d inrcr E as, quira e(t inter terminos, vt parer in actionibus terminatis ad prz dicamenta . à; Cum autem dicimus actionem (ub(tiValem ; et àccidenralem ee fpecics hutà, vnde non eft (ol illa Qucfl-XI. DeeAfone, e) PafrontieA4t;W.   725 ius przdicam. non vtique loqui nuc d actionibug produckiuis, qua . .teriminantur ad (ubltantiam; velaccidens per. ip(a proda&um;quia in iic fen(a fpe&tant ad quartum predicameiftum : fed pet a&ioné (ubftárialem,eà intelligimus, qua agé fübie&um  tráfmutat per tadüctioné forma (ubttancialis, et per accidentalem,qua tran(mutac. fubie&tum per inda&ionem formz accideatalis, ita .n; funt (pecies a&ionis trálinuzatiuz, quz proprie eft gc nus huius piedicaaeac, Vbi tamen obÍerua non ita (pecic fecerai füb hoc gcnere actionem facceífiuam, et iaitancanea loqueado ràm de pcodudtiua quà dc tct maatiua z cà quia actio illamiaindi m2dii fieri pot in inltaaci et ét in cempore, per faccetliuam nenpé approx'ationc corporis lum;nofi : tum ctià quia t£pus, et in Ris no funt nifi mé(arz hará actionü, nO autcm intrin(ecz earcü diffzréciz. . 292. Palio, licéc multiplicem hibeac accepiionem, yt pafsitn Au&torcs notát, tamen formaliter fumptasyt lioc cóttiuic przdicamentam, accipitur pro rcfpectu oppofito a&ioni, qui (ubicctiue celidec in patfo; (icut actio € conica in aneate;vidé defiaitar à Scoto 4. d. 13. cit quod fic refpe&u pafli ad agens, fea tran(inucati ad cranfaxurans : à Gilbert.veró, quod fit . effetiusyillatioque aELionis, p quidéin1clligi non debet dc (ola illatione confecutionis, vt notauinius 1. p. Inft. ficenim non(antam actio gaffionem, fcd et paífio a&ion? infert; cü fint relationes mue tuzyfcd dc illatione caufationis, quo (cnfa caufa dicitar infetrc cffc &tü, non é cótrà : quod ncc etiam in roto rigoreintclligendum eft, quia paílio non elt propric e&us actionis, cum actio huius przdicam: non fit produ&tiua,vt dictum cft, fcd. intelixgendum cft pzt quandam analogia,quatenus nimiram concipitur qua» . dammodo cófequi ad actionemsquia n. agens agit y dicitür pa(sü pati, non € con, tio confccutiónis, (cd x. quodimodo eaufationis. Quia verà. paísio, praidicamentalis adaequatur cum actione pradicamentalt ei; oppoDitOr icntec omncs illas dutifioncs babebit, genera, ac [pccies; as ha; : : et 716 1 "iff VIT. PENA ber a&do,cum tot 'módis vntr dicatur op» pefitoiü;quot rcli quét, vndéxeriatéproportione predicaniéui hocád irittar pred. a&ioniscoordinarfipoterit ; á&dcbebit: 203 Scd hic quani folet; cut paflio di flincts cóttituat predicamentü ab aco ne;quia relatitra mutua ad idé folent fpeGare przdicamétam; Nec valet; quod dit Tatar. hoc lolum verificari in relar:uis incrinfecus aduenientibus: Qaia id ctiam cernitur in exrrinfetosadueniétibus; Vbi .n.d&tiunm,& paffiuó,Q rando a&imuam, et p: fficüm,&c, vni dumtaxat cóftituüt predicamenti: Accedit, quod bené'co tari pot ró effentialis cóis a&tomi,& E fioni, ficut cogitatur cóis Vbi a&iuo,& paffibo. Sed'ad hiec omnia con(tat exdi&is difp.6.q.1. vbi docuimus diftributio riem illà praedicam, plane naturalemnon  efíe;ac neccffariam, fed artificiose inuéxam pro comtmodiori captuad éuitamdá ' rerum confutioné;Et ytiq. concedendum p: ofle excogitáti aieo, et 10ni commuhfemj;(ub qua conrineanAr vclut (üb genere commurti ; vt dici: mus de Vbi actino,& paffino; Quare aü £é potias ex actione) et patfione dao cà: ftituta fint predicámenta, quam ex alijs S Vbia&tibo, et palfiuo, &c. ratio tía alidc juatuor shdtua Vi uela Dea veram, -& pt " tionem actionis, &c patlionis dus uis ; Vobis n 'tc actión din onis; de eánim diftinEr eee Mute à motu; idm Ho mh mmotámtr; de "dilp.7:3.3. bujus sida Stet vecp et d HUE rash pnt. Bev valde fuse ie pies démat actionis, et paffionis ; cuis dó£trina dongiotiindi et exatoitie frenimvnqa 'Attmira Scoti exorbitatyid'eftin prese. ti md ppe doxccAEEE difp. E. Met q i'rutfus de bac re ferDI eni 4, opimonem Aüreoli Dip. is gen |: pai Ont,  af Pbi; Rar; Ln "s 013v 4 4 quoq. de histta&tio per E m EE une GRO ESS: quare MER. "uà bicuiter tepgemas ' ; i refetucirs de' fo ajitaI TU Mina i ] itdtaryán   Ocum ex» abe AN aPetipatcticis ponitac co ab dijera corpus ab cxtrinfee sab alijsteró fpatium ; vel vacuitas quadaiáb ipfoicór pore occupata;.& re pleta, fitadmitténdum Vbi. vr accidens additnmjquo resfórmalirer dicatur RE /& ad lioc.pradicauiea tum tim ncgarít affcfcntes Vbi; won effe;oifi "denomimiatioueni extrinfecam.a loco,;n quo res e(fedicicurs iue efe-ipfumlocü tealémextrinfecé-di em, quod etiam tuetur Mafius h:c qu; c Coninch. d f erDuriha :75»arti4 dub. r-& quidá quiatunt eifé fimplicem indittantubloti elc que non stini Py diftantie.  e (fententia tominnnd "Thomíftis; quam Jolie o ieiuna difp.a1. q. j att. 1:éüm o&ore quolz1 1:& 1: d. ! 2:5. et 4d. t0.q. 1:862: &calibis Vic fündamentorii quo ceri cantur affer» turà Doct. quol. r1:aít: 3.nám poteft effe Pettus interumüiatutà, et etiamrhaec fupe fité Min,& quod Petrus ponit hic; fet nifto locó,ergo Peccüm eife ere hoe Vbreft aliquid ] délümpta cx fi olent c Commiiniter conira: tobatt entit qás Neoterictap  bd pou vies Saito lperaddita 'vbrcacioneat Rad : b: ie unc Mri fis'ab: hoc nud Focrówim [rperaddiimmon poteit Teeffe frtnplex itezanió ; nóua'an. neàció tot dütdr ye ablitióbens alicius poft hi) percedentis, dimmaute Pe "rris dc fiot cft hot loco, ji ari fit tian iniit &r A7 ab MESS Nec (fici dicee vba caticaerm Pt hie effa "nou sr! deren natia xtrini écat sb lhi»clocé ; vom quia dari rioua écnomihatio efpettidsNomindlesid:pafs : Vilioweetebarfoc, t am Qu TUSDebr erii boo Ui veslis fine mararioncpuces wtdo-. Leer ddin r6 Qi 2s fim. res Sedem: i m e gremanci»etc e quoq.mianeb üt, denominationesab: ip(is defumpra tum; c. denóminatig prouenit à lo-. coia Petrum vitturealicuius.de nouo. (us psraddiu y vcbnen, fipritpum y Iberat; ipuentstmf fecundamjergo quamdiu Pe tr9s& ifle Iocusexiftanr in xerum matt; rey emper Petrascodermmodo denonin fabiwSi dicas nen manere femper eaa-t dem denomipationéa ondtenisppen f liaberur: debita applicdtto:Petti huig: lec coud (ufeipiendam iliam: denámiDatio neq. Gontte cft, quia de hacappligatig rieinquitimus, nific quid aTPerreditinn umso Ssaner s quid di&tinéiums) inauio sgquim Frgeeae, eyed désquodipctuiéit en aon N des tenditus cNEC tandi bic LE tigtatjoyvcl. zt quid£ape ud uu r Petcuserit hiei: iic-bene aductit Atiagdifp. E . Phyf. rebiepime hác rünem pro; fcquitur. amr Recentiores Nomina; Ics nanaift sultiplieatis j& a(tu: Q-vari nie icone erc argamene: tàm, dicunt .n. corpus: hoc diftare abillo: tone (Le aliquod imtrinfecum! y. fed cfle. v qued pofiit intet ytrum;. tanta. quanti  4 Line (unt..merie: voci &c. (emper inquitimus,an fit quid, fo (iiperazddicam pofitiaumy velod iau, et emper vrget eadem difficul te sync XX thecuis conen« tur ifti negárewbicationes; Kati oues au: tcrn-s quibus ifki moucmur,dilimus in iariocre ui quibu(iam obice &oni:  uem ek profelfo:nupetrie wii deLvogodilp.g«deiSa«c3 labi fc b e aou ergo exapplicatio Mi tare joo ybi nd Persio dn pafuumiambe vp Cain. vt di jum efbin At ebijcics ex pimasaliquem effe Em [o vue non erat Boni per eipicrida in eo aliqier: rcalem vigdum y qui à emn TRUM ergo. ie TOM. Ar ;d.39. MM arsqineg»afTumpinm, ait .n. vitu pefe id M EPOR ;à dextris T on i is hie a npnibi zqyod poftca f fase, probat Arpiad dili pep ic 63s, AdijcaamEnnn concedi ediate . een: rir feào Slvnateuhtdt digno(ej $ £95 dexpccimur S et (c enti mus diucsfam: piieinnsS es i'ochti, et pu Dill adbvidendums depren iedtum iden dm jgimus c obie&tii efz edd n | iUo e fpem n mén Coain. quamplura obij-, citibih a ce dillolies prec phy prater ig quad Lee n ph d Rast, Y. penes hd ne f M i quini T7 ox bs i Uu odu 1 prius, S per (e terc Su is auédidebet. Vbi pa(Tiuiisque Cont om 16.q. LP tome fuper&ciem fundanrar. ind eie OR d ffe efz GITE ime, LE antradita à Gilb.qui i efiécircu E sa acti ER UN priónco cotpotis   zs Bc proucniéntem falaaunerm fupe anibérsiro c(t locns. vL COD 4; Phyf.-& ficeriáloquuotur Scppit ui DoSi.quolar»kx aducifa 'eot Ot5; qui s. ptaiuit Suatcz d ici i fecirzinquisnt mo Vecr le no dete ab yllo cerpore éxirin ife ntsd tejfed à certay8S determinato aio cuj t3a10 V bi rcf dicisg nti ;praíenS «€tixablatoquaennge corporc aiisei 718. Difp.VIII. DePradicam. ve[petliuis, Vt c6 ftat de vltima (phzea, quz vere, et propric liabet Vbi, nec camen circüfcribitur abalio corpore,'& demotu facto in vacuo, (i daretur, pet quem vtiq; ac« quiretetur Vbi fine vllo otdine ad corpus ambicns, addát tamen, qy quia miodó ynotus fit in pleno,1deó hoc idé Vbi per accidens etiam refpicere fuperficiemam bicztem. Caterüm vterq; dicendi modus foos habet tribulós  et fpinas, primus .n. difficulter affignat terminü rcalé, et pofitiuü motus in vacuo ; nà quod inquiunt quamplares Thomiflz, et Scotiftz tunc acquiti maiorem,vcl minorem diftantiá, et prop;nquitatem, reijcitur à nobis difp.1 z.Pbyf.q. 3.art. r«& abfoluté non vadfet;tü quia diltantia,& propinquitas funt xelationcs intrinfecus aduenientes, vt ibi oftendimus ac proinde miiess 53 girimó terminare mori; rum quia nó fua"dantor in nuda fubftantia corporái, alio. qui fempcreffent codem modo propin atia » vcl diftantia, (ed fiapra vbicationes aitorá quz determimatz funt ad fundim« rcm inordinead fe.(cd ad aliud nimiruar elam tantam dif antiam;ve] propinquita«em, vt docet Lise m 10.3.2. KR. acyroindc séper remanet difficultas, penes: «uid attendi debeant. vbicationes illa, tun randem quiadillata refpantio nequit hibere locum in vacuo interminato vbi dittan iay vel propinquitas, qua. ie cadfs nnlli ue ffc fieri motum, fedcerté abíque funda xnento, riam quarationc concedunt. moMuminvacuo'terminato, coguntur ctiam: um concedere in interiminato: ' 207 Alter quo j; dicendi modus gré «explicat prafentiam realem. inordine ad s stie arium, tum quia hoc fpa Rum nequit habete rationem loci,& eius müunera cxercáre, vt. fusé oftendimus i5 1 r-Fhyfi. r.art. rtüm«quia cam nie Vfic y nequit teeminare ce[pe&um reaJem diftantz, propinquitatis, et prz[entic, ridiculum .n. c(t dicere rem diftare à nilvlo;vel effe tiiulo prafenté, vt otté-dímus ibd; q 3. átt« 2.qua de caufa Avgiag.cit.(cót.3. et Io. de fc&. 6. in&rnué fatencur, quod cum dicc hoc Ybi . dici, et includere relationem tran(cend&dus mere abfolutus,qu;a videmaseius cf« dà Vbi nóconftituitur rcs alteri przsés y offet per tin tali vacuo poftefpicerc tale fpatium » nolant explicaré aliquem ordincm!, qaem tale Vbi dicát vere ad illud (patium, fed tantum fignifi cate tale Vbi fumdate alem ordinem diftantig ab alio Vbi, vnde cócludunt vbicationes in rectam effe abfolutas, ac albedinem,& nigredinem, et g ficut albedo: àfi eipfa liábet conftituere album et non nigrü vel dulce fine vllo refpe&u ad«ónotata diuería ita de ratione vbicatien:s huius e(t conftituere Petram hic przfcn tem,& non alibi,& ipfum conftituere in tanta,vcl ráta diftátia ab alio Vbi. Verit quamuis Recentiores praefertim ex focictate pofüetint Vbi modum abfolutü : nullus tamen hucufq; fic puré abfolutum flatucrunt;vt pracitati Au&ores, nam ad minus dixerunt effe relatiuum fecundum talcm ad (patium; Et fané hic videtur có munis omnium fenfus,c» Vbi non itme. fe&um efle rclatiaum, ron .n: conftituit in taliToco,vel fpatio: t&quia fi per mofed folam fibi ipfi fruftra ponirur,quia as vtaliquid (bi ipfi it prefens, (afficit exiftentiaqua eft i rerü natura;ncc n: aliii: efic&um addere poteft praíentia ad: (e hzc autem hab ger cxiftentiam, hzc cut haBetur Vbi : tmquía fi vbicatio ncs (ant res ábfolutz, ficutalbedo, fan&  ficar duz albedines poffunt efe in. diucríisfübie&tis, ita et duz vbicationes eiu(dérarionis, et fic pluracorporapow terunt effe naturaliter in eodem fpatio:,-vcl loco: et e(t proríus voluntarie dictü y q inquit Atriag. citillas duasvbicatios nes talisctié natura, vt naturalitec vria tatnt alizexiftac in rerürnatura. Quia!   oc non videmusin alijs formisab(olue   tisquantuimcuhque incompoffibilibus: y. potlunt .n; omnesexiftereinrerum natura,(i habeanr diaerfafubiecta.Kaq:adhas anpuftias cnirandi iuxta di&t :a Phyf. loc. cir: di(tiaguédür  ef duplex Vbi,vnülocalc,alterü: praefcit tialejillad atteoditar ín ordine-ad (pers fiicarambiéntem, qua ptoprié loe Qus,-. to colligitur 2.d.2.q "T.i, (00000 Que.XILDe Vl, e finer. fe terminus motus localis, Poncius (olationes, vnam alia peiorem 7 localis eft, alterum vceró attenditur abíq; tetmino reali et realiter cxiftente, otdinead diucríaspartes, nonquideat  dümodoó fit poffibilis quod adhac fit reformales,fed virtualesdiuinz fübítantim fpe&tus extrinfecus adocniens, qua etiam vbique diffufz, cam.n-hzcfit virtualiter | ratione concedit de potentia Deiabfoluquia hic nequit fieri, nifi in pleno quatemam in prima concedit poffe dare Vbi diuifibilis » habet confequenter viruitem ta pofíc poni in materia refpcétum actua terminadi diuerías praíentias, vt ex Sco lem vnionis abíque forma, cut dicatur qoc r.prim.& 4. d;.vnita;quo nihil ab(urdias, et implicantius 10.q.3.ad 3.& alibi fpc; dicituraüt hoc cogitari potcft, Alia refponfio dicit P Vbi prefentiale fimpliciternonlocale, fe in tali caíü Angclum de vna parte fpaquia diuina fubftantia proprté non eft lo, tijadaliam transferri;fcd quod illa actio Cus corporum, cum intime illisillabatur, non effet realis pofitiuayquia per eam ni» et hoc Vbi eft per fc terminus motus laros ee pofitiuum, fed tantüm diftantia ; quz cft negatio diftantie, dat cüm locali,tamen fecundum fe zqué  Qua folutio adcó vana cft, vt ncc ipfiars Gonis, quicftó fa&usim pleno coinciin fieri poceft in pleno,ac inyacuo,quiaha ridcat, nam fic refpondentestenentur afbet pro per feterminoalià,&alia prese fignare terminum illius dittantiz, ve! tiam ad alias, et alias pattes virtuales diindiftantiz,quo femel aff;gnato ille tdem uinz fübítantiz,vbique diffu(z etiam in dici potctit cermipus ipfius Vbi, vel pr« vacuo, et fpazijsimaginarijs;.qu& Omnia. fentiz, quam negant tali motu acquiri fufius declarantur in Phyf.loc.cit.& quia   Deniq; ipfe refpondet » quod intali cafa quilibet refpe&us nuz (pedat ad non poffet Angelus moucti de vna parte hoc praedicam. vt docet Scot.j.d.10.q.: fpatij imaginarij ad aliam parté, et quod K.idcó hoc Vbi prafentiale non minus, Angelus produ&usin fpatio imaginario qnàm localead hoc fpe&tabit przdicam, folus effet ex fe indifferes, et indetermiExqua doctrina bené intelle&a facilé natus ad quamcinq; partem mumdi;, 87 foluitar difficultas, circà cuius foluuoné popcered Bras, vt determinaret ipfum adeó infudat hic Poncius difp. 17. n«65$. ad vnam partem v.g. Hibetniam pra Ita et inde, arguit enim ibi, quod Vbi nom lia,aut écontrà, deberet tum cum proimportet refpe&tum, quia fi vnus (olus duceret Hiberniam;aut Icalid;producete Angcluseffet in rerü. natura extrà Dei,refpectit extrinfccus aduenientem inipfa et nulia alia crcatura producta, wtiq; hic ad vnam,& non ad alteram At hacc (oluBaberet (uum Vbi intcinfecum,nam poftio pcior eft praecedentibus; quia manife fettermivarc actionem Dei realemloco ftà negat poflc fieri motum im vacuo cómotiuá polic.n, Deus realiter ipsüttanf  tra veritate quam ipfe tenet in Phyf. Sc . ferte de vna partc ípauj imaginatij adacontrà expreftam Do&oris imenuonem liam pattem ciu(dem fpauj, poffettiqui2.d.2.q.9. tum quia falfum eft quod An dcm ponetcipíum tahter in fpatioimagelas in (patio imaginatio, vbi modo pro gmario, vt fi iccrü crearctur mundus, fidu&tà cft vniuerínm, (olus productus,fo€ut modó cft creatus, Angelusillehaberetindifferens,& iodeterminatus ad quáfet locum fuum in Hiberniav.g, et poflet eunq; parcem Mundi; hine cnim fequeree ipfam poítcà ponere caliter imipatio,vt (6 tar, quod eflet quog; indceterminatusad producerecar it:coi mundas,hibecetlo? quácung; parté fpa] imaginari, 1n quo cum füum in Italia ; hoc autem nonpo(-modo extat Mundus,quod etiam cft fal fet eic, nili m fpatio imaginatio füm, quía cum fübftantiaillius Angcli n taliud, et aliad Vbi,tans correípódcat omnibus partibus illus f Angelus hab qam formam abíoiuiam, quiano habes rij, quia non ett immenius, (cd quibuf à rct quid reale exttiníecum in [pauo umas confequentcr fi mandus produccrctur y gin:rio, ad quod terminaretur, Ad quam Angelus illi prouincie ficrct prafens y . éiflicukatem folaendam iresibi adducit qua: corefpomderetparii d wet de m gia. nj Es ? d E Al. qae   Dipu.F2 De Pradicmn £ij;in quo arteà erat Angclus. Meliusere qo occutritut przfatas difficultati cx do€rina allata dicendo Angelum isi tali cafu liabiturüm (ui Vbi intrin(ecam no qui demilocale fed praentiale  et quod à Deo transferri poffet de yria patte. (patij imaginari) ad aliam,& quod diuetfas ac aitetet prafentiassqua no effent formae abfolutz y fcd telatuz', et pro termino re(picercnt,vel dinerías partes (patij ima« inarij, ncque enim opus cft terminü tcpe&us realis effe femper realem, et pofituum ex dicis (uprà n.84. vel potius diuetfa$ partes virtaales diuinz (ubftantias. vbiq; per fpatiact imaginarium diffu(zzy vt magis loc.cit. itt Phy explicabitur.  ; .At conca hane dicendi modü videtür «dubitare Bofict. S, Fhyl.faa c.4. quia non .. variatut re(pcétus prafentiz ad diuinanr fübttantiam fecundum variationem loxorem;cum primd intelligentia fit omini« ibus inquocuáq; loco exittenübas quá litct indiflans, (ca pi (cns, vnde aliquis exiffcris i Occidc me cft ita prefens diuinz fobflátiz ; ficüt fi «(fet in Meridicg vel in Oricptc, ita ie quod (ané legimus bilatiter y me allata diftipdtio de Vbi lo«ali defampto à fupcificie, et pre(catiaWi dcíampto ex ordinead dininá (übftan? tiam ticbis itmpotctür;vt nonas et chymetica,iam. p. patet hc dcl tni it Scliola Scotiflatum noneffe cuam. jokes L Scotiflas nó latuitjimó neque Bonct. ibi «ona cam dubitat, 0;ft cx aliorurà plas ito, ft legenti conit abit; INec illa dubiXátioif fe multüm vrgetsfalfüm .n.eft di ainam (abflantiarmnon poffe ob eius vicxoalern diuifibilitater varios xefpe&us prafeotia certmitare s vt docet Scot, loc. «itiéufo.n. Deus fit cos illimitatuni quo «ad loctm;nó fegmtat(ait Do&.) qui 5m fimul cum Deo Rome ;& qui et fia €üm Deo Parifijsseife timal tnter ftsquianimitorvaletDeusdiueríaste raiaarcpiaséussobfoiillimitationem;end ecttiidcmcorpusindiuetfistepliccturpat»ti busVniaerfiperdiuerfo srefpc& usdicitarDeoprafcns;idqueporeflefficac itetprobatieXparítatezterüitatis, &immenfitaris,quia.«faternitasha bartesBeesy&otxifütpluribusyats ewiEt&inuariatiseifdemextre mismanetomisnino1dcm(em perrefiye£tüs,quaratioi nadnoaTEisdee|confem gatiónemeundemirpOrtat eréal?cepenslanoaficanensp etcademextremanimirumidémobile,aceademdiuiria.[übttantiavbiq;diffufa,ergofemperpermanetidére(peétusprasfcntiz.Refjy.diuinamfübttantiam;quáaisfimpliciter,Scactualiterlitsüajévnaacindinifibilistamenobfuà immerilitatem eft multiplex quoad locum virtuali tet, ob quam virtoalem mültipliciateni ;'qaiualet infinitis corporibus pér totuni ium itagitariutm locabi ibus, quan ficut illa corpota poffunt varías;& multas termiriare xay m lic modó pariter dinioa (übltartia; et Doctot loc.cit, cum HIS erento fict c confetuatione cune em itnportate fcfpeGtum cx co probat y quod eii(dcm re,& ratione ad. ide te y et ratione femper permanet ident refpc€&to$, in ptopolito autem diliia fubflaxia condi. yt coexiflebs VAR ua: bus (patij imagnafij v.g. ocieritali, meti dinab rica luos cft fede IC, K ON ed babetur vt virtüalitce tnultiple ; atq; idcó diuerfas poteft tcr4 tyinare przfenuas ciüfd em omninó mo« bilis ad feipfam . E aM .430g. Atriag.qnoque d. r4-cità n. jz« alicrt quorunda inuentum ;qui dixerunt. fpatium imaginarium nil aliad efc;quai infinitas Dei virtuahitates, quibus e Ípódet infititis corporibus po, vode n eadera diuina fübikantja. indui fibili dant vpam virtualitaté;qu2 fit Ro tha,& non (it Prage, et Bióc à parteteig là actier ibr infecta quarmuis prima f1fie i E aet ARR. cR to coincidere 5 valde tamen diffetunt N nO$ ri. (lues a (ferimus diuioam (ubflar : 24 tíam ob eius illumitationem in ordinc a locum et güigalete terminis Supodauti T eu.,04 Ucri 0 Qu XPEDUU AR SUALEES gar. getfardm prafentiarü, gp et ipfe Artiag. $ltró concedit fub n. 48. at illi Auctores quid agplius volebanb;& ideó obiectioME or rre trinis i niu nos dir n| unt;licét primae facic videantur procedere, vnde data reanoftra entenriz intelligentia, facile olues;6 conttanos adducátur ; qae plcn€ haber: nequit ni(i ex difp. 11.Phyf. bi ét videbis,quomodo immobilitasio€i, et Vbi attendi quog; debeat in ordine ad diuinam fubftanriam vbiq; diffusa, qua cft prorfus immobilis;& contiftens: amuis,n. bunc ctiám modum faluandi immobiltàtem loci conetur rcijcere Bonet. cit.cum multis alijs dicendi mois Thomift. Scotift. Auerroift, et Nominal, quos ibrvalde accurate refert, et .rcíellit,re tamé vera hic eft exteris probabilior ; et wes modi 5 quos ipfe ibiaffcrt,vt de mente Arift. et Com.funt pror Tus infufficientes,nam primus modus aribuit ipmobiülitatem folii locisCelorum, quatenus (üpeificiescócauá vnius-et: lo» €us perpetuus, et incorruptibil:s alterius; ccundus tribuit ibilitatcarfo!ü lois elemeéntorü, quatenas Gngala haberz ja loca determinata, et inuartabilia; tettius tandem tribuit vtiq; immobil ratem cuicunq; loco,non tamenfecundum confiderationemi nátirralec,fed tantam fecü gum mathematicam ; quia hz cjabttrab:t àinou»& imnarería fenübilirieq;ideó tinguli ifti modi deficiünt, qu«a vel non (alsant imimobilitatém cuiaícang; lociscum "ramen de Ioco in genere immebilitatem Alfetuerit Arilt.ec conttat 4.Phyf. 41. qpátiones Je itmmobilitate loci zqué cóMincant de ómriibus:ycl nondaluant illà "wtomninó oppofità motui locali ; vel dc ü non fecundü conliderarionem natullem,fed rantü qiathematicam, cum taperrattonesnaturales, et phyficas ko nc mébur rni loci SE,vtad cum fpe&ar, vr [uo loco dicemus. H TO enar » quibus rebus con» ueniat Vbi buius predicam.hinc. n.fsctle polea colligemus tpccies huius przdicam, Ad huius pun&ti refolutjonem opus cft bteuiter is khyit recolere, quaaam 1. $ proprie dicantut effcin loco; qua «n. propri? fantin loco fingala habent pcorà Vbi [enispawAliquircsomnesprocfustàmcorporeas,dincorporeas,ac&Deüipfuminloco.reponunt 5 licét nó in certo fpatio reclusá fed wbiq; in omni loco diffu(um ; ac con(equentetaffirmant;non folum Vbi cteaturatí, | et ipfum Vbi Dei iramétiuü ad hoc:fpes &are pratdicam.ira Fonf. (. Met.cap, -9.(e&: 3. et 7. Alij contraexcladunt hoc predic;aon (olit Vbi immé(ruum Dei, ted &t V6 angeliciscó qu'a nó pro». prie ponüt Angelüialoc»p intima prae  séciá (us fubita.tze in cili loco, vel fpatio fed per operarions,& applicationé virtu, tis,vndé talis denominatio císédiinloco potius ptinere videtur ad pradica.act:onis,ia l'homifte 1,p.3-$ zat. t4X 2. vbi proinde ait S. Th.aag:lam euiuocé effe in loco cum corpo:re;quia an3elus potius cantinetlocum,quaim cótincatur à:loco idip(um clarius docet opufc.48.cap.t«. / 210» Verior sér£ria.quá uis difp.. 11,Phy(.q.4. et vít cóis extra. (chol S. Th. negat Deum e(fe proprie inloco s fette docucrunt: Aag. lib. 85.9. q.2o.& Anfcl. in Monolog. cap. 22. vbi mnes dici Deum elfe ci loco, in loco,quia cérineri in loco limtationg. innuit : afficmant autem ex àlia parte, ae dü corporibus; fed ctiá Angelis proprie conuenire ciTe in.Ioco per applicatione fabftiaua ad cert locu,& (pacium;vndé quamuis in fecic logé diuccti fint ma dictlend: in loco rcrü corporali, et fpi» ritualiü,quia corpora dicuatut eiie indo» co circumferipuud;i,cü excenfione. par« tum;fpiritus vero de&Gnitiud. y (cu iacit» camícripré (inc tali commen(üratione 5 nihilomtaus ingencce conucn.rc potluat . in aliqua cóne cói vautoca ab illis: pr£ci» fa et hzc cric cocinenzia palliug,(eu rea» lis preícatía rci locatz ad locü, à quo có tetur:, vc abürahit à: circumícriptiua, et detinittua y quz vaiyocatio p oftendi rationibus.illisequibus ptobart fo let vniuocatio:quorandaudfcé dentium 2 Quaré Vbi angelicum quo; ad boc fpc» &bit prdicao £t üscum fit Forma inbaerens Aügclo. per £zrmalicer contticuitur in loco; et cadem roncad boc quoq; lii i fpectaDe Vbi, eg Siti, e dri IT. patet fandamentum Poncij falfum ec, € aiebat nihil prafupponi in corporibus ad propinquiratem ; vcl diftantiam, ad p neceflarió fequantur ; et cum quo necclfariam habeant connexionem. At refpódet Poncius etiam hoc concefío negando hinc fequi effe' relationes intrinfecus aduenientes, quia licet non poflint effc ifta duz przfentiz, quin fit ip(a propinquitas,vcl diftantia, tamen bené poteft cffe propinquitas, quin fint przsétiz, nà duo Angeli poflunt habere diftantiam,X propinquitatem adinuicem;quamuis nó exte fterent vlla loca, quibus effent pra(entes: itaq, vt relatio fit intrinfecus adueniens debet neceffarió: pre(üpponere aliquid, fincquo non poflet exiftcre, curnergo propinquitas duorum locatorum ; et diflantia poffit cfle fine prz(cntia corü ad loca; (equitar quod quamuis non poísint etfe tales przíentiz. fine propinquitate, quod tamcn ifla propinquitas non fit inarinfecus adueniens:  Verüm hac folutio manifefté contradicit Do&ori loc. cit. et veritati, inquit enim Do&or huiufmodi relationes pro-. inquitatis, et diftantig non immediate undari fupra res » fed (upra vbicationes illarum, quz determinant resybicatas ad fandandam tantam, vcl tantá diftantiam, falfum ergo eft polle duos. Angelos tantam,vel tantam diftantiá fundare, vcl prapinquitatem ab(que vbicationibus, quia fi non h aberent vbicationes localesqua nimitum fumuntur in ordine ad locüjhaberent faltim praífcntiales, qua defumütur inordine ad fpatium,vel ad partcs virtua» les diuinz (ubítantiz vbique diffui Cof. quia deficuctis oibuslocis iili duo Ange lijquos adhuc ponis per lcucam v.5.difta«ze, vcl per (uas proprias entitates fundant «talem diftantiam,vel per aliquid fuperadditum, li (ccundum, hoc efe nequit. ni(i "Nibcatio; f1 primum crgo duo illi Angeli femper talem retinerent imer (c dilantiam, quamdiu proprie manerent entitacs,quia illa ponuntur rationes fundaadi talem ; üm quia adhuc fequitar cilercfpectam inuin[ecus aducenicnsem, qoia neceffarió (equeretr ad enutacs progtias iliorü Angelorá, fi in cis im: A0gita » i 735 mcdia? fundaretur : Concludendü igicut . eft, q fiué fit fermo dc propinquitate, et diftantia duorü locorum adinuicem, fiue duorum locatorum, femper hz relationes [unt inttinfecus aduenientes, quia neceffarió (equuntar extrema ;.& quidé quod ait Poncius propinquitatem, X diflantià duorü locorum efie refpe&tus extrinfetus adueniétcscx fuppofitione,quod fint mo bilia,eft omninó vanum, et inutile, quia przcipua loci affe&io cít e(íe immobilé tum quia ex fuppofitione etiam, cploca effent mobilia, non adhuc fequitur inten» tum, quia tunc eadé effet. ratio de loci et locatismodó aüt quamuis locata lint. mobilia;adhuc tá diftátia,& propinqnitas intcr ilJa sür relationes extrinfecus aducniétes, vt probatum eft ex Scor.loc.cit, 212 Quoad przdicamétü fitus, qui alio nomine dicitur pofitio,Do&. 4.d. 10. q.1.$. pico ergo, diftinguit duplicé pofiion; vnà, quz dicit formaliter ordinem partit in toto, et per hác circüfcribimus differentiá quantitatis cótinug,alià, quae dicit ordincm partiü inloco, et cóftitit hoc przdicamenti, fe! faltim dire&à ad illud fpe&ar,qy idcó additur; quia ét pofà tio primi gencris, eftó per eam circü(cri« bamus differentia quantitatis ; debct faltim reductiué ia hoc przdicaméto teponi,vt hic notat Anr. Aud. cá fit tefpe extriníccus aduenicns,nam partes totius, qua (unt extrema buius pofitionispofséc elle inuic€ feparata:,& tunc nó eset ordo illarü partium in toto: fiué aut pofitio primo modo fumatur;(iué fecüdo modo, certá cft non nifi ad res corporeas pettipere, quia incorporeg nullus habent partes integrales, rónc quarum dicantur fituatz',ac ctiam císe denominationem inttinfecam, quia non dicitur quis (cdegs à (cde, (cd à ic(fionc, vt àformaci intrinfeca . Przcipua veró difficultas cít, quomodo fitus conftiuiat diaeríum pradicae mentum ab Vbi: Solent Scotiflz ex co iita dift ingucre;quod Vbi dicit babitudipcm otiuscircumferipti ad toti circum Ícribens, polioveri (cu (itus babitudincm partiam circü(cript ad parres loci &itcuicribentis, hoc n» folum dilerime affi gnauit Do&or loc cir. et quia interd liü 3 . inuà 75 Sinuariato Vbi, mutatur. fitus, vt notauiimus in Inft.cum .n. vinum in vafe agitatür,totum vinum femper eüdem retinet totalem, fed partes variant jocum partialem;quia fucceffiué re(pondent diver(is arti va(is ; hinc tanta vi argui di(tin&tio inter illa, quanta fufficit ad confiituenda diuería przdicamenta ; Kt hzcratio aptior eft ad c diftin&ionem éx naturarci intet Situm, et Vbi,quàm allata à nonnullis, » poteft mutari Vbi immataro fitu, vt (i quis (cdlcns,aut iacés curru feratur, variat Vbi y quia faceefliué eft in alio, et alioloco, mon tamen variat fitum;quia femper ma nct fedens cadem (e(fione. Sané hoc cft impoffibile prorí(us, quia fitus eft forma loco addi&a nó minus, quàm ipsü Vbi,, vtgo ficut fitus abfolart fumptus refpi«it neccüarió locum, ita talis (itus talem locum, ita quod omninó implicat remamere cundem (itum corpotis » fi vatiatut focus, et Vbi, vnde quindoquis fedens fertur rhzda, vcl naui, catenüusremanet eadem (c(Tio, quatenus manct quoq ;idé Vbi immediatum refpe&u nauis, quam fcfpicit, vt vas, non vt locum, vt etiá di«imus dc aqua delatain amphora ; et di«itor nutare Vbi mediaté folum, et per accidés, quatenus teta nauis, quz ett id, «quod pcr (c mouetur, continuó acquirit alium,& ali locum, vt habetur 4. I-hyf. Xmo Artiag. Met. n.45. ait re vcra mutarilcffionem, et folum moraliter. ccnferi eandem, quarenus. fuccedunt ali gotitiones omnino fimiles in ordine a4 diftantiam partium inter (c. 113 Alij t& hanc fitus explicationem impegnápt,quia fi nócft, nifi ordo parvd locati ad partes loci,iam nó diíctimifatur ab Vbi circumfcriptiuo, Prob.con-quia per hoc Vbi ità ponitur corpus jn loco;vt totum corpus ftt in toco loco, et partcs locati in pattibusloci, ergoiam 2: rónc mr iftius Vbi ome ar be o partiji locati ad partes loci, atq» ide intali ordine ncqait fitus. cQ(i bert,Alioquio non con tiroet diftin&um pradicamentum ab Vbi,cum adeius integritaté fpe&ct. Accedit, dj» cum totum integrale &oa lit ali quid realicet diftindoun fecunDifp.VIIL. De Pradicam. Xe fpefluis; dum probabiliorem, à fuis fic in propofito reípe&us € Án RdIi   non erit aliud ab ipfis partialibus fimul (amptis, ná ficut (e rat fundamentii ad (fundamentum, ita re(pe&tus ad reípc&tum . Et tandé re(pe. Gus partiü locati ad loci nó (ünt, nifi plura Vbi partialia, ficut rcípectug totius locati ad totum locum eft Vbi to. tale,ergo tam hic,quam illa (pe&ant ad przdicamétum Vbi. His rónibas concludit Bonet.in fuis predicam.ocdinem par tium locati ad partes loci non cffe de gcnere fitus, vt inquiunt paffim alij Scotifiz, (ed de genere Vbi ; vndcibidem ita explicat fitum, vt fit modus quidam ipfias Vbi,(ic quod Vbi dicat abfolute fentiam rei in loco wien ificet prienciz, (ic vel (io.f. 1acendo, ftando, vel AR i (ccüiü hàc   uam cóiter (equuntur es illi qui üitiapuunt fitü ab Vbi, (omar tur in Vbi,& e(t accidens eius, et dinidi tur in ftationemfc(Tionem, &c. vt genus in (pecies,q» ctiam videtur innuere Doc. dicun inquit;q pofitio fpecificat Vbi .Certé hec explicatio titus magni babet fundamétum, tum in definitione à Gilb. allata;ait.n. quod pofitioesi quida [itus partimm yetgenerationisordinatio,fecundum.quamdicunturflanti a,vel[edentia,4c.tuminipfoArift.quiperTtarc,federe,iacere,&c.explicatrationéfitus;&rationcsetiam,quibus(übtilishicScógftaprobatordipempartiuminlocopertineread.przdicmnentumVbifuntmagni ponderis; vndc fatemur, quód volentes conftituere fitam prz dicamen tum diftinctü ab Vbi,facilius id aequem tut tenendo hanc (ecundá viam,qu& pri mam. Nobistamenimagis expediens vi detur tenendo primá vi te ficü e(fe przdicamentum di(inótü ab Vbi, quam tenendo fccundam multiplicate entia, et modos tine meceíTitate, cum quia, vt ait Artiag. cit. n. 42. (üfficienter intelligitur res fituata per illoiordiné partiü. ipfius locati ad locum, quem teijert Bonet. ad przdicam. Vbi,per illum . n intelligitut fic vbicata ftans, vel (edens abf; addi tionc alterius modi um quia licet   Quafl. XII. De Vi, dari poffit modus in diuerío genere mo dificadi, non tamen in im gencre, at fcifio, ftaio, &c. (i (ant modi ipfo Vbi faperadditi, fané fnt ipfi quoque modi prefentiales, feu pr(entiam importan tes,vndecum ipfum quoque Vbi prz(cn tiam importet,iá daretur przfentia pra fcntie, magis expedit negare irum efte difti predicamentum ab Vbi, jm illum ftatuere, vt nou modü pra eníalitaris ipfo Vbi fuperadditum ; tum uia diuifio illa prz dicam.non eft necef dria ex natura rci, tum quia Arift. r. Poft. 148.& s.Phy(.9. et js. Met.c.7. teceníens przdicamenta huiusnon memi nit ; tam tandem quia etiam Scotus ipfe loc.cit.in 4.non inquit abíoluté effe prz« dicamentum díftin ab Vbi, fed ita poni à quibufdam, ende non multum an xij de hac re effe debemus, nec €t folli citi de (olutione rationum Boncti, quib. ides nó inco confiftere rationem fitus, quía tunc non conftituerer pradi camentum diftin&um ab Vbi. Nam con€efio antec. neg. confeq. vltró conceden tcs di(tinctum mentum non con ftituere.. Adhuc tamcn liber fingulis fa tisfacere, in gratiam cotum, qui vellent ea diftinguere, 21$ Ad 1.nó inconuenit rÉ vnius prae dicamenti interdum concurrere ad intc qum rei alterius praedicamenti, nami cüdum cóem figura eft de przdicam. qualitatis,& peruner ad integritate quan titatis;vnio ctiam fubftantialis concurrit ad conítitutionem compofiti fübftantia lis, et tameneft de genere accidentis cf fentialiter, et folu denominatiué (üb ftátialis, et fic in multis alijs j ita ergo in : to poterit fitus concurrere ad có um Vbi circwmfciptiuum, etiá(l fit dineríi przdicaméti. Ad a. conftat ex 9 allato de vino in vafe ptasétiam totius locati ad totum locum diftin&am effe à fingalaribus pra cutijs partium,& ratio cft, quia licét totum in tcgrale non (it quidrealiter à partib. di ftin&um; (zpe tamert in omnibus illis 6i mul fümptis, et (ub vnione. coccpris fun eo itu. edet. 17. 753 datur talis refpe&tas, qui ne ju't (unda ti ia fingilis diftributiué (umptis,aut eciá colle&:ué,fed noa füb vnionc, vt conític de zqualitate vnius palmiadaliud, qua poftulat pro fuadamento totam quanti  tacem palmaré,vt fic et cft vnica, et fim plex relatio, nonautem vna totalis ei mulcis zqualitatibus cópotita, quz fun dentur in fingulis partibus. Ad 3. conce« dimus refpectus illos partium locati ad patteslocieife Vbipartialia, et idcircà non(pectant ad przdicam. Vbi, in quo folum ponuntur prarfentiz cocales,in pre dicam, veró (itus parciales., Petes;an fitus (5t modus folius quan titatis? Videtur affi cmare Do&or loc. ei. quia illum ibi appellat nodum qaantita tiuum; dicendum tamen eít fitum cóue nice cuicunque rei exten(2 in loco, qua  re cum fubttantia materialis fecunduga nos poffit effe exten(a in loco ctià (cclu fa quátitate, l'icét penecrab:liter, ira quo que proportionacum fitum habcbit, et ideó m diuidebatuc hac ig Ve circumlcnpauam in penetrabile, et im penetrabile, fic etià (itus diuidendus eff, poteft tamen appropriate dici (itas mo dus quanutatis, licéc alijs conueniat, ca racione, qua diximus difp. przced.q. j ar. 2. figuram dici modum quantitatis, €t coníequatar rem omocm extenfam, an verà corpus in vacuo elf et fituatum,re pondendü eft, ficut de Vbi dicebamus ; et demum an rará,& den'am, afpecü, et lenc,ad hoc predicamentum pertincant, dicimus inlib.de genec. et corrupt. Poncius difp.17.L08.4.7.inquit fitum importare non poffe re(pectua extriafe cug aducnientem (übiedtatum in re loca ta,& termitarum adlocum, quia omnig talis re/pe&us aut e(t Vbi,ecl (alim tese liter identificarus cum ip(o,atq.ideó nom cont ituecet diuer(um pradicamérum ab ipfo Vbi quod ibi quibufdatn rationibus comprobare conatur; € concludit, uod ponendo Situm«onftituere diuet um przdicamentum ab Vbi,dici debet y quod conftiftar in difpoKtione parcium in ordine ad (c, rationccuius fi tat in loco, dicereturces federe, auc ftare, aut iaccte &c, qu£ difpolitio eft. re(pes Gus cxcrinfecusaducnics; Quod probat, Quia ha difpofi:io e(t aliquid tá per fe collocabile in aliquo prz dicamento, quá Vbi,& cft omnino diftinctü ab Vbisquia bac difpofitio poteft cíle ea4é numero in diucr(is locis, in quib. variarcetur Vbis et prztcreà aon potcft intelligi (itus fine ipía, ergo dicendum cít, quod tit Situs . Conf. quia fi fic explicetur ratio Situs; teft (aluati diftinctio realis, et e(s&tia is intcr Vbi, et Situm, et cx altera parte nihilliud poteft alfignari, quod fit Situs falua tali diftin&ione, ergo quandoqui« dem detar talis difpofitio à parte rei magis congrué dicitur, quod fit Situs; quam aliquld aliud. "ul Hzc tamen explicatio Situs nequaquá fübfiflere pót, quia vt fuprà dicebamus, Situs cft formaloco addi&a nó minus, q ip(um Vbi,ergo (icut Vbi nequit explica. ri, nifi per ordinem ad locá,ità quoq; Si tus, Tum quia difpofitio partium in ordi« tie ad fe porius circum(cribit differentia quantitatis continuz,vt fupra dictum eft n. 112.quam pofitionem de genercSitas, Quod fi dicat Poncius.iplum nà lo qui dc difpofltione parti in co fenfu in ordine ad fe, fed de ca difpofitione in or dine ad fc, rationc cuius (i res poneretur in loco, diceretur federe;ftare, vel iacere; Conua flatim cít ; quod hzc manifcíta i i ia, fi enim ca üm i(pofitio talisef&, vt ratione illius rcs dicatur federc,ftare, vcl iacere, ergo non eft difpohtio partium inordine ad fc, et abftrahens à loco, ftd omninó locü cóo «ernens, et partes loci ; Probatur confc quentia, quia implicat apprehendere cor pus (cdens, ftans, vcl cubans per talc par ium difpofitionem,quz omnino abítra t à loco; ergo ti fiis conffüt ia difpo ione tali partium ratione cuis corpus dicatur ftare, vel fedcte;debet talis diípo sitio cxplicari per ordinem ad locü, et nó,pracisé per ordinem ad fc; quare concla dendum. eft fitum. explicari debere per rdingm pzcriugwci locatz in ordine ad eee » vel pietes. eius. altero cx duobus modis sre bled) raiones id. Juníwalent, nam a primá dicendum eft, muodliect illa pariioie difgofi o in idi Difp.V1l. De Pradicámve[peBliuls i.  ne ad fc fit aliquid in predicamento col locabile,& ab Vbi diftincta, nonhinc íe quitur in hocprzdicamento con(titui de bere (alti ditecté, n& porius (peCtat ad. pradicamentü quantitatis.) et eius diffe», rentiá explicat; vt inquit Doctor loc. cite; Ad Contncgatur a(lumptü quia data ex«. plicatione $us altero ex duobus modis, ià aff; notis, bené faluatur diftin&io rca lis Situsab Vbi,vt declaratü eft, et rones quibus oppofitü oftédere nititur speciale difficultatem non continent quz fuperius nou fit folura, vadé minime opuscít easadducerc, et figillati diluecea dud De Quando € Habita. 416 (7X Via res nó tantü dicuatut effe in, : locoyfed cti in tépote hoc, vel. illo, vt heri,hodie, fuperiori anno,vt Ati« ftot.exem at in antepradic.c,5. (icut per Vbicoftituitur in fpatio loci yita pet. Quando in (patio téporis, et durationis e Vtaüt appareat penes beat hoc predica cmd ae ndi, d eft duplicem durationé£ realem (olere disftingui,vnàextrinfecá,qua .(;eoparatur,.adaliárem,vtme n(urailliusqualiseítdu,:ratiomotu shorologijre(pectaaliorummotuü,alteramintri níecam,perquàrcsineipfadurat nq;alioextrin[ecomenfuranteablato. Suarez diíp.so.M:fe&12,n.8.quem(equunturhicAmic.Blanc,&alij,con(tituithociupratmindarauoneintrinfecarecüfedmiusconfcquenter,quiavtdicimusiaPhy(.&tenetipíoSuar.duratiointrinfecareinoneft.ni&ieiufdemexiftentiaaperícuerans,atcxiflétianóponiturindi uerío przdicamcto à re,cuius eft, pr tim cü in emésiandpnu nn iter ei idérificeturyergo &e. Na valetjquod inquit Suar. ità (altem diftingui à rc du rátcyvt licet non praedicetur de ea, vt ac« cidens Phy(icum, praedicatur tam vt ac xidens Logicum et hoc fafficere, vc fit diftin&i pradicam.Nó valec,tü quia e fientia ét praedicatur accidentaliter, Los gicé dc creaturis; t quia accidens przzdi cabile.nó (ufficit ad có(tituendii accidés, ptadicametalc y ex iliis fou gencreitn : n6 [ubfiafie pót apcidós: prie Qudf. XII, "DeVli, e Sitü. edt, IHE, nón tamen pr dicamentale . Deinde ctià jnfentétia realiter diftmguente duratio nem intrinfecam a re durante, non benà poneretur hoc pradicamentum ex ca có ftitnii, nàm lioc przdicamentum nec té pus;nec rem temporalem importat, (cd od ex adiacentia temporisin rc tépo En derelinquitur; vt cóttat ex ipfa Gilb, definitione, Ouando e$t idquod ex adia centia temporis inve temporali derelin wituryquare ficut Vbi non dicit forma tet locum,fed quod ex applicatione lo €i re(ultat inlocosfic inpropofito Quan do non dicit tempus, fed quod eius appli cattone refültar in re temporali; et men fiitata per ipsi. Tandem proprie loquen do res durare; et effe in «empore non süc idem,nam efse in tépore ex 4. Fhyf.  cft conrincri;ac meníurari cempore, du. rare vero eft píeueratoin císes(ed Quando  iod eísc 5  &.tali tem« orte, vt 1€, .itr ) Pu vA inde cómuniter «docent ; ren t& non confirutpet dura ti intrinfecam rerum;fed poríus pec coexiltentiamad aliquam extrinfecám nempéad motü primi Celi, qui vt regu latus,& vnitoriis dicitur men(urare du rationem illarum. dicitur tempus cxtrin fecum,vt diximus n Inft. vnde nec ipfum tempus, vceftintrinfeca duratio motus primi Celi, (pe&atad hoc, pradicamen tí («d vt ponic adiacentiam fuam in .«c büs,quas men(urat;& baceft vera exyli atio iftius przdicamentisres,D, prgcife oexiltentiam ad motum pr;mi Ce i iütationgmen(urg dicuntur tano, vcl tanto tem pose durare hen diem, vcl an  nüm;dicütur císc hodié, hri, fui(se, et c. at sit vera denominationes huius. pr. ch edo exéplisab ipfo Ari allatis;endé S Th opuíc. . c. de Quan do; pct adiacentiam temporis ad tem.té poralem intelligit menfürationem; quod exqmeníuratione tali in re tempo rali derelinquitur, cft id, in quo formali cer confiftit hoc predicamentum, vt (al tim dircété ad iftud (pectat. "62  Scd: ic it. comunis omnium fenfus inconflitutione przdicam. Quan do,nontamcn omnes conacniunt. in cx. plicatione illius,quod ex adiacentia repo ris relioquitur in reb. ibi(ubiectis, Tho miflz pa(fim infinuant effe accidesrcale, vt viderc eft apud Complut.cit.q. 4.8 Sanch.lib.6. Log. q.9. idem quoq. viden tur (entire Scotiftz hic in. Log. dum ia quiunt ex adiacentia temporis ad rem temporalem refültare in tempore Qyuane do actiuum, et in rc temporali pafTiuum, quos fignificát efie refpectus reales exe trinfecusaduenientcs; fundatur hzc opi nio przícrtim in paritate cx Vbi defum« pta, ficut .n. ex extrin(eca circüfcriptios nc loci refaltat in re locata Vbi, vt accis dens rcale, per cp formaliter dicitnr effe. in loco, ficex incidentia extrinfeca teme poris men(urantis res temporales re(ulcat in cis Quando, vt accidés reale, per quod formaliter dicun'ur c(Te in cempore, ». Quem cendi modum rqoior Poncius hic,vbi camen nota malé ab ipfo defcribi Quando effe conucnientiá tei creata duz rantisad.aliam rem durantet, nam non cocxi (terria vnius rciad aliam;(ed coext ftentia rci ad tcmpus eft Quando;adeóur terminus iftius cocti (Lenciz pertinentis ad hoc prezdicamentum fit tempus primg mobilis, non autem quacunque alia. rcs durans, vt Poncius velle videtar... » 218 Dicendumtamen cft, Quando nó importare in cebus tépori fubtedtis foze ipà intrinfeca; X rcalem,fed folgm denos fainationé cxtrinfecà (umptá à tempore, €ui rcs eocxiflüt;& in quo ede dicuatur, atq. debomipátür cífe hodie, heri fuifle, &c. Probiquia (i qf formà realé importa ret in rc ducáte, hzc vtiq. foret celatiua, vteft Vbi,nà aüt abíolata,(ed nullà talézc lationé rcalé importare pót, quz fpe&et ad hoc prédicamétü,ergo de ico ».mip. quia per qünon pot in re téporali impor tari rclatio ad tépus, feü rmotü primi ee y di A Hei TURIS E Miren cclaratioue allata rónis cius, (ed he re latio aà eít ttal, cd ein Prout Do &or.quol, 13, N.quia verfatur inter c) ma e vt i r4 e: le, (ed epe VU ADM Pe 'undatur in obicet Vt cognito» qQ eura cocipitür. vc LAE [ le ori tela tio méfutaui tüdat. in rc méfurata,vt noci" ficata $318 Difp.VII. Be Pradicam. Ro/petliuis  ficata per menfuram ; et deniq. difp.13. Phyf.q.4. art. 2. oft endimus tempus ex  trinfíccum in ratione meníarz non effe quid reale, ergo relatio importata per quando nequit e(fe realis. Si dicas, (alim relationem menfarabilis ad men(üram cf fe realem, et hanc derelinqui à tempore extripfeco in re temporali . Contrà, hoc falsidicitur, quia hoc non conucuit illi ex vi temporis;fcd ab intrinfeco,etiamfi per impoffibile nullum effet tempus ex triníecum;quia ex vi fuz inrrinfece dura tionis dicitur fic menfarabilis. Si dicas, hanc relationem tealem ele ipfam cocxi flentiam rei temporalis ad tenapus, vadé poo heri fuiffe eft coextitiffe circa tioni hefterna primi Czli, effe hodie eft cocxiflere bodierna.Contra,quia vel ifla coexiltentia importat folam ambo tum exiftentiá in rerü natura, et hoc di €i non poteft,quia non efTet maior ratio, cur vnum fit menfura, et aliud meníura tum; fi cft relacio coexiftentiz vt meníu rati ad meníurá, iam conttat nó effe rea » Accedir, quod coexiftentia fumpta pro amborum fimulranea cxiftentia eft telatio intriníccus adueniens, quia pofi ta recemporali, et motu primi Czli, ne ccffarió (equitur talis coexiftentia, 219 Necvalet, qp inquiüt Scorifte ex Ant. And, in hoc przdicam. lilapismo ucrcetur modo extra Celum, tunc morü lapidis non coexiftere motui primi Cell coexiftentia iftius przdicamenti, quia non menfüraretur pcr illum, ende inqui unt res debere a imari primb Ca lo, vt intet ipfas, et motum ciusre(ülcet y cenferi aüt (ufficiéter approximatas co ipío, quod imera ambi. tum huius vniueríi continentur. Non va« ! fet, tumquiaiam conceduntex ifta re fpon(ionc,quando non importare qualé Cüq. coexiftentiam rei n Ris A MA pus;(ed coexi it entiam in ratione menu. fati ad meníüram ; tum quia gratis etiam di&um videtur motum brachij fa&tum à Beato extra extimá partem Celi nó mé furari é motu primi Cli, quia ficut mo tus primit Czli ideb men(uta dicitur mo tvuüta&torü intra ipfu;quiaob cius vni formnat£ alfumitur à nobisad hoc mu nus,ita quoq.poffct a(fumi ad«memfurane dum iot lapidis fa&um extra Ceelü, fi Deus nebisoftenderet illum motü; Po tis ergo dicendum eft con(i (tere in de nominatione extrinfeca fumpta à tempo ef te,& dicire(pe&tumextrin(ecus aduenié té, quiaad inftar talis cefpedtus nata e(t concipi,cum motus primi Cali non dica tur mcníurare hos inferiores, ni prius facta per inelle&um applicatione ips veluti menfüz ad illos, qua: fe habet ve luti approximatio inter extrema, vt re» faltet ille rcipettus, uod vtiq proprium efl cc(pectascexrrinfeci . Fundamentum veró oppofita fenten tizfacilédiluitur neg. pauitatea atlum ptamde Vbi, et Quando : tumquia Vbi cít terminus motus, et a&tion:s, quz in motu interuenit, crgo neceffarió elfe de bet quid reale, at Quando nullius actio nis rcalis,  rame terminus ; tum quia potius Vbi,& ()1ando oppoti tas ibenccóditioner nam vt re$ discar fucceffiué prz (ens alteri, et alicri (patio locali,locus debet etfc immobilis, et la» catü debet continuo mutari, vt verà di catur facceffiué przfensalteri  et alteri fpatio daratienis, duratio ip(a debet effe fluens, et cran(iens, res veró ipía concipt tar vt immobilis, et eadem perfeuerás; e: qao patet,Quàdo bene aumus (uüobire e m RUMP: Pica autem Vbi, ifp. 13: Phyl.n.9. 210 Qua; quibus rcbus poffit ap plicari denominatio mét! s LI TEL ilibus, q colligit ex Arift.; Sed potius a(ferendum cft, hanc ze omnibus. rcbus ali nomifationcm potle o permanen et men(urari cempore: adillud, immó ip(a quoq. immortales fabftantiz,vc A anima, vnde di cimus Angclos hodié cíJe,& inomm t&« pore, licér non tranfirc cum temporc;, co vcl maximé dicendum;qui corum durationem intrinfecam: menfe rari poífe per cocxifteniam ad aru prie mi auiterni,ticut EMRMIME DrET  oltcne oftendimus ex wwe Phyf. loc. cit. Neq.  VIC. voluit negare ab(o luce (übftanc;js immortalibus eWfe in cé re,íed (olum nonfie intempore, ficut fablumsria (eneícendo,& deficiendo, nà ratione coexiftentiz non minus fanc in fablanaria; Imo Fonfec. ;Met.c.1$. q 10. rationes iftius coexi tizadextendithancdeno.minati onemadDeumipíum,quiadcnominat uromnitemporefuiffe,&e(Te,&defilioDeidici turEgobodiegenuite,2(crapuloconce dipoteft,cuminatiohuiuspradica mentificfojumextriníeca.Aliquin egátaccommoaripoderebu sinftantaneis,herdeipfisinter rogarenonLicetquandofuerüt,velerunt.Scdcum&ipízdicantureeininftantiypoteft&iptis(uomodohzcdenominatiocópetere.Q'uidamétexcipiuntàdenominationchuiusprzdicamciipfummotumprimimobilis,quo. niamnon extrinfecé » fed intrinfecé de nominatur à fuo e. cum et c Celi motus : meníarare feip üm fecundum pattes .i. mocü vnius paf tisaffumi ad meafi m motum altc tius, hoc (eufu poterit et ipfe hanc deno minationé participare. De fpecicbus au tem huius prz Jicamenci non oportet ef. fe admodumrollicitos, quia vt Scot. do cct .d.8.q. 5, O.& Tromb, r. Mct.q.1. ad 4. vel paucas habet, vel nullas. Acobijciunt aliqui, puram deno minationem excciafecam non füfficere ad cóttituton:ii vatas predicameni, quia de5?rzài cont ui plura alta predicamé t2 i0xta iulcicadioem harum denomina tiomi'n, vnuim.!: ex denominationibus, quibus obic&ta denoninátur ab a&ibus, aliud ex eis quib. Deus denominatur ab Efe&is creator, redeinptor, &c. aliud ex «is, quibus columaa dicitur dextra, fini tfta, &c. cut igitar hz denomipationes MEituant przedicamenca diuer(a, fed reducantur ad przdicamenta forata Zueft. XI. De Bluavdo, covFdabit efr. 1T.nonnulli, qui contendunt omnia nou ge nera effe vcra, et phy(ica accidentia; ho n. falfum eft, quia hzc noué genera tius diftim&a funt, ac enumerata ex fpe ciali modo denominaadi primim (ubttá tiam, quam inharendi, v« notauit S, Th» opuf. 48. cam ergo denominatio Quado necceífaria fit, et fcequenii (Tima inter ho miuacsnó minus, qua denominatio Vbi dicimus .n. resede inloco,X intépore ficat Vbi conftituit vnum pra dicamens tum, ita vifum e(t fapient ibus ex Q'ádo aliudconftiviere fpeciale przdicainéué magis,quam ex alijs denomioationibus, qua nó videntur ita ncceifariz,quod mi run effe non debct, quia vt fzpius di&ü eft, hec przdicamécorum diuifio eft ar bitraria,& famo(a,non nccelfaria ; qp au tein exhisnouem geaeribus hoc (ic ac cidens, et forma realis, illud (ola extrin fcca denominatio, non cft pen(andum ex aliqua gcacrali racione omnibus com mani, (ed ex fpecialibus rationibus fin guloram, atque manctibus . 221 Circa predicamentum hab'tus,fa n? ridiculacít, ac Philo(ophis indigna conítitutio huius prz dicamenti,qua paf. fim affigaant Auctores,innixj .n. cxcn plo, quo Aritt. hoc explicuit przdicam, .Calccatum e[Je armatum ejfe Lolà il iam denominationenpaiunt, hoc contti tuere przdicamentum,qua quis dicitut hibere circa fe veítes, et indumenta, quà aliqui pomüt (olum extrin(ecam à vsi bus de(umptam;alij etiam intrinZecà, ita vt cum quis fe veftit, przecec aadum in» time pra (cntiz ad fua membra 1& dua in veftibus, ctiá in (cipio producae modum quendam realem, ills dici tar habcre; quod fi quis. t aonuluas ia manu;aut in aure flore uida negant rc(altare talem. modum habendi »qut (pe Gat ad hoc pezlicamen:um., quia ccsil Ix non habeot manas.indaendi ; qua etiá ration: Suarez difp. 5 3. Met. (ec. 2: nr 1:4. ait fola araia defentiua, vc galea, et loct Tuc quibus fumuotur, vcl (übiectorum .. C1,n0n autem. offen (iux, a4 hoc fpeStacg. qui denominant, ita de Quando dicen zac effecti foret paca denominatio cx triníeca . Kelp. nos non cife ita lollicitos 4: indénitate decadis praxdicain. vc (uz praiicamen: d,qaia illa fola imapus exc cent iüduendi;al;j vecó coacedun:, quia, fafficit.qy habeuot iod ornamcc. Kur (us volant ali ]ui ex adiaceniia vett. ü cie 340  Difp. Di Piedianerifpetuiss &um circa corpus htrmanum refültare de tior ef illa, que repetitur inter extrema nominationé ad hoc pradicamentü (pe quz non (unt a&u  diui(a, fed tantum po &anté, itavt fi induatur flatüa, velequus tentia, qnalis eft vnio, quae cunt armerur, hec,& fimilianon dicantur ve ter materiam, et formáà, inter lubic&tum, fita, vel armata propriéloquendo, vnde  &aecidens j acinterpartes continui, qua idam curiofam,& dignam inducür di«, etiam de cau(a dixit Gilb. babitam e(Te putationem, an cum Simia hunianisve«  corporü, cumtamen, et alia, quz nó (unt ftibus induitur, dicatur verd veftitay et corpora dicantur habere formas (ibi ine ncgatiué reípondent, quia ex Arift.3.de harentes, et plané ita explicui(Te videtur pattib.anim.c.1. natara cunctis animali. rationc habitus Arift. s. Met,2g. et hunc buscontulit veítes, arma, et ornamenta,  dicédi mod tenet Baffolius 4.d.  1» vt curei,piloslanam, fqgamas cornua,  art.r. fic ctiam videtur. explicare Auer vngues,& fimilia, hominem veró nudum facouftitutionem huius ptzdicam,q. 28. fccit, atque ideo illifoli aptiuudiné quan« Phy((c&.5. ( etiamfi ibidem Baffolij opis dam peculiar&. indidifTe inquiunt adve nionem non recipiat) inquit .n.in corpo» ftimenta füfcipienda, que tunc reducitur. re quefiti ; quod quamuis denominatio ad a&ü, cum ca fibiapplicat. Miramur habitus(ernatur. à locali pra(entia veftis fané viros doctos in hac fcurrilia atra cum corpore, tameu non (umi per mera mentum impendere,& ram tidiculas mo concomitantiá localem; fed fümi potius uere dabitariones, de quibus meritó   »er quendam niodü informationis,& fit» fcire pofíemus, quod arguté inquit Do« tentationis; illa ergo denominatio ;, Eor 4.d.6.q.3-9..4d ifíam, deilla dubi« fümitar à pra(entia per meram localem tatione mota à quibuídá de materiaSa concomitantiam fpe&tat ad idem pradi. «rarenti Baptifmi in cap.Detrabe, quód | camétun,quod dicitur Vbi ; at vero hzc aqua per fe non fit (acramentum, fedtan alia denominatioyque fumitur per aliam tum con:giléta cum veibis, nam alioqui Imbitudinem, veluti informationis, &c «omingcre pofTet, vrafinusbiberet Safultentationis, cft in hoc alio przdica«ramentum;yflz funt, inquit Doct,Qb;e  mento;vadé concludit in fine (c&ionis &iones, € fubtilitates Bernardice, «7 babitum dici penés illas res, quz adiacét uidé fat15 afimins timédo, neafinusbi (übie&o adinüar forme,. et (übie&um pe Sacramtntü,fed planénon mintsridicitur illasin (c babere, et veluti (oftendiculac& dubitatio própofita deSimia. tareranquam formas, crgo et ipfe Auer. 213:In alio igitur fcnfu magis digno   (a nefcjuit aptiori modo hoc predicaexplicanda cfl conflitutio iplius predica» mentum conftitaere,quàm per vnionems gnentj,vt nimirü per habitum intelligatur et hanc intormatiuam. babiieilla mcdia, qua fubicctum dici (oEt probatur valida ratione, quiz Jet haberc formam,itaut ad hoc przdica vnio praertim informatiua digna eíl vt ancntum fpe&tet omnis vnio abíoluti ad . eifpcciale affi gmctur predicamentü nec . Abíolotum, omnis re[pe&us fubic&ti ad  valet;quod comuniter aiunt,pertineread imam, et écontra,omnisdcniqaerca przdicamentü forma; quam vnit,.& nosconexio inter partcs adinuicem, lind  uum przdicamentü non conflitucre,quia eíleniales fint, fiué integrales ;íta valdé   eft modusimperfc&us. Non valet 5 tuay egregié explicuit hoc predicamentum; quia vnio eft perfc&ior, quam fit a&io; ac íciió dimi(lisnugis, Bonet.infuis prz quz cft vnitio,cum actio lit viaad vnioe dicam. libel. 10. vbiinquit qnod perar n&, et tamen actio conftituit predicamé matin c[fes «7 calceatum cjJe ml aliud | tü per fe ;tum guia i vnio ponitur in prat intclicxcruns progenitores noftriyquàm   dicamento forme. ynit, obc vDiOECRD, et copnexioncminter atas, xioncm quam t Cü cà, pariróne, et Ld corpus, inttr calceamenta, et pedes,  actio non conilituct [peciale pradicamé Jjuod de illa connexione cxtremorum  tü, (cd po in przdicamento formas 3G diuiforum exemplifiárunc quia n9. «uiusc productiua op neceísariamcone d mopio-dicamento, vt importat cx equo form, (0 Que.De Qu. let; quod inquiunt aljj, [pe&are ad przhoc, ictquiaintrinfecéper tinetadeiusintegritatemnecte ndociuspartes,nonlicauteactioproductigaeius. Namquandoidconcedereturdefübítantialicompotito,deaccidencaliramenconcedinequit,quia concret accidentale non ponitur in prae et (ubie&ü vnita;fic .n. eft ens per accidens exul à przdicamento ; fed lolum vt importat formá connotando vnioné, et fubie&ü; ergo inueniendü cft pradicamentum, 1n quo per fe ponàtur vniones, (alim accidentales ; tum quia ficut ocs a&ones quantücüq; lint ad diuerfos terminos ; adhuc talem babent inter feconuenfentiam, vt omncs in vna recludantur cathegeria, idem pari modo de vnionibus dici poterit ; ác debebir. : aig Hocaurem foppet quód vnio debcat, et poffit dirccté ; et per fe in aliquo cócludi prz dicam. probar indu&ionc Bonet. (ub. nullo ità proprie contineri pofiet, ficut fub ifto, na ad predicaméta abíoluta fabftantiz, quantitatis, et qua». litaus fatis conftat perrincre non polle, cum fit effentialiter relatiua; eft n. nexus daorum, et implica: vnioné ;ntelligi ad fe, et conceptu abíolu'o, non ad przdicam. rclationis, quia non oritur ex natuta cxircmocum, [cd corum applicationé petit vt iofürgats nonactionis et palliotus (licet probabile id Scotus indicaucrit 4«d.12.q.1 C. ampliando rationcs corü) quia vnio actio, qua agens vnit formam cum matetia, et vnü cxtremü cum alio, et alia ab voione formali, qua ipfa cxtrema vniuntur, cum hzc fit terminus perillam prodo&us ; ncc paffionis;quia à paffione v. gdicitur. fubic&um calcfa» ledab vnionc caloris dicitur cali5 im qua dcnominatione exprimuur 5 et informatio, non autem cife, ac inefle quieto: ad agens. Nec Vbi, vt ar Mait. 1.d.29.q.1.art.5.0b im fentialitatem f. em ad (ubiedt informatio aliquid amplins prafcatialitarem, et poflet Deus animam intimé corpori prafentem per. ji fimplicem a(fiftentiam, quod ta animaret, et Intelligeutia poffet diciCelo vnita per informationem, quía cít ei intimé pre(ens. Nec fitus ob eandemrónem,ac ctiam quia fitus cft corporum, at : habitus poteft etiam reperiti inter ea i, quz non (unt corpora, re(tat crgo, vtreponatur in przdicam. habitus, &ratio.   nabiliterquidem vt ax Baffol. vnio formz ad (ubic&um eft aliquo modo derehicta ex adiacentia accidentis ad (übie&um; vel. potius eft ipfamet adiacentía talis, et quidem Gilb. 1pfe tecé(ct in hoc pradic, album e(Te, et quantum i zc(pe&tum fübic&ti ad albedinem, et quàtitatem ; et talis ynio formz ad ubicàü cft, quz veré contt ituit hoc przdicamé tam, potius; quàm vaio rc(tis ad ss quia illare veractt modus fuperadditus extremis, vtprobamus in Phyf. difp. g . q.8.art. 2. ron autem iíta, vnio namque veftisad corpusnil pror(us addit reale. », fupra intimam preícotialitatem, et con tactum, quem babet ad membra : de hac tamcn attulerum (pecialiter exempla a, Fhilofophi,quia peculiari quodam modo nomen habicus illi appropriarur ; veftis n. populariter. dici folet Habitus; Ad ueríus hanc reíolutionem quzdam obij cit Aueríaq. 21. i/hyf, C:ct. 5. que nos diluimus loc.nunc cit.q., Scd à ex d &tis conftat ncc ipsi aliter. poaniífe cde dcnomiauonem predicamcnti huius, quàm per modum vnionis inforinatiuz, eieQ] quadam fi tie quantitatis, latiuà tantum o 1 n XE 2 2s T ERES ro A cialis ebd  y | " 9x n i. Tot JU . qtAi: i MU 3NwcC d Ou duteghp ouch DU Ahi BMgLr oor ctia AME P. ioi sons uie. 0 PETS iru RO n. £u T w n E E» T i e d "un N  v. 295547! Z 0f 6 dicamentorum quidditatibus, € paffionibusg «d iungit anf que mulzem c evuntad ipforuna.  cognitionemsqua ratione Pofipredicamenta dici confueuere NIA sut aut numero quinqs OppofitayPrias, Symuly Motus,C Ha | bere,Conducunt. vtràh  quopi«im de bis quinq. inillis mentto faffa efl y de oppofitis .n» m] ContraridyC7 relatiu? mentionem fecit Arift or pradice[ubfl a di dixitynibil contrari? jllis opponi, magnam, Gr paruumreniinpredicam. qualit,dumeruitbaberecontrarium: de&cquinqadpredicam.intelligentiam, iorisfimulmentionéfecitinpredicam. velationis,cwumpofuitrelatiwafimul DenedemotufattaeftenisXrdageretQpati,namnonfitaddioy:T! n € [ € p«ffio [ine motu: babere: ddr ied diuerfos habendi m. menborum trattationem cogni iantyquia vt notat Jguer[a Tom ve MG conpderanut, cognitionem vltimi predicamenti, dos ad illud pradicam.teducibiles. Doflpo[uit ta toni predicamentorum quamuis ipfi maximé in 4.12, Log. in prefat.bec coliueniumt rebus,non qui« [; in ordine ad aliudyvt patet in primis tribus,qu& unt quedam rerum comparattones, at cognitio ve eG na alicutus prafi tco pande lutam Wim ocet Seal. Mong G.Et quia de motu bic non. wifi cognitionem quandam nimis copfu(am tradere pofiemus, cum eius completa tratiatio fit pbylofopbica, quam tradidimus iam di[p.1 y. phyf. per totum, deba bere autem préter eaque adduximus in prced.di Jpqvlr. dum de boc predicam. egimusynit aliud dicédi occurati idcirtà foli de primus tribus í preséu erit fermo» De Oppofitis « 3 Ppofitio, (i ampliffimé fuma tur, conuertitur cum diftin &ione, et diuctfitate, at (i comuniter accipiatur,cader eft cü rcpagnantia,proprie vero eft quid firi&ius ipla repugnantia; et ab Atift. hic diuiditur in quatuor fpecics,.f.in oppoli tionem cotraciam,relatiyam, priuatiuam, et contradictoriam ; vt igitur propriam rationtm vera: oppofitionis cognolca mus;dcbemos inueftigare naturam gene tis, quod cft repugnantia, per quid ad oppofitionem propric dictam refiriigé tur;(cd prius aducrtendumsquod hic non loquimur de repugnantia ; et oppofitio ne complexorum»latis.n,diximus in 1. p. ipft. cract.2.c.7. et gifed dc repugnantia uminc&mplcxattun ; et fimplicium ; nage ft(crimo de oppotitionc car d, qua jn prz dicam. rcponuntur, qualia funt ine complexà, non complexa, iL dnos Repugnantia igitur eft relatio duorum extremorum fimplicium, quatenus nte queunt habeve identitaré quandam fov malemyaut yéalem, velquatenuseidem  rei fingulari fimul; fecundum eandé ra tionem, c vé[petiu Eiufdem nequeunt. ine[fe. Dicitur relaripjquia repugnantia e(t quedam diuerfitas,& diftin&tio, qu formaliter cft reladio;& fi extrema ertmt rcalia,& cxiftécia,erit relário reat sfim  pliciter ; (i vcró vnü extremum erit non ens vel nop cxiftens, erit relatio realis fc cundum quid ; et fi cxtrema pollunt effe fine oppotitióne;crit relatio predicameé   talis, (in ancé,tranfcendentals iuxta dicta difp. praeced, dicitur diorgm extremos  ru [umpliciwm ad differentiam repogná tiz jropofitionum; dicitur quatenes nee queuat babere identitatem c. vt veput £nanua difparata,& comyoftib:lia com tchendaniur, vc dicemus ; additur, sel.  qua; ens eidem; &c, quia quadam funt   FE pon buectjoam reifiteidentid additur reifingalari quia vniifi yetcunaiter cdniucs communi albuni, et nigrum, dicitur fi. mi quia diuer(o tempore contratia pof fant eidem incffe;dicitur feciidum eand£ rscltetabariadaniga d .efle alba y 11 alia nigra ; ex 1ndi egerat ; téliopalifoeres vieles e cundum quod;ptoducit. fpeciem ; dici» nis(ufficientiamoffignat Doctor q.  przdicamnam oppofitioaliaeft fimplis.citer realis, cuius extremafanf entía i$ tutagens, vt eandem reci pit ; dicitur pa tiens; dicitur refpett « eim (demi, quia rc» fpc&u dracrforum idem poteft effe ma. £nam, et paruum, fimile et diffimile $. Quáuisauté oppofitaícu repngná« tia fo E dicam Veri lunda tnentalitertamer, vt dicunt extrema per  felationcm repugnantia relatas [olent di uidi in di(patata 5 et in oppofita proprie famptaexScoerduii.q.2. 00 Difpatata (unt illa, qua ita inter fe re« ftieaant y vt eadem cone indeterminate 5. et indifferentet cum quolibet alio diuer fo repugnent, vt liomo, et equu$ita pu« nant iotét fc vt codem medo, et indif, fcrentet qaodcunq;alid diuetfum refpi« ciant vt repugnans, nec habent aliquod ; cói [peciali modo, et determinate repu». güenc ; X bacíant duplicis generis y vt colligitur ex Scot«cit it, Daalia (unt;qua: (alüm babent incompoflibilitaté formas lem;quia vnü.aequi effe altecam ; vt al. bedo; et dalcedo, nam ratio albed inis nó «ft ratig dulecdinis;alia funt qua habent. . qaoq.incompobilitatem fubicétiuam;, neq»in codem poliunr efie fubicctos. veduz torma fubflantialc$ dicantur euiá. difpakaxé rcpugbarc ; quia ecbab ccdemt: fübíeclo munuofe cxcludant shac temet ratioticind:ffcrenter refpiciunr quamucüs que forgram jubfiantialem nondubordis M os eg tpeciali modoà tue bic&todctermunaté excludunt . B 4: Oppolita ptoptic d.éta dicuntar il 3 1a uz tpcciali hoceitdetermina   ponunt te, fe iens sor a t nona. (c habeant ' A a4epugnantiZsv [esc Ct $adcuidSin dinc relpiciat tanquam à vcl igaem; itavt pe AV NER 2 Min n fpiciuntinrepugnando: Horum atttem oppofitorü qu [a icraaffigrat Arift.nam aliqua funt oppa  fita contrarie, alia relatiué, alia pridatie ue, et alia contradi&totie ; cuius diuifio« eodem gencre contenra;& Lio:ir;aut vni. te(picit aluid y et fic eft óppofitio relati ua5aut nop;ctüc eft oppofitio contraria z: alia oppofitio eft fecundum quid tealis quatenus vnum extremum eít rion ens ; aut nullum fibi determinat (abie étum,& fic eft oppofitio cotradi&toria y aut determinat fibi aliquod (ubie tum, à cit oppofitio priuatiuasA Iteram fufficiem  tiam tradit $. Met.tex.com, 15. quía ope pofita; vel ponunt fc, et fic funt relauua qu propter mutuam tia (imul fugt,& nog (unt; vcl fe excladunt& tüc. vel vtramque extcemutm ponit aliquid y. vcl nihil;ti primum (unt contraria ; quee dicurt duas naturas pofitiuas (ub eodear genere, (i alterum cít niliil, vel eft nega tio impliciter, et funr contradi&or:a y vel eft negatio it fübiecto apto., et de terminato, et fant oppofita priuatiué, Dchisquatuor gencribus cft agendum,. ATIDeVITSRE Relatita, C contraria oppofitio |, o declaratur ; " $ [he Atift. à rclatiué eppofitis à "A quia minus oppontntar, et ait  g» oppoíita rclaiue ea Juntsqug idsquod sut oppofitori e[Je sant aliquo alio modo ad. illa dicuntur, hoc cft illa dicuntur rclari ud oppotitay.jnz (ecundum id; quod op ür,ad jnuicem fe refptciuntquod non «Oucnit alijs oppo(i us, quia licet vt oppoütum fundat oppofiuionis cc fpe&tum ;tefpiciat aliud oppofitumynam albü dicitur opponi'üigro, tamen fecan dam propriamentitacem nO refpicit, nec. . dicitur adaliud rcferri vt album non di citur nigri albü;at relatiué oppofita fam damentáliter accepta, hoc eft du proprias end arcte fundát oppo itio" nem, ad inuicem fe refpiciunt, quia (unt rclatiua y fic dimidium non folam dicitur   oppofit tim dicitur quoq; n7 inm dupli ;quod genus oppolitionis fa tis rire cf difp.8.q.6.ar.5. in fol. ad r.vbi ét innuimus;quo fcn[ü conueni 1e poffit omnibus telatiuis tà &quipara ziz,q difquiparantiascfto in iftis clari au ac &t nó folü rclatiuis mutuis » fed et nó mutuis, nà de his quoq. cxépli ficat hic Arift.5. de (ciconia A loibilber  quocollipirur non tantü dari oppoficio mem rcelatiuá formalem ratione rclatio num, (c4 ét rerminatinà vt ibi diximus . pofita contrarie dctiniri poffunt cx. his, quz lic habet Acift. et yo.Met. cap 6. et alibi, quod (int forzme reales, qua fib eodem genere maxim diflant, ab codem (ubietko mutuoje expellunt y &ui vicifim fucceffiue nata [unt inefJe wro cuins definitionis notitia fingala patticulz (ant examinandz . Primó di citurquód fint forme reales, pet quam qrticulam differunt à priuatiuts S con &radi&totiis, quorum vnum cft non ens . Vbi nota: quód conrratietas aliquando: sumitur laté,vtcaicun]. oppofitioni có enit ; fic r. Phyf. 42. et (cq. principia ; ? [unt forma, et prinatiosdicürur có aria, terminiggolitiur motus, vt dux. «juantitates, difó V bi dicuntut contraria proptez incontpoffibilitatem in: eodem fübiecto, et tamen numero differunt, fic xo. Met. 2 4. mafculioamy et fcaiininum vocat contraria ; dua forie (ubftantia kcs, quamnisdifparatcopponantur, ali ando dicantur contrarigs quare hic in riétiori acceptione (amitur y proat ab: &lijs eppofitionii gencrib.códiftinguit. 6 Secundo;dicitur fiib eodem generes quod aliqui. imelligunt de genere. i/byli €o, (eu fübieéto, non dc genere Logico; €nia nlt formayctiam praedicamento éiunct z y contrariantr y vi calefadtio, | cid mtt] pepe " ceffario proximo, fedvel proximo, vef     poniodd es ed   QARMUEA WT RU S remoto,co quia hic recéet, Arif. tam at bediné, et nigrediné  füb eod& genere proximo, dubel virtutis y et vitij, qui genere fübalterno communi gaudent .f. habitu ; alijtandem reftrin« gunt ad genus proximum, quia: fi vido fentire Arift. 1o. Met. 13. et 14. Scd: non eft à fecunda fententia recedendum; que communis eft;nam cum debeat cffe mutua tranfmatatio inter eontraria,non: debent prz dicamento di fere, nunquam: enimterminusa quo pofitiuus in motu differt icamétoà termino ad quem» imó funt aliquando Har ce fpeciei i» et inaugmentationc.Nec vrget.quod "lcfadtios& frigus fint in Moe iom dicamentis,quia calcfa&io non ex fe có» tratiatur frigori; scd ratione proprij ter mini .f. caloris, à quo fpecificatur y for mg autem contratiz cx (eipfis debent op» poni;cum igitur debeant effe ciufdé pre dícamenti, nec neceffario debent (ub ge nere proximo effe collocata, vt paret in exemplo adducto;& in mille alijs dicen" dum erit hoc genus vcl. proximum., vel remotum (ignifi care ;. Acifk autem cir. locatuseft de contrarietate nonin tota: amplitudine, fed'de illadeterminata,qug:informiseiufdemgenctis' reperítur.Dices, Arift.hicaiecontrariaaliaef.fefübeodemgenete, vtalbedo;&niztcdo,aliafübdiuerfisgeneribus, vxiuftitia,.&iniutlitiaaliaelTeipfazeneravtbonum, &maluimyergocontrariapotesrontpredicam. differre.Kefp.Ammo;perzenecaibifamcre Aritt.nonpesicamenta,vclpropriagenera,namhaecbono;maloMRconueaire,. (cd: metaphoricé pro: quibuídaav conditio« nibus generalibus . quatenus: quod!ibet. contrarium refpeótu lub:eóti vel eft coni ucniens;& haber cationemboni, vcl di« fconueniens,& habet rattonem mali, Vel ; dicendumcum3Simpl. loqui ad mentem Pythagor. ponentium bonum,.& malü» vt duo principia vnucrí(alia rerum 7 Fertüo,dicitur pax im? diffantyper hie aon jnclugitar. Di Opptfiierelarine eo tóytrilée Art. 045 tieritia; n eirius contteniunt MS yquàm alburj& nigcrum ta fnehbomo, et album non di H con etàtia,fed inte a, Gcin Ms ito ieri i t vd. L.c c E r io metap V Mr Godcln re: locali datur principium;niediumy et finis, et princi Dium, et fnis maxime imet (e diftant y inm cum medio 5 fic in cwm m genere repugnantibus dantur i« sisse mend in illo ot5,86 generey vtin 'coloram albédoj& nisrédo y inordinefaporü duledo, &' amaritudo ', quz fe habent vc | finis. antur quoq; (apo« es;& colores medij, qui non tà diltant, ficat prittir. Qui maxima diftantia cft daplex, alia mepatiua ; vt in illo ordine, et senere rion detor alia maior, licet alia ficüilis, et zqualisdetut quedam veró dicküt trixima pofftié y quia (ola repeicut iníllo c vt talia maior, Téc eifdem tationis, hlc tàm pofitiué famitut q negatiue y nam in quaTitatnm cangibiliüm dantur or pri« ime qualitatescontrarie, » et frigus, humidum,& iccum   "$ed pro Weise pues o m Tepu ia eft duplex alia effe&uiuzza » alia formalis, prirba eft qua vna res alteri repugaat, quia poteft producere ctfe&tum illi contrari y vt tol dicitac fcigori contrárius et repugnans cffcétiue, quia potens cit. producere colorem, óc €alor in izne die(tur cffe étiué repagnaas fc zoriin 1408 y; quia: petcit producere aloremitipfa aa 4: fepajbnatin tormalis e(t, qus duo inter. (tex: fuis ractoflbus formalibus y àn€é6gotlo?l-à y vt calor ivaqua, et frigus doerdem rcjusnant foraialirer ; n9 ctte€iué;vt cum Sco. 4. d. rXj.6. E. notauimus dif». s; PhyEq.3. att 3. €o quia talis tidy et expullyo frigorisà calo"fc prot jedia inlormatione, et per vexhibiriónem proptic entitatis  idcoq; fervente qal icon nalis; in4pceienci non 5 ceffecuua:, (ed "pro for mam 4oqarmat. de contra"Oei probi Myotc i cozc fübie&toy et per confequens vt (unt ipfi: usinformatiua, ipfiq; tribunnt proprios effectus formales? tum oy nicredo funt contraria non th'effectiua . Hecauté repusnaticia formalis eft maltiplex, pra'fecmapud Scorumy nam primó aliqua dicantur formaliter repue re quando fimpliciter, omnimoe répagmont, icatic nallo modo per qui. cunq; porentiam fimaletfc poflint,. nof folum tn fübie&o, fed nec etiam in eos dem inttanti ; et hac repugnantia repite a H : E gnanccontradiGtoria, quorum rationes formales., quia confiftune incxclu(ione altét(us oppofiti, nunquam poterunt efe fe'fimilin eodesi inftanti, et de hacre pagnanriía formali locatus eft Scotus 2. d.2.3.9. Q: vbi ex oppotitione formal intet (fe Caloris, et non c(fc eiufdem te» perta €olligit incompollibilitatem eos tumia eodemiaftanti . Secandó,tormaliterrépaenant, qua ex (nisrauonibas. fotmalibus nequeunt in vnum per (2 cons denire, neq, in perfe cópofitionem alicuius terti] etiam (pecia quacaaq; po tentia vt homo;lapis, forma difpacitz y &c. qué ità tepugnant, vt prarícindondo dquacunqi potentia, adhac iacellettus dininuscoguofcit idi pfis hanc eopoffibilitatem 5 et bzc repugnantia minot eft prima, n3 [us hoc modo repugnant » poflunt n codem tempore cíle;acqsita-» (e habeet-immediaté, vt (tatim ac ali» quid'àb vno iftorilar cecedit, fic (üb op». polito, vt nonftatim ac aliquid c(t non homo; e(t lapis; ficut cuenit in. contradi&otijsjin quibus tratiqu:d ab e(Te alie cuius tecedic, (Lati eft fub non effe op polico,vt notat Bio&. 4.d. 1.9.1. F.& T. 8:5. 7: et de lc repugnaatia loquie tur Sco. 1. d, 43. E«dam ait;aliqua entia eíle ia fe ipis poffibilia ; fed formaliter incempotlibili s vc non pallint cile fie -fríal vnum; velaliquod tertium ex €is; fcd. "hiec incompoftibilitas non eit -inordine -adidea (ubiectum; fed in ordiae ad cone ftitit ionem vnius per fe. "Tercio formas "Mtet tepoanánt, qti ex fuis rat;ionib. £ocenahbus fpxcraliaodo opponurur vt non um alijs.co.lem niodo pagnent., cx4no Yequituc incocopoflioras nvordiacad.fübic&um idem, quatenus vmum natum eftaliud cxpcllere ab codem fubie&to quomodo loquitur Do&.r.d.7.cic. &. in 4-d. 49.q. 16. B. negat duas dimenfioics adinuicé formaliter repugnare, quia veré vna quantitas non opponitur alteri, fint cioídem fpeciei. inde alia €f foumalistepu, tia, qua duo repunant ratione e d eet formaluin, fiué (imt primarij (iud fecundarij, fué cx (cipis formaliter repugnent, fiue non; quomodo intelligitur Sco.4.d. r. q. $« F. cum ait contraria, et dimenfrones. feinnicem formaliter expellere, qui modi ita (unt (übordinari, vt primus infe1at alios, fectmdus tercium, et quartum, et tertius quarcum,non € contra; et hac diftin&io c(t valdé not. multum .n. infervit ad lib. de Gén. cum de compoffibilitatc contrariorii in codem fub.eGo agi« wx « Hic formalis repugnantia (ümitur tertio modo; nam prima conuenit come 1radiétorijs tantum, fecunda repugnantibus difparatis, quia c(t repugnantia indeterminata, quarta non cít proprie formalis, fed ratione effe&uum . 9 Solet adhuc dubitari, an dc rationc €ótrariorum (it maxima diftantia, an veró mtutor (officiat ; et fi primüalferatur, fola cxwema dicenmr cenccaciaynon mcdia . Sed faciliter (olur. poc diftinausez do «um Recent. quod cótzaria alia su: petfc&ta;alia impcrícCta, illa tequiccre maxi mà diftantiá)de quibuslocutus eft Act. 5. Met. 15.& 10, Met, r4. dim per banc maximam diftantiam definiuit Cotraria jmpcríe£ta veró no expofccre hanc maximam diftantiam, fed minorem íufficeze,vt Cottariadicátur,(icur medium;quáuis nódiflet à principio y vt diftat finis, nó obid:tamen abfolute negatur diftare. Exquo liquet folatio: alterius dubitationis,namex hoc quod contraria maxi« mé diltant,inferur vnüxnonnifivni corttraciaci poffe, non pluribusquam conditioncm aflignauit Acifl. 10. Met14. et feq. loc .n. ctt vniuer(aliter vcrü de cótracijscxtremirs,nam maxima di (tantia.us folum ioter duo cxtrema verfathr, at có» varia imperfcéta non neceffario requissnz hanc conditionem albedo .n. licet De Fofipredicamenis: 7 foli nigredini perfe&é conttatietlit, i1 perfcété camen rubori, pallori, &c. kü aliquando plura videantur extrema con traria,n: inusad vnü gcnus poffent teducivt error opponitur (cientiz,& o« pinioni, gencrice verocognitioni veraz: ira yes crap 1. Alij hanc RE. tionem exponunt dc contrarietate ada» quata; non de iradzquata, fic liberalitas inadequaté opponitur auaritiz, et pro« pori v d ga comm » uni « Aiijaliter explicant,quód quando oppo fitio cft fecandum am me iiid ng nifi inter duo cadere poteft, at fi eft. fi cundum diuerfam rationé; fic plura pote runt cidcm opponüisprima expofitio fun damentum habct in Aritl. ibi » et inSco incomm. nam Ari(t, ex hoc ; 'Cone trarictas cft perfecta, et maxima differe tia, infcrt vni nonnifi vnum contrariung   Senis amuis imn re parum differant iftz expo 10 Quarto dicitur abeodem fubietas &c. hisverbis cxplicatur effe&us formae liscontrariotumsquz cft cxpulfio abeoe dem fübie&to;& notanter additur cui fa men vicifim, &c.nam noncx hoc,quod aliqua forma: nequeunt reperiri: fimul im codem íubiedto, dcbemus.argnere conxrariaseífey.qu iapotcritprouenireexfuebicdtiincapackate,vt cttalbedo,&c.imetellectioyquxnecfimul,nec.fuceeffiudpoffunteffeiníubie Gtoeodem;quarerequiriturexpulfioquidemformalisàfubicéto, fedcumhocquod! (übie&umilludficviriuft;capax... Not.etiàexSco4.d.49.915.Bquodhrecexpulfionon:debetintelligidequibufcuuquecontrariacceptisfecundumnumerür,necdeqjiocunquefubie&ocodemfecundürnumerüsquiaalbedohecquzeftinA.&bacnigredo, que c(t in B. non. potum nec ia hoc, nec im illo (c cxpclleresalicet migrae rept de (ubiccto in fübiectumr, et tamem contraria dicuntur,quare fafficiz, vt iftud! verificetur de cóirarijs fecundü. (pecie acceptis,quatenus aliqua: albedo, et ali qua ni poflunt. (1b: faccedere, nom idem: inome, fübiecto y aliter nullum wbic&tum determinarer (ibi vpum cone uariorum; fcd.in aliquo mM  ua[t. 1. De Oppofitis velatiué, ey) contratic. /4rt.I. 7 45 : addendum non fufticerc, imó nec re quiri ad contratietatem ckpulfionem nu fneralem,nam duz albedines, duz intel le&icnes numero diftin&z funt in codé fubie&o i ncompoffibiles,non tamen có rrariz dicuntur 5 proiode iritur exe Dei et incompoffibilitas f pecifica, . i. uarum formarum fpecic diftinctarum .  Infüper not. quod hac expulfio poteft dupliciter accipi vel aptizadinaliter;qua tenus quodlibet contrarium natü cft op eem expellere à fübieéto, vcl actua terquando .f. a&u expellit. Quidam vt Tat. in Poftp.q.vn$. Secundo f ciendum, fuftiné hic intelligi de cxpul tionc a&ua li ;at quoniam vident contraria in sradi bus remiflis fimul reperiri, v: patet de aqua tepida, hinc negant hanc expulfio ncm conuenire formis contrarijs in gra dibus remiffis, fed tantnm in gradibus in. tenfis ; et confequenter folum in gradi bus intenfís cíc repugnantes affirmant, non in remiffis, nec ex faisrationibus foc malb:s. At quia ex proprijs rationibus formz repugnant, et non propter graduü intenfionem, album .n. vt «num veté ni Ero vt vno opponitur ; potias eft dicendá expullionem aptitudinalcm effe effectum contratictatis, actualem veró effe acci dcas feparabile, vt eft de rifu, et ri(ibili tate;(cparatur autcm propter aliquod ex« trinfecum impedimentum ;qualis ett il limitatio fub:ccti, quia .n. quodlibet fu bic&ü eft capax qualitatis vt o&to, pro pter iftam capacitatem poffunt reperiri im illo quatuor gradus caloris,v.g. et qua tuor frigoris, vel quinque caloris, X trcs ftizoris ita vt o&auus numerus non cx edatur; idcirco calor, et ftigus itadinem ad repaugnandum,quod euc fiirety fi noni gradus adderentur, vcl ca pacitas fubiecti refiringeretur . Nonne Pu tfi dari qnoque formas aliquas in imibiles, quz séper a&ualiter querunt ex t femutuó, yt duz :ntellectio tz; de his fufius 1n lib.de Gen. 11 €$, Sco, t.d. 17.9.3. V V. ait; in cópoflibilitaté n codcm tubicéto quali tat bus intenlis conucaire, non remitlis Kety. Scotü, vt patet ex dictis ; abíolutc on repugnant actualiter ; habent ramen repugnantíam hanc vocate formalen: 5 . cipue fü 4d.49.q 13Asquod non c( ct verum, (i lolum ratione graduum op  pagnarent; quare dicimus ibi loqui dc a&uali expalfione, vel arguetc ad hoíeme Deinde Arift. diuidit contraria in im. mediata, et mediata, prima funt; quz ca rent medio, et quorum alterum neceffa rio ineft fübic&o capaci, vt (anum, et a ü re(pectu antialis, fccunda (unt, quz abent med um, et quorum alcerum noa neceífarió inett (übiecto capaci, vtalbi et nigram. Doplex vcro potctt a(figaati medium inter cootratia, primum per nc P: excremorum, vt iarer amicü, inimicum, qu: fant conttaria, datue medium, quod ett non amicus, inter er  rotem,& (ciétii datur ignorantis, et in fansnon dicitur temperatus, nec iacépet ratus,(ed non temperatus. Secundam per participationem vtriufq; extremi, quod potett euenite,vel per veram mixtionem cum permanenia entitatam vtriuf.j; ex tremi, vt tepidum dicicur medium intcr calorem,& frigus, et qualibet qualitates contreriz in gradibus remi(fis ; vcl pct €  apparentiam, vt notat Scor. 2. .15« van. B. vt fant media fpecie diftin €a ab extremis, quz dicontur patcticipa re deextremis, nonquia realicec cx iilig cóponantur, fed quia magis conueniunt cua extrem's, quàm extrema intct fe, vc colorcs medij interalbedinem,&nigicdinem,vi rtutcsvitijsextremisoppolitzuoadeflereale,&phyficum,vtliberalitatishabitusdiciturmediusinte rauaritiam,&prodiga litatem,nama(fimila.turauariti z,vtprohibet(umptusfüpecflu os,ro»vtprzecipitnecelfarios,yideSco.q39.przdicam.TrinatiuayCcontraditori aoppofítíoexplicatur.11Epriuatiu£oppofitisplutadixi D xs d.4. Phyoq. 1. et 2. 1dco hic pauca dicemus;defiout [oiécilla cíte,quo ri uii cfl prinatio alteris, 2? aieru cfi babitus,jen forma, v7 baben: ficit cir £a idem jubte lum tev.pove d n itwra dz Kkk 2  c«448 Pe Poflpradicamestiss  5 "terminato; vnde vifus,& furditas nó op ponuntur priuatiué, quia vnum non cft priuatio alterius, nec habent fieri circa idem (ub c&tum; ncque vifus, et negatio eiuídem in lapide, quía et (i vnvm fit al terius catrcntia,non tamen reípiciunr (a bic&um commune; fit vtciufq ; ca pax ;.nec vifioy& eius negatio in. catello antenonum diem dicuntut priuatiué op polita, quia cci (ubicclum ex (e fit. ca paxinon adeft tamcn tempus detérmina» tum à natura, namante nonum diem non dcbetur viíio catello ; hinc trcs requirun tur conditiones ex Sco. 1.d.28.q. 2. B. vt fint circa idcm fubic&um,; vt fübicctum fit viriufíquc capax, et in tempore detcr minato à xaiura. Ex quibus fequitur con tradictoria à prinatiué priua gos diffcr &c connotato f. fabic&to apto. ; itemin ter priuatiu£ oppofttà dari pofíe medii, «Lin fübiccto nó apto ex Sco. 2. d. 41. D. dc quo neutrum affirmari posit vt. lapis nec eft cecus, nec videns, 13 Addit Arift.aliá coditione, et pro. prieratem,.f.quód quamuisab habitu ad priuationc fiat progteísio, non datur ta mcná priuationc ad habisom regrefsio, uz tamcn conddo multas patitur. in antjas,nam non videns modo fit poflca videns,aer tencbrorfus fit denuo lucidus, non calidi pote(l de nouo acquirere ca lorcm; quapropter ait Doctor 4.d.43.q. 3. T.non efTe conditionem vniucrfalem., fcd patticularem. Di(crepant autcm Do Cotes in afsignaticne regulz qua digno fci poísit,à 4ua priuatione pofsit fieri re greíTus, et àqua non Scot. cit.ait verifi cari in ordine naturalis gcncrationis fc» «gndum dcícenfum, quia poft priuatio ncm ibi non tedit habitus, quia non redit forma immcdiaté prcedens iliam habí tum fecundi otdinem generationis ; hoc cft) dantur aliquz gencrationcs, quz or dinatim multas alias pratequirupt, 1tavt genita per illas nón ex quolibet, fed ex aliquibus determinatis expofcunc ficti, yt accium y vt fat, preccquiat humorem à tcrra proucnientcin in vite qui deinde jn luccum, pefica.in vinum copuertatur, et tandem io aceium ; lic burritio multas przexig u (ubltantialcs mutationes ali GEHE hcm TED baie uv Rt Appio oi s leindc in carnem, per nutritionem. conuettitur ; quando crgo natura in c« neratione. alicuius ordinaté. procedit, quati afcendendo à forma. imperfe&tiort ad períc&iorem,fi forma polterior rece dit,non datur ad illam tpcieonia de (céndendo natura non inducit for mà pt uiam, v g quandocato corrumpitar .cx (anguine aggenerata, non potcít de nouo forma carnis tcd:rc, quia neq. forma fan guinis redit, quz imincdiaté przceíferat ad carnem ., fed ncce(farió deberet ficri refolutio v(quc ad materiam primam, &c denuó per ilas formas prarequifitas quafi per quoídam gradus afceniere ad forma carnis. In poft pr. vetó q. 41. alias regulas afsi «quod priuato alia pri« uat;ícu tollit folum actnmsalia a&um,&. potentiam ad a&tum, à prima cít rc h [ioynon à fecüda, vel priuatio alia e(t ha«, bitus;cuius principium cft intrinfecü,vt. escitasyalia eft forma ; cuius principium cft extrinfecum, vt tenebra in aerea, pris ma non eft regre(Tusfed à f(ecunda;cotta, quas inftant Conimbr. contra primam s nam pct potentiam (i inteliigitur vitalis y cÍL vcra, at patitur inftátiam de atu, qur : ftatet pro qualibet alia forma, nam cal aus, et edentulus non amplius acquirunt capillos, vel dentes, et tamen babent po tentiam foloq. a&u carcat . Contra fecü dam, quia frigus inaqua cft à "em interno, et tamen quando cft calidi, ad huc redit ad priftinam frigiditatem . Scd potcft dici per potentiam intelligi potea tiam proximam fübicé&t:y quz tunc aufet tür, quando cft cam diípofitionibus po« fitiué contrarijs ad areeros forn nam tunc fubicétum vo. mafict proxinic apti erga fotinà,vt eft ip oculo noxio h:t morc grauato, nofi lic quando potentia ifta noncit impedita, vt aer tenebrofus, Ad i.regulam verifica, quando ptinci« pium inicrnum leditur,non quando in tc2rum manet, nami claudens oculos di exor non yidens,fed porens videre. Oppolita cótrad;&otic [cu negati ue funt illa, quor&ta v um, cuna Jit. Y6$ 9 aliud e[t negatio eiv[deim $ velyt al) dzcantfum que fecundugraljirtsstiouefi  ; iul C udes  £ k v. A b D (HEITP C NU. T PR ir iedationem ópponwntur;vt federe,nó federe; lapisnon lapis;qua rationc diffcfunt pridatiue oppofitis ; quód hac nccffatió connorant commune fubic&um capax illa veró à tali fübie&o praícindunt.cx Sco.1.d,28.0.2. C. Contradictozia fant duplicia, alia complexa, et fint gropofitioncs contradicentes » yt Petrus «urit, Petrus noncatrit» de quibus egit Acif.inlib. Perierm. alia incomplexa, et fum termini cótradicentes,vt animal, nó animal, de quibus hic agit Arilt.illa, vt contradicant,prcipué debent pro codé infáti (umi, i(ta veróvt notat Scor. 2. d. 2:q.9. R.abfoluté süpta pro quocüque t€ pore cócradicüt,Verüv texa&tiuscótradi&oriorünaturáindagemus,tria(unt€xamináda;anpoflitinteripfadarimediü,ecundosan hzc oppofitio fit omniü maxima:tertio,an ad [aluandam contra-di&ionem fufficiat virtualis diftin&ió, o ad primumynon eít fermo, an inter Contcadi&toria detur medium (ufcepuiuum vnius ex contradi&torijs, velv1riufque fuccefsiué, hoc.n. ab omnibus admittitir, nam datur fübie&tum,dc quo vcram erit affirmare, vel negarc. alcerum ex contradictorijs: (ed quzritur, an poí(fit dari medium aliquod patdicipans de .«ontradi&orijs extremis;aut per abnegationem vtriufque, itavt neutrum conttadi&orium conueniat illi. Dicimus,quauis inter incomplex contradictoria fumpta cum aliquo fincaaliegoremate in propofidonib. pofsit da£i medium per abnegationem vtrial-que extremi, inter ipfa tamen abfolute [umpra; fiae complexa, iueincoinplexa ncsuit. dari medinm., nec per paricipatio; Aon»ncoper abnegationem exiremorü . -IKKonclutio doeciarà $0.4. Miete qe 4 et » 3diaiq.7. kk. et d.4«q. I» E. et d. f9. I  xL.qué ie. juun:uc Scotillzyvt Ant And. 4Met.q.ó Zeib«quá. Laucnt. ybi. dil p. E. fuse proie Armic, Bier. dil paga 3e 1. e[tque €o. nis.Pri"Nom dictoribucerbulepoem cest ia f unantur 1n propoli; aione:dum aligáo fongathc, orcipacc;pro -batüc uam cosáditkoria meom plcxa ; vt Àiomo; et nonhomo, vcre dicus: conCut ux C Logigts : .ne acquiriquia non Q.1, De oppofitis priuatiud, 9) conradiél./Ari.I. 749 tradi&oria ex Sco. 2.d.2. q.9. Z.. etenim opponuntur, et noani(i hac oppofitionc z tum quia communiter dicitur, qnod contradictoria non ambo fimul, fed alterum dc quolibet praedicatur. ; quod nequit de complexis ver ificari,quia propo fitioncs non przdicantur, quareincomplexa süt vera eontradi&oria, et tamen vt notauimus 1.p.Inft.traét.2.c 7. ifl propofitigs ne$ (unt amba fal(z,animal per 7 eit album,animal per feefl non album,. nar fi alterum illorü per fe.conucniret, nün-.  quà oppofitum ci competere poíset, (i« cut quiahomo cíl per (e rationalis:, nune quam erit non rationalis, 2 16 Secüdo,quód intercontradi&orie abfolaté fumpta non detur medium: pcr participatione, probatur cx Arift.4..Mct. C. 4. et (cq. nam veli(tud medii dicetur de contradi&torijs participare, quia fit có po(itum ex vtroq. vel quia virüq. fimul recipere pote(t:non primum, quia nulla rcs ex oppofitis intrinfccà? componitur » e(Te, et non c(e funt oppofita : rum quia talis res media no poíset generari, et corzüpigquia cx illa, et in illà no pofset fieri mutatioshzc.ri.cftinter ens, et non ens, quorü vnü eft terminus quoalterü terminus ad qnem, qui nüqnam funt fimul, ergo fi illa forma de ente;& nó ente participarct,non pofsct gencratiua mutatioberet pro termino à quo,non ensfed pro termino ad quem, ncq.corrüptiua mutatione deperdi quia non terminatctur ad ró ens, quod potius císct terminus à quo,idé diceretur,ti hoc mediü ponctct quid pre(cindés, et eminenier continens vtrumq.cócradictoriüe . Néq. dicédum fecundum, quia f retur ambas propofitioncs, contradictotias e(sc veras.quod implcat ; (equelTa-patct,quia fi v.g» album; et non albü /imul c[sent inligno, císct vcrum diccrelignis eft album;& fimul lignum eld pom albü €x co .n. quod 1csceít, vel non cft, oratio diciwar vetayvelfal(a ; implicantia probawr:tum-quia hoc eft primü principium.» à quo omniaalia principia fciegriarü de.pcodenr, quo detlru&to, rucrenr omnes Acientia x oin quia nullg res habeiet deter minatany heads P quodlibet císet 3 quod-Quodlibet, nam fi v.g.homo eft animal, et non animal; quia non anima! eft negatio exita gcnus, iam homo cífet lignum, ciet accidens, imo chymera quia 1ftheec omnia fünt non amimal; tum quia oullas daretur &allitas in reb. lyzc .n. datur,quatenus rcs non ita fe habet, vt enunciatur, at [i contcadi&toria elfent in codem, non poffet res aliter enunciari, quàm fit in fc tpfa;tandem hoc 2 colligitur cx ipfis aducifarijs, nam fi luftinent hanc propofitioné etic veram .(.. inter contradictoria dari medium,& hanc cffe fal(am inter contradictoria nó dari medium, eo ipfo fatentur contra [eipfos contradictoria e[fc imincdiata,& medium nonadmittere, Migtumo; deberent concedere . Tertió, quod nó detur mediü per abnegationcm extremorum, ficut. datur inter privariué oppotitayoflenditur, quia 1unc ambas conjradictorias fequeretur €fic fal(as, quod implicat, fequela Prob. nam falfum ctfct album dc ligno affitmarijquia illud non habct, falíum effet alb de ligno negari, quia hoc effet tribuere ligno negationem albi, quam tamen fap ponitur non habere; et (i e(let verum, ià Ton daretur medium per abncegationem vtriafq, implicantia oíteoditur ij(dem ra tionibus,ac praecedens ; tum quia. natura «ontcadictoriorü cík,vc voum fit foi:naAliter alterius deftructi fi vnnm rc«nouctur à (ubiccto,nó itin fübicX ium effe, fed deflructum, crgo àn lo reperiretur oppofitum, quod torgis x sais rüctio. icessifte propofitioncs contradicür, :0mnis homocft albus,omnis homo non «ft albus,quia idem predicatum affira"uüz,& ncgatur de fccundum id€ 3 rcípcctu ciufdem, et tamen (unt ambae Kal(z. T'am fecundo, etiam coatratia imancdiata axedijs carent, ergo carétia ita «on cít propria contradictoriorum. Tum tcrtioanimal nec cit cationale uec irrationale,namcrus nec par, nec impar,'ens ancc ide ncc diueríum, quz videntur convradictoria. Tum quarto, ti inter income "plexa cum alix ao lincathiezgoremate dawur medium, «120 etiam vr abfolute fusunu, non .n.cít maior ratio hicquan Difp. 1X. De'Pofipredicamnis ibi. Tum quinto, quz folum pet in(tang » incipiant fi mul, et unt,erga habent fimul c(fe,& non eífe. Tandem cft grauiffima difficultas de propofitionib, dc futuro contingenti antc decretum di« uinz voluntatis, nam i(tz Petrus cras le» get; Petrus ccas non leget,non funt verz nec fal(z,quia omnem determinará veri tatem;aut falfitatem à diuino decreto ace cipiugt,à quo,vt antecedüt;prz fcindunt., 18 Kefp.ad 1.propofitionesillas non effe cotradi&totiag fed vmiuerfales cótrarias)ideo ambas falías, nam vt ait Doc. in Met. cit. adhoc vt duz. propotitiones fint contradi&oriz requiritur, vt: fübie&ünon fir aliquod cómune, quod in pla ra inferiora diftribuatur, quia tunc poterit pradicarü rationc vnius fuppofiti affirmari,rationc alterius negari . Ad a. illa cotrazia carere medijs in fubie&tis apuis,quia fe habét vt priuatiua, nó in ineptis, vnde lapisnec eft (anus, nec eger : at contradictoria vniuerfaliter carent. medio;hinc re&é dcfiniuit illa Axift. 1. poft. $.per non habere medium fecundum fc, Ad 3. differentiasillase(Tequalicontrarias,cumdicantquidpofitiuum,noncótradi&orias.Ad 4«ratiodiíparitatiseftvcolliziurexSco.1. d.4.3.t.E.quiaadhocvtpropotitioncstintco ntradi&orie,vcldeconiradiétori jsincomplexis;itau t.vna(itvera,alterafalía,oportet,vtquicquidaturinvna,tocumidnegeturinalteraymodóinhispropotitionib.homoeftper(e o cít per (c nó al bus,non hoc intcrucnit, quia iri prima affirmatur dc hominc ly albus cum perfeitatis modo, in fecunda negatur folü ly albus, et affirmatur denuo petícitas, rariow ne cuius eft propofitio fal(z, non aík quia incomplexa non fint nata dc quolibet difiun&im pradicarisidcirco quando'abfolaté famuatus,uaeceífario vna cft vera,Sc altera falfayqma nó habet illa propofitio udefl aliquod ecd ps ad i B f: Me lud aee dicitar. ctfc y sd timam e(fe;inquo tes incipit, it intrinfecé, ac proinde non habet fimul e(fe,& noneffe, vcfufius difp. 14. PhyfQqez.art. 1. GC a. -.49 Vlhüma difficultas petit lógiorem 3oné de veritategétium in inelleQudioino, que non cít A zici muneris ; at pro nunc aliqui diiru quod d sesradidtio attenditur penes inftans tépotis,non natur, vcl ra6.Contraiflam rationem, cü quia im primo modo dicendi per fc fieri poffunt có» tradi&oriz,& tamen primus ille modus, v: przcedit fecundum modá dicendi per fe; dicit inftans rationis, vel natura, noa temporis; Alij vero dicunt de e(fentia có tradi&oriarii eflc quód pro quolibet (igno (i vna eft vcrayaltera fal(ay& écórra,&oyrep ugoetcflefi mulveras; vel(imulfalíasprocodemfignoshocaütconuenitillispropo(itionibus,quianeutraeftvera,vclfalfa.Contra»quiacontradictio«coplexaeftoppofitio,cuius(fecundumfenoncftdaremediüyergoabfoluteloquendofempervnaeftveraalterafal (a ;& redcunt omnia argumeuta fuperius addu&a. Dicimus ergo» q creaturis ante dcerctom diuinz voluntatis, quo determinat illas producere vel nó prodacere, nó conueniunt,nifi przdicata c(fentialiaanon contingen:ia, quare idemeft confiderare €reaturas ante decretum diuinz. volun» tatis, ac ipfas confiderare folum quo ad e(fentialia, et ha propofitiones ante decrctum diume voluntatis mimdus erit y ante decretum diuinii mundus non crit', gquitalent iftis . vn»ndo que ad e(fentialia con(iderato conueniet exiflentia, mi do.quo ad e(fentialia con(iderato nó conuemet exiftentia ; ex iftis fecunda eft vera, prima falía, 1ta de iliis dicendum ; quare negatur neutras effe vc Ta$,aut falías, ad probationem concedimius veritatem, aut fal(itaté propofitio« num de futuro contingenti à de€teto ditio, quando 1lla futura abíoluce donc : intantü,n. mo» "Vinticbriflus erit c(t vera, et oppofita cít fal(a;quia determinauit Deus Anti chriftum producere ; at quando tuturum enunciatur de re cum auquo fincathezoremate petfeitatis, tunc propofitioncsil. lz non funt in materia contingé1; (cd impoflibili quia contingens enun De oppofitis privatiue C contradiése.di.11.ciatut vt quid e(fentiale, (icut quáuis hac propofitio bomo efl'albus lit cocingens ; tamen hzc alia bomo per fe eft albus, ctt in materia impof(fibiliycà implicet cótingens efie neccilarium,(ic accidit hic quia pracifio diuini decreti, eft pcifio quoq; fcià quocun; contingenter cóueniente, 10 Dices,ergo ft hec midws per feno erit antc decretum diuinum cft vera  et oppofita falía, non poffet per diuini: dev cretum reddi vera, quia nequit immutàáre rerum cflencias, et tauicn ante mundi conftitution&crat verum'dicerc miidus erit; Tum quia Sco.quo!, 1 4.S.ait prepofitiones contingentes elle neutras anre di uinum decretum, nec veras, ncc falas Refp. neg.coníeq. quia decretum diuinumaon facit; quod hzc propofitio,m& dus per fc eritexi[lensyGt verá (emper.n. hzceritfal(ay quia in materia impotlibili; folum ergo 1ftam aliam reddit. veram mundus erityqux c(t contingens, nà ante decretum nulla propo(itio eft cótingés, fed qazlibet necc(faria, vel impoffibilis et hoc vult afferere Scotus, cum ait pro potitiones-cotingentcs eflc neutras, quia tunc non wa vtcontingécces formari, cum przícindatur à cáuía omnis conuntias& folum (ub d (iunctione contradi&oria poffunt de rc enunciariquomodo etit quzdam propofitio hypothcetica difinnctiua nece(lario vera,nà hzc s um» dus ant evityaut món erit equiualet huic, mundus babet potentiam ad e(fendá, er non effendum quz eft nece(faria. Adc(t ker rens de propofitionibus cxponibilibus adducta 1 .p«Inft.tra.2.c. 10. Quo ad 2.a& hzc oppofitio fit omniü maxima,not.quod noa loquimur de con« tradictorijs materialiter, vt .f.dicunt fubiccta, de quibus enunciantur contradi Goria incomplexa, nzm cadem tes v. poteft dici'fimilis, et non fimilis cf, diuerforum, fcd formaliter (iimptis, pro affirmatione, et negatione, nec loqut mur de maroritate perfectionis, in ordi. ne ad pecíc&ionem enütatiuam exces morum,quia (ic perfc&ior eric oppoái tio centraria, vel relautia, quae ver inter entia pofitiuayquàm cotradictoria, quorum vnum extremum cft aon cns; (cá Kkk 4 dc ide maiori, vcl minori perfectione iarationc repugnantiz, lc n. cft effentialis petfe&tio, et intrinfcca inoppofitionb. qui: ij eflentialiter funt repugnantia; 6 qua maiorem dicit repugnantiam y erit períedtor,& maior, et que maxi. tom dicitrcpognantiam, erit perfcéti(fima, et maximaoppofitioz  i1 Dicendum interoppofitiones omtiià maximáette cótradictorià ; ita Zetb. 4 Mcet.q.6.ex Scoi;ibid. q. 4. feq. Amic. trac.19.q/7.dub.z.& Conim.hicq.vnar. 6. probar, et explicatur fimul, namilla e(t maxima oppofitio que maiorem di« cit repugnantiam, et incompoffibilitaté s fcd contradi&oriz extrema ex fuis rationibus formalibus (unt ita incompoftibilia, vt non folum eant e(se i é fübicéto, (ed nec &tin codem tempore, vnde vniucrfaliter ; mediü excludunt, vt notat $co.1.d. 2..9.(). quod alijsoppofitis non conuenit, nam priua tiua admittünt medium per abnegatroné extremorum; contraria quoq; imó qua dam in cffe rem:ffo conueniunt in codem fubicóto relatiue oppofita, mcdium per. abncgationem et habcnt: accedit autbort tas Arift. 10. Met. . et 4. Mct. 1 vbi hoc fpccialiter. probat ex vniucr(alitate hnius oppofitionis, quia de quolibet vnü contradi&oriorum: nece(fario affirmat:, vtl ncgati dcbet » Succedunt his priuae tiu oppofita, quia extrema minus cóucs niuntquàm contraria, et relauua, illa .n. Ic habent tens, et nonens jifta vc duo entia pofitiua,nec pofsüt fimuleffe in co dé fübic&o. Deinde relatitia; et vltimo contratia coptra Zctb.cit; nam i(tanatu saliter in effe remitfo ; et fupernaturalie ter in e(icinté(o poffunt fimul efle ineoe dem fabieéto;at oppofita relatiué quateé nusoppofita y.i. quatenus refpiciunt ea» emxtrema;, non poflunt effc in codem fübic&o, nequic.n. idem tcípcétu ciuf dem dici pater, et filius; dominus; et fere uus,qnamuis nón implicet rc(pe&u di uerlorü, fcd vt tic proprie nó repugnant » Diccs; ex minori oppofitione non ine lertur maior oppofitio, fed ex contrarice tate infertur contradictio, nà fi duo funt gibumy& mgrum;tuntalbum ? et non al.  De Pofipradicamenies : 3.0 bum, non tamen ? conta; erzo &e. Tu 1. inter contradictocta datur mediumyet » go non intüt" fnakimà ittos ne, Antec. prob.nón album, et albitimü f di&oriá; intetquz mediatals buto ht trag 'sdiftat à non albo albifficum; qaarh album ficat «n. fe liabet fim pliciter ad fiinpliciter; ica: magisad maa gis.&c. Tü 3. mags di ftant contraria, qt contradictoria, ergo mriag:s opponunturs patet coníeq, quia diftantia eft. quzdam repugnantia j ántcé prob. quia necefle, et impoffibile plus diftat, et (unt con: traria, quám poffibile, et 'impoffibiles quc [unt contradi&oria j'isém qualibet alia oppofita includunt córradi&ionem ; et aliquid aliid addunt ; et tandem quia facilius nom album fit album;qaum nigrü fiat album maior diftántia ezit inter figrü, et albi, q inter albà et mon albü,'aàRefp.ad1;aegead' poimionéconetrariorü (emperioferticótradicbioné,y tpatetdec onittarijsine(Tereav itfo;alsum»piumaücefievetudeoppofitioncfpeGali,qdzeimaliquibusreperitur,nondevniucr(ali;&que.adeftinomnibus;vtcftcontr adi&io,namradixomnisdi(limGioniseftcontradictio;(àquianoniaeferturperlocamimrinfecum,f edàcon«comitanti;iimóexhocarguiturmaximaperfe&ioimpenererepugnahtiz;quiaipsfacítradixomnisopoRtiosd»Ad2;neg.ant.adprobat.dicimusexSco.4.d.11 1, F. verum effo perfc&ins ens magis iftare à non ente,quà imperfcétius;quae tenos marorens entitatem ponit in cíle.y vnde duo. contradictoria magis diftant,, quam alia e qué tamen fünt incom bilia, tám .n. repugnát Deus,& no Deus quam album, et non album, ideóg; 6mnia equaliter excludunt mediü,(iué per partie cipationem, fiu? per abnegationem . ' Ad 3. neg. antec. ; dicimus poflibile, vt ftat pro contingenti, minus opponi impoffibili; non ve1ó vt cft quid commune ad neceffariam; et contingenss quomodo contradictorié cít oppofitu : ad 2. concluderet, ti illud addicum caulas ret maiorem perfectionem in ratione re Ls roni Ad 3; maior, vc] minor eps pofito nó;debet fumi cx maiori, vcl mi 8.1. Deoppifitis priátiud, epà contradicà, det. 233 tióti re(iftentia ad vincendá oppotitü, v» patet in ipfis contrarijs pofitiuis, nà mas $i$cü ftigorecóttariaiur fcbcis ephyme« fers tpor tnde ethica, et tamé hzc difficilius expellitur à (abico, eft ergo de pct accidens hzc retifteugia, (cd. pce fe deberaccipi €x maiori, veliminori con neniétia,repugnátia,& incópoflibilitate.  23 Quoad ;«an (ufficiat diftin&io vir tüalis, eu ratioriis ratiocinatae ad faluáda contrad;é&tionem, fiüé vt deeodem pra dicata contradictoria verificentur,an ve. ib rcquirattdr diftin&io actualisex matu. tá tei, pauca dicemus, quia eft rcs mcta phyficalis, et aliqua indi(pit. q.5. art.2, et difp.4.q:f.art. T. .& difp.g. q. 3. art. 2. tetigimus, d diftinitioné graduum inc taphyticalit expliéaaimus: eft ergo" Ebo mift.opinio (uftinés diftin&ionem ronis cum fandaméto in re füfficere j tide illa tc 1n e(seobiectiuo tófiderata;:d; adco vcactu molciptiéatà gét incellcctüquam tks irre ciitrà fit yna; eerificée türdáb Gorsa jraidicata qàia Lüc nó fe Tides iw vw i v propter dinerfoscotepuus obicétiupsin. adzquaté ex primécesiem  SE Spot. vict dofes: pra» tet A miettadoHe, dif qs /dubitl qui cdi Peces penis pm] bus cppoficamatsevia requiri 2 dittin Étión£ cx natirditel actualem;quidà pre dicata corittidiGtoria (unc realiarà:parte rei, atn qu£&doftint rationis; Scabopcre inte]le&tus dependefit, clarug? eft hanc diftih&tioné'a&ualety nó requiri t patet in tedio ibis De dots qui dil ferunt in;cr fe contradi&oria vcrifici tür deipis, amen figdificgtfim vnius €ft omnino idem àpanteiGl m fignifi cato altcrius, co quia przdicata illa depen denter conueniuntab opere intellectus,  Probatar igitur hzc: nofira dentebtia » qua (olum,rauone ratio cidara. differant; quamuis 1d ese obic&iuo:fipp plura; à pattétessamcn fum voit ot»nino liters ipfis ncqueüt vexificai «o tradi lta Pcob. confeq,adem no poteft timuül:eíse;& non císe ; nec de,co dcm (ecundur idem pofsunt duo conira dictoria vericari y (odà parte ici illa di fün&a fant vnum aQuale, ergo &c. Rep. tuflicere quód ünt plura in císc obicóuo, cóquia contradictio nà c(l ii rebus ante opus intellectus, (i (armnaliccc Íumatur, nam confiflit 1n affirmationc, et ncgatione, quatenus funt enunciatiug, quod c(t opusintelle&tus ; ita cum c ris Thomi(tis Pafqual.to.2, Met.difp.$ 9. 24. Concra;eiti cotradictoria comple» xa, (eu propoliuoncs contradicentes fing opus intclicétus,attaxrien incóplexa indes pendentcr ab iniellcé&tu dátuc à patte reis nato nullo intelicétu cogitaüte ncgatige ncs; et priuaciones rcales dantur in rebus, ergo ficut non por dc cadem ccatfirmari forma, et priuatio forma, quamuis mul» tiplex (it incíse obicctiuo, ita ncc dc ea deu re à parte rci poterit affiimarifor mas& ncgatio eiulden,s& (i mulciplicata fi róne. Lum quia magis süt incopollibi lia ex fuisrationibus formalibus cotradi &armainioplexa quàm oppofita priuati etd; éelatiua ;veleoatratía cx dictis (ed iita non t: de eodé inreextra vc rificabi fed requirunt fubiecra multipli cata: anüdepeaden:cr funt in rebus ab: intellc&tusergo!il25juando (uaa pra" dicáta rcbus, conüeuicn:ia [ifacer. uel» leciums ndi poterunt dici dc codsipar tecci "Tipo quia verias y& fal(itas. pao pofitionun?non sfà aoBucniRUTiá» €. |i fconuententia 1pfatum cum te, v; habet e(sc obiecbiuum; fed «t Irabct. císc scale y eteó;licét in císe; 'obiecuuo res. illa. (ic mültipiox JJi'ineísereali eft ena; iam dc codeaicóvvadicfarja vepificacentur. Fura aia fifündara: requituns necc(sarià: di ftin&ta fubidanjepta, itavt ianplicct in coe détn fandari.&o repeuias, (unt actu cea lids, requitunt: acu Idiucia fundamcae tà j fi íurft acu oer rationem, requie runt fundamens diuci(a.per tatide nem quia cqui. fundati habere ma ioremeniitatem fu fapdamento,(ed ali» qvando gontradicteria. (unt atu. ccalia indépendehter ab epeze iniclicctus, et rcquirumcfandamenga a&u diucr(a, ecgo ifla craptactu à parte cei diucc (a; mta. pa» t€c,nàm conuenire in elsentia, et non coz ucnucc in eísenuia funt contradickoria, et a&tu apte opus intellectus (ui ia. homig ne re(pe&u equi, plas.n. conueniunt ho mo, et equus,quam homo, et lapis,& mj nus conueniunt bomo, et equus, Á Pe« trus, et Paulus,crgo in homine debét da« ti fundamenta actu diftincta à patre rei conuenientiz, et non conucnientiz, et nó per opus intelle&us,aut virtualiter di flin&a,nam hzc vittualis diftinctio non ponit actu randamétaà patte rei, ergo ià de codé illa contradictoria verificaretur. 25 Inoppóf.arg.diftin&io rationis ra tiocinatz, qp infe erat vnum  facir in ef fe (abie&iuo plara, et diuer(a, ergo (uffi cit,vt de illis contradi&toria predicétur, non coniradi&orio modo, fed cum vc ritate, Confeq. prob. quia tunc ceffant efTe contradictoria, non .n. verificantur de codem,fecundum idem,sed (ectndum diuerías formalitates noctes ane vna non ett alia. Tum 2. ad tollendam re pugnántiam inter contradi&oria non te quirítur tanta diftia&tio in fundamentis, me elt inipfis contradi&torijs, nà di inguere realiter, et non diftinguere cea liter süt przdicata inter fc realiter diuerfa,& tamtn in dininis effentia,& celatio, quz fnt fundamenta horum pr£dicato rum, nondifferunt realiter. ergo fufficit ad tollendam r enantiá diftin&io con ceptuum obie&iuorum, Confequent.pa tet, quia fi fufficit minor diffin&io,non eft maior ratio cur requiratur ex natura rei a&ualis, vcl ;maximé qn €ontradidtoria formaliter tantum diftinTum 5. repugnantia contradicaufatur cx vnitate reali, foc. mali, et conceptibiliratis fandamenti, bzcomnia.n.requiruntur, vt aliqua con tradi&torié repugnent, ergo (i vnum ifto tum amouetur, tollitur repugnantia, di« ftin&io mers obic&iuo tollit vnitatem conceptibi . m '16 Refp. ad 1. neg, con(eq. cum pro bat:quando przdicata nata fünt cóueni rc indcpedenter ab intellecta; Ad 2. neg. antec.nam vt plurímum quando predica ta süt phyticzs forma non poffunt cóueni re c (ais negatienibus cidé rei pliyficar, quámais fit mulapblex formaliter » quia non poffunt cidem rci fimplicier conue nire; (cd requirit diftin&tionem rcalem Difp. 1X. De "Poflpedicamemis ; vt patet de albo, et non albo, quz dc ca dem nequeunt dicifecundü diaeras for malitates, (cd ben (ccundü EN  tcs integralcs,quae süt realiter m przdicata dicunt inen i et oppofita contradi&torié tiones hacom formalitatum, (ufficit infendamicd diftin&io a&ualis foraali tatum,quatum vni conueniat pofitiuum y alteri negatiuü; quia non implicat de co dem fimpliciter caunciari, vnde res ea dem dicitur limul conuenirc,& differre, fic (ant pt&dicata a(Tignata,nà licet idé Litas, X di(tin&tio rcalis fint effectus rea liter ditincki nó tamen eft neceffe, quod rationes identitatis, X diuerfitacis (int realiter diftin&z non .n. neccffarió tan» ta eft diftin&io in principijs, quom ig nig ue et conícquencer effc ratio» ferendi, et non efle rationcm dif. ferendi, quamuis exigant diflinctionem formalem intet e(Lentiams& relatione, non tamenrealem. Ad 3.ncg.coníeq.tcon tradictorianatafun t.conuenitecxnaturarci.Po(íe targuiin[pecialidetraní(cendenti bus,quadiucrfitartemconcept uumdicunr»&tamcnfu ndantcontradi&tocia,namcnsdiciturcomma.ncDco, &creaturis,e(fentiadiuinanonincaMendioemecDowns.inMeta. PronuncdicunusCatàillanonconucaireipdegcedJieabopereintellc&us, nifivirtualiter,&funiliter,quacationchanc(olaminsfcruntdift;&hzcdeoppofitisdi Qtafufficiant,dcquiasquadederansvideatBonct.lib.4.(uzC2.14Qyv£ ESTIOIL.DemodisPrioris,:»27JyRiora,&pofteriorailladicücarPquataliterfantinter(eordinata,vt vnü przcedat alterum aliquo modo ; €x quo fequitur, g;cum ordo fit quzdam . relatio, prioritas,&c pofterioritas (int re lationes in extremis fic ordinatis funda tque vt plurimünó funt fimpliciter rea les, quia quando cft per (c ordo imer ali« qua, non femper realiter diftingugntut » ita colligitur ex Sco,4.d. 13.9.1 S. et pa Quafi. LU. Demdis Prioris pee TH ma for. erii): relationes, : Dicespriusnoneft fimul natura cum eyes ergo relatiué pon refpicit il, cum relata fint fimul natura; e ter € Priaspoflenore»&epoflenius formalicz Wai sdisisemsien a De joris; erioris enumerat,quia &oribus víq. ad fexdecim multiplican tur, nos pouores,& qui maximéadTrinitatismifteríüconferunt,explicabimus; xquibuspatcbuntétmodipofterioris18Primomodoaliquid:poteftdicipriusdivelphytica,quomododi «itp quidditaté, vt homo in ter animalia dicitur pre ftantior,& nobi  lior, vel morali,vt cum (ei ier officium quis antecedit;vt Pon tifex eft cxteris priorin dignitate. Secundo aliquid dicitur prius ordine; vbi ordo (pecialiter accipitur hic, quam in definitione priotis,& pofterioris Í có muni, ibi .n. vniaerfaliter fumitur pro ra tionc ordinis in (c, hic veró pro quadam habitudine in aliquibus reperta no cx na tura rei, (cd arbitraria ; vc eft in locaris,, vel in rebus numeratis, arbitrarié namq. bic e(E primus inloco, vcl'ab hoc incipit aliqua numeratio; licét alij aliter expli tent hunc modum. (0 "Feiiosaliquid dicitur prius fecumdum locum natucalem Vniuerti,qui folet di Vidi in (upcrioremg& inferiorédextruiny &tiniftrum, ficigniscft prior aere re oci fuperioris » pofterior reípe tos aliquid d'citur prius tépore et ducaiio » akerüsduratione pra. Mieres eti pratcipua quia: dipsa iq danti aw, et icauus aucé inor, plex pra(nppoficio. 753 díne ad aliquod detetminatum inílans fe cundum apeow nra maiorem, et mi norem;& quia rift. mundam pofuit ab zterno [ine principia, idcircó iltud nunc determinatü affignaait przfens, itaut in pratericisquz magis diflat dicütur prio rajquz minus di(tant, poíteriora;e con tra in futuris,quz minus diítát;fünt prio rajque remotius,pofteriora;at quonià fe cundü veritatem mandus habuit determi: natum principium durationis ; in ordinc ad iflud (umetur prioritas, et pofteriori: tas,& illud dicetur prius, quod magis eft propinquum principio darationis,pofte rius,quod efl remotius, Quinto;poteft addi modus prioris fe cundam rationé,quo rllud prius altero di citur,q licet re ipfa non fit príus eo,con cipitur tamen vt priusà nobis,vt in fecurr dis intentionibus res Gam in hac pro pofitionc bomo a omo, homo cft à par te (ubic&ti prior (cipfo à partc praedicati. Ad(ünt quog.duoalij modi ptiorís,.f. na turz;, et originis;/fed quia fpeciales babét difliculrates, fcagfim in Íequentibusart. exa .Declaratio prioritatis natur  V T perfe&am habeamus notici priotitatis nauta, tria vidcbi« mus, quid, et quotuplex fit:Secüdüsan fit. realis, vcl rationis: Tertiü, aa per 1pfam poflit contradictio faltari, Quoad prium micum eft;qua difcrez pent inter fc Doctores, vt vix duo vnifor mcs inttenianuur in na agen srt : te naturz ; et pralerim Formalifte no firi trac.formalit.atr. 4.de identitate; X di füinctione reali diíputant, an prioritas na rurz fit inter extrema, quorum vnam imaliquo figno naturz,1n quo non fit a« iud, vcl tantüm fit pra(uppofitio huius Pere: qua controuct (ia Canonicus. Mea pur eife priusimaliquo um quo non 6t pofteriusyfed eft canrum fim  6 wnde valet ignis cft, ergo cator a &rac.Formalit.art.cit.quem fequuntur ib, :Arct lo. Dudouct.& ali; Formaliftesen  mixc (aftinet ordincm nawiczz non. tanti dicere przfappofitionem huius abhoc., fcd ctiam verfari inter extrema ; quoruaa vnum fit in vno fizno, inquo non eft po fterius,& maximé loquédodc ordine na turz pofitiuo,cui fübícribere videruc Fa ber 1.difp.2 5.0.21. Mouetar ad hoc afíc rendom Tromb.ck Arift, $. Met.cap. de priori, et 7. Metacy, 3. et 4. vbi prius pa ura definit per hoc,quod poteft (cparari à pofteriori, et effc finc illo; addit ctiam ratiogem ex mutatione inftantanca dc du&am,quaminfrà n. 36. referemus, et £oluemus; Tota hac controuct(ia cfl fc 1e denamine, et quia cius (olatio pendet «ex varijs teipsum eria (11 1z,yt omnis confüíie rollatuc in modo lo qucndi,opere pratiui eft ad decilionem quafiti varias, et multiplices prioritatis matürz acceptioncs premirtere, && nos gra fertimaddacemus illas;qug magis süt sArifl.Scoto,& rationi conformes. .  Primó igitur modo prioritás natura füumitar pro prioritate inconucrtibilita. tis,quando.f. non conuettitut füb(i ften di con(cqacntía; przter quá aliam.agno fcerc non videtur Bonet. lib. 6. fuz Met. €ap. 2. quod poteft intellioi vel quivad c xiftentiam, vt cumarguitur ab cít (ecun do adiacente, ad cft fecandum adiacens, ;wt fumus cít, ergo ignisc(t,non tamen € ontta, nonenim pnis fcmper cft imul «um fumo., vcl poccít (ecundo intell.gi qui ad cílcntiam » cum... aliquid nona pritcauirit aliud ia (ua cfsétia,licet i(tud An fua c(Tentia prac».igat illad ; prior ta amen explicatio cft cómunior, et ttaditür À Sco.1.d.7.q.vn.in fia& 3.4.2.0, 2.ad 3. tbi adaercic Banc prioritatem non nzccf sario inferre cau(alitatcm in. priori natd aa re[pe&u pofteriorisenan poteit clTe, quod cau(z cxi(lentia, ia£ccac uidimus exiftentiam cffe&us » non contga, vt Auapdo: cau(a elk neccílacio productuia »alieuius effcétas, qui tamemab alia caa fa polli produci,vt c(t ignis,jui nggc]fa iio proweit calorem, calor aut «folum ab :gae,(ed à Sole potcft A Difp. IXDe Pofipiadicaritmiis: calor eflergo prex illud dicetur matura ac prio»ritatc;cuiusexiftentiainferturpet.exisitcxtiaalt erius,nonàécontea,fablcreraneffcétas.Aliiuitamennoeílepri oritatemnaturgcoanaodatintelligeregulaladinnomirarcpeihipoliacs RobAnubieeamdi(linsiràpeioriatenature., (&(o7lumappellauitptiorferadüincousceiui AMRNA.prioritaténaturzdefiniuis,quodditinterea,querumvnumpotefte(lelinealio,nonécotta;ideircópowfkdicipriorizasnatucznonrigrosé.TuMiQu14Famil;2ide3oSecundomedoprioritas.naturg(umitucproprioricatndenugfeunaturalispreiignis,quo(enía.dieipra:füppofitionemvniusabaliocxnatuetateij&hecprioritasmultiplexc(,;nana vcl cadit intec duo quoad comucpirc aL cui tertio)& hac nà (caper elt priorita: canfalítatis,(ed naturalis prz (üppofitio nis in e(fendo,quatenas vnum prius dici tut alicui tertioconaenire,quam altetü., quia hoc pra:fupponit illud., vc lognitur Sco.2..d. 1.3. 24 A,X 5.d.3.9.1.D quz ad hac duplex.ett,ticut daplex eft od eíse di, qui pot inter illa reperiri ex Sco. cit. alter cít ordó cílendi pofiziuns, qui cadit. inter duo pofiriua vcre, et realiter alicui tertio conuenicntia,vt e(t 2enas,& diffc ré&ia refpectu (peciet.ambo.n. in(uat fpe: «ici, led prius natura genus, quam differentia y quia d.fferentia prziupponit. go .nus,cui intellig;tuc aducnire;aiter cft or do priuatiuus., qui cadit inter priuatiu£ oppofita quatcaus ordine naturas priua tio dicitur praecedere forà. in materia. piis ab Edu tü uc focma producta, ná quod : 4onugniat Berictna 4  s nd ineiicty& conaeniret, fi agens nonimpc daret an formam in maccerja..Velac prioras cádit incec duoi, non in ordine ai dics en quo13; papgrigs Ggiancs ioyues ss 5 prifüppoifitat perverum, et rcalem in» fluxá,quo fe n(u Sco.3;d.1.q. 2. E, causá dit c(Ie naturaliter príoremcettcétu, quia in (uo "dali S NA effcéum exifté tem, ficut effectus nece(farió pracxigit caufam exiftentcm.; imó cauía, quantum cít ex féjpotett cfTe linc cffcótu ;. cum ab illo effentialiter non dependeat; at cffc étus, cum fit:caufatus, &.«(enon poflit caufari, neceffarió dar intelligere cauíam exift éem;& dicitur à Sco.t.d.7. q;vn. in fin.& 3.d.2:0. 2.ad 3. prioritascaufalita tis; Secutidó. cum ofitum; non cft vera, et khyfica caufa, (edvel Metapby fica pecifimgplicememanationems. vt cft fibic&um retpectu paffionis, vcl(altim eft ratiofundaméialis,& radi», à qua ali id pullalat fine omni prorfus cau(alica tis vmbra, et dependenria, vt cft e(fentia diuina refpe&u attributorü, imo vnl ot tribuum ccfpe&tualterius, nam immuta bil:tasfccundü comunem.eft ratio eternitatis dimnzj: Dcus;n. cft iSqui irhmurabilis. vnde fehabet vclut cauf; virtualiset: nmius in 2.panft, tra« 1.c2.& hac róne dicitur priüs.mato . poteit iotelligi non inrclic&to pofletiori  wrtexillente; ] ertib,tandem;fi:d;qp prae füpponiturnó sc habet.vr caufa,ncq .Me spy ca, ncq. virtualis, fed vt neceffarío przrequi(irüad ee pofierioris,. qua satione poflic iureiliginon intelle&o po fteiiou,nó é cétra; (icintelle&usnatura litcr dicitur praecedere volütaté, et intel: Je&:o voliuoncm ex $co.2.d..2 4: q«vn. ad 3.pro opi. et duo cffcctusord:nacé ob 1 cadé cau(a ;pucniétes fc hát codé modo. Ex histacilé refolui poteft controucrfia illa [uperiusinfiuata: intér-ScotiíLas de prioritate narurae num Gtinter exxc, ma, quorum vnum fitin aliquo gno pa türz yn quo non fit aliud; an vero contiflat in (iplc) przfuppofitione vnius ab alio; namq. natura: pricritas fumatur. p . peioritate gnconucrubilitaris,veliealis et Ys ez caufalitats, itaut quod prarfuüpponicut,dicaur caula iljius,à quo przriüp ponuurjpg et rcalem influxum, ficv turg bcne explicatur pcr potfe « himcaiio,nen é cóuá;, et verfatur mter €xucipa,quormus vium Quall. 1E Dé modis jrióris-c/Art.T, poffit effc fine alio ; ydg ex vi priocitae tis, quam quies cos crei »animal potcft cx. fterc omine, € vn: ucr imn fuperius fine inferiori xm écontra;&pariterexviprioritatisphyGcz.cauí(alitatispoteft«dronecCffcétucumGtabiploindepend ensaomtamen€contrà,cüficabjpfadejponx&dctaligenerepaoritausnaturlo.baturArííi.locisa'Tromb.cic.inMer.efg,dicebatprioranatucaeileilla,quzpoísüecle(ine.alijsnonautemalia(iae1pfisytmexesplicabiturinfràn./46.atfi.(crmoy tit dealijs modis prioricatisnatonz » ex« plicanda eft -pec-folam prafüppotitiou vniusab alio-prgfcindendo ab hoc; quo prius po(fit cxiftere (inc poleriori y vel non po(fit « I241v . Quoad 2. princ. quidà negant hec initia naturg ab(olaté dari à parte rei quidá veto negar dari iaftàua natura in» tcr praidicata eisctialia,(ed bac dicunr e£ feiuftatia cónislict cà [andau.ctodn res €0'gp negat €t predicata à pacte cei díftia ixfed tolum ecae ratioctnatajita Hurts B.Phyfe&t .6. ci alijs ltecentioribs admittunt tamen intet.cansá, et effecti, .: Dicendum cft; hzc intlantia ver&der£ à parte rei, etiam inter effentialia ppzdis cata przfcindendo ab opere intelledtus y qua inr in vnigo inftanti temporis; ita pailim Sco.cit.& jn 1.d. 1.q. 1. HE, 8co ufta omncs,(ed przoipué hanc coac]a(a explicar  et probat Zerb. $. Mcr. qué ra. quem (equ;tue Amic.trat. 19.9:7. dub, 2 non loquimur autem deprioutate (ccun dum jnconuertentiam con(equentig hac .m.potius eft prioritas Jog:ca,fcd de prio ritate naturalis pra (uppoittonis; ProbdQuir autem, quie codcm initagti cempo zis vere à partc rei nullo iaeellecta confiderantepotlunc.duo dar: cü naturali fippofitione, liué cum cauí(al tate y fi non, modo explicato, crgo ja ead fiand temporis pollunt dari placa iaftantia nacure, Antcc-gater;quia elfentialia à, parte rei prius conueniuni,quàm accidé«» taliayquia.res pius eftjinfe quam cxiimnie feca tecipiac, et inter cÜentialia quas süg. coumuarora,prius conaeniün: quam (pes Galioraqua bees ddugnuuna Oi eqe. patct quia hzc in(taftia nil aliad dicunt, quam ordincm prz (uppofficionis vnius ab alio, et quia hic ordo nonfolum in rebus rcaliter diftindtis,vcrü etiam án predica tis repcritur, quz formaliter dittimgauntur,vtionuimus diff .q:3.ar.2.& q. pre ced. art. 2. iéciton in inftantia quoq. à paite ret ecunt.. Dices,ergo indittitibile t&poris, quod elt inftans;crit diui(ibile pec inttantia na turz, et (ic haberet partes. Tum quia in, tantü vnum dicitur prius natura altero » quia poteft concipi abfq. illo ;ergo hzc infttia (ant per intelle&um, et rationis. Tum 3. quando cau(a dicitur prior natufa effe&u, veleft (ecrmo decaa(a ; et cffc&u formaliter (umptis,& eft falsü,nam vt fic funt. relatiua ; et fimul natura ; vcl quo ad propriascntitates,& fic quia non folum caufa v.g. ignis poteft concipi fine calore, (ed etiam calor (ine igue, vterq. prius natura dicetar. Tum 4. caufa naturalis nequit;effe finc fuo effe&u;& fi victus illius concipiatut, hzc dicitordinem tranfcendentalem ad effe&tum, quare cü fit naturalisad intelle&tionem cau(z con cipietur effectus exiftens, ergo no debet dici prior effe&u naturaliter, prob. confeq. nam hzc prioritas arguitur ex hoc, quod poffit coocipi fine effe&u. Tandé fi hzc inflantia (unt realia, ergo creata, et (ic pofteriora Deo cteante, ergo haberencalia inftantia, quibus poftcriora dicétur,& (ic proceffus in infinitum;neq. Dcus poffet dici prior natura, qua nullü ens creatum recipit io (e . | 33 Ref. ad 1. neg. (eq. quia non(unt AD durarionis, (ed folü naturalis prz pofitionis, qua rationc vnum pot con poA ive 2 ges apim à contrá; hinc non redté Amic. cit. becinftantia ait cffe inftantia d quo, non in quo5 nam vt dicemus arr. feq. prioritas d 4o dicit originationem vnius ab alio, et à prioritate nauicz diftinguitur, et potett clle fineilla, vt patetin canfa, et cffcétu, vt tcl.tiua funt qua dicuntur fimul natura, fed cau(a prior origine effe&u, quia cft 4qu0aliud, et € contra datur prioritas maturz (inc ifto ordine d quo aliud, vt $H prioritas (implicis przíuppotitionis Difp. De Pofpradicamtniis. abíque vlla caufalitate ; iuftantia igitur nature dicuntur in(tantia 19 quibus, aon. uód in vno dctur prius, in quo nó (it po fterius,vt dicemus,;aliter e igftantia durationis im quibus, (cd quatenus in vno inftanti geiepsqums aliquid effc, nonnece(ífarió przíuppofito pofteriori ; quod non cftin relatiuis,in quibus c(t (imultas naturz, qaia vnum non prazrfupponitur alteri, wi fine illo coacipi po(Tit, vt inq.feq. dicemus. Ad 2. ref». cum Amic. et Hurt. inftaaria ita dicere in rc&o entitatem cauíz independentem quà ad exiftentiam à pofteriori, inobliquo noftrumconcipiendi modum ; hinc noa idco caufa dicitur prior. natura ; quia in-« dependens concipitur,. fed quiatalis eft in fe,qua ratione fu tum, et occafionem przbct noftre intelle&.oai . Ad 3. refp. Arriag.di(p.7. Phy(.fec.7. caufam Íecundü entitatem, nó (ecüdum relationem, dici priorem effectu phyüco, finc quo cífe poreít, at cffeus, licét inadaquaté conceptus, poffet concipi, non ntelle&a cauía:, ada quate ramen nece(farió dar intelligere caufam; quam pra:füpe ponit in effe . Ad 4. ex eodem caufa üaturalis vt adzquaté concipiacur fecundi  virtutem,& actum primum, quem habet caufandi, non requirit effectum esift ens temcd potentem exiftere, quia et cau [a naturalis neceffarià producat cffedtü y bocnon ct de ratione caufe vc fic, vt patet in caufa libera, et (altim poffet à Deo impedii;at effectus,quia concipicur exiftcns, neceffarió etiam praíupponit cau« fam exiftentem; ideó caufa dicerur prior natura. Haec tamen, et praccdens refpon fio valent de prioritate (econdum veram cau(alitatem,vbi caufa poteft cffe line cf Íc&tu propter diftinctionem realem, non inalijs, vbi caufa eft realiter cum effectu idétificata, Quapcoyter dicimus ad prioritatem natura (ufficere przfuppofitionceminentirate, quarationcnonitante £eíBratur intellectus ad how U polterioris przíupponcntis, licut necele Íxtatur intelligendo Mecca uoque prafuppofitit; vn4e i& ti aliquan prius natura ocqeat concipi d: uiu finc pgftcrioziy porcit altum praecitiué » ita. 1 É Quafi. H. De prioritate mature. effet. I. itavt'quantum eft cx fe,fi aliunde nó impedirctur y.f. ab identitate: reali, poífcc cfle fine illo. Ad vlt. bac inftantia proprié non dicunt ni(i encitates prioris, et pofterioris: taliter adinuicem dependen tes, et prz(üpponentes, quz przíuppofibebe e raliter dilbin&tum ab: illis; vnde debe explicar i perconnotata.34Quoads.prin.AliquiScotift z;veTrombi nFormal.art.4 .inexplicationehuiuspri oritatis,quiatalempr ioritateyitaexplicant,v tiupradictumeft,vtpriusfit,velefle poffitimaliquo(igno,in quononcítpofterius,a(leruntim eodem:inftantitemporis,fifantduoinftantiamaturz,cr yeodemduocontradictoriavcrificari,fed noncontradi&oriomodo;uaaminprimoinítantinaturzconuenietynumcontradictorium,innc onuenict  alterum;fcdi a2.inftanti,vndevo luntperinttantianacurzr en(ürarirerumcxifkentias.qua£cnashocc(fepriusnacuraillo;noncfttantumlioconiabillo,fedeftlioceffeimaltquoprioriinqu ofimpliciter'non fit pofterius;fauet huic diccndi P. Faber r. dif p. 25.nu. 2 r-dum ait uod in omnibus prioriratibus hoc moloquédi imilloprioriin quo-eft vnit non eft ad aliud benc vtimur, et per hc formutam re&é explicantur ptioritates., 3f Dicendum eít,non potlc faluari có tradictionem per inftantianaturz,qua explicenrur pcr cffe irr vno inftanti, im quo won (it aliud, fed (olumrquód in vno prius intelligatur; in quo nonintelligitur pofterius,ambo tamcn (unt in code inftanti temporis, fi cít ordo nairz potitiuus. Ita maior phrs Scotift.vt L.clilate   füper loca Scotradducta Canon. t. Phyfze 2. Rada 1. p.cótr:.cítq.có»s apud iores ; et expreiic docetur à. Scot. 2,d.144.2-A» X 3.d. 3-4. rad 3. dum dtrplicem illum ordinem naturz pofrtiuums et ptiuatiaum affignat;claré. n.ait priuationeqrdici priorem forma in materia y ie en iori tatur infit mace riz fed quia meet, n: ii peraduencam forma ;quod noneifet verum; fii natura méfurarcent exifteociasy c n ineffe materia, et ima. inffanti expelli d forma;& probatur;implicat contradicto ría fimul effe imcodem ; led qua funt ia eodem inftanti temporis, qnamuisin diuer(is inftátibus naturz;fimul (anr,crgo &c. Tum quia quod'eit poftcrius natus ra vel coexiftit toti infláti temporis, vell parti, (i (ccundnm, ecgo indiuiliBile ha beret partes, fi primum, ergo quia prius natura coexifüit eidem inltanti, id priusy. et pofterius natura fimul exittent, vt nó poffit dici inaliquo figro: prius efle, in quonon fit pofterius. N eq. dicas mftans temporis efle virtualiter diuifibile, qua ratione porcrit vnum coexiftere fccundür vmm partem, alterum (ecundum aliam 5. vt cít in anima, Nam hanc virtualem diuifionem refípuimus difp. 9. Phyf.q. z. are r.contra Salmaticenfes ponentes irn com tinuo pun&ta tumentia. Tü quia no'duo, fed plura inftantianaturz a(fignancur im codem init anti temporis, quz (i dicerent veram fucccffionem im exiftentia à parte rei,non videtur, quomodo poflic(al« vari inidiaifibilitas inftantis durationis » offet .n. quis dicereinftans cemporis ef c vnnmex illis inftantibus naturz. Tan« dem, quia fequereturin codem inftanti tcmporis materiam efse (ub diuerfis fore mis, eundem hominem fimul viuum, et mortuüm;in peccaro;& in zratia, imó ge nus fine (pecie, et fpecié liae indiuiduo y quz funt abíorda, confeq: prob.quia hzc omnia faluari poterunt per plura inftatíe tianatarz, vide difp. 4. Phyf. vbi de hac re egimasq. 4«36 Inoppof.arguit Tromb.ex «Metz 16. vbi per (cparabilitatem à pofistiori dcfinit prius& 7.Mct.3.& 4. probat fübftantiam eíse priorem accidétc quia poe teít e(se fiac illo,ergo nó repagnat prius eíse inatiuo fignoym quo non ic pofte flus. Tum 2. mutatio inftantanca finc (uisterminis,quz funt formay& pri uatio cerco ia codé míftanti té r Bi termim in (ubie&o; nà quod priuatio praceíserit in temporc antecedenti » cít de peraccidens ad mmat;onem ; | ntam quia po:set Deus creare materiam» : &cinzodes famam igni applicare, quoc. amitarciur, et taménoe s&fiinillo infanti labui(setprinationem; idem ctiam fcquerctur, (i aliquacreatus ga fuifsct ab zterno prodacta, caius nom eio natura pracederet efse, Tum 3. quia veré ab intelle&u vnü abíqs.alio cenctpis turycrgo ne ficfal fas. intelle&ussitaife. a Qtbcnt haberc à parte tei. T -; Rep. Acift.loqui de priori natura prio «iate caufalitatis quod cum fit realiter à poflcziori diftin&tumy re&é explicat ile Jad per feparabilitatem;, ex quaarguitur indepédeatiaynon per fepatationé a&ualein, aliter e(let priustemporc,non.nacu52. Ad 2. patet ex di&is dif p. 1 s. Phy(-q» 2.. vbt oflendimus terivinum à quo debcxeicinpore praece formam. in matcsía, sitet pulla e(set. mutatio ; quare de pcr fc ad mutationem tcquiritur quód gnatcriagrius tempore dicatur priuatajac proiude difp.14. q. 1-att«.1. negauimus &um Sco. 2.d. 1 q. 3.in creationcab tet» no effc aliquam mutationem, et fi.nó cf£e dicitur natura precedereshoc cft in in, &anti nature priuatiuoy ron pofitiuo. Ad 3: illa conceptio mon.c(t diuitiua, (cd przcifiua y. quatenus vnum intelligitur, non quideminealio, fcd alio non intcl Mihi quen fit vera, non rcquirituc walis (cparatio à patte tei . nt j| ; csc Il t2 Quid fit prisriavorigimis.  pseenicuiceadi non a(fi zu A goautt Arift.quoniania crcatis 3 regeritur abíq; caufalitatey quod. n. cft  »prius ocigme,cf eciamallius caula, pt sidcbimus, vnde ad prioricatem,cau Ádlitaus in fententia ipius haber roduci ; . at Íecundum veritajenry quia datur pro eluctio abíque impctíc&tiong s .dcgc eltuiia, ficut ratioproducenus, À hun incladit caufalitatem 4dcirco; f hcg logbptztecordinem natucz. alii. pofug suut orjgiars appellacum;qut in hoc for tialiter.contifüt, quod: plura deatur in Tet ie ordinata,coquia vaum ) àjio tangtiaor à peinerpie produccie vndc dj «nlolet ordo à442 alii ; et quia. Filgs idininis ct à l'arte ideo orijnatus d; "Gus Paucos 06 liccil idoqadecius | Difp. LX. De Poflpradicumtatis, et perfe origiois ; dantat.m. alij ordines eriginis, qui non fimpliciter y (ed (ecan dum quidorisinis dicuntur, quia nonTutt D cerium »fedintec originationes ip(as, fed de his in Theolo«, gia ; (ufficit modo ordi inis fimw: pliciter explicite.Dubiamveft, amqua ficoxdinata intel ligantur, poffint dici priora,.& pofterio ta. Thomiftz negant. cum D.Tho.1.p.q 41..rt.3. €Ó,quod putant prioritatem, et poftecioritatem inaolucre. femper inz qualitatemysaperfeé&tionem, et caufaliz tatem, quz: omnia fant à. Dco remouen da,& tamen ponitur orizinisordo. Sco« tusaffiraaat précipae rdi s. 3.2.0, d.12. Q9 et d.28.g 5. E, et 2,d. 1.0. 1. H, &a« lijs in locis, qué fezé omnes Recentiores. quuntür Cana. 1.p.q. 42 art. 3. Zumcl Vai p dig Has dip Phy lcs t, p.di(p. 1 ifp.8. Lec; 6. Acriag.di(.7.Phy(i(c&G.7..A mic.tra. 195 3«dub.7.& alij, et quamuis (it qüaftio: nomine,nam cffc prius origine alio (o lum intelligimus ab ;lloaliud. ociginaris et produci, et eife. po(teriusconcipimus cffe ab.alio productum; nonáà fe, aiodo: veré Eiliusin diuinis elt à Patre. et Pates. producit Filium fecdndum omncs; et fo lum eft di(crepantia,quó d.non offic di CiPater prior. Filius poíteriors quare: in te conueniunt omncs, X diffecuntiamo do loquendi ; probatur tamen quód hio ordo originis, [iuc tit cücaufalirate mi x2 vas iue (eiunctus, inferat prius) et po(Les rius; nàm c arguit Mayr. «d. 12.0, 2« acty 14 2,vbi ponitur aliquis ordo, ibi ponie uir prius,& potterius,quia ordo e(t inter €9ug non (untdimulytquaxatione : Daci fccuadu ocdinem nacucat non dicun Wur fioul nacura; nec ordinata ordie orie giaisíunt timulóriginey et vbi nonc(t fi anjita5,15i (E prius et poftcrius,ergo or qeasicao ierat diii ipdaier: priasy pollerius imcali ordine; Tum quiza principium:,& finn dicat habizudincm «anie (eipgreft pois ccmino cacauo peo idi ov aai piuado,eui non dícatuc caula gcacyationis » eftprtor  genciationescrgo puncipian ociginaas: i CGMRIAAVE AGAM tui pil cindit,erie prins ofigi Quafl. T. De prioritate originis. det. I1. "originato . Et tandernquiahicloquendifodusàSáctisPatribusur,nàecipuéBasil.1.cont.Eunomidloquéscdiuinisperfonisait,"Naminbispriorédecaufamdicimus,poflerius'verà,2:ipfaefl;quonaigiturpaGlorationébet,erdineminbisnegaresinquib.e(tprius,cpofterinonpofitionenoflra.fednaturaliquadamconfecutione238Daturigiturprioritasorisinis;formaliterdiciturdquo,preícindcsàprioritatenaturz,&inquo,nong»nequeat«umillareperirivtvideturdocereHurt.aMàmivtoptimearguitArriag.exboc,qp'iliquidaueTROobiddicizurilliincopoflibile;sicetiàvidebimus,prótn&ioinfuarationeformaliprzindit3cau(atione,&vtsicreperiturin«liainis,&tamenadeftetiam1ncrearis:&caufatione;quapropter caua efficiens non (folum dicetur prior prioritate natu rz, et in quos(ed et prioritare enpnndr diquo, vnde gencracio viuentis definiti fo Aet; quod sit origo viuétis à viuéte,& cffe &us dicicur otiginauis,& polterior tá na tura,quá origine fua caufazin diuinis verà principiü produ&tiuum;sicut non dicitur €au(a,neq.erit prius prioritate naturae, cü Pater, et Filius sint simul natuta;fed tan tum prioritate originis, et d quo; (olum enim prioritatem temporis y vel nature excladere debemus à diuinis pet(onis.. 39. Hincpatetnó effe omnino vana di ftin&ionem iliam à pluribus Scotiítis cc cptam de signis otiginis in quibus, et à qquibus,vt ait P. Faber 1.dif.1 $21. vbi «contendit prioritatem originis effe prio ritatem 19 q40licét non 1o ordine ad du. Tationem, et nonbené explicari per. d :q40,4uia Door ponit signa originis in ter inccliectam,& volütaem,& genera tionem;ac fpirationem, m ynü. non €ft ab alio. Scd (ane fallicur,.quia Sco.for malitaté huius pcioritacs perpetao expli  cadit pec a q«o, et forte nunquam pcr iz  quoyvnde 1.d.1 2. 2. ait patr prius ori gine fiiiofpitare,& fiiium poltcrius, quia pater à (ejfilius ab alio ipicat, et 250. 1«qe L.at pate iusorigine filio. incellige Telapidéyuia pater à fc, filius ab alio jn z1ellizicy& quol$.Q, ait priusorisinc caa fare eft cau(area fejpofterius e(t cau(aré abalio;exprefsius 1.d. 10.q. vn. in fin.ait diflinguendo inter inflantia origins no diflinguitur inter durationem, €x dura tioné, fed tantüm d quo quis fir, et quol. 4«$.De primo ait,ordo autem ortginisam requirit nifi quód boc fit ab boc » sicetta. alibi frequenter. Veram tamea c(b,yt obs femuat Rada 1.p.contr.5. Doctoréaliqua Q doper signaoriginis intelligere si2dà, na. turz;& inhoc feníu inquit intellectü oris gine przcedere voluntatem .. Bene crgo diftinguebant  illi Scotiftz de. signis ori« ginis à quibus, et ip quibns ynam in diuie nis dicuntur dquibusincreatisveró,ybioriginatioeftcumcaufationec onnesa»dicipoffuntinquibus,nonrationepro«prizfozmalitatis,fedonaruraeadiun&z,quzcftprioritásdmquo.4oDices,sifiltusindiuinisc(fetoriginepoftecior,nócritinprimo signo origi nis,fed infecundo, ergonon ab eterno. "Tamquianon poteft afsignari quid fot» tnaliter dicant hzc prioritas, et pofte tioritas wc an f. quid diftinétü ab ipsis originibus, analiquididem . Refp. ad r.cur filiasdicitur effe in fecüdo si gno origimis,non in primo; nó eft fenfus, nó habcat exi(tétiam etiam in primo, fed folum, quód non habct efie à fe, hoc amsignificat effe in primo signo; sicut c dicimus hó in primo sigoo mature non eftrisibilis, (cd in (econdo inftanti,non eft (cnfus, quód eré non habcat ri» sibilicatem, (cd quo non habeat illà jn» tra eísentiamyhocn. denotat ly in primo jnftanti naturg;.attamen vt omnis zqui uocatio tollatur, rcétius erit infantia na tura explicare per yerbum intelligi eum precisione, et inftantia originis per effe à fe vcl abalio«Ad 2.Zerb.ait hoc prius» et pofterius dicerc entitates cxtiemorü y quz ex feipsis habent hunc ordiné, qu tenas ociginatio paísiua . formaliter € reípeétus denominans otiginatum, quod ; 4b aliosquod.eft clic. pofterius otigine, .9riginatio; aGtiua. eft teípe&us denomi« » Rans produc« quo alid, àod clt cf fc pi«asorig;neshi Sco1,d,23. q» 3. F. . paternitatemai: formaliter cije priotita» ; sero erigiussas Mayr, v It ordinem die j8i  0 Dij. IX; De Poffpyédicameniis 12. Quid diftin&um faltim tanquam. pa(Tiofient ab ip(s originationibus ; primü videtur probabilius, quamuis ab. Amic. fccüdii uxzeis approbetur;fed de hoc alibi. . Tádé procópleméto huius q6, aduer« tere debemus ex Sco. 2.d. 1.9. 1. H. quol. a att.2. Q cx Ins modis prioris foli prius remporc rcfpicit duration£, alia pra (ciridunt,& pracipué prius natura, et origine, de quibus frequentior cft in (cienrijs fermo, quia in eodem inftanti temporis potfunt aliqua effe priora, et pofteriora natura,quia caufa, vt cauía, non neceffarió dcbet tempore preccdere effectum, fed (afficit, vt in eodem inftanti temporis fit; quomodo dicitur adhuc prior natura effectu ; poflant quoque dari plara infantia originis, quate hitres ordines fant fubordinati,vt cum fimultate temporis flet priorirasmaturg, non econtra, cum (imulrate aacurze. ftet prioriras originis, non tamcn nece(le ctt € conuerío: €ü prioritate originis &are priorirarem natürz,vtd.ximus,dc hac priorirate vide. pluta apud Bonet. 6.Mct.cap. 2 QVAESTIO De modis imn . 4r E prionespr 115, ttcs n odos fimultatis, qui"busaliq ua mulefle cen ert reu trcs diincaxat (int modr fimal;qara cum 'epponatur priori;& quocmodis dt vni eppofitot ü,tot dicatur, et reliquum; tot "erunt modi fimulquot aiodi prioris; (cd "quia alij,vt not Do&torq: 42. pradicam. "ex moois priorisfuflicienci haberi pofunc ; vel quiafufficiebut Acift. ponere 'llos qui fant ad: propotitam,.& pradicimenesinfecoimmt c T Primo modo aliqua. dicuntur fimul "eemnporc, qne .f.func in'eodem tempotc, et dicuntur fimul inception ; (i vero 'aliqua imt mecodé tépore exiftéua,quáaris vnirprius altero mceperit, po(sux dici fimul tépore i duratione,et.có ione. Hic erint quedanr dicuntur. fi ena macura,ad ;jue duas couditiones-exi"git Acfprima. cit,quod'dicamur ad'có" wettenriam, fecunda quód vaum non fit caufa alterius, vt fe habenttelatiua rue tua, quz vt fic formaliter ta funt fimul natara,quas códitiones tetigit Do€tor t.d.2 8. q.5.F.dum explicans fimultatem naturz rclatiuorum, ait confifterc in hoc,quód vnam non poffit efic fine alio abíque contradi&tione, et ab intriafcco; dum dixit vnum non pof e(Tc tine alio,innuit primam conditioné;quz non fufficit, nam etiam fübie&um, et paífio ita (c habent, et tamen (ubie&um e(t na» tura prius paffione ; dum addidit ab(que conrradi&ttorre, et ab intrin(eco, denotauit fecunda conditioné; riuscaufa ; quia caufa ab intrinfcco, eft ptior caufatos neceft de ratione cau(z quód fit neceffarió coniüdta: ci-éffe&u . Dices, datur duplex prioritas natutz y vna (ccundum | iniconuertentiam confe« 'quentiz altera sm caufaliraté ex dictis "q»przced.art. r.círergo fimultas fit prio mutati oppofita, quz fecundüconuertétiá vni nó fit alte ma priorrat;ergo fimul matura dicétur,. quód ficut prima prioritas non dicitur ri nei vues iod large, ita fimultas.illi oppofita erit largé fimultasma tatg, A riftor.autem affignaait conditio» ie (imultatis micura Tertio modo qugdà-dicitur fimul dimifionce, vrfüntduz differentig exa-quo diuidentes idem genus in fpecies per n arcam dne cr. tix cx uo diui genus,.«um: uc iet oia nón media alia: dilerentia vel fpecie, vt rationale; et irrationile immediaté,& ex zquo diui : :mal, n6 veró rationale,& aquatile, aqiiatile diuiditanimal, vt-ét per irrationale . Hac fimultasdf quoque fimultasnatarz, hoc eft y vc aliquiexplicát, fia.altas in natura cói, quia fi multas fpecieram vniuer(aliter debetatce ndi im natura communí genens; inqua conueniunt,nonin propujs different: js(pecifi€is,maraliqua fpecies fimt quz (ecádüi propriasratioties formales: praup tur alijs, vtinquantirate linea "nitur (upetficici, et (aperficics corpori, -in quuhtate actus prafupponiur ca dicuntur,babem fimultatem oppofitá pri quáquam vnam ft caufa alterius, Refp, 4üis,ac projade n5 funt (imul natura . Scd dicuntur (üb hoc modo Arift. non omnem fpeciem cóprehendere, imà exclüdere fpecies illas ug alijs prefapponuntur in proprijs, nam fi fjecics coafideratfet folum tin natura generis. conueniunt, vt fic nó poffunt diei plara fimulfed vnum; illz igicur diffcDusft111: De modis fandl. rentiz dicuntur hun diuiione, et natura,quz immediate diuidant genus, et nó vna alteri pra (upponitur,vt ipfe Arif. cxplicat in textu. Q ia róne optime Do& 4. 43, cit.docuit hüc modü cile oppolitü &: prioricati naturg,vt hec dicit ordiné qi dà naturalis prcfuppofitionis;quauis T letus iplum opponat prioritati ordinis. FU SRVEAE TM DBEGIMA De Enunciatione . 7» Tu tis [y pretatione, in qui 30/ Papinii Predicamentorum, »bi de principiis remologifmi, f. de terminis,  fibiumgit "Atrifllibros deinterus de principiis propinquis, quales funt «| Enunciationes, fermonem institit vt po t deindc ordmatim ||. ad flrutluram totus fyllogifmi declarandam progredi in b. P MTS TE ME à prolatam cum int. ali Puls pras) Eti tar  prout dicit vocem articulatam fi, «antem verumyaut falfum, quom eu] Prior. m[cripfit autem bos libros de Interpretatione, Grece menias, no quidem prout Interpretatio dicit vocé wid [ignific andi, vt notat Dolor bic Q.1. 'an[cenditq; limuues borum librorum, fed an.em aliquid effey vel non effe, feÀ fienificum Enuhiciatione vocali ceincidit; non quo ipfa vocalis yes ing per Je coufideretur, quia ex di&is q. TProzm. Locicg non eft err fede vocibus, cr nei injcriptio à fiue, c fubietto citur [ubieGlum in bis libris eJe Enuuciationem Bcibalem, vt per vt expre[f ue funt mentalium cüceptuumis qua lt, li LU Lu deos vocalem ex, mígerel,rataumtm entdeiat cgye bypotbetice, ita Dottor cit., fou 1d. Tai. q.1. $. Dubitatur primó, 1o.de pio ibid. Arts Illos borum lib. ". ibid, €f. aliquod patet nam bi c Fee de principiis fy uis volto Enunciatioues catbegorica, ef fees f t m pudica f quibus egit Jtrifl. im lib, Prior, 9 quamuis ; de » a ari tco proi sk " p E qu oir ovd witur de i e non uia mus € » mentum tertia pad pia ec pk quie ret: iutis, vnd pec; Eli a tbeticas que ducit ad im vlepde qua locnius ej pic n. Tnm etico jyllogifmo explicautt, quiaveducibiliseft ad canbetricm Wu ma p € perfecià concludit qua ratione eticm inbis libris un mal d A a propofitione difierut . Tum quia bic determinata progtev 1p. fumptam detcyminantur, nam libus Qrationt,vi deub durs o aS É c tandem polientiayco rdi pant quiere p Et de Lr eii any (p. ire ep ; opiam 5 a qe Inf vi inei e iffoluimus, bic ET LT fo i» de. Enspisiide más, dan epa ibi Pracimi] a, vi potà aitigris. indagmis La Qv&"  QV£sSTIO IL Am Enunciatio fit. Ens cales vel Rat tonis. z . Vpponimus diftin&ioné illà Enüciationisin méta | Kévocalé,& fcriptà quarü duz pofteriores no dumü tur bic macerialiter,vt di cunt voccs illas atticulatas, et chataéteres cfformatos, quo sé(u nulli dubii cft effe entia realia (cd accipiuntur formaliter,vt f. dicunt fignificationem ex libero homi num beneplacito illis conuenientem. Prima (ent. afferit enunciationes om» ncs c(ic cntia realia, tàm métalem, quàm fcriptam, et vocalem, ita Blanc. dilp. 1.de Enunc.fc&t. 1. Sccunda;aflirmat de méta li,ncgat de alijs;ita Maf.hic difp. dc óra. q.2. Addit Ruu.q. 2. od licét mentalis quo ad a&um intcllectus fit ens reale, ta mé fi fpc&tetur, vt fubftat ordinationi in ratione fübic&ti& pradicati, in qua ra tio enunciationis confi(tit, eft ens ratio nis, ab ifta opin. parum diftat Amic.trac, 21 dpa efla; communis. j acilis tamé cft folutio huius quet. 'Nà enüciatio vocalis,& fcripta formali tct accepta nó süt entia realia, fed entia rónis materialia,quia vt fic fólü dicüt re lation figni,nO naturaliter fignificátis, fed ad placitug Tur relatio eít mera de nominatio extripícca ab humana volüta tc proucniens minatio vetó cxtrinfeca,quáuis realis di caiür,non recte tamen dicitor ensrealc, yt vult Blanc.cit, fed ens tÓnis materíale, E fondamentale ex j&tis difp. 3 .q.z:art. jte euo mCtifis eft duplex, alia forrgális;alia obictiud;fürmal;s eft actus iphidsutelleQtüs,quoyimdealteróafne«eIebatoófequétere(lensreaen'téalitetabintelle&uproducit!joatüdliertyeiisobicttisieBIogt£;"fucfaltitatisexdicédisdfeq.Orátfo'oDietecxercito;dupliciter(àmiiereeintquomloenmaddisejtabinuicé diGunca per negationem, et quo niam bz'c obiccta poflunt elicyvcl realia, enicns ex diótis difp. 2.q.2. deno Difp, X. Be Epunciatione. vcl rationis,vnde propófitiones,tá fiüt in entibus rcalibus, quàm rationis, idcirco . oratio métalisobie&tiua érit, vel ensrea le,vcl tónisin efie cxercito cogaitü ab in telleéta quz paíTiua cogoitio erit quz dá : extrinícca denominatio ab a&u intelle  &us prouenies: Vcl oratio métalis obie &iua fumitur in efTe fiznato, quo (enfir erit (ccunda intétio enunciationis, cuidas dcfinitioné explicuimus r.p. Inft.trac. 2« C.5. Ratio cft,quia vt fic dicit ordinarios ncm terminorum ad inuicem in ratione fübic&ti,copulz, et pradicati,g» cft com . parárc obiecta in aliquo attributo ratio» nis exprimente rem eXtra [uum ordinem, Rationes in cótrariü funt illemet, ibus prob. fignificationem vocum, et dénominatiotes exttinfecas vniuerfali« ter effe cntia realia, vcl entia rationis fore malia,quz locis cit.funt folutz . Ceterüm folethicà DD. difputari,an enünciatio mentalis formalis itvna(implexqualitas,anveroexpluribusactibuscompofita;itemanintelie&tuseodéom«ninoa&uapprehendatpropofitioncs,&caffentiatur;an vero diuer(us fit actus iue dicatiuus ab apprehenfiuo   P .. et alia huiufmodi quz (pe&at ad exacta cognitionem fecit operationis inielle &us ; attamen eft res potius animaftica y idcoq;ad em mtem Von de veritate, itate cognitionis dge mus;nam l icét ad animafticos etia perti mcant,maximam tamen habent áffinita tem cum rebus Losicalibus, nam Logica dicitur fcientia dilcretina veti à falfo, et : enüciatio definitarsquod fit oratio vetü y vel falfutn fignificarfs; preefLar igitur. na» turá veritatis et falfitatis bic 1nucftigaree QvA&STIO IL De, veritate, C falfhate Eritas eft criplexyprima diciturve : V idu : » wálcédentalis y. quia eft paíslo tntis; et omnibus rebus conuenit edam coguition: falfa ; nam et ipfa eft ns eale qua veritate agit Me taphyficüs;fecunda; fcitür in fienifican do, et cóuenit proprie vocibus, et signis. de qua fatis diximus difp.z,&in Inl. cipu9.II. en "verit fit in concepta formevelobietl.ude1. 265 tipué 1.p.tra&. à.c. 5. vbi declarauimus; quo pa&o propositio vocalis dici pofsit vera;aut fala: tertia, dicitur in reprarfen tando;fcu in cognoícendo, et cóuenit có ceptui in veré exprimit, et reprasétat rem;sicuri eft, et dc ifta lo quimar hic: et pracipué dc veritate, quz in fecunda intelle&us operatione reperi tur ; et licét sit dubium, an veritas. jc giatur in prima operatione, imo 1n aCbi bus fensitiuis an vero folum in actu iudi catiuo intelle&us ; negari tamen neqult ;. in fpeciali modo huic actui conueniat ; panis in ceteris etiam admittatur, de quo in lib.de An) nam iudicium cft, cui tanquam principaliori analogato tribui tur veritas, aut falsitas, sicut in vocibus grincipalias dicitur veritas couenire pro» itieni vocali,quàm voci incomplexas, qua ratione Acif. 1. de interp.c. 1.& 3.58€ 9. Mct.c,vlr.5.de An.c. 6. videtur verita tem, et falsitatem tantum fecundz. opc rationi tribuere, et hac veritas dicit cone Éormitatemconceptas reprafentantis ad obicctumin (e vt dicemus att. . ficut fal fitas negatione calis conformitatis, et difformitatem ad obiectum . : ARTICVLVS OR un veritas fit in. conceptu. formali s velobiedliyo 45 I qualibet intelle&tionetriz praci pué,vt ad presés [pe&at,interucorür, adeft intelle ctio ipfa, quz dicicur conce ptus formalis:eft obic&á cogaitü,vt co gnitum, et tcrminans intelicétionem, et dicitur conceptus obicét;uus : et adcft ob;e&um in fe consideratum: veritas nc uit consiftere in coformitate conceptus rmalis ad obic&iuum; vt communiter   2f. €onceditur, quiaab co, quod reseít, vcl moa eft, oratio dicitur vcta y vcl faifa cx €. de fubít. cum quia nulla cognitio císct falfaynam qua libct ita repseieniaa sé sicat res pra(cntatur in concepta  10,.& pct con(equens qualibet talcm ha be: conformitate ; tum quia c(set con formitas ciufdem ad [cipsü: nà cflc obieiuum realwer eft ipfemet. cogaitionis cogllituem remi císcobicctiuo . Cum igitur conformitas ifta fumi debeat inordine ad rem in(e, quz sit terminus iftius conformitatis, Vt átt. 3. dicemus » quarimus de (übie&o, an sit conceptus formalis, vcl obie&iuus « Duran. r.d.19.q-.Heruzus quo! 3.q«p artz& 5. Valq.1. p.difp.76.Blacdifp. 1.de Enunc.fect. 4.& ex noftris Vulp. t.p. tom. 2.difp.3 2.art. 4. Boncr. j. Met.e.2« ' füftinent veritatem fundari in conceptu obie&iuoad rem in (e. Ex altcra parte Suarez difp.8. Met. (c&.1.citans Caiet. T», p. q-16.art.2. Fera. 1.cont. gent. c. £9. && 60. et alios afferit conuenire. conceptüi formali,quz opinio eft ét Mol. 1.p.q. 16. diíp-1. Fonf.4.Met.c. 2. q.6: fect.7. et 8Conimbr. 1.de interp.c.1.q. f.art.1« Mo ri(.di(p. ro. Log.q.8. Amic.tra&.2 1. difp.4.q.2.dub. 1. urt.difp.9. de An (eG. 1. et vt veram (uppenit Arriaga diíp: t4« Log.per totam (e&t. t. ex. noítratibus illà amplectuntur P. Faber dc penit. diíp. 9. n.5 j.Cauellus dc An.difp. 5. fc&.7. Tatr.pericrm.q. 1.dub.2,Ant.And.ibid. q.3« et 6.Mct.q.6. Smifinch, tra. 3. de Dco vno difp.1.n.29.& ipfe Vulp. art. to. eam videtur docere. Addit Auer(a (ecundario faltim, et minus. ning eoducuke etiam conccptui obie&iuo, ita q.5. Log« fc&. 4. idem fcre afferit ems lib. a Mct«. 5.q. 2. conc]; . imó nullü poni di(crimen inter has.opiniones,nifi in modo loquendi;quodFaber cit.etiam docet. 7 Dicimusveritaté proprie, et formas liter, ac denominatione inttin(eca effc in conceptu formali, in obiectiuo veró (olum dependenter à formali, et extrinfeca denomimatione . Prima pars eft exptef Scoti 6. Mct.q.5. in fine, et in 1.d.3.9.3» C. vbi habet hzc verba. Quod potentia co cens affimilatuv cognito » verum eft per atium |uum cognojcédi, qui eft qua dam obietii (imilitudo ; quod. cas excaplo eris, nam 2s a (Timnilatur pcc figaram indnétaminqua cófiftit rae tio imaginis, et q. 7. 8. .4d qu&ftionem re[pondco ; probat obicétum a&tiu? conecuiierc ad. intelleétionem, quia eft. p fius fimilitudo, quod etiam atlecit q, 8». ad &. et quol. 13. O. docet a&tum dicere ad obiectum relauonem menfurabüis. ad LlÓ] y men: 266 Xo RD nota dg A NA "ug : tigna m )Gc sie pendcrz t9); dependen. By $HaP/5 £l 614i 5 Mp Nri Roriesicat tonem » v erpertiesputaand d: P X MO OR QA fed 5xdo qua loquimur,eft (iaiitsudog (eu edpíona Cyitesad obiactumaergolsi iT tatis&dc menie D al COngrc« 39 rie Sod RR iir r tas fornler eft dp Qus intellétionis sit deritataziiaobitétwnrt of tánimteln ls ie dran. docktina ekeitur-prebstio Consi. 113 concoptifs Jiomális elt paeic et xsi3o expiefa abieáiis ficut fpecies imprcüa dioitürimaga vittsalisabiéti deeepdea wi iwgpá e a met rum reptgrf ts. ergab Trogi sar ebofqumkas era ag obi má oce ricatem ; Tomqna fice (e lrabecótário Pen op rire neut d «epué formalis ad elsi :suam ficat eratioeít (ignumadplagium Bgnitieant zes cx dictisdifi zs q«i. tà eonoefitsis cft Üsnum aauicaligétsepro-fcatane;, (ed ve« zitas ciratiómig negsco(ilc da. ir z2iC eiut fignificása pcr'otationtmnoad feipíam vtime,fe din Gtormitate ipGue aiasiogis adem jp [ec rgo idem da veri; tate conceptus formalisdicendam; mig, Acgatur à-V.ulpes;nagy preterquam 3s ilteritusab Anftus pradisam.c ibit. Ex c6,quàdires: orat 1$ó di ayprohatar adhuc, i i b uio i lationérnGgni; ad. gnatum s-vc ile mcr qon&culic azt; 1.7.7: 0m 5092:32 da quo; Tijfed:orauid voctise[tignaarect, Ac etisversdicicut-figniró veontb;& confor; fnésergo Bc. Tau: quia cogaitiordene aiigatub vcra, Ao n/réscognicas let Qo voriy Ww c liincodowioneo»: 2d foc idy 2 $ NCevalac;: gudeafiissciverien feli feumobicéto covniosvt imu icélo:inlig fienisum Cogmioncyvtinfübicétérdena» eA Ra lomslreut vitro ciao ocmlei, 86 de, noitiat parieoévisüs Non valet,quis pos eiusecse ooa (7 haber dyes coni» cx axcacut. cogffer axis à «onfprmitatg cocái ébiozsppaimivesotáo Avieríás dici hanc Bn cw vocas deorges oognita adt prd. Mindy minia oogbuts ipato seprie star  bis. tla xls asiatüpéi 1e: dcpoidéóo: 4. 5» t $2 de. | : E z  e . it i$ " fe HU a Tid b tio almverás &conformaor ropladeic, a "e cogniti érfintin lees : oErCatucis cogaids;: idein dé. nitione:ctéae to nupsit deeniumai 3. D» -08» Secádayavsscolligüur ex Scotaguo. [een Ur oar abd ipm oir DESTIN 9 Wn, fc pto fe: ficut intelligitusjverus ed intelle GEasj8b alijs inlocisà Vulpes citatis,& (atis le quet ek d&i£, duiictejus aBiicftinus: té repraentà ; €oncepiuobiediitotepsa (eri eU galin-tfto-crit:al;qua: vogica (pet t il HOPMDUNMU LK pee axiomatAris ftoceli Propter quod -vnumnquadqna talegén aliad bnagiseci oi; 5 «nuin 1:Sad éootra a3. gj veritas (itin ie) y iaarid; Tum«uta fk talereprer ME AMNEM 2 buon t unago,diciurifide Teprgsotatiud; xrgohomo veptatíedtapaseris for» malirer (imus; vdcagniddde: vera tepraxXentauaé(qu apyQw quarcnsy; &quia eiusveriap ef vcritar idirepraf eritSokmalités; enano [À 1«qu'$cx&ay-q Terefls velnielgn uiupol ue Tora w fulfa, i ex ogequeddyres cítan. inrelicóig "eonfocmisfibisyt40 lexxititsvclnàefl oue dinnitvay vs ina rgo RU. dopemier, mifi dofole oycrgoJcsueprelcntate   QIH.o/n cveritfatdmdtemeegtu p odere f cradix;vetiauis ! lotus; Tar, uim. .concey mie atc reicpniti fibio ipfiin se,ciillgiujl cóicipilur mteliedtus verus, ctgo: verias if vati coafoPmitáre confi fUt) paren come; feq: petdgcótgbeffa&tu: forasaki adi ca u(siot Ancet-rob. guia rücnes «rodar tam »'Gtgo €on» pitür initolle&tus vorns Tum; oratio: vócatis eft f(ipnd diei:weras., fcdiocatio efti ufi 16i conceptar, nó cognitionis, ere go &c;Tüm s. veritas eft coformitas in sie (citado: »fed hzcin hoc confidit, ey resitucHe Qui prafencetur y ficuti elg in V desertae RTT e?7ó ih calilcócep r JTü67 ficx:eó; occisa di periere rera ike Lope ient vig repreícatank $, fienckéftyeffehcformaliter verae; qi Ree iPopere Mop OUR Fn» Lie Di warden rorpest eet taie Li ipaucedeyr meet eror sry ] yeMNO Wrcogn:t 1j Dultrie BIB sounds ueteres ái tig Reef oadora ipm ci sting aiidnib iplis 771-6 hs s bere lo:addiétoodi, D: HipePui meh eorr pcm Feast imago efürepraSératiua €e4 fatis'ct eo Cefarictt vepsi(entatiuns füce flalicers aodó veriras coggscignis pfo ipe fadt e(entalto conformis sci y idet efl dicere cognitio dicitur vera sepratfeue 12Hà£jse copniqio ver? veprarfebtal cít que: prseter A17 SEIS frcot iri 3eoodicivur teprarfenzatiua s: e Fentationey nua fit inobieóto, (cd eprafématione indpfa formaliter exi« lene idem de cognitione dicendüm.;Ad di fótrre 6 cxplicaur aüthoritas iila à Blanc, fenfus .n2«ft,"quàd:orario eft vc« r2j fiicónforrhis eft rei in fe exitteati, (ado fayfi nóteft conformis. Ad 5. diftinz.ans ceci Conci pitur: miele Gus verus primas rió propter talemconformíratcm-, negas tut, quia dicitür verus primario àcófare mitatécorkeptus formalis, icut pervalé concepteni dicitur primario reae expriuic re; (eeundarib, et eonfequenter ; qua teiius: ad conformitate concepuissfore rial capfequitur conformi: as wssmee oblcétiai; S códedimitinhd sergio c. lgauavttiwergveritita 3rocM codo, nen inreprziontando,dc qua loqütpar 2 ped ocutio cít; (icnudarcit onceptasfed deiin (e t dif pi2:0.1. Ae $1 era elm de «ónformitate concepts! abicótmiggflie nó cit primaria, idco-«nirés: prar(pneitee. intellcctui;fTcuti eft; qua cozauio fige lua scprarfentac,S& ex pcitin quxcepitate [entatio eibprimariz escisis; A À6 spatee cx diótis:imitio: quat .xao zweritam alijsetians/cümpeterepo (Lir 5: &:veget e etiam fi£ofmerur Codera coceprum óbies éiuvqi Ad 7; pacieas cosi tbi: in hát y quàd:rcat vrina tou m. exteinfec? denos " minatur (ama à fanitate-an:maló, qua disi Gita (anilas;im efpdo; ia opn:110 Ck triníccé dicizntveraà veritate (eiim ci fendu;que attrádixy& cac( xyeritatis ros gritiobis cum liocramcnáat; qubd fora máliter ox ciniin(ecédicitur vera prox priaveritatoasreprdfenrandoyde qa 1o» iasumj quo. (enfe eciaoecim;z ( diécar Gic icerc) poftecdici iau mfece, et formalis tet fata -famitarein rCprezr(intando ;ujóc argugyentum vrgec contra cóncepus ab:c: étnuamsquj-wezis-dicitgr, quatenus ordis nets licit ad; veritatem rer in: eíseudozs Aliasrazioues adducit: V uljes ex quiam dam1ocis DDó&toris: defümptasa (ed zan« tnm peobant-ipccomeepte iobieGiuo: res petirrziliquam conformi azemajuod coga cedirub non :zmeno cadubt primitas tem coníOramidti$ 5.1 mic: :03 26,62 -3ivoup.fsuinLiNfDÉÓRI]LZILOX 11 E GRCOTUESS VS LNSS GER. -21 2:13:05 9igo r LOL otov ST Lu «an Enancialiapo[it de veta piitati t. ir d. taa s D'ioersceiore merde o ; $5.-ido uisy IO e Welcome eire suem "nitlófe eorpleka; Gc quia Epunciadgr ert ples) ticceffatia i) jligy :&c connseits, Mts vel e: de prartecivo, vel de prizfensi; vel de fururog ptopotitio de prxfent? alia cft, quat detepminarady ; 6c Certáni páriem temporis ignificat:; »v€ petvus-per totabiboram £tadet, aka zog. quz ih termidauiat 3 optar. Li 4  po-. Lm partem confiznificat, vc Petrus flu € ; cognitio ctiam e! duplex ex Sco. quol. 13. art. 2. alia intuitiua, quz caufatur abob:c 4o exittenteyrt exiltens elt, alia abítra&tius, «quz abitrabit ab exiften tia obicéti; áciftis omnibus loqui debemus,& [colas quz'fiti eft, num veritas ita diftinguatur ab his propofitionibus, et actibus, vt cademmumcro enunciatio de vera in falfam poffit fucceffine mutari, vel faltim fi poftquam vera eft, et mutari ncqu't fücceffiué hoc modo in falsa, potüerit eadcm prorfus numero ab initio eflc vera, ecl fal(a: de propofitione vocali jam diximus in 1 ..Inftit. tra&t.2. c.3. Et vt ccita ab incertis fcparemus, enüciationcs neceffarize (uat verz, et impolfibiles funt adcó tal(z ex fui natutà, vt vera nequeat matari in falfam, vcl econtra ; idem dicimus dea&tibuscirca illas ; ratio eft, quia neceflaria veritas in ipfis proucnit ex ip(a neceffstate, et immire litate obic&ti,quod nó potcft aliter fe habere, quia e(lentiz: rerü (untinuariabiles, et idco propofitiones de przdicatis (pe&antibus ad eílentiá. rci in pri, mo,vcl (ecundo modo, nequeunt nó cóformati obic&o ; et € contza propofitioncs in materia impoffibili propter repu £nantiam terminoram non poflunt conformari obie&o . Hac de cau(ía dicuntur gternz vericatis, vc] falütatis, quatenus fi faifent ctiam ab zterno prolata ; fcmfuiffent verg, aut fal(z, vnde la ur abíolui ab omni tcmporis differc1ia,vt docuimusin 1.p.Inft. tra&.1.c. 11. 11 Rurfus,a&us intuitiuus, quo videtur Petrus currere, non pote(t fucceffiué queri de vero in falfum, quia curfus Petri cxiftens fe babet ad actum intelle&us . velat obic&am formalc, et motiuum;iudicat .n. mtelle&tus Pew currere, quia itacxperitur effe à parte rci; et no mouctur ab aliqua conicétura diucr(a, vt facit in actu abftraétino, et idco ceflante curfu à que tei ; cefTat ét a&us inuitiuus, .quidependerab co . Similiter propofigoncs contin dc przíenti contigni ficantes ceriam o" diffcréciam sut adeó verz,vt no polli ntfuccefliué in falfas goutari ; quia fiinin yno ini ius CDifp.X. De Enundation 0 horg Petrus;v.g.nó fludetet;propofitioy Tetrus fludet per totam boramsettabíoluté (alfa, nam (c hsbet vt propoüit o copulatioa copulans omncs pattes illius horz cum &udio Petri, ad fal(itatem vero copulat'u (ufficit, vt vna pars fit falfa. Remanct igitar difficultas de propotie tione contingenti de prz(enti confufam temporis partem fign;ficante, an poffit [acce(Tiué de vera ticri falfa,& de propofitione contingenti de przícnti figniticatecertam partem temporis, ac propoíttione contingenti depraterito ab initio an potaerunt efle vera, vel falíz ; de propolitione de futuro dicemus infra . Negàt Hurt.difp.9.de An. fe&. 3 .& 4. Quuied.contr.7.de Anim.pun&t.1. Smifinch.de Dco Vno tra&.5. difp. 1. n. 35. non folum propofitionem contingentem faccc(T;iué fieri pofTe dc vera falíam, fed etiá poffe ab initio fieri fal(am;quge modà eft vera, aut é contrá, vndc afferunt hanc propofitionem veram v.g, Petrus currit, ita cffentialiter Íentare ex fui natura curfum Perti,vt fi Petrus non curteret, et ab intelle&u pro co tépore cliceretur ifta propofitio, (que propter nó exiflentiam ' curíus Petri effet fal(a) nó efleinquiunt, eandem, fed mtv c» illa. et tàmen q.24.Log.fe&.7.& Arriag.dilp.14. Logd cet. 2. í(cnti figüificare ; potcfq; hzcc doctrina exegi ploconfitgari, naro non minus coexiftét'a'ad cempuseft c ircumflantia obiectis quam pratentia localis, &'a&ionis verbuninon folum €oncernittempus (ed ét locum,vnde dicendo 12715 combarit y eft feníus, quodin aliquo teiporc; et in aliquo loco comburit, et tàmen (i igniscó« burendo uimtaretlocum, nón mutarerue adhuc projofitio, Iicut murarccur, (i dis ecceum yonis indoc loco comburit,, non ália ratione, nifi quia in prima confuse, et vag connotauurc locus, ih fecundà diflin&e explicite ; et determinate, ín pricaz locus pertinet ad obie&um material in fecunda pertinet ad obic&um formale, itadc temporc dicendum, Ad 4. ncgatae affümptum;& ratió liqact ex dictis; : | ; 21 Secundo ex codcea arg. vbi varias par obiet, variatur etiam cognirio,tm intuitiua, qum ablra&iua attirigenstaleobic&tum s ted dum intellctus iudicat Petrum currere,ctiam confuse, et abftca Giu,& Petrus definit currere, ; variae tur obic&um coenitionis,ergo,&c, Tum 2.3ia illacognitio Ttr 5 currit jeffene tialiter habet cepra(entare curfum Petri, non vt fic, fed vt vcrum, &'realem,erpo vtexiftentem,crgo non exiftente cur non eriz ille a&us;qui per (aam elentiama babet intellctui exprimere incxiftentig. cuxfps in Perro. Tum 3. quia omnispropoirtioafficmtans curfum Petri tefpicit il ium cx fappofitinegquod lit;quo luppoe dado c nsi e lega propoti eit; ccitc ti0.Jla necctlario refpicit corium Petri, vt exittcn: em. Tunj 4.00n minus depcn- det.actus ab obiccto jn fe ; in rau onc ve riy qum inratione rcprar(antantis, (ed vt fic nece(fario reprzentat, vcaon poffit non reprzcn arc, ergo nece(Tario eft vc- tus, vt nequeat effe falas . Tandem hac propofitio Cbriflus eft in Hoflia, eft c- tingens de przcnti confignificans tpus confuse, et poteft permancrewq; ad cor- rprionem fpeciecamhoftiz, quo tpo- tc definit Chtiftus effe inhoftia; cc fic fi illa propofitio ad de(ition fpecieri y et prefcnuz corporis Chrifti adhuc per- manctct,& cuaderer fal(a, (equerctur fide fupernaturalem pofle concurrere ad a&t falum,quod implicat, (equela prob. quia prius actus illc,quofidelisaffitChriftiprz(ent iaminboftia,etatfuperna turalisobconcur fumbabitusfideiinf;fu (ze,&verus,quiaexprimebatrem, fic uticratparterciergo(ipoftdeficionemfentizChriftiadhucidcmpermanet,cuadi:fal(us,fidesinfufaconcurreretadillumatumfalum,ergodicendumaumctiamquoad(ubftantiamdefinereaddefitionemobicipartetei,oeetiamaffirmari debet de qualibet aliaa propofitione contingenti, 23 Refp.curum Petri dupliciter pof- fe contid erari ex Sco. 3.d.25.q.1.H, vel fecdum (uam cffenti, quomodo abtra- hit ab exiftentia, et dicitur ensreale no- minaliter, vcl iftenti exet- cit  parte rei, et dicitur ens verbaliter, i fcu exiftens; fecundo modo curus n cft obic& cognitionis abftra&iuz, nec mo tiuum,nec terminatiu, quatenus cogni tio cft,& vt dicit relationem attinpentie, et repra(entationis ad obic&turmn, etiam fi actu cxiflat,vt docet Do&or quol.1 5. art.1. quia cognitio abflra&ina prefcin- ditab exiftentia,fed (olm primo mode ; at fi confideretur cognitio vt vcray& (ub relatione conformitatis, refpicit curs vt cxiftentem; tuncad arg. dicimus maior valete de obie&o formali, non de mate- riali,vt monet Do. in'1.d.1.9.2. modo curus vt exiftens eft obiectum materia- dem lc coguitionis,vt cognitio cft, formale, fi vt vcra [pecteuur, idcoad ipfius variatio. nem yariatur cognitio vt vcra, non yt coio quoad fbftantiam ; fic .n. depen dct ab obiecto, vt in (pecie, non vtin (c. Difj. X. De Enumiatime. 000 Ad 1.a&us ille reprzfentate dcbet curs vt verum ens reale nomiaaliter, non vet- baliter,& exiftentiam cur(us de Petro affirmatam in effe obicctiuo]|, nen exercit,&  parte rei,ytoptimmotant Amic. et Arriaga cit-Ad 3.ncg. maior fi de exi ftentia vt exercita intelligatur,cooceditur, fi de exifteutia apprchen(a,qud fit  parte rci;tiu poflea dctar, fiue non;yt patet in qualibet propotitione fala, fed concepta vt vera. Ad 4. etiam neg. maior cx fepe didis. Ad 5. luppoiita ctfcntiali differentia actus (u,ernaturalis  naturaInde quo alias,dicimus fidem infu(am inclinarc ad iftam propolitionem in vniucg fali, Cbriflus efl in omni boflia mer confecrata, non vero ad propofxionem de aliqua hoftia in ond eren stmt det folum fide humana, et naturali, potct .n.ci (ube(le fal(am,fi.(.Sacerdos non fit verus Sacerdos, auc non habucrit inttioncm conecrandi, quar cum illa] pofitio (it circa hoftiam in particulari y poteft cffc An fd. 14. Dices, faltim ill vniuer(al pofle fal(am reddi, fi omnes hottiz in mundo deficerent. Tt quia 6 Iudzusante Chrifti vence semanas pre adum dicetido Cbriflus na(cetur, et ipfum contiPN Viene Viande 270 urin mdo;ad hoc vt alus (apernauralis fidei in pei Was ie em Lc Tips quarc fi nulla daretur paticerpofitionem de i Pre eee d edge c extremis, et aiunt cfe candem (cc dum duueras (olum cxtrinccas dcnomi nationes trmporum;quam opin; onem re fert Door in 3.d.2 (.3. 1, H, vbi.oppot tum verius edic docct,c quia quz imod c(t de praecerico,e t i prius.,pofitio c det vcra. Ad wi tiir ar tmQua. Q)wid fit vvevitac cognitionis/e/drt.I1I. trat de faturo;erac crings:illa depratctitopritis fuiffet fil(a,mod cft vera,hec dc faturo modo rft falfa, tunceratveta:[vederequdptopofitioilla Chriusnafcetur, vvfideproucnirer, debebirinfpiceretempusnatititacisDominiDeopraftiturum;vtablractumrcfpe&ibus ad partes LR futuras, quia huiufmodi refpcctus noo inciaduntur in tem naciuiatis DoDo&or cit.propoticion de praterito nor differre  p. arcam, quia folum enunciat coexiftentiamnatiuitatis Chrifti, et temporis  Dco determinati;cui accidt re(pectus prtetiti,& futuri,qui conuenium: illijno im fe confideraco, fed vc ordinem dicit ad artes cemporaneas,& fbfequentes. t ; Ouued.[oc. cit. n.6. affert rationem,quam inquit effe magni 1d hoc vt propofitio in loc inlkan fif veta, debet (upponi illius obiectum, nom fo!q in hoc inftanti, fed etiam inomni tempore importaro per copulamt,eo mod quo per copulam importatur ; fed co ipfo, quod inhoc infiti (apponitur obie tum propofitionis exiftens 1n omni t&pore importato per copulam, implicat pottei in aliquo cempore importato per ess non exiftere, ergo implicat pofte propofitionem ficii fal(am 5 maior probatur, ad hoc, vt hzc propotino Perus femper currir, im hoc inttanti fit vet2, tion (officit Petri currere in boc inft ti fcd deberin omm inftanti currere, et datio a priorr eftqma veritas confiftit in tonformatione acts cum roto obic&to X ficato, ergo ad hoc vt propofito fit Acra'ig boc inttanti, debet m hoc inftanti onforasari cum toto obie&o fignifigor obiectum (igniFicatum dicit folum pratent,(ed przeteritamy& (acutam dcbet propoti cio cfondu. GMYOBIeBc y quarextus dic du. rxigea nonfolm prafenycm, fed eria pratertamsocfvaram ; atiaor cft per fe nota, quia implicat fpponi in hoc inftti obiectum futurum.n infl anti yenturo, et poflci in illo non cxiftere. e(p. maiorem verificari prafertim, quando propofirioconcingeus de prefen tu confignificat certam temporis partea, nunc eni. fupponi debet obictum eius exiftens pro quacunq; illius tpotis parte y. fi enim in vna deficeret, to:a propotitio: falfa effet ; et hoc folm indicat probatio ilius maioris,nam illa propofitio, Petrus femper currit, determnat fignificat pec omnes et frngulastemporis partes Petr currere; adeout fi im aliqua parte n cur-. rert, tota propofitio cfet fala, nam fe haber, vt propofitio copalatiua copulans omnes, et fingilas cemporis partes cum curfa Petri, et ad fal(itatem copulatiua fufficit, vt vna pars fit falfa ; ac quando propofitio contingens de prz enti n fignificat certas,& determiratas temporis partes, fed indetezminatam, et infufam, de qua fola hic cft quet io, tunc falfo eft obie&um (apponi debere cxifts pro quacunq; remporis differentia per copu[am in co inftanti importata, quia im co a&u intelle&us explicit attendit folum inhzerentiam predicati cum fubie&o nom cogitando actu de aliqua temporis di fferentia; quia ramcn tempus connotatur et vcrbo, fic etiam implicit conignifictur temporis partes ex vi copulz, non tametr dcterminar, fed confus, mdeterminat?, et vage, et idebex vi copule non neceffari (mpponitur obiedti exiftens in quacunque rporis parte determinat, fed im tracung; indeterminatscum quo ftat,vr. in aliqua iiHustporis parte poffit obie&um deficere, et propofitio fal(ificarig ers etiam concedi vor vmi abotut affumat, vt propofitio in hoc ime flzcii tx etg debere oppoiiilias obe &um proomhni teipore importato per copulam;fcd addit eo modo quo per copuJAm miportatur, camyqua hmuatione 7 "&onced pote(t, nunirum quod fi per copalamrmporrantr parre teimpors determiaas, euam i eterminat fpponi debeat obie&tum prepofitionis; fi ver mdctesmimat,& conpasccodcm 409; modo cius obictum fopponi debeat in illis exiftens; fed tunc, cum in mihori inferatdr, co ipfo quod in hoc intti fupponitur obiectum propofitionis exi flans in omni temporc importato pcr co palam, inrplicat poftea in aliquotempore importato pet copulam mon cxiflcre, hoc vcrum cfl de omni tempore importato per copulam dererminat, non autc 1i folm importetur indeterminate, et cfus, vt cftin propofito ; alias quafd3 rationes adducit Ouuicd.loc.cit. fed coiecidunt cum adductis ex Hurt, et Atriag. Vrgent etiam conir hanc conclufionem rationes,quibus probari folet veritatem cffc c(lentialem a&ui de quo ar feq, Quid formaliter fit veritas cognitionis, ficultas non fucrit magni momenti, Recriores ramen litesrexunt immottaies: nam Hurt.difp.9.de An.(e&. 5. aflerit veritatem cx. natura ret, et formas liter cflc candem cum entitate actus,lict non dc primo conceptu ipfius, fed dc fzxundo;quia eft attributum actus,c. penAXleat ab affirmatione, vcl ncgauone, et bicto, bzc.n. ca(aliseft vera, idco aus eft verus, quia affirmat, vcl negat ebic&um, n contra : ab hacopinionc qparum diftant Dano. 1. p.q. 16. att,5. SmtAinchacact.3.de Deo vno difp.r.n. 31. XCaucllus ditp. 3. de An.c&t, 8. aint.n.vczzitat dicere entitat aus,quamuis  noi eyplieecur ertelationc, vel racionis, wt Bah. vel tranfcendentalem;vt Caucll.& JSSmisinch. ; qj et docet Aucra q.5. Log.  fest. 5. rud os UR ne dp "&iqug. opinio. tuit t Periher.c-1 crim e oai a dem en"tatem a&tus,. non yt sic; [ed vt oonnotat P ipic pi Rie P fequitur Suar. iij 8. Met.[ect.2 Mori.dip.ro.Log.q. Qai apud Antiquos hzcdifDifp.XDepuninne:sitionemv.g.affirmantemeur(amPete?extrinfecam,vtdicitipfumcursPetri,illdicirinre&o,hcinobliquo,vtrq;tamenformalitet,&quidditatiu,comodosquo relationes explicat difp. 12. Log. idem tenet Ouuied.contr.7.dc An.pc, t, Nec minor difensio ct inter rclationum propugnatores, Dur, enim Vafq. et Blanc.atr.z . citati aferuot. conformicat hinc,in qua veritasconsiftit,folum dicerc rclationem rationisynon realem. Alij, qud sit telatio realis cformationis, vcl similitudinis di&a,ita Tat.1. Periher.q.r. dub. 5. Meuril.lib, 2.Met.c.q.2. ccl.4S conspi putat Caucli.cit. addit P, Faber dip.9. dc parait. hanccelationem non fempet elfe cumommibus condkionibusad veram relationem realem requicin litis. Alij, qud sit relatio tealis ali apti "1 dens ab aptitudinali y et poteaimpsum: cns nu eid acus 2lem,in abftraGtiua apti E et quando obiecteft cxiflens, ita Vulp. 1 pdifp. 52sart. 1. Alij quodin relatione Csiftat prz(cindente  real in aliquibus m a&tibus.c(t bufd tealis,ita Fwodw eras auel. qe 13:Zumel 1. p.q-16.arz. 1.difp.2 Atmnic. traCt.2 1. dip. 4g. 1 dub. 2, et innuitur  isinqui Conim.i.deintetpic. 1.4.5. arti. Tande qud concedunt veritatem e(se. relationcm conformitatis ad obiectum infe, vc ad menfaram in cognitione fpeculatiua;. ncgt camen in cogtine pra xquz Vousels regi men(ura obie&i;qu Coatra; ita Morif. dip. cic. 16 Pro rcfolatione quassiti adaerterte dum, q aliter cft (peculandumde dining cognitionis. veritate, aliter de vetirate, i ' Crcaue cognitionis: diuina n cognitio,c perfedttima sis Scabetfentia iuini (o um vt ab obic&o moueatur diuinus intel Iectus;ei que perre&ti (Time adzquetur, t incifendo, qus reprafentando ex Sco 5.5, obic&i cnotationem refpuit Hat, 2.d. r4-q.1. P; nec poffit  creaturis moWilaga verb, quia cithotis acerdimus | ueri;ex codem plaribus in locis;przcipue oua relationes J& cnotatas docet difp. Y.d.3.4H. fequntnr qudnllzm cealec 3 4e Log-foct. 1. verltat forma cte ceto" re fandacad obie&n [cibili, n denorminacioncim param jgtrinleca pro-. m ad elfentiam, quia c(trcalitet cd HCIUDI pesisionymcatali, exime us tim fummidentifcara, et ade iata; opoad ereaciias, quia nalla. Quefi.I. Quid fi verits cognitionis dri. IH. 777 eft realis relacio j vt diximus dfp. 8. q. 5. axt.1 . aliter efset in Deo: formaliter aliquid nonnece(se efse .f. hzc relatio, non 4m. relatio :poteft habere perfe&tius. cfse fuo termino; quapropter veritas ipfius diuinz cognitionis formaliter con(tit in entitate illius a&tus; vt monct Do&or d. 3 cit. F.& quol.13. atenus intelle&us dininus media intcllcctione vnitur, et vitaliter attingit obie& y ficuti eft; et per cfequens veritas cft Ex ia csencialis, Quia eft ita e(sencialiter talis, vt nequeat attingere obie& alitcr,qum fitde quo vide Vulp.d. 52.cit.ar.vlt.at noftra cogni tio,quia cft finita, limitata, et ab obi depender, fundat relationem ad ipfum. obie&um,vel realiter diftintam,vel realiter idemificatam ; quod difcrimen multi ex ipfis aduerfarijs quoque fateri debent, nam in diuina cognitione nullam ponunt iclationem tranfcendentalem ad obic&um, illam tamen .adiittunt in. noftra cozaitionc. fimiliter in caufis creatis ad: miccut relationes ad effectus, non tame in Deo ; accedit ctiam, qud noftra conitio don eft ita. efsentialiter: vera ex fui natura; vt dicemus, ficut cognitio dinina ; quapropter praxermilfa diuina vcritate, de creata loquemur. .. 27 Dicimus prim, veritatem cognitionis n dicere entitatem actus, neq; ipfam actum,'& obic&um, fiuehoc dicat foraalitet ; (iue vecoanotacum; (ed relationem, non rationis,(ed rcalein. Conclufiocft Scctiinfca cird:: &. prob.1. quod veritasnon' dicat entitarem actus,-i fit de obic&o contingenci ; patet ex. dictis att. przccd. voi oftendimus cand: propoiitionem po(se amittere veritazcm ; cp adhuc coofit. n (i prpolit:o contingens x Lui nacur e(set esentiabiter vcra, vel "falla; feqaeicturqud hzc jppoitio Perus currit, no cutrente l'et0 diceret ordinem c(sentialem ad duo concradi&ofiay qud eft fais, implicat .n. qud 1d ommnmo pendeat in csc a duobus contra:didori fitis: (cquela prob. nam cognitio fala de caru Petcenu diceret duo p ins cce pr,  quatenus filfa (quod non c MU HERI; cess S PKtab MEL S a&u;vt cognitio eft ) dicet ordin ad netionem talis curfs . parte rei; imo deet duo comtadiciotia ju. fe intentionaliter reprafentare, quia ve (it fal(a, debet affirmare curum exi (tentem, et carentiam ipfius, nam fi non tepras(entaret curfum exi(tentem;diceret verum, (i.noi repra'(entaret carentiam. $y ordinem diceret ad illam ; (ed crfum exiftentem,& per | differret ab au vero, qui talem ordinem tantum includit . Tam qaia, vt arguit Arriaga, Angelus intuitiu cognofcit fuos actus, qub ad vltimam realitatem aliter'n efle: intaitiua E dc eee rci exiftentisvtexifts eft, et ficuti et pet confequens attingit vcrirarem, vel falfitatem fuorum a&uum, quaab Hurt, ponuntur effentiales differentiasquaproprer,ti eliceret hanc propofition de futuro Petrus damnabitur, vcl curret.quia haberet determinatam veritatem,vel fal fitatem ex dicendis infra quam di (Ferentiam cognofceret, iam de futuris contingentibus haberet proprijs viribus certamy et intillibilem cognitionem, fciret n. fa acus ille effet vcrus, aut falfus : negare autem Angelo hanc cognitionem, vt facit Hurt. eft pror(us voluntarium, quia actus ille.eft in fua. poteftate totaliter, per ipfum fertur in obiectam furur, et non (e habet vt fecreta cordium,quorum cognitio de lege ordinsriamon debetur illi, quia non eit in fua poteftate. 18 Deinde, qud a&us neceffarius n fit effentialiter verus,patet exjhis,qua diximus in dip.8.3.2. qud nullus tranfcedencalis refpe&tus potct eife de. e(fentia abfoluci, at veritas formal ter dicit refpe &umad obictumyt dicemus,  admit int adserfariscrgo'&c. Tum quia qud actus ncce(farius reptz(entet rem ro ver, quali. per accidens, ac fecundati conucnit ih, de fua n. formali rne ba bet repracatare, qud homo fit v.g. rie "fibilis, (ed qud ver (emper. teprasscets ' . prouenit ex 1mt i nutabiligte obici, nam fi per impo libilevt notatAinic tm muiarctur, actus adhuc repra(en taret hoiinem rilibilem Tandem quia fia&us cflc: cifencialiter veritas, S po n Mm et 7 fat propric. dici vv05, ficut. albedo non "dicitor alba, nec calotcalidus. Secundo qud gn dicar,a&tum ip r &o,& abictum in obliquos fiu vicon moratur, fiue vtpartem. eopflituenrems sprob. f jfdem rationibus, qnibus 3 ofldimus.dari  partecei Tea dcs  fundamcotisdillinQtas; et precipue 'contra. Suarez vrgentadmitte illas irelaionessat (6, hz opinioffet vera,(a nnullam prorfus habeec polemus ratio ncm ad oftendendum relationes (unjlitu 'dinis;z qualitatis, et eid ai agp Aera, qunm et fc tanti di minationcs reales xcoexi ftentia cxuemor ad inuicem odas. Spe ialiter ver conwa Arriaga ett,quod pa nit formalitatem et c(lentiam verittis que per (e vnacfby e(le vnam per accidcs x roous diueror gencrum,JImo ex en ste rcaJi,& raiionis conflitutam f obic Kum cile. aliquod ens rationis y ttem . qp detur a&u cntitasalicuius; abq omnibus: partibus compon&bus in aC talem cn gitatemyveimidta v4 uu chri fts erit, da tur vericasa&twabfque.obic&o in ac; d. ab. ipfo ponitur vt patscn(Luucns: weritaram,licdrin obliquo e. ; 5. 29 Terioqud dicat relaiioncm, cft Scocquol.i:art.z.& 1.d:3qsqvatt. 2. gn. 4.d.8.q. 2. V et locis inrarm rci S pae &ctsuia veritas formaliter eft coforraitas xe,v: aiv Arifk.c,de fubit. 14 00,404 vesefl, velton esi yoratie digitny vera, tci fal fa; )& ct quia cognirio coparatur i. vcm; vt [jgnnm matarale, veritasaucear &jniconirtic in conformicareciusad ( iguiati, vex primar illud ficuti.eft,(d c 49ra.itas t. qnaid inrcnuionalis friwiliju o,8imagoycrgocfquadauclauo.RieigonderSeuifinch,actumfuaentratedicieyaginemobicti,ficuc(uaenrirateeftreprafentatiuusobic&i;con(equitur.anicaclpe&tustranfcendcntalis:,perquemx"glicaturconformitas,&veritasabfoluraacisContr,namzc(pontiosonbabet5lociiitvpropoticionibuscohtingentibus;rgomeqsimactcbusnece(farijsn(ieriBeoMirarissisi.1ike:lbattaaliqua do realiter diftinia, Wc pof iat Aiulip aranidirquntiyqriuqnido clkzeali isfandata uvsdtticarca vi A L iusdiere,ef ccenDifindse Dt Fnnteiirintl, n cr adtificata c acus. (ieu eucnit.im sf; e eiccectcdde renes uera org Un quia, &:ncgomatiene in lc&us, et fi&l i  p iso ersaiecurar ag Cl ncs &.cparationejntell&tus;niquia te opusintelic&tipropofationwera, vive va difesc  falGyt &c:tii quia unpertines cft wbd propo (itia tommaliterdicag Ere rererertd cotequeser a daHirat eti 32 ;Dicimyus fecdo; hane zelatiooenz COforminarisquaprerfeter veritas,no e[s Ic deterrinate praedi alc, ant trart reuninatc realem mentalis, in vno erit realis.perectayin at tero realis imperfe&ta ;quie : Dots (zs piussocatur rtlatiotationis; vt contra die flinginur  teili qam. omnibus coaditios nihusauxta di&a imdi(j8: q. 2 Conclue fjo quo.ad omues. partes:(equitur:ex die Gs, et prius organs plam, deinde qt ad omncespariesprobabimus; exeme plum aptiTimum e(l imagor marialis,. imquatria fant;s.encitas abfoJata f. colg resydeindg e(peGtus zepraentiris adire prelentaumy, catione equis cooftituitur in eic imaginis v. $. D.Petri demalius: re[petus conforimiratis: inter imagi ncav reprafenrantem, &Petrgm cepraentae um, ratione cuius: illa pi&tucacontkiugie tnr incauone imaginis ycra,.& hzc tria fnm inter fcommno dittin&a,poGunt,n .reperiricolores ab(q; relatione :ad D. Pettumy p ali eclariong imaginis, lediime retta ro latiane;vt patet, naialigus DX. Petri ima: gpxadorarur,quacenuscftipfius ceprzsc statua, Gcrameniipf mudim no ce grcntas,vetratai parte reisSic paribor miter. dicendute.de; cogoitioac, qui; eft imagoquae dar pirimalis obiecti aod: imipla uid Ceperiup1 yt.  cnutas oe mpe atus deinde.ce]atio s rae eus, iat d ofsuot eriamirepetiri c Quafl.II. Qui fiteverieiicofosilnl AIL prm CP Ant SS Quis mm "n ai ope Buts da repete Quim. cofituict inelle reprafenrationts; et no titic et voctut  Scoto quol:13. ar.3.reltio attingentiz, et tebdtiie it obictt, t jn cecmind ; tand cit aliustefii&us" ormitatis acts reprarentantis ver i ad Ci RU sreibepu Law (co icat irratirie nodi vere, qu Es oq; eft realiter idcificata cir Qtu, id doqstaliter ditio&z, qdandoq; per e rcalis;qundoq; imperfedt tealis ; xrobantt i opis i a 31 Primo adu Loruy Elus peu nidi n. is t veritatem tcaliteridentificataat, et per confequers vctits jh ip(is cft relatio tramfcendenta: lis,naim &x dictis difp. $.9: f. lieceft dif: cremtia incr'rlationem przdjcamentaIc, &.tfariftndentalem quod iDa eft rcalitet diftinQra, fiet realiter cadent: funiptul TtOb.? hija itf eff relatio cealiteridenii t fundcento, (ime qua fit disci t ihctadie erridiatTonedt 14. d IRra&ris Ge qictnt elfe ortifitate cui propi bl&is abf]; conitrtioBe ab'ihcrinfEc peo uchicceqhla ffir tnaderibites j tice ef [ga tici. uie rprfentaot ; lininurs tabils ffity eoo &cTdent dicehdrfrde dtib flftririaje y dnt hetftorib: depen kospobe tis Vt hie; et tiuac exittci$,& pet cO fcc iose seiidri tena Lia obiecti fic varabilis; "Brus tamiesquia AbobicAo ic exittce rduplicatine. d: edetneceftart illud taliter feprastat Y 5a ott "ahrr reprafvisate, Haec tfi diffcrtia reperitur irtter 4&tus neceffarros igtiriuos, et abftra&tuos;qr illi necefa dict ordinem ad obiectirexifts, et d&ttale vr fic, quare femper ordo ille eft intere xtrma reala dtu: ifti ver necef10 ab ftrabuinr ab exiftcia obiecti ; et amuis obic&um fit exfts, de per acdens eft illis, qvia illud refpiciant no vt exiftens,(ed vt abttrahit ab exiftentia; Qua tatione propofitiohes iftz funt femaxes cute verbumin ipfis aboluitur ab omni tporis differentia quiapropter de ratione rmali Confotmitatis iftor actu eft quod non fic inzer extre: ma rilis et ada CXi tentia &8 vel mii m, qai1 potfimt ad'aotrentia crm evita "31 Sccdo fi ptpofitionibas coatin Lope de ptetito iue de futs u de pre(entr determinatam velind 4 sec alat am pafteaitempo:is-fienititanv tibs' verits ett ab iptis realiter diltina &a contra Caucllum eereft Seoct'in id 8 4.2. Vbrn lo quitut d telm ione apes. dinali y "vt F1ls exponit Ceaclias fed d pta ticamenzil, et realiter diitin ebay o quia potlaac 1t z propotidones/aait tete vetitater, vel (alim ibn tio-pores t fle Hilfe erso veritas eft abdis dex Hte diftitian Ne valst relpootio Que acl, quod'a&samitrit vericite ; aquer liquid feale deperdat; [cd folu formt2 litacc illii ajXti natt-eonfotiati ebicGo; qu3 curd ab'obic&o dependear mus &atr d rucrtioniem ipfius y eur fi hxc Pos fthponerecut ad fi20ifican0. Ouem,non etf'ec amplius fignam aptum. di ad figuificinduttr hominea et ramen tii il reale amitccect; Non valer, quia five 4s dicit quid formaliter tum abi-a26tg diftia&um, vt ipfe atfeviti necerlari: ide nebicia aiu, qiandiui manet acus alrer realiter ab illo diltinsueretur y mx? iicet tifc parsbilitas nod (it aduer. figum identittis rcalis, feparabilitas tameo vt dixtavis difp. f.q. 4-arc.2.eft fafliciens 6i n di (tidctionis tealis T quia vel ves ritis fotmlirr dicit quid esie j velnie hil,in (ceundam; vt patet; fi primum;ec go actus deprdendo veritarem -y amitcit aliquid reale : quod comprobatur exemploaddun&o de vocc hominis, homo" .n. dicit telacinem (igar ad nacuram liy mae natti, qui; cum fic ad placrcum, c 'elatio fationis, fi tamen imponeretur ad 4i : ificandum boueavamt en telatin am rtiohis,coghitto ver s quia efl fi nubi oivtirides dio figni nin et fdcionisjfe. rcalis in ipta;crgo quiaad muta tio&emzobic&ti deperdie rationem serai vti, dmitucaliquid reales 6 cio 6 tidy Tertio fi bic&t iftar propotiiion coGigeriiuinent d anquodesi ftns, vt funt propotitines de praitevic ; dftur; et que nn entigirchpieiunr 15 la reltiodton crit pettete Won dcMmi : ficit nm "y 780 ficit prima conditic, quod lit inter extre marcalia; fi vero ct aliquod cxiftens, et pofitiuum, quamuis actus fit abttraGtiuus, erit camen realis perfcet contra Vulpes difj.cit. art. 1.n, 8. dicentem nunquam in cognitione abftractua relationem cIe realem actual ; Probatursquia etli abflractiua cognitio non pctat, vt co gnitio cft, crminari ad rem vt exiflent, attamen vt vera refpicit obiect, vt exiftens  patte rei, fi eft de prafenti,vel vt fuic exiftens, fi cft de praterito,vel vt ali Quando cxiftens crit, ft eft de futuro, qua ratione diximus in r.p. Inft.tra&t.2. veritatem propofitionum de praterito,& de futuro dependere  vcritatepropofitionisdeprz(enti,intantum.n.nunceftvcraiftapropositio J4nticbriflus erit quia aliquando erit veram dicere J4mticbri$ius efl, et idcoifta modo cft vera Jda fuit  quia quandoque fuit verum dicere "KL dam efl, cum ergo iflz propositiones rcpiciant obicctum fecund exifttiam, quatenus verz, fcquitur, quod quan propositio de pra fcnti etiam abftractiua formatur, et obiectum cxiflit, inter ipa sit vera, et perfecta realis relatio, cum adsint omncs conditioncs requisita nec verbum in iftis propositionibus abfoluatur  tem potis differentia, vt cfl in propositionibus neceffarijs. Ex quibus omnibus patet, qnomodo vcritas non sit dctcrminat trapfcendentalis, vel prz dicamentalis relatio, petfecti, velimperfcct tcalis, (cd indifferenter (e habeat . Diluxntur rationes: inoppofittm .f Ontra doctrinam traditam arg. ls prim probdo, quod veritas 1o dicat relation conformitatis [upra acti. T quia ccgnitionon cftobiccto confor tnis,cum cognitio sit accidens, cbicccum fap cft (abfantia, cns rationis, et alterius (peciei ab ipa cognitione. Tum 2,co nitio entis rationis ; quod sicens cium, eft vera, et tmen n habet cum illo con- formitateav, quia nequit ad illud referri vt menfaratom ad men'r, ex Sco.quoi. 13.M.& 4.d. 1.9. 1.5:& rauo fadet,quia menfura, et regula cft prior menfrato, vs rationis d poficrius cognitione,  Dif. X.De phncistint 50 qua fit. Tum 3. cognitio entis rationis, et non entium nequit conformari illis, vt fant in (cipsis, cum nullum effe habcant  patte rci,ncc sint resfcd in intellectu, at vctitas famitur in ordine ad rem, vt eft infe, crgo in hac cognitione veritas non dicet rclationem copformitatis . Tum 4. quia n fol cognitio eft obiecto confor mis ;(cd ctiam obiectum cft conforme co gnitioni, crgo vtt3 ; denominabitur vc- rum- Tandem faltim cognitio pract ca cft vcra, et tamen non hibet talem con- formitatem ad obiectumranqu ad men- fur,quia ipfa cognitio eft regula, et mC- ura in practicis n obiect, vt v.g.cogni tio ifta practica efl caff viuendus,cft re- gula, et cau(a caftitatis in homine ., Refp. ad 1.ex Sco. 1.d.5.q. 3. C. et quol.13.O.cformitatem intet actumj& obiect n effe in modo clendi, et cnti- tatiue,cd in reprae(entando, et intencio- nalitcc, ficuc imago cft finailis Carari,n incffendo,(ed reprzfentatiu. Ad 2.dici- mus,Q duplex eft cognitio entis rationis; vt colligitur ex Sco.2. d. 1.3.5. D. vna. pra&tica,qua prim fit,& fingitur ad mo dum ents;alia fpeculatiua, et quafi rcflez. - xa, qua iam factum confideratur fecun- dum propriam naturam, in prima cogni- tionc non ct eritis i M ehiouie fecun- da adeft veritas, quia confideratur, ficu- ti eflyre(pe&u cuius potcft dici menfura, non quidem qu ad perfc&tionem ; quo fenu a(ferit Do&or ensrationis non cfTc propriz cognitionis menfram, (ed quo ad veritatem,yt diximus difp.8.q.10.art. 2, declarando tertium modum ; quatenu $ poteft ce cerminus illios conformitatis; vt videtur doccre Scotus 1. d.vli. in fine, Ad 3.quando dicimus veritatem cile c formitatem ad rem ficuti eft in fey ces no accipitur proprie, et pofitiu,vc  non en te di Linguitr,& eenit  ratusratayrat ; fed fumnur pro obiecto, quod cognofci- uim qisiscfigiut fit et vt venit a rcor, 1ti5; nec per ly-icuu: cll in fe, ininuag tar femper exifteuria parte rci, fcd po tius natura, conditio, et clcntia illius.gp cognocitur ( quam biben: (uo modo en- tia rationis, et ntgatiopes, ) et cxiftentia obiettiuain cognitione practica, Ada. ycri- fits propri?,& formaliter, de qua lo- imur, non eftquazlibet Hd. 4 d ca tantum, quz eft ad menfur illias, jnquofundatur, quz regula modo eft bie&um,idebpotcft dici verum caufa- -Jiter; et radicaliter;lict formaliter dica- eur et verom veritate: i e(Tendo, non in reprifentanto. Ad $.tefp. obie&tum du- pliciter confiderari ;, vel fecandum efientim, et in ratione obic&ti ; et vt fio et mlra cognitionis practicae, et cana veritatis ipas;in tarum .m.cognitio di- &s effe caft? viuend eft re&ta, et vera, qua caftitas ct obiectum eligibile, quia habet (uam bonitatem przponderrem, et obiectiuam, eftq; conformis Legi fu. era qua proxima obic&turn dicitur n, et cligibile in moralibus; ficut etia idcirco in attefa&is cognitio domus cft yeraquia di&at omnes conditiones;quas dcbet domus habere iuxt exigenua prie conditionis; vt poffit iaferuiri fni ; ad quemteft ordinata, et non ideo domus e(t vera, qua fic cognofcitur ; alio modo confidertur vt producibile ad extra, vt effc&us,& (ccndum cxcritium exi(ten- tiz, et (ic obie&um dicitur menfuratum, cognitio menfca actionis producitut obic&tum illud  partc tet ; ita Sarez cit. et cum co omnes Recentiores, 3$ Sccundo, qud i(ta coformitas fit effencialicer ipfe a Gus vel (altim n quid diftinctum;probatur omnbus ijlisratio nibus,qui bus impugnacut diftinctio relationis abexcueis, vc vidimus tuo locas faperius d:fp, S. q.3-att. 2.  n.36 immo eifd rationibusde fa&o. vtikur Ouuied. obtrou 7de A vim. punt. r$. 1. ad id emn,n"m anicquam concipiatur  reiau conformitaus ipter actum 6c obiecto, n na fortnaltter dicin:us con fiftere vcri stem, tud:cjum cen(lutuitur verum formaliter, crgo luperfluit talisrelatio;ptoba:uraffun.ptum, quia adhuc in eo figno (upponitur obictum it fe habere parte teijyt afhirmatur pcr indici, ein denter ad rclationem ct formalkervery hoc cnim ett akum c(e for malitet veryquando de obictto 1udica tur5 icut fe habet  parce rei.Hoc codem argu gento probari folct bonitatem moe Lepess ; Quafi. II. nid fit verias copiizionli eder. IT. ralem in actibus humanis non con(iftcte io relatione conformiratis ipforum ad re tam rationem, quiazantecedenter ad ta lem relationem a&us illi cliciti juxt rectum rationis dictamen, et idco pom formal esee sas ad fimi a argumenta hic nen faciunt: (pecia difficultatem,& folui debenr,ficut quan. do fiuit comr d:ftin&tionem rclationui ab extremis, quod nimirum extrema an tecedenter ad relationem dicuntur talia fundameazaliter folc, et radicalitet, no vero fotmaliter,quod de bonitate mota Ld estere eren conce. quare idem pariformiter n propos fito dc veritate dicendum, acctiam de: fa] fitate; vt conftabit art.feq. ni41. c enim veritas,& falitas actuum mentis fint que dam (imilitudo, vel diffimilitudo corum intentionalis cum fuisobiectis, debemus feruata proportionedeipfisdifcurr ere,vtderclationepredi camentalifimilitudi nis,&diffimilitudimi s;Seddimiifishisrationibusdeductise xcommunibusadhucfpecialiusprobaturconfocmitat:nactuveronondicererelationemillifaditam;quiaveriaseft perfedtio:fimpliciter,cumfitattriburum Dei,relationoneftperctio(rmpliciterex Scotoquol.5.etgovetitasnoncritniiiabfoluta&tus.Tum.quia(iveritaseifetquiddiftin&taba&u,&ina&utundatum,iampoflcta&tusintrinfec(fciperecontraria,veritatem.f.&(alfitareinyctra.Arift. c.de fubft. dicentem orationctm effe capacem contrariorum fine fui mutatione, 'um 3, velactus [ceutidam (uam effentiam a(fi milatt obie&o;vel non, (1 primumser peraam eicatiamfolam eft. fimili vtra obiectiynon per relationem fupcrade ditam; ft (ceundum etgo per. fuam cffen tiam eit formaliter falus, nam falfitas i non fimflitadine contiftit, vt infra. T 4 a&as pcr (uam (icntiam eft reprafentae tio Petriqud (it homo,& ficuti e(l quia. per iuam e(feniam exprimit identitatem. Petri; et howinis, ergo per fuam efienti t(t verus 4 T m 5. cffe repra fentatraum dntcni er obic&i eifenualiter dicit "enutatein ablolutama&us;ad quod cone "fequitpr relatio tranlcendentalis regraz : Mmm j km tfertazionisadobiectum, pet quam (ec dum noscircomcribiur differentia e(fen tislis actus, ergo quia faltimin propoti. itiombus necc(larijs actus ex fua matura cft c (Tentialiter repracotatiuus obici, ficut cft;veritascritaGus effentiayad que  fcquenter. rclatio:tranfcendentalis o formratisillamciraimfetibeuse. v: 36 Refp.ad.1, nim. non etie vniuet(a lites veram, et cnm.Scotus quol. 5. negat rclationem dicere perfectionemjloquitur in diuinis de relationibus originis 5 Vcl dicimus; qud veritas ell: perfetio, non formaliter accepra fed ratione fundame zi, et fubftamiz actus, qurnatuselft cxc iundare talem relationem, quam nequit &undarc actus fal(s, A d z.conccdimus fe quelam,Arifl.ver loquitr de mutatio nc per c immediata nom (pponente ali priorem, quomodo non mutatur oratio s nam hac prefpponit mprasionem obie ti. Ad 5. dicimus aturh per faam effen &iam (le fu ndamentabiter h (f; mlabilenty ettam fi per impoflibile nontefltaret re latio, nom autem formaliter jy. vc io. fimili diximus dc relatione, et id (afficit,ne per elentiam dicatur falfus. Pr idem ad4. tum quiaactus c (fencialiter eft reprefca zaciuus, non tamen cft cffentialiter reprae feutatiuus ver, fedceundari quia pro uenit ex immutabifirare obicbi. Ad: im. probawenc eoncl, arguendoontra. Smi 4inch athznanimustation dilparitatis y ur rapra(cntatio hit quid atai incripfc &s& cxpliceumr per relarioncfcenden Sl, non ver1d de veritate dicendum: Tertioad.idem ; relatio przdicamcn ul;5 fundatur. in extremis habenubusiil lam racionem, (ub qua refemmur;celacio: ehipaivis, et filij (apponit parrem y et fi liumzn ratione gencrantis;, et geniti; re latio cau(z (apponit iam caufam, et cffe tum snratione cau(z,& effe&tus:, ergo pclatio veri fimpliciter dcbec fpponece jam ipum actum verum aliter nompof fec illum referce fubirauone veri  Tum 2... actus (cienuficus: ctentialiter ditfert ab! actu non (cienufico, heut (Cienra,opi nios error e(fenualiter etiam dif&cunt, fed: actus (cicnaficus ab. actu omnis non: vVulr.gct Veritarcin.etb diucrus rgo ve ritas ct illi effentialis. Tam 5, ia atkug fidei fupernatnralis, quamuis (1t gd ctingens,vt (unt a&iones Dei ad extra, eft intrinecs& c(lentialtet verus, vi ne cffe falus, vnde fi quis Su. i vg derecatum fidci de Incatnatione Verbi, ftatim rct ir xogoitionem Verbi Incarmti, quod portar obie&um, et hoc ptopter otdinem,. quem.dicit obie tum im reptfcntando, ergo quia talis ordo feperitur im quocumque a&u, quis percipetet hanc veram propofitio nem Tetrus currit ctiam percipeter cure uin petrenfem, ergo etiam in his confor gv me effentialis. jj zxte 37 T.ncg.antcc. quia fi extre ma relationis season cag a ratione,[ab qua rcfert iila, effectus foc Quod mre ne foraslem ce 0,5: onmino (upere poaae fub Mushemwr t imet pautem, filiu, vr Petrus di e t sat yt tt et filius for qnalrcec genitus, idem de alijsrelauuis di cendum; extrema ergo ante sclationcag fupponuntur (olum habere infe rationes: fundandrynaro cava ante se lationem lae ber potentiam a&tiuam, c otentia: paffinam duo alba communicant in a dcm natura fpecifia albcdinis, lic rela tio veritatis non fupport: forma liter ferum, ed folum rationem menfu rabilis. quz eft ratio fundandi relationes tettijaodi.. Ad z, aGus(cienriz aba&tu erroris: dificrt per. propriam di ffertiam e(ientialem, quz eft cendtia in proprit Obietum, vt caliter repre (entatum; per veritatem vero: differt canquam ptt ali quod proprium,& confeqncns nece(fari ad'propriam: naturam, quo ferifdicimus: equum ab liomiinc di ferre per binhibili. tatem. Ad 4irefp. aQturmn fidei faperitatu ralem dici neceffari verum quia fertur in obic&um fb rarione. repelati  Dco ;. quz ratio forraliscff certi (fima ; cotin gentia vcrb: obiecti io fc eft obicctuar materiale fidei y quatc fi quis perciperet a&tum repraefentant. Incarnauion Vera biypercipereejncarnationem reprx(enta tamque ft obicri illius aru (ub ra Aione cognitionis ; jicur peteiperet curs . i Petri,. "IN om tm tuo m . Ac iita. Quafl 1, Quid fitcvertas pitt Ar. 295 fiexi,at vc cognofcat veritat a&tus, rc tirur,vt vltra represration percipiat Misni rubei eit obicdlo vt reuclato, vt in fide, vcl c obicto  parterei, vt in alijs a&ibus;n ergo eft par ratio de actu fidei, et de cateris circa contingentia . $8 Quarto,oftenditur hanc relation non cflzcalem, Tum quia hec zclatio ett indifferens ad rem exitttem, vel n exitenicemyita.n. verus cft conceptus de rofaycom exiflir,Gicut cum n exi titer" go non eft realis, cd rnis. Tum 2. qu yerum eft iudicium;quo quis iudicat bo minem effe animal, ac illud, quo iudicat nonefle lapidem, fed hac conformitas, cum fitad negation, effc realis., ergo nec illa, quamuis fit ad c(le pofiti uum. Tum 3. laltim in cognjtionc ablra tiua cOtingenti de przents, ait Vulpes, nequit effe perfc&e,& fimpliciter rcalis, alioquin periret differentia interaedens inter notti  Sco od i nab jua ver minim. Tuu a. rela tio cx parte obicti menfaranusnonet rcalis,ergoneq;relatio cceptus encnfrat;, Tum:5.Sco muliis inlocis ait crum cflc idem realiter cum ente v: e(t videre apud:Caucilum.. Tandem relauo q1on (fcipit magis, Sccuinus,vetitas(ucipitmagis, &minus,datur,n.vnensmegisveriqualuid2,Met.4.&4, Met.8.Refpad1.exdi&tis:inprobat.conicl, Oftendcrefolumllamrelationemcteraronis, vtdiftinguitur.relanonefimpliciter,&perfctrcali,nonqudtit16lasioperactumcollauuuminiclle&tuscagfata.Ad2.peridem;veldicimuscii.Sco.3.d.23.G,conceptum,quinatuse(tficrimmcdiatrebnopereintelle&usnegouancs,duplicemeffe, poitiuum; quo tudicamus rem cflc talem,ncgatiu, quo iudicamus rem non effe talem, et vtrq: cauart  pofitiua re mepfurante illos c epuis;tm fecd id, quod eft qum te cundi non ett ; quare conceptas negatriuus pro termino ens ;pohri uum. Ad 3,dicimus Scotum ibiloqui: de re ationcattingentizy que in abftractiua non terminatur adrem et exit ente, aon de relatione confrmitatis,quia ben? po teft itio abftra&tiua cotormari obie &o in (c exiftenci; neq; heec et illa ditlio guunrur fpecific in e(fe notitiz vera (cd tantum, cile notitiz;fimplic.ter. Ad 4. megaur paritas, quia reltiua tertij modi non funt mutua. Ad s..dicims Scott lo. qui de veritate in cflendo, quz elt paffic entis,vcl de a&ibus intuitiis et neces. rijs. Ad 6. patebit in (eq. art. Quid fit falfitas cogyitionis . 39 dte Metaphyvfic (petat c fi : detareveritatem rerum,qua dicte tur in e(sendo,ad Logic vcr aliquo mo do explicare veritatem in reprz(encdo, que cft cognitionis maxim complex, ita quia oppofitorum e(t cadem dcipli aec saeeiA Mn datur) pertinet ad Metaphytium, ad Logicum tantum flfiras in rcpraenrando, et illa prafertios que cospitonicomploxa,8 propofitioni conuenir& confitltir in dif formitate ad tediin (e; duobus aut? ma dis poteft intelle&us obie&o noncfoc mari,veHmer negatiu, yt cam cotalicec illud ignorat, et hzc proprie non dicitue faltas, (ed nefcientia;& ignorantia, (ccu dopofftia, qudo percipit em;aliter ac ficin fey vc ti coriciperer Peccm currenti t,qudo fedet; et dicitur error, et :2no rantia pofitiua, it Arift. r. Pott. 109.in przfenti loquimur de feeda;namlo:ui mur de cognitione;& propotitione fal(a.. oddentur ifte. propo(itiones fala in nobis, pbat Ati.4. Net 19.21. et 28. contr aliquos antiquos omacei no (Eram cognitione allcrtese(le veram, c quia res qualibet talis eft, (icut  quoc.j; pu ratur etie, quod di&t impugnat, quia fic corradictoria effent fimul cra,  ab vn vnnmcontradictorium, ab alio alter ve verum eee o. cid re rum penderet  noftra cogicXtione,& ca dem quia expetimr oos aliquando nom explicar rcs, vt fr in (ipfis, vnde ia ali am vcrumur fencentiam, ce molius pon derara: Datac itaq; filias inveprarient do,qua veritati n eeprac(cnir 4 oj poot Mmm 4 ur 754 tar, fundaturq ;immediat,& pri ormali conce ptu, fccundario,& depd tcr in conceptu obic&iuo, quando com ccptus formalis alitcr atting!t rem sac fit infe, t dc veritate diximus, et ij(dem ra tionibus o(lendi poterit ibi pro fubie&to vctitaus. adductis. e A quo tf proueniat qued tm (epe in hoiufmodi labamur erorcs, et difficukta t in afcquenda veritate fentiamus, dice tur difp. f. Mct.q.9.att. 1. pro nunc dici mus;aliquando ortam ducere  caufis cx trinccis,& occurrentibus impedimtis f. ex indebita obie&orum diftantia, vcl ex dccdtu nofirorum fen(uti, p repra(entastur tcs, aliter qum fint. ; et tandem Sco. 2.Mct.q.2. totam rnem difficultatis redegit inmperfc&ion no ftri intelle&us,quiin cognofcendo dep det  (enfu,& per (pecics intelligit  (enfi AR  autem p M dependtia, inquitiDo&or quol. r 4.P. probat ex dngregede Ttin.c.27. otiri p cipu non cx natura pottiz, (ed rationc ftatus,quippe qui n eft naturalis, (cd pa nalis ob. peccatum omfpinale commuf fum noflroprimo parente, De hacigitur faltate quzrimus, quid formaliter dicat; et n cx didis art. prz cpatet ; qud non dicit s entitatemactus,velaGbicobiedto,(cdaliquidaddere (apraa&,dequocftdifficultas, maximanfitquidpriuatiuumitautfalfitas PusReconfor.mitatis,anvcrfupraa&rclationcmpofitiuamdifformitatis, &(italcm,adijcit;quen(it,&quomododiftincta.D.Th.1.p.9.17at.4.vbi Caiet.&alijThomif(zixfuper Mol.ibi.difp. vn. circa "finem, Valen.tom. 1. dif. 1.q. 1 an 3. et cx noflris Smifinch. trad, 3. de Dco vno dip.1.m.5 8. affcrunt falfitatem con &rari&.opponi veritati,& per con(equens quid pofitiuum formaliter dicere, Caucl tegens tid Aedui: p. Met.di(pe7 1.(uttin&c quid negatiuum olum formaliter fignificare  Diceadum eftfaliitatem addere fpra cognitionem, (eu mentalem propofitio pcm realem rcligionem diconuenientiz, et dtlormiums, dc quaidem e(t dicend quibus [z d "Difp. X. De Epsaciatint, s dillin&ionem,& cealitat, c verita:c diximus, Cocl.docetar  Tat, 1. Petier.q. t dub. 5. vbi Loquitur de falfi tate ctingentis propofition's, qua reae liter ve etu CY feparati et ab Ant.And. ibid.q.5.vbi adducit doGtrin, im verba formalia, quz tradit Scotus 9. Mct.fper tex. 22: et 6.Met.q. 5. $. Dico ergo ad queflion, Veri. Sccitde akt ver tati, bi a(ferit veritati coplexz eppopi, priuatin ignorantiamyque faltas negas tiua  vocauir,& ctrari falitate, quae do.f.vmuntur, qua im rc non fup vnita y vcl ctraffierg falitas propri dicta, c qua loquimur, contrarie per Scot ops ponitur vecitatino priuat;u, acquit co fiftete inaliquo ncgatiuo formaliter, (cd in pofitiuo, qaalis efteelatio difformitae  amus infra Ver(. Refpondcoypoe nat falitat in carentia veritatis formali ter, loquitur t ibi de falfitate oppofita tenus poteft (emanifc(tare, quantum e(t dirait intel lc&ui potenti tal ma nifcftationem agno(cere, quod conuenit . cuicunq. ent tanquam paffie, vndecum . entc corgerttur X per conequeas fal(i tas oppofita debet clc non ens, quia die cit acgationem talis ise aliter fi ef (et quid poGasta, baberet talem pottin et vcritatem,qud eft ;mpoffibile, Proba:ur at Ccl. hac vnica rnes relationes primi modi fundtur (aper v nom,& multajtaut vbi cft vnitas nature, ibi ct relatio identitatis, vbi eft vnitas, et cucnicncia in quatitate, ibi eft zr quae litas,vbi eft conuenientia inqualitate, ib et Gmilitudo,&  contra, vbi e(t multis todo naturarum in (pecie y ibi eft. relatio diuerfitaris,& diltin&ionis, vbi eft mul titado,& di(conucbientia quantitat, ibi ett rclauo i itatis,& tdem quz in xynalicate di(conueniunt,dicuntur di(Timi lia per rclation diffi cnilitadinis, quz rc lationcs n funt fimplicces negationcs ope pofitarum,difunilitudo .n. non c(t pcz cis carentia fimilicudinis (cd cft cclatio pofitiua oppofita contrarie losltuidipi s qum dotrinam fuse expo(uimus ditj.8& qp IO.att 24cr90 (icut cognitio yt abet Eu ow ELLA) i. co eri. dU e LR E TAM WY 4 et quand c 'obie o in efle ntatitio fundat rclatio nem irmitsti$ ad obiedtum;que eft lam intentionalis iimilitudo, (ic co nitio falfa, quia liabet diconucnie ntiam cum obie&o, aam illud non ex primit; vt cft infe, fundabit relatione di fformitatis politiuamad obie&um,que cft quedam [nimiis di(fimiitudo,in qua forma liter cofiftic falli as. Dices, calem relario tiem per accidens (e babere ad denomi nationemfalfi, nam fi per impoffibilciiG teultaret, cere tio per fimplicem carentiam. fimilitudini$. reprafentatiaa: im obicQo, in qua coniftit vetitas, di I icaBo dir Meiopalet de telis re valeret, ider et dc celatio hc diuerfitatisiinzqual tatis;& di (limiii tudinis (uftineri, &. per confequris nuila s ratio oftdens tmr re. ationes; tum quia poffet quis tum fittinere, qud falfitas (it quid potiti tium, veritas ramen carentia iftius diffor. mitatis, nam c jpfo;cp nomadett ditfor mitasin cognitione, et (i per icupoflibile non rc(ltaret relatio conformittis, effet illa cognitio vcra;quia b falfas et vmuer: falitr os rncs, quibus oftditur diflia &io relationis ab extremis; pfobc cdi fnction pofitiv falitats  cognitione, "o4 ait ccd medo fic pbitofo 'hd de itta relatione Qu ad realitat) et di ftin&ion projofitione y vt (unius locuti de vetitate; patet x ibidem d'&tis, nn.n. hac telatio cft rationis, (cd realis, "quia independens ab operc intellectus, eris PER deem m nam Ji cet propofitio ctingens de pre(entisqua do eft negatiua, dicat relauipnem actua lcm fimpliciter reatem,vt fiqaiscurrentc Petro dicat Petrus non currit hiec pr polito dicir relation realem difformi Taus ad curfm Petriesiftehtem, qu re fpicit, attamen propo6itio in materia imoffibili qua abftrahit ab obicto cxift te, et cius copia abolmtor: ab omni diff:cettiatpris,cam lt fempitefna: u fitatis, vt Dopo est lapis, et illa, quz eft de yratctito,& futuro ;& que ett de prascu, fed refpicit quid'negatinum;cui ditfor1air ptopter affirmauonem oppofiti, Quel I1. Quid fit evitacignitimii Ae IV. 78x vt nn currente Petro fi dieatuz 12:78 currit; omnesfle propoiuones dicena relationem realem fecund quid, c non fit intcr extrema realia ; ri propofitioncs ille, qua nequeunt guitar in veras, vcl faltim ab initio nom poterant effe vera, habent a] firatemy realitecidentifis &tth rcliqua ver.realiter.di(tinctam  : Contr arg. primo; fi faltas conhiflig in telatione d. formatis ad r, quraaiog exprimitur ficuti eft ergo quando inccila gitr Pcttus vt anima! folum, talis con ceps eiTcfalws &'quia; Perrus non rarius tft animaljfed'etiamrationalise Tum 2. ficut (e habet malitia'ad bonitat tta fal fitas ad vceitaten nim ficut malum efb quid volntatis defc&us y ita falfnm ef& qid dcfctus intelledtus ex 6, Ech. c. 2, erz ficut malicia fozmalicer dicit priua tionci bonitatis cx.$co. 2.d.7. ita falits rit priuario veritatis . Tum 5.ti falts diceret quid pofitiuum, czgo Deus c Currerec& eiletcanfa Kal(itaus in iotclle&t nottco;& ita po(Tet ali uem dccipe t, quod repugnat (mmxze cius veritati c &tioni, Tam ficut carentia potctie tie videndi eft coscias,& (i nullus noxios limor aductiat in oculo; ita carentia c formitatis: ad obic&um et praecise falfitas, quamus null. pofitum fequatur inactu. Tum 5. (cquereturs cpaliatcs De pofict duri;quz n crearetur  Deo, quod implicat, prob.fcq. ifia propoldo, "Deus: creat aliqnid demouo, poteft cic falfa;cura fit contingens, cuius fal(itas no eric Dco, aliter illa munia elct vcr3, ctgo aliquid etiet de nouo, pur pofie tiui illmsfal(itztis, quod n ctlet Deo. 45 Kefjsad ccadiciauts vinc propo'sitionem elfe al(a, quado ccipitur ces "aliter, ac sit non cft len(us dc concepru qracisiuo y qualis eft ilic Petrus cft.ani"mal, nam mhoc adc(t conformitas yfaltim partalis cam obiecto, icd cldediui$100,siquisconciperct Petruaeffcfolu'anital,veldeposiriuerroneo,tomoe(tlapis,&vnmecfalict quadorc!uibueturquodaonhabetpartcreivelabpsfaeaonetur, quodhabet.Ad2paritasvletdfalsitateopposita. veritatiincscdo,nondcopposita yc&iqu doo pode Bc quamvis in aliquibus valeac,non tam n proposito,2um quia aialitia eft defe&us voluntatis, qui ex (ud ratione forataHi dicit non ens, vndc io omilfliouc potct teperiri, at falsicas et deceptio, qua dar intelligere (cmper a& positiium intclle&us; tum quia bonitas, quz conformitatem ad lcgem formaliter dicit,  parte rci cf folum denominatio extrin(cca in au, et malitia eft carentia talis denominarionis, quz poftea accedente opere iatelle&us concipitur ad modum positiuz clationis difformitatis ad legem, at vcritas, et falsitas conueniunt intelle&ioai  parte rei;ideoq; in(urgunt ex natura extremorum ; quate sicut malitia fit relatio fationis alsitas erit relatio positiua prarc ab intelle&us negotiantis, Ad 5.aliud c(t dicete, Deum concurrere ad act erroris et ad illamentitatem falsitatis, aliud po(fe nos decipere primum eft vcrum, quia oncurrit cum causis fecundis tanquam wniuet(alis caufa, et cum sinat illas mo tus fuos agere, concutrit ad deceptioncm illarum, (ccundum eft falum, quia tunc ffct author, et toxalis cau(a ertoris;qnod repugnat ; sic etiam concutit ad entitasem atus peccaminosi,im ad ipfam cn titatem formalem peccati in fenttia Ca iet. ponentis peccatum in positiua entitatcyn tamen dcbet dici per fc caufa pec cati, ed per accidens, quia prater intentionem ipsius eueniunt pcccara; concur tit etiamad monftra, et alios naturales defc&tus, non tamen dici debet caufa imperfe&ionis; quia hzc prouenit ob imperfcdtionem cauz (ccundz  cum qua concurrit  Ad 4. ncg. paritas, quia. mor noxius in oculo ct inattiale priuationisynecccecitas parte rei in fuo copccptu formali includit babitudinem ad aliud, vt falsitas, idco $i actus. concipettur przcis . vt habet carentiam conformitatis, diceretur falfusco modo, quo actus verus diceretnr talis, si przcis cum carentia difformitatis concipererur, pa ries albus nigto diceretur diffimilis, si t carens similitudine, consideraretur,, t matcrialiter, et fundamentaliter, n forqnalacr  Ad 5 scpondet Tac cil idem itiua per intelle Dif. X. D Enuntiatine 05,argumentum fic ii MOS d co qund aliquid de nouo fiat, et non  Deo, nam iftapropositio Bcus nibil creat de nouo, pes effe vcra) et hac veritas non e(fet .  aliter propositio clet fala ; quare re(pondctur ca(am umplicar Is nihil de. nouo creac, non potct dari propositio illa de nouo,nam implicat aliu de nouo producere proposiaon aliqua, ad quam non concurrat bs  similiter nulia cfec propositio yera dato ca[u pro pter eandem ratiohem ; gu Mop iflx erunt pcopositioncs (eip E Isificantcsy de quibus diximus 1. p. Infra. 2-c.1; ida Secido arguit Pa(qual, ens cmaz hi fumpt dicitrncinveri tanqu pa(fionem; cuifalsiras opponitur, crga it esc ens posiriuum, quid extra enscomuni(fim non datur aliquod positiuum ; quod sifalsitas vt sic negatie u opponitur veritati, qualibet cti fal fitas ncgatiu? opponctur; quia infcrior feruant naturam (upcrioris. Tum 2. qud fi dicit entitatem politiuam, iam haberet vnde poffet (c manifeftare cuicung; iritclle&ui, ergo haberet vcriratem, et fi n cTet oppo(ica veritati, quia oppofitid foliit, non includit ron altcrius oppofiti, p. cmic fallaci, quia arguitur. veritate inclendo ad veritatem in repr: entando, et  fal(itatc illi oppofita d fitatem huic &ontrariam,concedimus n, cns cmuni diccre rationem verita tis in flendo, et faltiraem oppolitam cf fc quid ncgatiuum (cd negamus falficate in reprazcotando efe quid negatitum .& inferius ad illam falfitat,nam funt al terius, et alterius conis, et (olum zquiuoec analogic faltatem in communi dici dc hac, illa, vt innuit Doctor . Met, Q 3. in fimili de veritate communi ad ve-rXacem i0 e(jendo, et 1n reprzfentsndo; nii velimus concedere faluiatem 1n comuni abfiraherc  pofiriuo  et negatiuo; vt diximus de rne ptincipij in commani ad form, et priuatione in I byi. dify, 14343. Ad 2.fimiliter dicinius faicdtem in Xeprz entdo opponi veritati in reprae fentandoscinus ronec tolli n includit; pon opponi veritati in effendo ; quaa in cluditsvt palTionem,tce.n. AN nielQuali. LI. uid fefalftas corri Ar. IP5 fe&us reficere nition falsi, et imtelligere em imilla repertam, eui falfitti vt obie&to effec ilacognitio TcHexa cobfotmi$/Tertiorelato propri n fufcipit enasis,& minus,falfitas fufeipit mapis, &c vninusergo n cft relatio; mi. prob. Prim,quia magis mticaryqui dicit homine tffe lapiderm,q qu affirmat effe equum ; item fi duobus tncum currentibus quis dicat tres crrere miris mentitur,quam fi diceret o&o; vel viginticurrere y quia is  vetirate recedit . 6 quia qus mali fnt inaequales in malitia er et aGusfalfi  Terti fi. quis cfformarec tres propofitiries fal(as, magis diceret fal(um,quam qui fhicam tantum, ergo fi quisconficeret vnicam propofitione falam ex fbie&o copulato: zquiualentent illis tribus, falfior erit hiec propofitio, qd iHa que effet de fbie&to Gimplici.Nec valec Hu ; refponfio difp. 1 I. Log.fe&. z$/17.& feq. uod illaque eft de fbie & copulato, crififtit in indiuifibili, idebqjtm aberrat  vericate, qui falum enuaciat de quatuor, quam qui de vigime ticonfiderantur.n. illa plora vt partes (a bie&ti ad quz indiaise fertur; acus., &c t diftin&a matetialiter fe habent ad. ill propofitionenr, (ict atqunon moratur Vntijs;qui el Rontz,quam qui cft Bo tionig,qdamis bic nvinusdiftet; et boc ; nis ab(entia illa confiftit in' indiuifibi 5& per accidens fe habet illa maior, vel minor diffantia. NO valet ; qua vt arguit Arriaga dil. t 4. Log. (cdt.3. fequeretur n6 agis vIpam effe ina'qua'eim (cmipal mo;quam palcumr, et babens yn grad albcdinis non'elfe di (limilius nigroyquanr lubens alb:dinem vtoto y quod'ett fal f .. Neq; copulatio'illaaliquid fluat, fiatrnon affirmatur cut(us de illis necef farib finu! (urpris, et cum riccefaria de pero vniids ab alio', et yqu ratione patitur o perm Perietudidem vt poffe mags, vcl sinus falum eausiciari, Tdeayqnia vc ritas propofitiupie (ucipit mags, et aiia mas, en its'Ctiac oppolita, atec. patet ex Atiflocit. inpez ced.arc. tquia' propono neccifatia magis ditat  fuite tate, venen veta, ci illa nequ... fieri fala cot iftayi certior,& eui. dentior;ergo verior;ttitn quia 1dem expe rimur in bonirate morali, que magis, et minos fafcipit in a&ibus vc "s 46 Refp.difficultat h&c petere folu tion illius dubij,an vna propofitio fit ve tior,vel falfior altera; ncgant boede ve ritate Herc. et Arriag.cit. it Amic. trae, 16. dip. t.q.$.dub.5.art.i. et Ruuius 1, Poft.c.2.q. 4. loquendo dc veritate fot mati, nn fundamenrali ; de falfitate ne gat ctiam Hurt.affirmant Arrag.& Ru go uns, vtromq; probabile cenfet Amictis. Sed yt rem breuitet explicemus, nor. ep veritas poceft fumi, vel pro propria for malirate,quomodo dicit adzuationem y '& commenfurationem actus cum obie &o,vel pro concomitantibus ipfam,qua Iia fat neceffitasobie&ti,vel contingen 'tia;rhaior,vel minor perfe&ioentitatiuz ipfius obiecti, maior, ecl minor efficacia rationum;quibus mouetor intellectus ad affenfm,& fimilia : primo: modo adhuc poteft dupliciter confiderati, nam vel il Ta 'adzquatio fmitar extenfiue im ordi ne ad numern predicatorum obic&i s. itaut a&tus nihi] reprzfenter, quod nove periatar in obie&to, et nil Gt imobiccto y quod nn repra(entetur abadtu, fecundo intenfiue, vt actus repra(entec obie& s quanam eft repre (entabile. Falfitas dez inde poteft fumi dapliciter, vcl negatiue vt dicitcarentim veritatis, vcl pofitiu s vt fignificat receffum  veritate, et dift tam,qua confiftir im illa relacione ing ialitri;, sicut abfentia: Veneta poteft imi,velvt dicit carentiam Veneta prae fencii vel vt significat diftanti positiud y A. difttiam Romanam, vel Bononis, Vt igitur deciaremus, anvnapropositiositvctior,velFalsvoraltera, iupposito,quodlouaamurdementaliproposterione, feudecognitioneimellectus(niVocahspropositioimpropriediciturvev125Vcl'taMa)videndumett,an veritas et falsitas in ommbus propsitionibus cone sflt in inditsibili, an ver i omnibus, vel fakim ip aliquibus prepositionibus rcpiciant Obietum diuisibile: nam si prt mum concedatur, ncQuit vn noy cx 869 Sicandeg onfiderctur veritas qu . Dip; X De tera vetior, fi fecundum, debet ad tti jn vcritatey et falitate magis,& mi nus co.modo, quo in rclationibus datur ; $t explicauimusdifp.8. q10. (,.. 47 Dicimus ergo  quod fi veritas f gatur pro concomitantibus ipfam,fic vna propofitio cft verior alteras patet  quia vga propofitio cfl de perfc&tioci, dc ma gisnecefario obiecto, x proftaa ifto vna cfl alia cuidentior, quia euidentiora motiua concurrt ad affenfum ipfius; ia colligitur ex Scotoq. 14. Vuiu. cum ait veriusnon habere fuam veritatem  zni pus vero; hoc ctiam voluit Doctor, cum rjuol. T. ait Confimiliter tuult& coB  infjones fcquzes ordimat ex cod priu ipto babent veritates proprias diffru Eas, C fortpriorefl verior magis zecc[Jariayquia im neceffitate juam pen . detpo[lerioriyfed 2 comier[o Suetiam "i fimatur pro adzz quat; one acus cu Qbic&o cxteniua quo ad numerum pre Wicatorum, poteft admirierc aliqnam la. titudinem,prater quam in tran[cendeni bus, nam fi vna res habct in (e plura prz dicata, et aus folum $num rcpra fentct, alter vcr. 6moia, certe conformior erit ecundus, quom primus, ficut dua qnan pes mag'sequales d:ctur,ia nt,eua ecundum omnes dimen tiones, quat fi cciam vnam tantam; t fi conbide tentur dug propofitioncs dex odcm prz dicato; vcl dc omnibus fimal fic yna n &ft verior alicra xicnbu, qnia conti funtinindmitibili vcl n. afl monos &onucnit obicto velpcganr, g. difcon, cpit ; et quia trafecndentja habent con ceptum fimpliciter (gplicem  propofi. tioncs dc ipusexhoccapite eras a tenfionem reprientauonis, fic due pro pofitiones tornare obicto Mir E g.inaquales in wejitate; quod. probatrs, qo de codem. opiccto,omaingpaflunt. ri imelletones y quarn vba edrios  et diflinst,as yeprgs pret allud altera Lau:usyvt B tepigicnpee obiadtu 2uin. c(l eel vierge ri Vcr&t, propter indiuiibilisatem obiectz vig propontid wergox aviccto tenia  Conf rM : tA o nam UU ja LEN. m ES A. et incenor rcprefentauo fornialiter eriz perftior, et intenfior veritas, antec, prob. perc&ior aGus;perfectius, et cla fius attingit obicctum;qu iraperfctior, quamuis vterq; atti mgat cei ada quatione exten(iua, et quo ad numerum prz dicatorum ; fic Theologi admittane cum Do&. in 4.d. $0. q.4. et 4. vnam vi fionem de Deo pere&iorem alterajqu qesctbe Beatus attingat omnia prz icata diuina, et Dcum videat, ficuti eff, et nulia creatavi(io repra(entat Deum, quam c(t rcprzfenrabilis, fola vifig iuina 1pfam adzquat inten(iu,& ext fiu, et idc dicitur comprchenfio ; tum tas vetitatis non con(titin mplici adaquatione fed in timilitudine rid fimilitudo fug rgo et veritas; tum quia in corporcisre, busidem cuenit, namidcin obictum vie fibile, ve! propter perfectiorem potentia viiam, vel propter intenfius lumen teft perc&ius, et di(tindtius videri aly vno, quam ab alio, licet vcecque artingag omnes partes. obiecti. Demum probar poteft. ex dottrina de comptreheof&ione apud Seotjdeo4qnP, 00 ., DicesverirasconGi(tit in ! tionc brin cum obiecto, fed equali inter duo nequit recipere magis, et mi mujer dern rd im vnde n magis atquales dicuatur duo aurei palmi y $ duo lignci& D. Aug.cpift 29. ait ome nia ret c(fc zqualiter recta, vt patet dd Vjnea, Re(p, veritatem non elc (oli adar quationem extenfiuam, fed euaminteimte ch e 4 ncs vt repratfentct iud, ycutt,; quantum rep! cft, idcirco adattic latitudinem quanda, vt peersega Ss magis,& minus; ficut explicaium ctt. Neq; inferas, eego accu non cepra(cntans obiecr, quaac ct ce praet (t falus $INOn valct;alicett acus. Wwusedereuam falfus quod is " jv mem ad primumaute Adgsloquicur de rectitudine mas ufeatica, QUA cootiftie 1o indiditibili y nou de peclazua yalicr etum ow ; M Quafi. IT. Quid fr) talis ;& ficomnes actus virtutis e( Fennec Verom De falfitate dicendum eft ctiam;quod poflit effe vna propofitio fallior,fi.f. pri uat perfc&ioti veritate, et magis nccef fariaynde falfius cft dicere Deus non eft, m Mimdus non efl ; poteft etiam c(Te Ifior, fi plura negat przdicata, qum 6 vnum folum, binc falius eft dicere bomo efl lapis qum bomo efl equus, quia. ' prima remouet ab homine et rationali tatem, et animalitatem ; fecunda fola ra tionalitatem, et per concquens dicit il la maiorem inzqualitatem, et difformi tatem,quam ifta,ticut arguebat Arriaga. Dices falfitas formaliter cfiftit in re ceffu  veritate ; ergo quia qualibet pro potitio fala  veritate recedit, qualibec crit zqu fala ; de per accidens .n. cft; qp parum,vel multum recedat ; (icut cum quis Fuchariftiam fumit non iemnus,pec cat,& nil refrtjqud parumyvel multum comederit. R efp. falfitarem non dicerc folam catenuiam veritatis; (ed pofitiuam difformitatem:, ideoq. poteft actus ma gis  vel minus efle difformis obtecto, fi. cut album potcft cffc magis 5 vel minus di(limile;vcrum eft ramen, qud fi obie &um cof (tit in inci (bili tunc vn pro pofitio de illo nequit effe falfior,vt cft in exemplo adducto; praiceptum n. (umen di Euchatifliam antc comeftionem con lift it in indiuif.biliyt:f. iciun fumatut, idcoq. fi non ieiunus quisaccipit, parum refett li abund comedent ; vel non ; non fic (emper euenit in talfitare, nam ipfa di ftantia  verirate maior 5 vel minor indu cit maiorem, vel minorem difformitatem cum obiecto; inqua confiftit ralfitas, vt poteft explificari in multis actibus pec caminofis, plus .n. peccat qui centum fu ratur qum qui decem . Ex quibus patct lento adargum. quamuis.n. veritas et talitas futcipiant magis, et mi mus ; adhuc tormaliter dicent '"rzelauonem, cui tanquam "'Proprietas conuce |o mit hec fu. vediustibun fuo S loco. . 4 wd ueAEE 45 coghitinise ert, SASGROTURMLS VOS V. o, An propofitiones de futuro contingeut? Abfointo fint determinate ver, : vefalfes |... 49 T lfficultas heceft potius thealo D gicasqum logica ; agitur tamen hic Doctoribussquia eam tangit: Arifl iu fine r.lib.Periher. procuius rotellg ; tiaynot. ex Tat.hic q;vlt. quod furur cf dplex,vnum necclart, cp .(. impoffibis le ett nforc, vcAntichtiftus erit homo alter contingens, et hiocetl triplex ; vel q; rar eemit, vt inbrio thefauti ex fof fione, vol vr in pluribus,vt homine habere duos pedes et de iftisnon loquimur,ter tium dicitar contingens ad vtrumlibet,gs f. elt.indeterininatumex (cad efle; vcl nonef(fe,veqad Sortescrit, vclnacerit; de qo pt ficri propofitio vniuerfalis vt 66s homines cras currt, vcl.patticulariss vtaliquistiomo:crascarret y vel iogulas tis,vt Petrus.evas covetz et qualbiberiftas r propositionitpt: rrfs' cfle duplo; vcl aboluta,vel.comditionata y abfoluta dicitur illaque fturanrexiftentiaicnts ciat de re abq; alia corditionc,vt Petits leger,non qj lectio craftina: n pendcat  motus cdttioribus,Gc cirguinttantijs, im furexittentia, fed quiabac dep ia,mo cy[irimitur ; fedifoli pec propofizic 'nem cathegotic affirmatur ; vel ncgatur ftura cxtltia tei ;cditionata ver cft, in qua per cditional hypotheticam af firmator, vehnegatur futura exi llentza rci depdentr 'cditioncyiraut fi n poni tar irieffilla coditio;neque crit rcs illa, vt fi cias vcnit Pens, Sortes legets 5 fo Setund:not. qud d; (fidium eft apad Dodctotcs;quid pr deterrhinat vc titatem; et flficatemintlligatur. Quida .n. intellizauc veritate nccenatiam, vt  ccingentidiftioguitur.scdnoriplacet,heepropofitioctideprzetentiefttetrnintitvera, nontamenneceffari,fedemipceniter:Qaidamintellisuntveritatcuidentem:edfalso,nammulaepropofitionesdeprafenti,neceflarig,"funtincuidentcs,'&tamendeterminateverz,Quidamver.Recentioresdilinguunt,ptopo(iz:odcfuturopoteftcom."sdinAnDutsd."799Difp.csegompafri4dduosvcladfigaificatAform3cyquodfignificat,veladcaufasiucFic&us,&formalisfinificati4confofmitatemcumfizpificatoforiiliwobantvctitatfimplicifer;'cohformitatemciteaufisappcellanrvesitazmderEISquzveritatespoffontabipnicertzrbamitellescotifo:fitverii; (ed hic; )& nanc ctmifis catis paraturn, ex quibus mouetur intelle; &us'd propofition dc firuto formans dam;non fit determinate, cerriudayaz liter veram; quia cau(znon (unc hie y. &. nunc determinat ad illud producdum, et e conira;firexemplum, fi inftvc prin cipis lectione y quis dicereu Petrus crif. ifj qiia attendit ad ani orum ben ditpofitos erga Petrum fi Peuus etit princops;dicer yerum fimpli Xet' quia illa tio conformar cum f;guificato fotmali.futuro., et dicet quoq; dcterminat y crum, quta confor mtur cum caulis bic,.& punc difpolitis ad talem clectionejfi ram non erit Prin: cps, dicct falfum funplitater y (ed derer: minat verom: quia rcfpigiendo: caufas lius dlehienis ls indiciora b: cfors mitatemy f&uxt vetum mbtiuum, pro nuncizup dla propofitioy. quapropter 1n fcnttia jftorum. determinatio veritatis attendi dcbet ex conformiiate, cum; mo tiuo impeliente: intlictum ad aliquod iudicinm eliciendum, Sed quamuis hace acceptio poffet admitti  quando vci& at tingitur connexio canfz cum.cffetu r um ex conicturis fol intectur s. poris dhec babitudoad canfas y et ad mta de nc minare debebir illud indici prudeos, vcl xtemierarintpyqum veram, yel falfum, qui.n;cx leni cau(a., vel cx fufficiepri mo tictuf ad aliquid afhrmanditm, vclacgan:d,nen dicitur tune vcre vel falso iudiareyled rc Ctyrelmal y prdenter y vcl nfi paenters tm quia vcritas propofatio,hisnonmifvex ordine ad proprium figpificatum fermale:fum slcbet . Quare. por dctcrminacaro veritate anielligumns bmgplicem veritatem,. et cformitatem pcopotitionis cum fuo fignificato,& propaFitionem.effe. detetminate veram. .cft Allam inc fundare verigatc non faltiras fit nobis, occulta ge enim ct do per. accidens: xllpropofiuini (5.057557 208131] uS 1. Tcro ups. bc propot:gne; pliciter potlc dici drrerminat cols el Fcepiaem rrr y cate: is! iin primo fenfo-l]a et propofirio derez. minat ycc2 Quasolucn tigaiGicat: praedii catum me fe& non eXcludcndo; porentiam ad oppolitit ; vt iuc cbrifl vs, evit dicit icsiteariam: faruram cenueor,rc fubietajcami hoczamen ftat quod-ha bat potentiam ad efi;ndum. ; tono aacem/: firopofitio: dicitum d etecminac c; vera defcraiinationc de poflibili., quan doctiamexcludit potentiam ad appdfi1amj;vtbomoeft animal ; bis duabus detcrininapionibus. opponuncuno duz inde tctmmintiones,de inefe, et de:poffibili;s poffe non efse, illa dicitindiffer&uam. e(sendur, vcl non elsendugi;, qua indc terminatione nulla res dici: iadif fers; Gc indeterminata jquia qualibet. (f determinata determinatione de incscin vel eft;oclnon;eft;c hac tn.detrmina tionc poteft ftareindetetminauo de. po fibili quia res.ctingens c et poteft n ese,& cnon cft;pote(t c(sciquz diftin &io (0 modo applicatur etiam caufa li berzs;quatenus pote(t agerc,& n agere -' In przfenti loquimur de propotione de futurojnam quz c(t dc prassetiy vcl dz prateritospatebqp cft determinate vcra welfalfajn&cde quolibet futuro, (ed cone tinguiy& abfoluto; nam nccesarium cft (cinpcr.detetarinat verum,.quia copula indus proptiionibus abotuiturab Quis ni differcavid temporis;conditionar ver r (pc&tatad: Lheologi;nans [eei affert orantis difficulrates. "Theologtcas  m loqaimut dc propoficonibus ngu laxibusynom de vniyer(alibus ve) pacticue lanibus;&anr paxiculares (ape dcrenoinas t verat; vniuer(ales deteemina:  (alis, no fimplicitery&abolutied anoriditcr lo uendo,& tccamdxwvp pauca cut ms ; nam cumad fal ratem pcopotitionisvniuer(alis fufficiatvt prz dicat. non conuenat vut contento (ua dub:ecto.  fi eft vniuer(als afzrmatua, vc! conucniatg Ur hac dicitipditfezentiam ad polle c(ic, Q.II. De Veritatiefuturoeu aitrisgedlm. Ani.. 4 xffibiiley qnod earuryyal o jbuscomeniar idcirco propotitiones vniucz(alsfancdtte rmina t flc; et patticulredeterminate:vere; folrignuride fangularibus c(t difficaltas, it 23Infaper loqnimug d venizate derer teyaigaorit de po(Tibiki fiet a repus coxitizerftiraq uia ponit eco [ 1tats(cd det ionc'deanese.; x)ug Pistas pota Decir m des p tive notat D m kdi3giG, pet duas catlegovicis: virtuglicec in illa. intlu(as in gnatum wnz de mcfse zribuiz tm (biccto jradicram y SeoppofitirilBc perdin hibuinirifalkerz; mon quf dein dc ine(sejqaiaimplicat, fcd:de poffi  bilet Petrus curver, nom explicatue (De truy ficcurketypo t mo cuyvetsfed. Pecrus flecinivetyvr poterititnbnaurvexe s it Le fudeterminatione ftat r ctimgtia. Senfus i AR ero Gon yt ciantuc itae propo Gizines;: f) faicikcadi&orizz,!vc Porrus cravleget 9: petrus 74$ ngn leger; vnaittat fir determina: t vchalteta fal(ayvel fi. &na tanc prdfez vmtutyPerpuscrdyigers fta sic verade verihinar,vel falajat vero de. sit fala fe3:vera; ed priecindatei: nan Tv.3l "' Bitvodopiniodserens, qud propos? tiones defirtc comingenu vsi consideserur vt cntcadv-toviar icegrant ivrigui Bypotliucaa: disitiu, vc Taetrdrs cras legetivey TUriusatonleget cras y siue dieititt vt Perruscyasleger -vel'uo leget y sSieyiliter si iesideret vaccas liegdrica dis rnGtinlih rdineladeceivaem; Sofilsi: atem v.brpereig legeroet effer ajstel Sisi rien arto erit deti at'vra;/s disiatetorcadituria at Edar nic deny acsi qeslibecex ego Per MA adi curi 6r alia peliausho M rer meaua; rftarb ediz vita vel Kfaxdte concisa cens fei vrianerac : werd ulteretiagdesetmimuy Scioecfajus st Voca nul clesie di cetiia Mene ve uet Jyaecput gosdosiigocihnim lata E era fadeidiowafase jane .alfigari: doterniitiare: ca lamus"aliquis-,y Cui cucniar niecetfitas ittassicut a (TgriaHrjquando:tertmirius dererminate fuppp MR polrrflirracz r.c. 10i tti "buicir harc pinio A rif.hic, :itAurco:in 35,439. q.1it. a Cadier; opuc. de vert. eun.Molispedifp/t7:6c18,Masio hic cd. fa&t. vm.d. 4. Cordbzddib:r; qoe ors,dabir 36 : Gonitmbr.cirantur Bat. dna Sul. n ron r.& Brg:d:49.ad Axe princ. fed fals jmamlle Folunvatferit utrum contiizens fcund: (c conside farumnallam babere deteymination ad (fe; vel efTeySc Ger vc socnul dim liabere deceeammaratn vetitatentjaut flpicatemjarsi (pectemursvt fubcft diuina volun aut ;sic c(t dc ceomimat t vcl ad (l al;velnbe(tdi j ad yeritut  vk Galsita t) iffiatt;quia futuri, c sizin diffcrsad cffe, 6c noie (iere quirit: detes snihaxi rjpprla:cn(2,::qua;depdce;qua re nor necadit abfolure fon babere: ma vimbatam vorira&cy v cHalgizati; Batdius voro loquiturarfont. Azift.o a fa 'Curkirwericitem;vt.ipemeo fe doclataa. 1553 dDicEdibett peoplsitiovcs n cornzinpenti ubfoltorefewcl debezmina t veras dexermigna c i las v itaux haec s TE Mni raram iet palis 98 eifode cningent iss: $2 7d ug: yeppeceftqs con, an; s:atoad ;diseolo Igrois fe: Pato Dude $5 (rav ie rcros, aipiicede icemtiobeli aao sizum iidccecen(cce j)c qngcipfi api&meiLiny probat Gres v.d. Do etii se ornesferc ;ccbntide "ceatioimos delumpfere prot: ro ai Motif ic datp. aou4xiacoppositi av fenvenu fifsedo Sixspsguarttbdscorat: corra itrams ftv ifa Cen uci manacriprs f dferua cux iiri! icadlouaris& rarionabilie tct dnidein): iam nowfolum zaidenter: Patribusufscisibmcd:rhiberusjn facta ;Senptanam Dan. 1 dicic d DeosiQs yofl tais jantequa fant y f. pne 2. dic uir; Erabflergt omncm [atrii ab Iooalis eoum;qaz propositio cft dc fata zurcrimemri sizulari; &C ibidem atsbaj itr efse vetain uude: Ioanni dicisus 5 cni" be jquiabac verba fidelijjesia fwit,G vc c za5& palim habctur talcs ipyinitent webfulsiaugtaiScae ' m 792." A Popes st determinat alitet epere,cp cft impiil; c vel maxime gnulta fb iuramento per prophetas (dos, tanquam yera promulgautt,& ipfe: Chri ftusore proprio, vc cum Petro przdixit xrinam negarionem, et latroni pofie(fio n6, et ingceffum Paradifi. Tum quia De n5 ab eterno prz(ciuitomnia futura, no Iquid fub difianctione,q forent,vel non 3torent, nam hoc modo inobis przfciun zurncc proprie effet praefcientiasfed co isaitio queda confufa,& imperfecta, pre ciuit crgo determinat? iuxta illud i'fal. 338. Intellexifliomnes cogitationes me as de lgey" omnes vias meas prguidi &lijigiturab eterno propofitiones fuerc etecminat verz, vel fal(z, ergo qudo os illas pronuuciamus, (i crunt contor mesillisinmentediuinaabzternoexi"ftentibus,eruntverzfidifformes; falz;"neqdicascumCather.haspropositiones.escTheologicveras,nonLogic;quiaAllepropoitionesantecednteraddiuinamcognitionemhabentdeterminatam:veritatem;velfaltate,non.n.ideofunt"veraquiaficcognofcuntur;fedvercozgnofcunturDcoquiafic(untinfeiptis,fiuchancinfallibilveritatediuinafcien'&iahabcatcxcocxiftentiafuturorumc"CERLaco, fiueexideis,fiudecretisdi'inisiparrefert;inpra(entin.quarimusJftum;ncau(am,&modfacti:Qi0d'adhucpotprobati;quiaqncftdetermiAnatinfcveram,vclfalsunonecognoifcibilc;quarcffutura,cognofcunturDeoscrunt determinat coznofcibilia et squariuisnos non cognocamus determi. tauj& certe ;non ob id negari dcbet illis rainata veritas vel faliitas; nam etj zoultas de przcnti, et necclarias cecj 9neicimus,& tamcn in(eipls habt detcr fminatam vericatomyaut f. Mert ed $4 Sccdo;prob.he. diones sic crminat conformes, vel determtnat diflormes proprio obieto quando pro feruntur,ergo (unt determinat yetz vcl fla, con(e..patetex ir pati verita uis; falfiratis, Adiec.prob.hgc propofi itio AEnticbyifins erit. y figntieat Anti e&liriftforcjinceriotpore futuro; in quo qud cus potuifscr mtiri, et metis a ftus, Sio e conde d a E MI eft conformis, fi non | formis. Ncc obftat nos necire detecmi uat an fit veta, vel falfa; nec abfentiao porte qde aon vri de prz(enti 1to erunt determi nat verz, vel Galle pbic&. ignoretur nobis,vel fit abfens, vt in illisde ptate rito,Si dicas,vt effe&tus (it futurus,requi ri determinationem cau(z liberz. ad ill producendum, quia fi eft adhuc indeter. minata& ia zquilibrio fufpen(a, cffe&us nequit diciyq erit,vel non erit)hoc.nha bet  determinatione cauz, at ia prola tione propofitionis dc faturo, caua. et indeterminata, et idco t effe&us intelli gitur indeterminatus ad effc, vel non effe, et per confequens fitio erit inde terminate vera vel falfa; quod non eucnit in propofitionibus de przr(enti,& dc preterito, quz in (ua figmificarione indo] 1t determinationem'cauft, .Contra,propofitio de faturo,lict nc proferatur;in quo caua eft indctermina, tastfi non fignificat obic&tum pro punc. y fed pro tpore furuto ; in quo neceffario caufa elt determinata ad. producendum, vel non produecendam, et ctfe&tus ad ef fc,vcl aon cfe,crg0 nunc propotio cri deterarat conformis,vel ditforais ; . non ingolgeret deteriinagioaem cau f (cd indeter minationemy (ci potentis am habet ad producend, vel no pros cendum, quiatalem potentiam habet cau(a in prolatione propo(icion:s,fe jue retur, Qilla propofsio non efoc dc futue royfed dc prasu,n de iaeife;(cd modas Iis de poffitsili,no cotingens, (cd nacelfa r2 5prob.(cquelay&.n.hec ppofiio. . ticbiifluserit, fignificat Apchr.ft. vi poffibil produci,vel n pduci,& fub inerminationc caufz de poilioil. (uo y pt dati aliqua caufa, qua fit indctermie ta indeterm:inatioae de incle, n3 quxlibet vcl agit,vclnagitJergo faceret bune $690, Atxi i 4t produci, et n6 product(e po(Diile cft A atichiaft pe ; duoi. iebcit n produci  E polito: modalis& neceffacia& p. "iequsabfolaiuat copul  ipori ifie UV ied ei 9.IT. De e it Loja ydiatlis pottia ' ' mhdteperitr in ncafa. Tum. i jab: Tottam, quia illa iiopolitio-ederdetetuiinat vera qu ad vtratmq:prtem daa effet copalatiua, ad: quatn requiritur vetitas. vtrifqs catheSerien e satio ots : E lumyyt diximas 1, piinft.ctac.4:e .& 9. ($5. Tertio ptob, hzc jppotitio Jntiebri[lus erir, vel eft determinare vera, et habetur inttve n etit veray ergo non etit Aacicheiftus, ptet con(eq.ideo proitio affitmatiua n eft vera, quia cius ficatumon ita fe habet  parte rei, vtxprimituc per propofitiotiem ; aliter e(fetcofocmis;& vera, Ii ergo Antichriftus non etit d parte rei, ergo ctradi&toria illins affirimatiug eft vera quia e(t cformis obie&o; vteft  parterei ; Tqa neqait obiectum e(Te indifferens ad efie; et pon elTe, nequit... Acichriftus cras elfesfcd.vel erit P ve non 'cta$, ergoneq propofitio turo expriavcas eris  craftini Antichrifti poteft esc indiffersad veritatem, :& falitatem; aliter (1 nonefet verum dicere Jnticbriflus cras erityneq. ut ntichriflus cras nevitspoteti inferrisergo Aaichriftus cras neq.erit;neq. noeric quia x propofitiori copulatiua, cuius partes t dua dinglares negtlugvalet.con(c qentia ad cathiesoricam fisgularem negatitrim de przdicatcopulato ex predi catis partam cpulatiuz, vc Petrus neq; cac (tn24; Pecusloqaitur, ergo. Petrus nei; curti neqsloquitur; et fi due con ' traditohie e(fent vera;vide Gregicit, Qoutra titan veritaccimarg, Tum quia fi ptop(itiones de futuro codcigeriti ha beten: dcteraiaatam veritatem fequeretur Dcum aliquindo dixifie fal(ams qui tilta per Pro hcras praedixit vt euentu: fajque tmen non fucrunt 1n elle pofita, vt cum Li. 38.przd; c Ezechiz Difpone domi tias quia morieris, et Yon3.24ddi d'tiiodbucquadragintadies,nNimue[ubuertetur,&amenieq.mors Ezechiz,ncq.ciuicatssfuliocontigit,Tum2. Faturumvcconrng'fuarationeformalicftindifferensadvtrmlibet,ergoL0gKA,futwrorim'eomingent,Art.V.293de(uarationeformalie(tindeterminaperiodnequitverccipivtdetermint.Tum5.lihoceffet,ergofacurancceffariocucnitentquiafipoffentneucnirejillapropofitiopoffetfierifal(aypotiatur'ergo,qudnoneuenit,quaritursquandopropofitio,quzeratvera,incipitettefala,nonqudoeftvcra,quianequit(fefimulveca,&fal(a,nante,velpofts.qua quod eft aliquando ver; femper cft verum. Tua 4.nulla effec differecia inter propofitionem necesariam,& contingtem;quia-ambz efsenc (empiternz veritatis. Tum $. omnia immutabiliter cuenitent; et per confequens fruttra efsent cfltationes dereb. faturis,vt arguit Acift, T 6.(i Deus determinat cognofceret futura contingtia, quia hzc po(st aliter fc habete;fequitar,g Deus pofSet decipi nam (i Deus nouit Petrum fcsurum cras, et nfedebit, Deus decipictur,ergo fi no ait Petrum fe(surum cras, et pot n federe,Deus poset decipi, quia ficut ad duas .de ine(se fequitur conclafio de ine(sc, ita ex vna de ine(sc, et altcra de poffibili quitur conclufio de poffibili. Tdem eft authoritas Arift.acgantis de futuris contingentibus dari pofse determinatam ye ritatemyvel taliratem . TON $6 'Kefp. has rationes n fol auferre  nobis, (i valerent; notitiam certam futu rorm,fed etiam  Dco; vndc Cicero li, 1. dc diuin. his per motus omnem. Dco futurorum przcienti negauit, quapro pret ab omnibus ; Catholicis (oli deberent. Ad t.igitur dicimus propofitiones illas non effe de futaro aboluto, (ed c ditionito, (enfus .n. eft, qud Ezechiel debebat mori in(pe&o ordine, et curfu fecdarumcaufatum,& Niniue de ftrui, nili egil'set penitentiam,quod de alijs fi milibus eft dicendum : quia crgo: euens tus illt debebant poni in e(se dependteE  conditione,tita (ablata, aufercur illi et per confequens Deus n gradixit. fal(ain. Ad z.dicimus futmc. vt contingens tse tadeteriminavim. indetezminatione de polli bil, quatenus potcit poni; et non poni in e(s, et in hac indcterminationc codfiftit formalitas ctingentig, dicitur tamen determinatum dcterminationc d : Nnn ineses 784 tar, fundaturq ;immediau,& primari in ormali conccptu,fccundario,& depdter in conceptu obic&iuo, quando coscptus formalis alitcr atting't rem sac fit infe, vc dc veritate diximus, et ij(dcm ra tionibus o(lendi poterit ibi pro fubiecto veritatis. adductis . 1 A quo t& proueniat,qud rm (zp in bniufmodi labamur emorcs, et di fficukta t in afcquenda veritate fentiamus, dice tur difp. (.Met.q. 9.att. 1. pro nunc dicimus,aliquando ortam duccre caufis cx trinccis,& occurrentibus impedimtis, f. ex indebita obie&orum diltantia,vedl ex dcfectu nofirorum (enuti, quibus (2p repra(entantur res, aliter qum fint ; im moro hai i gua cultatis redegit inim ion no ftri intelle&us,quiin cognofcendo dct  (enfa,& per (pecics intelligit  (enfi bus mendicatas :yndc autem otiatur dcpendtia, inquitiDo&or quol. 14.P. et probat ex Auge1 $.de Tneng oci cipu non cx natura iz, (cd rationc ftatus,quippe qui n eft naturalis, (cd par nalis ob peccatum. offginale commiffum noftro primo puce . 49 De hacigitur faltate quirioug, quid formaliter dicat;& quidem cx dicis art. prz patet, qud non dicit se entitatem actus,vel atii c obiecto, (cd aliquid addere (apra a&, dc quo cft difficultasmaxime an fit quid priuatiuum, itaur falfitas fic Mr MA Rar conformitatis,an vcr fupra a& relationcm politiuam difformitatis,& (i talcm, adijcit, quena fit, et quomodo diftin&a. D. Th.1.p.9.17.ar4. vbi Caiet, et alij Thomiftz ixfuper Mol.ibi.difp. vn. circa "finem, Valen.tom.1. petes qua. 3j. et cx noflris Saifinch. trad, 3. de Dco vno di(p.t.1;58. afferunt faltitatem con &rari opponi veritati,& per con(equens quid pofitiuum formaliter dicere, Caucl lus tam dip.3de An.[cGt.9.Pafqual. 2. p. Met.di(pe7 1.(uttinc quid negatiuum olum formaliter fignificare . Diceadum cM addere fee coguitiopcm, (eu mentalem propofitio pem vealem rclionem di conuenientig, et dtiormiums, de quaidcm c(t diccnd Difp. X. DesEnaciation, 5 uad di(lin&ionem,& realitat, qe de verita:c diximus, Ccl.docetar  Tat, 1. Petier.q. t dub. 3. vbi loquitur de falfi tate ctingentis propofition's, qua rea liter vans enim potcft (parati, et ab Ant.And. ibid.q.5 vbi adducit in y im verba formalia, quz tradit Scotus 9. Mct.fper tex. 22: et 6.Metq. 5. $. Dico ergo ad queflion.V crl. Seciide ait veri tati y vbi afferit veritati coplexzz eppopi, priuatin ignocrantiamyque fal(itas negas tiua t vocauir& ctrarie falitate, qu do.f.vmuntur, quz m rc non funt vnita y vcl ctra,fi rgo falitas proprie dicta, dc qua loquimur,contrari per Scot op ponitur vecitati,no priuatiu, ncquit co fiftete inaliquo ncgatiuo formaliter, (cd in pofitiuo, qualisefteelatiodifformitasinfraVerf.depEtisj&cquamuisinfraVerRefpondcopaeqe QAPAertttatcitaveritatircrineffendotamhzc veritas suitddeiepcieatenuspoteft(emanifc(tare, quantume(tdefchisintelic&uipotentitalmanatternifcftationemagnof(cere,quodconuenit.cuicunq.enttanquampaffie,vndecumentccongcititur&perconequensfal(itasoppofitaeicnonens,quiadicitnegationemigeyaliterfief(etquidpofitig,babereztalempottiagrelationesprimimodifundtur(apervnom,&icftvnitasnature,ibicftrelatioidentitatis,vbieftvnitas,&cucnienciainqutitatc, ibi eft zqua litas vbi cft conucnientia in qualitate, ib eft Gmilttudo.& econtra ; vbi eft multi naturarum in (pecie ibi eft. relatio diuertitatis,& dittin&ionis, vbi eft mul 1 di(conuenientia quantitat, ibi ett rclauo iuzqualitatis,& tdem quz in icatt dilconueniunt,dicuntur di (Timi lia per relation diflicnilitudinis, quz rc lationcs n (unt &implicces negationcs ope pofitarum;di(limilitudo .n. non ct prz cis carentia fimilicudinis, (cd cft celatio pofitiua oppofita contrarie. Ligsrl:tadipi s quam doctrinam fusc expo(uimus ditp.Ss qp 1o.att 2,crgo ficut cognito  Me 1 . om coil AI oo pi i jii. io Med "a 'obie lo in efle ref tUuo,fundat rclatio ncm conformitstis ad obiedtum;quae eft intentionalis (imilitudo, (ic co itio falfa quia liabet di(conucnie ntiam obic&o, nam illud non ex primit; vt cft infe, fundabit relatione ditformitatis politiuam ad obi&um que cft quedam tent ;onalis di (fimi litudosin qua forma fite cfift falficas. Dices,calm relario tiem per accidens (e babere ad denomi ationemfalfi, nam fi esl impoffibilciiG teultaret, adhuc cognitio per fimplicem carentiam. fimilitadinis. reprarfentaiiua: im obicQo, in qua conhftit veritas, di Ceretur fotmaliter fal(a, Conca, n fi haec reponfo valeret, idem potiet dc telatio hc diurfitatisiinzqual tatis;& di (imiiitudinis (uflineti,'& per confequris nuila G ratio oftdens debere talcsre ationes; tum quia poffet quis oppofitum futtinere, qud falfitas (it quid potiti tum, v tamen carentia iftius diffor itati$, nam co ipfoyc rionadeft ditor. itrcogoirione, et fi per impoflibile non rc(ltarer relatio conformittis, eflet illa cognitio vcra;quia h falfas& vmuer Kilitr os rncs, quibus oftditur diflia &io rclationis ab extreniis; ptob: cdi fn&ios potitiv fal(itats a cognitione, AE Qubd at ccd modo fic pbitofo? hd de itta eem ad rcalitat et diftin&ion  projofitione ; vt (unius locuti dc vetitates patet x ibidem d'&ts, nn .i. hac tefatio cft rationis, fcd realis, quia independens ab operc intelle&tus, ai ss fimpliciter realis, nam 4i t propofitioctingens de pre(entisqua 'do ct negatiua, dicat relauipnem actua Icm fimpliciter realem, vt fi Qaiscurrente Perro dicat Petris non currit bsec pr potitio dicic relation realem difformi tatis ad curm Petriesiftehtem, qu r fpicit, attamen propo6itio in materia im poffibilqz ablralit ab obic&to cxift t6, et cius copala abfoltitar: ab omni dif f:centiatpris,cam lit fempitefna: flfi tatis, vt boo est Lapis, et illa, quia eft dc yratctitoy& ftro et qua ett de prasc ti, (cd tel picit quid negatinum;cui diffor fatr ptoptet affirmauonem oppofiti as cognitionis c rt. IV. 78$ vt non currekte Petro; fi diatuz 122 currit omnes ills: propobuones dicenz relationem realem fecund quid, c non fit intcr extrema realia ; Sumlirer propos fitioncs illa, qui nequeunt: eutari in ve ras, vcl (altim ab initio non poterant cffe vera, haben: fa] liratem: realitec identifi &atatn rcliqua vcr realiter. di (tinctam, .. Contt arg. primos fi fa itas conhiflig ii telatione d: form tatis ad r, quiaanop e&primitur,ficuti eft;ergo quando inccila pitr Pcttusvt anima! folum y talis cons cejxs eiTcfalas &quia:Perrus non rami tft antmalfedetiamrationalis. Tum 2. ficut (e habet malitia'ad bonitate, ita fal fitas ad vceitaten 81m ficut malum eft quid volantatis defe&us y ita falfnan eft qoid defectus intelledtus ex 6, Ech. c. 2, ergo ficut malicia fogmalicer dicic priua tionem bonitatis cx.Sco. 2.d.37. ita fali ts rit priuatio veritatis . Tum 3.i fali ts diceret quid poitiuum, ergo Deus c &utrerec& eilercaafa fal(itaus im intcel le&tt notLro,& ita poffet aliquem dccipe te; quod repugnat (mmxze cius veritatisc perfectioni. Tum ficut carentia potctie tig videndi eft coecuas,& (i nullus noxios htimor aducniat in oculo; ita carentia c formitatis: ad obic&um et& pracisc fal fitas, quamus nulli. pofitinum fequatur na&tu. Tum 5. (cqueretur, cpaliatcs De poflct duri,quz n crearetur  Deo, quod implicat, prob;feq. ifia propoldio, "Detis creat aliqnid demouo, poteft eic fal(a,cura fit contingens, cuius fal(itas no crit Dco, aliter illa sore uem elcc vc T3, ctO Tcv etict de nouo, pur pofie tiui illmstal(itztis, quod n cfiet Deo. 43 Kefj.ad c diciauts vuinc propo 'sitionem elfe ccipitur ccs "aliter, ac sit, non eftlen(us de concepcu przcisiuo y qualis eft ilic Petrus. eft.ani "mal, nam in hoc adc(t conforaicas y fal tim partialis cam obicGto, icd cl de diui $100, si quis conciperct Petrum effcfoiu 'animal,vel de posiriue erronco, c bomo eft lapis, et vninecalicr quado rct tibue turquod aon habet  partc reivcl ab ipe a fenetut, quod habet  Ad 2. paritas vlet d falsitate opposita. veritaci in cse o, nom dc opposita yclrqa doo cAR 7286 Bc quamuis in aliquibus valeac,non tam n proposito,2um quia nialitia eft defe i&us voluntatis, qui ex (ud ratione forata li dicit non ens, vnde ia omi(fiooc potct teperiri, at falsas e(t deceptio, qua intelligere (emper a& positiuum intcl le&us; tum quia bonitas, quz conformi tatem ad lcgem formaliter dicit,  parre rei cft folum denominatio &xtrincca in actu, et malitiaeft carentia talis denomi narionis, qua poftea accedente opere in telle&us concipitur ad modum positiuz clationis difformitatis ad legem, at vc ritas, et falsitas conaeniunt itelle&tioai  parte reijideoq; in(urgunt ex natura ex tremorum ; quate sicut malitia fit relatio rationis positiua per intell alsitas erit relatio positiua prz(cinddo ab actu intelle&us negotiantis, Ad j.aliud cft di eere, Dcum concurrere ad a&t crrotis, et ad illam entitatem falsitatis, aliud po( fc nos decipere; primum eft vcrum, quia concurrit cum causis fecundis tanquam vniuetfalis caufa, et cum sinat illas mo tus fuos agere, conaitrit ad deceptioncm illarum, (ccundum eft falum, quia tunc ffct author,& totalis caua ertoris;qnod repugnat ; sic etiam voacurtit ad entitas tem actus peccaminosi,imO ad ip(am cn titatem formalem peccati ia fenttia Ca iet. ponentis peccatum in postiua enti tatcn tamen dcbet dici per fc caufa pec cati, (ed per accidens, quia prater intcn tionem ipsius cueniunt peccara; concur tit etiamad mon(tra, et alios naturales defc&us, non tamen dici debet caufa im perfe&ionis; quia hzc prouemit obim perfcelionem cauz (ccundg  cum qua concurrit  Ad 4. neg. paritas, quia. mor noxius ip oculo cft inattiale priua tionisyneccacitas parre rei in fuo con ccpiu formali includit babitudincm ad aliud, vt falsitas, ideo si actus concipete tur przcis . vt habet carenuam confor mitatis, diceretur falfuseo modo; quo actus vcrus diceretur talis, si przcis cum carcntia difformitatis concipcretur i pa ries albus nigro diceretur diffimilis, si t carens similitudine; consideraretut,, i matcrialiter, et fundamentaliter, n for qualacr Ad jsepondet Tav cif idem Difp. X. D& Enuntiatime 5 argumentum fic ci MOESIA d 9 qui aliquid de nouofat5&nonDeo, naniftapropositioeusmibilcreatdenouo, [redite(ftvcra,&bacveritasnoneffet.aliterpropositiocIetfila;qurefponditurcalumiplicareniDeasnihilde.nouocreat,nonpocctdaripropositioilladenouo,namimplicataliqu&dcnouoproducerepropositionaliqua,adquamnonconcurratssuniliternuliaefcecpropositioyeradatocauproptereandemratiohem;quapropterifla:eruntpcopositioncsnalsificantes,dequidiximus1.p.at.2.c.10;:4dumarguitPafqual,enscomu:niffimgfumptdicitrnemveritanqupoetacnilsiskMppponitoraensitasn'!ensposiciuum,quiexigemundAnadaturauodpositiuum;.quodsifalsitasvtsicnegatieueopponiturveritati,qualibetetifalfitasnegatiuopponctur,quiainfcriorferuantnaturam(upcrioris.Tum2.qui.fidicitentitatempolitiam,iamhaberetvndepoffet(cmanifeftarecuicung; iti tclleGtui, ergo haberet veritatem, et fic n efTet oppofita veritati, qua oppofit tolit, non includit ron altetius oppofiti, Refp. comiui fallaci, quia arguitur veritate inc(lendo ad veritatem in repr fentando, et  fal(itatc illi oppofita ad fitatem huic contrariam,concedimus c ens cmuni(fim diccre rationcm veria tis in cflendo, et falfitatem oppofitam cf fe quid ncgatiuum, (ed negamus falficace in Pi, CR I cfe quid negatiuum .& inferius ad illam falta, naim funt al terius, et alterius conis, et (olum zquiuo c analogic faltatem in communi dici dec hac, illa, vt nouit Doctor 6. Met, Q 3. inlimili de veritate communi ad ve ritatem in ctiendo, et 1n reprzfcntsndo; nifi velimus concedere faltatcm in c muni abfirahere  pofiriuo  et negatuo; vt diximus de rne ipij in comas ni ad form, et priuatione in khyl. dif, 14943 Ad 2.fimiliter dicimus Laiicatem in xepraentdo opponi veritati in reprae fentando,ciius roncrh tollit, n inchudiz; non opponi veritati in e[fcrnid, quam in cludivt palTionemrc&e.n. potett icele lectus iMi t PIE arg rpas Sa e  97CUN TAA 24 Am Quali. LI ull fefulftas copi AI. T8 fetus refie&letc nition fasi, et intchigere falfitaterh iw ilia repertam y eai falfitti vt obieQto effec iHacognitio Tcexa copfotmi$/ "$ Tertiorelaio propri n ffeipit 1,& minus, falfitas (fcipit apis, &c vhinus,ergo n cft relatio; mi, prob. Pri. tr,quia magis mtitaryqui dicit homin tfc lapidem, qu affirmat effe equum ; item fr duobus tncum currenribus quis dicat tres crrere mirus mentitur,quam: fi diceret o&o; vel viginticurrere y quia fnagis  veritate recedit. Secundo quia atus mali (unt inzqnales in malitia; ergo et aGusfalfi. Tertio fi. quis cfformarec tres propofitines fal(as, magis diceret fal(um,quam qui vnicam tantum; ergo fi isconficerct vnicam propofitione fal am ex fbie&o copulato aquiualentenr gis tribus, falfior erit hiec propofitio, d dWa'y qui effet de fbie&to implici.Nec Yes eq) vot dirette ubi. 2.$/27. 1 ic &  o", cenfittit in indiaiibili ideqstm aberrat  verirate, qui falfum: enuaciat de quatuot', quam qui de vigime ticenfideranur.n. illa plara vt partes fa bie&i,ad quz indiais fertur; a&tus, 8c t diftin&a materialiter (e babent. ad. ill propofitionenr, ficit atqunon moratur Vntijs,qui e Kontsquam qui cft Bo fioriig,quanhis bic avinusdiftet; et boc; m illa confittic in indiuitibi 5& pet accidens fe habet illa maior, vel minor diftantia. NO valet ; quia vt arguit Arriaga dili. 1 4. Log. fedt. 3. fequeretur 26 Gogis vIpam e(Te inaquateim (cmipal &$o, quam paleum y et babens yn gradr albedinis non'etle di (liimilius nigroyquanr Wubens alb: dinem vt oto yquod'ett fal fm .. Neq; copalatio illa'aliquid faluat; fiitrnon affirmatur cut(us de illis necef fari (imu! (urbptis,& cum nicceffaria dc ja vnius ab alio', (ed contus et y qu ratione patitur i(io pere Vaciidudidem, vt poffit mags, vcl. minus falfum enusiciari ; Tdea quia ves ritas propofitiopis (ufcipit magis, et mii mas, ergotatitas etiam oppola, antec. patetex Ariftecit. inmprz ced.arc. tquia' propotitio neccifariarnagis dittat  faite tate; Qu cntinigens vera, c illa nequcae fieri falaicot i zn n Breinopt dentior,ergo verior;ttim quia idem expe rimur in ied co one et minas ffcipit in a&ibus ds. . 46. Refp.difficultat h&c petere folu tion illins dubij,an vna propofitio fit ve tior,vel falfior alteta 5 ncgant bocde ve ritate Hurr.& Arriag.cit.;t Amic. trae, 16. dif p, t.q.$.dub.5.art.r. et Ruuius 1, Poft.c.2.q. 4. loquendo de veritate foft malti, non fundamentali ; dc falfi tate nes gat etiam Hurt.affirmanc Arrag.& Ru uius, vrromq; probabile cenfet Amictis, Sed yt rem breuiter explicemus, not. qp veritas poteft fumi, vel pro proptiafor malitarequomodo dicit adzrationer y '& commenfurationem actus cum obie &o,vel pro concomitantibus ipfamyquae lia faut neceffitas obie&ti, vel contingen 'tajthaior,vel minor perfeGrioentitariuz ipfius obie&i, maior, ecl minor cfficacia rationum;quibus mouetor intellectus ad affenfm,& fimilia : primo modo adhuc poteft dupliciter confiderati, nam vclil Ta adzquatio fmitur extenfiue im ordi ne ad numerat przdicarorum obici s, itaut a&us nihi reprzfenter, quod nove periatar in obic&to, et nil Gt inobicto 5 quod non repra(entetar abadtu, fecundo intenfiue, vc actus repre (ente obie&t quanam ef reprefencabile. Falfitas dez inde poteft (umi dupliciter, vel negatiu& vt dicit carentiami veritatis, vel pofitiu s vt fignificat receffum  veritate, et dift tam, quz confiftit im illa relatione ing Pieri 3, sicut abfentia: Vcneta poteft imiyvelvt dicit carentiam' Veneta prae fentie,vel vt significat diftanti positiu y JA. difttiam Romanam, vel Bononis, Vt igitur deciaremus, an vna proposi  tio sit vctior; vel falsior altera, iupposi to, quod loutamur de mentali proposit rione, feu de cognitione imellectus (ni vocahs ptopositio improprie dicitur ves 125 Vchtalfa) videndum ett; an veritas, et falsitas in ommbus propsitionibus cone sflt in indidisibili, an ver in omnibus, vel faltim ip aliquibus prepositionibus refpiciant obietum diuisibile: nom $i pri mum concedatur, ncquit vn poros cl pUT C n . det po[lerioriyjed 0 conuer[o S . . Dip; X. De, seliealcera vetior, fi fccundum, dcbet ad mitti jn vcritate&falitatemagis:minuscomodo,quoinrclationibusdatur; ytexplicauimusdifp.8.q10.|.;47DicimusergoquodfivetitasfugnaturproconcomitantibusBVvtia propofitioeftverioralteraspatetquiavpapropolitiocfdeperfc&tioci,dcmagisnecefarioobiecto, Xxproftatuiftovnac(taliacuidentior, quiacuidentiorayootiuaconcurrtadaffenfumipfius; iacolligiturexScoto.q.14.Vuiu.cumaitveiiusnonhabere(uamveritatemmipusvero;hocctiamvoluit Doctor, cumrjuol..T.aitConfimilitertuult& conlnfjonesfcquzesordinatexcodpriuiptobabentveritatespropriasdifliuEas, CfortbprioreflveriorGgmagisneccfJariaquiainreierpenam"mfimaturproadzquationea&uscQbic&ocxteniuaquoadnumerumpteWicatorum,poteftadririercalignamltitudinempraterquamin tran[cenden 15, nam fi vna res habor in (a plura prz dicata, et aGus folum vnum rcpra fentct, alter vcr emoia, certe conformior erit (ecundus, quem primus, ficut dua qnan gus magsequales dictur,i ncequa lecundum omnes dimentiones, quai fi iccuadum vnam tantam c fik contide tentur dug: propolitioncs de codem prz dicato, vcl de omnibus fimal, fic yna n ft verior alicra xtcnbu, quia conta fiunt in indmilibii vcl p. 2 f&imt,guod onucnit obicto, vel pegant,. qe dion, &cpit ; et quiatrafecndentja habent con ceptum fimplieiter(mplicem Pepe &ioncs.dc ipiisex boccapite erai 2 pe. Vcr& propreriindiuibilisatem obie 1j Sitandeg onfideretur yeritas qu ad in tenfionem repraentajionis, fic dua pro po(itiones de codem obiccto poflunt ef g.inaquales in wejitate 5 qnod Fes ia. de codem. opjectojommnp poflunt. dariimelleduuna e narii vba ops k et diflinstjsseprgls pret eta f Luziusyv Gao eprqienMet o T tun cb zeprarentzabile dad vv propontiev: 3oic9to SVG y. ;eneqpkobquia vg 97. :EON M. Aag, s enitn ri pn pae ar et intenor ccpre(entauo fornraliter eriz perfctior, et intenfior veritas, antec, prob. peve&ior a&us;perfeGtius, et cla fius attingit obicctum,qua imperfctior, quamuis vterq; attingat pere ada quacione exten(iua, et quo ad numerum prz dicatorum ; fic Theologi admittane cum Do&. in 4.d. $9. q.4. et $. vnam vi fionem de Deo perfe orem alterajqu quiso Beatus attingat omnia prz dicata diuina, et Dcum videat, (icuti eft, et nulia creatavi(o repra(cnta: Deum y quem ci rcprafentabilis, (ola vifig iuina :pam adzquat inten(iu,& ext fiu, et idc dicitar compreheno ; tum quatem veritatis non con(titin mplici ad&quationc fed in timilitudine deiimcmiemlisfed fimilitudo fug ; ; ipere m3gis et minus yr3o&veritas; tumquiaincorporeisrebuscuenit, namidcinobictumviefibile,velpropterperfectioremporentig.vifinam,velproptetinteniuslumenteftperfc&ius diningvidenalvno,quam:abalio,licetvrerqueattiomnes partes obiedki  ron rua poteft ex docttipa de compteheoftone apudSeocj dep qenPs 000 48, DicesveriasconGi(tit in tione actus cum obicto, fed j intet duo nequit recipere magis, et mi nus, quia conti(lit inindiui(ibili, vnde n n aquales dicuntur duo aurei palmi y $ duo lignei;& D. Aug.epift.29.ait om nia recta c(fc zqualiterrccta y vt patet da Vjnea, R ep, veritatem non ele (ol ada quationem exten(iuam, fed etiam intem futam cum obiceto, vt repratfentct iud, et ficini eft, et quantum reprae cft, idcirco adatti; lasitudinem 3uand, vt peii S magis,& minus, jicut explicauum ctt. Neq; infcras, ego accug (e Obiecr, quaat ct rc praet ft fal(as slNOn valet;alicee acus. wusedereuam falfus qu cit i vt diximus ad primum Deaut Atigsloquicur de rectitudine mae uieantica, qua contiftit io indidilibik y noa de peolaziua yaliter etium po De falfitate dicendum eft ctiam;quod poffit effe vna propofitio fallior;fi.f. pri uat perfe&ioti veritate et magis nccef fariajvnde falfius cft dicere Deus non eft, m Mimdus non eft ; poteft etiam cffc Ifior, (i plura negat przdicata, qm fi vnum folum, hinc falius eft dicere bomo efl lapis qum bomo efl equus, quia. ' prima remouet ab homine et rationali tatem, et animalitatem ; fecunda fol ra tionalitatem, et pcr confequens dicit il la maiorem yoermmensentiha verres tat uam ifta, ticuc ar, t Arriaga. Dice falfitas formaliter cfiftit in n ceffa  veritate ; ergo quia qualibet pro potitio fala  veritate recedit, qualibet crit zqu fala ; de per accidens .n. cft ; qv parum, vel multam recedat ; (icut cum quis Fuchariftiam fucit non iemnus;pec cat,& nil refrt|qud parumvel muitum comedetit;, R i folam carentiam veritatis; (ed pofitiuzm difformitatem, idcoq: poteft actus ma gis vcl minus efle diflormis obiecto, fi. cut album potcft efc magis y ve] minus di(limile;vcrum eft ramen, qud fi obic&um cf (tit in indiui (ibiliitunc vn pro pofitio de illo nequit effe falfiur,vt cft in exemplo adducto; praeceptum .n. (umen: di Euchatiftiam antc comeftionem conlift it in indiuit.bilvt:f. ieiun fumatut, idcoq. fi non ieiunus quis accipit, parum refett fi abund comederit, vel non ; non fic fempcr euenit in falfitate, namipfa diftantia  verirate maior ; vel minor inducit miorem, vel minorem difformitatemcumobiectoinquaconfiftitralfitas, vcpoteftexplificariinmultisactibuspecaminofis, plus.n.peccatquicentmfuratur, qumquideccm.Exquibuspatctfepontioadargum.quamuis.n.veritas;&faltasfutcipiantmagis,&mimus;adhuctormaliter.dicent '"zelationem, cui tanquam v Proprietas conuce -oLmit hec fu. p soe fuo falfitarem non dicerc AIT U"l 7-4 p itas cophitinisiAe 1/7. MIS Ne. An propofitiones de futuro contingit? Abfoluto [int determinate vert y ; vefalfe. |... 49 TXHfficultas heceft potius theolo ! D gica;qum logica, agitur tamen hic Doctoribusquia eam tangit Arift iu fine 1.lib.Periher. proccuius mtellig&s tajnot ex Tat.hicq.vlt. quod furur cf& dplex,vnum nece(lari, gp .(. impoffibis lc ett n4orc; vcAnticheiftas erit homos alter contingens, et hiacetl triplex ; vel q rar eemit, vt'intio thefauri ex fof fione, vol vr in pluribus,vt homine habere duospedes et de iftisnon loquimur, tera tium dicitur contingens ad vtrumlibet gs f. ett indeterininatumex (cad ele 5 vcl noneffe,vruad Sortes crit, vcEn erit; SA ne fieri propofitio vniuer(alis vt 5 homines cras curro velpatticulariss vtaliquistimo:crascarret y vel. (ioguls tis,vt Petrus eva cocer et qualibeniftas r propositiontipt rrfas' ciTe duplet;; vcl abolata, vet.conditionata y abfoluta dicitur illaque fturanrexittentiofnents ciat de re abfq; alia coriditionc,vt Petits leget,non oy lectio craftima: n pendcat  mulus cdttioribus,Se circuihttantijs, im fur exittenta ; fed quia bec dope. ia mo cvpirimitur ; fed.fol per propoficicinem cathegotic affirmatur ; vcl negatur ftura cxitltia fei;coditionata vero cft, in qua per cditional hypotheticam affirmatots veI negatur futra exi lenta tci depdenter 'cditioneyitaut fin ponitar in effilla coditio;neque crit rcs illa, vt fi cias vcnit Pers y Sortes legets 5 fo Setund. not. qud d; (fidium eft apad Dodctotcs;quid per determinat vctitatem, et flfitatemiprlligatur.Quida .n. intellizuc veritate ncceiatiam: vr  ringeaci dittiogiitur ; sed nori placet, qa propofitio Me neon praetenti eft fed s mcer Quidarhincelligon Ey e enter gunt veritat cuiaentem : ed fals, nam multe propofitiones de pia fenti,  ncceffarig, tunt incidentcs,' et tamen determinate verz, Quidam vero. Recentiores diftinguunt quod ptopb(icro dc futuro poteft ompafri ad duojvclad fi anificat &4for mle,quod fignificat,vel ad caufas ei cRictus,& formalis fignificati Confof mitatem cum fi pificato Forili vobant vctirat fimpliciter," cohformitatem Cu eaufisappellanr Vesiratm derfrhjaar ci, quz vcrirates poffont ab ipniccr. (Epazri, ham poxcrit efle, quod aliquid iia fe: fit verit, (ed hic et nanc cimifuis catis cparatum, ex quibus mouetur :iutellez: usd propofition dc firuto: formans. dam;non fit dterminat, et cerriiudamaz liter verum; quia caufa-non funt bic y. nnc dctermiaat ad 1llnd producdum, et  conira;fir exemplum, ti inftvc prin cipis clctione y quis diceret. Petrus eril "inceps;c quia attendit ad anim orum ben ditpofitos crga Pcumm fi Peuus ccit princepsdicet serum fimpli iter quia illa propoitio conformarur cum fignificato formali futuro, et dicet quoq; determinate vcrum y quia confor mtair cum canjis bic,:& nune di(politis ad talem electionfi ram non erit Prin: ceps, dicet falfum fimpliciter  fed deter: minat verom: quia tefpigiendo: caufis illius ele&ionis; ndicium:hr cfor imitatemys fduxt verum motuum, pro nuncimup dla propofiuy quapropter. 1n fcntzia j florum. determinatio,veritatus aitcndi dcbet ex conformiiate, cum; morino impellente: intllctum ad aliquod pesce rot tyr ica hae acceptio poflet admitti j. vcre attingitur connexio cana cum.effctu y un cum cx conicturis ol intecturs. poruis dhec babitudo:ad caufas,& ad rubtuia denominare debebir jllud'indier prueps, vel temierariptnyqum vctmy vel falfa qui-n;ex leni caufa, yel ex fufficicpri motictuf ad aliquid afhrmanditm vc] nrgan:d ncn dier tune ver, vel fals audigarc;led rciyrelmal y prdentery :xel "anf; paenter tum uia vcritas propolatioJbisnonmrex eidien ad qroprium figpificatum ermale:fumf slc bet . Quare por ctcrminacam veritate anielligumus bmegplicem veritatem y: et cformitatem pro"potitionis cum fao fignificatoy S. propafitionem.efle. detetminat veram. .cft jllam in tc fundare yerigawcm y tion falawo. Do opifp. dee tarem; fiue illiwcti oceula fiue nota, ocenim c do per. accidens! XMpro idi obs yroi0s15!1] 1." eru ap bc: propoti:9n. dus pliciter potic dici derer minare [TT NOM determinatiane.de eye de poffibis: lain prno fenfo-jla'e& propo(irio dere, mainat ycczy quae(olurn trguificat: praedi catum aet te&o,.noneXcludendo; potentiamadoppolittt;:vt.4490ebriflvs,evitidicitciifteoriam:fruramcenuenot,rcfubietagconihoczzamenftatguodhabatpotentiamad.non(iendum:;zunaaacem! :iropofitio:diciumndererminae;veradefcrminarioncde:poflibili., quan4doctiamexcluditpotentiamadappdfitam;vtbomojeftanimal; bisduabusde1crininapionibus.opponuncurdugjadctctimintions,deinefie, &de;poffibilihzcdicicipdiiferentiaaadpotece,poffenonefse, illadicitindiffertiam.e(scndur,velnonclsendugiyquaindcterminationenullaresdici:poreftiadiffets,Scindeterminataquiaqualiber.e(f;determinatadeterminationedeincf(scin&veleft;velnon.eft;chacth.determinationcpoteftftareindetetminauode.pofibiliquiares.ctingensce(lpoteftnese;&cnoneft,potettc(sciquz.diftin&io(qomodoapplicatur etiam caufa li berz;quatenus petet agere, S n agere (In fient oqoicin: de jropocione de futuroynam quz c(t dc praestiy vcl.de prateritospatebgp ct determinate vera wel falajnecde quolibet futuzoy (ed con tingti,& abfoluto; nam nccefsarium cft feinper detetmrinat verum quia copula inis proptitionibus abi(oluitur ab. ons ni diffcrenvid temppri itjonatit yer r (pc&tatad: Lheologi;nans [eeu affert auiffimas d;fficulrates. "Thcologicas  loqaimur dc propofitionibus Gngu laribusynom de vaiyer(alibusy ve] pauti cue laribus,6agr paxticulares (ape dctennina- t verat;vniuer(ales deteominar  (ali a, no fimplicitery& abolu: jcd inoraditcr loe uendo,& tcemdxmvp pauicz. cut? um ; nam cunrad fal ratem propotitios pis vniuer(alis fufficiat,vt prz dicat. non onuenat vut contento [uo dub:ccto.  fi eft vniuer(als affirmatuay vci conucn:atgeaturyyal jbuscomreniar deirco propatitiones vniuexalsfuntdtermina .n t Life; K particularrideterminate vere; folirigaur de fangilaribus:ctt difficaltas . umnyo er loqnimug d veritate deter rmimationc:deanesey si de DAR S rwr mm icacr.  D&por m r:di391G, pet duas cathegovicis: virtuglitet nii intlufas yin qnarum vnz de mofee zribuiz tin (biccto jredictum,:Stoppotitril Bipeadiinrribiiniriakerz, mon quie dein dc irie(sc;qailaimplicac, fodde poffi bilijvtDetrus eurrer, nom expli rrur ficeurketyet t wo cuyvers fed. Peorna flicuvelyvr potevititnbnaurveye s iu qua indeterminatione ftat r ctimgtiar. Sen(s igitur qu Lee vehi uror sot ct wl di&orizs vc Torrus craclegut g: patrui c74$ ngn leger vna ittar tit determinaz t vciaalteta falfay vel fi ma tanc prdfel mutyPetypurcrdslegery fa sicvera de trthirrar,vel falajan vero de. sitfalfa y,   o 1svsl n Bitvo opimo afterens, qud proposi tiones de firico comengenu vsi conside semur' vt conteadvcoviar mregrant aiam Iypotliucaa dierckiu, vt Taetrics cras legetyvey Teriuyatonllcget eras j siredi ista vt Perriscyasloger veluolevets Similiter sl esideret vnaccailiegaroca dis fih Gind ih drdineladsceiatomns Sols: atem v.brveiris letus et effer oye LT oed sMtatibrqnit derer: mat'vera;fvdiaiatettorkraditgria at po oaa reriayetieman MptmEPonh an iAgtieb dlizDelvusAoA (rcr, meada: rftarmb eli veta ovel Kfadocdravisaccs fed mriarerat ' ver ltersta ia devetmimu, Scoecfu 'seyj st Gras null qiizo: ici vals siat bac pun ufeurcubfaacius dd laur (f veboefTeySconfequ licatu/DPe t aligicui:deterniitre sca lamus"aliquis7 QI. De riet fuus ctrigoi, cAnt. P. qu Is cui cucnjat neceffitas ikassicut  (Dgda Hrjqdando:terminus determinate fuppp: K cubes e en coe Hi i buitir harc pinio A rif.hip, :iturcozin 35:439 qi Tit.3u Gadier; opufc, de vert.. enin Molise difp/t7:& 18, Masiochic d. feGy. vnd. 4: Cordbidiba; quzt(Eiq. agg dabiri36 : Goniimbr.cirantur Bfsol. dng 1d/38:9231ap.3: ad t.&c Brgid: 9. ad ua pirum d falsynamiile folurxa(ferit futruim contnzens fcundu fc conside farum fullam babere detesmination ad &ter vc scnul dim liabere deceeammacato vetitatertjaut flsicatem;arei (pecterursvt fubcft diuinae voluntaui;sic cft de comiti vcl ad (f ali;vehape(tdit j ad veritur  vek xlsita "tj iffigtr;quia futurit,c sibin diffcrsad cffe, c noie (imyorequirit: deter anihaxi ryppils:cin(2,3 quadepdcc;qua reinom neeauitabfolr &on babere ma Teemibatam gerira&cn, v clsitatis Batgiusvor loquiturafonr: Azift/oafia rcatidcweritirem;vt.ip(emeo fe rw a. 15g DicEdibett propisitlowcs dc facro corziwpenti abfolutocefewelidetetaina t& vcrasyvetderermigate Glas v itaut hac poositto:Tietras: legt:crss bot deteam nitixcateert tp ali3 o8 ifode cinangeni vss 8; od ung: yeipepeftqs kon, ax: sata d: Tieolo lerosf Xe: Plbitoliuslo 55 rav vercros, capciocd ictmtiobeli aao spazum iiccecen(cce jc qngcipfi oj&nhiliny probat rc?) cd. i38.9: Ux rz dbxquo ormnesferc x coonitide "csationos detumpfere prob: ci Motif ric datp. aoc isaopposits av fenwnu filsedb Sixtpaguartrdeconat: cotra strat Ax 8 1] 24 Cen uci manucripra 4f (eru tux ii AcadTouaris& rarionbilie tct dui dein): rac rom lolum ezidenter  Pat ear emp dra mmi Senna Dan.3 1 dcwyc d Deos Qui skal tmi s jante qua fants . poe 23 dig ui; Erabflerget omncm latxim ab Lpvalis eo?um;qua propositio eb dc fata sUccimgemi sis utar; C jbidie x ita; efse vetain jede Ioanniydicius; 5 cni dece fioj foeni elt voradimdsd mate rane! bejquiabacicrba fideliljmma [wot vc .t/91 i ne4uic c z05& palima habetur tales. ytbdtentts webfalsitavtgtaiScae CCTETXEMww o Tv 792 .' alitet Deus potuifset mtiri, et nds perc, q cft impii; c vel maxim qud. poftio inulta fb iuramento [ prophetas (dos, tanquam yera promulgautt,& ipfe: Chri ftusore proprio, vc cum Petro przdixit rin2m negationem, et latroni pofie(fio n6 et ingceffum Paradifi, Tumquia Den5.abzternoprz(ciuitomniafutura,nIquidfubdifianctione, qforent,velnon'Xtorent,namhocmodoinobisprzfciunzur,nccproprieffetpraefcientia; fedco&nitioquedconfu(a,&imperfecta,preciuitcrgodeterminareiuxtailludi'(al.138.Intellexifliomnes cogitationesmesdelgey"omnesviasmeasgrguidi$lijigiturabzternopropofitionesfuertdctecminatverz, velfal(zr,ergoqudo.sosillaspronuuciamus, fieruntconformesillisinmentediuinaabxternoexiftentibus, eruntverz,(idifformes;falfzz;"neqdicascum Cather.haspropositiones:&scTheologicveras, nonLogic;quiaallezpropotitionesantecednteraddiuinam cognitionemhabentdeterminatamvetitatem,;velfaltatnon.n.ideofunt"verasquiaficcognofcuntur; fedvercozgnofcunturDco,quiaficfuntiofeiptis,fiuchancinfallibilveritatediuinafcienaiahabcatcxco exiftentiafuturorumc"ricthitatc(iueexideis,fiuedecretisdi" uinis;parrefert;inpra(entin.quaerimusJfa Cbum;ncau(am,&mod(facti:Quod'adhucptprobari;qu;aqncftdetermiAnatincvecam,vclfalsinone(tcognoMfcibile,quarcf1futura,cognofcunturDeoseraotdeterminatcoznofcibilia&quadiuisnosnoncognocamusdetermi.tiacj&ccri;nonobidnegaridebetillisminataveritas vel faliitas; pam eti zmultas dc przcnti, et necelarias cecjo Fniecimus,& tamcn infeiplis habt deter fminatam veritatom,aut f. $4 Sccdoprob.ha itiones st erminat conformes, vel determtnat difformes proprio obie&to quando pro "feruntur, ergo (unt determinat vetz vcl 3fdMz, con(e:.patet ex definitione verita zui5,& falhiaus, Adcec. prob.hgc propofi 5itio. 2t nticbrifins erit 5 fignificat Anti seiirift forc incerto vporc futliro, in quo Era s abfoluitur copula  1poris difiocSALT. ru Difp. X. De Emumiathne |... 4& prophetie,quz sit ice xcceflari : formis. Ncc obftat nos nefcire detccmi nat an fit vera, vel falfa; nec abfentia o bie&ti officit ; aliter nec propofitiones de przenri neq.de gunit erunt determi nat verz vcl (all, (i obie&. ignoretur  nobis,vel (it abfens, vt in illisde prateritoSi dicas,vt effe&us fit fururus,requi ri determinationem caue liberz ad ill producendum, quia fi eft adhuc indeter minata,& io zquilibrio fufpen(a, cfe&as nequit diciygcrit,vel non erithoc.n.ha bet  determinatione caua, at in prola tione propofitionis de furo, caua. et indeterminata, et idco t effe&us intelli gitar indeterminatus ad cffc, vcl non effe, et per confequens propofitio erit inde terminat vera,vel falfa, quod non euenit in propofitionibus de przfenti,& de pre terito, qua in (ua fignificarione inaol1t determinationem'cauft, Contra,propofitio de fatuco,lict oc proferatut;in que caufa eft indctermina, tajtfi non fignificat obic&um pro nunc. fed protpore fututo ; in quo neceffacio caua eit determinata ad producendum, vel non produecadam, et cffectas ad ef fc,vcl aon effeergo nunc propoutio cri deteraurat conformis, vcl ditforais ; om organ eee IPM(ed indeter minationemy(cipotentig aim babet ad producend, vel no pro cendum, quiacalem potentiam babct caua in prolatione propo(ition:s,fc quc retur, pilla propofutio non effec de futue roy(ed dc prasu n dc taefescd moda lis de poffibili, n cotingens, [cd naceffa ri2;prob.fcquelay&.n.hec ;ppoficio AB tcbiifliserit  fignificat Aocheft v potlibil produci,vel n gpduci,& (ub in mcn M D pt dati ali quascaufa, qua fit indctermie Me cms et i go faceret s, Ancichitus $t produci, et n6 Dur one o AER a QI 1, 8 ilt n produci  d proe dalis& nece faciai& p. Q.IT. De Veritat fuatwroren ontingetit; Ar. PF. ?93 fen pasmieied se cem: tia' m6dteperitrin ncafa. Tum. k jattm quia illa ftopoliioeticrdetetuiinatd vera qu ad viramo;prtem, ram effet copalatiua, ad: quat requiritur veritas. vtridfqs cathe goricz; tiec effet contradictoria quiane atij nof cadit (apra modu,fed (upra di t diximas t, pinft.craca:e s. et Tertio ptob, hzc jppotitio /4nri ebritus erit, vel eft determinate vera; et habetur intt,vel n ctit vera, ergo non erit Aaticheiftus, patet confeq.ideo prco itio affirmaciua n eft vera, quia cius ficatummon ita fe habet  parte rei, vtxprimituc per propofitionem ; alicer e(fetcforaiis& vera, [I ergo Antichri ftus non erit  parte rei, ergo ctradi&to ria illias affjcimauiug eft vera quia e(t cformis obie&o; vteft  parterei ; Tqa neqait obie&tm e(Te indifferens ad cie, et non eife, nequit... Acichriftus cras neijeic,de2;n0 elTefed vel etit ; vcl non etit cta, ergomeq; propofitio de futuro exprimens exiftentia craftini Antichri fti poteft e(sc iridiffersad veritatem, :& falitatem; aliter.(i nonefet verum dce re JAnticbriflus cras erityneq. ut ntichri flus cras neritspotetic inferriscrgo Aa cichriftus crs neq.erit;neq. no'eric quia x propofitiorie copulatiua, cuius partes t dita fingulares negclugvalet con(c quentia ad catliesoricam fiagularem ne gatitram de przdicatocopulato ex predi catis partam cpulatiug, vc Petrus ne; cac (i623; Pecusloqaitur, ergo. Petrus ncj; curti o neqsloquitur, et fic dug con ' araditohie c(fent vera; vide Gregicit. Qontra utan veritaccdmarg; Tum quia fi ptop fitioaes de futuro codciddenti ha betent detecaiiaatam vericatem fequeve turDeu:m aliqu.ndo dixifie falfum; quia mlta per Pro hctas praedixit vt euentu: fayqua rmen non fuecunt in elle pofira, vt cam Iu, 38.przd. c Ezechiz Difpone doml tes quia morieris et Iom3.24d bac quadraginta dies, Nine [ubuer teur, fic. mors Ezechiz, neq. ciiicat:s fubmerilo conxigic . Tum 2. Fa turum vc connngens de (aa racione for mali cft indifferens ad vtrmlibet ; ergo Logica, de (ua ratione formali eft indetermina tumsergo nequit ver ccipi vt decermi nt. Tum 3.li hoc effet, ergo fatura ne ceffario eucnitent quia fi poflent n euc nirejilla propofito poffet fieri falfaypo  tiatc'ergo,qud non euenit, quariturs quando pcopofitio; quz crat vera y incipit ette fala,non qudo eft vera,quia nequit e(fe fimul vera,& fal(a,no ante,vcl poft s qu quod eft aliquando ver; femper eft verum. Tu 4.nulla effec differetia inter propofitionem necesariam,& conting temyquia:ambz efsent (empiternz veri tatis. Tam $. omnia immaucabiliter cuenis rent;& per confequens fruttra efsent c fltationes de reb. faturis,vt arguit Acift, T 6.6 Deus determinat cognofceret fututa contingtia, quia hzc po(st aliter fe habere;fequi tare Deus pofset decipi nam (i Deus nouit Petrum fefsurum cras, et nfedebit, Deus degipietur,ergo ( no ait Petram fe(surum cras, et s n fede re,Deus pofset decipi, quia ficut ad duas .de ine(se fequitur conclafio deinefsc,ita ex vna de ine(se, et altcra de poffibili f: quitr conclufio de poffibili. Tdem e auchoritas Acift.aegantis de futuris con ingentibus dari pofse determinatam ye ritatemyvel talitatem . P $6 'efp. hasrationes n fol auferre  nobis, fi valerent, notitiam certam futu rorum,fed etiam  Deo; vndc Cicero li, 1. dc diuin. his per motus omaem Dco futurorum przcienti negauit,. quapro pret ab omibus ; Catholicis folui deberent. Ad t.igitur dicimus propofitiones illas non effe de futaro aboluto, ed c ditionito, (en(us .n. et, qud Ezcchicl debebat mori in(pe&o ordine, et cur fecdarumcaufatum,& Niniue defttui nili egil'set penitentiam,quod dc alijs (i milibus eft dicendum : quia crgo: cuens tus illt debebant poni in ese dependter  conditione,tita fablata, aufertur illi s et per conequeas Deus n pradixit. fal fun, Ad z.dicimus fatuc. vt continscns t(se tadeteriminavim indeterminatione de poili bil quatenus potcit poni;& non poni in e(s, et in hac indeterminatione coufiftit formalitas ctingentiz, dicitur tamen determinatum determinatione d : Nnn incses 295 Sos Dias DesEanacidpitues o C. 33.0. $ncffe, qus; (lt euro inderaryinetione gie, (q.i. cogro poffibili, et consen deo comi b ues asia gens, quabdo cxiftit.sefa detergipatibde ariefc, divitr tamcngoniusgenpgutapos scft nah tffe, Adi sqoncpdimns prom elis sjod dc futitoy femel qud fiveravefk fcoper era; fed diftinguimus T fitmen dplexsgna H kfisy fimwplsciectsantecEdeus,A cofdqurm fis, et eft illa dic.ipter M D ma exroprijsiploruni mayas 3 VE quo: hmo shes king eut ex fuppofie zionc,fccundnniiquidicopequens O fegnentiz; et cit, qua; aliquibus c9uenita:fnppotitonealteriusyvt.dDetcus,erritynecefavimoretue 5ddargyectnuslatura &ecelarioeuenireineceza1ccon(equenigesexfappotitione, &in.fnfaxtompodito(ppotte.f,determinantufanaqronr; canarndagendtimyquaftat,cum. Wibeitateyquiafpponitvtmleberiatbie,trijibcau(a.f&dererminantisadprodys&idnem; nnecc(Iyasepb(olutas&cpufcquontis,&incfndsuifo. Adaneg.lela;quiaptapofirioncs:neceiTatia: disvur(eiiiputeciireeitatis;dbfoluu, dnccefTiratefixmplicirer,quianonfoliiabancimo: wegyfedinequepoterancnon,cicverz,conungcates;abetgmofccur, vera'iex(ppolitioncyvprnit.difalis:, tica:(ecdcrevminaflenadOptpoliruncAdMericMANCPuspertesuppofirionenonfia"oboittequik Do&exorLitP)cunipotitabfolukspitaiterax'wiugete Ad6sxcpotderidemlit. Q.ScYrcuitertamendicimusyquodfi contingcotia20ncueniceni,ncc Deus1142,xnofec;ctyviepoflctcognofcerepropiccinfsUibilitatem fcientiadiuinz;quiafuturuinvtficn9(ubfeqniruractumdianzcognitionis; (mccipiturjantcedefe,priusafarurcfitacarp. decretidiuinavoluntatisdetrminancsillad. produccre&poftcaiatclle&usdivinusiledndconcipitvtotacum; quatehinoacfisfturumynonpo(letseminatadamvint? cogniuon:s,&percon(equesnbeei1yb4Ect;, eevalctparataieia&depotlibily quiafallimqgnofcerealiteracfitpoffetalisg&golLISSIundickur;sb(osglmrMYadde"t.y,mequitarrli"Dousporeft r cognofonte tbr 4c fts (ed bene fequitur.g ero; etc rem non ekfayvide Senticits s y :$2Exquibus deducitur fruracontine gentia, etjam sr (cit Bon ede; oceffaria  nam eii EL Sapus po CM ES ME nelson Dei pmileemin(t ad pralcps pedet non Dm taturitio; non. rontat paratam ceffehuls  peius enc eRefeium prodiicii deberem hoe vede iret ie am pracno poftea quia hee parsaliashaben aptcccdentescy "quarum; digit fatutas idcirco eff. turis quate cug di conl equat alicelus s fa us li contin fn (ey et libere prodg ANI Amt wrs crit cohrngeriss et lber produs ibiliss; Neque ex diana pre(cienriap nesg (Hicas fiplicitet,'& bolura proues ye trenta Se t. Conjequens et xlinqnice ineo jpreprio effe cnaaturali ; exemplum :apuffimum ada deci eieb, rhneingit :lt; Quis lgquena i plareexideayr, : Petro .exiltente in a4 liqua domes certum efto quodille libar manetibi& loquiters atavepelct. [ro dere el.non loqui y eriam cunc  Perro, vileators pm hae vitionon denpgnir neecfitar manengiin platea; et loquens dyn.[chabet vt coafequens; locutio vc ro vbanreeeds, S n FaHeng eue dus ats tamen inen(ucompofito, f fuppotro, p ibi peraaneat,. X loquarur., peceftario videtur  Petro .neceffitate cfequtiz, &.lappofitionis., que (Lat cum libertate. Quomodo aft criam cu n decretis diuma voluntaus, quibusab zieroo pra Buiuit omnes actiones ; volantate creata futras, bcne coberear catum libertas. (pc&tat ad Thcolog explicare ; nec nos ehe nas PAR mare volue . Nobis femper valde placuit modu: UR uo dadidis aa i uitsdetronvordia caufa prinia cli dicuiisPeMog, Lc(c/h Neapolis  Dres poo qr dd uci ex.ccmgs Cori cqui posant diaimarm voluntatem ) A " EL 1e ctiam diegorfns Quaf LI. De Perm funPerih cepit. 4e 1 osaet faratos, et alioram Uns idtetledtus iti riori dae rationis: : m etsquid effet fa&ura creata volan 2: velillo'rer ording; media gra: ditsvia er Storo defumpra ponendo di, uib dert noni rr! ancecedeuca,: &: pie(cindentia  noftra. decechinatione: ctm primis nee tiere illamconfequem. ttcum fecandis j(ed concomitantiayqui: pa vage er mede arr dn inentialmiptis voltatis:ceara in! voluntate diuiifid (ccandum tot cias vir4i diffartiam agendi, catione r&erd potett, quicquid creata ivo ta fa dtr ki ong nier ta Bi fll prittnif felentiaimedia de Effai! ibis hb e farte, (d (olii niplicisiim 4 re ek dva wget via dr end (sinere aeahsplures 'exifio fil Eiern welrabli pci mers Las qe sen Vai 4 5C Joriirleepint nope ilg ceptoc Dye c finie) A fetinymnd BononjesRs'Memplyfieuspustieus o d otitHitrhoe Pataurno CGl]es( Teeg antis mioher'tnperelttr dAnflebk vale drrnui(o fua ds adhua:maniwit y: 8cam fen v Elleatlein pone yis" cradid ie PV ulpes fn fd Sama tua rigo p. $6.80 (5.0 2 p.d: Qs ovile leur AuGrordt ]eat dai tias ferc edpiifleri capis. sob AU bbc slipiiiPumablol te Upnt vt  fid chvii  nacarali ario fi& aberrntyita ex: Recetitioribus Va(q. Sbarex, Conivbbr. Hort: Ami. Arriaga y et ili; Quidam ver nituntur ipfum ex: tare" A adibonum (enum reducere y He afferunt Ron :negafle abfolute dari dprpotittonibus conti ideter ratae Veritaceryvel faltitac, fedne dalfe'veritteri necllariam;; vel fecundo: qud negauit decerminatdas veritavem z vel'fliittei: quo ad: nos; filripticicer; vel trra neguieab illis dovrawridtd Ves rictemjautfaliitatem ; vt confidrantup noit't feipfisifed'ti caufis; qai ante rol datonem itideteeminatar! conciplmur ati ptdacemios effe&usy vel noh prodi cendosj'quefenfeffets illi modo auge Veritatem poflunt caufted .( 0:005 c1 determigatumeffej) mj; derermiuatia 0q.! 0321401 et z39deillde egai. b 5s ofsQuV ES TTUI Qus Mb 5: Devgli: bona peilicatronhrad verdi j,. enuntiatiphe lel telidays oo a G5 cut i12 Usb Ji910] b et STtacff f v RE VD Sehr d encid: 5c] a0, et attribgrio; St god nonnifi ititeratinis cocretis; ecl abftratis exercea tatsideo fap obcadu mex 1 pzlaftictpac: 1.C3: qdid iptueriinuecoacrevus; X dbi ftta&is.oboerecs ctt; 4d sorm Sipaili ct'tofi pec (e ftarirem, felvblrert adias celeq quotkeumodoimu ficandi;cans cernit; ao (actas; qpasalloab(trliio s et fol tontiin (cj ronvtaltori adiacend t fini ficat ; et huxbrerainf pofst vai iy et pluciicrignificare ; et oor bcre prar icti pioititid oe ate figa ffrcacu, xtequea Cet eril cipit pocvtt rreorb radios. v 2 Sphusaotusr D, Gol d. gogi1aA qud: alites ficabttradtio mtubttacijs ;atier in) adoidebs aboladis 8o dliey  xclatos uis do (bftaacril.bs.n. canerqus, pua;dsiiciiclligebe(ujpolizvaqailmiszcpatFiliauifickorforchalk,vm.abita Giototeltfierilodfg voliisiovolubmtonhaliverL izmificcnaturasligasmih$iispofirisy:GinDeitoySorcesNevvadeproaltisalqaasdofuppOuitajazdursmanitasabftralioabljis;Scfolumfigifichominisduiddicirem,3odiciteceiflenitsVitiaceabtbractionc:abftcatks,&cReeceiitioribisdicimurab(traCruvoctaplipheirm.Accidentiabtaluta.potluntdocencerereypuca[ubic Ctum;cuiinhrfity &peopristadionlua; hmcdoplexfiabftradtio:, vclilbamdiciturconcretad' fbi&ansypucyacietem,proquocaliquafidfujponirsucatbedoprzfeiodiicotictetrodeadfubtetamyd &:(alamdicitqulitiemrnliscolorts, &vcficvoscacrModerisabitractunyphyfic:?a&ficnquiavetiosrfpionpropria Indisvidushuncecillamalbedinem.; pocctfieviteiionabtiva Gtodicentevar (ozlberingybhatigiconsiadosdahmydiaeic (aiedrateupudom gidkahunsss SoofpabtgotoHrbearpositizemg ica ordimad vitixaacirsbfiudeb Ie podie taliddat poffunt pro pluribus fupponere ; n czu fa concernit tub ectum f. igncm, roxcft d trtterminus abt rabs  fbic&to, f. po tentia caufandi, que lict pr fubicto n fupponat, poteft ramcn fndamentum,.f. calorem;quo ignis calcfacit aquam,con notare ; deinde poteft dari terminus ab ifto abftrahens, qualis elt caufzlita s calor,,n. non ct caufalitas ; et tand, qui: cau falitas refpicit hanc. et illam cau(alititem inindiuiduo, poteft ab illis fieri vltima abftra&io dicendo ratio cau/falitatis. 6o Etquiaex hac do&tina de abtra Gionibus pdet folutio huius qugftionis; qua n benc percepta caufa fuit p Di dac. Lea inintelligibilem, im ridicu Jam putauit nofttam fententiam, idcirco diligentius cft expendenda . Nor. igitur cft, quod quamuis Scotus cit. vnic tan tum pofaerit abftra&tion in (ubftaatijs, rc vcratmen plures fant admittendz, vt in accidentibus abolutis, ficut non vna; fed plures fant concretiones in fubfttijs, vt mcnet ipfe Scot. d.s . cit E. in illo ex tra, et in 3.d.7 q.1.ad 2. et aduertit B. rg. 1.d. $. q. 1. non folum .n. dantur m fub ftantijs concreta ad fuppofita, ver etia dantar concreta ad fingularia, fingulare namq; ct rcaliter  (appofito diftin&, vt patct in Chrifto, in quo eft natura ho. mana cum fingularitatey(ed abfi;propria fuppolitalitate, et per confequens quam uis Domo tconcretum ad Foi HANE  et humanitas przcindat, et abftrahat ab illo,non ob id tamen debet humanitasdi ci vItimat abra&a propri? loquendo, 25: refpicit fingularia,& pro illis poict apponere ; ficuc albedo in communi dicitur coneret& ad fingularia proprias quas tam funt.extrafam ronem formalem, hinc potefi fieri vIterior ab fura&io cci-, piendo humanitatem pracis. fecundum propriam rationem formalem, et talis c ceptus crit vitimat abra&us, poteflq; vocati rario quidditatiua humanitatis, ficut in albedine dicitur,velalbedineitag; vcl quidditas albedinis,nec vitetius. proeditur intellectus in abftta&ionibus j qumuis.n. poflct ab ban ate abflrahere rationcm gencris  vel differentia: nil icfcrt;quia 1n rali abftratione n cfe qifg. X. De E v m "m v3 X. cipit;r a humapitas, fedanimallt$, vcl rstionaliias ;1dcoq: re&te conccprus quiddiraus humanirauis przcis dicetur. vliimat abflrarus 1n ordine ad . humanitarem ; quati concepta sbcipir: tur precii fme ab omn: co, quod eft. quocunqs modo ex fa'raronem quid dis tais, in quconftit formadas vltiimas t abtraAki, ex d. s. cii. C. Sumiliter in generibus dicendum, quod iit dupkx ccretio,& ad inferiora (pecifica, et ad jp es (ingularia generica, vndc animalitas ict abitrahat  (peciebus,concernic ad huc indiuidua generica, hanc .f. et iilam, animalitatem,pro quibus fapponir. Ratio ver.cur Scor. d.5.cit. afferuerit in (ubtaxijs vnic tantum e(fe abftra&ionem,et, vc notat Barg. quiafubftantia non abttrahit a fappouto alienos vt faciunt accidentia, quorum fuppofita, . et fndamenta fnt AAA przdicamen ti,fed  proprio eiufdem przdicamenti y (amendo (uppofitum larg;prout conuer titur cum fingulari ; et quamuis in Chrifto humanitas abcaha:  (uppolito diuino tamen diuinum (uppotitum ibi gerit vices proptij fappofiticreatiquod luficit, vt notat Lich. ibi. nifi velimus dicere cunc loqui de (uppofitis ad quz natu ra habet apritudinem, quale eft folum.a crcat, flantijs  tuppofitoyquae habet. plures grae. dus, vnus e(t  (uppofito incommunicae; bili,alter  fingulari ; non curauit autem Dod&ot hos gradus diftin& affignare, quia fatis eratip&i cxemplificare de. ab4 ftractione  (uppofito vt poffet cxplicas re vlimatam abradtioncm diuinz es, tig, quz cum fit liogulariffima; vni tantum admittit ab(tra&tion,m fuppofuit humanitate elTe .witimat ab ftra&am;at in 3.cit. (atis exprefs innuit. banc maltiplicem abftrationem;& 1 il, lo cxtra dilindk quint'-. T Notandactt etiam ditferentia;qua re, petitur iazer abflcata (ubt ual;, et ace cidentalia, quod accidentalia media. abe. firactionc acta concernunt ;. i funt, nerica; n olum propria indiuidua ge. ncrica, [ed ctim fpecics,vt color potelt. fupponere et pro hoc; vclillo coloze 5, &; peo Quarc eft vna abtra&io in(ub | Quaji JJ, De Pradic.abftratli, gj) oncreti JA V pv av . 2.52,  albedinie., v! nigredine; vnde cft diPibilis per differentias eflcntiales in fpe ics, ratio eft quia vt fic habet rationem ede dahin blan. cf di ),1 :qLdtc. aiat a anGidlias ett geticticd fintfolum (apponunt Led rne erar tu ad 1 Aa vtanimalitas pro hao, vcl illa animalitate, n pro harranitate,vel cquinitate& hoc, quia vt fic in proprio cce ptu eft pars, c e ipie s rst i rry veo at non pt de totopradicari, de diniduis proprijs eft videre in par tibus phy(icis, nima.n. non pra dicatur dc viuente;(edde hac; vcl illa anima; vnde diximus difp.cit. natutas genericas, c ile indiuiduis Penericis: pradicantur, habete rationem fpeciei ; nongeneris. 62 Exhisergo terminis concretis, et abftra&is mulcz, et diaerfz conficititur izdicationes, fed nimis longum effet reidee ee diaifiones adu&tasaDD,principahorestangemus, &illas,dequibusprecipuemInftit. Log.nuilafa &acftmentio;ndciomepetfe, &peraccidens, maturalifeuperdire&a, &innaturaliy.(euindirectafatisdiximusin2.p,Inttictra&:. (imiliterdiui(tonescnunciationis (untcdiuifionesprzdicationis; dequibus1.p. Inft.tra&t.2.&tandemdepredicationibusaliquadiximusdi (p.3.q.8.art.2.cumde,pradicauonibusfecundarumintentiondeprimis, &dcfeinuicem locutifumus. Tbomiftze communiter diuidunrpiadicationemin: denticam;difparatam,&mediam,primacttinquaidcmeounciatur:defeipoyfccanda;inquapradicacnuilamhabetconnexioncum(ubiecto,.vthomozcftlapis,homononctequus,Amedia,inquaexaemahabenraliqualem&onbexioncm,(ednontoralemidcutat.|"Sedrcius,&(ubtiliscnoftrisFormaliftisditiinguendomcfintract.Formal.art.3.&alijsfaperloca Do&oriscitday quodprgdicauocft duplex;alia foralis;aliaidentica, foroalis, vtcolligiwig x Sco.1.d.. B. et d BT Qt M4 d.8. 4-4-ad 1.princX d.26.q.vn. Y .& quol.5. O. et alibi, cft ilia, in qua przdicatum . dicitur conuenire fubie&to per quandam adiacentiam, et inhzfionem, et eft daplex, vel effentialis,vcl accidralis,& de nominatiua; prima eft, in qua prz dica tum adiacet fbiecto quidditariue, et effentialiter,vt homo ed animal, fccunda;inquaprz dicatumadiacerfbic&to accidentalitervthomoeftalbus,&becpecliarimododicitur denominatiua, nam fi velimus ratione denominatini' ampliare eti ad quidditatiua prz dicata; fic prae dicatio denominatina couertitur c formali n communi, vt notat Do&or quol, cit. quod pt explicauimus difj. 2. q 6, art.1. Kurus przdicatio. denominatiua eft duplex, alia intrinfeca, in.qua przdicatum iatrinfec adiacet, et afficit (biee &um, vt homointelligit, nam intelle&tio jnharet ipfi homini, alia extrinfeca, im qua przdicat non inharet fubic&o,fcd "alteri, ad illud tamcn babet habitudinem, :yt paries dicitur vifus vifione in oculo 'xiftente,& ad parietem terminata. -.63 Przdicatio identica ct, vt docct Lich. 1.d. 4-q.2..in qua pra dicat enciatut e(feidem rcalitet cum. fubieGto, noa modam formz adiacentis, et haec eft duplex, alia eft omnimod identica, qua. ratione  Dot. d. 26. cit. dicitur prima idenitas przdicat;onis, et c(t illa, in qua idem predicatur. de feipfo, v: homo eft homo, et  lo.de S. Tho.p.2.Log.q. f.ar. 4. dicitur identica formaliter, quia exvt fignificationis terminorum: idem fignificat vnu$,ac alter; alia c(t non omnimode identica,vt quando duo,quamu;s pro'prijscacionibus formalibus fint diuera 5. sdenuficantar amen realiter, qua ratione poitunt ad inuicem przdicari; hzc antem xdentificatio ex duplici capite prouenite potet, velquia func eadem rcaliter ali- cui tero, qua ratione inter fe poftcaid "&ificaacur, vt (nt genus, et differentia in fpecie, nam animal, et rationale funt id& realiter rationc teitijs A hominiscui id- tificantur; et (i ab illa vnione in tertio przciaderetur,dicendo animalitas,& ra- tionalitas, vn(rn effec ide realiter alteri. .. Et poluntaliqua inter fc realiter id- tilicari, cri qt tertio pra (cindant, quia ambo, vel vnum eorum eft infinitum ; jn funftas n. cit ratio idcotificationis realis, Nnn 3 quod explicat Trombi in Formlcattbe $: Ra Eclaratione prdtcatilorts idetin VE, quiacemimplicer:sari phtsain(inie tixealiterdiftin&a, vfusprobatiloodt :q. 5, &rquol. s; cpteeMa  licui- minito ytranfit.ansenis pereGtam rdcridtateen.realeni ) d; pdo.con. 05 quatiamcumque duo ;abfbtahantur ; a tb cio; fi faltim vramllbrm facimfusitoUx) rack bibcoitisr vnde poffit pered  ceeli- cecidencificare fibi 4 quicduld. jede eoffbile(icin adicinis.i cprepgoluio eft pera! identiceoSefpientia, sena send qu isi voirie cef i 1o /'calirer. sure aro ian prepter nltitater; p habent'yfint ad inbice. rea Tizecidentificata gtiin fancintet e coyote $ tfi bilia Bciequcarit dati dun'infinsta kei dift:nctd. Diuidunt etiam F- mr Jrnc ide niichrn prnlicstintv jgdel- Qicci m pliciter et d cicam M Rr m bac diuifiopar thabec.vtiliciti sd 2l digi Gu: mets Lr px addi perde xtb5q 3: dic zug caufalas, vocis &licitue dc efteCi y velim reto vt ta.eli ficcfio 3 i gniniscitcacor,selanbblionay xit homocontt cx anima, et orpoauo &ruB& tamch lhionot. vt aduirunr  opl. &lifpcs q-3. qpnddomncs iftzr pradicanib: fies draid:urinaffiratua, et n aid, zm iitz st formalis otro LfEtsfibilisy - bomonon cfbvifrbiUs quamitisyna veta, -dltera (4l(3: item ha fnnt idenacar bono fl bowro bom noniefl bsshas icon aas - fit vera et &egatiuwfallae ci 5b Cun igitur onmnis;piatwicatio: fiatzin Seerisinis coocrtis; vel abfitactis, quattu- pliciter: pofTuntnrer: fe;combinati ycvel nd'conctequm: psdicetur xde:concte- 1o jvc! gp praedicetur dcabftra&o; tertio x abflractd.catondexoncretostandemabfta Gumde|meminiencictur, WfGiEOgU22615LARUEGV.bd1651concrelabindpolit.iis,keDETdpaviEde.dLHAionsDiff, BisEstonieau,esoRaecimavue: SirmatcdM DunfidersdliqfiapucpftivdibdSridnedeu3n CEtecynhaeeebverajxanoiizlisyquiadicrurdchogupnecspatediraiseminT2 Ienituerscjnseennesirreidicnpal bediicfacitvmitn1t; Vidwrniineesroogudnscteimemet Riiggaretumj velfeEmc; ali&ratibnaleinchomevdeinirer,vtabum, &dulceinJaGeta"infubie&ycd:quamometiquia VcaitScotuscj. inreakisomais;cingpeoMmeca;e(etiam:manerari/incctetoyviwiibonucitdolenol Madnedduliisiedinek,babet; quoque. dulccudinemy en zcpetkuo identitatis-in ter- Sog vt in fbiectoyqua cft tatio veriratis - prapofitioms;: qua:de:caua in, Chrifto dua nacurgsddinuicem. in concreto ;pr&- -aiclturDus eft homo;homo cit Deuss isqcisin concreto famptz concernriden- tatem fuppositi, E. conucro vt coacre-  taadintiicem negatiu vcre prediccntur, por c rien vicbullam habean om -Hhabirudineabincer fcySc si ali - et aliquam tion hbent jvtr : "ipcopestid,dcbetia lla explicari ne- nr ran eR m Ce iraderr s a RR ne- -igatiu X si 'haber:albe- &cpt confcquens habct. cuim al- Moud. iminn ceodottdmnes quamtus E s : tnu ci (abantialas qu. : Fe HraS, xt tcCta fiat predi -iseidetati He:de feymaicctm: afliama- 2 ;:cati, : bos AID aD Ee OUp  aua t ab(olat dici Pettusd Peuus non ct cGcurialitet MZ iS albus. E eta. T AS a aao elo e P | Qui. DeBiisolfs adii etl. 899 et vifudic 4 dicatur de alio; : pear; fdiabeatve quoddam: qddd modum pt. pa ex perci cv j tli 2U(D12 E. edem de nier in e pee IRrde ETT dicitar: i albedoefoat V rtp ncs eR ;fato huiuseft; quia Raesent gai&icetfo ominis EET "re viri md dp(trat Sla cobi IT vchabcfis fov t wenn dene al  b vermes Deus; rere eu rM eet ADM ment n cc E oen fon eve verdab MOOD FA faec Deumofod eA "Dei rta Des sincivia reg d par peer infinnacem! bhbic; [66 nda; et descili de. eic fes funis fticcfatreo ferente; a uci Km eroe H0, mo Quod, aduiteuri ex tir)! l'eaPquh VE PSP Banc: ui Ab factors veni Scaiteoncrecaalfomsnabtca CErum) me d ftin&tum, et "S fcr identi c dicriohedo id e vm nti tseftentias: 8 3r& quim tsi Apre osge ndi fenu: fai] viveidn vfalfa devigore fefmnis, fed cohcedunrar y qnaten isi hlifidantjamdam exceasiodem y m vaz tuere iamen yhincazeft e ? 'Vebllicendum j quod p culiae Hoc Gr quauis; quar noti fo quodtealier (up met uta Ait erim quodeiti per aliai rbemt hbiiy Qaa rdtrmeppterboese O Qsbd: y d. dcuopidtisem vowererd: tatc) peres ms cfb y qa hgon aal: akepacitta vei Bobyolenidtshs, Qo ant oihitodi Tomi quod ad hec, poffi pesci un ris v: in p sit diciiwmrang a5 HXOLAS CS) atimalyefi vat jonatss,eflalbaytlbe 45 dh colorata ' c midiuioisaniftas lint conce: denda Piece pee aat pa terti t9;80 imilesqcir vem eft vabicts inccr Dootobesa Scar Ncoderiogq ns gilnimaefure laborio(urm ctt .,aXc ved iu affectat De&onbussg bicunccoeogo:quasconforena (um Scotioa: iententin, et aca rtatadducemus: . 2i3q ni 2:201 91022  5: '66:D.cimspdso delis; :zm fnb vltiaja re xbittacb, p pote prxldari.con4 dretjquorum tig dificaci focibaliaimilis nGaatuc;dafhesplo 'ex vi fig fin ctibermant i (gbieGa 5:b auibus; s fita&attaprefcindit ; cou chus f comunis; m rf$ Fad variar: is ali cuiuspropoficionis ddemutasypelcon. fkio exctemarati pav seio; don i Odnon v hieradab(lrata Becss Turris cid ait Gitlaincladgero; vcl curllteqoug tie tyi quibus pet ab&eztesnexisarfze Acien pra fcindiat;; potfucenam 3n prepotirionibus infetuire psrofbictis: y debes opitioivamlub er aite eft ealuryeft (milis manu iricepce qaas ner t98z Gexilitadp (av-is abc) carre iate r ptiGcimdiey fV V nmepes tee 1$ Fr qhdi deed cori a unacligc dc tjo ver ukuroro ndi roi i vis ob fcbictum albedips j S cadix dpfiusett connexio intei bedisem "fcd albedo Pipe rS ifta eM GUNOEQUNDUQR Hic t&oyergotlkisropo( rioderresore pou eecd: delito Como bana "olirapaywimbnario yronecurg ide fitieveieyaTnda efe olorgum dg Piofi JRndassnitcleft, quia-cloraip, et atocidiebt i ed 1fabooed Gdyda Sd Conotaty e doo nonpaude uh dcik iicet /deel cceniieaanfu"bie&oreitteatieritibus !9t e e toJotySiometasv: q uz3 f supcuiom i363 Diciris 1: f ccm: ve: ultimi? inn 4 dbilramirror ves d wary ec cil tquimiratema&cal "o "AV RESRETTNS TRPIPUUSAFFN9 TVRITY"T 9AZCUCANMS 4 ! K MEC PASSES, $60 Difp.: De yemtatiohe N abfira&i, de ipfisfol illa concreta pof funt formaliter przdicari, quz in primo modo conueniunt, vade concreta Mit tiua, quia tantum ormaliter nata fu przdicari,fi non (unt in primo modo ; n ver przdicantur ; concreta tamen fubftantiua,quia poffunt etiam identic: pra: dicari, etiam(i in primo modo noa con-; ucnidot, (i adc(t infinitas, faltim ex par-' tc yniuis extremi, conficient propoficionem vcram ideutic, Conclufio docetur  Scoto locis in princ.quz (t. cit. prob. et explicatur fimel ; abftra&tum vltima! pracindit ab omni eo, qp eft extra quidditatem, et ipfa quidditas concipitur in tali abtra&ione ab(que habitudine ad quodcquc, quod eft pofterius, et extra progti ratione cius, quia hocabtra&i includi boc fincathegorema per fe ptigi,vt concedt Logici, quarc rationabi liter ioquit Awic. 5, Met.c, 1. et 2, equinitas ct tantum cquinitas, ergo fi vt fic pracindit ab omni extrinfeco ; pracindit ab habitudine, quz ct caufa veritatis propofitionis, ergo quamuisin re multa praedicata conueniant illi naturz, tamen de ipfa vt fic confiderata nequeunt vcrificari in propofitione;quia veritas propofitionisnon folum peadet ab c(fentia rci fiznificata per terminos, fed fignificandi, quaratione coaceditur ifta bonoeft albus,nontamen hac alia, bomo 4 albedo ; vt dicemus, quia albedo prafcindit ab habitudine ad fubie&tum, etfi album, et albedo id formaliter fignificent:cum igitur adie&iua fol formaliter poffint przdicari,co qud (iguifficant per modum inharentis, et adiacenis, et quidditas vt vltimar abftra&a n includat fignificatum adic&tiui,quod non cft in primo modo, nunquam pox ficri in ipfis re&a przdicatio : at (bttantiuaus, uia poffunt identic przdicari, quomo do prz dicatum n contideratur vt adiacens fubic&o, fed tantum vt eadem res cum illo, tic poterunt de vluimat abtrato przdicari;etiamfi ia primo modo n conueniant, quod cuenit folum in diuiDis propter infinitatem formalem cxtremoruim;quz eft.caufa perfecta identitas, nan in creatis ; in qu.bus non potet dari prz dicatio identi caynif fit eti for. malis,ex Scoto 1.d.$..q. 4. ad 1. co quia. intant excrema funt inter fc vnita, quia . repiciunt tertium,in quo conueniunt, yt . diximus n princ.haiusquzft, |... Exquibus deducitur primb contra Rectiores)has jppofiuiones e "cte nianitas currityeft albaseft vifibilus,bu mantas eft obietk intelleilus sue diuina efl bona, fep ms obictts fruitionis,distintla.ab(lratia et (iiles,quia omnia i(ta $dicata st adictiua, et non in primo modo conuenientia ; et quamuis  parte rei ver conueniant, nequcunt tamen enunciari propter modum. con(igaificandi iftorum terminorum; vcrum e(ttamen, qp multz cx his propofttionibus conceduntur, vt notant Lich. 1. d.5. q. r. Barg. ibid. Vallo. informalit.. pag.nobis 5 $7.vel va loquti, vel 9 carenti exprimendi conceprus, quis derigore fermonis fint falfe; vade ifle proo (itiones,efstia diuina efl cmunicailis,efl obietiu Jrvigonisuh diflintia  creatis, "c. debent ficexponi, Deus fub ratione effti $, vel deitatis efl comunicabilis efl obiettum Cc. et hoc expeditius eft a(ferere,qum c alijs Scotiflis |, przcipu Mayr. limitare regulam tradita de vltimat abftra&is ad aliqua predicatay namratio probans de vno przdiqito t 3 tfr . :Secundo;dedacitur, has propofiti oncs e[Jentia diuina cft usseutjepientiaefl pater," c.efe veras identic propter rationem addu&am de przdicatis (ubftantiuis . Voun Tertio, colligitur cam Lich. has propofitiones,bumanitas efl ensyefi (ubstatia,corpus,animal,rationalis,e(le forma liter veras ctra Vig.Barg.Vallo.cit. Bra fau.fuper q.16.vniu.& alios;quod probatur qa non przfcindit humanitas ab itlis predicatis, c illa includat, ergo dc ip posc predicaci c veritatespatet cfeq. qa radix vericatis in propoltitione c(t ide utasexcremorum; Tum quia Do&ot ait rsen e pee abflraGium vitimata abflratt ione, et predicatii ex Juaratione n9 potest pradicari, nifi formaliteryuon poteft gropofitia efje , ni(i nme Ca e ardt v . dari propofi Mal du VET DECRE M Su s hs | QIII. De Pradic. abfiradlisem concreti. chr. L 4s it per fe primomodos(ed hac pradi phy(sco cfiderabilisexprimitu: pcc dc; vir on aram cprzdiphylicetfiderabilis.esprimitur pez dc; icantur forma liter,& in priaio pre ;, Tumquia erano m Pra d nonnii ipummet pradicari, vt inquiunt 'otifte cit.pon diceret Do&or,q poflit un itio vera posce br 58 n prigno modo;quia idem de fetpfo.non fortnaliter,(cd Mun pradicatur. Refp. non effe veras iftas propofitiones,quia humanitas, et animal n funt infinita,ncc vniuntur in tertio,at Doc. 1.d. 8.cit.dixit extrema debere [eris vnitatemrin tertio, vnde nunquam conceffit in ctcatis predicationes in ab(tra&to, nifi cum idetn de (cip(o przdicatur.Vel dicitur non eflc vers, quia humanitas n integratur ex animali jfed ce(ultat .Caecert nulla iftarum foluuonum valet, prima f efct Sen pacpett eflet fal(a;fortcs cft bomoscft albus;&c..quia non vni tur io tertiosquaprogcer fuffi cit,gp extreioslt funt difparama (ipt vnita vcl jn t imal;& rati quib.loqueluliora, vtanimal/& rationale, batur Do&t. cit. ve] inter te per inclulic nem,cmunication, aut ip. tione ; quas pradicationcs implicite conceffit, cum a(lignauit regalam trditam vt d ximus;Falum t ett humantatemnointeari ex animali,& rationalijim quiarcfaltat ex illisintegratur cx illis; licut tot ex (uis partibus reultat,& componitur, ibus nequit abftraherc;c fint, dc quidiratito conceptu illius . et ul 69 Sed cotr do&rin allat arg.quia hacpropotitioizieileci us intelligit, ett vcra, et tam intclle&us eft,vitimat abflractus, &ntelligere non conuenitipfiinprimomodo; qudfitvltimatabftratus,prob. quiain(ubtantijsinquitDo &or,fitvnicaabftratio; incell&tuse(tabitractusabintelletiuo,ficutvoluntasvolitiuo. Tum2. Scotusin2. d. 3.9.1. Eexponensdit, Auicquodequinitas cfttantumcquinicas, ait;qudfecdprioritatemnaturaicm, qubabetnaturaadvnitatem; plura!itacemparticularitatemyvniuerfalitatnonctdcfealiquodiftarumquamuisnunquamfitrcaliter.tincaliquo; ttor,&vcficettquodquidcft,pcttcobiectuintellectus;ctamctafiaitionem,&aliaatttibucaconuenreaferit, quznoadicturinprimomod c,naturaab(tra&a.T3. natura vt ab(tc:hiturvlci mat, vercerminata&tumintelle&tusabtrahcetis; verconcipitur,ergaextrin(ecpoterirabftra&ta, ccepta, &jedcnominari, &perc(equensta denominauonespofstccipiadmo dunicatis, &cfficicniiirationisformaelia, &deillaenciari, T4. huamanitas; nChriftodiciturvnitasaspta, corruptaiotriduo,quofen(unon, conccrnit(uppo.fitamhmanum, tumquiahocnadety. tumquiaill: gropoficionesnocedtfoc. manturdebomine, nccfuppofitumdiginum, quiai(tinonc Qaenita(]umi,[eda(famere, crgoin(ubttijsdeterminoabftracto(uppofitis,quieftf(ecuadScotumvltimatabftractus5po(fantprzdicata, quanon(untinprimomodo, pradicati.Tum$;ifte(yllogi(musexpofitoriusccluditindiuinis5, Patergenerat, Deitsct Pateryergogencrat; &titgenetarencuenit De: tatiinprimomodo. Tdaccfitioals, antecc. patct in. Chrifto, inquo albedar non potct attingere fuppolitum. | Vctbi, fed folum humanitate vt fbie&um proprium, et connaturale 5 . 7o. Refp. neg. intellect effe vltima? abftra&,ni vt ip(e Doctor notat, aliud ntn (ubftcijs,aliud de perfe&io nibus (ubltcialibus,in illis vna fit abftra tio, in iftis, quia mod habent pradic diin quale;duplex fit abftractio, ficutin accidentibus ab(clatis, vnde intellectiu concerait fuppofitum, (icut album jintclle&us abftrahit  (uppofito, nonab indi uiduis,vt albedo. Ad 2. refpondet Maur. q. 13. vniu. dub. 4. qud eid cftdicece natu;z  parte rci,vc pr(cindit  fingula ritate, conuenire eflc obiectum iatclle&us;coaliderabil  Metaphyfico, Sc. aliud c(t dicere hec omnia pdicati, pode de natura vltimate abcracta, primum eft . dey 1sopipit Dlbylitanihe i SQ A. vetuimjquia vere d parte rei attcibat) iffa (ant cim niaturasdentificata realiter; fe cendumeft falfum, quia dweritat: pro) potitonis rion fufRck veritasrei fienifia cati fed tequidtor: &cverirasmodorum! fissificandis&quiamattitavitabfradts5!T Ninfecontifietillapraedicataabaahitanenabilf critinentias&foli, ptsdlcataprimimodi refpicitppefincas !thporcnsainelu(mperfeprimsidcits&oilizfro positionesfuntfal(e.Ad5: per!idemrefpinquamuisillapradicatacc;Mititqudnmticencacintdedefaproptetrpugeintiammodorfigni&candi, natacaA.vtfic n refpicit ifta prac dicac;& ifta in figaificando: concermmt alhacehtiti matti Vel dicendum. cunv ghulti$ Scodiflisjregtilm Scoti nomvale r de pt dicatis confequentibus a& inia tellctas;fed de illisqua  parterei cue niint,nar quamus in feprarfcindat. t ab erite reali qumrnis, et idco ide ipfa int cenfiderata non potlint: praedicari pradicata realis;quat non farit primi ms di;& molto miris pfzdicararatiouis j)vt arguit Lich. ex Ocham ;'atamen ip, vt f eres hi oet itiditienia icat& racionis jp refplio eft ieditlorihd eund in Chiitto norrett vIrimatabftra Gtazary im e(t nattira humana fingularizata; nos loqtirhir de'liunratiitate ; prout praecise dicit quidditat. hominis ab(traheat ab orni ejq eft cxtra effenti . Ad $refi. odor d. .cit.committifallaciam;quia mutat rtedicatio,n maior eftveracforfrialiterypritioreftvraidentice:, fiptrfbfttiue(rmturji vradictuevtettdenminatiuis; liceRalfa;icthac, Deitseftbona:,Quiapradicart(ormalitets:AdeimumpattesdiQisdd4vcioricidr eudonsbisos yr. Secido arg, eyiftalfic filiacbumas viits e(lmivsly d (i quiaxcrt fabftas tile x (ec6cerisit fppofini; fc amamal porcit pro iac; S illo amdali (ppogere, fed humriits prefcindirifuppofito,crs go atiiml nequit recte de illapra dicati Tim au eum dicre animal currit j Tittaiira eft niroalergo lumanits cur fit; inque fyllopijnotft cade formalis foletfudh prtirs&impropotcigaeyiftnlchi eOcerte t) tico jled dc indiuitua; de tnicnid hac prpotiiodi, homoin daEse vosicceriic dndjidua fuppo itdtitr ptopotitioeffco (ala Fl erede dr nmeenirti ndi Wiener emere tmm CE OR MGE d adi bran fa ofica  quibas pre folam $ vecta Mi qeoinede wepicit han elpicity quo picit. ni Ad 2. pateroperidem yquia za etlivr varlarur | igtp cue mE em ft vr n ord tede wm pad concedant; poffede'dbteaGuisinferioris bus predicari pec quod cftat ad cauion& Poticij dos -L09.1:95; ppot tencatis; cb 1ve(oiibi rslvgov nusnsilis mus CUWROTTON Dy iSuigpum 21 1UD M 8 T QUELLI X23 JAE" "o dirae; luz de conepes a id Lajimof 5 rattis prdicati, x5 304780 ad prinia partc dabij pats ne gatiua conminiter ccoditur;vrtde ba (unt faliz bomo eftbrmanitas,liinue efl albedoalbum c[b colorg&c. ra: tio fepiusc(t in(muat quiz abtca Gra, s poc (cindc  fubic&tis S (appolitisicotie bri verser em i mgr pant d lipmificandi (ubietana,.& raxdicatt fioc cmthunicencvinter (e yxoliiar radi /omnisveoitatispropolfitionibusDi: quia bflrata: figmficat parteib.cocreti y qp habet rationimapauspatsatit vr. pars y fitipby (ica) ig m eraphyticaynompoicii Idetoto przdicdri Sed quia hzc rau non oncladitimdiumssmam abtlracta y. -AGrihunrcsiohelcti (apposits pracime dant Xam& in:fcv nde.polinvide tificarirealitecjimmaran e,ideirc. pros poficones quibus abltruba dicuntag dc nece a I ntt Q9. II.De pisdeabibsa s coconerenledri.LL. $03: E "o. 1 LE vetei is ues alm f atis.deniyensfientitssenseftbouitays.geonusfbvurst[alitar,86catnenaccidensdcceitapredicataantdbftza&ta,Help:dtigotefermdnis, oninesillsro posistioncscicrimondpetens; netconctetiianibitumaalieceiin Vligrisimeltaccidens, sicuteami,lignumeftalbum: s:quodanasgisdeclarabitur, exmoxdicendis ...TTS2.75I Circfecada partemcrtefbpriindiuinis, quandofaltimvnumxireemumtinfinitam: $stlesprzditatiouesBcidenticverasproptettatidnem,mepiusreplictm: Diodfccund: omnesadinittunturifta praxicdtionesimabfkcatisaccidenralibus:mediaabtractione, quando(chabentvfapecius, 8cinferius;vcalbedoeft colot, et qualirasy &cquia (unt vltimateabftca&ta;, Gcfuperiora 3a ordinc ad inferiora fe habent,vz.cn cretajcum illa:concecnant& per modum totius,vt in princ. quz ft. dicebamus. ht. (aper Fet& omnes concedunt: propositio ncs; in quibus abftra&um gencricibpre: dicatur de abftratto difeceriabweh ex tra, effe falfas ; vc animalicaseft vationlitas, Sc conuero, quia intantum vau de altcto praedicacr inqucum vanmcur inpccie, quam vnionem cocommant per mmina concreta 4; &. qua per abttraGta gracindunr, ergo vrabitra&tamo! polsc adinuicem przd:caci . Idem quo; efiet Adic&dum-dcabtizats,qua 1h orduc ad lia accidentalitgtrpcaedicari naca (uat vt hmanitas eftaibedo y vebaibetlincitas nisi quod: V(qubqu difp.rg o: limistar bant veritatem;ptzzcipu;quando per ipredicarumabttratt denotatuc offici, ' aS actus fubie&iabtrati y'vtrarronaliXas efi diffcrentiasrifibilitas ejt preprieL v; Maior difhcuitaseft.de ablca 0 ;& fpecifico janillud pofsit djifto.pra dicati, prz cipuin.lubttijsyim'accidenabus3009; doquendo dc 'abitcattisvltimare ;..iteman abficactum diffcrentialc pofli cidefprofico diciv ca suni ioett anmialitasy cfl 1at107aliia5, 'ulbedineibas tfEcoloraitas, & &LuO)3Nv -7x; Hart. Log feet 3. cdocait? gencricitimi qu ms ialc abftcact. vet dici de fpecifico.qufquitur: Auer faq; x4. Log. (e&teaq. ac Blane;difp, 2. (ed. 17; hoc folam de geperieo concedi Alij her iR. ;ablicaQta fuperiorid cg daplicit&r;eoafideyár: y; vel vrinconfufo conGnent rationes ; et perfettiones infcrigram ;& vt fic pofunz.de prec ser ii fecundum gradi ptae« cifam;qtem tormaliter dicum ».& vt fic falso pratdicáturita Ma(, (eG. 4«.de Vni uetfag6.Soro:q.3 Sanchez lib.7« q« 13» Saarez:difp.:6, Mct. (e&. 1c «Didagus d Ye(u dif: 5 ;q. 2.dub.2. Com plocdifpiqe Q-.& alijjà quibus 5:Meb.q.33£eebi4.BcBasic Soy2.peirsvnaTacore1[pecifica» tué:(umatur,cáfusédicere:rationesin «fetiorüm, Scpoflevtficpridicati: dc:ilksy (iweràredaplicariud, ve(ubftaritcoriecpaypizcifiuo,inbor. (enfunonpoísepradicacideahfériotibus: Adic,tract,4«4.9:dub.s,iftaspradicationcscanquam 'obabilius dictum aderit e(c fal(asyfoli concedit illas; quibus abft tacta dicuntur defais imimellatisinfcrioribusy fub cádá ab (bra tiores; &inomine gnilicaus ) vb bsc humanitas efi bmanitabbec ratioe ualitas eft rationalitas-sbac emn eft animalit as, &c:quód.ex noftris; afe» ránt Bar2.1.d:5 :q-1:$, Ibi bor omen Deus,& Maur.fup. q. 1 3 . V niu» dub. 44 imó ipfe -«Do&or Ms. q. t; E.inillo ex tá afferitquod nó poteft dari conceptus ka vlrimaxe ab/tra&tusquin poflit de jp « prijs fiagularib praedicari; vnde cocedié jppofitiones iftás bc anàmalitds ef dniib alitax Jàc:atbedincitaseft :albedineis t5,n6 ci itdibimanitas efl animalitas s quia liumanitas rió e(t fingulare animalis tatis, Tádé cómbhiis éft opinio spud Scót kiftas;ranfcendéc pofle dc alijs abftea étisdici, vt buon anias eft entirasseft ba» qitas&c. quiaad. vetiratem propofitioe viis, falcimadenticam ; iinquiünt fufticere infinitatem perm ffiuam;& vran(cendem-tià talcm habenrinfinicatem yc nr có» mnia D'eoy& créatorissideo poterunt im abira&odealijspredicati /,0 5 3 3$: Dicédum ctt,nullam propoüüohe patum difánt Fonf. PPS MER! fe Difp. X De Éninciationé 000 0 ip eteatisin qua. vitimaté abltra& przdicetur de altero vltimate ab(tra&o, vel de füis immediatis inferioribus (ub eadé ab(tcaGione, et nominc fiznificats, e(Te vératn, fiue accidentaliter, et denomina: tiué, fiue effentialitery/iué rranfcendenácr pczdicetur, ita Do&or cit. qué pra: tcé Scotiftas fequitar Ruuius tract. de modo predic, Morif, difp.1. Log-q. 17. imo hanc fententiam volaeruntafferere. Ma. Suarez, et alij. illis diftin&ionibus dc ab ftra&tis, et przzcipuum fundamentü cft formalitas termini vltimaté abflra&i, illum :2. intelligimus cam Scoto d.5. eis cit. q. 1. C. qui fignificat quidditaté abíolutiffimé famptam, et przci (l (fime ab omni co, quod cft quocii] ; modo extrà róncm quidditatisergo vt fic prefcin. dità qualibet habitudine ad quodcung; extin(ccum,fiué etfentialiter, (iué acci. dentaliter cum illo abftradto habeat cófnunicationem ; ergo denullo alio pote» xit przdicari, quia vt fepé di&um eft,radix veritatis cuiufcung; praedicationis cft Sdeniitas,connexio,& communicatio extremorum, nó folum vt fantàparterei," fcdvttalibusnominibusfignificantur." Conf.quianequitvnumpraedicaride.; alio;nifiiiludconcipiatur,vtinexiftens"illi, &aliqnomodocumcoconiun&tum, utavtdictumcfl, radixvetitarispropoitioniscftvnio, &connexiocxcremo1ü; (edquandoconcipiturcerminus vlii-amaté abftractus, vtanimalitas v. 2. non »onfiderarur, vc coiuncta cü humanitate, "wel cquinitate, ergo cum verita:e nequit din tali abitractione de ipfa praedicati . -i Deinde potecf prob. conclufio figillatini qubad omnes pattes: et primo q mollum'abftra&tum poffit de alio denoginstté pratdicari, etíi officium, et actü illios dicat 5 nam vel. eft (crmo de operae tione, ofli-io, et a&u [ccundo, (icureft gifus refpectu rifibilitatis, intellectio re» ÉKpcéáu imtelle&us et hoc cft (alium; quia mec intclie&tus eít imteiledbio s. nec rifus c(t rifibilias, nec rationalitaseft conftituo homins Íedprincipium «onft:taxiuum; vel cit fermo dc officio ; et actu omo, et cá hic (icintrinfecus fubicót Ron gotetit predicari acetdésaligr à dcart.q« et hanc eandem rationem adducit -Aurcol. Td. 4part. 2, art.2.. nominatiué s. vt dicebat T: fed e(Tenztialiter,nam rifibilitas formaliter eft pa(fio, rationalitas formaliter differentia ; quod fi per'paffionem, et differentia incelligatur fecüda intentiones, fic cft prz dicatio denominatiua (ed non cít de vl: timaté abftra&is,nam et proprietas cone: cernit hanc, et illam pr fibilitas, hanc, et illam rifibilitatem. 76 Secundo cótra Hurt. prob. 9 iftz fint falíz bumanitas ef rationalitas, eft animalitas,ad inem, negat .n;hanc Tetrus eft bumanitas, quia licét Petrus in (e humanitatem includat » tamen vkra illam babet fubfiftentiam, przdicatum autem debct faltim confusé fignificare s quicquid dicit fübiectum ; fabínmimas, fcd humanitas vltra rationalitatem inclue dit animalitatem,quam rationalitas vt fic abítracta necconfusé dat intelligere, er Lid art etas os humanitate, idem iccendumde animalitate refpectu ratio» nalitatis. Sed neque ambo coniuncta pos terunt prz dicari, quia vt fic rationalitas deberet przdicari vt diffetentia .djuifiua gencris& conftitutiua fpeciei, et per có (equens vt vnumadiacens, qui modus fi« gnificandi repugnat vlamaté abítra&to . Tum quia negat etiam ipfe hanc propos fiionem Dess voluntate intelligit. quia vt fic datur intelligi coceptus nofter;quo voluntas licatiné fumitur, et conci» pitur vc principium operans, fed ét in his propofitioni bus inuoluitur. nofter conceptus, quo reduplicatiué animalitas fccundi fe,& rationalitas in fe concipiturg praícindédo à quocunque alio, ergo &oc. mon .n. abílracta dantur, nifi pcr iatelle«&um. Nec valet, quodaait Auería, rationalitatcmtuncinon pradicari in quale; et .Vt differentiam, [ed in quid, et vt genus ; boc .n. iamfuitíupra impugnatü difp.6. q.4« oftendendo veritatem illius regulz Diutr forkm generum non [ubaliernatim pofitorum, &c. Accedit etiam ; quód abftracta vltimaté fe babent vt pars;u neicari cx dictis difp. $.q. 1. 77 leruo cótra diuerfas acccptienes vitimaté abftyacti à Suar. E oníec. E. ahjs tem,& ri«. A 9. III.De prad. sbBlvathi eo cerit Ac.LT. $657 addu&tas vrgetar, quia (unt diflin&iones do plicacoriz, nam vitimaté abítra&tum ex iua ratione formali abftrahit áb omhi eo, quodeft extra propriam quiddiraté, vtex vi nominis itür,'crgo nequit fumi, vt aliquo modo refpicitinferiora, aliter non eec Itímate abítractum. Per Gd oltenditür eciam vliimaté abíitraum non poffe de fuis ingularibus predicaci, quiá'ab illis non abttraheret; tam quia etiam albedo poffet dici vltimate abftrz&a, quia cantuai cócretionem ha bct ad propria indiuidua, quod ett faisü, nec implicat przícindere ratiogem communéàfuisinferioribus, aliternuiladareturabftractiomter vniuer(alia." Tàdemquódconcluiio verificeturétfotranfcendentibus (uodctiamfüftinecVallofuperart.3.Tormal.pag.nobis359. &probsbilepürátMaur.cir.) jrobator,infinicasilopergvffiuanilaliudeft, quàcomniuni:ds,&indifferentia: adcreataendisRctalatiypleeudentia: vtstcimatoà(ypr&efeindulDHdfercoDatnbetvtpaffió5' &ettéxiváátatimialementitatisero nónporefte (Tedaotioidehticeveritatis, vteftinBnirasfocmalis,&pofitiua in diáinis; patet confeqe nam idco anhinal itae ipn poteft-de uz mánitate dict s quia abftrd bit à poténtiaz! litate; '& habitudide ad ibfeciorá y: ergó: idém de identiace dicdàdàm : Tum quia: Doctor; quód omnis identica »rzdizi catio in creaus eft formalis 1. d. 8. q. 4t ad ti fed cncitas! ve ábftiáóta nequit forz militer predicari aliter diceret concretionerm ad id j eai adiacerer, INec iouat ; aliqui dicunt, peculiare efle abftraisttanféctidentbus de omnibus dici y: qiiia primás cenceptus, quem de ré ali fori amas,eft;quàd non hic aihil, fed iquid; non uat, qu1a conccdimus raenus includi m con: epdbüs nfevm y'ed aliud eit de illis praedicari vt vltimate abltractu, nam eias yc tie dicit rstióneth enus vc ab inferioribus praecfic tationem entispieciln. 6 728 Sedcor €ta arg. qp faltim peedicata e T anabftracto »rz dicari dc in bus, qium quia vcré lupcriora effentialiter iacluduntur ia inf: riotibus, ergo poterunt de illis predi cari; ab eo n. quod res e(t, vc] non ctt ; oratio dicitur vcra, vel falfa. Tum a. (i«ut homo definitur. per animal,.& rationale, ita humanitas definiri debebit per animalitatcm, et raconilitatems at partes definitionis potlunt dc definito prz dicari,crgo erit verum dicere, humanitas cR'ammalitas et ratioaal.tas, vel faltim himanitas eft animalitas rationalis. Tum. 3: coütiderando hás duas naturas, bamas ritatem, fcilicer et equinitatem; concipi« fous ias conuenire, et d. fferrey ergo po terit ab fl Fabi conceptus commaunis-ab il» lisin xpuid priidicibilis talis érit coceptus animalitat/5; qua róne Arift 7. Mer. 43. ádducic hanc pradicationam d.ff.renuz füpetioris dc infctiori imabftra&o, (ci(fio peduni cft pedal;as quadam j et $co« e áed rnmia t ei i sniiitas-e$! bana t aybácsibeduieitas. esi'abbediatitas;& fübditsqp n9 jopartets. qued in dba disne. Wr Lia prádsé ety deuliquo nec aliquid de ipfésquia boceft impojibilesfea fufficit adi própofitis boc quód vltimaté bfiraddit » boc efl db omni alteris natuvasci à fup. pofito propio ton: fingulari,de ilo non prédicetur aliquid formaliteryuifi prie-diceturper[enuomodo. Refp.exdictisad1.nonfufficereadVeritateipropolitioni$ veritatemfiznificatordm, féd'eriamveritatem modorüfignificandirequiri; namquandorcsfiLireprifeindensab. alia,&poadellapraidícatur,nonconfotmaiuc rcii!la propofitio, «ceftin (fe; quia licéc rcs illa deriotctur, nón ramé vt alteri cómiunicatá j4üo veré eft à parte rer, alice ifte cient veta y Peirnscfl albedosefthta micnitassc? c. Ad 2 . non poic(t in ccóto humánitas definit: pec animalitatem,. &C rationaliratem, quia hac praícindunt ab. illa, fed in obliquo:y «nde non potiunzin recto pciedican fed inloblupioidicendo. hàimnanicascofiát d& adnalxauy& rogas litate, Gcutín defoitione phyüqa homo non dicitur agima, et corpus, icd cx: alas et «orpore ; et licut non zocte ono homo eft disini (loquédo de. corpore pro altera pàrte compoiXtd y. non; de generc (ubalterno) co qua cdrpuscft, piis, nomtotum y fic non re&é dicercrur, hüaranitas c(t animalitas rationolis, quia. animalicas (e habet vt pars. mou V tpi vtd:ximus difp.$:Gepe tara pec fd le £0 ceptum ron cídé càceptum Ago eret ti$.,. fcd: aniemalis,qui: itaeritab. Glusjys Qt diné etiani dicat ad.illa, à: quibus abílrahítar,& vt ictórum fit quoddam; poté táalc,animalitas autcm ab.illis prafciudit Nec vtget authoritas-Arift. nam pratcre quamquàd differentia fuperior. nO. pros ptié dé inferiori pradicatur » Vt diximus difp. jiq;gaar. jiidbuctamennon cti prg. dicario de vl timaté dbftracto, hers Mes vltin.o ', idcm dicendum dc hac Cationebac bumanitas eft. bumanit ncgarhus ver illam aliam. de hac a dineitate cfle veram;quiahatc. sme tas dicit quidditátem albedinis aui ferentia indiuiduali, sc B OMBANEN. ab hac albedige s: heque erit. vli eae flracta 5 negamus. etiam. Ruedil fttactum ed. vlimatum Lr às E p cron fingulatia, non «n. dicseur. e ab « illis (ed concretum ad. et aut horitas Scoti nom vrget 18e an i vnum extra y: et oppofitam d cducitür ex. tota illa quz ftione à yt notauimuá set mé princ. huius quizft. . :79-Secüdo oarg ad ide. Tum. quia co QOcreatis ad abftracka tenct. coníc üétiay 6t in vitimaté abfira&is. nam valet dicere in divinis, Sapicns cft iuf us,ergo fapicntia cftiafüitia. Neqj dicas;cllc verü idctiticé propter infinitacem exturcmoriis qui& cü infinitas fit modus intran(ecus, et «oníeqücns exraquidditatem (api et iittitizy&e vlcimare abfiract pen dat ab omni eo, quod aliquo dodo E. tra rationé formalé,iam illa cxtrema ptefcindent ab infinitate ezgo infinitas nom eli to veritaus illius pra dicationis., lum. 1: humanitas, et animauas rationc folü, diftioguuntoryat hac diftinétio (iei non, anícrt xienutaremxealcnjira nec veritas tcm propotitionis, Tádem anima raaonalis cfl atiamey& vamen "t" intcr ab(iracta,: üdi JH (31611! ios Difp De, Bostéfatine v, «0X 0. eit veras! ;So: Refpà core 55k onis quand quando o ee Usyvt san aero vai p Plein dini E en, infiniinin infiniraté; ad: ius rd cere lapientiá téjiuflitiags Seno. ce vlamaté voe nin fxedete ab infinitate; vnd vicem pra dicari i. d qu: non eucnitin cCeatis;vlu mare antem. flra&um MPH qos sli :"r a propb fü uoyin I; LIjeo ratio apientie« cít ratio diuina juflitimy aishec yeta ratio Deitatis eae ratio I: pientia: proptcr inst cit UNA ire umusa ze(pondcre quod modi im nic pd gii mo modo iuxte:di inb ow Eu hes dnas a m cum Daá air vitimaté flcind:tg ab.oi cpa quod eft. quocüq;modo extta rOncm rbi dsbecinelig pofitiaé modus. nj piri m. fecas(et(i SES aie tar 0.B5 dicari)nó tur ita effe extra rónem Ae», (cd tin negativó.que expolio videtur de, te Doct A ih aitqu rahcdo fapiésias iio E Ee pee etse tA DUenind finita;led visere fores 2,anter«cft falsus quo admiio,negatur iia ci; ex modo cóeipi& ps qui& . c&iur illa extrema; explicue Nt. cii tundamé vojn re,ncqait dei leu ter9 epüciariyná eíIet dic diftin&wm.e gliidé euni ert pto, MM: je am. ja.comaynt e(Te vluimaté à ua hucuf aee tdemodis pdicar; djmablradies wcoereto quo ad pri-; mas int£ilones,e,9anmno vet ifegtur, minis fi et ini Cru onü Ado. feyQin ordine ad primas, tavt ia; propor, fitionibus acci iuit termin); yr «Qmunis, cacionc quada, A coocxieng dic ead in; ujeéjnen vt ra [cind.intà; sdlieüganigs Y oc owe af a r. LP. . fintimntO Loto Ja i Sud So DPI Re qe TO .WNDECI MAI jUlott0.2 4. "huis 3nu3 e'10:5i » [Tee nei y refus d sde E vciebu eut ari fibi jr debate libras PHP d nrc" erm eoi1impo ose fioi. leg noo X one; T cd nim laii i Cummni, à Dif ifa LL QiBibli c: js us de Eniheiatione i . oram tráttat,»rab em nem s find -iimpoffibiti Xmultaf;pa[fionesde«pfo"2pru9tvidinri PEEfdemcnmetiomftinfe,cfeci Vaedoneete Deuifvoeeuprtianvellealetmcontinentiamqi Proem.NecfadsDetiuon, dotediataseafifio Demonftyationis, ertonfequenter quódobieurmere"»ipinivtnériripadPAete(Te(« Demonniviraeur2 Eputs"agii"iaiempmatio, qacuiboritate» inumi Mriicolificere. DNiftin&latratfatum'àlibrisPofl:ficutdiftin BoreetHiecaecR Sylloei[nius,Aeeevteftbea ALIdTee?iloi BomSieioim Chimftbiitvéflieem Trübertuies Ordriafirjrp.optrati. ymotialiquitdixeva. Nonvrgetsquiatomi. $yllogifmi1nConririssprerequirita yfus?explicanimuspairesvd dreoperathpieniquiadio sfpeenlationiss"na;Mloss QvesTIOidum Diijcurfus. differataj.Jorge2:jd5b5. TarioneeHieiciniseft AHR:iide:t8|An.146.quàdponrtisdiffe:entià inter duó; àMiesreoportet cognofécteinvt videamus, ay Difcurfusdiffétataguiada Aogi(io(ptoeoden.fumimasSyllogiafüm;8C Arguméaüloei)tieceffecpipriuscontidérareygi:dor MigeAe'"Argameétatio,piféiifüsetoóeftocerüia' intellectas decr ; qda ex vno notoalíud ienotufin jt, et iptetcj vnde dicitür EE" afi didam cücfüs y mótus, et progref/£x roto ta:juam à terditno aquo iitelieEms perzitad' gnotum tamjsa ad : verinitiumiád ju ue;exua definitione colUg turjnó Ere.]uod inicélle&tus duo cognofcat vnd poftaliud, nam c-phires app: chiónfiones y vel ibdicia difctete "ibi iauic ea (uccedéntia effent (carfíus;-fed ici, quód vnm ser aliud &égnofae . fui; diglieieée poreft cótinsere, e yt bt "i deirordisen, 8: hàbitudiné obi&iam, vt fi quis cogno(ceret Solem dietricffe;& diem à Sole vc à caufa de, ee déte;& hoc non fufficit ad diftur(am; n& "hoc potids pertinct ad fecundam intelle&üs operatione, effetd; vel vnum vc! plu€ illorum obic&orü ad inuicem jecit ; ficut &t plura complera uit per primtamopcerationemappréFesigen opeceri Mescii iudiciumi;fed audicij; et complexi obiedtr. yprehéfios Técüdo contingere poteft i per dicàt liabitádinem iuter alenfus illorum obiez ori ftaur imellé&us atent ratut vr quia habuit ad aliad à enfum, et ex vi 1tas eliciat aífen(um alcerius, et hoc mo do intelligi debet definitio dicur(as, " gy, gaproptét tria intécaenrünt di(cur(um,cozació nodi cosnitío i ignotis !& illatio; (éà deductiorgaoti cx noto, pri "inum dicitür aécededs, lecandü confe: ? quens; vertiécobfes uen da; qiie eit nexüs "wtriufti; poteftas explicari exeglo [et adz operationis, ría licirt in iudrélo adctt áp$08 Dif», XI. De Syllogifmo in Communi . | : i; 6c1n difcarfa adett iudicium antecederitis noti, et conícquegriaig ti. et ficut in iudicio adeft conpexiótermitiorü per copulam cfi fignificata,in qua formas Jitcr contiftit iudiciá,ita ip dilcur(a adeft phai» fabie&, apprchenffo prizdicaficatayn qua connexione, et illationc có. fillit difcurfus formaliter, vt notat Lich. q.3.ptol. in ílla collat.q.an Theologia (it Lcicotia. Adeft ramcn fecundüm aliquos hzc diflcrentia ; quod iudicium in fecun-. da orcratjone quandog; cft affi rmatiuii y. quandoq; negatiuum, vnde duplici nomine compofitionis .f. et diujfionis circum Kctibi folct y at di(curfusformaliter séper £ftafhrmatiuus,quamuis .n.aliquádo có-. clufio fit negatiua;tamen jllatio séper cft affitmatiua, quatenus intelle&tus iudicat «onfcquens re&é ex antecedenti deduci; td hoc potius vcrificatur.de cognitione 1cílcxa, qua. intellcétus, poft diícurfum iudicat talem diícur(um €tle re&i, quàm 4le iplo conclufionis affenfu, fcu cogni'tione dcpendentcet ex prauiffis; vt fufius inlb.dc Anima dicenus. Hinc trcs conditioncs requituntor ad difcuríum; yt notat Barg.q.4-prol. $. Eo Tbeoloyta 1n [enon efl. [cieutia » €x Maur. (ujct q. 36. Vniu, prima, qaod. in géllcétus ncelligat hoc poft hoe, fecunda nod inrcliisat hoe per hoc, tettia quod 3i is a&tibus concipiat arii ecedebs,& «Olequens; primà deducitur ex eó, quod cuifus eft qua dà via à tcrmíno à quo 'ad iet minum ad quem, priór autcm clt sctiminus à quo ; fecunda proucnit, quia vobicéta habent ad. inuicem dcpeodenuá ! cognolci; tettia cft neccílaria, quia vt xiwus, hon (ufficit ordo inter obic& Acá cxigitur quoqj inter affeniusquate dikurfus ft; cim et Roto ptogi dimut. ad ágnoum, fiué notum lit caufa, bae effe tus, quas conditiones in nd. fcutiemus, Vnum ett hic aduertendüm ; guod cum dicitur confequens dcberc a c igtiotttm, nó iie erar plo a&iuali di(cur(u, quia tinc adelt allenfüs, X conitio illius, (cd ante, nó quod (inpet. de t effc nece(larió totaliter iguotü s quia [2 pius difeuczimas de i6, dü& lont norà reflexa,qua.jnte fucóclatioois drftinGus, fed ecit ipfcaf« nobis; fed vel quod fint ign riu ip AS e dia iae en | ti idein ad actualem cognitios nem,licét habitualiter'cognofcamus illa, 4. Concludendü eft igitur, tunc intel. . Ie&um difcurcere, cü a(fentit cóíequene conncxio propofitionü per HR aaa tipetantecedenstanquá pergau(am (al.. timin cogno(ci.. Caeterum an de ratióne | difcur(us fita (len(us, cài: d conícquentis, et num illatioilla fit a&us à .cognitiaot con(equentis diftin&us tea liter, vel (olum formaliter, et num vltra hos a&us cequiratur cognitio. qazdom c&us aduertat: coníce quens illud effe fecundum regolas logie cales dedü&tü, virtute. cayus reflexionis angiter acere eoclulionipertinetad animafticos decidere;pro nunc poflet die ci cum communíori aden(am aptecedea tis e(fc quidem neceflarium, non, tamen vt formaliter, et eentialiter iotegranterm di(curfum, fed vt caufamillius; eio ete poteft, quia tcitia opcratio non cft qu aggregatum ex plaribusadbus »(cd vna Aimpléx qualitás, ficat caetera opcratios nes, et potias i(ien(us antecedentis pertinet ad (ccüdam operationemsqug neceffatio préfuppomi dcbet ad rerciám. Neq; illato débet (ioura&tus realiter sb affenfcn(us vt cau(atus ab alfenfipantecedéris y d videtur imnucre Scotus 3.4. prot. im Lich duis di. cur(um4ufficere, o» princigi am fit. phius natüraliter notunt,s C9 »t. (16 fit. cajas iuum alterius extremi A Rd 4f;vndé illatio.erit caufacio, et de pendéua aifen fus conclufionis à pramifis, quod ctia ict ex iplo mom neam deduétio,& i n habitudinem dedudt: add yex ; deducitur y«auíatio vcró ex di&is 1d /[ diáp. $412. dicit relationé effectus ad cau(am . Tandem non videtur (emper ncceffarius act illesgiesos »quia pra. . mij eaapQda D cüidenter nota, habét fufficientem virtuté gouendi inicljectumt ada n Cond. quo caíu virtualiret inte Audicat illam con(equentiám : ; et iuxta regulas, et logicalia pus ) in aliquibus tamen calibus s -quàndo non e(t jtà cuidens, dcdu&tio (X, miffis, poteft contingere vt maneat pa us iellectis, BE] tel edteodo fupra actum cognofcat. bonitatem ilfationis Ls à&us non videtur formaliter dilcurfus,fed potius approbatio qua dat1, et affirmatio rectitudinis illius, vndc (emper eft affi tmatitins,quádo difcurfuseft re&tus;& negatiaus, quado eft falfus, (iue conclufio deducta fit affirmatia» fiu& negatiua; et haec fat erunt pro de€laratione difcur(us in praefenti . Pto explicatione alterius termini;.f. argumétationis,(olü recolenda funt, quz diximus 1. p.Inft.traé&t. 3.vbi definitioné argumentationis, €iüía; fpecies declarauimus,& przcipué, quod in qualibet armentationc funt ttia, .(.antecedens, et icitur terminus inferens, cofequens, qui terminus vocatur illatus,& confequnentia; fcuillatio: ité quód entimema, inductio, et cxemplü non differunt. effentialiter à fyllogifmo;vndeé in rigore fyllosimus,& arguinentatio funt idem inter fe, et non» nii accidentaliter poffunt differre . His prahabitis,quó ad quafitum prin. cipale, qui fuftinent pie e(sctialiter cile pzzmiífas re&té difpofitas, conclu(ioné vcró c(fc terminum, et cffcétum fyllogi(mi quales fuerát Alb.tra. 1. Prio. é. g. Achill.q.d e poteft.(yllog. Nyphus 2. Priio.c.2.com. 2. dub. 2. Marf. ibi q. 1. et alij; militer, qui afferunt fyllogi(imü cffcntialiter incladere prmiffas, et cóclufionem, vt Conimb. 1. Prio. c.1,q.2.at.2. ad 4Arriaga difp.t $. Log.fect, z Morif. 1,ptio. dub.z. et 5. et ex noflris Orbel, fuper lib.prio.c.1.niti idem atferát de difcurfu,neceilarió debent argumentationem à difcurfu diftinguere. Scd faciliter. refoluitur quaftio, fi diaerías fyllogifini aceepriones jrenotabi mus; (y!logi(inus.n. vel fum tar icealiter, &inacu gnato, et vt fic accipitur. vt vnum inteiligio:le,incon plexua, definibile? &c.yel tum.tor exercié., qu.tenus «fidiquod ügnabatur in fj lloziímo idealiter, exetectur ab iatelleéta a parte rei et vt (ic adhuc poxeít (umi du phciter, vcl obicctiué quomodo d;ci: obiectiuas pro po'iiones im figura di(politas 5 vcl [o rrbaliter y et iigniticas actum iniclLogiéá E 9.1. dndifcwus differatabargumen 365 le&us cogno(centem propofitiones obiez &iuas; quod adhuc Mplicier potcft effe. fiue obie&tiué, fiue formaliter accipiatur, nam vel fignificat totum id, quod interuenit in argamentatione, et fic dicet tàm przmiffas, quàm concluíionem,imó et terminos ipfos, licét remoté,non propinqué, ficut termini funt materia remota,& ét illationem, vel formaliter, fi logifmusformaliter fümitur, vcl obiectiué, fi accipitur obiectiue; vel (ümitur vt dicit premitfas folum: vc! conclafioneta folum vt tamenà premiffisillaam, 6 líitz accepriones oftédipo(sütexattributis; quzdefyllogifmoabArift.&Do&torib. (olentenunciari;tamde6yllogifmodicitor, quódcftinftrumentüfciedi, dire&inumtettiz operationisintélleQus, quod verificatur deipfoina&asignatofumpto, nàina&ucxercitopotiuseftoperatiodirectayquàmin(lrumentumdirigeris, &inhocfenfü,quiahabetdirigeretàmprzmiffas,quàmconclufionemy Mr.refpicittanquamobie&um, &materiá;circa3verfatur, vndetàmprzemilIz, quáconclufioreponuntutineius definitione. Diciturét(yllogifmum conftareextribusterminis, &duabus propofitionibus r.prio.c.2 f. eodem fyilogiímo poffe mass conclufioncs inferri 2. Prio. c.1.fyllogifmum demonftratiuü per conditiones premunt definiri 1. Poft.c.z. oftenfiuum à ducente ad impoffibile differte penes pramiffas 1. prio.fe&t.2. c. 2. item habere vim | ioni ;elfe caufane conclufionis,& fimilia ; quz verificantat de fyllogimo in a&u exercito, non quidem vt conclu(inem dicit, fed vt fo przmi(t.s (ignificat « Diciturét fjllogifmui effe va.oncim extremitatü, cx vna vniuer(ai,& altera particulari fieri flo» gifiü particular&,ita T«prio.c. f» et feqe tyllogifmum móftrar: a. prio.c. t 1. fjllo" giimum dialcéticum ex probabilibus efte cóllc&tum 1.top.c. 1. declarare patfioncs,& accidétia 1.Poft.tex, $7. multa ae lia; quz nóaifi de fyllogifino, vt dat praecis? inclligere conclaitoné;verificantur . Dicitur quoq. fyllogifmum conflare ex pre niilis& conclafrone;vt in ipfius dcfiutuoneyprzmitfas efe materià, conclue Qoo fionem Sex aca tos mo og iris jo dejonttzagoney Tu moy dd tus. inp c u M c ME ficja NE eubuunzur. fyllogifsmosyt Pme es PURME ri NE cit, mimm f sàm;diuería ? piioncs» quia vocabulorum fign iaa. Dp9cxvíu lequensium pr: tn »v Exoprié; Pert Jrgenio bis D (eite cócju lone dasgitic Mur Aes ene do fsllogi(mus. in; m .£xercito €onripi «t &nüper fe; E Eel gaitcare praemia Fives e ABKCSRUS €üda ome «iutio ilaca y iab eie bir&ütcttg-ope exe Bis Len eee jede ilen ve titia c(t cogninió.có peii, vtaic de puascicimer d xdilcurs pnr doc gni gei .czi'Ex his lionis exi argüme ntatio. "spe UMIeEE ii áétuiexercito,& obic Un dise ebore cama f.» fiie pro ud pro. Ericeadu AR x 2 'ó formaliter. et pro. pramiisis tage; La re manits y dtftinguetetur ficat. (cs «ünda opetauo MAITURL MR ABIOINESEER &.fient totam jntcgraLane beum jen : difcur(ussclitmus cxteadere ad omne. illud. quod: mecetfació. i intexicnit. je tertia. operatiane, vt faciunt aliquizawamen proprie loquee diícutíus, Gc argumentatio nort iffictunt y quia; vt patet ex: dictis y. per strumgàe fi !gnificacor. connlafio. » vt ex penis is dedacta 2 A d Sed.contra praxdi arg. ptá v: qi f i-e qu propzié loquendo. à piasifasySi concluljona le per conícquens, rA on ooU0 Bii 37Min Rotes. bas. eid «zc anguine fas quodi ie EUR. Hm p dam.con Bis itus BEQUd eH TOCA UPC ESHA DB taione ag Miisntuc, qpode ti [ug diCimosergo.y vel défio:xionemallam coms IAN bici ei) stia fii ignà4 tos fen(p-cmpr: ai Con», dede f ootatà la VG VLETIS chiens n propria a T dai p ia ipiius, y. nece joe.efl ads. Lec uad eei eoa Mn Wkrminusg Aper idems inu$àquo ;.tum quia non cit ico motus, [ed fnetaphoricéAd3, pre ai [à et conclufio. dicantur Eae aee yUag mici sHaPe m E quoddam,rà quia metaphic i din teria y quatenus conclufio ex.lli "didudy trio usen gorenualitt Ad, de vtilla diuifio dicayur propria geoeris iam [pecies;. deber s ipifyllogiímus vc uni períeq ofumctur, vcl in císe idea liwel vt. icit. conclufionem Cx, praemilsigjadgsauonc ex diuerltate prae amiísarü, colligicur .duifio í alogis nonugr taüquai ab: entiniqu nam alia, et lig. -€onr dan UE mint e asinure amus. E ytctqg n ug» 3 ameg gent: mot terme 0 quem, vnadé fpecif E » Pn er 2 1 m EA. Gubnuh Disifs ple Vif. $ dider(is E dh ul fyllogifab.a sd condutot Mifpita.q SITUE alio cab dod ES FIN s di hd: iis dica &oric vex js catfatti y Maác jchfany dica difci T ss pum foi sia confi ftig dicio illatitroyfe nit"a[sepear iiic, 5 coelos catu Bie da feciidie ope ratiómis pre(upponit ce Arii üfn 2m dicum laum efticáufs facio afsénfüs conici afiofii el faltiayéáite cr?ó mon éft ipie afsenfas. Tot d EU quía ri c ctt fccüda o; téllectüs, et illa de Hur à ipeum r6 vatlat-eíscntiacónclufidheni y oai etia tetrüitib Bé iE s Brt tsi Aoriues ien em &us duo d fóraialitgs dig | 'exjlicatae per y ma ; cui non tortéfpundent ptiequia pré cedunt y: i sedie quia aceti ergo al aid liud malitas prdteq: Tándemh fál iom o ycLe& nom fignificancibus Formas! t05 adeft (yllosifmus; fion tám tn afsén(id ché dus: ;iteth logefg n the tica cóniditioalis c quidam argumen-' tátioj quia dréitür habere vir illátiuanis' et tamen nulluseftafseiiüs intellectus, im propter Conditiofialém "particilam tarict iotelicétus (üfpenfus, étgo'fyllogit ms eftà difcürlu diftindtus, "| 05110 "9 Refp.hec atgtimétà petere maior& diltuísionc dc formalitate di(curfus in tib. dc An;d.6:q.1021t/5. proponédam ; pro sicot adducta opinione de: juiddita ríus tàqoa cómumore; Ad r." dicimus tudiciá tllatinum cfse actam: mtelícctus €Ognolcentis y cuius obicctuni nccelsátió" vel'etit conclufio j.vcl pta" müíie vt eau "inferentes, datur in fyllozilimo;illatio n. krrür in dependentiam concluiionis quz cít rcak'amd ;n. nori ' gi? iyu En at ne? condlutios tio? Anc 4F9 dide did pra is duis posit cf? D inrónc fimpl $ apu propter eh ni moda parit 5, quia termiai m pens hd Met im nexi Aide. yt buon rur rcu apptebe di fic ESL quz : (fanum: a€ cp. cógnoftitur £dcoüfequentetiudila EUEÉNSdueMietecodaofeiiniphliepeüdéteia" ànidicrofitio'éffsqofeifü. c6dd$fidiimlatitmm: ws"illatsén (ddíftiantd'a.illátió [Ifa(éhàbéteticaidifpéitia irrcondufioiàprzilfsis veroytcaufalicttactua, Ge!quiahibitudoflleftreahtéPAgewerfiEont4, idcireonondicirfius difcàrfuimétseiallsonesiRAefüdieiaie?miptitbegiadu; iVUES;"nzemumtapp: arsexc"XBifirdti(idcaltetíos,ficimca,RrYoras. cani?imadiosecdile QuPitácein; iateaitiai SmetiowiIusménàp Whcaditvifütmexaprehe Wrfiddisakerlüsqua edgprehenfrorideue MAVATTIaliacwvtedenidifeurtu, Ad!fttonobis$3 pergtigeez!Suridissri:usiiis, &beconfequensdifcutfuscriitégaitió.inoclusioisiflatae." Ads.tel."Auet(aida" illiscasibosnoodariin DWdicüpo: fai; fed(ólani1.operationemdiehprehéditfjpu VREXEdicite:bén4 gaediiitiamiudicioquo Bioebdiaximusexplicando" fotinaliguidefiidià (eendunideptzu' pocficticasonidoiütahrdim scitütilatua; quidpate'refoluiàargu" NETSUEOE$iabtolice. a(sentret?intellc&us anécedénti,iámdeducere:"3turftri6vafequenieni" atqQquohiadmRÀna Tulgediidseaiti Ciréaiicecedihjs Quo2(ufpen$12(üfpenditurét confcquentisa(senfus;nonobidtamen fyllogifiusproformáltcó Ceptueritàdifcucíudittin&us, fed.tanti):proconceptuobieGtiuo. QV£ESTIOILC 4affen[usconcluf. Debeateffediflin &usabaffenfupramiffarum. IoCháq.3. prol.q.8.collat.cócl.5. OQGabribiq8faftinétnóneceffariprzmifsiís,& conclusionem atting!; citatur ab Amic. pro hacíententia Do Gor ed falsb, vt videbimus. Alij quam uis concedant diuersitatem afsenfuum, non folam considerando principia ine, vt ex terminis funt intelligibilia, et conclusionem cx fe, vt eft quzdam proposi tio ex cognitionc terminorum cognofci bilis, hoc .n. ab omnibus conceditur, et tinet ad 2.opcrationem, verüm e ; vt sims inter fe ordinem, et dependentia, quatenus conclusio intelligitur pp prz mifsas, qui eft atus tertiz operationis; addunt tamen, quód quamuis praemiísae cognofcantur diucrfo actu;afsen(us con clusionis deinde non folüm attingit có clusionem, (cd é pramiísas ; itauc intel Ic&us attingat principia primó afsenfü principiorü,dcinde a(séfu cóclufionis pcr quádà repctitioné iterü cognofcit princi ia;quod aliqui explicant, quía principia unt obic&um formale motiuum intelle. &us ad aísé&ticdi cóclufioni,quz eftobic &iü matcriale,codem aüt actu attingitur obicctam materiale? et formale:hinc infe runt afsenfum principiorum formaliter includi in afsé(u cóclusionis zita Capr. 1. d.1.q.2. ad arg. conira 4. concl. Sonc. 6. Met.q.1 pr uir Med.ibidé Ra. 1 Poft. c. 1, q. 8 Arriaga difp. r5. Loz.fcc.4. Amic.tra&t.2 3.difp. 1. q» $. 11Dicimus diuerfo a&u intellectum attingere principia, et conclufionem, ncc artingendo cóclufionem codem a&u at tingit principia, quamuis dependenrer à ncipijs eliciatur conclu(ionis a onclufio cft Scoti q. 5. prol. in 4. collat, Abi docet fci que cit cognitio 3 ! Difp. XI. DeSyllgiforin Commu   conclufionis cau(ari à cognitione prinz E cipiorum, eífcq; diuerfum a&um, habct in 3.d.24 q.vn. B. vbi ponit effen. tialem dependentiam cuidentiz conclu fionisa principis; et d. 28. in fine ponit diftin&ionem realem, quibus in locis vidctur etiam docere fecuadam partem, 3 .f. non requirat illa repetitio. aoticiae principiorum, nam abfolizé docet habitum principiorum przcedere,& habitum concluf, (abíequi ; quod etiam clare infinuauit r.Poft.q.8.& g. vbi loquens de ordine cognitionis przmiífarum, et con» clufionis, nullam fecit mentionem de ifta repetitione, ipfum fequuntur Scotifta: omnes Lich. Tat. Barg. füper prol. cit. Poncius hic, et Auería q.25. fe&.2. Prima pars, quod fiot diftin&t a&us ; prob. ex Arift. 1. Poft.c.1. dicenre omnem notitiam difcurfiuam fieri ex przexiftenti cognitione,ex quo deducit notitiam conclaf.fieri ex przcxiftéti cognitione premi(farum. Tua 2,quia principia, et coaclufio valde differunt, nam illa funt notiora,priora, et caufz, conclufio cít mihus notaypofterior,& effe&us ; illa quan» doq;(unt vniuerfalia; et affirmatiua, hzc quandoq; parriculatis, et negatiua vel et contra, quz omnia inferunt actuum diftin&ionem. Tum quia habitus fpccic di ftin&i íolamab a&ibus diueríz fpeciei Prairie doe eiufdem fpeciei, ficuti abitusifti ad a&us fpecificà: diuerfos inclinant;fed habitus principiorum, qui dicitur intelle&us, cft fpecie diftin&us ab habitu conclutionis,qui cít fciétia,ere Tum quía ad diícurfum exigitur cpendentia, non foluminter obiecta » verum etiam inter a&us 5 vt dicebamus . 1n przc. quzft, Tandem in demoníiratione ab cffcétu przzmiflz dicuntur cau. d: at irtek i? » go 2 it verificari c rebus amiffas (zuii;caus, quia in ilis comincur cffcdtus, in tondiionccaufa, ergo de cognitionc praai(farut,feu dceiettu vt E sito, quatenus intellectus ex cogniuionc effectus infert y et clicit cognitionem caule, crgo h&c cognitio etit ab illa realiter diftinctacs 3 €um fitcaufata,& illa tit caufa, /  S 1i Secüda puis pór primo prob. ijsde. arg. amos Sata moto Q. ILedpáfnfesianl aliae E AQAA. Bus |: Cenni oo e xditfec(is ; ibus b gnofciaceeGarió! dcbere con elufionem y&: principi; próbartt át1an afsenídin conclu nom attin gere formaliter principiz,alitet idem actus produccsevhahiros.principiorurn,.&! conclu(io gis; vt ecfnitinaretur ad prihcipia v, Tet; eautafai ipGus; vt refpicit .cünclnüoné., idcarteraunaretur ad obic&pay tamores feidiüerfa. yvc funt principia &concluji Ti. VER eg en au Refpz dum, Aaecari n fequi ca ab» furd3 j'quia: principia rion arcinguntuc yt Quodab affenfücócluGonis,(cd ai Quos gue : raisin codes á(se: iucipi atting ütar vr. Qod yao plaxcsdieaconicaredundaic pro, eipiayen jopncluGonem; iccta) Que, Quod iuis iius poto et pefneipia:xobi iii cant ekcmplo luéis; 1 coloris s omoi eliesrio amie epiobuM ipe vu Miller iri pr v gdomvifóao jilà qrind« piopami (t habetiyo manife (lans veritácá pridpiobémiatluds Lad la ea i obinxineludi iaraífenfai ; fionis ncn intrinfecà;jdfed quin: q fü is eonclufobisordinemd; otclientialegm. y et iríorimfecumád illum 25, 51501101 mus rScdiszc vefponsioC cB taatuim vex lis yin ft tamenicojncidit dnafira sé« tenria, Com ;.ncdicunt princip n aficBlus:conclnGonfs elleohic uim: Quo 9l, intelli sunt :affentumi ollur zeraioart ad aggregarumi ex principijs y; et conclus fioficéxplicud,& form hoc :efà falíum;guta illudtecminát adicto com clufioors, quodiexplitause gcrápfamo cons clu&onem;vt teété ain ckuerfds bale agrcr &ftfubie bum, i& ipradicacum 35871y»era 805 quod (oluox.goificat dependentiam €ohclufionis à prificipusy depédcntiaqüt formaliter ioo cfl id, à.quo alid depcnd ; íed.tefpicirillad vt tepmigum; ergo Gicuconcluüo obic&biua monieclud;o;) ry (i zmatoretnyi minorem: lat£:jo et dependentia àxpraxinitdis a conclu fio formalis, quc cttticníuss mouniái ad ijs cermimbitit éselinrelligaaS f ilamaiermunari ad: congu iioncéno yt;dcs c4. Logica. : pendehteà rii ipia da: lone ipeiacipi pertinóo ad a (sósüonclulions, «c. tecmis nis il/ uS dcpédécia, 'eihiverds:non rt&é tamemdciodeinfertur.aepsü. prin: . Gpiorü includbinalffenfib onc]ison;s. s &eunden cíic;ficut ncque cum:edano»  fecimus ctcatoram vedep£ten(em à. A et ;vnuicríaliter cum-coggofcifbasieffe: Gürprouéni&ém à caufà, fequitur ea includi tr eicaturaj et Qo gnitioné ynjus ó(fie Co3oit jonen alterius -oxgBuatierpaiderone dybog rii dfbssp nicdiüm mj3nolidaton inicáciutzoney (ed ttiam peiebhafTis, dlieer.caelo (ro a9 dyflere tevene variar: GAticoluszo dalionis attingezenpr emillas, fannatefigeret 1pe8 Xii n aber rues irm f aa zio fee fpénideturiseus noir orani sl és bxreregibtigin conc porivatemjijua lo» co;ip&us ponuiisly brporacioamcntk dé» Mp Gatto wd bile Gianni aer angidang turadeogalo i) mfnin qutmtand exerit ientaledi, 85. qoa jade word L3; CO focmaátur eumqnefoaliituvitex brümaplq lughib carpcid caecus Gi oScvcods ceníctum; ergodiilivoealonsbdes hetfrerórbpetidormealijinneoge L: 020leo) imibanifyilogifmomt&caliz Xutioqucadt pss quiate api Mt miedo ccrtc bogzo eft à trii cf] asit s ak. l imalyBetrustskboro, eftt 6 atv vudljdicine bone 3 dr mb c(t. aifrel, vt évie addon Eris ; vna oa hegórica o pófirioy (ed [iy pothc tira bidding pei xni upset Rai glishis marge noipia.:.bü.quii liec priacijiar m sepetidanan vidbiar eri; «ifa per alum quemdam lrcfpxum, ;quo intetioétusocognafcrt xablotipnéngilbun dicréttidrducam qx eeiucibus qu Xictapoillius peor 3 qiàs funr aadcaky nl beicbo ga ade ido ÍcoMt tpferao ez raga aducrtirívéto y;qui xis non cícen4 pct voquivitüsonee acr pad Kor án 3j. NtOvft ier io operatio nsctle 6t (adlies ennüalqcl jiima; ved rurpr dar Bs duty eic igit unm O00 j '3 "YU C WV C $14. al afsenfu cóclufionis diftin&us, hic;n. eft a&us rc&us, et procedit via compofitiuaà principijs ad concluGonem, ille £-flexus, et procedit refolutorié à concl, (  bitus principij, et cócl.fimul, er ad principia re(oluendo, ergo per aísésü concl.non attingumcor. denuo principia . Quibus rationibus impugnatur etiam refpontio Ruurj dicentis medium: non rcpeti in concl. vt Quod, fed vt Quo, nam nifi vclit tantümodo circüfcribere depédentiam illam, necefsarió deberet. fateri concl.císe propofitioné hypotheticá, totü Dp aio includere a&ü reflexü . 14 Corra arg. prim oftédédo cundé omnino actum pofse císe refpe&ta concl. et przmi(sarum, Tum quia qf pluribus a&ibus vnum per aliud cognoícitur, cft difcurfus, ergo qf per vnum a&ü zquiualenté illis pluribus vnum obie&tum per aliad cognofcitur, talis actus erit difcurfus,(cd poteft hoc facere intelle&tus,quia uz (unt in inferioribus difpería, funt ia derivcibos vnita ; ergo fi cogitatiua: v. g. pluribus a&tib. poteft: cognofcere vnü propter aliud, intclle&us poterit ifta cognofcere vnico a&u . Tum 2. quia fi hoc 1nodo non explicaretur tertia operatio, fcd quia vnum iudici eft ab alio cauíatum;nó differret à fecunda. c(sentialiter, fed císet quid aggregati ex multis fecun dis operationibus. Tü qonmegimen c idem a&us erit vttiufque quia vnus habitus ab vnico actu fpecie caufatur, antec. prob. pet hoc .n. differt à fciétia,& intelle&u, quia illa eft habitus concl, ifte veró principiorü,at fapientia cft vtriufque,& emi nenter cít vterque habitus, vnde dicitur 6.Eth.c.7.(apientiam eíse (cientiá, et intclle&ü, .(eminenter, et c. 8. (apiétis effcnó foli citca terae 5" Ícd etiam circa principia dicere verüi,infüper fapiétis císe, de quolibet hre bus rer iac Rcefp. admifso, 9 poffit intelle&us ;lla plura vnice actu cogno(cere, negatus tfi a&tü illum dioe efse, (ed vel pw » vcl fccunda operationem intelGus ex dictis quz (1. przced. vbi etiam ex foludone ad 2. princ. patct refponfio ad 1. Ad 5. dicimus (apientiá dupliciter. pofsc íami, vel pro qualiber facultate inDifp. X I. De Syllogifmo in Communis... c. telle&iua prout cum fophia conuertitur, | et fic non cft dcterminarus habitus ab: alijs diftinctus,vcl pro notitia primorum principioram;ac vniuer(alium caufatum y. fimiliter fcrentia porett faa: dupliciter y vel pro qualibet demonftratiua cognitio ne; et vt lic à fapiencia non diftioguiturg vcl pro ifla fcientia ; quz fpecialiar fubies Qa, et principia fpeculatur y; quo (enfu à: fapientia di Lingurtur, quz vniuerfaliffimas caufas, et prima principia conremplatur, qualis eft metaphyfica,cuíüs mue nus eit pt incipia aliarum fcientiarü proe bare, qua ratione potcft dici (cieritia, && intelle&us eminenter; hincad atg. negamus fapiéttam efse vnum «habitü princi? i cociufion:s, fed efsc habitum conclaítonum ex primis principijs: dedu« Garum; & per hoc à fcieitia., et imelle&u dift inguitur, vt patet ex dictis. Arift. vcro velloquitur de fapiétia vnincríaliten fumpta, vel de propria fapientia, quate« nus habet probare principia lisi latona tiarüsrefpe&u quorü in illis fcienujs crat habitusiwtelledtus vide difp. 1. Mectiq-4s ' 1$ Secundo arg: afscn(as conl, attingat etiam principa ; et quód um aliquo pao afseníum principiorü: Tam uia éodem actu potentia tendir in obice m formale,& materiale, ia obie&tuni iod,& in rónem vt patet in exemdo coloris,& Seria id przmifsz funt rationes (sentiendi, conclufio.ctt. que concipitur abintelle&u:, ergo-&c. Tum 3;codema zin Voloptes dent (o fiem do in media,quia hac fun volita propter fi« nem;crgo codem a&u tendit intelle&tus in conclu(ioné,& in przmifsas, quia illa cognofcit propter iftas; Tum 3. non fuf4 ficit,vc medium cognofcatur in prami(fis,ergo debet cognofci in conclufione s et licidem us circa conclationem, et premiísas,ántec.prob. quia cauíz debeat e(se fimul cum cffe&us effectus medij eft inhzecentia przdicati cum tubie&o;de qua non fit mentio inprami(sis y quz dicuntur ita, ed in concl. ; ergo in concl. debet includi medium. efp. cx Auct(a duplicem eísc rónem. etam in qua,fcu. per quam. et hec 2 9   ade m codem acta coguofcitür cü obice.   QU. cdoaffoficohcldifiig ab affa jranif. $15 £o Quod vt pátet de lümine, et colofe, aliam cx qua aliud cognofcitur, vt funt przmiftz cefg concl. et hzc füfficit, vt cognofcatür fimul, nó tamé eodé atu. Ad 2.conceffo pro nuüc affumpro, de quo in lib.de A nim.difp.7.q. 7.att. 2. refpondet Do&or 3.diít.28.ad 3.neg.paritatem quia in ines& medijseft vrica bonitas, ideo poffet admitti vnicus actus circa finé et media, at in principijs, et conclu. fione cft duplex veritas alterius rónis;illa,n. eft immediata, ifta medíata, ideo debet effe duplex a(séfus alterius ronis,& p coníequens idem affenfus non poterit ad vtrüq; terminati. Ad 5. fafficit,vt (int fimul cognita non codem fed diuerfis a&i bus,vt dicemus quaft. 4. Tertioad idemex Arriag. aGusifte, quo quis ex cognitione, quod omnis hotno fit animal, et Petrusfit homo, deinde dicit, ergo Petrus eft animal, ditfert ab illoy quo abfolute dicié Petrus: eff animal ábq; tefpeGa ad premiffas prius cui preter inhzrentiam animalis in 9 aliquid aliud. explicatar et actingitur per primum actum formaliter refpondens ad ly ergo quod non exprimitur per (ecandum atum;tale autem ncquit effe;niiobic&kim premilfarum, ergoaffen(us cócluf formaliter attifigit, et exprimit pmiífas, mim. fubillata prob, (nam primum argumenti patet, cam primus actus dicatur conclalio, et tertia operatio y (ccundus dicatur fimplex propotitio, et fecunda operatio) ti non exprimeretut obiecti praemitfarumyaliud non poffeca fTisnariyni(i depeadentia coclaf.à princip:]s,fed nequit hoc dicistum quia hzc veritas quod. Petrus-firanimal, €t ex te independenter à prammiffis cogtiof bis ergo poterit «uis aísctere hác Vericiteni per prium actum indepédéterà priahiliseognofciy néccontra jpsü nes có ip adduc:y air quia actus 3lie'forayaliter aci agix prietiidas;tü quia dcpendénuüa ilà phytica tion cognofcitur cóncla (ronis. Ud (per | "26: Rel'p.faahucr cótededo actü c elutionis primece. formialitez nadam, et prakilam veritatem propotizioiquid aliud: per. ly crgodcnotanis, fed'al tum;tale autem non eft obie&ü premiffarum, (ed dependentia vcetitatis conclufionis à veritate przmiffarum tanquam àcaufa ; et ad primam. em negamus per actum cóclufionis polTe ex"primi veritatem illam independenter à premiffis, quia infuo conceptu formali dicit a&usille dependétiamn,eftq; veritas mediata cognita per praimilfas, ergo ab ifto re(pectu nequit préfcindere, et hoc imuit Sco.cum 1. Poft. q. 9. in fin. ait, ex boc cognofcimus diueritaté concluf. Cprincipiorumsquia conelufionem non cognofcimus ni(i quia pracognitis premilis, Ad a.impugnationé dicimus p a(sésücocluf.nó exprimi depédentiá iplias a(séfus ad a(fenfum praemilfarum, hoc.n. non rcquicitur,fed exprimitur dependen tia obie&i concluf:ad obie&a przmilfarum, quia per talem affenfam intelle&us L6 veritatem concluf. effe mediatàá; /à veritate praemiffatum caufatam . Dices,ergo iam attingit premilfas, quia relatio nequir concipi fine extremis ..Concedimus attingi przmil(fas, non tamé eodem a&u conclufionis, (ed diuerfo,. qui dicicur atfenfus principiorum ;nec requi» ritut ad relationem;vt eadem cognitione piatur relatio, et fimul extrema, (ed fficit, vt diuerfis a&ibus, fedin eodem. inftanti temporis; ficutneq;cum cogno fecimus cffc&tum,eodé acu oícimus caufam, (ed diaerío licét fimul tempore. Quarto ex eodem ; fundamentum to« tius difcur(us.cft illud principium:, Que funt eadem vni tertio y funt eadem inter fexex di&is 1.p: Inft. tra&5. c. 6. ergo nc dicamus-intelle&uz m difcur(u inniti fundamento, juod igaorát,& de quo non cogitat atu, deóct ip álTenfa concluf. illud aliquo pa&o cognofcere, et hoc etit attingere obiecta pra miltarum,quatenüs. cognofit Peteum-eífe animal » uia exaema fuat eadem.cem tertio, f. cü bo» mine,nám fi idécitascumtertio cft ratio. afentiendi,vt moueaur irftellectusad fen(um, debec apprehendere rationc Fenxiendi . Tán 2:aétus, quo quis.crodit fuilfe Alexandrum, quis Deus 1a. Sacra Scriptutaid rcuelauit, et ipfz Deus cit ' v&rax ; qui nequiraenuri ctt incriaíecé Ooo 4  f(apet08:6. Qux DU 6yliifuloiemGausiuniS X19. Aeon eid »t:29. MPH ESHMLNFUM puse imillarum,. f. reu elac ignem» B idininam;Prob. conteg je Cue " A pasret. (PAR. BA e k &yanixus magis, quatn aug imonio ojttor]nyaane; Quod «ab a[s diis. pre mitfgrumx fgpespatotali RM dió efücit vufir bpern na 12.8 fu permambibny P oidenequg natural fios Raptor pcndensi3m: c. donis: accapti dolor in eif ab ipla. eis de z.; az Keljh kjg& 9p c &om 19 Ari dan EE E ameti exercitoyquacenus aljcnía is cj virmaalizeg, cipr fonte lonas atinr gelleétas pos illum aum € allamcee rectam iusta regu ptalogicalia aliter ficeqi e 3a llc»c ener E BN Pm veis m Áeutecicts ne(ouibtons ac fupra sm atus ceflectete  nec« hone An ipia eloiukg ga " kon p tend itat ette uode alum nce xt »quod addit: desore ads ur deisov ar muaionesde er ER eei ded üdncl? poaipur, aen cegnàícipet atfenlum conc]ufíoni 3n hae.eft neceffarium, quia af fatur ab aGenéu pra iiti my «igo nequis: deroulaen s clie aíscius Rp: aaa cam, aliter idem (der fimul &-caufaui; «aua, quatenus attingit. mh vagias qui relatio caufa cxplicarcus per Ay quia imxepetitione primcipior ü. inlen ftenzía ipfinsyex cau(aro m vt refpieit co» stu fioneqy: Ad: adimide, quod a&tus i|uM Dare idt Vall aic p uin [iperpasurale, (cd Lolum. "qan diatuc à ioo lüpcinaturalis adhuc in pugnasic Aon yigets ahud «u.eít aliquid -pédere ab aliquo, dupernatnrali occaliad sitaliters à vt 9 Qoam andae, yup pr iilis exc anplisadgustis cuepi aliud; did irre cohquam à can(a per. in om pb T d geli aal i e EE pae i turab; » dipende pisonbs i stiais1q no DUB6r OUOU, 9, Tix cds cochlgmsd pa unc Gaule «onciu sonciu vines ergo anrcgu pioaclled &liciat-con u e i ia elixiane sntcllc tiim aumtpote 4jeyex i Un stati e: concl non enim po:cft cohiberi;pr. eA u pefita wü Fats Mora oom on Penna mipseemi atenta «onglali cx it aliai quia offen. MUR ven 1ys rider Á pegar Éosmaleimou MA Mes i "q atguienapro [OA pin e Cole yeritate IA, ede n 3 pracmifgssóe imas, D MMMCRUT s dou: ione., et dgpc vndédeducuac 5;ad boc autom DIAS stra ccodebar fie rg » Lenta, qitod dau formaliter inallentu conclutionis y (& bicatringat. inciníccé  &. per. (cipfamy Objcéhum praenarüarpa » Ácd fact "d artingat excrinfecé. quatenus &utn pramilfavum, efk. messy en üeotia veritais coneluü od aet ádíolüm probent yc argum nec aliud per. ea Quniede p sit,.colligi 3s immo arc dere uDpugnacionc caiufdam $., /guidi affert. ad impf. nium »qQua €tàcs pohitis-preiffis.potle soccliectun d ttsabi, ad A taobie Gray ex d agenionis nO x Cunmsptimo modo: coacedunus aliquod -elicrse aonclafiqugo. paper: Es TF. "]   d xr eser] affeplas. principiorü ioglue L4 " ! etn üc cus opm 1 fedrimpugnar Ou ; quia ti hene mi&it per fe Sexdo fisico jofiéidttingere prinia éGton, et noni peraccidéns ex animi daft Gtione" óppotitunr coninoérey Clitrüs'adliuchoc'i[isü colo eivai ex (olutióne'ad 1.arputrientam; dj Pede near no "eit [aree ibas esa Ie ise A T ependesvet db óbie&o prarmitía uA ect nec non Gblietam prarmillaráatun rper d feriíliimzoncla(onis!; cajdrgumiento refpondec Ouüied) obie&tum"conclationis habere ekife ienrem virtut£ ad: verntelic&us: yuré. iudi guatny wise eot ons o nce RM "ian ra diícürturumi; fti conclufionis y ré fasi dat;j fapé t0ta:Ixcc dó&tritia:eftil la, qua.tradidimns (upra n;:16.:non:pofse veritatem «onclufionis, vt fic; háberi independétee áprzwiífis, quiacx.(az ratione eft,veri« tasmediata cognita per pramiffas;; verü vi dicebamus 5 ad hoc. fa laandii/minimé useftafTenfum prinmcipiorü tormalitee ii coticlufróhe includis aut-a(fenfum,cG&lufsonis formaliter, et iotrinfecé: attingete obicctum praémiffarumiled fufficic frattinbat extrinfecé s. quatenus attingit veritati aoediaráu y quz. dicit -Koborci« Bationémad prasniilsas «iib 10026715 urit emat» rionq «o9 d» i» «MUSS IQ. Xibungo . » b1PDs 22210002] rms nodtul idm promifit cana catclifioni -"Igijo?: iquoScnere egnía v. ciwDta 18. X Vaitiapofstt intelugi.de prarroro mi(fis; et coaclunonei «dl bita (iae 39 cl $ormalitet accepc sx quódios docunqs famántu:., certam e(t praspoiísá soc cia Mcoecip Co ituemDpalis. pese nu cce ah sueur propuer: cóclationem quàm € capicsloy ; ncc. gcuere mateciaus: y, aq. formalis caa(z.' ibcrinfeez per. «eram. compefitio«UD DUST -f1 dH 1u5 5 -[1 aJ déillisxebüsio ordine fiim; coticlu(T8 vai ec fe pb cdm copalitió ex perfe acti, et per fé porentia; vc orh nés £entur : Certuriiettig (uper conclaà fion yefpie re peeinifsa: fait eglliBittt ex có miu ers. ios ex prihcipis; rmi [y éx vel dicittiabis cidinéimt rios v liabiuidiüet caüfz hie nofi peccft accipi nd thus fen(ü propriéloquendo, quia etm qu&'tleediein adiénra termini ad qiiem, primifsstionrecédunt, jmo fuut (ial oe pie ru dicet te duMA afiquari caufalitatis. Hocautém hoimetip viriuer(aTicer verum de pteinfiffis obiez &iué tentis fea de rebus inícipfis ; «qural non femper diícüríus e(tà cau(a. ad effe &üm, (ed vel ab effQu ; velabaliquo ag lio excrinfeco medio; nifi velimus loqui verse T e 1ntelledtü d dd cogno(ci; niam poreft effe, quod effeétus tit dorior (üa diufi, idéodis poterit: excitate incelle&um ad cognitionem cau fie, fed hac virtus non eft in rc fecunduay fe Gófiderata, fed vt'a&ai inmellectas füb ftat :quaproptet: tota difficultas reduci tür ád-przmíísas, et cónclu(ionca: fors malitet fumptásan:f. a(seüíus pracüfsae  zàm (it aliquo-pa&to caufa afsé(us concl, : Prinz opinto negat. veram: cau(alitaté intet:hos a&tus,fed ti aliqua teperinu; de bete diciin generc cane matcríalis;exes uinfcéz, cà quigtermiini;ex quibus con ftat; éonclufíio, fumitur à premi (lis; à quibus poteft dici fubuwnidlrari materià eohcluftoni, ita; Rüb:0p;q.8.prol.ar. 4.86 citantut pro hic fentécia Dor. 2,d.2-q.24 et Apoll, 1. Poit.qe2À lijyreducunt hang cagíalitatenvad gepus caua: formalis exa tr inféczs quatenus afsenfus principiorum, inf3raándo,Sciluminando intelicctu: deccruanác illom per reprae nup ebiecltis: et medij ad hanc, et nó illam có clafioaem cliciédam; ita-Hurr..di(p.7: d Janla 66:8, Mgril. r. rio. dub, 6: S, Arta; 8a diip-15.bop-fpét« j« Conmuuior opiy pio-elt;,:qabd has canale reducarug ad gcnus ange cfücienuss fcd di-tepant adbuc itt incer fo namal. quien lunt. nad ieise;veram &theienuam (cd pouas alsca fuyo gramilsacumc babere vt conditio" ncm $8   Dif. XL. De Syllegif'mo in Communi |... nem agentis,& vcluti inftrumctum, ita Auera q. 2 propiecf et Amic. trac. 2 j-difp. 5.q.6.dub. ;.C(teri vero admit,, tunt vcram, et partialem caufalitaté ef fc&iui, ita Nomin. et maior pars 'Eho, miit.Sco. 1.poít.c.1.q. 1.ad 2. T'ol.in ex-. pof.primi tex.not. 3. Ruui.q. $. Compl. difp. 17.qu. 3.Io.de S.T ho.4.p.Log.:qu. 24-ar.2.Dida.à Iefu difp.16.g. 3. Blanc. difp.1.de argum.fe&t.3. alij . 19. Dicimus,probabilius effe affensü przmiílará cftedtiue partialiter cócurrerc ad afTensá cóclu(ionis;ita exprefsa docct Do&or q.1.Prol.ad a.pro Philof. vbi cótra D. Tho.arguédoait, Traierea Juppomtyquód principia [unt diflin&iua babitus cüclufionis in alio genere caufa, guam vt principiaeffetiiua, quod faljum €(l, quia fialiquamrationem caufa diflintiius babent ad babitus iflos,non ba . bent, nifi rationé   effediine; et cla rius hoc afferit 1,Poft.g.8.& 9«Tat.ctiá 2«Priosq.1.ad 1 princ. et probatur; quia in premifsis adsüt omnia figna,quibus à pollciiori arguitur aliquid effc alterius cauíam cíffeitiuá, nàmprimó continent virtualiter cóncluf. vt ait Arift.1. Poff. ' €. et 2. dcinde cóclufio aliquo pa&bo af fimi/a:u: pratmifsis, ná-ex certi ine, euidc itia, et veritate premiffarü meti murccrtitud;nc, euidétium, et veritatc conc] d.fi pramiflae funt vninerfales,vcl pa ticulaecs;neceffariz,vel probabiles, aut falfze, vniuc:falis, vel particularis, ucecflitia, vc! probabilis, aut fa!ía cric eonelufio : &tandé adelt effentialis dcpee itaut fi premiflze nó effent in. elle&u, impofiibile erit intelie&tum » elicere conclationem, quia conclnfio, vt .€6chríio, dicit ordinem illas, 2 ibus fué vez itat&; iarelle sabfqypremifsis cliceret ioncm illamyaofi eff&t eonclafioy(ed:efsc. ae y 3 cóelufione mete fcienti.h Bp ii $t finpler plopofcieser fée da apice; tio; quz'omnia 3csutnit a&uitatom im jremitusee e&u cóctufionis, lhis.n,rai ibus Dodo Ed.sqiz. A. et 6$. 04d «fionem;prob-t cotra UNIS e paztialerm caufam inte .a0 Refpond. folá ex his fequl, vel promi ffze nar códitiones nc 4 vt ait Aucrf. et Amic. ve] ? € habeant vt effc&us zuij,vt ait Ru ion.qua Tàdtionc nequit intelle&us elicere.cóclufio nem;nifi prius: ducat. rn er pot pter ordinem iftorume m;vel tà« dé quod fint caníz in genere caufz formalis 11luminando,& terminando intel-. Ic&um ad hanc, et non aliamconclufioné eliciendá,vt afferüt Hurt. et Arriag. Verü addu&ze rationes plus probant; fi re&? perpendantur, et primó quod nó fc habeant vt conditiones ; nam códitio fiac qua non tüc rcquiriturquádo adeft agens indifpofitum, vel impeditum,& il la conditio cft quzdi impediméti ablatiojideo nó dicitur effe& tet in approximatione igni fi agens,& paticssüt debit ta, non. 15, vt pa s ad lignii; at té approximadita, finon fequitur aGio, » quodagens non habct adzquatam,& completam virtutcm,fed pe« Git fuppleri ab aliogaliter p:ccluderetuz omnis via ad oftendendá aG'iuitaté cau farum;quilibet .n:pro libito dicere poffecjtsaioh Íccundam v.g, effeconditionem, et effe&um folum à prima depen" dece, vt in fimili de obiecto intelie&us. contra T.opin;& fub lic.V,.cá igitar infc non fitimpeditus   dam, nec ad recipiendum a&ii conclufionisyfi haberet cóplet virtutem producendi conclufioné, ipfamproduceres &fine pramifsis, cp eft falfum. Tá quia effentialis diftintio, inquit Do&or, né c[tab eo . gy non eítcaufa, przmiffe faciunt, óriginaliter faltimy dilferre con X glufionemeffentialiter, quia di tinto conclufionis probabilis, et neceffari? aft effentialis, et nonnifi à prmifsisoriginalitcrprouenit . Et candem. quia cíle afsimilatiuam, et vic cualitér cotentiui eifeétus Quieróncset demon(irans nccefa ds:nec canías formales «nón inflauntcin cife extrinifecas; umifed (iquam exercent caufalitaté y . "hac efb erga intelcti-ipfumdetermis nando; Do&:cit.1.d.3. q.7. arguendor . Rit ime qué len iin amiz i 7 M ! | QuafI HI umido previf fii cid feconcf $19. pando, et tilüminando; ergo cóclufio nó debcret necellarió affi nulari przmiff;s et pcr. illas effentialirer diftingur . Tum quia intelle&us non folum cft indeterminatus ad producendum a&um cócl., fcd eriam e(t incompletus ; quà ad actiuita.  t6, vnde petit ab extrinicco determinari faltigià tpeciebus intelligibilibus, et cóplerijergo pramifia: noo folum determi nant imclle&um erga cocluioncm; fed €tiam complent cius a&tiuitatem; atlümftum patet» aliter nulla cíict (pecierü indigentia;fi fe folo, et roxaliter concarrerct a&iué ad a&um, conícq. prob.quia fi conclaho eft prorfus igaota, nolla adeft fpecies 3pfius impreíla :ergo przmifia tüuncconcursü (pecierfupplebunt ; à nul; lo.n. alio in hoc cau pofset intelle Gus determinati et compleri «Quod fi dicas cum Arriaga; in co caíu concurrere (pc« cies pramitarum, eft voluntarie dictu ; et (alim habebunt. przmifke concurium. mcdiatum ad concluüonem ; ficut obies Cum mediante fpecie dicitut cauía in« tclle&ionis. Tumqunuia vt notant Cóplut, in aticníu concl. nomíolum;repecizur-tas tio intcile&tionisin coi correlpódens intelicéui; nec fola ràtio intellectionis ta lis obic&i;correfpondens fpeciei impreffa,(ed ctiá rauo intelle&tionis difcu:fi. uz, quz per fe refpicit premifsas non in. teile&tum, vcl fpeciem, ergo ficut igtel. lectus, et (pecics ponütur catiíg a&tibia, ita quoque pramilz. Tum quia; vt conftabit in lib dc A nun. bené poceft vnus . a&us vitalis phy ficé in alium 1ofluere, fic enim 1nopinione maltorum volitio finis effe&tiué cau(at volitionem medij; tic igi tur in propofito porerit affen(us principiorum immediaté cü intclicétu ipfluere eficctiuéunaffentum conclufiuns,& nó tanum mediantibus fpeciebus . Tü quia, inquiunt;atfeocimur conclufioni propter przmntias, iy propter cít dié o caufalis, vcl caufa finalis, vel efficientis non auté for vel materials, fed. prazaa(dae non tunteaula finalis, cro cfficiens. : NNonncgamus tanic piaunisas, laltim . obicctiuas y poffe dici aliquo pacto cau . fam materialem, et m concluiioni5, waterialem,«quatgaus termini €on. clutionis fünt termini przmilsarum, formalem, quatenus pramiffe ípecificant: conclufionem, fpeciticatio autem vidctur ad genus formalis caufa extriníc« cc pertinere. s J In oppof. arg. Tum quia in hoc enthi-. merbate omne animal rónale eft homo ;; ergo Chriftus eft homo,con(cquens nom cau(atur ab antec: quia cófequens eft de; fidej antcc.cft naturale, foperoaturale aur rem non cauíatur à naturali, quod eft ims; rfedtids, Tà 2.affenfus ifte (ic(set caue àc(sct 2 quiuoca, quia differunt fpecies quod ctt falsü, quia caufa zquiuoca cft: vniuet(alis, et remota, vt patct in coeliss a(seníus veró eft párticulacis.Tà ? .quanet doque recocdamur aétus. conclufionis 1 non praiifsarum, ergo poteft císe cone. clufio o ven aii Neque dicas rung: non cíle conclufionem ; Quia ille actus; caufatur à fpecic derelicta ab a&u concla in«ncmorid, ergo cum fjecies nó concur rat nifi ad fimiles actus ; ex quibus fait: producta yrá illa conclutio etit cadé fpecie, accum praemiffis, fiue linc prz mi(a. fiseliciatur. Tà 4. ncquitintelleGus eli-:cere fecundam operationem, nifi prius habuetit appichentioncs tetminorum;,&. tamen ex ifta indigentia non arguimus caufalitatem in prima operatione etga; f ecundam; ergà quamuis concl. 4 à pra mifTis, et tertia operatioà (ccunda,,, nónobid deberidici.caufa ; cadem quoqs. dependenua eft mier actum ániellcétus,. et vol(tats, venequeat e(se voto obic &t in volütarc, qu:n praeccíscrit eiu dem: intellc&io in10tellcétu, et camen actus intellectus non eft cau(ía a&us voluntauis, iuxta probabiliorem feitrentam, qu&fcquitur Doctor 2.d.25. Tà 5..& fi przz-. miísz: poffint producere Ípeciem iptelli« gibilem, non ob id arguimus poísc pro». ducere alium aísenfum ciufdé (peciei, ad. quem fpec:csilla potcít concurrcre,ergo . multo minus poterunt concurrere ad a(fenfum: conclufionis,qua eft fpecie di fün&us; non .n.videtur.g vnus actus in. telleétus fit alterius productiuus . Tan. dem de ratione cau(z effectu eft, quód. fit cxiftens, ex dictisun Phyf. dips. q. 4. art, 1, fcd quando cft aísenius €ocluüonis non "dS . ó dd "M iÁl Rcs, d fue Dp Dé sls niat o non efk a(Ten(us prz milium. quiahig pracedit nec (imul effe poveft,ergo sv; 43: Refp, ad 1, io illo, enchymemate, fubintcll sibzc mier, Chrftesett anic; mal rónale, quz in intellectiadeft,quàvis orc nó jpleratury et E (kde fidegideon ; poterit illud cófequens stiamo e(t dc fide, fcd potius éanclu(io Fhealo-. gicavrinümili dicempusinfca difpik 3i. qe gar boA di 2n efb-de (Nod oa eu squid (c vniuer(alis,nam ohiestugp: caufat (pecicm fpecies o perat .omcs ope-, rogis e nh vines fiigidicatem, S fimiliaquaz funt equiuo RAE 3,negamus aum illum ef-, feciu(dem fpecici cum canclaGonc. y Vt. fz pius cft di&um,ad probat, cefp. yelgr alia(pecies fit conclufionis, et alia; fune; icis propofitiortis, ; is de eodem, pret ai iem wx producta, quia: ;intellectus formauir illam pro; tionem; vcl (i velimus afícrere .elle. eandem fpeciem, dicimus concurrere foe lum in quantum. a&us illi habent quan-; dam inzer fc fi militadinem, et conuenien, tiam tamen quia (peciesilla fe (ola nod; fufficit abía; prei(lis ad producendam, conclufionem,& ipía neqüit excitate invi telic&um ad affen(am prz miffacü, idciteco mouct ad f.aplicem propolitioné clicicndam . Ad 4-xefp.cx Sco« 3.4. 23 S. «A liter j concedendo trminos, quando. €nidenter €ognofcütur, canfate notitiam, i fecus quando funt inenida. tes,sctüeft camen magis dependere ter». ienoy 10nem à;fec rir ee &prima:g i[sz pervwim i tigam, A ia ifermo conci gen,nonfic appre d tetmjnotum; gs; tum rriafpeciticatur:eísenirialiter. dote dlapelbampetpriccpis fien m principia pbylica mapas gemini e 1jídé, £camuss, fed pep princ: i mathematica. oftenía ; N 123men aGumantelles; £s eísc: prt y aqq mk nd ccíszrib prave joi fitus-y quia volitio; mon: fequiur.necefsatió ad iatcllé£tioné obic ; Gynccáb: ; »efsentialitergs ird, 3.0.7. $« 4n ifla: voluntas fit caufa tos turn quia ex Di Samen. non ; ficte p talis fuz volitionis. » attamen eftpoténtia erion tioni ncque dn actuad ;exipé; operas dra 3 Wn y ora m. dr fubabct exbfcovirttemi!complétám pros ducendi abquem athimpocerir.jHam.c]t« Swyquaca 4 cere,fraiocolidmpedimento; quod in pro4 sati T HF PATE. HR ifa fis nunquam élictct conclufipricm; fignü euidéns nondhübeft resale gii, fed rss FRA i ler ias; ME Rd In dc ratione cana: axytiuocit ) qu ffi efíc&um fpeqie dift inGaín produrre: düamuis nequeaz.effe&tunr éiufdeni fpea ciéi cffioere; quare nonre&à Krriagaeg hbc;, quod vnus aótis non peadus Vrerhr i pLa s v pi ders non : [xóducendi alium-fpecie diflinGtum, dummodo viriualitcr pos datur inilloj&cureft:;conclufio: pezmiísarum 5: Gc :ctiamfecundum alis quos volitio $nis cffc at valitiga nom medi j;quarn virtualiter iricladit; nó tamen aliam volitionem finis, Ad vliimia dicemus mfcq.quafti.c 15502 cibis od -izazbo,123;:192 i93 ti2180115 2112301 013 £) ti Q. V.s£ ST: 4.40»  METGIUISPIP .igbaodi»i22,1122ido il Adbremi ER éaiofris 1» i conclu[io.. 13q Xp (ou 14 go Apreuz di32q.z; ad 1-contéa 62 : A dascai utünedoafsésirprasd mi(sat& cépore:neéc(sario debere pracex dere conclafionis a(séfam ; Qeamplares alij hocafserunt dc maior propolitione fninorem veró'fimul-cfse: c: conelufio? niy afscnfa. Communis opimo cft. ineBa dem inftàáti-fitul (ae scctfsario debet afsenfus conclü(ionis,& principiorum gi fed adhuc di y qudáas aieat(uf2 (sri ton imticam cócluz fione pet labitusey afséfibus praim:dísaz rari dercli&os 5 Conimpoxament. Pofl C; 19-cart zi docent fatis (sc! a(sen(üa" prátni(sarucn-fimal exifterc curo « óncturzi fione-per actum recordationis, quo me nioréir intelleótus fc: afsenfuny habuifse ciscatales prarmifsas. Veram, imi Vere-ó resiquàm RKeceiitioresferé omnis fimul | tancani exiitentiam volunt else meceísá « uam n3 (iod e52  | 1 ormalii, ita Do&or q. $  qa. M d. et 1. "olt. j8. et 9. J Prodec i er .CX Sco.1. oft.cit.  a 5 z t dupli . confiEras ;  1, " utfa p (s ] cratis vel vt (unt quadam fimplices pro poficiones ad inuicem nó applicata, ncc ordinatz in fjllogiímo, vel vt in fyllogifmo difpofita', et hoc modo adhuc dupliciter poflunt fumi, vel vt füb(unt relatiomicauíz in ordine ad cóclufionem vt effc&um; vel vt funt fündamentaliter caufe conclufionis, quo fenía fpe&tancur fecundum preptias naturas, et vt à relationc caufz przfcindun:; quaflio non procedit de premiffis in primo fenfu, quia vt fic poteft efTe maior finé minori et co clufionc, et é conuersó ; imó maior, et minor abí;; conclufione, quando .n. nó funt applicata;& ordinare in (yllogifmo, non habent rationem pra m.ftlarum ; fed diícutitur de premiffis applicatis;non qp necefíarió pramifsg fimul debeant clici Ab intelle&u; (ape .n, euenit, maximé in nobis propter ir:perfe&ionem noftri 1ntcllectus;quod miaior prius eliciatur, quà minor,vt aduertit Arift. 1. Poft. c.r. fcd cít dubium;an alsenfas iili przzmiffarum, quamuis prius tempore elicit: debeant nihilominus permanere,.& in codeminftanti fimalelecum conclufione.     1$ Dicimus,ti pra mifiz vt formaliter caufa conclufionis cófi derantur; funt fimul «ü conclufione,nentantü fimultate temporis,fed etiá natutz, fi veró vt fundamentaliter cauía (umuntur, fic dcbét ambz in eodem inftanti temporis fimul efIc;non mmor tantü, nec habitualiter, aut per actum recordationis,fcd per proprias cniitates, cum qua fimuluate tn (lat prioritas naturz. Eft Scoticir, et cóis cü Arift.1. Poft.c. 1. et prob. primó; quód vt formaliter cauíz fint (imul natura cum €onclufione, patet, quia vr icfun: relati| ua, qua func timul tempore, natura, hitione ex dictisditp.8. quaft. r1. €cundó y: fundamentaliter accipiuntur debentetiam timui exiftere, quia pre milita (unt caglar co;iciuiionis, caufa auteni quando a&tucaufat ; dcbetattu cxiftcie, et nó d immcdiaté pr c facrity licut fasc in Phyt, di-. second. 82r t: SCquoniam amba przAR nclufic ns fine tera cft infufficrens, vnde quzlibec acmenmtiío vim habet inferédi ex fora yllogiftica,vt diximus r1. p. Inftit, tract. 3: nam medium, vt coniungat extrema y debet cum ambobus illis. coniuagi virtue te illios principij, Que funr eadé ud tere tie, funt eadeva inter fe, idcitcoai premi(Iz debent fimul cum conaclufione exiiterc, non fola minor. 26 Tcttid, debent etíe praefenres sm: m et fotgales entitates, et no per ab tus, nà habicus (olü eft caufaa&uit cin(dcm fpeciei cum illis, à quibus eite: nitus, a(jeníus principiorum, et aSenfus: €onclu(ionis fpecie differant,vi patctscrgo habitus principiorum n&qui: cócurrcread actus (cientificoscóclulionum, fed pracisé ad a(lenfum pra mifíarum .. Tum quia habitus non dator potentis ad fimpliciter operandum;fed ad promp:é, et faciliter operandum; vt notat Do&or 1. d.17. q.2: E. nam abíque labitur potett potentia in actum exire, abfoluié loquédo;at pramilT'a requitontur in intellecta. 4d fimpliciter operandum, quia. (in? ipfis nequit intelle&lus producere conclufionem; erg concur(us ipfarum ncquit ab habita fuppleri. Neq; fufficit, v: pzefentes fint per recordauonis actum; quia tertia operatio e(Tent'aliterà (ecüda dependet; et caufacur, vt. fine illa nequeat ciie, et intellectus ex (enon cít fufifciés ad cliciendam concluüonem, fed à przmitIis determinatur; et completur, ex d:€tis qua it. preced. ergo pramitla ex (e ipfis concurrere debent, vcl per aliquid [upplensillarum concutíum,a&us recorditionis non cft potcas fapplere ittà cócurfum, quia eft imperfectior, nec cmi: nentet Continec a(feofam premiffarum ; nec füfficiunt premiísz in c(se obicctiuosqtua vctic habécetie (ecüdü quidscau fa verà rcalis expofcit. eíse fimpliciter Tandem quod priorcs dicátur pziorttatc naturz,patet;quia vt fic caulaur coclutionem, qua ab ipfis e(entisliter dependet, e(fecitialis aüteim dependentia ififezt banc priotitatem ex. di&tie difp. 9. qu&ft.2. artem, v io " 2 x ' . " in dj (put.7.q.4.art.t.$:&  Dp X FoPesfy ; «An oppef. obijc. primo, quod afsenfus pramiísarm tempore antecedaf.» Jta quia difcuríus cft quidam motus wi mus,de rauiooe autem motus eftiucecis fio, Tom 2. nequit inte ilc&tus nc Es fit nitus ; plua famul intelligere » vnd dicebat Arift. 2. Tops  cotingere va plura:(cire; pon autem cogitarcsergo af. fenfus illi non funt imdl ..[üm3certum eft ietellc&um cí(se.dererminatum;ad co gnofcenda (imul plura,non.n. pot 1n iqies Qàm3q; numerum intelligibilium tendere fámul,fit v.5.talis determinatio ad. [cx,& Habeat de quatuor obicáis cegnitioné s certé fi aliquam fyllogimi elicecet, pof» fet proillo inflanti habere cognitionem, majoris, et minoris,quia habct.ad duo ca pacitatem, non tamen conclulionis €ognitioné, quia excederet. Tum 4» babeat quis errorem aliquem nimis radicatum inintellc&u,certé fi formaret fyllogi(mü de conclufione oppofita vera, non poffet poft premiísas producere conclutionem, quia per vnug a(senfum non poíset ftatim expellere. exrorem tàm tenaciter. affixum .. Tum. caufa materialis tem» pore praccdit cffc&tum, vnde fubftantia dicitur accidens precedere tempore, natura, et definitione, praemi(see (unt cau(z maicrialcs conclufienis, ergo &c. j . 27. Refp. ad 4. ex $co.q. 8. cit.. dari quandá fücceffionem in diícurfu, quate»; nus rcgulariter prius coguoícitur maior; fcd cü hoc ftat, quod quádo cogno(citur, concluíio, permanet adbuc cognitio pramiísarü; accedit, quod diícuríus cft metaphoricé motus, nam potcft intellectus vnico inftanti TW. wm bp » Ad 2. ait poíse intellcüum p  voluit Arift, vcl dicimus textum jllü., císe pro nobis, ait.m. in (Kcienuia plbra fis; mul cognofci, quia cognitiones praemife fatum, et conclufionis (unt fimul .. Ad 3, aliqui dicunt,vt Ruu.aíseníus prami(sarum,& conclufionis propter. mutuá cons nexionem fc habete vt ynum;ideoq; non cXcedere capacitatem intellectus: Alij vt. Conimbr. et Amic. non fequi afsenfum. propter impedimentum at.conclulio inura cognoícete y; vt habitudinem aliquam habent inar. fes; et vt (unt connexa; non vt plara (unt js ; dylgifmim Conn -Migtsucide intellectu l 5 dq) et ad veratem ha atjqu6d quando incellc&us cliaet.epnz ui 6 mul.exiftácinpo pras ip en eraliqua« f ger (enonpertinensadiila cognitionem, Ad 4: fl deertorcactualiieft emo, (las tim pet. demoftrationer'expellerar quae cá Vue ADR eui deua eere tirudinem; fi dehabicualicrtoreyconces dimus nó ftatim de (Leui(ed paulaums ga bábitus nó opponitur. a&uioppofio for maliter fed virtualiter»: vein lib. de Any dicemus, Ad $ ait Dockof premiísas císe quoque caufam cffectiud i deirco-quando funtapplicatz et naturalés, ftam pro» ducunt conclu(ionem qua cft effectus, 28. Secüdo adideuxpotc(t dari csfaus; Qp fint a(sen(us maioris, et inocs, &in clicitione cóclufionis adneitatur fai (itag catum,.tunc erit: áf: ;pra mi(saturm fine aísen(i conclufionis: antecedens pas tet ft faltitas efset difficilis cognitis et nà flatimex apprehenfione termioorum coa gno(ceretur ; "Tum a;ad a(scn(um cóclus fionis prz requiritur; vt termini eius.cone cipiantur vt coniuncti:, et pofkafsenfotn pramiísarum, quz oqgnia eunt císe. in inftanti . Tam 5. caufa cíiciens (ulum virtualitet cotinet effectum ; er0 cx «o4 gaitione ipfius cau(z oonnili virtaalisca gnitio.conclufionis potcft inferri, crga» cognitis priemifIis no necefsarió formas liter debet cognoíciconclufio. Tum 4« Ati(t 2. Prior. c.26.ait contingere poíse cogno(ícerc omnem mulam e(se fterilem;. et hanc eíse mulá, et dubitare, analiquid: habeat in ventre, crgo cum aísépío prz mifsarnm non ftat aísen(us concluGoniss; Tum 5. daretur eiufdem rei fimul. in-in« telle&tu cognitio con(u(a  &-di(tin&ta s. nam. cam dcfinitio dicitur;de: definito y definitum cx partc fubicéti see. m t&het., cx pacte pr dícatidiftinéte..| 5 Rcí pad 1.neg,antec..quia: cum a(sene» fus conclu(ioàis fequatur:19 code initanticum a(scní(i minoris, neceísarió.fiante; concluftonem aduertitur Glíiras, €t ante: minorisaísen(um. Ad 2 (i praemiísz (unt: cuidentes, in code inítanti cliciuntur 11li: actus,fi incuidenics, ucc prz ct ce fiferd E tias p bicàs inclinat in inre itf; in erectionem ad; cie dif. féradt y &teo'idem de iticipiórü éefpé&tü conclu(ión tit fpecié diftínéta, nátiivr fe bet Peiéra in pra&icis, ita priricipiaiu fr pelbilbur Té d z,libitus eft quaidá v virtus; et fetmei €ipiorümjergo €ofitinet in (e acciuitátem illorü; ergo-potetit Gur jctüclptsMdicoc «lufioiem concurrere, Turm 3.experiene tía cóftat ;(epénos alicui conclu(ioniafféndiri'exafsénfü premifsarum prahabie to mülto téporéarte jmasitné cum propter nimiaai di ftta&tionemió potelt incelleccusadaertere prarmiffis jetzo (alim in hoe cafü fufliciet prafentia per actum. £cifieioritiium y ram: veré tünc bv caufa, et effectus Cid aceto 00109 i of 59 Kceljxad 1ineg, pisitalemi v brin Scoto diximustupra dq: 2.dd 2; Ad 2.dicitaüs hàabitü.hon' contincre votare actü, quia [e Tolo non poteft illum producere, ideo neut efficere, quicquid porens cft actis cáuiáre ; et habcimus inftanciam in caufis ze jaimocis; etiam perfectis, primae .niqdálitates funt cavía prauitatis)  leuitat $,qud principiant morü,qui niBidotinus n equit à primis qualitatibus ptoVenice et 10 multisalijs. Ad 3. imó quia tüc ad. cft maxima iniellecus diftractio, e xm x e MUR d e: principiofum re abáfsen(u cochifionis,quia prius puso dm etioti., in Sisi rm t va| T fenis i miners "s E: stre v fion ind More Des er i izef iint m Nia ind.  E: idco i huh Ad. j : parebicinq; li, "QgvasTIO AU Mn aflenjus. premi wm vecefit tetine ardeo concluf. 39 (7 V2ftio pocas nino rita "&os euidéter apprehendit prazmifsis Vt verás et cx llis fequi conclufiGe né ad i poffit c nót afsentiri, vel gecesari debeat elicere actuln alsea(üs circá cott «lutionem: Pro cuius intelligentia not. deterinhiadíó potéti£ ei duplex ex Scot. quol. 1 6.art.f. alid dicitur cottrarietati$y Tcü fpcci li cationis, alia coftradictionli$ » feu exercitij, ficut mdifferentia,fürindetcimninatio oppofita eft dapléx  contkae rietátis,& comridictietiis, determinatfo contrariétális cft, qua potentia determis tata eft in elicitione ad vium 4&um 66. ad oppofitum, vt voluntas citca bonumín [e dicivür fic deter minatà, quia nópot R elicere quemcung;a&um, tiüe volitionis, fiu nolitionis, (cd necccarió, fi Fa I9 ll ÉÁEOSEPR $14   Difp. De Syllgiftin aliquem actum, hic e rit volitio; indetersoinatio contrarictatis eft, quando circa obiectü pót oppofitos acus elicere, .f. amorcm vel odiü, qualiter fe habet volü. tas circa obie&ü oftenfum fub rónebomi, et mali. Determinatio cótradictionis cit, cum potentiaita cft determinata ad vnum fpccie actü circa aliquod obiectü, vt nó poffit illü né elicerequalis eft qualibet naturalis potétia ex fe circa obic&tü ecbité przfens;indeterminatio contradi&ionis cft (qua potentia pót in oppofita cótradictorié, vt (unt velle; et non velle, nolle,& non nolle,& hoc pa&o fc habet voluntascreata ctia circa bonum przci$É cx Sco.cit, cum fit c(sentialiter libera. .. Conceditur ab omnibus, in premifTis neccefsarijs, vel taliter apprehentisafsenfu:n ipfarum neceffirate intelle&tum ad   la afsenfum conclufionis neceffitate cotraxictatis, ctiam vt fubeft voluntatis imperio, itaut circa illam conclufioné non pof fit disenfum eliecre ex (c, neq; impcerari à voluntate ad di(senfum producendü ;& Xó cít, quia I:cut fe hsbet bonum ad vcl. Jc, et malum ad nolle,ita verum a4 afscn füm,& falfum ad dif(sé(um, fcd nequit bo' mum efsc nolitionis obicctum, «t bonum €t, neq; malum, vt málum obicétum voInionis cx diétisin Phyf.difp.7/9-8.at.2. €rgo ncq; vcrum pót eíscobicétü diíscn. "fus, et faifum obie&tum aíscníus, aliter po &cntta tenderet extta proprium obic&tu; «quarc ncq; vt poteft à volun'ate impcra1i intellectus, crit indifferens ad affensü, « diíscniim. Conceditur ét ab omnibus, antelle&um circa has neceísarias veria4cscx propria natura con(ideratum cfse determinatum determinatione cxcrcitij Ad afsGfumyitant ex fc ftatim prabeat affenfum,nec poílit nonaísentire, quia cx fc cft canfa nataüralis,qua, ti nó cftimpcdi:2, n«ce(sarió agit;nec habct j otétiam fuípcndendi a&ioncm; dubium cft de in tell. ctu, vt voluntati fubijcitur., quomo4 babet quandam pariicipatam liberta1615, an poflit .f. voluptas ftante aíscntu vero, et cuidenti ( rmmifsarum neceísa. rjaruc) Süspendcra assensam intelicctus «iro conclufioncm ; vcl ipsum difücalic1c adalia obieda. ML n ai eis Nuts 4 dir: CN : Om d :; 3x ;AMirmá) Raiuius 1 Poft efc. Murcia ; vlt. Ofia q.1. art.3. Mori " Prior.d ) 6. Auersa q.2 $ sect.3 .& alij. | Negant Conimb. 1. Poft.c, 1. q.4. att, 4. citantes Caier.Sonc& Fons Sach. lib. »Didac.à Iesu disp.16.q.4. Blác.disp, ended ud E Mies «dc -4Hurt.disp,7.de, » Anim.seét.a. Amic-traba .disp.3d 6 dub. 1. Arriag.disp.15. Log.se&t.6.Io.de S.Th.4-p-Log.q.24.art.3.COpl. disp. 17« q«4.& ex noftris Tat.1.Poft. q.1, dub. s. . Circa qeisiin pxobabiles commis nis feré fententia (uftinet intelledtü effe quoque determinatum determinatione conttarietatis, quando przmiffz rudicátur probabiles, itavt nulla ratio fal(itatis appareat ratio cft cadem,  "a przmiffie iudicantur vt vere, et poffunt re&a il. ationc inferre concl. probabilem vcrà, non fal(am, quia cx anteccdemti vcro nó fcquitar fallum ergo nequit intelle&us: d.tfentire, tum quia (i diffentirct, a(fentiret contradi&torio illius conclufionis,&c per confequens virtualiter aflentiret có tradictorio praemiífarum, de quibus iam fuppon:tur aflenfus, crgo duo afséfusop« peau in1ntelle&tu;quod cft falfum. Dus» itatur tamen de determinatione exerci» tij nam quidam fu(tinent iatelle&um;ét vt à voluotate przfcindétem yindeterminatum ec indeterminatione. exercitij » vt poffit elicere, vel (ufpendere aifenfum circa conclufionem probabilem, ita Conimbr.cit. atc.3. Blanc.& Morif. cit. 31 Dicimus primóypofito a(scíu pre» miffarum in intelle&ta 1pfum nece(tfitari ncce(fitate exercitij ad a(icofum concl. quando cft in materia neceffatia, vt non poffit à voluntate impediri ; ita Do&ot y.d.1.q«4 S. 4d argumenta,& 1.Poft.q8.X 9. prob. imeilcétus, et premiíse sit caula naturales conclaiionis debitz applicata, non ipeditz, ergo neceltarió producunt aticníum conclufion:s. Dices in pediri-à voluntare mon coníentiente.s nec concurtente,imo füfpendentc cocurs Ium nec MEUM matorem participat libertatem y cum fit agis cóncxus cum voluptate propter rationalitarem, quàda caecerg potenti . Centrà ; voluntas nom dcbet concurrere camjuam  phylica ple u s cen c Q.V. cn ex pramif. ntcef-BelleClus ad affenf.comcl. $2.5 fa.od.a&usintelle&us, quia vt intellectus. concipitar vólantati prauius, exi t in propriosaQus;   ubditur volürati nó indiget concurfu voluntatis phy ico.Negatio confcn(us -, imo difsen(us voluntaus non eft. impedimenum | fufficiens flante afsé(ü. pracmiflarum y quia etfi nolit volontas, fi vifibile eft proportionaté pra feos, et illuminatum,oculus non impe ditus non clau(us,adhuc videbit, ergo dif fenfus voluntatis.non impediet a(Teofum. conclafioois, qui affen(us (e habet. vt vifio,conclu(o vt obiectum  a(fen(us przemi (larum vt lumen, et cognitio bona: illationis,vt applicatio luminis. Tandem iila maior conucnientia non officirquia magis (ubijcitur voluntati potentia loco mot1025 quàm intelle&tiua, quia illa ab(ue imperio voluntatis non exit in ad ü,ficut intelle&us., et tamen eft magis extriníc€à volütati,quàm intelle&tus ergo ex illa maiori vnione nó debemus inferre tantam dependentiam intellectus à voluntatc inoperatione » vt fi habeat obicctum | ace pc am ina&um, nifi prius eneplacito,& licentia voluntatis obtenta ; tum quia in aGibus intuitiuisyetiamfi formaliter di ('entiat nequit impedire ap prehenfiones,vt cum vehemens vrget tératio,ergo neque in difcurfü talem. poteftatem, et dominium habebit. In contrar. arg. Tum quia. nullum bonum poteít. quó ad exercitij determinationem neceílitare volütatem, ergo nullum verum: à pari. poterit determinare intellectum. Tum 2.poteít voluntas caufare ccilationé, et impedire continuationem cuiuslibet aífen(us conclufionis  ergo poterit caufare lufpenfionem, Tum 3. ántellectus, vc lubditur voluntatis 1mpe«tio, participat libertatem, et indifferen.fiam circa juodcunque obicctum, er. 'étiam circa aileafum nece(larie conclufionis (ed non potctt effe indeterminatus contraric,crgofaltim cotradi&orié . "Fuen-4-habitus z1znitur in. potentia erga aliquod obiectum,.juando potentia erga illud habet aliqualem libertatem, et 1ndiffcrentiam, vade in naturaliter. detacminatisyt funt gyauja re(peétu motus de erfuüay non geactatar habixas cx Seo» 2. Logra e d.1.q. 10. K. fed inintelle&u era conclufionem fit habitus, ergo circa ila ha. bet indiffcrentiam»faltim cxercitij .  Refp.ad 1.neg. téjquia.volü« taseft potenti formaliter libera yintelleGus potentia ior E natia dt des terminata « Ad 2. poteft ca qo nane i nem folum auertendo intelle£tum. af fen(a principiorum;& vt (ic poteft ctiam: impedire atfenfum.conclufionis ; ftante: ver affenfu principiorum, non pót ime ite continuationem a(fenfus. conclafionisAd 3.vt (ubditur voluntati; folum: babet poteftaté cliciendi ; et non clicien" di affen(üm pre miffarum 5 tamen hoc eli cito, neceífació necefIitate ex. fuppofi-. tione deinde infert conclu(ionis a(fensá s. vt patet jnalijs potentijs. Ad 4. cx dicendis in lib.de An.habitum non generari inv potenzia propter folam indifferentià, fed etiam quia poteft aliquam pati diflicultatemyvcl quia poteft intenfius;vcl minus. inteosé operati, qua ratione quando eft habituata facilius, citius, delectabilius.y. et inten(ius operatur,etiam (i natucaliter àgat,quare ncgatar affüumptum.. nd ad idem ; « do ex ijídem pra mifsis poceft inferri duplex cóclutio y vt in Barbara, Baraliptons Celarent, 7 Celantesquarü vna efl direGta, alia indirc&astüc preaitfa nó determinant iatelle&um ad aliquá illarü, ergo indifferens eít ad eliciendü,& non eliciédü a(fen(üav cuiuslibet. Tum 2,apprehé(io terminorif, etiam primorum principiorum, non neceffitat intelle&um ad all enfum illorumg ergo neque a(fenfus przmifarum. deter" minabit intellc&G1myad afenfam conclus fionis, patct conícq.quia maior cuidentia eít in primis principijs, quàmin conclu fionequa cuidens eft dependenter. Re(p. ad 1. ineocafu pramiffas des tecmningté necc(fitz ze intellcQtum ad € elu(ionem directam immediate, quia pee fe primó cft ex praemiis deducibilis y» mediate vero, et (ocundarió ad.co fionem indirectam,quatenus eft. conaertens concla[ionis dircétz « Ad 2. fi. termini illi babent cuidentiam manifeftam conncxionis, pollumus concedere apprelicaGonem neccisitarc inccllectum ad | 0 Ppp midi 326 sadicium ferendam, (cecus fi fint ineuidétes; ita Doctor 5.d.23.q.vn.S. Aliter. 34 Dicimus lecundo;quádo premitlz fütit probabiles, itavt nulla ratio fal in cóntrarium apparcat, nonrequiritur neec(satió coafen(íus voluntatis ad affenfum conclufionis,fed fufficit," indifferenter fc habeat; quo caíu intelle&us neceffitatur etiam quo ad exercitium ad inferen« dam conclutionem . Colligitur ex Sco. . d.25.q.2. vbi docet ad aftenfum fidei nó nccctfatió requiri voluntatis actum de1erminantem,& imperavuum ; prob.ij(dem rationibus praced. concl. nam hoc folum di(crimé effer, quód pramifsz neceffariz funt euidentcs, probabiles veró incnidentes, fed boc nost vtget, quia. obicdtum vt probabile oftenfumett fuffiienter propofitumintelleétui, vt poffit intelle&us elicere affenfum circa illaspramiífas, et ifte afse(us premiffarum eft (uff ciés cau(a, vt eliciatur probabilis conciu(io, ergo etiam volunzate non cO"adicente nece (litatur intelle&us ad ilIum aflenfüm;quia caufa naturalis no impedita ftarimagit. Tum quia fi per ;mperium voluntatis potcft intellectus cliere aísclum conclafionis, fequitur pramiffas illas et intelle&ü cffe tofficiences caufas cóclufionis, qaia voluntas no cau fat marorem probabilitaté in obie&tis.auc euidétiam; (ed hzcveta vel falfa (ani ;ndependentcrà voluntatc, neque voluntas Me potcftaté crahendi intelle&tü extratoptiücóvaturalc obicétii;ergo precio dado à volütatis imperio, adhuc iatellc€tus eliciet conel. affen(um,qura cft c«ula xaturalisTum quia L amones habent fyotitiam iocuidcniem de rebus fidei, et tàtmen non cx affcátu voluntatis, quz dc  fc eit mala, ergo hatc non requiricur ad. £crum incuidentium affcníum Contra vrgctur; in his obiectis non detciminatur intellectus ad aflenfum, quia opinio efl (emper cum formidine de opyotito; ergo nulla caufatur neceffiias in antclicétu e& pri (fis probabilibus. T qui? fi affen(usin probabilibus przcede1ct Confensü volantaiisnallum iudicium temerariu cliet peccatumynam pcccatum id o peccatü, quia votuntariü, T dem idé Difp. X I. De Syllogifmois Commit. 07  effet dicendi, quando propofitio probabilier appatet oppofita,& qf effet vtraq; cótrtadi a probabilis,cum .n. fint cau(y naturales,fi potfent agere iodependéter à voluntate, iam intelle&us ne« ce(sarió aísétiret propofitioni probabilioti ex illis cotradi&orijs, cp cit falíam, | 5$. Rep. has rónes non vigerecontraconclufionem, fed potius contra iudiciü priemiffarum,conclufio .n. noftta füp nit aflenfum przmiffarum in iulii; quo femel admitio, fequitur neceflario affenfus conclufionis ; dicimus ramen ad primum probate folum intelle&tum nom neceffitari ad affenfum certum, et cuidé. ter, concedimus, tamen cum hoc ftats 9 neceffitetur ad a(fenfum verum, (icut verz (unt przmi(Iz, ncc ob(tat formido de oppofito,hzc .n.tollit folum firmitatem alfen(us,nó determinatiogé, vt di(p. feq.q. vl.dicemus. Ad z.concedimusiae dicia przcedétia có(enfom voluntatis nó ele peccata, namtunc voluntati imputaátur, et temeraria dicuntur, quatenus voluatas tenecar impedirc illud iudicium,. et nonimpedit; tenecur.mquia prudentia di&at in omnizc non enidenc poffe coat mitti etrorem in iudicando, et per conícquefis nó temeté cft afsétiendum y et certitadinalitet, (ed cum formidine de oppo fitoypofTet deinde voluntas impedire;ná quidem fufpendendo afienfum .cóciufionis (ed potius atfen(üm pra mi(larum di ucttendo intellectum ad alia obic&ta: Vct fecundü aliquos fufficit, vt (imul babeat iudicium pc tIibilitati$ fallendi, et nó certo ilsadhereat,gy (atis cít ad euirandany tezacritatém, et peccatum. Ad 3. concedimus allum ptam im primo cafür,quia fot tiusagens füperat rcfiftentiam contrarijs. et €xic in actionem, fr non adfit aliud imr pedimentum ; cum ergo vna propolitio: probabilior apparet fua oppofita, tam.» fort:or erit ad mouendum intelle&tum,&c per confequens intellectus affentier, nifi voluntasimperaretcogitationemprobae     bilitatisalterins partis,vel periculi erraüe di, g (zpe folet euenire in huiuftaodi iudici ie rts Se tÓ oppofirc propotit ioncs unt zqué probabilcsvcI nulla p pu tct ratio Vcrisvcl falíi, aic   3 " i m 9 V.c/nes prami[fs neces. int. ad. affenfum concl. 817 $. Hiter,& d.23.q. 2. nullum elici afscnfum, (ed meré neutras e(Te propofitiones illas intelle&ui ; neq, poteft voluntas imperarc alfenfüm ad alteram pattem, nifi . Obiectum prius moueat ad illam ; quare neceísé erit, vt intelle&us ceffet à confideratione rationum vnius partis ex imge voluntatis,& hoc modo poterit vo ütas ad vnà part intellectü determinare, 36 Quarifolet hic;an atfenfum cóclufionisvlca affenfam pramiffarü prarcquiratur cognitio dc bonitate illationis . Aliqui affirmant hanc cognitionem prarequiri ét per modum iudicij, ità przícrtim Poncius difp. 29. Log. n. 3o. vbi inquit ad determinandü inccllectü ad asésüconclutionis prater affenfüm praemiffarum vitcrius rcquiri iudicium de neccffaria conncxione veritatis cóclutionis cü veritate premiffarü ; alijs prerequirunt banc cognitionem de bonitate confequé tig per modü fimplicis apprebentionis, . noniudicij. Comunis, et probabilior op: nio ncgat ralem cognitionem prarrequiri piz(crtim p modü iudicij it en ips 7. de An.(cct. $-Arríag.dilp. 13: Log. fct. 3. Ouuied.controu.9. Log. pun.2. et alij pa(Iim,g» probatur fatis cuidenti róne,nà bonitas illationis  et connexio veritatis conclutionis cum veritate pra miísarum fundatur in illa principio per Íe no:o, qui (unt cadem vni tertios(unt cadeni in» tet [c,per quod omnes rcgulantur difcur(us cx diGis 1 p.Inft. nam in virtute illus principij per fe noti ex conexione extremorum n tertio in premiflis infectur co nexio corundem inter fe in, conclufionc ; flatim ergo ac intelle&us percipit extrema efe vnita in tertio, co ipo manet dcterminatus ad iudicandü c(ie cadé inter. [c inferendo conclufionem,. at fic eft, g» pracisé ratione pre miffarum cognofcit l us cxcrema identificari cum ter» tio, vt fatis de fc conftat ; crgo boc folo determinatur ad iudicandam ca inter (e 1dentificari in conclufione, nec alia cognitio przrequiritar de bonitate confequentiz « Conf. quia ruíticus intcrdum bené difcurrit, neq; in co difcurfa antcccdenter ad c ouem medicatur bonitatem conícquentiz;(cd (otün aduertit notitiam pre mifsarum;ergo preter premifsaram afsen(um, non requiritur alia exprefsa cognitio de bonitate conícqucuz. Deniq; ti przrequireteturtalis expreísa cogoitio de bonitate confequétia: er modum íudicij, fzuftrà probaretur fooirés illationis aliorum fyllogifaorà, in quibus confequentia non cft tam eui dés, pet redu tionem ad quatuor primos. modos primz figurz, nam per tale iudicium pr cedens (emper cerrificaremur dc bonitate confequertig non crgo cale iudicium femper przcedit . Scd obijcies deinitioné (cicciz actua» lisab Aiit, traditàm 1, Po(t.cap.2. quod (circ cft rem per cou(am cognofcere, propter quam rcs cft, et quod illius caufa ett, ergó ad afsenfum conclufionis prater a(fenfum pra milsarum requiritur eram, ge cogno'cantur, vt illatiug conclulionis, Refp. per illam particulam Arift. folüm fignificate vellequod.cognitio (ciencifica cohclufion:s.on c(t cognitio cius in ratione fimplici$ propofitionis » fed c Cognitio difcurüua, et dependens à przvtà caufis, iX taliter dcbet cogno fciconclufio,vt dicatur cíIcGtus demonj ;non aütem (gnificare vo:uit exptcísam cognitiontm de bonitate illationis przccdcre debere afísenfutn conclufionis; 1tà diximus .par.Inft.tract. y. Cap. 24 diim illam definit1onis (ciétig pacticulam ex plicatemus, quod poniturquia nedum oportet,quod illa cau(a fit proxima, fed rcquiritur, quod intelle&tus (ciat cffeGum à tali cau(a pendere  37 ritur deniq; an condlufionis aísen(us ià neceí(satid pendeat à premiffaram afsen(u,vt nec naturaliret, nec (ualiter finc ipfo haberi queat.!.am ille a&us, qui fequitur hic, X nunc ex przi(lis poffit quoad (ubítantiam, et rationem íuam fpecificamhaberi ab(que €o,quod firà przmi (Ts. Ouuied.cótrrou. cit. pun&. $. cenfer falim fupernaturalitet poísc produci,.& conferuaci conclufionis a(senfum tine przmilfis quia affenfus conclalionis tantüm dependet à przmiffis focmalibus ; tanquam à conditione applicante motiuum, (cà formale obicétum ca rauone; qua depédet voliio Ppp 3  àcoA $18 Di/?. XI. di cognitione, f-d hoc conditionis genus poteft a Dco fuppleri, et poteft fupecnaturaliter dari volitio line cognitione; ergo potefl dari. (ujernaturaliter a(sc(us concluíionis finc aicnfu praemitfatum ; idé tcnct Poncius dip. 20.L0g.q-2 n. 10. cum enim affeníus conclufionis, et ptzmiffarum fint a&us realiter dittin&ti, non apparet ratio tam neceffariz cóncxionis intcr illos, quin poffit effe aísenfus conclufionis fupernaturaliter abfq; a(sen(u premiffarum. Quod conficmari adhuc potcft, quia innoftra fententia affeníus con: lalionis dependet ab affenfu pramit farum in genere caufze efficientis,certum posi apud Theologos tems Deum etetale genuscaula, nam in genere cfüricnts cau(z quicquid agit cum caulis fecundisagcte pót fiac ipfisiinquit Theologus. Caterum confequenter ad dicta fuperiusn. 16. 19. oppofitum eft tenendum, dictum enim cft ibi a(fensá cóclufionis in (uo formali,& intrinfeco cóceptuincludere dependentiam à premi(fis, et talem dependentiam. effe fib: eí(sctialem, vel (altim cealiter identificatam, non autcm accidentalem, et extriníccam; praereà ditum cft ibi, quod fi intelle&us abfq ; premiflis eliceret propofitionemi iftam Tetrzus eft animal, talis " gros non effet conclufio, quinimó cfentialiter di tab ca conclufione. » ( licet eífent de eode obie&o materiali ) ' quz inferretur. ex illis peemiffis, omnis homo eft animal, Petrus eft homo, crgo Peuus cft animal, nam bac eft fcientia, et tertia operatio, illa.yeró fimplex propofitio,& tertia operatio ; bplicác et, ctiam dc potentia Dei abfoluta poffe elici, vel conferüari afsen(um conclufionis, vt fic, abí4; ordine ad przmiffas ob cf [entialero dependentiam quam dicit ad illas, co mode quo dicunt Scocifle rclationcm dependere in genere cauíz cflicientis à fandamento, et Tbomiftz a&ü vitalem à potentia vitali, adbuc amen  «ilem dependentíam à Deo füppleti non De Séientia; 9 potfe, quia e(sentialiseft rebus fic depen dentibus.Fundamentum Ouüied.oppofitum füftinentis falfum a(sumir in maiori, nam cx dicis q.5, afsenfus przmifsarum etfe&iüe concurrit ad afseníum conclafionis, et non tántümper modum conditionis applicantis motiuum 5 in minori etiain dubium a(fümit, nam inlib.de Aa, diíp.7.n.1 11. oftendimus nec fupecaaturaliter pose dati volitionem fine cognitione ; Ratio ctiam Poncij inualida eft, quamuis enim in abíolaris realiter diftin &is prius per Dei potentiam polit à potteriori feparari, vt docet Doctor 2, d.12.q.2. non tamen é conttà, quando praefertim pofterius dependet císentialiterà T vt cóftat de toto, et partibus, Confirmatio, quam nos addidimus, diflicilioris cft (olationis, quia genus caufz cfficientis (emper à Deo fapplebile videe tur; imó hac ratione nos Scotifte tenemus contra Thomiftas pofse Deum prodacere, et conferuare a&um vitalem independenter à potentia vitali; verüm cü dicitur à Theologis omnem talem depédentiam in genere e fficientis cau( cfse à Deo (upplebilem,explicat Do&or 4. d. 12.q.1. fuprà E, et (ub S. id intelligi debere in abíolatis,non in refpe&iuis; in propofito autem conclufio; vt fic, ha rationem refpe&tiui,quià vt fic, intrinfec et c[sentialiter dicit ordinem ad przmiísas,vndé deducitur, licet cius aísenfus in ratione qualitatis fit entitas abfoluc cui talis dependentia e(sentigliter, v faltim realiter identificaturj que folutio an (üftragetur Thomiftis negantibus actát vitalem pofse à Dco produci, et confettari independenter à potomia vitali in lib. de Anim. di(cutiemus. Alia quzdam folent hic difputari ad formam fyllogi(mi (pe&antia, que coníultó hic mfísa facimus, quia (ufficienter de illis tra&atum c(t 1. p. Inft. ya&tj rc A : "ex vlu,& ire,De Scientia. . d tiones nitione pofleanaturam den gnande definitiones: € quidem CS $ ze-qposT Trallatum de Difcurfu, et Syllogifmo in Communi,ad j| eius fpecies oporteret nunc dejcendere, que funt Syllogifmus Demonsiratiuus, Topicus C Elencus, c primà de Dem cue flratiuocateris praflantiori attamen quianaturamyG7 cona iones Demonftrationis aptius venari no po[Jumus, nifi ex no« titia quidditatis C cüditionum Scientis qua effeius eft De» meon[lrationis, C" ad ipsi vt ad finem ordinatur demon[lratios idcircà Difputationem de Scientia premittimus, veftieys Jn 3i Pofl.c.1. oflendit dari [cientiam, deiude c. 2. ip[am on(Irationis, eiufqy conditiones declarauit, duas a od attinet ad exiflentiam fcientia, fatis dictum »trift. inberentes,. iti ex ip us de : efl in 2. p. Inflit.trati.1.c.2. vbiinnuimus contra antiquos de nouo dari fcientiam, € fi non de omuibus, faltim de aliquibus rebus : ad effentiam igitur fciemiie de clarandam accedamus Quid fit Scientia . t Cientia folet primó diuidi inactualem, et habitualé, vtraque debet hic declarari, et quidem quo ad fcientiam habitualem nó cft difficultas, hzc .n. cft babitus quidain de prima fpecie qualitatis, permanensyintelle&ualissdif[ponens intelle, non ad fimpliciter operandum, fed ad prompte faciliter, 7 expedit operandum, ex frequentatis a& ibus fcientificis acquifitis ; que definitio colligitur ex dc Initione habitus in cói intinuata à Scoto in 4.d.6.q. 10. O. ueut n. quilibet hibicus eit quzdam qualitas dilponens -fubiectum non quidem. ad fimpliciter ' agendum, nam abique habitu euam po"tenta clicit. ali juos actus ; fed ad agendum fa ilicer, et proinpté, acquifita ;ecationc illorum acutis ad quorum prod:ctioneu habirus 1nclinat, ex dicendis [a1.05 in ib. c An. ica (ciétia habituals di fponit intellectum ad. facilius, et expeditius el:ciendos sétus fcientificosqu &taétia actualis diciiur, ex qaibus fuit genita ; tic hobihitas illa demonflrandi paron mobiltatis de corpore naturali cx frequeati cognitione. per. deLogit ae monftrationem acquifita dicitar fcientia philofophica habitualis aus vero co. nitionis dicitur philofophia a&ualis ; um igitur habitus ex a&ibus generetur, et fpecificetur i desierit eol a&ualis,adequat it quid fit habitualis fcientia, ex ibus f. aGtibus geuerctar,& in quos a&uscliciendos inclinet intelle&um; tota ergo difficultas erit. in explanatione actualisfcientim.   Scientia a&ualis ab Actif, definitur in concreto r.Poft.c.. $cire efl remper cau[am c egno[cere,propter quam ves J quodilliuscfl caufa, et no contingit ali ter fe baberequà definitionem explicuimus p.2.Inftit. Log.tra&t.t .c. 3.vb! nota4 uimus Arift. definijtle fcicntiá perfc&i(imamáà pr:ori, et per cauíam non folum in cogaofcendo, (ed etià in e(lendo,vide, qua i dixiaus c.4.eXplicando particula illain definitionis demon(trationis, caM« fifq. concinfionis. Ex ifta definitione Ícicntig ab Ari(t. tradita Do&ores dein» de variascolligant condriones fcientiz » 3 Primaconditio eít quod fit vetayer« ror.n. &talntasmoníunt feientia,   Secunda conditio cft ; qnód fit certa s pro qua norant Do&torcs, vc aduertunt P.Cauclius de An.difj.3 .(cc.6.& Auerf, q.26. (c&. d wt certitudo eft firmas intellectus (10 acri determiuatz Ppp 3 . pau £o Difp. De Scientia. i BA; fpei pfotitg', . C hraedjea a » dis MOXO REOR: TTE PELE zelle&u certitudo, fed dabietas, nec fciéUc paratur laci materiali, qua il« tia, fed opinio, quz certitudo, et deferhilTurteaiteh obiectum clare, et diftintté patio intelle&us, vel prouen& ex 3jfo  percipitur ab oculojhac cuidentia ortum mecobie&tosqiacesus ed (21, dedisyea. Tinberab'obteGtücceígitaresquasntellc4 filicitor, I& dc patcnaio Deinegioat soli« :5 e dlatimpricipit intdlie ét sc iotei Ua Spera Ri vl xta esas bic&tà, ofitorimacceísar ianugm alij&di«:. 31893 comnaxipurs, et dripofrir ennorervtidosntiilesa y ablic; itl pai tits €tia2 s abaliljsimetaphyhea ; Vcl enoneát, as mactitilifidel ue luris courir bir MED ve ie ] indo j qrod: poteft myltipliditer occides: ae o Lusmolten pecciprre. rationeth con rij vlr guvojonat impari il: nein hui ree e zi, vitali eráudicet y &«nonaliter ;e9.s epa Reti. enit d às quiàniotictüc vier teet rs an i As ebat qui rir Mm : Lors seen Hasse sionis rat d qp Adi  0à cinema tinh ela. TtLiClis GU CR torri a v ihrer duplex alia exip ope rome d iudicatur, aíseritur. te potentiz, et dubias le spento sb aliquibus maxim authoritatis viris, nis intime percipientis rationem connezin eei Le p xionis retmitprpnt; alignex paye. obicMf cimnibusxerritadinaliter exc &i, et cft apritudo il]a in ol maniLnles ci cnediahoNtap elim i o tac  feltandi (e Cfaré &e MAS rncellectuis,quómaioriscathbessaysoos;viriiud vufteGmac icelle&tur-Obijciturs mouc xteditim afferenies eo finmius adhatet illàni ad fai codi onem; et plex, Bembo aiat ike dE A xia: 3cinediata:scüntell liS irrefiagabilis veritatis. h;nc. x;apprehenjione rcémin F berum utcs!hidciuintanaNimae £erbtudinis cug? deriuturilli propofitioi, ffea efintte (virriopíp diuino jnpixai3baliqni diftin&o! iddigers S hac culdioria cft bus hzc cenitidonporzlisyosatur(.eXprincipiorum, que jmexediata dicuntur; »cepiasfiddi lupemhs táfalisceuitadine, », alia gmedsatayeo quta non ex fimplici.ape veuar valde mator eft) wel tandeiimeug-. prdbenfronetermvnorum mouerur imiel&ur intelicétus ad iudicandum. cestitndile&usyItd propicr aliud prin pam. Aalitoptteelses quianaturilitermequita-. sftinétu quod cf cau(aseo MORS T -liteceueoirex quamuis (i pliciter potbt. 3 lur Persio NE 1anem, qua » eluerfieri vt fi viderer nocidens, [aum | euidenter: (citur; propiér. praaiísas,jà "hád;caictibi [übftazedübic ugs, et fi vi qdibusaccipit pcopriam cuidentiam ; ip rlérét ignemapplicatum paíso ; infexcet. sataniantiia eaidens dicirur, quia princieabicalctict ionem adéfse eo quia natura. ;guay € juibus deducitur,(ünt cuidenrias crum fic poflulatscom ramen Debs jof-. clatum eft cuidéntiam irgmediatam non et, &ccalefs£tionem) ipmpedite, et acci conucnite fcienuz, nam [cienraictt cón«dens à fubiei&a (eparare;basc dicitur cer; élufioniss nen principiorum 5 dompetcre -aitüde pbyüca, adfcieniiam perfectilT| ramen cuideritiam mediaram nam qu. mam .ptuma certitudo requiritur, nà fub, ibeiconduhbo cftex: fois printipijs eui »i€ertudibe motali pót (ubelse falsüj& fie, dentibus deducibilis ergo erit in (c egimiliter fab certitadie phy (ica Ad (ci&Gà. dens mediate): dubinm cft de cuidcua po c it&o.iouS perfc&à tufbcit pbyfica certi-.. senuatan df. seqnisatur,quàd intellectus 3:£üdo vt iníray& difprq« magis patebit . clane de MN Eme tci puat conclüf opc Hua JIerüa coditio «nod Gt evid6s eui,, ex prjacipijsillam deducendo, 4 pgrehen. dentia rft dacitas cogniGionisqn&;ntel» ;da195 dépendentiam llo euidenug co5 dc€hus.claré videt obieói verateon, Gcsiclngongab.guidenria pripipionmeso 41 ! ver trj E ga eh3ijQ UM i € i W 1! gré, sratiispatopije 1, abíay / idedxer illam quet «: Cip «eH poni fed estadio. hi endens  princijia y S mn atu vceerunt, didacit dede dél IAE! 01 202122018 30221 &Ilt Sr hópihiie nedánt háneseuidentiany K Pic ecelfadaa eísie  Ftofictre diuo A ey x chaüóais fialitét ex te-euid eer cosofebi j «ju rórie ponunt no bran. "Ticelózisti cfse jitopriéXcienciam,uia) vele dtdaci éónckinones cx' articulis fidcij à Gwinrelet beatóriíuut pex itiiliteé congeduat fcientiam fübáliérpatae 6(s8. verad(éientiaar i jrceliéeba datae (ciéntia Tubálrernan te;ifiprid übáherhatisà d&d:znó. recipeiet plioerar& xem: ita Cao nM Meri yore ris in dé SAT hó fà Lóa d a6«it:5Cousplat;; difp.vó:Logt qoa? qui alrosciqut 27.1065 Th es "Pese tuin se dilpraa qorzdrtd imomunt ciéntià nàfi véHoquimus Ii, et abr Ait, deféripca in lib; Poft? circa, neceffáriam e(fe eiidentiam; velidcdaós tiain genere 5 et ub vmucrialioriaccese pronc;& Bac aiit a eutden br, et (olüim dicere cogmtionenvetam; et écttainde aliquo -óbiedla, quéden(a   p concedunt "Fbeólomam: dict fcientiam "Scotus qi PEOL img ad collar; &c3. di: dog vuv OLEUM ENDE fuftine;de ratiotic propria (éienda. eíse cuidenga, et nónai(i mipco prid nomeunfzienuz acz cómiodarinótitid obfcura,.Gc rmcuidcati; quamaiseertiflimia, quee noníólü cft £ómunis apud Séotrftas, (cd eviamo apud dniiquos, et ex R ecendoribus fequuntar: ! Al cus rà&t.27.de (eie. q.1 ; dub. 9; 8c 10. Blánch; A Log;dilpueltéet: 1. Dida-: cusà Ictu dic p. 18.q.1 X álij i. j yu no ! 6 Quamuis hzc nc nomimlis: qua ftioyattamen dicimus tcientiá propr.e di tá requirere euidencia m iteliecta tué us, et uonitiimproprid crásterri ad actus ineuidentessquamurs certos ; 11a Doctor ci SC ped. e q.4iart 2, C. et quidem qp hxc fic mens Axitt, indubirauim cit-; nog : et ding niiquz-annexaim: E cipiaimodias; pe c(seiac (cic nrifirum ee(ültete cócluts in (üaprincipizdcbere ; Dui quiaex« mupiconfcof-í fi dcsj& faic pecie d fcruiio, hrió oppoaontanygam ula efto Ícura yita clüraj& euidensyergoceuid fs tücít aderat rint to fcicnu ti? Neque dirasovdlorg de:fciéntia; Atiftidet mcaynon defer 5a (ecandi generica amqepiipnéan. : ;vdlet,quix Smdccsiae qo dfreniaee emi gemtdiffeivalyopliniogec Q quisdicedb opiniongdy (« Gfemiarb fp candum rgo trohedyo«mericaoy vrdiciecogbrrióneme velamrcó fimaneom cviíra, &Poploxbilig gon ttt éloquerau; (ed potjusaburerea üir yocabul; ic imptopotico. du friépie zcípecta fidei dicemium; $qnapzógtet xi Ícieamaadcdgricionzxrimneuidiicor ex undicac cnt tocdriótappro[nia, et Ly me nidenscédt ditereximitio drujadens, veh ditlrahcasy hon fecus ac f? diceretur fc1c02 tfà icarurá ho foc volueruat auidiog restecinde femenc ac quicun j; e Sa &s V'astibus Théolagiaaytiotl ram (cit 2-4 viamrappellatint ;/ derqua, reizctum age mus q.4 .art«3: vbt re[ponGiones Cosrie lut: cot iabiauis j-& ràtiones iu/cóntcacindifalu&nas: 2! £iUD ef ; isola 157 | Quarticovditio, quod Grnecefsá« rid: pto ii notos Scd. tdi gs 314, 4:82 2 ép nédetlitas e(t daptei; allizamplteiter, quà resa éxiltit vi nori pottic mon exi« ftre jaliaeftabceümas fecaadum quid; (cà cotiplexa38 eftyquaresaliqugtaletm liabéchiibiudiaeu uxét de, vt necesaria vnà alterad tncludác quara ione iteiles Gus conci ias: teconmnos illacámonecele fario cómpoait vri de alzcco affioinái do, et propter buncmeccisapiambabiqusi dincmteranorcuum teinper propofitio del illis etipaciara eroteqd AM vdofo car et confe-,uéter wece(sarid vera, tta Vt nex queacftificari pro qnactmqoe tcapóris; diferencia y eo 1jula propetatorcsnece(o (atige ubilcahant d tempore y vedisi uus rip. Hitt. udeboti Cura cad. Leica: perPpp 4 ftc Aur Ael LLULLILUULUMRSU"ÁGIG LL LL fc&iífi mam non reqnititur prima neceffitas nam prater Dcuw omnia contiagéter exittant, eriam ip(a [cientia corruptibilis eft ed (ecunda, quatenus talem. habet vcritatem, vt nunquam poffit contiagcre mutari in falíam fpe&tata quacung; potentia, et téporis diffcrentia, et in hoc fen(u de cortuptibilibus eft (cientiaquatenus habent quadam predicata taliter illisconueniétia,vt non pofliat non conuenire 5 hzc conditio includitur infecun da ; cá dicitur, quod debet eíse certa. certitudinc metaphyfica, itat nó. contingat aliter (e habere : vide q. feq.art. 5. Quinta conditio cít, quod fit de obic&o vniucrfali,co quia de fingularibus nó cft (cientia,quod poteft probari;quia fcié tia oftendit paffioné dc proprio, e  aquato obic&o, fed hoc non cít rc;aliter alijs indiuiduisnon competeret, etgo crit vniuer(ale;ri(ibilitas .. nequit Petro adzquaté conuenire, (ed homini ; quz conditio non conuenit fciétizvt fic, vt norat Daflol. q. y. Prol. att. 2.ex Sco. q. 3. Prol. R..(ed (ciétiz de obie&o creato;co quia naturz creata diuidücur in (inpue » at fi c(set aliqua natura de (c zc,& (ingularis,cui primó coauenirent paffioncs, vcl qua(i paffiones, qualis eft eísentia diuina, tanc de fingulari poteft eísc (cientia, vt q. feq. art. 5. 8 Sexta quod (it caufata pcr difcurfum fyllogifticum, quia fcientia non cft que libet tei cognitio,fed eft cognitio rei per caufamsdiícurfiua,& illatiua; et quia ina illatione potcft errare intelle&us; idcirco reqnititur, vt fit per demóftrationem rc&e di(pofità in modo, et figura, et hoc cít, quod alij dicunt,ad Ícientiam requiti cuidentiam confequentiz ; verum efttamen,quodvtnotatDoctor q.4. collar. q.5.Prol.& Baísol. cit. hzc conditio aon efl dc rationc (cientiz vt (ic, quia. dicic imperfc&tionem tàm in (eipfa, cum canfatio dicat dependentiam,quàm in intelquia prz [upponitur potentialis potens de nouo recipere (cientiam,& vnum poft aliud (circ) hinc fcicntiz diuinz non Conuenir ; nam intellc&us diuinus vnico a&u fimuloia attingit claré,& difincte. Septima coditio additur àb alijs, gp fit Dip. XILDe $iepia.   0 5 505 j Tio w, ZK propter fe,nà propter ases di ipro ter Iciecias pra&ticas à vera t: m tie exciadürsfed de hac agem.s infra q.5 .Scd contra przdicta, X precipué con« tra definitionem (cientiz poteit in(tari ;. À Tum quia fi (cientia eft per caufam, daretur procefsus io infinitum, nà hzc. caufa deberet per aliam caufam (ciri, et illa   peraliam,: Tam 2. quia non re&à ponitur ly quoniam illius eff cau(a,mam (i ad cogmtionem conclufioais requititur cognitio propriz cau(z, quatenus eft caufa, tunc omnis conclafiofc retar. fub ratione relariua  vt.(. caufata, et effe&us cau(z. Tum 3.quia nou re&é dicitar uod non contingat aliter fe babere,nam Us corcuptibilibus vt fic datur fcientia, vt patet in Phyücis,& in Poft, Arift.demon ftrat eclypfim de Luna ; qua non femper cóuenit Lunz, et de cflc&ibus per accidés, et e; ew philofophia.Tà uia g» eft mutabile; et cótingens, nequit arr alig» immurabile,& aec  entia creata funt con ingentia, et mutabilia,ergo nequeüt caufarc fcicatiam neccífatiam,& Pee TUM $«quia intelle€tus e(t mutabilis, ergo nequit e(Sc (ubie&um alicuius immutab:lis, ergo non re« quiritur ad (cientiam nece ffitas. Tandem cuidentia non affignatut ab Arift. inter conditiones (cientiz;qua ratione Thcolo ia noftta, etfi cuidens non fit, dicitur à San&is Patribus (cientia, quia talis habitus nequit redaci, nii ad habitum fciétiae inter omnes habitus inte T1 9 Reíp.ad 1. ex dictis in 2. p. In(tit. trac. t.c. 4.caufas (citi nó per alia fcietià, fed per apprehenfionem terminorum, et per habitü;qui dicitur intellectus . Ad 2« concluíio cogaofcitur fub propria ratio ne,(cd dependenter à pramifsis, quod e(t cognofcere abíoluium cum relatione cffectus (altim virtualiter ; et implicité » q» non implicat . Ad 3. iam diximus non tcquiri incorruptibilitaté fimpliciter quam alij vocant incomplexamyfed comlcxà » et ticde corruptibilibus ; quatenus (unt corrujxibil;a y datur fcientia, quia. vt fic süt incortuptibilia incorru ptibiliate cà plexa propter necefsaiiam habitudintin repertam iater hoc predicatum eotraptis | bile; ] . "A e pem Wi. :, Quafi. Quid (it Scientia üitio veritaus y fed vel demonttratur ecylp(is ó adapcitudinem, vel eclyp(is a&ualisde Luna in tali (itu, et ordine di(po(ita quemodo conficiuntur propofitiones ne cefsariz ; non tamen cau(antes fcientiam perfe&ilsimam » vt difp.feq. q. 2. art. 3. effe&us ctià per accidens habent (aa przedicata císentialia,& paísiones de ipfis demonftrabiles, et vt tic pofísunt dici entia neceísaria ; et à (cienria contemplantur. Ad 4.refp.Do&tor in 1.d. 3. q. 4. L,obiez €um non quatenus mutabile caufare notitiam immutabilem (ui, fed potius quatenus natura, et quia natura obiecti mutabilis habet immutabilem habitudinem ad aliud; poterit gignere notitiam fui ipfius immutabilem. Ad $.refp.DoGor lit. L. duplicem mutabilitatem eíse in intelle €&u, vna eít ab affirmatione in negationé, et e conttà,. (à non intelle&ione ad intel lc&ionem; et é conucrfo, alia quafi à cótrario im contrarium, putaà rectitudine in errorem à veritate in falütatem, pri« ma femper incít intelle&ui, nec impedit fcientiam, quia opponitur immutabilitati fimpliciter parum n. refert, quód fciétia dcflrua:ur quo ad entitatem ; Íccunda conucnit ill; circa complexa, quz non habent cutdentiam ex. terminis, at qua babent cx terminis cuidentiam, poísunt cau(are notitiam immutabilem in intcllcétu, itaut non pofsità (cicntia ad crrorem mataris& hoc (fufficit. Ad vlt. cuidentia datu: intelligi ab Arift. vcl per cer titudinem,vt diximus, vel pet ly quoniam illius efl caufa, am fi intelle&us percipit abitadinem cauíz ad cffe&u, et neCefsitatem illationis vnius ex altero, habebit dc illo cuidentiam, et fatis declarauitipfam, cum definiens demonflrationé dixit ex notioribus, et immediatis conftare. Theologia noftra improprie, et latiori vocabulo dicicur fc ientiancq; proprié ad vaumex quinq; habitibus intelle€tus reducitur » fed ad alium alterius ordinis ; nili velimus dicerc cum Scoto ad: f1pientiam aliquo modo fpcctare, quatenus cft de pe imo; fumio ente, is.  D ct TT " b » z x m bile Sra phyficts Luna nó demó. i 0000 frator eclypfis fi ter; nam non fie. AM o. UC fi jer necefsaria, et f(empiternz De Ostetto $cientia. 10 (V afciétia relatione trá(cédé&ali referatur ad (cibile, vtad obie&um;,onon pofsumus exactam habete cognitionem naturz, et quidditaris fciétiar, nii naturam y et conditioncs obic&i declaremus;à quo císétialiter fpecificatue, et proprias (umit denominattones, et có ditiones;vt autem di(tincté in hac re pra cedamus,(upponendum ex dicend's in» fta (cientiam fiu a&ualem, fiie hibituas: lei diftingat intotalein, et vartialem; fcientia actualis. pariialis eft. cognitio. vnius conclufionis invna demonfttratios ne demonttratz, vt cognitio hu:uscon. clationis homo eft rifib:lis,dic:tur fcientía actualis partialis de homine; cognitio huius conclufionis, corpus sint a ett mobile ; cít (cienua a&ualis partialis de corpore naturali ; (cienria habirualis parualis eft habitus cuiuslibet conclufionis. generatus ex frequentatis a&ibus circa il lam conclu(ioné,.ui fant (cientiz a&uales partiales, vt liquis fiepius conficerce hanc demóflrationem, omne habens. na turam c(t mobile, omne corpus naturale e(t habens naturam, ergo omne corpus naturale c(t mobile  acquireret habitum quendam in intellectu inclinantem ad eli citionem liuius conclu(ionis tantum, non alterius, quia cx iftis adibus c(sct genitus,non cx alijs. Scientia. actualis totalis cit ex pattialibusactualibus coflata, itaut cognitio ómnium pafsionum demonftra tarum de aliquo (abic&o,puta de homino;vel corpore naturali erit fciétia actua lis cotalis de homine; vel de corporc natu rali:fcientia totalis habitualis eft habitus ex fcientia totali aQuali (zepius iterata generatus inclinans in conclufiooes (c entig totalis actualissquomodo vcró higcfcientia toralis, fiue a&ualis, tiuà habitualis y dicatur vna, declarabimusq. feq-Hocpranotato,priusdiuerías acceptioocs fu« bicéti, dcinde conditiones (ubiecti ades quati et attributionis Ícientiz, quod ne« mine (ubiecti (cientig datur 1ntelligt y. apcticmus « "  ARD $34 AiR TEICVLVS d... Quid € quotuplex fic abietium M un ce feiert MADE '1 C Voicühie mimus non pr fu-. «9 bicéto informau onis »(cu inbc (io nis: quo fcnfu paries. dicitur. fübiecium albedims.& iotelle&us fubie&um fcientiz,inque fübic&tatur, neque pro fübie&o proponi onis » dequoaliud dicitur ; neq; pro-inícrioriyin qua accepuone. Io quitacArilt. in illa: tegula; atepraidic uando-alterum de altera predicatup và de fübielo:&c. vcl alia «onfimili acces tione,(ed profübic&o;circa quod. qui « dibesfticmtiascratan quo. Aritt..1, oít. 149. ait vDam (cieptiam vnius cle; gena zisfubieéti j et fubicctum dicitur, vel in otdinc ad paffiones, quz de ipfo demon: ftrantur, vel quia quali. fufteatat toram fcientiam, et balis cft ac fundamenrum ipfius ; (olet ctiam dict obie&um s (um; gia fimilitudine ab.obie&o potémtizfi c €ut.n.cx eo,quod obijcitur. vna ».dicitur obiectum, ita quia fübie&tam. quafi fcientie obijcitur 5 vtabip(a cogno(cas turjdacitur obicctum;appellatar quoque materiacirca quam, ab atte delimpta.a mctaphora;nam (icut ars circa propriam materíam ita verlatur, vtextra illam noa tendat, ita fe; habet; fcientia circa, pro priam fub:e&ümiquapropter hi c uomi-, na idem tignificant,quamuis ab aliquibus erm diftinctioaffigneturs «56,5 : Hoc fübicdum primà. diuidi. folet in €otaplexum y et inincomplexum., com plexurn eft ipfa conclufio. denionftrauo nis coguitàsX Vy tole ibu(dam! obe: €&um,nam quod fciturseft canücsio prae: dicati cclbieGid ib: denonftetilete per caufam déoyonfiráta crgo ipfa: con-« utio '&üm fcientia squa eft; no « titia cóclufionist. reli illud y quad.inéonclui ie ctu A pais fro ác ipfo demonflratur;& de ifto.iniel-. ligitur communitet cà de (übiccto de, fcientiz inftitauntar qüzftioncs, pam ex: hoc poftea maaifcflatur, quodnam fit.obicétum complexum fcientiz «| 0c 12 Subic&ü incomplexum.dupliciter: Accipi neo vcolligturex Sco, q.. 3. Dij; X LL De Qtinl  cipitiyueqspa(Bo aliqua pot vete diet iat folum pt principii, fcd eciam vc fpecics  (ue oci mcg 10;:lis confiderctur: y. Prol.$.vel comumatiter et fic . qiodàdcicniacó dera Íestiucingr ; di piuca, Gu paffio pozaitidici reri erp tumida. Aug. 1.de der. J» G!e&tS.Orig nis doctrina «cl eernauefyyel va $ alio modo proprie, et forenliser, gii illad quod» &nis (eieyi de habiety ung tiam cuiusegtera coDÁi decandur s; por: additestitaeeeptiog di. quo Gim:trüs pco fülaiq&to poadiestuo nis » dicitur ids quod deotnlio fcicna: cona fidexatp pragdicatit oi m MCTaDPMS phiafophia,quódsàm deor Lip c4 depazeria y formas) caus y. ele. nentis pradicator,cnsrauonis ;sclfecanda in:   tentio in Logica AtitUfedproprisaceee    prio.eftinfecuada.bgmficarione. .,o  Subic&um ineamplexum, süe ptum diüiditarin totale; Gcadequaiumi   et in pattiale y:primuaxielt. Gn; toris (cicntiz in citius explicauioné rora (aens eere hei eri e t it j9:9t ipijus conlideran vnde ; Biectum atrii uonin dics (olet. eo. quia omnia in (cientia coní, att ribürios nea habent ad ipfum ; Gitimin (fe [cis bili 4 quia vcl.(umt (pecícs cius y vel prins Mimi palfioncs, vire m RO num riordm; aur a ja 1 Lfatiogc; E diciturtotale in ordinc ad tosalem:(e tiamà:qua refpicixur; dicitur adasquatà y qhia;it cientiam taliter adequat. vcnon execdaryneque excedatar ab ipía. i i ida MA nidiad perfe&tam«ogniuos    nem pettiocr hujus (bier c onfideretub à (cientia;& nihil eontidereccienzia qi adipfum noriiceducatur« Subicétum pate: tiale groptiéet i(pecies:aliqua:conrcata; fuliobicéto tetali ;quapropiet fgientia fiineGtima : partiale s ecfide: illis; peculiares inflitaantuc era&tatusin;fciene 1 uayná r. Po. ibet (cient ia hace óc: tta diticcüco lub ;palTio, 3 prine: | cipium;quate qu tantum-toncem; ponaipys.vebpaflionis nunquam. debeo piro (abiecto pattiali a(licpárt ; iaz (1 nen | tunc V f vat. EDS "T" MO 4M "s dift. cofrtirponifabieéta partioles excm: plugs Depsin8.phyfi foJumniodo confi», dhraiur, vt pryricipiem motus axerois ma teBs prima copre ene m tismaruralis y 1d eo ia po(Tant; Eo senspisad, how prier pbieétum;cxtend Irádsy. ep qua» cynghc mode donGdbratuc à fcicurias: at cIpmeotà yquinnon folum:fanp principia miktorumsíed-etiam-fpecies«corpausnap pesar 4-rererlariotr eod | parvialia Pbilofophiz;Hoe fibie&nn deinde diaid;ujr in pécncipale y quod erit digniot.fpeciesadaiquarizabiedli y et an minus jirincipah:s:quod crit fpecies. mia kien $i quod firpet obie&tum princi: de inielligauitidyd quo, pra cipe: x tr inÍcientiaot videtar Ouuicd, intellis gerecontrou, 1. óg.pinc.r.am.coincis eic cum übic€toatcribucionis;quod aduer tendi -c(tne fiia quiuocatioinnaogine, 71:34. Smitinclo in proe Theolq. 1;nui 4Ppugnat iftam diuiion£y ncgac.n.(u bieQtumadquaam formale: potic: diui« dii plara ptcaliufobicta fed vnicum e(Teaic;& mdiuilibile;to quía per Scotum Q»3. prol; $.De fecendo dicoy(übie&ü debet viraliter primó,& adequate conticte omnes vcticates fcientizr;at (i. diui (iile effecin plura partialia (ubieGa, non adaquatécótinétet, virtualiter. veritates jnfcriorum.Sed pró impuguatione. buius £enrentias (ufficit coómgnis c us Do -&orm cii Scozo q.3.vriiucr.ad 2. princ.,&if principio. cuntslibec: libri Logica; sebidiuesfa a(fignat. parrialia, fabieGa..» fluxta libéorum vérirauemy& 1« Men qa. i& lib.6.q. x. hà diltidcttonem femper yt -vcrom (ippoo:t;Sc pluracótra. ipíum di,&eiius art api&eleq.. o (082132 bt £151 ai sHurziditpotLog.fec.r.& difp.r. Met. pit 1f e&t. 3.56 4. quei (equitun Ar -ffiága diíp. 2. Loga (cc. z.& Quuted. ab -Anitibdbogitz i mpuguat  diuifionera. a(-igaamamtanquam»ocabulis ábutentem, -«& :ontufionemi. zigüencem : y». concedit rn. bbacétadattribur ionis cífe illud 5,ad : quod àmitairedncücury et auribtiriotiem habent (quamtisidicreper éc i expliea; tione hatüs aiuriDatipnis, vc infra árt«6. )  fcd négàchoc óbicctam totalc dici» et ai125] .II Quid, cn qinefler ft dc io, 1. desptin ARM dplv"! elt agere gartoomnüium;quajn feienua cognofcum. turspurà fiin Pbilofophiía ;£oum hz pro. pofitionescon(idetac& um e[L in», corruptibile; homo cfl riftbilisy mareria: cfi potentialis;Celum;hómo;, X materia. cfleriradzquatü'fübie& üs& totale; Dhys lofophigsincortuptibiles t'bilesSe-po tialc praedicará totale. ynio adz quata ehe. fezticsiconnexiones: itatum propofà ríams&cifta tria fubic&aytria pradicata yy et tres yhtones cfienr obiectum, MR : umi (fecundum :n, ipfum fnbicétum difs fcrt ab-obieéto;q» (ubiectum eft, quodam, conclufione fübrjcituz;obicétnm elt: tora, conclufio):& quodlibet (eorfim etit pans. tialedübiectum;vnde fübicQum atttibutionis etit par$ adzquati obiecti ; qp aliai nomine obieétum. proptiam.cOmuni(sis murn vocatur ab.ipío. Quera ctiam dicéà dimodum cx noftris iudicat. probabilem Poncius difp.2.Log.q. 20a inquit (ciés tiam adbuc retinete pofie (uam.voiratemg ex patte, obicéti : quamuis riulla ynum e(fec.ciusobicétü adzquatams(cd potius aggregátum ex omhibus., quod e(t manie fcfté contra Scottim q; 3. vniuez(al. et q» g-poloe li alibi frequente, |. 0n "r4 Hacth opinio-potius immer(a.mg net in cófufione illa, et vocabulorü abus (usqué tribuit alijsquam aliquid. clatitae tiscontineat;etenim ab omuibus fcré Do oribus obieétum'adz quatum, .& tota" le cum obiecto attriburionis «afunditür -& códiuones aísignantut, :& in quz (tio-nibus de.homine commuhis opinio facit veritatem; vt notat. Bart. in de »inore .Plurimum;ft.de qusfl. circa finc; pra iterquadi qp riegar obiectum adiequacum -& tótalcjà quo fpccificatur fcientia, vri2 -tatem.aliqua aecefjarià babege » quod ef kc falíam.oftendcemuas qe  -. | Rurfastolet obiectum diuidi in mates -riale et formale,qua diuifio cft valde go itanda;nà cx ápía;peadet deci(io quzitiomis fequentis ; cd. mirumcíl, quàm ünc  -imtertevarij praeruim recentiores tàm., ."Thomittz,quá Scocin hus rei explicae :tione;Fuétes q.3«Log-diffa Act, 1«explt| cát obicctá formale illud cifeycp cit ícien" | tic adequatiquia per. [e à (ei&ria attingi tut» ZA 7 $56 tur, materiale vete effe inadequatüi,quia ingratiam adequati obie&i contempla£ür à [cientia, vt color cft obie&um. fot. 1Dale vifas,albedo vero. obiectum matcxfale, citatq; Scotum ini 2. d.2 4. E ; ad 2. princ. Hanc eandemexplicationem, dant Recentiores przfertim Hurt. Ouuied. et Ariiagacit. dicüt.n.obiectü formale cffe allad;quodper fe intéditur à potentia, nó proptct aliud;materiale;p in gratiá obie&i tormalis cognofcitur, vel appetitur à potentia, fic inis cft obie&um formale voluntatis, media obiectum materiale, premiflz funt obic&ü formale fcientiz,: «onclatio obie&um materiale; quia conclufio cogno(citur propter przzmiffas. " 1$ Sedcotra Fuétes eft ipfemet Do&t, 3bi cit. qui ex profeffo explicationem ill ympugnat, et valde miramar Fuctes pro fc citatle Doctorem,cum aperte ibi dicat -albediné, quamuis obie&um inadzquatum;ciTe formale obie&tam vifus,nó matcriale, co cuia color in comuni nonvid e tur,& fi nullus efletinteile&us;qui colorem io cómuni abftraheret;adhuc oculus bouis videret albumj& nigrum. Tà quia tàm adzquitum ob.e&tum, quàm inadzquatam cit diuriibile in rónem materias Yem,& formalem, vc corpus naturale cít Obicétum materiale adzgquatam Phylofophiz, vt naturale cft formale adzquatom Celum eft materiale inadaquatum, Quatenus naturam haber. fimplicem, cft ánadz quatum formale. Per quod patet ad Huott.quamuis:n. explicatio illa reété o:biccto matcriali, et formali voluntatis adajtati poffit, non tamen refpectu intelIcctus;nam fic folum atttibutionis obielum cüiet obiectum formale. Tum qnia "fi piamitiz c(ient obic&ü formale fcientiz, cum habitus ex obie&to formali fpccificentar,nulla effet differentia inter ha: "bituto principiorum, qui dicitur intelic€tus,& habitum fcientia, et falsó diccretur fc. édam efle conclufionis, intellectü "verb principiorum, nec cft par tó de finc teípcQu mcediorü, et pram(Tis refpe&u " conclu(ionis, quia vt ait Doétor 3.d, 28. in fmcyibi e(t vnica bonitas mo'iua y bic «luplex veritas;vt fuo locodicemus. Tum quia quagnis pramüls (py aula cfliciDi, XILDesdmid i 5 "CSV (ro VERAT «vH 2» cns conclufionis,non tamen fant finis fed potius conclufio eft finis, vndeconcediturconclufionem cognofci per premifas, negatur verb conelufionem Aie pos 2 pterpremiffsquialypropterimmuitcaus falitatem finalem,imo przmiffeafumun  n tur in y CEDE Reus conclufionem; 16 Alij Thom. obie&ü materialedio cunt efle, cp pet accidens à fcientia confiv deratur,,i.non per feattingituryfedróne   obie&i formalis,& iftud erit,g perfe, &rónefuiconfideratur,vtlapisróne füinó videtur;fed rónc coloris, h'nclapisdicie turobie&tum materiale, color obiedunt formalevifus; In hocauté formali obies   Go duas rationes diftinguunt, rónem f, formalem qu4,& eft res illajqua attingi tuc y et vt in efle rci confideratur, quz o« bic&um formale quod €t vocatur, et tae  tionem formalem fub qna, et eft ró illa e per q res ineffe rei cóftituitor in effeos biecti, et fcibilisetenim resaliquapoteft   eflc in fc ipía confiderata obicdtü diuerfarum fcientiarü, vt patet de homine, qui vt ens naturale pertinet ad Ph; lofophià,vt (anab;lis ad rnedicinà, vt dirigibilis in moribusad moralemynataralitas, (anabje     litas, et dirigibilitas dicuntur rónes fub quibusynam per ipfas homo fpecificatur, et determiatut ad hanc. vcl illam fcicn« uam;& folet quoq;appellari obie&ü for» maleguo; Aljveró hancrónem vocant per quamy(cà propterquam quia eft mo uuum affenücndi coclufioaibus, quos fe quitur Meuriffein Met.q. 4. proc. et ra«.  uon fub qua aiunt effe coditioné. quàdá obic&i, tine qua nó poffet intelligi, vc eft vniuctíalitas,vcl abítra tio à matcria,vel lumen aliquod ex paite potentiz,quo pot&tia ad certum determinatur affenfum, talis eft lux refpeéta coloris, qui.l. ft im   fe viibilisltimaté ch a&uatur perlucé,    et alij aliter explicant,vt dicemus q. (eq. 17 Expeditiustamen dicédáà có Do q.3.prol.$.ex bisiuxta expofitioné. Lic. ibi. verioribus Scotiftis, imó cum ip» [o D. Tho.2.2.q.1.ar.1.vt fatentur Com plut.difp.14prog.q. 2 .quod obie&um ma stiale fi: res que confi deratur in (cien tia, et dicitur materiale obiectü proptet. indiffcrentiamquam habi, vc à Seit, c«ent isdem ceci  irs $. II. Quid, ef quaipl. fe biet Sls. o1. 935 fcientijs confiderctur,& à Thomiftis di£itur ro formalis qu& ; obieGum formale £ft ratio illa,(ub quà confideratur à (ciétia, vnde modus confiderandi dicitur, et fc habet vt differentia cótrahens rem có. fideratam, et materiale obie&um ad definitum, et proprium modam confiderádi illius cien, per quem modum vna Ícientia ab altéra diftinzuitur, quaniuis eandem rem«onfidecent,vt patet in exéplo addu&o de homine,ita Acift.z. Phyf. 17. Hictamen eft not.cum Zab. lib. r. de nat.Log.c.8. quód cum modus contidefandi có(titaat obie&tum in efse obic&i talis (cientiz, et confequenter fit ratio €ur paffio demonftretut de re confiderata,vt naturalitas,qua cft modus con(iderandi corpus naturale à Philofophia, c& mcdiü ettam demonftrandi pa(fioncs de ipfo corpore : hinc fequitur, q» non debet modus ifte coar&are rem confideratam lecandum effe; quod habet in fe, quaá qj res confiderata pluribus inferioribus coüeniat, quàm modus confiderandi, ficat babet animal rcfpé&u rationalis, fc folü debet coar&are in efse (cibilis, quatcnus.f. cadem res, quz indifferens cit, vt (ecundum diuerfa pr dicata contidcfctür, à modo có(iderandi coar&etor ad,& non illam con(iderationé;fed in t€ debent effe zqualiter communia, itaut dc quo diciturres coafiderata, dicatuc Cc modus con (iderandi,ita fc habet naturalitas refpc&a corporis naturalis:ratio hu jus eft, nam fi vnum excederet altcrüm ; iam cómitteretur error ab Arift. a(lignatus 1.Pott.c. y. .f.qubd paffiones demóftrarentat de fübie&to non primo, et inadzquato ; puta fi aliqua fcientia confidefarct animal quatenus rationale ; et per tationalitatem de animali demonftraret rifibilitaté;vcl fi aliqua (cientía per fenfitatem de homine demóftraret patfiouem ipfi conticnienté,quatenus fen(ibilis «ít, iam pa(Biones demonftrarentur de fubie&o nop proprio, et inadzquato. Poncius hic difp. 2. 1.0g. conel. 2. valde infudat; vc affigpact obic&a formalia diz ftinGtiua fcientiarum, vnd? ait, quod fi comparentur duz fcientiz diftinctz habitz dc cadem propo&tione qopplexa: ad (cinuicem, mom diftinguerentur ec parteobic&i formalis, vefma:erialis vla ratione, fed ex patte principiorum diucr(orum, quibus ofteaderetar illa cadc conclu(io in diuerfis (cientijs.Sed que it. feq. art. r. n.63. oftendemus hanc ditt intionem ex patre. princip. orum noa eíse primam, 2t radicale, nam ideó diuer(ía 1 funt principia, quia diuería cft ratio fre malis obic&orü, vnde omnis diftitdkio, et vnitas (cienciz à diftin &ione,vel vni. tate formalis obiecti trahitorigmem. 18 Quapro tcetabíec&tim cópletam,.   kno jecificans (cientiam, ips    famq; áittiosueas ab alijs fciencijs nom; e(t materiale canculn, vel formale (jlam;  fed ex vtro |;toattitatam, nam vc notat Didac. à 14i in Log q.3.proce, neqrfa nabilitas vt (ic conttitiat med;cindyneq ; dirigibilitas Philofoghiam morale:n, fed lio;no quatenus fanabilis, vel dirigibili$) et per vtrumq; coaianctm refi Pond e debemus ad interrogationem, per qua (fubic&um quaeritur alicuius. fcientie, (ic Corpus naturale quitenus naturale eft fubie&um Philofophiz, ens in quantam ens eft (abie&om Metaph.vbi ly 22 q43tim non fc tenet reduplicatiue, vt aliqui Scotiftz a(serant, quia runc facit fen(am reduplicatiuum,quando particela;cui additur, eft caua, vel conditio, cur przdicatum conuenit fübiecto, vt diximus t.p. Inft.tract.r.c.12 modó neque naturaltta5,n€q; tatio entis e(t cán(a,cur hoc predicatum .f. efse fubie&um adzquatuat Philofophi vel Met. conueniat corpori, vcl enti, rion .n. valet arguete, corpus naturale. eft habens naturam, fcü liabet naturalitatem, ergo eft fübic&um Philofophiz, fcd cana eft, quia hibet omaes conditionesadzquati (übie&ti ; quaproe ptetly in quantim tenetur (pecificatiue, quia fpecificat rationem,fecmdü quam cfse fabie&uni competit corpori ., Verüm vt clatius páteat, quodnam affinir debeat pro fubie&to adequato,8c Fibutronis in (cientia, debemus conditiones necefsarib" requifitas inqüitere, quz varié à/Do&oribusaffignantur, itautab aliquibus quátuordecim poaantur, irà Bonctus 1«Vkt, 6:3. Fland. jor ue v 853 Difp. X IE fed communior fententiaelt, quod fint trcs cum $coraq.3. Vuiu. ad quas cecerae reducuntur inftà n. $ 4.rcfctenda,ad quazum intcll; gentiam faciunt feq. atc, ARTICVLVS An de fubietto debeat pracogno[ci quin cft, fea existentia. 1 Vo quarit quz tionis titulus,an ? D «f. bs (ubiedto in fcientia prazfüpponi debeat, quod habeat exi (tenu; itant nullo modo poffit in (cientia demófirari, deinde (i debet pre(upponi, quanam fit ifta, actualis n€ vel aptitudinalis,anfalimobie&iua.   TE nid primum, coómmnis eft opinio apud Recentiores exiftentiá (ubie&i non ofsc demonfirari in [cientia à prioriyfcd ené à poftcriori, ita Io.de S. Tho. q. 24. art.1. Didac.à Ieíu difp. 16. q. 2. in finc. Morif.difp. 11.q.2.ar. 2.ex Scotiftis Lich. -3«prol.$. 4d argumenta alterius qu&« ionis, Barg. ibi. $. $eciido quia per omné. Ttób.12.Met.q.2. Ant.And. r. Mct. 1, Faber theo. 2. et alij . Tat. vero 2. ofl.q. 1.dub.3 concedit pofse &t à prioridemonítrari, quem fequitur Amicus traGt.2 $-difp.2. q.3. dub. 4. et probabile putat Daísol.q.5.ptol. $. /£d rones eori. Alij admittunt de partiali negant dc totalijita Sonc. 1 2. Mct.q.2. Caier. 2. Poft.c. 1.dub.8. et alij apud Amicum cit, Tandem Zab.lib.de trib. pricog. c 9. Suefs. 1. Met.q. 1. Baldu. in proprio queito de hac rc, abfoluté negant fübiectum inia fcicatia demonttrari poíse,quo ad fi eff, Ícd neceísarió przfupponi . Quo ad (ccundum;qui affirmát de cnte tationis dari (cientiam,concedunt (ufficere, vt de (ubic&o pracognofcatur exiftentia obic&iua ; qui negant dari,de ente rationis Ícientiam, con(equenter afferunt requiri:exiftentiam realem : Sed ifti (unt. intcr fe diuiti,nà Caict. 1. Poft. €.1, Tol.q.vn. ad 5. Niger in clyp. q. $« in Porph. a(serunt prz fupponi debere exi ftentiam actualem tcalem, nó quam fem. per habca:,fed faltim flatutis à natura téporibus,vt quod roía in Vere exiftar,vel quod aliquando cxtitcrir )fjué in (c, fiue non habet,nec ad inferiorem ; De $denia. | 5000 [£ ' in (ao contineati virtualiter, Ruuius autem 1. Poft.c. 1.4.2. Blanc.in Poft. difp. 3 [c&.4. Amicus tra&. 27. di(p. 4q. 2. dub. 1. (uftinent hoc non e(se deratione fcientie,ad quam fufficir;vt aptitudinalis cxiftentia (ubieGti prz(upponatur,fed ratione noftri intellc&us fen(ibus alligata císe acccfsarium, vt femel ltim habue . rita&ualem exiftentiam. 10 Dicimus primó, fi (ciétia amatur pro toto proceí(su cognofcendorü in aliqua facultate, poterit probare exiftentià ' fubieCü tàm partialis, quám totalis à po« fteriori,no à priori, faltim pro ftatu ifto. Conclu(io c(t Scot q. 5. prol. V. 1. Met, P 1. et q. 5. Elench. € primó quod E 1t à pofleriori probare exiltétiam fübie &i,(iué partialis, (iué totalis, patet; nam Deus cft totale fübie&um in theologiag quz tamen oflendit Dcü effe, Arift.probat per raedia phy fica exiftentiam fubie. &orum partialium philofophiz,vt ex fer ri (ur(um ad extremum exiflétiam ignis, €x unotu circulari cxi ftentià caeli, per me dia metaphyfica exiftentiam Dei. Tum quia poterit obie&um aliquod effe !Enotum, vcl faltim à proteruo ncgari,& fcictia habere fufficicns medium ad oftendédam cxiftentiam, vt patet in exemplis adduds, ergo abfq co,quod recurrat ad fü praem cientiam, ex fe poterit fuü fu ic&tum firmare . Tum quia metaphyfica cít omnium naturalium fuprema fciécias ergo ad ipsà pertinebit probate dari pro priam (übie&tum,non ad fuperiorem,quá avt ar» guit Doctor in prol.cit. hzc (cientia cflct prior roctaphyíica, ergo fi metaphyfica poterit hoc praftare, ctiam alia (cietiz » fi propria habebüt media;cü fit eadé ró» . Secüdo quód nó poffit à priori; prob, uia vel loquimur de exiltenzia actuali, de ifla, cum fit creaturis przdicatum contingensá caufis contingentcr exitten tibus caufatum nog poterit confici demonítratio rigorofa, qua cft cx ncccífarijs: tum qui fcienti abit ab cxifi contia aciuali fubicéti; enti veró incrcato quamus fit efz fentiale pradicatü,non poic(t tame oftcdi à priori nili per dcitaiin, u nate klaLter vt dicemus fcq. concluf.  | 4 D " 1   bitum, nec repugnans, et hzc Q.II.c/fn de fubieclo precognofc. quia eff. erlL $39 taliter nocognofcimus, ita Doctor in t. d.i. oe vel : uimur X exiftentia apti ijqua fubié&tum eft ens quoddn poflibile inrerum natura non prohi quamuis ntce(sarió cóueniat fubie&to, attamen nó poterit oftendi, nifi concipiendo faltim rationem explicancé fübie&i nomen nul lam includere fal(itatem, néc vnam particulà alteri repugnare, vt facit Door in4 d. 1. q» 2. art. 2. oftendendo Sacramentum nos vencer se ia, inquit; nulla particula defcripttonis [menor t alteri, vnde nullam includit falfitatem, quia ex d: Met. c. de fal(o,nulla ratio eft in (e falíay nifi partes inter (e contradicant, et per confequens Sacramentum non erit purum non ens, et impoffibile, quia nihil eft parum impoffibile, nifi cuius ratio eft in fe falfa ; ficà pari eei deeie s poffibilis exiftentia fübie&i ex hoc, quod tatio an fius nullam in fe includit falfitatem ; fed hoc eft procedere à pofterioti, non à priori, quod pt » quia veritas, vel fa!(itas (unt effe&us poffibilitatis,vel impoffibilitatis entis,ex eo .m. quod res eft; vcl nom cft, oratio dicitur veta, vel fal(3, non € contra, erzo &c. z1 Diximus fi (ciétia fumatur pro toto proceffu,& c. nam fi rigorosé accipiatur pro notitia conclufionts demóftrationis potiffimz, inqua paffio de fubiecto ftratur, fic neq; à priori, neque à ofterioti poterit probarr exiftentia de abiecto, fed przfupponi debet;quo fenfü intelligédus eft Arift.cum r. Pott. c.2. dixit de fuübic&to infcientia przcognofci Civ ds Diximus etiá, quod faltim pro atu ifto nequeat à priori probari poffibilis exitlentiz; quia fi quis diftindté,& in (e perciperet v.g. animalitatem, et rationglitatem,poffct forcé concludere pof fibilitaem de homine ; vt ait Doctor de .exiftemtia actnali Dei in r.cit. Sed contra arg, primó;quod nullo modo poilit infciéia. demonftrari fubieGti exiftentia . Tamex Arift. dicente fübie€tum fupponi in fcientia, vt finem, item exittentiamad metaphy ficum perunere » ficut quidditas ab ipfo cófideratur,quaré non poteruntalizfcientiz oftendere exittentiam fubie&i « Tum 2.quia fcientia pendet ab obiecto,& fi datur fcietia datur etíam obie&um 5 ergo (i dubitaruc de exiftentia fubiecti, dubitaretur etiam de exiftentia (cientiz, quia fübie&ü eft bafis, et fundamentumícientiz. Tum 5, fabie&tum cft maximé notum omnium, Pi funt in fcientia,ergo nequit eius exi entia demonfítrati, quia demoaftratio ex notioribus procedit. Tum 4. fi probaretur per m, hoc effet in virtute connexionis effe&us cum caufa, vt li diceretur, fumus eft, ergo ignis eft, valet confeq. propter neceffariam connexioné fumi cum igne, quz debet pracognofci " ergo ante i(tam demóftrationem (upponitur ignisexiftentia . Tum $. quattio fi efl ab Acift. 2.Poft.c. r.appellatur que ftio toria uia querit ed ran vtan homo fit, vbi q(tio qualis fit, dicit quzftio patio red icis fit albus, nam non quzritur totus bomo, fed aliquid de homine,quare fi quis fübie&tü (ciétiz negauetit omnia, quz funt im ipfo,auferuatur, nec aliquid remanebit ad demóftrar dàexifl&tiamaptum;dicitur&ab Arift. ibi-quz (tio fimplex,& incoplexa;fed demonftratio eft complexoram, ergo &c.ir Refp.ad:.fubie&um fupponi im demóftrationibus à priori, et etia in illis à pofteriori ; in quibss concluditur alig» przdicatum (upponens fabie&i cxiftentiam, et effe verum ipfius; non tamen eftneceffariü fupponi intoto proaeffu fciétiz in quo debet prius inueftigari,an (ur biectum (it,fi eft igaotü,vt poffimusdeinde demonftrare pa (Tiones de ipío;namm fubiectum,cum fit finis, eft primum primirate intentionis non executionis,quarc poterit prius in (cientia tractari de aliquibus canquam medijs quafi inferuiétibus ad indagandam ipfius exiftentiam « Nec rerü cxiltencia, et quidditas in p ticulatiad metaphyficum (pe&at, aliter deberet ad oia genera de(cendere, et fic milia daretur alia fciétia prater Met: fed folum in communi . Ad 2. dicimus fciene tiam poífe probare ye (ui (abie&ti exiftenuiam,quod fufficit,vel atfumptua cffc verum dc (cientia in rigore, non de toto " €V CBRENMGÉGG h e   o A OT ANN totoroceffu fcientiz,in quo poteft. dari aliqua demonftratio, qua fit politio, et quafi proic&io fundamenxi totius fabri€2 (cicntialis, vt patet dc domo, in cuius adificaucne ctiam fitfundamentü. Ad 5. verum e(t modó fübiccta fcientiarum cífc maxime nota, et regulariter raro probatur ipforum exiftentia, peterit tamerr à pofleriori probari per aliqné effectum. nobis notior&. Ad 4. poterit probari vcl cx non implicantia rónis formalis fubieGi,vt diximus in prob.conclo£ vel ab cífc&u,in quo repetiauir aliqua condirio!. exquainferatur connexio effe&us cum. éau(a; et confcquenter exiftentia. caufasvtdocctScotus in prol.cit. vbi ex dependétia;limitatione,& imperfectione créa türz arguit cxiftétiam cause independétis ilimitatz,& perfectifsimz, qualis eft proque fasé,& (übriliter deinde proquitur ín 1.d. 2. q, 2.à litt. G.vel tandé (vt exemplo de fumo addu&o fatisfacia1nus) (i connexio effedtus cum caufa de: ct pracoguofci ante demonftrationem;: fufficit, vcl quod habeatur cognitio aptitudipalis exiftentiz, vel faltim cognitio eonditionalis,putà fi fumus cft pofsibilis, ignis ett polsibilis, fed fumus cft ens potfibile,ergo ctiam ignis. Ad.$. ctiam( du-biteutc de toto fübiscto adhuc remanebit aliquod medium à polterioci ad oflédcndam ipfius exi flenciam s icq; dicitur quettio (implex,& in Icxayqua(i Gt gpurtiendo tecmini (implicis(cd quia. . t per propotitionem dc z.adiacente, iri epa verbum cfe fimpliciter, et folum pr &icatur de (ubiccto,vbi in qua ít ione qa Vis fit, fit propofitio de 3.adiacéce, X pr dicacum dillinguitar à fübie&ro,& copus Ta: 5 imó ratio cítad oppofitum,quia fi ati fio eft quaflio,erit propofitio dubitabilis, ergo'poterit probari: per fyllogifgnum,crgo noti erit quid iacomplexum « vide V. Fabrum loc. cit. 33. Sccundo € conua, qy pofsit à prioti demonftcari Tum quia poteft fcientia à prióri fua: principia demonílrate, vt cà «x definitione invno genere cau(zé ofteridicac definitio in altero genere, vt facit Anf; rPolt.vbi definitionem formalem demonfirationis probat pet. dofimitionó . puum yt prrgioni pit cone Ep 1 K.& 2;d. 3.9.9.B.& prob. ab ipfo, quía 1 did Pod materialem,ergo poterit étiam fübicctd . proprium demonítrare à priori . Tum 2... quia exiftentia aptitudinalis per fe con« uenit fübiccto in 2.modo, (cd omnis rali. Wopohrio eft à priori demonftrabilis .,. Reíp.ad 1.difparem e(Te rationem, nam: cauíz pofíunt cfic. fibi inuicem cau(z y. et idcirco poteft ynum przdicatum. demonftrari per aliud notius, at exifentia aptitudinalis, cum fit modus intrin(ccus: rci, nó nifi à priori per quidditatem pof(et oftendi,qua pro ftatuifto nó ita pere fc&é concipitur, nifi in ordinead com« pofsibilitatem, vel repugnantíam conce pofteriori; cui accidit quód modus intcin(ecus nequit cócipi fine re cuius e(t modus,neq. poteft apprehendi res aliqua vt verum ne potens exi(tere con cipiatur, quod eff concipere aptitudinalem exi(tentiam, quapropter nequit de« duci de tali cxiftentia vera € Og   cum-conceptus huius cxiftentiz: inclu datur in conceptu premilfarum, et quid   ditatis. Per hoc patet adfecundum.    24. Dicimus z«fi (ciétiam fumamus, v£ communem ad.rcalei, et rationalé, nou: neceffarió prac(upponit realem cxiftentiam obic&i, (ed (afficit obie£tina y at (i do (ciétia reali (olumeftfetmo ex (c prae fupponit cxiltentiam realem aptitudi-; naleinactualeai verb alijuando requirit ex parte noftri intelle&us .. Prima pars de exillentia obic&iua patet. ex di&is q. pro:-art. 4«& difp.3. vbi vidimusens ra» tionis habere fuo modo entitaté, exiftentiam;paísiones,& de ipfo poffe dar: fcic tiam,& propofitiones neceffarias forma ri. Secundo, quód'a&ualis exiftentia noti requíratursdocetur á Scoto in 4. d. 1.9.2» fcientia abftrahit ab cxiftentia obie&ta&ualijaliter poffet quandoque effe, et nandoque noh effe, vnde de quibus noa unt,nec vaquamfuetuRi, vcl cunt, de monftramus paísiones, et fufficit, quód: haBcant vetat effe reale potentiale. T'um qnia poffet Dets fpecies rcrum infundérc,cciarifi non exiftant. Tandem et pró pter incellsibim noftrum requiratür, qp aliqiàdo rcs aliquia extiterit, patet, M f QULA d fa i. mE j L. CAM D ui ad cognitionem f(cientificam requiritur fpccictobiedt cócurrés ad elicitioné ildius,ípecies aut,ià Dco infundatar, ab obicáto. Me te producituryvt fufiusin lib.de An.crgo requiritur, quod éxiftat obic&tum ; maximé pro ftatu ifto,in quo omnis noflra cognitio ducit originem à fenfibus . . Ob.probando requiri a&ualem exiftentiam; nam 1. Poft. j. gp non eft, non pót fciti. Ncc dicas intelligt de coy nec eft;nec pót effe. Nam pradicata non affirmatur de fübiecto dicitor .p. homo eft rifibilisynon aüt pot elfc rifibil;:s. Tum 2.fcientia realiter refcrtur ad obicétum, at relatio realis eft inter extrema realia. Tum 3.(cientia rea liter canfatur ab obie&o, vel à fpecie ab obic&o producta, ita vt obiectum exer€cre deber a&ualem caufalitat€,ad quam ncceílario requiritur exiftentia. Tum 4. ab co,quàd rcs efl vcl non eft, oratio eft vera; vcl fal(a;ergo res debet actu efle. ». Tum 5.fubic&um fi urquo ad as fuel an fit dicit exittéria aQtualé, ergo et c min. ptob.quia verbum eff de fecüdo adiacente dicit exiftentiá actualem, vnde non eft verum diccre, Antichriftus eft. 25 Refjp.ad r.vtibi& ad impugnatio nem patet ex dictis 1. p. Inftit.traét. 1.c. 11.& track. 2,c.1. videlicet, cp in propo» fitionibus neceffarijs verbum eff abftrahit à quacunque temporis differétia, nec dicit realem inherenciam przedicari infa bie&o;(ed (olum realem connexioné; ita vt fires illa exifteret,neceffarió tale pra dicatum haberet. Ad 2.patet ex dictis d. 8.4. art. s. quód illa efi relatio tranícendentalis,quz poteft ad non ens terminari, non przdicamentalis. Ad 3. dicimus. fcienuiám à fpecie caufari, non ab obie&o immedtaté, cum fit abftra&tiua, idCircó probat vltimam partem concl. przterquam quod potcft cientia auditu, vcl le&ione acquiri; poteft ctigm intellectus ex cognitione vnius rei cognitionem al. terius elicere,vt ex. vifibilibus inurfibilia cognofcere. Ad 4. per ly efle, et non cffe non intelligi a&ualem ex;fienuam ren et negationem eiufdem,ícd vel potentiale, vci necelariam conucnizotiam » vcl difLqgica, tentia,(ed a&u, n conf atur quiae] eT. $41 Mec conucnientiam pradicati cum rci quidditate, Ad 5.cx Sco.in 4.cit. pracoznit o an fit non c& de efie sagll V fed dc uon repugoantia io effetu;feu de elfe apu dinali,ncc femper eff de SIN Mdaccn te dicit aGualem cxiltentia, fed ali do veram eífchtiam, quo (enfü concederetur bac propoficio, Antichriftus eft (ed comuniter ncgatar propter equi: uocationé, quia potc fl dicere exiffentja aGualem idcoqueindiget explicatione. Sccüdo obijc. qp nulla rcguiratur exiftentiaobie&i, neq; aptitudinalis, in reas li fcientia, nam Plilolophia cft fcientia realis,& tamen multa de infinito, de vacuo,de priuatione demonftranerzo &c. Refy. illas non cffe verás demonitrationes,nec de illis dari veram ícienti1m pofitiuam,fed ncgatinam, quia non habenc veras cíTentias ; vel dicendum, quód labent exiftentiam conditionalem,nà Pbi. lofophus data hypothcfi, quód detur ini» »vel oceani. cla deinde paí1oncs, quz conuenirent, darentur à parte rei,quod füfficit, LA " FS et A J j D ei qucm x 53 VETNES ad de.  Ilt. An fubietlum debeat babere quid rei, 16 p)Racognitio quid fit ex dictisz. P In MA EA ira id nominis, et quid rci : quod (ubic&ü debeat habere quid nominis,ab omnibus conceditur, quia hzc eft prima oinpiunt cognitio ; quam de re al'qua hábcre potz fumus : folum dubitatur dequid rci, feu dcfiniuone . Et quidem ex di&is dip, 1, q-4.ar.3 definitio propri? dicta, et rigorosé competit folum enri pofitiuo,per (e vno,reali ; compofito realiter, vcl (altiun quantum ad conceptus.& vniucrfaliqua propter fi perquid rei hanc dcfinitioné volumus intelligere y nec entia rationis, necens reale in communi poterünt effe [ubie&a fcientiarum quod eft falfüm ; id circó per quid rci hic intelligimus. vcl definitionem iftam, velíaltim conccpe aliquem quidditatiuum etam fimplici ter fimplicem;qualis eft conceptus cntits co quia talis conceptus fufti cit ad demóftrandas pafsiones defuo fubieQo  Q4 Ex aliquannen s i x 12; 3 A $42 na Ae Besson sg qM v. ai Ex quibus deducitut ;, quód enti. cogis polsuur, habere Eon re Nu (cientes, vc ibi diximus difp. 35. M &cauthotitates, quz in contrátium ai e. ! rütitá ib;valenr defciencíarisorola, Suis firer cos ip coi, quod propfiam quidditatuum conceptum haber ; per quem. paf. fioncs demonitcantur de ipfo ;. inüper Dcusqui etfi ccalitér (mplex fit, eft tanica in e€onceptu compofitus, oni canccftit Vc éd inleruice »oteft ad demoitràüda atttibura de ile Deo;qua (c hàEi quát atliUncE T ; conceptus ille bali lica gr it ad Tciedtiam; vt dixi-, diii ug 4. p. Pas 1 |j SibflanLa. fa, cióreih fübie&i hiabeliit cx iita &onditio-, ne, vnde plares fpecies fu iz ponu tür pao pea MALA pr a BONIPda AIL 6. Met. 1. fubf SUE demonftráu ior ; non, WIget.,, qu eft [chfus; : lu à non con, €ludicüt vt praedi ust Oum. clülionc,fed Uere: iectü, de quo pa fiones Ero ;ageidensex, . ifta cápite poffum t9 Tcienufi-, co vola. propriam dcfiToport qnid. frati deibfo de os evpen in math ijs qua dam accide uat: Vei ft éns, nl cratur à; leraphyfico js Álex. d Mat. ne Sheer cr Due um ; ad 20. per o AE t j Seul nidis To jl OlQ ce Fr. L jeff ac pa e pee, (c de eo, quod fen es eed lau dedere 24 N, jen tur dc accid dilpsss pone a er co. per philofdj ipe En m cenas spas eit de (ubt ania mam E alia immicgiat, vt exponit G.non qi ej Pres D agb fd MANIERA facit principa liosipus pis Hs Ad;ationé di 2d. Ben «dcs pria p. tigayctja t: cho puas j9ncs). PfOI ferstopemperleconh et fi o:dinem dicat Msi peau, an Ícientig fit, quod babes proptiam quid rei inquirendum cf, an qua: nó ba« bent quid rei fea cócepti qui ditatiuum; poffir de ipfis cfle (cientia;talia ant. dao, rs inia SAN 1. cit. cos pez accidens, c Anar einn primá et ootat Dod, Mét.g., X eíl ens per. icerum Reds i spi vugd dict stan pS ret, ., fespagyfed ex pluri cgatam vel, » fient Facete: m, vel cum, ish yt exctcitus y vel'eumal:-, Gmasiong » Yt homo, E r) um cí cp,accis, met ndum, quá, Aie pe Mi, Ti à s 1 [ [s "TR ini cipaz €» YR us Mm ar eie maius E Wufyergo h coliderar Vra n Tauricx fof. tij, Relp. la 1 pco Arift. non loqui de: dene en iptépote cinicula » óc cidenre à lübfagria contradifüncto ». npa : duphcizer (uai, fed dc e. : aceigets qua raro » Mi insi yt alij dicum., fore, tn Cy EHE ved ace c et Pris tí M R d E LES, aped x: pese: y i ieleanl íecundo.. 5o dn adiu 3 s d E b uu t Nz IQ 12 2 ar dab eec ET Er. aai ores cepto viium fares pi ones démón, ftcábilés vt qu ue pa: bricdererim ach eau: Ern Lue (fionefrijséc: fie E fceindum quid. Ex u is onec osod u r4. Ae it te 3 fcfentíari: ali &. jn cete de par étéalbó y [  Dente per accidens ereridltist s t5 accidetitalitate caufar abr cene diis i titar nor dari fcientiam cum Met. 4: fi redüplicátiue (limatüt i. vi ka f accidés eft (nà ti ab(olàre cófidereüut y quatenüs eft tale ens ;. quig vt lic hábet propriam emitgtem viang,& veram; poterit ad aliquat (centia .fpettate) quod próbatur, quid Vt fic nó habet vnám caue fai per (é déd tibinatit ti; ed itidctermi fiataum& cón In&eóter cdufütur ab; illo ;. erbo: fion etit. dé lpfo' [ciétiày ue dej pro: potitionibus pér fej& tecefatif is We de bet: Dóbiuim eH de ente jtraccid here má teria KerEditós ;& atCidentalitare rei, Tia Adáittrünt 3tiqu jii dati [aetia. dii Hd I'entesteu dit diti n ih explis sten qu& feofü detur dé ipfo Moapotin$có: 4 tus 6. 2. Ant. Ark e aT Fab dedipois "Yo. 'Otbel. 6; ! ha AC AST d enti! per accidens "^on dati; leiebtiám AE: uía non eit vnam; T peciés ted dubój& [eiehtia'ab obiecto T «dtr eár ipfo etünt dox i MI. CmUEr uid fophyt eo diit etós cuum D nm on au. i po : ; rq ü vedi intu 5 4ri., él ratione Meu memet Wm qd ES | cet i n v ;Brotm. Me QUA rincudun GE" "e es de Dod cider fcieririam' dati i "o Dye 4 de EET váécides Yt E: $  oM s (Codd f aep uit. t pn to e; Pd dg nequ Hz ro, after de (ono; poteft ta citata oid ehietica j n4 náv A -quando objectum ute ptt füb Fe onini CIGUg. e illo d «itu i liM cite genetica j mo dar 1 Und 2M táliquod vnum óbiet luynicb: d noh ibile; nàm nümerüs (onorgs ot aridam proportionem. h uS I : y poteft ad lico ge u,noti fi lon » t Ji 1e nr : nu 2 C1 ue ue VE U! us y nitate e ia e dc din pud per acid 2 bs) B dupliciter ra ne exte ari d 1c non da. una nUnis € pafionis dem illoa ert dionsun ipie cau Mii Ara E ia 4. blan Eo Pod. fe ir Rauius, Log. P né P dE n 3339: ie ih P e pet áccidens concedunt. cientiam. y r caius partes ordinantur ; Tiri ye termipans. p demi e; &ip harc: opin. incidunt Maf. .Pofi €: 10. (ed. 2. LA md cns per accidense(fe ypü pec [45 ens cipis dur ips T3 et. T Me EY L4. Aucría q:26.Log, (ect. 4. Mo ni.difp. 12 d: 1« Beadacrio alij ablolod negant de aliquo. €nic per accidens dará: « pote (cientiamyita Alenf 6. Mit, teXsjae: Sonc. 4: 13, Suarez dif. is Mele. Je 1:4, Io. dc S. Tho: 0.26, att.2.ad me plat.djpA9.2« 8,6 Scorifljs ig. n 3-prol.$. Secundo quia atis tjs Circa, 2-faiétur omaes de. fingolapiogs: ina&u eXeicito per fe fecundo dari feien: damas pa(liones,qua per. (e. primà; dez.monil(tur.de [pecie Per fc fecundo. demon(tzantur d de indiüiduis, lic.de Cir fto inthieologià demoaltraatur,v t homo Q4Q4. x ci, WD CEA E al $44. Dif». XILDe tft, paffiones humanz naturz ; Ex quo rurfus patet neq.huic parti quafiti bené atisfacece Poncium dip. cit. n. 13. dum affirmat dari fcientiam de indiuiduis, E paffioncs [pecifice poflant. per € [ecundo de illis demonftrari ;quia neq. in hoc fen(u concrouertitur quzfitum,cü omncs ita concedant de fingularib.fcicnzià dari. Qaare dubii cft de ipiis ; vt (fngularia funt,an poffit dati p fe primo fcié i13, et commontor fentétia ef negatina, iDcü excipiendo,de quo datur perfíc&iffima fcientia, uon fit Wc eise  €Xcipit quoq; Vafq. 1 p.d.4.c.7.fingularia snédhopabit Mrs, Quibus tic pole ipie 1c&ü falimex matura potenuz. fcientia acquirere, quod didum Blanc.& Morif. dens, €it.cxtendunrad omnia fingularia, 30 Dicimusprimó de ente per accidés mulio modo dar: fcientiam vnà; hac conlatio colligitur ex Sco.in 2.d.3 4.4.fup. €.& 3. d. 7 q. 1I. D.& d. 22. . et 4d. 11.9.3. FF: i qubl. r3: A A. quibus in. locisaffcritquod quidosliquidef vium ! caliqüo dici pct fene de ipfó poterit aliquod praedifct accidensin(e, nequit. «atum per (c enonciati vt diximus 2. p. Xuftit. tra&. 1.c. 3. fed fcientia qualibet «il de propofitionibus pet fe; ergo nulla gropolitio fcientifica de ente pcr accidés gpoterit formati de meote Doót. et proba tur rationc ; [cientia vna eft cognitio indharenue vnius paflionis per caufam,cant medii (quod ett ratio, et quidicéti) in conclutioné demouiftratze de vno iubiecto, (ed cns per acciiens; ticam le (pe&teuur, tué in cffc (ciibis, trae in ordinc ad paffiohcm demon dficabilem,fiué vt ordinatum ad aliquerà vfinem,fia vt conftans cx patcibus deter n Phsbili& determunantenon habet vnà eV Tenuam, pér quam paísio demonftrefut,noni cft ynam per fésnec vnaca potcft liabere paísiomem, étgo &tc. Ma. patet, xni, prob. quod imrinfecé, et formaliter €onuenit alicai femper 1lli conueniet, cui €ung; comparer,nàai comparatio non sutcrt; quod per fc, &formalitét compeut coimparato s fed cife vnum per acciden5,non habere vnum pet (c conceptum jouinfecé conucme enu per accidensscrptos CMS o ais s j à A RAPI M. LL prr, Maro AU. ., "t goquocu ; modo tonfiderettr, rtr rit vnum fübic&um, fed duo, nunq babebit vnam per fe rationem, fed duas, nec vnicam paísionem, nam hzc ab vnicaeílentianatacftdimanare, et vaiper fc fubie&o conuenire,non duobus. Tum quia,vt aliquid fit vnum pet fe ex plaribus conftitutum;requiritur, vt partes fe habeant per modum per fe a&us, et per Íc potentiz ; fed nunquam talis habitudo erit inter partescomponentcs ens per accidés;aliter e(set ensper fe, ergo sép erit duo, et duas habebit quidditatcs, nec ab. ip(ovna poteit fluere paísio ipfi inhetés, aliter idemaccidens in duobus fubie&is. j zin Ls 31. Dices,folü fequi de ente perva q:2.Centrà, tunc datur vna gencre fcienta cx dicendis q. feq» quando ex&is (pecificis, hec doctrina eft à Scotiftis accepta, vt videbimus q. fequ. (ed à. partibus componentibusensperaccidens nonabftrahiturtale genus, quia numet0 fonoro v.g.quod eft muficz obicctü y non datur aliquod commune genus, qy latum obie&um fit mu(icz y cua numeras, X fonas (iot diuer(orü predi—camentorum. Trm quia habitus (pecifi€i; qui de partibusentis per accidens hi bentur, non pertinent ad candem fcieatiamtotalem, vt liabitus de numero, 84 babiius de fono, quz fünt partes numeri fonori, non pertinent ad muficà fed primus ad Aciuhincucam;fecundus ad PhiloÍophiam ; ergo non datur vnus habitus gcnericus continens (ub fe babitam A:ithinctice,& Philofophiz, aliter mon mu« fica arithmetica, (ed ani initiea maíiéz fübalternareturs Sed coma ob. 1. ex Scoto in 6. Met. cit.oppofitam bi concedit (cientiam (ubaltcrparam effe dc ente peraceidens . Tum 2. quia res naturalesiniegré poflunt coattiaere v4 nam " slc deente peracci  Rodi ven [edé fientiam nO oftendi,neq. dari poffevnam fcientiam   qgenerejta Scotida ct eà Scoro 6. Met. p te5& q.5.prol.I. v» . T / Acceptz conuenire alterne fnt. de ente ^ » Qr. en de. fabietlo  pracognofc.quid rei. cr $aí gar caufam totalem per fe alicuius effc. Aus,quz quidem, licet in genere entis fit quid per accidens aggregatum, at in generc cau(z eft quid per (c vnum ; er£o de ifto ag. o vt Caufa poterit de.  monftrarie ab ipío proucuiens. .& fic illudaggregatü erit fübiectü fcientiz ; nam vt fic habebit quzdam pradicata, paffiones,que nulli parti fcorlim ynuenire poffunt, et vnà actum Tum 3. quía fciétia (ubaccidens, nam ipfarum obie&a addunt accidentales ifferentias (upra obiecta [übalternátiii : eium rat hominem vt fanabi lem, ethica hominem vt dirigibilem in fuis actionibus, arithmetica numerum ; politica rempublicam s artes mechanicae «cs artificialesnó (olum vt habentralem;veltalemfiguram, fed etiam vt ex tali ; vcl s GR C tant, verfatur circa folam figuram nauis, (ed iam circa pateriam 5 fic ctiam dc arte fabricaroria domus, et de alijs dicédum ; . infuper phariachRi iore heri »& tadicibus compofita dicuntur apta ad (anandos peeuliares morbos; quar tudiné qualibet illarü herbarü (cor(im non habet,& iíta omnia süt entia per accidés. 32 Kefj.authoritate cx 6. M ctnÓ vrgcre,c& oppofitum habear Do&or in lib, fent.vt vidimus in probaeconcl. ad auth. €x prol. re[pondec Barg. ibi Doctorem loui conditionaté att. ndeo fi fcientia fubalternata (i$ de 4liquo vno per acciAlens pre [uppouit duas tract antes de par tibus illius totius feparatinyimo codem modo cx ponit, locum 6. Mct, et potcít ieduci ex $. Quod. fi. dicatur lineam vifualem y vbi dubitatiuéloquitar de hac xe. Ad 2.rcíp.ex Scot. 1 .d. 3.9.7. M. et N. quod cum ylures caule partialcs ad. .vnü dicum producendum concorrant, CX iplis.ne vna pec (c cauía conflituiur in entitate,nec in ione cauíandi, quia quzlibet feorlim babet propriau) fationent.es «au(andi  et folum dicitar vna cauía. per fe va itate otdinishinc negatur dc illo ag gr«g ato demonftrari effectum, vc dc vnic au(a fimpliciter 5 fod vx de phiffbus Lof$icayvnitis; fic cum Sol,& homo zenerant ho: minem, tàm Solquàm homo rctinct proprias rationes ij, &vnacauía fit folum vnitate ordinis, et ficut vna dici« tur caufa hac vnitateyfic ratio caufandi praedicata, et paffiones, quz de illoag] eregato demonftrantut;non funt. vnam, Toup ura .f.plures rationcs cau(andi, plurapradicata,, et plures paífioncs  atin eri ein dh ebcie Odd RED ia etiam 1 ordinis v. pee ;vnde non cít vna demonftratio y fed plures fimul ordinate, et voit ^j e9 vel maxime quod falíam eft illud azgrea vnico actu intelligi propter diuer^ taté obie&torum fpecificam, et fi vnus eflet actus in re, virtualiter tamen cíTet multi c vni (cd plures habitis cau faret;yt fufius dicctor io libros de Anini; 33 Ad s.defcientijs (ubalternis dicemàs infra q.4. Medicina, et Moralistion habét pro obic&to i fed vt notant Zerb.st Bargic it. aliquando v« lens, puta ag« Fio poppe ue Dt timur aliquo ente per acc £regato ex fübiccto, et p pecden cd fpeciem i nie. pct piffionem innaimus ptincipiu ipüns,co modo, quo Thomiftz dicunt, ens mobile efTc fübic&um philofophiar vbi per. mobilitatem circum(cribunt na9 turam,quz eft illiws paf; onis principii fic (anabilitas, et gal ipium dant inte]. ligere principia à quibus emanant, quar fant de hominis eifentia, et vnum pet fe faciunt cum homine, Arithmetica confiderat numerum, non. quidem materiali. ter pro fübttracto, et ina&u exercito, fcd formaliter ; et in actu fignato.,quo« modo eft vnus pcr fe conccptus;vt de eqs te pet accidens in communi diximus, et de 1pfo poffunt proportioges quzdà. de« monítrari canquam pafTiones, vt docuis mus difp.7.q.2.art. 1. Politica.non eftve   per £c hibius; fed plurcs aliquo ota ine conercgati, co quia vno: ' -o Mi nat re man e tionem plurium,& quicquid de ipfa demonftracyr, nen cfbvnum per fe: predicatüs(ed aggrcgatione illis pluribus im« mcediaié cowacniens 5 idem de arte. belli« ca re/peétaexetcirus dicendum, et de Qia 3 aie n 846 artibus mechanicis, ficut.n. obie&a fcictiarü fpeculatiuarum maioré vnioné habent inter (cy nam vnum cífentialiter. fub: altero continetur, quàm obie&ta artium, et labituum mora!iumyita maiorem vnitaté habebüt fciétiz fpeculatiuz, quàm alij habitus,vt q: feq. dicemus, Tandem: pharmaca ant aggregatum quoddam ex: diaté demonftr: luribus caufisnon vnum, fed plures ef:&us caufantibus nam morbus aliquan do, et(i vnus:dicatur, re veratamen cfi quens plaribus defectibus; indifpofitionibus,ad quorum curationem plura remedia requiruntur, ex quorum aggregatione pharmaca conficiuncur, vnde cognitio alicuius medicinz proprie non cft vna; fed plures demonfirantes plures paísiones vnitas de pluribus fubicctis vnitis, ità notat Amicuscit. 34. Dicimus 2. de fingularibus,dépto' i JDeo;per (c primó nom dari (cientiam; ita Doctor q.3. prol.R,& 2:d.3-9 6. M, et cumco Scotifta omnes, Auecfa quoque Ruuius,, et Amic. cit. et probatur ex I« Poft.45.& y. Met. 5 3. &alibi (ap? y vbi Aift.ex profeffo ncgar scientiam de (ingularibus;.& vnicum fuadamentum hu1us conclu(.eft,quód tetigit DoGor in 2. cit. quia (ingularia vt fic non habent dcfinicionem,quat vt medium: pofsit. infccvire ad'demon(trapdaspaísiones,ncque paísiones pcculiaresipás vt fingularibus sonuenientcs,ergo nequit, euam ex: na tura potcaitize con(iderando intellectum, Bàberi de :pfis (cienzis antec. quó'ad pri« "fam partem probarum fuit difpi r«q.4anj. quo ad. pactem oftélum fuic diíp.$«qupar. r.cuardíiximus projrictatem ef Íp (peciei;)nonindiuidui,& adliuc probamr,quiapafsiories propri funt-quzdam: aptitudines ad operandam: ex opcratio nibus s po(leríoricopnitasfed ríülla'opcratio cxpcritur in aliquo indiaiduo;qua or poísic cíle inalio eiu(dem fpeciei,er-. go nulla aptitudo', et proprietas fluic à differentia'indiurduali, (ed'omnes ab: cffcpcia-dimanant y. et per confequens (unt omnibus indiuduiscommüuncs -. Tam.» quia fimgularitas-nonctt ratio'agédi y fed potins conditio agentis y (olim: effentia: ei pcincrpiuas& ratio agédi ; ac cfíentia Difp. X TH. De Scientia de fe comunis eft,'& indifferens omnibus: indiuiduis pofsibilibus illius fpeciei Ex. qiio patet rG&cutrde Dce: ifsimo: pofsit dati (cientia;quia ipfiuse(fentia e(t de (c hzc,neceft platibus comunicabilis: cirfui io cs dete iic area cea pafsiones de ipfo per [e primo; et imme i atur 5 quz ratio militat ét de Intelligentijs in fententia! Arift. po nentis illas neceffe effej& de (c hatc.   emonftraztiones conficitur de fingularibus, vt (in-.   latíafant, nam demonftratur eclypfis: Luna;& Sole; vt equos: quia: oftenditur yt liic& müc,& in i udiuiduali differemtia prouenit;ergo iutclietus concipiens hzcceitatem | Petri lantc vnitaté& hanc diftinctioné numeralem. Tum 3. quia colle&io accidétiuav conuenit i vt (ic ex Porpl;c. de fpecic;ergo mos ipfo demonftrari -« Tü 4«ex 2. Met. rr. hibetit nó: poffe fcirrantequamad indiuidua veniatur. Refp. 1 : " ? quamuis: imnümero finzulari conficiantut,ccuera: e(fe de fpecicbus Lunzt, et Solis,nam etfi: alia'Luna,.& alitct Sol. nameto eífent. in! illis(icibus, S can illisa(jwet bus; ijdc prouenirent effe&us;& eclypfis) Ad 2: ve nitas numerica! ia vniuerfatidemonttta'tut de fingulari ineife gnato y-qüo in duit róné (pecici mec eft vera vni   Petcused idem (bi ipfi. ab' alio dittin&us, ita neceffarió: ab hacceie tate Petri prouenire y vt. alia conGmilis: nof potuerit caanare,fed (olum à prima: caufa dererminatur ad lianc nuimeto vni taté,vt diximus in Phyf.difp:&q: as art. 5 .Ad 3.colle&tio illaveté noneft patfsio,cü' fic plora pratdicataynonvnü; df t6 paf sio' large, quatenus pet ipfaat circüfccibiamus' hzcceitatein', et éreperiri pot. in alioindiuiduo. Ad 4. exponit Doct. in' Met.ly indiuidu5quód non intelligantur pi. mie [ed'vel (pecies fpecialilstma y» quatenus nonett amplius per i" c7! T rodidon 3   gTLeAbfi nquode inalia priora, "c propofitie 1 A . !Ex his s deducas habere quid   ote rini ex przci $ CÓ E " L . a iy ia. et Pi Mae noni (übers quod moónhabct,excluditurab ipfa. Mn [ubiettum debeat primà continere . virtualiter omnes veritates fcientie. 6 Q'Cotus q.3.prol.D, dcfiniens (ubie a eu tatem gir orti lud effe, quod continet in fe primó vittua liter omnes veritates illius habitus, cuius eft (übie&um;pro cuius notitia aduertüt Scoti(tz, quod ly primé idem fignificat ac adequaté,& id adzquat? cótinct,quod in continendo nop dependet ab alijs ; (cd €ontinentia,alia effentialis, qua vnáü coatinet alterum in primo modo dicendi per fesalia eft potentialis,qua fuperius continet inferiora, alia eft victualis, qua vnum continet aliud in e(le producibili ab ipfo; et quia duplex cft e(fe .(. reale, et coeoitum,hinc duplex cft virtualis cotinentia, vna, qua aliquid poteftaliud in effe reali prodacere, altera ; qua poteft producere in effe cognito;& tandem quia effe reale cft duplex; Phyficum,& yficum, primum cít res à (ua eau(a realiter diftin Ga;fecundi eft formalitas pullulans ab alia ; fic duplex eft conrinentia virtualis in effe reali,vel Phyfica,vel Metaphyfica;modó fubie&um nequit contifiere proprias paffiones continentia virtuli in effe reali Phyfico, nar à fübie2225.54. 4.ar. 1,realiter non diftin Suuntur,ícd cotinétia Metaphyfica, quia veré ab effentia fübic&i pullulant ex diGs in| is dip. 7.4.2.quzritur ergo an pres debcat  À   ter in ee cognito omnes pa(Tiones dc i lo demonftrabiles in (cientia;vbi nio quimur de obic&to materiali, (cd dccom revtfupta diximus lieBum com hvirtualitey ép, o D" $47 : pofito ex eiateriali, et formali, quz vn «ompletum -fubie. fcientie intezrart lupra diximus art.1. (vt obic&tioncs Caict. diluamus tribuentis Scoto, ipfum loqui de materiali obie&o) non quód ca le obic&tum eocaliter fine Dei, et intelle«&us cencur(ü caufet ex fe notitiam paffionis in intelle&u,vc malé interpretarur Atimq.a4.prol.Do&orem noftirüs(ed par. tialiter,& in rationc obie&ti,nim intelle€tio cx obic&to,& potentia gignitur;füpe pofito diuino cócurfü ex Sco. 1.d.3. q.7. 37 Ochácü (nisnomipal'bus in prol. feot.negat fubic&tumsontinere virtuali, tet paffiongs in c(fe. cognito (mb ncgat etiam in cfle rcali, (zd proccdit ex co, qp agens PhyGicam cum Mexapbyico «gcatc confundit;putatq;ad quamlibceccondnentciam requici diftinclionem realem gy quod etl fallum) Comunis fenteatia | eft affitmatiua ctim Scoto cit fcd ett diTidium apad Scotiftas,fi hzc conditio debeat conuenire (ulü (übie&of pecificoyque, €fifpecies fpecialitbma, an etiam fübic&o generico. quod e(t penus quodlibet, vel diaabdtchciic cades; cei aliqui. indiflin&é loquentes videntur vniaertaliter loqui tàm dc (pecifico, qui de .gcncrico)ira Can. 1. Phy(.q.1. Tar.q. 3.proae;Log.Otkbellusinprinc. Phy(: Smi inch q. 1.proé. Tkcol.n 47.ex coy Quod ncgatía biectum zenericum, et dac folum (pccificum;fed prfertim Bra(au.q. 3. Vn. et q. 1.qtiol, dc menre $cori allerit definitionem in prol. allatam conucoire vti; fu« bie&o,licét poftca folü in modo loqucn di differat ab alijs Scot;(tis ; qui volüt hàé definitionem, vcl coadirionem a(Tignata efle (abie&i (pecificinó generici, n (i refpc&u ptopriarum paffionum, quas virtualiter continet, pa(fioncs vcro fuoram inferiorü, nonnifi potentialitec; ita Barg« lüper q. 3.prol.qui Paulum eitac, et Lí Faber Theor.5 .Zetb. 1. Mct.3.2.c(tq; Au rcol.in prol.q.de fübiccto Theol. ar. t.& Amic.tradt.27. difp.a.q. z.dub.7. 38 oe mn an i loquédo virtualiter continet in etlecognito tanc paffiones de ipfo fmediac£, et primo dc monftrabiles in fcientia fiué gencricum. fit fiue [pecificam,& per có; c quens cm-3n illis continetur cauía in inferiorum nonnifi potentialitet, quo ad primam partem cft Dott, cit. et alijs in locis adducédis,& probatur ab ipfo,quia propoticiones,qua in demonflra tione a(fumuntur, aliz (ünt immediata", vt principia,alig mediate, vt conclu(io, herentiz : paífionis in fabie&o,que eft definitio fübie&i;inilta continetur 1pfa paífio de (ubie&o demontlrata, ergo fübie&tü cft caufa cur ille veritatcs cognofcantur ab. intelle&tu;patet;quía per (uà fpecié reprafencat dcimtionem,q cffentialirer conti net ; hac cft caua, cur paffig cogaolca tur;ergo virtualiter in e(Ie cognito cótinet omucs veritates fcientiz,nam definitioton cfl ró qu« continendi,fed ró qua fubic&um continet. Tum quia (ubiectü ett cau(a adzquata habitus, qa eft primü 1n fcicntia primitate ada'quationis ; ergo dcbet virtualiter in effe cognito o£s veri1atcs cótinere de ipfo i fci&tia cófideratas, Secundo, quód (ubic&um genericum paffiones inferiorum potentialiter tantü contineat; eft Scoti 6. Met.q. 1. et probatur euidenter, virtualiter primó continerc veritates jn fcientia cft per. quodquid eft polTe f(ubic&um caufare notitiam vcritatis cocluGonis, et habitudinis paíTionis ad proprium fabic&um; fed genericü Íubicctum per fuam definitionem nó pót eíse cau(a,cur paffiones ioferiorü de ipfis demonftrentur ; ergo, &c, malor pa. tct cx Scotoin ptol. cit. vbi ait contineac primo virtualiter cft ita independens effc in continendo, vt circumfcipto omni alio adhuc contincat, et nihil aliud contincat,ni(i per tooem cius, vt corpus natttralc ita cocinet mobilitatem,vt circüfcripta quac 'ccic corporis naturalis,Ct omnibus Pn kA ote xcr fud dcfiniiion&. poterit de ip(o demonítrari, et infcriora, nonnifi per rationem corpo rjs naturalis continenr. mobilitatem in, Communi; minor patet, quia per ronem Corporis naturalis vt fic nequit circularis mobilitas v.g» de, Cclo demonftrati, aliter omnibus corporibus conoeniret. 39 Tucbé cüaliquibus Scoufus,veram esc. genus pojentialiter concre paffioDifp. XIL Be Semis. 0 000resveritates illius (cientiz, at paffiones. 1 ncs inferiori (ed vt (ic mom tribu taté habituisfed folü vt continet inferioribus, " ne Smifi &i in torale,& pactiale,li.m.(cientia cófi haber cum 1lla;ficut nec obieda, nullum crit partiale obie&tü,vndé non re&té cor»us naturale dicetur fiibie&üin tota Ph jocos: ens in tota Metaph.nec Git. logiímusin tota Lozica,neq; Pylofoph. aut Meraphy fica, vel Lo MT rre tica, et vniuerfaliter qualibet (ci&tía diceretur vna fciétia; et male in initio Phylofophiz, Logica e toas due in« Ítituetetut quz (Lio de fubiecto ipfarum, fed (olum M per iesra (fübie&um illorum librorüvelillius libri, qui primó ex« plicandus occarrit contra omnes Do&o^ res,yt ét dicemus q.feq.quapropter eoi d rmm: cae genas aliquod pro (bbie&to in aliqua totali fci&tia,debemus ét alferere de ratione (übie&i f(cientiz non effc continere virtualiter omnes verita« tes illius fcientiz., (ed virtualiter. proprias,potentialiter illas inferiorum . Poluimus in COC),ly proprid loquendi, nam fi velimus extendere continentiam viruualem, et illam diniderc in immedia« tam;& in proxi Are motam; hanc (umete pro. ijvt facit Dass viderür et, in 3. d. 2.4. q:2«C.& d. 36.q. vn.L vbi contmentian virtuale hioc [cafa tribuit (abiecto: ge». nerico,& citat fe in 6. Met;q.1.quo loco continentiam gencrici fubie&i ait eíse virtualem, et potencialem, fic nulla erit; ni(i de nomine diísentio . "sai Mit 40 .Obijc.1, oítédendo fubie&tü non contünete virtual:ter notitiam patfionü . . Tüquiacntia tationis-circa fuas. paíl;ones non]iabentac&ttuitatem aliquam, vt potat illas producere 1.effe cognito, vel, reali;codem modo te babet: relatio reas . lis,qua: nó cft dc generc acbiuorü, vndc, REQuit concurrere ad. productioné.pro priarüm paflionü neq; 1d earum noricdià y cum non fit obicétum etium: inieliee: Hzcrefpoofiocoinciditcum opinios   adi, negantis. diuiionem fubie| derans (pecie aliqua generisnon cit pas  fcientiz de gencre, necifta connexione.   th à Luna E continetu » ^ vitüaliter, quia ad cognitionemeclyp(is repu ) tert quie vc caufa ad. eclypfim concurtit, ac terra notitia nea eótinctur virtualiter in Lana: efe quoq; beatificabile cft-pafsio hominis ; et tame 'ex quidditate hominisnon cognofcitur, aliter poflet viribus nature cognofci ipfe Deus, qui cft cerminus hutus patlionis, nequit in, cogaofci relatio aliqua; aifi cogno(caur terminus i p(iusrelationis, Tum 5.euidentia vetitatis concl.non fotà pendet à fübie&to, fed ét à pradicato, et à przmiffis, erzo    primo, et atiaté conunceti in fübie&to. Tii 4. fequeretar in demonftratione à pofteriori effe&um eísc (ubie&ü, quia cft id, quod virtualitet-contipet verizates . Tum . fi ek hoc; q»cauía virtualiter continet effe&um in císc rei,coritinet etiá in ese cognito, ergo cx/notitia Solis incóplexa paterit baberi» notitia omnium etfectaum à Sole prodacibiliü,cp cft falfüm. Tum 6. fubié&tfi cóparatur ad (ciériá ficut obice &um ad potétiá, fed hoc ponirat primi y et adg juatum penes. primitaté cóitatisy non continentia» virtualis; vb patct/de co» lote refpectu vifüs, qui-de onmibus obie &is viiibilibus praedicatur) et ens dem. nibus obic&is intellectus, ergo &cc.quod' etiam fcruatur non (oluti'in obicétis poz tenciarü, fed &vin (ubic&is-(ci&iat us ni in Gconiecia cft lined5-in Acidamenea numerus, in Mecaphy(caxths, qua dc có« fideratis in illis(ciemjsplü&iicahams ^. 41. Kefpzad 1; patet ex difpi5. qp entia rinonis (uo-modo lisbent caufalitacé erga proprias paf&iones,reuera tf fundamé tum entis ronis ctt, quod caufat notitiá entis rónis, et harc notitiam pa(sioris ipfius,qua ratione dicitur, ens rOnis, vt CO-/ guitum cauf(ate nocitiam patfionis : rclatto realis noocft a&tiua phyticé, (ed metà ?,ac non catfat nocittam paíSios ni$ gropriz, ni(i yt coznita, vc de ente ratienib digg co quia non eft obiectuni motiuü incelle&us;(ed terminatiuum. Ad 2, cclypfabilitas;, (icut continetur virtualiter in Lun quoad efse tcale, xa quoad císc cogn;tugn, attamen quia ordincm dicit ad tétram, vel'aliud corpus opacum im eise reuli, ità quoque in e(se cogn:to de: pédet ab illo, ex quo folum (e u;tur, 1... nam non esc caulim ade quat cogni tionis illius (ed requi cognitionem tcrr£, nontamen deducitur in Luna virtualiter aca contineti,vt infubiedto, quam» uis iaterta contigeatur can quá in caufa y fion tanquad ia fübie&o : beatificabili tasnequit cognolci cognita homiais ef fentia, eo uia ordinem dicic ad Dei,v& ad terminum, qa ratione nó contineat fub obiecto naturalis atcinzentiz intelle&kas creatisquod eft eos initum, cuius teg miaus non ett Deus,ex Sco. quol. 14. Ad. 5:neg.confeq. non.n. d cimus (abie&um eise caufani cotülem coz ainioois conclu fionis, aà pra dicium, practise cona cu:tüat, fed dicimüs fuübicétam pruay continere, quia on (luni eft cau.averitatis conclutioais ; (ed ét véritaris prin cipiorum;quace dus vitimaré omia cou tinet tàmpreedicatam coal. qtiam principia. Ad 4neq. Pane cHectus-in illa: demontiratione non ett (abiccétiin j fed. rhedium ; et princi pium Ong .cogaoícens di. Ad y. cac ex cognitione tdo( a deuenimus-ta cogoicionem effe&uas virtuali ter itiilla inclüti, quando effectus. fe bet vi paísio cdlz, nam tunc cft Conuers tibilis càviean(: à principijs iptius ema-: nat; ficein dltero pocélE/repetiri, bili 1n fud casís, quate exemplum Solis uon vrz ge, qiio f habet vr (übie&tum cess IT. dn fabieibemtinen suirtaaliter g)e t L1 $49 [pettu cffeQuum àb iplo producibiligrr et alie concaulie-tcquicuncur-, etfeGtus: nofi ih-Solé7 (cd' extra ceperiamuir, nec neceffarió à principi js luti 1plius; quá. uis (i quis perciperet victütem 1nicrnam Solis prodiletiuim effe&tuum pofset quoque'incogaicioaem cffectuum deuenire, :  Ad 6. Do&or in prol.cit. ncgat omttirtiodam partcatérilicér «in. cougeniancim hoc; quód aeibo teeiniodüta ctus potena. tiz, et faentig, &ihialijscondiuonibusy : ytett videreapud. Bafsol. attamen diffez rütin hoc,quód proportio ob:ecti ad po^ tentiatn ctt anociui-ad mobile, (eyagca ti$ ad patsum, at fübicétum (c haber vt cauí4 ad ícjentiam vt ad cfle&pum: hinc: quodlibet obicét iuclufurn.in. obicéta : pugio,primo,.& adzequato poterit agere inp otentiam, quia quando agens poteít agere in aliquod pafsum, quodlibet agens ciuídcm rationis potcrit in illud. pa[sum agere,& iftud à.quolibet agenze eiufdem cationis potefi pati: at non fcquitar idé de fubic&to, quód fi fübie&um eft caufa habitus, quodlibet inclusü in fubie&o poffit cau(are eundem habitum : ad exempla addué&a, dicimus illa obie&ta efsecómania obic&is partialibus, et non folum yt fic dicuntur fabie&ta, (ed etiam vt alia confidcrata m Ícientijsad illa reducürur, wt (unt paf;ones, et principia, quaproter aflignantur fübiecta nontantam; vt jme illam predicatienem communem adinferiora, vt Mice virtualitet proptias paffioncs, et icata; vi« dc 3 Fabrum theor. $. iur 41 Secundo obijc. oftendédo demete Scoti, quodlibet fübie&tum virtualiter contincre deere omnes veritates Due tiz,& non aliquas potentialiter . Tü quia in 3.d.14.q.2. H, habentur haec verba.», Ifiud ét confir.per Phylof.-Poft.25.»bi vult, quod oportet maxim cognofcere de fubietlo quid e$t; et ratio efl quia in vóne, c? quidditate [ubietti virtualiter dncluditurtotaro fcientie,tüc fic, quic&juid eft ró, propter q aliquid infit alteri, conuenit omni illicui illud ineft, €t quicquid cft ro diuifibilitatis, ineft formaliter illi, g cf tali i D 2.d,5.q.4.G, fed ró, propter quà debcmus dc (übic&to precognofcere quid eff, €ft inclafio sb armar i t in obie&o, ergo. de quocung; verificatur, quód de illo fit prc uid cj dc illo ct ellumubie,.G virtaslirr includat totà (cicntiam, fed ifta gnitio de quocunq. fubi fid ipesifcosfiué generico, fiue enti verificatur,ergo,&c. Tum 2n 1d. 3. q. 8 infine, ait pori yas [cienti affignatur penes M penes 9, Jcientie diflinguuutur, uon penes fnielleum, ce D modo diftinguido fcieptias, illa efl vna, pos »nius Jubietii primi, quatenus obietium primutp-babet contiuere fcientid illá. virtpaliter : idcm habet q7, ciufdé dift. in diuifione diuifibile, ex. um; quia illud efl, d fine,& (upra L.ergo fi vnitasfcientig pe ncs virtualemcontinentiam fübic&i attenditur, cum tribuere dittin&ti vnitatem fcientizcópetatetiam(ubiedo     generico, iftud on. ialierfed vir   tualiter omnia cótinebit : idem docet 5, d.2 5.9.2, C, Tum 5. quia quol.7. N, do« cet primam principium cotinere virtuae liter, et eminéter vctitates omniü pofteriorü,non t&roportet, poflit e(le caufa immediate seiolied quadcunq. pofterius; et p.d.3. qu.2. in primoexrra inquit; quod quicquid tur de Dcoin Met. continetur virtualiter primó inrationc entis;& q.3.$. Quantum ad 2. art, ait ens virtualiter continere paffion« vltimas diffcrentias,& lit.M, exemplificát de colorc, qui virtualiter includitur in diffetentijs, et pa(li onibus coloris .,43. Refp.ad 1. 9 ficut ró icifübiecti precoguo(ci debet refpectu paffionis 1pfius tübiecti ici tanquam mediü adequatum ad demonlftrandam paffionis inbzrentiá, at rcípe&u paísiomisalicuius fpecici folüm debet przcoguofci vt medium inadequatum, quate nus eft pars definitionis illius (peciei ; fic alia, et alia debet cffc inclufio rica y  fpecifice pallionis, illa Veeuis. ; hzc potentialis; Doctor itaq; vel (amit virtualem continentiam large, vel et meliuss ibi loquitur de fciétia vaius pafsionis in» herenus fübie&o, vt. fe declarar; quare loquitur de (übíc&o f(pecifico, vel de gencrico in ordine vi rope pafsiones. Ad z.eodé mado reíp, nám precipue $ 7: Cit. in fine loguitur de (peciefpecialifÍfima,quz nonnili virtualiter cótinet paf fiones ; et habitus iftius (pecici (amit ab ipía vnitaté sr virtualem continentiam fi fübie&um €t genericum muluplex,pi Thcolegiá, qu c(t deobie&o insulardiidto »vtarguimuss eo Tp nequit virtualiter paísiones iorum coütifere: Quod magis pater exlocisadduétis ip 3. róuc, nati 10 quol, 7. aequit intcllist yt notat Zero. ci de o | Qr. en biet Scientia debeat effenteefscolot. IU. 851 éotitinentia virtuali propria, quia fic poffeat per primum principium immediate €ogno(ci poflctiora y ficut pcr qui ditate eciéi immediaté coghoícitur paílio pecifica,.nam proprie in illa virtualiter continetur; quapropter heevirtualiscótinentiaapud Doé&torem aliquando fumiicur pi ru t rp vt comunis ad dien proprié,& ad potentialem, et i ' quia ró generis faltim fienes ; Hinc concludendum definitione datam á'Sco; prol.q. 3. effe fubic&i (pecifici, nam vt colligitur ex texta, loquitur de continentia virtuali: propria : quód. etiam patebit in q.feq.Sed noui(fi Poncius diff. 1. Log. 1/.12.& 18.vt oftendat definitione fübie Gi ex Scoto'addu&tam, quod virtualiter €ontincat omnes veritates (cientiz;ctiam' genetico.competere;ait fenfum illius ncquaquam effe; quod (ecandum (e,. et fcü faam'rationé pracisé contineat ve ritatestotias (cientiz; neque enim fecüdum (e foli debet illas continere virtualiter ita y vt (e' folo cum intelle&u poffit omnes illascaufare,.impoffibile .n.'ett,. (inquit) quod ens, vt fic; quod ponitur obiectum adaquatum Metaph. cótineat omncs veritates metaphyficas, pratfertim illas, Ty de Angelis.; fenfus ergo illius eft, vt magis explicat n. 18. g» obiectum. adaquatum: debeat continere virtaaliter omnes veritates fcientiz,cu ius eft obie&am, non fecandumfe;X (ua: praedicata intrinfeca, fed (ecundum (e,& emniaillaquz funt ad ipfura reducibilia Cómode :'Ceterum expoltirio ifta: contrá' Do&toris incentionem, et literam palam müilitar,nam loc.cir.explicans quid intelligat per continere primo virtualiter ;in1 fignificare, quod comtinere in. dtpendenter ab alijs rn. (ciencia coniideratis, et (ecundnm (uam rationem praecisé; et adequaté y. (ic quodin continendo: non dependet ab'alijs,(ed alia ab1pfo;itaut per iimpoflibile circüfcript o omni alio adbuc conti nere tt diecbamus ab initio CN Sdarticuli iuxtà.cómunemomniü. Sco:iftarum expofitionem ; non ergo rccedendiá cít à fententia no(Era, quam etiam tradiderunt politiores Scotiftz, quod Doctor ibi fübie&um fpecificum defiaiuit, non: genericum,licet extendendo continentia virtualem poffit etiam quoquo pado illa défiitio applicari fubie&o generico'mo: do infinatofupra num. 39. Kn fubieGium debeat eJe neceffarium;. (44 Irimus q. " D &4 vel ced. explicando 2; irioné (cientiz,debetc fcientiá effe neceífarià non necc(firate: fimpliciter; qua(i quod ipfa (emper repe riri debeat in recü natura;& nunquá cora rumpi, (cd neccffi tate fecundum quid, .f. quó ad veritatem, vt nó poffit vllo pacto: in fal(am mutari, quam nece(fitatem cóplexam appellauimus, quia eft nece lita s: propotitionis, et habitudo neceülaria in. ter íübiectum,& przdicatum conclu(io« nis demonítrarz . Attamen quia fcientiz omnem conditionem fumit à proprio fu biecto, (equitur fubie&um quoq; debere dici necelTarinm;inuariabile, et tncorruptibile, qua ratione cóiter aíleritur de cotruptibilibusnó dari fciéciáex 1. Po(t. c.7.& 6; Euh. c.5 hanc nece(litatemfubie: Gi, et inuariabilitaté explicare debemus, quanam fit ;. certum eft.n: c(fc dittin&tá à necelfitatc Íciétiz, hzc.n. caufatur ab: illa,eft. ; alicuius cóplexi .f. (ciencia, illa yeró eft incóplexi,qualisentitas [ubiedtie, Mirum ett, quàm varié lequantur Do» Gres in re tàm cuidenti, vt notat Auer fa: 4.26. Log. fe&. 4. Quidam.n. dicunt fubicctum.fcientiz debere eífe neceísarium, et incorcoptibile in vniuer(ali, nom in particulari, vel per fe,non per accidése yci inpotentia, nonina&u, vel in-acta. fignato, non exercico y vel quo adcelfentiam, noa-quo ad exiftentiam ;. quapro» prer ír fübiectum deindc íit corruptibile n particulari, per accidens... ad' corru puonem fingularüsm,in a&u: excreito y et quo ad exiftentiam, vt fe habent natu» tz communes rerum creatarurm, non de ftruit neceffi MR 4; Ite 852 fag. Ite ditin&ioncs in hoc deficiüit, prima facic videntur loqui de incortge Subilitate fimpliciter, et corruptibilitae te illi oppo (itayiraut fübic&ü ex (ua toe formali non debeat per fe incipercyX de"finerc,& (i quandoque incipit »vel definit cífe, hoc fit per accidens ad corruption alterius, vt patet in exéplo de naturisrerum in vniuci falis que ad inczptionem, et dettra&:oncm fingulariü dicuntur generacty& cortmmpi, quod exemplum adduci (olet pro explicatione harum diftin €iionum.Hoc autem eft falfumyquia natlis creatarum rer. naturis quocuque mo do infpe&tis comperit hac let pea litasfcd qualibct efl corraptibilis, et defiru&ibilis etiam in vniucríali, per fe, in atu, et quoad cffentiam, Tü quia fi cor&opribilitas fubic&ti; quó ad císe fufficit; yt.cognitio ni dicater neceísaria, fed vatiabijis, et falla, quamuis non per fe; fc fperaccidens, vel alio modo illi ccuemat, fofficiet quoq; vt ccccm modo competat cognitioni, et lic (ciéua f;ltim per acctdens, vcl quando coiroptibilitas fübiccto compctet, poterit mutari infalíam, quod efl copira rationem fcieniz, vt q-praced. diximus, al ter igitur explicari debet baec ncce(litas.ecl faliialigd aliud deber addi. Flcrig; quos fequi, Amice aet «17dilj. 4.4. 2. dub 6. alia via incedüt; difuinguát .n«de néccflitateyquod alra fit ccmplexa, qua teperituc. in propofitione ncGe(saciá, quia nequit per quamcumqs potentiam mutari infálíam, ajia cfi incomplexas qua rcbus incomplexis conuenit et cft duplex, vcl quo ad eísentià, et bec conuenit rcbus cx. (e ipiis babentibus cffcntiam,ro cx noftro libero arbitrio, ifti opponiur concbgenua. incomplcxa cü À. tes non ex proptia-naturafed exlibcro homingm arbitrio habet císentiam,vt veftis elt hoc, vcl illo odo £ormata. dependen:er ab bominum. placito s alia cft neccílitas incomplexa quo. ad exiftétiá, «quz dupliciter. explicari poteftavel poli, tiu£, quando (sentia rei verà neccísar €xillit, vt posee: nonéxiftere, et jor v.0do compeut. à vel negaciue, fea przcfiuéyjuango..f. are rei non cóiidcra;ur iB ordinc ad. habendam cxia; ^" Difp. X IT. De Scieytido 007 ftentiam,fed vt ab ea pre(cindit?huic nez ce(Titat: opponitur contingentia incomplexaquó a tiam,vel quia. eísen. tia rei exiftit contingenter à parte rei y vt fant omnes rescreatz, vel quia etiam ia eíse intelligibili non preícindit ab exifté« tia contingenti, talia (ant omnia agibiliay et (a&tibilta, qua ab habi radicis con(iderantur in ordinc ad exiftentiam Veiineseenir erpet qrass t tem "t funt po iad extra, et fecundumc itcüftanties fant illisà parte rei conuenire, ett codiuinnpe biete P DNE tiam; Tunc ad quet. r ',Obieoup fcientia debere dope neceísariü m ceffitate complexa, et incomplexa, quo ad e(senuam,quàm quó ad exi(len4 eds pofitiué, (cd praeci tiué Qua rationc agibilia pofsc císc dien mum fiot, &con(equnenter morales (cientias et practicase(se veré (cientias, ^ 46 Dicendum eft, obicdtà dcbere effc ncecísarium neceíTitate veritatis obiee &iug in (ua efsentias(cü vt alij dicantnee ce(Titate coplexa obic&iua,vei nece(firae te incomplexa quo ad eísenuam nonre« qairere taraca noce(ltatem iucomplexá quó adcxiflenos, (iac pofitiué, fiue praeses ciliue explicesur, e(teomimunis y quie dem, quod id fe debeat haberc Bur n 1€ veritatis obicáinà, colligitur ex Seoe 1.d.3.. 4 L& fcq. &. patet quia fcientia requirit banc ncceffitatem ; vc formaliree ita lit vera ; quod nallo modo poffit c[set fala ergo obie&um ità (c debet habere in fe, vt dicat neceisariam habitudiné ad illa pr dicata,qugd nó poflit illa non re» (picere;fi.n.potfet aliter c habere,& alia piadicata oppofita contincre; iam (cien tia poíset elsc fala formalitevs et hec ine trineca necc(Tius que ceperirur in obies &o;& ex genua propriorum | jcatos ram dicicur neceflitas »quatenüs cadi: inter, przdi Ísenci E dicituf nccefli qas inco;lex: ig, quiaobies €umin fua «uidditate eff quid vnum incomplexam;s dicitur euam comple X4 as, vel obicctiué, vel virualitec, quatenus ft rario, cuz de vali quidditaie formetur AER S ptota5 incomplexg quó ad exiftétiam,liquet ex hoc jquod hzc neceffitas pofitiué explicata folum Deo conuenit; et tamen de alijs rebus habetur fcientia,cü poffint de illis formari propofitiones atctna veritatis, quod (afficit ad fcientiam : neq; requiritur quod qualibet fcientia ab ftrahat .'&b obici exiftétia, nà fcientiz practicz nó ab(trahant,& tamen funt (cientiz,vt «um Sco.q.4.prol. dicemus q. 5. Tü quia medicina;quicquid docet;dirigitad opus, et res agam in vniuer(ali quidem, fed vt potentes exiftere  et in ordine ad cxiTtentiá poffibilem, et tamen in medicina inultz conficiuntur propofitiones zternz veritatis, qua:perveras caufasdemóoftrátur, ergo vt fic poffunt effe obicétum Ícicntiz : confeq. patet » quia illud debet dici fcientic obic&um; quod pót caufare notitiam fuarum paffionum veram, cer. tam,cuidentem, neceflariam; et per cauÍam, hecomnia habct medica fcientia. 47 Inoppof. obijc. preter authoritates illas, quibus conantur Aducrfarij oftendete cum Arift. facultates practicas tion c(ic (cientificas, de quibus q. 5. Tum quia (cientia c(t ab(tra&tiua cognitio y de cuius rationc cfl, qy ab(trahat ab exiflentia obiecti, per quod differz ab intuitiua coguirione, ergo debct habere nece (Fita. té incomplexam quà ad ext(tentá abftra&iué, Tum 2; obiectum fcientiz debet efle inuatiabile, quod aliter fe habere no pollet; (cd omne tale nece(larió debet ab ftrahere ab exittencia,probatur;quia exiftentia eft variabilis ; ergo quod dicit ordinem ad ipfam;vt fi€ cric quoq; variabie. Kefp.cxiftenuam rei nó toluin 1ntuitiue, fed ét abfiractiué cognofci polfe, vt libet Scot2/d.3. 9.9. et 11. F. et quol. 13. L. quando. (.non cít ratio cognoicenmotiua; (cd volun fe habet:vc rescopons pars obicéti ; led quicquid (x de OC, dicimus ad acg. (cienuiam necetffa zio debereabitiahere ab cxiflencia rerü in particulatis et vc actualiter exiitunt à parte tei, don ab ynisecfalr, et vt pofsum exiitere, nam vt fic vecé de iplis rebus poriunciorn Migncs ncccísarig iratur nece(Ti« IO, et per (fente. 3$5 complesz;vt concedit etiam Amicus: e quo euidenter fequitur res ipfas bibere nece(Titaré obiectiua veritatis; yt quoq. concernun: aliquo exiftentiam,nà termini in propofitione non effent necef fario connexi, nifi infeiplis haberent ncceffarià habitudiné ; per quod patet ad 2. Diccs;ex 1. Poft.181.& 6. Mer. (ciens tig (unt de ijs, quz f eueniunt;aut vt plurimum, ergo obie&tam non cft ne« ceffe, vt fit inuariabile, et perpetuum.« Refp. non intelligere ibi Arift.res vt actu exiftentes,vel (emper, vel vt plurimü, fed vt porentes exiftere, nam cum videmus cx pofitione alicuius caufz fequi aliquem. effe&um faltim vt in plurimum, arguimus à pofteriori virtutem inilla caufa s producendi talem effe&um, quomodo fit vniueríalis propofitio, et ab exiftentia a&uali ab(trahitur ; De dexonnnn à pofteriori non potett fieri in his, qug ra» Milos cueniunt ; de quo di« fpat. (cq. q-1, atta. uA GOTILON DA SOY. Quo fenfu fubietium ve[piciat omnia. confiderata in Scientia. ^ 48 Vidam ex Thomiftis docent fuQ bie&tü (cie debere omoja in illa cótenta infpicere tanquam inferiora, de quibus efsentialiter przdicctur, quam przdicarionis communitatem vt preci puam, imó vt adzquatam fübic&i códf«tionem (tatuunt . Sed hunc dicendi mo^ dum refutauimusgrt. 1, nam 1. Poft, 2. fcientia de tribus agit, de (ubiecto, quo pa[sionem demonttrac,de pafsione s quam demonf(lrat, et de principis, pet uz demonftrat, que tria (unt incer fe difindta, nec poísüt coincidere, ergoeft   contra rauonem fübie&i,quod przdices    tur de omnibus in fcientijs conlideratiss et inillis includatur: quandocunque igi« M MT tur eft aliquid, uod ldetd PR DEEU dealioytanuam de (ub fe eócento, quod tamen non pót. habercin iliafcientia rae tionem fubie&i, (altim parrialis, quia .f fic vel vt paísio, velfolum vt principium confideratum ab illa, illud cóc ftatui non poieru fubic&tum, quia qued cóuenit (u« ETT Si IR SDec fiio d oA Q. spetiorisfaltira fecupdacio debet iáferiori xoüitnirey& fi 1n fericr) repugpary figni,ulllens, non:eperizi im fuperioriy erae fi ze(fe per.íc conódrracü.i án fcientia: vxparft )eílsinijafulue Quos nsc (equndario eoTO   quod eíbede (uhia&fnoryusqialoys rgo née primdtió; nec(o«undoxiNopueniEfüprciéri;»vide att, 4.anicípiad 6confin p | xu Gommnnis:opinfoeft(ubicótuni.debero; re(pieote,o3a in ia co nténta axnonam ftem .illosmjita vt adipsi bdlbéant.azuábutioncysqua sons fabiedinm atribatienis appcllart (6lct:j de: non e(t eadeni oium fentenziasex quo capise debear bac attributio:attendz i! nomiblátt, xdif p.v. Met.fcót. 3» quito doGvinamper xotámillam difpi£epe ues pr adifo iJog.lrca ! ao unicdiibud zl ánícnora cüesé penobicóta:stitibutionis án (cien js, eomentorawarór fieobicóta "ttccibutagqgatenusimferiorzfuntintiuoe i ià gratiá cófiderantur Jupcrigra,nó àcóe tra, ac proinde attriburionisobie d SC« pen Per (jecit cafptcikliffim&m .39: Dicendü efecum Sioriy. omnia in fcientia confidér we ordinem;,& attribuc Press tanquam ad finem» Scftopti vorius (cientifica hb:icas.q; vonmeceffarib sópcr. dtbct cífe infcriuss& fpecies pecial E anayingo (2Viuset.aliqu Biasiam interiora con(idczé ntpr.in. aet LS ot 3yn-& qsà «prol. et 6 M cte rs probaturg et rà cal ei rio copa tocdis:cit vnumqueddam anie fiat» cue» tundamenro: in rebusipfig £esnitis, vediccmus dfeq» exgo o6s «ius Parere cites (&connexa.s Ead 'ardinata qui finis: "n € Xàe ilie fiuit icéti;. Aeetiias.ergo Quas: qeípicient obiedtim um (cient eene ihren guaua;: Me ce c ela spiele i NOn. Lr nga sonitu v Qa Gi pia ápíius4 Pr ie ile m od cóc genericunry in cuius ubic&lsvel yt;partes eompa«afines; velar prmoipia: t pri neqiie ulpa: ai fibicdiiasuis nóu mm n lÉ ce iorsingtis m cons yir au n l 52:58 Prebatuc aütemi mem aor rare reote ád ayagamen is3lcuyr nocdem fb con e (cicntian dam Min eit eedFanedemllotim iamen fape- riora, et ihtceioras in quibus inclàdunchir iilay Bo confeqüentcé fa eo: vois ad:infoa- riorà dicant otdincin ; axtti mem meta: illa: ab voitier(alierfibus dcaomina: tiorem (amu, diéicor. ti» praedicamen tum fubftanrizz y predica mencari:]dantiz- tatisiqualitau, &cc, cx? intentione: arz- tifiéisy.& diuidentis illa (uperids«eft rina cipalitcrintentum ; vnde fiidecem fcien- tie de pr&dicamétis inttituerentury quas- libec gro (ubie&o adésquato;à quo friecis- ficaretur, refpiceret: i propriam: necalift iamum,& in gratiam ipfius: mferiora có - fideraret, vc explicaretpotenialitatéipe- fiusad interiora;non vero refpiceret (pee cic speciali (Himas;.alitét non vna! fcien tiaodaretur de [ubitantia y. (ed! pldres ; &- piutcs iuxta. fpeciécü: infimarume nàme rua: ficut igitur nom obffaate-imclatids ne fapttiotis in'inferioribas; inet iora t4 macn:dicuntur:ad'idempgesdioamegnm perninere,cagdeniq;: retuiti Coordinatioe- mem con (tituere frepter;conuioontiá poc teutialém jy: hsbot-senetanffi mum óto' iliorum j/adquod'dicunt-actrib sionem: A riasaziong:engpjtiaidtorum auge | quot ad vnius pcadicamenticenititatio; -oinq ám;j&6 Miietisodciaci ce (cii ü prem TETUEE Mision gai inim e erat reis: erc fcientia: IEEE ped premio peer rnc rig Curio allà Béiniseex dibus prob; noflruaraffer: tritíi, fino (pdties quáuislTint ominino dis Fparatg ititér fuy dicuntur càmen viii iri fu 6s dicebas Perphic.de [pecide lis mires Dopnines participatioe n Vp? Vus bómo-),&cf vnitate t didetéinasyprincipalius. Pw eed iei éxomrà fi BN qe pmi nee bi vifit Bue cies y Sendo bei bei ditbdum; quddíekcetie(pccifice 5 quamuisinret tenonprdia nentur; visitiatat zanemin fciera ix dOrmiao hi geh licag&«quigicaüfa viciis eb vni tas eWétis, Idorreo: erincipalitrinténzü iy illatotahrfcieniporiógencticamajlsia &ütn ;»&tatenas caufa principalisi corius fcietifici ardificijy N percóléquehisfjic cies habebuntcic effe fabilpagribunioné ad genus uta fi genus no cfleb; quod fua vitate congregarecdifper(agmoidarciur vni fticüciacroalis: ex: nex con: fatayvideq feQsioi e :, "Norah vétó di&um eftin rdclichifio- né tion neceflató imfcienga femper dez bere effc inferius, velfpecrem (peciali(nrham obiectü atrribationis;(ed fapius cffc'aliquod' comune genericumjin caius gratiam interiora confideramur ip fcicnz ua j'fioraheer ( inqdam) id dictü eft ;quig oppolitum quoq; interdum accidere poz teft quod nimirum in (ciencia (aperius cófideretur in Bratiá inferiorisyad rllad1]; redacaturytüm tn effezci;tàm ;n efTe (ctbilis, et "en preterm aceidit cü iu Ícieecha ineiusgrafiür eo: : ttiodo dependet faenriaide a cognitio pet. 68 aiftiiocenditur; in Phyfic ens mobile &c.adicor pás m poté cuis: riavüral per fa, et bd odii Ls lis expl poses i Bs veras heri in tui militantcontra fecunda | clatiódié'; &' Fortes cl aic, ptus füperiótes rti fcientia QUerie M à tiàm interiorum có fiderarrdébete 5. élithaión eftvaiued'alcec veram yoliceg ree it&potlit accidere, vt dictücfty es etfuifetieffe Ponci ij: conclus MA i t3: in Aetas aid enim tob. tum agriburionis jitadt: f mU dent. oppótitm conftat iiexeiiplis is de Lógica, fic; qui quidem d fc iti fie cór TOI HEOD RI QUEM M addu éityediindetin ds fclenti js aliquid eó niens Gua v Ha (psties infia at fionart probie o add jlatoQuiodquidé verü emy Rp Ue ide Seneca là itithisfcteno je cenfideratisg te ptus quordáim nagis fi perióres: aun (t ifitid'eórtiane y quód irretepto: pido affistiaturg Vr inL MEN eritis Piciónisecun dz (übel tion Wohga mefitatíoris &c/ in PhytiédicOCe priis'entis tuas sétialisjentis t6obitis&e: ceptis ettülfinc cótititores oihibi is c: fi detacis Sii sll 9 fedémeijey mon o slo nang eis'pro' obicttis adi fed conitidekántàr in sfddaeh iles maii eómurnt Rid f eiramdeqs ve eda étécity qualise id Pevopenqio: loziüsgia "ere Miri n MEAS d 1 Contra aret siortindts vt fir BERI HAR xe] libe vohen fidis uode fe^ As ARE perfectis actióosRétddaicndonf aitcquiquide conz   D Rau SC T B. e. I $56 Difp, X IT. alterins; illud vcró eft medium, quod eft ignobilins,imperfectius, et confert ad affecutionem finis ; fed in fcientia füperio'ris,& inferioris cognitiones funt ita ordi patz, et cognitio fuperioris eft ignobilior, et impetfectior;quia confufa,& obfcura, et cófert ad cognitioné inferioris, nam bac ncquit haberi fine illa, cognitio infcrioris eft perfe&tiorsclarior, et magis determinata, nec cófert ad cognitione fü petioris, cum poffit fnperius cognofci nó Cognito inferiori, ergo inferioris cogni tio crit finis, füperior:s veró medium, et confcquenter inferius crit obiectum attributionis, fuperius obie&um attcibutü, Tum 2. (icut pars effcnualitéc ordinatur ad totum, vt imperfe&tum, et incomplctum ad perfectum,& completam,ita cognitio partis ad cognitionem totius nam Ecs petunt cogno(ci cüimea propottionc, qua (unt, fed fupecius eft eflentialis pars inferioris,quod eft torum,ergo,&c. Tum 3 matetia, et forma, quia (unt e(lentialitcr pattes, non funt in Philofophia fübic&um, fed conftitutim ex eis, ergoidcm de (aperiori refpe&u inferioris dicendü. Dices,(uperius effe quoddá torum e tétiale, cuius partes funt inferiora, et hac rónc inferiora reduci ad fuperius, vt pat» tes ad cotum. In(tat Hurt.probando fupe rius, ét vt totum potéiale, et vniuerfale, tcferriad inferiora, nam vniuerfale vt fic eít pars petens cótrahiad cópofitionem ici fed vt pars,rcfertur in cogni tionc ad totü, quod cóponit,ergo, &c. tü quia zenus ideo dicitur totum, potétíale, quia refpicit inferiores fpecies, in quibus clauditur, et de quibus przdicatur, (ed vt fic eft c(Tentialiter parsfpeciei, nam clau ditur vt quid potétiale, et przdicatur per modum partis pocentialis, ergo vt fic ordinabitur ad cognitionem Ípecicrum. $2 Refp.hec argumenta procedere in efle rei; et quádo in doctrina feruatur idé Ordo naturz,non veró in elfe (cibilis, &c quando ordo do&ttinz eft ab ordine natürz diuer(us; dixirnus.n.in q. proem. et difp.1.3.6. non femper ícientifcum fcruare inttadenda aliqua facultate cundem ordinclo, quem res (eruant inter fe nam À parte rei cognitio caufa ordinabilis cík ad coghitioné cffe&hus, quia liec mequit haberi fineilla, non tamen cotta, et ta» men quis poffet ordinare cognitioné ef» cai d co gutenE caufz, cames indemonf(tratione à non2 contra,verum fi quis przfigeret bi cognitioné medij táquam nc vlumü,&   intrinfecum fuz (ciencig, tunc cognitio finis infetuiret cognitioni mediorum, in. effe (cibilis, vt patet in-frznefa&ina, in qua dirc&tio equi,quz cft finis, reducirur ad franum ; neq; hoc cft repugnans natüs ris reramsquia licét non fit mutua depene dentia ine(le tci, pot tamen dari in eíie fcibilis quatenus vna res eft à priori. pec cauías, et à pofterioti p cffe&us cogno(cibilisimó et à cócomitantibus : poterit r quis ex fuo arbitrio cü méao tà inre,vt dicemus q.feq.atlumere aliqua rerü (eriem declarádam, fi nis iftius obice Giuus erit res ilz, no quidem vt (unt diffitz fed vt vnitz,& in vni compa&ta,nà vnionc ageregationis.(ed cópofitionis,&c vinculo reali,quatenus in vnu cóe conueniunt effentialiter,q» per differentias poft ea diuidunt,& coníequenter,g» habet r6». ncm totius, et principalis in eíse fcibiliss erit illad cóe conne&tens inferiorayque vt partes continet, et refpicit) ac diffcrétias vt aliquid ipfius : finis veró formalis erit cognitio iftius cóis, qp refpicitur ab infcrioribus tanquà includeus ipía in eí(le fci" bilis,& à differentijs vt diuifinis illius, et pet confequens erit hoc cómune princi" paliter intentum à fcientifico, nà fol vt eft totü quoddá aétualc;(ed ét potétiale, quia vt fic dat vnitaté omnib.teb.v: poffint vnam materiam fcibilem, integrare $3 Ad 1. igitur dicimus maior, císe ve ram in cffe rei, non in cffe fcibilisex fine et arbitrio (cientifici, quomodo non rcquiruntur illz conditiones, vt aliquid (it principaliter intétum ab attifice, fcd (utficit vt potens fit darevnitatem n atcri& y quam declarare intédit; fac fe habet (opes rius cx dictis, ad quod inferius dicet ordi nem, et confert ad cognirioné ipfius, fi cut connexa conferunt ad cognitionem conncétentis, inferiora in ellc cibil:s süt conexa in vnum obicétü fcibile adazquafteriori; medium ex.   E proptia natura elt ad finem   Mon tum, fur erias eft cóne&tens tribuens illis vaitatem Obrectiuam, Ad 2. faperius im efc rci eft parsat in efle (cib iliseft cotü y inferiora fant partes, nà (icut partes vniü tur jn toto, ita inferiora in e(Ie ob:e&iua lifcibili vniütur in illo comuni, fine quo non cífem mena im fcd plnra us $ta,que proportioy& cónexio habet fundamentum in rebus ipfis propter conaenientiam in illo comuni, vt diximas . Ad 3. (i quis vellet inftituere fcientià de materia, cognitio cópofiti in effe (cibili ordinaretur ad cognitione materiz, quàuis hzc fit pars; nó eft tà paritas omnino intec materiam, et genus cóe, nam materia non c habet vt fuperius refpectu c ti nec vt totum quoddá potentiale, vt fe habct genus. Ad rámpugnat. illius refp. dicimus hoc,g eft ec parté potentialem (pecierum,quamuisin efie re: fit ró ordinans genus ad (pecies, in e(Te fcibilis tamen c(t ro, cur (peciesordinentor, et attributioné dicant ad genus, quia per hanc communitaté generis (pecies interueniüt ad conflituioné vnius obiecti adzquati Ícibilisab artifice inéti; per idem ad 2. f4. Ex hucu(q; dictis liquet, quá re&te aflignauerit Doctor q.3. vniu. conditioncs (ubic&ti fcientig ; quatum primaeft, om deipfoprz(upponantur quod cft, quid e(L, vt vidimus art.2.& 3.Secunda;gp per eius quodquíd eft. demonfirentur de ipfo patlioncs, quod cft continere pafliones demonttrabiles de ipfo,vt vidimus ar.4. et tertia,vt ad ipfum omnia alia in (cientia confiderata reducantur, et atttibutionem dicant, vt in praíenti oftendimus ; nec aliz códitiones requicuntur y nam qua ab alijs a fignantut, vcl (ugt íupeifluz, vcl reducuntur ad iflas ; nam qp fubicétum non debeat effe prohibituni, hoc cft aliquod impoffibile,noo a:4uiuo€tmnon ens per accidens, non corruptibiley.[cd necc[irium, non demoatlribifed pra (uppofitum,pcluduntur in priconditione, nà li de tubic&o przíuppotiràc quod cft, iam non demontiratur an (cientiayim(en(u tamcn expo ato arta. j. habet. quid c(t serit dc finibile;& per co!equa9s-poflibiltmon prohibii om; vniuo f) snon ge quiuocuimg per (e; ncn pcr acLogica n £I. c 4n ad oliefl. debeat m nitio przdicatur de terne veritatis. Quoc habere principia, pet. monftrentur,op fit prius; iam incladantur in primae ditione, per principia .n.nó tellizi debét principia effendi,vt st f intrinfecé componentcs,fed intell d!,quales (unt pramiffe demonftrarionis inquibus definitio ME mediam.Quod dicunt ali eed tia, nam fromniaz ad ipfum reducuntur, id non excedit, neq; exceditut à fcientia. Deinde, q (übie&um debeat cífe ent reale, non eft neceffarium, quia de ente TOnis pót effe (cientia: Ln yniuer(ale y Deo fiogulari (finor requiritur, quia d: mo eft (cientia; catur, ion de f » tandem, quód ommun iffi mt ly 1c c communitate attributionis ex plicatui vera conditio, et e(t tertia afi ignata,ü de communitate pra-dicationis, eft faifag et contrarationem fuübie&ti « s De Fnitate $cientit. $5 On cft hic fermo de actuali fei& tiayhzc.n.cü fit cognitio cóclu« fionis demonttratz, multiplex erit, ficut plares funt cóclufiones in (cientijs,& " pote(b ab; alia (ciri,vt patet,licéc de hi: actualibus (cientijs videbimus, quomodg vnam integtéz totalem; fed loquimur de . fcientia habitualiquàm ex dicedisinlibe de An.(upponimus qualitatem quandam ele de prima fpceie ab actibus productás inclinantem in fimilesaétus, nó auté eg fjecics terü intelligibilesinter fe ordinas tà$, vt perperá quidá dixerunt ; et de ifta habituaii fciétia quarrimus vnitatem y.quag 1anquam preprictas fequicur entitarema ' Ant. Mirand.ib. 13. de cuer(Aing.cer« tamíect.6.X 7. lalius Syrenusopufc, de obice«Mct.icét.3 c $ 64x 7. alij fuftieXX " Difp. X 4 ifi viam fcienri totalé rep tct ex partialibus fciéjscópom id, et folü Doctoià atbitrio,& volütate plures fciécias totales cíÍe "cnr Nou doccre debent, qui Met yücam (latuun ita cómuné. vt ad paruiculariam entiua effentias conüdcrádas defcendere tencatur;nam fic omncsaliz fcié tie (altim (peculatiuz fupetfluccen:,quia omnia ad FM Metapbyficam ertincrent.Ex aduerfo quamplures hane [Remis de vanitate Biene vanam, fpeobsbikny et fam refpuumt, itas m Corfimb.g. 1:proem.Phyf. $6 Media via &, uod quàuis fientar faltim fpeculatiuará vnitas de E sani e A; fed ex fundaipcsao. TT ibilibus reperto ; ) 1.in fin.ajditio, vbi n lis rc nis (ciet im cóp ox [ ios ade jd Mat. "  conc i7. imgam inqui(i non vidco bs diuifioms h. ffiiam per ali. ire neec(J actam $off e ffe oci fed lacuit diuer[is auci oi&ns circa diner[a fabiecla [peculari, U 4 10t fu. ojideationi [ubdereyquat v bantar aliquá conuenientiam in prürcivein 12 modo confiderddi lbere;uidua$ noftit dici parces inmr c; et quod fciétiz totalcs e auctorum pla-eitis ditinpaamur, X contéqueater,quod tat dari vo totalis icien: 145 vt diceuus di(p, 1. Mcr. q« 1. $€ quód noa megéà acbitririé fuerit fada. hzc diuifio, fcd propier conuenientiam. retum (cibilum:n Neue ipijs.& modo eoafiderandi ; dpfüm fequuntur Meur. ia Met.:3. 6. proe. et omncs feré Receotiorcs . Primü exph«attir 02m vnicas íctenrie de(umitur ab " vnitate obicChi fcibilis. (cut ergo omnia Kcibiliain ence conucniuaz, et vnum 05:c i&um totale, ad; quacum imt egeace di€untur fub quo omaia ran juam. partíalia €ontincmuuc, ità poxerit dari vna feiendatocalis «ns i22 quà obie&tum coafuderans, qua plurcs partiilcsteróiias ine am nit merci ait Mcaphyficiconiderieent, ve ety quam partem eritis, nofT.m. a Ua. ior ratio;cur ofa (cibilia po(fint in vnum obie&um conuenire, nom aut. (cientiae in vnam communem ; et fi.veliscum Tho« mitis fciérias necefarió dittingui ex diuer(a abftractioric 1 materia, itavt fcien« tia non ex rebus,vt fic,(ed vt abttraótioni (ubftat à materia, diftinguatur, de d mox art. 1. faltim ficut abítradtiones di uerfz à materia cóueniunt in abítra&tios ne in communi, qua poltea im tres diaij ames de fcientia dici poíkr, quód detur vna totalis res abftractas inaeftigansy alias partiales continens iuxta diuecüca» temabítra&ionisrerum ; hinc 3. de Aa. 38.[cientia fecati dicitue y ficuc et rese Tum quia fcientia in commoni cítgenus ad omncs (cientias, erpo vasa totalis generica potett dari . $7 Auamé,quia vant cátum ponere rerum omnium magnam confafione.n patere poterat ; et multip'icare fcientias tocalcs, juot fpecies catiuds, cljet in ii initum progretin lapreoti com factum clt;vt omncs [cientiae ad cec trm ngmcruim reducerentar yq i2 corales 6«].1.qua$ dicütur genera s na [écundée qui d;ftáte illa Kamota díuifiooe im deceax leries rerum claritatis gratia adinuenta, Non cftautem hec fcicaciacaar diuiz necat Doctor volarkacte facta, vt de ipfa verifigetar dictu sad fat. pro voluntatscd habaic fundaayzntír in rebus ipüisyita vc ticuc. pradicamentordm diui(royac dittriburié ex condenien ortam duxi:,ita de fcientijs diéendumy mul de c.juoy& Angelo, quia mulla progotrüxibilibus,ali jus de '1aymobilibas,aliqua de iomarefralibus,&ce tépdeit diio Anius, Mille ceteras vero fcientias abícindere fibi ali«.  1 a, maxime quiaceterz (cientiz (uperfluerent,ergo infent, ipfius ab(urdum eft. «o vnam (cientiam. Refj. av totales,& vnam ponebat.(. Mccaph.contiderare fübftantias ; ceteras ac cidentia.; vel reprobat, quia (cientificus debet prazcipue claritatiyordini, et facilitati incumberein tradendis facultatibus, et con(ufionem, tü poterit,cuitare : vehandél ardel Mcert.non proat tradi poterat,(ed vt fait ab. Arift.intbiruta . aq igitur E dentur (cientiz totales, quarum quelibet propriam rerum (eriem ab altera diftinctà. pra(cribit (ibi,quarimus, vnde fumenda erit hzc vnitas (cientiz, et à quo habeat fpecificari (ciétia;& tria examunabimus., perfe&té Mecca s aree tet plex qualitas,& candem qualis (1t .vnitas, quam accipit à proprio fpecificatiuo,  IL tio fcienti& . libetalio habit, allignat potet vaitas,intrinfecayquz propciá conte. altera, quà ex obie&o dicitar. defumere, à quo (pecificatur, et cífentialiter depen. det, vnde et obiedtiua dici folet; prima, quia non ita facilé cognofcitur, innotc. ck nobis pet (ecandam,& de iftaloquifit vna à ceteris diltin&ta, co vel maximé quod idemobie&um videmus à plu. Primaopimo (quz adamullim eft ex. quoniam celebris ctt apad Tho .) atferit diuerfitatem fcienciatü fuj quam (ententiam fus cxplicant ter,& in effe rei (cd oeinaliten 8c i fcibili con(iderato, quz ratio (cibilitatis flic in hac, vel illa abítra&ione à mace; pro quis . OSTEQIME ab(tra&ione fit potenrialius, et minusi i 1 quia abftcahit ad actua litatibus fpecificis .(. ijs » actus. aüc e(t notior ia; et de ita nonet fermo ; alia eft formalis; qua forma abftrahitar à materia,(eu quod e(t a&u, ab: €oQ cft potentiale; ná forma eft aas, materia potentía ; et cófequenter fic al ftractum c(t magis imellig;bile, quia depucacüc 2 materialibus, et potéimtinis quz impedium inrellisibilitatem, et quia ttiplex eft materia, prima eft fingalaris iquiequid pertinet ad fingularitaté res rum fenübilium, vt hac caro, hic calor hoc os, &c.(ecunda fea(ibilis, et (unt oés fenfib:les qualitates, vt calor, frigus, coloc,&c.& tertia icelligibilis,que ett (abftantia corporca,feu matería prima;hinc triplex gcnus (cientiz daturloquendo de Ípeculatiuis, prima (cientía abftrahit à fiogalari, et cft, qae confiderat res feníibiles,vt fcafibiles (unt, no in patfophia ; fecanda qux abftrahit à materia fingulari, et fenüibili, vt Mathematicazas, que quantitatem coofiderat, non vt al;vcl nigram, calidam; vel frigidà; non tamen abftrahit à míatecia inrelligibili uia &ó confidcrat quantitatem fine. (abftantia matcriali,cui ined,& à qua depédct in e(fe, et in cognofti, tertia tandem: abí(trahit ab intelligibili materiayquae ta lis diciiur qa folo mteNectüpercipi pót ; et hzc cit Metaphyticas queres à. aateria abtlrictas concemplatucvt funt, quae vel non (unt in materia, vt fubQancig fe parata, vcl e(fe poffunt ab(que materia y  (übflantie y quiltatis;a&tus, poca, xc. Hec igitut immaterialicas eft Rrt z Fa. qe er di immaterialiras crit. . diuer(z intclligibilitatis, et quia ti -telligibilitas, et triplex genus fcientiz fpeculatiuz, Addunt tandé per hanc abactionem non intelligi d enominatioiem extrinfccam ab actu iotellc&us abfirahentis proucnientemyfed immaterialitatem illam obie&iuam, et radicalem, qua £n Íiq vel fic cft hos intelligi . ...6o Ruuq.4.proc.Log.aliter explicat bác sóné (cibi fub "ia. C quod ilYacft vna (ciétia ab alijs diftin&ta,qua,pde habet principia;quibus vtitur ad probandas Pace peque prine (e ha ex diuerfitate luminis (eu principiorum eritur (ciétiarum diuerfitas, quam expoamplc&untur Complur. et Io. de S. Th.& Amic.trac.27.dif.4..3. adlitas, nonnifi ab immaterialitatc obic&ti ót proucpirey& confequenter tota ratio Joecificarionis erit immatcrialitas . Alij hanc rationem (cibilis, (cu abftrationcm dicunt efle diuetíum lumé, quo &um cft ccgnofcibile ; nam obie€um materia fcnlibiliimmer(um cft coper fcnfus externos, a quibus oruim ducit Phyfica fcientia ; ebicóium materja intelligibili cognofcitur ab abftraGücft ab intelleétu fcibile : dta Ban. Lp.Q. 1-2r.3. Zum. q. 2. Alb. 1. Ehyf.tex.1.apud Am;c.cit. Alij hanc abftractionem declarant, coquiainprimo gradu quadam intclli (unt, nec rc, nec ratione abfiracta à materiayvt funt rcs phyficz ; in (ccunquedam (unt abficaéta rationencn rc, yt mathematica-obicéta : in 3. tandcm apud multos . in Met. cit. et alijs locis adducndis in art, feq. hanc [pecificationé deÍumit à diucrfirate obic&orum adzqua-,& totaliumsitavt illas £c diftim& ee fticntiz,qua diuerfa obiecta;nullo modo. immatcrialitas;triplesquoqueeritin gra E . Eo T ieda aliquo culo, o ad confiderationem colirgata ; intcre vnam totalem fcientiam : ipfum fe(cé. 11 :Fonf.5.Met.c.7. q. 5 fe&. 2. Hur« f difp. 1. Met. (c&. 6. et 7. Auctía q. 27« fc& 9. Wie ipn pna Met j .q.3. Blác.difp.vlt.fec. $.& 7, et alij » 61 Dicendü eft;prima (entéia de triplici abftra&ione (i explicetur, vtà Sco« ti (cntentia diuer(a, eft omnino falía, veta cft vt cüifta coincidit, non tamé cla difficultatem explicat, vc declarat modus Scoticus . Prima pars huius conprob.difcurrendo circa explicationcs addutas: nà primó fal(um omnino eft (pecificationem fcientiz (umi ex co, gp qua dam (int entia fenübilia, quzdam 1maginabilia, et quedam mcré intelligibilia « Tum quia obic&a (cientiz, nou cadunt (ab (cníuycum fint vniuerfalia, ergo omnia funt meré intelligibilia. Tum quiae imaginab:lia funt ctiam (enfibilia per (en fus cxternos,à quibus dcriuantur in phane tafiam. Tum quia dittinctio fcientiz, et vnitas debct fumi ab co » quod per fe pet tinet ad Ícientiam,quod autem obiectum fit pet (enfus cogno(cibile ; per accidens fe habet, nam fi intelleótus à (enfibus nó penderet, adhucin ipío (cienci& éflent diftin&z,vt eft in intelle&u (cparato. Sccundo falíam e(t abflractionem à materia, prout przecilionem dicit, f peci« ficare [cientias, nam hac pracifio vcl dicitactum intelle&us abftrahentem, et hic nequit dare vnitatem fcientie, cum à (cientia non attingatur X folum fc habet,vt approximatio obiecti ad (cientiá vcl dicit denominationem. prouenienté 1n obicétum ab a&u ab(trahenie ; et hac cum (it mera denominatio extramfeea, ens rónis matetialc ; non potcrit rcaliter fpecificate (cientias; vel dicit ab lt rahibi litatem obic&iuam,quatenus obicétü cft t conceptibile nó concepta bac,vcl illa ratiobe in ipfo contenta: et nequc hec potens eft fpecificacefcicovias, quia vclue formaliter folum dicit conccpium quepe : 4m Quel HLod quo fcitniid fpecifiemtur. efr L 36g . dam negatiuum f. pegationem affocia-, tionis alteríus rci, vel realitatis in intelle&ione;hoc.n.cft pra(cinderc.i, non intel ligere przecifum cum eo, à s fit przcifio hzc aüt negatio non cft fpecificati.Waícientie. Tum quia illud poni debet 16 formalis (pecifi catiua fcientiz, quod eít ró,cur obiectum fit (cibile,& cogno(cibile à fcientia,fed talis non cít ifla pre ci(io, nam illud eft ró fcibilitaris in obie-, €o, quode(tró, cur de obiecto demonftreur paífio in demóflratione, talis non et przci(io à materia, non .n. per hoc, quod homo c(t ab indiuiduis abftra&us, ideo cít rilibilis(ed quiae(t ronalis. Tü quia hzc abí(tractio potius fe habet vt conditio intellgibilitatis obie&i, quàm tó formalis, immo nec eftneceffaria ad fcicntiàm,vt videbimus in folut.arg. Tà demin rebus (ic abítra&is ab:omni materia adhuc di(tinguenda eft ró materialis,& tó formalisobie &i, nam fj yllogitmus v.g.in Logica abftrahit ab omni ma teriaycum fit ens ronis, et tamé in fe có fidcratus eft obiectum materiale logicz, non formale,ergo logica non habet fpe€ificari ab obie&to vt ab(lra&to : corpus nitucale in communiabftrahit à materia fiogulari ; quantitas in (e à materia (enfibilii(ubftantiz feparatz, et tran(cendentia ab omni materia, non ob id tamé (unt completé obicóta fcientiaram imo à pluxibus (cientijs po(Tant cenfiderari, ergo ab(tra&io non crit ratio formalis: fpeci (cientias. mericam conftituentem obiectum in ratione obieéti (cientie generice complet€, coniinere tamen diueríos gradus, ad quos per alias rónes. formales contrahiturconftituitq. cum illis diuer(as ícienHas, Contra;ró fpecifica: diltinguens diuer(as (ciencias contentas (ub iila ratione iaceo (cientiz per abflractionem cóitütg: deberet in (e cocimere abí(tractionemillam coumunem tanquam genus, -8. corpus huimanü yc abitractuimm. à materia i.eft quid confidcrabile à NC abflractionem illam tanquam genus aj : ipfis contrahibile,vt fe habeat natural in communi ad hanc, et iliam. det : tem,vnde valet dioere naturalita:, nó valer, uod fit a nec fanabilicas eft abftra&tio muner phy(icz, et medicinz noi abftradtió à materia fingulari.   Vel tandem per hanc. ab datur intelligi ro formalis pofiti Gijquatenus ex füi natura includ tiz paflionis in fübic&to,vt explicat . ui. et adhzrent Complat.& Io de S. et hzc ctt fententia Scoti;que adhucma: là explicatur per abítra&ion m à mata ria. Tumquiaabftractio fotmaliter dí« cit,quod non habet res;non quod habet» Tum quia non (ufficienter, necre&à pet.  has abítra&ioncs diuiduntut fciétiz (peculatiuz totales, nam logica abftrahit agitde numero, et communi thmetica 1 ad res materiales, et fpirituales: qua eft abítractio metaphyfica,& tamé fub Ma« z thematica collocatur; Aftrologia quoqs mufica, et perípe&iua, quia matliemart«  (unt, pertinent ad 2. abítra&ionenr » et tamé aftrologia'cft de corporibus cosleftibus,eorumq.motibus,afpectibus, et influxibus, mu(ica de numero vt fonorosperfpectiua de linea vt vi(bili, ? ett marcriam fenfibilem concernere ; fciea« tía tandem moralis abftrahit à materia 2s fingulari, quia resin vniuer(asli contidee rat,non tamen à materia fenfibili, nam contemplatur humanas actiones vt diris gibi lcs, et per confequens in ordine ad circum (tàtias corporales, et materiales s diftincta: qua ratione impuenatar vltima expofitio huius triplicisabftra&ionis v Conplut. et Io. de S. Tho. cit. multum laborant, vt fuflicicntiam huius diuiffo« rónibus ficmata. non cft immorandum 2 eo vcl maxime q» Metaphifica ip(a mule confiderat, quaáin Phy(ica quo. tra Gantur agi:,.n.de principijs,de cautis ae 34   fin pe&tetur,cum habeat pro obie&o' o fubftàtiam finitam, communé ingclis, vt [(tatuimus q. procem. iam aget de rebus abftragentibus ab "Omni materia quam róné fuse proícquituc Aucría qur. philof. (ec. 6. ottendens Phy icam à Metaphy(ica non di(tingui.     6$ Praftat igitur dicere cü Scoto di . flin&ionem fcientiz, et vnitaté fumi ex nitate, vcl diftinctione obie&i forma   lisiuxta explicationé tradità q. prac.ar. 1-qui modusett ipfius Arift. 3.de An. 57. 4&38.& z. Metz. et 4.& r. Poft. 45. vbi Aritt. docct ynitacem fcieptiz cx. vni-. "tate obici inueftigandam .. Tum gnia à quo re$ accipitentitatemyabco (umir. v. mitatemy& fpecificationem, (cienua veroin fua entitate dependet al obie&o ; (  sgnapropter illa erit vna fcienua, dug vc cum lnbebit obicétum formale.i, qua |... "gem aliquam contiderat fub proprio modo contemplandi, quo nonattingicur ab  .  alijs(cientijs, quamuisrces illa confidere|  e 7 mw obalijs (crenrijs (ed (ub diuer(o modo confiderandi. Qui modus, cü (it mcdium cócludendi pa(Tones de fübic&o ;: erit principale ingrediés im principis demonftrationis, et confequenter. diucríz omnino, et difparata fcieptizhabebunt. diucría principia, et modos procedendi ad deuvotiftradas paffiones; et hino eft y quodaliqui vt. Aureol: affignant dinertitacé (ciontiz cx diuerffrate. principiorü y. vcl modi procedendi ad probandas conclufiones;hiac aute diftinctio nou cft prima;:& radicalis,. mmvidco principia funt: dicería:, quia:diaerfa eft ratio formalis obiectorumsideod; omnis diftin&tio; vcl vnítas (cicnus trahit origineny ab vnitatc, vcl dittin&ione obiecti . Ec hasc candcm fententiam de vnitate,& diftinctione ícientiarum nuper (ecutusc(t Oüuicd;. contour, Log. pun& 5.$ 4. et Poncius dilp.zz. Log-q: vlt., Cctrerum atlignare diflin&ionem omWiü(cientiavü non eft prafenris negouj y ficut nec. obicéta omnium: feientiarü. veftigare y quorum cognitio reqniticur y vt ys det.ynitatem;, vel ditGinétionem (cientiarum: dogno(camus. Solum addimus, vt optij mé notae Auerfa q,27. Logs (c&. 9: qnod E M uu Difr. XII. De S$dentia .n 354 v nó quzibet formalis ratio obiecti debet" totales fcientias multiplicare,nimis;n.có: intelle&us;quia tot e(Tent (cic ti2, quot naturz retum;, de quibus poffent paffioncs demon(trari; vt igitur cet to numero,& ordine procedatur in (ciétijs,zationcs illa formales aliqua. naturali proportione; et vinculo'colligatz, et imn vna commun: róne cObenientes in vnum: colle&s ad eandén fpeGtabunt fcientia totalem; que veró funt inter fe diffitz, nec aliquam habent affinitatem, et pro. portione; diffitas,& diuerfas conflituent fcieatias;fic ien entia materialia, vt funt fc ipfisincludunt,habcent magnam: cónexioaem y.& naturale vincülum inter fe,: ^hacoccafione Do&oresde liis omuibus: vnam totalem [cientiam comttruxerunr 5: idé de rebus pra&icis dicendá, de rebus: mathematicis, et metaphy ficis, nimis .n.longum cílet obiecta omniu fcientiaram: rece(ere,vide Auerfam cit. fe&.7.& 8. :64. Inoppot. arguant Cóplat.& To.de S.Tho.primó,quod'nottralententia non! fati sexplicet punétum difficultatis ; naar cum dicitur, quod licéc eadcm res materialiter infecta poffit ad plurcs attinere' fcienas, non autcm formaliter propter diucrfüm modum de&inichii in vnatciétia,acimalia ;ceftat adhuc explicandum in quo'con(rttat hzc diucritasin definr& do: et ex alio'capite nequit. prouenire y ni(i cx diuer(itatetmmarerialitatis, et ab ftrattionis; quia. f. ex diuerío-modo' ap picliendédi, fequitur diueríus modus definiendi Cont. non potcít in noftra (en tentia redd» ratio; cur tot definitionesa(fignata in vna (ciéria ad illam pertincát nifi ad dineríum mmn modu:n deuenratur znam fi dicatur lioc e(fe, quiazs omnes illa! dcfinitionesab vno fübie&to habent coordimationem,& deperdenciá;. explicandüm rein anct, vnde fümaetar i (La coordinatioyquz vnitatem iftam: conftituat:fi pro radice affi diucríus nio dus definiendi,iam'iffe ex d:ucría abflra€tione ortà ducits(i dicatur hoc e(Te quía" omnes definiiones paraculürcs: vniantur,& continentur f. b vpó cómmuni gencré. Gontza cft; quia hac vn1o, et ri i Euef IL. equo fieiie fpetfientir. o. 983 dinatio nonni(i ab abftractione, et im. amaterialitace poteít prouenire:cergo lim. pliciter re(pondere, ideo fcientiam effe vnam quia in ea confiderata vn:untuc in vna rationc formali ob:e&i, e(t petitio principij;& nugatio,huius .n. ratio inquiritur, Accedit tcádem;quod fi vnio in yno communi (ufficeret ad vnitatem (cientie, jam omnium yna daretur (cientia, oec ctfet ratio, cur omnes mathematicz: [cientiz non (int vna fcientia genere, Refp. ex di&is fatis futhc enter ex ra« tione formali obiecti explicari ynitatem fcientig, neq: abttra&ionemaliquid cóferte, ni(i pro ipfamet ratione formali, et contiderandi modo explicetur : declarare autem, in quo hic peculiaris definiédi, et confiderandi modus cuiufcüq.fcien« tiz conftutnon pertinct ad Logicam,(ed ad vnamquamq.Ícientiam in particulari z fic Phyfica docet fiaem eius effc conliderarc entia naturalia yt in hac commue ni rat;one naturalitatis ;-& habendi prin« Cipium motus;& quietis conüeniunt (ub qua deinde ratione defcendit ad inferiora contemplando illa, vt propriam natus ralitatem fub naturalitate :n comuni .cótentam h bent : M i(ica dozet fiaem ip. fius oífe con(iderare numerum, vt fonorum, et ip gratiam buius varias proportiones, et atfe&iones ponderát «-Matheniauica in cómuni babet confiderare quá titarem fub rarione meníurab:lis, Metapbyíica contemplatur omnia entia (ecunrationcs quaídam generalcspradtica fciétia operationes vt dirigibiles in ma teria morali;& fal(um eft bas diuer(as rationes formales originari à diuería abftra&ione;nà preterquamquod bac abftra&io,vt communiter explica:ur non fatis explicat di(tin&ionem (cientiarum ., tum multa vnius ab(tra&ionis confiderentur ab alijs fcienrijs : adhac tame hac cauf(alis non eft vcra,ideo corpus natura" leet conlidcrabile vt naturale quia abftrahit à mareria fingulari,ncc ifla, idco . quantitas e(t men(urabilis, quia abftrahit à materia fingulari, et (cnlibili; ergo hc abítractio nonerit radix fcibilitatis obiccti : fed radixerit. propria nauxa cuiotcunq. obiecti: petere autein, «ur aliqua "res ít iot:lligibilis in juaniü eft obic&ahabeantmaturasconüimiles,& af»   faes,aliquanon, aliaratio adiuci ue   quit.nifiquia boc efthoc, &illus c(t il.   lud.E: his liquet ad 1.confir. Ad 2. con» cedimus feq. attamen claritatis onmoditatis gratia hanc fciéN tct totalem ín plures fecund tales diuifam fuiffe,vc fupra 6$ Secundo quód immatei 1à di(tinctiaa, prob. Tumquía i tia fepatabilis, eo qp intelligibile: ac fpiritpales& fp riualitatis pr eft à materia denudatio, ergo intant eft (cibilis hoc, velillo modo ; inquanté c(t ducr(imodé à matcria abftrah:bilis radix (c.bilitaus rei hoc, velillo   hs modo erit diuct(aimmaterialitas : et fig."   uando diucríz definitionesíüb eadé ab. ra&ionc procedunt jlicét diuerías quid» ditatcs definiant io e(fe rei ; dicuntur ta« e 4 men ciufdem fpeciei,vt definitiones ph v fice,quiaomnescodem modo procedüt   T includendo materiam (enübilem motui et fabie&am, omnes erunt eiuídem (pccieiia effe (cibilis propter cófimilem definiés. dimodum. Tum 2.Ari(t. 6. Mct.c, t. (ciétiam (peculatiuam per triplicem abftra. &ionem in tres fcientias diui it T efp.ad 1.ncg.affumptum,nam et ip» : fa indiuidua materialia (un intelligibilia: imó per ip(a imelligimus fpititualia, vn» de itaamuc pro flatu ito. in cognitione À rebus materialibus; et quamuis in scien tijs debca: fieri abílraétio ab indiuiduis hoc non eft, quia indinidua finc proríus inimelligibilia, nà adus iplelibttraótio « nis non prefupponit obieétum abítraótüs fed quia (centia eft. tátuif vaurerfaliumy vndc hzc abftra&io erià io. (piritualibus fieti debet ; et proprie eft abtkractio fupetioris ab inferior;:fal(um etiam ctt ine telligibile idem eífe;ac (pirituale 4 nà ens tía materialia, cum finte(lcniialiter ta» lia,non potfunt vt fpititualiaconcipi:falfum cít quoq, definitiones diucc(icü quid ditatum in cilc (cibiliseiafde clie |pceiely vt att.fcq.Sed vt penitus hac rauo loluatur,not.quàd cum áiferitur rcs. materiae lcs non cadere (ub fcientia; hac. fnuna1crialitas requitita;vel dicit. cond:ioc€ KRrt 4 E   pradicatü obie&i,& eft falfum, quia ?. rehendi;neq; materialitas obiecti cft ra jo cótingentie iptius quó ad fcibiliraté y   "quia etiam in (piritualibus dantur propo|. Bitioncs contingentes,vt Angelus mouefur,intelligit,& c. vel (e tenct cx parte. » (00 porenagzsquarenus dicit modum, et me... dmm cogoofcendi, eo quia intellectus nó 3   materialis non poteft vt immaterialis apEC   prch: percipic materialia materiali modo .i. por ^ fpccies materiales, vt fen(us,fed 1mmaterialiter.i.per fpecies immatetiales ; et in D hoc fenfu vere (unt ille propotaiones, E, ; te5 materiales nó cadunt fab (cientia, ma 1erialias ;impedix intelligibilitatetm, et   . fimiles. Ad Arift. dicimusa(fignare fu£; ficientiam (cientiaram penes obiecta, et diueríos definiendi modos,quos circuinfcribit per abftra&ionem à materia, re wera tamen intendit. af[;gnare rauoncs Kormales obie&torum .. rut fcientia fit vna fimplex qualitas, 46 q[ Oquimaur de (ciétia roxali,& ciL pu habituali ; fatemur auté hanc difficulta.em e(fe. potius animafticam, «um fit communis omnibus habitibus, prafüpponatq; cognitionem, quomodo fiat intcnfio qualitatum ; veram quia in quazi!.procm,cuiuícüq;fci£tiz quzri folet;an illa fciétia fit vna; et quá vniraté ha bcat,nequcat explicari,niti fim plicitas ha b/tialis (cientiz inucftigetur;idcirco hàc mo cmus-dubitationé,gr noftro inflitu&» iat erit,reliqua ad li.áe an.remjttimus, Prima extrema opinio docct (cicntiá e(ic-vnum-(implice babitüi per primà demon(üratiopem illius (cientiz acquifitü facilitantem intellectum, .nonfolum circaillam. demon(rationem, fed ét circa emncs,quibus perficitur per quàdam extenfionem,ita D. Tho.p.2.q. $4. ar.4. vbi Caict. Med. Vafq.difp. 80. Val.q.6.de ha-. bit.pun. 3. Salastract. 10. diíp..$. fcG. 1. Rua-q.4.proc.Log-Celeft. difj. 1. Log. fc&.4. Compluc. difp. .dc S. T. q.17.ar.2.Dfferunt aücquo pato babitus ille dicaturexcendi ad. alias conclu(: poftquam (ccundum cífenriam per p rimá Difp. XI LDe $dentia. 55^ demóftrationé fuit acquifitus; iet.,quód in intellctu cf peret "n re, primam,(ecundá, tertiam, et czterig conclu. cam habitus acquititur » perficit intclle&tum quó ad primam potentiam, per 2. demonf(lrationem extenditar. ad perficiemdum intelledum quà ad 1 poté;& fic deinceps, fiu? fint plures ifla: potentig in intelleóta, (íu&vpa formálitet  et virtualiter multiplex ; hoc modo igitur dicitur exiédi;quatenus :nrelle&us non remanet interminatus erga 2.demonftrationem,fed terminatur per. hibitum ; cut (abijcitur. Io de S. Th.ait extehdi non per acquifitionem nove entitatis;fed per acquifitioné novarum (pecieram . Vafq. et Salas admittunt nouam entitaté in habitu per 2.demonflrationem,que tamen non fit eiufdem rationis cum ent:tate hábitusyfed modus quidam. uu. et Czrleft. quód fit omnino eiu(dem rationis, (icut intenfione acquititus. eft eiu(dem 467 Scecüda sécextrema eft «coti multiplicanris habitus ad mulcip'icationem conclufionum;& demon (fl rationü in (ci€ ;itaut quot funt conclufioncs demone flratiestot finc hab.tus genersti fpecie di . Met.q. 1.& q.3. prol.D,& T et 1.d.3.9.7.àd 2. princ.& 3 .d.25. q.2.in fin.& d.31.D,& d. 56.L,ip(um (equücar omnes Scoüftz. vt Lich. et Tar. in prol, cit. BaíTol.q.6. Ant And.6. Met.q.1. Zer. . 3-Faber difp. 3. Mcur.q.6. prog. Met. Pari q1. prog. Log.& r.poft.q.vlt.Camerar«q.16. Log. Fuent.q.4.Log. diff. 5, art. 2, Canon. 1. Phyf.q.1.tem Nominales omnes, et ex recentioribus Conimb. 1, Poft.c.25.q.vn.ar.4.Suar. difp. 44. Met. fcét.1 i. Hart.difp; 16.de An-fec.a. Arria, difp. 1-Log.fec.5 -Aucría q.49. Phil. fe&. 7. Morif.dilp-1 2. Log.q. 4.Blác.difp. vlt. fect. 8. Amic-trac. 27. d. 4. q. 1. dub. 2.& 3: Tol.q.7.progm.Log.& alij. Rabion.q. 7.prol.a(ferentium coclu(ioncs in fcientia demonftratas c(íc dupligencris ; vcl n. demonll rint. diucrfas paílioncs de diuerfis partialibus. 4obie, &-harü dantur hab;tus (pecie diftioCi,vdl demonficát diucrías paílioncs de codcm Quefi.IT. c/An fit «Una fmplese qualitasc./frei 1T..  863 £odé (übic&o,& hoc dupliciter, vel fuc€c(fiu& et diftin&is demonflrationibus, et de itis dantur habitus fpecie dittincti partiales;vel fimul;& eode actu demóftra tiuoti .[. de oibus paffionibus fieret vna propotitio deprzdicato copulato, vt om nis homo ef rifibrlissadamratiuus, difciplinabilis,&c. et tüc concedit deiftis om nibus dari vnumhabitum fpecie infima . ' 68 Dicimus tamen ad multiplicatione conclufionom in fcientia, (cà proprietatum, fiue pluribus,fiué vnica demon(tratione demonftrertur, multiplicari habitus (pecie ditlindtos,& cófequenter (cien tiam totalem non effe vni (pecie, et fimplicem habitum,fed plures; ita Do. cit. et prob.ab ipfo duabus praecipue rationibus 6. Met.:]-4.quibus tàm Nominales, q R ccentiores vtuntur, vt e(t videre; maximé adud Ccg.4. 5 .prol.art. 1. Prima ró/; aé&us circa iilas concluf.fpecie diftinguü tur,crgo habicus inillas 1nclinates, et ab yWllis actibus produé&i erant [pecie diftinGt isantec. prob.actus rHi;qui funt fcientie actuales partrales, habcnt diuer(a (pecie : c&t:, ergofpecie dittinguuntor,nà vt €um Arift.art. przced.dixunus ex diftin&ionc obicctorum valet. ioferre fpecifi€am d ftinctionem actuum; ancec. prob. actas(cientifici ; vcl (unt de pallionibue diuer(orum fubte&toram,vel de pa flioni bus ciufdem fübiedty, primi iam differunt quo ad pa(fioncs,fubie&ta,mcdia, et prin,vt cá de celo demonítratur incor :litas propter carentiam materiz, et contrariorum, de füublunaribus corrupribilitaspercompofitioné ex. materia, et coacrarijs nó. n.apparet, quomodo ia &ibus cadere poffit vnitas fpecifi€2, fi obic&a genere differunt., fimiliter principia, quibus demon(ítrantar paffiones illa, (ccundi ii demon(trant pafTiencs illas eodem medio, .f. definitione fubie&i, adhuc obic&a proxima differant. fpe cieynam principia integrantur ex medio, et paffionc, et contcquencer (i paffio eft diuerfa, principia complexa erunt diuer, quia. habent veritates euiden uas, et ioncs;idem dc conclu(ionibus i doce Do&.5.d. 28, multó magis quando mcdium cft Arg. princ. prob. Tum quia idem ebicCtum a&tus,. Schabitusab illo pco : : vode actus ab obicé&tis fpecific intur, habitus ab actibus. Tü quia,fi actus fpecie. diftin&ti eundem fpecie habitum poffenc caufare,non etiec ró, cur iniurclle&u vnos$tantum habitus non admitteretur. Tuin quia babitascíft quoddamfemen actus, in quem inclinat potentiám femina aüt (jcie differunt fi rllorum fra Gus fan: (pecie diuerfi, Tum quiaactus illi product habitus, vt (unt omnino di« ftin&i,& non vt in aliqua formalitate fal tim virtualiter affimilantur, quomodo duz caufz aquiuoce ciu(dcm cffectus affimiliari, crgo habitos produ&i erunt fpecie diüerfi . : Refp. Thomif.a&us illos fpecie dittin gui in efie rei ; et quó ad ronem fübic&t tormalem qnoa in effe fcibilis, et rationem fub quasquz eft vel abfractio à maretía,vcl ratio formalis obie&i, vcl vt ait Ruu.connexio,& dependentia princi piorum eiufdem (cientiz adinaicem:aam. licét infcientia totali fint diuerfa, fe inui cem tamen fupponunt, et vnum ab alio dependet,vt in Philofophia principia lib; de ccelo fa pponunt effentialiter principia communia corporis naturalis:,principia hb.de gen. dependent à principijs lib. de celos& fic de alijs sidem in Losca apparet,nà principia lib.prio.praeexigüt principia lib. przdicab, praedica. et petierm. C Tb.top.clenc. et poft. dependét principijs .b.prio.& propter hanc depé,quamtiis in e(Te rci (int diucriay: non tamen tn cffe fcibilis. ü ;  69 Sedi art. priced: hasrefponf. ceie éimus : namarg. proceditde obicct's in effc (cibilihoc.n. non eft'aliud, quà co« gnofcibilitas obie&i,non quz cüque ; fed. modo illatiuo,feu vt per demonítratione eft (cibile, ergo (i obiecta, vtin demon ftratione famuntur,(unt diaerfa, erüc ine efic (cibili dinerfa. Tumquia etfi hóc efz tcibile c(ler abitra&tioà materia, adhuic non foluitur argoméntudi ; nam abfira&io,licét fi confideretár in ordine. 9 ad terminum;à quo fit, vr süt fingulatia in prima a ;,, materia gs cse iníc^ m, $66 tia;pof(fet dici eiu(dem rationis zattamé fi fp«&tetur terminus ad qu£, f. res abílraà, c(t omnino diucríz rations, ficut res ille fpecie dilinguantur, diucrfafq; paíliones, et media includunt, ac veritates complexas ; (pecificat;o autem fcientig nó dcbet (umi ab abftractiones vt. reKpicit terminum à quo, nam fic clt cócepius negatiuus, fed vt refpicit terminum Ad quem; Si veró per rónem fub qua in1elligatur ratio formalis obie&i, et modus cófiderandi ipfius, adhuc vrget arg, quia hzc ratio formalis eft tantum ynaz genere in fcientia totali, vt patet in naturalitate ; quz genus eft ad naturam caeli &lement, mixti; &c. Tumquia etti eadem fit, tamen in demonftrationc, vt fu. ftituit diuer(a principia, et complexas ve ritates, faltim partialiter, vt dicebamus, ergo concluliones deduce crunt diuerfz fpecici. Tandem connexio illa princinon infert identitatem fpecifica, alitcr fcientia (ubaltérnans, et fubalternatà cílent vna fpecie fcientia, quia funt connexa quoad principia ; tum quia major dependentia reper ituc in caulis effentialitcr fabordinatis, vt (unt caufa prima, et fccunda, quaminter principia commu nia, et particularia, at illa dependétia po tius arzuis diftin&ionem fpecificayquam identitatem ; idem cuenit inter affenfum conclufionis, et affenfam principiorü, et inter habitum concluf. qui dicitur fcientia, et habitum principiorum, qui vocatur intellectus; inter primam, et fecundam operationem intel|eQtus, .. 7o Secunda ratio princi. defumitur à Scoto ex Rewariomc oun rico, 9 po terit quis habere primam concl. fcietie, et confequenter babitum facilitantem E tentiam €rga illam conc]. non tamen erga alias, (icut habet; qui perfe&té acqui fiuit totalem fcientiam ;imó progreíiutempo tis poteít haberi habitus circa decimam ; vel centefimam concl. et amitti habitus circa primam, non e(t idem habitus facilitans potentiam circa omnes cóclnf. Refp.concedendo in princ. habitum illum non inclinare potentiam ad omncs fiones Dif». XIl.De$dmin, 0 .conclufioncs (cientiz, vel propter &am Jpecierum reprz(entancium   illas, && defectà applicationis, (ea exctcicij ipiius poientia ; yel quia nouis ills a& bus pecficitur habitus, qua tóne Adem eijencialiter prius erat ympo«ens ad,concurrendum, poftea fit potens: ; qua: perfect o poreuc prouenire,vel quia determinat intellectum fecü dum aliam, et aliam potendiam, vt Carec.vel quiaacquírit de nouo mod. m qucadam diuerfe tation;sà (ciplo, vt Va q. vel tandea quia perficitur per &ddiconem entitas ciufdem rationis, vt Czlefít, Jte re(ponf.non uaac. Tum quia fal-. fum eft habitum intrinfecé habere via facilitandi porentiam ctga omncs concl, nà habitus ex primo actu (ciétifico proda&us, quicquid habet virtutis,ab illo a&u recipit, (ed nequit a&us ille includes ite perfectionem omnium actuum (ciens tit, ergo nequit producere habitum in« cludeatem yim facilitandi porcenuam in omncs actus . Tum quia poteft quis poft 4» vel 6. concl. elicere erroneum actum cítca obic&üícientiz, ergo (i vnicus cf. Íet habitus omnium conci. idem habitus. elfet timul fcientia, et error,quod repu gnat . Nec valet reípó(. Caiet. quam etia approbat Arriag. non (equi repugnanià, uia non cít reípe&u eiufdem concl. fed iuer(z. Non valet, quia error, et fciétia funt diuerfa fpecies efscatia) iter diuidétes habitum in cómuni,ergo non pofsunt eidem habitui conuenire ; fiue in ordine Ad idem obiectum, fiugre(pe&u diucrforumyaliter idem habitus in duabus fjeCicbus j tum quia vt notat Greg. cit, ad-. huc eset error, et (cicotia xefpecku eiufdein ; nam fiille ralis elicuifiet loco erronei atus actum oppoltitü (cientific » vcl fi pott clicitionem erroris, mutaret. fentétiam, idem babitus inclinaretin illa oppofitam concl.vera.n, et (ic in fe c(ser fcientificus babitasjllius concl.& tamca Ademoino incliaabat in a&tü erroris op. politum,ergo eífet habitas etroncus, Ácientificus rc(pe&u eiufdem ; tua quia 5 admitteretur folum refpedtu diucr[oruayadhuc fequitur jntep:um, nam error 1;coixl, eft compollibilis. cum fcientia. prod anth   ueft.L. Au fit ha fuplow qualitas fir. 15. $67 rima ; incompoffibilis cari (cientia fccunda, ergo: habitus (cientificus primae non eft idem cum: habitu  fcicritifico fetificus prima eft compoffibilis c habitu erroneo fecunda, cum quocít incomliabitus fcientificus (ecunda ."à prima nó valet, quia etiá (i acquirerétur (pecies de nouo', non ftatim rédditur facilis intellectus, fed difficulter afentit nouz conclufioni, quz difficultas tollitur pet exercitium, fignum euidens dari nionum habitum im intelle&tu, nam habiquadam facilitas potétig erga aliquod obiectum ex frequentatis actibus dcquifira, vrinlib.de An. dicemus. Nec re(p. Caiet.(atisfacit » impercéptibile .n. eft, quo pato habitus detétminet intclle&um fecüdum vnam potentiam, et nor fécüdü aliam, (i.n. habitas potéseft perfunt fimul vnita ; qüo ipfum intelle&um tion perficiet fecüdü vltimum fuz: potenitiz? et qüo deinde omninó' immutatus perficit de nouo; et redditur potés,& per fc&us ? aliqua ergo mutatio erit in habi tu.Qd' fi admittatur noua entitas modalis,nó cuitatar difficultas, nam actus producens modum: poterat. primó acquiri,. et tunc produxiflet habitum; non modd, tamen eft diaer(üs abalio actu, ergo non poterit babere vim producendi cirdem habitum, féd ali dinerfum 5 t quia poterit quis obhuifci prima concluf. et Confequenter amittere habitum circa il lam; retinere tamen cognitionem, et faeilitaré crga alias, ergo hac facilitas erit verus habitus;nón entirasmodalis,de cu ius ratione cft, o nompollit effe (ine re y «uius cft modus. Nec poteft dici, grillud additum (it entitas ciu(dem rónis,quia fi $rius noff inclinabat potemiam ad. os, Tit poíL ea, caa fit eiufdem rationis, et vircutis, et folum difcrimen fit ex parre : tum quia fi quis eliceret actür vt 4Citca primam cocl. alius veró'cl'ée4. a6tus circa. 4. concluGiones, quorü quitibet Btynem, ifti habebant aequale tá in 5 ftameifta opinione &ta menbhabitus primi foláinclimaret in tónes formata contra ptiimá; primam concluf.habitus (ecuridi in 4. && tionis non fufficit; vt plura, et diuerfa refpiciat obie&a, fed'noua entitas, et alte Ex quibus ; dia fententia ponens habitum illi ex vai« ca demonílrarione de przdicatocopu generatum : n& praterquamqt traiftam; magisadhac refellitur, paffiones illa, vt Mcr -€ fcuntüt; fifnt diueríz rationis, et polfünthabitus fpecie diftin&os producere, ex,quod ynitz' cognofcerentur ynó müe     tareht naturam, fedomninocedée(fenty   ergo non vnum, fed diueríos producent     habitus ; tam quia falfum cft poffe vnico' a&u cognofci, vt dicemus . Soluuntur. Qbiettiones Z YNoppof. arguunt r. à fimili, nam 4 I habitus PON: nom eft ab: habitu (cientiz diffin&tus, vnde Arift.6. Eth.c.7. fapientiam ait efTe fcientiam, &c iatelle&um . Prudentia; quamuis fit circa plurima diuerfa, et fpecie diftin&a, eft vna gx Arif.cit.c. vlt.fidesinfu(a e(t vnus habites,, quamuis articuli crediti fint diuerfi, Temperátia eft vna, et ram sinis qais habere temperantiam circa ci4 um;noncirca potum, aut res vcnereas s: idé de iuftitia, et ceteris virtutibus motalibus, tiué infufis, (iu& acquifitis dicen dum. Charitas inclinat. inamorem Dei y et proximi;in dile&ionem amici, et innimiciy et e(lo (it maior difficultas circa amerem inimici ;non ob id nouus, et diftinétashabitus charitatis ponitur. Potée tia cft vna, et tamé fertac 1n diuerfa fpecie obieéta. Vnica vitionc oculus fertur in imaginem, et (i. fpecies colorum fint: diaerize -. Vnico' actu videntur fénfibile, et cómune, vt quantitas, et al bedo; illa ett sénbile cómanerefpectu vifus,quiaett à ta&upercexibilis, ifta eft proprium;& tamen differunt . In An9cks admittant 1 hcologí fpecics vniueríales rcrum fpecie diftinQrarum; iofitafferunt cadem vifione beatifica vjdere Deum,& creaturas m Verbo, per riouun manet etiam reprobata mez»pouum te(pe&tum terminationis . Et tan. demeadem rclatio extenditur ad plures &crminos,ergo idem dicendum dc habigu ' Écientiz, .(. quod diuerfitas obic&torum, et concluf. non inferat diftin&tionem fpe &ificam habituum, nam fufficit vt aliquo amodo conueniaitt in vna rarionc fcibilis .  Refp. hasrationcs petere longiore diíputationé in lib. de An. velin Theol. dií(catiendam, et pracipué an habitus, et a&us[pecificentür ab obiectis, tam formalibus, tà materialibus, vt docét Hurt. et Arríag. an (olum ex formalibus, vcafferit cómunis cum Sco.cit. pro nunc igiut brcuiter dicimus, fal(um effe,habitum principiorum cífe idem cum habitu conclu. nà ficut a&us princip.e(t cau(s actus .oncluf. ita habitus priaci p.mediáte actu «ít cau(a liabitus conclaf. Aritt, autem ; de fapientia pro qualibet faeultatc initellectiua,vel pro Metaphy(.cuAus munus eft principia aiiarum (cientiafum probare,quo fenfü dici potett fciérttia, et intellectus eminenter, non tormafiter,& quocun3; modo fumatur, nüqua vnum habitum fotmaliter, fed plazCS, vnü-veró vnitate generica, vt art. [e]. Prudentia dicitur vna ab Arift. non fpc€ificé, (ed genericé, vc explicat Sco. 3. d. :36.L. Fidcsinfafa ; ia3u/t Do&or 5. d. 23. D.clt vna fpecie, quia vnica fpecie elt ratio formalis a(fentiendi rebus fidei 'F. authoritasreuelantis Dci; non .n« a(fentitur eredibilibus ex proprijs rationibus illorum, fed vt lunt à Deorcue"fata, at (cieicía tendit in concl. non taaXüm propter principia lecundum propria "ycrítatem, quam principia habent ex cecinis, fed ét (ecundum propciamvericaem; quam ipfa conclufio habet ex cermimisalià à veritate princip illa. n. e(E. veAita$ mediata, biéc immediata ; ideo ad. amultiplicationé conc]. maltiplicaut fpe€ie (ciencia ? Meurif: camen docet fidem infufam et:à (pecie diítingui ad maltipli&ationeurcredibilium, contra DoE.ctr, ^ Temjpecantia, (i libet vnamrationeam fotmaln fpee (cam honeltatis, elt via cie et Gavplex qualitas, quamuis o5íemaéecialia fiat diucr(a ; nec noua difficolas, qa cicca ali juod: obicdiuaf., XI. Dé Sena 2.0000 eirca potum experitur dip diftin&um habitum in Nollicasey ed folum in potentijs fenfitiuis ;. nam obiecta ifta point dupliciter con(iderari, vel inotdine ad potentias rationales, et (ic meré materialia funt,quia ha potentiz (olà ratienem formalem: virtutis in'ip(is confiderant, et appetunt, parücurando de di-. terfitate fpecifica inter fe, velitiordine -ad potentias fentitiuas, et hoc modo (unt obiea formalia, propter diuer(am (pecie dele&tabilitatem,quam habent, et fic diucrfos a&us, et habitus fpecie caufabunt; quare habituatus circa temperátiá Cibi pot adhuc habete difficultatem cir» ca potum; quia nouo indiget habitay nom in volicate »fed in potécia apprehen(iuas et appetitida (enübili . Vel dicendo tem'erátiam -&-ceteras virtutes morales ere vnitatem genericam,nó (pecificá,vtpriíertim de iaftitia docet Scot.3. d.31« D.& idem de infufisdicendum, que «à Scotiftis negari f(oleut . Charitas eft vaa fpecie, quia c(t vaius ob:c&i formalis.f. amoris Dei pp (e,-Sc amor proximi. fiue amiciyfiuz taimnict non differt niti materialitecab amore Dci,vt o(lendit Sco-3« d.28. et licét aliqaa di tüiculzas fentiatuc y hocelt propter potenti un: fcafitiuamce iracibilem ; vt de cibisd ximus. 74 Potétia e(t vas, quia. non (pecificae tur à quolibet obte&o inadze juato . fedi ab obiecto adz juato, cá (it vniueríalory. et vniucr(alius refpicirt obiecti, non (ig habitus; aliter vnus da zctur rcípectuomn:ü adbud, ficuc vna potentia, vade mcdiaarrenet vià inter potentiam, et a&tü z nam potentia eadem numero poteit ini plures-actus (pecie tendere ; aétus ideor numero in vnum. nuincro obiectum, at habitus idem numero ; et Gmplex io plares con(iniles: actus. Oculus nonvnicaLus viüone attingit colores imaginissfed pluribus,tigaum eaidens,quó plutesfunt co digeteyvt imaginem: pro fpiciat. Quantitas ab oculo non vidctur propria tpecie.  (pecie coloris, vnde (e haber qua obiectum materiale.Species illa yoiuere 1o [i adactezentur non valeret patie lass Nara 85, quia (peciesille cllenrà Dco infufez, at habicus quia generatar ex actibus, nó nifi in fimilcsa&us à quibus producitur, potelt inclinare, et quia a&tus/pecie diftin&i habét diuer(as fpecie a&iuitaces, vtiam tam eft, idcirco non poffunt dati habitus ifti vniuerfales. Beati (i tena&ibus, vt probabiliter docet Scotus 3. d.14.q.2.argumentum non vrget ; fi veto vnico a&u, vt ibid. afferit Do. et q. 3. prol. Y.& 1.d. t.q. 2.ar. 2. dicimus crea turas effe obie&a (ecundaria, et materia,non primaria, motiua, et formalía, cognofcunturj.n. non fecundü proprias cui, et in (eipfis, fed (ceundum cla. ritatem diuine cfsentiz, idco nen eft pa. ritas nam loquimur de obic&isformalifpecie diertis ; et fi valeret, probatct etiam vnicum habitum eíse omnium crum, ficut vnica vifione beata videri pofsunt omncs creaturz po ffibiles. Tandem eee de rclatione eft falfum, yt diximus difp;S.q.6. art.2.    anat ratione; T quia fcictia cft vna fpecies qualitatis;fed nulla fpecies eft cx plutibus fpecicbus cóftituta,crgo nec (cientia, ma.patetyquia re&e infertur babitus cft vna [cientia,ergo vna qualitas. Tum 2. fcquererur, babitum.de ente cteato poíse perfc&tiorem efse habita de Dco,namiíte Git vt decé;illecontincat viginti habitus particulares, quorü quilibet lit perfc&us vt vnii, includet vi» inti gradus perfcüionis, ergo pfectior, Tum 3. qui acquifiuit habitum circa. primam concluf. facilius deinde cognofcit fecunda, ficut (ciens vnà cantioné, facilius canit caeteras, ergo idem habitus. inclibat ad actus dineríos, nam habitus eft Lacilitas. Tü 4» per rónem formalé fübie&i demóftrantur omnes paffiones de ipfoscer2o vnicus habitus harum paffionü, quia vnicum obiectum motinum, et formale, Tü 5. habitus ifti (ecundü nos (unt diuer(z qualitatis ípecies, ergo séper etit verum dicere (cicntià c(se vnam fimplice qualitaté . Tum 6. fi (cientia totalis efset quid cx plütibus aggregatum, ergo formaliter eíset relatio, et ordo; quod eft fal (um. Tandem eadé (cientia eit contrario1 na. V: de fcientia par tiali, et vnius concluf.& de vnitate i: ecin.fccay& dc iftare&é infertur,quod iit vna qualitas (pecificé,non detotali,& vnica tcobie&iua, qua folam dicitur vna gene ricé vt art.(eq, Ad 2.habitue de ente crea to femper crit imperfe&tior obie&iué,li«cé intenfiud vel extentiué fit pei qp non implicat; tum quia illi viginti ha«bitus non conficiunt vnü thin bitum,vt viginti, fed (unt plures habitus, vt infra. Ad 3.qui acquifiuit habitum pris. mz conclauf.tacilius cogaofcit ceteras ná pet facil icatem incli, in ad cogni quo modo cófimiles proprijs atibus, nàidé habitus per concomitantiá iurat po« tentia ad cliciendos actus alterius ronis, quatenus i (ti conueniunt in rónc genericum atibus proprijsillius habitus, &c quó magis actus ifti conueniunt, có ma« gis habitus iuuar ; icur exercens actum vnius virtatis, facilius exercet actü ales riusyquia per primum affucfit obed;re re&z roni, et bonum honcftum amare, in róne actus illi conueniunt ; et cómit. tens vnuni peccatum,promptius aliud càmittit, iuxta illud J45y(Jus abyftum inua cat,quia per primum peccatum fic proua« prior ad afpernendum rectum dictamen, 4. iam diximus fupra, in cafu quamuis fit vnum: obicéctum formale rcmotüai s . f. definitio fubie&i, proximum tamen.f; principia demonflrationis, funt. diucría ; tum quia ipfamet definitio aliter fumiturin vpa,ac inaliademonfiratione,.f.in vna, vt eli cau(a virtualiter cotinens vnà paffionem  inalia vt virtualiter continés aliá, bg eft aliquo modo diueríaratio   a formalis caufandi-Ad $.non negamus has bitus formales, et partiales eí1c timplices qualitates fcd habitus totales, et genecis cos. Ad 6.1i per (i tit agaregatio, et ordo patualiuim habi« tuum concedimus (equelamyattamen cá« muniter vel füritue. pto habitibus ipfis, velpro habitu generico coti» nente partiales, vc explicabunus att. fcq. idcirco ncg«(eq. Ad vlt, oppofita Peut bY t uantur,etgo,&c1 deerminaà   tionem illatum, fed perfacilitae. indeterminate adactusalis   I2 x ad candem fcientiam, non quia cadé fpecie ". ri fic qum » (cd quia (cietia i$ habet explicare omnia, quz adiaarcem aliquo pa&o funt connexa, przci" pué in cognitione, qualiter fe habent op. pofita nam vnius cognitio iuuat ad coghitiomemalterius.    26 Tertiopro media fent. arg.pofsüt vnico a&u omncs paffiones fubiecti per definitionem demonftrari, ergo (i fzpius iterctur actus ile, generabituc vpius hsbitus inclinans n omnes paffioncs (ubie&i ; coníeq. patet, Quia fi vnica eft cauía, vnicus quoq; erit effe&tus ; antcc, prob. ficut pot deomnibus przdicatis quidditatiuis confici vnica propofitio de prz-dicato copulato; dicédo, homo cft fübftaritia corporea, animata, (enfjtiua y rationalis, quz vnico a&u cognofcetur, ita poteit de omnibus predicatis in quale accidentale infeparabiliter, vt fuot paí fiones, confici vnica propofitio conftans .ex prz dicato copulato, et demonflrari nitionem de (übie&o, v.g. omne animal rationale cft rifibile, difciplinabile admiratiuum,&c. homo eft animal rationale ergo eft rifibilis difciplinabilis admiratiuus, et c. patet paritas, quig nó minus pre dicata Lomderi Um noftra (ententia diftinguuntur à (ubiecto, quàm paffiones .f. formaliter. Refp.neg.antec.& ad probat. neg. paritas,quia etfi przdicata quidditatiua formaliter diftinguantur à (ubieGto, attamen funt talis natürz, vt integrent vnam rónc formalem completam ; hinc quamuis fciunctim confiderata explicentur a&u fpe cic diftin&o, non tamen vc in vno fubic&o vnita intelliguntur;non (ic pa(Ti oncs, quz mogis formaliter diftíngauntur à fubie&to, quàm przdicata quidditatiua ; etenim pulos fimul fumptz non fa. ciunt vnam tealitarem completam,& cófcquenter non poffunt vaico a&u conctpiyfed potius plurib? a&ibus ficnul, vndé non cft vna demonftzatio, fed plures,nec vicus gencrabitor habitus, fed diuerfi. | ARTCVIVLS Ill. /. Qualis fit vnitas Scientie totalis. 177 auimus hatufq;dari diuer. fas totales cientiasyq  fint | died vnas (imple habit res, quot funt concluf. :n vna cotali (ciétia demoltratz ; videndumre(tat, quo pacto ííti partiales habitus cóflituent.voá fcientiam totalem. Aliqui, intet quos citàtur Nominales, docept partiales habitus v. £g. Logicales vnam Logicam conftituere tolum vnitatc agaccgauonis, ficut plures lapides vna cumulum faciunt . Ab his parum diftat Hurt.difp.1. Met. $. 190. et (eq. afferens in (ciétia aptali dari tot habitus omninó difpatatos, quot (unt fpecies fpecialiíTimeg in ipfa coliderauz,& omnes i(tos habi:us tntegrare (cientiam totalem per ag« regationem. Quidam vero fuftinét hos »abitus vnam [ciedam totalem fpecie infima componere vnione per fe, vel in eífe Phyfico, vel in eífe artificialium, quomodo lapides,& ligua, quis in effe Phyfico fint diuerfarum fpccierum, attamca vnam domum coa»ponunt, quz in gene. re artificialium erit vnum | per (c artifi€iale in fpecie infima, Dicendum eft, fcientiá quamlibet total& cffe vná,non aggregationc, aut vnione per fe Fhyfica, fcd artificiali, quz tamen non erit dicéda vnitas fpecifica, (ed potius generica»ita Scot.cit, et pracipué 6. Met.q.1.cum Scotiftis; prob.primó, gp yna dicatur non per aggregationem; tum quia partialia non conueniunt in obie&o rorali, et adequato, vt lapides in cumulo,fed aliquo nexu per fe, ergo fcien tiz ipforum non conttituent fcientiá totaléjque efl de obic&o adzquato, vt a2grcgatione quadam vnitz. Tum quia non daretur ró,cur v. g. primo Metaphyfica, vel Theologia ante ceteras fcientias non addifcatur, et cur Pbylofophia ex coclue fionibus naturalibus, et logicalibus, vcl non integretur (icut pas rum refert, qy cumulus ex his, vcl allis laconfiruatur, co quód (unt accidétaliter ordinati. Accedunt fpecialiter cótra Hurt. tationesquibus q. prz cart. vir, eftendimus inferiora in eile (cibilis potius ad (apcrioga reduci, quàm € contra. 78 Secundo, quàd nó vniaotur vniore pet fe Phy(ica,prob. quia lec vnto velt fct ex au; et potétia, et hzc n6 ca Itin ter qualitatis fjecics perfcétus j« có, lel5; WX «UV. A: LE T Wu [nag ^M. MO nd proe e 879 . Dif.XHL. De Seintia. 000 "Y (rir id E quiliber,velfalim maior pacs habituum poffint prias, vel: ius'alio acquiri ;& quando vna conclufio ab alia pendet, non: eft dependétía i ages cauíz rmaterialis, et fubie&iuzs, fed potius in genere cau fz eéfficientis,ergo idem de illarum habitibus dicendum. Vcl hec vhio effet intenfiua,& hoc non, quia lícét poflit.qualitas: intcndi,nó'tamen per gradus alterius fpe: cici vt calor non intenditur per albedinc, fed per aliam calorem'eiufdem fpeciei ; ifti habitus (pecie diftinguuntur. Vcl tàdé cffct vnio cxtentiua que nequit admitti in rebusfpiritualibus, quz partibus extenfiuiscarentytum quia partes extéfium $üt ciu(dem fpeciei; et candem prob.quia actus, cx quibus geserantar ifti habitus y non (unt enione per fe phyfica vn ti . Tertio ; quód hibéant vnionem per fe in genere artificialium ; patet ex füpradiétis, nam predicamenta rerum dicuntur quadam opera artifieiof1,co qu'a (é bubent vt man(rones quada, in quibus fpeeiiles rerum feries fao ordine collosantur, non totaliter hominany arbitrio, fed fundamento, et occafione ex rebus ipfis defumpta, ita de (cientijs dicédum, quód Logica v.g. dicitar vna totals (cienria, quia ex illis partialibus habitibus conflatur debito ordine dilpofitis naturis obieétorü Logicalium fpetaris, (i cat domus efl vnum artificiofüm opus, non tozaliter hominum arbitrio confita ctu ed habito fe[pectu ad conditiones partium, ex quibus conflat, vt grauiora deor(ui, leuiora furfum difponantür, qua ratione ncxtt quodà naturali dicumtar inter fe. » vnita« Ceeterum non dcbet haic vnitas im £eueie arcificialiem fcbiliomy dici fpecie ttim totius [cientiz dicitur vnum, et opus quoddam artificiofam in gcnere (cibiliü, et tame noncíl voum vt hic vmtate. » f; ceifieagfed potius ecaericaynée obiccta parcalia ingeaere Icibiliüm (e babent vc numero di laj ergo idem «de hibi. tatem ab obicéto defüpiat ; quanuris boc po [Tit reduci ad qutt. de nominc. fas;necpoteritaWi gnari, quinamhabius ^ 7 sheer ii, cm a&us, cum: 7, mam fit fundamen ifti vniri d tia, et due pacto!, vel fpecie. Sco.in Met. cit. quodi fcientia, ita fe habent; cmd esee ipfius poffunt ill i ele babA paffioied cel fübiecti; aliqua veró potenti in vno communt, et € uidditatem iplius non poffunt : emonítrari paffiones, (ed bene continctur potentialiter ratio ad demonflrandi paffkoncs illas dc, fubiecto; ita fc habet genus, qu liter cótinet proprias patfiones,qe de ipfo per fuam quidditatemd, tamen palliones inferiorum 4 cierum nonnifi porenrialiter, v. g. rifibi tinct, quía fic cóntinet füb: fe quidditat, per quam rifibilitas eft dem, quz continentia veré habet f damentum inre. S. PRO 8o. Q.ioniam auté ex cominentia aliquorum, yt diximus, fub aliquo coma;uni fumitur vnitas (cientiz ;(equitur, inquit Do&tot, quód triplex habitüs pót inaliqua fciétia affigoari, vnuseft habitusfor malis, et veré (Cicniüticus, qui formalit inclinat in cognitionem alicuius cont tualis, qui folam virtualiter ett fcientifi. cus, quia formaliter nó inclinat in cognig tionem conclut. fcd alicuius virtualiteg continentis paffiones de ipfo demonlt rabilcs, qualis cfl habitus cognitionis quida duatisfubie&ti . Terrius tandem dicituc potcixialis quia porencial;ier inchoat &g in cognitioncin fciéuficam, naa tormaliter inclinat in cognitioné alicuius quide ditatis, et cx hoc virtualiter inclinat im Cogu;tiontm proptiasum pa(fionum, et €ü hoc poteniialiter quoq. irklnar 10 co 2. gniuonem paztitonum inferiori de ipfis Ter proprias rationes deimonfirabilium, formal, feu concluhionis dicituc vnos vaicate fpecifica;tàco inuin(ccas quam cx trinlcea,& obicctiua : licüt vna Ipccic 471 0 Dig De. ie eft conclufío (cibilis:at habitus vir'tualis dicitur vnus vnitate fpecifica intrin fece,obic&iue tamen, quia obiectü virqualiter continet plurcs cognitione fpe&ic diítin&tas, quamuis in (c eet. (pecies jnfima, dici poterit vnus vnitate generis ; et tandem habitus potenuali quia communior e(t jccit minus vnus .f. vnitate generis remoti non dicetur auté ynus vaitatc generis per pr2dicationem, itant fit genus de illis przdicabile in gd y quia habitus quidditatis (ubiecti eft omninó fpecie diftin&us ab habitibus cócluf. fed folum per virtualem continentià plu. rium (pecie diftin&dorumquó ad cognoijitalcolligitur etia ex. 1.d.5.q. 7. in fin. Dices,ti obie&um eft vnü [peciequo modo fcientia ip(ius potc(t elf. má gu faliffimo, puta de ente folam, non dcícédendo ad infcrioragquo pacto fcientiaipfias erit vna genere proximo; fi obicctü xft remotiffimum,& communi flimam ? 7Refp. ex Sco. r. cit. quod (pecies fpeciafif[ima;quamuis fit vna fpecie infima, tamen virtualiter includit plura fuo: modo . iftin&a fpecie,& con(cquenter fe habet caufando veluti qnoddam geaas :idcir«o habitus quiddicatis illius poterit dici "?nus vnitatc. gencris próximi incaufando, et virtaaliter continendo plata fpecie dillin&a . Ad 2. fi valeret, concluderct €ognitionem vnüierfalis non debere cíle Hen fpecie, et numero, fed gencre, vel ecie tantum; quaré diciinus, vnitatem obieGiuam,quam habitus umit ab obic. &o,non effe inttinfecam, fed exccin(ecá tnde non neceíTarió cade dcbet effe vni tas (cientia,S& obiecti fed fufficit, vt aliquomodo fpecificetur ab obiedo : et ia in cótinendo virtualiter proprias paf ones codé modo fe habent omnia obte€, fiue fint communi (Tima, tiu fpecies infima,vel mediz, eodem modo quoq. fpecificabumt vnam (cientiam, quod (it vuiüsgemeris proximi: tum quia vnitas genetica obicGi eft vnitas gencris in pratdicando;at vnitas (ciecig eft vnitas. per ContiDen:iadse mere eese et li crit dealiquo vniuet &o 1 atn VASTI( dána t 1 /  De fubalteratione fcientiarum ; Antur aliquz labordinatz, aliz verb omninm. difpatate, it dignofcentur ex declara tione illarà,quie .n.nó habét códiciones fabordinatarum, di(parata dicétur : hzc. igitur (abordinatio nuncupari folet (ubal ternatio, qua vnam fcientiam fubalter« nantem denominat, illam .f. fub qua nitür alia fcientia, akera denominat. (ub« alternatam, qug fubalternanti fupponi« tur, Ad hocautem vt aliqua fcientia teri (ubalternata dici poffit,tres requirí tur conditiones fecundam communioré fcntentiá, prima, vt fubalternata habeat proobiecto aliquid contentum füb obiefübalternancis : fecanda vt fupra hoc obic&tam addat differentiam accidentalem: tertiavt fua principia demon(tcentar in (cientia fübalcermnte. Si vero alie a(fignantur conditiones y velad itas reducuatut, vt quod (cientiai fubalternans demonítret propter quid y fübakecnata demonttret. qui4, quod fus bic£tam (ubalternata (it partim-idé, pat tin diuer(um cum fub:eéto fubalternanz tis, et limilia:vel non (unt neceffacie códiciones:, talis elt conditio aí[ignata. et Dur.q.7. prol. n. t t. quod .(. finis: (ubalternata peadeat X fine fübalternátis, haeo proprié veci (icatur. in fci&dijs pra&icis,quando fubiectum vnius fc habet vc initrumencum » vel vt mcdium ceÍpe&u (ubieéti alterius,vt £rz num c(t fus bie&tum, et finis iniin(ecus frznctaóbiue, quz (übordinatat eque(tri, cuius finis, et fübicétum cít cqui dire&io, ad. quam fcenum inferuit ; at i (peculatiuis non nccetlario requiriturjnam inufica eft fci&tizad inuicem | arithimcaeg fubordinata,& ramen obic-... &um illius nó eft propter obic&tüilt ius 'olíct tamen hzc conditio ad bonum (ea. :. um redaciyfi per ipfam dependétia prins cipiorum fubaltermarg à principife fübalternamcis detuc intell gi ..  dHas ergo tres conditio | nes declatare de "tt M, beuw$e c vs uaf T. De fulalurnatofe fete. ednL $15 .ARTICVLVS Explicantnv prima du& conditiones. Sa £^ Ítca primam conditioné nor eft 4 multun aer X arae ora conueniunt obie&um (abalternate deberecontineci fub obie&o fübalternantis, quatenus fi fubalte tcicm aliquam mi comtenplandi up gehe fubernantis, tanquam fpecies fub genere contincbitur,ve] fi idé omnino obiectum detat, quia tamen (apra illad addit differentiam ali acccidentalem,. vt dicemussadhuc cotirteri dicetur fub obic- fi Yr Re o bus, v.g. vt fic, erit ub homine contentum ; et hac conditio afi gnatur ab Ariltor. I, Poít. 10. et 30. vbi docct Arift. obie&tü fuübalternantis debere aliquo pacto effc idem cum obíc&o (ubalternatz ; et ratio ipfa (aadet;quia omnis conditio fcientie pracipué ortum ducit ab obiecto, ergo fj vna (cientia altecí (ubalternatur, et a5 i det y neceffe erit obic&a illarü vt [ubalternata adinuicem, et ordínata. » fe habcant, qua rationc vt notat Amic. tra&t. 27. difp. 4,3. f.dub. t. cotra Ca- ict. bec conditio nó erit accidétalis fcié- tiz fubafterne,fed de per fc requi (ius, fi- €ut ab obiecto principalius fcientia fpeci ficatar«Nec eft poffib;le,cy affecit Caiet, dari polTe (ciencias fubalternas ratione principiorum, co quia principia vnius à principijs alterius pédeát, et quod dcinde rion adír (ubordinatio obie&orum ; erc- fim principia (cientiz in obiecto includü tur, vt diximus queff. preccd.ergo depé- dentia principiorum, a dependentia oble €torum trahít originem « Soldm dubitaci poffet, an ficut obic- Cum /fabalteraz incóplexum(de quo Io eti fumus) debet effe aliquo modo idem €um obicéto (ubalternamus,idem lit di- &endum de obicctis.complexis.(. de con- Clufionibus;itayt tài fubaltetnans,quani ubalternata (int de 1j(d& omnino conc. fubalternantem, et fubalternatam in hoc morifiratione quid hec vcro de- mon(trarione quia, Lopes  83 Oppefitü eft verius cum Scot.q. 3; Brobim nc, et 3.d,24.0. 1. A.& H.quem cr omncs imitantur .f, quód necctla- rió diuer(e debent effe concl. viriu(qac quM probat ;quía,vt dicemus, principia ubalternatz fumuntur à. rnancc, quoniam ab ipfa gre ea clafionesipfius, et vbi delinit fi - nans, ibi incipit fübalternata, onu queunt iftz (cientiz de ij(dem effe con- cl. Tum quia eadem fclentía poterit füas concl. vtraque demonftratione demon- ftrare,vt docet Arif. 1, Poft. 30.ergo hec differentia non confliruit(cientiam (ub. alternantem; et fubalternatam, si ponit inter has (cientias ; quod exemplis confirmat, nam fcientia maualis a(trolo- gia (ubalternatur, quia illa per experiene tiam nofcit coniunctiones Stellarü in fi- gnum tépeflatis,vel ferenitatis, hzc ves rÓ per proptiam caufam,& à priori; Ma« chinatiua ctiam Stercometriz (ubordi- naur,quz .f. agit de corporibus. folidis s et taincnilla experimento percipit con- ftrü&ionem zdificiorum, hec per caa fas. Kefp.etiam Arilt.ibi docere hic dif- ferentiá in cadé rotali (cictia reperiri pof fe; ideoq;neg. cófcq.& art.(cq«magis ex- plicabimus,quo pacto intelligatur ibi A« rift.& Q fit huius conditionis intclligétia, Secundam conditionemaliqui negát alTecentes differentiamgquam addit (übe alcecnata (ipia fabalternancisobie&tums debere effe effentialem, aut faltim paf fionem infeparabilem, citataé. przcipuà Sonc«4. Met.4. 9.ex his vero, qui hác có- ditionem adimittunt,eft Zab. lib, de trib, .c. 12. Smigle.difp.17.3.8. do- centes. banc accidenialem  diffescotiam faperaddiam non habere rationza pat- tis formaits fübicétis Kid materialis; v« gs eikc toaoc.um,qua cit diercaria à muli- ca füpra nuaerum addita, inquiunt non clic rationem formalem obieósi mufi« €x., [cd materialem. 84. Diédü eft cam eommuni diffecé» tim (apcradditaa non elTe etientialem, nec pa(Iioné.n ; fed meré accidentaleimn, et (c habete vt rationem £ormalem, non materialem 5 ita coliguog ex  - £ite 5 c og2à Coo Dif X HEC DE Sentia C pas rima par, quod fit accidentalis d;fferé pee ex cif. fa pecit. vbi habct, gy obiectum fuübaltermatz: debet effe ake- füm ; quod cft accidentaliter differre ab obiecto (ubaltermantis,ná differentia ef- fentialis facit aliud, accidentalis facit al« terum, vt dicitur cap. de differ.idemy col- kgitur' adductis exemplis ab Ariflot. düs 'Fum quiapequit effe c(fentialis ; nam (ic omnes Ícientiz. deberent dici fübalter- nace Metapbyfica ; tum eriam quia füb- akernata non depeaderet à fübalternan- te,nam baberet propria principia imme- diata, et per (e rota, abíqueeoquód à fübalernantc rectpiat, quia paffiones de illo obiecto demóftrabies adasquaté dc- penderem abillo cum tali differentia, v. g-Ieicntiade homine habet propria prin- eipia immcdrata,non probata in alia fcié 1i2, ni nifibilitas adaquaté, etprimó ob :s«uidditate fluit; confequens au- tem ett talípm,quia fubalternata ita pen- det à (ubalternante,vt bac praciía non ha: beret, vnde (üasconcl. probaret, nec cffet (ientia  ettandem non cffet (cientia diftin&ta à fübaltermante, (cd potius cum jlla vnam totalem con (titueret fcicntiamy ficut (cientia de fpccie; v.g. de demólrationc vnam logicam totalem integrat cü: fcientia de (yllogifmo, etfcientia de celo: eim (ciencia de corpore naturali. Neq; poteft ce patio, nam vt notant Compl. etau. hicad: candem (cient fpe&tac fubie&um con&deraze etpa(fiones fubiedti, ccgo fubalternans: coniiderabit Obicctum. vt. ft (ub illa pa(lione fupccaddita. à (ubulernata, etficnon dittinguercarur; cürquia ideo'Sonc.a(Terit hoc, wt Áaluarct vanitatem per fc obiecti fubit, cmt paffio (it magis minteca (ubiectoyqua aecidentalis diffecentiayadhuc non facit vmm. per fc, » «um lubic&o:, quia eft cxtra ciusquidditatem, crgo ftüflra eecedit. Sonc. à €ommur (enient. iod 85 Secüda pars;quód fe habeat vt pare formalis, nom materiulis; pcob.d P. Fabro: Thcor. 1 2.quia quód fe habet vt conttaKns,& alteri aducmens iamiconftituto, "mequit e(le pars mater ali$, fed formalis, »9»oXcadinus dip. 6.q-3. differentia à fübaltetnara füperaddita vi 2/ effe fono rum refpecbu numeri contrahit numer fpecialem co(iderationem, vbiab A-. rith. vniderfalia$ contemplabatur, etity toto.f. ininumero fonoro, non'nu« meru$ intelligitar adueniréfonoco ; (ed^ foriorum trumero;ergo &t. T ü quia moiderandi (e habet vt pars forma lisjnon materiális:hzc differentis fe ha bet vt modus confiderandi, (ub quo (ub alternata speculatar obiectum subalter maotis, er$0 &c.   a» Contra t parten toncl, arguitur, eo quia diWerentia illa cum obie&to facit vnuni per accidens, etaccidentaliter dicitur de obieGto;at q. 2.art. 5. fuse oten dimus non pofle dari scientiam de ente. per accidens,nam przmi(fz demonttra tionis debét eife per se, etpropofitiones de ente per accidens formatz: nori sunt perse cx dictis ibid.& 2.p.Inftit.traQ. 1. c.2. T quia scientia subalternans;& subalternata non nifr accidentaliter differrent, ficut obie&um illius accidentalitetdiffertet ab obie&o i (tius. 86 Mesp.cóiter à DDünegatibus sciétiam de ente pec accidens. quam respósz optime declarant Compl. disp. 9. q.. 1 qobiedtum, etdifícrentia accidentalis superaddita poffunt müftiplicitet sumi, vel vt vtruamque' in recto, etz qué cóftietunt aliquod tertium, etlioc modo. aom pertinent. ad scientiam ; quia non faciunt vnum per sc ; vel quia vnum fit pec sc conlideratum;alítid vcro per accidens,. etncque taliter spe&anr ad. scienti sub akernatam : nam vtrümqne per $e consi. deratucab illa, aliter quta quod eR. per sc,potctt c(fe ine co', qdod eftper acci denis, poterit dari sciéuia subalternata (néaliquo illorum: qirod per accidés confideratur, vt v. g. mufíca fine mumero', vel (ine sonorojquod ett fatsij, cü vtr üq.. per sead muficaem pertineat; tertio pos$unt confiderar?, quatepus vmm ctt dc ratione alterius,non imrecto, scd mobliquo, etlioc modo e^ nie con. templari2]uód exéplo manifcttacur:nau vui ducc se, vt cindir ab Bar rhonia,spe&at ad. P6 ys. fic nuincrus secandum sc ad Atícdlnet.ac 1i contidere[2 D » » Tyr Quai IP. De Suba lternatione fcientiarüm.cofrt.I.  873 &ui (onus inordine ad harmoniá, etcen«eatum;fic dependet à numcro, qui fc ha bet vt principium, etradix ralis concent0s,& in hoc fenfu vtrumque confideraturagufica ; quo pa&o obicctum fubalrernatz eft entm per fe quia vnum per fe in rc&o confiderat, f mufica fonum larmonicü, numcrum in obliquo vt prin.Cipium,cau(am, etradice (onus harmoanici ; poffuntque de ipfo formari ptopofationes per fe& paffioncs demonftrari ; A& cum diffarentia füperaddita pradicatur de obie&o (übalternantis ; vt fonorü barmonicé de nnmero fit propofitio per fc [altimin quarto modo, quatenus cffc4&us per fe. pradicatur de fua cau(a per fe,vt cum dicitur volütas vult;quod fufficit ad rationem (ciemiz faltim mon riotofz. Ad 2. dicimus, nó cadem diftin&ionc diftingui debere fcientias. inter Ícsac obie&a,nam fcientia de fubftantia, pin icm genetis » &« tamen. op iffeiüc plufquam senere ; ratio uia non inerinfec,edextcinleee ciétie penes. obicet: DUM MDUA. 3 suamuis crSo obie&ailla in efleretper accidensdifi, álioguantur,.atramen in effe [cibilis, (cu wt per (e conliderantur à. fcientia, (uffi«funt ad caufandas. [ricos pecie clentalon feditlndtas Ex quibus eguitur, non quamcunque aceidentalear di£ferentiam fü prem cuicungne obieio fufficere'ad conttitiendam fubalternajám [cienuam,, alitcr dareter fcientia de namcezo colorato, de linea alba  &c, [olm illas qua: pé: e rejicit obiem fubaltcen vt principium, raicemyalicuius effectus, Idem quogj dicent . ira y. cec di v vx |  £p TOUS AS OREEMI De alternata evt fic pertinet E Aa 5 Dam yea evo gf phyf. fed En » Yt fit per angulos ie&tat ad per(pectiuam,qua ratione dependetà linca, quia anguli cx lineis tanh ex principijs conflituüntar, 9 contra fccunda parte arg. ierentia illa cflct pars fore ternatio fcientiarum ab 1pfà ficut à principaliori,& fic xinctar füb rc naturali, ficut etviína us vero, etlinca (u b re Mathematica, (cientiz de ipiis potius Fhyficz, quàm Mathem. (ubaltetnaicc tur, Tum 2. quia. fübalternata diff.cc 5 fubalternante, quiailla applicat ift ius co «lufiones alteri materizvt v. g. uia demonftrat partes circuli difficilius copulari, quia maximé mter e diflapt hanc eandea demonttrationem confici chitugia, led inalia materia, quia confiderat cizculare vulnus, non quem cunq; citculum, cum ergo ratione materiz nbalternata diíferat à fubalternantc, differentia, quam addit;erit pars matetialis . Tum 5. quia fübakernata nondemonftra: pa(loncs cx natura, etprincipis illus diffecentiz, fcd potius ex natura, etprincipijs obic&i dubalternantis, nam principia à fübalternante defümit er go potius obicctum ctit ratio formalis, uàmillud additum, Tum 4. idcm docct ift. 15. Met. fum. 1.c3. diccas eadem Obicela 7atjode barmonica C7 per[petiiua eft s entra namq. prout »i[us  velpro wt vox [pecalatur, verum prout. linca f nugneri at bac propri lorum pafut. pouunc, mixti generis inter mathématigas Vnpowitnaeies tois ia $; dicumur amen potius ernatz aem. Ja (abiectumapapetial c eft ides cum pbic&o iftius, € (ubic&tum formale osuem ut sies miutetr rae vrá fubiccto, materiali. tauquam ipio "Leiénris mper enda e icis Acientjs,vt caum principia [RAN (rimi y S 3 patebit ex feq, art. Ad 4» Arift. (olum 1b: docere muficam non conti vocem vt fic, (ed vt applicatam » Ícd wt dcpendentem à numero tanquam à prmcipio ; vade docet voecm, et. ya tic paffioncs numeri, etquod potius mofWam íent. quamais oppofita (uam habcat probabilitaem.o . "Hr T ET 876 Difp. X II. Tertia conditio declaratur, $8 Egàt aliqui hác cenditioné cfN Íc Secifra quía putác fübetTternantem, etfabalternatà efie de. 1jsdé concluf.& folüm differre;quód (ibulernans iilas demóftrat demóftratione propic? qid, fobahernata veró demonftratione quia. Communiter tamen conceditur bzc conditio, quód fubalternata (umat principia à fübalrernante ; fed diffc«unt DD. nam aliqui volunt effe omnino eadem principia vtria(q,yt Mirand.com. Log.ícc.4.ali; vcró docét effe diuería, ita «t principia fübalternatz fint conclafioncs demonflraue in fübalternante, inter quos eft adhuc diffidium, nam quidam putant non efie ncceffarium, vt principia fubalternatz (int cognita vi fübafternantis,fed (afficere fi experientia cogaofca tur, et quod fübalternata fcíat refoluere fuas coneluf.in principia caenite per fenfum; citantur Dur.q. t. prol.n. f2.Gillios lib.1.trac. 6. Alij dicunt fatiseffe, vt habens (übal tornei cognofcat illa princiia per fidem, et ex au&oritate habentis ubalternantem, qui euidenter cogno (cit illa principia ; quare in fent. i(torum, fi quis non haberet (cientiam fubalternantem, et confequenter nefrírer euidenter concluf. quz funt. principta fübalternat2, crederet tamen illa principia yt vera ropter authoritatem docentis, vel renecuidenter fcientijs illa per veram fcientiam fübaltegnantem, adhuc ille di«cremr habere fübalternatam fcientiam, licet fubalternante careret ; ita yeriores "Llomif: vt eft. videte apud Complut. ry art Io.de den 16, dtti.3. andem alij requirunt. vt he principia fint nota habéti rol bui ere alrerpantis in eodem intelle&tu exiften' &is& fi nom haberet fübalternantensnulle pacto cognitio concluf. fubalternatz poffet in.illo dici fübalternata fciétía, (cd potus T ita cxpre(féDo&or q. 7. prolin fin.& 3.d.24.5.ad 1: pro 1. opin. quem prater Scot. fequütur Aur. Greg. Gab.Dur. Argent.in prol. fent. Vafq. 1.p. difp,4.c. $e 6. Val. ifp. 1s q. 1, pun. 3« " X ooet (GE. T De Sentia. 2705 Mol.ibíd.q. 1.72.0114. Met.q. 9. Suas tez d. 1. Mct.fec. $.Coaim.Morcif. Blanc, Auer(a, Amicus, Ruuios hic et alij. $9 Dicédü eft,neceffarió fubalcernatá debere e id Íuà principia a fubaltermante cuius für conclafiones demonflratz, et in eodem iniclle&u conacnire debere vtramq;(cientiag) aliter fubalternata non cliet fubalterna fcientia, pc primó quod principia à fübalternante fü(cipiat,tum quia dependétia Ícientire róncobiedtiarguit dependentiam tn primncipijs, quz virtualiter in ob/e&is centinentur. Tum quía fi fubatterrans,& (ubalternata effent de :jsdem conclution. fed ab illa à priori demonltratis, ab tfta folüm demonftratione quia, fruftra dae rctur fübalternata fcientia,fi de cadem te haberetur alia perfc&tior.F.fübalternans,   qua procedit demonftraione propter quid ; imó omnis Gcomera effet perfe&é per(pe&tíaus, et omnis arithmeticus perfecte maficus, abf; eo quod petípeGuam, vel muficam addi(cat.f. (ctenti&m illam à pofteriori. Tum quia (ubaltetnans,& fübalternata differunt obiedtis ergo,& conclafionibus. Tum quia fubalternata quó ad cognitionem quia,& per fenfam non pendetà (übalternante ergo nulla ctit fubotdiatio . "m Secundó quod hzc principia fübalternata fint concluionés fubaltermanris, non cadem omnino vttiu(4; prob.ex di&o Scoti ab omnib.fere recepto,quod vbi definit (ubalternans, incipit fübal« ternata, fcientia verb quacunq. delinit in concluf. ergo conclufiones fubalternan tis erant principia (übalternac. Tà quii fi eflent cadem príücipía,ergo cardé come claf. ergo nnlla Pies tias. Tum quia hoc pater exemplo, ftrt Perpeáida v.g.demon(trat remà minotem apparere, qüám fit jn fe ipfa, hac dcmonftracione, res vifa (üb an gulo magis ptotracto videcur füb angulo minori,& minorapparet,resá longe vie a videtur (ub anguió magis protra&to.» ergo &c. principia Büius demonttratio" nis nàfunt principia Geónetria', imó po tilis concluJiones, nàm Geomerría démó fitat maio. quia fincz ab cadcm báfi pro. tacta o inter bas fcíeme e . i E) IV."De jubaliernatione [cientiavum. c/frt.11, 4fractz quà priusconiunguntur, efficiunt maiorcm angulum; quo msgis protrahü tur, có minorem cauíant angulum, res. à longe vifa videtur per lincas magis protractas, ergo per minorem angulum videtur, ecce quo fübalternans probat, et demonftra: principia fübalternaiz . Hoc aürnon eft neceflario intelligendum de omnibus erincipijs, ficut ncc fufficit, vt vnum, vcl alterum principiom demonftrctur à fubalternante, fed requititar quód principia fubalternatz pro maiori patte dependcant à fübalternante ; hinc "quamuis, Chirbrgia quà ad hanc. conclupsuux » quód vulnus circulare difficile eucetur,depédeat à Gcometria,cuíus cau fam à priori atras eodqna partcs circu Ii inter omncs figuras maximé inter. fe diftant, quoniam circulus ex angulis non conítat: non ob id tamen chirurgia dicitur geometriz fubalternata fimpliciter » fcd tantum fecundum quid', nam in al;js principijs nonpendetabilla. Teruó,gp fübalternás, et fübaltermata debcát in codem intellectu reperiri continuari;ita quod perfpe&tiaus. non babens geometriam, (ed folü cognoícat perfidéà Magiftro;non habeat . veram fcientia perfpectiug, prob. à Sco. cit.de rónc fcientia cft,quod fit notitia. 2 certa,& cuidens,ex pr incipijs certis, cuidenubus,& immediatis cau(ata, notitia concluf. fubalternatz in no habéte fubaltcrnanté nó cft huiufmodi, crgo &c. Ma. patet cx q. 1. huius difp.& ex Ari. 1. Poft. €. I.»bi docet non habere demonftratiotiem,ncq.fcientiam, qui nefcit. concluf. refolucte in principia vfq. ad prima ; et immcdíata, Mi.Prob.omné certítudin£, et enidentiam habet conclufio à certitqdinc,& cuidentia principiorum, cx quo iofert Arift. principia elTe certiora, et, scd principia in nó haberte (ubaliermantem. | non babent certitudinem, '& cuidenuiam;quia non sant immediata, et cx terminorum apprchentione noscibind per principia subaltecnanis demonftrabilia,. qua tamen igno(aritir ab illo,ergo nequeunt certitudinein, et cdid:nuam conclafioni tribuere ;acmo .n« dat H quod non habct  ):icav 873 Resp.1.nó effe de ratione scientiz euidentiam, sed certitudiné,quia fin:s scienti cftaffecotioveri, scu firma adhafio: ad yerum qua per certitudinem habcturz at euidentia, et claritas requititur vt al« teri deseruiens, quatenus obie&um  cuidens firmiorem caufat allensum : modó fides bumana aliquando talé certitudiné causat vt omné hzffitationé excludat, vt fine hz fitationc credimus Indos e(fejaut Romá: hac certitudine credit non habés metrià principia perspe&tiug in atte tione Magiftri; maximé quia non cre» dit Magiílro, vt homo eft;sed vt geome. ter,& consequenter vt habens fiimitaté,. et cuidentiam illoram principioróm.   . 91 Scd in primis fals cflcuidéiià n& effe conditionem per fe ad scientiam re» quifitam,vt probanimus q. 1. cit.& disp, $Cqq. 3.art. 2.diccmus, nam claritas ina cognitione non solü cxigitur propter cer titudinem, sed propter seipsam, quia cft intrinseca io cognitionis,vnde intrinsccé perfectior cfl cognitio clarayqua obscura,quamuis vtraq.certa : quod non: elTet verum, fi effet tantum accidentalis conditio:quod.n.cít de per accidens,non diftinguit ctlentialiter;at euidcntia e(fentaliter facit diflinguere sciétiam à fidc, Tum quia hzc certitudo non excedit. li» mites fidei,quantumuis maxima,.crgo' non poterit causare certitudinem scienti ficam, ad quam aliquid plus requiritur, Tandem fj cognitio conclus.sabalterne erit scicntia, dummodo ipsarum principia apprchendantut vt vera ; idem dc qua: libet scientia dici poterit, f. quod fa prine cipia alicuius conclus.crcdantur finc formidine cognitio conclus.erit fcientificay non crgo peculiariter de subalterna hec clict affereodum 1 Resp. 2, notitiam hanc radicalitet,.&. sccondam subftantiam clle cerrà,. et cute dentemynam ex sc aptitudinem habet, et inclinat onem resoluédi sua principia in. subalternantisy qeamun de fap €to non rcsoluat propter defcétum subie é&i. (intellectus, 1n quo non adeft subalacrnaos, cai pollit continuari, hac rà» cone hatent illam non tcibuit. denominationem fcicutifici TA » V cuidenter 3 c ALME Es. Lu $78 cogro(centisi»d tcientiam 26: $c condum' fe iufficit eid dentia cidicsbDs, nonautem &d fciem iam [ecuodum fta üperfedtom. |$1 COÓt!aarg. cognito principtorürit £aíu € radicalicer connderata! non liabet Certiudinem,& eatdentiani feiéüt ficá y: quia (pe&at ad fi em, ergo rion poterit €aufare notitiam conclu(. fecundum fübftantiam cerctam,& euidentemyriam cffeélus non excedit füam caufam in perfe€tione conclu. eft etfectus principiotum« Tua quia qozlibet vera opino effet fecündum fübftantiam fcientifica quia li€é non ptobetur per propriaj& euidétia principia;eX fe (amen ettec demon(trabilis, ham proprias cau(as habet à. parte rei beh qe W Tum quia (icut hog atur cognirióaliqua y quá fic radicaliter €értay& non aGuilitcrqdia ftatim ac nó (t actualiter €éria, e(t etlentiabiter dubia,& opinio yita neq. dabiliseft cognitto radicalitér euiden$,& non a&tualicery parita$patet, quia non minuscertitudo €ft effenualis differentia eognitisais quá euidentia  Tandein fequitur y od cum principia (ubalter&arZ. ex fe (int refolabifia it princ pía (ubalterfiantis quamuis tion biabetis fobulternantem a&tu non cogno! cat ila cienufica cognitioà: forma fitér,cogaofcet catét cognitione fcienti fica tadicahierjimó notitia cuiuslibet có&Iohióris,quauis ró habeatur per praimmfQa, potict aaliuc diet feietiria vadicatiter y quia eftcaliter illa conclufio copaolcib: lis; et quicquid éórra iftud diétà: affcriec "Ehomufla ;poteft cótraipfosrerorqueri, CORéb p. 3. principia fubakernaug in Cafü ; quamuis nori e(ferít euidentia à prio vij à per principia (ubakecdaptis,' effent timen eurdéria 4 polterióti j& perindutionem à fingularibus vt chirurgüs;ls. «ét tion babeat ptirícipium illud gcomceri£s;partes circuli qaximie mcer (e ditta: &cyqqa cácec 3ngulis, pot«tit camen fcite créCülate vulnus dificilé fanati à poffriorij& perexpertentiam.  Sed lizc tcípólio roni facit ad rem, loquimuf «mde fcientia fubalternata, vc tdlis cft;quo pacto dependencia dicit à fübaftcrminte in cogartiorc principiorum à Wuacunisfabalcccgantus ) cognido vero d un cU EGET A Bep WU qc auf à Er. Difp. X 1 IDe Sent e Me I" à pofl:cioriy et per ekperieatiam nequit dici fcientia fubalterta, cum non dependcat Z (abalternaritejita Dó&.io 3.cit. T.  Obijc.r.g;(übalternas; et fubaket nata (int de ci'dé conclof; Tü quia Atift. 1. Poft.c.7.te. 29: ait mufícü, et perfpes &iuutm polfe demoaffrare, quz ad'gco« inecram,& acictimeticon pédtigi ; Ac. 1o tex. 5o.in hoc,ait, differre (ubalternan' teni à (ubalternata; cp illa demonttrat gp quid, hac verb'quia, (.gpez dem concluf. áb vna demoniflrantur $ priori y ab altera: à potlettoriy et via ferias, vc feipfam' ibi dcclarit; vnde videmus multos mufica pollere (ine arichirmietica y nanmrilld'acquifuot pcr experientiam. Tum 2.quia vt dicebamus art.prac.in 2. arg: princ. in' .Confir.m'oppof.(abalternata ealdé demonttr.t concluf.fabakernantis, et fold ditfert, quàd vbi fübalternás demóftret iri vniuerfali' y fabalternata illas applicat determinata imaterig; vnde priacipijs v« utut eifdem, fed appl catis proptiat mate ri, ergo nulla eft differentiamter concluf. vn:us,& alteriusynihi cxrtibfeca:, 8 materialis (icut albedo à (ub:e&to abflra &i non d. ffect e(feniiatiter à feipfa vt im fubiecto, Tum x. conclufio pertinet ad illü habitd, ad qué (»cctat me tiastermíinas (ed'medius teret 205,910 fübalternatà vtitur,perunct ad (abalternaneim y ergo»Xc. Tandem ab Aritt. hazlciétiz vni uoc dicuntar,ctgo nó diffecunt if&er [t Kefp.ad t. Arii. in tcx. 20' non docere mufrcum et arithivieticum eie de eitdeti conclut. (ed folum qvó4 qualite fcientia debet procedere ex proptijs, aec licere traníceadere de genere im genus y ptaterquam quod infübalrermatis iciemtijs,in quibus fapeciot quati defcendit ad genus inferioris, et rp(ius conclu(; demófrat faltas in vmiuc£ati, quia affiarcat habetis pencs obic&z, vnde eognat dici (oleni:in tex. 30. quamuis mültum varient intcr fc Do&t. breüitet dicimus. Arift. ibi loqui dc (ubal:etnata ;ton (olm vt dicit habitam cónclu(: dé nonit atari principia à fabalernáte accepta, fed 913 vt fgmBcat tibt eonchut: via, et ex peticnicia péobitaciar, et lire 1Gac dixit [ubalternatà demó:trore quias Q.V. Te f ubalternatione Scientianum. efl $79 iX per (en(umyn& mufica v g.cft duplex, pn experimentalis, et hec potcft haiberi tinc aridhimetica cui proprie nó füb. alteraatur; alia fcienufica, quz fuas probat conclüf. per principia in arithmetica probata, et bec proprie ctt 'fübalterna ; .cum igitur ait Arift. 'fübalternà demonflrare quia, et per s&(um, koi de experimétali,qua vt fic non cft reduplica.tiue f'übaltetna, fcd folum 4pccificatiué ; fciétifica quoq; dicitar demóflrare quia mam vt dicemus difp. (eq. duplex .eft de.monftratio,vna propter quid, qua: habec . emnes conditiones in definitione. po(itas altera qui 4, cui aliqua ex illis deficir Coo ditioni bug uod. ubalterna,non dc. monftcat ex immediatis, nam (ua principia demonftrantur in fubalternante,idcir :€ó non demonftrat propter quid, (cu potiffima demonftratione ; vt facit (ubalter»,Dans, (ed. demonftrat quia . 94. Ad x.tefp.cx dictis in przced.art. Kalfum elTe has (cientias aateríaliter folü diffeccey ia eft palTio in fbalternata dem ata, et aliain fubalternante, vt patet ia exemplo addu&to ibi; geoineter -n.folii deimonftrat partes circuli ma ximé ditare, quia caret angulis at. chirurgus ex hoc deinde concludit vulnus circularc ferius curari, quia partes cius maxim? diffant, qua erat concluíio gcometra; vndc falíum eflconclutionces viti ftra&a à lubiccto, et vc ibas in (übic&Xo;tum quia femper eft alia pa(Tio à (üb Alternata demonttrata, quz aliquádo cótinetur. füb pa(fione à (ubalternante de.monftrata; qua rone videtur cade, et [olum matecialiter differens; ncq.cx hoc;qp principia fumit à (ubalternaie, debemus. ' arguere identitatem illarum,nam tantum fequitur vnà abaltera dependere, co quia uio demonftrata dependet vt à caufa fubie&o (ubalternanus, nec eadem om- Aino principia def(umit in fua communi- tate accepta, (cd ad propriam matetiam fubalternatg contracta, vt dicemus, (ignü enam additam fubiccto fubalternantis (ie pcr íc con(ideraram à fubalternata, et paíliones ab iptius fluc- rc quidditate ; à qua € de(umuntur adaz- .quemli .muficas purus arit flrari;ergo non i ufa; differre inter fe, ficut albedo vt ab- p ime o quate prissivebaliemaa Ad j.medi.,umà (ubalternata ; contca&um atfumi- .tür ad propriam m materiam, qua rónc non (peat proprie MED Ad 4 dicuntur vniuocz aai Tinitatem,& cognationem, quam hab&t.obie&orü, et principiorü,nó propter/détitaté intcr fc, Secundo, quàd non polit fubalternàs femonfirate peioapie ubilteraatae (cd .hac à prjoti deujóftret proprias concluf,,prob. Tumquia.fubaleruantis concluf; abf(trabunr à materiafenfibili, quam co« (55$ BinisenCromeri ede 1nea à materia ili abftra, &iua de linea viuali, f. de linca vt n bili,ergo concluf. fubalternantis neque.,unt effe principiafübalternatz. Tum 2. fubaltetnata.demoftrar propciss concla, Pet caufam proximam,;fubaliernansinon- ALDEA COH ergo illa.demonl rabie peste: vetà quia, et con(equenter pédet ab ifta. Tum 2. .fequeretur Arithmeticum effe maficum, .quia ille muficus dicitur, qui (cit conclu - fioncs muficas demóftrare ergo fi arith- metica demóltrat propter quid, conclu, icus dicetur etiam muficus. Tum 4.(übie&um fübalteinau, ficut habct proprias paffioncs, ita quoq; habct propriam quidditatem;per quá po» terunt pa(Tiones ilJz propter quidydemó- t fubálternante.in do. Jandem.conclu(- (ubal. ternaue nondemonflrantur propter quid à fübalternante,vt patet,ergo à (ubaiter» natasergo nlla fubordipatuio ad (übalter- nantem,prob prima conícq.nam funt als aliqua Ícieuia. demonftrabiles copter quidyicut prepritm ts it.caufam . -95 .Relp.ad 1.cócluf fabalternatis sür principia (ubaltetnatz,non.quidem vt in vniuerfali demonitrantur, (cd vt ad mace riam fubalteroatz applicantur .0:odo exe plicato in praced. (oluc, Ad 2. caufa re» mora cft duplex, vna; gue gon cauíat c£. fedumail "er aliquas iens con ttales contrahatur yt aniajal. iu ti. fibilis ; altcra, quz non caufat Wm 7 nifi determinatg aaterig appliceiur, vt, mf carpi vulneratae applice- SIT € 980  - ma cum differentia addita fscit vnam per fe caufam, et immediata, et ideo hac ce- gn'ta;nó e(t neceffe vlterius progredi de monftrando;fecunda;quia non conft cuit vnum pcr fe cumillo addito, ideo nó có- ficit cà. illa materia;cui ap| licatür,pro. pofitionem indcmonftrabilem,& immce- diátam, quapropter neceffe ett vlcerius denióflrare medium a(fumptum per alia principiain fuperiori (cientia; vt patet in fzpe adducto de vulnere circu- firare per caufam proximam, qua ci non fit vnum per fe,& cffe&us dependeat rc-, et mcdiaré ab obie&to fübalrernan- tis, non procedit ex principijs immedia- tis,& per confequens nó demonftrat pro pter quid: fubalternans autem dicitur de- moniftirarc propter etgreni procedit ex immediatis ad probandas proprias con- clu(. Ad 5. ncg. feq. nam fimplex arith- meticus, quamuishabcat proprias con- xcluf. hz tamen non funt concluf.. mufi- €z, et licét (int principia requiritur ta-, vt determinentur,& applicentur fo no qui eft obie&um mufice, vt deinde inferantur concluf.quod fine mufica fie- rincquit. Ad 4.peculiare eft obie&i sub- altcrnatz, quód ficuc conftat ex rebus vnum pcr (e nó conficientibus modo ex - plicato art.prgced,ita per propriá quid- ditatem pracisé ton funt paífiones ille dcmonttrabiles, ficut nec eaufantur ab illa quidditate praecise stimpta, sed vt ia tali matcria, et ab obie&o subalternantis depédet:quare hoc habét paffiones ift, vt non fint ab vna scientia demottrabiles propter quid sed à pluribus, vna subalter sante quafi descendendo, et suppeditan- do principia,quz sunt ipfius conclutio- ncsalia subaltctnata ; qua(i ascendendo, et proponendo suas conclufiones;vt pro- bénturà subalternante; in qua continua- tione,& coniunctione principiorum con- fiftit scientiarom subaltcrnatio: vade di- ci poffet subalternatam ptoprijs viribus, et intra proprios limites non demonflra- te propter quid, at viribus à subalternan- mutgatis, et ipfius auxilio demon(lca- re propter quid. Hinc pacet ad 4. à 96 Tettio qp nó requiratur nccoffarió Dif. XDe Scientia: 00V coniunctio subaltermantis,& subaftern&? tz in eodem intelle&u, grob. Tum quia de ratione conclus. eft, quod fit euidens in principijs,& ex principijs,non in fede rationc quoq.subalternatz cft quód nou habeat proptia ptincipia, sed sumat illa: à subaltetnáte,ergo nó cfi de ratiogc sub alternatz,quod conclus.in ipsa subalter- fint caidétes,ergo fi effer fine subal- ternante, adhuc eflet sciétia, T 2. A ftro. logia plurima demonftrat ex principjs creditis sola fide,nà coniun&tio, et aspe- Cus syderum, numerus orbium, ex mo- tul maxime diuer(itate demonftranturg qua nonn:(i longa expetientia à pluribus succe(Tiué obseruata poteft haberi, ex quibus principijs fide creditis scientificd reliqua demoniítrantur, ergo &c. Tam 3. mufíicus vc muficus cft sciens, sed mufí- cus vt muficus non eft arithmeticus,ergzo vt non arithmeticus eft sciens,ergo nó ha bensarithmeticam adhuc habebit müti- Cam scientiam,hzc .n, etiam vt diftin&ta abarithinetica ett scientia. Tum 4.scien- tía subalterna vt fic supponit,non probat gua principia, et vt fic eft scientia, ergo de ratione subalterne scieatiz non eft; gj sciatsua principia in priora resoluere quare separata à subalternante erit quoq. scientia. Tum f. ifti habitus rcaliter di- ftinguuntur, ergo poffet Deus in aliquo conseruare su balternatam fine subalter- nante, qua poffet procedere ad proban- das cóclus. vt prius,ergo ficut antea actus eliciti dicebantur scientifici, qula ab ha- bitu scientia causati, etiam poft scpara- tionemtales erunt; quia habitus solum ia confimiles a&us inclinant. Tum. subs - alternata quant cft cx se inclinat in có- clus.cuidentem vitibus subalternanmtis, er go fi aliquando acquiritar per fidem; hoc cft pcr accidens,qua rationc non eric ine- uidens,& obscura,sed cx se euidés;proB: scq. quia fides subftituiturToco subalter- nantís non ratione obscutiratis, sed pro- pter certitadinem; qaam babet;ergó non communicat sciencia obscuritatem, scd certitadinem. Tandem babitus subaltec; natg ex se pctit continuari cum subglicr nante ctia quádo cft separatus, ergo ti non cocinuatur atu,ctb.ce pec accidens et QV. De fubalternatione feientiarim. efl 88i I& quia confctuat apti tudinem, ctit (cm- iper idem habitus (cientifi cus; hinc Acíít. 6:E:h.c.4.loquens de notitia principio- rumait, Cram -n. aliqualiter cognita, credita: funt ipfa principia, C7 c. 797 Refp.ad1.cex Sco.in 3 cit. de rone fubaitermatz eft, quod habeat principia noia in l'übalternaate, et (i -non e(Tent nota in fübalterpante, ipía non effctícien. tia, ficut fi coriclufio in quaeung; fcientia non cílet euidens per principia, non cflet ftiencfica, ergo intelledui non lsbenti fübalternátem faebalternata-non erit fciétia, quamuis frin fe fpcétetur,fit [Cientia, ficut nec cóclufio demoflrabilis eft fci&& wfica nefcientr illam demon(lrare . Ad 2. -. multa afftologi propria experiétia cogno fcunt;nam licet nó viuant tot annis, quot vna circulatio completur, attamen ex obferuatione iam habita poterunt. calculando deducere durationem celcftis circulationis, cum cceli vniformtter moueantur; iii his veró, in quibas fide procedit, non habent fcientiam, Ad 5. neg. conícq. vlt.etenim nec ícientia eft habitus principiorum; vt fcientia. c(l, et ramen non potcftabillofeparari; concedimus itaq; difiin&ionem interbas fcientias, non camé feparabilitetem malice, vt (ciétia eft; ab Arithmer.in codé intellectu ; Ad 4. fubalterna fapponit f&a principia probata in fubalternante;non autem probat, et ideo dicitur fübalterna y fi non effent probata inilla, tunc fübakernamon eflet fcicntia, fic fi in aliquo hc principia non (unc probata, et cuideniia,1n ipfo fubaiterna non erit (cientia ; (icut de conclut. fcibili apud intcllectü nefcientem principia diximus non eflc (cientiam . Ad $. admiflo «a(u habitus ille non inclinaret in pofteriores fyllogifmos ; quia concluf. obate pertinerent ad fidem ; vcl íi ad ientiam, non ad fübalternatà vt fic, (cd ad illam,que principia probat à poftciioTij& per (entum, et dicitur experim:entalis,vt diximus . Ad 6.& 7. fübalternata.o fcientia ita per (c peuic à fübalcernáte caufari, vt fab illanoncaufatur,.none(let hab (cienuafübalternata; ncq; 1 aétu nó continuatur, vtdeoncluf. diximus rc(pcétu principiorut; cü dicitur. quod fidcs (ubfLicaitury&c« re(».ex hoc ipfo, quod cutdentià non t£butt, iam cómunicat obfca. ritaténec tides humana e(t tabce certiradinis, vt certitudinem fciertie adzquct . Atift.antem,vt notat Lich.5.d.2 4.loguituc de (ciétia per accidens, et fecundi quid,quod colligit ex ipfo contextu, naim in fine illiusTitterz addit Arift, Cum .n. fidem quodsmodo adbiber quis cr principia fibi nota funt, fiit, mam jt m "n di ctv fie conciufionis per accidet babebit fc iem iam. p Vnàm éft hic not. quod a(fignara tfes conditionesconweniunt (cientie füb«Iternatz fimpliciter; fi ramen daretur álqua [Cientia, cai yna,vcl duz conucnitéc conditiones, diceretur fübalcernara illi, non fimpliciter, (cd.fecundum quid.. De divifione Scientie in fpeculatiuam.y € pratiicam . 98 T T £c áiuifio, quinis poffit cogniH tioni incómuni adaprari,aut fal tim cogaitioni, prout eft cóunis fecuade et tertiz operationi incelledtus ; omne .n. judiciü, et omnis diícuríus polfec dici pra&ticus, vcl fpeculatiums, attamen fpecialius loquemur, vt (cio codpetit tàmaé&tuali,quam habitusli. Quapropter noriquód ficut in quolibet habitu tria interueniuat,.f.. habitus ipfeactus,in quem habitus inclinat, et obiectum atus, cirea quod verfatur 5 fic in fcientia cám practi'cayquàm (jeculatiua, nam in (ciencia fpeculatiua adeft habitus fpeculatiuus,adef . actus; qui dicicur (peculatio, feu cognitio fpeculatiua, et tandem eft obicctd (pecu labileja quo tàm actus, quam habitus denominátur (peculatiui; m pra&icis quoq; adeft habitus pra&ticus, cognitio p cay& obie&tü practicabile, et operabile, qp praxis appcllari confucuit,praxis.R.e nomé Grscá,& Latiné fonat id€, ac ope ratio,ctt]; nomcn atftractü,à quo práCticum der1uat ; vndc nó codcm n.odo (c ent praxis, pracbicü, fpeculatio, et Ípeculabile,nà fpeculatio proprie dicitur de actu, nó de obicé&to, piox.s € cótiá dicitar dc obiectojnon de actu, quien ; ea CORN IONS M. $5;  Difp. XI I. De Scientia» ^,ens denominatur à praxi; hinc praxisdi.  ditionibus, et an codem modo, vclunt ftinguitur à ccgnitione pra&ica.contra primario, alicri fecundaréb. JBaccb.q. 4. prol. art.z.oppofirum fufti   Prima opinio folas actiones externas, ncntemj& rario efl cómunis víus]oquen et tranfcunics ponit effc praxim, non incium tà Ph kfophorü, quàm Theo'ogoternas, et immanentes, citatur D. Tho. 1. rum cü At fl. G Eth.c.4. vbigGionem, et   2.3.5 7.art. 1.ad 1.& 22.q.179.ar. 1. Cós effc&t o6é ponit ob'c&ascirca quz babi-. munis tamen concedit etiam de a&ibus tus pra&tici verfanur; de quo videre Liimmancntibus, et internis,lic&g non de &h q-4. Frol.& P.Fabr.6. Met. difr. 1..   omnibus, nam quod (petat ad a&us voCom igitur. habitus habeant (pecificari/ Juntatis Heor. 1.p«ar.8. q.5. ad 3. et Var. abaCtibus.& «Qus ;b cbic&tis, vt perci-. ro 1b. 1.9.4 negant intentionem finis cfpiaius;quid effe fpecolatiunm, et pra&ife praxim, fed folam ele&ionem medi cum d: cant in habitu fciétifico, debemos | rü.. Maior lis c(t de a&ibus intellectus, rius querere de aQu, per quid confli-. namcum poffint dupliciter contidcrari y in tali, vel talie(ie, quod nequibivelvcab imperio voluntatis praícindüt, mus cogno(ccte, nifi obic&ta illorü (cia  et antecedunt, vcl vtà voluntate imperámus,per quid differant interíe; ficileau  tur, quidam volunt ét primo modo coptem erit cognofcere, quid fitobic&tum | fideratos e(fe praxim, (1 func dirigibiles ; pie bile,fi prius inucftgsbimus,quid ita Nominales omnes, vt Ocham,Gabr. It praxis, nam perncgatonemtalisrain prolcni.Greg.q. $.ar.1. Rübion.q.10 tionis conftituenr's praxim explicabimus | art 1. concl. 3.& uo ac Vafpeculabilisde illo obic&o. «   fq.di(p.8. Ale(. 6. M et-initio. Fo(. 2. Mets,€3«qu fe8.2. Suarez difp.44. Met. (cct, "ARTICVLVS 1 eat et ePcete I. jd 3nd $5.3 . di «II. c An.& i pz. Log. c 1. Arfit "Praxis . oer iim 1. Log. fc&. 4. Morif.difp. 12. 99 V Hfücilem, fimulq; facilem diffi Log.q.6. Blanc. difp. 2. (c&.4.Io.de S. Th. culratem aggredimur explican  p.2.Log.q. 1.att. 4.Conimb.q. 4. proaeme,&andam, d.fficilcm, propter opimionü vaart. f. Kk uu.q.5.jrooem.Auería q. 26. (ect. fietatem.facilem,quia pun&tuscontrouer | 5. Amic.traGt.2 7-di( p. 4. q« 4» dub.5. Iau. fiz conflit in Do&orum placitis, cüfit 6. Met.qt4.& alij. Quidam veró abíolufcré Ncminalis quzftio, rà quilibet pro. té negant vt fic cifc praxim, ita $co« q«4» arbitratu vtitur hoc nomine Praxis illud prolart.1.vbi Ba(fol. Lich. Barg.Vig. Tanimis ampliando, vcl refi ringendo. tar.& q.2.procm Log, $.$ecundo jcien Vtautemcertaab incertisfeparemus, dum. Ant Anda, Mti 1, Zerb.q. vlt. concedunt omnes nomine praxis folum   Fab.in prol.difp.9.& 6. Met.difp. 1. Rad. a&ticnem intelle&ualis naturz cum Sco.   1. p.cótr. 3«art.1. Vulp. t.p. di(p.4.att.1.8c 1.Met.q.7. intelligi debere, necquácun  difp. 28.ar, 8. Smi(jnc. qprooem. Theol.n. que, led tantum,qua aliquo pa&tó dirigi124.& (eq. Cauel.de An.difp.5./c&t.4.& bil.s cft, vnde nccactionesbrutales,nec | fuper 1. Met. Scoti q. 7. et q. 4. prol. in inanimatz,ncque ila, quz in bominibus Schol.Camcerar. te vc et ex Thomipaturalcs funt ; et ab imperio voluntatis j fts fequuntur Capr. q. 2. prol. €oocl. 4» excipiuntur vc funt operationeswegeta" Sonc. 6. Met. q. 2. Sowsin prooem q. 4les, &c. dicuntur praxis, quia nen (unt divbi Ma(ius q.10 Did.à Ieíu q.6. Compl. rigibiles ; idcirco tria funta&tionum ge-.  difp. 1. q.6.C cele (t. di(p.t.(e&t.a. t6 Dur. nera;quz nomen praxis forsiri pofient,  q.6.prol.Suetf. 1. Mct.dilp. 10 et alij. At ^f. a&ioncs intellectus, actiones volunta. y: actus intelie&us (pe&etur, vt efl à votis,& a&ionesícn(uum ; necfolüeftdif. luntate impeta:us, adhuc eflc praxim ne. [cníio,an iftz aCiiones (int praxisverum   gant ex Scouflis Ant. And. Lada, Sai. etiam anabíoluté ipfisratio praxis con  finch. Zerb. Tat, CamcrarVulp.  Bafz ueniat, an vcro obícruatis qmbufdá con(ol.cit. adenittunt alij. aliquo modo cugy : «cce ééetetis Authotibus, vt Ef quoq; differentia quó'ad códitiofiesaliquas,nam Grez. Rub; et Fon. cit. aiunt non requiri quód (ciens; fcu hibés: nitionem pra&icam lit potens eflicete aGionem, que dicitur Praxis j cómunior veró exigit poteritiam actiuam (altim remotam in ipfo fcierite ita Va(o. Acriag. Mol. Ouaied. Auer. et alij. Q'aidam addunt deindestalem actionem debere liberanie(fe;quidam veró fufficere docent; vt (it ex fc à voluntate dependens, quamtiis nonliberé fiatyità Ouuied.controu.1. Lo . punc. Zzj ; : 1 Tande cft di(creparitia;eo quia A uería fuftiniet (G5. atum imperatü'primarió efie praxim, imperaneem veró fecüdarió, oppofitüm docetur à Scotiftis,inter quos mediat Amic. dub: $. nam actus virtutis morales imperato$ à volüntate inquit e(le fecundatió praxim;iimporátes vero .f-qui eliciuatur à voluütate imperante alijs potcotijseffe primario ;a&tus ramen artifi€ialcs,vt font opera artis,€ contra. f impe ratos prímatió y imperante$fecundari .roo Dicimus primó,nullum actü pre cédemé voluntati mpcriü efe proprie fraxim ;hec concl.eft Scoti t. Met. q. 7. et q.4.prolaft. f. et cx parte fuit probata Q.prodei.art. $. dum Logicam fpeculatifcientia flaturmus, quamuis (ft opefationum intellectus directiu; et ptob. adbué péimó de operatione intelic&us 4b alia directa, quia praxis proprie lo-qué do diffett ab obiecto fpeculabiliy namco Énitio pra&ica di (fcrt à cognitione fpeca latiua.ex hioc,gp illa cft ad praxim, ifta ad obiectum vc ipcfülibile 4. vc neré conem plabilc;& cogimofcibile, vnde non foIum denoayaaót diuertimodé proprias ogriiciones(ed éc diuerfinodé diatdant áil.s, nam citca obie&tuai fpeculibile cof»ceulatiui denom matur veo, 1i €onforin;s eft iili tL t diffoum's; at Cofimtio practica nó dicitur vera, vcl ral»fedboria vci mala, ficut praxis alia ctt ofidalta malas ac fpeculab:le vel verum, vci falfümrdicitur loquendo de veritate, et (liicateobiectiua ergo omn $ cogni tioqua vera, velfalía proprie denoaiiaa ' &ur aontáamcu bona yel m ala; peccat popeculabilis,quàm ad genus praxis", talis eft cophitio: direda abalía cognitione, feu à' regulis logicis,nà in hac cognitione do: . ere, vel entitatem; vel directionem pa(fiuá. inxra log;caies régulas,quz eftillatio;& confequentia, eiititassctusnoo dicitur bona y. vel mala,fed vera, vel £ilfa; vt patec,cófequentia quoq, dicitur vera, vel falfa et quamuis aliquando dicatur bona; vel ma. lajhoc eft improprie, quatenus cam veri tatej& falfitate confunduntur,quia Donitas proprie dicta pcriinet ad. voluntatis obiectum; non ad obic&um intelle&us,. vnde quàdou; qnis perci ses obié&i quid: diratem dieitur bené difcurrére 4i. verez T quia cognitio direéta, vt Co2nitio eft, fpedtar ad gcnus (pcculationis quia fol et intendit veritatis obic&tiug attingentiá y ét vt dircéta ad praximnon fpe&tabit,Prob.copfeq. nam illa dice&io cft iaftrumentum ad veritatis indagationé ordinatum,táquam ad finem y ergo propri ad grius foi finis reduci debet; nom ad ge nusfiniSoppofiti, qualisc(t praxis refpe&u contemplationis veritatis. Accedit : Atift. fcientiam practicam, fea actinam [cmper detimuit in ordine a1 voluntaré y fiuc appetitum rónis; ita 6. Eth. c.2.5.de An.46. et 49 6. Met.C. r,& alibi.   Conf. actio intelle&tus dirigens aliam a&ionem ei uident nó eft. proprie practiCa,crgo actio dire&a non cft praxis, cóÍeq. patet, antec. prob. cognitio pradt:ca directiua cx (ua hoc hibec » quod fà maturo confilio, et prudenter frt chicita, citm obic&ó non cóformetur y adliuc bona iudicatur, £3; fafficiensregila actionum ab ipfa ditc&tarum, taut tr iuttz ipfam eliciendar;'ünt bong, fi trà ipfo, fnt male, et hoc, quia e(t re» ula, et menfura illartrm, crm actoacs conforaari, nón cum ob.cétoin fc, fed vt à prudenti iudicio di&arum,ve patct in habéte coníciéaam imiiacibilé : at fpeciratiu: omae fuam veritate dc. cipi: ab ob esto, 1ut fi ilbinon. confotz matur, nanquam erit vera, quanrucumg; mature, et prudeatcr eliciatur i quód pot deduci ex Att. 6.Eih. c. 2. ted cogn tio ditigensaliain cognicionen independcaDOM T ido t Me EL. r $82 terà vo e, vt funt regula logicales, fi non habct contormitatem cum obie€to, mupquam crit vera, aut rc&a,. ergo ipra&tica non erit,(cd fpeculatiua. Accedunt et;am ratioocs Ícquentis conclu(.. Secundo prob. dc alijs actionibus fen. fuum ;.nam praxis cx comuni vía dicitur ilia actio, qua regulabilis eft,& dirigibilisà cognitione practica, quam pro incnfura reípicit, illamq; practicam denominat,& confequenter prafopponit illà pon per accidens, fed pcr-(e y ficuc vniuerfali1cr omnis men(ura prior e(! menfurato, at qozlibet actio (enlitiua, vt à voluntatc praícindit non cíl poílcerior intelle€ionc, imó per sc cft prior,vt notat Sco. €it.ergo noneti praxis . Dicimus 2. omncs actus cliciros voluntatis, et impcratos, cuiuscung; fint otcntie,cuia intclicctiugs e(fe praxim in lore;quo ad 1. partem de actibus clicifiscít Scoti cit.& prob.ab ipío, quia oís Guselicitus voluntatis cíl cílcntialiter "poltcrior cognitione dircétina, eftq, in otcftate cognoscentis, qux. süt conditioncs praxis, vt infra. Tuum quia vt ipse arguit contra primam, et fceuudam vià, »omnis a&us voluntatisét circa vltimü finé cit dirigibilis à rc&ta rónescrgo cít pra Xis,cOseq, patet; quia praxis hic sumitur,,vt dicit actum regulabilem ex hoc, quod poflit bené, vclamnalé ficri; anteced. prob. quia €e circa vlum.um hé contingit erfare, et linon in ordine ad obicétum, saltim quó ad circunfiantias ; vnde Thcolo. Si quaplurcs. docent. dilectione Dei pos$c fieri malam in gcnere moris;.fi.s.debifo rcmpore non cliceretur, v.g.fiquis ex €flicio t ncretur succurrere laboraotiin ."€xuemno periculo, attamen leuiter putazct, et ccronec poflc in a&a dilectionis ; Dei peraaaere;illudq ;auxili á omittere;, peccaret, qua tóne dicicur atus dilcétiomis Dci circumttantionab:lis secundum qualcynon secundum qnantum;ergo quiNbet voluntauisactus elicitus erit praxis . Quibus rationibus prob. ét a&tustrgeracos.ancellectas: ele praxim cócra Sco: iftascit. dam Door 2.d.6.0,2. € d.42., &diminit peccatün-cogitacione ergo ali9nainzelicétio ; wt à yolüzate imperata y U-" Dip, XH. De $üemis . zCOMEDV ^ Ha cs 4 wd H $ ! i T erit dirigibilis in genere móris; vt bené y. vcl.malé fiat ergo eft praxis: et explicatur exemplo nam prudentia di&a: de cir  cumftantijs ftudij quo loco, et tempore : exerceri t : item judicium credendi B. articulos fidci eft praGicum, et spectat E. &d virtuté infusam fidei, babetq.pro obie €&o, nonfolam volitionem actuscredendi,(edetiam actum ipfam, vnde meritoriusc(t, et füpetnaturalis. A Reíp.quidam Scetifte cum Sco. q. 4; prol.art.1.nó fequi,ergo actus intellectus: ynperatus-eftpraxis ». fed vel cft praxis. vcl pra&ticus, nam licét omnis praxis tir aus clicitus,vel imperatus,non tamen contra: ró eft, quia veintelle&us dicatae pra&icus, debet extra (e teadere ex 5. de An«49.Í. debet aétusaliarum potentiard regulare,vt aix regulat proprios actusnó extra fc tendit, Tac. in prol, cum Toletano re(pondct intelle&tionem vt imperatánon eife a&ü. intellectus, fed.alterius potentia .[. voluntatis imperantis. Barg.ait e(Ic praxim materialitery.nonformaliter. 102 Sednullarefpótio fatisfacit: nam     actus ccedendi nonett praóticus, cum n^ lic regulay(ed.regulatus;nec (c priorefsd   tialiter. actu voluntatis,(ed-elfencialiterpottecior, cum (ic nnperatus;, crgo fi om. . nis a&us vel e(t praxis, vel e(t pra&ticus. y» &; actus ille non.ett prackicus;ecir praxis;Tum quiae(t formaliter bonus in: gcnere moris, et oppo(itus formaliter malus, ergo formaliter prxis quia ifLas funt di£ferenug praxis, Tum quia fatis«extra. (e tcadic iatellectas, dà: dtrigit actum illie,nont fic, (cd vt à volantace imperatum, naa primó-dicigit volücatisaótum-. Tom quia non(aluatur cótradicbio, nam fi nó" elect praxis, non:poflee dici peccati Se« cunda:rc(pon(o niliauat;-nam (ic nó: folumaótusintelle&tus 5ícd caiufcunq. al« terius. poten vc impcrati non cifentactus illarà: potentiarum y. tamen Scot tusadmitciraétus aliarum potcatiacü e[fc praxim . Tum quia mon tantum actas » [ed.etiam potentiz (ubduntar. voluntatis: imperioyimóactusfuübduntar medijs potentijs, ccgo actus imperatusdici. dcbet esc ietiiggp i ti impcraue. Ter tia pcígonüuo y ti ox plicctur quad licmaeteria" Quafi V. Quid fit Praxisc uA, 1.   gerialitér praxis 1i fecundario, et depen| denter,non formaliter.i. primario, et in"Acpendenter ; quo pacto a&us voluntatis dicitor praxis, vt ip fcq. concl. quo fenfu etiam íntelliger eft Scotus in 2.d.42. cít veta, et noflram confirmat fent; at fi 3y materialiter excluditomné rónem pra 'Xis ititrinfecamin ipfo actu credendi, cft fálía, et contra Scotum quol. 18. vbicx  groteffo oftendit aGtum cxtcrioré;.i. imeratum addere dittinctam bonitaté,vel malitiam actu interiori, itaut fit duplex 885 eft habitus directiuus correfpondens ia intellectu, ab Arift. cit. factiuu: nuncaatus; cum isitar hi a&us fint dirigi: ic: rca ratione, imó quandoq; prz cep:a regulatiua immcediat? cadant fuper tios S,vt infrasveré dicentur praxis . i& 103 Ex di&tiscolligitur primo de róhc praxis efle, quàd (it à principtointr nfe€o cognofccni ex vi cognitionis rcgulahtisinipío cxiftentis, non quidé in co fenfa, quo velie vidétur Aurcol.q.2. prol.ar, 2. Caict. 1.p.q. 14.art. t6. Molin. 1.p. 9.1. "bonitas, vna in a&u voluntatis interiori »' art, difj. 1, et alij Recem. quafi opeet imperante, alia m actu exteriori& impersto (eer a&um.n. exteriorem intelligit ibi Do&or omnéactum alterins po1entiz à voluntate, vt fc declarat ibid.) 'ergo duplex ró praxis ; quia duplex diriwibilfus in gencrc moris,cü aliter fitcir«umítantionabilis a&us voluntatis imperans, aliter actus imperatus. Accedit. au'thoritas cx d ds Et tandem impunantur omnes fimul, quia tora definitio "praxis tradita à Sco. conuenit a&tui intelAFetoriiperi odi dicere, 'qüod requisatur effe actam alcerius petestiz omnín0, videtur petiuo principijshoc.n. eft; quod quzritat : qnomodo aucem fit cxplicandus Scotus, dicemus infra. Éx bistádem ptob.altera pars de a&ti"bis aliarum potentiarum; &àm hi actos, :Xcl (ünrimaanentes, vt fenfationes, vel "tranfeonres;qüz relinquüt opus poft fe, "yt opera artrficiofa:, et quilibet cft diri" gibilis/nam immanentes ; quia fünt epe^ ra vittatum moraliudspefunt ben?, vel malé fieri in penere moris j vt à volunta'1ei étui ad laudem, vel vitaperiui "Inputati,' john de "ipfis im idtelle&u habitus prudentia: canuá regula directnia;qui a&titius dici fo. t ab Arift. c. Mctic. 1, et t£. Met; (am. 3«c, 1.tranfeüntes veró non folum funt di 'tigibiles qàó ad boniratern, vel malitiam in genere moris, (cd etram quó ad. perfc&io vclimperfectionem in genere : rust we iramuis fjnt boni in genere tolli, 1 bfc tepore ; et loco dcbirís iux ca nen prudenciee, poffunt taien elfe imperfcéti in zenere arcis, (i nó fotmatentur [ecuudum cep ulas art:s,qua ratio exerceri debeat ab illo codem, qui habet ngtitiam regalàté vt re(pectu eiüs dicatur praxis, quo eciá fenfu Scotifta g: plures Do&to. et mtelligantq. 4. prolog. $. dicoigitir,& $. fecundis articulus, vbi innuit; praxim debere cffe à pricipio "anuinfcco cogng(centi .Sané hoc modo imclligi nó debct, quia vriq; poteft vnus ' dirigere a&t:onem alterius, vt v.g PraTàtus aCtioncs fübditi, quz non tant (ubdito, fcd eriamip(i Przlato pracipienti, et contenti imputantur, atq; ideo nón atum refpe&u illius, fcd ctiam refpcétu' iftius dicitur praxís,operatio.n.in eniuctfum dickat praxis re[pectu eius, cui aligue modo poteft imputari.Et hoc n6 (à Tuneft vcrum; vt aliquidicunt, ae ido opus illud pote(d críam ab ipfo confuientc produci prox:m?, vel faltim remo: ; Quia Atchite&us manibus truncus po: ditigcre conlalendo actionem fabrorum in doiho zdificanda, quam tamen ptoximé exercendi facultatem non habet, -& Angelus per intetnas infpirationes confu lit hominibus actus temperantiz, et cafti . tatis, Quos ipfe nec proxim?, nec rcmoté elicere poteft, cum careat fenfibus, et tamen adhuc a&ioncs ciu(modi Archite Go, et Angelo imputátur,vt caulis in genere moris. Debct ergo (ic inicliigi quod intátum praxis dicitur femper aliqao mo do procedere à principio intrinfeco cognofccnti, quia etium opcratdo d;Qata   5Ó ab iplo [ci&e exercearut, fed ab atio, tamen cius voluntas intcrucnit, vcin perang, et applicans dictan illi, qu€ vulc mioucre ad opus, ádcoquód cms cognitio non folum refpicit pro obiecto opcrabili actu Li pet NC . med  Difp. XIT. De 4 a&umfi volütatis prz cipiéis;, fed 1 etiam ager id externum ab alio fa&tü 5 vndé quia original:ter prouenit à voluntatc ; rzcipicnts vi regulatiuz cognitionis ciuídem, tdeà opus illud dicitar procedere à principio intrinfcco illi cognofcenti, quantum fufficit, vt etiam refpe&u cius dicatuempraxis;& in hoc séfu debet intelligi Doctor cit. praefertim in 1. loc.loquitur.n.de voluntate, quatenus e(t caufa « &us imperati, qualis effer, etiamfi ab alio produceretur: verum eft tamen»; ibi loqui de praxi infent, Arift. et vt rc» gulariter in nobis contingit, quo modo operatio exercetur. vel (altim exerceri potcft abipfomet cognofcéte;& in 2. ar. tc vcra dif putariaé procedit, et in vtráq; partcm diifcrit Ex his foluantur argume t& Aurcol, cit.gbus probat rog pra&tici in pra fato a tiuitatis re[pe&u cófiftcre. 104 Colligitur 2.ad rationé praxis in rigore requiri liberam cfle,vt poffit fieri, et non fieri ita Sco. q. 4. prol. M. quamloquendo,non requiratur hec li bertas proxima, fed (ufficiat remota; pro cuius intelligentia cft not.ex dicendis in lib.de Ani.quod voluntas eft potentia cf fentialiter libera, et nonnifi libere poteft agetc;hzc autem libertas eft duplex ; vcl proxima, vt cam voluntas potell agere, et non agcrc expedit : vel remota cum voluntas poflet ex fc nó agere, ed ab extrinfcco determinatur ad vnàm contradi&ionis partem, (ic Bcati süt determinati adamandum Deum, et Chriftus ad opera precepta exequenda non habebat voluntatem expeditam ctiam ad (ufpenfionem a&uum, eo quia Deus cum.eo habebat concutíüm denegatam ad oppofitum a&us, aliter fuiffet peccabilis.In propoft toad praxim rigoros? requiritar libertas proxima, qnia illà actio dicitur praxis, qua efl imputabilisad laudem ; vel vitd  affumit,nam actio diciuir pra perium in genere moris, ve] in genere artis, ad hoc autem requiritur libertas pro. xima,qua e(t fundamentum torius impu tabilitatis, in his .n. quz neceffaríó agimus,nó laudamur,ncc vituperamur. Vcrumiia&io neccHaria cft aliquo modo d'rigibilis, (alum retSoté, tunc minus rigerose potlet dici praxis, quia ctiam po-, competere actui interno » deinde exter^ J34 ^N "2 C1 4 AV | "^ . idi Iv "" mio S cfi efe meriroria, vt videbi dar 9ycuitis a&tioncs necelfariz, et iemoié liberzfucrunt acceptas à Deo    ad meritum ex fpeciali difpcenfa:iones 3. mener Scot dri efus? aplica Pie " ber jdilps a4... H E 1, 10 Did j« Adi vollratis eic ds tis eft primario praxis, tu$ vetÓ   fecidano ina epe quo ad exc cutionéjira Sco.g.4-prol.ar.1, et contra   3. viam, 1d. 42. B.3.d. 73. et quo. 18. quibue in Jocis docet moralitatem primó no;& per confequéos etiam cfle praxim quz formaliter eft dirigibilitas, prob, db ip(o, quia fundamentum dirigibilitatis ir a&u cxtetno fiue immanent;,6ué rranfeuntc eft libertas ex dictis, (ed hzc prim cópctit actui voluntatis deindé actui ime perato. Tum qaia intelleus non dirigit alias potentias, ni(i media voluntate, c^ go hzc cft primo diri r,alim potens   tiz media voluntate . Tum quia fi extere nus cffet impoflibilis propter alig» impédimetum, adhuc internus effet praxis » probat Sco.cit. nó é cótrà,ergo exter dicitur praxis dependenter ab interno.    Refp. Auetfa illam operationem efle praxim perfc, que fcquitur, &confor  matur cognitioni practicz vt obiectü có .gnitum, et regulatum, talis c(t a&io exe 'teriorsrationc cuius voluntas « na,vcl mala. Amicus, licét cocedat . moralcs externos efle fecüdarjó práxim, hoc tamen negat de actionibus attificialibus, at[gnat zationem difparitatis; quia perfeétio moralis,que cft bonitasprimás rió compctit a&ui volíitatis, at perfe&uo Artificiofa eiae v. 3n exter o., et iplo mediante a&tui voluntas quicquidfitdelbertae 3»... ., Contra Aueríam vrgctur qut iffum lac dirigibilis à regula racionis y vt fic autcm noníolum habet ration obic&i, [ed potius &ionis, nam obi iim non dicitur formaliter bonum, velmalum bonitate » vel malitia formali, fed actis ctt, qui tàliter denominatur, Tum quia actio cxterior et impcrata cft dirigibilis non fecüdum cfle natura (cd vc habet effe voluüe   "  fariüm» ' triam; et liberi, quia vt à libero, et voluniatio pra(cindit, non e(t moraliter di. igibilisat vt fic non habet ration&obie(ed'a&ionis, et (ub tali effe ab actu » Amicus veró aquiuo. €át; nam licét confiderando actus iítos 1neile lizmato, et in potentia, prius ratio: praxis, et dirigibilitatis conueniat externo,quàm interno, attamen quando à par: te rei exercentur, implicat, quód praxis prius a&uetur et exerceatur in atu externo, qui pofterius »onitur ; quam in intetno, prius exiltit  to6 Es his omnibus deducitur, optimam cíTe definitionem:praxis traditam à ia ma epe dixit, praxis eff abus a potétie ab intellectu ymaturalitev pofferior intelle ione, natus elici co« formis vóni veélead boc vt (it refus ; in . qua definitione tres poniitur códitiones, : X prima, quod (itaQus alterius potentia,   quàmintelle&us, quia cum.intelle&us ;. [vt fit pra&icus, 4l; extra. fetendere; vt. colligrpoceft ex 3. de An. pL:    fitit in cognitione: eti fed vlterius procedit ad apus regulande illud, non quidem quodcunque opus, fed quod eft dirigibile inmatcria morali, et practicabili, vt excladacut er. ror practicus;(equitur acti dire&tumon: etfe actum intelle&us,vt inrellc&us ett,: fedalterius quati di tincta potentia, na: intellectus wt tic diftioguicurà (cip(o:,ve à volantate imperato, et confequenter actus intclle&us à voltate imperatus nó eft a&us intelle&us, (ed eft actus. intelcótus impcrati,S voluntati (ubiecti. Sccunda conditio e(t, qubd fit naturaliter Ifottcrior intelle&ioncyquia regulatü, Sc menfuratum; vt eft praxis, cít poiterius xegula, et uenfura, qualis ett intellcctio: practica. Tertia conditio, quód (it conformis cg. ila, quia non quameung, praxin definit Doctor, fed re&am, cuius re&itudo (umirur cx conformitate. cuu regularationis, (icut irre&titudo ex ca. rentia tális conforaitatis « f hac condi« tione imcluditur alia conditio «f. (quod tit ftuis inctinfecus,& per (c cognitionis: practica,nam (i á&tus. ex propria natura cit à ratione I$ » iain rado diriQJV.dediw. [eientia im prac. eo fpeeul. IL 887 gens cx füa quoque natura refpicit aGum illumiin quem ordinatag; táquam in proprium fiaem ; hec omnia magis patebunt: foluendo rationes incontrarium, inquibus aliqua authoritates Arift. adducentur pto his conclu. Soluuntur Obieliones . 107 Ationes contra r.coacl. often détes a&ü intellectus dirigibilem praícindendo ab actu voluntatis effe praxim, fuerunt adduétz, et (olutz in q.proem.art. j.dum quarcbamus,an Logt« Ca fit fcientia praGtica, vel (peculatiua . Contra .concl. arg. r. q» a&us volun. tatisnon fint praxis; ex Arift. 6. Eth,c.2. habetur,quód electio cft cau(a cffe&tiua. aGtionis, quàm praxim appellat, fed caufa ett prior, et diftincta à cau(ato, ergo clc&tio, quz cít voluntatis actus ; non eft xis fermaliter, (ed tàtum cau(a; vnde Commen. i. Eth.c. r.praxis definitur, g» fit operatio fecundum electionem. Cont. habitus pra&icus generatur ex praxibues, fcd habitus praéticus gcacratur ex agtibus fequent. cle&ionem, non ex electios ne, nam f; quis nom (e cxerccat cancndo, quamuis f:epius habeat volitionem: addifcendi mpiicam, nunquam babicuny muficz acquiret, ergo &c. : Relp. Sco. q.4. prol. $. Contrafflud ; corfce dendo o&x actionem ab electione impceratam cífe praxim,non tamen onmné praxim effe imperatá aGtioné, nam ibid, fubdit Arif. Elethionis autem appetitus, € ratio, qua gratia alicnius 4. pra&ica; funt ./. ptincipium,& fequitur,Neqi. fine babita morali eji elettio .(. ré&a s bona atíio .n. fine mo«e non eit : ex quibus patct habitam. virtutis priys clicere clectioner;quam clectione mcdia actum, imperatum : ende haec authoritas probat actum itopcratum clie praxim y quis eft. fecunga pars conc]. et nullu:n actaan,quaí non c(t imperatus, vcl ele&io, cie pra»im, qua eit. peima conc. Adiliaa» definiionem ex Couim. ait vel nonetíc defcriptionem coDucrtibilcin;vc) hicft conucrtibius cum.praxi Ly feendani won dicete folum habitudinem effcciuam, (cd etiam £oimalem », V chele AE lu 888 0 Difp XLI De fdentia 2 mi pro £otentialibera,& dominatima, velpro elicitione adtus,no proadu. Ad . cófit. ait, quod in moralibus habitus pra&icas virtutis immediaté fit ex clediíonibus, non ex actibus imperatis y vt. patet £e non habente pecunias, qui fi nibilomi nus fapius eliceret volitionem dandi clemofimnr, acquiterechabitum liberalitav sabíque aliquo imperato atu: attamé, . inquit DoGtor ;quia eum a&us imperati fant impollibiles, non ita [requentar cliciuntur volitiones, nam ex Aug. 1o. do "Erin.c.1« quod. non creditur alicui. poffibile; aut ipíum non vult. auc tennitcr, vul:: hinc eft quód non generatur habi. tus;qui-eft virtus moralis involuntate fi. ne prax busimpcratis ... A irrartificiolis non dantur habitusin voluatate, (ed. vel folum inintcligsta, quz eritars, vcl. faltintin poreatiacxecutiua, voluotas autem tatum cx fccquécadis actibus acquiritinclinationem.ad-imperandum aGius exter. " nos; et hacrat:one qui fepius: non canit y: non hibet habitum mufiez.i,. difpofitiobeiiliaminpotentiaekterna, acc Ts clinationem y: qniaminus fcequenter clicit: volitionescanendi, ; &a$Secundo arg« quà a&usintellous ve imoeratasno fic praxis,auth, Scoti 4: prolart. v, vbt pofiquá docuit praxim cilc actam cligum,vcl impetratum, obijciccótra fc quia tuac fequereturadtür intejlectus cfe: praxim y quia aliquis pót clc imperata volantate,contra primá partionlà dcfinitionis praxis, gy (it actus alterins potentiae ab intellectu cc(podet nullam, intellectionem: e(fe praxim y (umenda ptaxim pro illaoperationey ad q. debeuexcédi intellectus, fed (olü ex hoc Tepipieioi Mino Impcidcese elt praxisvcl praóticas et hoc. sin concedit :-Refp. Faber cit. Do&oré loqui de intéllcstioncy vr intellcétio elt,.non'yt ctt imperata, Ditg« a inicliccbionem vt imparat cile praxim mareeialiter, noo formater, vc Do&ot elavé docet in 2.d.42. &cidconegauic à Scoto hic elfe praxim ormalueruQaucllus. iaquit., intelloctio-méntdcirco ncgazr effe praxim. quia vr in placita noni operati à voluurate » igi pamccdics vcl;quta non immediafé dix tem imperatis efl tantum materialite ORC volent. ó te[pon(to (atisfacit; non prima,q . rà patet Scot ibi fatal do dnte one vt imperata, de qua vt fic, ait, (oli eic practicam, vel prazim, vt re&éade uertit Smifinch. Non fecunda quia cum. Door in2.cit. ait intel cíIe mas tcrialiter peccatum, nonformaliter, pet;     ly materialiter intelligit (ecundatió per^   ly formaliter intelligit primarió;que do. Grinacf communis ommbus actibus im atis " ipfemet docet in. prol. cit«; .Contra iftud,aic nv, coiter mon. genevas: tur babitus pratbicus:, quieft-virtus. praxibus imperatis; [equentibuseletlioo .  né,non tamé genevatur ex illis fequenti   pu ex eletionibu:,imquibusefefor   iter bonitas moralis, in praxibusd cumdig:tur quilibet. actus imperacus: ma terialiter, hooefiflpunda ib Dogs is f ex hoc capiteibi negat Do&tor. intelle €tionem effe praxim,, debcbat Gtid aeg re: dé oíbus imperatis . &taraeo de alij: concedit prater ifitellecti ons, INec tam dem folaittertia, nam Scotuüsibi cxpref^ sé ait nullam intellcétionegy imperata cfic praxim, nod vt in plocigumy& fi tio haius e(ict y quiarimmediaré mon dii gitur etiam hoc vrget de'alijs impetge tis'aétibus, ergo voiucr(aliter.negaredes bebatimperatos ele praxim «525 109 Quapropter quamuis fic difficili 1ruslocus, attamé quoniam in alijs locis: cit. aperté concedit intelleGbioné cile peccatum, vel bonam; et con(equenter prae xim, debemus hunclocum explicare, .q» nequit melius fieti y qnàm. expolitionea Lich:ta&a;vi delices,qynó'loqustur $cotus de omn: inrellectione imperata yf dc ilia, quat. fimt eft cegulatiua operas : tionum; poteft.n. voluntasimperare in« tclic&tai, vt cogitet et quzrrat de medijs rcquifitis ad, fincm, Qaod perfi cim inquifitioncy& cogitatione qua co» gnitio,etia vt imperatajpotius cit practie Ca, qua praxis » quia e(treculatiuay de his cogn«tionib9s. dixit nullà 1ntelMectios nem e(Te praximsque cxpofirio colligi tur cx iplo textua:t mn. Doctor, Gís igitur dicitur intelleciio el imperata à Polar ' fatesergo ef? tres "on foni, fed fe[ Iur, ergo v axi, vel prattica, qe Cd pleri ai ipe. n. nata 8. denominari quafi. accidentaliter d praxi, ad quam exten(ibilis eft, nonautem efl terminus talis extenfionis, ecce loquitar itione, quz eft cxtenFo 4. dire&iua, et tcgulatiua, que vt fic nequit effe dirc&ta, non de illa, quz ton cít exten(bilis, (cd terminus, |. quz eft dizc&a mediaté . Quomodo auté ini fit authoritas. illa inzeilecius telligenda e xtenfione fit pra&licus, diximus fi exponcndo deliaiioums praxis $ed comer Log. n. 80. quamuis nous    i mm ixeliepofie effc praxim, tamen noÉitram non tecipit expolitioncm, et alitet Ls apap dg Ripe o ae itur i pet . Meta. n. 74. v oftendi   Rigcedam, eius vcrà expofiionem lacri 15 non . o oo. 410 Terto arg.qp a&osaliarum pot£/  wianumnd t y vt fant . «on (nc praxis, quia Acift.6. Met. c.r. et Ae Mcrfam. 2c 1. i (  Git vcrfari circa agibile.f. circa elcGioncs, 9t (c declatac ibi, f;&iuum vcró. circa. / &Gioncs tranícuatce. ergo quia praxis efty R denomias intellectum. praccicum, iym 3Gus tran(euntcs non cfle praín y (cd cffc&tionem, ficuc dift nx« 6. Kth.c. 4. vbi praxim,(cu actionem docuit €fic aliam ab cffcGtione . Refp. praxim inultipliciter accipi. ab Ktitt.vt notat Vaf.cic. quandoque etum fumitar vc Áfia3nificat a&ioncm eicétiuami tan um, quz aGceptio cft eaxia e. 1igotoía,& ;n hoc (cn(uloquicur locis cit. uádoque vcró nó:ta in r'gore, (cd vt dieon à fcculitiones quo pacto coim tün;s cft a&iont, et eticcueni, et in hoc £cniu.nos bic loquimur » quia quzrimus dc obiecto cognitienis praece vc à (peeulatina duttinguitur ;. in hoc (cafu. 1oquutus elt 24 Mcr. 3. dum dixit fiac t peeulatiug: elfe veriatem, pracuca veró opus, nà fi per ly opus intellexiilct actionem firicté (mptam, noo probattet iaacniuim, quod etat oftendere Mctophyu-, Logs intellc&om pe2&icü (0 QV dedinf.flenein pratl. v foe. s. 889 cam practicam non effc, fcd (peculariam, vnde ex negatione, quàd cflet practica, non pofset inferri e(se fpeculatiuá, nam poísct dici eíse factiuam j.& 6. Eth. | €.3.dixit tationé (peculatiná nó mooere, fed practicam, pet quam inxellexit facultatcm commonemactiuz, et factiuz . Quarto conttacortolaria deducta arguit Arriag. Tumquia fi nonrequicete« tur,quod principium praxis fit in cognofcente, (equeretur o€s (cicntias e(se pra€ticas, excepta Theologia, quia omnc funt de, rcbos abí(oluté factibilibus ; imb €ognitiónem, quam habemus de diuini product;on;bus, effe practicanr, quia e(fet de re operabili; gy cft falfum,quia oul1; cognitio alicuius ocdinatot ad inpoffibile ibi. Tum 2. (i neccfiarió requires i vedo t Minn e poffit errare, queretur fcientiam Dc:, itioncmg uam Angelus habet de m. uc, dictamen prodentir »quam Chriftus ha» bebat inhac vita,vifionem Dei in Bcacit mon eíse practicas (ed (pecolatiuas, quia ncc Deus poteft errare nec Angclus,ncque Chriftus, aut Beatiqui non (olum n6 oÍsunt errare, imó necefsario agunt, cedit, quod licet po(fit ertoc contis gereante cosmtionem d:tectiuam,ta pot directionem voluntas. pofsct deteta minari ad ncccísatrib agendum ex   X tionc dirccrioa prius habica, quz ex (c cf practica,quiadirig t serpo illud opus nee ccísarium eísct praxis. Tandem ainentes non funt liberi, et tamcn. quaadoq; cftie €;unt recte artificialia, 11 Redp.ad 1. ncg.(cq. nam vt notat Scot q-4. prel Mead coznicioné practic& tequiritur,nó (olüm quod fic oflentiua 9» peris, Icd et diteccua, itaut opus fiat ex vi iliius dircctionis, quod nó accidit in ile liscognitionibus,qua (onc mere oftenfiuz, et ico (peetifatinz; et Éalíum eft natlam cogaitionem ordinariad impoflibie le nbi, nam vt monct Scot. ia. prel. cie. $.Conira tfi ud, 1.d.6. q. 1. impollibile potcft císe obicccü volentotis ; cum quia licet tit fibiimpotlibile,non cft camé ab(oluté ii poflibile, quin poflit cadcte (ub pracc,:to, vcl cótil;o, vt diximus de Angeld nobis confolcnte quídam acus Ttt virtu Ht $96 sirtutisci fnipo (ibiles .. Ag 2. de ratione graxis efic ; vt opus illud fiat ex vi cogni» stionis non fimpliciter oftendéus; fcd di&gigentis fimul; quare requirituryquód vo Juntas t:c dirigibilis, qua rationc negatur a Scc.cum verioribus Scotiflis (ciétiam Dei practicam eífe q«4. prol&-r. d. 38. quia d'u'na volunras eft inobliquabilis ;. et prima rcgela in fuisoperationibus, de eogmiionibus Anacii Chrift i, et Beatorum concedimus practicas eife, licét vo Juntatesnon poíIint errare,nec actus ipr« farum hint praxis in tigore y quia vc dicemus art.Ícq.de rüne (cieotie pra&ice nó eitactualisdire&ia, (cd aptitudinalis, €ü iguur.cogaitiones ill ex (eiptis(mt "ditcétiue y crunt practice, quamuis voi Juntetcs fint. ab exttinfeco determinat adactionem rectam, hoc ar. cft peraccis dens; et ab extrinfeco .. Perltoc patet, ad acont. ram quía »mfenténtiá: noftra vo» Iuhtas nunquam ab intellecta «determi matur,vi nccefficetur ad agendi, [cd feni ger ranetiatrinfceelibera ; vto lib. de 4áAn.dicimus. Ad 3.conf.ex ibid. diccadis oluntas inamentib, eft edenrialitcr lrbe xa libertate nacurali,ua polsüt ageres et nonegerc,non libertate morali, quz. fapra illam addit aduettentiam touiscire xa matcríam moralem viruis,  vitij j «um igitur per amentiam fit pertütbae aus rationis víus, vt.nequeat adueriere « cognolcare, quanam fintopcra mo» aliut bona,«clmalay carent regula diriqiia ibero(équener libertate morali um hoc tamcn ftacguód quàndo; nó gercarbstur rónis víüs circa res artificia- des, et ideo potfunt iuxta artis: precepta opcrari quia habé&t libertatem artificio Xamjqua dicit libercatem nataralem cua aduertentia ad rcpulas artis. Quares,sth Sco.4.d.6.3. 10.O; et 2. d. 4 1.iín calce corporis quaríiti dan- tur actus indifferentes; qui nec boni süt y ncc mali,vt icuarc fcftucam,fticatio bar- be, &c.an ifti a&us fint praxis. Re(g.aflir anatiué, quia cum (int deliberati, et inge erc moris, ertic iuxta regulam 10nis nom porycu precipieniem, aut confulentem y d.permittencem,qua ratione a&us ifti »dicuntur impuzabiles ad laudem ; quate- SN oo Difp; X TEDe een vo 15. "T AM P nusoperans per ipfos, licetmof agat usc ta re gufam rationis precipienterm, tame et ron violat illam, qua eft minimi ri - genere motis ;fed de his latius in trac, « actibus humanis. 'à» b^ "d ^ Contra   arguít Auerfa . uia praxis eft,que regalatarj& ad ! motitiz pratica Brincipalicateedistur) fed talis cft a&us imperat Piddimegne Ice, et praecepta artis;v.g.(cribendi, di,&c.tradunrur de a&uali (criptione; " 'cántu,non de-volitioné fcriptiems; et cá: «£03; et ad hos'aQtus im feribendi et canendi ats iptori. eft obi siith dicitur 'attica per ordinem ad bier à peril ed attdéimpetiam, (t obieótum notitia i uficazatcis: en s P ad hoc vt notitia dicatec practican ufficit: y vr itd ipfam (equátur 'aGds ali nis vi is: pef mo turali | quclat(ed ek igicar,vefequatuma fforitid cognitus, Gc tepre(ent i GiuésraliScftactusimperarus, oomimperans. Tui 4:ex Amic.perfectio,& impefcttio voluntatis eít boniras velsavalitim   moralis,nóartificialis;beé.m primó ców   petit rer aruficiali inde independentem a? voluntate, volüntati veró. dependencer? à re artificiali, ergo primatiozótus ex termus erit praxis 113. Refj.actü&externürdupliciter pot fc cótiderari,primó gebe rali hoc cí],srh fpecie fua, et ex obie&o, a tcquz ab aliquo homine ffat y in cuius tífir ! porettate et vt fit vel non tit. z. quafi im 4 actu exercitosquatenus.f. imperatur a vo-, et applicatur ab ipfa porétia exci cutiua ad operandi; primo niodo fundatbonitaté vel malitia obiectiua in genere attis,feu fundamental quiad fpccificas tioné, et porentialé, fecundo modo fuse dat bonicaté,vel malitiá formalC,& actuar lem,& quó ad exercitium; tunc ad r.die cimus concludere dc praxi, et dirigibilitátc in potétia et quo ad fpecificationé non de praxis& dirigibilitate   Pos. quo   Q.V. de diu [cientien pracLep peu. del. 89i. qub àd exercitium, cum.n.prius fi volun tatis actus,quam adus extcrior,& vterq; fit dirigibilis a róne, quia przerequiritur applicatio potétia tali,vcl tali modo;implicat, quod ratio praxis prius exerceatür in actu externo, quàm in interno, Exemplum cft in moralibus,nam actus externas: homicidjj primario prohibctur:, et fupcr ipfum ipmediaté cadit probibitio, et fupra volitionem auc (ecundarió y Quia idco volitio homicid;j eft mala, et prohibita,quia homicidium eft malum, et prohibitum; qu caufalis cft vera ; et hoc (i-contiderantur in cífe potentiali, et obicétiuo;quáaquáwt fic libertas prius conueniat interno quàm externo, nam primitas malitiz non attenditur penes primitatem libertaris,qua eft fundamen1um,(ed penes primitatem prohibitionis, attamen in effe exercito volitio bomicidij eft primo mala, quàm homicidium. Quia primo exetcerur., &.in externo dcindc exercetur depgendenter. abinterno . : mptü valet de praxi in effe.obie,& poteatiali; non incíle cx ercito, actuali, Ad 2.pcr idem; nam inob;ecto mufica includituz aliquo pa&o applica . fio potentiz executiue . Ad 3. dicimus a&um voluntatis non fcqui per modü na» turali fequela; immo efie per fc intenmytáqui neceflarió et per fe primo in exercitio regalatum. Ad 4.illa perfectio artificialis in: efle potentiali primo «om^ petit rei artificiali, nonin effe exercito, d: dependenter à voluntatc, qua cít «aua illius aGus . a414 Dices,eüdé ordiné (eruat actus internus, et extetnus; dum fiunt n atu, quem feruant,dum funt in: potétia,vt patet decffe libero, quia. n.efíe liberü prius competit inrernoquàm externe in co fi £16,1n quo ambo func in petentia, idco iacu prius compxtit incerno,quà m cx-« teffio,€rgo quia ró praxis prius compe» tit externo, quàm interno in effe potcentialiji cendi, dá (unt ina&u. Tum quia ft ideo actus exterior, vt dicatur forma is exercice, folum przexigit ioteriotem, vt ab co liberzaté participet,non erit fiinpliciter verom; quod ratio praxis abactu interiori dcriuatur in exteriorem;(ed hoc tantum ds libertate verificabitur. Rep. non (cmpee feruati eundem ordinem inten.ione, et executione, quando .(. talisordo cít execationi iacompoffibilis ; vt patet da fiac, et medio ia intentione, et executios nojibi.n. finis eft prior, hic pofterior, ita €It in propotito,vt dixiaus;pracipué in generc moris;quia ad hoc vcaliquid pro liibeatur primatió, fufficit quod fit libe rum, (iue primarió, fiue fecüdarió, proe hibitio .n. pendet a voluntate legislatos fis ; at in a&u exercito nece(farió priug ponitur jaternus quàm externus, Ad alíad dicimus in effe. exercito externum non (olum accipere libertatem fed ctiaas dirigibilitatem; quia non eft a&u dirigi bilis,nifi medio actu voluntatis hoc, vel. illo modo applicantis; et maximé loqués do de praxi imn genece moris, nam vc ait Door 2.d.42. B. quia voluntas cít pri mus motor in regao anime, et omnia illi: obediant, tenetur dace re&titudinem,norr folüm fuisaétibus, fed etià-a&tibus alias rü potentiarum; vnde bzc caufalis e(t vea rayidco potentia exteriot deficit operane do, quia voluntas deficit imperando, dine. Quid fit, c vnde [umenda ratio grás &ici, c fpeculatiui ^. 11j Iücrécize pratici, et (peculadiuk D nó (olt applicant habitibus fed ét actibus, cü hoc difcrimine, quod a loquamur dc a&ibus; tantü.de intel lectja uis dcbet intelligi, ratio cft, quianullug potentiarum. ab intcile&td potcft dici practicus, quamuis fit praxis 5. nom n:eí(t dirigens,;& tegulansy ícd directussat fidc habisiuseit füsmosic [àtio faltim practici nó (o]um tribuituchabitibus iatellectualibus,(ed etianyvoluns tatis,virtatcs namq; moxales.appellaatur habitus practici, et ratio huius cft., quia: tàm ifti; quam illi ordimantu£ ad. praxim: Em diuetíintodé,nà PAPAE 05, vt prüdenta:, et ars,refpicingr pra« xim dircctiué, noo.-n.habcrit aum con ad actus altarum porentiarum, vc cx dicendis in lib.de deduptgnimumpen tC à iE9:z Tabitus voluntatis refpiciunt praxim elici tiue,quia phyficé concurrüt ad proprios acus ; cum crgo fit diueríus ordo in his, et illis habia us, diucrfía quoq. erit ratio practici. Verum quia communiter pra€üicum fumitur vt diffcreniia condiftin£ta à (peculatiuo, et hzc nonnifi bab;tibus intellectus poteft cóuenirc;hux ctt, quód de practico, quod cum fpeculat;uo diuidit hakitum intellectualem in comu ni,loquemur;& dao quzrimus,quid formaliter dicant, et vnde fümanuur, anf. à fine, anab obiecto, Prorcfolutione primz partis quafiti not. quàd ces à nobis cognofcibiles (unt dupl:cisgeneris, qngdam,o. funt produ€ibiles, quzdam improducibiles, faltim i nobis,hec non poflunt cognofci nifi (ccüdum propria predicata in primo, X fecundo modo,ac quidditates ipforum; il la dupliciter pogunt cognofci primó quà ad coram eílencias,& prazdicata,prefcindendo ab exiftentia, fecundo etiam quà ad exiftentiam/f. quatenus (unt producibiles inreram natüra,con(iderando modum,& circumftantias productionis illofüm,vt recté,& congrue fant;ptima cogoxto dicitur fpeculatiuaquia fiftit in có tc mplatione veritatisnec vltra progreditur,ciufq; finis eft (cire ; Secunda cognitio eít practica,quia fe extendit ad opus; iudicat.n. hoc effe profequendum, illud fugiendum;ciufa.finis eft opus ; qnaptoquer racio practici (ccundum cemmun£ in cognüionc dicit ordinibilitatem ad opes, quod eft praxis . An . 1316 Scotusanté q.4.prol.art.z.dilige tjus explicans quid fit ifta ordinabilitas, vcl exteníio ry ig qua confiftit ratio practii; ait dicere duplicem rclationcm aptitudinalem priotitaris naturalis » et conformitatis; quod practica cognitio dcbcat effe prior naturaliter praxi » probat ex 6. Eth. c.3.vbi docet Arift.electionem rectam, qua eft praxis, neceflarió Iequirerc rectam rauonem, cui conforrpatur;& patet ex dictis, nam omnis praxi$ s vc] cit actus clicitus, vel imperatus voluntatis, vterq. aoté prarfapponit acc intellectus ; tom quia regula elt prior naturaliter regulato. Quod deinde dcbcat Dif. X11. De Sentia. cc conformis, probat ex eodem Arift. ibid.docente quód veritas confiderationis practicz eft confe(sé .. conformitet Íc habens appetitairecto : duplex autem cít conformitas, vna paffina, et hzc conuenit appetitui » et praxi, alia actiua, et hac cfi propria cognitionis practice, ga eft regulaiudicans, et dirigens quomodo gerere (c debeant aliz potétiz inpro ptijs actionibos. Quare illa erit practioa cognitio,cui ex propria natura cóueni&t haz duz relationes aptitudintlcs, Notanter dixit Doctor has relationcs effc aptie tadinales,non actuales, quia per accideng eft, quod ad rectam rationem fequatur praxisrecta : cum.n. voluntas fit e(lene tialiter potentialibera, poteft non agcre propofito fibi obiecto à recta ratione practica,vel non conformitcr agcre; noa ob id tamen cognitio directiua, et tegülatiuá non erit,cum.n.fit ex fe talis, nom pendet in hocá pofteriori,& effectu. Ex quibus colligitur, male à recentiotibus referri, Scotá fen(i (Tc illà effe pra cticam cognitionem, ad q fequitur quos o operatio aliqua,vt amor, vali delectatio : Nunquam .n. hoc affcrit, vt. patet intuenti textum, imà oppofitü do cuit, dum dixit cognitioné illam c(le pra" cticam, quz ex ín; natura cft regulatiua praxis, inter qua fit relatio dircctiui ad directum,& regulatiui ad rcgolatum, taz lis auem non eft qualibet actio quo £anq;modo fequens cognit;onemyfcd ila,quz elicitur vi cognitionis directiua ad Fen cognitio rc ., -oll gitur 2. ad cognitionem practicá nó(oflicere;g verfetur circa rem opera" bilé,hoc.n.conuenit et fpcailatiuz ;tà uie Phy:ofophia,quàm moralisfcientia yet» fantur circa act;ioncs no(trz. voluntatis » qua (unt res operabiles;ícd adbuc reque ri,gp verfetur operabili dictck modü,& circü(tantias acuonisfaciéda Col igitur 3. cognitionem practicam illà ciic,quae cx (ui natura et ad. praxim extcnhbilis, ad opus oidinabilis, hice re(pectus conformitatis actiuz, cum aptitud:nalis,e (t ccaliver idéuficacus; qua propter non.cft códitio neceffaria, Vt fit ordinabilis cx intentione fcientis» Vc lale . 59 aft. AE " V ris RET nS shui rinqoit Do&oryeaFaélu iltá eon ordinare, 1 quig cé pisi: xinfocus fcientia qula péfeictijs acbitrids erit quoqs acciden is ipe untmerumcqaine on Bi 79417 fiin phus proc maios, netta praidi dmt nc Qd c 1 praccidis et vci tpeculariuo diltinguirur «oucr piat hábicui gk aceai im tellect uali» alitcr i lieercodiiipetituhabitus .nin tácuqo dicitur dirigere ; ingnaptli .eftipzoductin&sacios pracrics qual niediare dirigit, f$ in hàbiam cx fc attiggis obiectum, fed pyédioatus xqui eft. imoediaté direct: Bisp; ioc verbapuluplicitct cantingits.vr toMisicár moSco.q 4  prókarguédo corra ita qiam, Soin fn, ad fóncs opin. nà üg aliqui poodici practicus siii dire et viftüáliter, rj: et eft. coghiuo princir j raetiey xc quo dedugitar omclul i icétiboreieqeci inna ilr rd fidinizeipcactici: jn ga feionti Mr MA EPDIA ME iebdigitur Piscis ibedirecbinus fp squiliter x qi Ecxpeétse dirigg in-praxi m,sa-ef oouni dio concitifhinis practicas hos dup iei i6H5 eb roxime er eum diétag in parts EütorMijés Gi tu hcielfo rali eL talimode A GNMGE CL qudbdiditum UR. rit [o iineisrin foa biles tit ats, éLiciihaghienimdhibiivsdadindg p áctüspátt&icolirczwekt dios,enm.die ctàtim vente: li liba ede; pnofequende m» iid opns bgodirecao itoagibis fibsserie córhufto Ycientiei monilia fa cybilibuscéndluto aruis,oqnetjunthebitisinetitiancos ádcopus in yniüesfali No£at infupécDoctórs dift habisesypiacr falcs diti folemápec 'y:v&ide medii, ni diuldétut inuheocica ani, £peculazià y et iti praccicámiyndmquód farmalirer ünt T indc ji«d quoniamxquáddo funt ali(duo cx:tema.oppofiuà «quanto alig d reé&dirabyho. oppobronfm, tanrp accedit adaliid, modo confi decauo a paru culari,quia eft immediate. du «cua. graxis à particulari proxime habet xónem prátuci;& quántà aliquid recedic ab 1lias, tantó magis acceditad fpcculutiuum.s &. an. Logicae Vnde [umnátwizatia hraSh Jgecal. ii. 835 haciónzhabiususvniuer(alis pot dici -/e :culatiuus yin quanpun-recedic ab jactu. in particulari ; yndeagaab(olute c.t culis; fédcompataiud4:, 56s. Tx his deducit Scotus, quid dicar, (ic eulatiuum.s. gam cutmopgonatur praet: 0, dicit carcntiam illius otdip.stionis3i ópus;uaur goguitieispesulacua Grilla, q dd cócciplatigng propri). obiecri f thc, S vitra non procedit s. hinc. LIZIO a. Meg c zl aéciatpeculatiuadicituclibera, praSINCROIIA WELHMUENUA TIER EE Anis [peculatigae cll weritas yqacticae vero «0 püsynam jlla-ci.proprerde shax proccn Alin1,;cum: miaitira aliacü poxenuarí) -ox18:Sedeorm arzdicca i0flajuc, quia practica et fieculaeivum: funt d; ffcrentig chuifrdüz (cieotig ja cochmuni » ar. ku relpcctusy wel'pulvatieposet cde. diiferétta alicuis eeálisabloluti, qnalis eft fciée tlaergo praceicu anon dicit illos re(pe&rüsguccfperalarisum-cátengarb illerü. Sic(paprateicisb s Sie ealaiguo dupli cicer pollboan i decanb wel Kecuridum id y. 4pst patze cei d; cuntsvelikecug dam id; &.à nobisexplicintur y primémedo fuüt di ig; e(onctales Iiontiz y fecunda mootio.dscont refpectes Bocacentià jp (ah fd OAjlicato, (ant; potius; pafsiónes Gon? (equentes, quàm ciencals diffctentge y iftesah circ utolfaribuntsvthotar Sao: eit, zilChrca ai preen) difficultátis aducrten; dhm.g dex Sco,cis, ifia vod, notitia » &ohabitus pracucis Scfpeculaciut dicürit &alcs ineran(ecég (4 forcgddireri per propa» dis nijas cffenciales yX.de hoa non eft quaiíbio, Ccáiusrin-bs) vndocau(alixo otiginausé:iesepiantifte di wd peii acpibus ve|habidbusser.quo (tqdfiayrnon foutfaccrequaficoyqui re[pades habitósidia: practicos cl (pecilauuos » iquiagh actibus pidcticisa)& (Qeculat uis icaufantutqhamuisín. actus ftat eaula;har bituumsátcamen;:vt 00; aCdDoqier lit: E y &tactüs)fbi funt prácticiy i fpeculuuuig xrgo bibentiauías) 4.curscaies com ineng idiffetepvias x&icontequencec ifla xNular etant; originatiue .cawíagtes. diiérotiig illas ; d habiibussqutsre;ab sodG lhabiwig: y &actusdbabcbuntipné practici, vel (pea culayiuiy& deiffo qe ciens qiedipi UU 3j n 394 ' in qua difficultate certum eft intellectum ton poffe effe talem caufam, quia intelle&us efl cauía comunis vtriq; tàm pradti: co,quàm ípeculaciuo,crgo mon potefl effe. caufa dift inctiuasaliquid aliad igitar affi gnari dcbcbt, quod (it proprium vnius, et non alterius. Prima opinio eft Henr.quol.4.q. 1-qué fcquitur Grcg.in prol.q. .ar. 3. Fland. 6. Mct.q.2.2r.2,& ex parte Amic.ttac. 27. difp.4 q. 4.dub.6.fcientiam.f.dici pra&icam,vcl (peculatiuá à fine,nam finis pra€t icz cft opus, (peculatiuz vero ipfa veritas,& fcitc obic&i;quá fent. ex noflris fcquitur Baffo.q.7.prol.ar.3.Secüda (enr. cft Scoii q-4.prol.ar. 3. et omnium Scotiftarum,has differentias nó fumi à fine, fcd ab obie&o,vcl tiobie&um, et finis coincidunt, non fami ab illovcfine ;. fed vt obictto,quem modum dicendi fere (c. quitur Rubion.q. 9.prol.art.r. 119 Dicendücfl,aGum,& habitü dici pra&ticum,non à fine (ed ab obic&to, idé de fpeculatiuo dicatur;ita DoGor cit. et quidem de habitu patebit, id demóftrabimus de a&u ; Prob. igitur à Sco. prima pars,quod à fine non habeat,quod fit pra&icus. Tum quia ró pra&ici formaliter fumitur ab aliquo intrinfeco aui, có fit effentialis illi cx dicédis art. (eq.crgooriginatiué erit ab. aliqua caufa extrin feca et przfappofita illia&ui, fed talis caufa nequit cffe finis,ctgo &c.mi.prob. finis vt finisnon cft caufa, nifi vt amatus, quia zx di&tis difp.7.Phyf.e.8 .art.3. intà tum finis caufat, tn quantum mouct agés ad agcndum, (ed r6 pra&ici conuenit a&ui iue finismoucat agens; fiue non, et conf:quenter fiué fit actu cau fajfiue nó quia (ufi cit dirc&io aptitudinalis, ergo noncaufatur à fine ; non .n, amabilitas, et potentia ad cau(andum fufficit quia cf fc&us, p we tecipit,à causahabct, quia cauía actu caufat;no quia poteft caufarc . Tum quia vcl finis cft ceusa, vt eft extra productus,vcl vt confidcratms,vel vt inté tus et amatus ;non primi, quia vt fic cft poftcrior a&u practico, et aliquo modo Aus;faciens aüt diftinguere dcbet cffe prius; (i pe ose vt ficnon caufat vt finis, (cd vt obicttum, quia vt fic PMEANEDLSS iL Dip.  De Sdemia.  Lo ATE T sb 4. jnon babe: rationem finis 5 ad qi quititur, vt fit amatus, fed potiu né obic&ijnec tectum, vt iam oftési R eíp.Baffo.notitiam przcedé.é ame rem finis non c(fe pra&icam,íed fpeculatiuam,quia non cit à prax: vc à fuo prinSpas cit intentiofinis, vnde fol mittit pra&ticá notitià polt finis amorem,non crga finem, fed erga media, Per hocad a.ait finem vt inicnium, sea incer tionem finis caularc notitiam practicam; et in hoc fcníu cx plicat; limitat do&ri namtradiamde praxi. M .. Contrajintério finis eft praxis regulas bilis ex di&is art.pracced.ergo refpicit re gulam priorem, ergo non przcedit noti« tiam practica (cd fübfequitur. Tum quia contingit quandoq; agerc contra atualedi&amenrónis, vt cumquis peccando habet confcientiam remurmuranté, quod dictamen eft pra&icum,yt patet,nà au dirigit adopus, &attinetadscientiamfal tim moralem,& tamen non eftab intentionc finig,quia hax potius cft illi oppofita, Tum quia preícindendo à quocunq; a&u volütatis hoc iudicium, Deus efl se   mà diligendus,non eft ípeculatiuus,quia non fiflitinfola contemplatione vetitatis, ergo pra&ticus,ergonó eft deratione notítiz pra&ticze a&tualis cóformitascum praxi. Tandem je a&usbonusmoraliter dicitur taliscx conformitate cum   regula rónis, vt cómuniter docent Theo  logiin ttac. de aG.ham,(ed intentio finis cft bona formaliter, (i cftcirca conucniens obiectum, ergo habet regulá przuiam,cui conformatur, quz pradtica crit» quía dircétiua operationis teta. ) Amic.reíp.rónem praébici habere efTe à fine,non caufatiué,sed terminatiué, nà vt a&u cxiftente fed vt potente cxiftere uia effe&tus pot terminare d uz cau(z tàm vt producibilis, quàm vt produéctus.Hac refponfio non cft ad pro potitum, nam diftiactio per. effe&us c(t diftin&io à pofteriori,nosautem quatimus diítin&ionem per priora, per cau. (as,à quibus originatur 120 Secunda pars,g fumatur ab ob:c-. &o;prob.à Sco.nam actus (ciéua pracriH ca cau(atur ab intellectu à pra miffis 5. 1 intclQu. Pale fu Tatelle&us non eft ratio diftinguendi, vt diximus,ergo erunt przzmi(I, quia vt di«emus di(p.feq.concluf. (cientifica debet elTc ex proprijs, non cx cómunibus, cam igitur alie (int pramiffae cóclu(. practice, km cóclu(-f; tiuz,diftinctio à prio ri ex premiffis fumi debebit » praemia: aüt non funt cauíz originariz huius difti €tionis,quia et ipfz virtaaliter includuntur inaliquo priori, tale aüx eft fübiectü €x di&is q.2.ergo caufa diftinguens pra&icum, et am latiuum erit obic&ü pro prium vniufcuiu(q; exemplum : hzc conclufio practica, Dcus eft (ammé diligibilis, deducitur ex his przmitfis, (ummam bonü cft fumme diligibile;Dcus eft (ummum bonumyin quib.vircualiter continerur,premi(Tz immediaré continent conclu(ionem rone medij, qp eft caufa conne &ens extrema, medium aüt vitimaté cótinetur virtualiter in fübie&o; inquo etià virtualiter continetur predicatum.(.(um. mé diligibile. Quandoq. aüt medium eft à e o diftin&i, vt eft reip: refpeminis,quz ponitur finis medicin uctamen in [pens obie&um ^w qp virtualiter primó,& vltimaté cótiner, non ille finis, nam 1ntantum hzc, vcl illa fanitas concluditut de homine, quia homo cft tali, vel tali temperamento cóftitütus;& in fcientia morali fzlicitas poni tur finis,fed demóftratur de homine per proprià róné,quia idco fzlicitas talis cópetit homini, quia cft talé animàá habens; ynde fubie&um eft faltim finis remotus fcientiz,& idco ab ipfo (umi debét prin€ipia,licét non in quatü finis, fed vt obie €um.Conf.ex Arift.6.Mer. 2. et 6. Eth. € 1.& 3.de An.5 r.vbi practicü à (pecula tiuo diftinguit penes obiecta ; clarius 1. Magn. Mor.c. 35. Notat tamé Do&or, q» cü ró pra&ici dicat duplicem reípactam prioritatis, et €onformitatis a&iuz, (cu dire&iuitatis, primam rc(pcctum proprie m6 habet ab abordine potétiarü, eo quia voluntase& regulabilis, et poíterior inrece eu o) pe MN accipit ab Obiectosquia ideo inccllecuis cecté dietat eee eiie (umme diligibilem, quia D cus iníe vci contine: ycjicascan iluus hir pratLep fpteul. ert. 1. 85; propofitionis,& rectitudine il!à. Vbi adUertit duplicem effe rectitudinem praxis eliciendz vnam neceffariam, quando .f. indepédenter a quacunq voluntate obiccram natum eft terminare aliquà actionét patet inexéplo allato, et vniueríaliter ip illis omnibus, quz funt intrinfecé bona,vel mala,& ideo przcepta,vel prohibita;quia fant bona, vel mala;altera rgctitudo eft contirigens,cum .f.obicctum eft bonum bras à ab actu alicujus voluntatis,vt fant apre on funt bona, vcl mala,quia praccpta vel prohibita, vt facrificium miffz innoua lege cft bonum, veteri lege nonerat bonum ex ordina tione voluntatis diuinz, et in his vltimig notitia dicitur practica refpectu illius vo luntatis, quz non e(t deterininatiua recti tudinis,nó aüt refpectuilliusquz deter. minat rectitudinem,& bonitaté obiectis hzc.n.non depédet ab intellectu tanqua à regula dictante, quia eft caufa rectitudinis obiecti, et prima radix omnis obicctiug bonitatis, Inoppof.arg. t. q iftz differentiz ra mátut à finc; Tum ex Arift.qui 3.dc An, 49. aitintelle&à exten(ione ficri practicum.i.qui cft fpeculatiuus, per ordinatio nem ad finem fieri practicum, et 1. Met. C-I.practicam fciétiam docet ignobilios rem c[Te (pcculatiua quia eft gratia víusy ergo vfus eft per fe finis practicz, er diitinctio (umitur à fine ; clarius hoc habet 2. Met.c.5. vbi inquit finem fpeculatiuz cíIe veritaté, practice autem opus. Tum 2.quia actus dicitur prascticus, quia cft moraliter bonus, vcl malus, fed bonitas, et malitia conueniunt actui ex circum ftantijsjincer quas principalior eft finis ; Tum 3. obiectum, fi eft caufa actus, eft effectiua, erzo non e(t prima radix difti ctionis, prob. conítq. nam omne agens agit)quia mouctur à fine, ergo finis cft prima cau(a,& radix omnis diflinctionis, Tum 4.principia practica femper fumum tur à fine,crgo finis eft qui virtualiter in«ludit rone repete x: 121 helíp.cs Sco. Cit.ad arg. pro. opin. g dug triplex gradus iniclectue fecundu Arilt.primus;cum percipi fpe&ulabilia ; Secundus cum cogitat agiblie 3 Tit 4. bu £9& Xinh DÓpXEEE «Be eionih. DESEE Ín vniaecfáli i6/diccado de redijsimpar 'eieutbris Tercioscum de medijsanpavriculatteófalit propter finis afecutioner. Hine fecüdam prit gradum intellecras eit fpeculaciuds;qui deinde extéditur:ad copnitionem' practicam in vnime(ali, et &ptitudinalem, qua non refpicit finear vt amatum/f(cdvécogiritum ;fecundurftterSum gradum refpicit irem amarum et voliróm et voluntate; quarencgatuy intel» Teccom extendi ad'practic grins optér finem A did de r, et. cel p, Sco ad ire; primc.o«q: collar. qus víG£^y. feroperario ti eft obiectum enti practicas tanceftper fediRinI criubfeios vt obiectum cógitieim 5 mon: Mises fa finalis fi vero nori eft'obiecum,. Lo Deque edu slBabeat hibitudinéad vfam;bom ded vcad perfe fusca tncaee(t'obicpun et quia liübitadiiémhicitad vfurri,. Vicecve ur graclátiraltedos«óliueraram:, xRoBicéti; adlitic éóteladiuit henoliilicas fcientia practicae. Ad id dea Met sit Tip itorh pevalátiaümprofihe iamédia4v Tübere [pet ulàcionen quat d'ciuiva"rais qui virer rton rebidit;habiui ptaxicürmproa né: imtnediato Ttabere opus «b hosdami praceicam 3q6d diciiur: opus; "Quis refpicit tlüd'regütandoguard: Arif. «a(Benaaie diffremiam babiaiuiispenes: 10s os iweethid drefpiélanr) inp ra üwitadiitinaiononidtprma et origmh Aisgesdixirias Ad 1l $ oxcetloqridb rudis rn: fidmerátur: AQUA EDIT Bus ud didit Fw; d reor y s eni ons. sdproStiimtrisenrmanrdcite titfe fp dueloaviuE propier "fineniyqtt meer trice detcr nij icone] nonc pioréyaub vp uer dàdine gltum: DIET ayaoudít inudofeca fudismriab: Ti. neyoticunebiectó coirici : 5i noue dibvtoisehytialipay: -deinoritw patet t8, tus quiz Rire Obiciti aene ipt s vopnitióy efi valérec tet,d actüs tu&. Ad 4. 2(tmpr defever(í steicdaco (eiécoe qdiefobi S piá &n6v quaa iren ice datum tuifiüsigoprob.cóvla On& C422 cor ineróres eit BaiseQ uie Pih mre m Mood cát Eel o B dee ER A meri esa M aee erit | oem ecrire val riae uta, Scpr dpt 4 Vaerice nei ripa myrdqud "WR DE iiem reir m Ré were bas: donet coh fon ueri NCidcént yay yetildisi «à T yitrae confotitiitqueà is Tua allé Fecit t tenbtiHas ree da dit ccs dé finis cflet Mig Et yquewt cóferriisintenit Sin iebnd seni t Sirene im pet &icvaiadds  4 am n Nu Vide fnt get?) pii eM.l. 89r bj" omm mié ongugko que Af in obi furis. hp an A p2210/ "dens Saisir A ers » esa c T6 zat e ' a minus dependet, 6i b 2 Eier vem irae i eimi iic imosediaid Gri fn endo cau feticzaernillim vete WE TU eR meer inrer cte piede xobie&o:dantar riotitial m 1 tíot $5 ipu E iotiarrície iz pru&tiez At da nd eal onis ^nRetpad c ; cite quandóccau; 3 diftin&ar funt. viiuóce ci (uis ffe fimiles, rom vrimocatio: ey c fümilirudino satum tor diérpcucs formas. M groducic calorens,faltiti Bifihwitutibe Fire uf detti uab adefl;ccffeCtas eft milis fuicaw»   fron forone; fed'aomfa modoeeadifor: qmi; c cü domusc Xa fidum ia radar (téles:adeft timaktadoin-for. e cà ta:id inflacilhus f, (ed, non (mo id! si icavdomes: extcai Bupeioeit yii es domi.sonceà dabec:cfíe-d. ivilligicir: iri eios? Gocogricum:juandougiat edid ctus (hot fim ies:afiqua fim dicunt Bllarah; uitio cdsfareffictenies (pee diqun aova lentioForcechiecltatenm aeorf«tnhvetieótaulh fic ro mbec obibetarefipcistmraua« A dz: imeufüree (pea ae forkarabrobtectis; nd caufarentult:à Hab: ve gerft vicessillorum «' tom qnaeónda &osditumurfpezincare prac Agatif: s y (Gdiqwiatiabentrax mae mco AMineqiKipC i$4q. wa dpi diaBhcum, er a quias ilpon em (he nó pendét ioh (it cauía reac oo ceca pofHEN pta iic c fpcilhtum, fioi ation formali; qua fv nitur fj» atlb4 GEM bimE wea) Miet ee scares d fica. Mairena vary ecc p Yes e ee luimveotfideal. nem. fátioneny continet I fpeeatátias, et dicitur virtualiter v y féciindüraliam cotuinet: cort cas eee «onfi deracut [ 53 vtopOtediteife termi MOM OBLURID V. fts th atcur ids penis vitàllb quomodo: Doas vil &fririim boruim: dicivit^terminus dile» &iórks; et diligibilis ;& hoc modo dici eit^Sirunliver practica « !s E : biiolo20).44 12:1... 3 SR TIPCV Lv 8 FT "fiecibuonin conie ib git [ott s? hama cR pm rs AY defueiufic j qui negarüealy latas-differéntias: praótici., i colunt fcieniz'in cóiconnenire, cg quiaoéax(ciéiá fpeculariuà elled. xerity. i$ Sancixo:r Log. qrz; Valiiusaslo i» dip. p-y/q. 4adlyeret Amic. traót; 27» acoDey difppq.z.dab.6: cócl y. qui Aléficital (v Mótantox.77T Ire uer, Zabs &: Bal, ; Oppotira (ententis e(t communis et traditar& $co:3. 4jproliad arg.pcinc« qud. probacexAnft.& Met;c. t. vbv (cienciany diniditin practicám y et f peculatiuam, q etiam docuit y 1-M ccm; 3:6. 1 «& li. 14 cz et lib: sa6Xiye Gs Ei. initio. Tug quia irlibiPott.-vbrGr exaCte naturam: etplicat (Cicntizr, mun quae excludit notis tiam praéticam a ratio fiicnsiay do oiiies-códiciones-; quas adducic notitia racticaradaptari potlüm ipro buius (upra. i;arG^ fi magis: mad ipit ex-éolurjone obiefterum oii . 115 en(tant,namcAz for) icr; 6:2. adründ féientiavidetucéxigere y qo fir 5ratia fut. atur alterius; vtieftpraxj ica noct . tas fedipeciiliet.óih. boc allcrissnam Gc, 1s diuidit faculvatesantcljceun «an tacultatem fciendi, qua res confiderat, quarü patrz aliter fc habere nonpoffunt,& in facultatem ratiocinandi confiderantem, que aliter haberi poffunt;primam in c.2. vocat contemplatiuam; et c.3. diuidit in fcientiam, fapientiá, et intelle&tü, fecundam in prudentiam, et artem, fcientiam di (tinguit à prudétia,& arte quia illa e(t. «irca obicttam ncceffatium, quod aliter haberi non potcft, ifle verfantur circa obiectum contingens, quod aliter poteft eflc, nam opetabile dicit ordiné ad exiflentiam, et per confequens eft variabilc, non ateroü,cum igiur de ratione omnis(cicntie fit habarc obie&um neceffarium, et hzc ad contemplatiyam fpectet facultatem, notitia verà practica fitcir«a córingens pertinens ad ratiocinatiua, fcu a&iua, non potctit cogniio pratica feb Icientia tanq. (ub genere contineti,  E efp.in 1. loco [olà decere feientiá (peculatiuá5quia eft gratia fui, perfetiorem e(fc pra&ica quz eft gratfa alMeriusnomtf negare (ciétiá cffe, imó fi onctc háx diuifionem ; et hoc modo e antellizeadus Acift.dum 2. Mct.5. ait pra «&icanrnon confidcrare cauías per fe y .?. gratia fuisfed in ordine ad aliud. Ad 2.di«€eimu$ cum Sco, q-4«cit. quód (ub. nomtanc (cientiz comprehendit etiam moralé y» quia fae diftin&tionem. affignat ex hoc, we fcientia eft de re demóftrabili, nà alt pradenia, at habitus vpiaeríakam. clt de £e demonttrabili poffunt .n. de epcrabiibus in. vniacr(ali confideratis fieri pro potitioncsnecellariz ; et (olum de parci«ularibusnequit fieti demófkcatiosde g.bas e(t prudétia; nec obftat obiecti cóuaitiaynam a&tus,qui contingenter elicizür, concluditur neceffarióy debere cfTe sar MANN dn ic&tus; inquic r de ipfo contingenti eít (cientia quaniirad conel. demonftratam ncoc (facióper aliquod. C neccffaci à conueniens contingenti .. Vocauit auiem Arift. hanc facultacé contemplatiuaia, nó Quia (it propri fpevulatiua » fed quia eit vniuet(alium, vbi prudentia eft finsula1:0m ade modi, qao medicina diuidi folet infpecalatiux, quar eft vniuerfaliü, Difp. X IH. De faentia. e Twp 2 E acquiritur ; quatenus nom proxime diris git, et in particulari. Quam i Aucría q. 16.(et. 4. cófirmat ex 1.m mor.c.32, et 33. vbi facultatem intelle&tiuam diuidit: ex. duplici obiecto intelligibili& séfibili, primumait effe obie&ü contemplatricis, srà obie&um confuf tricis, per primum intelligit vniuer(ale, á per si particulare, et 6. Eth. c. 7. et 8, n clare afferit pradétiam effe parriculariü,. Dices 6.Eth.cit.prudentia definitur fit habitus cum reGta ratione a&tiuus, fd hoc conuenit cuicunque notitiz pra&i€z,crgo qualioct (ub prudentia, non fub fcientia continetur. Tum quia c.7.ait pra dentiam c(fe vniuer(alium ;. qnod-de arte docuit 1, Met.c.t.ergo (icut fub atte cotinentat habitus voiuerfalinm,& particulariam fa&ibiliü, ita füb prudentia vtrüer habitum agibilium dac intelligere b id multi cocedunt rónes iítas, et re ndent Arift, pec fcientiam intelligere olas (peculatiuas ; quia ift» procedüt dea monftrationibus rigorofis, nonficfciemtiz practice, quz (unt de minus perfc&& cegno(cibilibus in fey minnfq; eertisqu& (peculatiug,vt notat Doctor cit qua rez fponfio cf expeditior. Attamenjdicimus. adhuc fuftipendo priusallatam y ad 1. exSco. cit. qp definiuo prudentig debet in telliai de babitu a&tiuo proximo, qualis: c(t habitus acquifitus ev a&Gibus, non de remoto; quaks c(t (cientia. Ad.a.in 1». co idcirco ait prudentia cffe yniuerfaliis, quia in e(fe perfecto prasfüpponit fcientià moralé vniuer(aiit in eodcm intelle&u . Noncurauit autem diftinguere artem ab experientia » ficat feeit de pruden tia (ciétia quia artes vt in plurimü ac  quirütur experimétis, && gui ione fius principale crat explicare babicus: 1c 6tiuos crga agibilia, nó erga fa&tibilia .Cum igirur practicum, et fpeculatiuü (int differét:g diuidentosfciéam y videndum remanet, qüo illi conuen;ant y circa quod süt duo dis imum ett,am fint differentie ynmediaté diuidétes (ci tiam in communi  itavt qualibet fcientia fit vel practica, vcl specolatiua, et nulla detur media; (ecunidü an (nt differentia et practicày qoa ex vía fingulari aéiud ciipntiales, ap Yel aceidentalcs « Ec QUIA Qum. pratl.erfpec [ope diuid ant crt.ll $39 Etquidem circa primü dubium nil oc€urreret dicendá, cfl.n.quaftio de nomi. ne nà pédct ex diuct(a acceptione pra&i ci et fpcculatiui, de quibus iam detctminauimus quód pra&icum dicat extétio» nem ad opus, (peculatiuum carentià talis . extenfionis, inter quz nullum cadit medium, ergo omnis Ícientia, vcl e(t praGica,vel fpeculatiua, vt cü Sco q.4.prol. art. 1, et $ Quarta viadocuimus o. prog. art. f. oftendendo falum ec Logicá nec e&c pra&icam, nec fpcculatiuam, ^ Verü cftó bac quaftio fit de folo nomine, vt diximus, Ferchius tamen nupertimé veftig. o. valde. infüdat, vt probet mon cffc diuifionem immed atam, fcd daTi medium pct abnegationem extremorü »f.[cientiam fa&tiuam, qua nec practica, ncc [peculaciua cfl; totum cius fundaméum partim ex Arift. auchorit. defumptü tft, qui (cientiam diuidens (emper vtitur tripartita diuifione, népé infpeculatiuá, actiuá, et fatiuà, vt ex varijs locis   oftcadit popup tim ex rationesquia (ciétia pra&ica, et (cientia actiua funt prorfus idcm, et folum diffcrunt idiomate,ná ptacticum eft vox grca, a&tiuum latina, €rgo non bxné diuiditur (ci&tia inpra&ticam, et fpcculatiuamy& curfus pra cea Ls ina&tiuam,& fa&iuam ; quia nihil poteft tanquam cómunc diuidi 4n (cmctipfum, et inoppoficumünm, nec.n. poteft ho. imo diuidi tatiquam aliquod communc ad hominem; et brutum, tunc..n. idem effet communius fcipío, et vnü oppofitum effctcómune alieri oppofito;& de illo praedicaretur, Nec reípondere valet, inquit ip(e, pra&ica limi communiter, vel propriéipra&ica proprie eft fcientia a&tiua, et di inguina: contra facti communiter veró fignificat omnem fcientiam, qua non cft fpeculatiua, et non eft gratia vetitatis,& cognitionis folum, fed gratia operis. Nam contra inftat;probans id cífcabuti vocabulo pratica, et in Schola petipatetica a qiuocatioge ludere, quia Arift. femper accepit practicum; vt contradiftinguitur à (peculatiuo, et fa&tiuo, ergo nonlicetalhjs in eius Schola acciperc pta&t;cum, vt quidcommuue ad a&icmom,&factiuum.s 127 Sed 'tota huius viri concertatio manifc(lé demonftrat ipfum có:cxcre li» t€ de (olonomine; et de folo vocabulorü víu cfe (oMicitü;idcirco, cü de re có ict, communis modus diuidendi fcientiam ia pra&icam, et fpecalatiuac, non:eít deferendos, et rurfus in a&iuam, et factiuam, quia effc ad finem extra in« telicétum e(t commune ad (ciétiam a&i uam,;& factiuam; ergo ficut [cientiayquae nonhabe: talen finem, fed folam verita. tem;dicitur (peculatiua fic é contra que hibet talem fincm, dici poterit pra&ica vcl fi hoc vocabulum eft fa(peGum, alio cói nomine potcrat appellari v.g. operae tiua; et ficut operatio diuiditur in a&io« nem;& f:&tionem.i. immanenté, et trá« feuntem, fic fcientia operatiua in activa, et factiuam fobdiuidcetur. Ruríus tal intruditur mcdium per aboegationé exz tremoram inter Ícientiam, quz cxtebditur ad Py qualiseft, qug ponitar cis ad actiuá; et fa&tiua,& illam, quz nó ex« tenditut ad opos, qual:seft (peculat iua y quia femper vrget ratio DoGoris, quod 1nter extendi, et non extendi dati nequic mcediumyetiam per abacgationem extcemorum, cü fint contradiétoria. At ref p. Ferch. c.5. ad 14. potle daci medium in; tcr contradictoria, fi "er NE iocti pliccaturjalioquio mirabilia paralog zare poffemus, vt v.g. quod inter bipatium, 8c. millenarium non eft oumetàs medius, (ic arguendojintet primum;& nó ptimü nort cft medium, numerorum autem b:narius eft ptimus, millenarius non cft prin us etgo &c. Vcrombac (olucio probat (opi quod iater extrema contradictionis po« teft dari mediüm, fi matcerialicer (amans tür,nonaütem vt ftantlüb membris con. tradict;ionis formaliter, vt i pfe ibi fatetuc,& ex eius exeplo deducitur,quia inter binarium, et millenarium numerum da« tür vtiq; medius numerus, denarins, qui« narius, c. qui tamcn numcri confidera. ti, vt funt oon primi, non median inter. millenacium et binarium, alioquin pco« bare policmus intct numerum binatiumg et qüiinarium non dari medium (ic paralogizando,intcr parem,& unparcm non datur mediü, oumctorü binarias eft. pary qui-, eo6 Xi sto Dip aoo Den feadtaon acu. quinariusimpets crgo Ko. fie; dn gropcfito. £a£ti0a enédiace: porch. marecialier intér a&imamwX (pcouladiuáfadforgislis ter; vt flacfib illo, exttenocoMuadiétio, ji fisgquad.cft ex teofio ad opusimó modia. fcd.ctbmebrü inadequatá bos essen INec fundatuoot in oppot. C mu cfquia. paw aee posce Mi uidat tripartita djuiftone» Bon tamcn.id fem fecitbipartita:s Y&.€x: multis locis calligicaz, quos. pe adducit €; 4.&flà ibi cóenéat.nán. facere weram: diuifjonem » (cd potius comparatione. 4 qnod an oninie pófi verom, itd Airernei iet pde quia de hac xe apxij nolumus ele: certum eft patte fcientiam diuidi B bie partita, G tripartita;, dinifiome zque:bené, quia yc. diximus di(p.i«q A iart.psudido gcnus patcas/fi le haie pecies,vcin pofito eft de. cientjaJcommodü eft ac vtile illnd immediate diuiderein fingu las, et hoc fuit, an £apfa y: quod. Arift. £requentius.tripartità diuifione fucrit v (so TNec etiam ratio; qua. affercbatnpafatis vrget » imóper dift fin&Goncm ibiallaram fufficicntér diluitur;,qnag £t de.m&tc Ari(t..diximus (upra arte ad 3 «neque nouumcfd. in fpecies diuidi appropriato cuidam illaru ipfo;nomipe gendris,fic motus diuidi (olet inmoti proprie i&ums& mutátionem, pomum Áigni €a oinne genus: Samen pd «ialiter maUs Ap osDe » Jic ergo inprogofitoj pradtica: fignificat promifcué omné notitiamy qua ad opus cxtepditur.ex£taintelle&üu xta, mad lequédiArif, m $.Mct. 3v fpeculat ipe fimis »exttas., prati autewi opus, pcculiarieramterb pos   amu eim (olet. jenhenm Ad. iur tli am fpeciem (cicntias qua a 5 et qa: «acabulum.practies. t gc notitig, remped adtjnam, et fa» A illamaatitiam; qperatius quia, de nominibus rixam no pinus,: 1428 At inflazFercha«1a.nullonominc: poe. . hane ; mnoriuá  ' um aput, quod probat cx Ar agn. mor«e-vir. vbi prse quadnon ener nii tas tàm.ad fa on MM ? s i lup ifi^ (tia, quàmde habatuali diniioncna (ic tice R eT pe Arif folum iznnudte velle iquodinon f j xz facultas dc fa&o. qué agat pice pie pari rry m m nun rum avsdicau porta prd qid alti ashoc an ceriom elis, fc concediun 4G. eid audnem. £xWa » amti cBba nid iere Quid copimiibr ia aet «uam; &cfaétiuamby mulae ihincifincgjvb ticin ab Td niunis varias amt pcEREAUSA QE itiarum fpeciesannqaratas concede, Trew iun pr pter e Iv Pura npe site mde NE Ci uerb nom fpcétár ; uia. £u itnctn,noatejontun adf d,diftinctam, quater] dati&zmyar iple: di acts T -pradicagw vt soin ins;cld y. -nomon oftendit, aí wuiehor »D.. em iquodamór y eo-ántemiplo T,amoré Sei, ders epa tius practicam laptt ; 4:€E: péculat Pale ffo man tij et poteft exagitan iris totali; nondoquimur: autem de. ic ípecnladaio,ptóut ànobis mamvt fic nequennt peer re unt cled Eun CIE T uicum  &, fp vt Caiet, yel formaliter, vt fe dra quifuftinent Theologiam, et ke qe dici practicam, et fpeculasaga Y uü d H QJ Qumprali. c) fptc. feient.dinidam. efr.II.. 901 gimus q.proarm. cit. quod alij exteadunt etiam ad a&um, ita Amic. tradt.27. difp. 4.q.4.dub. 10, Auería q. 27. (c&t. 4. ad. dunt Hurt.difp.1 1. de An. fcct.4. et Actiag.difp.1. Log. (c&.4.cundem act fal. tim diuinitus poffe fücceffiue dc fpeculafiuo ficri pra&icum. 119 Dicendum eft nullum a&á,neq; habitum fcientificum, fiue pattialem, tiué 4otalem poffe cfíe pra&icum, et (pccuJatiuum, tàm fimul, 4 fuccetfiué, et pet confequens has differentias effe quiddita tiuas, et effentiales; ita Do&tor q. 4. prol, art.2. et arguendo córà Gocfr. et D. Th. quem fequantur Scotiflz omncs, et vctiorcs Thomiflz,faltim loquédo de íci£tijs naturaliter acquifitis, quoscitant, et fcquuntur Did. à Iefa difp. 1. 9.6. et Có plut. ibid, prob. ex Arift. qui 3. de An. e gj Mct.4.& 6 Met c 1.& 6. Erh ci. et feq et 1. Magn.mor.c.3 1. et 35. ex diucrütate obicctorü arguit i diftinguit Écicntias in (peculatiuam ; et praGicam, et cx hoc, quod vna non cft practica, iufcrceffe (peculatiuam, et fi e(t pradtica, quod nó (it (peculatiua, quod verum non €(iet, (i cadem fcientia. fimul effe poffet Gica, et fpeculatiua, Nec faumsfacit Vafa.1.p-dif -9.dicens in his locis Arift. &on atrendiffe (pecificam diftin&ionem otenuarum; ed varietatem opcrationü. on valet, hoc.n. intendimus, quód ex varietate obiecti (peculabilis, vckoperabitis lee diftin&io [pecifica pra&iez, et fpeculatiug co;nitionis. ' "Deinde prob. róne, et primo dc actu, nam ratio pra&tica, et fpeculatiua funt op poftitz differenuz, quz contradi&toriam oppofitionem infcrunt, vt notat Scor.cit. cognitio .n. pra&tica fcrtur in obiectum wt opcrabile,ex fe eft directiua operatiomis, rcípicit obic&um in ordinc ad exiftcatiam: (peculatiua veró ex propria na«ura refpicit obic&um mfe, non:n ordim« ad opus, nó cft dire&iua operis, et ab exiftentia prz (cindit, ergo eidem actui nequeunt conuenire, conieq. prob. quia idem a&us tenderct, et non tenderet in 4,5, dirigeret, et non dirigcrct ; antec. £yood attributa illa conucpiant ex proprijs naturis, prob. quia qu& conueniunt a&tul rationc obiecti formalis, competunt illi efientialiter, nam actus ab obiectis (pccificantur, ifla vcró attributa cóucniüt actibus cx obiectis proprijs formalibus, cffe -n. practicabilc cft rat:o formalis con(tituens Ícientiam practicam, ficut fpecula. bile conftituit fpeculaciuam, vnde diuer: fz paffiones omnino dcmóftrátur de quo libet per diaerfa media, et principia, et fi ab iliis auferatur ratio [peculabilis, vel operabilis, non amplius remanent obic« cta pra&cz, aut (peculaciuz fcientize. 130. Mukapliciter re(pódét primó his rationibus fold probari no poíTe dari acti formaiiter practicá et fpeculatiuum, noa tamcn eminenter, Sed hzc refpon(io ab omn:bus feré reijcitur, quia quzlibet coghicio vel fcrtur in obice in ordine ad opus, et fic eft formaliter practica, vel in ordinc ad fe, et fic e&t formaliter fpeculatia, et ficut nequit dari obiectum, g» fie con(iderabile ab intellectu ; (ed nullo ex his modis, ita ncquit dari coguitio, qua non fit formaliter practica, vel (peculas tiua o. : ^ Alij refp. «y practicum, et fpeculatiuü poffunt dupliciter cófiderarlprimó adzquaté, .i. fecundü oés conditioncs;penes quas opponuntur, quomodo practicé diCit cogaitionem cum relatione ad opus, fpeculatioum cogn:tioné veritatis cüncgitione relationis ad opus ;fecüdo inadzquate, quarenos dicüt perfectiones (inzuloram finc mutua repugnácia, v.g. fpecue latiuum dicit cognitionem ob:ccti fccon dum propriá naturá, et pa ffiones,non excludendo fimpliciter relationem ad opus, fed fecundum quid, .(.vt obiectum (peculatiug modo confidcratur; practicü dicit cognition directiuá non excludédo (im. pliciter róné. [peculatiai, feu cognitioné naturz,& pa(fionum, (ed fccondu quid in primo fenfu i(tz differentia funt incópoflibites, et conucniunt vc fic actibus, quorum quilibet cef icit obiectim toraliter pracicab e, vcl cotaliter fpccatabile qua róac dicuntur obiecta adzquata  at íccundo modo (unt cópoffibilia in eodem actusquia ille accus tunc refpicit plura obiecta vnü practicabile,aliud tpeculabile inadz quate proptec   ; Difp. vel peifcetioné obiccti : adeft exéplü de znim: rationali,in qua vniütur petfcctiori modo formaliter gradus vegetadi,& fcn» tiédi in plátis, et inbtutis difperfi;& obie «ta sé(uum externorü adaquaté proprias potentias rcfpiciunt, vt obiectum vnius non fit alterius, at quia fenfus communis inadzquaté refpicit omnia fenfibilia, ifta [ofiunt od vnam potentiam fpectare . Contrályreeturquia róncs practicab:iis,& (peculabilisnon pofsunt inadzquaté refpici ab codé actu, nà actus vnus non nifi «nicum pot cefpicere obiectum, à quo fpecificatur, et nequit in plura obiccta formalia tendere, vt in lib. de An. dicetar,& fi plura refpicit hzc erunt materialia obiccta,non formalia, aliter non eflet ma ior ró,cur vnus a&tus plura, et plu ranon refpiciat :quare femper inobiccto vnica formalis róterminandi corrcefpondere dcbet, ergo idem actus nequit refpiccrcinadzquaté obiectum practicabile, et (peculabile . Ncq. dicas refpicere illud obiectum (ub aliqua cómuni ratione, Tü quia hzc communis ratio effet obiectum illius actus, non tóncs inferiores practica bilis,& fpeculabilis : ficut actus attingens animal praícindens à rationali,& irrationali,non ob id attingit hominem, et equü fub proprijs formalibus rationibus. Tum quia hzc ró adzquata ncceflarió deberet e(sc vel ptacticabilis, vel fpeculabilis, vt contra prec. refponf. arguebamus : Nec exépla adducta faciunt ad rem, nam gradus vegetandi, fentiendi, et ratiecinandà €x proprijs rationibus formalibus in com. muni non funt oppofíiti, nec fc habent vt diffctentiz diuidétes commune genus, (icut fant practicum, et fpeculatiuü in ordine ad fcientià . Similiter obiecta (cnfuü externorum pofsunt inadzquaté. refpici à fenfu communi, qui c(t potentia tcípiciens pro obiecto adzquatofenfbile (ub rationc aliqua fuperiori, et communi fcnfibilibus externis : at lata differentia cft intec potentiam, et actum, eadem .n, potcntia pót plura refpicere inadequaté, vt intellectus omnia intelligibilia, et fenfus communis oia fenfibilia, non aüt cadem intellectio ompía intelligibilia, aut plura, ncc cadem (enfació pluta e£(ibilia, (cq qd De Seientid. "oue. 0 : TI multiplicatione obiectorum. particulertü | multiplicátur aus;vt fafius ia lib.de An, 132 Ex his manct probata fecüda pat de habitibus partialibus: ná caen actus fp cie diuer(i gencréc habitus (jecie diucrfos, nec poilit id& habitus concuttere a actus fpecificé di (tin&os ex di&is q.3.(c« quitur,quód ficut actus pra&bcus, et fpc» " calatiuusfpeciedifferun:itahabituscors rcípondentes.Tandem probaturdeíciene   tijs cotalibus, (cientia .n. totalis dicitur : vna ex f'nitate babitus alicuius quidditatis vt includeniis vel virtualiter, vcl potétías litet veritates demon(rabiles de co cui eft quidditas, et de inferioribus (ub co cá. tenus, itant o1a con(iderata in totali (ci tiaconucniant invna róneíormaliconfií.   derandi;, vc! genetica, velípecifica,vtqe 3. fuse explicauimus ; (ed nequit dari vna cognitio alicuius quidditatis, qua refpis ciat illam (ab rGne praCticabilis,& fpecüe labilis fimul, vel (ub rone aliqua ES ci déte, yt probatum cft, ergo neq; babicus fimilis poterit dari, ex cuius vnitatefüs   matur vaitas totalis fcientiz . Tum qu vnátas (cientiz totalis pendet ex vnitat principiorum, fed nequeunt dari p ia comunia fcientiz practicz, et fpe atiuz, fed omnino fünt diucr(a,vnc c [ gnitio principiorum fpeculatiuz dicun tur ad habitum intelleus pertinere, cipiorum veró praGica. ad fj xt aducrtunt Compl.cit. m Cum igitur quilibetactus, velhabitus.   ex propria natura habeat, quód fit pra» . &icus, vel (peculatiuus, et efleatialiter 2.fcquitur has differentias efle quidditati-. uas, et cífentiales fcientiam 1n communi. diuidentes;& con(equenter nec €t diuinis: tüs cundem actum, vel habitum pofi de, fpeculatiuo fieri practicum, quia | Deus cffentias rerum igummtare. E qua. adhoc vt fiat talis mutatio in au, debe rct etiam mutari obiectum, aliter non cf; Íet maiorratio, curantea erat (jcculati. uus, modó pra&ticus,ad mutationem aü E. obiecti mutatur €t actus,quó ad entitat&sc 133 ln oppo[-sgenis idéipteliectug |  efi practicus, et (peculauuus, etg &habius. Tum 2. fidcs eft iul Mos fpzcujatiua, nam inclinat ad a(tus praétáe v E gotics | gtet perfc&tionem obie&i,vt Th .. wel ptopter vniuerfalitatem eiufdem ; vc Agr oprijs obiettis 9T. Quom.praci ev fpec. fcienr., diuidant. odrtIll. 9035 €0s;vt qubd Deus (it colendus, et ad fpe. eulatinos, vt cp Deus fit vnus, indepédés, &c.que funt concluf.metaphyficales, et pm iuz. Tum 5. operabilitas, et non perabilitas in obiecto nó funt effenriaksj&' ita diffetentig, ergo neq; in acu; vel habitu; Tum 4. habitus f pecula:itius concurrit ad directionem, qua fit à pra&ico; ndm metaphyficus oftédit Deü e(Te (ummum bonum, primum ens, infifiitum,&c. qua omnia rudant ad dirigen» dá voluntaté in Dei amorem; Phy(icacófiderat naturam anime, et palfionü eius, faturam herbarum, et corporis humani ; ow cognitioies inferuiunt morali y et dicinzimó funt principia, quibus me "dicus fuas demonftrat conclufiones pta€icas, ergo pra&ticum, et fpeculatiuam nonfünt oppofite differenti, vnum .n. oppofitumnon concatrit ad conftitutioalterius oppofiti « Tum f. virtutes its idferioribus dilperfe repetiantur vni fuperioribus, vt de gradibus fenE anima rátionali;et pra&ticum, et fpeculatiuüib (cien is ordinis fpecie diftinguanfut, tamcn in scientia fuperiori, vel prolicologia, Losica; poffunt vniri, Tum G.diximus (u« pra).3. dati poffe vnam fcientiam totalé emniü rerü, crgo hc non erít practica, sictpecohidhd fed vtrunr]; formaliter » "Fandem íi quis haberet cognitioné prodü&tionis rofz v.g.hzc cognitio e(fet fpe eulatiua, vt patct ; fi tamen hoc actu permanente communicaret illi Dens potentiam produé&tiuam co(z, tüc euaderet illa €ognitio practica, quia etfet de aliquo otabili, ergoidem actus potcft. dc fpe&üflatiuo ficti practicus fuccetfiué . x34 Relp.ad i.neg.paricaten, idé .n. jnteli e &us eil fciencificus, opinariuus, et erroneus, et ramen idem a&us, vcl babigus nequit cíie fcientia, opinio) et error, nec fimul, ncc (ucceffiué ; ratio eft quia diffcrentig: itae accidentaliter conaeniunc intelle&ui,& inadz quaté propter fui sli mitationemyat a&ibus, et hab:tibuscf fcm i aliter competunt 5quia [ümuntur cx fouvalibus. Ad 2. neg. antec. nam atus noh fpeci ficanturex àbic&tis materialibus,fed folum ex formalibus, qua ratione diximus q. 3. oésactus fidci effe eiu(dem fpeciei; et confequcnter vcl pra&icos, vel fpeculatiuos, quia vnicum habent motiuü affenticndi.f. authoritatem reuclantis Dci. Ad 5. diximus etiam q.cit.differentias accidétales obie» &iin effe rei quandoq; effe e(fentiales in cffe fcibilis,& in ordine ad actus, vnde co guiriones ri fibilitatis, rationalitatis, et a« nitnalitaris fpecie, et cffentialiter diffe. runt,nomi tamen obiecta in effc cei, Ad 4folum fequi habitum fpeculstiuum ette virtualiter pra&icum, no formaliter : nec repugriat vnum, et idem effc formaliter fpecülatiuum, et virtualiter pra&ticum » ficut aqua calida cft formaliter calida y viraaliter frigida, vinum virtualiter calidum, formaliter frigidum ; tum quia noa eft cau(à adzquáta a&us pra&tici, ad có: clutionem.n. practicam requiruntur duae pramiffz, quarum vna ct oftenfiuabonitatis obfecti,alia directiuo in gencrali y vt (ümmum bonum cft diligendum, Dcus eft fummum bonum; ergo d:ligédus, maior eft dire&iua in genctali, remote, et formaliter practica, minor tm fe cft formaliter fpeculatina, at in tali fyllogifmo eft virtualiter practica « Ad s. aifumptum non et vpiucrfaliter verum » precipue quando di(perfía funt oppofita inter (c et imbibun: contradidtociam oppofiti nem : vnde nec fcientia diuina, quz emi nenter continet omnes perfectiones po(fibiles actium intelle&us, dicitur formas liter,vel eminenter pra&tica,& fpeculati« va fed ctt formaliter (peculatia2, vel pra Gicaiuxta varias op:niones, Ad G.affumptum etfe verum de (cienajs (pecuiatiuisg non de fciemia in communi, quamuis .ne per precifi;nem detur fcientia tanquam genus pra(cindens à differenüijs pra&ticiy et fpceulat.ui, non tamen à parte rei datur" hac lcientia,led femper eft in fais fpeciebus inclu(a. Ad rai ose cómunicaret Deus virtutem productinam rof& alicuís habet de productione ro(a fcieptiá (jeculatiuam, quia (olum cogno(cerct modum, quó à caafis nawralibus eft produ€ibilis non p fà&ticám, quia licét lt de te opc € C o €  A oA c wx €€m]R 904 Difp. XII. opcrabill, non tamen operabili modo, .i. non vt à (c opcrabili,& dirc&iuo iudicio; pof con n.unicationcm virtutis, adbuc ille actus efict (peculaciuus, quia nulla c(fctinipío tfa&a mutatio, necefiet regaWariuus, vcl applicatiaus propriz voluntagis, et virtutis; et per confequens deberet alter atus produci omninó à primo diuerfus: fic plyficus contiderat,quo pa€to 3&tus lint ab anima elicibiles, contem plaur ipforum dependentiam, non tamen e(t cognitio pra&tica, quia non confidat opcrabili modo, et in ortine ad circamcunflantias morales produ&ionis, Pl'oncius died q.8. à n. g t. licet «um alijs Scoriftis dcfendat eandé fcientiam partialem non pofte effc timul ptaeiicam,& fyeculatiuam, oppofitü tamen tenct de fcientia totali comple&éte mul tasparticulares fcientias habentes diflin&anumero, et (pecie obiecta, quia in buaofinodi fcicotia potiet vna pars dirigere praxim,& confcquenter e(le pra&tica, et Alia pars per fc non dirigere, et con(equéfcr cile fpeculauua zargumentum veró cx  Defomé..  DoGore adductum q. 4. prolog. art. s. D: ait concludere de (citu aliqua partialis  de (cieotia vna Coral WERE illud (olucre, prout procedit cons tra (cientiam totalem. Verüm ioc Pearl placicü reijcitur à nobis di(p.1. Met. q n.71. vt expreísé Scoto contrarium, taiosudem et Sem argumentum be né ponderctur,nedam de (cientia partiae li probar effenon poffe fimul SE IU. et (peculatiuam, fed etiam de totali, v& fatis conftat ex di&is n. 152. tàüm quite Do&tor loc.cit.dum negat eandem fcientiam císc po(se (imul practicam, et fpecue latiuam, ocdum loquitur de fcientia. a partial, (ed ctiam dc tocali ; eius etiam. folutioncs et inftantias ad Scoti argumée -refutamus; et quidem fi i nedum concluderenc. de quod poffit e(se (imul pra&kica,.& (pec laiua » fed ctiam de partiali, wt difcuge " genti patebit ;. vide dif. 1« cic. M num, 71. De "Demonflra tionc. » zz "Iter partes fubictié Logic Mtrifl. principe locum obtlo. Ai met demanfiratio, vt.q. proam. tetigimus, Quapropter bae Di[putatio inter cateras logicales principalior erit corree fpondcns libris Pofl. in quibusde Demofiratione agit ye ipfam vefoluendo in principisysr conclu[ionem ; vnde bi Lirirejolutori injcribuntur yvefolutio .n.eft totius in pare tesy[eu principia folutiogqua duplex cfl, alia realis, qu P oa J veali atbioneyalia perintelicéiumy quse diuiditur in pr je amy»t cám propofito fine inquirimussscdia Cr in fpeculatiuam y'vt cum a conclufione principiaycir cau[as inuefliganus : qus refolutio ad logicalem coe tratta efl Plant is partes, 9 principia felatiot € quia principia fyllogi m$ alia [unt jio e[fe m modosdr in figuray que magis commumia Junt, alid asaterialiay quales [unt premisa fécundum debitas códitiones yf. quod fmt per fe» immediate, priores c. binc libriyin quibus formas figu gotà de magis communibus, dicuntue.libri Befolutory Priorumyi ra declaratur, v& : lli veróyin quibut agitur de materia hece[jariaque minus communis eftyimfcribuntur Re[oluiorg oe Bteriorum. Iatentum igitur Arift. in bis libris eft. naturam y € La rper pes | saonfirationis insefligdrey  confequentev firomentum. [cicnd» commune demonfivationi, defimibioniyhae 4m in 1. ib tum, vt militat contra (cieotiam totalem, quas ibi affert cont illud, validé foente fnbietium erit Demonfiratio mon ine   20 Suef. De effemia;eo fpecieb.Demonflr.e/t.T.  90$ fideratnr vi medium,Cr pars Demonflvationis, nom vt pars fubieWiua ex ditlisq. eit. c difp.1.q. 4. ita colligitur ex $c0.q-3.F niu. C fuse oflédit P.Faber tbeor.19, dn Bot; quid ibi videtur cnm. Zab. docere e rationem pop quid,, efte fubietium, non dcmonflrationem in communi ad propter quid agit Jrifl. inbis lib. vt patet ex progre[Ju opeautem efi falfumyquia de vtr. quia ; boe V LAT M mini qmd 0o0QyESTIO L..De e[fentia, €" fpeciebus Demonf vationis .:, ii Vm Demonflratio fit fylloeh giímus faciens fcire, ipfius NUN cxiftenria, et poffibilitaspé det ex poffibilitate, et cxité tia fcientia, quapropter quód fit poffibis Demonftratio asia probari, vt ofté dimus (cientiz exiftenciam a.p. Inft.trac. 1. €. 1, non negamus tamen difficulter cf. formati poffe, ficut valde rarum cft (cie. tiam propriá reperiri, co quia proximas, Popma z vt I eRcle gamus; at difficultas, et raritas non inferunt impo ffibilitatem: vt autem nacoram, et quidditatem demonftrationis eiuf. fpecies inue(tigemus, prius declarare debemus vulgaram illam d emonftrationis diuifionem in propter quid, et quia, deinde an hzc diuifio fit ad quata, an vct aliz dentur demonftratioais (pecies, ARTICVLVS I Quid fit Demonflratéo proptet quid, € quia. 3 py Écoléda funt,quz diximus de Demonflrationc pore quid 2. p. Ánfi.traét 1.c.4.. f qp Dewonfiratio prafier quid, üt illa, qua per caufam proxitham, et ada datam procedit ad probanclam cócluf. quod cx Sco. « ailigitur quol. 7:1. et quol.14. M. vbi docet tunc concla. fionem demoníliari. propter quid, eum pz Ptopriaui immediata Causá proatut;leu propofit onem, qu& mota tüt ex teémidi$ cuius dc nontlcatiod s duas affignaut Acitlidcfini: ncs 1. Pofl. é 2. Prim; defin t:0 e(t, quod üt fj/logi mis feiennaus (ens fcires vs per fcieptiá,vt ibi notauimus;'intelligit Arif; proprij(fimam;X per caufam, q prius definierat;aliter hzc definitio comueniret demó(trationi quia . Dubitari tamen poteft circa hanc definitioné,quomodo demonftratio dicatur cau(arc (cientiam, cá demonítratio aliud non (it, quá difcuríus Ícientificus, feà ipía fcientia . Pro cuius refolutione pramitzenda e(t doctrina tradita difp.11.3.1.de(yllogifmo, qui maltiplicitet fumi pót, vel idealiter, vel exercité,& tunc vel formaliter,vel obicctiué; infuper vel yt dicit przmiffas, et conclufionem,vcl pramifTas folum,ve! concluf, folam, etiam de ftrarionc dici   Rurfus, quód (cientia, vcl cft actualis, vel habitualis, vt difp. praced. q.r.motauimus: his przacceptis. Dicimus.g fi cum'quibufaá (u(tinete velimus demonfttationem hic definiri idealiter captam, tunc dicetur caufa (cien tiz in(trumerkalis, quia vt fc dicit vnum ex in(trumeniis fciendi dire&iaumtertig opetationi$,& con(equenter,quia denóftraro dirigit cognitionem intelle& uà non quáci que,Mf(cd (Ciérifi cam, erit caufa illias inftrumétalis. Si vero cá alijs dicas mus demonflrationem exercité fümptam dc6airi, fed formaliter, tunc lj. per (cientiá intelligimus a&ualé, quz eft cozmtio cencí. cü d:citar demó(tratio caufa fcientiz, dcbet (aci pro przmniffis (olum,quae funt caufa effe&tiua coclex dict difp.t1. q.3 Si veró intelligamus habitualé fcientiam, fic demóltratio definiri poterit y vel pro cÓ.Lfola, vel vc é prmitfas sigmificat,ná habitas Íc.étiz. can(atur ab actu .[. cóclutione formali, et (altsmtemote érà emifis. Arramé h demóftratio dicatar bie dcfinita obied ué fumpta, fic quia nó femper obie&tum phylicécócurcit ad cogniuiocem (ui, póx cxpl.cari,gp fit (ylogif3uu5 faciens [circ .i, includcas fcientiam Vuu ob.emeo X oNEGRM. Vellesnfiveilve iA Jg E m. Bd Me RBS Cea Ne E MA eit dciérmecónedortiilé ife WEfRPR "Sea EHflisn i Foriiha lens Yi; qued vide uci is esr mc WE? X az en &ni: riis. PoRcS dit udzd abe Mie iohi ii MIRO Rrécsis £Mertorico à 654198 JDrENII de: KOPUOApMend quid'dàtot ped difereiwiamt flratione,e7 ferenti bor di, HM brpa ordin phap ima dinem els ISO GC cft cfic&us; alia ité nuzn. [int ; vcl dicatur, et melius demon: ficuti osé idealo ub: ici Toga Arittieti rici esdhiitetyl re sapit! rajtdarum qo loritw eo ctt ieTt ra aed: eeiidiyte fpe2 (unt matetia domm ans ciiam naci oseiicé eoi sl iur demóttrario proprer quid. fttiehomatiónefoq Sou eg ; C Imi EdR  üodact debe dee Wages proceda Abravienedoc ical datei lé efie pa j mur p $nvenuóipfiuraod ex ei s v cityted cie facitafus operi efto -ignsecüdv deni eli i es Gcfi)llo ifo ze pum dep PHI: iuris prior dnpntievr efte elifem sy egewfiseqdedde ra riscenui Pa peni eem immi LIT neewdà dirt ipe; : fontis oim Rórdod idem ROREM noráie delihironaiti dedion trad md y: n "Euer a fed folucf qüaadaiagaferitiodrp oho Ww e. s Sd to 5i j diidie n, joe adierit fei. re es Soa veagin pe ^h UP euitüntirs vade psoltquaefteadit Afp: GC e Dem E sus SA stotidlefin tiodes Ceiehtiz Wdém dj REUS BAUR ] £lóriis, incipit 'conditionés néceflàerag e £i? RES GHE r glicicy emus frenar eurdens; di hon qp Iimeeset ' en "argnimicy UE f'atmü aar ! lub wy" i nad esi cus ue eee: GE A Tes megattüeyii sien y ' T nya Po Eccc iei | EAT vera dee PN echa c.ulg affumecctoc Voies dap Ine. un meus  s vroktisdi heri ud ihi punire rere e ES pois Em Elie do ei cas] erudi era rd d a Dur Ja piel Moti igus e AUÉ ba i : TA e i I e Wc "Dit Eo uta E yes rui isa e d "Erie "T ii Sb] die ioter cites em ccm : E on [2 d, ej [4 . tfi tan . sh acie Du RON déd  plcEt te baesln per ooo Po t a D» Efi gr y » e ey f x P ankl dU) ii3lol ADR 2.GQ uu $c-: 9. I. Disifoiéspetict duni n I $:5$ecundusmódiscontpg) »wnd ibi ide mus, cam pét €. aemotao d dirairedcébar Sc cla d catu nct prae e e he prr fbmcdi üs ef udiucr TD RA m bet Dry citar eg ipofir ihe Tguz)í ae med yt epa wamrfb dotá tanget -eficatralis rein MJg dodo ein rS. hx ja xata re nrota 86) bilis neis d fi sd en ictatágt p imó vlterius poflct erkiptévega eT: fi afferatur pro caufascur paries Mx II medie. Trao er "o c popntot3lit quic V Kehcen d dq oed Hbi si acerba bili») &i «ut aliquandto pass d ridyoioait rn ep bj fintpdnetcenmab gov: elicünspoliitt (a cd ke ép T eme £Up e -h erübbiugg 1956 0) detelb prrüà, Ípn is et i S Mam nsns te(saniO voe xe bat Wd Vbenfelenionogiui afi d Siro rk demó(irauono progíasQuidipon q4i45 facia cdoxicgoonfltasiepgin, S167 haa» (à pter quidsquod   Ld   üahsnsb qup guapa dieiistugitsxcaula cce. Cuoido Buisius: pic n isa titrifà cau(à s. quasaboeffréldio ced eftd quia, [cd asfor roprou qund Epio inkevencens etie et pooítpeptida fieuia is hy sibrentaia tt a emus «9 lantur cit tales isque f o exi of] mdi nee A DE A HR Jupes si a $oe zio bus excedédblisiofis iz) jergoée cauíam cémotamontellekit [»latwioutarn ful. Puer nba bbodzipeca prese atte e sort percadfagmrooxora li ucxone veuilen jac ndn icomtprtibilfan au cion&rotianen: qvia (So: uma qur preacdit dc agi pax ima sponuete nnn sna die Danai si vaigsh Yee Apr erkr levier nam in a Pe td idt affe. 4xéplibdaseratiano 93miblis j quacproz batafidedbQoa peii utor ii üc& drdemoftotiorfen prápeer, qaad fufficit escena ecc d &cdrfiritugq texicaní prbpriag et enyertibyiaDióiü: Ruüijqcibabde: ei g»atiméquian&rdlsexpieisipnoanicá io» uu, ric nb jue werk mega 1j t24 p pecaeis inira isti Dyjegdustuqui dcitans flratióeit hiat fà» Qéod fab rabioncsáoiCtia: (Ebelectis a pofmnc cfsizprimb figbrg; daa G;diebur esc éftrat &5ab Acifl agi abnan ia: zcótd Gab tux fulftscin.o. qudd palfia griversónp Qaa quar cattf am cj ipry jade gg uineciplm di dune gare fro icoaialndr efl yrpoaliunzaüéam idee uq afi [nli »ipafbo cniacnesbahs non iér cB icadfasbpositsaiTiétus oslonv iz va v ifla. iitaidoxtmusoub s15bas)1o mnl ci beatius Y; qklud a Banator abzAzi(uda menfl (aso voa (ocdud ad tuto £ubs aliernasatn »;demopíluat teUgoid Müssen ellas mid Wwrp olds fu qpeokts wv qeidemyted oe dice rA nid yori£au(da Mi dno cag éedeidug psadüppaalpa»pcb quami áno»fivdi rut m afübakernaznie dcgiori een y 9i (tui cd peaeods Vir w rahy mme vnd: «ort: éjo isonsi din ero Tec e rion itt 10ícis tipo Ifl idit iatubidut s vni: s jdmitaon ueneno éco Mp oberdguriade 90$ tidcns,vt falsó dacet Zab.cit.c.$.vcl cum ex vnorclatuuo alccrü infertur. Et quam u sexprcíse non atTigaetur ab Aci; tamé fatus dedoci poterit ex. ipfo contextu in princ.a (Ienans .n.diffetétias, quibus demonftrauo quia differt à propter. quid., ait, no quidem medojfi non per immediata efficiatur fllogi fmus,non.n, accipiur prima caufa y [cientia veró ipfius £roprer quid fecundum primam causá y ut modus vt diftin&tus ponitur ab. Acidora tribus enumcratis, vt pátet legenti textum,quando ergo non ecipitur prima, et immediata caufa, fit démonoftratio quia, in dcmonftratione autem à (igno non fumitur taliscaufa . 9 Ex hisomnibus paret non recté ab aliquibus demóftrarionem propter quid di(tin&am poni à demonítranone quia per hoc,quod illa fit sper à prioriyhec à pofteriori, qucmodo vidctur loqui Did. à Ic(u difp. 17.3. 1. et Faber Theorc. ro. c. 1. Nam lizc quandoque à cauía proccdit,quód eft à priori demonflrare . Dices Scot,u0l.7. A.ponens differen tiá inter has demonftrationes,ait demon ftrationé propter quid císe pct caufam, demonftrationem qxia cfee pec effect, quód deinde probat quia omne demonftrabilc per aliud dicit ordinem ad illud, vcl " ad Puce vel vt siete y eto demóftratio propter quid c(t (emper i priori, desire acce fteriori. Refp-iotentum Scoti ibi efsc,(o]um oftendcre duobus modis aliquid demonftrari poíse per aliud, .(. per cau(am, et per cilc&um, bunc modü vocauit de gaonftrationem 44a, nam vcré cft talis eere dixit Cic demól(tra tionem propter quid, non quód ceníctet oémi demonfirauonem pe rnm opier Quid,nà in quol. i. PM. de docct ad demonligaticenh pure quid requiri, vt fit per causá vititer cótinenrem ctfle&tü proxime, et adzquaté, fed loqunur antonomaíticé, et (eccundum vulgarem loquédi modum, enus ofs demonftratio propter. quud €(t per cau(am,& à pr:ori, et omnis demonftratio per e in, et à poíteriori io quia,, et demonirauo  o -9 Difp.De DemopBratipe ^ "e t] à figno pót dici per cffe&um, nam vnus cítcó&us ddisenican pcr alium, Tandé ex his deduci poterit definitio demóítrationis in có; ad propter quid, et quiajquà alli pnaui Ariít. 1. Toy.C.t. vt nocauimus in [nítit.cit.c.4. quàd .t. fit fyiigifews ex veris, et primis, aut eX talibus,que per aliqua prima, 7 vera eius,qua circa tpfa e(rscognitionis prine cipium [umpfertt,breuius dici pótsquod fic fyllogifmus verus, certus,C? eutdés y verus ad difterentià fophiftici certus ad differentiarh topici, euidens ad : tiam thcolog ici,vt de fcientia di(p. prz» €ed.q. 1, docuimus,Quot [int demonflrationis fpecies . 10 q-Xtriplici capice affignari poísüt (pecies demóftracionis, ficut crie pliciccr diuidi poteft,vel ex parte formas vclex parte materizex qua, vclex parte.  materiz circa quam, vt de fyllogi(mo im cói notauimus r.p. Inftit. trac. j.c. 11.1   przíenti aon e(t (crmo de prima& fccum da diui(ionc,& dc (pccrebus ex his capi" tibus prouenientibus,idé.n.dicÉdá,quod dc (yllogi(mo docuimus, (ed detcrtia dio   uifone, qua demóf(tratio.eft vna (pccicg efsencialiter à copico, X clécho iyliogito diftincta propter matcriá ncccísariá, Circa quà ycrfatuc bic.n. differentia non facit (olum accidentaliter differri acc e»yt affcrunt Compluc.hic fed efsentialiter, vt cum Tat. oftendimusloc. cit. et (caiug quzfiti c&,an demoaftratio rationc màteri, circa quam verat y Gt diuiübilis& quiz Gat, . : Prima ama pn folam dcmons rationem propter qyid admittit, ncgats c demonflvationem quia cís& veram oft racionis (pecicm, ita AuicAlex» Thcm.Simpl. et cx recent. Copl.di(p.18.4,4. Ma(1. Poft.cur0-fec. 1,» t.Coniab.q.1.art. 3. Ab lusparum zcco dit Soto 1. Pofl. q. $. qui licet concedat; dat demóflrationes Ipecic d.ft ngui, nie gat tàmen gencrare aíscn(us couc). ipee €ie dincríos, quando pecunent ad cadcm Ícisntiam totalem;alij veró admit ge nose  2 bad | QT. Deifontiai t) fptcieb. demonfhat.et. I. 909 .geerare affeníus (cientificos diueríos, non tamen diftinétos babitus, fed eundcpi a fpecie . Secunda. fentent. excrerna eft Aucrr.1.Poft.com.95.& 96,Zim. theor. pra regreliu demonftr.Tetrel. tb.6. difp.Log.c.7.tres fpccies, demonftrationisadmitté5, .f. demonítrationem iaydemonflrationem propter quid, et ftrationem fimpliciter (cà poriffimà.prima oftendit, quód res fit, (ccuna oftendit caufam, propter quid res fit, fepvonctiem efle, vt quando (cimus dié c,vcl Lunam eclyp(ari,attamé demonftratur pet pop caufas, cur fit dies, vel eclypfetur Lunajin bis.n. caibus fcitur an (it,& tantü queritur propter quid fit ; Tertia vtramq;demonttrat;& quod ves fit,& propter quid fit, vt (i quis 1gno faret,& Lunz cclyphim,& cauíam ecl7pis, et per interpofitionem terra: inter Solem, et Lunam demonftre: Lunam eclyp(arishac demóftrarione fcirer ax fir, et propter quid [ityidcoq; dicitur pouflima, fimpliciter demófttratio. Inter has «uas vltimas demóftrationcs ab aliquib. liz affignancur differentia, vc tefert P. Faber theor, 10«cx Zab. lib.de fpcc. dcmon.nam demon(itatio propter quid,inuiant,hsbet pro medio quamlibet cauaam praster formalem;non conftat cx ter minis conuertibilibus,pramifíg (unt notz folum natura,non nobis, et fiunt notz per dcmonftrationem $444; at demon ftrario potiffima hibet pro: medio (olü cau(am formalem; cóflat cx terminis re€iprocis, et ipfius piaemifía font nota na tuta, et nobisimiediaté pcr enum, et fine demontiratronc q«ta«. Media fent. duas ponit inmediaias fpecics dea.ollrationem quias& propier quid, licec diffe. rant authores y. an imt fpecics (pecialiflifug, an vctó lübalternz, et priorcm.a pauca videtur afferere Faber eit -S ad. Diccndücft;duascíle veras demó Iyationis (pec es 'ubalternas fa propter quid S quiayita Sco «juol7. Ad 2. PoH.q56. cta; cómunisnam prater ScotifLas ipfam fequuntur Aoctla q« 28. fec. 1.lo.de S. Th« 1$ art 4. Blanc.diip.$. dc demó.lec.2;& e j Ruu-1« Potl.c.10. q. 1. Did.à Y-íadifg.ag.a. 1e 2 ybi tàLogica. mé demóft rationem propter quid (pecsé infimam ponit. pco Ha dip. 2. q. 3 dub. 2. et 3. prob. primo, quod dcmonftratio quia fit vera fpecies demonftraT10ni$ T alijs diftincta,nà Arift. 1. Poft. 3o. de ipía loquitur tanquam diftincta à propter qn tex.17.& 18.viramq.ait ex necellarijs cop aieo:: dum quia duplex (cientia af gnatur ab. Arift. 1,Poft 42. et 2. Poft.2 5.quia 5 et propter quidrer demonfratio quia crit vcra. :monítratio . Tüquia fuit origo omnis fcientia: propter quidnam vt ait Arift. 1, Met.c.1.cx effcctuü cognitione philofophati ceperunt homincs ; qui modus eft. nobis conaturalis ex t Pbyba. Tum quia cognitio genita pcr hanc demonftrationem eft certa, cuidens et pecclfaria ab opinione cflentialiter diftincta, crgo cít fcientifica,quáuis nó fit p causà » non .n. sd pm qua nam fpecie intelle&ualis habitus poni poflet,nifi in [pecie (ci&tig» cum qua maiorem babet Aieiem : 11 Ex quib.exploditur re(»ófio Conim. atictétiü ad (ciétiá nece(larió rcgi cognitioné c(fe pct causá ; Quod eft til-. séyn& Arift.ciclaré hác coynitioné ab efic&tu Ícientificam sdmifit;neq;ad róné fciétiz in communi videtur hec conditio noceffaria, m fi fat quaflio de nominc;cxploditur é refpontio Comyplet.admittentii quidé pcr hàc demontirationé gencrari fcientia fed valde imperfectam; nó in róne hàbitus,(cd difpofitionis, nec fpecic diftinctà à (cientia pex. demóftrationé propter quid product,qua cit per fecti fcientia habitus habet ront . Refellitar quidés nà Arift;de his locus eft tád de fpecic diocrüis,nà iHam ait procedcre ex nó imediats,ncc proximis; iflam ex immcdiaus;& adaquaus caufis; cum ergo cx diueriis procedant wiscipijta et quádoq; fint ét concluliones diuería y 6t in codem totali [cientia, fpecie differens ex dictis difj.praced. q. 4. confcquéter fi a&cníus ecunt f; ccificé diuerfi, ctià habias ex ills geniti, nà cx dicendis in lib. de An.actus fpecie diucifidiucrfos habi tus (pecie producunt. Tà quia habirus, Bc ditpolitio cx dictis dilp. 3.9. 3.ar. 2.difTerix pencs graduü iniéGonc;vel remiffioVuu j mcam $id i o5Digokaddio Tledlgytofaaidiha v. .Q. nc;tant capéqtatieae mé diciarhabis tus, quie prius téati fax dicebaum xdifpoft tio;erpe Halemotfl rac uit; fiegiataroia ceraretor;it denetafct qa lidatd secéfaat et tofcquétethabi cófab(tfy sedo mit taziaa ric bPaprér uid Fé-quia ursgisidiflirang dersóftra offa fraprei-quédyquans ft düe demon vaaents propter quad, tedio eciaatintadem(cimia -fpecieiiffesnt ex di puit iieiedscfici Roo S ilgrsos: y 5célido:dy RO deturaliadpecieepre tet bis dodf;orobicxzAri[t. cite fbioduss t20tü zllionáie dumóq rationis fpeciesi Füréifa Enitrnart Jiesiapus i duci dcbee,erzo eui demótflrstiogpter quid, et potilh ma (pecie diffevceno 4 Biz t6 in hic cóimimi-racionccóue nfümeg damgns fitét peansirprokiaasScimanedista Bebityrad« (a tionis fpcciv sabítrae eatit. (icucqasgiscderméftratio-gaí4 fit diti plex fpecie y xadxa mem ponitur táqu&irirediaa fpeéicssfobsherna fuly démottratioriein coi et iux diuidit Acif. tcx. 30.«pet Hiocygs eft demoaftiare prim rnediata s8 dcmonftrace nom pez cime rüiediüta;hàgc dermortt ratione qut a, vel: uod appelisuit jillim vevópropter qaid, Fü quia diffzréisbaffignztarvel:si fl «i fryvel nó (itis probát inétü «IN i prima: differétia, q» demonttratio propter quid: e flcadar proprer qutd [it potiüliava veró eit fie, A [4 Cei rit fft yct vanz, nam. oi demontratio priori oft édir an fitu: Yicét loc faeric cogmitü pcxperientia, vt : «ect Scé: T. d. 3.q.4. E. má p' demonftracienc a priori a1 fit cffcébas certius et p: féGtias cosno(citut, quà pexperiéuà (o2 ki, tümqttia fi caufa remoca facic faite gs ent juiultomagis:cau(a proxuiyz; tü'qui Vaccidésett ad-demontltation£, qp etfes fus prinécoguofcatur; vel.n6, (i codemy f&cdio demóttracar: Sectida ditfarengza y &t(i vct fits vtcdicemus, auaménommte siio differt oacfs focmalis: à céterisicauv d caue ince r fe, ergo'fi caus fa focmalis-(utiicientcr diit uvguit;demod fuation& potilli mna; mulsiplicat(pee ics dedoflrauonis,étalia ctia cau(arum gencra debebuns; fpecies inulriplicare y et csi iecindantemipqupnb (ut. sidera et vU y iecwie ics fis es gramen dier vibteeatxerorinis c6m exbil: reci hücajondüUan Ro qo bici (vmbemdiarusf OU PETEREERDUE tiené pro "peroa tà, ibik& XQ fari etirper, aceti dehsteinbec af demoni caionecnd dai inediinvai Poffecc(Tes aótius: )-piiemout ftrajionó uf, alcoriecó seni dor &ápprelienfronE-, Sc c demaorfs edges rti vdd qiidyiigho soatávia Axa UI TUE notiores; di tto Perprai gid 5v. nod emigy csewdd sifeóta diobis, Gc natura £o no'reqafitdhiee'cadicio 1 vide Fabel. iD Tertdojg hes fiacípecas n&,probquadaertat ptinciprorü eifice nete (perficit achat Aq ftrácioni;at primo pia sroccdétia abre: Cb veli cru romorit y velascocomiati i? dcinóftriioncigó 4 &oqug prócedüng c& dsaeg(rs cau(arG zcricrznnsp n dingnoni« dica qur, f aeciosti otov patet et di&ts diprarced. quip iotger£r de móttrarionesab'illisacotkit nes gicrgo dea mólttatio-«puria; et propter quidyerüt (par cies (batterie (abr demónlrariong tm €6i có émar tanquafub azenerecvniuactr iri quid:doilissxzilicabilislecaobam'ali» Qatamalosia zhac uv; non tolliz vnmo» eauionemex di&is.dil; p.m oqe$earcu: dii oppcf. arg. r.-quodxiemonttraiar ir ho (t vera:dismofficatie z; Tàauth. Ji: Naz«-orat,q.digenzis'di feuríuax al cf &a mo tio iciemtids (ed com:ccturams "Tr rex Arift, qur xo Poft cans pott defia tioné (eic demonitranon saddi,. $i dutcruofsTozias Srre iHiscanditi Yibus;góicifedemóftrationé; détnenft rac (on qurenar T 1eriés illasa (lignatas«s mit cog: pec hic, demottcaxionemacquidi; c Gciéviamsirpurabetdcfi niii t apart Lr . peccáufam pxaptiam,& a. ;«próbariimdora gotlibiranc ca cadsqjua val dd ao 9.1. Drm noie eor. ARIA 1L pi 3tlpotierioribiquod, Piicheo, Veni err vada ti:a demon(aa Ra eR remet aile io et tek.15,l; juo ficura wen caufam DAY m Xlatetipetisióné eben de T. UR eerie cnc «dapi du X53 "eii imc perder Mrd t áuo-iliá ad den: iieniioné pite itipliéitetude Es dlojtieriritcogaitlosq a Re ta" laocidersqoo iptelicsizAritempbis ipnecíor., quid 9uinis me pe ex notioribas;gpooeedefe ignótionbas ; Yr] z-quà c Scomdosid dang y EE cR Jong diiénace subdi cuc ee en n mondi uio gufa on quíctat intelleztü, vidi umiis ats prasccit, Bus 2x pitdp-har hien alcat ibnccàu(adrz dos ali xdcbot d . d »s]ez c pricdientio mnátutalis$, icr &atriacon ea « Tua» $ aon our propptiiótgays nod, agr Aetius e 393x];:xichov Uatiaao, de; Eu. daniuh3ituní gg can s.s X c baie mit Bind] dr noci qauopalis per.r iles debonins fg) ro tilbile eogupgl. €lliatiquali, 3 cu ine 6ecellorio, quod faará nsqua «o Su MAN SDRUtD dL iifRoy eo Rielcem;niaubdo: pot ac. ipKerttaulo mylicquaBa Wifeien effe, vopcrewel ads iodund enqpvoupcas Vei sem 2d EÀeiren it pa MRem dneoskteegrbaidojs; Üiepigcan iaiovenipite ne peratut: 49,8 er rey is epe ted prex méds ins cud. M HL ganUH (00 "fspliciteccpsy aticlud ad jo E: Afi sini ^a uie imt P ka mec La;eng Bb P 0981/£4;3656cr; ] Vira s inii secas epe meri odd v ái visi mole Vd dmirer wem ied. Sensu t dd ilaedcoscr £A ed Re ILLE e steonRlfileiek: $33 p Kade Woienvis gerfc ide -86 MUS P3jac agn hephpicrijui etis an boa Padi. 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Ad 5.9» magis vrget,dicimusex Seo. 1. d. 5, 4. 4.E. vbi doce: Do&tor,quo pa-. €&o per cxperiériam poffimus habere de aliqua propofitiove infallibilé cognitioncimyinquit, quódlicét experientia non habea:ut de cmnibug fingulatibus, fed dc plur bus,rcc quód (emper,fed pluries, tamcn expertus infallibiliter nouit, quod ita fit vniuerfaliter, puta quod. effedtus aliquis conueniat omnibus indiniduis,& sépcr,& hoc per hác propofitioné,quicuid euenit vt in pluribusab aliqua cau ja non liberay fl effelus naturalis. illius ci «f£, quia cau(a non libera mon poteft producere vt in pluribus cffe&tum;ad cuius oppofitam ordinatur,vcl ad quem ex forma (ua non ordinatur; et fubdit, quod quandoq; per experiétiam (citur effc&ü congcnire (übie&to, quo (uppofito deinde intclle&us pergit ad indagandá causá via diuifionis, qua reperta potcft illa cóclufio à priori cognoíci;tádé addit,quod vt habeatut coguitio (cientifica, non debet (ciri a&ualis vnio extremorum, fed aptitudinalis, quia paffioncs (unt aptitudincs rerum. Tota hec do&trina pót huic rationi applicari,qüo.Cpoffit intelle&us cognofcere"prami(fas demonflrationis ab cffedtu effe neccflarias,fi non cognofcithabitudinem cauíg ad effc&um,& fi hanc cognofcit, cur non etit cognitio à priori,cum fit per caufam . 17 Dupliciter aüc pót p effe&tà demó flrari caufam effe,vcl propolitionc de 2. adiacente,cdm demon(tratur ex effz&tus exiflétia caufam exi (tere, ycl propofitio. ne dc 3,2diacente, cü demonftratur cau fam alicui conuenire, quia ilii conuenit etfeQtüs;iprimo modo faciliter probatur y nam poteft y.g. intelle&us ex multiplici cxperictia infallibiliter cognofcere fumü rati ex igne; ex hoc inferre cxifte tiam ignis, quem non vider,ex cxifLentia fumi, qucm videt; at [ccundo modo fi üt notz przmi(lz,co quia in vna ipfarum. f. in maiori caufa przdicatur de effectu,.f. ' rationale dc rilibili,in min. effc&us ; feü paffio przdicatur de (ubie&o ; vt rifibile Difp. DeDemoifratpe: de hominc, et dcinde in conclaf, caufa.fz tat onaile conciudiur cife ia fübic&o, et in homine, minor crgo poceft (cici expes tientia inodo cx plicato,& vt nat propoe fiio (oienuslisyintelledtus ab acta proce dit ad apt tudinem, uam concipit nece (at:ó cOucnire lüubictto propter expcer;étiam plurics habitam,non.n. a&tus vt plu rimum conuenit alicui, maxime (i nó ab exitinfeco prouenit, n fiiailla re efe apt tudo ad talem actum; Poteít ctià co» gno(ci praedicatum aliquod conucaire fa bic&o necefTarió,quando prz dicati ne» quit concipi fine illo ubic&o, t par, et impar rc(pe&tu numeri; maior autem cognó(ci poi,vel yia diuinonis,vel etiá experientia,fi vt plucimum experiantur ter mini illi coniun&i, quamuis non fe ha« bcant vt caufa,& cffc&us, (ed porius vt duz paíliones ; vel quia effc&us cft ralis naturz, quod nonnifi ab intrioíeco prov ucnire potcft . A Ex his dicimus ad 5.neg.antec.cam x. prob.nam poteft accidens (ciri conuenire neceffarió alicui, et li ignoretur. cate fa, f. per experientiam;tü quia in demás ftratione quia ignoratur;nó quidem caus fa fimpliciter, (ed causá ineffe f(übie&to 7 quod (citur in conclu(.at in pramiffis (citur cau(am cóiungi cum pafTione,& paífionem cum fubiccto. Ad z.probat.neg. feq. nam ad demó(trauioné propter quid nó (ufficit fcire,quod paffio fit à tali cau fajfed requiritar quod per caufam demo firetur fübic&o conuenire, quod non accidit in demonftratione quiayin qua folü fcitur caufam paffionis conucnite fübic&o per paaaionem, et in hoc fenfu intelligi debet di&ü coe, quod demonttcatio quia nO expriait causa paflionis.i.06de móftrat paffionem virtute cau(z, vt per medium Ad 3.probat.neg. ta nüquam in przmilfis explicatur caulam Ptfiocis incf[e fubicGto, vt fit in cocluf. fed (olum e(fe cum paffione coiunctam 5 et paffionem cum labiedto, f. rifibilitate proucnire à rationalitaté,& homini conucnitcc;de quo iterü dicemus q.vlt.cóc. Tertio drg.quod hz demon(tratioocs non (int c(fencialiter dittinétz ; quia can dem fcientiam tjm a&ualem, tuin babi walem 9 De effentia e fpecie. demonfirat e det.17. | 914 taalem generagt quando (unt de codem Obic&to a&ualé quia prz mig vtriuíg; funt (ub cadem ra&ionc à matctia  et et ciu(dé (pecici in efle [ct bilis, vcl (1 panàtar diuer(z fpecici ; cum fiot cau(z quiuocg, poterunt eundcm fpecie ati n(um fci&tificum caufare, cur D& ignis cüdem pecie calorem praducunt; habitaalem, quia LIZIO hic docet quando: has demon ftrarioncs ad cádé (cientiá (pe&are,quod intelligitut cómuniter de habitual : Tü 2. vna fpecies, nó fic alia fpccics., at demonflratio 44ia poc fieri propier. quid cx 1. Poft.c.10. Reíp.neg.affumprum; ad prob. prime partis negamus pramitlas in e(fe fcibili (se eu(dem fpeciei, cum nà fpecificétur ababítractione à materia ex diGtis difp. prazced.q. 5.negamus etiam poíse cundé affenfum producere, et probatio valet de caufis :uiuocis inadequatis, et illimitatis, vc (unc Sol, et ignisrefpe&tu caloris, nen dc adequate vt süt mi(szt; ad Prob. 2-partis dicimus(ciébo habitaalem EROR e(se vnam fpeciesled genere, vt difp. cit.oftédimus, idcirco non vrget arg. Ad 2. non serere bi Arifl.candcm demontirationem confantem ex jjfdem premiflis ex quia fieri propter quid, (ed mutato medio, et conclutione in alteram premilsarum 5 vnde nop cit eadem dewonftrado. 19 Quarto arg.quod dentur aliz [pecies. Tü ex Arif.1. Pott.42.vbi docet P ftátior£ císe (cientià qua fcimus 9 efl, propter quidyquà lt casqua (cimus quod eft,vcl propter quid; et 1. Poít.8.docet, quod diquado cü cognouerimus r£ c(se, quarimus propter quid vm aliquando ve tó vtrüg;fir nobis manifeftü ; et 1. Pott. à tex.5. ví. ad 30. agit de demonflratione;qua facit fcire fimpliciter, in tcx. vefO 30.diftinguit demonttrationé in propter quid, et quia, vbi et (ubiungit hanc petrinere ad fubalternatam illam ad fubaltemantem, et quod contingit lubalternáté fcite propter quis ignorare gel et 2. Poft. 2 . declarat qo demonttratio pro per cauías ctficiéce, B na. ;& materialem, i non meointr. formalis,qua ad poxitfimà fpcctat ; ex quibus omnibus de mente Atift.videtr demonfílratio propter quid à poc (liia vt fpecies diftincta posenda. Tu m 2. uia 5 Afecunx tam ex medijs,tum ex przimi[Éis,vt vidimus recitando opin. Auer. Tum |A D ie quz fica,an (it, gd (ir, quae ity propter quid ht, duo viima [peGant ad demonftrationes quia,. et proprerquid,ctgo alig dug dari debent primis duobus corrcfpondentes. Tum 4.datur demon(tratio ducens ad impoffibile; item cum ex przedicato fupcriori concla ditur aliquid fupctius cOucnite inferiori, vt cumper viucns oítenditur fübftantía dc bonae; rur(as cum ex aliqua vniuer(ali necefiaria infertur. fingularis propofitio: tandem cum quiddixas demonflratur de re,& nó per cfi c&tü fed per aliud medium,nG eft demonftrat;o q4i4, acq. eft demonftrario propter quid, nà quidditas nó haber cau(aim:crgo ali dart debé: demóftrationis (pecies ab ittis duab. . 40 Ad r.neg.in tex. 42. Aci[.ccs illos modos atligaare,verba.n. sür ciétta aur. €fl certior dr prioryque ip[ius qnc propter quid efl eadem, ed non cayque [eor fim 1piusquod ab £ayqu« propter quid, quibus vcrbis (olà docet certioté cffc fciG uáqua (cimus quod efl, et propter quid. quàm eà, qua (cimus quod efl, (rociim à proprer qu1d,nam vt dixiruus, quod eft, poteft (crei Gne propter quid, noo é contrà.In tcx. £.docetquód aliquádo fcimus quod, quarimus propter quid;-aliquan do veró quzcimus quod, et in a&uali inquiftione vcniajus jn cognitionem ipfius quod, propter quidyvt.n. notar Zab. cit.aliud eft loqui dc qua (itis, prout ante demonftrationem qua cü:ur,. et aliud de. ij(dem,vt per demonftrationem (ciuntut, nam vgacantumqugítio poc demonttra. tionem przcedere,quia nüquam duo fi mul quzrimus;fed vnam quaftioné poft aliam;at per demonftt ationein duo fimul, notificati pofsunt: quarc nó datur demonftratio folum norificans propter quid, X. non 40d c£], (cd (cmper vurumq, oouficat,licét aliquàdo pcefseric notitia quod; cfl aljquandonon. Ju tex.3 o. diftinguit à demonítracione quta, demon(trationem,; propier quidydc qua faerat outs à tese. $.Cum 9g Movspifcderr PA bÉDÉus inp.. Cute viri fabditifubaltavamem uliquándo neftire qvod eflsquáuts fciatogrgpierquid, leQuituribi qe9; efi experi tÀli;& feti cuo, AX, Peraog nttioné eni dé labio; quar e&di: iazaliqqmod fikeuldre-j noh dp co /quód hálic éivcimcelieQrida "Cog niltiórt s et per demonttietipm j qi eft vifuor faliii qaqait aser tt pc euis [cre muera kt, 9i mplsnolra tire £l rid wefciác quia tion aduertit. Exen. 2 5:Lolüm deducit demonfttationépropter quidydo ctícifpecieinfimü/Ad $;pliict quómodo entis àlfigoate uión faciadt ad ré ex dict iiyprob. conico Ad 3 o€s ias quacttiones pertinerd'adhás itr. demonftrationés y dá fi dertón(lrávar per ropríá cali(áthy [peBátad detótt ratioFate foem di Ord. simi (Bi det Efe Tero, feierte Mod AA Su onn Vue eed F3pefte v Vebefe&basiv dl er ed Ue EM Es riq? geihdnfraeiónii d Sh fciam eol Cx fn ixedeRi Wieauiiyc gehen üebiccto' friei^ yidctà (no&it Auerfa qi-18: (bct. 5 dola j&il&is cfe deiderosfcationg iguiu» aite ü13b1u:» 2213 é propre? qii, fi ien ratur QE b X3 $i132& et onvidoriflds de ad dcchófpracie 35au eR T/QCWSESN 5I tio:duéens ad impii diosa ri "y dio D 1C P T ng is detmóftratio quis vnà. bpoqué. M Area T n6 ichidis eedieitiradiias wtdblinsus ken 2 p Taft ira Gir 6. Prardichtatn ple aa 1 imme traut el rius i per ptókiinás &adequd fitsése ybiay]tod ila pt Kar ve d rárut de esperti De jn dias qua ftnfibile de hoailüc;cft demó ft tatio próv id dcionftrasronis, propter tid yfi wo per.ptopri& cánfüimy vein EUN bieih 'adaquact& exéplo dc (ubftacia pér viuens, eft demóe firatjo q8j2 . Cur de: fintulata demon: ft ratur aliqtia paffió; quamuis noo fitis 12,8: Íciencifica démenftrarioy cft ramen fuo niodoadhás demonflrationes redue cibilis.. Et tandém q. feg.dicemus 5 pacto iip poffit s: í í uiunxup t 3v ob Qv 4 /5-T4p-Q.v Hyocoup p ?u E cimi Benonltibiis, s PNG ode fyl zd tno t proximas Téteritré priedicavi c (ubteóto jfeumds toriensimiinrao qimori y prie rien tquodiibet genusc poRig D e imi ems ne,& fi Uie eia m fit ddtequaue Psy hat vus em ie làroá actione siis cfcdoseididhsi Prid d dem cox ppm ldemóftra€ dil icitiorren cau(gs f yr eme em i; müléoieffidiensemóc gu»;v 63 igo. Alb; pofitiotibus; quía &$ftaeg  oQirtuprimaaoque fiet par. RUIT feeeafun fanidpede lem pubis tfonis part ériii ed emon p prean(n andres. ci&ucmul rait Hel fh erre im Propeteden téià lem fblamq: tor. Gir fn Site etr ir au foedera afia 71:08 lev oiaDPE ra ) ua á bei alib fyltosif mo. ftmaior caufarum pene adinticit: dimus: i aci. pa etes predetto tetri Auetr. fiere'i-oflcoms i6. pof eadtee raesent [zr rata na rer idein Vin ómcdimjor qui quiddide riget p streftit, med demóric: V doctstoplosapp clair si$ s rii cámirátum e(fc UÍ caufam piorima, dedans nc eUe t reg ed onftcationeYooper Qros « Ob pokal gium hmmm em Sca-siteo 22] bonae e quai vagtidy urtíica Q n: £ygSont» im guns oli pude pn clafienem démoftcatoita;D9 Gs cie.-PriAn PBi Aia octtik qtu de Eos Rc vta jr aliter eme] :coaelquoq &t per.o1a gene» sa depooftrabijlís,. vj pr hien aufà e fheiens fit apta raliquindo: Caufa éotraalissSe».ncs iacelligi ur de qua Viber-caufact. per; acaidens x (ed descasfa er. (es et eum e(Te Gu enmuertibilis.& fie plicata prob/prim anth Ati. nam 2, hy[.22«doget xquód tunc (eimus vadquad; cum «ogne/Giqus ? quid ; hoc aüt:iccidia qnando sccipimos primam eaufauvproximams et 4a) gyediatà;; Sc de» edcclaratiqaor!inr qsufatum gencras detex«68,coaclüdicqudidiquatuor süg tta caufarysm,& qp for maprero, 1p5i& wopter quid comprehendit s &7. Mato . 49x 60.ait queftion& propter quid mos . gerh& refalai pec oia geocray et 8. Mets pné rnPhyf.7o. phyiicumait per omnia iatuor gencra dcmonttrare i clar ius. 2(l.11ex profefodioc mouct quaticü, affirmatiué refpódet, poftqua.n.qua« qugr.gencra numeranjt, addidit, Qmes. tfl a per medii moffrautnr, n demon, ratione tanquam metiiura ingredi po(unt,& exc lis rem oranifeftauindactiug, -, Deinde rpbirónenam ie quolibet Bex pote (t dri caufa perfey et adaquada cinuseffcOtus erguper iplam poflet ecinon&tar :preprer uid y antec. patet ex nonamplicontias (x jndu&iono nam in generecayía foynalis poteft. v.aeíl fenti iaa, dpmonflzark per enimag (cn iiam y. jus qticau(a (eraalis phylca y Be € pallionpar definitiqnem (ubicz "de 3i qua e& fora tietgphy fica; E acce nct conie dg coinpetio phyüso p9s demondkrari;pet That CHA priam yqua. cit caufa-mtezialisex quas notat. $0.5. 222 Byitom [tc fpi nale deimelleétione potcit dcgnon Wrap? pecfptibgalia aem. et ioi ma! ust AjcBesiedieDetvenfitonque. I wpay M MMans eff «au(amatez -iglitatis; án quain io recipitur qi. muljü m esr uir ca jndpicituaJi; ficeriispotctit demóflrari vitalitas de actibus liberis, quod fc effenalis ipfis, «ex hoc, quód à principi )svitalibusprodu cuntur; et liberas eficptialis de actuygimas Quin principi iMAvepitlfique, iiam principium vitale nonpoteft opecaxi nonc üalitet y. nec priecipium liberugv haturaliter; tandem de cau(a finaji pacetynam domus y,g«ideo eft lapidibus, him eps cen(iracta y.vt. pe (lit aes à pluyia; et tempe ftatibus dctendere, deagbu datio fic proptct (apitatem ; büc (pe&anr ftrationesAnIt«do.eclypli Lune propter terea interpoljtionem.igter Sot lemy& Lünam;quatinterpofitio («haber vclutizcaufzcfhciens;& de illuminati'ong Lunz.psulatiai facta propter: (phericam figatá qua.rcduci-poterit ad genus nríatée rialis cane, quatenuseit conditio quedé fabiecti illuminati v Accedit, quod cut cX hisefíe&ibus à pofteriori demonl(tgas ri poffunt ipforü caufas ctgo.apriori pes caufás poterit talcs effectus demóliteri.. coSecüda pars manet cx his probata n ficut non iinplicar eiufdem efTc ctus daa ri plires cauf25 diuerfi genoris, à quibus pet fe dependcat,nec implicab r per.illag 06s démontlrar.t hinc Acifk.1. py. rait. bat. Twncputamusz ognofcere.yniq. CWcaufasprinas eogpouerimusst?; pei cipia prima v(qyad elementa: exquola «oaliqui deducunt ad pecfcétá(cienuiamy requiéi, quód per ocs can(as dean tecti Qy:dictá intelligi dcbet de. (ciévia períe«6a (amplicitcty at fatficit ad (cienam im aliquo. genere perfectam »quód demons fitct peraliquàacau(am s vtcoitce doceat Expo(rtorcsirca illum tesiüjco yel max ximcsquod vnadetpóüratjo vpico«nedig, Conttáre debct, vari deg: dicemus; fx wng cagí(a,& quie libet cáu(ak propriéetenta pecícQtà natoo:gcnere; quod-oxprelline ducttri Poft. 45Exéplo: quos] ;-potres Mlaftzati, vcoocat;Aucifa ctiloók.3 «nan pron acie e age RUNI M ' rlicitinaactuitmoralium, &. cuta € beauusl;acmotdinatasX quia cft azens hberés ae ctam alijscxempls adiu " onNU WA WR 916Contra primam partem concluf. arg. Tum quia non poteft ex fine demonftratijbac.n. cau(a non praecedit effíectü, nifi intentionalitcr, quo pa&to non dicic ve fa caufa,nec realiter proprie cffe&tus ab afa dependet,vt diximus difp.7.Phyf. q. $.ari. 5. Tà z.quianec ex lente, quia sion adelt inter cfficientem caufam, et cffc&um neceffaria connexio, nam pate(t e[Iiciés cile fine effe&tu,vt adificator finc domo:accedit, juod medium debet cf fc intriníccum, quta demonftrat o eft ex proprijs quae funt intrinfeca, at efficiens eft exccinfecum, (cur finis. Tum 3. neq; €x agatertali, qura medi cft necetfariü, materia cft caufa contingétia et corcupti bilitatis,& eft in potentia contradictio; ni$ ad cífc,& non effesitem pallio nonc greditat à materia, fed à totocopolito, aut faltim rone for. ng ex Sco«.3 1. vni. «CÍr à materia pallu'at (quod nó videiur verum, quia materías& efficiens nó coin. cidunt )nó (c habebit vc caufa materialis, fed potius vc efficiens metaphyücé . De €aufa formali dicemusart. (e. z$ Refp.ad r.finé co modo pote, vt mediuma(fumi,& demóllrationé cx co fotmari, quo pa&o inter cau(as numerat0t,cam igitur finis, quamuis meraphoci€8 caufetyadbuc imer caufas phy(icas co £ineaturs quecenus eft radix ois aCtionis ag&usyquod allieit,Sc mouet; vt ex plicai tnusq.ci.art. y.ad zin hoc (enfa poterit admxti ex iplo contici po?e deimonftrationcs, Ad 2.cócl. ioteligi debere de cau ft efficiente it a&u, qüo ncceífarió con- Xingitur ctn cffectu, vcl fr de cfhciene in poteriia ctit fermo; evi de cffie&ta. in nee lo jui debemas, ia quo feníu la ét ti&ceilariam comexionem, vt diximus 1.p. [attic.irac. 2.6.3. Neque requi ritur mediire(fe wrin(ecuny rci,4uamuis dicatur elfe propriu mynó.n. imriafeci, et ptopríiam conwertücur «; Ad 3« materia eft cauía corraptions, et contingencia zcalis,& imcomplexancü hoc ramen ttaty quód (it caufa nece ffitatiscompkexz, et fitionmis (empketnz veritatis, etiam cit íiccau(a, nam vceté demronitiacut €octaptibilitas de cópotito, vt dimus 6i y. przc.q.2, arts j.adalud dicumus gai-   Difj. DeDemonfiratime, fiones o£s totius compofiti ab ipfius na tura immediate fluere aliquas tamen fóe nc Xlliquas róne materiz,refi quarum matctia erit caufa metaphylica radicaliter (hànc.n. caufalitatem nog repugnare materiz oftédimus difp.z. Phyf, q. 8 ar. f.) dicitur tamen demonfiratio procedere ex caufa materiali, quatenus caaíalitasquam erga fübie&tum demone. ftrationts exercet materia, eft inpenere materialis caufie, et medium ponitür ia demonftratione, non folam vt refpicit paffionem, fed etiam fübieGü,vt art.(equ Gftendemus; cum dicitar aüt à Sco. iA fion conuenite fpecici rone forma, pet tormam ibi non intelligit cam | v i nas à materia diftinguitur, fed indifferenter pro principio intrinfeco ; et quacunque. parte definitiomis,ná vt ait Atift, 2. Phy(z 27. et $. Mct. c. de caafis,omnes partes: definitionis funt forma, cuimsrationemy H-quiaomni$ affi gnat Sco.z. d. 3. q. 6. realitas fpeciftca, quales fant definitio« nis partes,coftituit in cfTe formali,fcü in elle quidditatiuos& realitas indiaidut.có- ftituic peecisé im effe materiali scu come  tra&o,tleoqsilla entitas dicitac formalisg   hzc matctialis,& quiz materia cft parsef. fenti& y poterit in hoc (enío dicj forma « 16 Secumdoarg.contfa z. parcem; má Atill. 1. Poft. f.ícientiam defimuit. pet caufam per qdam rcs e(t. y nomrper cau(as- vt [ignificaret vnius rei vnicá cffe caufam propriam,quod a(lerere videtur 2. loft. 25. Tum quia medii tanc eflyt quid pei accidensaggregaterm. Refpébi. Ariit:af- figoare quod ctt fimpliciter necelfarir- ad acquirendam fcientiam perfe&ti, faba - &m in aliquo genet, f;quod decr falcimr vna pct fe caula, nom negare tamen quiae plutes poffiat dare eiufdem eonela. m £y Poltidoccre idem pradicaià de vm fjyc ^ €ic demonilratum per certam caufam. y pole de ais per eandear. demonftrari irtahscaufa ill:scóuematy vt patet dc frtiuo per znimal demontitabile ton (o. Id de homine fed étde equo. Ad 2.dicia thus conchit.. inm non demonftzari yni ca demótbiatio nc pet itlas caufas; fed pl. ribus; ioqaimur aü: de concluf. non fora imáluer, windudiordiniad jnmopeg   qnem certam, i cui tam vt Gic diderfificator «d diuerfitatem  principiorum, fed d« cencluf. materiali- "ter vt eft vna propofiuio demonttrabilis. ARTICVLVSII. ' De medio demonftrationis pot ifm. 4 Emóftratio poti(fima maltipli- » Dae accipi folet à DD. primo ipro fpecie cód;ftin&ta à demonflratione quia, y propter quidsquo sé[u loqucba- tut Aucrr, et hanc acceptioné abiecimus q. prccd.fecundo prout à demonflraiio. nc quia leceroitur » et vt fic conuertitur Cü demóftratione propter quid,& nos lo cati famus in 2.p-Infl.tertio prout efl fpe -€ieslub dew Oftratione propter quid, có- tenta ; cflq; dem óllratio propier quid, Aimpliciter,& perfc&iffima,& in hoc sé- fu ipsà accipimus in przséti  nà cü dc- -monitratio propter quid,dicat cognitio- idcatem habitam per caufam in quocüq; gencre cau(z yeró nó inferant cerütudinem, eaiden-  tiam,& nece(fitatem, quia vnacít intrin | fec; et effentialis alia extrinleca,vna in- fcrt certitudinem phificam, altera certitu dinem mctaphy ficá iüxta dicta difp,pc- ccd. q. 1« idcirco per demonfirationem potifimáinteliisimus, quz perfcétffi- Tam parit fcientiam.f. ia maxima certitudine, et nece(Titate, et cui fpeciali mo- do conditiones ab rye rl conue niunt: et 1mus, an quodliber genus caue fit donc mediü ad p à talé (cientia ; verum eft tamé, cy P. Faber theor. 10. videtur loqui de deinóftracio- ne hac, prout cü propter quid couertium, poti ífimá a » quz. procedit à eol dliaoaiicaciont quia, quie per cffa €tum concludit;at in zheor. 14. et 15. alit- qualem videtur ttatuere diueclitatem "Pro rcfolutione noc.caufam cfficienté alià cffc cxiinfccá;squa agit actione trá- fcumtes.ian fuoicéxü diftinatü, alá incrin Éccáyqua «alis dicitur, quia agit in (erpsa » et bac cile duplice, vclun.azic actione phy fica, cum;níc producit cffectü rcalitec diitin&tü,vt caua in fe caulat frigus y vc] aQtiooc inctaphy (ica, quando .!. pcr Fchaitastiaq act pyficam: ab 1pla cmja-  Queft.11. De medio Demonflationis ofri-3T.  917 nat aliquid folum formaliter diaer(uns, vt fant paffiones rerum;& hzc cau(a non erit nifi elientia, et quidditasfübicáti, quz in ordine ad pifTiones dicitar cau(, efficicns metaphytica, in ordine ad (ubie &ü dicitureau(a formalis ; quatenus cft quodqu:deft ipfius; pó: €t inotdine ad paffioncm dici caufs formalis, vt notat Aucría q.23.(c&. 7.quia eft ró prima fore malis,qua t4lis paffio cóuenit fübiecto ; infuper dici pót materialis caufa, quia à fubic&o, in quo paffio recipitur, non eft realiter diftinéta,& tádé dicetur finals, nam paffioncs ad comp lementü,& perfe &ionem eflnriz fubie &i ord'nantur. ' . 48 Infüper not. de paffione triptic& dari pofle dcfinitioné, prim& formal£, in ua ponitur gcnus; et differentia circum "an finé per (übie&tum, fiue per terminum, vt c lyp(is eft priuatio luminis in Lunaà sole recepti : fec dá caulalé,in qua ponitur tantücaufa propria, et ade quata illius patfionis,vt eclypfis cft inter pofitio retcez inter folem, et luná : terti ex vtraq. integratam, &ab Arif. dicitur differre à demoofirstione fola terminorum pofitione,& ficu, includit .n. totum id,quod habet demonftratio, vt eclyp(s eft priuatio luminisin lona à fole tccepti caafata per iaterpolitioné rcere. Tàdemex dicendis art. (eq; in hac decionflrationc: proprié. concludi. patlionerü de (ubie&o: bis preacceptis. Mirücít,qui varij (inc intec fc Do&t. in hac matecia.INos principuliores rc «cc mus fententias,Zab. lib. 2. den edio c. móftr.(u(tinet glibcr genus caofz dui fit proximü, (uificere pro medio demóltrationis pociffime: Fab riheor; 15«folam cau(atmformzitem adauttit pro medio,qvá thcor. i4. dixit elle definitioné fübiecti, nó quidem fecendam omncs partes, fed (ccuodumn vlimam differcntiam:alij pouunt pro medio defiaitionerá totjnalcin patlionis,quod probabile patatur ab Aucría cit, aij. intcgratam ex viraq. ita prz(eruim Caiet. et approbant Conmnb hic; alij dcoiq.dcfini conem cia falem pafliojis quz noa üt defiiitio lu^ bic&i, vcl fi cíi valisynon pc nator inediü, quatenus cft(ubieétt defipit.o, (cd fold VUfpo X ef De dieviüinfiraeiafi XA aa, e(t cauía patfionis, ita. Tjald.: AgnitatFase auo €x 2)Poft. 61,52 e AM 16.dilpp. 49-3 dub.2-.: 5 g33 329, d 1a o-us pus non: dcfitiienem fora.a'tm paf(licnisjam ex caufaliy Sdesmali »:cgratae, fcd. caulolem saptifi med Bde n. oflrationisqiaufbu;ite Sc. gl oilig-56. Tatsgpepnl Trpeb.ó: Mer. G1. Sonc qr 8 Amie cit alij; prob. «prin0. «qucd tormalisdet nitiopaflionis, fi1, m, cdxum cx Seo, «im quiaillud aon. Hn medii im d«monftreuone pofi ma;qiue £ogni.o «ontingiqugrere propier. qu i5 t ubieóiosl d cognua paffiopedcíobn &o, ge 3 «ips Íotmalcm dcfinirion&yteflatasfhug inquigepdaycerinfit(ubie Glo, qi quia. iia e ;eit caufa inkaren «uz paffionis n Sc. nator patctaquía, pr: et demot een peediliee Ufl ma: dcbeptex cantis proctdtres SX; €x immcdiats;« Tum quia definivio: palier e (ubie to sion. pizdicatur immedias vt necipía pafíos fed mediate,-eraonrqut ad :Ipiedipm 4 (Tarn qeia.pete» [s Principi me     au Smacmefp ub s imb apium ad Jridcodum eme foxmal;s. jMins pa(iotiss 3Turn qu jor cflct inpatural soma in dila. tom dicretgr de definiiont »:cu iq ; secundo quod; PNDAMNA FxionpMA renis ib dta ip gisdium s Prob; quia Arift, 22Po(o. Sx (Poft. 224 defini» tionem diüiigit in illamspug ft principii) (eu aiedifi jin Mani que.cit cóncinfia,& in cim que (o! a pohitiant. dificttà detuó Dirauung ; (ed dcfinisiopoffioniscex fokr mali» et canfali intcgráta;continerat: tub Los tto ébros£I g8 no £c medium» terxerun dcfniso «oincrderet ctum pti» $92. Tum quia;oó cft yra;per frd dux medium au m.dclicuef]c ger; ác ynum, Tom quialicét.yngm defidiv tioncm tonficc regt; uimcp   € medium futiopesuiul Tationc definitionis (otmalisgkk wem fe.cliet medium s (ed per aci perd Quod Aoiutertstdebeikio cus Gl UniconeuD tudiem Me ect atr quidycn 2 dole n Ígd.pex.eaplaax paflionis (arisfis buic quae Ldsia mquatir caus, «ur Mp Aoqumeigpua que vltrà querit,crgo caufa, feü s Cau"m rhe pi rtiediptp. qu. de 2. irse gary Cu EU Np pas di ; baee &afrfiti qiiacersusoft Nu, cur quiliofbta dubicéio: ^T. patet uffici eri I$ dft, prae UiBoiteodr vip cx jd scd sbto endisse demoAftrae uomis! seen d ociuulie utm demi Ee de itátiua oni ta: iod; ( ÁTATTT t'gaufa pafl cs : itio fübieGti cócutrit edet re een dp M83 dx Mur se orutarmg cec priinó: réocaralr-fulbin&á sri btadaui nari ue iab can excrinfocae nori conficiufio pcopofitionty vniueríales; pec e iai irm nm RÁÀÓ99 0 fum; quia etfi e 'perícícquatu cáofamiscaufa tamen non (empor s Vel ale qarerdeaeryo slug cae patet derit onet fa-ecly fido di deamers laris eít-cauía niis ;& fusd otteiidie PidlFabor citston» 1704) iiio cüaíce mon r ificepeo medi poaífis mae y paiccconfeqi quia periancmellis imoedermotidra 5 d.a dus &iflinsa eft ocium désec qu ftio . predi toad apeirdig yero c nir Jiexef vein eie cd fput, praeced qiie t alibi Mem horae men g debere etfi m-5312 Scgutido; : Med eren erem dran chifal ftia Ar igchiedidtus cav intimt paf fsótie&(ablv£toi; quiacali pfá vanquar ab ada mice gu X a a et taauferütumy cdi ees $»/TGquia ai anllüd; ep . ck j aliori voe dn Cz deer eie [t] caüfd; Qiccalia fiit éa ida; ipfe e(t maxime cilia da r inécis;fed des Ee Gift calfay cub áli (iat mes eirióftra actedüc ad defiaitio ás habencrónem Schoeqa Ubrtipiéi accade ad ideni onttibie£ti qum 12iux demonttracio ratió Mert i atió né a diehutieius bct effc maxiihé deavsplicatanidi &o per qienseále crit fübicéri defiaitiocAc dicaucor í uu rs&ude An. riScacde Anis. clare docet quideft fübitétic(le caufüdydetmodfkrarius omt ionis; Sc hàc catione in-27PoQ gie Ufifiionc:, quia: f eff medium. o0» iodewmi polZee uc tio H$ país ; (Icinedium huiasdemon(tricionss,év £r prior Gt alteraeffencizlicer y vt optimi: nó'ac PcFabet contra Zabu& atioyréeeg« tiótos, (uRincnces inc pafsionibus elséniai: Wet osdisiatis: ciae polle péo medios affümi indeaion(tiaione: pon(ssma ced fpeétu fechinddi y Fas ibshaiase(] quia'ta Ldetnónitvatio neoeller pep verga cau» fa aciudleqBiiedaeisydamo pafsio pripro sc? ulasitet norbctkaautopof aas 1d; -nzincer iptisctturdaet£e ctuaav.ab6sdé cüifa tvofi ond Qoi 3A cflrGpvs| necpri) mb palsio cà Wibincto tacivcpróporio:» rici oiriediviuvy vt (»cxet/xtnotan dium ty quio d haseruetiomtiaqo fic pogtsi-! mid 86d poca tiodt «ion d radioqureo Aptipcc do Nec valed aeree aee aconolta liio p iab, tgo d'onlggn a PNE iode v giai govib june r 7 Sus tisDelsioDoünfrMoni dI. ocn fideméon fequitsr illa doaion(lracio. Not valet j:quia Arift; definicns demonttrz, dixitexqm iata prmiffa tonftarcyéed excimmediatis ; de vtraq; id prm peniuepaa aetates conca 12 mam pafsionc$ à:tota rei dnida dit ty perbom fola e osa fcd etiath chéngtoria! conflitüitüc bx. diy &is difis Py qi rz:arirzidátcódefi nitióo4übie&tzponrtar mediam-fccundamr omticdy partem! quamuis: ràdicaliter we plartata ntarformz vt dixis mus-dtticopresedd,-o 1:0 6m 419 ^31 Taodetn g non folür fie medii, vt eft'édfá pafsionis, verum:£c vt definitio: futic&; Drobimedimm ermediünonfos lunid cere debet coumexionem: neceffal riain t6 predicate y (elieum puísiono fed qo«quc cam (tib ecto-y quia ideo fübied etum necetTinio vai cüm país;onc ii cócle(ione cóclüditur,quiaambo itprara rhifsis-o(teridüur cám mcdio enita, erga fieut eps ara" cago   ter, vt eft caua pafsidnis yj quia. fàbratione'e(É neceffa rio cónmiex e f$ pavifonmüer vt dofihitio: roe i mlfter modiam hommaterialitervcafo [éri A cdiciquiauiqo nif fiu ha 6 rome dis cic oicuioncam mollaiamrcafatie Qro Coutrà: primoóy:x det:mio Bere irn. amnem dempnz fuarionépóti(sima ; Jum quia! LIZIO la Poltzcomis 17a: nwdiümre e doBinsiod netilpeinhi xiremi.iopatsionisc Tüm 22 defiai ci ofóran ilis. paísiomis. c [b. proxiitya] catüía cónexiotispalsiómis\\cabubic&taye quoa hat ccoünon x wtiedidius prouiaims cx ríaédtapafsión jd trauy: (abi ecbi crgox dcbevepoanódiü.Tà y:: pa(sto romodiad &wic tb proppíte dbfiniioor y: et ipfa mest. d-anke^nettdefiaitiom fübicGti; ccaodllar dothontdvarié» e" inedia o6 ifta zqhia ex ume diaus; Ippabdius,   ma debcteetse oiaiduns beneris;s fed: pa ficie(t dcgremote: roo: dedi cri ipísas defimigio-fürmatis ;unz):e( id cod eui genere 5 nó disfiri pub Hectavas aliuucius. T dapgzenédri iq metet qw t eA ne ae 0e axcdyis.n (jacit pottettas fub:e&rog, élus pafitong y voc autéxb Dmm finitio pafTionis,quz cit prior paffione, et poftcr:ór fübicito, definitio aüt fübie &i eft prior ipfo (ubie&o, Tum 6.defiai. £:0 paíficn;scft notior paffione., facit propolitioncs necclarias, de omni, per fe,sin qipfum,& per caufam,ergo habet oés condiciones medij. Tum?7. ex 1. de An. 11. habetur ipfam quodquideft cffc vtile ad aoi enda cauías accidé ziü fübítandia quibus verbis videtur. significari definitionem fübictti c(le caufam primamnan tamen proximamyergo «aufa proxima crit definuio accidentis, et paffionis, fed dcmonftratio potiffima e(t cx medio proximo, ergo &c. Tandem non poteft demonftrari animal rationaJe cfic hominis definition, quz cft pradicatum,nili per definiuonem ipfius definitionisdicendo omne explicans quidditatem rci cíl definitio rei;animal rationale cft buiufmodi,ergo &cumó ti quzratur, cur animalrauonale fit hominis definitio: oprimérefpondetur, quia explicat hominis quidditatem. 33 Refp.ad 1.loqui ibi Acift, de defimittone cau(ali,nó tot. mali:yel inquic Do 4torsonon loqui de potiíf;ma demonftrationc, Ad 2.ncg affumptum aliud .n. c(t aliquid eíIe extremü conexionis, et e(Te; «auíam connexionisjpa(fio, et ip(ius definitio sür extrema cónexa cü (ubiecto, fcd caufa hiius cóncxionis eft definitio qu£ &t cft cau(a cnticatis paffio«is s et conícquentecomnis habicudiuis gaffionis ad (ubie&tum. A d 2. ncgat Sco, amcec. nam defiaitü nó inelt definitioni, ende tám paíTio y quam definttio paílioinis immcdiaté míunt fübiccto, licet defünitio notius inf1.:v raque tamen per deitionem fubieóti. Ad 4. neg. min. nam ptio non eft in predicamento diítia€oà ex dió " 'iq-4.art. «Ad f.ex Tat; ma.quia ad. Sidon iemontraionia flic een wi aedi in róne cognofcibilitaus ii. q fit cau(acur cogno(catur inhatrécia pra dicati ín (ubicéto,non aur requiritur vt fit medium quó ad ordin priorwaus, et policcioritaus » aliter ncc cff: ctus.q ci., potiet e(fc mediumin deine:ira Difp. De Demonflratione 2... tio non dicit frente quidy& caufam ine hzrentiz in (ubiecto, vnde fieret petitio ijynam cadé cít queftio, an Luna eclypfetur, et an Luna priuetur lumine s. an! fic rifibilis& an tit aptus ad rie. dendum,jAd 7. folum (equitur defiaitiee nem (übie&i non cfe cau(am proximam uoad ordinem, nontamen quoad cau. litatem, quiaab ipfa omnia emanant £ . vcl per accidétia intelligit accidétia com munia,per caufasaccidentium accidentia propria, quz à definitione. fübic&i caufantur. Ad vlt.illam non e(le demons: flrationem poti(fimam, nam cffe definitionem formaliter dicit fecundam inten» tionC,quz non conaenit e(fentialiter mali rationali, fed accidentaliter, vel Auería effe quoddam catum quidditatiuü, adhuc non eílet di monftratio in rigore, quia non demone ftraretur pa(sio(ed potius pradicatü fue petias de inferiori,vt cü oftenditur ho« minem effe animal per eífe viuens feníi« tiqum, in E przinifsz non fant coner. tibiles: et (ecundum quod ipfum, vt pa«. tet;vide art.(eq.ad 1,contra 2.conc 34 Secundo, q definitio pafsionis ex. formali, et caulali integrata fit medium; prob.quia Arift. 1. Poft.c. a. docecidem cse quidefl, et propter quid, crgo medium debet v pie quid e, peine,& ter quid y crgo cx vcaque definitio« La 6rd iq ex m ib:d.medebet eíse cauía, vt pafsio fit (impiu et init (ibieCto, prim praíta it definitio formalis, fecüdum definitio caufalis. Tam 2.medium eft adaequata s €au(à cónexionis paísionis cum (ubiedtog ergo vicam |« definiuonem continebit s prob. eon(eq. connexio pendet à (ubies Go, X pa(sione vtab extremis, ergo de« finiuo. fubie&i, et definitio palsionis erunt cauía huius conncxionis, Tum 3, mcdiü buius demon(tcationis debet. caa fare perfcótam paísionisnotitiam, crgo omné cau(àim, tum formalem, tum eHhcientem includere debet ; quia cognitia perfecta cft ex omnibus caulis. Tandeua praeaniísat huius demonttrationis debeng . elsc maxipé ; et immediatg, ers Conc quia Adé.dcheirquia hec defini go. A eo deber pro me«ERES 4" E' u 7?   mss ] Q. I Demedio Demopfirationissefrt; I.9t. dio;nam fi foláe(fet definitio fubic&i e( fent maxime propriz lubie&o ; non paffioni,(i dcfinitio paffionis tantum, efsét myaximé proptia paffioninon fübiecto . Rd in Primoloco Arif. b era de d (abie&i, er quid pa(fionis, v ue o definitioni fübie&í,vel 6i loquitur de qxid paísionis, non eft fermo de quid formali, fed caufali, et tandem fi loquitur de quid formali, non intelligitur de medío pczcisé fumpto, fed vt in demonftratione cápto, et de to M igawraj e dope deis omi tcícit que (tio pro CO EN Y verum ctiam qua "^ Sour, faior M ?es, per quae 1o er qui pcd vela in 2. loco es car " de finitione (übiecti,qua eft caufa vcriufa(sione vt ab extremis, fed à dcfinitioic ubie&i pédet,vtà cá,nó à definitione pafsionis,mediam autem fedebct habere vt cauía imexiftentize effecutiua. Ad 5. cau(a m notitiam in fimpliciter,vt diximus vel &Giorem, quà aliz caufa, quia quietat sntellectá, et quia defiaitio fübie&i aliquo modo &(tin omni genere caufz . Ad vlc.debent (fe maxime propriz quoad. caufalitaté, -&d quod (ufficit, vt m praemi(sis accipiatut proxima caufa inhzrentiz, non verà quoad formalitarem, itavt mediü fit formalitas pafsionis ; rmó dinerfum c(fe debet,cim fe habeant vt caufa, et cffe&us. 3$ Cotra 2,cócl.arg 1. qp dlibet caufi proxima etiam externa poisit effe medium in demonftratione potiísima. um quia illa dcbet dici pots(sima demoaftra tio,quz perfecti(simain parit (cienciams itavt de re ni! amplius quar; poísic, fed qualibz cauía proxima nara ett calé paterc (cicntiam, ergo qualibet poteft eífe mediü;mi.prob.ex Arift.2.Pott.c, r. vbi docet per caufam farisfacienté quz ftionsproprer quid (atisficri omnib, alijs qugrftionibus, et patet exemplo, nam gu interpolitionem tecrz inter Sole, et Lunam poceft fatisücri omnibus quzttiotibus dc eclypfi an (it. quid üt, qualis fit, et propuec quid tác, idcm de alijs de. mon(trationibus  4uàsaddacic Acitt, 2. Pott. T um 3.qua cclygus dc Lunaj& ti. Lew milia accidétia fant per caufam propriá demonftrabilia, propter quà rcs e(t, fed caufa eclypis, propter quam eft, cít interpofitio terr, ergo per hanc ccit demonftrabilis demonttratione potifsima. Tum 3. demonftrationes mathematicae fant certiísimz, et poufsime, et tamen vt plurimam procedunt ex atficcedente iam probato,nó ex defiaitione fübie&i non enim ex definitione quantitatis pro». tar mathematicz conclufiones., Refp.ad 1.ma. effe infafficientem,nà vltra hoc requicitar' vt'quietet intelle&ü per caufam proximam, et neceffariam neceísitate metaphyfica, quam fola caufa formalisin fenfu explicato continet y ideoque nezari debet demonttrationes, quas conficit Ari(t.in 2. Poft.efle potifftmas, vt fusé oftendit P. Faber cir, Pec idem ad 2.nam eclypfis,K accidécia externa (unt demonfítrabilia per proprias cauías,non tái demon(lratione porifsima ern afsignatá róné. Similiter demon rationes mathematicg à multis negátuc e(Te potiísimz quáuis fint certiísimz,qa nó habent omnes conditiones requititas, 36 Secundo.g defin tio fübie&: non fir mediam,oftenditur ; Tum quia committeretur petitio procu j; nam definitio non eft quid diftin&umà definito, er o (i paffio demonftratur conuenire (u« biedo definito,quia conuenit definit/oni;probaretur jdem per idem;hinc. Arif, 2, Prio. c. $.ynum modi ponit petitionis principij, quando probatur defiaitum per definitionem,velé contra. Tum 2.(equeretur demonitrationem non effe ex pro« prijs» quia oés pafsiones ab cadem e(fentía flientes per eandem defiitioné probarentur, et ic non demon(traré&ur per caufam, quz vnicuiq;tanquà propria có petatíed ex cómuni, Tum 3-fequeretur maio. et cólu(. effe in codem modo dicé di pe: fe,..in fccundo modo, gp e(t falsü, Tum 4.fequeretur definitione cífe cx me diacis, nà Plio conucnit d. finitioni fu. bicóti nó imedraté,fed media propria de finitionc;X (ecü4a paísio axcd.áre prima. Reíp.ad 1.nó peti principiü, quia de» fiiio, dcfiaitum diltmguncur,vt dixin»is di( p. 1. q. 4 arta. et paísio potiuscouenit dcfiniioni, quàm dcrinitoj Arif. aus Xxx iem tém loqoituryquando dcfnitio, et definitum fant 2qué nota refpondenti, vt explicaima$ 2.p. Inft.trac.3.c.3. Ad z. demonftrationem cífe ex proprijs non intelligi de principi js sIteri non Couuenier tibus,(ed de princtpijs conuertibilibus, et quia idem medium póx cum pluribus paftionibus conuctti, idco potcft dici pro« riam refpe&tu illarü, Ad 5. neg. faltitas equei« fa fficit. n.quàd pa(Iio notius cóneritat defiaitioni « Ad 4. dicimus paffion€,& propriam definitionem itmediaté conuenire fubiecto immediatione (übic€i, licét definitio notius conueniat; feeit da paffio dicitar etiá (abiecto immediaté conutnite immediatione cauíz, nam caufa eius nó cft prima paffio ; fcd quidditas (obiEGi; vide Tromb. c;t. 37 Tertio,gr non fit mediam vt dcfimitio,f(ed folum vt caufa, prob. cx Sco.q. $.prol.S.docerte non oportere principia fcibiliseffe principia in [eipfrusTubiecti y fed efTc principia lolum, per quz ftremur paífiones de ipfo.Tà z. demon: ftratio dirigitür (olum ad cádendá (ciem tiam maioris extremi, non minoris,ergo per accidens eft, uod medium fit defmitio (übicéti . Tam 3. medi quandoq; cft etatio, jtádoq:(cla di&io, fed dictio ncQui dici det nicio,qua sépét eft oratio, ergo cífe definitioné cft acidemtale me: dio. Tum 4. medium vt medium e(t caufa,quia fcire eft rcm per caufam eognofcere, ergo per aceideos cft definitio vc mnedium. T um 5. definito (nbie&ti, vt fic dicit causà inhzrétiz nec propter quid, at de ratione medi eft, quod (it caufa inhatentiz,& dicat propter quid. Refp. ad 1.fufficere, vt medium fit ró qtridditatiua fübie&ti, et caufa virtualis $ vc ducas ia z.p. Intt trac. t. c.4. Scotus adc loquituc de caufa forumliter. Ad 2. demonltrarioné dutrzi ad cogioícemdá, rion quidcay p:ffioncai vt fic, fed paffroq mem in (ubicéto,idcirco requiri vt mcdium cognoícatur vt:dé cum paffione, X fübic&o. A4 5. id fempcr medium debct cíle tota o, quandoq; veró vtimüt vna pacte, (iue araccrialt, iuc formah, qc vei matctia fat ridicaliter, et otiginátiue caufa. paísiods. ^d 4. cdi vt inediam nó cil: cau"Difp. X 1L. DéDenaonfratioge 2 ^. fam vt fi(ed caufam connexionis predia cati cam fübie&o, nec cumfc xionis,(cd ilhus, qu e(t neceífatia meta a iin quod exigitur, vc iit effentiac lubiocto, idcoq; medium demonftrationis poti (fima vt medii debet effc definitio fübiedtis et caufa pa (ionis. Ad (». definitio fubiedti vt (ic precise noa di cit cattsá inhzrétizsnec proper quidsfed.vt definitio fübicdt, et vt efl caua. paíse. De maiori extremo demonftrationis, " 38 ia st, d poffnt habere rónem - vasi Me, tione propter ys (nà de d ratige - nie quia nula eft difficultas,vt (upra dixis   müs).Caccidés cómuneyaccidés propriüy rss AGO Set eui e vel adzquata,& ex oí parte, flc continet omues caufas jac xri demon: cas,(iué extrinfecas;à quib. res per fe pendet im effe; eclincompleia,& inadazquata, vt cunr datur pcr vni, vel duo ge« nera caufaramt, ec fi daretur per caufam marerialem,vel formalem, apt fimilem s vel cfficieatem, vcl pet ambas caufas in- trinfecas,materialem, et formialeaz, find fint phyticzt; (iue metaplyyticgr. Hiec aüt difficukas intelligi potcft cà de posto tione poti (Tiam, T aud demon(lcatione propter quids(icut (upra ditt iaximus, ci medium demóítratioms imuire $. Zab.Gtpé cic. fathine: tit accidens pro- priumyquám accidés có nume poffe pro" maii exccemo inferuire eug inrdemom- ftratione par De dcftm cione vec? comunis fententia ncgat poffe à priori, Sc deinontlcauone propter quid ti de finito, quategus definitio e foralner capias. vt eft efscatiali s. mto, lic&; ixcerialiter inmnpta dz: vtc(t prt dicium abfolucé acceptá polit dcmottrari,ts [X mada juata, puta dcfnitio per causa. matcrijalé poterit có» cladt pec defimiconé fimilis, vcl fotavalis cauíg, ta videtur séure Sco». Polt.q.5 € 39 Dicimus priino, accidens comune foli ingredi poísc pro maiori Medis in demótcauóne nC ade tein : tiia, pailioncmi vcrOun demon:trauionié .11. De maiori exiremo demonitar etri. I. 913 potilTim: bec concluC fequizur ex didtis art. priced, i prob.primo,quód accidés comune fir demóflratione propter quid dAemonfirabilc de inbie&to, nam art. 1. - 'Oltendimus quà bct caufam in guocung; . gencre aisum! poíse pro medio in hac :dcmonttratione, fcd i(lz aliquando ciu- font aliquod accidenscommune, vt pa- ^et ip exemplis ibiallaus quando .f. ac- "iden s aliquod per fe confequiwi, et fcm (o5 pet ad pofitionemcaufz., Deinde. quàd ncqucat efse maius ex- tremii in demonfl ratione potiffima, patetex di&tis art, przced. vbi folam causa formalem poíurmus pro medio. Tü quia «onclutio demonítrationis potiffimz de « bet císc fimpliciter neccísaria, per fe, dc «cat acr ipfum, vt q- feq. dicc- gus, fed accidens commune non'confi- - €it cumfübicé&o propofiionem cum bis tóditionibus, quia ex (ua ratioge forma- Iipotcft ade fse,& abeísc, ergo non ncccf  farió conucni  incft omni tcmpore L epa cfl de omni pc flcrio- fiflico ; non przdicawr per [e in primo, vcl fecundo modo, crgo non efl pcr fe, qucmodo ad dcmófl raticnum exigitur ; ncc tandem ncceísarió copucttitur cum fubiz&csitaut conueniat c mni, toli, et sc per»nam hoc cft peculiare accicéus pio- prij, vt docet Porpb.c.de prop.ergo non eft quatenus ipfom . Ncc valet relpontio Zab.hac accidentia. dici [| oísc ncceísa. ria neceffirace cauf z, quatenusad poti- tionem talis cauíz (equuntur talia acci- dentia; licét non tini neccísaria nece(Tita te übiecti . Non valct; quia iam conce- dit vt hc non conficere dcmonfliationé potiffimam, et fimpliciter, ad quam re- € poufli ma necc(Titas, et certitu- o propofitionum, vr diximusart. prz- €cd.qualis non efset hzc necefísitas; tum quia ncc neccísario iequütür ad. pofitio- nem ralis cauíz, nam ab alia caula natu- rali contraria,& maioris viriutis,aut fal- um à Deo poísent impediri, ergo bac pc €císitas caufg non erii implioter necef- fitas,vide P. mtheot, 14. 1$...  Ex hismanet probaia alia pacs cÓ- cl.quod poísimus vti in demouftratione potiisima pro maiori Mo palsione lub.cétismam hzc jt popelione fimpliciter necefsariam, pe fe,de omni  X quatenus plam, cum «óucniat omni, Íoli,& femper,nec pcr poiétià D -; pof- lit à fübicéto fciungi, et confeq cnier non cótinget (ubicckam alter ie aaberc, Conia obijc. quod accidens commu- anc fit maius cxtreavá in demon(tratione poiísima; Tü quia per se in secundo mo ;do dicitur de.subie&o, nam illud przedi- catur in secundo modo,quando subie iogreditur definitiooem ill us, accidés ay rem py Subiectu m hibet definiti. Ti 2.vel accidcos commune per se conuen subic&to,& habctur intcotumjyel peraccidens..s. rationc alterius, idenMuzrrit dc ifto alio an per se,vcl pec accidens d ucniat,& lic vel dabitür subic&áà, cui ine rit per sc, vcl procederctur in infinitum Tum 3. (i perse non incífct,nó magis vai sub c&to cóueniret, quam «lieri cuicunqg quod c(t falsum quia non quodlibet cít An quolibet Tandem LIZIO 1. Poft, 22.do cct de eclyp(i dati scientiam;ait n. Eoriz, que [ape fiunt, demonfirationes cz Jeé ti&yvt Lone dcfctlus, nep him, uod fecundum quoa quidem tales fuut, f. m per funtieclypfis atem c(t accidens cóc; et 1. Poft.his demontl rationibus de ac. «identibus commuo:bus accommodat, et declarat cond tiones in 1.lib. (signatas, quz funt demonfirationis potilsi e,Retp.ad 1.neg.alsumprum,quia vt di- ximus m 2,p. Tot traét. 1,c 3. ad ptopofi tionem per (c (ecüdi nodi prater boc o fubic&um ingrediatur definitionem prae dicati requiritur necesaria habitudo cau [a cfhc cntis mctapliyicz ad effeótum, quz (olum ctt inier (ubicctum 5 et acci- .dens proptium., Ad a.dicitur per fe con- ucnire Hj. imiediaté, non veró per fe .i, neccísarió,quod requiritur ad demófltaetionem. Ad 5.adhoc vt cuilibct nó infit, fufficit, vt per (e cópetat (ubiecto im quar 10 modoy,quatenus dator in aliquo (übiee &o caula 1otrin(cca accidentis có s, hoe aui€ nà fvfhcit,fed requiritur ilia neccf- faria babitudo ad poti(simá. deu oftratig nem, vt non coung «c lubic tam aliter fe habere, Ad 4-tolum probat. daride bis accidétibns demóttrationé propter quid, nou potilsimam;nec Ault.2.loft. oa ncs €Quditauncs adaptar illis demon(tcatigs TOC A EEUU nibus, (tibus, [ed foli illis exeplis declarat, quo pacto mediam fit cau(a maioris extremi. Dicimns z.defininanem: non habé rem aliam cau(am prioré nó poffe de dc- finito demótrari à priori, (eu effe maius extremü 1n demóflratione propter qutd i at dcfiniuonem habentem aliam caufam priorem poffe cffe maius extremum, et à priori dcinonftrari de definito per illam Cau(am, etiam vt. effentialis e& definito ; talis autem demóftratio probabiliter vi- detur cfe propcer quid non potilli an3;ita "Tat.2.Lolt.q 2. dub. 3. quem fequuntuc Auería q.2 8.(c&t. 6. et Amic.2. Poft.trac. vlcq. $.dub.1. nec aliud inédit Do& cir. fivc&é perpédatar; Prima pars probatur, uia fi carct cauía,à qua dependeat ip cte non habebit medii fafficiés, quo poffit demó(trari à priori de definito. Tales aüt definitiones (unt precipue adeguata, et vndequaq; perfe&a, que.(. datur per emncs cau(as;à quibus res pendet in elfe, € .n. omnes includat caufas, nulla remanet accipienda, qua vti poffimus pro mcdio,& (i aliqua cx illis acciperetur,cü hzc fit quoq; demonftrata in concluf. idem demonit raretur per idé . Similiter eadem tónc definitio cótinens omnes cauías cffentialcs, putà propriü genus, et proprià differentia, non poterit per aliam cau(am e(lentialé demóftrari, vt probat ibi Scotus,nà quidditas (ubiecti effet quzftio, et prz fuppof(itü (imul, et femel, cet quzftio, quia demonftrarctur in tondaf! de dcfinito, effet pre(uppofitüyquia affümeretur vt medium, faltim fecundum parté, 41 Secunda pars, q definitio aliá prio rem Lr isti tanquam caufam pli à priori demonftrari,ctiam vt cft quidditatiua definito, cft Arif, vt infra videbimus; et prob. quia illa eft demonftrabilis propolitioà priori, qua habet cau(am proximam conncxionis przdicati cum (übie&o, calis cffet ita itio, etiam vt cít cifenualis defiaito, erbo &c. Vt au! cognofcamus; quz nam tint rftz definitiones, agen in(picere ordinem caufarum inter (c ; nam in primis, quia nulla caufa adequata in (uo genere alià (apponit prio rem 1n eodem generc; aliter non cílet coe talis,fed partiaiis, ideo nulla definitio ma tecialis, v.g. poterit demontlrari per align Difp. De Danopfiatine, definitionem material£. Et quia finis dicitur prima caufa,idcirco per definitione finalem poterit demonf(trari dere definitio tàm materialis, quàm formalis, vt ex hoc, quod domus eft ordinata ad defcne dendam nos à pluuia, et tempeflaribus, optimé concludere poífumus debere ex tali determinata matcria, et fpe-iali forma confttui, quod eft probare definitiopem materialem, et formalem domus,& con(cquenter etiam vt fuountur effenria liter; et quidditariué, rá eo i pfo quà pro» batur aliquid efle materiam, vcl formam alicuius, oftenditur adhuc eiie de c(jentia iliius, quia materia, et forma funt partes eífentiales,fic de lanterna prob. quod debeat ex materia pcrípicua cótlarc ex fiae y quod eft illuminare ; et ex hoc, quod ho. mo eft ád beatitudimem ordina us, deducitut effe füb(tantiam inrclicéuslé, qua folum efl beatitodin s capax; quod przdicatum concluditur vt eifenniale homiie ni,(icut homo sin (uam e(fcntiam refpicit beatitudinem vt f. nem. Caufa cff ciés LT f efi neceffaria, determinata, et cóucris Dilis caufa alicuius prad.cati effentials of fc&us, q. (e h:bcbit vtcau(a formalis ipe fius cf diusyin tali cafu poterit cócludere definitioné formalé cffe&tus,vt quod ptoucnità principio effentialiter libero » cft indifferens intrinfecé, et e(fencialitcr »yt poffit cflc, et nó cffe, volitio prouenit à volü:ate,q eft princi pió effentialiter libetüy crgo volitio eft indifferens efTencialiter &c. in hoc fyllogi(mo maior extrem? tas cft definitio libertatis acus in genere caule formalis, medi c definitio ciuídé libettatis data per caufam cffcdiiuà Tandem quia materia, et pacto süt fibi inuic& caufe ex ditis d! p 8. Phyf. q.1. att. t. potetit dcfinitio formalis pec matcrialé demóftrari& e cóccá ; vt omne conflans ex corpore organizato contact Éc cx anima, que cft atus calis cor poris, equos cótlat ex corpore organiza o» crgo &c.& é conucrio; ité definitio materialis dcmóti rationis probatur p alicrà formas lé, qu ab alijs dicitur quo juc filialis. 43 Tanié,g; he dcmóttrationes probabiliter reduct debcát ad propier quud» non ad potiffimam, probati pot, non «n. faris coidanter faluangur conditiones m: Q .IT. De siaio. esteem. Denonfivab. tiffime in illisquia premiíTz non videntur cífe de es "nra fec&dum quod ipíumyaut faltim non omncs i(tz demontiones,& fi oppofitum velis (uftinere, nil contra no$. oholsm ^, In contrarium obijc. qp quzlibet dcfinitio poffit à priori probati, et adgquata. T quia poterit probari perreguias logi€ales.f.per definitionem definitionis, ficut cü volumus oftédere alique fyllogi(mum efc in modo, et in figura,vtimur regulis logicalibus de (yllogifmo traditis, ic Aift.2. Poft. 17. ottendit dcfinitionéternarij,g lit numerus impar primus,efíc ve ram, et quidditatiuam definitione p relogicales,& definitionem definitionis. Tumquia bec definitio, eclypfis eft priuatio luminis folaris propterobic&iofiemtertg,eít adzquacayX tamen demónflratur, vt quod priuatur lumine folari ropter obicétionem terra, eclypfatur, priuatur.&c. crgo echyp(atur. Refp.ad 1.ex Arift. a. Poft.8, vbi negat probationem illam effe veram demó(trationem, rà cít, quia 4T. logicales non fant caufa in cffendo, (ed folam rationes cognoícendi;& notificádi, quare nó procedit cx cau(is concluf. tum quia procedit ex cómunibus, nam illz cegulzcuilibet definittoni adaptari poffunt, et tandé nonoftenditur per illas definitionem de definito proprie loquendo,fed rantü. definitionem adzquatam habere codi tiones optime definitionis. Ad 2.nec illadcfioitio cít adzquata, quia deficit caufa materialis,que ett Luna,nec demooftratur de definito.f. de eclypfi,(ed de Luna,que cft fupieum, in quo recipitur cclyplis . 44 Contra z.parté opponitur 1. autho ritas LIZIO ui 2. Pott, à c,2. oftendit quodquid. (eu definitionem no potse dc. mofirarià priori de definito, et 1rali]uádo dcmonitratu: ; illam non e(Te dco:onfirauionem fed logicum syllogilinü; ide t6. Met.tcx. 1. Scot.etiam 2. Fofr.q. 5 -&x profcí[so oltendit quodquid Lormaliter non poísc demonítrari neq; à prior! . neq; à po fterio.i, at ab(olué fumptü  et materiali &er poíse à potteriori demóftraTi,À jxio rit mnc » ied aligp non. n. vnlt de6 nitioné formale poíse per materialé de moftxari, (ed et contra materialem per fotmalem,& finalé;idem docet fü tex. Met.cit.& 6. Met. q. 1.ad e princ. i . Vtadzquaté fatisfaciamus bk obie4 &ioni, diligenter indagáda eft més Ari(t. inillis tcx.& quo pacto procedit ; primà igiturin tex. 2.quarit; an def nitio, et de» monflratio (int de cadem re ; et negati refoluit ; quia demonftratio eft accidéc complexi, et affirmatiué, vel negatiué cludit, definitio eft efsentiz, incomple: nccaffirmat,aut negat,immo pro princi pio inferuit demonítrationis . Deinde à tex, 3. vía; ad 8.difputatiué quzrit,an des finitio fit demopftrabilis; et pro parte ne& gatiua arguit ;.tum quia nó cít demoftrae bilis (yllog;(mo reduplicante (.f. inquo medium alsumatur m przmi (fis cum hae reduplicatióne /7 jui »«p requiritur, vt poffit deinde concludi in quid maius extremum de minori ) nam in min. petcretur principium y quatenus medium diceretur 17 Quid de fub:cGo, cuiustamen idditas quzritur, ncc mcdium císet ig emonfirabile dc (ubie&o; tum quia negue demonftrari diuifionc, nam ifte mous difcurrendi non eft à priori, ncc necelsario illatiuus, et minor eíset probartda, quare ille fyllogifmus non cfset dema ftratio;tü quia nó cít demófirabilis per de finitioné dcfinitionis, vt oratio indicans hominé per císétialia cít. defiuitioillius y animal ronale exprimit hominé per efsen tialia, ergo &c. nà in min. petitur p'incipi,idé.n. elt e(se definitione, et expri. mcre ré per cílentialia ; cum quia nqaig oftendi per definitioné contrar!j, nà jrocederet ex zquc ignotis,& poffit dar: cit culus ; et alias rónes adducit. pro bac ray 4$ Deindc à tex. 8.incipit propriá ape rire lenient& inillo tcx. ;t'mó diírina guit dc caufa, uod quzdà elt cadé;quadam cft alia,i. quada e(tintrin(cca, quze dam cxtrinfeca, et hzc vcl eft demonitea-. bilis.i. poteft demó(trationi infecüire, && fic poterit eíse medium; quo demonfiretur quid efl feu dek;nitio, et fobdir,quod hac nó eít deu óftrauo, fed fyllogilimus topicus, fübiungit poftea alium modum, quo contingit [cire quid efl, ncmpcc ab cffc&u per (c demonitrando fi cfl, à» mul deuepiimus in cognitionem quid eff, yt omnc afirum patiens interpolitionem ferrz celypfatur, Luna patitur interpo(itionem teirz,ergo eclypíatut, quo, logiímo fcitur / ei plis et quid eit, et gn ttid; in fine deinde huius textus, k initio fequéeluti epilogat;quz dotuerat,& quod nó poffit oftedi quid eft, uando non habet caufam alià 4. extrincam,quando tamen ipfam habet, poffit dcmóftrari,fed logico syllogi(mo; addit vIterius diuifiones quafdam definitionis, et pracipué in tex. 10. ait, quod quzdam dcfinitio eft principi demonftrationis, quzdam conclafio,quzdam à demóftra: tione fola pofitione terminorá differens: et tandé in finc huiustex. concludit, M Wifeli igitur ex ditis, C" quomodo eft fius quid eft demon[lratio, &r quomoo nó eft," quorum efl C quorü non eft, 46 Ex his colligitur primo; Ari(t.quid eJ] accepi(Te, prout eft qaid complet ex pmnib. caufisintrin(ccis:2 fi hibet cau. fam cxtriníccá;po(fe demo (trari; 5 .hunc syllogi(mum appellatfé lózicum  et demonítrdtionem,quod debcr etponi comgaratiu .f. in ordine ad potiffimam de. monftrationem dicitur syilogi(mas logi. cus, fed quia eft fyllogifmus certas, cuidens,& per caus,crit demonttratio propier quid, cx quo magis confir. vltima pars noftrz conclu(. in hoc fenfu explicai potct in 6. Mct. Nec aliad voluit Sco. afscrere,(amptit.n. quodquid cfl;redupliCatiue .1, vt perfe& explicat quiddicat fei [fecundum omnia przdcata e[sentialia, et hoc pado negat. pofsc probati  priori per alias caufas intrin(ccas, et demon(tratione potiffima;in qua;in ju't,s i ct (appolitum, et medium, Vet ett ibi Scot. potius recitare. feot. Expotitoris, quam fuppre(so nomine authoris ibi innuit, quam propriam mentem dectarate, vnde nezar mateciam cse caufam for-, X conleqoenter quo 1qtid tormale Toti: de.nontt;ari pet. quo4quid matcziale; et tainen potius oppolitum eft vegum, vt cum codem Sco. ofteadimus difpar.5.Dhyf.3.3.aft,2. et 5. eodein mods exponi poceft in Mer. cir. Secundo ad idem atg. ratione. Tam qiiia petercur principium, dad m m.a9. ri medium debcrei d (u3is&o pradicani inquid, noa.a. quod [uid efl pot pet ihiDifp. DeDemorfain, 5 qaritur in cclu(. peteretur t principii. in maiori,quia maius extrem icare1 tur de medio inquid, et tc vt fit vera pre dicatiomedium debet supponere pro sabicto ccl.& fic maior n differret  c6cluf.quz r eft Arift. T2. predicarin. ccluf.demftratiua debet efsc accidens ex. Poft.c.1. ergo nequit efse definitio. Tum 3.dcfinitio hon poteft predicari,ni fi de dcfinito;at (i demon(ttraretur, deberet de medio praedicari. T 4. omnis des finitio immediate cpetit definito, ma xime fi datur per cau(as intrinfecas, crgo. quzlibet e(t indemonftrabilis; Tandsequitur hanc demon t rationem, per quam scitur sabtantia, nobiliorem cfse potiffima, perquam (citur accidens . cot 47 Re(p.neg.(eq.a0n.n.in mia. peti tur principium;quia n eft eadem d. finistio,qu cft medium, et quae concludi nq.1n tmaio.nam ih maiori medium ponit pco (ubie&o diltinck cognito, feu pro dcfinitioae ipiius, in conclutione ves to fubie&am fwpponit pro secontus ca gnito, (icut vniuersaliter definitio, et definitam differunt,non .n.sunt termini sy nonimi,& hzc differcacia suflicit, vt (nc diftin&icerimint, et nc principium petatur, vt diximus disp. 1.q.4. art.2.. nec aus thoritas Acilt. vrget, nan ibi disputatiu loquitur, vt i pscaict se declrat. Ad a. ibi eft setmo de demon (ratione potillima, i0 qua $cipet paTio eft maius exccem ; Ad 5 .neg.alfumptum, nam vna dcfinitio px de alcera dici, vc syllogismus conttis x veris, primis; et rimaediatcs,Xc. eft tas Ciens scire. Ad 4. asuinptum eft veram in eodcm genere ; vt dcfiaitio materialis eft immediaca in gencee macerialis caus. y vel vt att Doctor hi, quatlibec eft iame diata imme atioaesabiccti, quia inter ipsa et definicd acdhil mediat, cui peius conueniat d-fini'to ; nontamen qualibet cl iimnnediataiaynediatione causa. Ad $. jua mu S ex to capite po(fic pee fectior dci demonitratio conciudens de iri is nna concluds pa(Tionem 3 tainetr biccu n sciencig ett conclutio "t pciaciprjs depeadens; hinc quia prim. eipi potilfing nata sunt gigaere certioa en, Qu fr. 1I. De premiffs Damnfirationis.tAtyt.III. 912, r&, et magis necesari notitiam, d principia demftrationis propter quid, idcito abolut illa erit demonftratio pori ffi ma. quz facit fcire pa(fionem De pramiffis Demonflvationis. T premiffas Demltrationis declaremus, ipfar cditiones ett expendendz. LIZIO 1. Poft. c.2. quafdam conditiones asignat pra mi(larum, quaf- dam ver cap.4. et pracipu locutus eft de demonftratione propter quid ; condi- tiones funt ifte, vt fint verz primg, et immediata,priores,notiores, cauz con- clufiohis, propriz, neceffariz, de omni ; per fe, de przdicato vniuerfali, fecundum qud ipfum, et primo;de quibus multa di- ximus 2. p.Intt. tra&. 1. idcirc quz fatis ibi expohita fuerunt; bic precermittemus; fic fe habet prima conditio, quod fint ve t2; ccundatamen conditio cxa&is erit .. mueftiganda;quapropter in duos arc. bc gtion diutdemus, ia primo agemus depinipia et immediatione pribmiffarum, in 2. de ceeteris conditionibus. Sed prius interim corrigendus e(t patentiffi- mus error Ouuied.cotrou. 10. Lg. punc. 4,n.6.vbi aitopus non ce demonflrationem conlare (emper propofitionibus, y funt pet fe, vt patet; inquit, in emontrationc: Omne progrefiuam cft viuens,omnis homo eft progre(fiuus, crgo omnis homo cft viuens, in qua minor non przdicatur per fe de (ubic&o ; quia progtrcffiu non eft propta paffio homi- nis, ed animalis. Profe&o inhoc puncto omnin hallucinatur Ouuied. nam Arift. 1 .Poft.cap. 4. difert docet perciratem elic q neccsitatis gtadum, qui re- periti debet. in propotitionibus demonftrationem inttantibus, adcoquod fi propofico non fit in aliquo dicendi mode ex quatuor,quos ibi afsignat, fit prot(us inc- pta ontrationeimn. cltitaendam, vt fatis probatum eft 2 part. Inft. tract. 1. et in demonflrarione, quam Ouuicd. ad. ducit; falfum eft illam minorem non effe propofiuionem per (e, et przdicacum eius ncn per fe de fbie&o piadicari .f. progrc(siuum de homineynam pcr prim rc- fitio per (e nota;qug difficultas re vera fab dccem pun antepredicamenral quicquid pes  predicatur, de fuperiori  de inferiori Le. neceffe eft pradicari, vnd (i pro- greliuum de anim,li przdicatur. per fe, vt cius adzquata pafio, etiam de homi nc per (c praedicati debet, licet n primg et adzquat,e (ecandum quod ipfum; itaq; hoc explum minime probat i inorem non e(Ie propofitionem per f ed probat tantm non efle f. um d ipum; qui erat v timus gradus nece(fitas. tis in propoficionibus loc.cit.ab Arift. a fignatus, neq; cum gradu pereitatis corte fundi debet, licez enim omnis propofitio fecundum quod ipfum fit quoq; per fe, n ramcn  contr, narm dati poteft pro- pofitio, qua fit per fe, licet non fecand quod ips, et talis cft omnis propofitio s inqua pafio (uperioris praedicatur de in- teriori . Explicatur primitas,  immediatig pramifjarum ywbi de propofitione peremota. Vpponimus cx 2. pini RN E S primitatem,& immediationem n ef- fe duas cditioncs preemiffarum, (ed vn, et nilaliud fignificare 3 przmifas de- bcre cfe indemonftrabiles per aliud me-  CUATRO E mis | Mee &ter qp (ipfis c&nofcarur, vnde pec. (eoo dci t; hinc orta eft celebris illa difficultas intet veteres t Scoti(tas, Thomiftas,t Nominalcs,quid fit nomine, vt Rectiores. eb ietdan pria ia B RERNN crit rius. fit propofie am nota in Bacxh Scoti, deinde. uo hzc conditio competat pre. ae oy pd. im X t cc 49 Circa primam part difficult. not, ex Lich. 1.d.2.3.2. qp in propofitione per fc notaly per fe n lumitur, vt diftinguie tur cotra per accidens,quafi quod cffe no t dicatur de aliqua jppofitione in aliquo modo dicendi e, (ed vt diftingunur contra per aliud itaut illa fi propofito per fe mota, qua non habct eviduam ab alio; hinc defimtur  Sco. 1.d.2.q.2. A t8 clle, qua cx terminis proprijsy. qui. [ung XXX 4 alialiquid eiusyvt funt es, babt cuident yeritatem;ex quo dcducitug non excludi cognitionem terminor quia inquit Do&or, imposibile eft, aliqu propofition nofci terminis illius ignoratis, n fe&unda operatio intelle&us prarfupponit prim,vnd dicebat Arift. 1. Foft.6. prini, ia cognofcimus,inquant terminos co gno'cimus; et mult minus excludi debet ta intelle&ma pet ly pus qua notitia nece(lari efl ab intcllc&u; quare qp excluditur,cft omne aliud, per quod tanquiam per medi moucatur intelle&us ad liciendum affenfum in propofition ill; fed ttatim ac apprehendit terminos illius htionis, vi talis apprchenfionis cognofcat euidter cnexion inter illos, et idcirco ait habere euidenti ex terminis proprijs;addit, funt eius,.i.quando ccipiuntur in co fenfa,in quo ponuntur in' &egrare propofirion illam ; nam termini poflunt diuetfimod eand rem fignificac. f.copfus, vel diftin&?, vt (unt dcfini. to,& dcfinitum,definitio.n.diflin& Gificat qp definit cfuse repra(entat cx diis &is difp.1.q4-art.2.vult erge Doctor, 2 fit propofitio per fe-noxa, cui affent intelletus vi apprchfionis terminor ipfius cognito co modo, quo propofiioncm cpo itat (i terminus cofus zcpraentat, ex cognitione confua iphus enoucatar intelle ad, ffenum, vc ia pw eroi: Doe rs totum eft n L4 e, li i ] ex cognitione inta eliciat iudicium ; non autcm erit fitio per fe notayfi ex cermino conuse sigmficantc conflatct,ramen vt afsctitet intellectus, effet neceffe,g diftin&e conciperet fignificatum illius termini; vt: ptzdicati cuidenter concipiatur coouenire (ubic&to cx cognitione diftinGa cfinitionis, non (officeret aotem cognitio confufa definiti, propofito, in qua przdicatum diceretur de definito, n Het per (c nota;quia indigeret, vt euiden ter petciperetur,alio termino.f.definitionc;qui non effet terminus ipfius, cum fit diuerfus  definito,ex diGis difj.cit. contra AQUINO (si veda), e(fct4; per aliud nota . $0 Hinc n re& Fofnan.afierit in sc, Dot requiri ad projotition pct fe noV, vi [emper ex coguittonc dittuidia tctDif. XIII. De Demenftratione; 5. mnor dcbeat moueri: intelle&usad affenum propofitionis; itaut nulla tit pofitio pet fe nota, qua ex terminis cft s fignifi cantibus conftet. Hoc.n.eft contra ipum Scot.cit. et crra Scotiftas fer os,vt Lich. Tat.Barg.Fabrum, Sti tinch. Vulpes, et alios, clat.n. DoGor ibi ait propofition illam effe pet fe nota, (i ex cognitione confua terminor ftatimcui denter apparcat illor( c manv s de qud diftindt cognofcantur ;im [ubdir qud propofitio,quz eft fe nota terminis confus conceptis, eft  pere nota ter minis dilinQt cognitis,n tamen  cone tt necefum cft propo(itionem pet se notam,terminis dillindte perceptis;effe tale, fi confuse accipiantur.Hzc tamen doris na clarior apparebit, ft dubia, et obictips ncs aduerariorum diffoluerimus. Prim igitur dubitari poteft ex Caiet. dicente, qud cum prima pasio pradicae tur de definito, quamuisilla. io posit per definition probari ; erit. pet fe nota;faltim fecundum fe, lict non qu ad nos;quia definitio,& definitum, i uamui$ quoad nos differant, non tam ceundm rem. Attamen hzc opinio.ex plo(a manct e& di&is difp. cit. vbi oftendimus definitionem, et dcfinit n diff:rre folum rationc ratiocinante (ed ex. fndamcnto in re, et pet conequens nec fccundum rem erit pcr e nota y fed demopftrabilis demonflratione potiffima que cft  priori,& per caufam, nquidc in cognocendo tantum, fed etiam in e((endoscrgo nonfolum quoad nos erit dc mltrabilis,(cd ctiam in fe (pc&araynan ordo cauz in cfendo non attenditur folam pencs noftrum'concipidi modum; vt cft ordo cau(z in endo,quiin -demonftratione  pofteriori reperitur verum etiam in rebus ipfius; vade prinete immediata dicuntur indemonflrabiia (ccundum rem, et  prioriquamuts  pofteriori, et quoad nos fictur ergo quzlibct propofitio priori demonflrabilis erit (ecund rem demitrab;lise S1 Secdo dubitari poteft ex. Mayrcoquia duur. mult propotiiiones indemontirabiles,& contequcnter per fc no" tz; et tamcn non ex appreheniione. tere minorumyvt (unt propoficiones cogat :Q.1LesDepnpifitionper fewua.od.]. -sper fenfum vc nix eft alba, ignis eft cali: dus;Sed tep.faciliter has propofiuones " propri nec cicindemonftrabiles, quia vcr inniue datur caua per (e albdinis, et in igne caufa caloris, pcr quam dcrmoftratione propter. wd luo modo poterit calor de igne,  albedo dc niuc dcmon/ffraci ; ncc iflas propobtiones c!e per fc 'motas;quia non ex apprchentione terminorum cognofcuntur, (cd cognitione (ca ficiua; et cxperimentali, et confequenter: peraliud, nonper fe; vnde communiter ut propofitionem aliquam contia' gentem eflc per fc moram, quia ex cognitione terminorum non percipitur ipo 't cnexio, fcd per aliud extrinfec: nifi "velimus diccre e(fe per (e notas,quatenus ^o "primo (entibus percipiuntur, vt iofra. . Tertio dubitatur ctrca diuifion pro; pofitionig per fe notz, n Thowitla ipsam diuidt in propofitionem pcr fe no-tam,& per fe nofcibilem;vclin propofitionem per (cnoram in fe ; et notam no bisgnotain fe eft, quz nullum habct mcdium; quo polit probari conexio termi morum,tamen  nobis non cognofcitur e nifi per aliquod medi cxtrinfccum;nota nobis '& in (c eft, cum nos apprchendimus conntxionem illam vi terminorum.g duplx;vel.n; eft nota omsibus tm in (ipientibus; :qum fapientiE "bus; vel fapitibus fol, qua pacto Boct. nliebdom. diuiit cmnn animi conce. | gtis&c Acif. x. Top,c. 5:diu'tic problema. $i Iftz diufiones n approbantur  Sco.cit.n prima n cft bona diuifio,0g " ex membris omnin diftin&tis conftarc 'debet, cadem autem propotitio dici poterit per fe nota,cum cft actu cogoitas et pet fe nofcibilis, cum a&u non cognolcitur, qug cognitio accidit propofittoni Sccunda vet; vt ibi explicatur, nec va. let, quia propofitionon folum tormalis, fed t obiecta, vt propofitio eft, dicic ordine ad intellecisergo hi ternum,cx buscttar,no funt apt: ad caufandrafse s,non erit per fe noca in (e$ quaproprec ois propofitio in (c nota pet (c erit et no ta nobis,feu poft;bilis nobis coguolci fi termini ccipertur; acl) nosc ognitis terminis n cognocimur eu:detcr cnex:on, figni cuidens no(ufficcre cogut tionem illam,quam babemus de illis ter minis, (cd requiri cognitione pertectior6 d eric diftincta, illaiat etit cfu(a, et c(cquter propolition ill ex fe no cic' perfeDone Mn: i rit noriu alterius propolitionisex vermit ni$d; (tinct fignificantibus coftce, fi cut.n.tecminus confuse: significas eft di uerus  dittinct ijgnificate candrem y ita propoficioncs ex illis compoti e Nec c(t cade ro dc coi concepiu,& problema-: teni ifia nO dic r,nitr propoficioncs proa babilcs,d n ex terminis immed:at poi pltor,fed ex motiuis et rnib? probabili bus, ende re&:. qd st not oibus, d fapibus try prout magis,vel midus Cuinct rncs:at propdfiuo p fe ngta dicitut talis c apprehlione terminor, 8c I ta fapi! esq infipientes,yt cognocant ill;nccctlarie apprchdere debent: terminos, qui-ftatim caufant aijenfum, fequituromnem. propofitionem pcr. (e: not elfe ti (ap tibus,& ipli piencibus; | ld entiores INcotherici, vt A  uet(a, &:Ruuios hanc. diuitionem alice: explicant; .f. qud rra rt per fe no.: ta in fe;eft; qua conttat teriimis notioribus natura ; per (c nota nobis; quz ex: terminis nobis notioribus omar $i et dicti. coincidere: cdm diu:one illi: LIZIO .dc notiribs nataray& nbis tra dita 1.i^oft, ac8 P hy.cir Sed quuis: recte diuidat Ariinotiora nobis; et natu ra; quia quzdam ordine natutg prius ma ta funt concipisquedam veroordine do&rinz d:cuntur nociora nobis, quia facilus percipiuntur, et uacfenfibiiora ex: di&t.s difp.1.q.6. tamcnin c goreloquen do propofitio per fe notanun poteft cftarc ex netioribus nobis, quiay vt contt4. Mayr. dix:mus;non funt apti ad caufandum aticnfum cx propr:js rationibus, gouus ex cognitione (enuiiciua  et cxpes turcntali inteilectus afienut, vt in hc nix cft alba. d toph Aduerfari] re(put.  rnc propetionis p (e pora lcet des indc 1li admrut. ; hae latis de pro; ofitione per fe nota, vide Fabr. theor.7. &^ 1: fent. d. 14. ci 1. et alios Scoriftas cit. 3 Circa  cr qugiiti partem;an pre mif[z cnionttiraucn:s d cbeant efe 1m mediatg, loquendo ac acmonftrecione po: ITE. 9030 propter quid, eft vna opinio, quod amba pramiffa: debeant e(se immediatz,& indemonftrabiles, non folum virtualiter, fcd ctiam formaliter, demonftratio ver ex folum virtualiter immediats fic demo flratio qua . Alia eft opinio, qud (ufficiat ad demontration pa quid y cx virtualiter immediatis conftare,dummo do dcmon(lrans fciat refoluere principia virtualiter immediata in formaliter indemonftrabiliajita docet Do&or 1.Polt.q. 11. in fin. quamuis non (e declaret ex: pres, an prima demonftratio fit propter quid, vcl quia . Rcs eft facilis eie ji prim .n. certum eft ad demontrauionem poti(sim requig quod contet ex formaliter im. mediatis, et per fe notis, c.n. inbac dcmonstratione ccludatur pasio dc (ubie&o per definitionem fbie&i ex di&is q. przccd.iam rm maior, qu minor erunt immediata, in maior. namq; pafsio dici tur dc defioiwone, et in min. definitio de definito, quz pradicara immediat conuenignt proprijs fbie&tis. Tam quia habere liec principia dicit perfe&ionem .f. independentiam, ergo huic demonftrationi competer, At loquendo de demonflratinc propter quid, in comuni vtraq; Opinio ct probabilis; prima videtor habere fundamentum in LIZIO.nam 1. Poft, C.2. probans hanc cdirion principior ait ex primis autem indemonflrabilibus, quoniam non fciet non babens dem(lvationem ip[orumyfcire.n. quorum demonfiratic cfl, non [ecundum accidens babere demonflrationem efi, quibusverbis videtur innuere principia n per accids fciri debere;hoc eft non per aliud, (ed (cipfis,& tex. 30. docet (ubaltetnatam ci-,, uam demonftrare quia ex hoc ; quod pet . principia fol virtualiter immediata pro" &edit, vt explicuimus dif. przced.q. 4 att.2. ad 1. princ. quo fenu declarauimus definitionem demouftcationis tradit ab LIZIO 1. Top.(pra q. 1. art.1. in fin.& 2,  In(t.trac. 1.6.4. Secda ver opinio e(t is probabilis,habetq;(ugm fundament) in Atitt. n in fine cap. 2. docct aut omnia, aut quzd pri ncipia mclius cognoci cclufione, quia.f.quzd dantur, quz de.dta&u non ccurrert. Dubiigitur Difp. De Demonfiratna j^ fio& talia erunt principia virtualiter iazmediata, nec obcuc colligitur ex verbis cit.pro altera opin. dum ait non [ciet nom babens demonflrationem ipforum i... principia erunt mediata, oportet de ipfis habcre demonfttrationem, aliter nulla effct fcientia; qu opinionvt mag s Scoric, et ccm fecuti tamus 2. p.Inft; tra&. 1.  4.iixt qu dici deberet definiuonem traditam 1. Top. n cle demonitrationis in cmunifed propter quid fold vc innai mus fupraq 1.att.2ad 1. priac. fimiliter fcientiam fubalternam vt fic nomdemonftraresquia, (ed propter quid, quod etiam tetigimus di(p.praced.q.4.art.2. refpondendo ad 1. princ. in fine ; inillis .n. fentenuis. in quibusnon adant rationes cuincentes, non dcbemus determinat alteram : partem fequi . e : $ ubium tamen clie. j,an prim. dpi refolutio debeat i vqrad prima principia vniuer(alifsima., vt st prine cipia mietaphy ficalia quae p polus folent, itant demonftrans non (9reolucte (uas eui hadas vfq; incipia propria indeterminato inne, Br immedata, fed etiam v(que ad ima,& noti(sima, an ver fi ccaer e principia pr  et determinata. E t quidem qud neceffari babens demonftrationem ex principis virtualiter immediatis, debeat habere notitiam tincipiorum formaliter ymmediatorum, quibus illa eflentialiter dependent, iam fuse oftdimus dip.preced.q.4.art.2. T uia in cau fis estialiter fi natis; iri Hos nO operatur, nifi a&u ccurrat (petiorg ergo principia virtualiter 1 ia t Honemom cau(are (ci&tific cclufion, fi principia formaliter immediata, quibus in hac caufationc estialiter cp de ptimis, et vniucr(ali(simis principijs  n &gid. Vcn.intext. 19. et alij t. Oppolitum tamen ett verius, nam ct f formaliter ignoraret aliqui ilia principia, poffet adhuc habere demonttration peculiaris conclaf. fi propria, et immediata principia ilius cognotecrct Tum quia vnica, vel alim pauciisimge escnt demontiraciones pocilsima, tot .f. quot cffcnt ilta vniucrali(sima principia Ma 9. De promifis Demonfiratianis. Aet. 1. 933 emnia alia ab iftis dependent, ergo non polfent contituere demonftration potifsim, de cuius ratione eft habere principia indcpendentia qu ad caufationem concluf. T quianec conclufio,nec prin. cipia peculiaris demonftrationis qu ad cognof(ci pendent cx illis. Dices dignitatem efTe vn ex przitis antcnftratione "pm. 1. T quia explicanstex. $. qua fint principia Das: tomg viae vcio diuidit in dignitates et pofit:oncs . ergo vtrag; cognofci debent ante demflrationem. Tandemquia veritas omnium prinipiot pendet  veritate d'ignitatuch,ergo ad quamlibet demonftration ccurt te debet t vniuer(ali(sima pricipia. Refp. quidam per dignitatemibi exponunt prin M propria, et immediata, vt diximus 5. p. Inft.trat. 1. c. 1.61 ver intelli gturvniuer(ali(sima principia ; vcl ctermo de precognitis ante omnem (cientiam,vl (i de peculiati demonf(tratione loquatur Precognofc debent n formaliter,fed haitualiter,vt f. n ad(ic rodea oppofita inintelle&u ; vel ti adhuc formalis cogeitio ipfor praexigatur ad demoaftrationom, hoc crit, noa quia requicantur ad cauandam conclufionem fed rant quia fi proteruo negarentur. propria princi. pia, nonnifi per iila vniucraliisima proba rentur demftrationc ducente ad impo(fibile; tum quia c in proprijs principijs includuntur contraGa, nam fi verum cet quodlibet aut effeyaut non e(Je,ver quoque erit homine vcl efse, vel non c(seanitnal rationale, et eonfequenter,li quis fcit hominem esc rationaleim (sc vec, (cit quoq; oppofit cse ilfum,& hoc ettyg ali. ui dict principia vaiucralifsuma includi virtualiter in qualibet demonttationc. Ad 1.ibi loquur de dignitate lac6, vt dicit principia cuiuslibet (cienue, in qua dantur proprie dignitates, vt eitloCatus ccxt.a $ vcl lquaur dedemonttrationibus a4: hcioacicis quarum mola ex talibus prac. Js integrantur: veltand qe dignitages. Ingredruntur quamlibet emonitcauiogem contra&tz. pcr terininos (peciuics; Ad 3 .parec ex dictis. $6 Hiac vmnediacion hacu(; expli1tam congcnite. dixigus demonitcauo ni priori, et per caufam ; cceterum fide. demonftratione quia, et ab cffc&u loqui velimus, ipfa quoq; debet habere fua immediata principia, quibus coguitis quic tatr in,nec vltra editur inquirendo in tali ordine cognitionis, al;ter vcl daretur proceffus in innitum; vel c clu(io n cflet (cientifica; hzc ac imme diatio n e(t eiufd ronis cum przcedti, n que conuenit demon(trationi  priori dcbet reperiri in principijs (e ipfis cuiden tibus, et n per alia priora; at immediatio fequifia ad demftrationem  pofteriori dcbet ineffe in principijs euidtibus n p alia principia in ordine cognitionis  pgfteriori;aliter n effent immediata, et talis eft immediatio illar propofition, q  cognitione s (itiua dependet; fenfibus n. omnis noftra cognitio origine ducit uz propofitiones, quuis fint mediata, et demftcibiles  priori,funt t  potcriori indemftrabiles, vt c Sco.in 1.d.3q4. E diximus fupra q. 1.art.2.ad 2.& (i A de (ena Thomiftg intelligt propofition per fenotam quo ad nos, por admi ti ipforam opinio, vt fupra oftendimus, AJMAETIGVLYVS. IL Cater conditiones dilucidantur ^ $7 rtia clitio eft, qud (int prio-, "ES rts,qua Senn i5 ec ad conciuuone:, n aliquid dicitur primum ps nega:ton priocis,dicitur prius per ha itadinein ad pofterius, vade aliqua propolicio eit priina, quia n habet ali prio rem, non ob i] tamen erit prior rc(pectu alicaius cclufionis, vt notat Sco. 1.Poft, q-1. Ac Omme totum ej] maius. [id para te, dicitur prima, non c(t ramen prior refpe& huius coaclaf, ois homo e(tcifibilis,quia non dicit habitudin ad illam tquam ad (uum pofterius. Dicuntur etiam praemii priores, quia cum caufent cons cluiion, przcedunt ipam ex d,&is difp. 11404..j2 conditio uic explicata conucnit eti pramilTis demoaftrationts quia nam itlz quoq; dicuntur cauz concluf, in cognolcendo. LIZIO autem intelligit dc prioritate cauz ctiam in eIcodo, quo pacto folum premiflis demon(irationis propter qu id; conucuiz. Quac632 oS Difp X ETT. De Deiopfiratidie . "Qyiuartconditio eft, qud fint notiores, occafione hu'us oritur dubii; an pre mifit debeat effe notiotes natura,vel no bis;folet.n.diitingui, qud aliquid cft no "tius natarasquia in fe cft perfectas, et independens, et confequtet prius; aliquid ft notius nobis, quod .f. facilius coghofcitur  nobis;quia propinquius cftfenfibus,vel liqua'alia aufa citcaqnamdivifionem dequa vide d. s. Met;q Siart:z(t nor.cp quis Acift.r. Poft. 5. dicat rion eile cade notanobis,& natura, tf hocafcrit, quia plerg;id accidiz,ver poteft iucnire,yt quod eit notius natura ficeti rotios nobis cam .f, facilius cognofcitur au(a, 4] cffc&tus, et e(t de Sole refpectu anflstiar. CU igitur pmiflie dicturdotiores, quia loquitur Ari(t.de demoftratione propter quid, qua cx caufis procelit, intcll.gi debet denotioribus natara  "] qu doq ;sc notiora vobis ; demttrax10 at qriayc Lol proccdit ab cffe&u ; xft es notioribuscobis ad notiora natura. ' $8 Rurfus aduertd, quod pramiff per hinc conditionem dicuntur: notiores concluliode:i.magis& perfe&ius nor quz maior perfectio tripliciter pot contingerc,vel.in certadine, v3] ifcuidentia,vcl ingraduum inten(ione ; certitudo t fima adhafio intellectus oppofita o "formidmi jemdtia cft claritas im cognoXcendo oppotita obfcuritat!, graduum in tenlio cft duplex propria, feu gradual, quz atteriditut penes plurcs ecadus ciuf^dcm'rnis.pecifice, vtalbum vt tria cft intenius albo vc vers vcl c(t impropria ; (cu lubttantialis, quz fumstur i ordine ad plurcs gradus (pecificos ; quo pacto Angclas dicitrimmaterialior anima rationali, vt notant Con:m. ex Tar. bic. Dubium igitor eft an przmila qu -ad hac cria Gnt noriores conclu(one ; upponimus ac cum cmuni rm certi4udinem,qum cuideniram. ffcipere ma gis,& miaus,patet dc cecasadinc,qua c "dicat firmam adhz tionem iaiclletas c xclutione totali tormidinis,potcrit intel as magis, vel minus ficaxiter adhereze, ficat magis, vel arnoc poteft effe imosnurabilits obici. propter plures, vel 3pauxiores caulas immutabilitatis, et magin d minus neceatiz pofignt efie ratincs cflentiendi;cumquo magis,veFmi nus ftat totalis exdlufio lormidinisde op pofito; vt Angelus cft altero immateri fior, quamuis vterq. excladat omn mas tctiam,& amot eft magis, vcl minus in iten fas,licet totaliter careat odio Idem. multo magis patet de euideatia, nam id obictum poteft magis, vel minus clat videri j itemrecolenda funt quz diximus devetitate dif p.10: 7490; finc. Hurt.dip. 1 t. Log.fec.5 . Ouuied. c trou. 10, negt pra miffas effe magis cere tas; et euidtes conclu(ionc. A rriag.difp. 16.Log.fec.3. quem hic feq. Ponc.quai adntittat quamlibet przmiffam polfc.effe Certiorcm,& cuidentiorem concla(ioney iiie effc eaidentiorjnedat ramen ambas effe certiores. Alij apud Ruuium concedunt immediatas przemiffas efTe cet tiores,& cuidentiores,n mediatas. Cis opinio c Sco. q.11. et 13; Poft.admittit przmiffas fimul,vcl fcorfim acceptas oo tiorcs e(Te in his ttibus ip(a ccl. ita rece tiores os, quos longum effet recenfere $9 Dicendum sgitur,praemi(sas fimul vel ngillatim captas esecertiores, eute deoiires,& perfc&iores m ge Von fico ipa ccluone; lo uimuc atit de c clufione,quaccnus conclufio etn quatenus propotitio,.i. vt e(t deducta ex pr cipijs, et ad tertiam (pectat operatione Q 10d (int certiores probat LIZIO ccicicudo concl. caufacur,& cft propier certitadin premilsarumsergo maror cercitudo przmifsar(t, antecprob. quia certitudo propohtionis prouenit ex veritate obiecti ;& ncccfitate,at veritas S6 neccffivas conclut. eft,& caulatur  verte tarc,& mecc(litate premilsarumyconfeq. patet ex illo axiomate Propter quod vni quodq.tale, C iliud ragisy]uod efse ve rum aliquibus conditionibus ob(cruatis oftendimus z;p.In(t.trac: 1.c. 4.qua: conditiones adfuntin prafnti. vcintuc patebistum quia quod cx fe eft raleypertctius habet formam, quam quod pcr ali ud elt talc, quia illud immedianius, hoe n.ediatius;qua r de quibucq. pramnif. fis concludit libet coftderaus. Refp.Hurt.quem fequitur Ouuied.cis axioma illud folum valere io cau(a finali tefpetu mediorum, no 1n alijs a -fion idco ignis cfl calidior aqua ; quia ex fec cali, 5 aqua ver ab ignc, fcd quia nulla qualitas aque operatur intens, ac ipfa cft; ad aliam probar.ait valere de,  agentibus per gradus intcn(ionis, non dc ' agentibus, vt dant efle (ubtlancialiter, (ic (0 7 potett efie, quod premit (int certiores - etticud:ne graduali, noo vcr. fub&tin- ' tiali; et adducit mnftantias,qua (olcnc af- fertr coniraillud axioma. Sed verum effe axioma illud non folam. $nfinc,& medijs, verm ctia in alijs cau- o 7 fisibioftendimus, et praccipu ex ccef- fis arguitur,nzm 1dco plusamator finis, - qum mcdia, quia boniias finis mouet vo Juntarem Contain pc - fedaffen- fus pra mifiar n.ouct imelle& ad affensum ccluiionis, crgo magis affencitur in- tellctus praemaffis,& firmius,qum con- - clufioni, patet concq. quia 6 finis;quia | lt caula motiua,magis amatur,cti pre- 'mifie,cum fint caufa motiug, magis crt crig, Quodaddit de alijs caufis ; prim "ef dabis an qualitas poflit producere ef- - fe& fibi e'qualem,de quo in lib. de Gcn. Deinde hoc adnifl o,deducitur veritas il- 'Jius axiomatis, nam poffctalia reddi ra- tio,cur qualitas non producat cffect z- qualem, nifi quia qualitas et talis (cipa, -etic&tus ver babet entitatem, abilla, et Cfcquenict dcficere aliquo modo debet. - Tandcm fi axioma illud valet de agtibus rh gradus intentionem, valere dcbct de "agtbus, vt dant ctie fbflantialequando Sut caulz zquiuoca, nam li praetuifize sc &citiorcscertitudine gradgali, mult mageeeioner fbtlialihzc.p.(ccund AHuit.fequitur fubftantia a&Gus;fcd (ubl- tiaa&tus prz miliarum cft, petfe&ior actu conci. quia huius eft caufa zquiuoca;quz "sCpcr eftiuo cffc&u perfectior, crgo c. "quod fint przaiiz cauts zquinocz, pater,quia vcl prai(lz lunt immediaia, et "fic cognoicuocut habitu intelletus, qui fpceie aifrguitur ab habitu conclu(. ci- ?que efenuialicer perfcctior;ti lunt mcdiaur, cornofcuniur bapiur [cientiz (pecie | t; men diltincto ab habituconcl.fed quo- | niam habitus: conc]. ab ilio dependet, dc- bcmusin iio arguere maioi pcuctio- x,qumin ;fto,qui pluribus dependet. co Hancioncm decaufis uotis AC- Queft.1H. De premifsis Domonfirat: &rt.II.. 955 riag.cit. ait cGcludere ad hominem c:ra Hutt. n abolut, quia inquiz, non id: o media minus amantur quia propter fiuc appetuntur, nam Deus amat juftum pro- pter gratiam, n tam magis diligit gra- tiam, quam inftgm, fed quia media non haben: bonitatem d:gnam amorc fic inten(; at obicitum concluf. hibet. capa- citatem tctminandi tm cert affenfum, ficut premilTarum obic&um; et fic vniuerfaliter videtut iliad axioma negate. Scd ex ij(dem principijs rcfellitur- hzc teponio, nam obie&um conclutionis,, cum babeat incdiatam veritatem,& nc- ccffitatem, non erit capax tante certiu- dinis, ficut obie&tum przmiflarum, quod immediatam ctinet veritatem, et nccef- fitatem indcpendentem, hzc .n. deca dentia in concluGone arguit ininorcin ca pacitatem cettitudinisficut in medijs dependentia ad fnemargu't. miporcin ca- acitatem amoris,  minorem bon:ta:e, um quia fiquis diligeret Petrum, quia ct filius Pauli, quamuis Petrus (it eiod bonitatis cum Paulo;attam quia motiu amoris cft relatio ad Paulum, quia .f. ct aliquid Pauli, remifior ctit amor Fctri, qum Pauli; quia intcllctus ideo atsc. tit conclufioni, quia cft aliquid przmit- farum, minus afientire debebit coclulio,- ni, qom przmilTis. Exemplum de $tt;a non cft ad propolitum; quia gratia n c(t caua amoris Dci erga iutltuim, fed potius fe habet vt. cffe&us, in quaniii Dcus oc- dinauit hominem; uftum habitu fperna- tural! gratie condecorare, aon .n. gratia iuttificat hominem ex fuinaiura,fed cx ordinatione diuina, vt docent Scouflz . Accedit principaliter, quod euidentia ctt caua certitudinis natucalis,non quad ht adzquata, nam datur certitudo (ine cu; - dentia, (ed inadzquata, itaut quindoad- cit, concutrit ad caufandam ccrcitudn, n ficmius adhzremus ij$, qua videmus, quam qua non videmus, lhcut facilius itta ncgaremus, quam ilia  (ed premiiize (unt eutdenriorcs conclulione, vt conccdic Ar riga,-& mox ptobabumus  crgo func cuam ccraorcs, Sccundo q, fint euidcnt ores; Prob. ijdem ratiombus, quia ouinem clirita ix cuidui coaclufio recipit  premullis, Mdb 934 Tum quia przzmiflz babent perfc&iorem nofcibilitarem .f. per (c; et immediata, cclufio imperfctiorem, quia per aliud, et mediatam, ergo euidentius przmitla cognofcuntur, Tum quia illa propofitio eft cuidentior,quz vcl cft intgitiua, yel magis ad it accedit,euidentia,n.cft cla. ta obie&i y: deoria, et inuito, vnde cla. rius cognofci mus rcs fen(ib:]es, qua notiores nobis di cuntur; qum infenfibiles, et fals negatur ab Hutt, quia res fcnfi- biles nemo negauit, Deum autem aliqui neg:uerunt, quamuis ex fenG bilibus 1pfius cxiftentia concludatur, qua ratione hzc propofitio Deus efl n dicitar per fe nota nobis yiatoribus, quamuis euidenter fciamus res (cnfibiles cffe;ergo quia principia funr per fe nota, vcl faltim accedunt immediatius principijs per (e noris,quam conclufio,erpnt euidenuora conclufione, Tandem de. perfc&tione. eflentiali ma- net cx dictis probati quia przzmi(Iz funt cau(z zquinocz conclufionissde quarum ratione eft, qud fint perfc&iores effen- tialicer cffe&ibus, quos virtualiter con- tinent; nec obftat, qud fint partiales ex concuri intelle&us ; quia contideramus ipfas inordinc ad obiedia  nam obic&t premifarym, quod cft vnio medij cum extremis, eft caufa obiecti conclutionis, ^f: vnionis exipemorum, ergo obiectum conclufionis erit imperfeckius obic&o przmifiarum, Tum quia intelle&us quic quid cau(at ip concluf;caufat vttoscundatus przmiffis, De perfectione graduali etiam oftenditr, quia regulariter caufa zquinoca non canat. cffe&tum in inten. fiori graduqu (it ipfa, vt lux vt tria non cauar caiorem yt quatuor, cd potius vt duo ergo fiafenas przmiffarum cft vt duo, conclufionis ailenfus erit minor. Vc rum cft autem, qud aliunde poterit affco(s conclufionis imendi.f. ex maiori conata intelle&us;cx imperio voluntatis; hoc autem eft de per accidens, In oppof. arg.1, quod. aon fintertiores, aut cuidentiores; Tum quia eodem modo vnitur extrema cui mcdto in premiflis, ac inter fe inconcluGone, im eadem vaione, quia vniuntur inter (c virtute illius principrj Qu funt ead vui tertioy[ uni cadem inccr (e, at vbict cadem Difp. DeDemonflranoge, vnio, et idem obic&um, eft cadem certitudo, ergo &c, Tum a. vn:c eft motui, et obictum formle in fy!logifmo; et conclufto,inquit Atriag. refpicit pro obie &on folum extrema cncxa inter fe,fed ttiam cum medio, ergo nullum difcrimen certitudinis. Tum 3.nequit affignati caus fa haius maroritatis, fi,n, pomtur ;enmee diata connexio. tciminorum, fit peutio principij,hoc-m. quaritur anex ea orias tar maior cctpitodo, vcl euidendaas 6 pas nitat minor dittatia  lumine int ett filtum, quia lumenintelle&uale no fe habet vt corporc, minus illuminat obiectum remot . Ti 4.tam eft certum Chri (tum efle tibilem, qum ine efie ritibilem; quia illa eft conclutio Theoloica, quz cft certior principio naturali, um 5, cclufo ex princip;js fidci dedue &ta no ct incertior ipfisprincipijs aliter non eflet de fide, de cuius rat/one e(t, babeat fummam cettitudinem, et go idcm dicendum de conclufione matoralt, Refp.ad r.ncg. codem modo, et eadem vnione vniri exicema cum medio, ac inter fe,vt aduertit-Amic. tra&. 26.difp... q. g.dub.s. art.7. nam ynio cinmedii eft immediata, X 1 cft mediata, et dependens;neci cipium oppofitum docet, im f cum medio affignarur pro caufa vnionis extremoruminter c, deducitur effedi ueram ynionem. Ad 2. diximus difp. ed.q.3.art.2.cum Sco.in 3.d. 28 inh. d.23. D. aliud efe obie& formale conclutionis, et przmi(far, quamuis obie&um concl. quc conclu(ionem includere uma doner xps vt vem d mus 41/0. 2. Ad 3caufam cse 1mvery gh As .conncxo' nem terminoram, nec ob id peti cipium, quia iam a([ignantur plores-rationes, cur lec immediatio caufct maio rem ceruindinem, et cuidentiam, vc fuse diximusin prcb. conclu: zum uia. lict lumen intelle&us non 6t corporeum, t men negati ncquic, quin difficilius attin Bets qua magis diftt primis principtjss qum quz magisaccedunt, vc patet exe perienua, et ideo. Ic habet quati EX sd quia vnto ndeat prgmiffis; ne laca a orporcunAd 4-fi lo-;uimur dc ifia gom mjfteria fidei : non  diuerfis actibus (pec ificis s (ed ciu(d peciciy quia idet ltsbent obic&utn for. M. "f reaelationerm diaibam,at conclus . D peemifiis Demonfrationisss4r.1T. 9 3$ fofitione Chrift us e(t ibilis, quatenus e(t conclufio. eX illo ptincipio naturali horno eft tiibilis, c(t minus erta;at fi confideretut,vt e(t propolitig fimplex de fide, potetit ec cettiot, fed fil ad rcm,yloquimur. n.de ptopolitione s vronclufio cft, non vt propotitio,, Ad $.tieg.parits ex Scot.3.d. 13. D. quia 4 i i feticlata non cognofcanones liaberic. dierfum obic&urn e trialc  priticipijs, nam principijs iotcl br er Y tetminoram apprelicns fione;conclafroti vet ex ynione cxtrefiorm cum medio tguarm ex tnotiuo, et cx ip(a vnione formiali cxitemorum anquam ratione formali Que; turti quia tion implicat liabere minorem certitudi| erm de conclufionibus dcdu&is cx pria ipijs reulatisyac de ips ptincipijs nam de iftis [iab   ittimetio per . diat, de illis liabetc cogeitio difcartiuentef  fide irtimediat n auata, (cd mediai, et vi luminis nataralis intclfetusjvnde petrinit nod ad fi. dem;fed ad (cientiam theologicam, Sccda ad idem ex Artiag. iffa m fat certitudo iti premiffis, et nonin celaticaa fic poffet explicari s vt fi num  duobus effet negandum, potias ncgatctur Condafio, qum aliqua prschitiatum, qua deilla minofem hiabemas cerfitodincm ; fed hoc nequit teperitr inter affenfuim pramiffarum, et coocl. etgo equalis eft cetcirudo in oibus ; mia. prob, obus cxcinplis,ptimum cft, in hoc f51logifmo Deus jl Jumma veritas, jed Deus reuclauit je e[Je fmmam veritademyergo efl jumma veritassocqait dicis pe (1 neganda elet aliqua verita ex illispotius negarctar cclufto j quia bac fl ead cum maio. sfn efl in (yi ogifmo partieulari,n fiin. premis (citur os homines eic rationalescx quo deducitut Fetrit eife ratiogi videtur impoffibi le tino  habete ceccitudin de cocl. ac de remiltsyitavt potius ncgareiut. cclu fyquam pramiffz,ca.n.1, 'o,gs quis cft Ccctu5 ones homines etie rationales, et Pes  (ub ly omn, includisenuscf cua eodem tnodo Pettameffe catonalem. . Refp. n tect maioritatem illam EXPLICATI pet pole vcl non potfe negari, repugnat eniai conclufionem negari, (i x premi ffis veris tete infertur, melius dcclatabitur. ex maiori ncceffitate, et itnrediata tetminorom Conncexine, at fi velimus loqui ex hypothc( impolfibi li, et tanquam pet fignuar  potlctiori y pofsumus admittete modum ill  loquendi;qutenus minor cetitudo e(t in conclutionesquc in ptarmiffis; non quidem vt propoitiones ill fur in modo, et figura di(pofia, (cd vt confiderantar in (e ipfi$ 5 vide minor cettitudoeft in hac ptopofitione Petrus cft rationalis, qum in ilta eft rationalis ; quia mitior nece(fitas.( atediaia, (cd vt (unt in fyllogi(ito difpo(itz, ncquit negari coclutio, quia (imul fiegarentut ptzmisz cx hoc, qud fe liabent vt caufa 4& effectus ; nec inferasergo eadern neceffitate (unt neCe(sariz jquia adliuc (lat, qud veritas c cl.fit mediata, et mitius ticce(saria ; (icut pofito decreto Deisqud nc fit Petrus $ necefsati exiftit nec potctit negati Detrum efse, quim etiam negetut diuinung decretm, et tarnen non eft eadem ncceffitas immuabilitatis li:c, et ibi : (imi litet ex omriipotentia Dei infertur polli bilitas creatura,etfi hzc negarctat, auferetur t Dei otpottia,ex quo falso de duccs cd aeceifitai, et obictiu certi tudin cle in antccedtis et cfeqnenti . 6$. Tertio Arif. 1.Po(L.c.2.in fait e( fc magis creddum, aut omnibus pfificipijssaut quibutd,ergo n omnta st cer tora. Tum 2.conclutio aliqudo eft (enfu nora, vel pluribus denmonilrauionibus, tgo in his catibus exceder. Tum jiprzmilse demougttrations propter. quid (ci trt demon(t catione quia, etgo impeifcGius,mam pcrfectior eft fcientia propter qid qum fci&ia quia. Tm 4.fi mins cuidenter conclufio (circtut, ita vt ad dimimutionem certiudimis pre milsat mi nuatur certitudo concltandem e(sct deuerieadum ad conclaf.millius certitudi. ni5 uia f fittum pecsblation fmiti cort faivitut. Tam $.poset conclutio ptobabilis cse intefior feientifica, fi ex inten fionbus przuiffis dcducereiur, et fic peces 936 erfedtior. Tandem axioma illud nvale in caufis zquiuocis, premisa fant caufi z:quidocz conclutionis, ergo &c. Rep. LIZIO ibi loju: de perfe&iori afsen(u, quj dicitur intelle&tus, quo fol afsenti mur princip: js immediatis, n nesauittam principia mediata etiam perfctturs cognofci  qui1 mdependentius, quim conclafio, lict cognitione fcientifica altcrius fpetiei. Ad z. patet ex di&is nos loqui de conclufione, vt. pendet  pra m (His; tum quia non cscet ead for maliter conclofio,fed materialiter, quia al variationem mediorum variatar. Ad 3.cum principia  pofteriori fcitury habent rationem concl.quomodo aut poftiat dcinde afsumi pro principijs in de monftratione propcer quid dicemus q; ftq. Ad 4. non magisconcludit, qum (i tormartur contra oppofitam ferr. fiu alit minor certitudo concluf. (iue zqualis,pofset minui,ergo veniemus ad nou. Ccrtitadin; quar dicims tal diminution ticri p partes proportionales, ficuc ;n. diminacione certitudinis pmilsarum nperuenitut ad n cerritudinem;neq;in diminur/'cne certitudinis conclufionts ; nam in diminutione datur. procefsus in infinitum ex diclis in Phyf.difp. g.& 10. tam in gradibus etafdem rnis, quam diQeriz rois, Ad f.esct per accidens pet fct:ior, (cd efsenualiter imperfe&ior,ficut cogniuo fbftancz, vt duo,elt acci dentaliter imperf&ior, et c(sentialitet perfctior cognitione accidentis, vt tf1a, Ad 6.refpodct Sco, qi 13. Poftquod qu iis sib proprias,& fpecil:cas rnes n fint [Xopri cparabilia principia, K cclulio nes, quia conclufo eft (cita (cicfice prin cipia vec per hab t fiaperior,attamen vt conttentunt in c6muni cognitione cec ta,& cuidenti, pofsunt comparari,  de ipiis vc (ic verificatur illad axioma. Hac do&rina eui fao modo applicati pt przmi(fis demonttrationis ab effe. &u, n quu siuxta ordin obic&or pfc&iot t cclufio, a'tam in ordine ad noftr cogaition  contra tes fc habet, ne tc perfe&tius cogaofcur effectus, et ! s Btreuiter igitur de hoc nouorcs dicaatur refpectu noftri 65' Quin conditio dy Gcex caufis fa "ire cs licata 2p. Init. tfacT.C 4 tbi Difp.XIT. De Demovfrating s 7^ contra Adtic.o(teridimus l'ufficere caus fas virtuales, quod poteft colligi ex Sco. ros 7. A. et I. vbi demonftrationes co vocat propter quid;idem habet q 3 prol.& alibi;fus et et fupra oftendimus s quomodo cau(z potlint effe medium de monftrationis pro viseniM ibas inlocis declarauimus fextam coaditionem . od lit ex proprys, Reliqoge quo3.co ditiones (aus dilueidarz manent in  pe cit;c. 3.& 4. vbi fecandum co; opin. mentam Acift. patcfecimus, nee occurrunt niti difficultates qued aioris momenti,quz paffim apa Do&k; videri pofsunt, f eft aot. quod (icut dantur propofi tiones de omni. poterio rifticocum/f. praedicatum e om niibus contentis (ub fbiecto,& feimperg ita dantur titiones de nullo rioritico,quando praedicatum nulli cone tento fu fubieco, et nunquam tit, quz demonftrationi-negatiua: uiunt. Ruras ad demon(crationem potifsimam primus, et 15 modus (a lainmodo n erp tioni propter quid,vel quia cti alij mo di prt Polsuntj& ren modo intelli gendus ct Atifc. cum r. Poft. 10. nega dlios modos prater primum, et fecund ese demonftratiuos, et Scotus q. 164 Poft. car idem docet in fent. Lincon. | QvAsTIO-V. De circulo Q^ regre[fademonjivatiuo  66 (^1 circilusin digore (amatur;efc fije S cies fyllog:(imi  regrefsu. diftins &a,at (i fafa acceptione, (ic erit genas ad circalrigoros,& regrefs, vodc (yllo ifmus citcalaris dici folet, dequo. Arif. 2.Ptio c. .& Sco.ibi q. 4. diciturque ir^ cult;s n ablolucd, fed in. habi ad aliqu prior fyllog fmt, co qud reuettitur ad aliqu premifs,  quapror e logi(nus proce(sit, ficut motus circula tis,qui fit reuertdo ad illud, vnde venit tnobile ; quare q; huic circulari fyltogi( m9 cuenit tahqu gencriserit m ci tigorofo, & regrefs. can qaam fpe pendemus;dcindefpeciesaperiemus. ' $yllo $ lnosita ue circularis indt Duafr LV. De cireulo, t vegre[fu demonflrat. 937 Scor.cit, ft ex conclufione, y conuerfa vnius premijiarum alterius pramiff illatio 5 ex quo elicitur duphcem procfsum, feu fyllogifmum interuemre, c circulariter blogs  et fecundus (71logifraus eft, qui circularis dicitur in ordine ad primum, in hoc primo arguitur  przmiffis difpofitis in modo, et figura 1n fecundo  conclu(tone primi cum pro. pofitione conuertente alterius. premi(sas ad inferendam aliam premi(sam in codcm modo, et figura. Hinc notat Arift, ibid. vt ex veris procedere poffit ifte fyllogifmus, et concludere, debere fieri ex terminis conucrtibilibus; rat;o eft, quia wiia przmissrum debet. conuerti conuerlione fimplici (non alia conuersione, aliter mutaretur quantitas, vel qualitas propotitrionis, et fic non eser in eodem modo ) vnde fi termini non cfsent conuertibiles, propofitio conuertens non cfet vera: exemplum, omne rationale. eft tilibile, omnis homo eft rationalis, ergo |. emnis homo eft cifibilis, fit fyllogi(mus ircularisin Barbara hoc modo,omnce rifibile cft rationa!e, omnis homo eft rifibilis, ergo, &c, in quo concluditur min, r conclufionem, et conuertentem maAoris primi fyllogifmi; vel omnis homo ct rilibilis, omne rationale cft homo,crgo omnc rationale cft rifibile, concluditur maior per conclufionem, et conuertentem minoris primifyllogi(mi . Deinde docet Arift, an posit in qualibet. fizura circulariter fyllogizari, et in quolibet modo, et dat has regulas, prima eft, quod in modis particularibus pr mifsa vniuer(alis on pt circulariter (y logizari, quia non concludnur vniueralitcr, nift exambabus prami(sis vntuerfalibus, & cx puris parricularibus nihil poteft inferi; .. Secunda eft, in modis negatiuis pramisa afficmatiua non pt circulariter oncludi; quia przmifsa affirmatiua infer tut ex ambabus affirmatiuis, illa: autem in caf ambz csent negatiug, ex quibus nil re& lequitur, vide Tar, m expofitionc textus :& hac fatis de genere... 67 Corculus, et regre(sus dcmonftratiuus fuat [pecies itus (yllogi(mi, differunt inter fc, quia circulus proccdit seper 3n cod demoniirand. genere,.f. priori rs roo de t et propter quid, feu per caus; quod pt prim contingere vel in diuerfo genere cauz, vt cum ex caufa finali o(tendimus. caufam efficientem, et deinde ex cau(a cfficienti probamus finem, fiu? cum ex for ma inferimus materiam, et ex materia 2 formam; vel (ecdo euenire poteft in coenerecaufz, vt cum ex cau(a mate riali infertur effe&us, deinde afsumimus effc&uin pro medio  priori in genere  materialis caufig, et concladimus caufam materialem;qua prius erat medii, et hoc dupliciter, vcl .n. concluditur eadem omnino numero caufa,vel cadem (pecie. e grcfius autem non procedit in codem ge nere demonftrandi, fed diucrfo, n ynus [yllogimus eft demonftratio quia, altct demontratio propter quid. Vterq; at tm circulus, qum regretfus poteft dupliciter fieri, vt aduertunt Conimb, Aucra; Blanc. et Io. de S. Tho. ycl qud cenclufio afsumpta pro przmif[a nonaliter fit nota;nifi ex vi prioris fyllogifmi, in quo ex pramifsis fuit illatay& hic difcar(us dicitur circulus, vel regref(us vniformis,formaliter, et propri; vel ud non folum fit cognita per priorem yllogi(mum, fedt alia via, itant cum loco przmi(sz fubftituitur, fit alijs modis magis nota, ac quando erarconclufio,&c hic difcurus dicitur circulus, aut regre(fus difformis, matctialiter, et improprie quia non rcucctitur Dn pero notitia, ad uam per priorem ogiimum peruetiUa es ; fcd ab alia perfc&tiori apugr dari Circulam admifernt. Antiqui LIZIO 1.Poft. c.3. ponentes omni demonftrationem, et (cientiam,itaut ide re[pectu eiufdem eset cau(a, et effeQus, notius, et ignotius. Ex oppofito Niphus 1. Poft. com. 3 j. referente Amico tract, 16.dip.1.q.4. dub. 1. omnem refpuit circularem demonf(trationem, fiu in code, fiu in diuero genere caufz . fent. admittitin diuerfo genere cau(z ; at Alex.3-q.nat.c.5. Apollin.q.18. Poftar, 2. et Aic. cit. in aliquibus ealibus concedunt in codem rc, nontamen ine ki ror Sere uplures, aut lale Fesler neta 2M qu Dir im tanquam e vt Neriet Vgo Senenfisin open A d We Yn Lt 95$ Cal. Communis fenfus tm veteram; tei rccentioram a flirmat dati regreffum,; 8 viilem effe in fcientijs;lict fit aliquod di fcrimen,nam quidam volunt;tunc vtilem efic regre(fum, (i demonftratio quiz precedit, dcmonftratio propter quid (abfe2 quitter jit Caiet. Bald.& Aric. quidam, vt Aucta, docent (erbper vcilem effeyqa lifconq. Precedatdemonftraro. Dicimus prim; nequit c: rcules in oibusadmitti,fed in a!iuibus, ram in di: ucrfo gcnere, cuam in eodem gcneresnotf tamen in ijfdem numero rcbus. Prob. r. qp non dctur circulus in omnib. ex Atiff. 1, Polt.c. 3.& 2. Prio.c. 4. vbi Scotasq. 4. nam fi de omnibus poffet dari circulus, im quelibet prz mi(fa e(fet circularitet demonftrabilis,quod effe fal(am oftendi mus (pra cum de fyllogifino circulari'loquercmpur, et przertimimn Ferro mulla pramiffa poteft circulariter demonftrari, nn maior, quia vniuerfalis non infertur ex patticulari, qualis ett minor, neq; poceft minr inferti,quia affirmatida noa deducitur ct ngtida, qualis eft maior y folu ergo ia Barbara, et cum tetmini st onertibilcs,poffant amba pramitle cir ulariter deduci. Tum quia n quodlibet eit prius, et pofterius natura,caufa, et cffe&us, notius, et ignotiusmatura repe&tu eiuldenm,etiam in diuerfo genere caufz,quod efTet nceffarium, ti de cmibs darctut circulus, ha in ifto femper proce. ditur demonttrarione propter quid, et on(equeuter  priotibs, et notiotibus tura,&  caufis, . 69 Sccundo, d poffit admitti circulus m diuero gcuere caufit, patet exdidbis -14rt.3-vbi cm Arift.o(tendimus pofc vnam definitionem vnius pericris desnonflcari pet aliam altrius genctis de. 5 dcfinito, et  contra; X findament habct indicto Arift. 2.Phyf.5o qud caufg fnt (ibiiauicem cau(z, quod, quomodo fit intelligendam, fuse explicuimus difp. S. Phyf.q. t.ar. 1. vbi hanc mutuam caulalitatem, lict non fecund exittenti caufatum, (ed (ccuridum diucr(as cones po: fuimus non(olunin diacro genere. caaMz (cd &in code, dux12do aoa fiat ez 1 rp rods geacte caulz mateia generar vaporj& ex aDifp. XT TT. De Demonfraitohe 5. pore pluia, vt ait Arift. s. Poft. 1$. et 7 de gen. 68.:tem a&us in genetc efficitis caufz caufant habitum, qui effe&iu cot currit ad proda&tionem alioram a&uum: in eod t genere piper calefacit ftomacum; et  ttomaco per alium aumero calorem calefit; ex quibus manet-probata u vItima pars concluf; Qaod autem aliqui . ref; ree ini his non efe perfc&um cicb calum, uia non regreditur ad eand tumero caufam,& in eodem genere; parunt refert,quiz ficconficiunt queftionem de nomine; fufficit, vt vterq. procclus fit Ld ad quid,: L Dices dmonftratie eft vniuer(alium, afas addu&i d caufis ad inuicem in eodem 'fubt particularium, mp ^3 queant de illis cnfici mds NE LZ circularcs.Refp. etia de illisca s ficiunturvnier(ales propotiones, nan cum vaporeft medium ad inferemd pluuiam . fpponitpro ommibusvaporibus, ex quibus fic ; vel eft generata plouia generabitur, et plutri fupponit pro illis, quz ex vaporibus funt: tg,velges nerabuntut; idem  coatr dicendam, ct. vtimut pliuiapromedio s 0 9 7o Dicimus fecundyrgretfuseft pof fibilis,& vcilis (ciccijs;ita Soda iA &q.;.prol.ad 3;primc.vtmocat P. Faber tlieor. 9.claris z.Prio. qu4t et prob.ex Ae "rift. 1. Poft.c/re.vbi dit duplicem demorm flrationetn qua, et propter quid, et ait tp quando tetmimi fant reciprocispvfiett rrantitus de vri ad aliam; affett exeunte plum de aof feintillatione planetarum y qua  priori probatur per effe prope nos, et  pofterioti demonilrat plametarum | Wesen maiden cioe n D atim Lunz,&ipfiusfphernwafgurajd docet c. 5.& 1; PhyCc. 1. vbi dat modum 1 inaeftigandi ex. tiotioribus nobis notioranatura quando fiz (unt immanifeltioraj& 8. Phyf.5 2. ex motu zterno probar, &teroiratem motoris, et tex. $3. x 2ternirate mtoris oftendit miotttm ccecnum; T.d a.1 t .docecex notitia e(lenciz nos deuenire in cognicinem accidentium y et ex cgaitione accidentium in motidam eifentiz; r. Phyf.6i.ex reram corrptibis Ditate deasonttrt exiftentiam materte y, 0 et rdiGewcr.exmuteria priosdem ^v ca(cow. dre Qufe. Decireuloseregrefudemonfratiuo. 912 monftrat corruptibilitatem. Tum quia a poflibile c(t Bra epe nobis notiores uam fint propriz cauz ; crgo poterunt posa cus ani quia inferce. (uas cau(as ; dcinde caufas cle.notiores natura cogni-, tione diftin&ta:, ergo per ipfas poterunt propter quidconcludi eHiedus.Efl etiam vtilis, quia hac yia ab. effc&tu. ad cauam eftnobisinnata  natura, vtait LIZIO 1, Phyf.c.1.& 1,Met,c.1.& nonnifi hac via ex notioribus nobis fuerunt adinueniz cientiz ; quare.fi deinde non liceret 1euerti  caufa ad effc&um,nullz, vc] paueiffimz darentur cienuge propter quid. Tum quia per regrefum  caua ad. effe- Gam, vbi. prius crat cffc&tus nobis.con- fus notus, et per fen(um,fit cognixus di- ftind, et (cientifice, vnde alias proprie- tates poffumus deinde de effe&u inucfti- garc; qua prius 1gnorabanuur.vt. clarius x concl, feq. patebit, (155 hn. 04 ^71 Dicimus 3.neque citeulus, neque reflus vniformis, formaliter,& proprie potlibilis ; fed difformis, mateyialiter, et impropri;ita colligitur ex Sco.1.Prio, ] 24. vbi vt vct fupponit fyllogifa cirtula tem debere procedere. ex. przini (Tis megis nous, gn prim fyllogi(mi fue- tint cogniig;& al:js locis iofta cit, Prima pars,quod non ufficiat in circulo vcl re- grctu,quod procedat ex cclol cogni t ivi prioris (yllogifini, cft Acitt y. Pott. :3. hocin.probt rnessquas coutra circu W adducit; Tum quia idem edet nouus, et ignotius relpectu ciu(dem,;& per (cipfum pede ndaMs prise not Pai prima conicq;- prob. natn quiliber (ylio- gimus: dcbet; procedeie ck iae cud cx dictis q. prac. att 2, crgo conc], primi fyllogifa erit iguotior, et qualibet pra mila cec nonior, (i autemin circulo; vel regre(su aliqua. przmiffarum probare tur per conclufione;n (olam vt cognita vi ptioris fyllogumi siam crit notiory& prz mifsa iila 1gootior., &. hoc eadcm. ous nino notiria;qua prius nosccbarur n. tam intenss Secunda concq.et; patet, quia fi przinisa illaa in rcgreisu noiceretug a concl.primi fyllogiin: t:ju3 per cau im faltim in cognolcendo, qua conc. in p imo iyllogifmo cognofcitur per. eand [ rzmifsam tan uam per cauam i pco baretur in fecundo fyllozifmo. per feip- fam, esetq; (eipfa ite nod oUd. n.cft cau(a caulz ef lo...  Ncc valet illa refpfio,quod poffit idc efie ser prieneii rius, et poflerius in diuer(o gencre cau Mig tius., Sc ignouus in diuero ordine c cendi, notius v.g. nobis, ignotius natra.Non va lec, hoc .n. impugnatur quod n poffit in hoc cau idem habere rationem cff:&us, et caufz: pam fi conclufio vr cognita p primum fjyliogi(imum non habct maiot cognition,non potcft c(sc caua cogna fcendi aliquam. przmifsarum, nec in codem, nec in diuerfo gencre caufz,quia vt fic eft minus nota, et vt poset demllrarey deberet perfcius cognolci, qu praemisa demon(lrabilis, Tum quia cogni tio,quam habetonclufio pcr prim demonftrationem, cft cogn tio mediata, et  pofteriori fi (citar demftratione guias ergo vt Bic cognita non potcft in rcgressu vckcirculo propter quid. inferuire vi pra mifsa,quia pramifse in hae dcmoftzas tiont dcbent cogno(ci cognitione immediata; fi vero prios (citur demonflrauonc propter quid, cogoofcitut cognitione. dittina,& minus, qum prznfsz, ergo vt fic cognita non pr asumi vt prgmna in demont ratione quia,in qua P mifiz.fnt pot;orcs conclufione cog tionc cnfufaj& quo ad nos, . ou 3 Ex lispatet probatio. fecunda partis conclu(.f; qud concl a(sumpta in circus lo,vcl cegtcsu, debet perfctius,& aliundc cognoci, qum fit per prior demons ftrationcognita Scd valde difficile eft explicare, quo pacto conciu(io.illa mas gis fciatur ;. duo tamen modi poterunt a(; gnari ambo x Scoto deducti,qui fe r in vnum coincidint. Primus mocus docetur  Sco, 1. d dias E. vbi dechis,quo pacto (citur oclufioncs, nquit;quod pt baberi expe ritia de ccl."(.quod eclypfetur Luna, et tunc per yiam diuifionis  et refolutionig inquiritur caufa, qua via dcuenitur. qfq. ad princi pia nota cx termjgis, et tunc ex tali principio potcft conclulio prius tia experientia nota ceruus cognofci.f. icienHhc : fcinquirendo causam eclypis potcft dcucniri ad hoc principium pet. sc au edd ue, M 940 gotum,g opacum interpofitum inter lumino(m, et perpicuuim impedit luminis mulciplicationem ad perfpicuii, et ( pcr tzcolutionem inutum fucrit, gj terra cft tale corpus interpo(icum inter Solem, et Lun;cclyptis (cictuc non folum cxper: tia,(ed  pp quid.Ex qua doctrina clicitur hic proccifus in regreilu, vt prius co gno(catur confuse effc&tus.(. ex pericia, quod exiftat. Secundo re(olutori inucnia tur caufaabitrahendo ab hoc, quod tfcus (it, vcl son fit in tali (ubic&o. Tertio demon(tr.ione qua pec effc&tum demonftratur caufam efle in tali (bieto, et totushic proceilus ett coafulus, Qam cffc tus cunc dittinct cogno(citur, uando per cauam fit nctus, coufus vccum via fenus percipitur; caufa etiam confus ccgnolciuur quia (olm (citur, qued iit, non quid t, Tandem poflea  priori et diftin& ctfe&tus dcioonftratur Cauam, qui regretlus e(l necetlarius y t habeatur cerifBiina cogniuo,& (cien'fica de rebus. 73 Secundus modus innuitur  Sco, quo!,7. A .vt oprim aduettit P. taber cir, explicans .n. quomodo poflit aliqua vert4s de ce&Gu c(fe euidens ab(q; eo, qud cognof(catur propter quid;inquit, quia propter quid mon babetur. a fenfu mfi me diante viieriori cognitione y quibus verbis infinuaui, quod fuse poftea delaravit Zab. I.b. de regreiiu cap.4-& 6. videlicet, quod prim demonttracione quia probetur caua : fecund non ftam fiat pem. fed paul;sper iuxa maiorem, vel minorem inrclletus petpicacitatem (0 Wtlatur in cognitione diiin&ta cauz in oct Ee ei igando viterrori cognitione, et alijs ijs quid fit caula, et qualis t conacxio um cffc&u,que cognitio ent perfectior, quam illa babita per. demooftrationem qua j et tandem poft hanc axcntis nego tiationem fit demonftrauo propier q:4d; quito voluit fignificare 5cot. cum Pcit. dixic per diuftonem quandoq; ledeniri ad principia nora cx terminis si. inuenta caua, et circa (p(am negotianDifpX 11 I. "De Demonftvatione 3 ta. Hunc modum obfetasuit Arift. nam t. lhyf. ex generatione inucfligauit. exifteatiam materiz, deinde aijs inedijs perfe&ius aperuit naturam materiz mulcas patlioncs declarando, vt qud 4 fit (afceptiua contrarioruin, quorum na tura eft mutu (cexpellereab eodem ( bie&to, qua rationc materia modo ett (ub. formaunodo fub priatrone, qua candem ^s dittincta cogmuonefupoficad prio: de I montirac? de Gen.matcriam cilc cau(am 3 tran(iutabilitacis |. Et quonia: v. pluris mum praecedit cognito effcctes contu(a,, idcirco regularicec regreius fica dcinous ftatione qui 2 ad demonftiauonem pros pier quid 6 vcr prior citet d: movft a tio propter quid, et deindc ctlcctus co gnofccretuc non (olum ilia cmonit; aio ne,ed e periencia, et contuccodimc, nom erit improbibile poc tunc nci rcgref(um ad dcmonftrauonm quia, vamus prior ut frecuenaor,& potitzccgniaeni acconiodatior, X Quoddi& cft de caua et effc in tegreijuydic endum cc de duabus inute cem cau(is in dirculo f-.qud caufa aiiume pia pro media in cir.ulo prius hijs vijeperfc& us cognofcacur, aat habetur de ar cognicio immediata,nam caula vt c a immediate debet cogaofu, lict vt ef fc&usiwmmediaicognofcatur. Ex liis patet; quomodo rationes Ari contta circulm non ofliciant noftre fent. non.n ie-uitur idem eodem modo cogat tum eflc notius, et ignotus, prius, et poflerius,aut per (eip(um probari eademta tionc, vt dedgcebatur ex regreffu vaitormiy& totm.liter, (ed ol idem vno actu cognitum etle norias cognicam alio actu, et vt fic potte efle prius,vel pofterius, c, qua ratione hic dilcurus diciiur circus lus,yci icgrefsus maucrialis, quia. rcuere titur ad eandem matcriam, ille ver dicitur formalis,quia eset flio non (o lumad candem rem,ed etiamad eandcca cogniioncm formalem, videte Ll. Fabium cit. qui rationes in contrarium foluit ex profeso, j ad B. wes Zi Urt at x Q To AY De Syllogifimo Topito, ) Elencho. "e^ rllogifmm in Communi [epius docuimtsvatione materia. 6o diuidi. intres fpecies, Demonflratiuum J. Topicum, C Elvbuia:sy de Peu fatis egimus n duabus precedenibus di[p. tm qu ad effeium, quem parit, qu efl Scientia, qum qu ad inatcri amy ex qua confici debet 5 roflat pro complemento buius operis de Topico y C Elencbo. pertratiare, qud in bac f^ vica difp. abfoluemus correjpdene libris Top. Q Elench. Pt autem exatla babeatur cognitio de bis fyllegifmus, duo effent inue[ligandaymaferia ./. ex qua componuntur? cffelus quos producunt; de materia fuse diximus vir peri e domne uis vt aliqua de ejeiibus Jubiungamus seffetlus ela $yllogimi Topici,eft o inio, $yliogi[mi Elenci y v pparentis esl error; quorum, vognitio maxime confert ad cogmtionem fcienti&,cui opponunt uryerror p.ex  pofito.contrariatur. fcientiey opinio ver ( cum mediet iater errorem, G fcientia), erit oppofita vtriqs ficut colores medij comtrarij dicumur extremis dnm sa QyZsTIO L AR ait C'quomodo  frien(ferat. s Ari habitam opinionis amIA Y bigit nemo,& probat Arift. d A iplc r.Pott.c.24. quia peea.ter. propofitiones. necetfarias dangr et contingentes, fcd he oon poflunt cogaofci per (cientiam, vel habitum principiorum  cum obicc&ta horum habicaum (int propofitiones neceffariz,. vt in (uperioribus vifum ett, ergo cogno cantut per alium habiti  qui dicitur opiio; clar aucem apparebit. difcrimen inter (cientiam, X opinionem, cam cxplicatum fucrit, quid tit opinio, &in quo cius formalitas contiftat: Arift .cit. text. 44.cam definiens. inquitquod cft exiflimatio.i affcnfns immediata propofitionis,  nonnece[Jari&; procuiusdefinitionis intcll;gentia sciendum ex Arift.ibi, qud (icut in propolitionibus necellarijs duplex a(fignatur habirus, vnus, qui dicitut intellectus, et verfatur circa propofitiones i iimediatas;alter, qui verfatur cira mediatas, et dicitur (cicntia,ita eti in propofitionibus contingentibus duplex ali znari debet habitus opinionis, vnus, qui cicca mediatasalter, qui circa lmediatas propo(itiones ver(etur. Rat: eit, vt norat Io.de Mag. 1.Pot. q.vlt, quiae Loga. ficut datur ftatus in przdicatis effentialIbus, ita et in accidentalibus, et ideb cum 1n carum probatione non deueniatur ad. propofitioncs nece(farias, quia cx neceffario non fequitur contingens, perueniemus vtiq; ad aliquas contingtes primas y ac immcediaras, quibus affentiamur ex probabili connexione tetminorum, qualis eric hzc, Omnis mater diligit filium y ifla n. in (crie contingentium ab omnibusacceptatur, vt vera; aliud exemplum affert Io. dc Mag. fed nos commune adduximus. [taq; iba defin tio cfl opinionis fime difcuru, non ac illius, quz cum dicurfu. habetur, qua rurfus eft duplex ; vt ait ibid. Io. de Mag. propter qui, 8 quia, ficut,n. notitia alicuius ncceffati accepta per propofitiones neceffatias inmmediatas dicitor (cictia propter quidyaccepta ver per mediatas dicitur quia, fic cti notitia alicaius vcri contingentis accepta per propofitiones immediatas, SC contingtes dicitur opinio propter quid y accepta pcr mediatas dicitur quia . 3 Vtigitur. prafata definirio poffit ap plicari opinioni per difcurs habitae, quae [cientia corcefpondet, loco propofitionis immediate ponenda eft mediata, vt in fumma dicatar, qud opinio di(curfiua cfl acceptio propofitionis mediate " nece(fari& m (i non (pecificetur, qu propoliuo ft mediata, vel immediatacss Xyy 3 Difp. XIV. De Syllog.Top. em Elec: d cfinitio conueniet ojinioni io communiad vtramq, et folet (ic pa(imab Auoribus explicari, qud Opinio fit cogui tio, fex ajJcn[us determimaims alrevius partis contrad.Clionis cum | formidine alterius, per hocs qud dicitur cognitio, vcl ailen(us,conuenit cum fcientiay& alijs noiitijs neceffar;js, per hoc, quod dicitur determinatus; fecernicur  dubio, et fuf pt ione, quia dubitans in neutram partem dcclinat fed manet anceps,vt notat S. Th, 2.20:4art. 1. ffpicans vero, cto mags in vnam part propendeat, qum in aliain, quia tamen Icuibus mouetur inditijs, et conic&uris,ide non aifentirur li detecminat, at vcr opinans, vt pot innixus magis vrgentibus, alter! part! determina. 1& adhzercr Quia tamen adhuc ilta deter. minata adhazi;o non cit ita fixa, et (Labilis, vt fit (inc vlla formidine alterius partis, pet hoc fecernitur (cienria, que ett finc vlla prorius formidine; cuius r cft, quia et x natura obicti, circa quod vetfatur,quod eft necetfarium, ac impoffibile aliter (c habcre, et etiam cx modo, quo &irca illud verfatur nimirum cum certicadiac, et cuidentia atfeofus fcienuficus ita fe habet, vt inuoluatar in eo virtualiter in lufm iudicium de impoflibilitate (ui oppotiti et idco eit adha(io detecminata ad alteram partea fine focmidine ;  contr ver quia Opinio, aut verfatur ircaobiectum variab:le, vt fic, ac potens 4l ter (c habere, aut (i ver(atur circa obietum nece(farium, non tamen modo neccetfario quia vtitur ad. illud medio probibili, et dialeQtico, quod potcft in probatione deficere, ideo formidini (em, ec obnoxia efl, aut cx vno, aut cx alio capite, itaucib alfenf opinatiuo faltim vittualiter, inaoluatur iudicium, quod vcl ius obicctum poteft aliter (e habere, vel medi quo vtitur a probatione deficere, 4 Scd hic dubitari folet,anj& quomodo dcrauione opinionis fit tormido de parte oppotita. Katio d ibitandi ettjquia propofirionibus conctingenubus immediaus aifcotunar abkque. vlla formidine, &c ctiam quibulda. hittotijs, rm quida fuis opinion bis ita firmier adhrcnr, vt Dppotias proifus falas exittiment., vc cucai ier .1ta5, et Scoullas, atqi ita notauit Ari(bipfe 7.Ethic;c;3 Aces dit, quod formido auferre wA eee minatronem ad alteram partem,fi ergo talisdcterminatio cft de clentia opinionis nequit efe formido. Hac de caufa lic Io.de Mag.loc.cit.& Tat.ibid. tenct formidinem cffe de clTentia opinionis, c Camerar. nuper q.14. Log.alij tamen Sca; titt, vt Mair, 344.24. q.vn.arc. 6. X Bat. . fol.q. 1. Prolog. quos fequuntuc Recen. tiorc$ quamplures, oppofitum doct, a(fecentes. formidinem per accidens. intcte dum aliquam opinionem comitani 4 ormia rum vcl cx difpoticione recipientis mcd. fic non adhzrendo ficaitec, vel ex aqua. litate rationua ad partes opiqatas.  aliquo alio accidenti, ait Biol. addi . Mutr.fotmidinem cffe derauoucopinioe nsfae,nonauwemwetg. A ( Ceicrm, fifi Scotiflz (revera velle videniut) intendant ngste de rationc opin'onis cfe,vt vel at ack | ter anncx, vel (alti aptitudi ) midinem de pacte oppolita, (an audien. di non (aac ; quia ita det difer i inter certicudioem (cienaz, et proba tutem opinton s,quod cert alio m ignari nequit, nili dicendo, quod fciti; ctt cozn tio quz ex (uo genere, et cX m tura obicbi circa juoiverfaur, SXxmodo, quocirca Mad vecfatar ; eft i A x falficatis, ac proinde etiam formidi partfoppofita, et op. mo contra e gmrio ex (uo geusre, cui potett fubetfe tallum,quodcftit etiam de ipfaopinios nc vera, fi, n.talis opinio. verfatur circa Obic&tum coningens, cfto quatenus vera includat conformitatem cum eo hic, et nunc, tmen quia obiectum eft in fe variabile, poterit illa cognitio ex genere.  fuo, et ex obie&o esc falfa, etiam vere fccur circa obiectum neceffarium procedendo ad illad per mediam probabile. s eiiamli dicat conformitate cuin co, adhuctamenex modo procedendi Fr c(se falfa, uia inedium, cui innititur, licec. (t probabile;non tamen necesario vecum $ ergo opinio efttalis cogmtio ex gencre fuo, vt (i nG ictu (emper habeat anncxim r formidinem, illam tamen babere potcits quia um cx obiecto fuo, tum ex moto procedendi poct illa [ubc[sc fius Nc valet) MN LEE. Sf L Quid fic qalet, qnod a:t Ba(sol. fyllog:(mam topium cx genere (0 non generare opinionem cum formidine, (cd cum adhzrentia conclaoni opinatz, qutum fieri poteit ipfum. Non valet, nam pcrconramur, prie (ic hec Grmitas adhz ionis,vel.n. 'aciagit neceffitatem,vel non,fi primum, :ergo  scientia non diflert, fi fecundum, ergo abfo'ur loqnendo, et ex genere fuo potett illi flbe(se altas, atq; 1de fyllogi(imus topicus generat opimienem cum a&ualiformidine, vel (altim cum aptiudinali. 6 Exhis ergo concludimas formidine 'aptitudinalem efse paffionem opinionis, qus oritor ex nacura afscnus opinatiui, qui ex (uo genere calis e(t, vc nunquam at tingat certitudinem, et firmitatem actus fcientifici;per quam dtaxat tollitur omnis formido.V erum tamen cfthanc aptitudinem impediri pose ne exeat in aCt | ^e E va capitibus M: inger ex ici tamen poteft przerbo oh quia lict fandametum a(sensus (t cx (ua cond.tione incertum; et fallibile, tamenquia multis experienajscomprobatum chenditut, ac vt ver in plurimum, idco acceptatur fineformidine,hac ratione abfa; vila fafpicione deoppofito alsentimus propofi tionibus contitigentibus immediatis, vt quod macer dligit filum, ac cti antiquis liitorijs, quiavt notat Do&or quol. 4. $.De primo, lict humanum teftimoni ex (ua conditione fit fallax medi ad a(fentiendum, etie tamen portet tot homiwm autoritate firmat, vt in nobis pafiat certitdinemquandam morale, qua de cau(a inquit Aug. 1$. de- Trinit. c. 12. et t2. Doctore ibi relatus abfir, vi fcire nosnegemus, qu& tefiimonio didicimus aliorum, alioquin nefciremus effe Qceanum, nejciremus effe terras, at wibes qua celeberrima fama cmendats eadem racione prudens Scotifta, vel Tho milta poteft tm validisfundamentis (u ftabilire fententiam, vt moraliter fibi fc- carus ir de fua opinione, nec cimeat de oppofita. Porct ctiam hoc in'erdum accidere, vt notat Tat.cit. cx temeritate, et m tte fgpius videm? quof dam indo&tos finc (afficienti, ac (ol, e inia . fundamento ita pertin1citer fiis a1hzre- re opinionibus, vc non opinari, fed vec fcire przfamant, et oppofitum :d:ccnt prorus impoffibile, quod cert procedit, aut ex ignorantia, aut ex voluntatis pertinacia, cuius indolis funt Haretici, qui fua fal(a dogmata tm vera cxiftimant, ac ipfas fidei vecitates,yndc potius ex tam. pertinaci adhz(ione dicuntur Haretici, quam cx co, quod haiitenc in fide : talis quoq; iudol;s erant Philoophi, de quibus Acift.loqucbatur 7.Eth:c.c.;. et hicopinandi modus non tin dici debet opima, dues temeritas, et przsiiptio, vt inquit atar. Quamuis autem formido modo redeclarato (it de. ratione opinionis inc tamen non fcquitur tolli in opinione determinationem ad alteram partem,eti& Quando interuenit aGualis ipa formido, quia hoc eft proprium dumtaxat dabitacionis, vel (ufpicionis, vt diximus hoc igitur folum efficit formido, quod quia a(sen(us determinatus alterius par tis non et cum euidcntia, et certitudine, fic afscntitur determinat intellectus pae ti illi,vt iudicet formaliter, vcl virtuali tcr ob.ectum illud probabile pofse aliter fe haberc, vnde proprie formido tollit firmitatem afsenus, non yer determi nationem. 7 Inoppot. obijc.quod formido nihid per featcincat ad opiaionem, Turn quia pt e(se opinio de aliqua corlufionc nccefsariacum nimirum proceditur ad ca.m per medium topicum, (ed in tali opinio. .ne nequit efse formido, quia talis conclufio nequi cse fal(a,ergo,&c. Tuin 2.cri in probanda conclufione contingent: elt aliquis actus, quo incclI:ctus coafidzrat ise fitionem efsc veram, nom Daikdusndo ccsdiqoi un et talis eit fine ormidine, quia nonrefpicitoppofitam efse poffibile, et calisactus cfl opipatiuus, cum ex ipfo generctur opinio, Tum 3. poteft angcti opjnio non a:igm tata formidine, multiplicaus .n. rationibus probab;libus augetur opinio, et mi- nuitor formido;ac incertiiudo, e: 9 hzc ad illam non attinet . Tum 4. a&us opi- natiui no. corrumpunt fcicotia, nam Arift. zp eandem probat conc iio- nei rationibus p ilibusf, et n cef- Yyy 4. bj 9 44 farijs,ergo funt fine formidine, quia for- mido non flat cum fcientia . Tum tan- dem;quia negatio certitudinis, et euiden tiz,quz cft origo formidinis, non ctt de esentia actus opinatiur, quia nul'aas negatio eft de efscntia alicuius pofitiui qualis cft actus ille . 8 Refpondet ad hzc omnia Tatar. cit. dub.2. ex Greg.q. 2. Prolog. art. 4.(ed vald perplex, conuictus .n. argumentis admittit quendam habitum medium innominatum inter opinionem, et fcicn- tiam, quem nec ipfe intelligit, nec. dcclarat. Ad r.icaque dicitur pose efse opinionem vtiq; de cenclofione necefsaria, non tamcn cognita vt talis, quia per medium probabile non poteft attingi, vt necesa- xia  fed attingitur vt vera, abflrahendo  conacxione neccsatia, vel contingenti; et quia medium non c(t necefsatio yerum, ide lict per illud afsentiamur -;Obic&o in fe nece(sario, non tamen cum tanta firmitate, quanta requirit obiect, et hinc relinquitur locus formidini : tum etiam quia lictconclutioni in (e nequeat fbefse fal(itas, poteft tamen fubefse.  ex cocapite; quo deducitur ex medio probabili, vc in fmma fit dicere opinio- nem de conclu(fione necefsaria pose talfitatem fubire non cx natura obic&i, fed ex modo procedendi ad eius probationem, vt ditam eft,' Ad 2, probat tan- tum pofse opinionem reperiri fine a&ua- liformidine, quod concedimus, non tamen fine radicali, et ayritudi;ali . Ad 3^ parner conclud.t de formi ine a&uali quz co mapis minuitur, quo plurcs affz runtut rationcs probabiles, radicalis ta- men fcmpcr inuariata manet, ncc tolli potcft per multipli cationem tationum.,, probabilium, (ed (olam magis, ac magis impediri, ne exeat in actum. Ad 4. pendet cius folutio ex fcq. art. pro nunc di- catur probare cantum de a&ual. formidi- nc. Ad vit. illa negatio circumfcribit nobis differentiam quandam potitipam, vt, pa(Tim in alijs multis euenit, 9 Quia cum opinione magnam habet affinitatem, non crit abs re. aliqua dc fide 1n fine huius art. (ubtexere . Fiaes igirur cfl ajfenfus determinatus alierins parus propier auclorkatemycz teitimo- ese" Vt Difp. X I1. De Syllog/Top.eo Elenc. P "adhuc tamen deficit quoad euidentiam, nium dicentis; quia ver duplex potett effe ceftimonium, cui creditur, diuinum s vel humanum, feu cteatum, vt etiam Angelus compleGtatur;duplex quoque fides diftingui (olet, humana .f. et diuina, (cu alio nomine naturalis, et fupernaturalis, aut etiam infufa, et acquifita, vt loquitur Scotus qnol. 14.6. De primo intet quas efto plura ponat difcrimina, hoc tamen potiffimum eft, quod quia Deus eft tee. ftis infallibils, ideo diuine fidei nequit fabe(se falfum, vnd quoad certitudinem accedit ad (cient ram, im ipfam fupetat et claritatem, vnd cam definit. Paul. ad 4 Heb.11. Fides est [perandzrum fubflantiarerum argumentum nonapparentil, ob certitudmem crgo. infallibi - diuma fecernitur ab opinione, o fcuritatem annexam  fcientia L^ ks A vcr  contra humanum teftimonium. falli poteft, et fallere, ide huma dci poteft tubese falfum, v oi maiorem habet cum opinione affinitatem, qum d'uina, quade caufa Arift. fidem hanc (diuinam cnim non agnovit) frequenter vocat opinionem, et ! cum alio cfundit 2.de An.157. t. cap.1. 4. Top. loc.67. et lien: ca, quz ad opinionem deferuiuni fctlocum ab su&oritate. Hoc tame huc difcrimen netatur inter ne nam;,& opinionem,quodlict vttag; imnitatur motiuo probabili, 5d tamen inter | c(t, quod opinio innititur motiuo intrine / feco, .(. conpexocum obiecto, fides vero extrin(eco.f. teftimonio ali ho modo conftitaunt- duo genera, vel.fpes cics habitus formidolofi . 10 Sed obijt nnullus fidem huma n n pofsc proprie opinionem dici, quia hamana fides poteit attingere phy ticam certitudinem, aut metapbylicam, curnee quit fubcffe falfum, nunquam tamen opinio, Frobatur a(sumptuanam alsenus y quem pra bemus lute propa eni dac jU  fl, videtur certus euam phy ce; &. nontantum moraliter, eo quia non po- trant ; etiam pbyfc loquendo, tot ines, touuc Geculis affiramace ; quod Roma cft, li cc, vcra nou csec. Ac 1ftud ditum bcae rcfclht Arrag.in fioe Logs cQa4- Quat. I. Quid fit. opinio ; e fides. onftat .n. omnem a(senfm humana fi- dcnitentem, etiamfi omnium hominum au&oritatc fulcitetur naturaliter,& phy- fic efse fallibilem,cfto moraliter fit ccr- tus,quor .o. hiftoria ntur in vna re- ione certilimz, qua tamen negantur ab alijs? imo quot hiftoriz ab omnibus fcriptoribus traduntur vt certi(Timaz:, quas tamen nullam prorfus habere (pe. Ciem vcritatis demenftrat ingeniose, Sc- cundus Lancellotus. Abbas Oliuetanus in (uo opufculo Italice con(cripto Farfa/ loni de gli anticbi Hi(lorici ; qug magis trita, ac decantata, qum illa de Hotatio Coclite, quod folus fapra pontem totius Etrafci exercitus impetum fftineret,vn- de Petrarca cecinit Horatio fol. contro To[cana tutta, et tamen meram faba- l csc oftdic (edulo loc.cit.id Au&or. BL "S QE SLiO lI. | Wn fcientia,  opinto poffint e[fe ap wl de Acces 0. If "Y T omnes hic tr no:t pro intel ^oc V digtia;quefiti difficultas mouctur non dc folo obic&to incomplexo, et -remo:o, quale eft fubic&um conclutionis, fic .0. conftat. dc codem (biccto . pofle fimul haberi (cieniam, et opinio- nem fecundum diuera pizdicata:, qui dc illo ottenduntur, (ed de complexo,& propinquo 4.de eadem conclylione, et difficultas eft, tum de atibus, tum dc... habitibus ipisifcientiz, ac opinionis . autem in hac cclebti contro- ueria mulie foleant. recitari fententiz, celebriores tamenad quas cater: redu- cuntur. funt duz ; Prior acgat tam de actu,- qum de h:biwu, quz communis ct inter homittas:, et Scotiftas cumza corum Magif(lr:syid.n.apert docuise . videntur D. Tho. q. 14. de. verit. art. 9. ad 6.& i. Poft.lec. 44.& Scotus in 4. d, n. A epi cxpresa Arift. [cotentia 1 -cap- quai proind (equanrur Themift,. poit.ca.4s.ibilop. com. 13 y. Auerr. Com, 201. Albert. Lincon. Ve- nct. zgid. Fundamentum huius fent, u- mutur cx ipfa repugnantia iater cuidca- tiam et ineuidentiam, cecucidiaem; et Inceritudiaem circa candein vericatem, t oT 945 quia asenfus (cientificus eft iudicium  quod rcs non potett aliter fc habere, ur natiuus verb iudicat. eandem posc ali terc habere; perillam plene, et perfe- & determinatur intelle&us; et manct omnino: conui&us circa veritatem propofitidnis, pcr iftum ver non conuin- citur;catione iliius eft omnino certus, et firmiter adhzret conclu(fioni, rationc.  Alius e(t incertus, et formidat deilla et tandem alter cft euidens, et alter ineuidens: et quia illi habitus iauicem repu- gnant, quorum actus funt re pugnantes, idc ex tali a&uum repugnanaa deducit hzc (cotentia etiam repugnantiantas habituum, non. (olum naturaliter, fed etiam fupernaturali:cr, et de porentia ab- folutazit videre eft apad Cplut.qui pro hac fent. cirat omncs Thoiniftus d. 20. Log. q. 4. X apad Cametar Log. pro cad omacs Scoriftas (upponit, 12.^Alcrastdaffirmat per diueca media vnum,(. demonflratiuum, aliud vero probabile pofse de cadem conclu- fione ri fimulfcientiam, ac opinio- nem,ita Alen(.3.[.q.75. meinb.3. D. Bo- nau.3.d.2 4.art;1.q. 3. Ricar.5.d 25. q.. 1, Argent.q.5. prolog. att. 2. Mar lil.art.3. et alij Vctercs, et Recentiores quamplures recipiunt Hurt. difp. 10. de Anim. fec. Atriag.l.(p.6. fec. 6. Ouuied.. conu. f de Anim, punc. 3. Amic. trac. 27. Log. di(p.2.2.7.dub.$ .& ex noftris Balsol. Mair.(upracit. im et Tatar. ipfequam uis priorem proficeatur featentiam y ait tamencx itla non fequi contradi&orium illud, qubd aliquis tii;ul afscntiatur cum formidine, et (ine formidine, nam pct [cientiam: afsenutur (ine formidine, et per opinionem cum formidine, hac autem duononrepugnant, quia id fit per diueros actus, non per cundcm. Funda: mentium poti thium huius (eut, ett. ipfa experientia, et confucta praxis probandiconciufioncs, ex qua (c argnit. Mair. cit. imos faic lhiloiophorum d.fci;ulog in(tcucre per auctoritates. j X dici aliorum, SB is per cacioncs probabiles, ad que poft modum ad tidcrun: rariones deinonilraUua$: et ccr.umett, quod per auctoritates, et rauoncs probabiles non pratcndcbant facere cuidens,. quod o. cbant, 946 Cebant, fed tantum creditum, et probabile, et poftea pedetentim ar&ius imprimere pcr rationem demonflratiaam; (cd nunquid (ait Mair.) per demonftracioncs deflrucbant fidem, et opinignem, quam antea dicipuli conceperant de eodem a(fero? nequaquam, quia tunc fcuftra, et in vanum illas adduxi(sent, ergo (cien tia,  opin o non folum de poilibili, (ed et am de facto, et regulariter (e compatiuntur in codem intelledha. 1; Dicimus tam, a&t opinionis non pose fimul haberi cum a&u fcientia de eodem obiecto. Hanc conclufionem tenemitis cum priori fent. lict non cum tanta rigere, (icut ip(a, vt cx probatione conftabit, quz vt facilius deducatur, no tandum opinionem pofse (ami dupliciter, Vt conftat ex di&tis quat, prec. vel vt hibet contingentiam ex parte obieti, Circa quod verfatut, et tunc cft, cum verfatur circaobiectum, quod in fe et variabile: wcl pracis ex parte modi, quo citca obiectum verfatur, et tunc cft, um veratur circa obiectum necefsariam procedendo ad illud medio probabili, non necefsario : et in hoc fena rurfus attendi poteft, vel vt connexa-cum a&uali formidine, vel vt cft fine illa, iam 4n. diximus pofse interdum ab. actuali formidine feparari, quocunque auc modo (amatur ex his, inueniemus non bene fc compati cum (cientia citcaidem obieQuin: vt patebit di(curreno per fingula. 14 Sieaim primo modo fumatur, vt ni mir contingtiam habet ex. parre obieijomncs fatentur, et fateri tentur pror fus IMPLICATE, qud (imul cum (ciencia fit dc codem obie&o. Ratio eft, quia fcientia petit obie&um necesarium, et inuariabile  ergo cum opinio? hoc modo fupponatur haberc obictu m continges, et variabile, plan repugnant in codem intelletu refpctu eiu(dem obie& is quia tunc idem obictum eset, et non efset nece(s rium, &intelle&us simul, et scmel affirmatrct contradictoria de codem, ham pcr asensum scientificum iudicaret catum cum subiCto necesari baconaexioneun, per opinarijum non habere neceifariam, sed coacingent, et hac cit ratio qua probauut Azt, 1. Loft. Am Difp. ... De Syllog. Top. ex Eleme. cap.vlc.opinionem in hoc sensu not. efse cum fcientia compaubilem, quia tunc (inquit ipc) idem intelle&us (imul exi (tiaviret, qud resalitec le hberc em et qud ron poreft aliter fe babere. INec tuat dicere, porsc intellectum vtrumq. affirmare per diuerfa media, et per hac tol: coatradi& oae n. Non iuda!, quia iud  parte rei prasdicatuin ft. necesati conncxum cum fbiesto, vel noa acccsar. co nexum, n pendet ex med'a cognof(cendt, (ed ex med o efsendi, talis namque vel taiiscoanex:o. jxaedicati cum fabie&o no pendet ex med.o, quo cagnofco, sed ex ip(a intrinfeca caufa inhzrcnti vnius cum alo, cum igitur fit femper rna, et eadem, nequit pet vid medium modo contingentem ot modo necesariam per aliud, Accedit, qud opinio accepta hoz primo madd tendit inobicctum ex narura fa con:ingens, et variabile, ergo nequit intelle&us. ad tale obic&tum procedere ncceifarium, quia conclufio contingens tali medio nequit oftendi, nam hoc. modo capiendo opinionem; obie&um opis nabile non ct (cible. 2. I ro Lr opinio n alio ii pro afsenu obic&i necesarij per medii probabile cum annexa ioi, nimirum non penctratur neceflicasobie&:o per illud enedium, fic etiam IMPLICAT opinionem cum fcientia con(iftere de codem obiccte, fi enim intellectus rem eu:denter pouit ita cse, et eft o certus per afsenum (cientificum ; qe modo formidare timul potetae ita (iC 2 Rurus de rationc (cientiz eft, vt tollat ab intelle&u omnoem focmidinem, et trepidationem, ergo nequit fimul cum  conittere opin'o. cum &uali formidinc 1 Ncc bere dicebat Tarar, nullam ex hoc fequi contradi&ion,quia pet fciene tiam asenticur (inc formidine, per opie nionem cum formidine, atque 4$ noo eundem atum. Naus formido, &c ecuritas, fcu certitudo intet e ocn terrepugnant, quantumcunque ex diuerssis actibus vei it ergo opin:o habens. annexam actualem formideea nequic csz cum fciencra, quz fecum: as defert (ccurita.emiz Acceditqud Taur. LE Quktliodo Jui) gdspw]mefml. oar Tatar. inuenta (00d plures aceeptant Recentiores 1. xn ad (aluandam contraditionem de cffs&bus repugoantibusin eodem (bie&o pet folam forinatum pluralitatem elfet idoncum, poffemus diccre non repugnare ctiam natataliter contraria in (ummo :n codem f bic&o, vt v.g. calorem,& frigus in aqua, a(ien(um, et dilfenfum in iniclle&u ; et velle, ac no!le in volantate rc(pectu eiufdem obiecti ; (i .n. hinc inferatur contradiio ex repugnantia effectuum in codem (ubic&to ab ils formis: procedcatium; ftatim dicetur non esse contradictionem, quia illi effectus sunt ad ucrfisformis, et quod voluntas amplctitar Obiecttum per volitionem, refpuit illud idem per nolitionem etc. quz. ceic doctina totam cuertit philosophiam, na ex effectibus rep igaancbas in codem fabie&o confueaetunt Ph lofophi: deduce: ibilitareim formarum, vae pr j Si Tatac. ergo admittere volebat fcientiam, et opinionem eife de eodem obic&o compo(lib lem, pouus debcbat dicere fcientiam in cali cau impedite actualem forinidinem ab opimiome6ob quamzepugaare videntur ; et de opinione in hoc, vel primo (en(u procerationes r. fentent. 16. Si alio cand modo fuma'uc opinio nemp abfolut, pro affeniu probabili, pracilo actuali form dine, :n quo da ntaxat fenfu docent A actorcs 2. tent. poife confi t-re fimul caa fcientia,. probacur adhuc, falin naturaliter, X regulariter non poe ttace jiinul, nam vt in uic Dotor cit. 3. d. . nol. ad 3. princ. cum idocuntar nicdium. probable, et demontratiuuim ad cantemconclafionem, fi bcne percipiatur v.s med;j demonttra tiui, nuilum affcn'um gcacrac aiiud inediuin, et vcait Doctorsdulecticum nibil faciec unpeditaim  demonftiratiuo, vclut  cau( for: 0:1, et longe efficacius fuadcnie Vi& conuincence ; quod etiam no taut Tarar, cic in boc. quart; quam rati0a bza pro(cquitur Auerta dilp. Log.(ec. 4. dux m. inceilectus cordc n rau one conainc;ruran cognolceenda aliqu: veritit eneg git potlca raoncs pro bioiss,& poacouupeentes, nccab eis LE UU TA. moueri dignatur; ficut fi quis ad al.quod Obie&tum vidcn um poffet vi lumine Solis, vtique e. iguz cand-lz luincn contcuncret ; et qu: dem conflat, qud ti ad aliqua per fe. nota rationes inducantur prob.ib:les, nullum in nob:s caufant affcnfu, ecgoidem dicendum cr.t ictuata proportione, fi inducantur ad faddam vertaccm jam dcomontratam, et hoc etiam notauit Greg.q.2 prolog. art. 4-ad 3. Qui et am ratione probaiur. conira Qul:os non po(fe in rali cafa ex medio opinat.uo, et (ciencifico elici vnum, et eundem a&um, ftante en:m cuidentia teiv-lex ipfistermin s, vcl ex medio demonftraciuo, prob.bile non mouet intel lectam, nec ad cundem a&um affenfus, nec ad dittiactun . Ln fi mnoueret, przftaret. dicerc moucre ad. diftiactos fi. mulco npo(fib les, qum ad vaum, et cundem, (ecic, et nunero, quia afsenfus fzient ficos. et opinatiaus d.ftinguuncut fecie cx tuerfa ratione af(senueod:, er ^ fi intel Sus refpicit intali cafa duas rarioncs afsentiend. diftin& s, et ab vtri; mouctur, cl'ciet daos actus fpecie diftin&os, et non vnum, ficut oculus vi. dens fimul album, et nigrum, elicit duas vifione[pecied (tinctas, et non vnam ; quarc mal fibi confulunt illi AQUINO (si veda) Temistio, . qui in tali cafu, cum adhibetur medium nccesarium, et probabile, n concederent actum opinionis, et fcientiz csc &mul, concetserunc mcdium probabile, li. ct fe (olo nequeat asenfum (cientificum producere pofse tamen cum confortio neccfsarij ficut qui fe (olo nequit atcol'e rc pondus eus vircs excedens, potcit tamcen aitcrius conforuio, et licccalor vt quatuor ncqucar producere ignem, po tcft tamcn iunctus cum calore, vtocto, Mala dottin. peiori exemplo confirma t4 nam virtus caloriS,vt quatuor; et vt o&o.non dff.r .nt fpecie, fed tantum fes cundum ;nag 5,& minus, ac etiam vftrag ieuaiua tant ponderis, vel tanti, vnd li intendatar talis virtus per gradus eiafz dcm rationis, tandem cffc&um attinget ; at motiuum probabile, quantumcungs crccat m ethcac , nunquam tamcn pere tingit encrziam dea dire: iy:, cut Opinio, quan umcun.; in: endatur jet ra EH * Uopcs$ 3e. mde . Difp .. De Syllog.T'ep. eo Elen " tioncs probabiles, nunqu attingit (cientiz certitudinem. Scd vnum, et cundem a&tum;qui (imul 6it fcientia, et opinio, ex sumedijs (ciegti fico, et opinatiuo fimul concurrentibus elici non pofse, adhitc magis "onftabit cx dicendis di(p.6. de Anim. q. contra Hurt. Artiag, Ouuied. et alios ARecenttores, Mancat ergo nihil efficere rationes probabiles poft demonftrationem, nec quicquam moucre intellectum ad di ft in&um,vcl cundem a&tum, nec magis cor:xoborare eandem fcienttam, vcquidam aiunt; tum quia innullo gradu pofsunt atungere certudipem fcientiz : tuns uia cum cx fuo genere fit noutia certa, et  rma, non po:cfl ex motiuo probabij (uapte natura labili, et fluxo maiorem fnerc foliditatem poteft quidem in1elicctus. demonflratione imbutus cogno(cere qualis, et quanta fit probabiDitis niedij topiei ad candem conclufionem inducti, tamenab ca non mouebitur, vndincali caf. hibcbit rationm probibilem pro obicto praecis, non promotiuo, Vcrum tamen cfl, vt notat idem. Aucra cit. quod cim non bene percipitur vis medij demonftratiui, eft n.faus abfcondita, et ab(trufa, vt. LIZIO .Andicauita Met. tex.1 .& (ec.2 8. Probl. 3.tunconltm iuuant ad eiusvim | petcipicadamrationes probabiles, et (apientum auctoritates ; et quia ita corxingit, Vt plurimum, hinceft ; quod in coafudto modo probandi concluiioncs etia fi dcmonfliatio (uppetat, vlicrius inducuntur rationes probabiles, et auctoritates, quz vcluti viam difponunt ad percipiendam demonflrauonem;& hoc eft, quod probat-C1ndamentum 2. fear, percepta aucem femel, ac penetrata vi mce lij denioniratiui, concedimus vltr. deflrui fidem, et opinionem; quam antea difcipulus conceperat de eodem afserto ex rationibus, probabilibus, et aliorum teftimonijs, vt exprcsdocuit Sco. cit. d.24.ad 3. prinillis verbis, fialiquis abeat prima opinionem de aliquo Wperueiat demon[lratio y corrumpitur opinio, neq. hoc ct ioconucoiens,vt infetcbant Auctotes 2. fent. imm | potius nec esarium;quia vt ipquit Adagium, vii BR APR. maior, ceffet'minor y ita eft in propofi B to quod aduenienre energia conuincen tis demonftrationis cesat peruafio fa &a ante. per medium probabile, non Qnia a&u pofitiuo eam refpuac intellecttus, et quafiab ea. difsentiat, (ed quia de illa amplius non curat, et in hoc .fen(a dicitur corrampi opinio a fuperaeniens te demonfltrarione, neq. ob id dicendus, erit Magifter antea fcuttra laborase inducendo rationes probabiles,v: Mair. vtE ebat, per illas. n. di(pofuit incellectam, dircipal et veluti mags promptum reddidit ad petcipicodam demoaitracionem, cuius vim ab initio non 1llico. penetraffet ob eius difficultatem, aciogen:;j imbecilliratem: ficut nec agensmacarale frutlra dicitur laborase inducendo. di(pofitiones in materia ad f^rmam fub ftantialem, etiamfi in. eiu(dem adueo illz corrumpantur in coinmuni fent, AQUINO (si veda) o Temistio et Scout. NEED. 748 Quares,an faltim "n lutdo, et de potentia Dc! opinio'hoc. fumpta pro lnplici asensa probab nc actuali formidine. annexa. poffit scicncia conlillere, cam eadem con fio probatur medio topico, et d ftcatiuo ?. Resp. etse fatis probat quod ctiam Foac. hic defendi men non et ex eo capite probar qtio pa!lim vtuntur Auctores .sen nimirum non sequitar ctradictio, quod E intclle&us de eadem rc fic fimul certus; et incertus,vt inferebt Auctoresz.sent, co quia id non fit,nec pereundem atm, nej. per idem mcdium, nam per actum opinionis flu&uat, ac trepidat, per act scientiz firmiter adharet: per medium demonitrativum est certus, per topicum incertus, quz non est contradictio, cum 21 non fitdecodem pgr idem, Hc ratio: non valet, et plus probat, qumvelint. Au&toresilli; non valet, quia vt supra 3 contra Tatar. argucbamus ; non. Semper formatum pluralitas collit contraditios nem denominatiuumi eidem (ub:eto repugnantiumjim cum oppolitz denominationcs ab vna torma sumantur s sed semper  digcris ;posent semper c tradi&oria ennciari do. pocos DPA Go abq. tepugaantia, quia id fierez rae y uox x 2. in *  E HEN Ny. dd E s 070 v 27^ 221^ Qua[l. H. en Scientia, epopinio ftem fimul. 949 (bic&o cxiitentium; non ergo formatiu incerta, quatenus non affert ceriiurum pluralitas fufficit ad tollendam con- traditionem, quand tales producunt cffctus formalesqui inuicem repugnant, et vnus in codem fubic&o poftulat necelario negacionem alterius; neq; eadem sarione (uthcit diuerfiras caufarum oppo ficos cffctus inducentium, nam regula- rircr loquendo cffe&us oppotiti,non ni- fi  diuertis caufis oriri foleat, vnd. hac taione nunquam oftendi pofet repugnintia effectuum in eodem subiecto, uia (emper aflignarentar diuctfz cauz illorum, non ergo efficientia diuerfarum . cau(aram fufficit ad collendam formalem "effcdtuum repugnantiam, quia ipti in fubie&o repugnant ex fuis rationibus for- malibs  quibufcunq; inducantar causis; quate (i medium probabile, et necessacium 1oferunt in codem intellectu cffe- &us icpugnantcs, vc certitudinem, et in- crtitudinem, evidentiam, et ineuiden- tiam, fane. non vidcrur diuerfitas mediorum fuflicicns ad contradictionem rollE- dam, al:oqu.n cx d'uer(is motiuis pofie- n.o$ (mper de codem  parte rei contradict.itia ver ficare pradicata, ctiam quod dficix non iti desctam probat, quam ye lint ra fata ratio, quia i diuecfitas actu ua et medior i ufficit ad contradictio- nem tellendam, poteri. d: fendi opinioncm flare cum Icientia n tantum in h. c teruo [eniu, vt eft une actuali, forniidi- ncjicd etiam in primo, et secundo, quod tamcn 1pfi quoq; renuunt, nam fcmpcr faluabutur contradictio ex mediorum diversitate, et actuum pruralitate, imo. de- I poicrit eaden: racione polle etie fi- mulin codem intellctu atlenfum scientificum, et erroncum eiuldem conclufionis; quia vtiq; talcs atien(us ex. diuei fis med;js procederent. Kauo igituryqua id probari debet, a cl, quia ratio, cur opinio foro alter opponatur (ciug,eft 1pla actual.s formido deo, ponto, et poliuainceititado dc uo hec D. 1bcerctado;  for- n: LGt opponitur certitudinr, fccutitati, qua per (cienuam hbctor; fcd opinio vitio modo fumpta ctt lunc actuali tormidine, et fioe j oficina inccr- Gcud.nc, quia ees cs folum ncga- dinem inrelle&tui, sed folum probab.lita- temyergo nil obflac, quin cum (cientia 2 compaciatur; Patet maior; Probatur, et explicatot. minor ; cum ad probandum hominem cfe rifibilem aTumitur medium nece(facium, et probabile, poteft in- tclie&tus vti. probabili dupliciter, vel vt cxpres indicet ex vi talis medij aon efse ncccfariam connexionem inter (bie&t, et przdicatum, vel vt abfolat iudicet ez vicalis mcdij hominem effe rifibilemab- ftrahendo a necefaria connexione, vcl non neceffaria; primo modo affen(usopi- natiuus cft poficiue incertus, quia adeft iudicium expre(fum de variabilitate obie &i, et fic ettincompoffib lis cum fcientifico, qui oppofitum formaliter iudicat, nempe przdicatum effe cum fbic&o necessario conncxum ; fecundo modo cft tantum negatiue incerrus, quia iudicat t&- tum pte dicatum efl com (ubie&o conne xum pracindendo a necessitate, et contingentia connexionis, et sic est cum scientifico compofDibilis, Et hocaffert concedunt etiam multi Au&ores t. fent. vn- de Greg.ex illis q.2. prolog. art. 4. ad 3. inquit, qud habentes fcitiam, vel fidem dc aliqua conclufione, lict vtantur ra- tionibus probabilibus, non tamen yttur atibus formidolofis, feu adtibus atfentie di cum formidine,qui (oli propri dicuntur actus opioatiui (cu opinionis, ira ille. Ex quibus patet, ipfum concedere aiTensum probab:lem tinc formidine c (ciens tia compoffibilem, l.ct pottca nolit pro pri vocari opin;oncm; idem voluit Ta- tar, hgnificarey cum ad.;ittit potfe generati habitum quendam ex s&ibus proba- bil.bus inc toraudine, quem nec ipse, vult opinionem appellare, qoa lis ctt de folo nomine, us eft, qud oobic conucniant dc re. Nec etiam Scotus ipie voluit hoc negare loc, cit. nam ratio, quam adducit cx contiaditorijs de ceruicudine, et incer tiiudine,procedic de opinione "primo, et lccundo modo accepta, et pre- citim prmomodo, vt.f. auenditur cx patte obiecti variabilis ; et contimgcatisi infcrius ver in fol, ad 3. vbi de opinionc loquitur ex. parte. medij. prebibiliss cito ctiam neget effe in hoc gcc fcicntia compoffibilcm, co quia diale&i- cumnihil facetet impediuim d medio demonfiratiuo, vt fupra deductum cft, fatis tamen conftat eam rationem non probate, mfi nawrl:ter,& regulariter loquendo, impoffib:lem efle ralem fimulta- tem, non autem de potentia aboluta. Quod diximus de opinione in ordinc ad scientiam, parizer dicendam eft de fide humana; quid ver iit de duina dicdi, nonct przcntis ncgotij determinare, potiet tamcn feruara. proportione idem quoquc de ipfa dici, et iuxta allaram do- &tipam Scotus loc.cit.explicari; qud (i obscuritas positiva ponatur de ratione fidci iuxta. d: finitionem eius ab Apoft, traditam ad Hebr.1 1. tunc foret neganda arias, sed huius exacta difcuflio ad "[bcolcgum fpe&tat. Sed conira nunc dicta obijcies T quia ctiam loquendo de opinione pro solo a&entu probabili; adhuc eft e zenere fuo capax lormidinis, scientia vero inca- pars ergo adhuc in. hoc (enfu repugnant, um 2 via adhuc, vt sic, est incerta, per hoc .n. a scientia distinguitur; quod (i dicas, e(fc tantum negative incertam .i, non ecttam; adhuc probatur intentum, quia scientia est certa; opinio non certa, quz duo contradicunt. Tum 3. quia adhuc ex scientia, et opinione (ic (umpta ; 6i simul eficnt, sequuntur duo iudicia repugnantia, vnum formale, qud res nequit. aliter se habere, alterum falcim virtuale ex per opinionis quod possit aliter se ha- re. Tum 4. quia adbuc non cuirantur omnia contradictoria, qug ex hoc inferebat r, fent, nam per affcnum scientificum manet convictus intellectus, per opinati pum nop est copui ctas, et cetera. T um tandem quia videtur proros superflucre actus opinionis, vbi est actus scientiae, sicut rzcxiftente lumine Solis fruftra adhi- tr J.:men candelz, i 21 Refp.ncg. conseq, nam calor v.g. composlibilis est cum (iccitate; humiditas vero incomposssubilis, et tamen stant simul calor, et humiditas; iudici ctl falitatis capaX  apprchensio incapax  X tamen stant si mui n codem intellectus et de eodem obiecto; solum ergo inde deducitur, quod scientia cum opinione con- [Difp. De Syfog. Top. e Elenc. iun&ta impedit formidinem, ne in adum erumpat. Ad 2.0pinio tertio (ume pia dicitur incerta negatiu quatenus abftrahit  ceratudine, et incertitudine pofitiua, et per hoc adhuc fufficienter . (cientia diftinguitar, quz eft. pofitiud certa ficuc inquit Dobor 2.d.3 q. 1 1. F. et 5 d. 1449.3. B.& 4d. 45.02. D.& alibi (zpe notitiam abstractinam, etiamfi interdum pertingat rei exiftentiam, ade huc tameo fufficienter ab intuitiua. distingui., quia. non necessario alligatut exiftentg tei, sicut illa led indifferen- ter reprzentac rem  (iuecxiftat, (iue non, et idco dicitur abitrahcre ab exi- ftcpuia rei ; Neque per hoc, quod opinta dicitur non certa, et scientia certa, ralis infertur contadiduo, quz arguarcorum incompoffibilitatem, quaquelbetfore ma disparata dicit negationem alterius in hoc sensu vt albedo negationem dulcedinis, et dulcedo negationem albedinis, et tamen sunt in codcm diae ficut non repugnat in Phyficis vinum e e formaliter frigidum, et virtualiter calidum, et in moralibus, qui cum aliqua imdebita circumstantia elicit. adtum diles &ionis Dei, etle formaliter ad Deumc verum, et virtualirer ab eo auerum ; nonrepugnant duo iudicia, quorum vnd dicat formaliter rem ita; be on kai ud dicat oppolitum non formaliter y Er virtualiter tantum, Accedit, quodinprsfito iudicium factum ex pronto ! ili idem affirmat, quod fa&um ex nccel faro . hominem etle rifibilem abftra- hendo . necessaria vel non necessaria connexione. Ad 4. quia conuinci intel lc&um, et nop conuici pendet pracie ex conditione med j  nullum videtur. in- conueniens dicere, quod. conuincatut per vnum medium, et mon per aliud, sicut inconuenicns crat quod efiet cettus  et incertus dc cadem conclufione ; nam duo contradictoria councngr de. incellectu respectu d:uerlotam 3 ilta ver tepectueiuidem; absolui in. co casu 1intelicctus dici debct conuiccus,; tum quia. denominatio funi debet  medio: nobiliori et cfficaciori stunts t1 diceretur non conuictus fiae addito, cum. negatio fic mali; nanus natura, et pras. x dr. ec- o7 Qul. IL $dfrmr. de(traat, fdicaretur intellectum non ef- fe conuictam per medium neceffarium, Ad vlt. quamuis cognitio demonftrati. ua clarius, et cerrus rem ofteadat ; qum probabilis, adhuc tamen ifta non fuper. fluit, quia eft diact( rationis ab illa, && faltim diuerfo modo tem oftendit: sic in Beatis simul admitttur cognitio vefper- tina, et matutina de cadem re, et  $coto praefertim notitia abstractia, ac intitiva in Angelo respecta fi ipsius 2. d, 3. 9. 8. quamuis per matutinam, ac intuitivam longe clarius res ostendantur, quam per vespertinam, et abstractinam; et etram ndo esset frustra, adhuc non probat ntenthm de potenria absoluta. Ex dictis facile eft refolaere quefi- tum de fimultate fcientiz; et opinionis, vt habitus important, nam fi (amatur opinio, vt specificatur ab obiecto,quod eft contingens, et vatiabile, sic habitus scientie, et opinionis direct opponuntur;atq; id poterunt elTe simul, nifi ad in- SP Motu habitum contrarioram ; quatenus .[; ab initio non illic vnus al- terum deftuit, (cd paulatim :. si autem opinio fmarur pro afenfu probabili absolut pracifa formidine, tic poterit con- fiftere perfectus habitus opinionis cum acto, et habitujfcientig, ac etiam actus o- piniont$ cum habitu fcientig, et hoc e- tiam naturaliter,& regulariter loquendo, quia ratio, qui loc prohibebar de actibus, non eque militat de habitibus, vt dicurrenti conftabit. Quid fit error, C" quomodo  fcientia; o  opinione differat. 21 ER propti fignificat fals qd, AZ et ficut fils propri reperitur in a&ibus intelle&us, e quia veritati oppouitttr, quz cognitioni tribui folet ; ita errot propri Ipe&ar ad. intelle&tam ia fuis opetatrom bus:tot modis autem contingit errare y dicere falsum, qvot mo discontingit dicere veru ; quare ficut veritas speciali modo cribuitur (ccundz,. &terig erac ctm error, os f.llum, errot igicur propri eft cogn fula rcalexplicias ahter ds :j d -. di 9jt simplex est iudicium erit secunda operac tio falsa y& correspondebit babitu: principiorum in syllogismo demonstrativo, vel topico:(i ver erit a(Tenfus falsus alicuius propofitiot's ex vi alterius causatus, erit discursus falsus, et verus efc&tag syllogismi fali, scientiz, et opinioni oppofitus. Sed pro maiori dilacidatione not. gj fufficit ad errorem, fi quis proferret folum pro potitionem falam, nifi quog; ita iudicet, et affentiat per imelicctum ita esse, (icut tali propotitione enuncia- tur. Hicaffentus potest. quandoque; esse cumformid'n, quando; cum certitudine, experientia .n. constat, aliquos ita falis dogmatibus abarere, vt mortem fbire non dubitent; ratio autem huius est, qu:a radix erroris in intellecu oritur ex hoc, quod id, quod in (e non est verum, apparer inte!lectu: verum, quz veritas apparens, et exiflimata est daplex, vel probabil;s apparens, vel necessara, fi. my quod non est probabile, potest apparere probabile, etiam uod est probabile, potest apparere necessarium, minus m. hac dis ftant, qum illa ; (i veritas est appareng probabilis, causat atfensum falsam cum formidine, si est apparens necessaria, causat aIenfum falsum cum firmitate; vnde tm potest errare intellectus, ti qnod non est probabile, iudicat vt probabile, qum fi iudicat necetTarium, qued in fe et probabile, vel falsum; requicitur au em hzc veritas apparens, quia intellectus a 1'a(- fenfum (o!ummodo movetur a vero, non a falso, et si vcritasnon esset apparens, et cxiftimata, sed exi(lcns, aflenfus nom elTet falsus, sed verus; qua ratione LIZIO, 1. Elenc.c. t. definit syllozifinum capties fum dicens, quod iit. syllogismus appaerens, atque non exi[lens  24 Rurs est not. quod qnaudoq; oapi hio cit dc re apparenter vera, et i nc falsa, noa ob'td camen illa opinio dicetur er roneasled pro5ib:lis,  vera, non.a.quz libec verici$ appatens causat errorem; sed (folum illa veritas, quz apparet probasbilis, in (c tamen eit improbabilis; quae -:tamenan ic est probabilis, licc mon. ita beat  partc rei, causat opinionem abiliter veram; rano haius c(t, vt ^ D 2 e o t 952 notat Auerf. q. feci. 6. quia ex LIZIO cit. probabile illu4 dicitor, quod creditur ab omnibus sapientibus, aut pluri - mis, aut quibudam in scientijs excellentibus; improbabile est, quod sapientibus.f:lfum ceofetur, licet rudibus appareat verum, vc quod Sol, et astra sint exiguz quanttat;s; quando igitur aliquid cen(ctuc veryaut ab omnibus, aut ab aliquibus sapienubus, quamuis aon ita fc habeat  parte rei; afsus circa illud non dice tu: erroneus, sed opinat uos, et probabilis, neg; hac apparentia excludit probabilitatem; quando vero apud omnes sapientes cit Fil(um, et solum rudibus videcut verum, tunc afenfus erit error, quia quod est improbabile apparet probabile. Quod diximus de errore circa propositionem, dicendum quoque; erit de errore io discursu-, nam tunc proprie discursus dicitur erroneus, quando non recte consequens deducitur ex antecedenti, quamuis infe (it verum, veritas .n. conclutionis, vt propositio quedam simplex est, de per accidens quali (e habet ad recitudinem discursus; dupliciter autem potest conclusio male deduci, vel proptet defectum in forma syllogistica, et dc hoc diximus 1.p. Intt. trac. 3. dum regulas bonz argumentationis a(lignauimus; vel propter defectum in materia, quando. f. conclusio vt probabilis, vel necessaria deducitur ex motivo improbabili, vel non necessario. Ex his manifeste apparet diftinio inter errorem ex yna parte, et scientiam, et opinionem ex altcca; Scienta . n. ct co- itio vera veritate necessaria, cui nequit befie falsum, certa, et cuidens; 1fti accedit opinio; quz est cognitio vera veritate obabiliter apparente; habetq, aliquam cuidcotiam-(altim probabilem; error tamen tanquam aliud extremum est cognitio omnino falsa, quia nec necessario nec probabiliter apparet vera, vnde ver proveniat deceptio intellectus nofiri pro statu ifle ; tetigimus ifp. 10.  Sat Difp. De Syllog. Top. e Elenc; Sed dubitabis; de ratione difcur(us cft, vt conlequens inferatur vi antecedens Us, fed hoc folum interuenit in re&o di- f-urfa, ergo nullus difcur(us eric falfus y Min. prob. quia quando confequens in fertur vi antecedentis,recte infertur, vn de dicebat. Arift, cit. fyllogifmum dcfi- cientem in formanoneffe verum fyllo. gifmum, quia in ipfo concluiio non ne- cetfario infertuc ex premiffis. Item vnum non nili vni contrariatur, ergo error ne quit c(fc fcientig, et opinioni contrarius. Refp. neg. min. Ad prob. dicimus veram eife, ti antecedens in (e (pecta- tum habet vim illativam consequentis, at quando CONSEQUENS deducitur, non quia sic ex (c deducibile, sed quia intellectus concipit in. ancec. vim illatam coneentis, quia iudicat ANTECEDENS ese cau- am iftius, tunc infertur consequens, f. non rect. LIZIO autem loquitur de syllogismo peccante in forma non est syllogismus illativus, quia non rect deducitur. conclusio ex pramissis, etiam veris, sicut rect infertur, qu est in forma, quamuis praemisse sint fal. [2, positis. n. his premissis, Omnis eit lapis, Petrus est homo, rite infertur s ergo est lapis, nam illz praemissz sic. disposita habent VIM ILLATIVAM, quamuis non habeant vim probariam, cua (int falsa, non loquitur autem de syllogismo, . prout cum quocun3. discursu conuettitur, vt fic.n. dicitur de syllogismo etiam peccaate informa, quamuis zquiuac 5 quia potest intellectus aliquis asenum conclaf. elicere ex a(sensu pramissarum, im non rect disposit sint in forma, vt i(pofitg camen sint apprchen(z, qui a- Gus cset cectia operatio intellectus, et discursus, non tamen rectus, sed falus, Ad 1.(atis diximus difp. 9. q. t. attats cud hanc concratiorum proprietacem explicavimus $S, Et hac fatis de facultate Logica 1 Quz omnia cedant in laadem D; Anto- ni], in cuius Sacra Domo moramur, et fab eiudem auspicio has elaboravimus lucubrationes, WUMTRBCCCSUS ETE DB "aum TONS Wv Ee M Vis tenti Artisest ?TT NEPTIS dnbie a Ha Ile rtAticCETET HIS TEMbirticwie v Aperi Cen Au "I $2601 )s Cm d - 4n - pls 15) 3 ] Nec Qe ey i ovoien Quo CURE E, oU yit xb ratrtutt T Fir. TWPWPPEUMOy P NTC T Y YcPEM. Nome compiuto: Bartolomeo Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and De Interpretatione, segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans, notatum, notatura, segnatura, signifare conceptus animae, res significata, Amo aequivalet Ego sum amans Homo albus aequivalet Omne homo est albus Homo currit aequivalet Aliquis homo currit, signum artificiale, ad placitum, significare naturaliter baf, bif definizione di segno, tratta dAgostino. Aquino. CICERONE. -- Refs.: Luigi Speranza, Grice e Mastri The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Massolo: FILOSOFO SICILIANO, NON ITALIANO -- all’isola -- l’implicatura conversazionale nelle prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e Ariskant – filosofia siciliana – la scuola di Palermo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Abstract. Grice: “While Bradley, and idelism in general, was the thing to endorse in nineteenth- and early twentieth-century philosophy at Oxford – before the bombshells from Vienna – it survived mainly via Collingwood, who taught the chair of mtaphyical philosophy. On the other hand, idealism remained the prevalent attitude in both Germany and Italy (vide Gentile) and would have remained a strong position in France had it not been for Bergson!” -- Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu autore di alcuni volumi di poesia.  In seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui M. godeva all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra.  Partecipa alla fondazione della rivista Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti saggi di M.: Esistenzialismo e borghesismo,  La hegeliana dialettica della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Volpe. Nell’ambito della sua riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici.  In antitesi all’esegesi del neoidealismo italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento della sua filosofia, M. ha proceduto alla rilettura della genesi dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di Hegel.  Nelle fasi più mature della sua riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo,  Frammento etico-politico), ed il problema della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,).  Si dedica alla questione della dialettica intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità.  Tramite queste riflessioni, che lo hanno condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, M. ha contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato).  Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo, Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze, Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni); “Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia, Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica” e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, Landucci, M., "Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi in onore di M., Sichirollo, Urbino, Argalia, Badaloni, Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia italiana", degli scritti di  Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi Domenico e Puglisi, Venezia, Marsilio.   La ricca letteratura critica su M. - tenuta viva da amici ed allievi, ma rivolta non a celebrare bensì a interpretare l’itinerario filosofico dell’amico/maestro e il suo modello teoretico, che, da Heidegger e Kant,  lo conduce verso Hegel e Marx, evidenziando così sia una ‘parabola’ della  filosofia italiana (e non solo) del dopoguerra sia la costruzione di un modello di storicismo connotato in modo assai diverso da quelli post-crociani o gramsciani, correnti nell’Italia postbellica, e incardinato su una  ontologia storica del soggetto, tale letteratura critica (che ha coinvolto Landucci e Sichirollo, Bodei e Salvucci, Losurdo e Badaloni, ecc.), dicevo, ci ha indicato - con precisione - alcuni nuclei forti di quel pensiero,  sottolineandone l’articolazione complessa e la significativa attualità. Sul  primo fronte sono stati il passaggio dall’esistenzialismo al marxismo, l’interpretazione della filosofia classica tedesca, il rapporto teoretico fra Hegel  e Marx, il nesso fra «il filosofo e la città» a essere sottolineati; sul secondo, soprattutto, quel carattere etico-politico del suo storicismo, connesso  a un forte e vero umanesimo» fondato sul dialogo-nella-città e rivolto a  una «costruzione della ragione nel mondo reale, elementi che rendono il  suo insegnamento «ancora fortemente attuale, anche nell’orizzonte del  postmoderno (Salvucci, in Domenico, Puglisi).  Proprio per leggere più intimamente il modello storicistico di M.,  dobbiamo sottolineare ancora:   il suo passaggio dall’esistenzialismo al marxismo;   l’elaborazione del suo neo-storicismo negli anni Cinquanta;   il modello maturo che esso assume nel lavoro dell’ultimo M.,  da La storia della filosofia come problema a Entiusserung, Entfremdung nella Fenomenologia dello spirito. Lesistenzialismo del primo M., come emerge dagli scritti dei  primi anni Quaranta e culminato in Storicità della metafisica e in  Introduzione all'analitica kantiana, risulta contrassegnato dalla  storicità, ma questa è ancora una struttura ontologica del soggetto, pro-  prio quella che è sfuggita a Kant da trovarsi nella loro di coscienza tra- [Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli,  attualità, Firenze] scendentale e coscienza sensibile] storicizzazione, nel piano, dunque, della  storicità dell’esistenza umana e di una intelligenza critica dell’uomo - e  che va messa in luce in Heidegger, il quale ci ha evidenziato la «tempora-  lità» dell’uomo (riprendendo e approfondendo Kant, al di là dei razionalismi idealistici) e la condizione storica (connessa all’esser «il singolo  mai l’aurora», poiché «egli si muove in un mondo già apparso, il cui es-  sere gli è nascosto»? e su cui deve interrogarsi facendo i conti col «passa-  to» che costituisce l’orizzonte di quel mondo) del suo «esserci», in cui è la  «trascendenza pura» del tempo che impone la domanda metafisica, ma  per cui ogni risposta non sarà che condizionata e parziale, poiché è l’uo-  mo che pensa la metafisica, la pensa dalla condizione di «un’indigenza di  essere a cui mai potrà rispondere in toto. Così alla metafisica spetta una  radicale storicità (come domanda/risposta dell’uomo-nel-tempo), anche  perché - inoltre - nel processo di fondazione metafisica la    rivelazione del mondo non significa manifestazione di qualcosa che  rimanga nel suo in sé irrevocabile alla vista, ma il suo stesso venir pro-  dotto all’essere, giacché il suo essere è il suo apparire.    È la storicità stessa dell’uomo che fonda la metafisica e la ricerca metafisica dovrà porsi il problema della storia perché    unicamente un approfondimento della storicità può permettere di  guardare nella eccezionalità che è la metafisica come azione non del-  l’uomo in generale ma del singolo. Singolo, temporalità, storicità sono qui gli elementi ontologici su cui si  attiva la ricerca di Massolo, attraversata dalla lezione dello Heidegger degli  anni Venti-Trenta (tra Essere e tempo e Kant e il problema della metafisica),  riletto anche attraverso le indicazioni postgentiliane di Fazio-Allmayer,  che nel suo attualismo critico ha messo al centro sempre più l’uomo e ha  guardato a una umanizzazione del reale. Già Salvucci, nella sua Presentazione al volume Logica hegeliana e filo-  sofia contemporanea, che raccoglie gli scritti sparsi di M. sottolinea il «faticoso processo» del suo pensiero, che lo  conduce alla «liberazione dal predominio della logica hegeliana» e verso  «il realismo», in cui emerge il ruolo dell’uomo colto nella sua alienazione, che ne è il contrassegno storicamente primario ed efficace. Alienazio-  ne che è storica, ma di cui la filosofia - da Kant in poi - si fa testimone e  interprete. Con Hegel, invece, la ricomposizione dell’alienazione si com- [M., Introduzione all’analitica kantiana, Sansoni, Firenze,  Storicità della metafisica, Le Monnier, Firenze] pie nell’orizzonte dell’assoluto, attraverso l’artificio della logica e la sua  riconsiderazione unitaria e pacificata dai conflitti e dalla dialettica che  essi producono, e che dà luogo alla costruzione dell’Idea filosoficamente  resa trasparente a se stessa e, proprio per questo, totalmente realizzata.  Per liberare Hegel dal primato della logica, bisogna risalire all'opera più  drammatica e aperta di Hegel stesso, a quella Fenomenologia dello spirito  che pone al centro proprio l’alienazione (e non come sola estraneazione),  l’alienazione dell’uomo colto nel suo statuto tragico. Sarà Marx, poi, a  compiere il passo successivo e decisivo: a riportare nel tempo storico-sociale (nella dimensione del lavoro e nei sistemi di produzione economi-  ca) tale alienazione, mostrando che essa «non è altro che un prodotto di  quella forma storica di lavoro che è la divisione del lavoro»?. Lasse nuovo  e il principio determinante di questo storicismo realistico e antropologico  diviene la Città («la Città-Storia» già di Hegel, ma qui riportata ai sogget-  ti e alla loro rete di azioni e reazioni nel tempo e sul tempo). Ed è questo  costituirsi nella e relazionarsi alla città che viene a contrassegnare il filosofare, quale atto di «razionalizzazione» e di «storicizzazione».   Per Salvucci qui sta il senso del lavoro di M., lo stemma del suo  storicismo e la stessa angolazione da cui ricostruisce e interpreta il marxi-  smo. Marxismo come storicismo, ma qui ripensato sulle orme di Kant, Hegel e Marx e che pone al centro, heideggerianamente, la questione della  temporalità, del tempo storico ovvero della forma antropologica di vivere  la temporalità storica. Che è - appunto - l’alienazione.   I testi raccolti da Salvucci nnel volume citato sono un preciso  résumé di questo itinerario teoretico, in cui i vari tasselli vengono a com-  porre un cammino in ascesa verso il marxismo critico, di cui Marx e il  fondamento della filosofia è l'esempio cruciale. I conti con Hegel sono fat-  ti analiticamente nelle Ricerche sulla logica hegeliana, in cui è  proprio l’oblio del destino del mondo, del «nascere e del morire» (per  valorizzare il puro paradigma logico-ideale) che viene sottolineato e fis-  sato nel suo ruolo, per noi, oggi, di ‘scandalo’. Ma l’idealismo non muore  con Hegel: ritorna anche dopo di lui. Nella tensione cartesiana del pensiero di Husserl, che riduce l’uomo a mente, la mente a pensiero, il soggetto  a un'isola, caratterizzato dalla ‘solitudine’ della soggettività trascendentale. Saranno figure come Heidegger, come SPIRITO (si veda), come LUPORINI (si veda), come FAZIO (si veda)-Allrnayer (con la sua logica della compossibilità), come BANFI (si veda)  a riaprire i confini di questo storicismo bloccato nella formula idealistica  e a ricondurci sul terreno della esperienza ‘esistenzialmente’ connotata e  orientata a un pensiero che si compie e si legittima nel processo stesso della  storicità, intesa come storia degli uomini, degli uomini concreti, cioè dei  produttori. Allora è Marx che ‘invera’ lo storicismo con la sua «filosofia  dell’uomo alienato». Ma Marx non è un ‘tribunale’ della filosofia: è anco-  [Salvucci, Presentazione a M., Logica hegeliana e filosofia contemporanea, Giunti-Marzocco, Firenze] ra filosofia, ma è la filosofia del nostro tempo, che rompe ogni dualismo,  che rende l’atto filosofico segno e prodotto dell’alienazione, che la ricolloca  nel suo terreno genetico «il lavoro» ma da lì fa procedere anche il suo  possibile superamento, indicando nei mutamenti delle condizioni econo-  miche il varco stesso per aprire la storia alla speranza, ovvero alla disalie-  nazione. Marx umanizza la filosofia e umanizza la storia. Allora Massolo  può concludere con decisione: Il rovesciamento che Marx opera del rapporto alienazione-lavoro,  rovesciamento che ha il suo teoretico e storico fondamento nella cri-  tica al concetto hegeliano di lavoro e perciò nella critica alla divisione  di esso, impegna la filosofia che si fa cosciente della propria origine e  della sua radice che è il lavoro, a non cercare la propria giustificazione  nel mondo dell’estraneazione che è per essa il mondo dei massimi pro-  blemi, ma a distruggere questo mondo, nel quale è l’altro di sé, mondo  che non è il suo mondo e del quale non ha bisogno, perché esso non è  il suo fondamento. Il percorso del pensiero maturo di M. è qui già  delineato con precisione: confrontandosi con Marx, riportare lo storicismo  a nutrirsi della lezione di Marx, integrandola però con i vettori di quell’esi-  stenzialismo che pur è stato un ‘raddrizzamento’ antropologico e una re-  staurazione di una corretta concezione del tempo. Si pensi ad Heidegger. M. imposta il lavoro sul suo Marx, distanziandolo  da Feuerbach e dalla sua stessa interpretazione di Hegel (un Hegel antropologico, appunto), riportandolo verso Hegel e la sua visione dialettica e  real-razionalistica della realtà, non teologica bensì storicistica del mondo,  e un Hegel che sta al centro del Capitale e della sua riflessione (metodo-  logica e contenutistica) sulla forma attuale del divenire storico. Rispetto  a Hegel, però, Marx fa un passo ulteriore: supera la fenomenologia (che è  ancora lettura teoretica) e reclama la «realtà rivoluzionaria», un mutamen-  to prassico, storico; storico-economico, anzi, poiché la storia è ‘sorretta’  dall’economia. Così è il lavoro a stare al centro di questo programma e  di rilettura di Hegel e di interpretazione di Marx. Se Hegel legge, però, il  lavoro ancora ‘in assoluto’, sarà Marx a collegarlo storicamente alla divi-  sione del lavoro, ai conflitti sociali, alle prassi rivoluzionarie. Attraverso le Ricerche sulla logica hegeliana e altri saggi (poi  ripubblicato come Logica hegeliana e filosofia contemporanea con altre aggiunte), si arriva a La storia della filosofia come problema e altri  saggi, e poi all’ importante Frammento etico-politico. M., Logica hegeliana e filosofia contemporanea. Bene Sichirollo presentava l’orizzonte del lavoro teorico maturo di  M. nella Premessa alla seconda edizione di La storia della filosofia come problema: lì è la filosofia e la storia da Hegel a Marx ad  essere protagonista, e contrassegna    la stagione della coscienza filosofica nel suo momento più maturo ed  ultimo: il passaggio dal rapporto dialettico al rapporto storico, dal-  la filosofia come speculazione e identità alla filosofia come storia e  differenza, alla filosofia che si fa storica, e sa la propria genesi dalla  non-filosofia-ideologia.” M. stesso enunciava l’impianto complessivo di quella sua ricerca,  che parlando di storia della filosofia, in realtà, parlava della «filosofia storica, poiché quella «mette in crisi» questa, le impone di ripensarsi oltre  la «sua pretesa di universalità» e le impone un circolo storico.   Qui essa si fa contraddizione a se stessa: verità e tempo, insieme; verità nel  tempo. Come lucidamente comprendeva Hegel, che risolve tale contraddizio-  ne nella «determinazione dell’Idea nel suo concetto logico», ma per diversi  gradi, come scrive lui stesso. Ogni verità filosofica è verità di e per queltempo  che la produce, ma - retrospettivamente risulta sempre radicalmente storica. Ma Hegel sottrae il suo sistema a questo principio e fa della sua filosofia  il sapere assoluto. E non solo: è l’autocoscienza che supera la storicità e si  ripropone - come filosofia e filosofia della filosofia - come Assoluto. Allora  gli apporti della sociologia correggono questo errore: riportano nel relativi-  smo storico tutti i sistemi filosofici, anche quello hegeliano, mostrandone la  «condizionatezza». Condizionatezza che è storicità, è dialogo col tempo, col  proprio tempo, e con un mondo che non è tanto coscienza/autocoscienza  quanto socialità, vita sociale dalla quale dipende e sulla quale agisce. Il filo-  sofo stesso è sempre «uomo della città». Sì, nel suo pensiero «il concetto è il  sistema», ma il suo «dialogo» con la città sta prima e dopo quel «concetto».  La storia della filosofia delinea uno storicismo radicale, dialettico, aper-  to, in cui il gioco tra saperi (filosofia in primis) e forme sociali si fa deter-  minante e che non è mai disponibile a priori. La stessa storia del pensiero  «non si costruisce da sé, anzi    risulta dall’assoluta storicizzazione che di volta in volta la riflessione  filosofica compie, facendosi in tal modo logica e pensabilità delle di-  verse epoche, nelle quali di volta in volta debbono considerarsi con-  cluse ed esaurite le possibilità esistenziali dell’uomo. Ritornando sul tema  (La storia della filosofia e il suo significato) M. difende lo storicismo dal nihilismo, si oppone al suo obiettivo [La storia della filosofia come problema, Vallecchi, Firenze, di catastrofe del pensiero occidentale, e lo fa valorizzando il «rapporto  vivente» che lega le filosofie al tempo storico-sociale e le rende sue fun-  zioni esemplari e rivelative. Dalla Grecia a noi centrale resta il messaggio  di un pensiero che si pensa «lungo il sentiero degli uomini». Già per Hegel «la filosofia sorge dalla polis», dalla libera cittadinanza e dall’incontro  degli uomini, nello «spirito etico» e nel conflitto tragico che la polis viene a istituire. La filosofia porta i segni di quelle origini, e li porta nel suo  farsi «lo sforzo di sapere che cosa è lo spirito», di fissare quel complesso  traguardo condensandolo nel concetto. In realtà, però, la filosofia è storia,  è epoca, è tempo della polis. Dopo Hegel è Marx a illuminare la dialetti-  ca delle forme, riportandole al lavoro concreto e lesgendole nella matrice  dell’economico, posto come «leva» delle dinamiche sociali e fattore-chiave  (ma non esclusivo: c'è anche l’ethos determinante per la filosofia e, quindi,  per il «contesto» storico) della polis. Ed è il Marx di Per la critica dell’economia politica, con la sua dialettica tra astratto e concreto, ad essa posto  come guida. Lì è, sì, il circolo qualità/quantità a rivelarsi decisivo, ma lo  è anche e ancor di più - la contraddizione, non una contraddizione che  da logica si è fatta storica e sociale, e proprio perché la storia è fatta dalle  società e dal brulichio delle loro forme.   La filosofia è dialogo, e dialogo con la città e nella città. Tra logos e comunità corre un rapporto simbiotico, se pure fatto di differenze e oppo-  sizioni. Ed «è la comunità stessa che deve decidere come sola misura della  verità. Ma la comunità non è una cosa, ma un insieme di individui, cia-  scuno dei quali è a sua volta un possibile criterio e misura della verità»,  ma non sempre e necessariamente. Può anche assumere il dialogo come  forma-di-vita e come forma del logos e farsi così soggetto-nella comunità,  ad essa saldandosi e promuovendone, con gli altri, le stesse possibilità. Già  Socrate aveva posto la sua filosofia in questa condizione, poi il pensiero  moderno l’ha riscoperta. E oggi si impone come regola, ma regola d’azio-  ne. Per noi quella «coscienza comune» non è un dato ma un compito: Ciò  che sinora era stato il grande presupposto, può oggi semmai essere posto  e creduto come compito»?.   Allora la filosofia è politica, è politicità concettualizzata e impegno eti-  co-sociale, poiché tra politica e polis corre un nesso intimamente efficace,  che si sviluppa in tensione tra pensiero e polis o in loro integrazione, rico-  noscendo - però - il loro intimo legame dialettico, e storico. Il filosofo sa  di stare-nella-storia e che «l’essere è ora la storia stessa», nella quale il filosofo introduce la «finalità universale», il compito e il traguardo da pensare  e volere sempre nella «città-storia». E da valere in funzione dell’uomo di  cui e per cui nasce la stessa filosofia. Se pure per un uomo che, anche oggi  e sempre di più, sa di essere comunità. È poi nel Frammento etico-politico che lo storicismo engagé di M. riesce a rispecchiarsi più com-  piutamente. Lì la filosofia, condotta ormai oltre Hegel, se pure attraverso lo stesso Hegel, posta in luce nel proprio «spettro» profondo da Marx, può  dispiegarsi come radicale storicismo. Di uno storicismo della polis e di una  polis di cui si sottolinea come centrale la lotta di classe. È il materialismo  storico che dispiega al massimo questo storicismo antispeculativo e non  relativistico, uno storicismo degli uomini, per gli uomini e che antropologizza la storia attraverso il loro operari rivoluzionario. Solo che ciò im-  plica una «coscienza di classe» che non è spontanea, bensì è e va costruita  e si costruisce sulla «coscienza infelice» dell’uomo, dell’uomo storico e di  quello contemporaneo in particolare. Il disegno di M. è compiuto: fi-  losofia e storia si congiungono, storia e economia/ethos si fondono, la polis  è il loro organismo vivente, in quella polis noi pensiamo e agiamo, oggi la  filosofia si sa come politica e in vista di una polis-comunità fondata a sua  volta sulla non-alienazione. Che è, però, concretamente, politicamente (con  Marx) tutta da costruire. Il quadro è energico e compatto, sorretto da un  suo «principio speranza» che è quello dell’emancipazione. A riconferma del suo marxismo emancipativo va riletto con preci-  sione proprio l’ultimo testo di M.: «Entiusserung» e «Entfremdung»  nella Fenomenologia dello Spirito, apparso su «aut-aut». È un testo che si colloca allo sbocco di tutta una rilettura di Hegel. Una lettura sì  epocale, ma che di quel pensiero coglie più integralmente la problematicità  e la ricchezza, ma anche le interne tensioni e la articolazione teoretica più  aperta (e più antropologica) rispetto allo Hegel «del Sistema» (che si po-  ne nell’ottica, sempre e comunque, dell’Idea). L’epocalità va fatta risalire  a Dilthey e al suo studio del 1904 e alle varie interpretazioni che esso ha,  via via, prodotto, fino a Hyppolite, fino a Kojève, fino a Lukács, passando anche per NEGRI (si veda) Negri e VOLPE (si veda), approdando a una fitta letteratura  europea tipica. È il primo Hegel che va studiato  per capirne sì le radici, ma soprattutto le potenzialità molte e complesse.  Soprattutto, ancora, la sua vocazione antropologica: descrittiva e inter-  pretativa della condizione umana (quasi-esistenzialistica) e della forma  che assume nella coscienza, se riletta nella sua frontiera fenomenologica,  cioè dell’apparire delle sue «forme» trascendentali. Allora saranno, anche  per M., le «prime ricerche» di Hegel a farsi interessanti, anzi deter-  minanti. Ad essere più squisitamente filosofiche, perché più storiche, ri-  spetto allo Hegel-del-sistema, che assegna il primato alla speculazione e  alla sua assoluta aseità. Qui no, è l'epoca, il tempo stesso e l’uomo di quel  tempo medesimo che parla, e parla in presa diretta. Colto nel suo trava-  glio spirituale, posto da coscienza/storia/spirito/città (per dirla in termi-  ni massoliani) e contrassegnato dalla contraddizione che si fa coscienza  e coscienza vissuta dell’alienazione e della sua rimozione/superamento. M. ancora si domanda: Come bisogna leggere  Hegel? Fissa sì la dialettica di essere/nulla/divenire come centrale, ma  legandola al concreto pensiero del filosofo che ben distingue, pur intrecciandole, Alienazione e Estraneazione. Entfremdung è condizione della  vita storica, della stessa vita spirituale, è l’atto costitutivo della nostra stes-  sa umanità. L'uomo è in quanto si oggettiva e crea a se stesso un mondo.  Lì, però, si annida anche l’Entàusserung, che è esser-altro-da-sé, riduzio-  ne del sé ad altro, essere dominati dai fattori storico-sociali. E questa è la  condizione della coscienza storicamente determinata, epocalmente storica, anche se di una storia che coinvolge tutto l’assetto delle civiltà. Entiusserung è assolutamente altro da Entfremdung, anzi ne è  l'opposto, è la differenza storica che contrassegna l’uomo così come è  divenuto nella storia stessa, che pur resta sorretta dalla legge dell’Estra-  neazione. L'Alienazione è «contingenza storica» che può essere superata. La stessa dialettica servo/padrone si fa, qui, fondante e in senso  esistenziale e genetico, sottolinea. Da qui M. deduce due percorsi  di indagine. Uno dentro Hegel, che mostri la funzione sistematica della Fenomenologia dello Spirito e il riconoscimento del suo ‘punto  di crisi’, che la separa dal sistema. Nel gioco delle figure dell’opera sarà  quella dello Spirito estraneo a se stesso che va valorizzata, come decisiva e  ricorrente nell’opera stessa. La «ripetizione della coscienza lacerata» si di-  lata nel percorso storico e si attua sotto varie forme. La  vita spirituale, per Hegel, resta duplicazione, conflitto, rischio di ‘disgregazione della coscienza stessa. Ma seguita, come un’ombra, dal bisogno,  attesa, speranza, volontà della ricomposizione nell’«essenza calma delle  cose». Negatività e assoluto stanno intrecciati, ma questo è anche l’attesa  di quel travaglio del negativo. La stessa «intellezione» si fa «rappresenta-  zione», della vuota apparenza del mondo ma anche del suo riscatto, ri-composizione, salvezza integrale del suo senso. Sotto un altro aspetto quel saggio di M. si nutre di, e apre a, una  filosofa dell’emancipazione che vede l’alienazione come condizione sto-  rica, storicamente rimuovibile, attraverso quel riscatto della polis, che  riesca a farsi sempre di più città degli uomini e per gli uomini, come già  ci ha indicato l’erede eretico di Hegel, Marx, col suo materialismo  storico. Il materialismo storico è oggi la vera filosofia dell’emancipazione, che eredita il nocciolo duro della riflessione hegeliana, la storicizza e  fa della storia il regno non della necessità bensì della libertà. Anzi, della  liberazione. E lo stesso M. fissa questo traguardo proprio a conclu-  sione di quel saggio: La coscienza che sorge dall’azione rivoluzionaria sarà una coscienza  che non incontrerà più l'oggetto come un'entità estranea (ein Fremdes).  Un mondo nuovo sorge come sua Entiusserung. Il saggio su Entfremdung e Entiusserung conclude là dove si apre lo  spazio di quello storicismo attivo e emancipativo descritto proprio nel Frammento etico-politico, allargando meglio la vista sulla tensione antro-  pologica di quello storicismo e la lettura raffinata (non scolastica, non-riduttiva, non-oggettivistica) e aperta del materialismo storico, visto come  prassi rivoluzionaria di e per un uomo-della-città, ma anche di e per una  città-dell’-uomo. Per molti aspetti possiamo dire che siamo davanti a uno storicismo  d’epoca, con questo elaborato da M.. Uno storicismo neostoricista,  postmetafisico, critico, antropologico, emancipativo. Anche uno storici-  smo incardinato sul nesso Hegel-Marx, in cui è però Marx a illuminare  i connotati attuali e critici di Hegel. E un Marx che non si fa ‘tribunale’  della filosofia, ma metodo per pensarla, nella sua attualità e nella sua storia. Uno storicismo critico e antropologico, ma che proprio ed è il suo  punto di originalità e di onore - nella città (polis) trova l’asse portante  della propria teorizzazione, sottolineando l’aspetto sociale e politico della  storia stessa e quindi la lettura dialettica dei condizionamenti e supera-  menti che ogni filosofia compie in relazione alla sua città. Per il presente/  futuro solo questo tipo di storicismo potrà dar corpo a filosofie critiche  che sull’emancipazione vengono a trovare la propria legittimazione e il  proprio compito.   Tale aspetto complesso, sfumato, problematico ma anche attuale e pre-  gnante, carico di futuro, dello storicismo di Massolo è stato più volte sot-  tolineato dai suoi interpreti, da Sichirollo a Salvucci, già ricordati, agli altri  che in anni anche più recenti hanno ripensato la speculazione massoliana  nel suo imprinting e nella sua densità storica e teorica. Si pensi al volume  su Il Filosofo e la città e ai richiami ancora di Salvucci alla «forte  attualità» di quel pensiero, proprio per il vero e forte umanesimo che  lo caratterizza e che è il frutto di un incrocio tra dialogo/città/storia che  M. ha teorizzato con vivacità e precisione. Per questo Massolo, anche  nel presente postmoderno, in questa età di decentramento, pluralizzazione, di a-teleologismo, può fungere da significativo orientatore. Anche Burgio, nella stessa raccolta di studi, parla di M. e il nostro interesse per la storia, riflettendo proprio su quello storicismo mas-  soliano della maturità e sul suo statuto teorico. La storia per M. non  è «condizionatezza», è possibilità, ma secondo un senso «posto da noi» e  costruito nel tempo nella e per la città. Il vettore che guida tale storicismo  è quello di una comunità politica che si impegni a vivere valori e fini col-  lettivi, e a realizzarli insieme. Cazzaniga in Individuo e mondo moderno  sottolinea ancora l’attualità di M. storicista.   Lo chiama il filosofo della città e lo vede come attento interprete e erede di un marxismo dell’emancipazione, da realizzare dialetticamente nella  città. Anche Sichirollo e Losurdo si attestano sulle stesse tematiche, rimandandoci un'immagine di M. sì ‘d’epoca’, ma ancora tutta attuale, per  la vocazione politico-emancipativa e per l'identità antropologico-sociale della sua filosofia, che si delinea come uno storicismo molto avanzato, privato di ogni residuo metafisico e che si lega in modo squisitamente dialettico a quel nesso storia/prassi che è un po” la ‘croce’ della filosofia moderna  e contemporanea e l’osso di seppia su cui si sono esercitati, ma anche se-  parati e contrapposti, i vari storicismi. Qui, in quello di Massolo, il nesso è  di problema e di equilibrio, è aperto e sottile, ma posto come il nucleo  costante da cui emerge e per cui emerge lo stesso filosofare. Saldando così  il pensiero filosofico alla città, che è il luogo e il simbolo di questo intrec-  cio, ma anche lo spazio in cui l’uomo può e deve realizzare se stesso. Bodei, M., Aut Aut, Badaloni, Ricordo di M. Giornale Critico della Filosofia  Italiana, Burgio (cur.), M., Quattroventi, Urbino, Domenico, Puglisi (cur.), Il filosofo e la città. Studi su M., Marsilio, Venezia, Farulli, L'engagement de la philosophie selon A. M., Revue de  Métaphysique et de Morale, Landucci, M., Belfagor, M., Storicità della metafisica, Le Monnier, Firenze, Fichte e la filosofia, Sansoni, Firenze, Introduzione all'analitica kantiana, Sansoni, Firenze, Il primo Schelling, Sansoni, Firenze, Ricerche sulla logica hegeliana e altri saggi, Marzocco, Firenze, La storia della filosofia come problema e altri saggi, Vallecchi, Firenze, Logica hegeliana e filosofia contemporanea e altri saggi, Giunti-Marzocco, Firenze, Della propedeutica filosofica e altre pagine sparse, Montefeltro, Urbino, Omaggio a M., Studi urbinati, Ricci Garotti, Heidegger contro Hegel, Argalia, Urbino, Salvucci, Presentazione a M., Logica hegeliana e filosofia con-  temporanea, Situazione e filosofia in M., in Omaggio a M., Sichirollo (cur.), Studi in onore di M., Studi Urbinati, Spinella, recensione a La storia della filosofia come problema, Rinascita, Vacca, recensione a La storia della filosofia come problema, Paese Sera-Libri, Valentini, recensione a Frammento etico-politico, Società. Nome compiuto: Arturo Massolo. Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile, implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mastrofini: l’implicatura conversazionale e l’implicatura verbale di Romolo – la scuola di Roma – la scuola di Monte Compatri – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Monte Compatri). Abstract: Grice: “At Oxford, philosophy – the sub-faculty of philosophy – is part of the faculty of literae humaniores, and while it was possible, as Ryle did, to graduate in the PPE avoiding grief and laughing, as Carroll calls them – the best don’t, and I got a double first both in classical moderations and greats. Therefore, what Mastrofini deals with is second nature to me.” Filosofo romano. Filosofo Lazio. Filosofo italiano. Monte Compatri, Roma, Lazio. Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica.  In precedenza aveva scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove  insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis".  Produce le traduzioni dei capolavori di Floro, “Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e i Cesarini.  Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio dove abita e muore, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani", Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma,  “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma, e dell'impero e ROMOLO, generato da MARTE, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, inboccò li sue mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que' giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni cento due a!l'incircd. Ma forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in lungo di duecento  Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo zio di Vesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni abitazione fosse capanna o no. av. Cr av. R. 26. na ENEA dopo finita la guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie. Ascanio, ossia Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni   Ani. dik. 3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui figlia Romolo era n..to. Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt). Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj, qual de’due le fondasse e vi dominasse. Per tanto REMO andossene al monte Aventino, el altro al Palatino. Colui pel primo vide VI avoitoj: posteriormente videne l'altro, ma XII: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'ABOZZO di citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina neale vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisi adund moltitudine prodigiosa di uomini, Latini, e Toscani pastori, eGo ancotras marini, sia de ' Frigj venuti con ENEA, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti, ne trasse un corpo solo; ed e per lui creato IL POPOLO ROMANO. Vi quel popolo di uomini e cosa di una sola generazione. Si chiesero dunque de’matrimoni da'confinanti; e sccome non si otteneano, sono con la forza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente ROMOLO inalza Roma che diverrebbeca.  C o. za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe; tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede. Sembra che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, e trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima delle vittime; e CONSACrA COL SANGUE SUO e fortificazioni della nuova città. Av. Cr. R.2 so 52 7> ro dell'Italia e del mondo,   PRIMO  Spoglie opine eran quelle che un comandante toglie all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste sono così rare; che se ne contano appena tre. Le prime le riporta Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi e detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano ferisce l'altro con la spada. E questo un bel mantenere le promesse e intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola. Questo metodo di mantenere le promesse, ras somiglia a quello usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi abbiamo tradotto, senza malizia, perchè non chiedeva danaro, ma gli scudi o li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi addita, secondo Valerio Massimo e figliuola di Spur.Tarpejo il quale a tempi di Romolo presede alla fortezza: c coleiera uscita per prenderc acqua pe’santi riti,  tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentire spinti e fugati: la città di Cenina fu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta con le sue mani a Giove Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre, gli scudi forse o li braccialetti; coloro e per man tenere a leila promessa e per vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i nemici ne sorse nel foro medesim un'atroce battaglia; tanto che ROMOLO prega Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ha origine il tempio, e Giove Statore. Finalmente le donzelle in lacere chiome s'intrammisero ad essi che infierivano. Così fu la pace riordinata, e stabilita l'alleanza con Fazio. Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen passarono alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni perdote. Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma alla Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori, i quali si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della capra, e di repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di ROMOLO il trono resta privo di sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori di cinque in cinque giorni. Quello spazio e chiamato interregno. Il magistrato a forma d'interregno ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a depor.  14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che inemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la eta S.nuto. Ordinate in tal modo le cose, egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del sole presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale poco appresso diè credito GIULIO Proculo coll'offermare; che ROMOLO si era a lui dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva che per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo. Con tal mezo Roma conquisterebbe le genti. E' natura del Verbo di esprimere l'afermazione e la negazione. E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi l'affermazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nudamente, o preceduto dalla particella “non”, è verbo per natura e per eccellenza. Comunemente la voce essere è nota col nome di verbo sostantivo, perchè esprime l'esistere, o L’ESSERE di sostanza. Le qualità che si affermano o negano possono aversi distinte o no, dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione o negazione si addita col verbo essere, come si è detto. Ma nel secondo caso risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione o negazione colle qualità che si affermano o negano: tali sono amare, godere, odiare, piangere et cetera, che significano essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza dell’eloquenza, e della Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso, che si chi a ma persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona seconda, o di soggetto a cui non si parla, e si chiama persona terza. Per altro queste persone possono essere una, o più, cioè possono riguardarsi in singolare, duale, o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra quanto nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo la diversità delle persone,e del numero. E quindi abbiamo amo ami ama amiamo amate amano. E potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non finite, cose passate, più che passate, e future; fubene varia. Anzi siccome le proprietà si affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e condizioni. Cosi li verbi divennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero, i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative.  S. 1. re il verbo secondo la persona, il numero, e i tempi. a I   6. Questi modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo dimostra assolutamente che una cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò amerà. le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichiarano che Pietro amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando, preghiera, avviso, consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol esprimere il comando, preghiera et cetera, e l'azion e che deve farsi. Tale sarebbe ama tu, amerai til, ameremo noi et cetera. Per tanto si esprime l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera et cetera; laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi, io amerei, O avessi amato, lo avreiamato et cetera. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le particole sebbene, quantunque, conciossiacosache et cetera. Tále è quel di PETRARCA Italia mia, benchè il parlar sia indarno et c. E talequel di BOCCACCIO. .6.7.n.2. per l'amore di Dio, come chè il fatto sia et cetera. Tra i Greci l'Ottativo ha le sue desinenze tutte diverse dal congiuntivo: ma nella lingua latina e nella nostra L’OTTATIVO ADOPERA LE STESSE VOCI DEL CONGIUNTIVO, se ben si rifletta. Il verbo si dice di modo finito o determinato finchè si concepisce indicativo, imperativo, ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente qualche proprietà senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, et cetera, ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La varia desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi si chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e l'infinito puo terminare in -are, in -ere -lungo e breve --, ed in -ire; cosi III sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve, come temère,cadère, giacère, et cetera, e come credere, discendere, volgere, ecc.. I latini di queste due desinenze ne faceano II CONGIUGAZIONI diverse, come docère e legere. Nè mancato è pur tra gl'Italiani chi abbia concepite diverse le conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri di vari, parlando regolarmente; e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non la forma del verbo; così piùra gionevoli sono quelli che rinniscono in una conjugazione gl'infiniti in -ere, lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi terminati in -ire, come sentire, uscire ecc.  Chi si propone per iscopo di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le varie desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria e di Prospetto generale; ed esporremo in essa come le conjugazioni latine sian si trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia; la dipendenza comune de' nostri verbi dall'infinito, e per ogni conjugazione il prospetto di qualche verbo che serve di norma in tutti i simili e regolari -come del verbo “amare” per la prima, de'verbi “temere” e “credere” per la seconda, e de’ 'verbi “sentire” ed “aborrire” per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come principio di ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede, esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari”, non possono formarsi le tre conjugazioni divisate degl’altri verbi. Dato cosi principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'IDIOTISMI e gl’errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle note. GLI ERRORI SON SEMPRE ERRORI. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel parlare e nello scrivere familiare, non però nelle belle scritture, sebbene talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il gerundio. Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono “amante” ed “amato”. Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, e future: “amans”, “amatus” “amatVRVS” (cf. IMPLICATVRVM).  Presso noi, non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente, temuto. Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro ecc, ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato e descritto per lo più nella formazione de' tempi PIU CHE passati: laddove il participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può essere messo informa di aggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù possente, e la virtù a2  3. Il participio si riguarda anzi come adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee, quando si risolva, significare come i participj latini: come se dicesi canto possente a diletta re: schiere seguenti le altre ecc. E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno gl’esempj anzi di adjettivi che di participi, e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali esempj risulta che il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e delle altre in -endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora de'participj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le congiugazioni latine siansi trasformate e si trasformina nelle conjugazioni presenti d'Italia. TUTTE LE VOCALI LATINE, FINALI DI PAROLE INTERE, NE SEGUITE DA CONSONANTI, SI CONSERVANO. Così, in AMO ed AMARE, si conserva l'O di amo, e l'E di amare. Tutte le consonanti finali si tralasciano o mutano. Le consonanti sono M, S, T, NT, ST. Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T amant amano, amarunt amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o dicendosi ancora “amassono”. Vedi il prospetto di amare.Tutti gli “U” finali seguiti da M o da S si cambiano in 0: POSSVM > POSSO. amamus amiamo: ma se gli U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei futuri in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. Tutti gli A ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale SI MUTANO IN “I”: amas > ami; times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che basta a conservare la regola, ma ora si dice anche “tu tema”, e “tu legga”. Tutti gli E, ogl'I precedent gli A, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea temo, timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta,  4 è possente: il fuoco bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE.  Non dee sperar di comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis leggi: a ma bisamerai, ed in plurale si mutano in E: legitis leggele. Tutti gl'I seguiti dal solo T finale subiscono un cambiamento secondo i tempi. Ne'presenti si cambiano in E, e ne’ futuri in A accentatolegiilegge, creditcrede: amabit ameră, timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. Tutti i B avantil'afinalene gl'imperfettisi cambiano in “V” consonante, ed avanti l'O, l'I,o l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae amerò da “amabo”, ma da belabo si forma belerò senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del verbo, e non della formazione del futuro. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg. 3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera. Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono. Ora dee sapersi che appunto tra gl’antichi si trova non poche volte “so” per “sono” in prima persona. B. Jacop. Poes. Spirit. Venez. 1617. lib. 4. cant. 28.  stanz. 12. sei  amamus es еè sumus somo este credit et c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit et c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedi reg. 4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. Dicasi altrettanto di Video vides videt et c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes.   A pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN. ediz. di Fir. cap.23.  Selegaloa moglie? non domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti. E più sotto: e sìselenulo di tanto amarla moglie. PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz. Comminiana Spirto beato, quale  6 Se, quando altrui fai tale? e altrove più e più volte. Il Decamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno. Senza questa origine che facono scerecheseper seconda persona è voce interae non accorciata, non s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non l'apostrofassero. Tutta via per distinguerla a prima vista da se pronome, e condizionale, convenne in qualche modo contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come scorciata, quando non era: e perchè tutte le seconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano in I Reg. 4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel verbo sostantivo avrebbe dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona. E cid supposto quando si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorcio di Signor non è giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo. E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle lettere di S. CATERINA, in Fr. Gi.ROLAMO da Siena nel1. Tom. delle delizie degli eruditi Toscani, ed in altri: vedi vocab. di S.CATER. alla voce essere: ma so trovasi parimente persona del verbo sapere, nata da sapio > sapo > sao > so: ovvero da scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbe la seconda. Ma torniamo all'intento: siccomeso era voce ancora del verbo sapere, e SICCOME IL SAPER VERO E DI TANTO POSTERIORE ALL’ESSERE. Così per togliere ogni equivoco EQUIVOCO GRICE, si volle piuttosto ridurre il “so” del verbo essere in sono, che lasciarlo indistinto col “so” del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo verbo italiano “essere” ha la voce “sono” per esprimere la prima singolare e la terza plurale, sappia che questo è stato UN MALE DI ORIGINE, voglio dire è provenuto dalla FIGLIOLANZA della Italiana dalla lingua latina, in forza delle leggi universali, che per tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare l'una nell'altra.   s e i : nè chi procede con tal veduta può riprendersi: ma in origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap. 51. Dal savio uomo eeda temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione e, come pure dal pronome ei solito ad apostofrarsi, e dalla congiunzione e seguita dall'articolo plurale ili quali due e iriunitisi rende anopere: ma col tempo, la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza l’e del verbo dagli e di altro valore: vedi esseren.Trovasi ancora fra gl’antichi este per è ma rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM. ediz. Fir.1729. in fine alla voce este; finchè prevalsero le regole generali anzidette. Da “sumus” uscirebbe sumo o somo, e non semo. Ma siccome tutte le prime persone plurali dell'indicativo presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,” come avemo, tememo, ecc.,così da “sumus” e tratto semo. Ovvero siccome tutte le persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda persona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta, come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo et c;e siccome tal seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindi ne uscisemo e poisiamo. Chi conosce gl’antichi sa quanto è familiare l'uso di “semo”. Ne allego un esempio dalla vita nuova di ALIGHIERI: Per chè semo noi venuti a queste donne? E Fra Jacop. lib. 1. sat, 5. Uomo pensa di che semo. Di che fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole generali, la seconda plurale sarebbe “estes”. Ma trasponendo l'savanti l'E come nel singolare per uniformità maggiore con “sono”, “sei”, “siamo”. Sen'ebbe sele, e questa appunto è la voce degl’antichi: si consulti il verbo essere not. 5. FINALMENTE SI AGGGIUNSE UN “I” PER DOLCEZZA (“se” > “sei”) o per distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce più propria di questa persona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza persona si esprime con la voce “e”, che appunto RISPONDE all’ “EST” latino, lasciatene le consonanti SECONDO LA REGOLA 2. ma gl’antichi, prima che la lingua si modellasse in tutto, non di raro dis  7 Preferiti Imperfetti Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2.   Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva com e era nelle origini prime, nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti DALLA QUARTA DE’LATINI. Non è raro che “senteva” si oda anche ora tra' CONTADINI PIU CORROTI CHE SONO GLI ULTIMI A CORREGGERSI. E finalmente fu detto sentiya sentivi et c.lasciando l'E per l'I. Per queste regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i gramatici si meravigliano, per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli antichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per contornarli di nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la terminazione latina in M ; restavano amaba legeba ec; cosi mutato il “B” in “V” non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto. Molto più che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto come siasi introdotto l'equivoco EQUIVOCO GRICE, ora tocca ai filosofi di emendarlo. Ttanto più che non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'quali si compionoin o le persone prime singolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni riserbandone altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit. De Pontef. Ed Imperadori: VITA DI CALIGOLA, lo PREGAVO ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo in Fr. Jacop. 1. 4.can. 38. La cagion del mal FUGGIVO. Cavalc. Epist. di S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser privato di ogni ajuto, GITTAVOMI a' piedi di Cristo &c.... iratoame medesimo erigido, solomi mettevo per li diserti, e dove io trovavo più oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci. Morg. c. 3. 62. lo mi posavo in queste selve strane.  Da Timebam così pure si ebbe C. XI. 83. Tal ch'io pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin, ch'i'sognavo al presente, Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter. San. CATER. di Sien. ediz. di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego et c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità  pag. 92.   desideravo divedervi: anzi tal voce desideravo si legge molte volte inquelle lettere. Vita B. COLOMBIN. ediz. di Roma pag.9. lo gode voé voi non mi lascia testare, e pag. 96. ad irviilveroio andavo a posarmi; pag.167. 0 figliuoli, e fratelli miei io non meritavo di es ser padre di tanta buona gente; pag. 174. E questa la compagnia che io dal e speravo, e pag. 299. Pensavo che quanto è maggiore la soggezione e l'unità ; tanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n. 6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg. 7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche l'altro B: anzi parea troppo ragionevole, perchè non si notasse tanto di variodi usi in parole medesime, e si familiari. E' poi noto, che tutto il verbo “avere” si scrivea ne’ principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l’ “H”” precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato, si tralascia ancora nelle vo ci, che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora come siansi trasformati gl'imperfetti de'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco: seguiamoli via via, che'non sarà inutile la ricerca Lasciato l'E di habeo reg. 4, e le altre consonanti, e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. le voci come si traevano dal latino in ottima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo, ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiato in V, come dunque di vainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi, che usciva, nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza erano et c. Non dimeno l'uso, quel, più che le semplicie naturali vamoederavale essere, n. 6. Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b   abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell’ “habeo.” Sia comunque, abbosi legge ancora in ALIGHIER, Infer. 25. E quanto io l'ABBO ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI degl’antichi certamente abbo provato; e più sotto: ripenso la seraa quello che iolo di abbo detto.E nelle Vite de’ SS.PP.e diz. Man.Fir, 1731., nella VITA DI GIOSAFATTE ediz. Rom., e nelle Noyelle antiche Fir, 1572 l'uso di “ABBO” è comune. Abbi è rimaso nel Congiuntivo. E 'poi noto, che gl’antichi usavano la seconda singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiuntivo, come resta tuttora in molti verbi, Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza nell'uso comune abbiamo; e siccome gl’antichi finivano le voci per tali persone in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj si dicesse “ABBEMO,” quantunque negli scritti forse non si trovi, per la rapidità di altri cambiamenti succeduti. Certamente l'uso di scambiare tutti i B nell'imperfetto di “HABERE,” di buon pra scorse in alcune, o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra’ poeti, e fu non meno della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli’antichi. Avete rimane per ogni scrittura. Le altre tre voci presto furono cambiate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo, oppure avvo per abbo, fe sentire nella pronunzia questo i quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'AJA; Franc. BARBERINI edizion. Roman. pag.189. Non veggio ancor chi contento AJA il core. E Francesco SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo, cioè per lohu. S'insinud tal cambiamento nella seconda persona avi, é mutato l'V in I, se ne  habet abbi 1 habemus habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto: ajo portato in core et c, ed altrove più volte: anzi usa “AJA” per abbia:lib.1.sat. 12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'AJA umilitate nel core. ALIGHIERI, Parad,17.   fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per la quale ora ci troviamo con “hai”, seconda persona del presente dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine. Può notarsi però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi “haj”: e ciò sa rebbe stato opportunissimo pe' giorni nostri, ne'quali vuolsi lasciare anche l'h precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che “aj” è del verbo, senza pericolo alcuno che si confondesse con l'articolo plurale “ai.” La mutazione del doppio B in V ed in I doppio o lungo, al meno quanto al suono, porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto che l'J lungo si cambia spessissimo in tal modo:e questa è la causa parimente, per cui si dice veg go veggiamo et c. Imperciocchè nelle prime origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder. Rim. ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per “credo”, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant. Pucci nel suo Centiloquio can. XI. terz. 27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in ALIGHIERI Inf. 27.53. si trovasi e'per siede; parchiaro che ambedue de rivino da sejo. Allego un esempio di “trajamo”: BOCCACCIO: g.8. n.5. lo voglio che noi gli TRAJAMO quelle brache del tutto: da ciò ben apparisce la origine di traggiamo &c. 12. Ridotto havi ad hai; dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V consonante, quando erasi inviscerato nell'j: e cið comparendo, era facile di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr. Jacop., in Guid. Giud., in ALBERTANO,  Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac. 408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gl’antichi si trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo, lraggiamo &c,enon dalla mutazione del D in G come si tiene, forse meno propriamente dai Grammatici. Cosi Fr. Jac. lib. 5. c.3.12. secondo che io crejo: e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib. 5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di dugento b2   12 e generalmente negl’antichi. Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7 sempre ha e le mani di stesepertorre. ..ivi l'avaronon haesicura vita. I Grammatici han creduto che quell 'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua, che non amava finire le parole in accento. Ma questo sarebbevero, quando la parola originale della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendo questa habet, habe, have. Hae dun que non èche have, toltone ”v per simiglianza di quanto era accaduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che non di raro fra gl’antichi si legge dae, fae, slae per dà, fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono aggiunti per la ragione medesima: ma egli è FALSO UGUALMENTE;  perchè dai ruderi antichi della lingua può concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire, faire, staire, come esiste traire. Ora da quegl' infiniti daire et c. sorge naturalissimamente dae, fae, stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infinito, n.2.E quindi pure sono le voci dai, fai, stai, come trai, che altronde sono inesplicabili. A dichiarare quanto dico sappiasi, che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st. 20.scrive A chi gli dice villania et c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'egli è il daenteeti il ricevitore: e lib.7. c.9. II.  Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.Maria Mad. É cosistaendola poverettasì per l'amore che gid ave v a con celto di Gesù Cristo, si per la doglia ; cominciò a piangere. Parimente in Fr. Guitt. si legge più volte faite alla pag. 36, e faie alla pag.54. E nel TESORETTO: ponelemente al beneche faite per usaggio: e Franc. BARBERINO pag. 17. Faesselei di quel pregio degnare. Nei GRADI di S. Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara, chel’idi faiteè un aggiunto,e non più:ma faie, faesse, e le voci slaca, daia &c. ne'verbi simili palesano il contrario: e Traire si legge in Fr. Guit. lett.2. pag.9, ma traers spiega ugualmente la origine di trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, del quale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae NON SONO AGGIUNTI, come si pensa, MA SONO NATURALI; ed ora non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci, di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto arò, arai, arei, aresti' &c.come vedremo. Non prevalendo pero quel tentativo, siri serbarono le voci avemo, avete, e talvolta aviamo, aviate, aggiamo, aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho, hai, ha. La terza plurale divenne harno; perchè dall’ “habent” sifece haveno, haeno, hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano, fano et c. per danno e fanno, voci similissime nella origine, com me è chiaro: vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi comuni ad ambe le lingue, ma terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI, o il Ve. Per avere dai perfetti latini l’italiano corrispondente, silasciil VI, o Ve in tutte lepersone per quanto si può senza contradire alle regole generali del s. I. Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi il solo V, non potendosi togliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singolare risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si accentava: ma ora se la voce finisce in A, si muta in O accentato. La prima plurale sarebbe amamo come nel presente, e quin di I'M si è raddoppiato. Del resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti, scritte con un semplice M : come tememo per tememmo. Altrettanto si osserva in Fazzo degli Uber ti, nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom. 18. Delizie degli eruditi Toscani, nella Cronica del Pitti, ed in altr’antichi; indizio che per tali vie si passava dal latino all'italiano in questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle sue Origini della Toscana favella osserva al cap. 6. che i Sanesi in tali persone non davano asentire che un M, quasi pronunziando facemo, dicemo &c, ed egli con pari ortografia scrisse tali voci. Ma Girolamo Gigli nel suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M, che a'suoi tempi (vuol dire un secolo dopo il Cittadini) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono. Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o, e si ebbe amaro per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto che amaro sia precisamente una sincope di amarono, toltone il no. Á me però sembra che amaro sia voce intera in sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora, e dirsi amàr per amaro, laddove le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora si trova.  13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un incanto che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e m   14 pre significhino lo stesso con quadrupla desinenza: amarono, amaron, amaro, amàr. Ma l'incanto, se ben si consideri, non è che un caro abbaglio di un animo, che al veder primo si appaga, stanco delle molestie di riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron, e qui cesserebbe la troncatura: ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro, desinenza ancor buona; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno scorcio: laddove amaro già era legittima desinenza in se stessa: e perchè tale, ammettevasi; non perchè nata da amaron, levatone l'N. A parlar dunque propriamente si hanno due desinenze, amaro, ed amarono, ed ognuna ammette uno scorcio, ama rono porgendo amaron, ed amaro la voce amar, col vago incidente, che se da amaron si spicca l'N finale; ci troviamo alla desinenza seconda, la quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in se stessa; di qui nasce che gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più rare, spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la desinenza in aro è quasi la comune, laddove l'altra in arono vi è scarsa, e meno pregiata. Ma proseguiamo l'esame de perfetti: e prima nella terza conjugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene udiro dall'audivere, come amaro dall'amavere. E'poi noto, che nelle origini della lingua si disse in italiano anche “audire” finchè l' “au” si chiuse in “o”, cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse “oro”, “tesoro” &c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus debuerunt Devei,. Pertanto abbiamo da dové doveste  udisti audi(vi)t udi audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta in E semplice, avvertendo, che l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canoni generali debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in E(dovei) gravato di accento, quindi nella terza persona non potea non dirsi se non dovè seguendo le regole ge Udii udirono dovemmo   nerali, o “dovèt”, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit PETRARC. Trionf. fam. c. 2. v. 119. Non fia Guidit la vedovellaardita, si è fatto Giuditta, e come da Josafat, DANTE Infer. 10.v. 8.Quando da Josafat qui torneranno, si è prodotto Giosafalte comunemente. Fattosi dovei, dovė, o davèt, fecesi quindi per coerenza doveltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e temettero. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te et c, che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjugazioni; così talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasi fuggi, fuggi et c; e nelle Vire de SS.PP. ediz. Man.tom.1.pag.20. fuggitte,e nella pag.125 salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito, alla casa di una vergine Cristiana o per rubare, o per altromalfare, salitte con certi ingegni il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte come salitle et c. furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè di temelle,credette et c. Quindi è che nel medesimo tom. 1. delle Vit.deSS.PP. se in alcuni esemplarisi legge fuggitte, in altri, sihafuggelte: allapag. 101 ediz. citat. Vi è fuggetti per fuggii: nella 62, uscite per uscì, nella 71 irrigi delle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre pagine ed opere. Simile terminazione non potevaaver luogo nella prima conjugazione, perchè l'amavit, secondol'uso di cavarne il volgare, cessadove è il secondo a, dicendosi amo,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne: ora la desinenza in illi ed etti et c.è del tutto abolita per le terze conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c. per le seconde conjugazioni; ma forse, almeno in più verbi,è men cara che nelle origini della lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. E giacchè consideriamo il rapporto fra le desinenze delle terze persone de’ preteriti dell'indicativo, piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni, picciole sì, ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua, e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivit si tragge amò, dove, udi, abolendoin tutto, quel vit finale: ma questa è piuttostola regola, che ora predo, mina. Del resto quando la lingua pendeva incerta sul fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la prima conjugazione, e tal altra a quella della seconda. E certo quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao: di che produco un esempio luminoso di FR. Jacop. lib. 2.can. 2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo dell'amore: E questa è la causa, per la quale ora diciamo “amarono”, lassaro no, e non “amorono”, lassorono et c. vuol dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le terze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terza singolare un rono, o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo sentirono, temèrono, crederono, sparsero, videro et c. Pardunque la original terza persona quella de'contadini “amà,” “lassà”,  et c. e quindi sen ebbe amarono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti antichi: Così nelle Vite de’ Pontefici di  PETRARCA visileggeandorono, seccorono, e simili ordinariamente. Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di tali cadenze. Forse a dire amarono, lassarono &c.vi contribui pur LA DOLCEZZA per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono et c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima conjugazione; lo fi pure nelle seconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo, credeo, poteo, aprio, finio, udio, e simili, tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: ma nelle altre conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosce le primizie della lingua, meravigliasi che imo di poteo, lemeo, udio &c. fossero comunissimi. I Grammatici dissero che l'o finale SI AGGUNSE PER LICENZA POETICA. Ma cið non ispiega perchè voci di questo conio abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelle Storie dei Villani, nel Davanzati, ed in altri. Dir finalmente che l’o si accresceva per non finire in accento, era un luogo comune, un parlar di abitudine, e nulla più. Si doveva avvertire, che quest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre  16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom. 12 degli Scrittor. Ital. Del MURATORI trovasi inserita la Memoria di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del Petrarca: costui, che lavidediperse, cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore et c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato, che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà,lassà,&c.per amò, lasciò come ora è laregola: Tocca al filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie lo da'nostri antenati.   teriti, e la uniformità medesima avrebbe fatto conoscere, che era un supplemento del vil, risecato dalle voci latinecorrispondenti, o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo, udio,e simili,promiscuamente in ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni. E'poitantomanifestochequell'O non si aggiungeva per non finire in accento, che nel Dittamondo si tro va unito anche alle prime persone della terza conjugazione, leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15 udio per udii : 22. Tornando al nostro principio, apparisce dal fin qui detto che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyava dallevoci corrispondenti latine, finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare ogni somiglianza nell'italiano,с  17 Passato poi Suasina, io udio et c. e cap. 16 Secondo ch'io udio, e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag. 100 quando io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio,finio, lemeo et c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una lingua, che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e . Che rifutoe l'onor di tanta manna. Vit. de S S. P P.  inciampo e in una pietra, e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag. 47 udie una voce che gli disse et c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare.   dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle trascurare quellaparitàdicadenza, e le voci sichiuseroin 0, in E, inI,ac centandole finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente, go diamo su la idea dolcissima di una lingua perfezionata. Ma i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi?  E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come amaron, amaro, amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come dovèro dadebuere: laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero quelloche siadditonel 3. 17. E'certo che ne'perfetti delle seconde conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano regolare rompei, rompè et c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere ond'èruppero,enon daruperunton d'èrupperono, oromperonoBo'i reg.2, chepursitro ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella vocale precedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima singolare: e per ciddeemancarel'E diEInella desinenza, giacchèl'E diEIintutte le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar seneruppi, ruppe,ruppero. Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos.  18 già   26. Ma diciamo qualchecosa de'perfetti de'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2  sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S T, M M. Quindi non possono non esser tali come romperono, quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare, e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro, temero,&c. sono desinenze piene in se stesse, e non sincopi di amarono merono et c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe et c, e questo è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuo Ditcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lo stile che aluifo possibile:e Faz. Nel Ditlam. lib.3 cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12, scrivefoe per fu:e Fra Jacop.1.2 can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti periva in. tuttele persone l'UI,eccetto l'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U, edèperitol'I:edin fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii libri, perfue. Igrammaticihancreduto l'Edifue come una giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe et c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E, come più si poteva. E quando sparì quell'E, sitol fue fu in accento la semplicefu:mą   serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un esempio; e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha. bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre dell'antico presente abbo, abb i et c, non potè non cambiarsi l’A in E, condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam. 20 disse, quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum: cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che  20 per la rima scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine, come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha stabilito ebbi, ebbe : ma,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che incominciano ad imparare il latino quel lo scordano, facilmente,o che per disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto della lingua latina nuo punto chi principia ad apprenderla come ap, o chi per disuso l'ha quasi di   menticata; così l'analogia e la voglia di esprimersi inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io avevaavuto. &c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3, dalle qualiappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu -eram, fu-eras,fu-erat&c:t alivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore. Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo fisso et c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia participio se non quello dedotto da stalus, stala et c. usato in principio come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100 ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI, nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO, ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu et c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato, laquale nonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21    Ed eccone gli esempj. Fra JACOP. Poes, Spirit. lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R, e se n'ebbe averò, averai, averà et c. in forza delle regole generali citate: mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai  22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 seranno queste le novelle che io porterò. Chileg. gegli Antichi trova questeésimili vocinon infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo et c. Del resto eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe et c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore, secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO   e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio questa convenenza: edice raggio per dirò come lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele, villano, e nemico Sarabbo, amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo et c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldire aggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo, farajo&c.Ma siccome in progresso abbo, aggio, ajo degenerarono nelle più semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà et c. Pari è la origine di serò, serai, serà et c.voci del futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà et c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi  aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno, e lett. 13, che mai non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro, e nel Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via. FraGuit. ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la desinenzain abbo,farabbo,amerabbo et c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son. ame 23 Ard sono   ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete, ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoria dichiarata ancheagli altriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse originalmente: le Letteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua, ne fa uso ben grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai et c. 33. Si noti, che la terza singolare del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae, amer -ae, far-hae,far-ae. Questadesinenzaè frequentissimain alcuniantichi Scrittori. I nostri Grammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma essa non èchelaE dihave,hae; etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò et c. E'difficile trovar parola italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno, danno, fanno, stanno,vanno, formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno et c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si avrebbe ed accentandoli celaro  24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro et c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato, il timelo, il legito, el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro   lu,odi lu degl'Italiani. Le altre voci italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchè questesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo; cosìnon bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda singolare conlagiun t a d i a m o o diate, ami amo, ami -a l e. Del resto sebbene l ’ E finale avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia tra’ Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede che questa sia termina zione di licenza, e non primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone altri men proprj,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1, e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo Temiate Creda  d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate Amino.   E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam et c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus, sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima e terza persona; quindiè che si fece iosia, tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona: Lett.S. Cat.pag.31. Deh!nonsirendi più il cuor nostro ambiguo,cieco, e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali abbiano,temano,leggano fu Abbia  Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati. Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap. 12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi, enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17, avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo,sie&c.spettano al congiuntivo come. tu amirono abbino, temino, leggh i n o et c ., che poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le cadenze, onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe. Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16  39.  Quanto all'imperfetto amarem,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava amare, voce non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti, temeresti, sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107. Avrestuoffeso intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4 cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe,e scrive amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro, si aggiunse un'M, facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in iano, ameriano, temeria AO et c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2   chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola amplissimamente,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono. Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo. E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch  perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle vocali finali, lasciato l'M, e mutata l'E in I et c. Amassi Amasse Amassimo Amaste Amasseno.  del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe, ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare, dove trattasi della desinenza in ia, ed iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli esempj Fra Guit.  let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent   Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.: "Quel partissi addita azione già fatta.  29 gua, spesso in tal tempo usa la seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi, e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegli gente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se replichiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora, sarebbe uno sgraziato, un imperito. Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al solito il B in V, e ľ U I in É come in “timuissem”, timui ecc. e tutti soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem, e così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E allora conosceretechefuil meglio per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse. BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim, amavero et c. sono decom posti negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato et c. Sicchè non vi resta presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza generalissima. Conjugare i verbi italiani non èchevariarediversamentel'in finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”, “credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereil par ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to”,senti-re,senti-lo.nelle altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto. 2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone, e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no Senti-mo  30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno, cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno, soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE” hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo, sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in ono, temono, cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne’’ qualivi è la doppia cadenzacome abborroeabborrisco (vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono, abborri-sco, abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO  31 dono,sentono &c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo, temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze plurali un multiplo di terza e non di prima persona singolare, non dove asiaggiungere il NO, segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va credeva -m o abborr (isco abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le   senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze singolari in T T E, e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6 sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste” crede-rono senti-rono creder-o  33 ama-re tem e re cred e -r e ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE. STE SSERO SSONO sentir-à senti i amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2) delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo A di amare, almeno dagli Scrittori, non senza equivoco EQUIVOCO GRICE. Vedi amare nel prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME – forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono, direi, le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i sentire-sti sentire-bbe  ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2 person.  La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto. Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo, &c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s” avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice “-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli. BIBLIOTECALVCCHESI -PALLIBIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI III. SALA Scaffale. Pluteo. N. CATENA. h Digitized by Google Digitized by Gopgle COLLANA DEGLI ANTICHI STORICI GRECI VOLGARIZZATI. Digitized by Google Digitized by Google Dìgitized by Google Digit zec! ov \Vo3^ LE ANTICHITÀ ROMANE I DI DIONIGI D’ALIGARNASSO VOLGARIZZATE DALL’ AB. MARCO MASTROFINI già’ frofessore di matematica e di filosofia NEL SEMINARIO DI FRASCATI MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt TOMO PRIMO MILANO DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI SONZOCMO M. Dionigi di Alessandro fu d’Alicarnasso, reggia un tempo della Caria, della quale pur furono Eraclito il poeta ed Erodoto di gr^ca istoria padre come Petrarca lo intitola nel terzo de' capitoli sul trionfo della Fama. E difficile determinare V anno, non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua Biblioteca (cod. ^4) dice che egli precedette Dione Cassio, ed Appiano Alessandrino, espositori aneli essi di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gravemente quelt argomento non seppe ristringersi ad altra particolarità, se non a questa, che Dionigi debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma calcolali alla maniera di V airone. DIOyiGI, toma ^ ‘, X / 2 I(. Dionigi sentiva in sè la nobiltà del cor suo] c si mosse verso la capitale del mondo, e venne a Roma nelt anno F^arroniano ja5, cioè finita la guerra interna di Augusto contro di Antonio ; domd è che egli non vi giunse prima dell' anno suo venticinquesimo. Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere critiche, e vi apprese intanto diligentemente C idioma del popolo vincitore su la mira di leggerne gli antichi monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco stile una stona per uso de’ Greci suoi che troppo la ignoravano. Egli riusci nell intento, e la scrisse, e la divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di Antichità Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto dipoi, forse ad imitazione di lui, e certo con più proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità Giudaiche la storia del popolo ebreo, la quale era insieme la storia della origine stessa del mondo. III. Par che Dionigi delineasse la storia col disegno stesso con cui Firgilio cantava la Eneida: vuol dire l uno e l altro spargevano fiori appiè de’ trionfatori non senza il lusinghevole desiderio di guadagnarne la grazia : non leggera conquista per uomini inermi, autorevoli solo per sillabe, per parole, e per periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il popolo del Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur esso greco di origine, e che assai conosceva leggi e costumi ; e ciò perchè riuscisse il comando romano, se non pregevole, certo men duro nella Grecia d’ Asia e di Europa, paesi che una volta orati patria e tempio di fortezza e di libertà. Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma non sopravanzano che i primi dieci e parte dell’ undecimo; tutto il resto perì per la ingiuria de' tempi. Per quanto ci racconta Fozio  che aveala letta per intero, scorre ane la narrazione dagli Aborigeni e dalla venuta di Enea nella Italia fino alla guerra de’ liomani con Pirro, monarca degli Epiroti ; perchè ivi appunto comincia la storia Romana deli altro greco scriuor precedente, Polibio da Megalopoli. Quest ordine di storie si consideri diligentemente ; perchè da indi apparisce che Dionigi dee precedere c non seguire Polibio, come parve al primo che dispose la Collana Greca, e come trovo fatto pur questa volta irreparabilmente su Cantico disegno. Siccome un estero per la novità che v incontra, può notare ì. costumi varj de' popoli meglio che il nazionale che cresce e invecchia con essi ; così questi due Greci conversando co’ Romani seppero distinguervi e descriver più cose che i Romani stessi non han descritto e trasmesso con la successione de’ tempi ai tardi nipoti. Or ciò dovea tanto più seguitarne quanto che scrivean quelli pel greco il quale non avrebbe gustata nè intesa la loro narrazione se non esponevano minatamente le cose notissime tra Romani. E quindi è che Polibio delincò su la milizia romana quello che non si legge in niuno de’ romani scrittori medesimi: e Dionigi toccò tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori-,gmi, il complesso, ed il termine degli eventi: cioc Bihiiotre. cod. 8f>. ( 1 ) Ediz. romana di Vinccoio Pojryiuli delT anno che ne ha rendalo, e ne renderà sempre, preziosissimo quanto sopravanza delle storie di lui. V. Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio rimpello all' opera estesa ; tanto che il primo raccoglie in tre libri ciocché l’altro dilata in undici. Nè io saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi fossero state moltiplicale in proporzione. Ma per dirne ciocché io ne penso, e dare intanto il paragone degli autori fin qui da me volgarizzati che sono Sallustio, Quinto Curzio, Lucio Floro, e Dionigi ; mi è sempre parato che in Sallustio non capano i sentimenti dentro le parole, che in Curzio si pareggino compiutamente gli uni alle altre, che in Floro le parole superino alquanto i sentimenti, e che in Dionigi fincdmente( siami cosi lecito di esprimermi) le sentenze galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il fior vivo, che di sé promette gran cose, ma stretto in parte ancora dalla sua buccia : Curzio è il fior copioso, odoralo, aperto graziosamente al sole che 10 vagheggia ; Floro è il fior vago, ma tutto spampanato con molte le f rendette e poco t odore; e Dionigi finalmente è il fiore delle ampie e libere frondi 11 quale sot^ di sé nasconde il picciolo guscio che ravvolgevalo, e par sorgere pomposo e vario tra le aure che lo investono, ma troppo, se lo stringi, è minore delle belle apparenze. Dionigi era un greco dell jfsia, e fa sentire in sé la prolissità propria di quella vastissima parte del globo. Le parlate in lui sono lunghissime, e per ordinario non ripetono se non ciò che presentano le storiche narrazioni ; laddoue in,Tilo Livio sono lampi e folgori, sentenze e risultati. V ultimo lascia a pensare, il primo li lascia senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno senti il capitano ed il console, nell altro lo storico d il declamatore : quegli è pieno di entusiasmo e di fuoco su gt interessi della sua nazione, /’ altro vi si spazia sopra come il panegirista che loda non per affetto, ma in vista di ricompense, o per moda. Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi nazionali; e Dionigi voglioso di essere letto, s’indusse a ristringere in un compendio di cinque libri quanto avea steso in venti. Fozio nella sua Biblioteca [cod. ^4) parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più utile per questo, che non contiene se non le cose necessarie alla storia. Egli paragona Dionigi in quel nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in mano lo scettro; e sentenzia ma con la precisione e col tuono di chi comanda. Vr. Quanto allo stile i giudizj ne sono difformi : vi è chi lo chiama scrittor soave, scrittore elegante ; e non vi è dubbio che e"li abbia de' bei tratti, dei pellegrini concetti, e gravissimi documenti. Nondimeno vi è chi dice risolutamente che Dionigi rimpetlo a Senofonte è come il duro e licenzioso jépulejo rimpclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dionigi fa pur troppo conoscervi che egli non era nativo deir Attica. Fra le sue formole ne occorrono alcune  La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno i8ia. Dopo quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne patterà nel tomo quarlo là dove sono i fiammcnli. Digitized by Google G nuove, Ialine (T indole, o certo non abbastanza monde da solecismo ; tantoché vi si violano le regole pròposte da esso medesimo nelle opere sue critiche per gli storici e per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é come la miniera ampia di oro, e come V archivio ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che sono anzi un ingombro ; dond è che un tale scrittore, come ho toccato dianzi, sarà caro finché saran care le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del nostro Autore. VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una versione latina di Dionigi. Questa fu pubblicata la prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di nuovo in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal seconda edizione e la purificò da sei mila errori coni egli dice. Boberto Stefano vedendo pubblicato Dionigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo dalla Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce l’anno ì5^(i. Il Gelenio divulgò colle stampe in Basilea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’ dieci primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza le tante lezioni non sane che ci aveano nel greco dello Stefano, e nel latino del Gelenio, e congiunse i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In questa edizione vi é la traduzione dell’ undecimo libro fattu da Silburgio medesimo, li frammenti ricorielti delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino, ed un libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchiavasi o compivasi da Silburgio questa edizione ; Emilio Porto diede su t originale dello Stefano una nuova Dìgilized by Googlc 7 traduzione latina delle antichità con amplissime annotazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni con la trina interpretazione dì Stefano, di Sitburgio e di Porto. JSel 1704 si ebbe la vaghissima edizione fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di Dionigi colla versione di Porto, emendata dove nera il bisogno, e le legazioni secondo la impressione fattane da falesie riunite a quelle già pubblicate da Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774 ^ ^i compiè nel 1777 lO' edizione riputata la più corretta di Lipsia colle note varie di Errico Stefano, di Silburgio, di Porto, di Casaubono, di Fulvio Ursino, e di Giangiacomo Peiscke. Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel 1545 colle stampe venete la prima versione italiana delle sole antichità di Dionigi. In quell'epoca il testo greco non era nè stampato nè rettificato, e quindi avendo egli lavorato su di ^un manoscritto, frequentissime sono le aberrazioni dcd vero senso. Aggiungasi che lo stile è contorto, implicato, nè sempre regolare: in somma risente tutte le imperfezioni del primo traduttore latino Lapo Birago : nè questi potè sempre capire il senso del testo, ma dove ciò non potè fu contento di volgarizzare le parole greche, appunto come significavano, una per una. Il signor Desiderj nel continuare in Roma V anno 1 794 la edizion sua della Collana Greca ideava, parmi, riprodurre la versione stessa del Venturi; ed il primo periodo di questa è del V snturi in gran parte ; ma fatto accorto che grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza. \ .Dìgitized by Google 8 continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma una traduzione di traduzione; t'uol dire, diede alla Italia un Dionigi tradotto, forse non sempre adeguatamente, e certo non sempre con purità di stile, sopra la traduzione francese, e non sid greco originale. Al primo leggere il Dionigi del Desiderj mi parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che greca. Adunque paragonai la versione framese del padre Francesco la Jai Gesuita con la produzione del Desiderj a luogo a luogo, e fui convinto che era ciò veramente che io sospettava. Questa immagine éT immagine, questa eco di eco che scolora le fattezze, e deprime sempre più la energia dell originale, questa stampa non greca, non francese, e forse non italiana, non dee numerarsi tra le versioni, degna almeno di un tal nome ; tanto più che quella versione frarucese essa stessa non lascia gustare la vena ampia, continua, maestosa del greco originale, ma presenta la inquietudine, lo scintillamento, e come la spezi satura consueta delle parli. IX. Che io sappia niun altro ha poi volgarizzalo tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edizione di quest' autore intrapresa in Lipsia nel i Chi vuol ragione di ciascuna delle mie interpretazioni dee consultare il testo greco, la versione latina, le note in piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a fissare i sensi ho consideralo anche la versione francese, supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nell’ anno 1 8 1 1, la quale mi concedè calma profondissima da compiervi quasi per intero la traduzione che ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di consultale la traduzione inglese di Eduard Spelman impressa in Londra t anno 1759; ma per quanto la ricercassi tra le Biblioteche, tra i libraj e tra gli amatori di libri, non mi venne fatto di rinvenirla in Roma. Aveva io già presso che terminato questo mio travaglio quando mi ju significalo che in Francia si pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere che l'Italia he veda contemporaneamente un altra sua, lavorata quasi tutta in Roma, ove lo storico di Ali-, carnasso stendevano già t originale. Roma i8ia. 1 1 I. UANTU^QUE alieno io ne sia, pur sono astretlo ad una prefazione, com’ usa nelle storie, e sopra di mfe ; non già per diffondermi nelle lodi mie proprie, che so quanto, udite, dispiacciano, o nelle accuse di altri scrittori, come fecero Teopompo ed Anassilao gli storici, ne’ prologhi loro ; ma solo per dichiarare le cagioni per le quali mi diedi a .quest’opera, e per dire de’ mezzi, onde io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente chi risolve lasciare a’ posteri monumenti d’ ingegno, i quali, come i corpi, non vengano meno per anni, e molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti concepiamo che siavi la verità, principio del sapere e della prudenza ; costui dee per mio sentimento, scegliere argomenti vaghi e magnifici, come bene fruttuosi a chi legge ; e poi dee preparare le materie opportune al subjelto con assai previdenza e lavoro. Imperocché chi ponesi a trattare di cose vili, abominate, indegne delle cure di una storia, sia che brami rendersi chiaro, ed acquistare comunque una fama, sia che voglia manifestare la idoneità sua nell’ arte del dire, non sarà mai da’ posteri né invidiato per la fama sua, né per 1’ arte encomialo ; lasciando a chi leggelo da sospettare che egli amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ; per essere gli scritti la immagine de’ cuori, come da tutti si giudica. Colui ^ poi che ottimo sceglie l’argomento; ma ne scrive scioperatamente, e come per caso, seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lode niuna ; imperocché si spregiano, se negligenti sleno e confuse le storie delle città famose e de’ principi. Or pensando Io per uno storico esser questi I canoni sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ; non volli nè trasandare il discorso su di essi, nè compartirlo altrove, che nel proemio. II. £ che io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-' lissimo; non bisognano, credo, molte parole a convincerne chi non affatto Ignora la storia comune. Imperocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi antichissimi delle città e delle genti e contemplandoli, parte a parte, o nel paragone dell’ uno coll’ altro, voglia saperne qual di esse fondasse principato più grande, o che più splendesse per azioni belle, in guerra ed in pace; vedrà che la signoria di Roma sorpassò di gran lunga quante prima di lei se ne additano, non solo jper grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno mai lodò' quanto basta, ma per la durazione ancora del tempo che abbraccia, 6no al presente. Fu pur antica la signoria degli Assirj, e ne chiama fino ai secoli favolosi ; ma non comandò che su picciola parte dell’Asia. Abbattè la monarchia de’ Medi quella degli Assiri, e crebbe a potenza maggiore sì, non però molto diuturna, cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca t ono il Medo, e dominarono infine quasi per tutto nel r Asia ; ben si gettarono poi su gli Europei, ma noti molto vi profittarono, e tennero poco più che dugent’ anqi II comando. Il Macedone, vinti li Persiani, superò colla sua tutte le dominazioni che precederono : Don però fiorì lungo tempo, comiuciaiido a declinare alla morte appunto di Alessandro : imperocché smembrato da’ successori il potere in molti principi, sostennesi la monarchia fino alla terza o quarta generazione ; ma resa debole per sé stessa, fu distrutta finalmente dai Romani : nou tenne poi mai servi tutti i mari e le ter re : che non vinse in Africa se non l’ Egitto, il quale non è vasto, nè sottomise tutta l’Europa ; ma nel settentrione di questa si estese alla Tracia, e nell’ occaso fino all’ Adriatico. III. Pertanto i più famosi degl’ imperj che precederono, giunti, come sappiam dalla storia, a tanta forza e grandezza, rovinarono. Con essi non sono poi da paragonare le Greche potenze le quali nè spiegarono mai si ampia la signoria, nè lo splendore si diuturno. Gii Ateniesi quando più poterono in mare, ne dominarono per anni sessantotto la spiaggia, e non tutta, ma quella solamente tra l’ Eusino ed il mar di Pamfilìa. E gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto della Grecia stesero fino alla Macedonia le leggi; ma non prevalsero che per quarant’ anni  nemmeno interi, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Repubblica romana signoreggia tutta la terra, non già la  testa uri o?ici in TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treot’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui rinrxfxi'oyTX cioè quaranta. Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè : concedendosi comunemente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc Egio furono gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo m-mmeno interi treni’ anni, ma usando un numero rotondo, dovremo leggere quaranta come il Casaubono. l4 PROEMIO, deserta, ma quanta ne è 1’ abitata : signoreggia tutto il mare non solo  nai mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse. E questa è l’epoca nella quale mandarono i Greci nella Italia una colonia. Oenotro poi si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte : giacché nati essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^ cidia a dividere in altrettanti. Per tale cagione lasciando OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié preparata il mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli di lui. Navigavano con essi molti della sua gente, po^ pelosissima, come si dice, nelle origini ; e quanti altri de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse. Peucezio pigliò sede in sul promontorio Japigio, appunto ove prima sbarcò nella Italia, cacciando chi v’ era, e da lui furono Pcucezj chiamati quanti abitarono que’ luoghi. Oenotro guidando seco il più dell’ esercito, venne ad altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chiamato dagli Ausonj, che la spiaggia nc popolavano. Ma quando i Tirreni diventarono i padroni de' mari prese il nome che tien di presente. IV. E trovando la regione bonissima da pascolarvi o da ararvi, ma deserta in moltissimi tratti, anzi con poco popolo ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in tina parte della medesima, e fondò citt.ì non grandi si, ma frequenti in sui mouli ; com’era stile antichissi> mo, di situarsi. Così tutta la regione fu detta Oenotria, essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed Oeuotr) pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava, mutando nome per la terza volta ; mentre Ezei si chiamavano dominandoli Ezeo, e poi subito Licaonj quando al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da Oenotro, Oenotrj si nominarono per un tempo : nel che Sofocle il tragico mi è testimonio net suo TriptoIcmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei che dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere per seminare i semi eh’ ella dati gli aveva. Or ella, mentovato prima l’ oriente d’Italia dal promontorio J.ipigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Sicilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occidentale, e numera i popoli più grandi della spiaggia, cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le sole cose da lei dette ne’ jambj, percl)è dice : Questo é do tergo ; a destra siegue tutto La Oenotrìa, il mar Tirreno, e la Liguria. Antioco di Siracusa, scrittore antichissimo, annoverando i primi ad abitare la Italia e le parli occupale da ognuno, afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni altro di cui s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il figliuolo di Zenofanle compilò su la Italia queste cose, le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti', la terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism simamente gli Oenotri : poi discorre in qual modo la governassero, e come Italo un tempo divenisse re loro. 35 cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili per essere a Morgite venato quel principato. E siccome stando Sicolo per ospite presso Morgite, e tentando appropriarsene la signoria, ne divise le genti ; conclude : cosi gli Oenotri divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani. V. Ora dichiareremo quanta fosse la gente degli Oenotri allegando per testimonio nn altro vecchissimo autore, io dico Ferecide, non secondo a niuno degK Ateniesi che trattasse delie genealogie. Egli fa su quelli che dominaron 1’ Arcadia questo discorso: nacque Licaoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene, una ninfa dell Najadi dalla quale ebbe nome il monte Cillene: poi divisando i generati da questi e quai luoghi ciascuno abitasse, fa menzione di Oenotro, e di Peucezio dicendo : Oenotro, donde Oenolrj son detti gli abitatori Italia ; e Peucezio onde sono i Peucezj lungo il golfo Ionio. Tali sono le cose dette da’ vècchj poeti e mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli Oenotri. In forza di che, se greca veramente è la stirpe degli Aborigeni, come disse Catone, e Sempronio e molti altri ; io penso che provenisse da questi Oenotrj : perocché trovo e Pelasgbi e Cretesi, e quanti altri abitaron l’ Italia, venuti in tempi di poi : nè so vedere spedizione più antica di questa, che si recasse dalla Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che gli Oenotri occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti, o poco popolati, e parte smembrati ancora dalle terre degli Umbri, e che Aborigeni si chiamassero per le abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti: cosi pur v’ ebbero in Atene que’ della spiaggia e dd monti. Che ie alcuni per indole non ricevono di subito senza prove quanto si afferma su cose antiche, nemmen subito decidano esser questi, o Liguri ovvero Umbri, o tali altri de’ barbari : ma sospendendo finché apprendano le cose che restano, giudichino poi da tutte qual ne sia la più verìsimile. VI. Delie città che furono degli Aborigeni, poche ora ne sopravanzano : perocché premute la maggior parte dalle guerre, o da altri mali che straziano, finirono in solitudini. E secoudo che Terrenzio Varrone scrisse nelle anlichilà, ve ne erano nell’ agro Reatino non lungi dagli Appennini ; e le meno disgiunte da Roma, ne disiavano per lo viaggio di un giorno. Di esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui. Palazio è l’ una, lontana venticinque stadj da Rieti, cittade abitata da’ Romani fino a miei giorni, presso la strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da Rieti, su dolce collina : e da Trebula con pari intervallo disgiungesi Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: laddove quaranta stadj ne è lungi Soana, città famosa con antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da Soana per trenta stadj, e se ne additano ancora le ror vine, e le vestigia de’ muri. A quaranta stadj da Mifula elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e grande in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti delle mura di lei come le tombe di antica struttura, e li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti altissimi : e là pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di Minerva : lungi dieci miglia da Rieti, procedendo per la strada Giulia, là presso il monte Corito v’ era Cararbari, e soprattutto ai Sicoli, loro conGnanti. E sa le prime pochi bravi, quasi giovani sacri mandati da genitori in traccia de’ bisogni della vita, nscirono seguendo un primitivo costume, che pur vedo seguito da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante volte le città moltiplicavano tanto in popolo che non più bastassero ad esse i proprj viveri ; quante volte fa terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono o rio le necessitava a minorarsi di gente ; consacrando allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di discendeuti Digitized by Google libro I. 2g gii armavano, e li congedavano. E con fausti augurii gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando, rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa, o per le vittorie tra Tarmi : laddove se pregavano i Numi irati a rimovere da loro i mali che tolleravano ; li dimettevano pure slmilmente, ma rattristandosi, e chiedendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano quasi non più avendo una patria, se pure altra non sen facevano che li raccogliesse o per amicizia, o combattendo, e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati eran sacri parca per lo più cooperare con essi, ed alzarne sopra la espettazione le colonie. Su tale consuetudine gli Aborigeni, floridi allora in popolazione, e schivi, perchè noi credeano il meno de mali, di uccidete alcuno de’ posteri, consacravano agl’ Iddii d’ anno io anno le generazioni, e via via dimetteano gli allievi, già grandi fatti, dalla patria. Uscitine questi non desisterono di far contro i Sicoli, e derubarli. Ma non si tosto conquistarono alcuna delle contrade inimiche ; divenutine ornai più sicuri ancora gli altri Aborigeni i quali bisognavano di terreno, insorsero parte a parte su’ confinanti : e fondarono alcune città, e quelle, abitate ancor di presente, degli Antemnati, de’ Tellenesi, e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli nominati, e dei Tiburtini finalmente, tra’ quali evvi un luogo della città che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad altro vicino più molesti che incontro de’ Sicoli. Sorse da tali contrasti guerra con tutte le genti ; talché mai non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì lungo tempo. Dopo questo alcuni de’ Pelasgbi che abitavano la regione ora detta Tessaglia costretti di trasmigrarne, divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ; ed i compagni di arme, contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse {icr la speranza, io penso, di un utile, ma più per la comunanza di origine: perocché son pure i Pelasgbi un greco lignaggio, antichissimo del Peloponneso : quan tunque sciaurati per molte cose e principalmente per la vita errante, nè mai stabile in sede ninna. E certo, come molli affermano su di essi, abitarono su le prime la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il nome di Pelasgbi da Pelasgo, loro sovrano, generato da Giove e da Niobe la figlia di F oroneo, quando il Dio si congiunse la prima volta con donna mortale, come è ndle favole. Poi nella sesta generazione lasciato il Peloponneso, passarono nella Emonia che ora Tessa glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo e F tio, e Pelasgo, figli di Larissa e di Nettuno. Giunti nella Emonia ne cacciarono i barbari che 1’ abitavano, e la divisero in tre regioni cognominandole da’ condot tieri, F liotide, Acaja, e Pelasgiote. Fissi colà da cinque generazioni, lungamente vi prosperavano, profittando pur de’ campi migliori della Tessaglia: ma intorno la sesta generazione ne furono espulsi da Cureti, e da Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più altri che abitavano intorno del Parnasso, guidando i nemici Dencalione il figlio di Prometeo e di Glimene nata dall’ Oceano. ' X. Dispersi nella fuga, altri vennero io Creta, altri ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono la regione intorno di Olimpo e di Ossa, ora detta Estiotidc: ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte delle spiagge deli’ Ellesponto e molte delle isole dirim> petto, e quella che ora Lesbo si chiama, mescolatisi alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte però dirigeudosi entro terra a’ loro parenti i quali albergavano in Dodona, ed a' quali, come sacri, niuno facea guerra, abitarono quivi alcun tempo : ma poiché si avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra a nutrire tutti in comune, se ne involarono, mossi dalr oracolo che ordinava loro di navigare in verso la Italia, allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in copia di navi, passarono il mar Jonio, procurando giungere in parti presso la Italia. Ma pel vento di mezzogiorno, e per la imperizia de’ luoghi, portati più oltre capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spi” itelo e quivi lasciarono le navi, e la turba meno idonea ai travagli con un presidio, per avervi una ritirata, se i disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella regione circondarono di muro il campo dell’ esercito, cd introdussero colle navi copia di vettovaglie. E poi che videro succedere loro le cose come voleano, fabbricarono una città coLnome appunto dellabocca del fiume. Quindi prosperando più che tutti su le spiagge dell’ Jonio, e prevalendo lungo tempo sulle onde, portarono quant’ altri mai, decime vistosissime in Delfo alla Divinità, de’ beni tratti dal mare. Da ultimo però venendo amplissima guerra su loro da’ barbari intorno, ' losciarono la città, donde anche i barbari furono dopo nn tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela minandola da Larissa, metropoli loro nel Peloponneso. Delle altre città ne resta pure alcuna fino a miei giorni, quantunque variati spesso gli abitatori: ma Larissa è distrutta già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esistenza altro segno più manifesto che il nome, e nemmeno questo è noto a moltissimi. Era non lontana dal foro chiamato Popilio. Finalmente possederono, togliendoli a Sicoli, molti altri luoghi entro terra, o lungo la spiaggia. XIII. I Sicoli ornai non più valevoli a resistere ai Pelasghi ed agli Aborigeni, riunendo i figli e le mogli e quanto aveano di moneta in oro ed argento, si levarono in tutto da quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso del mezzogiorno, e trascorsa tutta l’ Italia inferiore, siccome dovunque erano discacciati, apparecchiarono in fine delle barche nello stretto, e notandovi il flusso e (piando era fausto, passarono dalla Italia in su l’ isola vicina. Allora i Sicani, Spagnuoli di origine, la pouedevano, nè da gran tempo vi erano stati ammessi, cercando uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria^ per la figura sua di triangolo. Non molti erano in questa grand’isola gli abitatori; ma la più gran parte vedeasi ancora deserta. Giunti i Sicoli ad essa, ne abitarono su le prime i luoghi occidentali, e mano a mano più altri, talché l’isola ne fu detta Sicilia. Cosi la gente de’ Sicoli abbandonò la Italia ', tre generazioni, come Ellanico di Lesbo scrive, prima delle cose trojane, correndo in Argo r anno vigesimo sesto del sacerdozio di Alcione. Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia nella Sicilia il primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri, e l’altro dopo cinque anni degli Ausoni, che fuggivano i Japigi. Dice che re di questi fu Sicolo, donde ebbero il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa scrisse che 1’ anno di quella discesa fu 1’ otuntesimo innanzi la guerra trojana: e che non Sicoli, non Ausonj, non Elimei, ma Liguri furono gli uomini trasportati dalla Italia, conducendoli Sicolo, figliuolo di Italo, e che dalla signoria di quello furono Sicoli nominati. Lasciavano i Liguri le patrie terre, astrettivi dagli Umbri e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non distingue il tempo del tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tragittarono, premuti dagli Oenotrj e dagli Umbri, pigliatosi nel trasmigrare Sicolo per condottiero. Tucidide scrive che Sicoli furono i profughi, e Opici quelli che li fugavano, per altro molti anni dopo la guerra di Troja. E queste sono le cose che affermansi da uomini riguardevoli intorno de’ Sicoli, passati dalla Italia nella Sicilia. XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia e bella, ne ebbero pur le città ; poi fondandone altre ancor essi, crebbero presto e molto in forze, in ricchezze, ed altri beni ; non però ne goderono lungo tempo. Ma sembrando floridi troppo per ogni parte furono sbattuti dall’ ira de’ celesti, e quali ne perirono per divine calamità, quali pe’ barbari confinanti : e la parte più grande ne fu dispersa tra’ barbari, o nuovamente Ira’ Greci, e lungo ne sarebbe il discorso se per Digitized by Coogle tninuto seguissi un tal fatto. Pochi ne sopravanzaronc nella Italia per cura degli Aborigeni. Parve alle città che la origine prima di un tale struggersi di famiglie fosse la siccità che intristiva la terra, talché non restava frutto alcuno Gno al maturarsi negli arbori; ma innanzi tempo cadevano 5 nè i semi che sbucciavano in germi, vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei tempi naturali, nè bastavano i pascoli alle greggio. Non più le fonti eran atte a toglier la sete, guaste, impicciolite o spente dagli estivi calori. Consentivano con ciò le vicende delle bestie e delle donne nel generare : e quale sconciavasi in aborti, e quale dava Agli, morenti nel parto, o fatali nell’ utero ancora alle madri. Se scampavano 1 pericoli del parto, mutili, o storpi, o manchevoli per altro disagio, non eran’ utili, onde si allevassero. L’ altra moltitudine poi, specialmente la più vegeta era colta da mali, e da morti frequenti più delr usato. E consultando l’ oracolo per quale violazione di genj o di Nomi questo patissero, e per quali pratiche mai fosse da sperare una calma in tanti orrori, udirono ciò essere perchè esauditi ne’ loro desiderj, non aveano penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasghi l’idotti a penuria di ogni cosa nelle loro terre, si votarono a Giove, ad Apollo, ed ai Cabiri  di santiGcare ad essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella preghiera presero ed offerirono agli Dei parte delle messi e de' frutti, quasi votati si fossero per questo soltanto.  Forte Castore e Polluce. E certo che erano Dei di Sanietracia. Digilized by Google 38 DELLE Antichità’ romane Mii'silo di Le$bo scrive ciò quasi con le parole medesime, toltone, che egli chiama Tirreni e non Pelasghi quegli uomini, di che dirò più sotto le cause. XV. Ascoltato 1’ oracolo non sapevano interpretarlo. Fra dubbj loro un più vecchio, raccogliendone i sensi, disse che erravano affatto, se credevano che gli Dei li punissero a torto : volere il diritto ed il giusto, che si desse loro la primizia di tutto : nondimeno aspettavano ancora parte della generazione degli uomini, cosa più che tutte ad essi accettissima: se avessero questa, l’oracolo sarebbe adempito. Parve ad altri che costui parlasse rettamente ; ad altri che tendesse delle insidie. E proponendo un tale che s’ interrogasse il Dio se gradiva che si facessero per lui le decime, ancora degli uomini ; inandarono i sacri vati per questo, e rispose che si facessero. Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di decimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi della città ; poi l’altra moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto: nè già sollevavansi con regola alcuna, ma come per entusiasmo e per divino furore. Cosi molte case furono abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè sostenendo gli attenenti di essere abbandonati dai loro carissimi, e restarsene tra i più crudi nemici. Primi questi levandosi dall’ Italia errarono per la Grecia, e molto tra’ barbari: quindi ancor altri incorsero ne’ mali medesimi, continuandosi ogni anno la decima. Nè i magistrati la sospendevano, ma sceglievano le primizie de’ giovani più robusti pe’Numi, quantunque nel proposito di soddisfare agli Dei, temessero i moti di chiusciva a sorte per vittima. Erano ancora non pochi espulsi dagli avversar). 3^ per nimiclzia, lutto che sotto specie di oneste cagioni. Laonde spessissime furono la partenze ; e la gente Pelasga errò dispersa in più terre. XVI. Erano i Pelasghi, vivendo in mezzo a genti bellicose tra cure e pericoli, divenuti assai buoni nelle armi, e più ancora nella nautica per avere coabitato co’ Tirreni. La necessiti che ne’ stenti della vita ispira coraggio, fu loro maestra e direttrice in tutti i cimenti. Perciò non difUcilmente dovunque ne andavano vincevano. Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni dagli altri uomini si pel nome delia regione donde par ti vano, come in memoria della origine antica. Ora io dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e Tirreni da’ poeti e dagli storici, non meraviglisi come abbiano ambedue le denominazioni. Tucidide in Atte di Tracia fa menzione di loro e delle città che vi era no, abitate da uomini bilingui : e questo è il dir suo su’ Pelasghi. Ivi sono de Calcidesi, ma i più sono Pelasghi, cioè que’ Tirreni che abilarono un tempo Lemno ed Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ Inaco fa questi versi detti dal coro : Inaco genitor, figlio de' fonti Bel padre Oceano, assai splendendo, reggi Le terre d’ Argo e di Giunone i colli E i Tirreni Pelasghi. Quindi il nome de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella Grecia : e tutta la Italia occidentale lo assunse ancora per sé, lasciando i nomi speciali de’ suoi popoli. Occorse già pari vicenda nella Grecia e nella regione ora detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno de popoli che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe nisola ov’ erano gli Arcadj, c li Jonj, ed altre nazioni non poche. XVII. L' epoca nella quale cominciarono i Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi la guerra di Troja, e durarono, direi, dopo ancora di questa 6nchè si ridussero ad un gruppo di gente. E, salvo la città di Crotone, famosa nell’ Umbria, e tale altra, se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Aborigeni, perirono tutte le rimanenti de’ Pelasghi. Crotone serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è molto, ha mutato nome ed abitatori, e divenuta colonia romana, si chiama Cortona. Varj poi furono c molti che occuparono le sedi abbandonate da’ Pelasghi secondo che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice naturali d’ Italia e chi forestieri. E quei che li stimano propri della regione, affermano che si diè loro quel nome per gli edifizj sicuri, che essi i primi di quanti vi erano, si fabbricarono : imperocché le abitazioni con muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel nome per accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che sono le case di legno abitate da essi, altissime in forma di torri. XVIII. Ma quelli che favoleggiano che i Tiireni sono stranieri, additano un tale, detto Tirreno, che fa  Ssronito altri Cotorni'n. 4 1 duce della colonia, e dal quale ebbe nome la nazione. Dicono che originario fosse di Lidia, chiamata già Meonia; e che da indi antichissimamente si trasmigrasse; e che egli fosse il quinto dopo di Giove. Imperocché narrano che da Giove e dalla terra nacque Mani, il primo a regnare in que’ luoghi : che da questo e da Calliroe. figlia dell’ Oceano nascesse Coti ; che da Coti sposatosi con Alle, figlia di Tulio, uomo paesano, germinassero due figli Adie ed Ati : che da Ati e da Callitea figliuola di Coreo sorgessero Lido e Tirreno : e che Lido rimastosi in que’ luoghi succedesse al regno paterno, e Lidia lo denominasse dal suo nome ; ma che Tirreno fattosi duce di una colonia occupò gran parte d’Italia, Tirreni chiamando il luogo, e quanti lo seguitarono. Erodoto però dice che Tirreno nacque da Ati figlio di Manco, e che P andarsene de’ Meonj nelr Italia non fu volontario. Imperciocché narra che regnando Ati si mise la penuria tra Meonj : che gli uomini ritenuti dall’ amore della regione si argomentarono in più modi a vincer quel male, taluni di colla parsimonia, e tal altri con 1’ astinenza : ma che prorogandosi la sciagura, tutto il popolo diviso in due, decise per le sorti chi dovesse di là trasmigrarsi, e chi rimanere y e che perciò 1’ un figlio di Ati si stette, partendosi r altro : la moltitudine che pendeva da Lido trasse colle sorti il suo meglio, e si stette ; ma 1’ altra pigliando quanto le si dovea per le sorti in danaro, navigò verso r occidente d’ Italia, e postasi dove erano gli Umbri, vi fondò città che duravano ancora al suo tempo. Ben so che altri non pochi scrissero, appunto come io scrissi, della origine de’ Tirreni ; ma che altri ne variano il fondatore ed il tempo. Imperocché dissero alcuni che Tirreno era figlio di Ercole e di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia, espuke i Pelasghi dalle loro città, non però da tutte, ma da qnelle poste di là del Tevere su le parti boreali. Altri però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio perito quant’ altri mai delle storie antiche, e creduto nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova in parte alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj, nè conosce passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla mai de’ Tirreni come di Lipia colonia, sebbene parlasse di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e Toribo, che dividendosi il regno paterno si rimasero ambedue nell’ Asia, c che diedero il nome loro a’ popoli su’ quali comandavano. Imperocché scrive: da Lido si fecero i Lidj, e da Toriho i Toribi 5 poco d’ ambedue differisce l’ idioma, e gii uni, come li Jonj e li Doriesi, usano a vicenda le parole degli altri : Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi assunsero il nome che or hanno, quando abitarono la Italia ; imperocché nel suo Foronide  scrive, da Pelasgo re loro, e da Menippe figliuola di Peneo nacque Fraslore, da questo surse Amintore, che diede Teutamide, e da Teutamide ebbesi Nanas j regnando il quale i Pelasghi, profughi dalla Grecia  Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9.. 4^ lasciarono le navi dove il fiume Spineto esce nel mare Ionio , ed invasero entro terra la città di Crotone; e di là movendosi fondarono quella che Tirrenia ora si chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre cose, dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profughi dalla patria, furono detti Pelasghi per certa somiglianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate; giacché passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelargico intorno la rocca di Atene. XX. A me però sembra che s’ ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che una gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni abbian talvolta il nome di altri, mentre in pari vicenda incorsero ancora altri popoli greci o barbari come i Trojani ed i F rigi, perchè prossimi di regione. Eppure molti fanno di questi due popoli Un solo, quasi distinti di nomi, non di lignaggio. I popoli poi d’Italia, nom meno che quei d’altri luoghi, furono confusi ne’ nomi. E v’ ebbe un tempo quando Latini, Umbri, Ausoni, e molti altri si chiamavano Tirreni da’ Greci ; riuscendo ogni ricerca di questi men chiara per la lontananza di que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono Roma ancora per città de’ Tirreni. Io dunque penso che queste genti mutassero il nome, variandosi fino il vivere : non penso però che una fosse la origine di ambedue, per molte cagioni, e più per le voci loro non simili,  Qui si estende il nome di ionio all’interno dell’ Adriatico. Spesso gli storici antichi cosi praticarono contro 1’ uso de’ geografi che distinguono 1’ uno dall’ altro mare. ma diversissime. Imperciocché nè li Crotoniati  come scrive Erodoto, nè li Piaciani ne’ proprj luoghi parlan la lingua dei circonvicini ; ma una ne parlano tutta lor propria; donde è manifesto che serbano i caratteri delr idioma che aveano quando in que’ luoghi si traslatarono. Meraviglisi poscia chi può che li Crotonlati somiglino nell’ idioma al Piaciani, popoli ne’ lidi dell’ Ellesponto, nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano que’ primi ambedue Pelasghl ne’ principj loro : e se la unità di origine prendesi per causa della uniformità nei linguaggi ; dunque la differenza di origine è pur causa del divario di essi ; non dando un principio medesimo contrarj gli effetti. Certamente, se avvenga, ben è ragionevole quello, cioè che uomini di una gente medesima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i caratteri de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma che poi negl’idiomi non somiglino popoli di una origine istessa, e d’ istesse contrade, ciò non è ragionevole per ninna maniera. Seguendo tali indizj convincomi che differiscono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un tralcio de’ Lidj ; perocché nè parlano la lingua medesima, nè può dirsi che se non la parlano, ritengono almeno alcuni vestigi della teiTa materna, nè tengono per IdJj que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano per leggi o per abitudini, ma in ciò dai Lidj si diversificano più, che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano più verisimili quelli, che dicono un tal popolo, naturale  Cortoncsi. della contrada, non venutovi altronde : pérciocchè si rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare, o nel vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome da’Greci o per le abitazioni fortissime  o per l’uomo ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi li chiamano Etruschi dalla Etruria, regione dove un tempo abitarono : ed ora li dicono Toschi men propriamente, avendoli come i Greci, nominali prima con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino, nelle quali sorpassano lutti, Que’ popoli inoltre distinguono sè stessi dal nome di Rasenna r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in altro libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con / quali forme di governo, quanta fosse di tutti insieme la potenza, e quali, se pur degne ne ebbero di ricordanza, le azioni ne fossero, e le vicende. 1 Pelasghi che non perirono, nè si disgiunsero per fare colonie, si rimasero, pochi di molti, con gli Aborigeni, sotto le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano, e ne’ quali col volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali sono le novelle intorno de’ Pelasghi. Dopo non molto tempo, nell’ anno, al più, sessantesimo come narrano i Romani, prima della guerra trojana, capitò ne’ luoghi medesimi un’ altra spedizione di Greci la quale abbandonava il Pallanteo, città delr Arcadia. Il duce erane Evandro, figlio di Mercurio, e di una ninfa, abitatrice di Arcadia. I Greci la tengono per ispirata da’ Numi, e la chiamano Temide ;  Tirseis delle di opa J xvii. ma Carmeiita è delta nella patria lingua da’ romani che scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa avrebbesi a dir propriamente Tespi-ode con greca parola : ma le odi chiamansi carmi da’ Romani, e quindi è Carmenta : si consente poi che tal donna presa dallo spirito divino presagisse, cantandole, le cose avvenire ai popoli. Non venne quella spedizione di comun sentimento; ma nata sedizione del popolo, la parte inferiore, di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte, uomo di azione e di prudenza, e riverito da’ Romani con sagrifìzj e con inni come un genio del loco. Ricevè' costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano pochi, e diede loro della sua terra, quanta ne vollero ; ed essi, come Temide gli avea, vaticinando, ammaestrati, presero un colle poco lontano dal Tevere, il quale ora è nel mezzo di Roma, e tanto vi fabbricarono, che bastasse alle genti venute con le due navi dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai. destini per formare col volger degli anni una città, non pareggiala mai da greca o barbara città per grandezza di abitazioni, di comando, e di ogni bene, e certamente memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pallanteo chiamarono quel fabbricato come la metropoli loro in Arcadia: ora Palagio è detto da’ Romani per la confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti la occasione di stolte etimologie. Dicono molti, e tra questi Polibio di Megalopoli, che quel nome viene da Pallante, un giovinetto ivi morto, nato da Ercole e da Cauna la 6glia  di Evandro: perchè facendogli questo avolo materno in quel colle un sepolcro, chiamò ' Pallanteo, quel luogo dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fallante, nè conobbi che vi si praticassero funebri onori, nè potei conoscere nulla di slmile : quantunque la famiglia di lui non sia dimenticata, nè priva del culto col quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché vidi che i Romani faceano gelosamente ogni anno pubblici sacriGzj ad Evandro e a Carmenta, come agli altri genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta appiè del Campidoglio presso la porta carmentale, e quelli dedicali ad Evandro appiè dell’ altro colle detto Aventino, non lungi dalla porta trigemina ; nè vidi intanto cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi i quali coabitavano appiè del colle, eressero pure altri monumenti nelle forme della patria, e santi riti v’ istituirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi lutti a Pane Liceo, Nume il più antico e più riverito tra quelli di Arcadia, in sito idoneo, che i Romani chiamano Lupercale, e noi diremmo Liceo. Ora empiuto essendosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintracciarne la natura del luogo. Era questo, come dicono, appiè del colle, una spelonca, vetusta, grande, coperta da una querce, ramosa qual bosco : profonde bulicavano le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai dirupi era opaco per arbori, altissime e folte. Qui collocando un altare a quel Nume compierono il patrio sagriGzio, che i Romani, non mutando cosa alcuna delle antiche allora fatte, ripetono ancora di presente dopo il solstizio d’ inverno nel mese di febbrajo. La maniera del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo poi su le cime del colle un tempio alla Vittoria, stabilirono in questo ancora annui sagriGzj che i Romani tributano ancora. Gli Arcadi favoleggiano che questa sia figlia di Fallante generata da Licaone : e Minerva, fece, che ricevesse da’ mortali gli onori che le si rendono ; imperocché fu essa educata colla Dea, giacché la Dea nata appena fu consegnata da Giove a Fallante, e presso lui fu nudrita finché ascese alle stelle. Fondaronoancora un tempio a Cerere ed il sagrifizio, che faceano le donne ma non usate al vino, com' era la pratica de' Greci : nel che 1’ andare del tempo non ha cagionato mutazioni, fino a miei giorni. E Nettuno Ippio ebbe pure il suo tempio e le feste, dette Ippocratie da’ Greci, ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse libera per uso dal travaglio cavalli e muli, e ne incorona le teste di fiori. Consecraronu similmente altri tempj, altri altari, altri simulacri, costituendo purificazioni e sacrifici, ritenuti ancora ne’ modi medesimi. Né già sarei meravigliato se alcune di queste cose neglette, come antiche troppo, non avessero più ricordanza tra’ posteri : nondimeno le consuetudini presenti danno ancora assai da congetturare su’ riti arcadici d’ allora, de’ quali diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli Arcadi recassero i primi nella Italia 1’ uso delle lettere greche, note ad essi da poco, e la musica della lira, della tibia e del trigono, non sonandosi ivi altri armonici stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi introducessero le leggi, vi raddolcissero le maniere del vivere, 6ere in gran parte, e che vi diflondessero le arti, e le istruzioni, ed altre utili cose in gran nume ro onde assai ne furono rispettati dagli ospiti. Questa greca moltitudine, seuouda dopo i Pelasghi, giunta nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli Aborigeni in uno de’ bonissimi luoghi di Roma. Pochi anni dopo degli Arcadi vennero nella Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea domato la Spagna, e le parti, fiu dove il sole tramonta. Alcuni di loro, implorato da Ercole il congedo dalla milizia, si fermarono in questi luoghi ; e trovando un colle opportuno, lontano al più tre sladj dal Pallanteo, vi si accasarono : chiamalo alloca Saturnio, o Crònio come i greci direbbono, ora si chiama Capitolino. Erano quei che rimasero per la più parte del Peloponneso, io dico i F enueati, e gli Epei della EUide, disamorati di viaggiare in verso la patria, perchè devastata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad essi alcuni de’ Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese già Troja, regnandovi Laomedonte. E pormi che in quei luogo si annidassero ancora tutti di quell’esercito, quanti o stanchi dalla fatica, o dal rigirarsi ottennero levarsi dalla milizia. Alcuni, come ho detto, stimano antico il nome del colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono nommeno in memoria del colle, Gronio chiamato nella Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo. Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno vi si adunano in fìssi tempi, e l’onorano con sacriGzj e con altro colto. Nondimeno Eusseno, ed altri mitologi VIOlfJGT, tomo I. i 5o nr.Italiani pensano che i Pisani per la simiglianza del Cromo loro dessero il nome anche all’ altro : che gli Epei con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi alle falde del colle presso la via che mena dal Foro al Campidoglio : e che essi istituissero il sagriCzio che i Romani v’ immolano ancora con greche cerimonie. Ma io, paragonando, trovo  che prima della venuta di Ercole nella Italia quel luogo era sacro a Saturno, e Saturnio chiamavasi da’ terrazzani : e che tutta 1’ altra regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor essa a quel Nume, e Saturnia nominavasi dagli abitanti, come trovasi detto nelle risposte date dalle sibille o da altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa sonovi de’tempj alzati a quel Nume, ed alcune città da lui si denominano, come allora tutta la Italia: e portano ancora il nome del Dio molti luoghi, singolarmente i monti e le rupi. Col volger degli anni fu detta Italia per un uom potentissimo, Italo nominato. Antioco di Siracusa lo dipinge per uomo destro e filosofo, il quale convincendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse in poter suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino  e quello di Scilla : e quel tratto fu il primo che Italia da Italo si dicesse. Dopo ciò scrive che divenuto più forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché mise il cuore su’confinanti, e ne prese molte città: e scrive finalmente eh’ egli era Qenotro di nazione. Ella(l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die deliba Irgf’ersi Lame/in in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die Lamet città di Lucania desse nome a questo golfo.. !) I iiko di Lesbo narra die Ercole coiiJucevasi i bovi di Gerione alia volta di Argo, ma che essendo già nell' Italia il tenero figlio di una vacca spiccossegli dall’ armento, e profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo il mare interpostp giunse nella Sicilia : che cercando Ercole quell’ animale, e chiedendo ovunque capitava, se alcuno lo avesse veduto de’ paesani, siccome poco intendevano il greco, e da’ segni lo chiamavano come aneli’ oggi si chiama nella patria lingua vitello ; cosi Vilalia chiamò tutta la regione da questo percorsa. Non è poi meraviglia che uu tal nome si tramutasse com' è di presente ; mentre tanti greci nomi eziandio subirono pari vicende. Ma, sia che prendesse quel nome, come dice Antioco, dal condottiero, il che forse è più probabile, sia ebe dal vitello come pensa Ellanico ; raccogliesi da ambedue che lo prese intorno ai tempi di Ercole, o poco prima ; essendo chiamala iunanzi Esperia ed Ausonia dai Greci, e Saturnia da [laesani, come di sopra fu detto. Coutasi ancora tra qne’ popoli la novella ebe innanzi al principato di Giove ivi Saturno regnasse: e che tra loro più che altrove si avesse quella vita sì famosa, beata per tutti i beni, quanti le stagioni ne apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è di favoloso nel discorso, vaglia Intenderne la bontà di quella gioite, dalla quale il genere umano, sorto di recente dalla terra, come è vecchia fama, o d’ altronde, ne raccolse vantaggi moitissiini, e giocondissimi ; non troverà [>cr tal fine suolo pili acconcio di questo. Iiiiperocciiè se paragonisi una terra con altra di eguale granàezza, T Italia pei mio giudizio è la migliore neU' Europa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò dir cose incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Libia, e Babilonia, e quante altre vi sono beate contrade: ma io non pongo la ricchezza della terra in una specie sola di prodotti, nè invidierei di abitare dove pingui sono le campagne, nè vi si scorge altro bene se non tenuissimo: ma quella regione chiamo la migliore la ^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che meno abbisogni deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata con altra qualunque, appunto sia la terra datrice di ogni frutto, e di ogni utile. E certamente, se comprende campagne felici e molte, non perchè madre è di messi, è men propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere di alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel seminarvi: o s’ è bonissima per ambedue questi usi, non per questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia si dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi si abita. Ma direi che di ogni agio soprabbonda e di ogni diletto. E qual terra mai frumentaria vince le terre dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi, ma del cielo f Io vi contemplai campagne che davano tre raccolte nudrendo dopo i semi del verno, quelli per la state, e dopo gli estivi, gli altri in 6ne per 1' autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei Messapj, de’ Daunj, de’ Sabini e di altri? Qual mai suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno, l’Albano e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge col tnen di lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma oltre le terre che si lavorano, ivi molte pur se ue trovano, riservate per le capre e per le pecore ; ma più mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei cavalli e de’ bovi: imperocché soprabbondandovi l’erba palustre c dei prati, e riuscendovi fresca e rugiadosa nelle parti che si coltivano, dan pascoli senza limite in tutta l’estate, e mantengono in fiore gli armenti. Qual dolce spettacolo ivi sono le selve per balze, per valli, per colli non culti, e di qnale e quanto niateriale per le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa alcuna di queste è dilTìcile ad ottenerla, nè rimota dall’uso degli ^ uomic : ma tutte sono pianissime, e tutte facili a trasmettersi per la moltitudine de’ fiumi, i quali scorrono tutta la regione : e li quali con utile vi agevolano i trasporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si trovano ancora in più luoghi delie acque calde, propriissime a’ bagni, e bonissime per le cure di mali diuturni. E metalli vi sono d‘ ogni genere, e cacce d’animali in copia, e mari fecondissimi, come pure altre cose moltissime ; e più utili e più meravigliose. Benissimo soprattutto ne è 1’ aere per la dolce sua temperie secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o freddi eccessivi al formarsi de’ fratti, ed al vivere degli animali. Non è dunque da meravigliarsi che gli antichi prendessero quella terra per sacra a Crono, o Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse, e saziasse i mortali d’ogni bene. Ma sia che chiamisi Crono come da’ Greci, sia che Saturno  come da’Romaui;  Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo K^ac Digilìzed by Google ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e •omprenJeitilo ciascuno di essi la natura tutta delle cose ; tu lo nomina come più vuoi. Nemmeno è da meravigliarsi cbe contemplando in quella ogni abbondanza e delizia, commoventissime cose, ne credessero ogni luogo più acconcio, degno degli Dei, com' era de’ mortali ; e li monti e le selve si ascrivessero a Pane, i prati e floridi luoghi alle ninfe, e le rive e le isole ai geuj marini, ed ogni altra parte ad un genio o a un Dio, come più couvenivagli. È fama che gli antichi immolassero a Crono umane vittime, come in Cartagine, ^ mentre esistè, come tra’ Celti, e come in mezzo di altri occidentali ; e che Ercole volendo precludere U barbarie di quel sacrificio, innalzasse l’ altare nel colle Saturnio, e facesse che vittime pure vi si ardessero con puro fuoco. E perchè que' popoli non sen corucciassero quasi spregiasse i patrj sacrifizj, è fama die gli ammonisse a placare l’ira di quel Nume; e piuttosto che gli uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e ne’piedi, a gettarvi i simulacri loro, vestiti appunto com’ essi. Egli serbava una immagine degli antichi costumi, perchè si sterpasse alfine, quanta superstizione, ' restava ancora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal pratica ancor ucl mio tempo, rlnovandola poco appresso all’equinozio di primavera nel mese di maggio nelle idi che chiamano, le quali vogliono che ricorrano il giorno aj>punto, cbe è il ipezzo del mese della luna. In questo il che linde > azieti, e bcDÌssiraa corrisponde alla parola Ialina di Saturno i e perh di sopra abbiamo usala il verbo saziata. Crono poi non h che il tempo ; cd il tempo lutto prepara, a di tallo ioruiicc ^li iiooiini col suo corso.  1 fiamapi Inp \nraa regolavano l’anuo sul corsa delia Urna,. DD i ponteGci, vale a dire i primi tra’ sacerdoti, come le vérgini, custodi del fuoco inestinguibile, i pretori, e gli altri che esser possono all’ opera santa, dopo avere compiuti secondo la legge il sagriGzio, gettano del ponte sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana Argei  nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine cerimonie^di Roma, nazionali o greche di maniere, diremo in altro libro ; richiedendo ora il subjetto che più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta in Italia, nè trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di lode. ! XXX. E su questo Dio diconsi delle cose, quali più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose. Ercole, oltre gli altri travagli, comandato da Eurisleo di condurgli da Eritea li bon di Gerione in Argo, tornando dalla impresa in sua casa, venne in molte parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai Pallanteo. E trovandovi copioso e buon pascolo, vi addusse i bovi, ed egli, quasi stanco dalle fatiche, die desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome, capitò tra’ bovi, pascolanti senza custòde, e se ne in-' vaghi. Ben conobbe che Ercole si riposava ; ma vide che> nè puteali tutti involare occultamente, nè facile ne sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente ed il principio della nuora luna era principio insieme del nnoT mete. Di qui nasce che faceano combinare te idi di maggia cl plenilunio o col mezzo del mese lunare.  Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai rappreseiilasscro tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli Arcadi. nell’ antro vicino, dov’ egli vivea, traendoveli via via retrogradi per la coda, perché vedendovisi le pedate contrarie all’ ingresso, potesse render vano ogni argomento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco appresso, e numerati i suoi bovi ; come vide che ne mancavano, dubitò su le prime, ove fossero andati, e li cercò mano a a mano come erranti da’pascoli. Nè raggiungendoli ancora ; venne alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle pedate, niente meno pensando, quanto che ivi ne ritroverebbe il covile. Standone Caco dinanzi l’entrata, e richiestone, dicendo non averle vedute, nè volere che ivi più si cercassero ; anzi convocando clamorosamente i vicini, quasi patisse violenza dal forestiero ; Ercole, dubbioso in prima come istrigarsela, prende in fine a ' dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma non sì tosto quegli da entro sentirono la nota voce e 1’ odore, lasciarono verso gli altri di fnora un muggito, e fu quel muggito r accusatore del furto. Caco, vedutosi reo manifestamente, ricone alla forza convocando tutti i suoi compastori. Ecco Alcide investirlo colla clava, ed ucciderlo e sprigionarne i suoi bovi: poi vedendo, com’era la spelonca un refugio opportuno pe’ rubatori, la dirupò. Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage, inalzò presso quel luogo a Giove ritrovatore un altare, ora visibile in Roma nella porta trigemina ; sacrificandovi un vitello al Nume onde ringraziarlo su’ bovi ricu-, perati. Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con greci riti, come Ercole lo istituì. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il Pallanteo come seppero della morte di Caco, c mirarono Èrcole, nemici già del primo per le rapine, siu> pirano all’ aspetto del secondo, credendo non so che divino in lui per la grande avventura sua nella vittoria. I poveri tra loro spiccando ramnscelli di alloro, copioso in que’luoghi, ne coronarono Ercole e sè stessi ; ed accorrendo i loro monarchi lo invitarono ad ospizio. Come poi dal dir suo ne conobbero il nome, il lignaggio, e le imprese ; prolferivano a lui per benevolenza il i-egno e sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito avea da Temide stessa, volere il destino che Erctde, il figlio di Giove e di Alcmena, cambiasse per la virtù la natura mortale colla immortale, appena ravvisò chi egli fosse, ansioso di prevenire tutti e di rendersi propizio l’eroe con gli onori de’ Numi, alzò di repente con assai cura un alure, sacrificandogli dove l' oracolo avea già significato, un giovenco, intatto ancora di giogo, e supplicandolo a ricevere da lui le primizie di un culto. Meravigliatosi Ercole delle accoglienze, tenne il popolo a convito, immolando parte de bovi, e separando per ciò le decime delle altre prede : poi donò a quei re che assai Io bramavano, molte delle terre de’ Liguri ^ e di altri confinanti, cacciando da esse alquanti ribaldi. Dicesi ancora che egli fe’ la ricerca, giacché i primi de’ paesani lo tenevano per un’ Iddio, che gli perpetuassero quegli onori, sagrificandogli ciascun anno un giovenco non domo, e santificandone l’azione con greche cerimonie : e dicesi che insegnasse queste a due famiglie le più riguardevoli perchè vittime in tutto accette gli si offerissero: essere poi quelle de’Potizj e dei Pinarj, le famiglie allora istruite del greco rito, e le loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam de’ sagriiìzj, come v’ erano da colui depuute : talché i Potizj erano i capi nella santa operazione, ed aveano le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i Pinarj non ammetteansi a parte delle viscere, e teneano sempre i secondi onori nelle cose comuni ad ambedue. E cagione a questi della onorificenza minore fu la tardanza loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far del mattino, giunsero essendo già consumate le viscere. Ora r incarico del santo ministero non è più de’ posteri loro: ma di servi comperali dal pubblico. Dirò poi nel suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo, e le significazioni del Dio quando i santi ministri si permutarono. L’ara ov’ Ercole offerì le sue decime, chiamasi Massima da’ Romani, e trovasi presso al foro detto boario, veneratissima, quanto altra mai, da’ paesani : imperocché su questa fa patti e giuramenti chiunque vuole stabilità negli accordi ; e su questa si offrono spesso ancora le decime a compimento de’ voti. Nondimeno un tale altare nelle fattezze è minore della sua gloria. Vi ha de’ tempj di questo Nume altrove ancora in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne sono per le città e per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popolazione che non lo adorasse. E questo ci tramandan le favole intorno di Ercole.  Il testo ove DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà vederseue ciocché ne scrive Livio oel libro nouo. Egli dice occorsa la mutaiioDc quando Appio Claudio esercitava le funxinni di censore. Allora in un anno perirono dei Potizj trenta tnaschj abili a rinovaro le famiglie, a cosi la stirpe virile corse al suo termine. Ma il più vero è quest’ altro : e molti die scrissero le imprese di lui, cosi nella storia lo delincarono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti dei suo tempo, e postosi con esercito numeroso scorse tutta la terra cinta dall’ Oceano, levando, se ce ne aveano, qualunque tirannide, grave e molesta ai sudditi, e qualunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri vicini colla condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli ospiti, e stabilendo monarchi onesti, governi savj, c costumi socievoli ed umani. Scorse ancora tra’ Greci e tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in mezzo popoli infidi, intrattabili : fondò città .su luoghi deserti, diresse fiumi che inondavano i campi, aprì vie su monti impraticabili, e mille cose fece onde i mari tutti e le terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse finalmente in Italia ma non già solo, nè con mandre di bovi ; perocché non è questa regione in senti‘o per chi viene dalle Spagne in Argo, nè conseguito ci avrebbe tanti onori per causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle Spagne conquistate, ma con esercito amplissimo per sottoporsela, e dominarvi. Se non che fu costretto a consumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua fiotta, stanti le bnrrasche ree dell’ inverno, e perchè le genti d’ Italia, non tutte spontanee gli si abbassavano. E per non dire di altri barbari, i Liguri, popolo numeroso e guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono d’impedirgli colle arme 1’ ingresso nella Italia, e là s’ ebbero i Greci battaglia fierissima, esaurendovi tutti gli strali. Eschilo, poeta antichissimo, menziona questa battaglia nel suo Prometeo disciolto. Ivi inducesi Prometeo (he presagisce ad Ercole non che le altre vicende, quelle che gli sovrastavano nella spedizione contro di Gerione, e nella guerra co’ Liguri, certamente non focile : e questi ne sono li versi : À fronte là de" Liguri starai. Imperterrita gente : onta e rammarco Non ti fa guerreggiarli, e per destino, Pugnanda, ti vedrai mancar gli strali. Ma poiché, vincendo, s’ impadronì di quei passi ; alcuni, specialmente se greci di origine, o non valevoli a resistere, sottomisero volontai^' le loro città ; ma i più vi furono astretti con le arme e con gli assedj. Quanto ai vinti in battaglia, dicesi che Caco, quel si noto per le favole de’ Romani, barbaro principe di barbara gente, gli si opponesse perchè dominava luoghi assai forti, il che lo rendeva molesto ancora ai vicini. Costui poiché seppe che Ercole si accampava ne’ piani contigui apparecchiatosi all’ uso de’ ladroni, appari con subita scorreria su 1' esercito di lui che dormiva, e ne involò le prede, quante ne erano senza guardia. i Ma rinchiuso poscia per assedio da’ Greci che ne espugnavano le fortezze, finalmente anch’ egli soggiacque, e nel mezzo de’ suoi baluardi. 1 suoi castelli furono rovesciati; ed i compagni di Ercole, Evandro con gli Arcadi,. c Fauno con gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno per  Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo ignìfera, il suo Promeleo legato, ed il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i, Ateneo nel 14 liarlarono dell’ ultimo. Il secondo ci resta ancora.  I.' 6l 9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno immagnare che i Greci rimasti in quella regione furono gli Epei, e gli Arcadi originar) della città di Feneo, e li Trojani, lasciativi a presidiarla. Perocché tra le arti imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente che le altre, di sospingere tra le sue milizie uomini divelti a forza dalle città conquistate, e di metterli alfine, se animosi combattessero, ad abitare le terre invase, arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni, e non per II viaggio che niente area di rispettabile, il nome e la fama di Ercole divenne grandissima nell’ Italia. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abitati ^a’Komani egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^ retigli da due donne. Pallente era 1’ uno natogli da Launa  la figlia di Evandro: Latino è l’altro, natogli da una donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci dal padre in ostaggio, e custodivaia finché candida si maritasse ; navigando però verso 1’ Italia ne fu vinto dall’ amore, e la fecondò. Ma essendo egli ornai per tornarsene in Argo concedè che si restasse sposa di F anno, re degli Aborigeni ; e per tale cagione molti tengono Latino per figlio di Fauno, e non di Elrcole. Narrano che PaUante morisse nel fiore primo degli anni: ma che Latino, adulto fatto, succedesse al comando degli Aborigeni : e che venuto lui meno senza stirpe virile, il regno, per la battaglia co’Rutòli confinanti, restasse al figlio di Anchise, vale a dire ad Enea, che  Quesu nel S Zini, precedeatemente è chiamata Canna, ed ora  chiama Launa. Forse non k che la tanto nota Lavinia detta da Greci Launa, Labina, Laiinia, o Laouinia.  iliveuae suo genero'; ma queste cose accaddero in altro tempo. Ercole, ordinate come volea, le cose tutte d’Italia, e giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl con sagrifizio agl’ Iddii le dècime delle sue prede, e là, dove alloggiavasi la milizia navale, eresse una piccola città, dandole il nome di sè stesso , la quale ora albergaci Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli con porto sicurissimo per ogni tempo. Cosi divenuto tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria, per emu> lazione, per onori, fece vela per la Sicilia. Gli uomini lasciali custodi ed abitatori dell’ Italia, là, d’ intorno al colle di Saturno, si ressero un tempo da sè stessi : ma non molto dopo compartendo i proprj costumi, le leggi, i santi riti agii Aborigeni, come già fecero gli Arcadi, e prima i Pelasgbi, divennero coudttadini degli Aborigeni, talché sembrarono in (ine una gente medesima. E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Italia, e su quei del Peloponneso che vi restarono. Nella seconda generazione dopo la partenza di Ercole, nelr anno cinquautesimoquinto al più regnava su gli Aborigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di Fauno il discendente di quel magnanimo. In quel tempo i Trojani fuggendo con Enea da Ilio già debellata approdarono a Laurento, .spiaggia degli Aborigeni in sul mare Tirreno non lontano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu luogo per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco  (^uMia citi à di Ercole, si crede dorè ora è la torre del Grt-cu nel gulfe di lungi dal mare in un colie uqa città cui chiamarono Lavinia. Ma da indi ’ a non molto, cedendo 1’ antico nome, ebbero quello di Latini dal re di que’ luoghi ; e levandosi da Lavinia insieme co’ terrazzani fondarono una città più grande, Alba denominata. Donde uscendo di tempo io tempo fabbricarono molte e molte delle città de’vecchj Latini, abitate in grandissima parte ancor di presente. Sedici generazioni 'dopo la presa di Troja spedironouna colonia nel Pallanteo, e nella Saturnia, dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e gli Arcadi, e dove erano pur le reliquie di essi, e fecero che vi ^ abitasse. Allora cinto di mura il Pallanteo prese la prima volta la forma di una città. Allora ebbe il nome di Roma dal duce della colonia, io dico da Romolo, diciassettesimo tra’ posteri di Enea. Ma, perciocché gli scrittori, parte ignorano, e parte ricordano variamente quanto è della venuta di Enea nella Italia, non io vo' trattarne come di fuga, ma prendendo ciò dalle storie, almeno più accreditate de’ Greci e de’ Romani. Ora tali sono le cose narrate su quell’ argomento. Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno del cavallo di legno, come è presso di Omero, sia pel tradimento degli Aulcnoridi, o per altra maniera, perirono in città la popolazione, e gli alleati, sorpresi ancora nelle camere loro ; sembrando che la sciagura gii assalisse, non guardandosene, tra la notte. Enea e con esso i Trojani venuti da Dardano c da Olrinio a soccorrere gl’lliesi, c quanti altri conobbero in tempo la sciagura, che era preso il basso della città, fuggendo a luoghi più forti di Pergamo occuparono il castello,  difeso da proprj muri, ove, come ia saldissima parte, erano le sante cose di Troja, e danaro in copia, insieme col fior dell’ esercito. Standosi colà respingevano chi tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sotterranei vi riceveano chi vi si riparava dalia città già pigliata. Così più furono quelli che ne scamparono, che non quelli che caddero prigionieri. Con tal metodo Enea conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque infuriavano, non comprendesse in un tempo ogni cosa. Poi calcolando nelle sue probabilità l’avvenire, siccome era impossibile conservare la città, perdutane già la più gran parte, si rivolse al partito di cedere le mura ai nemici, e di salvare almeno le persone, e le sante cose della patria, e quanto potea trasportarsi di danaro. Così deliberato, comandò che fanciulli, e donne, e vecchj, e quanti abbisognavano di pausa nel fuggire, s’ incamminassero intanto verso le cime dell’ Ida ; mentre ~gli Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non curerebbero d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città: destinò parte di milizie in guardia di ehi si avviava perchè la fuga riuscisse più certa, e nello stato presente men dura; avvertendoli insieme che occupassero i luoghi più forti dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito, ed era il più rilevante ) egli persistendo su le mura, teneavi dis’ ratti i nemici che le attaccavano, e rendeva meno disagiato lo scampo ai suoi, che sfilavano : se non che salendo poi Neptolemo co’ suoi la fortezza, e convocandovi d’ ogn’ intorno i Greci perchè lo ajutassero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate le porte,. 6 !) deuominate perla fuga di tanti , anch’egli uscì per esse, ma in ordine di batiaglia tra quelli che gli restavano, portando su di ottime bighe il genitore, i patrj Dei, la sua donna, i figli, e quante v’ erano persone, o suppellettili più riguardevoli. Intanto gli Achei, presa di for/.a la città, spaziandosi intorno la preda, lasciavano ai fuggitivi grande comodità di salvarsi. Enea raggiungeva via via gli altri suoi, finché raccoltisi tutti in un corpo, occuparono i luoghi più forti deir Ida. Sopravvennero ivi ancora quelli che abitavano in Cardano ; perocché vedendo lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato, abbandonarono tra la notte insieme la loro città, levatine gli altri, i quali partirono prima coti Elimo ed Egesto, avendosi apparecchiate delle navi. Poi vi giunse tutto il popolo della città di Ofrinio, e vi giunsero dalle altre città Trojane quanti aveansi cara la libertà, sicché in poco tempo la milizia vi divenne grandissima. Ora questi', fuggiti con Enea dal cader prigionieri, tenendosi in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non molto alle patrie, appena i Greui via navigherebbero : ma i Greci sottomettendo Troja e le adjacenze, e devastandone le fortezze, apparecchiavansi a porre sotto giogo ì rifuggiti ancora ne’ monti. E mandando questi gli araldi perchè desistessero, nè li necessitassero alla guerra, si venne per le suppliche a trattative, e tali ne furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ  ni/Asf ^vyciéits, porle de' fu(;giiÌTÌ. s DIOAIGI t l. aveano salvalo nella fuga partissero in dato tempo dalla Traode, e consegnassero le fortezze : i Greci in apposito ovunque dominavano in mare ed in terra, vi procurassero la sicurezza à Trojani che viag~ giovano a norma de’ patti. Enea consentendo a lai leggi, anzi bonissime riputandole per le circostanze ; manda Ascaiiio il più grande de’ figli con banda di milizie per 10 più frigie, alla terra detta Dascilite ove ora è il lago uiscanio, perchè invitatovi da’ paesani a prendervi 11 comando. Ascanio andò, e vi stette ; ma non molto : perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e gli altri Ettoridi, rilasciativi da Necptolemo, egli guidandoli ne’ regni paterni, si rimise in Troja. E tanto è quello che si narra di Ascanio. Enea però com’ ebbe pronta la flotta, vj assunse gli altri figli, il padre, le cose auguste de’ Numi, e navigò su 1’ Ellesponto alla penisola vicina, chiamata Pallene, la quale giace dirim petto di Europia. Ivi un popolo ci avea, di Traci si, detto Cruseo, ma bellicoso e fidissimo tra quanti erano gli alleati de’ Trojani nella guerra. Tale è il racconto il più verisimile fatto da Ellanico, scrittore antichissimo, intorno la fuga di Enea 1  Nel teilo si legge: ZufUTns Europa: ciocebè ha prodotto degli equivoci: la vera lezione deve essere cioè di Europia la quale h regione della Macedonia che prende nn tal nome dal fiume Europo. Pailene talvolta è detta ancora città di Tracia, perchè li Traci vi comandarono. Del resto essa è pib distante che la Tracia a quelli che navigano dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi Den propriamente 1’ ha chiamala vicinissima per questi, essendo tale pinitesto la Tracia.  là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno ancora degli altri e non simili in altre leggende, ma non si, come io penso, persuasivi. Decidane chi gli ode, come più vuole. Sofocle il tragico nel suo dramma su Lao coonte, esseudo già Troja in sul termine, rappresenta Enea che va con le sue robe in sull’ Ida, seguendo i voleri del padre Anchise, pieno dei ricordi di Venere, e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi portenti avvenuti su’ figli di Laomedonte. E tali souo i versi di lui ma pronunziati da altra persona : £cco il fgliuol di tenere alle porte ; In dorso ha il padre, a cui di [bisso pende Cerulea veste dalle spalle, tocche Dalla folgore un tempo ; intorno intorno Gli fin turba i domestici, e le schiere Non si grande però, come tu pensi, De‘ Frigi, amanti d’ aver sede altrove. Menecrate di Zante fa saperci che Enea mise la patria nelle mani de’ Greci, tradendola per l’odio suo contro di Alessandro, e che gli Achei per tal merito gli con cederono che salvasse la sua casa. Egli comincia la sua storia dalla sepoltura di Achille in tal modo. Erano gli Achei liete afflizione, sembrando a sè stessi come privi del capo della milizia. Nondimeno ergendogli una tomba guerreggiavano di tutta lena ; finché Ti'P]a fu presa per tradimento di Enea. Quest’ uomo, perche spregiato da Alessando, ed escluso dagli onori  Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea aveva luLio questo, c più ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie non è savio, uel tulio aluaeuo de’iUCt;outì, e quindi cUc poco stm da aiifudarsi. sacerdolali, rovesciò la reggia di Priamo, e divenne per tali opere come uno de' Greci. Altri però narrano eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stavano le inavi trojane, ed altri che nella Frigia, speditovi da Priamo con soldatesca pe’ bisogni della guerra ; anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la partenza di Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso. XL. Le vicende di lui dopo la partenza mettono più incertezza ancora in molti; perciocché taluni guidandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e tra questi sono Cefalone Gergitio, ed Egesippo il quale scrìsse intorno Pelleiie, antichi entrambi e rispettabili. Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Arcadia ; e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia, e nel luogo, che, sebbene entro terra, cangiossi in isola, per le paludi e pel fiume, che le colonie che ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni, ma Gamie nominandosi allora da Capi trojano. Sono questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le cose degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse veramente in que’ luoghi, non però che in essi morisse, ma nell’ Italia : e ciò da molti attestali, come da Agatillo, Arcade poeta, nelle elegie scrivendo : Feline in Arcadia e generò nell’ isola Con le due donne Antèmone e Codone,  Due,/iglie ; e scorse nell' Italia, e quivi Del gran Romolo suo padre divenne. La venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sostengono tutti i Romani ; e monumento ne sono le pratiche nelle feste e ne’ sagi'ifizj, i libri sibillini, gli oracoli Pitici, e ben altre cose, le quali niuno trascurerà, quasi aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano tuttora molti indizj notissimi, come il porto nel quale approdarono, ed i luoghi ne’ quali si. trattennero, non essendo il mare navigabile. Siccome dunque sono tanti, io ne farò come posso menzione, ma breve. Primieramente dunque vennero in Tracia approdando alla penisola detta Pailene, tenuta, come indicai, da’ barbari chiamati Crusei, e v’ ebbero ospizio sicuro. Passando ivi r inverno edificarono in un promontorio un tempio a Venere, e fondarono la città di Enea, dove lascia rono quanti non poteano pe’ disagi più navigare, o quanti voleano rimanere, vivendovisi come nella patria. Questa durò fino al regno de’ successori di. Alessapdro, ma nel regno poi di Cassandro fu distrutta, quando sorse Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri passarono alla nuova città., ; XLI. Salpando da Pailene vennero i Trojani a Deio, ove Anio signoreggiava. E, finché Deio fu popolata r e (lorida, molti erano gl’ indizj della venuta di • Enea, e de’ compagni nell’ isola. Dalla quale navigando a Citerà  aUra isola incontro del Peloponneso ’ vi edificarono un tempio a Venere. Da Citerà tornandosi al mare e trovando morto non lungi varono i Trojani con Eleno. Ottenuto l’ oracolo sulla nuova loro sede, offersero al Dio cose trojane, e tra queste crateri di bronzo, de’ quali alcuni manifestano ancora con iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi si ricondussero camminando quattro giorni alle navi. Intendesi la venuta de’ Trojani a Butrinlo da un colle ove accamparono, che ancora chiamasi Troja. Da Bu> trinto sospinti lido lido Gno al porto detto, dopo un tal fatto, di uincitise ed ora chiamato con nome men chia ro (a), eressero ancor ivi un tempio di Venere : e passarono il mar Ionio avendo per guida della navigazione molli, che volontari li seguitavano, e li quali menavano con sé Patrone da Turi con la sua genie ; ma li più di questi, giunta l’ armata nell’ Italia, tornaronsi alle patrie : rimasero però nella flotta Patrone ed alquanti de’ suoi mossi a far causa con Enea, nel cercar nuove sedi ; quantunque alcuni dicano che il domicilio mettessero in Alunzio di Sicilia. In memoria di tal beneGzio col volger del tempo i Romani donarono agli Acarnani Leucade ed Auaitorio, togliendole ai Corintii ; e permisero ad essi che lo bramavano, di rimettere ne’ pro Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13 miglia. (a) Il Casaubono crede questo porto quello che da Tolomeo h chiamato Onchesmo, e da Strabone Oochismo ; il quale incontraTasi dopo Butriuto e Cassiope ( ora Januia ); crede che in principio si chiamasse di Anchise, poi di Anchesmo, o d^i Anchismo, e quindi men chiaramente, di Onchesmo, o di Oncbismo. Digilìzed by Google 7^ nm.LE antichità’ romane prj averi gli Oniadi, e di godere in comune con gli Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i compagni di Enea, ma non tutti in un luogo a terra ; approdando coi più delle navi al capo japigio, detto allora dei SalenUni ; e con le altre al lido, prossimo a quello cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era questo sito ancora un promontorio ma con porto estivo denominato di Venere, appunto dopo quel giorno. Poi navigarono, quasi col piè sulla terra, fino allo stretto di Sicilia, lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti, e tra questi là nel tempio di Giunone, la caraffa me fallica, la quale con antichissimo scritto manifesta 4I nome di Enea che porgevala in dono alla Diva. XLIII. Fattisi ornai vicini, eccoli nella Sicilia finalmente a Drepano, dir non saprei, se portativi per disegno di sbarcare, o se per le burrasche de’ venti, consuete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di Elimo e di Egesto fuggiti prima di loro da Troja. Favoriti questi da’ venti propizj e dalla sorte, nè gi'avati di molte bagaglio, erano in poco tempo approdati in Sicilia, e fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso in una terra che i Sicani aveano amorevolmente ad essi ceduta, per essere Egeste nodrito già nella Sicilia e congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei maggiori suoi, famoso trojano, cadde nell’ ira di Laomedonte, e quel re pigliandolo, certo per una incolpazione, lo uccise, uccidendo nemmeno tutta la stirpe virile di lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le vergini figlie giudicò bensì cosa non degna lo ucciderle, ma uon sicura nemmeno a permettersi che si accasassero. 73 eoa Trujani. Pertanto le diede a mercadanti con ordine che lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi navigò con esse un cospicno garzone, il quale preso già dall’amore di una maritollasi, e trassela nella Sicilia; e là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle nominato. Apprese i costumi e la lingua del loco : infine morendogli i genitori, e dominando Priamo in Troja, brigossi per lo ritorno. E militò pur egli contro gli Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo per la Sicilia, fuggendo con Elimo su tre navi, usate già da Achille quando saccheggiava la Troade, e poi da esso abbandonale perché  portn bello ^ o buono, ma nel codice Valicano ai La porto cattivo: il che varia la àeuicuta quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire li Enea, come de’ posteri, con tali maniere : Ifo, non i dubbio ; la virtù di Enea /leggerà li Troiani, e re^ranli Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro. G^ncependo da ciò, che Omero conosciuto avesse che questi regnavano nella Frigia ; inventarono qnel ritorno di Enea, quasi fosse impossibile che abitando nella Italia dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano comandare a Trojani già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove: vi saranno forse altre cause per le quali diasi a vedere r inganno. XLY. Che se alcuni sien turbati da questo : che la tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi, non potendo in più luoghi esser lui tumulato ; riflettano esser tal dubbio comune su molti uomini, specialmente su gli insigni per sorte, e vivuti sotto cielo ognor vario : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro cadaveri, ma molti tra le nazioni li monumenti per gratitudine sul bene che vi operarono, massimamente se tra quelle esistano stirpe o città che da essi provengano, o se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali appunto conosciamo che furono i casi che del nostro eroe si novelleggiano. Costui dopo aver operato che Ilio nelr esser preso non fosse totalmente distrutto, dopo aver operato che gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che chiamano; lasciò sovrano della Frigia 'Ascanio suo figlio, eresse in Pailene una città col nome di sé medesimo, maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella Sicilia : e sembrando che segnalato avesse la sua dimora in più altre parti, beneficandovi ; ne acquistò la benevola propensione per la quale gli eroi quando cessano la vita dell' uomo si onorano, e con pompa di monumenti in più luoghi. £ veramente quali altre cause mai potrebbe alcuno ideare de’ monumenti di lui nell’ Italia ? Ma di ciò sarà detto nuovamente secondo che le materie de’ subjetti si dorran rischiarare. Che poi l’armata trojana non veleggiasse verso parti più remote di Europa, ne furono cagione gli oracoli, i quali prendéano compimento appunto in quei luoghi, e la divinità che tante volte avea rivelato, ciocché si volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono le tende in sul lido. Ma stentandovi su le prime per la sete, perchè il luogo mancava di acque ; ecco vedonsi, ( dico ciò che ne udii tra’ paesani ) prorompere dalla terra spontanei rampolli di acque dolci, dalle quali fu tutto abbeverato 1’ esercito, ed irriguo ne divenne quel campo, scorrendo co’ rivoli loro dalle sorgenti fino a gettarsi nel mare. Ora però non si le acque abbondano che ne trascorrano, ma scarsissime, si restano in un cavo luogo, credute da’ paesani sacre al sole : e presso queste si additano due altari, trojani monumenti, rivolto r nno all’oriente l’altro all’occaso, ove favoleggiano che Enea facesse il primo sagrifizio in ringraziamento al Nume per le fonti che scaturirono. Poi sedutisi in terra per desinarvi, posero i cibi secondo molti su degli strati di appio come su le tavole ; ma secondo altri, per mondezza maggiore, li posero su focacce di farina : se non che finitisi i cibi apparecchiati, prima 1’ urto, indi r altro mangiava già 1’ appio o le focacce sottoposte ; quando com’ è fama, uno de’ Ggli, o certo della tenda slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo. Destossi all’ udir ciò fra tutti un entusiasmo, uno strepito, come allora si compiessero i primi oracoli che riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio, in Dodona secondo alcuni, o come altri dicono in Entra  nelle vicinanze dell’Ida ove sta la Sibilla, fatidica ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che navigassero verso /’ occidente, finché giungevano in luogo, dove sarebbero mangiale le mense : e che prendessero, quando vedeano ciò verificaio, per guida un quadrupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fondassero una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per comando di Enea portava custoditi com’ erano i simulacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo, e chi preparava basi ed altari per essi. Le donne accompagnavano le sante cose con ululati e con danze. InGne essendo già tutto pronto pei sacriGzio, i compagni di Enea stavano coronati intorno l’ altare.E già questi facevano de’ voti, quando la porca già pronta pel sagriGzio,gravida nè lontana dal parto, dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea concependo esser questa il quadrupede di cui 1’ oracolo signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene dietro, non  Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia; (jui si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa Krilra non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il testo non è puro abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è qui relativa a distanze beo grandi. Digitized by Google  legni e cose di rustico apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne sarebbe chi ne era privato. In quel tempo Latino re guerreggiava co’ Rutoli, suoi vicini, ma con poca prosperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano, esagerando le imprese di Enea : che un esercito di forestieri gli devastava tutto il litlorale: che se non davasi presto a riutuzzarlo, avrebbe poi manifestamente guerra più aspra con essi, che non co’ vicini. Temè Latino a tal nuova, e ben tosto, sospesa la guerra presente, mosse con esercito poderoso contro a’ Trojani. Ma vedeudoli armali alla greca, intrepidi, in buon ordine, aspettare il cimento, si arrestò, difGdando di poterli sottomettere in un colpo, come avea già speralo nel moversi contro di essi. Ed accampatosi in un colle pensò che dovevaiuuanzi tutto ricrear le milizie dalla molta fatica, sostenuta nel lungo e coutinuo travaglio. Adunque ivi riposò quella notte; ma disegnò di lanciarsi al fare del giorno sul nemico. Fra tali risoluzioni un genio del loco venne a lui tra ’l sonno, e gl’ impose di ammettere i Greci che venivano a grande utilità di Latino, e bene comune degli Aborìgeni. Parimenti i Dei patrii, svelandosi tra la notte ad Enea, suggerivano che inducesse Latino a concedergli spontaneamente una sede nel luogo che bramava, e rendersi i Greci alleati, e non competitori nelle arme. Tal sogno contenne l’uno e r altro dal cominciar la battaglia. E non si tosto fu giorno, elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi venire da ambe le parti ai capitani per chiedere un vicendevole parlamento; e si tenne. Latino il primo querelatosi della guerra improvisa e non intimata, chiedeva ad Enea che dicesse chi fosse, e con quale disegno invadeva e derubava que’ luoghi, non avendone mai ricevuto alcun danno, e non ignorando che gli assaliti rispingono gli autori della guerra. E laddove tutto esibivasi a lui se moderate ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella cortesia degli abitanti ; egli violando la giustizia comune degli uomini, voile impudentemente anzi che da onorato, arrogarsi ogni cosa colla forza. Enea rispose : Noi siamo Trojani di lignaggio, e veniamo da una città non ignota affatto tra Greci. Essi espugnandola con gueira di dieci anni ce la tolsero ; ed ora vagabondi ci rigiriamo, sema città, senza regione, ove prendere sede finalmente. Siamo qui venuti seguendo i voleri de' Numi ; annunziandoci gli oracoli che que- ta è la tota terra che ci lascia come requie da tanti errori, Abbiam preso dalle wstre terre quanto ri era bisogno ; Noi provvedevamo anzi alla nostra infelicità che al decoro, lutto che non volessimo far cosa meno di questa, come novizj in tai luoghi. Ma ne daremo copiose e buone ricompense. Vi offeriamo i nostri corpi, le nostre anime, costumati ahbaslanza ai travagli. Comunque usar ne vogliale ; noi custodiremo come inviolabili le vostre tene, noi ci lanceremo ad acquistarvi quelle de' nemici. Noi vi supplichiamo che non ascriviate ad odio le cose operate; non avendole noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità violentati; e ciò che non è volontario è pur degno di scusa. E se ora ce ne scusiamo, se ne imploriamo voi stendendovi le mani supplichevoli; già non si conviene che ci destiniate alcun male, Altrimente invocheremo gli Dei, invocheremo gli Genj di queste terre perchè ci condonino quanto abbiamo fatto o necessitati faremo. Noi tenteremo respingervi la guerra se ce la incominciate ; chè non è questa la prima nè la massima di quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo soggiunse : Io sono propenso inverso di tutti i Greci e mi struggono il cuore i mali necessarj degli uomini. E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai farmi chiaro che qua venite bisognosi di una sede, per aver parte nelle nostre terre e su quanto vi sarà dato per amicizia, non per involarmi colle armi il comando. Se questo dir vostro è vero ; se ne dia, chiedo, la vostra fede e se ne riceva la nostra : e saranno queste le mallevadrici pure de' patii. Dtomet, Hmt r. s  L. Enea encomiò quel parlare ; e si giurarono tali patti tra i due popoli : Darebbero gli Aboiigeiti ai Trojani quanta terra volessero in qualunque parte del colle, dentro il giro di cinque miglia da questo. Li Trojani entrerebbero a parte della guerra che gli Aborigeni aveano tra le mani, e militerebbero con essi in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in comune ambedue col senno e colla mano t utile vicendevole. Stabiliti tali patti, e confermatili con gli ostaggi, combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e soggiogando in brevissimo tempo ogni cosa, presentaronsi ad ultimare la trojana città non compiuta, e tutti con un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di Lavinia, come dicono i romani scrittori, dalla figlia di Latino, chiamata anch’ essa Lavinia; e secondo alcuni de' greci mitologi dalla figlia di Anio re tra Deliesi, Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa nel primo costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura appunto nello spazio dove Enea fabbricava , la città ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani conceduta dal padre alle istanze di Enea, come donna di senno e di profezie. È fama che i Trojani nel fabbricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi jl fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo vi traesse colla bocca e gittassevi aride materie ; e che  si spiega per infermarsi, travagliarsi, quasi Dionigi dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce significa ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde non è facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda dove si ammala. Digitized by Gopgle LIBKO I. 83 no’ aquila volaado, Vi eccitasse le (ìamtue col battere delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad estinguerle colla coda, bagnatala iu un Hume : e die ora vincendo chi accendeva ed ora chi ammorzava, al> fine, prevalessero le due ale, partendosi la volpe senza che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo conchiudessc, come la colonia diverrebbe magniCca, meravigliosa, celeberrima ; darebbe il crescere di essa invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni ostacolo, ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente dell’odio de’ mortali in combatterla. Questi sono i portenti famosi, nati colla città : e per memoria se ne custodiscono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di Lavinia le immagini metalliche di quegli animali. LI. Poiché fu compiuta la città de’ Trojani entrò desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne diedero r esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj il grado de paesani e de’ forestieri, e sposando Latino la sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi ancor gli altri da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’altro leggi, costumi, sacrifici, congiungendosi in città di cure e di consorzio, e divenendone tutti un corpo e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni, osservarono con tal fermezza gli accordi, che uiun tempo mai più li divise. .Tali sono le genti che vennero e si congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’ Romani, prima che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano i primi gli Aborigeni, i quali cacciarono dalle proprie .sedi i Sicoli 4 greci antichissimi del Peloponneso, di quelli, io credo, spatriatisi con Eouotro dalle terre ora dette di Arcadia. erano secondi ì Pelasghi, usciti dal>' r Emonia, ora chiamata Tessaglia : ed erano terzi quei che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pallanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del Peloponneso, militari di Ercole, a quali si mescolavano alquanti Trojani; e gli ultimi furono i Trojani scampati con Enea da Ilio, da Cardano e da altre loro città. LII. Che poi li Trojani ancora fossero Greci, principalmente di orìgine, usciti un tempo dal Peloponneso fu già detto da molti, ed io pure lo dirò brevemente: e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re dell Arcadia che ora chiamano, abitava intorno al monte detto Taumasio. Sette erano le figlie di questo ora trasferite, dicesi, nel cielo col nome di Plejadi. Giove sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano: Glasoue si tenne celibe, ma Cardano sposò Crise la figlia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i quali due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di Atlante. Poscia avvenendo il gran diluvio in Arcadia ; i campi ne divennero paludosi, nò più coltivabili per lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti, e con scarsi viveri, consentendo ad una voce che le terre intorno non erano più bastanti a nutrirli, si divisero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia crearono sovrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono su gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di Europia giunsero al golfo detto di Me lane, recandosi ad un isola della Tracia, non saprei se abitata allora o deserta, cui chiamarono Samo Tracia con nome composto dal duce e dal luogo, per essere questo nella Digilized by Google usno I. 85 Tracia, e Samone 1’ altro, figlio di Mercurio e di Rene, ninfa Gillenide. Ma non a lungo vi dimorarono ; cbé non era ivi una facile cosa la vita, avendosi a lot tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque lasciando un gruppo di loro nell’ isola, li più se ne mossero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli Auspicj di Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ isola per avervi appetito il concubito con Cerere. Venuti al mare chiamato Ellesponto, e sbarcatine, abitarono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da lui retta della milizia di Bardano, abitò ne’ monti che • Idei si appellano da lui, ne’ quali ergendo un tempio alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e sacrifici, durevoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troade che dicono, fondandovi la città coi nome di sé medesimo, e ricevendone delle campagne da Teucro re, dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’ quali Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica, narrano che Teucro ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia, e regnasse in sul popolo di Zipeta ; allegando su ciò molti argomenti. Quivi dominando egli campagna ampia p buona, ma non molto popolata, desiderò di vedere Bardano, e li Greci con esso venuti, si per avergli alleati nelle guerre co’ barbari, sì perchè la sua terra non giacesse deserta. LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali Enea discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano morendogli Crise la figlia dL Fallante dalla quale avea due fanciulli, si sposò òon Batia la figlia di Teucro. Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif Digitized by Gopglc 86 dt:lle antichità’ eomane mo per lacloppia eredità della signoria paterna, come deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale ebbe nome la nazione. Da Troe e da Acalide fisiia di O Euniida sorse Assaraco : e da questo e da Glitodora figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa, Kaide chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e di Venere è figlio Enea. Cosi avrò dichiarato che i Troiani siano Greci di origine. LIV. Su 1’ epoca della fondazione di Lavinia scrivesi variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli che r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja. Imperocché Ilio fu preso nel fine della primavera, il giorno diciassettesimo prima del solstizio estivo, mancandovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secondo la cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci venti giorni a terminare quel giro di anno. Pertanto nei trentasette giorni decorsi dopo quella presa io stimo che gli Achei provvedessero su le cose della città, che ricevessero le ambascerie di quelli che erano usciti, e giurassero dei patti con essi. Nell’ anno seguente e primo dopo la espugnazione, i Trojani salpando da quella terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto: e portati nella Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^ cogliendo gli altri che giungevano ancora dalla fuga, e preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in sul fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia dove riparatisi spirò intanto quell’ anno : ivi spesero il secondo inverno fabbricando città con gli Elimi. Ma divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola, e Digitized by GoogieLIBRO I. 87 valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo della estate a Laurento, spiaggia marittima degli Aborigeni, e presavi terra, vi fabbricarono Lavinia mentre compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di Troja. Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco. LV. Enea fornendo la nuova città di tempj e di altri edifizj i più de’ quali persistevano ancora a’ miei giorni, alfine nell' anno seguente, terzo della sua emigrazione, regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino nel quarto, ebbe anche il regno di questo si per 1’ affinità sua con esso, di cui Lavinia era la erede, si per essere lui già duce degli eserciti nella guerra coi vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ribellati da Latino scegliendosi per capitano Turno un disertore di Latino, e cugino di Amata, regia moglie di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comcciatosi dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri che de’ parenti, e sospinto da Amata e da altri, andò cM>lle milizie delle quali era capo, e si congiunse coi Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono in battaglia vivissima Latino e Turno e molli altri ; trionfandone Enea. Da quell’ epoca ebbe questi lo scettro del suocero, e regnò dopo la morte di lui tre anni ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli uscirono contro dalle loro città tutti in arme li Rutoli e Mezenzio re de’ Tirreni che per le sue regioni temeva, conturbato al vedere che la greca poteuza via via si ampliava. Si dié la battaglia, ma fortissima non lungi da Lavinia; soccombendone molti da ambe le parti, finché la notte sopravvenendo, divise gli eserciti. ENEA più non apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi, chi perito nel fiume, presso cui fu la pugna. I Latini gli eressero un tempietto iscrivendolo : del Padre e Dio del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio. Pur vi è chi dice edificato il tempio da Enea per An chise, morto P anno avanti tal guerra. L’ edifizio è non grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne da vedersi. LVI. Passando Enea da questa vita, al più I’ anno settimo dopo la presa di Troja, assunse il comando su’ Latini Eurileone, quegli che. nella fuga intitolavasi Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora, e la forza nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i Latini a soccorrere gli assediati a Lavinia. Ascanio dun que il primo chiese pace e condizioni onorate ai ne mici : ma non giovando la inchiesta, fu costretto ren dersi pienamente, e finire la guerra come il vincitore ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’ Tirreni oltre le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi che si recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino producerasi dalla campagna latina ; cosi per la ìndegnissi ma condizione Ascanio prima, e dopo lui li Trojani dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto della vite. E confortandosi gli uni gli altri ad imprendere da valentuomini, e chiamando i Numi a parte dei loro pericoli, si mossero di città ma tra notte non chiara per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in un subito il campo nemico il più vicino alla città, riputato antemurale ancora delle altre milizie, perchè tenuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tirreni, comandati da Lauso, figlio di Mezenzio, Intanto che questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei piani vedendo la luce insolita, ed ascoltando le voci degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse fra loro paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di notte, che apprendano già già di essere assalite, ma nè ordinate uè provvedute abbastanza. I Latini all’ opposito poiché vinsero per assalto quel presidio, e conobbero lo scompiglio deir altra milizia, le furon sopra incalzando e trucidando : e questa non potea nemmeno sapere i suoi mali; non che pensasse ricorrere alla forza. Quindi confusi, incerti che fare chi s’ avvia tra .dirupi e ne soccombe, chi tra luoghi cavi ma senza esito, ed è preso. Li più non distinguendosi tra loro si trattarono ira le tenebre a vicenda come uemicì ; e ben fu la sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con pochi, poiché vi seppe la morte del figlio, quanto esetcito gli fosse perito, ed in quai luoghi ora si fosse iin tempo in cui fu costrutta la città, signora al presente delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori, con quali vicende recassero la colonia, o le fondassero la città, molti già lo narrarono, discordandone alcuni in più casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più persuadevoli ; te quali sqn queste. LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza la reggia di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fratello. più grande, scorse ad altre infamie col molto abuso dei diritti, macchinando all’ultimo distruggere la stirpe di Numitore per timore di subirne la vendetta, e per desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando ciò da gran tempo, notò primieramente dove recavasi alla caccia Egeste il figlio già pubescente di Numitore, e, fattegli delle insidie nel meno visibile di que’luoghi, lo uccisse appunto che inseguiva le fiere, dando opera che si dicesse poi, che il giovine fu vittima de’ladroni. Ma tal voce artificiosa uon potè soffocare la verità che. lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla, con pericolo ancora. Ben conobbe Nunillore il successo ; ma tollerando con saviezza bonissima fìnse non conoscerlo per differirne i risentimenti a tempo meno pericoloso. Amulio tenendo la vicenda per occulta, fece ancora, che la figlia di IVumitore detta Rea secondo alcuni, e poscia Ilia quando fu matura per le nozze, si dedicasse al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito noti partorisse un vindice della sua gente. Dee irenl’anni, e nommeuo rimanersi candida da cose maritali lina donzella messa alla cura del fuoco inestinguibile, o per altro religioso ministero serbato per legge alle sue pari. Compieva Amulio tutto ciò co’ bei nomi di onorare c distinguere il parentado : perchè non avevane egli introdotto la legge : anzi essendo già praticata non astringeva il fratello, sicché la prima volta esso tra’ nobili si valettse di quelli onori. E pregiavasi tra g]i Albani che le donzelle più nobili ministrassero a\^esia. Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò per amore del meglio: tuttavia non espresse l’ira sua, ma tacque profondamente ancora su questa ingiuria per .non esserne malmenato dal popolo. Dopo quattro anni Ilia recatasi al bosco sacro di Marte ad attingervi limpide acque pc’ sacriGzj vi fu violentala da uno, dicono, de’ giovani innamorato della donzella : o da Amulio non si per amori che per inganni, tutto in arme, e travisatosi quanto poteva, onde essere terribilissimo a vedere. Molli però novelleggiano che fu in persona il Nume del loco, acconciando a tal fatto varie circostanze divine, e che il sole se ne ascose.  I()3 e le tenebre si spnrsero in cielo. Essersi,la immagine di quel Dio presentata augusta più che la umana per la mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che aveala violata ( e da ciò conchiudono che fosse un Iddio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non si affliggesse per la vicenda essere a lei fatte le cose de’matrimonj dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe due figli y potentissimi in arme. Narrano che, ciò dicendo, nna nuvola lo circondasse, e che spiccatosi di terra, si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo, ma bastino i detti de’ filosofi, per discutere la sentenza da aversi su queste cose, cioè se debbano dispregiarsi come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o se debbano riceversene le narrazioni, perchè 1’ universo è un composto di tutte le sostanze, tra le quali haccene pure una intermedia tra la umana e divina, che ora mescendosi agli uomini, ora ai Numi, genera la stirpe degli eroi. La donzella dopo la violenza si diè per inferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di lei, come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante cose,' ma se dovea porgervi l’ opera sua, supplivano le vergini, compagne nel ministero. LXIX. Amulio, sia che mosso dalla coscienza, sia che da’ concetti del verisimile, spiava attentissimo le ca gioni per le quali tcneasi tanto tempo lontana da’ riti divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo : ma pretestando le donne non essere un tal male da presentarsi ai maschj, mise la moglie sua per guardia della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in(loie del male, conghietlurando da indizj muliebri, ignoti alle altre ; egli fe’ custodire co’ soldati la donzella: perchè il parto, ornai prossimo, non si occultasse. £ chiamando a collocjuio il fratello, disse la violazione recondita, dolendosi che i genitori vi stessero a parte con la fanciulla, e comandò che non tacessero, anzi pubblicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’ egli udiva cosa incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chiedea tempo per chiarire la verità. £d ottenutolo a stento, poiché seppe dalla moglie la cosa come erale narrata in principio dalla fanciulla, gli riferì la violenza fatta dal Nume, e le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che si prestasse fede a tanto, se da quel parto nasceane la ]>role cora’ era presagita dal Nume. Non essendo ornai lontano il parto ; egli non sarebbene deluso lungamente : intanto esibiva donne in custodia della figlia, nè ricusavasi a prova ninna. Acconsentivano quanti erano in parlamento: Amiilio però diceva che non aveaci punto di buono in que’ detti, e diedesi per ogni guisa a pci^ dere la lànciulla. Intanto presentansi gl’ incaricati per invigilare su quel parto, e narrano aver lei dato in luce due maschi. Insistè Numitore ben tosto in dimostrare che a'veaci. r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si facesse alla vergine incolpabile. Amulio nondimeno concepiva che ci avesse della cabala umana anche nel parto mer desimo, con essersi procurato 1’ uno de’ fanciulli da altra donua, ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e molto su ciò fu disputato. Come i consiglieri videro che il re piegavasi ad ira inesorabile, sentenziarono aneh’ essi, com’ egli volea ; che si applicasse la legge, la quale ordina che uccidasi, battuta con verghe, la ver gine profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da lei ndla corrente del fiume. Ora però le leggi per le sacre cose prescrivono che tali donne seppelliscansi vive. LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le cose medesime o con picciolo divario, altri seguendo più la favola, ed altri la verisimiglianza. Ben però discordano su ciò che vi rimane ; dicendo altri che la condannata fu tolta immantinente di mezzo, ed altri che serbata in carcere oscura fe’ nascere nel volgo la idea della occulta morte di lei. Scrivono che Amulio a ciò s’inducesse vinto dalla figlia supplichevole che chiedevagli in dono la cugina ; già nudrite insieme, e pari di età voleansi il bene di sorelle. Amulio che non avea se non quella figlia, gliela concedette ; nè più compiè la morte di Ilia, ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu liberata col morir del medesimo. Cosi le antiche scritture discordano intorno di Ilia, ma tutte presentano un apparenza di vero ; e perciò ne ho fatta menzione. Chi legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile. Quanto ai figli d’Ilia cosi scrive Fabio detto il Pittore, cui seguirono Lucio Cincio, Porcio Catone, Calpurnio Pisone, e la più degli storici.  Alcuni de’ ministri prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti in un cestello, ve li U'asportavano per gettarli nel fiume, lontano quasi cento venti stadii dalla città. Ma come vi si approssimarono e videro che il Tevere per le pioggie incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su i campi, discesero dalle cime del Pallanteo fino alle acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre, deposero il cestello appunto ove il fiume toccava, inondando le falde del monte. Ondeggiò quello alcun tempo ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più ester> ne, il vasello percosse in un sasso, e deviatone, travolse i fanciulli ^ che vagendo in sol fango si dimenavano. Quando apparendo una lupa, fresca di parto e gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle tenere bocche de’ medesimi, tergendoli via via colla lingua dal loto onde erano intrisi. Frattanto sopravvengono dei pastori che guidavano le greggi ai pascoli ; potendosi già per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi come la bestia carezzava que’ pargoletti, restossi estatico per lo spavento e per la incredibilità dello spettacolo. Quindi ( perciocché non era col solo dire creduto ) andando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con duce a mirare il portento. Approssimatisi questi, e vedendo come la bestia molcea que’ pargoletti, e come i pargoletti usavano colla bestia quasi colla madre, parvero a sé stsi presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e proceduti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida impaurire la lupa. E questa non incrudita affatto dal giungere degli uomini, ma quasi domestica fosse, ritirandosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli restandone ) dalla vista de’ pastori, essendovi non lungi un luogo sacro, opaco per selva profonda, ove le fonti sgorgavano da pietre cave. Dicesi che quello fosse il bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In questo venne la fiera e si ascose. Ora il bosco non è più: ma ben additasi 1’ antro dal quale scorrevano le acque, in vicinanza del Pallanteo, lungo la via che mena al}  107 r Ippodromo ( 1 ) : scorgesi ivi prossimo un tempietto ov’ è j come effigie del fatto, una lupa che offre a due fànciullini le poppe ; metallico e di antico lavoro è quel monumento. Era questo luogo, com’ è fama, sacro per gli Ai'^ cadi che vi si accasarono con Evandro. Allontanatasi la fiera, i pastori presero i fanciulletti provvedendo che si allevassero appunto, come se volessero gli Dèi che si conservassero. Era tra questi un placido uomo, il capo de’ regj pastori, F austolo nominato, il quale trovavasi in città per alcun suo bisogno, nel tempo che lo stupro vi si riprendeva ed il parto d' Ilia.' Dopo ciò mentre erano que’ teneri putti portati al fiume, egli nel tornare ài Pallanteo, tenne per incontro divino la strada medesima di quelli che li portavano. E non dando vista di sapere principio alcuno del fatto, dimandò per sè que’ miserelli, e presili con voto comune, e recandoseli, venne alla moglie. E trovatala che avea partorito, e dolente, che il parto erale morto, la racconsolò, e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ; contandole dalle origini la vicenda che li riguardava. Poi crescendo, chiamò r uno di essi Romolo e Remo 1’ altro. Fatti adulti / non somigliavano per la bellezza dell’ aspetto e della prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di bovi, ma chiunque numerati li avrebbe tra’ regj figli, specialmente tra quelli creduti di generazione divina, come in Roma cantano ancora nelle patrie canzoni. Era la vita loro fra’ pastori, e col travaglio la sostenevano,  Cirro oTc -garrpgiavasi col corso Je’ cavalli.  fissando per lo più su’ monti e legni e canne in guisa che dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed ancora nel lato che dal Pallanteo piegasi verso l’ Ippodromo V sopravanza 1’ uno di questi abituri, detto di Romolo > cui guardano come sacro, ma nulla vi aggiungono on-, de renderlo più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a meno per anni o tempeste, la suppliscono, riparandola, quanto possono con simiglianza. Giunti a’ diciotto anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori di Numitore i quali tenevano i loro bovili sull’ Aventino, colle situato rimpetto del Pallanteo. Ricbiamavansi spesso gli uni su gli altri, che pascessero i campi non proprj, o soli si tenessero i campi comuni, o per cose altrettali, se ne avvenivano. Davansi per tali dissidj colpfdi mani e di armi ; e ricevendone da’ giovani assai li servi di Numitore, e perdendovi alcuni di loro, ed essendone esclusi a forza dalle campagne, cosi macchinarono. Disposero in valle occulta le insidie su’ giovani, e concordato con quei che le disponevano il tempo di eseguirle, gli altri intanto andarono in folla alle roandre de’ medesimi. Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più riguardevoii recato alla città detta Genina per farvi a no^ me della comune i patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo della incursione volò per la difesa, prendendo in un subito le armi, e li pochi venuti a lui per unirsegli dal villaggio. Non aspettarono quelli, ma fuggirono per tirarseli dietro, dove rivolgendosi a proposito gli assalissero. Ignaro della trama, seguitandoli Remo lungamente, si ingolfò nel luogo delle insidie ; e le insidie proruppero e li fuggitivi si rivolsero ; e circondando lui co’ seguaci. 1 09 e tempestando co’ sassi, gli arrestarono, com’ era il comando de’ loro padroni che volevano vivi que’ giovani nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero.Ma Elio Tuberone uomo grave, e ben cauto nel tessere le istorie scrìve : che avendo que’ di Numitore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire a Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era istituito da Evandro, tesero gli agguati pel tempo appunto del santo ministero, quando bisognava che I giovani, abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi per la terra, e velati solo nel sesso con le pelli recenti delle vittime. Era questo un tal rito patrio di espiazio^ ne, praticato ancora di presente. Standosi nel più angusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su quei facitori di sante cose, ecco venirsene ad essi la prima banda con Remo, seguitando più tarda 1’ altra con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse, e distanze. Non aspettando quelli il giungere degli altri, dato un grido, uscirono in folla sa’ primi, e circondatili, gl’ investirono > chi con dardi e chi con sassi o con altro, comunque gli era alle mani. Sbalorditi questi dall’ inaspettato assalto, e mal sapendo che fare, inermi contro gli armati, furono assai facilmente arrestati. Con tal modo, o con quello tramandatoci da Fabio, divenuto Remo il prigioniero de’ nemici, fu tratto in Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello, pensò dover subito tenergli dietro col Bore de’ suoi pastori, quasi a ricuperarselo ancora tra via : ma ne fu distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno. Era F austolo ancora tenuto come padre, avendo sempre occultato ai due garzoacelli i loro primi tempi, perchè non si mettessero di slancio a’ pericoli, prima della robustezza degli anni. Allora peiTò vinto dalla necessità rivela, solo a solo, a Romolo ogni cosa. E Romolo in udire tutta la sciagura che areali involti 6n dalla nascita, impietosito per la madre venne in grande ansietà verso di Nnmitore. E molto consultandosi con Faustolo conchiuse che doveva allora contenersi da ogni impeto ; sorgere poi con apparato più grande di forze a redimere la sua famiglia dalle ingiustizie di Amulio, e subire fin 1’ ultimo rischio in vista de’ grandi risultati, operando col padre della madre, quanto egli nc risolvesse. LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio, Romolo convocando i paesani, e pregandoli a recarsi di subito in Alba, non però tutti io folla, nè ad una porta perchè non si eccitasse in città sospetto di loro, c a tenersi nel foro, pronti per eseguire, s’ incamminò per il primo verso di quella. Intanto quei che menavano Remo presentatolo ai regj tribunali, ve lo accusavano delle ingiurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita.vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero tutte le manche, se non erano vendicati. Amulio volendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa, come a Numitore, forse presente ad incolparlo per altri , volendo la tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta la baldanza del giovane, imperterrito in sue parole ; lo ( i) Secondo Dionigi, Numitorc ignaro della condiziona di lìcmti, lo accusava a nome de’ suoi clienti.. Ili .condannò con rendere Numitore 1’ arbitro del castigo, e con dire che chi fa ree cose, non dee rintuzzarsene da altri quanto da chi le ha sostenute. Intanto che Remo era condotto con le mani addietro legate, ed erane vilipeso da’ pastori  che sei conducevano Numitore postoglisi appresso ne ammirava la bellezza delle forme che aveano molto del regio, e ne contemplava la nobiltà de’ sentimenti, che egli conservava in mezzo ancora a terribili cose, non volgendosi a far compassione nè importunando, come tutti fanno in simili casi, ma procedendo con silenzio maestoso al suo termine. Giunto in sua casa, Numitore fece che gli altri si ritirassero, ed egli, solo con solo, chiese a Remo chi fosse, e da quali parenti ; non potendo lui, : ootal giovine, essere da ignobile stirpe. E soggiungendo Remo quanto ne sapea dal suo nutritore., come dopo la nascita era stato esposto bambino nella selva col germano, gemello di lui, come raccolto da’ pastori fosse poi stato allevato ; colui, sospesone alcun tempo, alfine, sia che in ciò vedesse  vole sospettando che egli non pensasse come parlava, cosi rispose : I giovani, come è loro mestieri, vanno pasturando de' bovi pe' monti. Io men veniva in nome di essi cdla madre per dichiararle come stieno i loro fatti. Ma udendo come tu fai guardare questa donna, io dirigevami a supplicare la figlia tua perché a lei m' introducesse. E questo cestello, io recavalo meco per certificare i miei detti. Ora poiché tur sei fermo di ricondurre qua li garzoncelli, ne esulto ; e manda con me chi vuoi, che io dimostreroUi, perchè loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi dunque diceva per allontanare la morte de’ giovani, e sperando egli insieme fuggire da quelli che sei menavano, quando sarebbe ne’ monti. Amulio immantinente invia con esso i più fidi tra’ suoi militari, ordinando però segretamente che afferrino, e gli rechino quelli che il pastore dimostrerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e farlo custodire, ma senza catene finché 1’ affare presente se gli acconciasse. Lo chiamò dunque ma in vista ben di altre cose. Mosso l’ araldo speditogli, dalla benevolenza e dalia compassione de’ mali di lui che pericolava non tacque i disegni di Amulio a Numitore : e questo manifestando a’ giovani l’ infortunio che pendeva su loro, e confortandoli a farla da valentuomini, -andò alla reg già tra le arme di clienti, di amici, e di non pochi servi fedeli ; e lasciato il mercato pel qual erano venuti in città, vi andarono ancora co’ pugnali sotto degli abiti i contadini, gente robustissima. £ forzando tutti con impeto comune l’ ingressa, non presidiato da molli,  I. I l5 bea tosto uccisero Amulio, e presero poi la fortezza. Cosi Fabio ne racconta su ciò. ' LXXV. Altri però giudicando non convenirsi punto di favoloso alla storia dicono inverisimile che la proje> zione de’ fanciulli non seguisse com’ era ordinata ; e dicono che l’amorevolezza della lupa che porge lemammelle ai fanciulli è piena di comiche incoerenze. Raccontano invece che Nnmitore al conoscere la gravidanza d’ Uia, ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti, supplendovene altri nati di fresco ; e dandoli in fine ai custodi della parturieute, perchè al re li recassero. Sia che la fedeltà di questi fosse comperata con oro, sia che la sostituzione fosse compiuta per mezzo di femmine ; ad ogni modo Amulio prese ed uccise gli spurj; laddove i figli d’ llia cari più che ogni cosa a Numitore, furono da lui salvati, e consegnati a Faustolo. Asseriscono che un tal F austolo era un Arcade, originato da’ compagni di Evandro, alloggiato in sul Pallanteo colla cura degli armenti di Amulio ; e che condiscendesse di allevare i figli di Numitore, indottovi da Faustino , fratello sno, presidente de’ bestiami di ]Vnmitore i quali pascolavano per 1’ Aventino : essere stata la nudrice, la esibitrice delle poppe sue, non la lupa, ma com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Laurenza, e Lupa con soprannome da quei del Pallanteo perchè prostituiva il suo corpo. Certamente era questo  Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io Rumalo Io chiama PUiacino. Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e Fausto siavi somiglianza come tra Romolo e Remo : ed altri con molla confusione lo chiama Faustolo come il fratello. il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si vendono ne’ riti di amore, e le quali ora con più gentil nome, amiche si appellano. E quindi alcuni che ciò non sapevano ne tesserono la fàvola della Lupa, cosi chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che i fanciulli slattati appena, filrono dagli aj loro mandati a Gabio città non lontana dal Pallanteo perchè vi prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammaestrati nelle lettere, nel canto, e nell’ uso greco delle armi ; che rivenendo poscia ai padri loro putativi brigaronsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli comuni, e li percossero, e gli allontanarono colle greggie : essere tali cose state fatte col volere di Numitore perché si avesse un principio di ridami, ed una causa onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo dò Numitore fe’ lamentanze contro di Amulio, quasi per grave danno e ruberie de’ pastori di lui ; dimandando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani il porcajo, reo delia lite, e li Ggli di quello : che Amulio a rimuovere da sè quella. incolpazione, ordinasse a tutti gli accusati, ed a quanti si dicevano essere stati presenti al successo di comparire in giudizio per Numitore : che insieme concorrendo molti altri sul pretesto di quella causa, Numitore dicesse a’ nipoti quanta, sciagura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che quella, se altra mai ve ne fu, quella appunto era 1’ ora della vendetta, iramautiuenle volarono colla turba de’ pastori all’ assalto. E queste sono le memorie su la origine e su la educaziouc de’ fondatori di Roma. Ecco poi le cose avvenute nella fondazione: ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accingo. Poiché Numitore col morirsi di Amulio riebbe il principato ; spese breve tempo a riordinare su le antiche maniere la città, già premuta colla tirannide, e ben tosto fabbricandone un’ altra, meditava di crearvi anche un regno pe’ figli. Pareagli bello, essendosi il popolo suo troppo moltiplicato, levarne totalmente la parte almeno già sua contraria, per non più sospettarne. E comunicatosi co’ figli, ed essendone questi dilettati ; diè loro, perchè vi regnassero, le terre dove erano stali allevati, e la parte del popolo divenuta a lui sospetta, e disposta ancora per fare innovazioni, e quanti voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra questi, come per una città che si mova, molti della plebe, e buon numero de’ più potenti, anzi pure dei Trojani reputati più nobili, de’ quali esistevano ancora a’ miei giorni, almeno cinquanta famiglie. Diede a’ giovani danaro, arme, frumento, schiavi, bestie pe’ trasporti, è quanto ricercasi per la fondazione di una città. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro, aggregarono ad esso quanti rimaneano nel Pallanteo e nella Saturnia, e ne divisero tutta la massa in due parti. Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara di compiere più speditamente un lavoro ; quando fu causa del pessimo de’ mali, cioè di una sedizione. Imperocché celebrando le due parli il suo capo, ciascuna lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al-tronde li due capi non più avendo una mente e non quella di fratelli, ma di soprastanti 1’ uno su 1’ altro, ornai non curavano 1’ eguaglianza, e moltissimo ambi'^ hivano. Celatasi fin qui, proruppe finalmente la loro ambizione per questo incontro. Non piaceva ugualmente a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la città : vdleala Romolo sul Pallanteo per più cause, e per la prosperità del luogo, essendovi stati salvati e nudriti : ma sembrava a Remo da edificarsi nella sponda che ora da lui lìomoria si addi manda. Ben erane il luogo acconcio per una città, su di un colle non lontano dal Tevere, in distanza di circa trenta stadj da Roma. Da tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di soprastarsi; apparendo assai chiaro che qual, di essi prevaleva sulr altro dominerebbe ancora su tutti. Passato intanto alcun tempo, nè sceman. dosi punto il dissidio, parve ad ambedue da rimettersene all’ avo materno, e si recarono in Alba. E colui suggerì che lasciassero giudicare agli Dei, quale di loro due desse nome e comandi alia colonia. E predestinan do ad essi il giorno, ordinò che si trovasserò di buon mattino separatamente ciascuno nel luogo ove 'bramava porre la sede : e che sagrificandovi prima secondo le usanze agl’ Iddii vi osservassero gli uccelli propizj : e qudlo di loro due per cui sarebbero gli uccelli più fausti, quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il consiglio partirono, e trovaronsi poi nel giorno decisivo, appunto come avevano convenuto. Prendeva Romolo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava fissare la  Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due queste Romnrie, o Remurie t colonia : ma Remo nel colle contiguo, detto Aventino, o Romoria, come altri raccontano. Erano con essi le guardie, perchè non permettessero che alcuno de’ due dicesse altre cose che le vedute. Postisi ambedue nei luoghi convenienti ; Romolo dopo un poco, per ansia, -e per invidia del fratello, e più che per invidia, per impulso forse di un qualche Nume, innanzi di avere osservato alcun segno, quasi il primo avesse veduto lo augurio lieto, spedi messaggeri al fratello, perchè a lui ne 'venisse prontamente. Ma non accellerandosi questi, perchè vergognosi di portare un inganno p intanto sei avvoltoi, volandogli a destra, apparirono a Remo. Era costui lietissimo delia veduta, ma dopo non molto gli inviati da Romolo, movendolo, sei menarono al Pallaa" teo. Dove giunti, Remo chiedeva da Romolo, quali uccelli avesse veduto : e dubitando Romolo come rispondere ; ecco dodici avvoltoi, propizj col volo gli si mostrarono. Inanimato al vederli disse, addiundoii a Remo: che cerchi tu s pel tempio, e per gli usi del comune. Tale era la partizione fatta da Romolo ne’ terreni e negli uo mini diretta alla massima eguaglianza comune. Vili. Ora dirò della partizione degli uomini per concedere privilegi ed onori secondo la dignità di ciascuno. Scevrò gli uomini cospicui per nascita, o lodati per virtù, o comodi secondo quel tempo per danaro, purché avessero prole, dagl’ ignobili, dagli abietti e dai bisognosi. E plebei nominò quelli di sorte deteriore, che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò padri quei di fortuna migliore sia che per la età maggioreggiassero su gli altri, sia perchè avessero figli, sia per la chiarezza della prosapia, sia per tutte queste cagioni ; pigliando, come può congetturarsi, 1’ esempio dalla repubblica degli Ateniesi, quale esisteva in quel tempo. Imperocché questi chiamavano Eupatridi principalmente o patrizj li più distinti per nascita, e più potenti per danaro, a’ quali afQdavasi la cura della repubblica : e chiamavano agrici, o rustici gli altri che di niente eran arbitri sul comune: ma col volger degli anni furono ancor essi elevati agli onori. Per tali cagioni dicono gli scrittori più credibili delle cose romane che Padri fossero nominati que’ valentuomini, e patrizj i squadre de cavalieri erano divise in decurie come i chiaro da Varrooe e da Polibio.  li. i35 loro discendenti. Ma coloro che guardano 1’ affare con occhio d’ invidia, e malignano su le origini vili di Ror ma, non dicono che i patrizj avessero questo nome per tali cagioni, ma perchè soli potevano additare gli autori della loro generazione ; quasi gli altri non fossero che vagabondi, o senza liberi padri. E davano per sicuro argomento di ciò, che quando piaceva al re di convo> care i patrizj, gli araldi gl’ intimavano pel nome loro e per quello ancora de’ padri ; laddove pochi banditori invitavano alle adunanze i plebei rinfusamente col buccinare de’ corni da bove : ma nè la intimazione per mezzo di araldi è buon segno degl’ ingenui natali, nè il snon della buccina è simbolo della ignobilità de’plebei: ma la prima recavasi per onorificenza ; spandevasi l’altro per compendio ; non riuscendo invitare in poco tempo a nome tutta la moltitudine. IX. Poiché Romolo segregò li più degni dai men riguardevoli, ordinò per leggi le incombenze degli uni e degli altri. Adunque stabili che i patrizj intenti con esso alle cure pubbliche fossero i sacerdoti, i magistrati, i giudici, ma che li plebei, liberi da tali sollecitudini per la imperizia e per la penuria, lavorassero le terre, allevassero i bestiami, ed esercitassero le arti mercenarie, perchè non sorgesse fra loro sedizione, come in altre città, quando gli uomini di grado spregiano gli ignobili, o quando i vili c poveri invidiano la preminenza degli altri. Affidò, qual deposito, a’ patrizj i plebei, concedendo a ciascuno di questi di eleggersi liberamente tra quelli un patrono. Greca antica consuetudine era questa ritenuta lungamente da’ Tessali, e dagli Ateniesi  quando ancora conoscevano il meglio : ma poi declina rono al peggio, ed insolentirono su’ clienti; comandando loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli di battiture se non ubbidivano, ed abusandoli con altre maniere, quasi schiavi comperatiGli Ateniesi chiamavano Thitas pe’ servigi che rendevano, i Clienti, ed i Tessali li chiamavano Ponesti  vituperandone fin col nome stesso la condizione. Ma Romolo fregiò con nome conveniente, chiamandola patronato, la garanzia de’ bisognosi e degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro utili cure, ne rendè la congiunzione benevola veramente e cittadina. X. Le obbligazioni stabilite da lui sul patronato e conservatesi lungo tempo tra’ Romani erano queste: doveano i patrizj informare i clienti della legge che ignoravano, doveano prender cura di loro ugualmente, fossero o no presenti, e far su di essi come i padri su’ figli, quanto alla roba, ed ai contratti su la medesima ; movendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo, su contratti, e subendola, se altri la moveano. E per dir molto in poco, doveano proctware. ad essi tutta la ti'anquillità della quale abbisognavano nelle cose domestiche e nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scarseggiavano di beni doveano coadiuvarli, maritandosene le figlie : doveano riscattarli da’ nemici se alcuno di essi  Diouigi qui paragona i clienii Romani, i TMti drgli Ateniesi ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano almeno liberi, e servivano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali erano un intermedio tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’ c.ieuti Romani. Questi non di raro parteggiavano o superavano la fortuna dc'pauoui.  ir. 187 o de’ figli rtmaDeva prigioniero : pagare del proprio per loro non a titolo di prestito, ma di gratitudine le liù perdute, e le pubbliche multe tassate in moneta : e concorrere quasi ne spettassero alle famiglie, nelle spese di essi per le magistrature, per gli onori, e per le altre pubbliche dimostrazioni. Quanto ad ambedue poi non era lecito o giusto pe’ clienti o patroni che gli uni accusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti contrari ; o si lasciassero cercare gli uni per nemici degli altri. E se alcuno era convinto di aver fatto l’opposito, soggiaceva alle leggi di tradigione promulgate da Romolo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo, come vittima a Dite ; costumando i Romani di consagrare agl’Iddj, spezialmente infernali, le persone alle quali volevano impunemente dare la morte, come fece allora anche Romolo. Adunque perseverarono per molto tempo tramandandosi da figlio Jn figlio le congiunzioni dei patroni e dei clienti, senza che niente differissero dai ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per uomini d’ inclita stirpe aver clienti in più numero, custodendo i patrocini lasciati loro dagli antenati, ed acquistandone altri ancora colla propria virtù. E meravigliosa era la gara di ambedue per non lasciarsi vincere gli uni dagli altri nella benevolenza ; proferendosi li clienti a far quanto potevano verso de’ patroni ; nè volendo i patrizi dar loro molestia con riceverne danari in dono. Così era tra loro il vivere condito con ogni diletto ; e. la virtù non la sorte era la misura della felicità. XI. Non solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi i38 la plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella delle città confederate ed amiche, e quella ancora delie conquistate colle armi tenevasi per custode e protettore qual più voleva de' Romani. E più volte il senato rimettendo ai protettori le controversie di città e di nazioni confermò le sentenze date da essi. Anzi era tanta la concordia de’ Romani cominciando dall’ ora che Romolo ne fondava i costumi, che mai per secento venti anni tumultuarono con stragi e sangue, sebbene nasces sero intorno del comune molte e gravi dispute tra la plebe e li magistrati, come nascono in tutte le città, picciole o popolose : ma illuminandosi, e persuadendosi a vicenda, e parte concedendo, parte ottenendo racchetavano le interne dissensioni. Dacché però Cajo Gracco, divenuto tribuno, sconvolse 1’ armonia della città, non cessano dal sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè risparmiano misfatto per vincersi. Ma per dir tanti mali avrem poi luogo più acconcio. XII. Ordinate tali cose, ben tosto Romolo deliberò di creare i consiglieri co’ quali dividere le pubbliche cure, e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la separazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo, a cui si afBdasse lo stato, quando egli coll’ esercito uscirebbene dai confini. Quindi prescrisse a ciascuna tribù di scegliersi tre uomini, savissimi per età come insigni per nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna delle curie eleggesse tre li più opportuni fra li patrizj. Infine unendo ai primi nove dichiarati dalle tribù li novanta determinati col voto delle curie, e facendo presidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di pesti signiBcare tra’ Greci un senato, e con tal nome chiamasi appunto tra’ Romani. Nè io saprei deGnire se un tal nome se lo acquistasse per la età senile, o per la virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo solcano gli antichi dir seniori i più maturi negli anni e nelle opere. Quanti ebbero luogo in senato furono chiamati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca isti-tuzione era questa : perocché quanti regnavano, sia pei^ chè succeduti a’ diritti paterni, sia perchè nominati capi dalla moltitudine, aveano un consiglio di ottimi uomini, come attestalo Omero, e poeti antichissimi : nè le monarchie primitive de’ principi erano, come ora, assolute, e Gsse agli arbitrj di un solo. XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo che egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla in guardia del corpo suo, come per incumbenze di affari pressanti, unì trecento i più robusti delle più insigni famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di questi giovani come aveano nominato li senatori ; ed egli tenea sempre con sè tali uomini. E tutti, panti erano stabiliti in quella schiera, aveano il nome di Celeri, come dai più si scrive, per la speditezza ne’ loro servizj ; chiamandosi Celeri dai Romani gli uomini pronti e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate dice che lo derivarono dal duce loro, Celere nominato. Era un tal duce riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidivano tre centurioni, ed a’ centurioni altri capitani minori. Questi lo accompagnavano per la città colle aste, pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori e custodi : e spesso dirigevano a buon fine ia battaglia,primi a cominciarla, ed ultimi a levarsene. Combattevano, dove il luogo consenti vaio, a. cavallo; ma appiè, dove era aspro, nè proprio da cavalcarvi. Sembrami cbe un tal uso lo derivasse da’Lacedemoni coll’intendere die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e li proteggevano nelle guerre giovani generosissimi, buoni per militare a cavallo ed appiede. XIV. Composte in tal modo le cose, comparti gli onori ed i poteri cbe volevano in ciascuno ; prescegliendone tali primizie pe’ monarchi. Volle dunque cbe avesse il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’ sagrifizj, e che tutte per lui si compiessero le sante cose in verso de’ Numi : cbe fosse il custode delle leggi e dei patrj costumi: che avesse cura dei diritti provenienti dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle ingiustizie capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre ai senatori, e provvedesse che niente si peccasse ne’ tribunali: cannasse il Senato, convocasse il popolo, e primo vi dicesse il parer suo, ma seguitasse quello dei più. Tali sono le prerogative che egli riservò pe’ monarchi, oltre quella di un comando indipendente nelle guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi onori, e questa autorità : cioè, che esaminassero le cose che il re proporrebbe, e ne votassero, ma vi prevalesse la sentenza dei più. Trasse quest’ uso ancora da' Lacedemoni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si preponderavano da fare a lor modo, ma l’ autorità su-t prema terminavasi nel senato. Lasciò da ultimo al popolo il potere di eleggere i magistrali, di appro-, l4l Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al re ne paresse, non però deOnitivamcnte se contrario tosse il senato. Il popolo dava i sufTragj non tutto in un corpo, ma convocato per curie ; e riferivasi poscia al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è la consuetudine ; imperocché non è il senato che ratifica le sentenze del popolo ; ma il popolo è 1’ arbitro delle sentenze, del senato. Io lascio, che chi vuole esamini quale di queste due consuetudini sia la migliore. Con tali scompartimenti le cose civili prendeano marcia savia e regolata, e le militari altresì la prendeano docile e pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muover l’ esercito, non aveansi a creare i tribuni dalle tribù, nè li centurioni dalle centurie, nè li maestri dai cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere coscritto, o scelto, o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il re intimava i tribuni, e li tribuni i centurioni. All’ avviso di questi ciascuno dei decurioni cavava i soldati, subordinati a sé stesso. Così per un solo comando la milizia, secondo che era chiamata, in parte o del tutto, presentavasi colle arme al luogo destinato. Xy. Romolo abilitando la città pienamente per la pace e per la guerra con tali istituzioni, la rendè con esse grande e popolosa : obbligò primieramente gli abitanti ad allevare tutta la prole virile, e le primogenite delle femmine, con ordine che non uccidessero niun infante più recente di tre anni, se pure non era storpio, o mostruoso fin dalia nascita. Tali sconci bambini non proibì che via si esponessero, se presentatigli a cinque uomini dei più vicini, vi consentissero. E per chi vioDigitized by Google i43 delle Antichità’ romane lasse questa legge stabili fra le altre pene la con6sca di una metà delle loro sostanze. Considerando poi che molle delle città d’ Italia erano miseramente premute dalla tirannide di uno o di pochi; procurò di ricevere e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano, purché fossero liberi, senza esaminarne i pregiudizi, o la sorte, e tutto per ampliare la potenza romana, e diminuire quella de’ vicini. Adunque fe’ ciò cogliendone una bella occasione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!. Fondatovi un tempio, non saprei deci ferace a quale de’ Numi, o dei genj, dichiarò come asilo per chi ricorrevaci il luogo tra ’l Campidoglio e la fortezza, ora detto nell’ idioma de’ Romani il basso tra le due selve, e nominato allora cosi, per essere quinci e quindi coperto dalle ombre delle piante amplissime delle terre contigue ai due colli. Inoltre per la riverenza de’ Numi, promise a chi rifuggivasi al santo luogo che non ci avrebbe molestie dai nemici, anzi, che se voleva albergare presso di lui, parteciperebbe ai diritti sociali, ed alle terre che leverebbe altrui guerreggiando. Pertanto vi si affollavano d’ ogn’ intorno uomini che fuggivano i mali domestici ; nè altrove poi si trasferivano allettati dai colloquj, e dalle cortesi maniere di lui. XVI. La terza istituzione di Romolo, degna soprattutto che i Greci la osservassero, e certo la migliore, come io penso di tutte, la quale fu principio della libertà stabile de’ Romani, nè poco contribuì per la formazione dell’ impero, la terza istituzione fu di non uccidere tutta la pubertà delie città debellate, nè di ridurre queste come terre da pascervi, ma di mandare \ li: 1 43 in esse chi se ne avesse in parte i campi, e di renderle, quando erano vinte, colonie de’ Romani, e talvolta ancora di ammetterle ai diritti stessi di Roma. Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la colonia sua di picciola, come la cosa stessa dichiaralo. Imperocché quelli che fondarono Roma con esso, erano non più che tremila fanti nè meno che trecento cavalieri ; laddove quando egli spari dagli uomini vi lasciò quarantaseimila fanti, e poco meno che mille cavalieri. Ma se egli basò tali regole, le custodirono poscia i re die gli succederono, e dopo i re li magistrali che pigliavano di anno in anno il comando, aggiungendone altre per modo, che il popolo romano trovasi non inferiore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi. XVII. Ora paragonando con questi i Greci costumi, non so come lodare le pratiche de’ Lacedemoni, dei Tebani, e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi per sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro lignaggio, non comunicarono se non a pochi i diritti della propria repubblica, per non dire che taluni ripudiavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non solo non raccolsero alcun bene, ma gravissimamente ne scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella pugna di Leuttra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non poterono mai più rilevarsi da quel danno, ma deposero turpemente il comando : e cosi li Tebani, e gli Ateniesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea furono in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza su la Grecia, e della libertà. Ma Roma, brigata in guerre gravissime nella Spagna e nella Italia, brigata a i44  ricuperare la Sicilia e la Sardegna che le si erano ribel-' late, quando ardevano tutte in arme contro lei la Grecia e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente a disputarle il comando, quando l’ Italia, non che essere quasi tutta in rivolta, trae vale addosso la guerra detta di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti pericoli, quasi contemporanei, non solo non si abbattè ; ma ne raccolse forze maggiori che dianzi, proporzionandosi fino per contrapporle a tutti i mali. Ne consegui già questo per favore di sorte propizia come alcuni sospettano ; mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina con la sola sciagura di Canne ^ quando di sei mila suoi cavalieri ne rimasero appena trecentosettanta, e di ottanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre mila. Ora queste e le cose che io son per aggiungerne fanno che io prenda meraviglia su Romolo. Imperocché avendo concepito che le cause dello stato florido di una città sono quelle che tutti decantano, ma pochi seguitano, cioè primieramente la carità verso gli Iddii, colla quale tutte le cose degli uomini si risolvono in bene, e secondariamente la temperanza e la giustizia, per la quale men si offendono e più concordano fra loro, nè misurano la felicità co’ sozzi piaceri, ma colla rettitudine, e finalmente la fortezza nel combattere, la quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ; ciò, dico, avendo Romolo concepito, non pensò che tali perfezioni provenissero per sè stesse, ma conobbe che le leggi provvide, e la bella emulazione nel disciplinarsi, formano appunto una città pia, prudente, giusta, bellicosa. Adunque molto in ciò vigilando, cominciò dal cullo de’ genj e de’ Numi : e seguendo le leggi migliori de’ Greci mise in pregio le sanie cose, io dico i templi, gli altari, le statue, le immagini, i simboli, le forze, i doni co’ quali gli Dei ci beneGcano, e le feste convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj coi quali gradiscono essere venerati dagli uomini, e le cessazioni dalle arme, e li concorsi, e li riposi dalle fatiche, e quanto si addita di simile. Ripudiò le favole che sen divulgano, sparse di bestemmie e di accuse contro di loro, giudicandole ree, dannevoH, obbrobriose, indegne di un uomo dabbene non che de’ Numi ; e ridusse gli uomini a dire e sentire magniGcamente su’Nu^ mi, non a gravarli di cure aliene da una natura beata. XIX. Già non si ode tra’ Romani nè Gelo castrato da' Agli, nè Crono che stermina i figli per timore di essere da loro assalito, nè Giove che scioglie il regno di Crono, e rinchiude il suo genitore nella prigione del Tartaro. Non le guerre vi si odono, non le ferite, e le catene e le servitù degli Dei presso gli uomini : non feste vi si usano atre e dolorose per gli cluiaii e per il lituo di femmine che piangono gli Dei levati loro, come in Grecia il ratto si piange di Proserpina, e le avventure di Bacco, e cose altrettali. E quantunque ornai li costumi vi si corrompano, niuno ravvisa colà nè uomini invasali da’ Numi, nè furie di coribanti, nè baccanali, nè misteri iuelfjbili, nè veglie notturne di femmine e raaschj nei templi, nè osservanze consimili, ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi verso gli Dei con tanta pietà con quanta non si pratica o dice BIONICI, tomo I.  tra’ Greci o tra’ Barbari. Eid io vi ho soprattutto ammirato, che sebbene sieno venute a Roma tante migllaja di esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi riti delle patrie loro ; pure mai questa, come pur troppo succedette ad altre città, non venne in desiderio di riceverne pubblicamente il culto peregrino : e seper le risposte degli oracoli introdusse talvolta sante cose come quelle della madre Idea, le onorò co’ riti suoi propri!, escludendone quanto ci avea di superstizione e di favola. Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea sagrifizj e giuochi secondo le leggi romane : ma un frigio, ed una donna, fHgia ancor essa, le immolano il sacriGzio. Questi la recano in giro per la città questuando per la dea come è loro costume, fregiati di immaginette ne’ petti, movendo il passo, e percotendo i timpani intanto che altri gli accompagnano col suono delle tibie, e cantano gl’ inni della gran madre : ma ninuo de’ Romani nativi ornato con veste di vario colore va per la città questuando o sonando di tibia, o venerando con frigie adorazioni la diva  ; e tutto è secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta la città su gli usi forestieri interno de’ Numi ; e tanto ne ripudia le osservanze vane nè decorose !  Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra che il culto de lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente colle leggi romane. Quei riti che non erano ricevati non poteano esercitarsi dai Romani. Dei resto Dionigi forse afferma senza verità che gli Dei forestieri adottati in Roma non si veneravano co' riti ancora de' forestieri. Arnob. lib. a e Valerio Massimo lib. primo possono dimostrare il contrario. Nè credasi che io non sappia che alcune delle favole greche sono utili agli uomini. Certamente talune dimostrano allegoricamente le opere della natura : e talune furono simboleggiate per confortarci ne’mali; altre levano i 'turbamenti ed i terrori dell’ animo, e lo purgano dalle opinioni non sane, ed altre ancora per altro buon termine furono immaginate. Ma quantunque io nommeno che gli altri, conosca tali cose, pure vi sono assai cauto, ed ammetto piuttosto la teologia de’ Romani; considerando che tenui sono i beni derivati dalle favole greche e che non possono far utile se non a pochi, a quelli cioè che investigano le cagioni per le quali furono inventate. Ora ben rari possiedono questa fìloso6a ; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere al peggio i discorsi che se ne fanno, e patirne 1’ una o l’altra miseria, cioè di spregiare gl’ Iddii come implicati in 'tanto malfare, o di non contenersi m.ii più da ingiustizie e da vituperi, vedendo die sono questi gli esercizi de’ Numi. Ma lascisi ciò da contemplare a quelli che que sta parte sola si appropriano di filosofia. Quanto al governo istituito da Romolo io reputo degne della storia queste cose ancora : e primieramente il numero delle persone che egli deputò per le cure religiose. Certo niuno potrebbe additare in altra nuova città stabilitovi fin da’, principi .tanto sacerdozio e tanto ministero dei Numi. Per non dire de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il regno di lui creafi sessanta 'sacerdoti che fornissero le pubbliche divine funzioni delle curie e delle tribù. Nè io qui ridico non le cose che descrisse nelle sue antichità t Terrenzio Varrone, peritissimo tra quanti Borirono ai suoi tempi. Poi siccome altri per lo più fanno ineonsideratamente, e malamente la scelta de’ sacri ministri ; siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce de’ banditori; e siccome altri infine le compartono a sorte; egli non volle che fossero il premio dell’argento, o della sorte, ma decretò che si nominassero da ' ogni curia due uomini, maggiori di cinquanta anni -, pteeminenti di lignaggio, insigni pe’ meriti, agiati abbastanza di averi, nè difettosi in parte della persona. E comandò che questi avessero quegli onori non a tempo ma durante la vita, e che essendo per la età già liberi dalle cure militari, lo fossero per legge dalle politiche. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare dalle femmine, ed altri da’ giovani, aventi tuttavia padre e madre ; cosi perchè questi ancora degnamente si amministrassero, ordinò che le donne de’ sacerdoti fossero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che esse compiessero le sante cose che le leggi della patria non permettevano agli uomini, ed i figli loro prestassero il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano prole scegliessero dalle altre case nella curia loro i più graziosi tra’ fanciulli e fanciulle, perchè ministrassero, quelli fino alla pubertà, queste finché erano pure senza le nozze. Io credo che Romolo derivasse questé pratiche ancora da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri Qnesii fanciulli cosi eleni anche dalle altrui case erano chiamati Camillì e Camille. Plutarco nella vita di Numa accenna elio cosi chiamavansi que’giovinelti che ministravano 1 sacerdote di Giove,. 1 49 ficj forniscono quelle che Canifore si domandano, lo compiono tra’ Romani quelle che Camille  son dette, cinte di ghirlande la testa, come da’ Greci la testa inghirlandasi delle statue di Diana Efesina. E quanto èseguivano un tempo fra’ Tirreni e prima già fra’ Pelasghi i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei Grandi, lo ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon celli nominati Camilli tra’ Romani. Prescrisse inoltre che intervenisse da ciascuna tribù ne’ sagriGzj un indovino, che noi chiameremmo Jeroscopo, ed i Romani chiamano aruspice, serbando in qualche tenue parte la denominazione primitiva ; e statuì, che li sacerdoti ed i ministri loro fossero tutti nominati dalle curie, ma confermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi colla divinazione. XX [II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino, divise ancora, secondo che era per cosi dire opportuno, alle curie le sante cose, destinando a ciascuna i Numi ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per le sante cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico. Celebravano coi sacerdoti le curie i sagriGzj a loro assegna ti. facendo per le feste il convito nelle case delle curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo, ed insieme vi era un’ edifizio comune, consacrato per tutte ; -.come i Pritanei tra’ Greci. Que’ cenacoli, quegli edifizj, curie si, chiamavano, e si chiamano, come le partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem. (j) La voce Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente colla totalità del senso, Canifore vai quanto portatrici de' canestri. (a) Varroiie uellil>. 4 della lingua latina diceche gli edirizj ciitabrami che Romolo se l’ avesse dalla disciplina che fioriva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea ciò, fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe un uomo savio di stato, legislatore o sovrano che sia dar leggi che rendano i privati prudenti e giusti nei vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxialmente còn quali industrie e leggi si rendessero tali, e sembrami che alcuni assai, per non dire interamente, mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi.slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle femmine, donde un legislatore dee cominciare, come ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di noi tutti. Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vollero i congiungimenti del maschio colla femmina promiscui e liberi, quasi fossero cosi per liberare la vita dalle furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc> cidono, e rimoverla dai tanti mali che per causa delie femmine invadono le intere città, non che le famiglie. Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu bili accordando un uomo per una donna : in custodia però delle nozze, e della moderazione delle mogli, non tentarono più o meno far leggi, ma se ne astennero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè lasciarono, come taluni de' barbari, le cose amorose senza leggi, nè le mogli senza premunirle come i Lacedenàoni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E vi furono pur quelli che fondarono un magistrato che invigilasse intorno la purità femminile : ma non bastarono tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido più del dovere, nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci avea contemperata la natura. XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro donna se adulterava, o se abbandonavagli la casa ; nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pessima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non formando leggi sul ricevere e sul restituirsi della dote, nè definendo altra cosa qualunque, consimili a queste; ne stabilì solamente una, migliore assai ( come il fatto dichiarò) delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e pudiche e di ogni onoralo contegno. E la legge fu: che la femmina maritala la quale secondo le sacre leggi recavasi alt uomo, divenisse partecipe de’ beni e delle sacre cose di lui. Gli antichi chiamavano con formola romana nozze sacre e legittime la confarreazioiie per l’uso conume del farro .che. noi Zea chia. I 53 nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichissimo diam principio con esso a’ sagrifìzj ; ed questo. cliiamiamo: cosi li Romani giudicando cibo primitivo e pregevolissimo il farro; incomincian col farro, quante volte una vittima si abbruci. E ul rito persiste, nè si compensò con altre squisite primizie. L’ essere le donne fatte partecipi con gli uomini di un cibo il più sacro e primitivo, e della sorte di essi, qualunque fosse, aveva un nome dalla comunanza del farro, e ciò portava un ligame indissolubile di appropriazione, e niente polca disfare quel matrimonio. Questa legge necessitava le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi di chi aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere le donne come cose proprie nè separabili. Quindi una moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto come r.uorao, l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo, ne era la erede, come la figlia del padre : se moriva senza figli e senza testamento, essa era la padrona di ogqi cosa lasciata da lui, ma se avea de’ figli essa era coerede di parte eguali con questi. Che se colei peccava, avealo giudice della delinquenza, cd arbitro della grandezza della .pena : se non che li parenti ancora insieme coir uomo la giudicavano fra le altre reità, se avea contaminato il suo corpo, o se bevuto del vino, mancanza certo nel parere de’ Greci tenuissima. Ambedue queste colpe, come le estreme delle colpe femminili, ordinò Romolo che si -castigassero : la contaminazione qual priimipio d’ insania, e la briachezza qual principio della contaminazione. E lungo tempo seguirono ambedue queste colpe ad avere odio implacabile tra’Romani. Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at> testa la esistenza lunga di essa ; consentendosi che per dnquecento venti anni non si sciolse in Roma niun matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di Marco Pomponio, e di Cajo Papinio, nella olimpiade centesima trentesima settima Spurio Garvilio, uomo non ignobile, il primo lasciasse la moglie, costretto Innanzi però dai censori di giurare, che la donna sua non abitava in sua casa per generare con esso. Certamente la sua donna era sterile: ma egli per quest’ opera, quantunque la necessità ve lo' inducesse, ne ‘incorse r odio perpetuo del popolo. Tali sono le leggi egregie di Romolo colle quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti. Assai più gravi e più convenienti di queste e molto diverse dalle nostre sono le leggi sul rispetto e su la corrispondenza de’ 6gli, perchè onorino I genitori col dire e col fare quanto comandano. Coloro che ordinarono i governi de’ Greci, istituirono che i' figli rimanessero un tempo, troppo breve, sotto la potestà dei loro padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero tre anni dopo la pubertà ; altri, fin che erano celibi ; ed altri finché non erano scritti nelle curie pubbliche: e questo a norma della legislazione appresa da Soloné, da Pittaco, da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta. Preordinarono ancora delle pene ; ma non gravi su'figli indocili, permettendo ai padri di espellerli e diseredarli e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere la precipitanza e la caparbietà de’ gióvani, nè a renderli nel bene attenti di trascurati. Dond’ è che assai. l55 vlluperii si commettono da’ Ogli contro de’ padri nella Grecia. Ma il legislatore di Roma diede a’ padri sul • figlio per tutta la vita autorità compiuta di escluderlo, di batterlo, di vincolarlo a’ lavori campestri, e di ucciderlo ancora se cosi volessero, quantunque il figlio già trattasse le cose pubbliche, già sedesse tra’ magistrati supremi, e già si avesse gli applausi per lo zelo suo verso del popolo. In forza di questa legge uomini ragguardevoli concionando da’ rostri su cose contrarie al ' senato', e care al popolo e divenuti perciò famosi, furòno di là staccati e rapiti altrove da’ padri, perchè subissero la pena che iie voleano ; e traendoseli per lo foro, ninno potea liberarli non il console, non il tribuno, e non la plebe da essi adulata, sebbene questa  valutasse tutti men che sé stessa in potere. Ometto di dire quanto i padri uccidessero de’ valentuomini, spintisi per virtù e per ardore a far magnanime imprese ma diverse da quelle prescritte dai padri, come abbiamo di Mallio Torquato e di altri, de’ qnali diremo a suo tempo. Né il legislatore di Roma ristrinse a questo soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i figli, niente attendendo che altri vinto dalla sua tenerezza riprendesse la concessione come dura e gravosa. SopratUttto, chi fu allevato colle maniere molli de’Greci riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i padri utilizzare su’ figli eoi venderli fino a tre volte, dando licenza più grande a’ padri sn’ figli che non a’ padroni su gli schiavi. -.Perocché il servo venduto una volta se riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di sè : ma il figlio venduto dal padre se diviene libero ri-' cade di nuovo sotto il padre: e quantunque rivenduto e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora servo del padre come in principio ; ma dopo la terza vendita più non era del padre. Osservavano da principio i re questa legge stimandola rilevantissima, scritta o non scritta che fosse, ciocché non posso decidere. Disciolta poi la monarchia, quando piacque ai Romani che si affiggessero nel foro, manifeste ad ogni cittadino., tutte le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di fuori, perchè il diritto comune non finisse col potere de’ magistrati ; i Decemviri che erano incaricati dal ' popolo di compilarle, e distenderle, scrissero ancora questa legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici tavole, che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che  poi li decemviri, eletti trecento t^nni appresso per la ordinazione delle leggi, non diedero essi i primi questa legge ai Romani, ma che ricevutala come antica molto, non osarono toglierla, lo deduciamo da molle fonti,e principalmente dai decreti di Numa tra’quali era scritto; Se un padre conceda al figlio di prender moglie la quale secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre e de' beni, questo padre non avrà fin dt. allora più facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af padri di vendere i figli. Ma basti su 'ciò : frattanto voglio dcllneare come in compendio la. bella istituzione colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati. Vedendo che le adunanze politiche, ove i più sono indocili, non si riJucouo con magistero di. iSj parole a vivere temperantemente, a preferire il giusto all’ utile, a dumr la fatica, nè riputare cosa alcuna più onorata del retto procedere ; ma che piuttosto si dirigono ad ogni virtù colle consuetudini buone ; e vedendo che quelli ohe si disciplinano anzi di forza che spontaneamente, ben presto, se niente impediscali, ritornano ai geiij loro; non concedette che ai servi ed a’ forestieri di esercitare le arti sedentarie, illiberali, fautrici dei turpi desideri, come quelle che guastano e profanano i corpi e le anime di chi vi si applica. E lungo tempo rimasero queste ingloriose tra’ Romani, e ninno che nativo fosse di que’ luoghi, vi rivolse le industrie sue. Lasciò solamente per gl’ ingenui le due cure della cam> pagna e delle armi ; perocché vide che con tali maniere di vivere gli uomini signoreggiano il ventre, e meno languiscono tra gli estri amorosi, nè sieguono quella voglia di arricchire che dissocia i cittadini a vicenda, ma quella che trae 1’ utile dalle terre o da’ nemici. Riputando imperfette, anzi litigiose queste vite se disgiunte, non ordinò già che una parte si desse ai lavori del campi, e 1’ altra andasse e derubasse i nemici come la legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma prescrisse in comune li rustici e li militari travagli. Se godea pace, ; costumavali a star tutti intenti per le campagne, salvo il giorno ( ed erari da lui destinato ogni nono giorno ) • in cui faceano mercato ; perchè allora amava che accorrendo iu città vi commerciassero. Ma se prorompeva la guerra, addestravali a farla, e non cedere gli uni agli altri nel faticarvi o lucrarvi; pèrocchè divideva tra loro ugualmente, quanto involava al nemico, campi, schiavi, danari, e xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere. Spediva, non prolungava i giudizj su le offese scambievoli ; c quando giudicavale da sé medesimo e quando per mezzo di altri: e proporzionava ai delitti le pene. Considerando che la paura più che tutto respinge gli uomini dalle scelleraggini, coordinò più cose per incuterla, come un tribunale, ove sedea giudicando, nel più visibile luogo del foro, imponentissimo l’ apparato de’ soldati, trecento di numero, che lo seguivano, e le verghe e le scuri portate da dodici uomini li quali nel foro stesso batteano chi avea colpe degne di battiture, o nella' pubblica luce lo decapitavano, se altri ne avesse più grandi. Tale fu l’ ordine del governo indotto da Romolo, e da queste cose ben si può conghietturare su le altre. XXX. Quanto alle altre opere civili o beUiche di un tal uomo, queste ne furono tramandate, degne che si intessano ad una storia. Siccome i popoli circonvicini a Roma erano molti, e grandi, e bellicosi, nè punto amici di essa ; deliberò conciliarseli co’ matrimoni, mezzo gii> dicato dagli antichi saldissimo di procacciar le amicizie. Considerando però che tali genti non si unirebbero spontaneamente con loro, nuovi di colonia, impotenti per danaro, e privi d’ ogni gloria di belle operazioni, e che altronde cederebbero violentati, se oltraggiosa non fosse la violenza; risolvè, (ciocché avea NumitOre l’avo suo materno già suggerito) di faré, ed in copia, i 'matrimòni col ratto delle vergini. Cosi risoluto, fe’ Voti al Dio guidatore dei disegni reconditi, che se la prova gli riusciva appunto come la ideava, gli tributereUie ogni anno e feste e sagrifizj. Quindi riferito il .disegno in  li. 1 5() senato, e comprovatovi, propose di celebrare giuochi solenni a Nettuno, e ne sparse la nuova per le città vicine ; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi, che giuochi sarebbero moltiplici di cavalli e di uomini. iVenuii forestieri in copia alla festa insieme colle mogli e co’ figli, e compiti già li sagriCzj a Nettuno e li giuochi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere la moltitudine fe’ intendere ai giovini che al dare di un segno certo, tutti involassero quante a loro ne capitavano, le vergine accorse agli spettacoli, le custodissero però quella notte inviolate, ed a lui le recassero nel prossimo giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto videro elevato il segno convenuto ; si volsero a far preda di vergini. Sorgene un tumulto un damore de’ forestieri che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel prossimo giorno le vergini, Romolo consolavale disanimate, con dire che tendea quel ratto a maritarle non a vilipenderle. £ dichiarando che Greco, e primitivo, e nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi co’ quali si procurano le nozze alle femmine ; invitavale ad amare gli uomini che la sorte ad essi offeriva. Dopo ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo ottantalrè ; scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati, e con essi congiunsele. Egli legandole colle nozze secondo il rito della patria, rendeale partecipi dell’ acqua stessa, e del foco ; e quel rito mantienesi ancora. Alquanti scrivono che avvenne un tal fatto nell’ anno primo del regno di Romolo : Gneo Gellio lo assegna nell’ anno terzo, e ciò pare più verisimile. Imperocché non èprobabile che il capo di una città uascente si accingesse a tal opera prima clic ne avesse costituito il governo. Altri stimano cagione di quel rapimento la scarsità delle femmine, altri l'impulso a far guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali io m’attengo, la necessità di aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripetevano i Romani anche al mio tempo la festa allora consacrata da Romolo chiamandola Consuali (t). In essa un altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di terra,, posto vicino al circo massimo, onorasi con sagriOzj, e primizie che bruciansi. Evvi corsa di cavalli sciolti, o congiunti ai carri. Conso chiamasi da’ Romani il Nume a cui tributano questi onori : e taluni con greca interpretazione dicono che sia Nettuno, scotitore della terra, e che si venera appunto in altari sotterranei, perchè questo Dio possiede la terra : ma io ne so’ pure altra origine perchè udii che la festa era celebrata per Nettuno, e per Nettuno li s giuochi equestri; ma che r altare sotterraneo era stato consecrato infine ad un genio ineffabile, guidatore e custode de’ segreti disegni. E certamente Nettuno in niun luogo tiene altari invisibili inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure è difficile a diffinire come stiasi la verità. Come la fama del rapimento delle vergini e gli eventi de’ giuochi si sparsero per le città vicine; altre si corucciaron su 1’ opera, ed altre invesugando 1’ affetto ed il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in  I giuochi isliluili da Romolo nel ratto delle Sabine furono chiamali Consuali perchè fatti in onore del Dio Conso. Appresso furono detti Circensi quando Tarquinio Prisco fece il circo massimo. Sembra che la prima volta fossero celebrali nel campo Marso.. l6l pace. In fine però ne proruppero delle guerre, alcune sicuriiniente ben facili ; ma grave e disastrosa fu cjuella co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come prima che si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali significavano che grandi ne sarebbero i travagli, ed i pericoli, ina lietissimo il fine. Le città che prime si misero a tal guerra furono Genina, ed Ànlemna, e Crustumero, in apparenza pel ratto delle vergini e jicr vendicarsene ; ma la cagione vera che ve le spingeva era la fondazione, era il créscere di Roma divenuta grande in poco tempo, e la voglia di non trascurare che più si estendesse quel male, comune a tutti i vicini. Ben tosto dunque spedendo ambasciatori ai Sabini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella guerra, essi che erano i più polenti di arme e di danaro, degni di comandare ai vicini, nè oltraggiali menu degli altri; essendo le vergini rapite per la maggior parte Sabine. Ma poiché niente profittavano, pere he gli ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevolivano con parole e con opere quella gente ; stanche alfine di perdere più tempo coi Sabini i quali esitavano c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio di guerra, destinarono fra loro di combattere esse i Romani; pensando che avrebbono suificieiiza in sè stesse di forza, se univansi tutte tre, per invadere una città sola, nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non si espedirono già per concentrarsi tutti in un esercito ; insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl, pi'imarj già nel volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata, e devastando il campo contiguo, Romolo usci colle sue truppe : e piombando repentinamente su' nemici che non seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli alloggiamenti, che appena erano formati. Poi gettatosi appressa quelli i quali si rifuggivano nella città, dove non crasi udita ancora la sciagura dei suoi, non trovandovi nè guardate le mura, nè chiuse le porle ; la invase a primo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle sue mani delle arme il re di essa venutogli incontro con forz^ poderosa, Cosi prendendo e comandando la città che gli consegnasse le armi, e togliendosene per ostaggio, que’ gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati. Rendutosj colla subita incursione padrone delle milizie di questi, sbandate ancora a far preda, come crasi padrone renduto delle precedenti, e trattati i vinti nella maniera medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando le spoglie degli oppressi in battaglia, e le pripiizie delle prede ai Numi i quali onorò con assai sagriSzj. Andava-, massimo della pompa egli stesso in veste di porpora, e coronato di alloro le tempie, ma su di una quadriga  per serbare la dignità di monarca. Seguivano  Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene quando afferma che Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt Aisrue-rur. Tito Livio scrive che Roipolo spolia ducis hostiunt cacti tuspensa, fabrieato ad id apté ferculo, gerent, i/t capholium asce/idit. Il Casaubono pensa che Dionigi per la non piena peiizia delia lingua latiua interpretasse quel ferculum di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per cocchio;' quando eia ir. ' i63 le milizie de’ fanti e de’ cavalieri, ornate secondo i loro gradi, magnifìcando gl’ Iddii colle patrie canzoni, ed il capitano con gli slanci di versi improvvisi. Quelli della citii recatisi loro incontro colie mogli e co’ figli, e schierai isi quinci e quindi per le vie si congraiulavano con essi per la vittoria, e davano ogni altro segno di ami^ cizia. Entrata la truppa in città trovò crateri spumanti di vino e mense colme di ogni varieià di cibi appiè delle case più riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse. Cosi andava con trofei e sagrifizj la pompa della vittoria istituita la prima volta da Koniolo, e chiamata dai Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni antica semplicità, spiegasi magnifica e clamorosa come in tragico rito, anzi per gala di ricchezze che in prova di virtù. Dopo la pompa e dopo i sagrificj Romolo edificò su le cime del cimpidoglio un tempio a Giove detto Fé-, retilo da’ Romani : Non era grande il sàiito edificio ; apparendone ancora i primi vestigi, e vedendosene! iati maggiori meno lunghi oi dal vero chi voglia questo (jiove Feretrio a cui Romolo offerse le anni, chiamarlo il Dio che tiene i trofei, o che porge come altri dicono, le spoglie de’ nemici, o il Dio preeminente, perché supera ed abbraccia tutta intorno la natura ed il movimento degli Esseri. piutlo.s(o come iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe trnfeo. Lo stesso Plutarco ìoscgiia che Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio che tiiuufasse sul cairu. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’ Iddìi le primizie ed i sagrifìzj di ringraziamento, deliberò, prima di far al irò, col senato, com’erano da trattarsi le città debellate ; ed esso il primo ne dichiarò la sentenza che ottima riputava. E piaciuta questa come la più sicura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso, ed encomiatone pe’ vantaggi che a Roma ne risultavano non pur di presente, ma in ogni avvenire; comandò che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna cadute prigioniere con altre. Riunitesi sconsolaté^, e prostratesi, e piangendo esse la sorte della patria; accennò che frenassero i pianti e tacessero e poi disse: hen dovrebbero i vostri padri, i vostri fratelli, e le intere vostre città subire ogni male, perchè scelsero anzi che r amicizia la guerra, e guerra non necessaria nè onesta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere clementi con essi per molle cagioni, e perchè apprendiamo la vendetta de' Numi, pronta contro i superbi, e perchè temiamo la indignazione degli uomini, e perchè giudichiamo essere la compassione compenso non lieve de' mali comuni, noi che già la dimandavamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che ciò non sarà caro e grazioso poco per voi, congiunte finquì co' vostri mariti senza che possano querelarsene. Condoniamo questo delitto, nè togliamo a’ vostri cittadini non la libertà, non i poderi, non altro bene qualunque. Lasciamo noi dunque ( nè già se ne avranno a pentire) lasciamo libera a tutti la scelta di rimanere in patria se il vogliono, o di traslatarsene. Ala perchè niente pià faccia abberrare le vostre  città, perchè niente più trovisi in esse che possa ridividerle dcdla nostra amicizia’, rìputianio espedientissimo e saluberrimo per la concordia e sicurezza di ambedue se le rendiamo colonie di Roma, e se da Roma vi mandiamo abitanti che bastino. Àndcde : statevi di buon animo : moltiplicatevi nelt ossequio e nella benevolenza de’ vostri mariti; tra’l dolce sentimento che liberi per voi sono i vostri figli, liberi i vostri fratelli, libere le patrie vostre finalmente. Ti-ipudiando in udir questo le donne e lagrimando viva^ niente di gioja partirono dal Foro. Romolo mandò in ciascuna città trecento uomini e le città cederono ad essi, dividendolo a sorte, il terzo de’ loro terreni. In opposito menò in Roma quanti Antemnati e Ceninesi vollero trasferirvisi, e raeuovveli colle mogli e co’ figli mentre ritenevano in que’ luoghi i campi ad essi toccati, e portavano seco il danaro che possedevano. Li descrisse il re ben tosto nelle curie e nelle tribù ; nè furono men di tre mila : tanto che ne’ cata-^ loghi romani si numerarono allora la prima volta sei mila fanti. Genina ed Antemna città non ignobili avean greco lignaggio : imperocché tolte ai Sicoli caddero in potere degli Aborigeni, i quali erano una parte degli Oeijoirj, venuti già dall’ Arcadia, come nel primo libro fu detto, ma ora finita la guerra divennero colonie romane.  Romolo dopo ciò condusse Tesercito incontro de’ Crustumerini, apparecchiati meglio che i primi : e vintili, quautiinque stati fortissimi , nella battaglia  Qui Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in \ in campo e su’ muri, non volle che patissero più oltre; ma fece della città, come delie altre una colonia romana. Era Cruslumero colonia degli Albani speditavi mollo tempo innanzi di Roma. Divulgando la fama in molte città la fortezza militare del capitano e la clemenza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora non pochi valentuomini ; i quali con tutte le famiglie a lui trasferendosi, gli recarono forze non dispregevoll. Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio, da Celio che uno fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi a lui si diedero Intere città, cominciando dalla città dei Medullini, le quali divennero colonie romane. I Sabini al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda che non avessero messo iiu argine alla monarchia dei Romani in sul nascere, o che si avessero a brigare con lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse da correggere il primo errore collo spedire un esercito rispettabile. E riunitisi a congresso In Curi la più cospicua e la più imponente delle loro città, vi decisero co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito Tazio re dei Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e prepararono i Sabini la guerra per marciate In su la nuova stagione con esercito poderoso contra Roma. Intanto Romolo si apparecchiò fortlsslmamente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi in arme. Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di camminò contro de Crustomenesi g i quali portavano la guerra z ftia qui ci ebbe men di contrasto perchè già gli animi erano abbaia tuli per le sconfitte degli altri  1 67 esse perché dentro vi si stessè con sicurezza, e circondando con fossi e irincere 1’ Avventino, ed il Campidoglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei primo, e presidiandone l’uno e l’altro con salda guarnigione; ordinò che nella notte vi si riparassero e greggio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate, e guardie ogni altro luogo opportuno per la loro salvezza. Intanto Lucumone, divenuto amico suo non molto di prima, Lucumone uomo operoso ed insigne nelle arme, venne a lui con buon sussidiodi Toscani da Vetulonia ; e vennero pure da Albano in copia, ( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori. commissari, arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed arme e quanto facea di mestieri, e largamente ne diede per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati ambedue per r impresa, i Sabini al sorgere della primavera, ornai sul pnnto di cavar le milizie, deliberarono di spedire, e spedirono prima a’ nemici un ambasceria la quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà di esse ; perchè se ’l giusto non ottenevano, apparisse che spinti dalla necessità davano alle arme. Romolo pregò in opposito che si permettesse alle donne rimanersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché restie non ci convivevano: che se abbisognavano di altra cosa, volessero da lui riceverla come da un amico, non lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in alcuna dimanda menarono in campo venticinque mila pedoni e quasi mille cavalli. Non molto differiva dalla milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila fanti, e di ottocenfp cavalieri, ed accampatasi divisa in due parli dinanzi la città, teneva con una parte il colle Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con l’altra il Quirinale ( che allora non avea questo nome ), e Lucumone il Tin'eiio erane il capitano. Al conoscere tali disposizioni Tazio re dei Sabini levandosi di notte, traversò coll’ esercito la campagna, non già per danneggiarla, ina per mettersi prima del nascer del sole in sul campo tra ’l Quirinale ed il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito dalle guardie vigili de’ nemici, e che non ci avea luogo sicuro per lui, cadde in gravi dubitazioni senza rinvenire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante dubitazioni sorsegli una prosperità non pensata ; essendogli consegnato un de’ luoghi fortissimi con questo successo. Rigirandosi appiè del colle Capitolino i Sabini per esplorare se ci avea parte niuua, donde potesse espugnarsi con sorpresa, o di forza ; videli dall’ alto Tarpeja, una vergine cosi nominata, figlia del valente uomo al quale era la cura hdata di que’ luoghi : s’ invaghì la donzella, come scrive Fabio e Ciucio, dei braccialetti che que’ Sabini s’ aveano intorno la sinistra, e s’ invaghì degli anelli. Brillavano allora di oro i Sabini, molli nommen che i Tirreni nel vivere. Ma Lucio pisone il censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel desiderio di esporre ai cittadini i nemici, nudi delle arme colle quali si difendevano. Ben può da quel che siegue raccogliersi qual sia di queste due cose la più verisimile. Mandando fuora una serva per una tal porticina che niun si avvide che fosse aperta, fe’ richiedere il monarca Sabino che venisse a lei senza compagni per nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di cosa grande e necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un tradimento, e recatosi al luogo additatogli, e venutavi ( che ben lo potè ) la donzella, disse che il padre suo quella notte si era allontanato per un tal bisogno dalla fortezza, e che le chiavi delle portò erano presso di lei : consegnerebbele se a lei venissero quella notte, e se in premio della consegna le si dessero quelle fulgide cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra. Piacque a Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la promessa con giuramento di non illudersi ne’ patti ; la vergine distinse la parte per la quale avrebbero a venire a quel fortissimo luogo, e distinse 1’ ora della notte in che meno s' invigila ; e poi ritornossene, nè quelli che eran dentro ne seppero. Concordano Gn qui ma non già nel resto gli storici romani. Pisone il censorino del quale abbiam detto di sopra scrive che Tarpeja spedì quella notte un messaggiero che signiGcasse a Romolo gli accordi fatti tra i Sabini e tra lei ; e come ella esigerebbe le arme difensive di essi, deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati : egli dunque mandasse altra milizia nella fortezza, e vi sorprenderebbe i nemici col capitano spogliati di arme. Aggiunge però che il messaggero fuggendosi presso il re de’ Sabini gii accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè F abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse, e sostengono che la donzella mantenesse i patti del tradimento. Dopo ciò continuano tutti la storia con slmiglianza. Imperciocché narrano che avvicinatosi il re dei Sabini col Gor dell’ esercito colei per adempiere le promesse aprisse a’ nemici la piccola porla concordata, e che destate le guardie del luogo le stimolasse a scampare sollecitamente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano la fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di quelli, trovatene le porte aperte, occupassero la fortezza abbandonata ; e che la donna avendo prestato i servigi pattuiti, ne chiedesse il premio secondo i giuramenti. XL. Dopo ciò scrive Pisene che essendo i Sabini pronti di dare l’oro di che riluceano ne’bracci sinistri; Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli scudi : che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma pur si guardasse dal violare i trattati : che era a lui sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme richieste ma per modo, che ricevutele non potesse valersene : che ben tosto dunque, comandando di essere imitato dagli altri, lanciasse lo scudo con quanta avea forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno e sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto delia tempesta. Ma Fabio ascrive a’ Sabini la frodolenza su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti dare a Tarpeja le auree cose che dimandava, rattristatine per la grandezza di esse, scagliarono su lei le arme colle quali si difendevano, quasi scagliar le medesime fosse un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se non che sembra che i fatti consecutivi rendano più verisimile il giudizio ultimo di Pisone. Certamente fu la giovine, dove cadde, onorata di tomba, e la tomba sta nel più augusto de’ sette colli, e Roma ivi le replica ogni anno sacre libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone. Cioè se ella fosse morta tradendo la sua patria non avrebbe ottenuto niuno di questi due onori nè da quelli che ne erano traditi, nè da quelli che ne furono gli uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere sarebbe stato poi disotterralo e gittato per atternre i posteri, e respingerli da simili operazioni. XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella fortezza, e pigliato senza disagi il più degli appareccbj de Romani, facevano ornai la guerra da luogo sicuro. Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto a piccola distanza fra di loro, molti erano in molte occasioni li tentativi e gli attacchi senza grandi risultati di danno o di utile per ninna delle parti. Due furono le battaglie più rilevanti date con tutte le milizie, schierate 1’ una contro l’ altra; e grande ne fu la strage vicendevole. Ma tirandosi in lungo, ambedue li re concorsero nel sentimento di venire a decisiva giornata. E recatisi nello spazio intermedio ai due accampamenti i capitani migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati in mille cimenti fecero memorabili prove dando e ribattendo gli assalti, e traendosene e rimettendovisi ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo munito la equilibrata battaglia, e che d’ora in ora piegava dall’ una o dall’ altra parte, incitando, ed acclamando incoraggivano chi vi si distingueva ; o con preghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi ornai sopraffare, perchè vile sempre non rimanesse. Dond’ è che gli uni e gli altri erano necessitati a sostenere travagli, maggiori delle forze. Cosi tenuta avendo la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine essendo già notte si ravviarono lieti ai proprj alloggiamenti. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai morti ristabilirono i feriti, e procurarono insieme altre forze. Poiché parve loro di farsi nuovamente alle mani, tornati jiel luogo medesimo vi combatterono fino alla notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone Romolo stesso la destra, e Lucumone il tirreno la sinistra. Ma restando dubbia ancora nei centro la sorte delle armi ; Mezio, cognominato il Curzio, uomo meraviglioso per le forze del corpo, magnanimo nelle arme, e chiaro soprattutto perchè noa turbavasi a pericoli o terrori, impedì la disfatta totale de’ Sabini e portò di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sorvanzavano. Costui messo a dirigere 1’ armata del centro avea già vinto i nemici che gli stavano a fronte. Volendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine ornai sbattute, e presso a dar volta, esortandovi la sua milizia si mise ad inseguire i nemici che fuggivano sbandati da lui, cacciandoli fino alle porte, cosicché Romolo fu costretto a lasciare imperfetta la sua vittoria, e rivolgersi ad accorrere contro la parte de’ nemici che era vincitrice. Cosi quel corpo de’Sabini il quale pericolava si riebbe j allontanaudosegli Romolo colla sua gente : e tutto il nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi che erano già vittoriosi, e questi tenendo fronte per un tempo ai Romani combatterono luminosamente. Ma poi rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e rìpararousi negli alloggiamenti, assai contribuendo Curzio alio scampo col ritirarli grado a grado, non col fargli inseguire in disordine. Egli flesso arrestavasi in arme, e. facea fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e. 1^3 bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano. Alfine essendo già Cur/io ferito, già esausto di sangue, riucnlava poco a poco, quando eccogli addietro una palude profonda ; difficile da girarla intorno, perchè cinta da’ nemici, e dilficilissima da traversarla per lo fango che ammassavasene alle sponde, e per le acque, che altissime vi erano in mezzo. Inoltratosi dunque vi si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che colui quanto prima perirebbe nella palude non potendovisi perseguitare pel fango e per le molte acque ; si rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo molti e lun> ghi stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude, e fu portato a’proprj alloggiamenti. Rimanea la palude nel mezzo quasi del foro romano, e lago chiamasi di Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta dalla terra. Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Campidoglio. Spaziava nella speranza di rivendicarselo : ma travagliato da molte ferite, e più da un colpo di pietra lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo da’ compagni, e riportato dentro le mura. Sbigottirono i Romani più non vedendo il capitano, e dicdesi l’ala destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra diretta da Lucumone, uomo chiarissimo nelle arme, e segnalatosi per molte e belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno questa più resse alfine ; quando colpito in un fianco da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di forze. Allora la fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalzavano verso le mura: se non che giungendo alle porte pe furono respinti, sboccandone contro loro i giovani a’ quali aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrcttaiidosi quanto potè per soccorrerli Romolo stesso, riavutosi già dalla percossa ; la sorte assai ne variò della battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando iuaspettataineute il sovrano, risorti dalla paura, si riordinarono, uè più s’ indugiarono a volar su’ nemici. Questi che aveano finora pressato i Romani e concluso non esservi schermo, che impedisse di prendere la loro città culla forza ; non si tosto videro il cambiamento inopinato e repentino, pensarono come scampare sè stessi. Il ritorno al campo era precipitoso per essi, inseguiti dall' alto, e per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro in questa ritirala. Cosi pugnato avendo quel gioruo da pari a pari, ma involgendosi ambedue tra casi inaspettati ; alfine ornai tramontando il sole, si divisero. Ne’ di seguenti consultarono i Sabini se avessono a ricondurre in patria l’esercito devastando intanto il più che poteano le campagne nemiche, o se di là ne chiamassero un altro, ivi trattenendosi cd insistendo fiuchè dessero buon fine alla guerra. Ben era misera cosa per essi partire, donde mauifeslcrebbcsi la infamia che niente aveano conseguilo; ed era misera cosa nonimeno il rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno come speravano. Concepivano poi, che venire a trattali co’ nemici, unica maniera conveniente a levarsi di gueiv ra, gioverebbe anzi a’ Romani che a loro. Tuttavia uon meno, anzi assai più che i Sabini, erano i Romani caduti in gran dubbio intorno le cose da fare. Imperocché nè volevano rendere nè riteuere le donne ; riputando la prima cosa un seguito di uua [lerdila mauilcsta, cd  n. 175 un preludio di aversi nccessariamenle a sottomeltere anche ad altri coaiaudi : ma 1’ altra cosa presentava molli e gravi mali, distrutte le patrie campagne, e la gio> ventò più florida trucidata. Se faceansi a trattar coi Sabini, parca loro che questi non ser berebbero alcuna misura, per molte cagioni e principalmente perchè i superbi insolentiscono non condiscendono col nemico che volgesi agli ossequj. XLV. Mentre ambedue cosi cogitabondi, e così disanimati dal cominciare o battaglie o discorsi di riconciliazione dispergevano il tempo ; le mogli de’ Romani, quelle che erano sabine di origine, quelle per le quali ardeva la guerra, congregatesi ed abboccatesi fra loro in un luogo medesimo risolverono d’ intramettersi con ambi per la pace. Dava tal partito alle altre Ersilia, non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di lei dicono che rapita già come vergine con altre donzelle, ora fosse maritala. lN|a più verisimile è chi scrive che ella si fosse rimasa spontaneamente colla unigenita sua, 1’ una delle derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le donne in Senato, ed ottenutovi di parlare, ve lo diffusero, chiedendo di uscir per un colloquio co’ loro parenti. Annunziavano che aveano molte e belle speranze di fiduiTe unanimi le due genti e stringerle di amicizia. Come udirono ciò quelli i quali consultavano col monarca assai ne furono dilettati, riputando che questo fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose. Adunque si decretò che quante Sabine avean Agli tante lasciando questi co’ mariti, avessero la potestà di andarne oralrici ai lor nazionali: che quelle però le quali eran madri di più 6gli ne recassero con sè la parte che più volcano, e trattassero la riconciliazione de’ popoli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti, e talune coi teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col piangere e col prostrarsi appiè di chiunque iucontravale tanta compassione, che ninno de’ riguardanti potea rattenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Senato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della venuta; Ersilia, autrice e guida della S])edizioue, feceiie una lunga e patetica sposizione, implorando che donassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i principi loro; ed essi, veduto 1’ utile puliblico, discutessero le condizioni,per le quali cessassero le discordie. XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli appiè del sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano presenti non le rilevarono da terra con promettere che farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele uscire dal Senato, e consultando fra loro, si decisero per la pace. E prima si fece la tregua : poi riunendosi i re, si concordò su la pace ancora. E tali ne furono le convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re dei Romani Romolo e Tazio con eguali poteri ed onori. La città serbando il nome del suo fondatore chiamerebbesi Roma, e romano ogni suo cittadino come per l’addietivMa tutti insieme si chiameiiano generalmente Quiriti desuntone il nome dalla patria di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano, in Roma, ma comunicandosi le sante cose, c prendondo luogo nello tribù c nelle curie. Giurate questo cose, ed eretti gli altari ove far 1’ alleanza, in mezzo quasi della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme. Poi rao cogliendo ogni duce li suoi, tornarono alle proprie magioni. Si rimasero in Roma Tazio il monarca e con esso tre de’ più, riguardevoli Valerio Voleso, Tallo, soprannominalo il Tiranno, ed in fine Mezio Curzio, quegli che : avea colle armi trapassato la palude, e vi ebbero gli onori che i discendenti loro pur vi godcronow Anzi con questi si rimasero amici, consanguinei, e clienti, non minori di numero agli altri di Roma. Mentre ordinavano queste cose parve ai so vrani di raddoppiare il numero de’ patrizj per essersi la popolazione moltissimo arnpbata. Adunque segnando in X catalogo colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli, quanti erano i primi, chiamarono patrizj ancor’ essi. Poi trascelli cento di questi col voto delle curie gli connumerarono ai senatori antichi. E su ciò concordano presso a poco tutti gli scrittori delle cose romane : differisce taluno sul: numero de’ sopraggiunti : dicendo che non cento cui cinquanta furono gl’ inseriti al Senato. Non consentono però gli storici romani su F onore che i re concederono alle donne perchè gli aveano rioou dotti aUa pace. Perocché scrivono alquanti che diedero ad esse distintivo grande e moltiplice non pure i prindpi, ma le curie : le quali essendo trenta, come già dissi, presero nome ognuna da queste, giacché trenta furono ancora le oratrici. Ma Terrenzio Varrone si di scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi erano stati imposti -alle curie anteriormente da Romolo, quando divise la prima volta il suo popolo: c die quei nomi furono desumi da’ capi di esse, o dalle antiche lor patrie. Aggiunge che le femmine andate ambasciadrici non furono trenta ma cinqueceutotrentatrè : dond’ è che noti sia verisimile che il re concedesse ad alcune poche di esse quell’onore, escludendone le altre. A me nè tali son parute queste cose da non farne parola, nè tali da scriverne dtra il bisogno. Ora l’ordine stesso della narrazione dimanda che io dica quali e donde fossero i Cureti alla città de’ quali apparteneva Tazio, e quei eh’ eran seco. Noi cosi ne sappiamo. Nel tempo che gli Aborigeni possedeano 1’ agro Reatino una vergine nobilissima natia di que’ luoghi entrò, per danzarvi, il tempio di Enialio. Enialio lo chiamano Quirino i Sabini, ed, ammaestrati da essi, i Romani, senza che sappiano dire più oltre s' egli sia Marte, o tal altro, eguale a Marte in onore. £ li primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome dicasi del Nume arbitro delle guerre ; ma gli altri che sia quel doppio nome non di uno, ma di due Dei bel licosi. La vergine danzando già nel tempio fu dallo spirito investita del Nume; e lasciale le danze si ritirò ne’ penetrali santi di lui, dove, come a tutti sembra, fecondatane, diede un fanciullo, che Modio fu detto, ed ebbe soprannome di Fabidio. Or questi, adulto  Vi è chi pensa che il Modio Fabidio sia il Afe £>iuj Fidius de’ fìoinaui, forinola colla quale riguardavaisi il Nume tutelare della fede, o pure Ercole figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi avrebbe malameuie iuierpiaato quella formula Romana di giuramento.. 179 feuo nella persona, ebbe forma non umana, ma divina, e combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini. Preso poi dal desiderio di abitare una città che avesse la origine da lui, congregando gente io copia da luoghi d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi addimandasi, denominandola, come narrano alcuni, dal Nume, dal quale è &ma che egli fosse generato, e come altri asseriscono dall’ asta, poiché Curi chiamasi 1 asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone. Ma Zenodoto Troizinio uno scrittore dell’Umbria, narra che le genti di essa furono prima abitatrici de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi se ne vennero alla terra dove ora soggiornano, e dove mutato nome coi luoghi, si chiamarono Sabini per Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini da un Nume di que’ luoghi Stoino Sanco, e che Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio, Dice che fii domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Testrina presso la città di Amiterna ; che movendosi da questo inondarono i Sabini 1’ Agro ReatioQ abitato al Silio nel libro ottavo scrive. Ibant et laeti pars tanctum voce canehanl, Auetorem genlis, pars laudes ore ferebant, Sahe, Uuis, qui de patrio cognomine primus. Dixisli poputos magna ditione Sabinos. Forse dunque nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino. Festo e Yarrone additano che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole. Ora Plutarco nel suo Noma e Servio nel libro 8 dell’ Eneide derivano i Sabiui dagli Spartani, e gli Spartani da Ercole. Quindi quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più che Sanco 'redesi il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare Ercole. e lora dagli Aborigeni, e da Pelasghi : e che ne ottennero colla forza delle armi Colina la loro città più cospicua : che spedendo dal contado Reatino delle colonie fondarono altre città non poche, ove, senza cingerle di mura, si viveano ; e tra queste la città che Curi fu nominata : che occuparono campagne lontano circa dugento ottanta stadj dall’ AdrìaUco, e dugento quaranta dal mare Tirreno: e dice che stendeasi la lunghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo le storie paesane intorno de’ Sabini abitavano con essi già dei Lacedemoni quando Licurgo tutore di Eunomo, nipote suo,. dava a Sparta le leggi : e questo perchè impazientiti alcuni dalia dura legislazione di lui, staccaùsi da’ compagni abbandonarono affatto la città ; e corso ampio tratto di mare, e desiderosi ornai di prendere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii di abitare quella appunto ove imprima giungerebbero. Venuti nell’ Italia ai campi detti Pomentini nominarono, dal mare che aveali portati, Feronia il luogo dove prima approdarono, e vi eressero un tempio alia Diva Feronia alla quale aveano fatto i lor voti ; e la quale mutatane una lettera ora Faronia si chiama. Alcuni da indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e però spartane sono molte delle loro istituzioni, spartani principalmente gli amori per la guerra ; la parsimonia e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò basti su la origine de’ Sabini. L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città congiungendole altri due colli, 1’ uno chiamato Quirinale, e Celio r altro. E ponendo separatamente le case. 1 8 1 viveasi ognuno nelle sedi sue. Avessi Rouiolo il monte Palatino ed il Celio, monte contiguo col primo. ^azÌo avevasi il Campidoglio, occupato già ne’ principi da esso, ed il Quirinale. Recisa la selva la quale spandevasi appiè del Campidoglio, e ricoperta in gran parte di terra la palude, la quale per la concavità dei sito rooltiplicavasi dalle acque scese da’ monti, fecero ivi il foro, dei quale servonsi ancora i Romani. E là tenendo le adunanze, consultavano nel tempio di Vulcano, cbe quasi al foro sovrasta. Inalzarono i tem^q, e consacrarono gli altari ai Numi, a’ quali gli aveano promessi co’ voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove Statore presso la porta òe Muggiti la quale mena dalla via sacra al Palatino, perché quel Nume esaudendo i voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già fuggitivo si arrestasse,, e si volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne eresse al Sole, alla Luna, a Crono, a Rea, ' come pure a Vesta, a Vulcano, a Diana, ad Eniàlio ed altri difScili a nominarsi con greca parola. Mise in tutte le Curie le mense per Giunone Quirizia  le quali esistono ancora. Dominarono cinque anni insieme senza dissidio, e compierono in quel tempo con impresa comune la spedizione contro de’ Camerini. Impercioccbè questi mandando delle masnade assai danneggiavano loro il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai comparsi a darne ragione. Adunque schieratisi a fronte di essi, e vintili in campo, e poi nell’ assalto delle mura, gli astrinsero a cedere le arme e la terza parte della re Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^ prcoedenle. • Digitized by Google iSa PFLLE Antichità’ romane gione. Continuando nondimeno i Camerini ad Infestarla riuscirono nel terzo giorno I re coll’ armata e li fuga-, rono, e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati, concedendo solamente che quelli, se volevano, si domiciliassero in Roma. Quattromila quasi ve ii’ ebbero, e lì compartirono tra le curie. E Camaria, sorta già tanto tempo prima di Roma, Camaria già domicìiio famoso degli Aborigeni, e poscia di un ramo di Albani, fu ridotta colonia de’ Romani. Tornò, nei sesto anno il comando a Romolo sodamente, morendo Tazio per le insidie de’ primarj tra Laurenlini tesegli per questa cagione. Scorsi gli amici di Tazio a far preda nel territorio de’ Laurenlini ne aveano rapito danari in copia, e menato via de’ bestiami t uccidendo o ferendo chiunque presentavasi a rivendicarseli. Spedita quindi dagli offesi una legazione a reclamar la giustizia, Romolo sentenziò che gli o^ fensori le si consegnassero. Tazio però sollecito degli amici, non istimava bene che si desse alcun cittadino perchè si portasse in giudizio tra forestieri e nemici. Laonde intimò che quanti si richiamavano della ingiuria venissero e discutesserla ne’trihunali di Roma. Cosi non trovando giustizia partirono indispettiti gli ambasciadori. Ma datisi per isdegno alcuni Sabini a seguitarli gli assalirono, che dormivano tra le tende lungo la via sorpresivi dalla notte : e spogliatili di ogni cosa, ne scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti. Si ricondussero alia loro città quauti si avvidero a tempo deir insidie e fuggirono. Dopo ciò venendo ambasciadori da Laurento e da molte città si dolsero su’ diritti violati, ed intimarono la guerra, se non erano compensati.  LII. Sembrava a Romolo, com’ era, terribile 1’ oltraggio d(^li ambasdadori e degno di una subita espiazione, es:;endosi profanata una legge santa. E vedendo che Tazio tcneane picciolo conto, egli senza più indugio presi e legati i complici, li diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe magnifica sepoltura, e la città gii rinnova ogni anno pubblici sagrifizj. LUI, Romolo trovandosi un’ altra volta solo nel principato purificò la infamia commessa contro gli ambasciatori pubblicandone privi dell’ ncque e del fuoco gli autori, faggitt già tutti da Roma al primo udire la morte di Tazio. In opposito essendogli conseguati da Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano, il quale occupato di notte un monte non molto lontano da’ nemici teneavi in agguato il fiore de’cavalieri, e dei fanti, giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in campo ambedue per combattervi come prima, non si tosto diè Romolo il segno convenuto a quelli del monte, corsero schiamazzando dalle insidie alle spalle de' Vejentani : e piombando essi, freschi ancora su uomini stanchi, non durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono in campo ; ma molti piò nellt; acque del Tevere, il qual fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per iscampare nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza non resse a compiere il transito, e parte per la imperizia del nuoto e la confusione dell’ animo in vista dei pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i Vejentani avessero ponderato seco stessi, quanto furono sconsigliati la prima volta, e se avessero dall’ora in poi cei^ cato la calma, non sarebbero incorsi in disastri, più gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali passati, e pensando che vincerebbero di leggeri, se uscissero con apparato maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla città loro, e procuratene presso de’ nazionali secondo i trattati di amicizia, marciarono per la seconda volta contro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso piiuii. iiy Ci( ••. ' 187 Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti, e ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono. F 11 invasa la loro trincierà piena di danari, di arme, di S( biavi: furono prese le barche lluviali cariche di vettovaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati in Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romolo ma più brillante assai de’precedcnti. Venne dopo non molto un' ambasceria de’ Vejenli per chetare la guerra e chiedere perdono de’ mancamenti, e Romolo ne secondò le istanze imponendo : che cedessero i terreni contigui al Tevere nominati Setlepagi : che non si accostassero alle saline presso le bocche del Jiume : e che dessero cinquanta ostaggi in pegno, che non farebbero innovamenti. Si rimisero i Vejeiiti alle leggi: e Romolo fece tregua con essi per cento anni, e ne scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza compenso i prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cittadini di Roma quanti pregiarono di rimanersene, ed erano più numerosi degli altri, e li comparti fra le curie, e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere.. Quest furono le guerre di Romolo degne di stima e di ricordanza : e parmi, che se egli non sottomise ancora altri popoli vicini, ne fosse cagione la fine prematura di lui, quando era florido ancora per le armi. Di questa fine varj e molli ne sono i racconti. Coloro .che più ne favoleggiano dicono, che intanto che aringava le milizie, abbujatosi l’ aere sereno, e fattasi procella terrìbile, Romolo diventasse invisibile, e che Marte il suo genitore in alto se lo rapisse. Ma chi scrive cose più vcrisimili dice che da’ suoi cittadini fu morto ; e dice elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il voto del popolo, contro la consuetudine, gli osti^gi presi gii da' Vedenti ; il non serbare la eguaglianza tra i cittadini antichi e novelli, ponendo i primi in altissimo onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tincrudelire nelle pene dei delitti, e lo insuperbire. Imperocché sentenziando, solo, da sé comandò che fossero precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, incolpati di essere scorsi a predare i vicini. Ma soprattutto,ne fu cagione, 1’ essersi ornai renduto pesante, e dispotico f e tiranno, anzi che principe. Per questo, narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la morte, e la eseguirono nel Senato ; e che divisone in brani il cadavere, perclté non se ne sapesse, uscirono occultandone sotto le vesti ognuno la parte sua, che pdi seppellirono, onde renderle invisibili. Altri però narrano che egli aringando fosse tolto di mezzo da’ cittadini nuovi di Roma ; e che m lanciassero ad ucciderlo quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo dileguato, ed egli rimasto senza guardia : e però dicono che un tal giorno tien nome da quel dissiparsi di popolo, chiamandosi tuttavia fuga della moltitudine. Sembra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento e sul termine di quest’ uomo diano non piccola occasione a coloro che fanno de’ mortali un Iddio, e che ne spingono al cielo le anime più segnalate. Perocché nella .compressione della madre di lui sia per uno Dio, sia per un nomo, affermano che il soie si ecclissasse, e che tenebre, totali come nella notte, coprissero la terra; e che il simile avvenisse por nella morte. ROMOLO IL FUNDATORE DI ROMA, il primo, assunto da lei perchè la domioasse, cosi narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di cioquanlactnque anni, e già monarca da trentasette non lasciò rampolli di sua generazione. Novello in tutto delr impero de’ popoli, se lo ebbe nell’ anno suo diciottesimo come unanimi lo ripetono gli storici di queste cose. LVII. Nell’anno seguente non si fece alcun re dei Romani : ma vigilava su la comune un magistrato detto interré, costituito in questa maniera. I Patrìzj ascritti da Romolo in Senato, dugento, come dissi, di numero si divisero io decadi. Poi traendo le sorti diedero la reggenza sovrana a que’ dieci che primi erano favoriti dalle sorti ; non già che i dieci reggessero tutti in un tempo, ma successivamente ciascuno cinque giorni, nei quali avea con sé li fasci, e gli altri simboli del regio comando. Il primo cedeva il comando ai secondo, questi al terzo e cosi fino all’ ultimo. Decorso lo spazio dei cinquanta giorni, fisso. pe’ dieci, primi nel comandare, succedea la decade seconda al governo, e poi le altre via via. Finalmente piacque al popolo di abolire questi decemvirati, essendo ornai stanco da tanto trasmutarsi di comandanti, varj nella natura e ne’ genj. Allora dunque i Senatori convocando l’ adunanza del popolo per tribù e per curie renderono ad esso il potere di discutere la forma del governo, cioè se volevano un re ; o se annui magistrati. Ed il po[K>lo non decise già esso, ma fece che scegliessero i Senatori, pronto di attemperarsi  Ciò fu nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’ anno 38 e secondo Varrone nel 4 ° di Roma] all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare la regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i quali si avesse ad eleggere il futuro monarca : e chi pensava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi Senatori ossia tra gli aggiunti di poi, à dovesse trascegliere il |>er8onaggio che regnerebbe su Roma. LYIII. Procedendo la disputa, si convenne finalmente su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero il monarca non però del ceto loro, ma qualunque altro ue giudicassero idoneo; o che farebbono ciò li Senatori novelli. Presero essi la scelta i Senatori più antichi, e molto consultandone stabilirono ; di non dare, giacché essi ne erano esclusi, il principato a niuno degli emuli, ma di creare monarca un personaggio cercato ed intro> dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due > principalmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò deliberato, destinarono co’ voti loro, il figlio del chiarissimo nomo, Pompilio Pomone, Sabino di lignaggio, Numa di nome, e per età prudentissimo, come non mollo lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em la dignità dell’ aspetto ; e grandissima la riputazione per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza adunarono il popolo ; e fattosi in mezzo l’ uno di loro, interré di que’ giorni, disse : che piaceva a tutti i Senatori di fondare un regio governo : e che egli incaricalo di trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in Numa Pompilio il monarca di Roma. Dopo ciò deputando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il valentuomo alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della Digitized by Google gemati da Romolo per non essere stati con'esso in guerra niuna, non godevano terre, nè utile alcuno. Questi senza case, e vaganti per la miseria, erano di necessiti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra tali agitamenti fluttuava Roma quando Numa ne prese le redini, e su le prime ricreò la classe de poveri, compartendo loro porzione delle campagne possedute da ROMOLO, ed un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln co. Non togliendo quanto godeano, ai patrizj fondatori di ‘Roma, e concedendo ai patrizj più recenti altri onori, ne chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento tutta la moltitudine all’ oggetto unico del pubblicò bene; ed ampliato il giro della città con inchiudervi II Quiri. naie, colle non ancora cinto di mura, si rivolse ad altre istituzioni. E concependo che grande e beata diverrebbe la città che se ne adorna ; procurava queste due cose : la pietà primieramente, insegnando agli uomini, che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per essa i beni dispensati da’ Numi arrecano delizioso godimento a chi li possiede. Non reputo però che slan tutte da scrivere le leggi e le pratiche per le quali consegui 1’ uno e l’altro intento e con tanta amplitudine; perchè temo la prolissità de’ racconti, uè la vedo necessaria ad una storia pe’GrecI. Solo ne dirò sommariamente le cose principai lissime, idonee a dimostrare la mente di un tanto uoimo, cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino. Lasciò nel pieno vigore lé consuetudini e le leggi die  trovò fondate da ROMOLO, credendole benissimo istitoite: ne supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e diè sacri luoghi a’ Numi, non adorati ancora, c fece altari e tempj, e compartì feste per ognnnp, e ministri per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi la illibatezza, le espiazioni, le suppliche e tante altre onori Gcenze e tanto culto ; quanto non mai ne ebbe nonbarbara gente, nè Greca, nemmeno delle più famose un tempo per la pietà. Comandò che Romolo ancora, divenuto più che uomo, s’ intitolasse Quirino, e si onorasse con templi e con annui sacrifizj. Perocché non sapendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per divina provvidenza, o se per Iraude umana ; venne in mezzo del F oro un tal Giulio, un agricoltore della stirpe di Ascanio, uomo incolpabile di costumi, nè capace di mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornandosi di campagna vide Romolo che partivasi di città colle arme ; e che fattoglisi più da vicino gl’ intimava : O Giulio va, riferisci in mio nome ai Romani ; che il Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando io nacqui ; questo, ora che io compiei la mortale carriera, mi solleva tra Numi, e che io sorto Quirino, Noma stese in iscritto tutte le ordinazioni su le cose divine, dividendole in otto classi, quante erano quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico primo delle funzioni religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr pieano i sacrifizj comuni delle curie : diè 1’ altro si Stefanofori detti da’ Greci, e Flamini dai Romani, cosi nominati dai portare delle berrette e delle bende le  Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta quali portano ancora, e le quali Flama si chiamano : diede il terzo ai capitani dei Celeri, soldati come additai, che combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei monarchi; e certo que’ capitani ancora fornivano divini ordinati esercizj : diede il quarto a quelli che interpetrano i segni mandati dal cielo, e dichiarano se conceróOno private o pubbliche cose. I Romani chiamangli Auguri dall’ indole dei precetti dell’ arte loro, e noi OionopoU li chiameremmo, uomini scenziati in ogni divinazione de’ segni del cielo, dell’ aere, e della terra. Il quinto alle vergini, custodi del fuoco sacro, appellate Vestali fra loro dal nome della Diva a cui servono. Noma il primo fondò il tempio di Vesta, e misevi delle vergini che ministrassero nel culto di lei. Su che rileva che io dica alcune poche còse le più necessarie ; dimandandole il sobjetto ; perocché degna ne è la ricerca, e degna pur si stima da’ romani scrittori in questo luo 30 a consola di una tomba, non 1’ esequie, non altro rito niuno legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel santo ministero, e principalmente lo spegnersi del fuoco: accidente che i Romani temono più di tutti i mali, pigliandolo, e sia qualunque Torigine di esso, come presagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando e placandolo; di nuovo riconducono il fuoco nel tempio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. > LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza manifestata delia Dea per le vergini indegnamente accusate. Credesi questa da Romani, quantunque ioconcepibile, e molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a maniera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai questo, ripudiano tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra Greci e tra Barbari, e molto ne deridono i racconti, ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti prenda cura delle cose de mortali. Ma quelli che non levano agl’ Iddi! questa cura, e li giudicano propiz) ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con istorie moltissime, non prendono per impossibili tali divine manifestazioni. Narrasi dunque che smorzandosi un tempo il fuoco per poco avvedimento di Emilia, che allora ne era la guardiana, perocché ne avea trasmessa la cura ad una compagna novella, e di fresco ammaestrata ; Borsene in città turbamento ben grande, e si cercò dai pontefici se violazione ci avesse nel ministero santo del fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emilia, non sapendo che farsi nell’evento stendesse io presenza de’ sacerdoti e delle vergini le mani in su l’altare e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma, se 2o5 io santamente, e debitamente compiei le sacre tue cerimonie ornai da treni anni, se pura l anima mia, se immacolate ti si presentarono le membra di questo mio corpo, deh ! tu soccorrimi, nè volere trascurare^ che la tua sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma se io pur commisi alcuna cosa men pia, deh ! che nelle pene mie la pena si dissipi di Roma. Ciò detto è fama che spiccando il lembo dalla veste di lino onde era coperta lo gittasse in so 1’ altare : e che dopo la preghiera, essendo la cenere già fredda, e già senza favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo una damma copiosa, talché più non abbisognò la città né di puri' ficaztoni, né di fuoco novello. Più meraviglioso ancora e più somigliante ad una favola è ciò che io sono per dire. Narrano che un tale accusasse Tuzìa 1’ una delle vergini ma >n alle gazioni non vere di congetture e di testimonj ; non polendo affermare che fosse per lei venuto meno il ìkoco : e che la vergine comandata rispondere dicesse che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò detto invocata la Dea perché le fosse guida nelle sue vie, s’in? camminasse verso del Tevere concedendolo i pontefici, seguita dalla moltitudine: che giunta in riva del fiume, si ponesse a cimento impossibile, ora passato in proverbio : cioè, che prendesse acqua con un vaglio vuoto e ve la recasse fino al Foro, quivi ai piedi spargendola de pontefici. E narrano che dopo ciò 1’ accusatore di lei, per quante ne fossero le ricerche, né vivo più nè morto si ritrovasse. Ma quantunque dell’ intramettersi della Dea potrei soggiungere più cose ; reputo che bastino le dette finora. 2o4 delle Antichità’ romane La sesta parte delie istituzioni religiose fa quella intorno àe Salii che chiamansi In Roma. Numa stesso li nominò scegliendo dodici decentissimi giovani patiizj. Stansi le sacre loro cose nel palazzo ; ed essi ne sono chiamati Palatini. Ma gli Agonali, de’ quali serbansi le sacre cose nel poggio Collina, questi cognominati Salj Collini, furono istituiti dopo Noma da Ostilio re pel voto fatto da lui nella guerra co’ Sabini. Del resto i Salii tutti sono danzatori e lodatori dei Numi delle arme. Tornano le loro solennità arca i tempi delle nostre Panalenee nel mese detto di marzo : si celebrano a pubbliche spese per piò giorni, ed in questi guidano per la città cori di saltatori al Foro, al Campidoglio, ed altri luoghi speciali, o comuni. Variopinte ne brillano le toniche traversate con cinture di rame ; ed affibbiate sono le trahee loro che chiamano, luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma pregiatissime, e proprie del luogo. Torreggiano loro sul capo tiare  alte con forma di cono, apici dette fra loro, ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è cinto di spada; stringe colla destra mano un’asta o verga, o cosa consimile ; e colla sinistra uno scudo romboidale, stretto ne’ lati, quale è quello de’ Traci, e quale, dicesi che in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le 'sacre cose dei Curetl. I Salj, per quanto io conosco, sarebbero con greca Interpetrazione I Cureli, denominati  Nel testo sono detti piUi, ma le cirbasie erano specie di tiare secondo Esicbio la lesione dello scudo romboidale è del codice V aticano e par la migliore.. 2o5 cosi tra noi dalla età giovanile  ; ma tra’ Romani hanno quel nome dal moversi faticoso : perocché spio carsi e battere co’ piè la terra tra lor si chiama salire. Per questa ragione medesima quanti altri noi chiameremmo dallo spiccarsi e battere con tal modo, essi gli chiamano salitorì con voce originata dai Salj (a). Che poi dirittamente io do questi nomi, può chi vuole, concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme regolatamente al suono delle tibie, ora insieme, ora a vicenda, e danzando intuonano patrie canzoni. Ora se dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti furono primi che insegnarono a danzare armati tripudiando e battendo con le spade gli scudi : nè bisogna che io ripeta ciocché ha la fàvola su loro, essendo noto poco meno che a mtti. Ben molti sono gli scudi che portano i Salj, 0 che i loro ministri portano sospesi in su de’bastoni: ma tra questi uno ce ne ha che dicesi caduto dal cielo. È fama che fosse nella reggia ritrovato di Numa, non avendovelo recato ninno, anzi neppur conoscendosene la forma nella Italia. Argomentarono da tali due segni 1 Romani che fosse quell’ arme celeste di origine. E volendo, Numa che lo scudo si onorasse, e recasse nei dì solenni per la città da’ giovani cospicuissimi, e riscotesse annui sagrifizj ; e temendo che i nemici in oc  Quasi aiaao Ktft$ gioTaoi, ma forte ebbero cuti nome ^wi rnt cioè dalla tontora : perchè erano tosi nella parte anteriore del capo. (a) Si saltava anche prima de’ Salj, però la voce salùores che precede non è pptieriote al nome de’ Salj. culto lo ÌDsidiassero e rapisserio; dicono che fabbricasse molti scudi uniformi a quello caduto dal cielo, accingendosi Mamorìo artefice a questo, che f arme divina per la somiglianza egualissima con altre umane non più potesse contrassegnarsi e riconoscersi da chiunque vi macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de Cureti accoglienza e pregio tra’ Romani, come io lo deduco da più seghi, e principalmente dai spettacoli nel circo e nei teatri. Ne’ quali spettacoli giovinetti già puberi, acconci d’ abito con cimiero, con spada, e con scudo, moTonsi come con le leggi di un ritmo armonioso; e £utlioni chiamansi i duci della pompa, dalla invenzione fattane, sembra, nella Lidia. Questi sono, a me pare, immagine de’ Salj ; perocché non fanno appunto come i Salj cosa ninna in foggia de’ Cureti sia negl’ inni sia ne’ salti; e prendonsi da ogni condizione; laddove i Salj deggiono esser liberi e naturali del luogo, e ricchi di padre e di madre. Ma perché mai rigirarmi più a lungd su queste cose? È la settima parte delle leggi sacre indiritta a dar ordine a’Feciali che chiamano. Questi con greca significazione giudici si direbbono della pace : scelgonsi tra le più illustri famiglie, e restansi per tutta la vita ht santo ministero. Numa anch’egli dava la prima volu ai Romani tal ceto venerando. Io non so definire sé egli ne derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni pensano, o se, come Gelilo scrive, da Ardea : bastami dir solamente che innanzi Numa non erano Feciali tra i Romani. Numa quando era per dar guerra a’ Fidenati, perchè aveano fatto scorsa e ruberia nel territorìu'dt  lui ; Numa gl’ ioslitul, perchè vedessero se voleano pa> ciGcarsegli senza le arme, come vinti dalia necessità poi fecero. E poiché non ci ha nella Grecia tribunale di Feciali; giudico necessario di adombrare quante e quali De sieno le incombenze; perchè coloro che ignorano la pietà che i Romani coltivano, non si meraviglino che tutte ad ottimo fine riuscissero le guerre loro : certamente imprendeano queste con prìncipj e cagioni onestissime, dond’è che aveano propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli. Non è già fiicile, per la moltitudine, comprendere le cure tutte de’ Feciali. A delinearle però con tocco lieve son tali : debbono cioè provvedere ' che i Romani non movano guerre ingiuste a ninna città confederata ; che cominciando taluna a rompere i trattati verso loro, vadano ambasciatori, e ne dimandino il giusto prima con parole, poi v’ intimin la guerra, se non ubbidiscono. Similmente se mai confederati alcuni dicendosi offesi da’ Romani chiedano de’ compensi, debbono i Feciali riconoscere, se quelli han sofferto contro dei patti; e se par loro che lamentinsi con diritto fan prendere e consegnare i colpevoli ai danneggiati. Giudicano su gli oltraggi degli ambasciadori, e vegliano per la Osservanza fedele dei trattati : fan le paci o le annullano, se fatte sieno contro le leggi sacre : decidono ed espiano, quante sono, le violazioni fatte de’ giuramenti e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò ne’ suoi Inoghi. Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere soddisfazione da città che sembrino offenditrici, ne ho conosciuto (peste cose, non indegne ancor esse che si risappiano, per la molta cura che involgono della giu-." sUzia e della pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli altri, cinto degli abiti e delle insegne sacre perchè fra tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo toccarne i conGni, attesta Giove ed altri dumi che egli' viene perchè Roma sia compensata : poi giurando che, dirigesi alla città colpevole, ed invocando s’ei mentisce, maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma, slanciasi olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col primo che gli s’ imbatte, rustico o cittadino che sia, C; ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di andare iu città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>. desimo col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli capita il primo, s’inoltra sino al Foro; ove giunto parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur ramenti, ed imprecazioni. Se danno soddisfazione consegnandogli li colpevoli, egli menali seco e vassene, amico già, dagli amici. Che se dimandano tempo per consultarsi, ripresentasi dopo dieci giorni, e pazienta Gno alla terza dimanda. Decorsi trenta di se la città non siegue il dover suo, egli invocati i Numi celesti e grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma deciderebbe, tra la sua calma, su loro. Poi recatosi cogli altri Feciali in Senato, dichiaravi come tutto fu compiuto secondo le leggi sacre, quanto convenivasi : e che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si oppone dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il popolo, nè il Senato può conchiudere col voto suo j la guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’ Feciali. Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose divine v’ ebbe in ultimo la classe la. quale ottennero quanti aveano in Roma sacerdozio ed autorità superiore. Questi con patria voce si chiamano pontefici dal rifarsi di un ponte di legno che è uno degl’ incarichi loro ; s son gli arbitri di cose grandissime. Imperocché giudicano tutte le cause sacre de' privati, de’ magistrati e de’ ministri de’ Numi : fissano le cose religiose non scritte nè solite ; scegliendo le leggi, e le consuetudini che stimano più acconcie : esaminano tutti i magistrati o tutti i sacerdoti a’ quali è fidata la cura de’sagrificj e ' della venerazione de’ Numi: provvedono che i loro ministri e cooperatori non violino punto le sacre leggi : espongono ed interpetrano il culto de’ Numi e de’ Genj a’ privati che lo ignorano; e se colgono alcuno, disubbidiente agli ordini loro, lo puniscono secondo i delitti: ma essi non soggiacciono nè a giudizio nè a multe, non rendendo ragione nè al Senato nè al popolo. Non travierà poi dal vero chiunque vuole chiamare tali sacerdoti o dottori, o dispensatori, o custodi, oppure interpetri delle sante cose. Mancando ad alcuno di loro la vita gli viene sostituito un altro, il più idoneo ripu .tato tra’ cittadini ; nè già il popolo sceglielo ; ma essi medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio, quando propizj gli siano gli augurj. E tali sono, oltre alcune più piccole, le leggi più grandi e cospicue di Numa sulla pietà, compartite secondo i rami varj del culto, per le quali Roma ne divenne più religiosa. Moltissime poi sono le leggi che guidano r uomo a vita frugale e temperata, e che ingenerano r amore della giustizia' la quale custodisce in città la coacordia : altre però di queste sono scritte, ed altre non scritte ma passate pel lungo esercizio in abitudini. E lungo sarebbe a dire di tutte ; ma basterà dire di due più degne di ricordanza, e cbe sono argomento delle altre. La legge su’ confini da’ poderi fu causa che oguuno si contentasse de’ proprj ; non gli altrui desiderasse. Imperocché comandando a ciascuno di marcare intorno i proprj poderi, e di porvi de’ sassi per termini, dichiarò sagri que’ sassi a Giove Terminatore, e volle che tutti periodicamente ogni anno recatisi in sul luogo vi facessero sopra de’sagrifizj, e stabili parimente una festa in onore degli Dei termini. I Romani chiamano la festa Terminali, da que’ sassi o termòni, che essi con simiglianza al nostro idioma, chiamano termini ^ mutata una lettera soia. E se alcuno involava o trasponeva que’ termini fu per legge sacro agl’ Iddii ; talché potesse, chiunque volevalo, uccidere qual sacrilego impunemente, e senza macchia di colpa. Nè stabili tal diritto su’ poderi de’ privati solamente, ma su quelli del pubblico eziandio, circondandoli di con&ni ; perchè gii Dei termini tenessero distinte le terre comuni dalie individuali, e quelle de’ Romani dalle altre de’ convicini. Praticano i Romani pur ne’ miei tempi un tal rito, almeno per apparenza, come ricordatore de’ tempi : perocché riguardano i termini come Numi, e sagrificano ad essi focacce di fior di farina, ed altre primizie di frutti, e non già cose animate ; essendo profanità riputata insanguinarne le pietre. E bisogna che rispettino la cagione medesima per la quale fecero d’ogni termine un Dio, contenti de’ poderi proprj, non arrogandosi gli altrui colla forza, o coll’ inganno. Ora però contrassegnano i propri  ma a propagare la giustizia e la moderazione ; e con questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora di una famiglia. Con quello poi che ora io sono per dire egli fe’ Roma sollecita procnratrice delle cose necessarie e delle dilettevoli. Considerando il valentuomo che una città istituita per amar la giustizia e serbare la temperanza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise tutta la campagna in porzioni chiamate pagi, assegnando per ciascuna un capo che la visitasse e curasse. Questi recandovisi di tempo in tempo, e notandovi i buoni o tristi cultori, ne riferivano poscia al sovrano ; ed il sovrano ricompensava i buoni con lodi e con altre gentili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali, onde accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti dalle core della guerra o della città sen vivevano in ampio ozio, pagandone col vitupero o colle multe la pena, diventavano tutti operosi in lor bene, e riputavano la ricchezza della terra che è la più giusta di tutte, essere ancora più dolce della militare, che incerta fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai sudditi, emulato da' vicini, e celebrato da’ posteri. Per opera di lui nè sedizione interna disunì la città, nè guerra esterna la distolse dalla disciplina sua bonissima e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni da prendere la calma inerme de’ Romani come occasione d’ invaderli; che se prorompea guerra alcuna tra quelli, assumevano i Romani per mediatori; e deliberavano di spegnere le inimicizie su le condizioni date da Numa. Pertanto io non prenderei vergogna di collocare questo uomo tra’ più famosi per sorte beata. Nato di regia stirpe ebbe regia presenza, e si esercitò nelle discipline non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese la pietà verso i Numi, e la pratica di altre virtù. Giovine fu riputato degno di prendere il comando di Roma : ed invitatovi a prenderlo per la bella fama delle sue virtù, regnò per tutta la vita su popolo docilissimo. Complesso com' era di persona ^ nè danneggiatone mai dalla sorte, giunse a lunghissima età. Finalmente consumato dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con morte placidissima. Quel medesimo genio di felicità che gli era toccato da principio, quello sempre lo accompagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’ mortali. Visse più di ottant’anni, regnandone quaranlatrè. Di lui restarono, come i più scrivono, quattro figli, ed una figlia, de’ quali conservasi ancora la discendenza : ma Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia, dalla quale nacque Anco Marzo, terzo re di Roma dopo lui. Tutta la città si abbandonò, lui morendo al dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli riposa nel Gianicolo di là dal Tevere. E tali sono le (jose che ‘ abbiamo risapute su Numa. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori arbitri nuovamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il governo medesimo: nè già il popolo era di altro avviso. Adunque deputarono un numero certo de’ Seniori i quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi, approvandolo tutto il popolo, fu nominato re Tulio, Ostilio, di cui la origine fu, come siegue. Un tale, Ostilio di nome, uomo nobile e facoltoso di Medullia, città fondata dagli Albani, presa a condizioni da Romolo e venduta colonia romana, trasportatosi, per domiciliarvisi, a Roma, vi tolse in moglie una sabina, la figlia appunto di quella Ersilia, la quale, ardendo la guerra co’ Sabini, consigliò le sue nazionali di ao libro in. 2 i 5 darne oralrici ai padri loro su de’ mariti, e la quale sembra la cagion principale che i due popoli si racchetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre, e segnalatovisi per opere grandi ; moti finalmente, lasciando un unico figlio, nel combattere co’ Sabini, e fu sepolto dai re  nella parte più insigne del Foro, onorato di una iscrizione, che la virtù ne ricordava. Cresciuto 1’ unigenito suo, e legatosi con nobile matrimonio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu questi, uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto, dato secondo le leggi dal popolo; i Numi ne approvarono con augurj propizi la scelta. Quando egli prese il comando, volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima nella quale Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo arconte Leostrato (a). E nello stringere appena lo sceu tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri con questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori eletto ampio e bel territorio, colle rendite del quale fornivano i templi di sagrifiz), e le regie case di abbondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi possessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza figli, aveaselo goduto Numa che gli succedette nel re^ gno. Laonde non era allora quel podere del popolo ; ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè che si compartisse tra’ Romani privi in tutto di campagna; dicendo essere a lui sufficienti le sostanze paterne per le cose de’ Numi, e della regia famiglia. Sollevò  Romolo e Tazio. ( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone, 8 a secondo Catone, avanti Cristo 670.] Goa questa beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che non più stentassero in servigio degli altri. E perché ninno fosse privo di alloggio aggiunse a Roma il monte Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione se la fabbricarono, pigliatovi sito che bastasse : ed egli stesso la sua residenza vi collocò. E tali sono le operazioni urbane di quest' uomo degne di ricordanza. II. Ma delle militari molte se ne raccontano, ed io mi accingo a parlarne, cominciando dalla gueiTa di lui con gli Albani. Gluvilio, un Albano, allora magistrato supremo, fu cagione che i dne popoli consanguinei si scindessero, e separassero. Punto da invidia, e mal più la invidia potendo rattemperare su la prosperità de’ Romani, come superbo e maligno per indole, risolvè d’ implicare i due popoli in guerra vicendevole. Non sapendo però come volgere gli Albani a commettergli che portasse 1’ esercito contro Roma ; altronde non avendone alcuna causa giusta e necessaria; macchinò' questa o simile trama. Concitò, promessane la impunità, li più poveri e li più baldanzosi degli Albani a far preda su’ campi romani: dond’ è che seguendo un guadagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo ancora seguito r avrebbero, empierono le terre vicine di assalti e di latrocinj. E ciò fece con disegno non alieno, come r evento stesso lo dimostrò. Perciocché prevedea che i Romani non sofierendo le rapine correrebbono all’ armi, che egli potrebbe accusarli al suo popolo come primi a romper la guerra : e prevedea che moltissimi Albanesi invidiosi delia prosperità della colonia, riceverebbero C6n piacere le accuse, e farebbero la guerra contro di senti se fosse da accettarsi il partito. A16ne, ascoltatine i roti, tornò nel consesso e disse: A noi non sembra o Tulio che abbiamo a lasciare solitaria la nostra patria, deserti i templi paterni, vuote le case degli antenati, e desolata infine quella sede che i nostri padri tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè guerra ce ne bandisce, nè flagello niuno del cielo. Non però ci dispiace che formisi un Senato, e che una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi questo se così vi pare, tra le condizioni, e levisi ogni seme di guerra. Concordi 6n qui, difTerivano poi sa la città che prenderebbe il comando. E molti furono i discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che dorea la propria città signoreggiare su l’ altra. L’ Albano insisteva su questo diritto : Noi o Tulio siam dagni di comandare anche al resto d Italia, perchè una gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in torno si alloggi. Crediamo giusto di precedere i Latini almeno, se non altri, nè già senza cagione; ma per la legge comune data dalla natura a tutti gli uomini, che 1 padri comandino ai figli : crediamo che ci si convenga il Comando su la vostra città, piucchè su le altre, che pur sono nostre colonie, delle quali non possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colonia nella vostra ; nè già da tanto tempo che siane per t antichità svanito ogni legame di sangue ; ma indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà capovolte le leggi umane facendo che i giovani maggioreggino su veechj, e li posteri su gli antenati; allora, e non prima, noi sottoporremo la nostra città madre perchè sia governata dalla colonia. Questo è ìuno de' titoli della nostra superiorità, nè questo mai cederemo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo prendete, detto non come per calunnia o doglianza, ma per sola necessità. Il popolo di Alba mantienesi ancora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno additarvi altro ramo di uomini, se non Greci o Latini, partecipi della nostra repubblica: ma voi avete contraffatto la sì gran purità della vostra cittadinanza intrinsicandovi Tirreni e Sabini, ed altri barbari molti, erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi di quell ingenuo lignaggio che da noi vi si diramava, ed è questo, come un solo, tra i moltissimi, ricevuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il . non ingenuo comanderà su l ingenuo, il barbaro al Greco, i estero al patriota. Nè già potreste voi dire che non permettete a peregrini di amministrare il comune, e che voi, naturali del luogo, voi presiedete e regnate : voi creale re forestieri, e senatori in gran parte di altri popoli. Dite: v'inducete a ciò di vostro volere? Ma chi mai di voler suo f chi se più sia valeni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguardevoli ? E se apparisce, che voi siete a ciò sospinti da necessità, ben sarebbe grande tj pravità, grande la manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da ultimo così dico ; in Alba niuna parte ancora si è smossa della repubblica : corre già, da che vi si abita la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si mantiene, e le abitudini primitive. Ma la vostra città senza buorì ordine e senza bel complesso, come nuova, e sorta da più genti, assai bisogna di tempo e di vicende, perchè inferma e scissa, com’ ella è, sì articoli e calmisi. Tutti poi concederanno che deono le cose ordinate antistare alle disordinate, le cose note alle ignote, e le sane alle inferme. Voi dunque chiedendoci in contrario ; non bene adoperate. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando Tul.> lo rispose, o Fuffezio, o uomini di Alba noi li abbiamo uguali con voi li diritti della natura e del merito de progenitori ; perocché vantiamo ambedue la origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da meno, o da più dell’altro. Noi non istimiamo nè vero nè giusto che debbano le città madri, quasi per legge indispensabile della natura, dominare su le colonie. E molte sono le nazioni dove le città madri servono, non comandano alle colonie. Massimo, luminosissimo aSi esempio del proposito mio si è Sporta, elevatasi a comandare non pur gli altri Greci: ma fino i Doriesi da’ quali discendeva. Sebbene e che giova dir su gli altri? Voi stessi, voi padri della colonia che fece tlioma, voi non siete che un tralcio de’ Laviniesi. Quindi se diritto è della natura che le città madri regnino su le colonie, non saranno con precedenza i Laviniesi li legislatori de’ nostri popoli ? E ciò sia detto sul primo de’ vostri titoli sì bello nelle apparenze. Siccome tu poscia o Fuffezio ti davi a contrapporre r una all’ altra città, quali sono, dicendo che il puro lignaggio di Alba rimanesi tale ancora; laddove il nostro si è degenerato col tanto soprajfondervi de' forestieri, e che non sono degni i non ingenui di comandare agli ingenui, nè i forestieri agl’ interni ; vedi, quanto anche in ciò ti sei deviato. Tanto è lungi che noi vogliamo vergognarci di rendere la patria nostra comune a chi vuole; che anzi,, di ciò moltissimo ci gloriamo : nè già siamo noi gli autori di tale istituzione : ma ce ne diede Atene l’esempio, Atene tra Greci famosissima per questo, almeno in parte se non in tutto. E questa pratica è sorgente a noi di molti beni non che ci dia rimprovero e pentimento, quasi per essa, mancassimo. Tra noi comanda e provvede, e tali altri onori si gode chi di essi è degno non chi tiene il molto oro, nè chi può la serie additare degli avi sempre nazionali : perciocché non poniamo in altro la nobiltà che nella virtù. ; l'altra moltitudine non è che il corpo della città il quale somministra potenza e forza a savissimi consiglieri. Con tale benevolenza si è la nostra città fatta grande di piccola, e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno, ed è cominciata tra noi la forma di signoria, che tu o Fuffezio condanni, e che niuna ornai de’ latini può disputarci'; perocché sta la potenza delle città nella forza delle armi ^ e la forza delle armi nella moltitudine delle persone. Ma le città piccole, e spopolate, e però deboli non comandano le altre, anzi nemmeno sé stesse. Jo generalmente stabilisco che uno debbe esaltare il proprio governo e riprovare quello degli altri, quando può dimostrare che la sua città col metodo che le ascrive, diviene glande e felice, e che le altre se ne decadono e sconciansi appunto col non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città già nel fior della gloria, già ricca di molti beni, si è ridotta ad uno scarso abitato ; e noi movendoci da piccioli principi abbiamo tra non molto tempo ingrandito Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle istituzioni che tu ne biasimi. Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne incolpi o Fuffezio, nontendono alla depressione o rovina, ma sibbene alla salvezza ed incremento del comune. I giovani vi contendono co’ schiari, i nuovi con gli antichi cittadini chi più debba operare il pubblico bene. E per dir tutto in breve, spettano alla città che dee comandare le due qualità, forza nel guerreggiare, e saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambedue. Né ce ne fa testimonianza un millantarsene vano, ma il fatto che supera ogni dire. Imperocché non era  ni. 233 possibile che la nostra città nella terza generazione appena dopo la origine, fosse già divenuta sì grande e' potente, se non abbondavano in lei senno e valore. Argomentano la nostra potenza le tante città. Ialine le quali sebbene da voi fondate, pure voi dispregiane do, si concederono a noi per essere comandate anzi da Roma che da Alba. E questo perchè potevamo noi prosperare gii amici e por già gl’ inimici ; ma non potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e fortissime o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne presentasti. Ma considerando che vano è il distendersi, perciocché il dir breve vale quanto il prolisso con voi che siete i competitori, ed i giudici; cesso tT insistere. Aggiungo soltanto, e finisco, che io penso che tunica maniera, bonissima per togliere le nostre controversie, della quale si valsero greci e barbari ne’ dissidj di principato edi territorj sia questa, cioè che gli uni e gli altri veniamo a battaglia con una parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte della guerra alla vita di pochissimi, e concediamo che la città che co’ suoi guenneri vince i guerrieri delt emula, quella domini ancora. Ben è giusto che ove le parole non vogliono, i brandi decidano. Tali furono le dispute di que’ due principi su la preminenza delle città : ma il seguito delle dispute non fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché quelli di Alba e di Roma presenti al colloquio cercando ^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono di risolver la lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno ai numero de combattenti; non sentendone ambedue li capilani in un modo. Imperocché Tulio voleva che si decidesse la gara col menomo delle persone, contrapponendo per combattere uno de’ più riguardevoli Àlbahi ad altro simile de’ Romani : ed egli stesso era pronto a spendersi per la patria, invitando TAlbano ad emularlo. Diceva che era pur bello che quelii che prendono il comando delle schiere, prendano pur la tenzone pel comando e pel principato o vincano de’’ valent' uomini, o vinti ne siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti re cimentarono la vita loro per lo comune, tenendo essi a vii cosa di partecipare al più degli onori, ed al men della guerra. L’ Albano credea ben detto che dovessero le due città rischiarsi con pochi: discordava però su la battaglia di un solo contro di un solo. Esponeva che bello, anzi pur necessario è il combattimento da solo a solo intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti quando fondano la propria potenza; ma che stolido anzi vituperoso è ne’ suoi pericoli quando ne disputano due città sia che sperimentino sorte propizia sia che malvagia. Adunque consigliava che tre valent’ uomini dell’una e tre deU’allra città pugnassero in vista di tutti gli Albani e Romani ; essendo questo numero, come avente principio, mezzo e fine, propriissimo alla total decisione della controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e degli Albani il congresso fu sciolto ; e ciascuno ritornò nei proprj 'alloggiamenti. Poi convocando i capitani ciascuno le loro milizie a parlamento, riferirono la disputa vicendevole, e le condizioni ricevute per la soluzion della guerra. Approvarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li capitani ; e gara meravigliosa di onore comprese centurioni e soldati ; desiderando moltissimi di riportare la palma di quel combattimento, e studiandovisi non pur con parole, ma profTerendovisi con preludj di bell' ardore ; tantoché si rendette malagevole ai duci il giudiziosu quelli che erano i più idonei. Se alcuno vi era nobile per luce di origine, o forte per gagliardia di corpo, o cospicuo pe’ fatti di arme, o segnalato comunque per eventi ed ardire, insisteva che mettessero lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme di emulazione che più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ripresse il capitano di Alba col riflettere che la provvidenza celeste antivedendo già da tanto tempo la tenzone che sarebbe tra le due città, ne avea preordinato che quelli che vi si cimenterebbero fossero non ignobili di lignaggio, buoni in guerra, belli a vedere, nè simili a molti pe’ casi della nascita rara, meravigliosa, impensata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo maritato due figlie gemelle, 1’ una ad Orazio Romano, e r altra a Curazio  un Albano di popolo. Ingravidarono ancora ambedue queste donne in un tempo, ed ambedue diedero nel primo parto prole virile, e trigemina. I genitori pigliandone buon augurio per sé, per le famiglie, e per le patrie allevarono e perfezionarono tutti que’ gemelli. Iddio, come io dicea da principio, diè loro beltade, robustezza, magnanimità; talché non cedeauo a niuno de’ben avventurati per indole. A questi  Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada bene e che in Tito Livio si debba leggere Curazio, com' egli ha trovato in un manoscritto e non Cariazio come comnnementesi legge. deliberò FufTezio di appropiare la battaglia sa la preminenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio il re di Roma gli disse: XIV. Un Dio, sembrcuni o Tulio che provvedendo le nostre città, dia loro segni manifesti di benevolenza in p ià cose; come su la tenzone imminente. Certo ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa che si rinvengano per combatterci uomini non inferiori a niuno di prosapia, buoni nelle armi, belli a vedere j originati da un padre, nati da una madre sola, e venuti', ciò che è pià singolare, in ungiamo stesso alla luce ; e tali sono gli Orazj fra voi, tali fra noi li Curazj. Che dunque non abbracciamo una tale provvidenza divina, e non assumiamo ambedue per questa gara di sovranità que trigemini ? Bisplendono tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne brameremmo in chi fosse per uscire al paragone delle armi; ed essi pià che tutti gli Albani e Romani han pure il bene che essendo fratelli non abbandoneranno, pericolano, i compagni nella impresa. Cesserà subitamente rimpetto a loro la emulazione difficile a calmarsi per altra maniera in altri giovani, de' quali tnolti tra voi penso che di virtà competerebbero, come Ji'a gli Albani competono. Noi persuaderemo questi di leggeri, se additeremo loro come la bontà Divina ba prevenuto le sollecitudini umane, dandoci con. egualità chi decida con le armi le contese della patria. Nè già crederanno di essere superati dalla virtit dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di natura ed opportunità di fortezza eguale in essi per competere. Cosi disse Fuffezio, e comune ne fa I’ approvazione, quantunque presenti vi fossero i più bravi di Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco, e seguì : Ben sembra o Fuffezio che abbi tu saviamente concepito. Imperocché meravigliosa è la sorte che ha dato in questa generazione ad ambedue le città prole tanto simile; quanta altra volta mai non vi s’incontrò. Mi sembra però che non abbi tu considerato che assai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri è sorella della madre de' vostri Curazj : e questi cresciuti giovanetti nel seno di tali due donne si carezzano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse, indegna cosa dare le armi e sospingere gli uni alla morte degli altri, questi, congiunti per fratellanza e per educazione. Il sangue se vi si astringono, il sangue di cui si lordano ritornerà su noi che ve li astringiamo. Replicò F ufTezio ; iVbn ignoro o Tulio, il parentado de’ giovani ; nè io già, se li ricusano, sono per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto mi venne in pensiero di mandare dal canto mio li Curazj di Alba io gli investigai se porrebbonsi volentieri al cimento. E ricevendo essi il dir mio con enfasi incredibile e meravigliosa, io fui deliberato allora di svelare e proporre quel mio sentimento. Suggeriscoti che anche tu facci altrettanto chiamando quei tuoi trigemini, ed esplorandone i cuori. Che se vorranno anch’ essi esponersi per la patria, tu ne accetta la benevolenza : ma se ricusano, tu per niun modo non isforzarvegli. Io di loro presagiscoti ciocc/l’ è degli altri miei. Se come abbiamo ascoltato ( giac~ chè venuta è fino a noi la fama della loro virtà ) sa~ migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono per indole ; abbracceranno prontissimi, e senza che niuno ve li necessiti, di combattere per la patria. XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una tregua di dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo degli Orazj, e risponderne ; si ricondusse a Roma. Deliberatosi ne’ primi sei giorni co’ migliori, e vedutili per lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li fratelli trigemini, e disse : Fu/fezio o uomini Orazj, abboccatosi meco nell' ultimo congresso nel campo, mi annunziò, che crasi fatto per la provvidenza degli Iddii, che si cimenterebbero per V una e per V altra città tre bravi, de quali invano ne cercheremmo altri più. valorosi, o più idonei, cioè li Curazj per Alba, e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo, mi disse, che aveva egli primo investigato, se que vostri cugini si esporrebbero volontari per la patria : e trovatili che ardentissimi correrebbono ad ogn impresa, inanimatone mi propose V evento, invitandomi perchè io vedessi di voi parimente, se voleste offerirvi per la patria, e rispondere in campo ai Curazj, o se lasciaste ad altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che voi per lo valore dell’ animo, e per la possanza delle mani, doti in voi non occulte, spontanei più che tutti, vi rischiereste per trionfare : ma temendo che la consanguinità vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse un impedimento al vostro ardore, chiesi tempo a risolvermene, e feci tregua con lui di dieci giorni. Restituitomi in Roma adunai li senatori, e proposi l’qffare sicché ne discutessero. Parve al più, di loro che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella e degna di voi, impresa che io già voleva, solo io per tutti combatterla ; allora ve n esaltassi e v ac-^ cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri, e non già confessandovi pusillanimi, dimandereste altri fuori della vostra famiglia ; allora, parve loro, che io non dovessi farvene la menoma violenza. Così pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli rammarico se voi riguarderete la impresa come grave: ma non picciola è la gratitudine che dovravvene, se voi pregierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col bene vostro, ciocché siate per farvi. Udendo i giovani questo ; si ritirarono, e conferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi disse il maggiore fra loro : Se noi fossimo liberi; se fossimo gli arbitri unici delle nostre risoluzioni; e tu ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pugna contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto de' nostri voleri. Ma perocché vive il nostro genitore senza cui niente vorremo dire nè fare ; preghiamoti che ci concedi alcuna requie a risponderti, finché ce ne intendiamo con esso. Encomiando Tulio la pietà loro, e volendo che cosi appunto facessero ; partirono in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F uffezio, il colloquio di Tulio con essi, e la risposta vendutagli ; alfine insisterono perchè dicesse ciocch'egli ne sentisse. E colui sottenlrando disse : Pietosamente o figli adoperaste riserbandovi al padre, nè risolvendovi senza a4o lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate idonei a tali consigli : concepite già venuto il fine dei miei giorni; palesatemi ciocché scegliereste di fare, deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi di combattere per la preminenza di Roma, e ci porremmo alle vicende che a Dio si piacessero; bramosi anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìvtenatì. Il ligame del sangue co’ nostri cugini non lo avremo noi sciolto i primi; ma come sciolto già dalla sorte, placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; stimano la parentela men che il benfare ; nemmeno agli Orca] parrà quella più. onorevole della virtiu Come il padre conobbe i loro sentimenti, divenutone lietissimo, e sollevando le mani al cielo, parve che rendesse copiose grazie agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli onesti e generosi. Quindi prendendoli uno per uno, e dando loro soavissimi amplessi e baci di amore, voi vi avete, disse, magnanimi figli, anche il mio voto. An• date j rispondete a Tulio i pietosi e belli sentimenti. Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si divisero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E colui convocato il Senato, e mollo encomiativi i giovani spedisce messaggeri alPAIbano per dichiarargli che i Romani sieguono,il suo volere, e pongono gli Oraz) per combattere sul principato. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi diligentemente la forma della battaglia, nè scorrasi di volo su’ casi che la seguirono, simili a quelli di una tragedia, tenterò di pareggiare, quanto io posso, coi detti ogni cosa. Venuto il tempo di compiere le condisioni, uscirono tutte in campo le milizie romane, e dopo le milizie, fatte prima suppliche ai Numi, uscirono i giovani. Essi ne andavano compagni del re, mentre il popolo per tutta la città gli acclamava, e spargeva loro de’ fiori sui capo. Erano già uscite anch’esse le schiere albane. Collocatesi le une in vicinanza delle altre destinarono per teatro dell’ azione il campo che separa i confini di Alba e di Roma ove già s’ alloggiavano entrambi gli eserciti. Quivi sagrificando giurarono anzi tutto Romani ed Albani su le vittime che ardevano di essere contenti della sorte la quale per r una e per l’altra città risulterebbe dal combattere dei cugini, e di osservare santamente i patti senza mescervi inganno, essi nè i posteri. Compiuti tali sacri riti in verso de’ Numi si avanzarono in arme dal proprio campo, spettatori gli uni e gli altri della battaglia ; lasciando, tre stadj o quattro di spazio intermedio pei combattitori. Prescntaronsi indi a non molto il capitano di Alba ed il re di Roma conducendo quello i Curazj, e questo gli Orazj, armati splendidissimameute, e con apparato quale il prendono, uomini destinati alla morte. Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le loro spade agli scudieri ; e corsero e si abbracciarono, piangendo vicendevolmente, e chiamandosi co’ più teneri nomi; talché datbi tutti intorno alagrimare, accusavano la grande inumanità loro, e de’ capitani, perché potendo definire la lite con altri, l’ aveano ridotta al sangue de’ parenti ed ai contaminarsene delle famiglie. Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi, ripigliale dagli scudieri le spade, e già ritiratisi quanti s’ aveano intorno, si contrapposero secondo la statura, e si avventarono.. XIX. Stavansi Gn qui le milizie placide e senza clamori : ma poi da ambedue proruppero grida frequenti, esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e voti e rammarichi, e continui suoni di voce, varj secondo r ondeggiare vario della mischia, quali per le cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte, e quali per le cose future o pronosticale : ma più dalle immaginazioni ne derivavano che dai successi ; perocché la visione fatta in tanta distanza non era ben chiara ; e passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù, le ritirate degli emuli, e li passaggi rapidi, e li rivolgimenù  degli uni in su i luoghi degli altri levavano ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda gran tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le forze del corpo, pari la generosità degli animi, e bonlssime le armi che li circondavano; nè rimaneano loro membra alcune indifese ; tanto che feritivi, subito ne morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani in mezzo all’ansia di vincere e nel commovei'si pe’loro atleti, s’ inGammavano, elGgiandosi appunto con gli affetti di quelli, quasi volessero anzi star nel conflitto, che rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi col Romano che stavagli a fronte, e dando e ricevendo  Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo. colpi su’ colpi ; immerse non so come la spada nel> r anguinaja dell’ emulo. Questi ingrevilo già da altre ferite ai riceverne l’ ultima e mortale, cadde, rilascian dosi nelle membra, e spirò. Alzarono a tal vista gli spettatori tutti le grida ; gli Albani come già vineitori, e li Romani quasi già vinti ; concependo i due loro fàcilissimi da essere conquisi dai tre degli Albani. Frat' tanto il Romano che era per soccorrere il caduto com> pagno y vedendo quanto l’Albano rabbellivasi ai fausto evento, si spiccò come un lampo su lui, e menando e riportando ferite in copia, alfine gli cacciò la spada nella gola e lo uccise. Ricambiatisi in poco d’ ora i successi de’ combattenu, e le affezioni degli spettatori, elevandosi i Romani dal primo abbassamento, e per^ dendo gli Albani la esultazione ; un’ altra volta ancora la sorte spirò contraria ai Romani, e ne umiliò le spe concio ; por zoppicandone, ed appoggiandosi via via su lo scudo, reggeva ancora, e si ritirava presso del fratello rimastogli, che starasi alle prese col Romano. Restava a questo F uno de' contrarj a fronte, venendogli r altro da tergo. Allora temendo che avendola a fare con due che da due lati lo investivano, sarcbbenc facilmente rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ; pensò di separare i nemici e combatterne. 1’ uno dopo r altro. Concepì che avrebbeli facilmente disgiunti se facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui tarlo, giacché vedeane l’ uno infermo del piede. Cosi deliberato fuggi con quanto avea di velocità, nè gli vennero meno le speranze. L’ albano che non avea piaga mortale, tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido a camminare si rimase più addietro che non dovea. Qui gli Albani confortavano i suoi : riprendevano i Romani il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si maguifìcavano, come sul termine glorioso della impresa ; ma s addoloravano gli altri come non più potesse la fortuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco il Romano, coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima che r Albano potesse guardarsene, gli diè colla spada in un braccio, e spiccoglielo nel gomito. Fattagli. cadere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse un colpo, e con questo la morte. Quindi si lanciò su r ultimo albano e lui già derelitto, già semivivo scannò. Poi spogliati i cadaveri de’ cugini, corse in città ; volendo esso il primo dare al padre la nuova della vittoria. Portavano però i destini che essendo mortale anch’ egli non avesse prospera ogni cosa ; ma sentisse i morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa iu pochi momenti venduto grande di picciolo, e sollevato a chiarezza inaspettata e mirabile, e questa appunto nel medesimo giorno lo gittò dentro amara sciagura, spingendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle porte di Roma, videvi moltitudine immensa che fuori se, ne versava, e vide accorsa con essa ancor la sorella.^ Tnrbato ài primo vederla perchè essa, donzella ornai nubile, ave^ lasciato la custodia materna, e si fosse esposta in mezzo di turba incognita ; ne formava pensieri funesti: ma si rivolse alfine ad altri più miti e be nevoli, quasi ella cedendo al muliebre genio avesse ne, gletto il decoro per desiderio dì salutare primieramente il fratello salvo, e d’ intenderne i fatti virtuosi degli' estinti. Colei però s’era ardila di mettersi alla insòlita via non' per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore di uno de’cugini, col quale aveale il padre fuo concordate le. nozze. Celavano colei l’ ineffabile afletto ; ma poiché seppe da un tal dell’ esercito gli eventi della giornata ; non più lo contenne : ma lasciati i domestici lari corse come furiosa alle porle di Roma, nemmeno volgendosi alla nutrice che la seguiva, e la richiamava. Uscita dalla città come vide il fratello festevole colle ghiriande trionfali dntegli dalle regie mani, e gli amici che portavano le spoglie degli estinti, e tra le spoglie ancora 1’ ammanto vario, che essa avea colla madre tessuto e màhdato in pegno delle nozze allo sposo, giacché usano gli sposi futuri tra’Latini abbigliarsi di ammanto vario; come vide il caro suo dono macchiato di sangue ; si lacerò le vesti, si battè con ambe le mani il petto; ululò, richiamò l’ amato cugino ; tanto che grande stupore ne invase quanti in quel luogo si stavano. £ pianto il destino dello sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello, e gridò: Tu esulti o sozzissimo uomo su la occisione decagoni, e tu, scellerato, tu privasti con ciò dello sposo la misera sorella tua. Nè pietà senti de’ trafitti parenti che pure chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja quasi per buonissima impresa y e vai fra tanti mali coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una fera ?  anzi, colui replicò, di un cittadino che ama la patria ; di uno che punisce chi le vuol male, siasi egli un estraneo o siasi un domestico. E tra questi colloco te pure, te' che vedendo i beni grandissimi, e i grandissimi mali in un tempo awemUici, la vittoria della patria che io qui ti presento, e la morte de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni comuni della 'patria, nè ti addolori pe’ domestici infortuni > spregiati i fratelli, non sospiri che lo sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma nel pubblico aspetto di tutti. A me la mia virtù, rimproveri, a me le mie corone ! O non vergine, non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dunque non piangi i fratelli ma lo sposo ; poiché tieni il corpo co’ vivi, ma V anima colf estinto ; va, ten corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni' tare, e i fratelli. Cosi dicendo, più non serbò misura nell’ odio della scellerata ; ma le immerse con quanto area d ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala andossene al padre. I costumi e gli animi de’ Romani erano allora cosi pieni dell’odio del male, e cosi fermi in questo; che se alcuno li voglia paragonare co’ nostri, dirà che erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere. Il padre udita la spaventevole uccisione non -solo non se ne corrucciò ; ma la tenne come debita e decorosa ; perciocché nè permise che fosse portata nella sua casa ; nè procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ;  nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque coTunebri riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc> mettono che uccidasi alcuno impunemente, e riferendo gli esempi dati dagl’iddi! su le, città che non vendicano gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine, ed incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte, ma castigo : che niuno era nella domestica sciagura giudice più acconcio di lui come genitore di ambedue. Moltiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu perplesso il monarca come avesse a terminare il giudizio. Eigli per non portare la colpa, e la maledizione nella magione sua da quella dell’ autore di esse credea bene che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue della sorella, sparso prima di ogni condanna, e per cagioni per le quali vietano le leggi che uccidasi : non ammettea però che si avesse ad immolare come un omi> cida chi avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta signoria le avea procacciato, mentre nou tenealo per colpevole il padre stesso a cui la natura e la legge danntT ' i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come decidersi, tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al popolo la sentenza. Il popolo Romano divenuto allora la prima volta giudice di un omicida si attenne alle de-^ siinazioni del padre, ed assolvette il suo liberatore dalla morte. Pure non istimava il re che' bastasse a chi volea mantenere la pietà verso i Numi tal giudizio venduto dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro .che placassero i Geni! e gl’ Iddi!, e mondassero il giovine colle espiazioni le quali purificano da morti involontarie.. a 49 E quelli eressero due altari, l’uno a Giunone, Dea difenditrice delle sorelle, e 1’ altro ad uno Dio, chiamato  Genio da’ nazionali, col nome appunto de’cugini Curazj uccisi dal giovane. E facendo su questi de’ sagrifìzj, ed usando nondimeno altre espiazioni, da ultimo passarono 1’ Orazio sotto il giogo. Costumano i Romani, quando diventano gli arbitri di nemici che abbassano le armi, di piantare due aste diritte, acconciandone una terza supina su di esse ; e poi di passarvi sotto li prigionieri, e dimetterli alfine liberi verso le patrie loro. E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che lustrarono J1 giovane si valsero di tal ultimo rito nel purificarlo. I Romani tutti stimano sacro il luogo della città dove fu praticata la cerimonia. Rimane questo nell’ angusta via che mena giù dalle Carene coloro che vengono all’angusta via Cipria. Ivi sorgono altari allora edificati, e su gli altari stendesi 1’ asta supina confitta ai due muri contrapposti: pende questa sul capo di quelli che ne escono, e chiamasi nel parlar de’ Romani asta o legno della sorella. Questo luogo onorato con annui sagrifizj ricorda in Roma ancora la sciagura del giovane: ma ricorda il valor suo tra la battaglia la colonna angolare che è principio del portico secondo nel Foro dalla quale pendevano già le spoglie de’trigemini Albani. Le armi vennero meno per gli anni ; ma la colonna serbane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Orazio. Che anzi evvi in Roma una legge nata da tal fatto,  Genio Curazia: fu così detto perchè destinato a placare le ombre de' Coratj. Ed Orazio meritava appunto di essere espiato dal sangue della sorella e de’ cugini.  ed osservatavi pur nel mio tempo, a riverenza e gloria de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei tiigemini si dispensino per essi a pubbliche spese i vi veri Gno alla pubertà. Tal Gne ebbe la serie delle cose degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e meravigliose vicende. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde apparecchiare quanto era d’uopo alla guerra; inGne deliberò di avanzar coll’ esercito contro Fidene. Preodea le cagioni di guerra da questo, che invitau i ciuadioi di essa a giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Albani e Romani non aveano ubbidito, anzi dando in un subito alle armi e chiudendo le porte e congregando le schiere ausiliarie de’ Yejenti, erai^si manifestamente ribellati. Aggiungevasi, che andati gli oratori per inten dervi le ragioni della rivolta, i Fidenati non altro risposero, se non che non aveano essi cosa alcuna comune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale si erano, giurando, congiunti di amicizia. Su tali cagioni armò le sye milizie, e fe’ richiedere le conJederate, delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni altra forza amica. Tulio commendò Mezio, come detet^ minato a prendere seco lui la guerra ardentissimamente, in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti i disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come rio capitano di guerra, anzi calunniato di tradimento ; questo dopo che si era tenuto per tre anni sotto 1’ autorità suprema di Tulio, alGne sdegnando un principato schiavo dell’ altrui principato, e di essere diretto. s5l pimtosto che dirigere; macchinò cosa non degna. Imperocché mandati messaggeri segreti a’ nemici de’ Romani, irresoluti anewa per la ribellione, gl’ infiammò ^, che non piò dubitassero ; promettendo che in mezzo della battaglia investirebbe egli stesso i Romani. E tali cose macchinando e facendo ; potè rimanersene occulto. Tulio apparecchiate le milizie sue e quelle de’ com-i pagni le portò su’ nemici, e valicato il fiume Aniene si pose non lungi da Fidene : ma scoprendo innanzi di questa io ordinanza un gran numero di Fidenati e loro compagni si tenne in calma tutto quel giorno: nel seguente convocando 1’ albano F nlfezio, ed altri de’ piò intimi amici ponderò con essi com’era da praticare la guerra ; e poiché parve loro che fosse da combattere spe> ditamente, senza indugiarvisi ; egli preaccennando i posti e r ordine che ognuno prenderebbe, e destinando per la zuffa il prossimo giorno, congedò l’ adunanza. Quindi FufFezio che ancora tenevasi occulto con molti degli amici sul tradimento che meditava, fatti a sé venire i più cmpicui tra’ suoi centurioni e tribuni disse: Tribuni, centurioni, io sono per comunicarvi grandi, inaspettate cose, che vi tacqui finora. Vi raccomando se non volete distruggermi che voi pure le taciate : anzi che miei cooperatori vi siate, se utili a compiersi vi parranno. Il tempo angusto non consente che io distesamente vi parli di ogni cosa; e ristringomi alle primarie. Io per tutto V intervallo che fummo subordinati a' Romani fino a questo giorno ; io m’ ebbi una vita piena di vergogna e di rammarico j eppure fui onorato dal monoica loro della maaSa  gisàratitra 'suprema, oggimaì da tre anni, è lo sarò' nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi parca t estremo de vituperj che io' solo mi fossi felice' nella sciagura comune ; e vedeva intanto io bene che eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti i diritti sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare come potessimo ricuperarla, ma senza rischiarvi gran fatto. E discorrendola io meco moltissimo ti-ovai una via sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ intento, cioè che sorgesse loro una guerra da confinanti. Imperocché prevedeva io che i Romani avrebbono a chiamare le truppe ausiliarie, e le nostre massimamente, e prevedeva dopo ciò che non avrei gran bisogno di persuadervi che più. bello, e più giusto è combattere per la nostra libertà, che per istahilire' r impero de’ Romani. Spinto da tali pensieri produssi a’ Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati e Vejenti risolvendoli alle arme con esibire che io prenderei parte con essi. Fin qui si rimase occulta a’ Romani la pratica ; ed io provvidi intanto per me la occasione di assalirli. Ora considerate quanto sia questo opportuno. Primieramente, grande in una ribellione manifesta, sarebbe il pericolo o di avventurare ogni cosa mentre siamo sprovveduti per la fretta, e contiamo unicamente su ciò che potrebbero le nostre forze ; o di essere sorpresi da essi già pronti mentre ci apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri un ajuto. Noi però così non manifestandoci non cor-reremo nè V uno nè V altro disastro,• e ne avremo raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non.. a53ci daremo a percuotere la grande, la bellicosissima potenza e fortuna degli emuli con le violente maniere, ma si bene colle artijiziose e scaltre, con le quali si prendono finalmente le cose trascendenti, e meno facili a battersi colla forza ; nè già saremo a far questo i primi, o li soli. Inoltre siccome le nostre milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte di quelle de’ Romani e degli alleati ; così abbiamo congiunto a noi le forze sì grandi, come vedete, dei Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto che le ardite schiere di questi ne diano con effetto il soccorso che ne ho cercato. Imperocché già non sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi i Fidenati per le proprie, difenderanno in esse an~ coro le nostre. E quello che riesce dolcissimo agli uomini, quello che di raro occorse ne’ tempi andati ; questo ancora per voi si combina : noi giovati dai nostri alleati sembreremo di avere ad essi giovato, E se r affare si termina a piacer nostro, come par verisimile; i Fejenti e li Fidenati che avranno liberato noi da un durissimo giogo, essi noi ringrazieranno quasi col favor nostro ottengano un pari benefizio. .Questi sono i successi che da me con gran diligenza procurati mi sembrano bastare ad ispirarvi confidenza, e viva prontezza ad insorgere. Ora udite in qual modo io voglia por mano alla impresa. Tulio mi ha destinato appiè del monte ; perchè io vi governi luna delle ale. Ma quando saremo per attaccarci co’ nemici ; io non attendendo allora tale destinazione ; mi ritirerò poco a poco sul monte. Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto alle cime ed in salvo, udite come io continuerò. Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come io le disegno ; quando vedrò infiammati di corono i nemici perchè noi cooperiamo con essi, umiliati e spaventati come traditi i Romani ; e come è verisimile, già più. intenti a pensare la fuga che le difese; allora io starò su loro : ed io coprirò de’ loro cadaveri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra a basso, mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi con esercito pieno di beW ardore e di ordine. 'Rilevantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tradimento anche falso degli alleati, o del giung.'re di altri nemici ; e sappiamo che grandi eserciti furono totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più che da altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare però già non sarà fama vana, nè arcano spaurimento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e provarsi. Ma ( dicansi pur le cose consuete a presentarsi contro la espettazione, giacché la vita ne involge molte, nè verisimili ) se gli eventi riusciranno contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da quelle che in mente io ravvolgevami. Allora io piomberò co’ Romani su nemici ; co’ Romani raccoglierò la vittoria, simulando di aver prese le alture per cingere gt inimici. Ben avran fede i miei detti concordandosi le opere colle finzioni : tanto che noi non comunicheremo cogP infortuni di niuno, e solo parteciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io tali cose ho deliberato : e tali cose eseguirò col favorB degV Iddii come bonissime non solo per gli AU boni ma per tutti i Latini. Bisogna che voi guardiaie prima che tutto il silenzio : poi, che serbiate il buon ordine, che vi prestiate immantinente ai comandi, che guerrieri vi siate pieni di bell’ ardore, e che tali rendiate pur quelli che vi ubbidiscono ; considerando che il combattere nostro per la libertà non somiglia al combattervi degli altri, consueti ad essere comandati, e lasciati da loro padri in tale condizione. Noi liberi siamo naU dai liberi : anzi i nostri avi ci han tramandato il comando su vicini ; serbarono questa forma per cinquecento anni ; nè di questa si troveranno per noi spogliati li posteri. Nè tema chi vuole far questo, quasi rompa i trattati, e violi i giuramenti fatti sopra di essi: pensi piuttosto che egli i diritti ripristina rotti e violati da' Romani : nè già i tenui diritti ma quelli che la natura ci ha dato degli uomini, quelli che la legge ha fondato comune ai Greci ed ai Barbari, vuol dire che i padri comandino j i padri dian leggi ai figli, e le città madri alle colonie. Questi sacri diritti che mai saranno cancellati dalla natura degli uomini, questi noi volendo che siano perpetuati, nè frangiamo alleanza fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi non sante cose facciamo, se mal pià comportiamo servire cì nostri discendenti. Cnloro però che li hanno conculcato i primi, e che con opera indegna han tentato di far prevalere la umana alla le^e divina ; coloro, corn è giusto, e non già noi, s' avranno a fronte V ira de’ Numi, c su di essi non su noi soi't  gerà la vendetta degli uomini. Pertanto se queste vi sembrano le cose migliori / eseguiamole, e chiamia^ movi protettori gl’ Iddii. Ma se alcuno sente in contrario e sente o t una o t altra delle due cose ; vuol dire o che più, non debba ricuperarsi t antica dignità della patria ; o che debbasi aspettare un tempo pià acconcio del presente ^ e differire; costui' non esiti, a dire i suoi pareri; e quello sarà fatto che a tuui sembri il migliore. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e promettendosi questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno col giuramento, e dimise radunanza. Nel prossimo giorno all’ uscire appunto del sole, uscirono da’ proprj alloggiamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schierarono per la battaglia: vennero nemmeno di fronte i Romani, e si ordinarono. Tulio stesso e i Romani si opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali formavano la destra nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si stava Mezio Fuffezio e gli Albani presso del monte incontra de’ Fidenati. Rendutisi ornai vicino gli uni degli altri, gli Albani prima di essere a tiro si staccarono dal resto dell’ esercito, ascendendo ordinatamentè sul monte: I Fidenati ciò vedendo e cerziorandosi della realtà del tradimento promesso dagli Albani si portarono più baldanzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani, essendosene tolti gli alleati, erane ornai rotta e molto in pericolo. Combattea però bravissimamente 1’ ala sinistra e Tulio con essa in mezzo di scelti cavalieri. Quand’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali pugnavano presso del monarca, o Tulio, disse, la nastra ala destra è sul perdersi : gli jilbani, abbandonatala, ascendono il monte, ed i Fidenali che li teneano schierati dinanzi, ora preponderando a fronte ilelt ala tanto indebolita j già la circondano. I Romani ciò ndcmlu, e vedendo T accelerarsi degli Albani in sul monte; temerono di essere avviluppali da' nemici, taulu che non aveano cuore nè di combattere, nè di restare in quel luogo. Or qui, dicesi, che Tulio niente commosso all aspetto di un male si grave e tanto inaspettato facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con questa 1 esercito ornai nel pericolo manifesto di essere circondato; c disfacesse e terminasse tutto il bene degli inimici. ltn[>erocchè non si tosto il messaggero ebbe detto; egli a gran voce sicché i nemici, la udissero, o Bomani, esclamò, li nemici son vinti. Gli Albani sul mio comando hanno occupato come vedete il monte prossimo a noi per piombare alle spalle de' nimici. Mirale ! gli abbiamo pin e al nostro buon punto gli impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto, e gli Albani alle spalle : pià non possono aveutzare, ISO retiocedei e. Dall' uno de' lati rinserrali il fiume, dall’ altro il monte : ci daran pure le pene meritate. Andate : avventatevi intrepidamente su loro. Cosi esclamando ne andava tra le milizie. E ben presto i Fidenati furono presi dalla paura che quel tra> dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza del capo degli Albani : perchè nè lo vedeano schierarsi contro i Romani, nè fulminarsi contro di essi come avea già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di VIOSIGI, P>m l. ir ardire e riempiuti di confidenza i Romani. Adunque scop piando in un grido e ristrettisi lanciarousi all’ inimico. Piegarono allora, e fuggirono i Fidenati in disordine alla loro città. Il re de’ Romani rilasciando la cavalleria su questi atterriti e turbati li perseguitò qualche tempo; ma vedutili poi sbandati, senza animo di raccogliersi e senza forza, permise che fuggissero ; e si rivolse contro r altra parte de’ nemici ancora ordinata. Ivi era battaglia viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri. Imperocché li Yejenti quivi schierati non che sbigottirsi e dar volta, resistevano all’ impeto de’ cavalli romani. Alfine vedendo che l’ ala loro sinistra era battuta, e chel’esercito de’Fidenati e degli alleati fuggiva tutto precipitosamente, anch’cssi per timore di non essere colti in mezzo da’ nemici che tornavano da inseguire gli altri, diedero volta, e si scomposero e tentarono di salvarsi a traverso del fiume. I più robusti, e men carichi di ferite, nè impotenti a nuotare passarono senza le armi il fiume e scamparono: ma quanti non aveano l’uno o l’altro di que’ requisiti, affondavano tra’ vortici ; essendo il Tevere presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto impose a parte de’ cavalieri di uccidere i nemici che. accorrevano al fiume, ed egli conducendo il resto delr esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti e gl’ invase. E tali sono le operazioni che diedero, a’ Romani salute inaspettata. Quando il re d’Alba vide manifestamente vittoriose le milizie di Tulio ; egli per dare a vedere che faceala da alleato, calando dal monte le sue, le menò contro de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo. ... a!xg ne uccise. Tulio vedendo il suo fare, ed esecrando la nuova sua tradigione, dissimulò di presente, finché lo avesse nelle mani : ansi diè vista di lodare tra molli come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e spcuna banda di cavalieri lo richiese che desse ultimi contrassegni di zelo, incaricandolo, che cercasse con diligenza, e trucidasse que’ Fidenati che non potendo ripararsi tra le mura, vagavano dispersi intorno • in tanto numero per la campagna. Colui quasi avesse, già conseguila Tana delle due cose che sperava, e quasi, fosse accetto veramente a T ullo, ne fu dilettato ; e cavalcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-, fughi i quali sopraggiungeva. E già tramontato il sole, condusse i suoi squadroni da tale persecuzione al campo Romano, c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio di-, inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima vigilia vi esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali fossero mai stati li capi della rivolta. Come poi seppe che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio Fuffezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle indicazioni de’ prigionieri. Adunque montato in sella si ri-, condusse cavalcando in città fra lo stuolo dc’suoi più fidi. E prima della mezza notte convocando dalle case loro i Senatori ; disse del tradimento degli Albani, dandone |)er teàlimonj li prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali egli avea deluso i nemici e li Fideuali. E poiché la guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse |>iù savia per 1’ avvciiire. Parve a tulli giusto anzi necessario che si ['Unissero quanti si erano messi ad ojteia tanto cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-' oiera facile e sicura della esecuzione. Sembrava loro im> possibile che tanti cospicui Albani si potessero involare con morte tenebrosa e nascosta. Che se tentassero arrestarli e punirli palesemente, torneasi che quel popolo, piuttosto che ciò non curare, volasse alle armi. Non voleano poi combattere in nn tempo co’ Fidenati/ coi Tirreni, e con gli Albani loro consocj.Ora non espedendosi essi ; diè Tulio in6ne uu suo parere cui tutti encomiarono. Io ne dirò dopo un poco. Siccome non era Fidene distante da Roma se non cinque miglia ; ' cosi egli eccitando con tutto r ardore il cavallo si restituì negli alloggiamenti : e prima che il giorno brillasse’ laminoso, chiamando Marco Orazio il superstite de’ trigemini, e dandogli li fanti e li cavalieri piò scelti, ordinò che marciasse con questi ad Alba, che vi s’ introducesse in sembianza di amico ; che, quando ne avesse in sua balia gli abitatori rovinasse da’ fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno privato o pubblico, se non i tempj: non vi uccidesse però nè vi oltraggiasse uomo ninno, ma consentisse che ognuno s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna tribuni e centurioni, palesa ad essi il decreto del senato, e forma di loro la guardia del corpo suo. Si presentò dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la vittoria co mune, e per congratularsene con Tulio t e Tulio serbando tuttavia li segreti suoi, Io encomiava, confessavalo degno di gran doni, ed invitavalo a scrivere i nomi de’ valentuomini che si erano più distinti nel combattere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni della villoria. Inondatone costui dal jnacere diè su di una tavoletu in iscritto i nomi de’ suoi più fedeli, de’ quali si era valuto ne’ disegni reconditi. Allora il re di Roma invita a radunarsi lutti, senza le arme, e radunatisi ; fece che il duce degli Albani, come li centurioni e tribuni si collocassero presso di lui, e che gli altri Albani ordinatamente si compartissero ; ponendo dopo loro il resto degli alleati e dietro tuui infine circolai-mente i Romani, tra’ quali ce ne avea de’ magnanimi, co’ brandi sotto degli abiti Quando poi gli sembrò di avere a suo bell’ agio i nemici ; sorgendo cosi ragionò : Romani, amici, compagni di arme, finalmente abbiamo col favore degl' Iddìi portala la vendetta su Fidene e su quanti partigiani di lei, furono arditi investirci con guerra manifesta. Seguirà da questo t una delle due, vale a dire che quanti ci molestavano si cheteranno ; o ne daranno pene tanto più spaventose. Ora venule già le prime nostre imprese a buon termine, é tempo iche puniamo quei guerrieri che avendosi il nome di amici nostri, ed assunti a questa guerra da noi perchè facessero contro (i nemici comuni, abbandonarono la loro fedeltà verso noi, si strinsero con patti segreti a nemici, e macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono essi peggiori de' nemici manifesti, e perciò degni di pena più grande. Imperocché facile cosa è deludere le insidiose lor trame, e ribattere si possono se ci assaliscono come nemici : ma né riesce di leggeri cautelai si da amici che la fan da nemici, né si possono risospingere se ci prevengano. Ora tali sono i guerrieri che Alba ci manda\>n : ingannevoli alleali ! eppure non danneggiati, ma beneficati grandemente, e in tante cose da noi. Noi, ramo già della lor gente, non toglievamo punto della lor signoria, ma 'la nostra forza, la nostra potenza fondavamo qol domare i nostri nemici. Premunendo di mura la nostra patria contro genti amplissime e bellicosissime abbiamo prodotto ad essi un alta sicurezza in fra le guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi la nostra città prosperamente, dovean essi rallegrarsene principalmente ; e decadendo questa non dovean meno rattristarsene che per la propria città. Essi però si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro ben • esseio, ma il proprio ancora nel nostro : e da ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci hanno premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi benissimo acconci a ripeivoterli, non essendo essi valevoli contro di noi, c invitarono a trattati ed amicizia, e richiesero che la lite sul principato si decidesse con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo t invito e vincemmo ; e ci fu la loro città sottomessa. Or, dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Potendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo mettervi guarnigiotìe, e qual’ uccidervi, qual cacciarne de’ principali a por dissidio tra t uno e t altro popolo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del governo, smembrarne il territorio, prescrivervi de’ tributi, e torlo infine le arme ciocché era facilissimo, ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene in. 263 nemmeno una, mossi anzi dalla pietà versò loro, che dalla sicurezza del nostro principato. E preferendo cioccK era il decoio all’ utile abbiamo conceduto che si godesse ogni suo bene. Permettevamo che Mezio Fujfezio, che essi avevano elevato à primi gradi come il più degno, vi amministrasse ancora la repubblica. Ed essi ( ascoltate qual .contraccambio ce ne renderono quando più bisognavamo dell’ amicizia, e delle armi loro ) ! si convennero in segreto col nemico comune di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando t inimico e noi eravamo già già sul combattere ; essi lasciando il posto della ordinanza, corsero a’ monti vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la cosa andava loro a seconda, niente avrebbe impedito che noi tutti perissimo 'circondati dagli amici e dai nemici ; e che tulli i combattimenti da noi sostenuti per la signoria della nostra città, tutti in un giorno, svanissero. Ma poiché tal disegno riuscì vano primieramente per disposizione benefica degV Iddìi da quali ripeto quanto io fo mai di buono e di bello, e poi per t avvedimento mio che non poco valse a scoraggir t inimico ed accendere i nostri, essendo stato mio stratagemma il dire che gli Albani ^ ordine' mio preoccupavano il monte per cingere t inimico ; poiché t affare si terminò coll utile nostro ; noi non sarenpmo, quali essere ci conviene, se non punissimo i traditori ; quelli io dico i quali, doveano se non per altro, almeno pe' ligami di parentado serbare gli accordi ed i giuramenti, fattici di recente, e li quali non temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro trattati, non riverendo la giustizia stessa, non la riprovazione degli uomini, non calcolando la grandezza del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in miseranda maniera di perdere noi progenie, noi benefattori loro, essi nostri fondatori, e congiurali con gt implacabili nostri nemici. Dicendo lui queste cose prorompeano gli Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo. ÀHermavail popolo non aver lui saputo niente dei disegni di Mezio : simulavano' i capitani non aver conosciuta la mao chinazione, se non che nel darsi della battaglia, quando più non era in poter loro d’ impedire, o non fare i comandi. Riferivano altri il lor fatto alla insuperabile necessità di congiunzione e di parentado ; quando il re, fatto silenzio disse: niente,. Albani, niente ignoro, di quanto allegate per iscusannivi. E penso che il più di voi noi sapesse quel tradimento, perchè dove molti sono i consapevoli, non si tacciono, neppur brevissimo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’ centurioni la parte minore fosse la complice ; ma che la più grande non era che aggirata, e ridotta a passi non volontari. Che se niente di ciò fosse vero ; se voi tutti Albani, quanti qui siete, e quanti si rimasero in Alba, vi aveste in cuore di danneggiarci, nè già da ora, ma da tempo antichissimo ; pur s avrebbe il liomano nella sua parentela una ben forte cagione a pazientarne le ingiurie. Perchè però non più vi aduniate a consulte ingiuriose contro noi, non più violentati, non più sedotti vi troviate da’ capi della vostra città ; ito abbiamo pure sebbene unico, questo rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di una città riguardiamo questa sola per patria, e partecipiamo ciascuno ai beni e mali di tei, coma essa ne incorre. Finché saranno come ora discordi i pareri, finché disputeremo su la preminenza; non sorgerà mai stabile pace fra noi ; principalmente se gli uni i primi siano per insidiare gli altri con vista di dominare vincendo, o di essere come parenti impuniti se perdono. Imperocché quelli die sono assalili tenteranno riscuotersi coll estremo de' mali, nè fuggiranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali nemici, come ora addivenne. Pertanto sappiate: avendo io nella scorsa notte adunalo il SeruUo, i Romani per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto che la vostra città fosse disfalla, nè si permettesse che vi restasse in piedi edifizio niuno privato nè pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi abitano ritenendo ogni bene, non ispogUali di schiavi, non di bestiami, non di oro pongano da ora innanzi la sede in Roma: che gli Albani poi, che non hanno campo alcuno se lo abbiano, purché non sia de' poderi sacri co’ quali si procacciano i sagrifizj : che io provveda i luoghi della città dove le abitazioni si fondino degli emigrati, e supplisca a chiunque di voi più ne ahbisogna, i mezzi onde tompierle : che tutta la vostra moltitudine prenda la forma del nostro po.polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano alle famiglie patrizie le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij, de Geranj, de Metelj, de’ Corazj, de’ Quintìlj , e de’ Cluvilj ; che finalmente Alezio e quanti deliberarono con esso il tradimento, se ne abbiano le pene, e noi le stabiliremo queste, giudici sedendo di ogni causa ; mentre a ninno dee negarsi giustizia e difesa. XXXI. Intanto che Tulio cosi diceva i poveri tra gli Albani gradendo di essere fatti abitatori di Roma, e di parteciparne le campagne, lo acclamavano a gran voce. All’ opposito i più cospicui per grado o più agiati per sorte si affliggeano che avessero ad abbandonare la propria città, e le case paterne, e vivere per 1’ avvenire in terra altrui; nè più sapean che dire in tanto orribile necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i pareri della moltitudine, impose a Mezio, che allegasse, volendo, le sue giustiBcazioni r e costui non sapendo che replicare alle accuse ed alle testimonianze t disse che il Senato di Alba avealo segretamente incaricato di far ciò quando usci per guerreggiare; e pregava gli Albani ai quali avea tentato di racquistare il comando, che lo soccorressero, nè guardassero con indifferenza la patria che rovinava, e tanti cittadini degnissimi che erano strascinati al supplizio. E già nasceane tumulto nella moltitudine, e volavano alcuni ad afferrare le armi ; quando i Romani che circondavano l’adunanza sguainarouo, datone il segno, le spade : ed essendone tutti aiierriti ; sorse Tulio un'altra volta e disse: Albani, non qui vi è dato d' insorgere, nè di trawiarvi: giac‘  Lrsino, e Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf.  ’ ^6'J cJtè tulli, se ariìiste commovervi, sareste trucidali da questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ). Prendete ciocché vi si dona, diventale fin da oggi Romani. È per voi necessità, domicitiaivi in Roma, o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio andò sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la vostra città dai fondamenti, e condurne in Roma gli abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto, non vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio, quesf occulto nostro insidiatore, che nemmen ora teme d’ invitare alle armi i turbolenti e li sediziosi'; questo ne darà le pene, degne del perfido cuore e scellerato. Sbigottì ciò udeudo la parie irritata degli adunali, come vinta da insuperabile necessità. Fremea Fufiezio per l’ opposi to, e vociferava, ma solo, e reclamava r alleanza, egli che era accusato di averla tradita, nè perdea la baldanza, anche in mezzo de’ mali ; quando i littoii per comando di Tulio afferrandolo gli squarciano in dosso le vesti e lo caricano di battiture. Poi quando parve che ornai quel supplizio bastasse ^ avvicinando due carri, legarono con lunghe redini le braccia di lui nell’ uno di questi, e li piedi nell’ altro. Allora spingendo gli aurighi quinci e quindi i due carri ; egli strascinato e tirato in parti contrarie, fu subitamente ridotto in brani. Tale fu il termine miserando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise un tribunale per gli amici e complici di lui nel tradimendo ; punendoli, come li scopriva rei, colla morte >, a norma delle leggi su’ disertori e su’ traditori. Intanto che si laccano tali cose, Marco Orazio spedilo innanzi con scelta milizia a distruggere Alba compiè’ ben tosto la marcia, e se ne impadroni ; trovandovi le porte non chiuse, nè difese le mura. Poi convocando la moltitudine le palesò quanto era accaduto nella battaglia, e quanto il Senato di Roma ne decretava. Contrariavano quelli, e dimandavano tempo almeno per ispedire degli ambasciadori. Ma costui senza indugio spianò case, muri ; e tutti in somma i privati e pubblici ediGzj ; scortandone con assai diligenza a Roma gli abitatori, che menavano e portavano ogni loro bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli comparti ira le curie e tribù romane, li coadjuvò per fabbricare ne’ luoghi, che sceglievano in Roma, le case : dispensò porzione sufGciente de’ terreni del pubblico fra i loro meroenarj, e sen cattivò con altre amorevolezze la moltitudine. Ma la città di Alba già fondata da Ascanio nato da Enea figlio di Anchise, e da Creusa figlia di Priamo, quella che per quattrocento ottanlasette anni dalla sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di ricchezze, di ogni ben essere, quella che aveva propagato trenta colonie in trenta città del Lazio e che era sempre stata la capitale della nazione, quella alfine vittima ^i) dell’ ultima delle sue colonie giace squallida ancora e desolata. Prese requie nell’ inverno il re Tulio ; ma nel sorgere della primavera cavò nuovamente l’ esercito contro Fidene. Non era venuto a’ Fidenati, nè lo pretendeano, pubblico soccorso ninno dalle città confederate : solamente da più luoghi erano venuti de’ mer Anni di Roma 88 secoodo Catone; 90 secondo Varane, e G 6 f aTanli Cristo] cenar} ; e contando su questi osarono un’ altra volta esporsi in campo. Schierativisi, uccisero molti de’ nemici; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come però Tulio cingendo la città di argini e fosse la ridusse alle ultime angustie ; vinti dalla necessità, si renderono a discrezione. Divenuto costui padrone della città vi uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli altri a sé stessi ; concedendo ebe godessero i lor beni : e restituendo ad essi la forma che aveano di reggenza, congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii con la pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi, e fu questa la seconda volta che trionfò. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra de’ Sabini ; e tale ne fu la cagione. Onorasi da’ Latini e Sabini in comune il tempio, sacrosanto più che ogni altro, della Dea nominata Feronia, che taluni con greca interpetrazione chiamano la portatrice de’ fiori ^ 0 r amica dei serti, o Proserpina. Essendosene annunziate le feste, erano dalle eittà d’ intorno venuti molti per supplicare, e sagrificare alla Dea, e molti, mercadanti, artefici, agricoltori per guadagnare nel concorso ; ivi tenendosi fiera famosissima più che in altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa luogo alquanti non ignobili tra’ Romani, quando alcuni Sabini concertatisi, li circondarono e derubarono. E 1 quantunque si spedissero de’ messaggeri, non voleano su questo i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi 1 danari e le persone degli arrestali ; imperocché dolevansi anch’ essi de’ Romani che avessero dato ricetto ai fuggitivi de’ Sabini, costituendo il sacro asilo, come si dicliiarò nel primo libro. InSammanciosi da tali queri> monie alla guerra uscirono con moltissime schiere in campo aperto. Fecesi ordinata battaglia, e pari splendeavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine dalla notte lasciarono la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap]>res$o considerando ambedue la mohitudiue degli estinti c de' feriti, ricusarono ogni altro cimento ; ed abbandonando gli accampamenti, si ritirarono. Ma tenutisi iu cylma per quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con. forze più formidabili. Si appiccò la zuffa presso di Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma, c molti vi soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa ancora lungo tempo sospesa, Tulio elevò le mani al cielo, votandosi che se vinceva in quel giorno i Sabini istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica s])esa. Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo che barino riportato tutti i frutti della terra. Egli facea voto insieme che raddoppierebbe il numero de’ Salj. Derivano questi da nobile prosapia,, e ne’ debiti tempi si cingono di arme, e saltano accordando al suono delle tibie i salti, e cantando patrie canzoni, come ho spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar dorè ne’ Romani che questi pressando, come freschi soldati, gli stanchi, ne ruppero le schiere in sul mancare del giorno, e ridussero gli stessi capitani a dar principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai propri irincieramcnli, ne raggiunsero la maggior parte vicino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò retrocederono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente, e respingendo i uciuici che pugnavano da entro il vallo,. 271 invasero alRne gli accampamenti. Trasportaronsi dopo ciò quanta preda voleano dalle campagne sabine : e siccome niuno più presenlavasi a combatterli, si ricon> dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo trionfo. Quindi per le molle ambascerie de’ nemici depose le armi, avendone da essi li suoi disertori, e li soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed esigendone la multa decretata contro loro dal Senato di Roma il quale avea calcolato in argento r danni ricevuti da’ nemici negli armenti, nelle bestie da giogo, e nelle altre cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei. Fransi cosi scioiii dalla guerra i Sabini : e scrittine su colonnette i trattali, gli aveauo collocati nei tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra poco diremo, la guerra di Roma con le città latine, congiurate fra loro, guerra che non parea da essere ultimata nè con prestezza nè con facilità ; li Sabini afferrarono di Lenissima voglia tale occasione, e dimenticarono quasi non fatti, i giuramenti e i trattati. E reputando esser questo il buon punto da rivendicare anche il multiplo del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le prime, in pochi, ed occulti a predarne le campagne vicine. E succedendo in principio il disegno secondo il desiderio, perchè non accorreva milizia ninna in difesa de’ coltivatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e spregiato l’ inimico macchinarono di recarsi fino su Roma. Adunque congregarono le soldatesche da ogni loro città, brigando di congiungersi co’Laiini. Ma non venne lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con quella gente. Imperocché Tulio veduti i loro peusieri, fe tregua colle città latine, e deliberò di volgere le annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di allora, quando mosse alla presa di Alba, ed aveà rac colto il più che potea di sussidj dagli alleati. Già 1’ esorcito de’ Sabini crasi concentrato. Quindi avvicinatisientrambi alla selva della dei malfaUori  si accam-t parono a picciola distanza fra loro. Nei giorno appresso investendosi, combatterono, ma con dubbia sorte gran tempo ; finché violentati al far della sera i Saliini dalla ’ cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga ' la uccisione; spogliarono i vincitori i cadaveri de’ iie-> mici ; invasero quanto ci avea di danaro negli alloggiamenti ; e conducendosi dalle campagne il fiore delie prede, tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la guerra Sabina nel regno di Tulio. Erano le città Latine divenute allora per la prima volta discordi da Roma, perchè essendo distnitta Alba, ricusavano fidare il comando di sé stesse ai Romani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo l’anno quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito ambaseladori alle città filiali, o suddite di questa le quali eran trenta, per chiedere che ubbidissero ai Romani, padroni di ogni cosa degli Albani, e con ciò dell’ imperio ancora su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali gli uomini diventano gli arbitri di altrui : la libera dedizione e la necessaria : e che i Romani se gli aveano ' tutti due per dominare le città già ligie degli Albani : [tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro  Livio la chiama tj-lva malUiom.. 2; 3 nemici, e fra le arme, ed aveano poscia accomunato Roma ad essi che aveano perduto la patria. Ora da ciò seguitava che gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai Romani l’imperio de’sndditi loro. Non risposero le città Latine una per una agli oratori : ma congregatesi pei deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^ non sottomettersi a’ Romani ; e crearono immantinente due capitani arbitri della guerra e della pace, 1’ uno Anco Publicio della città di Cori, e 1’ altro Spurio Vecilio di Lavinia. Si fece per queste cagioni guerra tra Romani e tra’ popoli di una gente medesima : continuò cinque anni ma quasi civilmente secondo 1’ antica temperanza. Imperocché venendo le intere milizie degli uni a battaglia ordinata con le intere milizie degli altri, mai non si fece gran danno, nè piena occisione ; nè mai ninna loro città vinta in guerra, soggiacque alla distruzione, alla schiavitù, o ad altre insanabili disavventure. Ma gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della raccolta pascolavano e predavano e ritiravansi in casa, e cambiavansi lì prigionieri. Tulio solamente cinse di assedio Medullia città latina, divenuta come fu detto nel libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei Romani, ed ora congiuratasi co’ suoi nazionali, e con ciò la ridusse a non più tentare innovamenti. Non oocorse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali consueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei giorni eran subite, e per la subitezza non iochiudevano tanto rancore. Cosi adoperava nel suo principato Tulio Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar> dire felice tra le arme, e per la saviezza ne’ pericoli ; c più che per tali due cause, per ciò che egli non era precipitoso a far gueire, ma postovi si, non mirava che a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta due anni mori per l’ incendio della sua casa, e con lui pur morirono nel fuoco medesimo la moglie, i figli, i domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per alcuna sua non curanza di sante cose, perchè si erano sotto lui tralasciati dei sagrifizj della patria, introducendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che fu quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo a Marzio, re, successore di lui : perocché Marzio sde guavasi, dicono, che egli nato di regio lignaggio dalia figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo già grande la prole di Tulio, altamente ne sospettas’a, che' se costui periva, passasse il regno a’ figli di lui. Fra tali concetti insidiava da gran tempo la regia vita. £d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scettro, e Tulio essendogli amico, ed era creduto fidissimo; spiava la occasione di sorprenderlo. Era Tulio per fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea presenti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avventura quei giorno ferale per tenebre, per pioggia, per nembi, le guardie aveano lasciato deserti gii atrj della reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Marzio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero il monarca, i figli e quanti vi erano : vi appiccarono il fuoco in più bande e poi divulgarono la novella del fuoco. Ma io non ricevo la novella, perocché, nè vera la credo, nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio 'alla prima opinione, e penso che quest’ uomo per ira degli Iddìi corresse tal sorte. Imperocché non è facile che la congiura, operandola molti, si resusse occulta : nè il capo di essa era sicuro che egli sarebbe proclamato monarca da’ Romani dopo la morte di Tulio Ostilio: e quando fosse tutto stato sicuro per lui dal canto degli omini, non potessi confidare che somiglierebbero i divini agli umani pensieri. Bisognava dopo il voto delle tribù che propizj gli augurj comprovassero il regno per lui. Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato ebe un uomo cosi lordo di delitti e di sangue si acco> stasse agli altari suoi per compiervi de’sagrifizj, o altre pie cerimonie ? Per tali cagioni io riferisco quell’ evento agl’ Iddìi, non alle trame degli uomini. Tuttavia ne giudichi ognuno come più vuole. Dopo la morte di Tulio Ostilio fu creato secondo i patrj costumi l’ interré dal Senato ; e l’ interré dichiarò sovrano della città Marzio, che Anco denominavasi. E Marzio, dopo confermati i decreti del Senato dal popolo, dopo renduti agli Iddii quanto a loro si conveniva, e compiuta a norma delle leggi ogni cosa, assunse il comando nell’ anno secondo della ohm\ piade 35. nella quale vinse Sfero spartano, nel tempo che Damasìa esercitava in Atene l’annuo magistrato. Ora osservando questo re la trascuraggìne delle pratiche religiose istituite da Noma, avolo suo materno, esserti ) Catone Varroae Ruma] vando die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è dediti a vili guadagni, nè più si volgeano come prima ai lavori della terra; chiamati tutti a parlaménto, esortò che ripigliassero il culto degl’ Iddii come a’ tempi di Numa ; dimostrando che per tali negligenze delle sante cose erano venuti in città morbi e pestilenze ed alu'i Hagelli che ne aveano desolata parte non picciola : e che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto doveva alla custodia, travagliato per molti anni da tutti i generi de’ mali, nè più essendo padrone della stia mente, ma decadutagli questa come il corpo, incone in catastrofi miserande egli nemmeno che la sua stirpe." E lodando a’ Romani la pubblica forma indotta da Numa come egregia e savia, e generatrice di abbondanza quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la ravvivassero e volgessero l’ opera loro, a coltivare le terre, ad allevare i bestiami, e ad altri lavori, liberi dalle ingiustizie della violenza e della rapina, e spregiassero in fine le utilità che nascono dalla guerra. Con questi e simili detti risvegliava iu tutti il dolce trasporto per la calma, aliena dalle armi, e per la industria sapiente. Convocando poi li pontefici, e prendendone le leggi delineate da Numa intorno le cose divine, le scrisse ed esposele in su tavolette nel Foro a chiunque volesse vederle. Ora quelle tavolette vennero meno: perocché non usavano ancora le colonne di metallo ; ma scriveansi in tavole di querce le leggi del fero e de’ templi. Dopo la cacciala dei re furono Hprodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il quale avea la cura suprema delle cose divine. Rendendo il suo splendore ai ministeri negletti de’ sacerdoti, e rendendo ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili agricoltori, e ne biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri. Lusingavasi al favore di tali istituzioni di vivere sempre libero da guerre e disastri come 1’ avo materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ; ma in onta del cuor suo fu necessitato alle arme, e ravvolto in tutta la vita fra turbolenze e pericoli. Im> perocché nel primo ascendere al comando appena diede calma allo stato, i Latini ve Io dispregiarono : e pensandolo per codardia non idoneo alla guetra; tutti mandarono entro i confini di lui bande di rubatori, che ' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il sovrano degli arobasciadori a chiedere compensagioni pei Romani secondo i trattati, finsero ignorare in lutto quei latrocini, non die fossero con pubblica autorità concertati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna risponderne a’Romani; tanto più che i trattati erano con Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato, erano periti con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavillazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito. Postosi all’ assedio della città di Politorio, la prese a condizioni prima che i soccorsi le giugnessero de’ Latini. Non infierì già cogli abitanti, ma portossegli tutti a Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù. Ma siccome i Latini mandarono nell’ anno seguente nuovi abitanti a Politorio, e ne coltivavano i campi, così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse contro di loro. Uscirono dalle mura i Latini e combatterono; ma egli li vinse, e prese la città per la seconda volta. E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici. nè più lavorassero i campi di lei, ne abbattè le mura, ne incendiò gli edi6zj, e parli. Recaronsi nell’anno appresso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni romani, e dandole d’ ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv 'zio andato di quel tempo contro la città di Tillene e divenuto vincitore in campo, c poi su le mura, la sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano: ma li trasse in Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi edi6cassero le abitazioni. Soggiacque Medullia per tre anni ai Latini, ma nel quarto la riconquistò con molle e grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene, città presa tre anni addietro per condizioni ; e ne 4rasferl tutto il popolo a Roma ; e non danneggiando la città più oltre, parve che si diportasse anzi con man sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi supplirono nuovi abitanti; e sen tennero e sen goderono il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di accorrervi per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta padrone a grande fatica ; ne abbandonò le case alle fiamme, e ne devastò le mura. XL. Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e Romani. Durò la prima lungo tempo : e gli uni sembrandovi eguali agli altri, si distaccarono, e ritiraronsi a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero i Latini e gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò più non vi ebbe fra loro battaglia ordinata : ma continue furono le scorrerie degli uni su le terre vicine degli  Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si parla della ribtIlioBe di Fideue.. 279 altri ; > econtinua le scaramucce tra cavalieri e fanti che volteggiavano; ma per lo più colla meglio de’ Romani i quali teneano in campo aperto appiè di castelli opportuni un armata sotto gli ordini di Tarquinio Toscano. Ribellaronsi intanto que’ di Fidene da’ Romani, nè già' dichiarando guerra manifesta ; ma danneggiandone a poco a poco con occulte incursioni le campagne. Marzio' però presentandosi loro con esercito ben fornito innanzi che si apparecchiassero alla guerra si accampò d’appresso alia città. Fingeano i magistrati non supere per quali affronti i Romani fossero venuti contro di loro : e di-chiarando il re che veniva per aver soddisfazione dei latrocinj e danni fatti da essi nella sua terra ; si escusarono che niente era stato con pubblica autorità, e chiesero tempo per esaminare e discernere i complici delle ingiustizie. Procrastinavano intanto, non adempievano gli obblighi loro, adunando in segreto de’ sussidj, e travagliando all’ apparecchio delle arme. Marzio conosciutine i disegni scavò de' cunicoli dal suo campo fino alla città : e compiutone il lavoro suscitò le schiere, conducendole con molte scale e mac^ chine e stromenti proprj per gli assalti, alle mura, non' però dove riuscivano sotto queste le vie sotterranee, ma in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i Fidenati dove erar assalto, bravamente lo rispingevano, quando ì Romani incaricatine, dato 1’ ultimo traforo ai cunicoli, sboccarono dentro la città; e trucidando chiunque capitava, spalancarono le porte agli assalitori. Soccomberono nella presa della città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli altri che cedessero le armi : poi fattili per la voce dei banditori congregare in luogo certo, ne battè con Terghe e ne uccise alcuni pochi, autori della ribellione ; e concedè che i soldati saccheggiassero le case di tatti. ÀlSne lasciato quivi un presidio marciò coll’ esercito contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Romani ne aveano devastato le più vicine. Marzio, cono sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo acconcio ad investirli, andò con i suoi iànti, e mentre i Sabini spargeansi a predar le campagne prese di assalto le loro trincierò, fornite di pochi difensori ; ordinando intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i nemici che divisi rubavano. Al vedere la cavalleria romana verso loro lasciarono i Sabini la preda e quanto seco portavano o conducevano di proficuo, e fuggirono agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr potere de’ fanti ; dubitarono dove rivolgersi, finché si sparsero per le selve e per le montagne. Perseguitati pelò da soldati leggeri e da' cavalieri, ne scamparono pochi, soccombendone la parte più numerosa. Spedirono dopo ciò nuovi ambasciadori a Roma ed ottennero l’amicizia che voleano. Imperocché la guerra, permanente ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace con gli altri nemici. Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra Marzio il re de’ Romani andò colle sue milizie e col più che potè delle ausiliarie contro de’ Vejenti, e devastò gran parte della loro campagna; imperocché questi si erano i primi gettati nell’ anno precedente sul territorio romano; e molto vi saccheggiarono, e vi uccisero. Ben uscirono  sperità, grandi oltre il dire, su le prime si diedero in pochi a scorrerne e derubarne le campagne : poi lusingati dal guadagno misero palesemente in piede un esercito ; e le desolarono. Ma non riuscì loro di portarsi via que’ guadagni, nè di partire impuniti. Imperocché venuto provvidamente il re de’ Romani, e posto il stio presso al campo de’nemici, gli astrinse a fare giornata. Sorse dunque battaglia terribile, e molti perirono da ambe le parti : nondimeno per la sperienza, e per la tolleranza de’ travagli, antica fra loro, prevalsero finale mente di gran lunga i Romani, e fecero ampia uccisione, seguitando immantinente i Sabini che disordinati e disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia invadendo pur questi pieni di ogni ricchezza, e ricuperando i prigionieri usurpati da’ Sabini quando predavano ; sen tornarono in patria. Tali si dicono le gesta guerriere di questo re, credute degne di ricordanza, e di stima da’ Romani : sono poi le politiche, quelle che mi accingo a narrare. Primieramente aggiunse alla città non piccìola parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E questo un colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj diciotto : r occupavano allora piante di ogni genere e più che tutto lauri bellissimi, dond’ è che una parte di esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingombrato di case, e tra’ molti edi6zj, il tempio sorgevi di Diana. Dividevalo valle angusta e profonda dal colle della città ^ chiamato Palatino, dove fu Roma nel na cer suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’ intervallo tra due colli fu riempiuto di terra : ora vedendo che un tal colle sarebbe un luogo forte per un armata nemica se nini si avvicinasse, lo circondò di mura e fossi, e inisevi ad abitare le genti trasportate da Telline, da Poiilorio, e da altre città soggiogate. Celebrasi tale istituzione del re come utile e bella, perchè Roma ne divenne più ampia, e meno espugnabile per quanti nemici mai le soprastassero. Migliore del regolamento anzidetto è 1’ altro che la rendè più felice nel vivere, e la mise ad imprese più generose. Imperocché scendendo il fiume Tevere dai monti Appennini, passando appiè di Roma, e scaricandosi attraverso de’ lidi del mare Tirreno, dirotti e senza porti, rende alla città picciolo bene, e certo non memorabile, perchè dove si scarica non evvi un emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le merci portatevi dal mare, e giù colla corrente stessa del fiume. Altronde essendo il Tevere navigabile fin dalle origini con barche fluviali mezzane, e dal mare fino a Roma co’ legni grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi un luogo da ricever le navi, servendosi della imboccatura come di porto ; tanto più che ivi il fiume si spande amplissimo, e formavi gran seni appunto come ne’ siti de’ porti migliori. E, ciò che porge più meraviglia, il Tevere non è traversato nella sua foce da cumuli di arene, come altri gran fiumi, nè dilagasi in stagni o paludi, nè consumasi con altre maniere prima che giintga nel mare : ma sempre navigabile si scarica per una sola bocca naturale, separando a forza le acque marine, quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie grande e malagevole. Adunque le navi lunghe per quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di tre mila misure, si avanzano per la bocca del medesimo e giungono a Roma, sospintevi con remi e funi : ma le navi maggiori fermate colle ancore presso la imboccatura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai trasporU. Tra lo spazio cui cingono il mare ed il Gume con forma di cubito, il re fece erigere una città chiamandola Ostia, o come noi diremmo, porta dall’ uso che presta, rendendo con ciò Roma mediterranea e marittima, talché godesse i beni ancora d’ oltremare Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un colle alto di là dal Tevere, e posevi guarnigione che bastasse per difendere chi navigava in sul Game ; imperocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal Gume infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi che egli soprapponesse al Tevere il ponte Sublicìo, il quale dee per legge esser tutto di legno, senza rame nè ferro, ed il quale, perchè sacro lo estimano, conservasi ancora. E se parte alcuna ne pericola, i ponteGci la curano, compiendo insieme patrj sagriGzj mentre riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di storia. Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti, lasciando Roma non poco migliore di quello che avessela ricevuta, e lasciando due Ggli 1’ uno fanciullo ancora, r altro di più anni, e già nubile. Dopo la morte di Marzio, il popolo rimise al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed il Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque furono gl’ interré dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^ mizj la moltitudine, e scelsero Lucio Tarquiuìo per monarca. E confermando i segni divinf la elezióne della moltitudine ; egli assunse il regno nella olimpiade nella quale Cleonida tebano vinse nello stadio, mentre era arconte in Atene il figliuolo di Enioco. Ora, secondo che io ne trovo negli scritti di que’ luoghi, dirò di quali parenti, e di qual patria fosse questo Tarquinio, per quali cagioni venisse in Roma, e per quali arti giugnesse al comando. Un tale di Corinto, ( Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi, risolutosi di commerciare navigò per la Italia con nave propria e proprie merci. Vendutele nelle città tirrene allora le più prosperose d’ Italia, e fattovi assai guadagno, non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne continuamente lo stesso mare, portando le greche cose ai Tirreni, e le tirrene ai Greci ; donde ricchissimo né divenne. Nata però sedizione in Corinto, e postasi la tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi, egli ricco uomo, e del grado degli ottimati, più non credendo sicuri col tiranno i suoi 'giorni, raccolse quanto potea di sue robe, e fece vela per sempre da Corinto. E perchè stante il commercio continuato egli aveva amici molti Tirreni, anche riguardevoli; specialmente in Tar> quinia, città, grande allora e felice, quivi si domiciliò,' prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa nacquero a lui due figli, chiamandone con tirreni nomi Aronle 1’ uno, e 1’ alu'O Lucumone. Diè loro greca é  Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o secondo Varrone, e 6i4 acanti Cristo] tirreoa istituzione, e adulti fatti, li cougìaute per matrimonio colle più insigni famiglie. Mori non molto dopo il primogenito suo, non avendosi ancora di lui prole distinta. Da indi a pochi giorni si mori per l’ ambascia Demaralo ancb’ esso destinando erede di ogni sua cosa Lucumone il Aglio superstite. Investito questi de’ beni paterni, che erano assai grandi, desiderò di essere nom pubblico, di maneggiare il comune, e Ggurare co’ primi della città. Ma respinto in ogni parte da’ paesani, e non aggregato non dico a’ primarj ma nemmen co’ mediocri, mai sopportò quel dispregio. E sentendo come Roma accogliea con beneplacito i forestieri, e facevali cittadini, e gli onorava secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte per ogni modo le cose sue menò seco moglie, amici, e domestici quanti ne vollero ; e molti vollero con lui trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo, che è quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di Toscana, un aquila calatasi di repente, gli ghermisce il pileo che tieu sul capo, e sollevatasi, roteandosi a volo, si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi quando sei portava. Riuscì tal segno inaspettato e meraviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il nome) la' moglie di Lucumone, sperimentata assai nell’ arte patema degli auguri > menatolo in disparte. lo abbracciò colmandolo di belle speranze, come se dalla condizione de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque  Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc dopo la morie di Demaralo]. opera, moitranJosene degno, di ricererc il comando dai Romani spontaneamente. Lieto Lucumone de’ successi, ornai presso alle porte, supplicò gl’ Iddi! che verificassero gli augurj ; supplicò che gli dessero un ingresso felice, e si mise dentro la città. Quindi venuto a colloquio con Marzio il regnante indicò primieramente chi egli fosse, poi co> ni’ egli era deliberato domiciliarsi in Roma ; che avea perciò portate seco le paterne sostanze, delle quali pos sedendone piucché un privato, esibivale fin d’ allora in servigio de' Romani e del re. Lo accoke questi di buon grado, ascrivendo lui co’ Tirreni compagni in una curia e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città la sua casa, avutone in sorte il sito che bastasse, e ricevutane pure' una parte di campagna. Ciò fatto, e divenuto del nu-> mero de’ cittadini, osservando come ogni Romano ha un nome comune, ed inoltre uno patronimico e gentilizio, e volendo in ciò conformarsi, assunse, per suo nome comune quello di Lucio in luogo di Lucumone, e pel gentilizio quello di Tarquinio dalla città dove ebbe i natali e la educazione. In breve divenne 1’ amico del sovrano, donandogli ciocché si avvedea che più gli bisognava, e porgendogli danari, quanti ne erano di mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a piede e a cavallo contavasi per sapientissimo quante volte bi sognassero opportuni consigli. Nè già col divenire caro al monarca aveasi perduto la benevolenza de’ Romani, ma si vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj, e tentò di affezionarsi la plebe col chiamarla, e salutarla, e conversarla piacevolmente, e col porgerle danari ed altre significazioni di amore. Tale era Tarqulnio, e per tali cagioni vivendo Marzio divenne il più cospicuo de’ Romani ; e morendo questo fu da tutti proclamato degno del trono. Salitovi fece guerra in principio con gli Apiolani, popolo non ignobile del Lazio. Imperocché gli Apiolani, come tatti del Lazio, credendosi colla mone di Marzio sciolti dai trattati di concordia devastavano le campagne romane pasturandovi, e saccheggiandovi. Di che volendo Tarquinio farli pentiti usci con grande armata, e disfece quanto era il meglio del territorio di quelli. Ben sopravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vicini del Lazio : ma egli attaccò due volte battaglia con essi, e vintala due volte, si ristrinse all’ assedio della città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n alle mura. In opposito dovendo quelli della città combattere pochi di numero e senza intermissione contro i molti e freschi, soccomberono alfine. Presa la città di forza, i più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e se taluni le cederono, furono venduti colle altre prede. Furono le donne e i fanciulli condotti schiavi da’ Romani : fu la città lasciata al saccheggio, e dopo il saccheggio alle fiamme. Il re dopo' questo, e dopo rovesciate le mura da’fondamenti ricondusse in casa le milizie; rivolgendole poi contro la città de'Crustumerini: colonia anch’ essa de Latini, la quale erasi ceduta a’Romani nel tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela co’ Latini, dacché Tarquinio prese il comando. Nè già bisognarono a questo assedj e travagli per umiliarsela. Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine venuta contro loro, la debolezza propria, e la niuna aita de’ Latini verso di essi, aprirono le porte ; ed uscitine i più anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld, supplicandolo che usa^e moderazione e clemenza. Ben fu l’ evento propizio ai desiderj: perciocché andato quel inotutrca in città non vi uccise ninno, ma banditine per sempre alcuni pociù, amatori della ribellione, concedè che gli altri ritenessero i beni loro, e partecipassero come) prima alla cittadinanza romana. Ma perchè più non si rimovessero, lasciò de’ Romani con essi. LI. Egual sorte incontrarono i Nomentani datisi a pari consigli. Imperocché spedendo bande di ladroni ne’ campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ; coutidaudu nella confederazione de’Latini. Ma giuguendo Tarquinio su loro, e tardando il soccorso latino, e non b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono 'di città coi simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia 111 archi narono far battaglia co’Romani ed emersero dalle mura di essa : ma superati in tutti gli attacchi e molto danneggiatine ; furono costi-etti rifuggirsi tra le mura, e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe compagne. Ma indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi, e messo il campo dinanzi la città, ne invitava gli abitanti a far pace. Ma ricusando questi, e confidando su le fortibcaziooi dei ricinti, e concependo che -verrebbero per loro schiere confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con truppe le mura, e le assalì. Resisterono lungo tempo i Cornicolani combattendo virilmente, e coprendo di ferite gli assalitori, ma stanchi pei dalla continuità de’ travagli, e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè non erano più unanimi fra loro volendo altri la resa, ed altri la difesa della città Gno agli estremi ; furono alGne espugnati. Li più generosi di loro perirono fra le arme nella presa della città : gli altri, salvatisi come ignobili, furono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne, la città fu prima abbandonata al saccheggio, e quindi alle Gamme. Dicchè malcontenti i Latini deliberarono con voto comune di uscire io campo contro a’ Romani: e fatto grande apparecchio di forze, si gettarono su le terre più buone di essi, e v’ invasero assai prigionieri, e vi divennero signori di amplissime prede. Volò Tar> quinio contr essi coll’ esercito spedito e pronto : nè po tendo raggiungerli, portò su le terre loro simili calamità. Cosi per le vicendevoli incursioni ne’ campi vicini.. 2()r molle lerano le perdite e gli acquisti di ambedue. Vennesi con tutte le forze a battaglia ordinata presso Fi^ deoc; e molti ne perirono da ambe le parti; ma vincendo inCne i Romani, costrinsero i Latini a lasciare il campo, e fuggirsene tra la notte alle loro città. Dopo quel comlntti mento marciò Tarquinio colle milizie schierate alle città de’ Latini esibendo ad essi la pace. E queste non avendo né riunite le forze' comuni, nè ben confidando su’ proprj apparècchj, accettarono  batteano questi nell’ ala destra ed aveano già fugato gli emuli che eran con essi alle mani, ma l’ inaspettato presentarsi di lui li sorprese e sconvolse. Intanto la fanteria romana riavutasi dalla paura piombò su’ nemici. Allora grande fu la strage de’ Tirreni, e piena la rotta dell’ala destra. Tarquinio dato avviso ai duci della fau> teria di tenergli appresso in buon ordine, e passo passo, spinse di tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti ne mici; e gl’ invase a prìm’ impeto, prevenendo quelli che vi si riparavano dalla fuga. Imperocché quelli che ne erano in guardia non avendo prima saputa la sciagura che invalse su i loro, né potuto distinguere per la rapidità del corso quali cavalli venivano, lasciarono che entrassero. Invasi gli alloggiamenti de’ Latini, quelli che dalla fuga vi accorrevano come ad asilo, vi erano sorpresi ed uccisi da’ cavalieri che lo aveano preoccupato : e se altri si fossero affrettati di là verso il piano s’ imbattevano' colla fanteria romana, e ne perivano : li più di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono con ignobile e miserabile fino intra i valli, e li fossi. Dond’ è che quanti vi sopravanzavano non avendo via ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai vincitori. Tarquinio impadronitosi di persone, e robe in copia vendè le prime, e concedè le seconde in premio ai soldati. LV. F allo ciò si diresse alla città de’ Latini onde prendere combattendo quelle che a lui non si davano : non però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte alle umiliazioni ed alle preghiere ; e mandando oratori a nome del comune supplicarono che desse fine alla gtierra co’ patti che gli piacevano, e si renderono. 11 re divenutoi cosi l’arbitro delle città fu moderatissimo e mitissimo verso di tutte : perocché non uccise, non bandì, nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero -le terre loro, e conservassero le leggi delia patria : ma comandò che rendessero ai Romani i disertori ed i prigionieri senza prezzo ninno: che restituissero ai padroni i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede, agli agricoltori il danaro quanto ne aveano derubato ; e compensassero tutti gli altri danni o guasti, se causati ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb-bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti sarebbero in tutto ai loro comandi. A tal fine venne la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio vinse e trionfò. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito, lo conduce contro i Sabini, avvedatisi già molto innanzi dei disegni e de’ preparamenti suoi contro di loro. Non aspettarono questi che la guerra passasse in sul proprio territorio ; ma premunitisi di forze sufilcienti si avanzarono tutti ad un luogo. Fattasi ne’ confini battaglia fino a sera non vinsero né gli uni uè gli altri, anzi molto ne furono afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il duce Sabino nè il re dei Romani cavarono le milizie dagli accampamenti: ma via via trasmutandoli, senza danneggiare le terre, si ricondussero in casa ; ambedue coi disegno di piombare nella primavera con armata più grande 1’ uno nel territorio dell’ altro. Poiché furono ambedue preparali, primi si mossero i Sabini fiancheggiati da sussidio sufficiente di Tirreni, e collocarousi presso Fidene, dove l’ Aniene concorre col Tevere. Fecero questi due campi, l’uno dirimpetto, e come in continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’ alveo delle correnti riunite, e sull’ alveo un ponte di legno congegnato di picciole barche, il quale rendea spedito il transito dall’ uno all’ altro campo, anzi rendeali di due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’ egli cavò le sue genti, e si trincerò presso 1’ Aniene, alquanto più sopra di loro in una munita collina. Erano venuti ambedue con tutto l’ardore a tal guerra ^ por non vi ebbe ninna battaglia ordinata, non grande nè picciola. Imperocché Tarquinio con iscaltrezza di capitano prevenne ed isconciò tutte le opere de’ Sabini, e ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa questo. Preparate e riempiute piociole barche fluviali di legna aride e di zolfo e di |>cce ul fiame presso al quale esso accampava, e poi colto uii vento propizio, ordinò che nella vigilia mattuliiia si desse fuoco a qnei combustibili e si lasciassero le navi a seconda della Corrente. Queste scorrendo iu breve tempo la distanza intermedia percossero il ponte, e vi comunicarono ' in più luoghi r incendio. Accorsi per ajuto i Sabini a tanta fiamma improvvisa, e datisi a far tutto, quanto giovasse ad estinguerla, ecco intanto gingnere su l’alba Tarquinio coU’eseixito in ordinanza; ed investire l’nno de’ campi, deserto di guardie, andate in gran parte contro del fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ; talché senza fatica gl’ invase. Mei tempo di tale operazione altre milizie romane sopravvenendo espugnarono anche il campo Sabino posto di là dal fiume: premesse da Tarquinio nella prima vigilia erano su piccioli navigli valicate da sponda a spanda, laddove fattosi di due fiumi uno solo, rimarrebbero invisibili nel passaggio. Appena poi videro il ponte iu fiamme piombarono ( che tale ne era l’ accordo ) in sul campo dei Sabini : ove quanti ne erano o combattendo caddero appiè dei Romani, o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’ fiumi nè resistendone all’ impeto, si affondaron tra’ vortici : peri nou picciola .parte ancora per liberarne il ponte, tra le fiamme. Tarquinio, preso l’uno, e l’altro campo, diede a’ soldati. le robe che vi erano percltè se le compartissero, ma ' condusse in Roma e guardò ’ con molta diligenza li prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini e Tirreni. Sentirono a tale sciagura i Sabini la propria debolezza, e mandando gli ambasciadorì concbiusero, 00 ’ Romani una tregua di sei anni. I Tirreni mal sop-, porundo che fossero tante volte vinti, e che Tarquinio jer quante istanze ne facevano, non s rendesse i loro prigionieri, anzi li ritenesse come ostaggi ; decretarono di spingere tulle generalmente le città Tirrene in guerra contro de’ Romani e di non più riguardarla come alleata, se taluna se ne ricusava. Cosi deliberati cavarono in campo le milizie, e tragittato il Tevere si trincierarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono di questa con frodoienza, per esservi sedizione tra’ cittadini: poi fatti prigionieri in buon numero, e condottesi via via gran prede dal territorio romano ^ tornarono in patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar me in tal guerra; e vi lasciarono guernigioue quanta ne bastasse. Ma Tarquinio mettendo per la stagione seguente in arme tutti i Romani, e congregando il più che poteva di alleali marciò sui giugnere della primavera contro i nemici prima che riunitisi dalle varie città venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi. Dividendo in due parti tu'.ia 1’ armata, egli stesso ne andò colla milizia romana contro le città de’ Tirreni : e fidate le truppe ausiliarie, per lo più latine, ad Egerio il suo consanguineo, gl’ ingiunse di marciare conU'O Fidene. E queste piene di disprezzo per l’ inimico, accampatesi in luogo non ben sicuro presso delia città ; non fiirono per poco tutte disfatte. Imperocché le guardie di Fideue procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni, e spiatone il tempo opportuno, fecero una sortita ed invasero il campo nemico non bene difeso, e grande fu la strage di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la milizia romana sotto gli ordini di Tarquinio, manometteva e depredava le terre di Vejo, e traevane molti vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj da tutte le cittA de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio diede ad essi battaglia, restandone non dnbbiamente vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il paese nemico lo devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri, e presevi assai cose come in terre felici, essendo ornai per finire la state, si ricondusse in casa. Straziati i Vejenti da quella battaglia non uscivano più di città, ma dentro vi si teneano, mirando intanto sterminarsi le loro campagne : Perocché Tarquinio uscito per la terza volta, privavali per il terzo anno dei prodotti delle loro campagne, desolandole in gran parte : e non avendo poi come più danneggiarli condusse 1’ esercito alla città di Cere, sigilla chiamavasi la città quando i Pelasghi ne erano gli abitanti, ma soggiacendo poscia ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata quanto altra mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito a combattere per le proprie campagne, e molti vi straziò de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi, rifuggissene alla cittàRimasti i Romani padroni di una terra la quale somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero molti giorni ; finché venuto il tempo di ritirarsene menarono con sé quanta preda potevano, e si ridussero in casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo, Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene per cacciameli, con ansia di punire quei che aveano la ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu batttaglia tra’Romani Digitized by Google LÌBRO III. 299 tf tra le ihilizie ascile da Fidene, e' poi darò contrasto nell’ assalto delle 'mura. Fu la città pigliata di forza, e tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei Fidenaii giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pubblieatnente e poi decapitato, e quale bandito per sempre. I Romani lasciativi per abitatori e custodi della città misero a sorte e se ne appropriarono i beui.  LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tirrani' presso di Ereto nella Sabina. Imperocché lì Tirreni erano venuti attraverso di questa incontro al Romano persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militerebbero insieme con essi. E certamente già era spirata la tregua sessennale conchiusa da questi con Tarquinio, e molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche disfatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa. Non pelò succedette ciò come ideavano : perchè ben tosto si presentò l’esercito Romano, nè potè farsi che ab cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo vi si congiunsero alquanti volontari, e pochi reclutali a gran soldo. Fu questa guerra la più grande di quante ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero meravigliosamente, riportandovi una segnalata vittoria, ed il Senato ed il popolo decretarono a Tarquinio il trionfo, lu opposito lo spirito ue decadde ne’ Tirreni ; perchè avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie, non riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono tra la battaglia, o fuggiti in luoghi non idonei per Io scampo, si arresero. Colpiti da tanta sciagura i primarj delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio una nuova spedizione su loro, essi riunitisi a consiglio deliberarono trattare della pace ; e mandarono da ogni città plenipotensiarj anziani e riipettabili per concilitiderla. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti, induttivi a misericordia e moderazione, e ricordavano il parentado di lui colla lor gente; quando Tarquinio disse che volea sapere unicamente, se disputavano ancora intorno ai diritti e venivano per fare la pace con certe riserve ; o se confessavausi vinti, e rendevano a lui le proprie città. E rispondendo questi che le rendevano, e che desideravano la pace comunque loro si concedesse, egli dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni sono per dare la pace, e quali benefizj vi dispenso con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere, o bandire, o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs vostre città senza guarnigioni, senza tributi : lascio che vivano arbilre di sè stesse, e colla forma primiUva di governo. Ma per tante cose che io concedo a voi giudico che questa sola da voi mi si dia, cioè che io m'abbia la direzione suprema che pur ni avrei delle vostre città quand anche voi noi voleste, finché io sono il vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta taneamerUe anziché di mai animo. Andate, riferitene alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi, finché torniate. Ricevute queste risposte andarono di volo gli ambasciadori; e dopo pochi giorni ritornarono portando non già parole nude, ma i fregi stessi del comando coi  Anni di Roma i 65 ecoado Caioae, 177 secondo Varrone, 587 avanli Cristo] ' 3oi qnali adornano i proprj monarchi, la areano seguali di giogo e di esecrasione. Ma se acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di ogni città : e prima che 1’ armata de’ Romani venisse nelle terre loro, essi menarono la propria nelle campagne di quelli. Come il re Tarquinio udì che t Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che devastavano per tutto intorno de’ loro accampamenti, prese : i giovani ro nani più spediti e piombò di tutta fretta su’ nemici sparsi a predare. Ed uccisine molli, e ritolta loro la preda che si recavano, mise il campo suo presso del loro. Passati cosi pochi giorni, finché gli era di città venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie dagli alleali, presentò la battaglia. LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti con ardore per combattere, cavarono la propria armata ancor essi, non inferiori nè di numero, nè di valore. Investitisi combatterono con tntto 1’ aadire fin eh’ ebbero a fare coi soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che marciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben fornito; abbandonarono le bandiere e dieronsi alla fuga. Era di Romani 1’ esercito che apparve alle spalle, fanti lutti e cavalieri scelti, disposti insidiosamente da Tarquinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i Sabini da questi nomini inaspettati che li raggiungevano non fecero più ninna bella azione ; ma quasi colti dagli inganni de’ nemici, ornai sotto il nembo di danno irreparabile, tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare sè stessi. Allora appunto però soggiacquero a strage grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla cavalleria de’ Romani ; tanto che pochi in lutto si ripararono nelle città vicine : gli altri, quanti non caddero combattendo, rimasero prigionieri. Imperocché que gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere r assalto de’ nemici, nè uscire in battaglia : ma cosierpati dal male impensato renderono senza combattere sè stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte come dai stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici, si accinsero a mandare ben tosto milizie più copiose, e capitano piu sperimentato, Tarqajuio vedendo il loro dise^o, guidò soliecitameotc l’ esercito, e passò 1’ Anieue prima che quelli si potessero tutti riuuire. A tal nuova il duce Saltino andò prestissimo quanto polea colla nuova armata e mise il suo presso al campo romano su di un colle erto e dirotto : non giudicava però ben fatto dar battaglia se prima a lui non giungevano le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo • delle bande de’ cavalieri, e postando delle coorti nelle balze e nelle selve contro quelli che uscivano a foraggiare, impedì che i Romani infestassero colle scorrerìe la campagna. Per tal sua condotta di guerra molte erano le scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli, e niuna la battaglia universale. Adunque temporeggiandosi, e sdegnandosi Tarquinio dell’ indugio, risolvè di andare colr esercito alle trinciere de’ nemici, e più volte ne fece l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per la fortezza del luogo, destinò di abbatterli colla penuria. E stabilendo delle guardie su tutte le vie che menavano’ al colle, nè permettendo che i nemici andassero a far legna, e recassero foraggi pe’ cavalli, o prendessero altro che facea di mestieri dalla regione; li ridusse a gravi disagi. Tanto che furono costretti, cogliendo uoa notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno samenle quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende, e feriti, ed ogni apparecchio militare. I Romani cono; seiutane al nuovo giorno la partenza, e lattisi padroni del campo senza contbattete vi predarono tende, e giumenti ed ogni cosa, e conducendosi i prigionieri si ravviarono a Roma. Continuò questa guerra cinque anai, 3o5 c gli uni (levasUnJo le campagne degli altri; .diedero via via delle battaglie piu o men grandi, vinte di raro da’ Sabini, e spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo cimento ebbe interamente il suo termine. Imperocché li Sabini non già di aumo in mano come dianzi ma quanti per la età ' lo poteano, erano tutti in uh tempo stesso marciati alla, guerra. In opposito i Romani tutti, raccolte le forze aosiliarìe latine, tirrene, ed in genere degli alleati erano venuti a fronlè del nemico. 11 duce Sabino dividendo le milizie ne avea fatto due campi : aveale il re dei Romani compartite in tre corpi in tre campi non molto lontani fra loro, ed egli comandava i Romani; dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il governo de’ Tirreni, e quel de’ Latini e degli altri ad un valentuomo per consiglio e per arme, ma forestiero e privo della patria. Servio era il nome di lui, e Tullio quello della sua stirpe : e fu quegli appunto cui dopo Tarquinio, morto senza prole virile, i Romani inalzarono ai trono per amore del suo ben lare tra le arme e nell’ uso della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo la prosapia, la educazione, le avventure di quest’ uomo, c come gl’ Iddii per lui si manifestassero. Allora dunque, poiché gli uni e gli altri vi  furono apparecchiati, diedero la battaglia. Avevano i Romani l' ala sinistra, i Tirreni la destra standosi i Latini schierati nel centro. Durò vivissima tutto il giorno la battaglia finché viuserla di gran lunga i Romani. Uccisero molti de’ nemici segnalatisi nell’azione; e più ancora ne presero prigionieri tra la fuga. Espugnatone INTONICI y t n> T, >0 l’uao e r altro accampamento ne ammassarono ricchezze in copia, e signoreggiarono senza timore Hitla la campagna: e messala a ferro e fuoco, e distruttivi gli alloggiamenti sen tornarono a casa ornai tramontando la estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza volta nel suo principato. E preparando nelf anno seguente r esercito nuovamente per condurlo contro le. città de’ Sabini, non più concepirono questi nulla di magnanimò e di grande, ma deliberaronsi tutti per la pace prima di mettere a pericolo sè stessi dei giogo, e le patrie della rovina. Pertanto vennero da ogni città li Sabini principali a Tarquinio uscito con tutta 1' armata, e cederongli le terre loro supplicandolo di miti condizioni : e colui propensissimo ricevendo, perchè senza pericolo, il sottomettersi di quella gente, fe’ tregua e pace ed amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala innanzi fatta co’ Tirreni, e rendè loro pur senza prezzo li prigionieri. Tali sono le imprese militari di Tarquinio: le urbane e pacifiche son come sieguono; che già non voglio passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando desiderando, come aveano fatto i re predecessori, di conciliarsi la plebe, se la conciliò con questa beneficenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’ quali il pubblico grido accordava virtù guerriere, o civil sapienza, li nominò patrizj aggregandoli a’ senatori : i quali essendo fin’ allora dugento ampliaronsi al numero di trecento fra’ Romani. Poi, quattro essendo le vergini  Ad. di Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e. 58 i avanti Cristo] 3o7 custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne sopraggiunse altre due: imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai quali doveano intervenire le vergini Vestali ; non parve che quattro più ne bastassero. Seguirono la istituzion di Tarquinio ancor gli altri principi, e sei pur ne’ miei tempi si additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli sembra il primo, che guidato dalla ragione, o forse; dalle insinuazioni de’ sogni come pensano alcuni, ideò li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la verginità non conservano : e gl’interpreti delle sante coso dicono che que’ castighi si rinvennero dopo la morte di lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’ giorni suoi fu ravvisato che Pinaria Vergine, la figliuola di Pubblio, an(lavasi con membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi già dichiaralo nel libro innanzi qual sia di tali castighi la forma. Egli abbellì circondando di officine di artefici, c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si giudica, e compionsi altre pubbliche cose : egli il primo deliberò di costruire con gran pietre lavorate a misura i muri della città, già vili e grossolani: ed egli prese a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali tutto, quanto scola dalle strade, vasseiie a scaricare nel Tevere : meraviglioso è questo edifizio, e maggior di ogni dire. Io tengo in Roma per tre magnificentissime cose, c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli acquedotti, i lastricati delle strade, e le cloache ; non già che io ne rifletta la utilità della quale dirò ne’suoi luoghi, ma si bene 1’ amplissima spesa. E ben può questa argomentarla taluno da un fatto solo del quale io nc fo mallevadore Cajo Aquilio. Scrive costui che non più scorrendo, perchè negligentale, le cloache, i censori le diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti. F e pur Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle Aventino e tra’l Palatino costruendovi il primo intorno intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi, fondati su cavalletti di legno. Compartì similmente il luogo in trenta spazj assegnandone uno per ogni curia, per^ chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si doveva. Anche questo edifìzio sarebbe col volger degli anni numerato tra le meraviglie bellissime della città. Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo, spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati maggiori ed uno de’ minori una fossa profonda e larga dieci piedi per raccogliere le acque, e dopo la fossa i portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di pietra e poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di legno sono ne’ portici più alti. Concorrono i due lati maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per via del minore che formato in guisa di luna li termina: cosicché risulta da tre ordini un sol porticato amGteatrale di otto stadj capace di cento cinquantamila persone. L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte in un tempo, ad un suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi pure altro portico ma di un piano solo, il quale in sè contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi viene agli spettacoli ; e con ciò' nOri siegue confusione tra tante migliaja che vanno e tornano. Si accluse il re similineatc a iàbbricare il tempio di Giove, di Glaaoue, di Minerva per adem> plere il voto da lui fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima guerra co’ Sabini. Ma siccome il colle destinato per la santa magione abbisognava di radili travagli, perché non era questo agevole da salirlo nè eguale, ma scosceso e tutto ' acuto in su la cima; eg^i ponendo intorno intorno altri ripari, e tra’ ripari e la cima assai terra lo rendè piana ed acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di metterne le fondamenta, Tnon essendo egli vissuto che quattro anni dopo il fin della guerra. Molti anui ap> presso, Tarquinio terzo re dopo lui, quegli che fu espulso dal trono, ne gitlò le fondamenta, facendo gran parte del sacro edilìzio : ma noi compiè nemmen' egli, e solo ebbe il tempio il suo termine sotto gli annui magisirati da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è convenevole che le cose ricordinsi accadute prima della erezione di questo, come pur le ricordano quanti scrìssero la storia di quei luoghi. Deliberatosi Tarquinio a far qnel tempio impose primieramente agli auguri, convocandoli, che spiassero co’ divini riti quale in città ne fosse il loco più accon do e più caro a que’Numi. E riferendo esser questo il colle che sovrasta al Foro, colle detto Tarpeo di quei giorni, ed ora del Campidoglio, comandò che replicati i riti santi additassero in qual parte principalmente del Campidoglio aveansene a porre le fondamenta. Non era ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io sul colie a riverenza de’ genj, e de’ Numi altari in gran nume ro ; doveasi trasportare questi, e lasciar libera l’ area pel tempio novello degl’ altri Iddìi. Parve agli auguri di fare le divinazioni loro so di ogni altare, e poi moverlo se il proprio Nome Io concedeva. Consentirono alquanti genj e Numi che i loro altari fossero altrove portati : ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto gli auguri pregassero e ripregassero non gli udirono ; nè condiscesoro a cedere il luogo. Adunque furono gli altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi: ed ora r uno resta nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto stesso di Minerva presso al simulacro di lei. Presagirono da ciò gl’ indovini che ninna età mai nè li termini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché si é già verificato fino a’ di miei per ventiquattro generazioni. Nevio chiamavasi per nome proprio, ed Azio col nome della prosapia il più insigne degli auguri, che trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed altre celesti cose ridisse per la sua divinazione al popolo. Si consente che carissimo egli fosse agl’ Iddii fi:a tutti del santo suo ministero, e che conseguito avesse riputazione grandissima per le prove da lui date incredibili e trascendenti nell’arte sua divinatoria. Io ne ricorderò solamente una la quale mi fu meravigliosissima infra tutte, dicendo innanzi per quale incontro di casi, e per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza che fe’ tutti li coetanei comparir dispregevoli. Povero fu il padre di lui, cultore d’ ignobile campicello. Nevio il suo figliuoletto porgeagli l’opera sua, quanta per la .età ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una volta nel sonno, nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni di quegli animali, ne pianse per timore de’ paterni castighl. Ma poJ venendo al tempietto sacro agli eroi nel suo campicello, pregò che a lui concedessero di trovare le perdute cose ; egli prometteva loro se ciò concedessero il grappolo più grande del suo poderetto. Trovò indi a poco gli animali, e volea recare i promessi doni agli eroi: ma 'grande era 1’ ambiguità sua nel decidere il maggiore ira’ grappoli. Adunque conturbatone supplicava gl’ Iddii che volessero col mezzo palesargli degli uccelli ciò che cercava. Or qui per divino favore gli venne in mente di dividere la vigna in parte destra e sinistra, e notare gli auspicj che in ognuna occoiresero. Apparsi in una delle parti gli uccelli com’esso ve li bramava, suddivise pur questa in due considerando gli uccelli che vi capitassero. Determinandosi con tale distinzione di luoghi, e venendo da ultimo alla vite indicala dagli uccelli: ebbe un tal grappo incredibile nella sua forma. Egli recavalo appiè delle immagini sante degli eroi, quando il padre lo vide. E meravigliato questi di una tal mole del frutto, e domandando d’ onde se lo avesse : il figlio narrò dalle origini tutto il successo. Concependo colui, ciocch’ era, che fossero questi naturali preludi della divinazione nel figlio, lo condusse in città, e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E poiché fu nelle comuni discipline istrutto quanto bastava, affidollo all’ augure più dotto fra’ Tirreni perchè Io erudisse nel suo sapere. Nevio che avea naturali lumi per la divinazione, aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni ; superò di gran lunga quanti erano intesi agli anspicj. Quindi nelle consultazioni sul pubblico tutti gli auguri della città v’ invitavano lui quantunque non fosse del Digitized by Google 3i2 delle Antichità’ romane ceto loro, per la reltitudiae sua nel pronosticare, ti cosa mai vaticinavano, se non ' approvata da lui. Ora volendo Tarquinio creare tre nove centurie  di cavalieri da lui scelti, ed intitolarle dal nome suo e degli amici, questo Nevio il solo magnanimamente gli resisti, non permettendo che alcuna si alterasse delle istituzioni di Romolo. Disgustato per la proibizione il sovrano, e sdegnato con Nevio diedesi a vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè veridico parlatore. Con tale intendimento chiamò Nevio nel suo tribunale essendovi moltissimi presenti del Foro.. Egli avea già divisato con qnei che lo circondavano i modi onde convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo dinanzi lo accolse con degnevoli salutazioni : ed ora, disse, o Nevio è il tempo di mostrare il potere delf arie tua divinatoria. Siccome io macchino di pormi ad una gran cosa ; vorrei per f arte tua risapere se possa riuscirmi. Or va : consultane co' riti tuoi, o toma il più presto per dirmene : io qui su questa sede ti aspetto. Esegui l’ augure i comandi, e dopo non molto tornò dicendo che propizj erano gli auspicj, e fattibile £ intento di lui. Diè Tarquinio in un riso a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo gli disse: ora ben apparisce o Nevio che tu mi deludi, deluso che se’ manifestamente dagl Iddii, dacché ardisci anrutnziarmi possibili, le impossibili cose : per Nel testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cavalieri non debba pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli altri storici in questo luogo chiamano centurie quelle che Dionigi chiama tribù ciocché io meditava se potessi col rasojo fendere questa cote per mezzo : ridevano tutti d’ intorno, e Nevio niente commosso dalla beffa e dallo strepito : ferisci, disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote: perciocché ne sarà divisa, e se no ; mi ti offero ad ogni pena. Sorpreso il re della confidenza dell’augure mena il rasojo su la cote, e l’ acume del ferro ne penetra r interno e dividela, incidendo anche in parte la mano che la teneva. Esclamarono per la novità quanti contemplavano la incredil.'ile e meravigliosissima cosa. Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte, c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ primieramente cessò da que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le centurie ; poi risoluto di onorare Nevio come il più caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni vari e copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se ne perpetuasse tra’ posteri collocò la statua di lui, fabbricala in rame, nel Foro : e questa, più picciola di nn uomo mezzano, e velata il capo, esisteva pur nel mio tempo dinanzi la curia, da presso del fico sacro. Dicesi che poco lungi del fico sia la cote sepolta ed il rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chiamasi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si hanno su questo indovino. Tarquinio ornai chetavasi dalla guerra, vecchio già di ottanta anni ; quando mori tra gl’ inganni de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato fin da principio di balzarlo dal trono, e più volte vi si erano adoperali su la speranza che, balzatone lui, diverrebbe di loro come trono un tempo del padre, e die (li leggieri ad essi darebbonlo i cittadini. Delusi via via dalla speranza gli ordirono alfine insidie insuperabili che gii Dei non permisero che restassero impninite. Io narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io dissi che erasi opposto al re che volea di meno far più le centurie, questi (piando più per le arti sue Boriva, quando potea sopra tutti i Romani come augure nobilissimo, allora sia per invidia degli emuli, sia per insidie de’ nemici, sia per altra sciagura, spari di subito da’ mortali ; nè alcuno potè de’ congiunti indovinare il destino di lui, nè più trovarne il cadavere. Addoloratone il popolo, e mal sopportando il suo danno, e molto sospettando di molti; i figli di Marzio ne ristrinsero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo allegare argomenti e non segni della calunnia ; insisterono su queste due ombre di ragione. Era la prima, che volea Tarcpiinio far molti e gravi attentati contro le pubbliche norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi sarebbe •per contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era poi, perchè succeduto tanto infortunio non aveane fatta niuna ricerca, ma trasandavalo in tutto : nè avrebbe mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi col dispensare de’ loro beni, gran seguito di patrizj e di plebei diedero gravissima accusa a Tarquinio, e stimolarono il popolo a non trascurare un tanto scellerato che stendea le mani su le sante cose, e la regia autorità contaminava ; molto più che egli non era un romano, ma un estero, anzi uno senza patria. Tali cose dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ; concitarono molti plebei perchè lo rispingessero se venivaci come impuro da quel luogo. Ora cosi fecero, perchè nè poleano combattere la verità nè persuadere al popolo che dal trono il cacciassero. Se non che dissipando lui con difesa validissima le incolpaeioni, e Tullio il genero suo, potentissimo tra la moltitudine, risvegliando verso lui la tenerezza de Romani ; furono quelli avuti per calunniatori e scellerati, e carichi di vergogna partirono dal Foro. Sconciati in tal tentativo, ma tuttavia per> donati per opera degli amici, perchè Tarquinio contenevasi a fronte di tanta perfidia in vista de’benefizj pa gravidasse, e ne partorisse poi Tullio. Certamente non par la novella affatto credibile : pur la rende inverisimile meno un tal altro segno divino inopinato e meraviglioso intorno di quest’ uomo. Imperocché sedendosi un' tempo egli di mezzodì nella regia camera, e presovi dal sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo. Videro questa la madre di esso e la regia consorte, che per la camera passeggiavano, e quanti erano presenti alle donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno del capo finché accorsa la madre riscosselo. Allora insieme c ciansi nemmeno le picciolo ingiustizie, e solleverai li poveri co’ benefizj, e co’ doni ; e quando ne parrà tempo, (diora diremo che Tarquìnio è morto ; allora gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrilo, tu educalo, tu renduto partecipe da noi di tanti beni quanti ne derivano i figli da padri e deUle madri, tu congiunto alla nostra figliuola, tu se mai divieni, o Tullio, re de’ Romani, è giusto che almeno in riguardo mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai, presenti la benevolenza di un padre verso questi teneri fanciuU letti : e che quando siano già grandi, quando già bastanti a regnare, tu renda (diora al primogenito la corona di Roma. V. Così dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro fanciullo in braccio alia 6glia ed a! genero : e risvegliò tenera compassione verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo, uscita di camera impose ai domestici che assistessero, come richiedeasi, per la cura, e convocassero i medici. Lasciala passare la notte, siccome nel giorno appresso accorse gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere alle finestre che rispondono alla via dinanzi dell atrio : e su le prime scoperse quelli che aveano congiurata la morte del sovrano, e quindi presentò tra le catene i sicai'j mandati per compierla : e quando vide il popolo in pianto per la sciagura, quando videlo fremere contro de’ malvagi ; alfine gli disse, che pur non era la perfida trama riuscita, e che potuto non avevano trucidare Tar quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella mostra in Tullio il personaggio eletto dal re, finché guariscasi, per curare le private sue cose, e le pubbliche. Adunque andossene il popolo, lieto come se il re non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si rimase con questo concetto. Tullio cinto da’ regj littori marciò con valida schiera al Foro, e fece pe’ banditori intimare che venissero i Marzj al giudizio. E siccome questi non ascoltarono ; ne proclamò 1’ esilio perpetuo, ne confiscò li beni ; e cosi tenne sicuro lo scettro di Tarquinio. Ma sospendendo alquanto la narrazione, vo’ dir le cause per le quali io nè con Fabio consento nè con quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio eran suoi figli ; perchè se altri si avviene in quei scritti non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo, ma nipoti. Essi divulgarono ciò su que’ garzoncelli, ma per' negligenza ; niente considerando gli assurdi eie im cuni Storici Romani levarli con altri assurdi, e dissero che non era già madre de’ fanciulli Tanaquilla ma Gegania, una donna, di cui nulla additarono le istorie. Ma in tal caso riesce improprio il matrimonio di Tar> quinio nella età quasi di ottanta anni, e certo inverisimile riesce in quella età la generazione di figli. Nè già egli era mancante di prole ; tanto che ne languisse pei desiderio : ma egli avea due figliuole e queste già maritate. In forza di tali assurdi e di tali impossibilità dico che que’ fanciulli non eran figli ma nipoti di Tacquinio ; nel che sieguo Lucio Pisene, uomo savio, e funii co che ciò scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran questi, nipoti a Tarquinio per nascita, e figli per adozione, e forse fu questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli Storici delle cose Romane. Or dopo un tal prologo egli è tempo di ripigliare la narrazione. Vili. Poiché Tullio prese le redini del ^ornando, e dileguata la fazione de’ Marzj, giudicò di averselo consolidato ; fe’ con magnifica pompa trasportare Tarquinio, come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo di un cospicuo monumento e di altri onori : e tutore essendo de’ regi fanciulli ; e curò e guardò fin d’ allora le privale loro cosce le pubbliche. Non andavano tai fatti a grado de’ patrizj, ma doleansi e sdegnavansi, mal soffiando eh’ egli a sé stabilisse il regio potere senza le  Addì, di Roma sec. Catone, 179 scc. Varrooe : e 577 avanti Cristo] forme prescritte dalle leggi. E riunendosi più volte i più potenti, trattavano fra loro de’ mezzi onde abbattere TiU legittimo governo. Ora parve ad essi, come fossero la prima volta adunati, per tenere il Senato, da Tallio di violentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del comando ; e fatto ciò di nominare gl’ interré da’ quali si scegliesse regolarmente chi dominasse. Tallio, risaputo il disegno, si diede a favorire il popolo, c soccorrerne i poveri, sperando coll’ opera sua di ritenere r impero. £ chiamata la moltitudine a concinne, presentò dinanzi la ringhiera i fanciulli ; e poi disse : IX. Molle cause o cittadini ihi astrinsero a prender cura di questi teneri garzoncelli. Perciocché Tarquinio l m>olo loro accolse e curò me privo di padre e di patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma diedemi la sua Jìgliuola in isposa, e mi amò finché visse, e mi onorò sempre, come sapete, quasi fossi da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie egli affidatami in caso di morte la cura de' fanciullettì. Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso gl Iddf, chi giusto verso gli uomini, se io trascurassi e tradissi questi oifani a quali tanto io sono debitore? Ma nè io tradirò la mia fede, né darò per quanto è da me, 1 ultimo abbandono, a fanciulli già derelitti. Ben è giusto che ricordiate voi li benefizj che l avolo suo dispensava su voi quando a voi subordinava tante città Latine emide del vostro principato, quando vi umiliava i Tirreni i pià potenti tra tutti i vicini, e quando neces^ sitava al vostro giogo i Sabini ; procurandovi ognuna di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a voi per tanta sua beneficenza di essere grati a lui finché visse, e di esserlo dopo la morte in verso dei posteri -suoi, e non già di seppellire coi cadaveri dei benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi dunque tutti eletti custodi de’ fanciulli, reusicurate per essi il regnò che t avo ad essi lasciava. Già non tanto benerisentiranno essi dalle cure di me che son uno, quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo necessitato a dir questo ; sentendo che > alcurù commovonsi contro loro, e vogliono dare ad altri il co mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora siate de' combattimenti che .io feci pel vostro princù pato, i quali np pochi sono nè piccoli. Ma ben sa^ pendolo voi, non occorre che altro io vi dica, se non che rivolgiafe su questi fanciulli gli obblighi che me ne avete. Imperocché non io per me fabbrico il prir^ cipato : nè se io mel cercassi, ne era già meno degno degli altri; piacemi solamente amministrare il comune in sussidio della stirpe di Tarquinio. Io vi raccomando che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi farin ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche espulsi da Poma, sé fauste riuscissero le prime mosse ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su ciò, mentre sapete voi quello che dee farsi, anzi siete per fare quanto conviene.. Ora udite il bene, che io a voi apparecchio, e pel quale qui vi adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete levarvene per la indigenza,, tutti sarete da me soccorsi come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà di lei, la vostra non perdiate : io porgerò del mio danaro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti torranno ad imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigionati per debito : ma porrò per legge che niuno dia de' prestiti assicurandoli su la persona di uomini liberi, mentre io penso che basti agli Usuraj di rivalersi su bèni de' contraenti. E perchè da 'ora in poi sosteniate più di leggeri il tributo pubblico, pel quale i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ; comanderò che si registrino tutti i beni, e che ciascuno dia secondo l' aver suo, come odo che si pratica rtelle città più grandi e meglio ordinate ; mentre ancK. io credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi più possiede più paghi, e meno chi meno, Piacemi inoltre che il terreno pubblico f quello che avete corsquislato colle Urrtse > non sia come ora de più impudenti, nè che per compera ve lo abbiate, nè indarno: ma che quelli se lo abbiano infra voi che privi sono di terre : perchè voi liberi essendo non serviate, nè coltiviate le campagne altrui, ma le pròprie ; imperocché già non allignano generosi pensièri' ov’è disagio del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberalo render pari e fàcile il governo per tutti, e dàce a tutti eguale azione contro chiunque; perciocché sono alcuni venuti in tanta baldanza che oltraggiano il popolo, nè. liberi stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più grandi nemmeno che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io farò leggi proibitive della violenza, e lonservOtrici dei diritti lomuni: nè mai lascciò di provvedere a questa libera procedura di lutti conlto tutti. Sorsero, lui cosi dicendo, grandi elogj tra la moloi gli esuli, e di ceden’i ai figli di Marzio, a quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, e sì amico di Roma, a quelli che macchiatisi in tanta scelleraggine, non osando risponderne in giudizio, si tolsero a voi colla fuga, a quelli in fine a quaU avete voi t acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non vòlavane a me t avviso, tali patrizj eccitando una forza straniera, avrebbero di bel nuovo introdotto nel cuor della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quantunque io le taccia, le seguile, come i Marzj favoriti da' patrizj sarebbonsi impadroniti senza fatica di tutto, atsalendo primieramente me che il custode sono della regia prole, me che t autore fui del giudizio contro di loro, e spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tutti I consanguinei, e tutti gli amici, quanti ve ne restano, di Tarquinio. Misere le nostri ritogli, le nostre madri, le nostre figlie, e misere le femmine tra noi! le avrebbero que' ribaldi ( tanta lumno di brutale e di tirannico ! ) terwie in' conto di schiave. Ora se tanto o popolani piace a voi pure, che qua si riammettano, anzi che re si proclamino i parricidi, e che i figli se rie scaccino de’ vostri benefattori, e dal trotto . tolgano che V avo ad essi lasciava ; se tanto, dico, a voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli Iddj, deh / pe’ genj tutti, quanti le mortali cose riguardano ( e noi colle nostre donne, noi co’ nostri figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che Tar quinio su voi spondeo perpetuamente, e pe’ tanti, eh’ io stesso vi procurava ), deh ! coruredeteci questo dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se voi credete altri più degni di noi di tale onore ; questi fanciulli f e tutto il parentado di Tarquinio, partiranHo, abbandoneranno la vostra città. Io poi ben altri più generosi consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla virtù, abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be^ nevolenza, quella che io pregiava più che tutti i beni, già non voglio io vivere indecorosamente presso di abtri. Prendete i vostri fasci, dateli, se così piacevi, ai patrizj. Io mel vedrò, -nè mi oppongo. Cosi dicendo, e già standosi in atto di ritirarsi sorse un clamor vivo per tatto, nn pregare, an piangere, perchè restasse, e governasse nè temesse. Allora alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro, gridarono che si creasse re, che si convocassero le curie, e sen chiedessero i voti. Così preordinato T evento; ben tosto il popolo tutto vi propendè. Tallio ciò vedendo non trascurava la occasione: ma professandosi ad essi obbligatissimo che memori fossero de’ benefizj, e promettendone più ancora se re lo creasseró ; prescrisse il gionu> de’ comizj ; ordinando che v’intervenissero lutti dalla campagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una per una le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da tutte le curie degno del trono ; vi ascese. : nè curò del Senato che non volle come solea ratificare la scelta del popolo. Cosi re divenuto fondò molte altre istituzioni, e fece grande e memorabile guerra co’ Tirreni. Io dirò prima delle istituzioni. Appena strinse lo scettro comparti tra’ mercenarj Romani le terre del comune : poi fe’ comprovare le leggi su i contralti e su le ingiustizie dalle curie, estese ^illora a cinquanta, quantunque non sia ora ciò da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale, e l’Esquilino due colli, cosi nominati, capaci T uno e 1’ altro di nna città liguardevole, dispensandoli parte a parte ai Romani privi di case, perché ivi se le fabbricassero ; anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo delle Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il circuito, della città, congiungendo ai cinque gli altri due colli, dopo avere presi gli aiigurj e compiute le usate pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai più da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono, permesso i destini : ma tutti intorno i sobborghi che pur sono molti e grandi, si resuno so>perti, non chiusi da mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che se alcuno mirando a questi, voglia la grandezza racco-r glierne di Roma ; egli errerà certamente : perocché noo avrà nino certo seguo, dal quale discernere fin dove la città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sobborghi al fabbricato inleroo si congiungono, che presentano a chi li contempla la immagine come di una città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo regola dalle mura, certamente malagevoli a distinguersi per le molte case fabbricatevi intorno, ma che pur sevv bano via via de’ vestigj dell' aulica loro struttura voglia risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene; vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello di Atene. Ma quanto alla grandezza e bellezza che Rpma presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo più acconcio a discorrerne. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di oiura i sette coili ; divise la città in quattro parti ; de-' nominandole da que’ colli, 1’ una Palatina ^ l’ altra Siiburrana, la terza Collina, e 1 ultima Esquilina. Cosi distese a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi che chiunque abitava 1’ una delle quattro parti, quasi paesano di quella nè portasse in altra il suo domicìlio, nè in altra desse il nome suo pe' cataloglù militari, nè il tributo per le spese della guerra : in somma che noi^ rendesse in altra i servigi che doveansi pel comune; nè più ordinò le milizie secondo le tre tribù disposte come prima per genti  ma secondo le quattro da lui create e compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un capo qual sarebbe un tribuno o prefetto, il quale dor vesse conoscere il domicilio di ognuno. Quindi ordinò che in ogni quadrivio si facessero da’ vicini picciole sacre cappelle agli Dei lari custodi della contrada, istituendo per legge che ogni anno si onorassero di aagrifizj, e che ciascuna famiglia porgesse loro le obbla-zioni sue : comandò che assistessero e ministrassero à chi facea tal sagri6zio non gl’ ingenui ma i sèrvi ; dilettandosi quegl’ Idd) del ministero di questi. Continuano i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de’Sa tumali tal festa, veneranda in tutto e magniBca, e detta compitale da’ quadrivi che compiti da .loro si chiamano.  Romolo fece ire tribù eecondo te diverse genti : erano la tribù, la prima Ramnentù dei Romani posti ad abitare nel Palatino, la seconda TatUnsU da Tasio, ebbe il monte Capitolluq, e la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i era degli stranieri che aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo siccome la gente aggregala a Roma superara il popolo primitiro ; COSI Tullio fece una nuova divisione di tribù.. a 5 Serbano nel sagrifìzio 1’ anticx) rito, placaodo gl Iddj Lari con intrametlervi i servi, a’ quali tolgono in quei giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati da tali dolci maniere ove è misto del grande e dell’ono, riGco sì affezionino più vivamente ai padroni e men sen> tano il peso della loro condizione. Inoltre, come Fabio scrive, divise tntla la campagna io ventisei parti, chiamandole tribù parimente : e congiunte queste alle quattro urbane se ne ebbero trenta inAutte : ma Yenonio dice che se ne ebbero trentuna : laddove Catone ben più autorevole di essi (,) afferma che le tribù ne’ tempi di Tullio furon tutte, non però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli atupizj divisa la campagna in tante parti, quante mai furono, apparecchiò su luoghi montuosi e fortissimi degli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o castelii, onde renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si rifuggivano ndle irruzioni de’ nemici, e quivi spessissimo pernottavano. Ci aveano in questi de’ presidi incaricati di conoscere i nomi de’ coloni, contiihnenti a quel borgo, e li poderi su quali viveano. E se mai portava il bisogno di convocare que’ contadini per le arme, o di esigere da ciascuno le lasse ; questi li congregavano, o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine non fosse difGcile a trovarsi, ma facile a descriversi e palese; fece erigere degli altari ai Numi contemplatori e custodi del luogo, perché quella ogni anno vi si riunisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj, istituendo  Di Fabio • di Venonio.  tal (ine la festa soleanissima delta dei viUagi ."^Anzi intorno a tali sagrifizj scrisse leggi che i Romani ser bano ancora. Per tal sagriSzio, per tal celebrità volle cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli uomini, altra le donne, ed alu'a gl’ impuberi : talché numerandosi queste dai, presidi delle sante cose rilevavasi il totale degl’ individui secondo il sesso e la. 6tà. E volendo, come scrive Lucio Pisone nel primo degli annali, conoscere quanti erano domiciliati in Roma, quanti vi nasceano o vi morivano, o toccavano  la età virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare per ognun che nasceva nell’ erario di Eileitia, detta dai Romani Giunone Lucifera, o in quello che chiamano di Venere Libitina, là nel bosco, per ognun che moriva, o in quello della Dea Gioventù per ognuno che alla virile età perveniva. Da queste monete intendeasi ogni anno quanti erano in tutto, e quanti aveano idoneità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. registrassero, apprezzandoli inargento, i lor beni, e giurando di apprezzarli come dee 1’ uomo candido e buono t e che insieme dichiarassero quanta era la età loro, quali i padri loro, le mogli, ed i figli ; aggiungendovi dove in città soggiornassero, o in quale de’ villaggi d^Ho campagna ; e chi non &cea pari stima era in pena spogliato de’ beni, flagellato e Venduto. Dorò questa legge lungo tempo tra Romani. XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e rilevatone il numero di essi, e la grandezza de’ beni loro introdusse (l) Ciut Paganaliu. una instituzione savissima che fu poi larga fonte di beat a’ Romani, come il fatto stesso Io dimostrò. La islit zione fu di segregare dal resto del popolo quei che aveano sostanze più grandi non però minori di cento mine, e di ordinarli in ottanta centurie , le quali, armandosi, portassero scudo argolico, elmo di bronzo, corazza, stivali, asta e spada. Poi separandole tutte in due parti formò quaranta centurie di giovani per le spe> dizioni in campo aperto, e quaranta de’ più adulti, le quali in città si restassero per custodirla quando le altre uscivano per la guerra. E questa era la milizia, prima di ordine ; per altro i giovani aveano sempre il primo luogo onde proteggere tutta l’armata. Dal residuo quindi del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno di cento mine non però più scarse di settantacinque, compar lendoli in venti centurie che portassero arme, simili a quelle de’ primi, toltane la corazza e dato ad essi lo scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo quelli di oltre quarantacinque anni dagli altri che aveano età militare formò dieci centurie di giovani, le quali an Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua: può sigaificare centuria, manipolo, coorte. Il traduttore latino la interpreta per centuria : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve riflettersi che cengia: vai quanto compagnia di cento, laddove in questo luogo non significa cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di questo libro significa ben altro che cento. Tra I LATINI ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il primo era detto cevrir da’ Greci, ed il secondo Bv/if i il primo era più breve e sièrico, l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un popolo che più non usa quelle armi non ba forse parole ben disliute o note pet indicare la doppia forma. Targa, Rotella o Broccbiero può forse dirsi il C/fpeus, e scudo è voce generica di ogni sorta di quelle armi. Digitìzed by Google a8 DELis Antichità’ romane dassero in guerra per la patria,  dieci di anziani che in gtiardia rimanessero delie mura. Era questa la milizia, seconda di ordine, e prendea luogo dopo de' primi nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta; ma ne minorò T armatura non solo delle corazze come alla seconda; ma de’ stivali ancora. Descrisse pur questi in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età, talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’ più maturi. Era il luogo loro nelle battaglie appunto dopo quelli che seguivano i primi. XVII. Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli che avean meno di cinquanta, e non meno mai di venticinque mine; disponendolo in venti centurie, dieci dei floridi, dieci de’ provetti per anni, come avea fletto cogli altri ; e dando loro per arme scudi, aste, e spade, e r ultimo posto nelle battaglie. Reclutò la quinta milizia da quelli che avean meno di venticinque mine, non però meno di dodici e. mezzo, acconciandola kcondo gii anni di ognuno in trenta centurie, quindici de’ più avanzati, e quindici de’ più giovani. Diè loro strali e Sonde, ma luogo fuori deli’ esercito, Uiesso in battaglia. Comandò che quattro centurie allatto inermi accompagnassero tutte le altre : cioè due di annajuoli, di falegnami, e di altri per altro militare lavoro, e due di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti pe’ bellici segni. Ma gli arteflci seguitavano la miUzia dà second’ ordine : e distinti anch essi per età, quali se. guitavano le bande de’ giovani, e quali degli anziani. I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean dietro alla miUzia quarta di ordine ; distribuiti anch’ eglino in giovani e vecchi. Erano li centurioni tmcelti fra' tutti li più insigni nelle arme; e reggea' ciascuno la sua centuria docilissima ai cenni. Tale era il metodo onde avessi la soldatesca legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa dai più facoltosi, e più cospicui di lignaggio, e formatene diciotto centurie le dié compagne alle prime ottanta centurie de’ legionarj. Erano pur di queste diciolto, chiarissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una centuria gli altri tutti, ben più numerosi de’ primi che aveano men che dodici mine e mezzo, e gli escluse dalla milizia e li rese immuni da ogni tributo. Cosi risuitaron sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli con greca parola : imperocché quello che noi significhiamo colla voce imperativa colei ( chiama ) lo significan essi coll’altra cala (>) ed anticamente caleseis pronunziavano in vece di classi. Comprendeano queste classi cento novanutrè centurie. Formavano la prima Bovantotto centurie compresevi quelle de' cavalieri : ventidue cogli artefici la seconda : venti la terza : di nuovo ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ; trenta la quinta : ed era dopo queste una centuria uuica la classe de’ poveri (a).  Calo catas tt antico veibo latino por chiamare j donde pur cbbesi la noce Calerule. (a) Classe prima. 9S -seconda aa ' tersa. ao quarta aa quinta 3 o sesta. Introdotto un tale sistema, iatimava i soldati per la guerra secondo le centurie, e li tributi secondo li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci o ventimila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento novantatrè centurie, imponea ebe desse ognuna la sua parte. Calcolando, le spese da farsi pe’ frumenti e per gli bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo gli averi di ognuna tra le centurie, ordinate in cento novantatrè. Seguitò da questo ebe i possidenti piò grandi essendo minori di numero ma divisi io più centurie fossero sensa requie astretti a più guet're, e vi contribuissero danaro più ohe altri : laddove i possidenti mezxani e piccioli quantunque più numerosi, ridotti in meno centurie, non combatteano che alternativamente e di raro, né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che non possedeano quanto rìchiedevasi, erano intatti da ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma persuaso che gli averi sono per 1 uomo il premio della guerra,. e ohe ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta cosa, ohe chi pericola su più beni, più ancora al pericolo si opponga colla robba e colla persona : che men di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e finalmente che chi non teme per cosa ninna non sia nemmeno in cosa alcuna aggravato, immune da’ tributi perchè bisognoso, e libero dalla guerra perchè libero da’ tributi. Imperocché li soldati Romani militavano allora, ciascuno a spese sue non lo stipendio riceveano dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contribuire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quotidiano : nè che colui che non contribuiva militasse a spese altrui qual mercenario. G)sl rivolse Ai più ticchi tatto il carico de’ pe ricoli e delle spese : vedendo però che sen disgustavano^ nè raddolcì per altro modo il mal contento, e ne rat temperò lo sdegno, concedendo ad ewi tal prerogativa per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i poveri. Nè comprese il popolo di ciò che facessi le con srguenze. Era la prerogativa ne’ comitj, ove dai popolo risolveansi. le cose le più gravi. Ho già detto di sopra come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’ arbitro di tre cose grandissime e necessarissime : cioè di eieg> gere i suoi capi in città e nel campo, di ammettere o di abrogare le leggi, e di conchiudere la guerra o la pace.' E tali cose discuteva, e decidevate il popolo per curie, parrggiandovisi il voto del grande a quello del picciolo possidente. ^ E siccome pochi, come avviene, erano i facoltosi ; ma più assai li poveri; cosi preva leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei ricchi la prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare vagli di' far creare i Magistrati o discutere le leggi, o Conchiudere la guerra teneva i comizj non più per ci^ rie, ma secondo le centurie anzidette. E prima chia mava a dare il Suo volo le centurie di maggior possi densa le quali èrano ottanta di fanti e diciotto di cavalieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre  quando fossero unanimi, superavano le altre ; e la di scussione avea fine. Che se non si univano queste in uu parere ; invitava allora le ventidue scritte nel se coud’ ordine., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac  Erauo noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue. cbianuva le centarie di terz’ ordine : iodi quelle del quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si trovassera consentanee. Che se ciò non ottenessi neppure colla quinta, chiamata, ma le cento novantadue centurie si contrapponeano con parti eguali.; invitava allora 1’ ultima centuria che era de’ bisognosi, e però libera dai tributi e dalla milizia. E qualunque fosse la parte alla quale accostavasi questa centuria ; quella preponderava. Ma ciò era ben raro a succedere, per non dire impossibile ; mentre il più delle discussioni termi navasi col chiamar de’ primi ordini senza procedere al quarto. Doud’ è che l’ invito de’ quinti e degli ultimi superduo riusciva. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso de’ ricchi, Tullio deluse, come ho detto i poveri ; né sei conobbero, e furono esclusi dalle cariche. Immaginavano questi che essendo richiesti un per uno a dare il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egual parte nel tutto : ma s’ ingannavano : perchè uno era il voto della intera centuria, e qual centuria conteuea. men cittadini e quale più i^sai ; e perchè prime votavano le centurie più ricche, più numerose per serie, quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo era il voto de’ bisognosi, quantunque fossero i molti ; ed aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ricchi, quatunque assai soggiacessero a spese, né avessero mai requie da’ perìcoli della guerra, men sentivano il  Erano le centurie senza l’ultima 193. numero la cui metà è 96. Affinchè dunque vi, fusse preponderanza doveva un parlilo nascere almeno da 97 e I' alito da 96 ocniutia.peso ; perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime cose, ed aveano tolto agli altri tutto il potere. Altronde i poveri se non aveano che la minima parte nelle pabbliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè liberi dai tributi e dalla guerra. Dond è che que’ medesimi i quali consigliavano ciocché era da fare ; quegli appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere. Durò tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei fu variato, e renduto più popolare per forza di grandi necessità, non perché le centurie fossero disciotte ; ma perchè non più serbavasi 1 antica diligenza nel chiamarle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho veduto.: ma non è questo il tempo conveniente a parlar di ciò. Tullio data cosi regola al censo, comandò che tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande dinanzi Roma : e là, messi in squadre i cavalieri, ordinati li fanti in battaglia, e ridotti i soldati leggeri, ciascuno nelle proprie centurie ; li espiò con un toro, un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre volte le vittime intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia a Marte, Nome sovrano di quel luogo. Anche a miei giorni vengono i Romani purificati con egual cerimonia, che essi chiamano lustro, dopo &tto il censo, da que’ che n’ esercitano' il magistrato santissimo. Come rilevasi da’ libri de’ censori, il, catalogo de’ Romani che si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro mila settecento. Prese questo re non picciola provvidenza per ampliare le classi del popolo, ideandone de' mezzi sfnggiti a suol predecessori. Imperocché provvidero questi a far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio concedè che entrassero a parte della repubblica pur gli schiavi Fenduti liberi, se mai non volevano ripatriare. Àdon que permettendo che registrassero le loro sostanze iusieme con gii altri uomini ingenui gli ascrive fra le tribù urbane che erano quattro fra le quali ritrovasi aa cora la discendenza dai liberti, e fece che vi godessero quanto gli altri vi godeano di diritti.  Disgustandosi di questo e mal sopportandolo i Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho meravigUctvasi primieramente de' malcontenti se credei vano che t uomo libero differisse dal servo per natura piuttosto che per la, sorte : e secondariamente se mv~ stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi né dalle maniere, ma dalla prosperità, vedendo quanto caduca, e quanto mutabile sia la prosperità, mentre TÙuno, nemmeno de’ più felici, può dire quanto tempo gli durerà. Considerassero quante città barbare e gre^ che erano di serve divenute libere, e di libere serve. E qui condannava la grande loro incongruenza mentre rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad essi invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto a non liberarli, se malvagi li riputavano: ma -se ripa tavanli buoni, non li vilipendessero quantunque forestieri. Dicea, che ben era informe nè savia cosa che essi ammettessero alla loro cittadinanza tutti i forestieri, senza distinguerne la sorte, o por mente, se erano servi divenuii liberi ; e poi tenessero come indegni di tal graeia ^elli stessi che erano da loro liberati : e dicea, che essi i quali credeano più saperne che gli altri non vedeano poi le cose presenti, elementari, e piane anche ai più inetti': cioè che assai penserebbero i padroni anon rendere liberi cosi di leggeri i servi se poi doveano accomunarseli alle cose più grandi fra gli uomini : e che i 'servi assai più si studierebbero di far Fatile de’ padroni, se capivano che resi liberi sarebbero ancora cittadini di una città grande e beata ; e che ambedue questi beni Se gli avrebbero appunto dai padroni. Da ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricordava a chi io sapeva, ed a chi noi sapeva insegnava, che una città che aspiri al comando, una città che pre pansi alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto F aumentò del popolo, onde aver forze contro tutte le guerre, e non distruggere Ferario con assoldare gli estranei, perciò dicendo che i primi re concedevano a forestieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la sua legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una gioventù numerosa, nè sarebbero mai scarsi di soldati ; anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero astretti far guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora oltre le pubbliche, altra utilità non poche pe’ ricchi se lasciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel maggiore bisogno favoriti co’ voti o con altre decenze, e la scerebbero ne’ discendenti di essi altrettanti clienti ai posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si am> mettesse un tal uso in repubblica: e vi persevera ancora, custodito come una delle leggi sacre ed inviolabili. E poiché son venuto a tal parie di narrawoue ; parmi necessario adombrare i costami de’ Romani in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè niuno riprenda nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già liberi, né quei che la legge ne ammisero, quasi abbiano incautamente abolito istituzioni bellissime. Ottenevano i Romani dei schiavi per giustissime guise:' imperocché gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali qual preda all’ incanto, o concedendo un capitano che si appropriassero i presi in gnerra insieme con altre cosej o redimendoli da altri che gli aveano. con eguali marniere acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri che lo riceverono e serbarono; tennero come vituperoso e nocivo al pubblico il costume pel quale si ridonasse la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a quegli uomini che spogliati in guerra di patria e di libertà si erano utili dimostrati verso i primi che gii aveano soggiogati, o verso altri che gii avevano comperati dai primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo era il più onoridco mezzo onde riaversi : pochi ne sborsavano un prezzo, accozzato con legittime e caste fatiche. Non è però così di presente, ma sono le cose in tanta confusione, e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite e bruttate; che chiunque trae danaro da crassazionl^ da sfasci, da prostituzioni o per altre ree guise, costui con tal prezzo redimesi, e diviene un Romano. Ottengono altri un tal dono dai loro padroni, divenutine i complici degli avvelenamenti, delle uccisioni, e. delle ingiustizie contro la : repubblica e contro gl’ Iddj : tal altri Digitized by Goo e de’ Veietiti, -già prime ad insorgere, e colpevoli di aver mosso le altre alla guerra co’ Romani, queste in pena le multa della campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco alla cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra ' ed in pace, e fondati due tempj l’uno nel Foro boario, e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna sembratagli propizia tutti i suoi giorni, e da lui chiamata Kirile come chiamasi ancora  ; alGne provetto assai per età, nè lontano ornai dal suo termine, morì tra le insidie dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste insidie ma ripigliandone il GIo alquanto da lungi. Avea Tullio due Gglie, nategli da Tarquinia, sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di Tarquinio, diedele appunto a questi per mogli, la più grande al più grande, e la minore al minore ; cosi parendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ;  Tullio fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74  Ma la fortuna ViriU fu coosccrata da Anco e non da Serrio secondo lo stesso Plutarco De Fortuna Roman, se non che per la diflbrmità de’ costami si trovò ì’ua genero e l’ altro accoppiato col sao contrario. Lucio il maggiore, baldanzoso, caparbio, tiranno per indole, ebbesi la fanciulla, savia ^ mansueta, piena di amore paterno: laddove Arunle il più tenero, mite molto per genio e tutto affabile, se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e tutta odio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ognuno a seconda del genio suo venivane ripiegato in contrae rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a tale disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto della consorte. In opposito il mite sposo, fermo in cuor suo che non aveasi ad offender il suocero ma che do veasi aspettare che la natura ne consumasse la vita, ni tollerando che il fratello commettesse quella ingiustizia, era spinto in contrario dalia ribalda sua compagna, che lo istigava e garrivalo, rimproverandolo come vile. E poiché niente poteano nè le suppliche della savia donna che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo, nè le istigazioni della malvagia che provocava ai delitti Taomo suo, che non era temperato a commetterne; ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per molesta la compagna perchè non avea desiderj uniformi ; la prima ne piangeva, ma comportava l’acerbo suo caso, quando l’altra fremevane audacissima, e cercava come togliersi dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata, considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito della sua germana, sei fa eh iamare, quasi per abboc carsegli di necessarie cose. E poiché fu venuto; ordinando che si rititasserò quanti eran seco per discorrere sola con solo Or su, disse, o Tarquinio posso io liberamente e senza pericolo ridire quanto medito pel bene di ambedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire ? o vai meglio che io taccia, nè palesi V arcano' consiglio ?, £d invitandola Tarquinio à dire, e certificandola coi giuramenti, qualunque ne volesse, cbe-taóerebbe i discorsi ; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘ amici che abbondano, ed altre comodità copiose e grandi per imprendere. Che più, dunque t’ indugj ? u4 spetti forse il tempo che per sé stesso venga e ti dia la corona senza che pur te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ? Jippunto la fortuna riguarda gl’ indugj degl’ uomini, appunto la natura pon fine alle vite secondo la proporzione degli anni ! Anzi oscuro, incomprensibile è f esito delle cose mortali. Sebbene, io lo dirò pur francamente, quandi anche tu me ne chiami temeraria, una a me sembra, una la causa per la quale niente commoveti, non l’ amor degli onori non della gloria. Hai tu donna mal conforme a tuoi modi; e questa li lusinga, e t’ incanta, £ ammollisce : e da questa rendalo men che uomo diverrai finalmente un ignoto. Così pure quel marito eh’ è meco, tutto paura, e senza nulla di virile, quegli ha depresso me ch’era nata alle grandi cose, quegli ha fatto il fiore languir di bellezza che mi avvivava. Se portava il destino che tu prendessi me per moglie ed io te per marito, già non saremmo tanto tempo vivati nella ignobilità de’ privati. Che dunque non emendiamo le colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimonio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ? Io sì che apparecchio per quel mio marito /’ egual trattamento. E quando, spenti questi ^ ci sarem conjugcUi y allora consulteremo con 'sicurezza sul resto, liberi già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so altri per cUtre cause teme la ingiustizia ; già non è da riprendersi chi tutto ardisce per dominate. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai> quinio con diletto i disegni : e dando immantinente e ricevendo i pegni di fede, e le primizie dell’ empie nozze, si ritirò. Non andò guari tempo ; .e perirono p^ eguale sventura la primogenita di Tullio, ed il minor de’ Tarquinj. E qui sono astretto a far parola di nuovo di Fabio, e riprenderne la negligenza nell’esame dei tempi. Imperocché fattosi alla morte di Arante non. pecca per questo capo solo come io dinanzi dicea, che deaerivelo per figlio di Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che narra, che mortosi Arunte fu sepolto dalla madre Tanaquilla, la quale non potea di que’ tempi più vivere. Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei numerava settantacinque anni, quando mori Tarquinio. Ora aggiungi a questi altri quarant’ anni, giacché sappiam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno quarantesimo del regno di Tullio; e saran gli anni di Tanaquilla cento quindici. Tanto picciola nelle storie di que^ st’ uomo é la cura intorno la ricerca del vero ! Dopo ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una moglie, ricevendo lei da lei stessa, e senza che la madre approvasse, o consolidasse il padre quelle nozze. E come que’ due impurissimi, come que’ due micidiali si congiunsero, tentarono di cacciare se noi cedea di buon grado, Tullio dal trono: e teneano perciò delle conventicole, e raunavano que’ senatori che aveano cuore alieno da lui e dalie forme di un governo’ popolare, e comperavano i più bisognosi della città quei che non Bveau cura ninna della giustizia, facendo intanto tutto senza nasconderlo. Tullio vedendo ciò, ne fu contur baio, e temette di essere sorpreso da qualche infortunio. Nè dovrebbesi meno se dovesse far guerra alla figlia ed ai genero, e pigliarne vendetta come di nemiri. Adunque invitò molte volte Tarquinio a discorso in mezzo degli amici ; ora redarguendolo, ora ammonendolo ed ora esortandolo a non far contra lui mancamento. Poiché però costui non lo attendeva, e pretestava che direbbe in Senato i suoi diritti; egli stesso adunando il Senato, incominciò : Tarquinio o senatori ( e ben mi è ciò manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~ quinio m insidia lo scettro. Io da lui voglio, presenti voi, risapere, qual privata ingiuria ha da me sostenuta, o qual vede che io ne ho fatta sul pubblico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio, non '{infingere, di che avresti tu mai per incolparmene? È questo il Senato, ove di essere udito desideravi. E Tarquinio replicò : Breve o Tullio sarà il dir mio, ma giusto ; e però voleva io profferirlo tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia di Roma, e molti e grandi travagli sostenne per essa. £ lui morto, io, gli debbo succedere secondo le leggi comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi, come si conviene a quei che succedono agli avi, che io ne ereditassi non pur le monete, ma la reggia : e tu mi davi le une, come lasciate da esso, e mi toglievi la reggia, e già da tempo la tieni, senza averla mai ricevuta a norma delle leggi : perocché nè gl’ interré vi ti scelsero, nè i senatori mai per te davano il voto, nè assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo mio e come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono,e comperando e subornando per ogni modo una turba di vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella stima per le accuse e pe’ debiti, una turba infine niente sollecita del pubblico bene : e così andandovi nemmeno dicevi di stabilirlo per te, ma davi' le viste di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi, udendolo tutti, che quando saremmo già adulti, lo renderesti a me che sono il pià grande. Se dunque volevi tu far la giustizia, quando mi consegnavi la casa, quando il danaro dell’ avo ; dovevi tu consegnarmene nommeno la reggia seguendo V esempio dei tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura de’ regi figli, orfani de loro padi’i, rendono ad essi appena son grandi puntualmente e santamente la signoria degli antenati. Che se ancora non io semhravati idoneo a pensieri convenienti, ìiè bastante pei giovani anni a città si popolosa, dovevi almeno restituirmene il governo quando io giunsi ai treni anni che son gli anni vegeti del corpo e della mente, e ne’ quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi pur tu questa età quando prendevi la cura della nostra casa e del regno. Ti sarebbe, cosi facendo, accaduto di esserne detto pietoso e giusto, di essere il partecipe de’ miei consigli, il partecipe degli onori, e di udirmiti chiamar padre, e benefattore  e salvatore ; e con ogni bel nome, quanti ne sono destinati dagli uomini per le assioni le pià preziose ; nè io già da quarantaquattr anni sarei privo del regno, io non informe di corpo, io non disadatto di mente. E ciò stando y osi pur dimandarmi quale aggravio io ne senta, sicché io labbia per inimico, e te ne accusi? Anzi dX, Tullio, dì per qual causa non mi stimi tu degno degli onori delt avo ; dì, qual ne trovi, qual ten ^ngi buon titolo di tal mia privazione ? Non pensi forse che io sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spurio ? Come dunque tu curavi un estraneo da quella famiglia ? o come, quando ei crebbe, gliene rendevi la casa ? O pensi che io non lontano molto dai cinquant’ anni > io pur siegua ad essere un orfano ? un incapace ed moneti del pubblico ? Lascia dunque gli schemi di domande invereconde; cessa una volta di esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere io, son pronto di rimetterle a questi giudici, de’ quali tu non potresti ih città rinvenirne altri migliori. Ma se di qua levandoti ricorri tu, come sempre solevi, a quella tua ligia moltitudine ; già non sarà che io mel soffra. Io qui sono appeaecchiato disputare sul giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo, se non miascolti. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso, così disse : Quanto è vero o senatori che dee t uomo aspettarsi ogtd caso pià impensato nè crederne assurdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi dal pritKÌpato : questo Tqrquinio, else io prendea, che io salvava fanciulletto da’ nemici che lo insidiavano, che io educava e crésceva, e cresciuto, ' compiaceami di avermelo a genero, ed erede infine di tutto se io patissi umana vicenda. Ma poiché tutto mi riesce in contrario, e che ne sono ami accusato come ingiusto ; serberommi a piangere la mia sorte, rispondendo ora su miei diritti a fronte di lui. O Tarquinio, io presi la cura di voi lasciati fanciullini : nè già di voler mio, ma costrettovi dalle brighe, la presi. Imperocché si dicea che quelli ette aveano manifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il tròno, avrebbero occultamente insidiato • anche tutto il parentado : e quanti a voi per sangue si riferiscono, tutti confessano, che se quelli restavan gli arbitri del comando, non avrebbero pur seme lasciato della stirpe de’ Tarquinj. Non ci avea curar tore, non tutore ninno di voi se non una donna, la madre del vostro padre,. bisognosa ancor essa di alr tri curatori per la cadente età siui. Rimanevate vm solo a me corifidati, custode unico dell orbitade vostra, a me che ora chiami un estraneo, un che niente a voi si appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al comando io punii gli uccisori' deU’ avolo vostro', e ’ voi crebbi allo stato di uomini, nè avendomi prole virile, io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E questo o Tarquinio il discarico della mia ‘cura; nè già potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna,. Ma quanto al regno, poiché di questo mi accusi, odi come io me ìo abbia^ e le Cause per le quali non a voi lo ceda, nè ad altri. Quando io presi 11 governo, avvedutomi che mi si tramavano delle insidie, volea nelle mani riporlo del popolo. E chiamando tutti a concioAe, io già faceami a cedere il comando per cambiare con una vita di calma e senza pericoli^ la vita del comcmdare, la quale è piena di invidia, e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non comportarono i Romani che io tanto eseguissi, nè vollero alcun altro sul Comune, e me ritennero, ed a me diedero col consenso de’ voti, il régno, quel possesso loro, o Tarquinia, e non vostro. Così pure l'Oveano già dato all’ avolo vostro tuttoché forestiero, e niente congiunto col re precedente ; sebbene Anco Marzio lasciava de’ figli maschi e floridi per anni ^ e non de’ nipoti, e piccioli, come Tarquinio voi lasciò. Se legge è comune di tutti, che chi eredita le sostanze e i danari dei rei che cessano, debba insieme r,iceverne il regno, dunque non fu Tarquinio l’ avolo vostro che al morire di Anco ottenne là cotona, ma il figlio primogenito di questo. Ma il popolo di Roma chiama al comando t uomo degno di averlo, e non il successore del p’adre. Imperciocché giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma che il regno sia di quelli che il diedero ; giudica convenirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o per testamento se i padroni sén muojono, e che tomi l’ altro a chi ’l diede se vien meno chi preselo a reggere •; se non forse hai tu da contrappormi che I avolo tuo ricevette il regno con tal condizione che non potesse pià tortegli, e che lo tramandasse a voi suoi discendenti; sicché non fosse pià t arbitro esso popolo, di conferirlo a m, levandolo a voi. Ma se hai tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli hai tu questi patti. Che se io non ebbi il regno per buona via come dici, noneletto dagf interré, noti portato dai senatori agli cffari, né compiendo il resto a norma dette leggi; questi dunque, .questi ho 10 vilipesi e non te : e questi e non tu, saria giusto che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi, né cdtro chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che 11 potere mi fu dato legittimamente, e che legittima^ mente mel tengo. Imperocché già ne volge I armo quarantesimo e niun Romano pensò mai che io commettessi, avendolo, una ingiustizia ; e non il popolo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene. Ma lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo alle tue ragioni. Se io te privava di un deposito delt avo, se io mi ascrissi il tuo regno contro. tutti i diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne andassi che mel diedero : che con quelli ti ramaricassi e garrissi che io mi tenga te cose non 'mie ; è che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui: e se tu il vero dicevi; di teneri gli [avresti persiutsi. Che se tu non certificavi ciò cotuoi parlari ; e tuttavia pensavi, indebita cosa che io regnassi, e che tu sei pià acconcio al maneggio del pubblico ; potevi almeno, fatta ricerca diligente de miei errori, e numerate le belle tue gesta, riclamartene giuridicamente la precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F altra cosa; e dopo tanto tempo, finalmente, quasi riavendati da lunga ebbrietà, vieni per accusarmene  e nemmen ora dove si dee. Canciossiachè, già non conviene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne sdegnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi si tolga questa causa, ma per dichiararvi li costui vanilotfuj ), ma conveniva che preaccennandomi tu. che aduneresti il popolo a conciane là mi accusassi. Ora ciocché hai tu schivato, lo supplirò io questo per te :• convocherò il popolo, lo Jarò giudice delle Mense che òuoi : lascerò che decida di nuovo, qual sia pià idoneo di nói per comandare ; e quello che là destinasi, quello adempirò. Ma basti il fin qui detto a risponderti : perciocché toma allo stesso dir poche o molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano, men-, tre questi per indole nemmen soffrono ciocché li per-, suada ad essere umani. Ben io mi meravigliava o senatóri che sdeuni di voi (se ve ne sono ) volendo depor me, cospirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per qual mia ingiustizia mi fan guerra, o da quale mio trattò inaspriti. Sanno essi forse che assai nel mio principato, perirono senza essere uditi, assai furono spogliati, di patria, assai delle sostanze, o con altro sciagure affitti ? o non avendo a ridire su me niun tirànnico modo di questi, sono essi forse conseqtevoli delle, mogli lóro da ma disonorate ; delle prof ansate loro verini figlie, o di tal altra mia incontinenza su ingenue persone ? Egli è giusto se in me sorto tali eplpe, che io sia, nonuì del regno privato, che della vita. O può .dire alcuno che un superbo io sono, un esoso per la mia durezza, un-iiHollerabile per la mia caparbietà nel governare ? Qual mai dei re predecessori fu così moderato, così umano nel suo potere, o qual fu con tutti come me, quasi un tenero patire co’ figli? Io quel potere che voi mi deste, voi custodi di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le approvaste queste leggi) su cose principalissime,• e le intimai perchè tutti esigeste e rendeste cots-esse i diritti, ed io stesso il primo mi vi sottoposi, docile come un privato agli ordini, che io dava per nitri. Che più : non io mi tenni giudice di tutte le ingiusti-‘ zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-, vate} ciocché ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon de, non vedesi in me colpa sicché altri me ne contrarino. O turbano voi forse i benefizf miei verso del popolo ? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi ! se già tante volte con voi me ne giustificai. Se nonché niente bisognano discorsi tali : se a voi pare chequesto Tarquinio, preso il govermo, sia per ammiinistrarvelo anche meglio : io non invidio a. Roma .il suo miglior principe. Restituendo il comandò al po-^ polo che mel diede, e tornandomi tra privati, farò che vedasi chiaramente che io sapea tanto, ben' io minare, ' quanto io posso dignitosamente servire^. 55 ascese in tribuna, e tennevi un patetico e Inngo ragionamento óve numerò le gesta militari eh’ egli iece mentre viveva Tarquinio e dopo, e .ricordò mano a mano le istitnaioni donde sembrava il Cornane prosperato di, molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni fatto -amplissime lodi, e desiderando ornai tutti sapere perchè li ridicesse, palesò finalmente come Tarquinio accusa• vaio di' egli tenesse a torto un regno che a lui si doveva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire lasciato con le ricchezze anche, il regno, e che non po-, teva il popolo concedere ciocché suo non era. E qui -^Vegliatosi in tutti clamore, ed. indignazione, egli intimando silenzio, piega vali, che non impazientissero nè tumultuassero a quel dire : ma chiamassero Tarquimo, e se. forse aveva giuste cose da esporre le conoscessero: e se lo trovassero offeso, e se. piò idoneo a reggere, gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne allontanerebbe, e renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe. Cosi lui dicendo e movendosi già per,i iscendere dalla ' tribiina,, proruppe da tutti un grido, un gemito, un pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci avea por chi esclamava elve si avesse a tempestare Tarqninio : e colui, vista in fremito la moltitudine, temendo che non gli desser di mano ; foggiasene cogli amici in casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra gli applausi e le acclamazioai Tullio alla reggia. Tarquinio, veuutogK meno, quel tentativo, fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn aiuto, quàndo egli fidava su questo principalmente; e teuniesi per alcun tempo in casa non conversandolo che gli amici. Quando la donna sua gli si fece a dire elle più non dovea star mollemente a bada, ma ebe dovea^ lasciate le parole, Tenire ai fatti, e primieramente cercar pace per mezzo degli amici da Tnib'o, perché colui credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E parendogli eh’ ella ben consigliasse, finse di esser pentito, e più volle per .mezzo degli amici Orò caldamente Tullio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse, essendo placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra inestinguibile colla figlia e col genero. Ma venutogli poscia il buon ponto, essendo il popolo sparso ne’ campi per la raccolta, egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto ' d^li abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e presa per se regia veste ed altri simboli del comando, si recò net F oro ; e standosi dinanzi la Curia, intimò che il banditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel Foro appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed istigatori del delitto ; allora si concentrarono. Intanto corso alcuno in casa di Tullio lo informa come Tarquinio' ersi uscito con regie vesti, e chiamava i Padri a consiglio. Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito con più velocità che saviezza: e giunto nella Curia) e vedutolo in sul trono, e con gli altri distintivi reali, chi, disse, chi, scelleratissimo uomo, ti concedè questi onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la tua inverecondia o J\dlio ; perocché non essendo tu libero, ma servo nato da serva  e posseduto qual prigioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di Roma. Tullio, ciò udendo, inaspritone, à biqciò fnor di proposito su lui, come per isbalzaflo dal trono. Vide. 5'J TaitjaÌDio ciò con diletto ^ e sorgendo dalla regia sede afferra e trasportasi Ini vecchio, che grida, ed invoca i suoi. Giunto fuori della Curia egli florido e forte, le vaio in alto > e trabalzalo giù per le scale che mettono al luogo de contizj. Alzatosi appena dalla caduta il vecchio, cóme vide intorno, pieno tutto de partigiaui di Tarquioio, e deserto e vuoto de cari suoi, partesene malconcio e mesto con pochi che lo sostengono, e ricoóducoDO, mentre riga intanto la via di sangue.Narransi dopo ciò le opere dell’ empia e barbara figlia, tremende ad udirsi, come portentose nè credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in Senato vogliosissima di conoscerne la fine, venne in sul cocchio nel Foro : e conosciutavela, e veduto Tarquinio in su le scale della Curia, essa la prima a gran voce lo salutò monarcA, supplicando gF Iddii, che il regno di hii riuscisse propizio a Roma. E salutandolo monarca altri ancora de’ cooperatori suoi, • lo trasse in disparte e di^se: Le prime cose o Tarquinia te hai Ut faUe come àoveansL Ma finché vive TuUio non potrpi renderli stabile il regno. Egli se abbia picciolo tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il popolo ; e tu sai’ quanto il popolo tutto è per lui. Su dunque' prima ih ei torni in casa, manda chi lo uo cida ; te ne libera. Ciò detto, e sedutasi di nuovo in sul cocchio,. parti. Tarquinio convinto che la iniquissima donna ben consigliava, spediscegli contro alquanti de’ suoi  co brandi : e quelli trascorrendo rapidissimaménte la via raggiunsero Tullio pressò la casa, e lo uccisero. Abbandonato palpitavane ancora il cadavere per la strage recente ; quando la figlia sopraggiunge : ma stretta essendo la via donde avessi à passare le mule a tal vista si spaventarono : e 1’ auriga stesso .che le guidava mosso da compassione si fermò e si volse a colei. La quale dimandandogli perchè mai non procedesse : Non vedi, disse, o Tullia, che qui giace U morto tuo padre, nè vi è transito fuorché, sul cada- vere suo ? E sdegnatasene quella, e levatosi lo scAbello da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto in sul morto ? E colni gemendo anzi per la compassione elle per la percossa spinse forzosamente le mole so del cadavere: E la via chiamata Olbia  per addietro, fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF idioma de Romani scellerata.  Tale è il termine di Tullio dopo quarantaquattro anni di regno. Dicono che qnest’nomo il primo alterasse ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo il principato non' dal Senato insieme, e dal popolo come tatti i re precedenti ma dal popolo. sedo, guadagnane dosene la classe > indige nte con' distribnzione e'donii, ^ altri sedncimentL E cosi sta la'veritè; perciocché' nei •> (l) OAjStar >0 greco saU fiUce, firtunaUn sareiiba il teina che la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata pel delitto. Alcuni leggono va-fis io luogo di tXfittf, certamente, secondo che scrive Varrime nel lib. ^, de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono ai Romani, chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si alloggiarono come per buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigniScava il bene. E secondo ciò la contrada, detta Cipria o. buona dni Sabiui pel buon augurio, sarebbe appunto quella ghe fu. poi della scrllerata per la empietà commessavi. Ma Varrone .scrive che questa contrade cran prossime, e non già le. medesime.. prifni tempi quando un re moriva, il popolo dava al corpo del Senato la podestà di stabilire la forma che pià volessero di governo, ed il Senato nominava gl’interré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più pregevole sia de’ cittadini, sia de’ nazionali, sia de’ forestieri : e se il Senato ’ne approvava la scelta, se il popolo co^ voti suoi r aotorizzava, se gli anspizj la confermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava alcuna di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secondo ; e poi un terzo, se avveniva che il secondo non avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e dagli' notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo in principiò il carattere di regio tutore, e poi guadagnandosi il popolo con gli amorevoli modi', fu -re nominata solamente da quello Poi • diportandosi come uomo temperato e clemente fe' colle opere successive tacere le accuse, che non avesse adempita ogni cosa a norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il 'sospetto, che se non era presto > levata; avrebbe' ridottolo Statoa forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion principale. per ui dicesi che alenai de’ palrizj lo insidiassero^ Pionr potendo con altro modo hnirne il comando, inisero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^ per voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente pel ' governo  tura un giorno ; nella prossima notte spirò. S’ ignorava però da molti la maniera del termine suo. Diceano alcuni eh' ella stessa aveasi data da sé la morte, anteponendola al vivere. Altri però diceano che era stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo addolorata e benevola inverso lo sposo. Per queste cagioni il corpo di Tullio fii privo di regj funerali, e di magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU | fosse caro agl’ Iddìi lo., fece eziandio palése nu segno celeste : dond’ è che alcuni tennero ancora per vera la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua come dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio delia fortuna, che egli area già fabbricato, mentre tutto era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente la statua di lui in legno dorato.. Il tempio e quanto .è' nel tempio rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico presentano le traccie di un’ arte recente: ma la statua, antica com era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il qulto dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra Tullio. Dopo di lui prese la siguoria di Roma Laicìo Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle armi nelr anno quarto dell olimpiade sessantesima prima nella quale vinse nello stadio Agatarco, essendo arconte di Atene Tericleo. Cosmi spigando la popolar moltitudine, spregiando i patria] da’ quali era stato condotto al trono, e confondendo e sconciando ogni costumee legge e disciplina colla quale i re precedenti ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna manifesta tirannide. E primieramente mise intorno a sé guardie di bravi, naaionali ed esteri, con spade e lan ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia, é scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber missero appieno dalle insidie.' Inoltre non usciva nè di continuo, né con periodo certo, ma di raro, e quando non aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto in sua casa, e poco nel F oro, in mezzo a’ parenti più stretti cbe lo guardavano. Non concedette che alcuno di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi chiamava : e presentatoglisi, non era giè con esso, compiacevole e mite, ma grave ed aspro ' come un tiranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere. Definiva le controversie su’ contratti in conformità de’ costumi suoi, non delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni i Romani lo denominaron superbo, ciocché nell’idioma nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo col soprannome di Prisco, o come noi diremo antico per nascita, giacché quello aveva i nomi appunto del giovine.  NelP annp e di Roma secondo Catone, a seconde Vatreus, e &3a avanti Cristo. Qaaado poi concepì di aver già consolidato il suo regno, concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami> d, avviluppò tra accuse capitali i piò cospicui de’ cittadini ; e primieramente i contrari suoi, quei che già non^voleano che Tullio si levasse dal trono, e quindi altri li quali immaginavaseli malcontenti del cambiamento, o li quali abbondassero di riccbezae. Coloro che in giudizio li riducevano, gli accusavano l’un dopo l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che tendevano insidie al re che ne era il giudice. Ed egli quali ne condannava alla morte, e quali all’ esilio: e confiscati i beni degU uccisi o banditi, dispensavane alcun poco tra gli accusatori, serbandone la piò gran parte per sè. Pertanto molli de’primar} vedendo le ca> gioni per le quali erano insidiati, lasciarono, prima di essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui nelle case o ne’ campi : uomini ben degni di riguardo, ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri. DiBtrutla così la maggior parte del Senato con suagi e con esilii perpetui la supplì con chiamare agli onori di quei che mancavano i propri amici: nè però concedette loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto. Tanto che li senatori già scelti da Tullio, e superstiti ancora nel Senato, e contrarj fin’allora al popolo sul concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per le promesse avutene da Tarquinio ingannevoli e tradiuici, vedendo infine che non aveano piò parte nelle pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per dula la libertà ne sospiravano : ma temendo un avvenire ancor più tetribile, nè potendo impedire pianto faceagi, chctaronsi necessariamente a’ mali presenti. Or vedendo il popolo dò, pensava che stesse lor bene, e godea sul Hintraccambio, quasi là tt> rannida foste per essere 'grave a quelli soltanto e non pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero i mali ancora più su di esso : imperocché Tarquinio annullò tutte le leggi di Tallio per le quali il popolo rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali senza es> seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’ contratti : né lasciò pur le tavole dove erano scritte, ma fattele levare dal Foro le distrusse. Poi tolse i daz), propoiv zionevoli ai registri delle sostanze, tassandoli novamente sul modo antico. E se mai bisognavano a lui denari, Contribuivane il più ' povero quanto il più ricco. Or tale regolamento esaurì subito colla prima imposizione gran parte dei popolo; essendo astretti a pagare dieci dramme a testa. Intimò 'che non più si facessero quei concor, quanti sen facevano per villaggi, per curie', o per vicinati, a Roma, o nella campagna in occasione di feste o sagri6zj comuni, perchè riuneudovisi molti non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere il principato. Ci aveano qua e là disseminati, ignoti osservatori e spie dei detti e de’ fatti, e questi intra punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se scoprivano alcuno esasperato da’ mali introdotti lo in(xilpavano presso del tiranno: ed aspre irreparabili ne erano le pene, se restava convinto. Né gli bastò di abusate m tal modo' del popolo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area 6di e proprj per la gnerra, astrinse gli altri a lavorare in città, riputando che i re moltinimo pericolano, ae i più scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando vivamente che si ultimassero nel suo regno le opere lasciate imperfètte dall’ avo suo, che si continuassero; fino al fiume le cloache cominciate da quello e si circondasse di portici coperti il Circo Massimo il quale -non aveane che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i ottennero parco frumento i poveri, altri tagliandone i materiali, altri guidando i carri che li trasportavano, ed altri portando su le spalle i pesi. Chi scavava sotterranei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi sn. Tarquinio perché aveasi scelto Mamilio per genero e non lui, fece uda lunga accusa di Tarquinio nmnerandone le op^re di orgoglio e di soperchieria, come il nou essere venuto in consiglio, dove eran già tutti, e dove gli aveva esso • stesso invitati. Difendealo Maroilio, imputando l’ indugio a cause urgenti^ime, e chiedea che diiferissero ; e differirono il consiglio al prossimo giorno, indotti dai suo parlare i Latini. (t) Livio nel lib. i dice che era della Aiceia : Tur /mi Herdoiui ai Arida. Forte la gran vicinanta di Coriolo e dell'.tfr(cM Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i terrìtorj Amiate, Ardcatinp, ed Aricino, tal monte Giov. toJOttlQGiunto nel giorno appresso Tarquinio, e congregato il consiglio, e toccato di volo l’ ittjiagio suo ^ fecesi a discorrere della preminenea che a lui cecnpe- teva come posseduta già dall’avo per la forza delle armi; e presentò gli accordi delle città fatti ctm quello. Lungo fu il suo ragionamento intorno dei diritti -e def patti; e grandi le premesse di beneficare le città se amiche gli si tenessero, e provocavale infine a far guerra con esso ai Sabini. Come dié fine al dir suo. Turno recatosi innanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva che li compagni gli cedessero il principato, perchè nè dovuto a lui per giustizia, nè possibile a darsegli con utile dei Latini. E molto ragionò su l’nna e su l’altra cosa dicendo che i patti che avean segnati ccfll’avo suo quando gli accordarono la sovranità finirono colla sua morte, per non essere scritto in quelli che il dono esienderebbesi anche ai posteri suoi. E qui dimostrava eh' egli chè pretendeva succedere ai diritti dell’avo, era il più ingiusto, e malvagio ' de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte per aversi il comando di Roma. Adunque scorrende^ i tremendi e molti suoi delitti, conchiuse infine che egli non tenea legittimamente nemmeno Roma, non avendola come i re precedenti ricevuta da’sudditi spontanei.; Egli t lui presa, disse, colla violenza e ' colle armi: et fondatavi la tirannide, uccide, esilia, confisca, e tòglievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~ vere. Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la ingiuria inverso gli Iddj ripwmetlersi mai tratti umani e benevoli da un empio e da uno scellerato, e credere che chi non ha perdonato nemmeno agi intimi ruoi j nemmeno al suo sangue, risparmi poi gli altri. Esorlavali dunqne giacché noa eransi ancora sottoposti al giogo, a combatto^ per non sottoporvisi. Da ciò che pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché sa rdibero essi per sopportare. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai commossine i più; Tarqainio dimandò per difendersene il giorno seguente, e lo ebbe. E sciolto appena il consiglio ; convocati i suoi più intimi, esaminò con essi ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte di apologia, quali ragionavano fra loro de’ mezzi onde era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse Tarquinio che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le vare l’accusatore, anziché di purgarsi dalle accuse. E lo datone da tutti e concertatosi con essi; pigliò tali vie per l’intento, quali non sarebbero cadute in mente di uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati U servi più rei che menavano i giumenti o curavano le robbe di Turno, e corrottili con argento, gl’ indusse a prendere da sé stesso nella notte assai spade e portarle nell’ ospizio del padrone e nasconderle, e lasciargliele tra le bagaglio. Poi nel giorno appresso, riunitosi il consiglio, e venutovi : Breve è, disse, topologia su le mie colpe, e giudice ne stabilisco t accusatore mede^ simo. Questo Turno, o compagni, giudice stabilito delle reitadi che ora mi ascrive, questo da tutte assolveami già, quando chiese in isposa la mia figlia. Ma poiché ne fu rigettato, com' era ben giusto ( imperocché qual savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un si nobile, un sì potente Latino, e prescelto avrebbe per genero costui, che mal può delincar la sua stirpe, fino al trisavolo ? ) poiché ne fu rigettato, indispettitone mi assalisce colle accuse. Doveva, se per tale mi conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per suocero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese ‘la figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare. E ciò basti su mei perciocché non si debbe ora più discutere se buono o malvagio io mi sia, quando voi, o compagni, voi correte il più grave de’pericoli. E. su me potete aruor dopo chiarirvi : ben ora dee colla salvezza vostra la libertà provvedersi della patria. 1 primarj delle città, quei che ne maneggiano il pubblico, tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il quale apparecchiasi, uccidendo i più cospicui, torsi il regno del Lazio. E questo, questo é il fine che qua lo menava. Né già io parlo immaginando, ma di pienissima scienza, datami nella notte andata da uno dei complici della congiura. E se voi vorrete meco alt ospizio di costui venire, io ven darò documento infallibile del dir mio, le armi che vi occxdla. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie> sero, temendo per sè, che certificasse il fatto,. non gK illudesse. E Torno, come lui che non avea preveduto le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, e chiamò li primarj per compierla, aggiungendo che seguirebbe l’una delle due, o che egli morirebbe se il trovassero con apparecchio di altre arme che pel viaggio, o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava. Cosi piacque ; ed andarono e trovarono nelf albergo cU liti tra le bagaglie le spade na$costevi da’ servi. ÀUora Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono Turno in UDS voragine, e coprendolo, vivo ancora, di terra lo aterminaron sul fatto. Ed encomiando nell’adunanza Tar> quinio come benefattore comune delle città, perchè ne àvea salvalo gli ottimati, lo crearono capo della nazione co’ diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui nio r avolo suo, e poi Tullio. Scrissero in su colonne que’ patti, e datosene il giuramento per la osservanza, si congedarono. Tarquinio divenuto capo de’ Latini spedì messaggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli a far seco amicizia ed alleanza. Ma de’ Volaci due sole cittadi Echetra, ed Anzio secondarono l’ invito ; laddove gli Eroici si decisero tutti per 1’ alleanza. Ora curando Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in ogni volger di tempo ; deliberò fissare un tempio comune ai Romani, ai Latini, agli Eroici ed ai Volaci confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al luogo destinato vi mercantassero, e banchettassero, partecipando de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti con piacere la idea, scelse quanto era possibile in mezzo de’ popoli per luogo della riunione il monte sublime, il quale sovrasta alla città di Alba : e dichiarò per legge che in questo fbsser le fiere, in questo fosse triegua di tutti in verso di tutti, e conviti si facessero e sacrifizi comuni a Giove detto Laziale, prescrivendo quanta parte dovesse ogni città contribuire per essi, e quanta riceverne. QuaranUsette furono le città compartecipi delle feste e de’ sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti nuano ancoc di presente i Romani che Laiine le chiamaoo. I^e città compagne nel sagrificare portano agnelli^' o cacio, o latte, o tal’ altra oblazione in fratti e farine. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna prendeane per sè la parte stabilitale. Il sagnfizio è per tutti, ma presiedono al rito santo i Romani. ^ L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confederazioni ; risolvè di porure Tarmata contro i Sabini. E reclutando de’ Romani quei che men sospettava che farebbonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con essi truppe alleate, più numerose ancora delle sue, devastò le campagne Sabine : e vintivi quei che vennero con esso a battaglia ; menò l’esercito contro de’ Pomentini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi a tutti. Avendo egli già reclamato ad essi per alquante rapine e prede, e richiestili che dessero de’ compensi, non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi postisi in arme aspettavano pronti la guerra. Adunque venuto con essi in sul conBne alle mani, ed uccisine molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e poiché non più ne riuscivano, accampatosi dirimpetto, li circondò di fossa e vallo, investendo la città con assalti continui. Resisterono quei che v’erano dentro, durando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad essi meno ogni mezzo, infiacchendo ne’ corpi, e non ricevendo soccorsi, nè requie mai, anzi travagliando di e notte ; furono sopraffatti dalia forza. Impadronitosi della città trucidò quanti vi stavan colle amie: lasciò che i soldati rapissero donne, fanciulli, quanti sopportavano di cader prigionieri, e moltitudine non facile a calcolarsi di servi : e concedè' che invadessero e si portassero qnant’ altro veniva loro ' alle mani sia nella città, sia per la campagna : ma 1’ oro e l’argento, quanto se ne trovò, lo fe’ tutto rammassare in un luogo, e decimatolo per la fondazione del tempio, ne divise il resto fra le milizie. Tanta poi ne fu la somma che ogni soldato rioevè cinque mine di argento e la decima per gr iddj non fu minore di quattrocento talenti di ar' gento. LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un messaggio, eh' era uscita la gioventù horentissiroa dei Sabini: che gettatasi in dne corpi nelle terre de’ Romani devastavano le campagne, l’ uno tenendosi presso di Ereto, e 1’ altro presso di Fidene : e che se una forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccomberebbe. G>m’ ebbe ciò udito lasciò picciola parte dell’esercito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e bagaglie : e prendendo con sé il resto della milizia, spedita e leggera, e marciando contro quei che erano accampati presso di Ereto, si trincerò su le alture a picciolo intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar la battaglia in sul mattino; e spedirono perchè venisse l’esercito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno per essere stato preso chi portava le lettere dagli uni agli altri. Per tal successo ei si valse di questo accorgimento. Divise r esercito in due parti, e ne mandò l’ una fra la notte di nascosto de’ nemici su la via che viene da Fidene, e schierando l’ altra in sul brillare del giorno, la menò dagli alloggiamenti alla battaglia. Coraggiosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran serie de' nemici, e credendo non altro mancare aliare mata di Fidene, se non di gingnere. Coti venutisi que-> sti a fronte combatterono, e la pugna pendè gran tempo dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tarquinio ripiegarono la marcia, e correvano a tergo dei Sabini. Sbalordirono questi al vederli, e ravvisarli dalle insegne e dalle armi, e gettando le proprie tentarono di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo, essendo essi circondati da’ nemici e rinchiusi dalia cavalleria dei Romani postata d' ogn intorno. Pertanto pdchi ne scamparono e tra duri casi : i più ne perirono, o cederono. Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sostennero ; e quel luogo di sicurezza fu invaso al primo assalto. Furono qui prese le robbe de’Sabini, e qui molti de prigionieri, e qui le robbe de’ Romani quante ne erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute; LIL Riuscito il primo saggio a Tarquinio secondo il cuor suo, prese 1’ esercito, e ne andò contro i Sabini accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per avventura tra via: ma non si tosto furono più da vicino e videro le teste de’loro capitani confitte alle aste ( che ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispaventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo distrutto, più non tentarono nulla di generoso, ma rivoltisi alle suppliche ed alle umiliazioni si resero. Cosi devastati miseramente, e vituperosamente nell’ uno e nell’ altro esercito, e ridotti i Sabini a speranze tenuissime, anzi timorosi che fossero le loro città pigliate di assalto ; spedirono ambasciadori per la pace., profierendosi per sudditi e tributar). Pertauto lasciò la guerra, e ricevute appunto >a tali coudizioni le loro città, si ricondusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi, e le prede ed ogni bagaglio, tornossene a Roma coll’ esercito carico di ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su le terre de’ Yolsci, quando con tutte le forze, e quando con parte, ne ottenne gran prede. Ma riuscitegli per lo più le cose a voler suo ; gli si eccitò una guerra coi con&nanti ben lunga pel tempo, giacché durò sette anni continui, e ben grande pe’ casi inaspettati e terribili. Ora io dirò brevemente le cagioni per le quali nacque, e qual ne fu 1’ esito, essendo stata terminata per inganni e per stratagemmi non preveduti. LUI. Una città, Latina di gente, e colonia già degli Albani, lontana cento stadj da Roma ( Gabio ne era il nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina. Città popolosa allora e grande qnant’ altre, ora non tutta si abita, ma solo presso la strada per uso degli alloggi. E ben può raccoglierne la grandezza e la magnificenza, chi mira le rovine in più luoghi delle case ed il giro delle, mora, che in gran parte esistono ancora. Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa, quando fu presa da Tarquinio, e molti fhggiti da Roma. Or questi supplicavano e pressavano quei di Gabio a prendere vendetta di loro, promettendo gran doni se ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibile e facile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl’indossero sul riflesso che in Roma a ciò coopererebbero, e che lì Volsci erano ad altrettanto animati; giacché mandate aveano delle ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’ per imprendere la guerra contro di Tarquinio. Si fe^ cero dopo questo irruzioni con eserciti poderósi, fi scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie, com’ è Veri simile, ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di tutti: e quando i Gal^, respinti fino alle porte i Romani, ed uccidendone diedero intrepidamente il guasto ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e rinchiudendoli nella loro città, • sen portavano schiavi, e preda copiosa.. •. •. LIV. Or ciò facendosi di continuo, fu l’una e l’altra parte costretta a cinger di mura, e presidiare i luoghi forti delle proprie terre in ricovero de’ contadini. Di là prorompevano su’ predatori, e scendendo folti, straziavano, se ne vedeano, i piccoli corpi staccati dal resto dell’ esercito, o li disordinati per poca apprensìon de’ nimici, come accade nei pascere. Similmente temendo r una parte gli assalti improvvisi dell’ altra fu costretta a munire dì fosse e di muri le città facili a scalarsi ed a prendersi. Adoperavasi in ciò principalmente Tarquinio : e rassicurò con molte fortificazioni il tratto intorno la porta la quale menava a Gabio, scavandovi fosse più larghe, elevandone più alte le mura, e coronandole di torri più spesse : imperocché la città sembrava in tal canto men solida, quando era nel resto dei suo circuito sicura abbastanza, nè facile da invaderla. Se non che si fece in ambedue le città penuria di ogni vettovaglia, e costernazione gravissima per l’avvenire, essendo le campagne diserte per le incursioni incessanti de’ nemici, né più somministrando de’ frutti come accade a’ popoli avvolti in guerre diuturne. 11 disagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj ; tanto che U poveri infra quelli, angustiatine più che gli altri, giudicavano essere da venire a trattati, e far pace comunque coi Gabj, se la volessero. LV. Or dolendoti Tarquinio altamente de successi, e non sofierendo di' deporre obbrobriosamente le armi^ nè polendo altronde resistere più inmmzi ; volgevasi a tutte le prove, a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più grande ( Sesto ne era il nome  ) scoperse al padre un suo disegno. Egli parea mettersi ad impresa audace quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile, concedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dunque ‘fintosi in discordia col padre per voglia di por fine alla guerra : ne fu battuto colle verghe nei F oro, e con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse intorno la fama. E su le prime inviò come profughi i suoi più fidi perchè dicessero occultamente ai Gabj che egli deliberava far guerra al padre, e che ne anderebbe tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli altri refugiaii Romani, senza renderlo ai padre per isperanza di finir col suo danno le proprie nimicizie. Udirono con diletto quei di Gabio il discorso, e concordandosi di non offenderlo, egli venne, e con lui molti compagni e clienti come fuggitivi; e per meglio  Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al figlio minore : ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più yerisimile in chi area più diritto di succedere ad un regno. direnuLo assoluto, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi sembra più naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi S 65 di questo 'libro. accreditare la ribellione sua dal padre portò seco molto di argento e di oro. Dopo ciò sotto velo di fuggir lar tirannide molti a lui confluirono ; tanto che ornai glie n’ era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei di Gabio che avrebbono grande incremento dal giugnere di tanti ad essi, e lusingavansi che tra non molto .avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle opere di quel ribelle, il quale scorrendo di continuo la cam pagna, raccoglievane prede ubertose. Ed il padre appunto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verrebbe, ubertose glie le apprestava, e senza guardia se noa di scelti cittadini che egli v’ inviava come a lui sospetti per farli distruggere. Su tali significazioni molti credendolo amico fido, e buon capitano, e molti arrendendosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando supremo delle milizie. Sesto divenuto per frodi e per illusioni T arbitrò di un tanto potere spedi, senza che i Gabj se ne avvedessero, un tale de’ servi suoi per dichiarare al padre r autorità che avea preso, e per udirne ciocch’era da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse ciocché ordinava al figlio di fare, venne ( e conducea seco il messo ) al giardino, congiunto al regio palagio. Aveaci là de’ papaveri nati spontaneamente, già pieni di frutto, e maturi per la raccolta. Or tra que’ papaveri aggirandosi e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più alti, abbattevali. Congedò ciò fatto il messaggiCro niente rispondendogli, quantunque interrogato ne fosse più volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza di Trasibulo Milesio. Imperocché chiesto da Periandro, allora tiranno di Corinto, per via di un messaggiero, con quali modi possederebbe più saldamente il comando, non rispose pur sillaba, ma fatto cenno all’ inviato die lo seguitasse, il. condusse in un campo di biade, ed ivi percosse le spiche più eminenti, le atterrò ; signiBcaudo che. cosi dovea pur egli troncare, e dismettere i -primi delle città. Or facendo Tarquinio allora somigliantemente. Sesto ne intese le mire, e come ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E convocò la moltitudine, e le tenne un lungo ragionamento su questo, ehe egli ricorso cogli amici alla, lor buona fede, rischiava ornai di esser preso da alcuni, e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co^ mando, an^i che Lucerebbe la città prima di cadere in tanto infortunio ; e qui lagrimava e deplorava la sorte sua, come quelli che di cuore si dolgouo su’mali estremi., Lyil. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita quali mai fossero per, tradirlo, esso nomina Antisiio Petrone, il personaggio più distinto di Gabio. Egli erane il più insigne divenuto pe molti belli suoi regolamenti in pace, e pe’ molti capitanati in campo esercitati. Reclamando intanto quest’ uomo, ed offerendosi come Hbero da’ rimorsi ad ogni esame, disse 1’ altro che volea che se ne investigasse la casa: e che vi manderebbe perciò degli amici: egli intanto aspettasse TtelP adunanza finché ritornassero. Imperocché già era Sesto riuscito a corrompere con argento alquanti servi di lui perché prendessero e ponessero in sua casa lettere contrassegnate co’ sigilli paterni, e macchinate in rovina di Pelrone. Or come gl’ inviali alla indagine (che non aveala Pelrone contradetla ma concednla) vi rinvennero le carie occulutevi, tornarono recando all’adunanza molte lettere indicatrici, e quella scritta ad Anlistio; e dicendo Sesto che vi riconosceva il sigillo del padre la sciolse; e la diede allo scriba perchè la recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il figlio, vivo principalmente ; o se ciò non poteasi, almeno glie ne mandasse la testa recisa. Diceva, che darebbe ad esso ed d complici, oltre le taglie promesse già prima, la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe tutti frd patrizj ^ ed aggiungerebbe case e poderi e doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i Gibinj ; dialordtva Antistio dalla sciagura impensata, mancando- gli fin la voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo uccidono ; lasciando a Sesto la cura di far la ricerca e la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di Petrone. E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ incolpali non s’ involassero mandò per le misepiù illastri, e vi uccise molli de’ valentuomini. Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuivbolenza pe’ sì gran mali ; Tarquinio avvertitone per lettere vi marciò coll’ esercito, e giunto prima della mezza notte ed apertegli le porte da uomini posti ad arte per questo, ed entratele ; s’ impadronì senza stento della città. Come il male fu ravvisato, deploravano tutti sè stessi, e le stragi, e la schiavitù che patirebbono, e temeano insieme gli orrori, quanti ne vengono su por poli sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitissimameute ; immaginavansi la perdita della libertà, e de’ beni, e cose altrettali. Pure Tarquinio sebbene scellerato, sebbene implacabile in punir gl’ inimici non fe’ ntilla di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise, nè liandl, nè disonorò, nè multò persona ninna di Gabio. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie maniere in luogo delle tiranniche sue, disse che restituiva la propria città ; che concedeva ad essa i lor beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza quale appunto r avevano i Romani : non già che ciò facesse per benevolenza inverso de’ Gabj ; ma per consolidare a sè con essi .la signoria su’ Romani; pensando che diverrebbe presidio stabi^imo per sè e pe’ figli la fedeltà di un popolo che fuori di ogni speranza era salvo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perchè non più temessero per 1’ avvenire nè dubitassero se stabili sareb.bero. tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sarebbero amici,' e le giurò subito nell’ adunanza, e poi toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest’alleanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chiamato Sango da’.Ròmani, uno scudo circondato colla pelle del bue sagrlGcato allora appunto per compierne il giuramento, su la quale scritte ne sono con antichi caratteri le condizioni. Ciò fatto, e dichiarato Sesto re di Gabio, ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra con quella città. Dopo ciò Tarquinio dando requie al popolo dalle cose militari e dalle battaglie; si mise alla erezione de’ templi, desideroso di compiere i voti dell’avo. Erasi questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a Giove, a Giunone, a Minerva di fondare ad essi de’ tempii se vincesse. E già, come fu detto nel libro prece dente, avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori data l’altura ove destinava di erigerli; ma non potè' poi compierne la impresa. Deliberatosi Tarcpilnio di ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa posevi a lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che. accadesse un meraviglioso portento sotterra, doè che scavandosi per le fondamenta, e che già molto essendo gli scavi profondati, si rinvenisse la testa di un uomo ucciso come di recente, con faccia simile a quella dei vivi, stillandone ancora dalla ferita un sangue tepido e fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli indovini della patria dimandò che mai dir volesse quel segno. Ma non rispondendone, anzi dando' essi la scienza di tali cose ai Tirreni, ricercò da loro e seppe qual fosse fra’ Tirreni l’ interprete più famoso de’ por tenti ; ed a questo inviò messaggieri i più pregievoli cittadini. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure, si le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere ambasciatori di Roma, vogliosi di consultare il vate, e pregavano che a lui li presentasse. Il giovine allora : Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di presente occupato : ma presto a lui passerete. Ora intanto che lo aspettate, ditemi perchè mai ne venite. Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste interrogazioni non sono già la minima cosa nell arte de’ vaticini. Or piacque a coloro di secondarlo, e sveUrono a lui quel portento. Ckime il giovine gli ebbe ndiù, sopraslando breve tempo, ascoltate, disse o Bontani. Il mio padre ve lo interpreterà tal prodigio, e senza menzogne ; che certo ad un vMe non si convengono. Ma perchè neppur voi erriate, nè mentiate su le cose che direte o risponderete ; apprendete da me questo > che assai rileva che vel sappiate. Quando esposta gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di non intendere appieno ciò che vi dite, descriverà colla verga quanto un picciolo tratto di terra, e poi vi dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta nè la partx CMS GUARDA l' ORISNTS, quSSTA CBS L OCCASO: QUSSTA È LA PARTS SOREALS, QUSSTA LA OPPOSTA. Ed indicandole intanto colla verga vi chiederà da qual canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi esorto io che rispondiate ? appunto che non concediate che fosse trovata in alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^ ga, e ve ri interroga, ma che in Eotna tra voi fu veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete; se punto col dir suo non ve ne allontanate; allora egli ravvisando che il fato non può cangiarsi, vi svelerà, non vi occulterà quel prodigio che volete, che interpetri. LXL Ammaestrali in tal modo i legati, piando il vate ne ebbe comodità, venne un tale che a lui li condusse, e parlarono del portento. Ora lui sofisticando, e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e facendo in ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, non si turbarono punto di mente i legali, ma tennero la ridata, come aveala suggerita il 6glio dell’ indoTino, nominando sempre Roma e la rupe Tarpea, e pregando l’interprete che non travolgesse il segno, ma ne dicesse a proposito, e schiettissimamente. Cosi non potendo il vate nè illudere gli oratori, nè imbrogliarè r augurio, soggiunse ; Andate, annunziate o Romàni a vostri concittadini, portare il destino che il luògo dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’Italia. Dall’ ora in poi capitolino fu detto il luogo del travamento; capi chiamando i Romani le teste. Tai>i quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera] su'lavori; e molto fece del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in breve dal regno. Roma alfine lo perfezionò nel terzo consolato. Fu basato il tempio su di una altura la quale aveva un circuito di otto plettri, ed ogni lato di esso apprassimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nemmeno di quindici piedi interi tra la lunghezza e la latitudine. Perciocché il tempio riedificato dopo l’incendio a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi differisce dall’ antico per la sola preziosità della materia. Dalla parte della facciata che guarda il mezzogiorno circondalo un ordine triplice. di colonne : ma doppio solamente è quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i templi, e paralleli, e divisi da mura comuni. Sacro è quello di mezzo a Giove, e quindi è l’ altro. di Giunone, e quinci di Minerva : ed un solo tetto, di un comignolo solo li ricopra. Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima del. triangolo in tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi comìgnolo. Uno de’ nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può foeilitare t’ intelligenza di questo luogo. Dicesi che nel regno di Tarquinio occorresse ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia per dono di un nume sia di un genio, la quale salvò la città non per poco tempo ma finché visse, più volte, da gravi mali. Una donna, nè già nazionale, venne al tiranno, vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Sibilini : ma ricusando Tarquinio comperarli al prezzo cei> catogli ; colei partita ne spiccò tre libri e li arse. Riporundo dopo alquanto i libri superstiti gli ofierl sul prezzo medesimo. Riputatane stolta, e derisane perchè di minori volumi n’esigea la somma appunto che non aveane potuto ricevere quando erano più; si ritirò nuovamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò quindi co’ tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima. Attonito Tarquinio su i disegni della donna fece cercar gl’ indovini, e narrò 1’ evento, e dimandò ciò ch’era da fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripudiavasi un bene mandato dal cielo, e dichiarando che grande era la sciagura che non avesse comperato tutti i volumi ; comandò che si numerasse alla donna il valor dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La donna che avea dato que’ libri, inculcò che si custodissero con diligenza, e sparve dagli uomini. Tarquinio creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i aonaggi, e subordinando ad essi due ministri pubblici ; diè loro la’cura de’ libri : ma poi cucitolo io una otre bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno de’ due rignardevoli perchè parea sfregiare la buona fede, ed era accusato di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo la cacciata dei re, fattasi la repubblica a sostenere gli Oracoli, nominò custodi loro, durante la vita, personaggi chiarissimi, liberi da ogni militare e civile incomben 2 a, consociando ad essi ancor altri pubblici uomini, senza i quali non poteano i primi consultare que’scritti. A dirla in breve, i Romani non guardano ninna cosa con tanto zelo non i poderi sacri, non i tempj, quanto le risposte divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedizione, o di grave infortunio in guerra, o di portenti e grandi visioni, malagevoli ad intendersi, come avvenne più volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli oracoli posti in un’ ama marmorea ne’ sotterranei del tempio di Giove Capitolino furono custoditi dai decemviri. Ma braciandosi poi questo dopo 1’ olimpiade centesima settantesima terza sia per insidie, come pensano alcuni, sia per caso ; arsero colle votive cose del nume, anche i libri. C gli oracoli che ora si hanno, furono.' portati in Roma da più luoghi, quali dalle città d’ Italia, quali da Eritra dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Commissarj a trascriverli, e quali da altre città, trascrittivi da' privati. Ma sen trovano confusi co’ Sibillini anche aluri, come convincesi da que’ che acrostici si dimandano. Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto nelle sue teologiche trattazioui. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra ed in pace ; avea fondate due colonie, l’uja Cioè Segni, per caso, perché svernando ivi i suoi soldati aveansi il campo come una città ridotto ; e la seconda Circea-per disegno, perché ponessi nella campagna Pomentina, la più grande intorno del Lazio, e contigua col mare, in bel sito, alto discretamente, che sporge quasi penisola nel mare Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe la figlia del Sole : avea dato qnesle due colonie a due figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad Anmte, e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del suo principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna da Sesto il suo primogenito, fu cacciato dai principato e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il segno della calamità futura della sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^ sto, fu l’ultimo. Venute nella primavera delle aquile in un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di un’alta palma : mentre però teneano i figli ancor senza penne, volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc cisane la prole, e bezzicando e ferendo co’rostri e colle ali, respinsero dalla palma le aquile che tomavan dal pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e vegliava per istorname se poteva il destino: ma non potè superarne la forza ; e perdette il regno, congiurando su lui li pa trizj, e cooperandovi il popolo. Io tenterò dichiarar brevemente gli autori della congiura ; e come si fecero ad eseguirla. Guerreggiava Tarquinio colla città di Ardea sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma, e macchinava di rimetterli in patria : ma in realtà perchè ne aspirava le ricchezze come di una delle città più felici d’ Italia. Ribbattendolo però gli Ardeatini generosamente, e prolungandosi l’assedio loro; stanchi quei del campo per la diuturnità della guerra e quei di Roma impotenti a più contribuirvi; si disposero a ribellarglisi, appena ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito de’ figli di Tarquiaio spedito dal padre nella cittì chiamata Collazia per compiervi talune incombenze militari si alloggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto Collatino. Fabio delinea quest’uomo come figlio di Egerio, del quale ho sopra dichiarato ch’era figlio dei fratello di Tarquinio l’antico, re de’Romani. Da lui messo al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, lasciandone la denominazione anche a’ posteri suoi. Io sono persuaso che questi era nipote ad Egerio se avea la eti conforme ai figli di Tarquinio, come Fabio ha scritto e molti con esso ; e la cronologia conferma tal mio concetto. In que’ giorni Collatino era nel campo. Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu crezia riposava, e colla spada in mano vi penetrò, non sentito nemmeno da quelli che prossimi alla porta dormivano della camera. F attesi al letto, e svegliatasi la donna col giugnere delle insidie, e chiedendo chi fosse, colui svela il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera, minacciando lei della vita, se tentava fuggire, o gridare. Cosi, sbalorditala, propose alla donna di scegliere .qual più le piacesse o lieta vita, o morte infame, ó'e t’ induci, disse, a compiacermi, io te farò mia spo~ sa y e tu regnenù meco, ora s.u la città che mio pardre mi assegna, e dopo la morie del padre sii Ro'mani, sii, Latini, sii Tirreni e su quanti egli domina. Io, tu lo sai, primogenito de' suoi figli, io sarò t erede del regno, come à ben giusto. E quali beni inondano i re, de' quali' tutti sarai tu meco posseditrice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne sei peritissima? Che se tenti resistermi per salvare la tua pudicizia, ucciderò te prima, poi scannando un dei servi porrovene a lato i cadaveri, e dirò che sorpresa avendoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che turpe, ignominiosa sarà la tua fine, nè la morta Uia spoglia saià di sepolcro onorata nè di altre funebri cerimonie. Ora siccome assai minacciava, insisteva, giu> rava a^ ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte infame venne nella necessità di cedere agli arbiirj amorosi di lui. Fattosi giorno; costui sazio della voglia scellerata e Ainesta, tornossene al campo : Lucrezia però corucciata per l’evento ascese quanto potè frettolosa in sul carro, e venne a Roma, cinta di lugubri vesti, ed occultandovi sotto il pugnale; non salutando, salutata, negl’ incontri, né rispondendo a chi voleva intendere de’ suoi mali, tutta cogitabonda, e mesta, e lagrimosa. Giunta a casa dal padre '( e ci aveano alquanti parenti ) ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre vi singhiozzò, ma senza parole : e sollevandola e stimolandola il padre a dire ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco la supplichevole tuai se tremenda, se insanabile è tonta mia, padre la vendica: non trascurare Ut figlia tua, incorsa in mali più gravi della morte. Stupitosi il padre, e con esso par gli altri, eccitavala a dire chi offesa 1’ avesse, e di qual modo. E colei ripigliava: Le udirai le mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e solo or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chiedo. Convoca gli amici, e i parenti che puoi, perché da me la odano, da me, non da altri la calamità che io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver-, gognosa necessità ch’io sostenni; tu deciderai con essi la vendetta che dei per me fare e per te. Ma deh / non indugiarmi tu lungamente. Corsi all’ invito sollecito 'e premurosissimo i più riguardevoli nella casa com’ ella dimandava, narrò loro, pigliandolo dalle origini, tutto l’ evento. E qui abbracciandosi ai padre, e molto lui supplicando, e gli astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti la scioglie sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve sti e, portandosene una piaga sui petto, 6no al cuore se lo internò. Clamore intanto e gemiti e femmineo tumulto turbando tutta la casa ^ il padre avviatosene al corpo la circondava, la richiamava, la curava quasi potesse redimerla dalia ferita : ma colei tra le sue braccia palpitando e spirando Gai. Parve il caso agli astanti si terribile e si miserando che una fu la voce di tutti che era mille volte meglio morire per la libertà che patire ingiurie siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Valerio, discendente da uno de’ Sabini venuti con Tazio a Roma, uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia r evento, e perchè ribellassero, uniti, le milizie dal tiranno. Uscito appena dalle porte eccogli per avventura incontro Collatino il quale veniva dall armata a Roma ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giunio soprannominato Bnilò cioè stolido se tal nome ne interpetri con greche maniere. E poiché li Romani additano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la tirannide; porta il pregio che preaccennisi brevemente chi, di qual sangue egli fosse, e come sortisse un tal nome. niente a lui consentaneo. Di costui fu padre Marco Giunio, proveniente da uno di que’ che menarono con Enea la colonia, e distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu la madre Tarquinia, figlia di Tarquinio 1’ antico. Egli ricevè la educazione, e tutta la coltura nazionale, nè la indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché Tarquinio ebbe ucciso Tullio levò segretamente di mezzo con molti uomini probi anche il padre di lui non già pe’ delitti, ma per la ingordigia d’ invaderne le ricchezze ereditate da pingue, antico patrimonio di famiglia : levò similmente con esso il figlio primogenito di lui nel quale appariva non so che di generoso, e che sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. Bruto giovinetto ancora, -e privo in tutto del soccorso de’ parenti si rivolse al mezzo savissimo di fingersi, stolido divenuto. Dall’ ora in poi, finché non gli sembrò di averne il buon tempo, ritenne le apparenze dello stolido ; e se n’ ebbe il soprannome, ma si liberò con questo dalle ire del tiranno, mentre tanti egregj uomini ne soccombetrano. Tarquinio trascurandone la demenza apparente e non vera, spogliatolo di tutti i beni paterni, e datogli un tal poco pel vitto quotidiano, lo custodi presso di sé, come garzoncello orfano, e bisognoso di chi lo qurasse, e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già per onorarlo qual congiunto suo, come fingea tra’ parenti, ma perchè desse da ridere a’ propj figli, dicendo costui le mille frivole cose, e facendone le simili agli stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte e Tito per interrogare 1' oracolo di Delfo su la peste ( giacché nel regno suo proruppe una peste insolita su le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano, e più terribile ancora e men curabile su le gravide, che morte cadeano col proprio feto in su le vie ) quando io dico mandò questi per conoscere dal nume le cause del male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli che gliel chiedeano perchè avessero intanto chi beffare e deridere. Giunti all’oracolo i giovani ed ascoltatolo su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nume, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato ad Apollo una bacchetta di legno ; ma colui trapanatala tutta come una fistola aveaci offerto, senza che ninno ne sapesse, una verga di oro. Poi consultando essi il nume chi mai, portavano i destini, che divenisse re di Roma ;-^rispose che il primo che bacerehhe la madre. E non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concordarono di baciare insieme la madre onde regnare in comune. Bruto però penetrato ciocché 1’ oracolo volea significare, non si tosto discese nell’ Italia, prostratosi, ne baciò la terra, giudicando questa la madre di tutti. £ tali SODO i fatti precedenti di quest’uomo. Come Bruto udi da Valerio i successi di Lo eresia e la storia della morte di lei sollevando le mani al cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate su la vita de’ mortali, è dunque giunto finalmente il tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me stesso ? Fuole dunque il destino che Roma sia da me liberata e per me dalla insojfribil tirannide ? E ciò dicendo vassene sollecito in casa insieme con Collatino e Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia stesa nel .mezzo, col padre allato, scoppiando in copi ge miti la slringea, la baciava, la chiamava, e fra tanta sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso, quasi fosse ancor viva. Or essendo lui tutto in pianto, e con esso il padre a vicenda, e tutta rimbombando la casa di lamenti e di gemiti; Bruto, rimirandoli disse: O Lucrezio, o Collatino, o voi tutti, parenti di que^ sta donna, beri avrete altra volta il tempo di piangerla. Ora ( e ciò deesi alla ingiuria presente ) pensiamo ^ come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque se dendo soli fra sè, sgombrata immantinente ogni turba dimestica, esaminarono ciò ch’era da fare. Bruto cominciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza non fu vera, qual parve a molti, ma simulata ; e svelaudo le cause per le quali diedesi a fingerla, e giudicatone savbsimo infra tutti ; alfine, allegatene molte, ed acconcio ragioni, animò tutti al parer suo di cac(t) Plinio sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la terra di Delia, a non dall Italia. dare Tarquinio e li figli da Roma. E vedmili ornai tatti consentanei, disse Che non era pià tempo di parole e promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela il primo se cosa alcuna fosse da imprendere. Ciò dicendo, e stringendo il pugnale con cui la donna fini sestessa, e venuto al cadavere di lei, che giaceva ancora spettacolo compassionevole a tutti, giurò su Marte, e su gli altri Dei Che farebbe tutto, quanto potea, per abbattere la tirannide di Tarquinio, che non pià si riconcilierebbe co' lii'anni, nè permetterebbe che altri si riconciliasse con essi: ma terrebbe per nimico, chiunque non volesse fare altrettanto ; e perseguite-^ rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di essa. Che se mancava a quel giuramento, imprecava per sè e pe’ figli un termine della vita, quale il termine fu della donna. Ciò detto invitò pur gli altri a simile giuramento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi a mano a mano il pfignale giurarono, ed investigarono poi qual fosse la maniera di dar principio all’ impresa. Bruto cosi consigliò : Primieramente poniam le guardie alle porte, perchè Tarquinio non penetri niente di ciò che in Roma si dice o si opera contro la tirannide, innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi portando il cadavere della donna, lordo comi è di sangue, nel Foro, ed esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il popolo. E quando siavisi congregalo, quando ne vedremo già piena ( adunanza; allora Lucrezio e Collatino presentandosi narrino H orribile caso, e deplorino la loro sciagura ; poi qualunque altro facciasi innanzi ed ocf)3 ousi la ^tirannide, e provochi li cittadini a liberarsene. Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere i primi perla libertà. Stanchi del Tiranno, e de’ molti e terribili mali che ne han sofferto, non abbisognano die St un primo impulso appena. Quando vedremo la moltitudine in furia per togliere la monarchia ; farremo c^ risolva co' voti, che Tarquinio non dee più regnare su Roma, e solleciti ne spediremo il decreto in campo all' esercitaIvi quando coloro che han tarmi conosceranno che tutta si è la città ribellata da Tarquinio, infiammeransi per la libertà della patria, insensibili a tutti i doni del tiranno, essi che non più reggono agli affronti de' f gli, e degli adulatori del perfido. Or avendo lui cosi detto soggiunse Valerio: Tu mi sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor pere chi li potrà convocare legittimamente, e chi dare alle curie i voti; essendo questo offizio de' magistrati, e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora Giunio : o Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono il tribuno de Celeri, e per legge mi è dato d intimare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal massimo incoi ico, a me come stolido, e che appresa non ne avrei la potenza, o che se appresa V avessi, non saprei prevalermene. Ma io mi son quegli che il primo arringherò contro del tiranno. Detto ciò lo applaudivano tutti come lui che prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E poiché ci piace far questo, vediamo ancora qual maDigitized by Google J)4 delle antichità romane gistrato, e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut espulsione dei re : anzi vediamo qual Jorma daremo allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché prima ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de liberata ogni cosa, anzi che se ne lasci alcuna non discussa, né premeditata. Ora dica ciascuri di voi su tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da tutti i re precedenti, amava che si riordinasse la regia dominazione; e chi ricordando le tiranniche ingiustizie di altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini, non voleva il Comune sotto di un solo, ma che piuttosto arbitro se ne dichiarasse il Senato come in molte delle greche città : varj però non anteponeano nè 1’ uno né r altro, ma consigliavano che si fondasse un governo popolare, conne in Atene, esponendo le ingiurie, le. avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’ miseri contro de’ potenti, e dichiarando che in città libera il comando più sicuro e più degno è quello delle leggi, eguali per tutti. Ma sembrando a tutti malagevole ed arduo il giudizio su la scelta pe’ mali che sieguono da ogni governo ; alfine Bruto, ripigliando disse : O Lucrezio, o Collatino, o voi tutti, quanti qui siete, uomini buoni, e JigU ancora di buoni-, io quanto a me non penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma allo Stato. Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ridotti, perché ci sia facile staBilirvela armoniosa ; lubrico altronde, e pericoloso, é tentar di cambiarvela, quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto. Quando ci saremo levati dallà tirannide, allora potrem finalmente, consultandoci con più agio e più feria, trascegliere il governo migliore a fronte de' menò buoni j seppur avvene uno migliore di guei'^ che 7?omolo e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci "lasciarono, donde la città ne crebbe e ne prosperò, signora fin qui di più popoli. Solamente vi esorto che si emendino, e che provvedasi ora che più non v abbiano i mali terribili solili prorompere dalle monarchie, pe’ quali si mutano in tirannidi crude, e pe' quali tutti le abborrono. Ma quali son queste provvidenze ? Primieramente giacché molti attendono ai nomi, è secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e siccome è succeduto che ora molto attendasi a quello di monarchia; vi consiglio che il nome cangiate del governo, fe che da ora in poi quelli che vi comandano non più re li chiamiate, non più monarchi, ma con appellazione più discreta ed umana : poi, che non più rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa, ma fidiate a due la potenza dei re, come odo che i Lacedemoni fanno da molte generazioni, e che perciò ne hanno più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso il comando in due, e l’ uno potendo appunto quanto F altro ; meno acconci saranno a violarci, e meno ad opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne principalmente la verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno per F altro, sicché noti si sfrenino, ed una viva gara per la fama della giustizia. E poiché molti sono li regii distintivi, io giudico che y impiccioliscano o tolgano quelli che àddolorano a rimirarli o sdegnano il popolo, io dico gli scettri, dico le corone di oro ^ e le clamidi eli oro intessute e di porpora, se non forse si asswnono ne' giorni festivi e ne’ trionfali per magnificare g/i Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In opposito penso che si conservi a questi uomini la sedir curule ove siedono rendendo ragione, e la veste candida cinta intorno di porpora, e li dodici fasci che il venir loro precedano. Oltracciò perchè quelli che prendono il comando non molto ne abusino, io penso utilissima e principalissima cosa, che non lascinsì comandare tutta la vita. Imperciocché riesce a tutd grave un comando ind^nito, uft comando che non pià dia di sè ragione ; e di qua vien la tirannide. Ma si limiti come tra gli Ateniesi f autorità del comando ad un anno. Quelcomandare a vicenda e quell' essere comandato, quel deporre il pMere prima che il pensar vi si guasti, preoccupa le indoli vane, nè lascia che vi / inebbrino. Se .così stabiliamo, goderemo i beni che sono il frutto di una regia dominazione, e schiveremo i mali che né conseguitano. E perchè il nome regio, consueto già tra' nostri avi, ed introdotto in questa città co t gli augurj propizj degl Jddj che lo favorivano, ti custodisca, almeno per tale riguardo ; si faccia continuamente, a vita, ed onorisi un re del Culto ^ un che libero dalle cure militari in questo solo si occupi e non in altro, cioè che abbia, quasi re ne fosse, l’ arbitrio sovrano de’ sacrifizj. Ora udite come fia ciascuna di queste cose. ’ Io, poiché dalle leggi mi si concede, io raccoglierò, come diceva, l’adunanza del popolo, e riesporrò la mia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi figli da Roma e suo territorio, escludendoneli per sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ciò stabilito co’ voti, io dichiarando allora il governo che pensiamo fondare, eleggerò V interré, il qual nomini quelli che prendano le redini della repubblica. Quindi io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me creato, proporrà gl’ idonei all’ annua preminenza, rimettendoli al voto de’ cittadini : e se il pià delle centurie ne tien buona la proposta, se propizj gli oracoli la favoriscono, assumano i fasci e le insegne del potere sovrano, e provvedano che libera abitiamo la patria, nè pià li Tarquinj vi ritornino. Imperocché questi, abbiatelo per certo, se non invigiliamo su loro, tenteranno colla persuasiva, colla forza, coll’ inganno, per ogni via finalmente, rimettersi nell impero. Queste sono le somme, le principalissime cose, che io dir posso e raccomandar di presente. Quelli poi che avranno il comando devono, come io giudico, esaminare una per una, le cose particolari, giacché troppe, nè facili a discutersi pienamente ; e noi siamo stretti dal tempo: anzi'deono, come usavano i re ponderarle col corpo del Senato, non concludendone alcuna senza noi ; e quando siano approvate dal Senato, rapportarle, come f accasi tra i nostri maggiori, al popolo non levandogli niun diritto di quanti s’ avea nel principio. Così le sue magistrature saranno sicurissime e bellissime. Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti lo commendanino ; e datisi ben tosto a consultare, decisero che si nominasse interré Spurio Lucrezio il padre di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero per avere il potere dei re Lucio Giunio Bruto, e Lucio Tarqninio Collatino. Stabiliscono che tali soprastanti nell’ idioma loro si chiamassero Consoli, vnol dire consiglieri o capi del ronsiglio, interpetrando in greco tal nome, giacché i Romani ciocché noi simboulas diremmo chiaman consiglio. Coi volgere però del tempo i consoli furono per l’ ampiezza del potere chiamati Ypati dalia Grecia, comandando essi a tutti e t^ neodo.il più sublime de gradi; e chiamandosi da’ nostri antichi Ipaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo tali consulte e tali istituzioni supplicarono co’ voti gli Iddj che fossero propizj ad essi .intenti ad opera si giu non colla sepoltura a norma delle leggi : e Tarquinia la donna di questo ch’egli dovea venerare qual. madre, come sorella del padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo bene, % egli la strangolava, sì, questa misera, innanzi che prendesse il lutto, e che rendesse in su la tomba al marito gli ultimi onori. Così contraccambiava quelli da quali fa salvo, da quali fu nudrito, ed. a quali avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco aspettato finché venisse loro naturalmente^ la morte. Ma perchè più, su questo riprendolo, quando, oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’ suoceri, ho pur da accusarne le tante prevaricazioni contro la patria, e contro noi tutti, se prevaricazioni son queste, e non sovversioni e rovine di ogni costume e di ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal regno, come lo prese egli questo ? forse come i re precedenti? ma quando mai? molto nè egli lontano. Imperocché quei tutti furono da voi portati al trono secondo i patrj costumi e le leggi, prima col decreto del ' Senato che è il capo di ogni pubblica deliberazione, poi degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato per nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti dati ne' comizj dal popolo, da cui, la legge vuole, che si ratifichi ogni cosa più rilevante, e finalmente cogli augurj f colle vittime, e con altri segni propizj senza i quali niente giovano i maneggi e le previdenze degli uomini. Or dite, qual di voi mai vide una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio prese il comando ? qual vide decreto preliminare del Senato? quale scelta degl’ interré? quali suffiragj del popolo ? per non dire dov è tutto questo ? quantunque se egli voleva il regno lecitamente, non dovea parte ninna pretermettersi di quanto chiedesi dalle leggi. Certo se alcuno può dimostrarmene fatta pur una di queste cose, più non vo’ che si brontoli su le altre che si tralasciarono. Come dunque egli si spinse al trono ? colle arme, come i tiranni, colla violenza, colla congiura degli scellerati, noi riprovandolo, e dolendocene, E fattosi re, comunque ciò fosse, la sosteneva egli V autoràà tua regalmente ? Emulava i suoi predecessori i quali co’ detti e co’ fatti costanti così ressero, che lasciarono a’ posteri la città più felice e più grande che presa non V avessero ? Chi, se pure è sano di mente, chi potrà mai dir ciò, vedendo quanto miseramente e scelleratamente siamo stati da lui malmenati. Tacio le sciagure di noi senatori, le quali, pur un nemico, udendole, ne piangerebbe, e come siam pochi rimasi di molti, come rendati abbietti di granài, e come venuti a disagio e stento, cadendo dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti,. Io3 que cospicui uomini, po' quali questa nostra città era un tempo magnifica, quelli perirono, o fuggono la patria. E le vostre cose y o popolo, come stan esse ? Non ha tolto. a voi le leggi ? non i concorsi soliti per le feste e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto cessare i comkj, i suffragj, e le adunanze tutte su le pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati, ai vilipendi di tagliare, di portare pietre ed arbori, di logorarvi tra gli antri e i baratri senza requie mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran fine mai tali strazj ? fino a quando li starem sopportando ? Quando la patria libertà vendicheremo ? ... Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà allora pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se per un Tarquinio ne avrem tre molto pià scellerati? Se chi di privato è divenuto monarca, se chi tardi ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la malvagità de’ tiranni, quali, pensate, esser debbono i discendenti da lui, scellerati di stirpe, scellerati di educazione, che mai non poterono vedere nè apprendere in città misure politiche di moderazione ? E perchè non per congetture, ma intimamente conosciate la perversità loro, e quai cani latratori alleva contro voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un azione sola del primogenito. E questa la figlia di Spurio Lucrezio, lasciato prffetto in Roma dal Tiranno nelP andare alla guerra, e moglie insieme di Tarquinio CollaUno, del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha da loro sopportato. Or questa per serbarsi pudica. e tutta agli amori del suo marito, come fanno le virtuose, avendo Sesto qual parente preso ospizio appo lei, mentre Collatino era lungi nelt armata, non potè schivare nella passata notte le onte. sfrenate della tirannide; ma violentata come una schù^va sostenne ciocché libera donna non dee. Pertanto esacerbatane, e presa la ingiuria per insoffribile, dopo che ebbe narrato al padre e a congiunti le vicende ree che la desolarono, dopo che ebbe pregato e scongiurato che la vendicassero per tanti mali; alfine traendo il pugnale che celava nel seno, profondosselo, e vedendola il padre j o Romani, nelle viscere. O tu certo mirabile, o tu di encomj degnissima per la nobile ' risoluzione ! t’ involasti, moristi non reggendo agli obbrobri del tiranno, e ricusasti le dolcezze tutte del vivere perchè simile calamità non ti avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua femminil condizione K avuto il. cuore de’ valentuomini, e noi, uomini nati, noi saremo in viltà men che le femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore immacolato della tua pudicizia, avrai tu reputato la morte pià dolce e pià beata della vita; e noi non avrem pur nell’ animo, che Tarquinio non da una notte, ma già da venticinque anni ci opprime, e ci ha colla libertà levato gli agi tutti del vivere ? No ; pià non dobbiamo, o Romani, noi vivere avvolgendoci in tanti pericoli, noi che discendenti siamo di que bravi, che vollero fondare i diritti fin per gli altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità e la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o libera vita, o morte onorata. È pur venuto il tempo che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno dalla città, e perchè duci sono della impresa i patrizj, e perchè se con animo pronto ci facciamo ad imprendere, non abbisogniamo di cosa niuna non di uomini, non di danari, non di arme, non di capitani, non di altro apparecchio militare ; essendone Roma pienissima. Siaci pure una volta vergognà che noi che cerchiamo signoreggiare i Volsci, i Sabini, ed altri moltissimi^ noi stiamo • ad altri servendo, e che mentre tante guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio, niuna per la nostra liberuì ne facciamo.Ma di quali incora^menti ci varrem per la impresa, di quai leghe ? È questo che rimanenti a dire. Primieramente c incoraggiremo su la speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio viola le sante cose, i templi, gli altari, libando e sacrificando con mani lorde di sangue, e di ogni scelleraggine contró de cittadini; appresso c incoraggiremo su la speranza che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo, nè inesperti di gierra ; e finalmente sul rinforzo di quegli alleati i quali non ardiranno far novità se noi non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il valor nostro raccendiamo, lietissimi ci si uniran per combattere ; nemico essendo della tirannide chiunque vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme quei cittadini che in campo si porran con Tarquinio per militare con esso contro noi ;• non bene teme costui. Anche ad essi è grave la tirannide, ed ingènito in tutti è V amore della libertà : ed ogni occasione di mutamento basta a chi è misero necessariamente. Che se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la patria, non timore li riterrà co’ tiranni, non grazia, e non cosa ninna la quale sforzi o persuada, a mal fare. E se in alcuni si è per la ria natura, e la trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ridurremo ancor essi, che molti non sono, con insuperabile necessità sicché utili ci divengano i malevoli ; perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli, le mogli, i parenti, pegni carissimi che ognuno pregia più che la vita. Or se noi prometteremo di rendere questi, se decreteremo per essi la impunità quando distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li persuaderemo. Cosicché fatevi cuore o Romani, concepite belle speranze per V avvenire, uscite per una guerra, certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste. Si, palrj Dei, propizj curatori di questa terra, sì Genj, tutelari già de nostri padri, sì, città carissima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e cresciamo, sì noi vi difenderemo co’ pensieri, colle parole, colle opere, colla vita ; pronti a tutto soffrire, quanto la fortuna porti ed il fato. Presagiscorni che alla impresa buona seguirà fine bonissinto. Possano quanti confidano, quanti decidonsi come noi, voi salvare ed essere da voi salvati parimente. Mentre Bruto aringava, faceansi ad ogni suo detto acclamazioni dal popolo in signiBcazione, che esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sentendo quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrimavano per tenerezza. Inondavano passioni varie nè punto 1 07 amSi ogni petto: e dove il rancore, dove la gioja trionfavano, là pe’ mali già sostenuti, qua pe’ beni che si aspettavano. Dove era audacia, dove timidità, quella che incitava a non curar sicurezsa contro i subjetti, odiati perchè intenti a far male ; e T altra che oppo neasi agl’ impeti delia prima, perchè vedea non facile la rovina della tirannide. Ma non sì tosto colui cessò dal parlare ; tutti, quasi con una bocca, ad una voce esclamarono, che guidassegli alle arme. E Bruto dilettatone, sì, disse, ma quando prima avrete udito, e confermata co’ voti vostri i decreti del Senato. E noi decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu HIT a' loro svogano ROMA E QUANTO È Ds' ROMAICI : CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI tiranni; e se contravviene; si" uccida. Or se volete che un tal parere si adotti ; compartitevi in curie, e datene i voti. Questo incominci per voi li diritti della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e poiché tutte le Curie ebbero decretato 1’ esilio del tiranno ; Bruto fattosi innanzi, ripigliò : Giacché avete voi ratificato quanto deesi, le prime cose ; ascoltate U resto che abbiam deliberata su lo Stata. Esaminando noi qual magistrata esser dee V arbitro del comando, ci è piaciuto, non già di rinnovare il comando di un solo, ma di creare ogm anno due capi con regio potere, che voi stessi eleggerete ne’ comizj, votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; datene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi fu pur un voto contrario. Quindi ripresentatosi Bruto, nominò Spurio Lucrezio per interré, perchè secondo le patrie leggi prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo ' r adunanza, ordinò che tutti subito si recassero in arme al campo, dove solcano tenere i comizj. Recativisi ; scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto facevano i re. Ed il 'popolo chiamato per centurie con fermò la magistratura a que’ due. Tali sono le cose ai lora fatte in città. Tarqninio come udì da messaggeri sottrat tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne chiudessero, che Bruto (perché narravano questo solo) fattosi capo-popolo, aringava i cittadini, e suscitavali a rendersi liberi, parti senza dirne le cause, prendendo se^o i figli, ed altri più fidi, e correndo a briglie sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse le porte, e piene le mura di arme, tornossene, quanto potè, veloce nel campo affligendosi e lagrimando : se non che già le sue cose erano qui pure in iscompigUo. Imperocché li consoli antivedendo la sollecita venuta di lui verso Roma aveano per altra via spedito all’armata, invitandola a togliersi dal tiranno, ed annunziandole i decreti di quei della città. Or Tito Erminio e Marco Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelle lettere le recitarono nell’ adunanza : e dimandando via via per centurie ciò che era da fare, e piaciuto a tutti che si ratificassero le deliberazioni della città ; più non riceverono Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto pur da questa speranza fuggisseue con pochi alla città di Gabio f della quale, come ho detto di sopra, avea creato monarca, Sesto il suo primogenito. Esso già canuto per anni avea tenuto per cinque lustri il comando. Erminio ed Orazio, concbiusa una tregua di quindici anni cogli ÀrdeatinI, ricondussero in patria le milizie. Per tali cause e da tali uomini fu tolta in Roma la regia dominazione, conservatavisi per dugcnto quaranlaquattr’ anni dalla sua fondazione, e divenuta in fine tirannide sotto 1’ ultimo re. OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in tirannide sotto r ultimo re fa per le cagioni anzidette abolita da tali uomini sul principio della olimpiade sessagesima ottava, nella quale Iscomaco da Crotone vinse allo stadio, mentre Isagora esercitava in Atene r aunuo magistrato. Ed istituitasi la signoria de’ pochi, mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno, assunsero i primi il comando supremo, Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquioio Collatino col nome di consoli, Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo Varrone dalla fondailone di Roìna, e So; avanli Cristo] cosi chiamandosi da Romani, come già dissi, nel patrio idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè gli altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo conchiosa la tregua con gli Àrdeatini ; e pochi giorni appresso la espulsione del Tiranno convocando il popolo a parlamento, e ragionando copiosamente su la concor dia ; fecero di bel nuovo decretare co’ voti, come già quelli che erano in Roma lo avevano decretato, bando perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città, fattone sacrifizio ; essi i primi, stando intorno le vittime, giurarono, e ccndussero pur gli altri a giurare, che mai più dal bando richiamerebbero il re Tarquinio, nè la prole di lui, nè i figli de’ figli : anzi che non più iarebbono re ninno in Roma, nè tollererebbono chi far cel volesse. Cosi giurarono su’ Tarquinj, su figli, e su la prosapia loro. E, couciossiachè pareano i re, stati autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deliberatisi a conservare il nome almeno di tal signoria, finché Roma durava, comandarono ai pontefici ed agli auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori, perchè tolto da tutte le cure, se non dalle religiose, presedesse in sul culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non delle militari,. ma delle sante cose. Per tanto fu delle sante cose nominato re per il primo Manio Papirio, uomo patrizio e dedito alla dolce calma. II. Stabilito ciò, temendo, io credo, che non si generasse negli altri sui nuovo governo la idea non vera, che in luogo di uno dominavano due re la città mentre Secondo Feslo il primo re tacriJieuUu, fa Sicinnio Beliulo, ed in cfò discorda da Dionigi e da Livio. Ir uno e 1’ altro de’ consoli avca come un tempo i re le dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto, e scemare la invidia del comando, e fecero cbe l’uno de’consoli portasse dodici scuri, e F altro dodici littori colle verghe coronate solamente come narrano alcuni: talché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F altro vicendevolmente per un mese intiero. Animarono con questo F umile plebe a conservar quel governo ; e con simili cose non poche. Imperocché rinnovarono tutte le leggi scritte da Tullio su’ contratti ; le quali si tenean per umane e popolari, e Tarquinio aveale tutte soppresse : e comandarono che si facessero come a’ tempi di Tullio, i sagriGzj che in città si faceaiio o nella campagna, riuiiendovisi que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che il popolo si radunasse per le cose più rilevanti, e desse il voto, e ripigliasse a voler suo gli usi primitivi. Piaceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir lungo a libertà non aspettata. Nondimeno ci ebbero alquanti i quali desiderosi de’ mali della tirannide per demenza o per avarizia congiurarono di tradire la patria e richiamarvi i Tarquinj, trucidandone i consoli : ed io dirò quali ne fossero i capi, e come im provvedutamente scoperti, mentre credeansi occulti atutti, ma riassumerò le cose alquanto più addietro. III. Caduto Tarquinio dal trono, si tenne per un tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a Il lesto non è ben fìsso : e fotse dee leggersi verghe curve o grosse nella lesta. Il codice Valicano avendola voce xafvtat e noa xtfà/tttt favorisce la idea di verghe grosse in testa. Silburgio propende per le verghe ricurve iu cima lui ne venivano amici della tirannide pià che delia libertà, e confortandovisi in su le speranze de’ Latini, quasi potessero questi ricondurlo alla reggia. Ma poscia che le città non io ascoltavano nè voleano per lui fare una guerra ai Romani ; disperandone alfìne il soccorso fuggissene a Tarquinj città Tirrena, donde era la materna origine sua. E cattivandosi que’ cittadini co’ doni, e prodotto da essi in piena adunanza, rinnovò 1’ antica congiunzione con loro, e commemorò li benefizj deU r aiuolo suo con tutte le città Tirrene, e gli accordi che avean fatto con lui. Poi si lamentò con tutti della sciagura che avealo preso, e come travolto in un sol giorno da lietissima condizione, ora profugo con tre 6gli e bisognoso fin del necessario, era costretto ricórrere a popoli, un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su tali cose pateticamente e con molte lagrime, indusse il popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas sero parole di pace per lui, quasi i potenti ivi fossero per favorirlo, ed ajutarlo al ritorno. Nominati quelli eh’ egli volle per ambasciadori, ed istruitili delie cose che erano da dire e da fare gli spedi con alquanto di oro e con lettere de’ fuorusciti con esso dirette con preghiere agli amici e domestici loro. IV. Venuti questi a Roma dissero hi Senato : che chiedea Tarquinia la franchigia di venire con pochi prima in Senato, e poi, quando ciò fossegli conce-duto dal Senato, nell adunanza del popolo per darvi conto delle opere sue fin dai principj del regno, falline giudici tutti i Romani, se alcuno mai lo accusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che egli non ha colpe degne dell esilio ; allora se gUel concedano, regnerà novamente con que' limiti che gli prescriveranno : se poi decreteranno di non voler più. come per l’ addietro la sovranità dei re, ma di fon-^ darne un altra qualunque, egli uniformandovisi al pari degli altri reslerassene colla sua famiglia in Roma, sua patria, libero almeno della vita degli erranti, e de' profughi. E ciò detto supplicavano il Senato pei comuni diritti che vogliono che niun si condanni senza discolpe e giudizj, a concedere una difesa della quale essi giudicherebbero. Che se ciò non volevano a lui concedere, fossero compiacevoli almeno in vista della città la quale s' intrametteva. Compiacendola, tuttoché senza discapito loro, assai onorerebbero la città che ciò conseguiva. Uomini essendo, non si elevassero sopra la sorte degli uomini: nè serbassero immortali sdegni in cuori mortali : ma in grazia degt intercessori si sforzassero anche contro lor voglia di usare mansuetudine ; considerando eh' egli è da savio condonare le inimicizie per le amicizie ; ma da stello e da barbaro volgere in nemici gli amici. V. Aveano ciò detto, quando Bruto sorgendo replicò : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessate o Tirreni di più ragionarne. Imperciocché già si è qui J volato irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo tutti ^giurato agC Iddj di non restituire i tiranni, e di non tollerare che altri ce li restituisse. Ma se chiedeste con altra moderazione a cui nè le leggi nè li giuramenti si oppongono', manifestatevi. Or qui faitùi innanzi gli ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci sono contro la espettazione le prime dimandet ambasciadori per uno che si raccomanda, per uno che vuole dare a voi conto di sè stesso, abbiamo chiesto qual grazia ciocch’ era diritto per lutti : nè potemmo ottenerlo. Ora poiché ve n è parato così ; non più vi presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo istanza per un altro diritto di cui la patria c incaricava, e su cui non legge, non giuramento impediscavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo suo possedeva senza toglierli a voi nè di forza nè in occulto, ma portati qui avendoli, come ereditati dal padre. A lui basterà, se lo ricupera, il suo, per vivere altrove Jelicemente, senza vostra molestia. RitiraroDsi ciò detto gli ambasciadorì. Bruto T uno de’ consoli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni contra del pubblico, e per util di Stato : perchè non si dessero ad essi de mezzi co’ quali far guerra ; preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi i Tarquinj col riavere i lor beni nè sosterrebbero una vita privata, ma porterebbero su Romani le arme di altri popoli, e tenterebbero di tornare colla forza al comando. Collatino però consigliava il contrario, dicendo che non gli averi, ma le persone dei tiranni noceano la città. Pertanto scongiuravali a guardarsi prima dalC incorrere nella rea fama di avere espulso i Tarquinj per invaderne i beni, e poi dal porgere ad essi cosi spogliandoli, giusta occasione di guerra : dicea che non era chiaro, che ricuperando i beni si accingerebbe^ ancora ad una guerra con essi, laddove era ben manifesto, che non ricuperandoli f rion si cheterebbero. VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti sentendola colr uno e coir altro ; il Senato dubitò come avesse a risolvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame, e parendogli che Bruto consigliasse il più utile, ma Collatino il più giusto ; in ultimo deliberò che giudice ne fosse il popolo. Or qui dette essendo più cosedairnno> e dall’ altro de’ consoli, e venendo alBne le curie, che eran trenta di numero, ai voli, preponderarono le une alle altre con si piccini divario che quelle le quali intimavano che si rendessero i beni superarono di uà sol voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I Tirreni avuta la risposta dai consoli : e molto lodando' la città che anteponesse all’ utile il giusto ; spedirono a Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ; frattanto essi resiavansi a Roma sul titolo del trasporto de’ mobili, o di dar sesto a ciò che non potessi menar via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e brigandovi, come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono' le lettere de’ profughi agli attinenti loro ; pigliandone le altre di replica. E conversando, e studiando le affezioni di molti, se ne trovavano alcuni facili ad essere guadagnati per la poca fermezza, per la inopia, o pel desiderio di 'empiersi nella tirannide, davansi a subornarli coir oro e con ampliarne le belle speranze. Vi sarebbero secondo le apparenze in città si grande e si popolata, alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguardevoli i quali anteporrebbono il governo men buono al migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti> berio, figli di Bruto il console, puberi appena, e con essi i due Geli] Marco e Manio fratelli della moglie di Bruto, idonei a’ pubblici affari : Lucio e Marco Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro consolo, e conformi di anni al figli di Bruto, presso a’ quali, non più vivendo il lor padre, per lo più si adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni. VII. Tra le molte cose, per le quali a me sembra che Roma giugnesse per la provvidenza de’nnmi a stato si prospero, non sono le infime quelle che avvennero allora. Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de.menza, e tanta cecità, che osarono fino scrivere al tiranno di propria mano lettere che indicavano il numero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale assalirebbero r uno e r altro console, lusingati dalle epistole del perfido ad essi per le quali volea sapere i .compensi che avrebbe a dare, tornando in trono, al Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale incontro. Eransi i prlmarj de’ complici riuniti in casa, degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino, invitativi come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordinando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si • tenessero nell’ anticamera; confabulavano infra loro su • la rintegrazione del tiranno, e segnavano ciascuno, i .mezzi che glien parevano di mano propria in lettere che gli Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tirreni, e questi a Tarquinio. Intanto uno schiavo (Vin Sigonio ne scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo di Gellj seguendo le antoriià di Livio e di Plnisrco. dicio ne era il nome ) della città di Genina, il quale fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remoaione de’ servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine, si stette solo fuori della porta, ed applicatovisi in una fessura ben lucida, ne udì li discorsi, e ne vide le lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte avanzala uscendo come in servigio de’ padroni, non ardi di andare ai consoli sol timore che volessero per r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse, e ' levas~ sero di mezzo chi porgea la dinunzia : ma recatosi a Pubblio Valerio l’ uno de’ quattro, primarj nel tor la tirannide y congiunsero a vicenda la destra, e giuratagli da lui sicurezza, gli svelò quanto odi, e quanto vide. Colui, saputo il fatto, si presentò • senza indugio su r alba in casa degli Aquilj con valida schiera di clienti e di amici, e penetrandone senza >ntesa le porte come per tutt’aliro affare, s’impadronl delle lettere mentre pur v’ eran que’ giovani, i quali menò seoo innanzi de’ consoli. Vili. Ora essendo io per dire le sublimi, e meravigliose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magnificano, temo che sembrino austere troppo nè credibili ai Greci, giacché tutti sogliono per natura giudicare le cose che di altri si dicono dalle proprie, e secondo queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno io le dirò. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in tribunale, ed esaminando le lettere de' congiurati, appena scopri quelle de’ figli distinguendole dai sigilli, e dopo rotti i sigilli, dai caratteri; ordinò primieramente •he lo scriba leggessene 1’ una e l’ altra, sicché tutti le udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se voleano. Niuno de’ due ardiva rivolgersi impudentemente a negarle per sue, ma quasi avessero già condannato sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo sorse ; ed intimalo silenzio, ed aspettando tutti qual ne sarebbe la flne, disse, che condannavali a morte. Or qui alzarono tutti la voce, alienissimi, che avesse un tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano condonare al padre la vita de’ figli. Ma egli non comportando nè le voci nè i pianti comandò a’ satelliti che di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplicavano e co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva spettacolo meraviglioso a tutti che un tal uomo niente piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini, nè per la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più portentosa 1' austerità di lui circa il supplizio. Imperocché nè permise che si uccidessero i figli allontanati dal cospetto del popolo, nè egli, almeno per fuggirne la terribile vista, si ritirò dal Foro finché non furono puniti : nè condiscese pure, che subissero, non disonorati co’ flagelli almeno, la morte destinata. Ma custodendo tutte le consuetudini, e tutte le leggi quante ve n’ ha su’ malfattori, egli stesso nel Foro tra la pubblica vista presente a tutto, fattili prima straziar colle verghe ; concedette alfine che con le scurì si decapitassero. Sorprendente soprattutto, inconcepibile era in quest’ uomo la immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di compassione. Tanto che piangendo tutti, egli solo fu visto non piangere sul destino de’ figli: nè sospirò per sè stesso, nè per la solitudine la quale facevasi nella sua casa, nè diè segno in tutto di debolezza: ma senza lagrime, senza lamenti, e come inalterabile, portò magnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di animo, tanto costante in compiere le risoluzioni, e tanto superiore agli affetti che turbano la ragione ! IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli AquiIj, 6gli della sorella dell’ altro console, presso a’ quali teneansi i congressi de’ congiurati. E comandando alle scriba che ne leggesse l’ epistole sicché tutti le udissero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero dagli amici, sia che di per sè lo risolvessero, si gittarono a piedi dello zio per essere da lui salvati. Ma comandando Bruto ai littori che li svellessero, e li traessero se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino sopraggiunse a questi, che sospendessero alquanto finché abboccavasi col collega, e pigliatolo da solo a solo orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che fossero caduti in tale stoltezza per inesperienza e per compagnie triste di amici, e parte eccitandolo a condonare la vita di parenti, dimandandolo in grazia lui che non d’altro mai più lo vesserebbe, e parte facendo riflettere che turberebbesi il popolo tutto se davausi ad uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’ fuorusciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran molti, e parecchi non ignobili di lignaggio. Ma non venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno pena più mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i complici si avesser la morte, mentre il tiranno non sostenea che l’ esilio. E perciocché Bruto ripugnava da pene più mi, nè voleva (ciocché chiedeva da ultimo il suo collega ) nemmeno differire il giudizio de’ colpevoli, e minacciava, e giurava di darli tutti appunto iu quel giorno alla morte ; Coliatino sdegnatosi in fine che niente ottenea ; soggiunse : io, pari tuo, to scamperò que' giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto indispettitone, no, disse, Coliatino ; non potrai finché 10 vivo far salvi i traditori della patria : anzi tu pure darai tra non molto le pene che meritL X. Ciò detto, e messa una guardia su’ giovani chiamò 11 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro, perchè il supplizio de’ figli suoi, già si era in città divulgato, egli facendosi in mezzo, cinto da’ più cospicui de’ senatori disse : lo vorrei o Cittadini, che Collatino, questo mio compagno, fosse concorde con me su tutto, ed odiasse e combattesse i tiranni non pur colla voce, ma colle opere. Ora poiché lo trovo manifestamente contrario e congiunto in tutto a' Tarquinj di sangue, di voglie, e di brighe onde riconciliarceli, anzi col-[ utile suo che del comune ; io sono risoluto di op~ pormegli perché non compia le ree sue macchinazioni, e perciò vi ho qua convocati. Io dirò primieramente in qitanto pericolo sia la città ; poi come t uno e t altro di noi siasi diportato. Biunitisi alquanti in casa degli Aquila nati dalla sorella di Collatino, e tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia moglie, ed altri non ignobili ; stabilirono, e congiitrarono la mia morte, e di restituirvi in Tarquinio il monarca. E già erano per mandare ei fuorusciti /efrtere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma si fe ciò, la Dio mercede, a noi manifesto, indicandocelo questo uomo, che è un servo degli jiquilj, di quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella notte precedente le lettere ; e noi, le abbiamo noi, queste lettere. Io già ne punii Tito e Tiberio miei figli : e niente, non leggi, non giuramenti, furono da me violati per la clemenza di un padre. Ma Collatino mi ritoglica dalle mani gli Aquilj con dire che non soffrirebbe che partecipassero la sorte de' miei figli, se partecipato ne aveano i disegni. Ma se costoro non soggiacìono a pena, nemmen dunque vi dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie, non quanti sono, i traditori della patria. E qual diritto più grande avrò io contro questi, se risparmiatisi quelli ? Dite, qual contrassegno c mai questo, di amici della patria, o del tiranno, di conferma del giuramento che avete voi tutti prestato noi precedendovi, o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli rimanevasi occulto, pur sarebbe in preda alle fune e sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poiché vi si è palesalo a voi si spetta, a voi di punirlo. Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rendeste i suoi beni al tiranno, non perchè la città se gli avesse per usarne in guerra contro i nemici, ma perchè li nemici gli avessero per usarne contro la città. Ed ora si arroga di esentare dalle pene i congiurati a restituirvi i tiranni, in favore come è chiaro di questi, perchè se mai tornano, sia di forza, sia per tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottengcL come amico, quanto dimanda. Ed io che non ho perdonato a’ figli miei, io dovrò, o Collatino, te risparmiare, che sei con noi di presenza, ma coll’ animo tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria, tu me che per essa travagiiomi, ucciderai ? Or potrà farsi ? Eh ! che lontani siamo di molto. E perchè non possi nulla di simile, ti levo dal consolato e cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citiiadini voi chiamerò ben tosto per centurie, e presi i voti, deciderete se dobbiam così fare. Intanto, (e vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi dovete, escludere Collatino, o Bruto. XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino esclamando ed angustiandosi, cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore e traditore degli amici : e purgandosi dalle incolpazioni contro di lui, pregava intanto pe’ fìgii della sorella: ma perciocché non permettea che si dispensassero i voti contro di lui ; inferocivane il popolo, levandosi a remore in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito nè soffrendo discolpe, nè volendo preghiere ma solo che si dispensassero i voti ; ed interponendosene il suocero Spurio Lucrezio, uom pregiatissimo, per timore che Collatino non perdesse ignominiosa mente ad un tempo il magistrato e la patria, chiese da ambi i consoli facoltà di parlare. Ed ottenutala, esso il primo, come dicono gli storici Romani, giacché non v era ancor r uso che un privato aringasse il comune ; diedesi pubblicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’ consoli, Collatino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando a mal cuore de’ cittadini, che spontanei gliel diedero ; ma se pareva a que’ che gliel diedero di ripeterlo, volontanamente lo restituisse, e levasse co’ fatti, non coi detti le accuse contro di lui : prendesse le sue cobbe e si recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè 10 Stato non era in salvo ; cosi porUndo 1’ utile pubblico : riflettesse come in altre ingiustizie gli uomini se ne sdegnano, quando sono commesse : ma che sospetundosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne invano e guardarsene', che trascurarli e lasciarsene rovinare. Persuadeva poi Bruto, che non cacciasse dalla città con vergogna e con vitupero quel magistrato com> pagno col quale avea preso le risoluzioni più belle {>ér la patria : ma che desse a lui, s’ avea cuore di lasciare 11 suo grado e di trasmigrarsi, tutto 1’ agio a raccor le sue robbe, e gli aggiungesse a nome del popolo un dono come pegno di consolazione nelle sue calamità. Cosi consigliando quel valentuomo, inUnto che il popolo ne lodava i discorsi, Collatlno depose la sua dignità, contristato che per la pietà de’ parenti era astretto a lasciare e senza demeriti la patria. All’ opposito encomiavalo Bruto perchè risolveva il migliore per la sua Roma e per sè, e pregavalo a non. disamorarsi nè verso di lui, nè della patria : trasportando altrove la sede, considerasse ancor sua, la patria che lasciava, nè si meschiasse a’ nemici contro lei non colle parole, non colle opere. Considerasse in somma questo transito suo qual pellegrinalo, non qual bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo ricevevano, ma V affetto suo, lo. tenesse questo, presso quei che lo mandavano. Or, cosi avendo ammonito quest’ uomo persuase il popolo a regalarlo di.’ laS venti talenti, con aggiungerne egli cinque del suo. Ca duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia si ritirò a Lavinia, antica madre de’> Latini dove carico di anni mori. Bmto non sopportando di essere solo al comando, per non dare sospetto, che levato avesse il compagno dalia patria per fervisi re, chiamò bentosto il popolo al campo dove usava eleggere i sovranie gli altri magi strali, e creò per collega nel consolato Pubblio Yale rio, uno dei discendenti, come sopra fu detto, dai Sabini, uom degno di ammirazione e di lode per le molle suo doli, e principalmente per la sobria sua vita. Egli trovando in sé stesso una luce naturale di filosofia, la fece brillare in più affari, come poco ap presso diremo. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a morte, quanti erano, i congiurati al ritorno de’ fuom sciti, e dichiararono libero e cittadino il servo. che aveali denunziali, colmandolo di oro. Poi fecero tre bellissimi ed utilissimi regolamenti, che la città contemperarono a pensare tutta di un modo, sminuendo il favor pe' nemici. Il primo spediente fu di scegliere i migliori della plebe e di crearli patrizj, onde compier con essi un Senato di trecento. Appresso esposero al pubblico le suppellettili del tiranno, concedendo che ognuno se ne avesse, quanto toglievano ; e compartirono i terreni di esso a chi non aveane, riservandone unicamente il campo tra ’l fiume e tra la città, dedicato già dal voto degli antenati a Marte, come prato benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in arme. Tarquinio però, sebbene prima di lui fosse già sacro a qnel nume, aveaselo appropiato, e sem inavaci : di che è sommo argomento la risoluzione allora presa da’ consoli sul ricollo che sen ebbe. Imperocché sebbene avessero conceduto al popolo di prendere e portarsi quanto era del tiranno, non però consentirono che alcuno si arrogasse il grano germogliatovi, sia che fosse nelle spighe, sia che nell’ aja, sia che già lavorato ; ma decretarono che si gettasse nel fiume come esecraa do, né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo sopravvanza ancora, monumento famoso, la isoletta sacra ad Esculapio, bagnata intorno dal fiume, prodotta, dicono, dagli ammassi delle paglie corrotte, e dai fango che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad essi generale perdono, e ritorno sicurissimo in patria fra venti giorni, intimando a chi venuto non fosse in quel termiue, 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni. Or tali provvedimenti impegnarono ad ogni cimento quei che godeano le robe, quante mai fossero del tiranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che ne aveano; come impegnarono a favorire non più la tirannide ma la patria, que’ lutti che per le gesta loro sotto dei despoti, eransi esiliati da sé stessi, per timore di non pagarne le pene. Ciò fallo, si diedero co pensieri alia guerra tenendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto le insegne e li capitani per addestrarvelo ; perchè aveano udito che i fuornscili apparecchiavano centra loro ua armata dalle città dell’ Etruria, e che quelle de’ Tarquinj e de’ Vejenii, potentissime ambedue, cooperavano manifettamente al ritorno di essi, mentre gli amici loro adunavano dalle altre de’ stipendiati e de’ volontarj. Ma non si tosto seppero che l’ inimico moveasi, deliberarono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il fiume, s' inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni nel prato Giunio, presso la selva sacra ai genj di Orato. Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di numero con ardore eguale per combattere. £ su le prime, surse, appena si videro, picciola mischia tra’ cavalieri, innanzi che le fanterie prendessero campo. Cosi gli uni sperimentarono gli altri, e non vincitori e non vinti si ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la fanteria nel centro, e la cavalleria nelle ale si mossero da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e cavalli gli uni contro degli altri. Conducea l’ala destra Valerio il console, contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la sinistra avendo a fronte la n^ilizia de’ Tarquiniesi comandata da’ figli del tiranno. XV. Erano già già per venire alle mani quando ' avanzandosi dalle fila de’ Tarquiniesi 1’ uno de’ figli del tiranno, ( Aruute ne era il nome) il più vago di aspetto, e più magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso i Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce, coperse d’ ingiuria il duce Romano, chiamandolo ferino, selvaggio, lordo del sangue de’ figli, imbelle e vile, e lo sfidò per tutti a combattere solo. E colui non Cosi nel Codice V.iticano. Alcuni peto leggono jirslo in luogo di Orato, perchè secondo Tilo Livio e Valerio Massimo jfrtia si idiiamava la selva. più bastando alle ingiurie, spronò dal suo posto il cavallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano, correndo fortissimamente alla morte che eragli apparecchiata dai fati. Rapiti ambedue da pari ardore, intenti a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono, avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’altro, e vibransi colle aste colpi vicendevoli, non reparabili cogli scudi, nè con gli usberghi, immergendone la punta chi nelle coste, e chi nelle viscere. Urtatisi per la foga del corso i cavalli nel petto, eievaronsi su pie’ di dietro, e girandosi colla cervice rovesciarono i cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue in copia dalle ferite, e lottando colla morte. Come le milizie videro caduti i duci loro, spiccaronsi tra clamori e strepito, e sorsene battaglia, quant’ altre mai ferocissima, di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile. Imperocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio console vinsero li Vejenti, ed incalzandoli 6no agli alloggiamenti, copersero il campo di stragi. Per l’ opposito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da Sesto figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala sinistra, e corsi presso alle loro trincierò usarono perfino tentare se poteano in quell’ impeto primo espugnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano dentro, si ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj, cosi detti, veterani peritissimi di guerra pel lungo esercizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi, quando ogn’ altra speranza vien meno. XVI. E fattosi già il sole presso l’ occaso, tornarono gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti per la viuoria, che doleati per la moltitudine de’ perduti compagni. E se doveasi far nuova battaglia non credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ; essendo i più feriti : se non che più grande era I’ abbattimento, e la diffidenza ne’ Romani per la morte del comandante; in guisa che venne a molti in pensiero che fosse il loro migliore di abbandonare prima del di le trìnciere. Ma intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano una voce, sia del genio tutelare del bosco medesimo, sia di Fauno che chiamano, la quale rimbombò su l’uno e l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno ascriveano i Romani i panici timori, e tutte le visioni che varie ne’ luoghi varj presentansi spaventosamente ai mortali : e di questo Dio dicono che sian opera le chia mate fatte dal cielo, le quali tanto perturbano chi le ascolta. Animava questa voce i Romani a bene operare quasi avessero vinto, significando come era morto uno di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce Valerio ne andasse nel cuor della notte agli alloggiamenti de’ Tirreni, e che uccidendoveli per la più parte, o fugandoneli s’ impadronisse del campo. Tal fu l’esito di questa battaglia. Nel giorno appresso i Romani spogliarono i cadaveri de’ nemici ; • seppelliti quelli de’ suoi, partirono. I migliori de’ cavalieri, presolo con molta onorificenza e con lagnme, riportavano a Roma il corpo di Bruto in mezzo ai fregi della propria virtù. Mossero all’ incontro di essi il Senato che avea decretato che si portasse il duce con pompa trionfale, ed il popolo che ricevè l’ esercito con BIOaiGl, torneai. crateri colmi di vino e con mense. Giunti nella città ; il console ne trionfò come i re soleano, quando solennizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse a’ numi le spoglie, e fe' di quei giorno una festa, convitando i più riguardevoli de cittadini. Pigliata nel giorno appresso lugubre veste, ed esposto il cadavere di Bruto su magnidco letto in splendido ornamento nel F oro, vi convocò la moltitudine, e salito in palco, ve ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben discemere se Valerio il primo introdusse in Roma quel costume, o se dai re io desunse : ben so che tia Romani antichissima é la istituzione degli elogi nella morte de’ valentuomini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi, e di storici famosissimi che non i Greci i primi la fondarono. Imperocché le vecchie storie danno a conoscere che ci aveano in morte di uomini insigni, combattimenti equestri e ginnici, come Achille ne fe’ su Patroclo, e come Ercole, prima ancora, su Pelope : ma che gli encomj se ne recitassero, ninno lo scrive se non i tragici di Atene, i quali adulando la propria città, favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da Teseo. Laddove tardi istituirono gli Ateniesi per legge le funebri laudazioni ; sia che le incominciassero su quelli che morirono per la patria ad Artemisio, a Salamina, a Platea, sia che su quelli i quali caddero a .Maratona. E la impresa di Maratona, se in quella sì cominciarono gli elogj pe’ defonti, è più tarda della morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando d’ investigare quali stabilissero prima i lugubri encomi, voglia esaminare presso chi sia la legge meglio ordinata ; la troverà tanto più savia tra questi che tra quelli, quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi mortuali, pe’ defunti in battaglia, quasi estimassero la bontà del solo termine glorioso della vita, sebbene al> tronde indegnissima : laddove i Komani destinarono tal6 onore non al soli estinti nel combattere, ma a tutti gli uomini, insigni per sublimi consigli, o per belle operazioni, sia che in città, sia che in guerra avessero comandato, ovunque morissero, giudicando che debbansi i valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa, ma per tutte le virtù della vita. Così muore Giuoio Bruto, colui che schiantò la tirannia, che primo fu console dichiarato, che tardi rendutosi illustre 6orl sì, piccini tempo, ma fortissimo parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di femmine, come scrivono gli storici i quali esaminarono le cose de’ Romani, ancor le più chiare : di che ne allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non facile a vincersi, che egli era dell’ ordine de’ patrizj ; laddove quei che si dicono originati da lui li Giunj e li Bruti eran tutti plebei, perocché conseguivano le cariche degli edili e de’ tribuni, che son quelle che per legge a’ plebei si permettono, e non il consolato, cui niun conseguiva fuorché li Patrizj. E quando questa dignità si concedette ancora a’ plebei coloro non la ottennero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli a’ quali si appartiene conoscerlo più chiaramente. XIX. Dopo la morte di Bruto, Valerio il collega suo, divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scettro ; primieramente perchè tenea solo il comando, dovendo far subito eleggersi un compagno, come quando Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato la casa in sito invidiato, preso nella parte alta e dirotta del colle, il quale chiamasi Yelio e domina il Foro. Convinto però da' suoi come ciò dispiaceva al popolo, pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno in Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni della sua magistratura, sostituì Marc' Orazio ; e trasferì r abitazione sua dalle cime alle radici del colle, perchè i Jtomani, come ei disse concionando, potessero tempestarlo co sassi date alto se trovavano eh ei facesse ingiustizia. E volendo rendere il popolo più certo della sua libertà levò le scuri dai fàsci, dando ai consoli sue cessivi il costume, durevole pur ne’ miei giorni, di usare le scuri quando escono di città, ma di non portare nell’ interno di essa che i fasci soli. Fondò leggi piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; proibendo con una manifestamente che niun de’ Romani andasse alle magistrature se dal popolo non le prendeva; con pena di morte a chi contravvenisse, e licenza a tutti di ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un magistrato Romano voglia uccidere, o battere, o multare alcuno in danari; possa f uomo privato appellarne al popolo senza che intanto niente ne soffra dal magistrato finché il popolo ne sentenzii. Or siccome onoravasi con tali regolamenti il popolo ; cosi ne diedero al console il nome di poplicola, che in greco appunto significa curatore del popolò. E tali sono le cose fatte in quell’ anno dai consoli. Nell anno seguente è di nuovo creato console VALERIO, e con esso LUCREZIO: ma non si fece nulla di memorabile se non il censo de’ beni, e la tas sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio, e rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma idonei alle arme cento trenta mila : e fu spedito un esercito per guardia a Sincerio (z), luogo di frontiera contro i Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la guerra. Creali consoli (3) Valerio detto Poplicola per la terza volta e Marc’ Orazio con esso per la seconda, 'Laro, re di Chiusi nell’ Etrurìa, quegli che Porsena si cognominava, promise ai Tarquinj ricorsi a lui, 1’ una di queste due cose, o di riconciliarli co’ Romani pel ritorno, e la ricuperazion del comando o che ripiglie rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati spogliati. Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>> sciadori a Roma, i quali portavano preghiere miste a minacce, non aveaci ottenuto nè la riconciliazione, nè il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le imprecazioni e li giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie riavuto i beni, negando restituirli coloro che se gli aveano divisi, e godevanli. E non contentato in niuna delle domande, e chiamandosene vilipeso e conculcato, a46 secondo Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione di Roma, e 5o6 STanti Cristo. (a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio. (3) a47 sec. Ceti e a4g see. Var. dalla fondazione di Boma, e 5o5 avanti Cristo] arrogante altronde, e briaco per 1’ ampiezza delle sue ricchezze e dominio, credette avere cagioni assai per abbattere la signoria de’ Romani, come già per addietro desiderava, ed intimò loro la guerra. A lui si con giunse Ottavio Mnmilio il genero di Tarquinio sul disegnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli si mosse dalla città del Tuscolo e menò seco i Carne rifai, e gli Antemnati, lignaggio latino, alienali già palesemente da’ Romani, e molti volontarj suoi fautori, delle altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra manifesta contro di una città confederata, e tanto poderosa. Saputo ciò li consoli romani ordinarono a’tmltivatori di portare masserìzie, bestiami, e schiavi ai monti vicini, fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli, opportuni a difendere chi vi si riparava. Quindi premunirono con più potenti maniere e con guarnigioni il Gianicolo, alto colle, cosi chiamato, nelle vicinanze di Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza perchè non divenisse un baluardo pe’ nemici contro la città, e vi depositarono gli apparecchi per la guerra. Quanto alle cose interne della città le disposero, ancor più propiziamente verso del popolo, diffondendo assai beneficenze su’ poveri, perchè questi non si ripiegassero in verso de’ tiranni, nè tradissero per 1’ utile proprio, il comune ; imperocché decretarono che fossero immani da’ tributi pubblici, quanti al tempo dei te ne pagavano, nè soggiacessero a spese di milizia e guerra, giudicandoli assai contribuirvi se la persona esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi Roma la milizia preparata ed esercitata già da gran tempo. Giunto il re Porsena coll’ esercito espugnò di assalto il Gianicolo, spaventandovi i Romani che lo presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi marciò verso la città quasi avesse a prenderla senza fa tica. Ma fattosi ornai prossimo al ponte, e visti accampati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume si apparecchiò per combattere, in guisa da sopraffarli col numero, e spinse assai spregiantemente innanzi la milizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto figli di Tarquinio, tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da Roma, il fiore della gente di Gabio, e stranieri, e mercenari non pochi. Mamilio il genero di Tarqninio comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Romani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata nel centro. Ma Spurio Largio, e Tito Erminio teneano l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj: Marco Va lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il console dell’ anno precedente stavano colla sinistra a fronte di Mamilio e de’ Latini. Moveano tutti due i consoli il corpo fra le due ale. Fattasi alle mani combattè virilmente l’una e l’altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma potendo questi assai più de’ primi col numero. Alfine cadendone quinci e quindi in gran copia s’ intimorirono prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci Valerio e Lucrezio feriti, e portati fuori della battaglia ; e poi, quando mirarono in piega i loro compagni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra sebbene ornai vincitori delle schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi tutti alla città, |>recipitosi, in folla, su per un ponte solo ; piombavAno intanto su loro ferocissimi gl’ inimici : e poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura dalla banda del fiume, fosse espugnata, se i vincitori investita 1’ avessero misti co’ fuggitivi. Se non che sostennero r inimico, e salvarono tutto 1’ esercito tre uomini, due seniori, Spurio Largio, e Tito Erminio, appunto i duci dell’ ala destra, e Publio Orazio, un giovine, il più beilo, il più valoroso de’ mortali Coclite detto dallo strazio degli occhi, per essergliene stato di velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di Marc’ Orazio console, e traeva la origine sua generosa da Marco Orazio 1' uno de’ trigemiai che vinse già li tre Albani,. quando le città guerreggiando per la preminenza. accordaronsi a non cimentarsi con tutte le forze, ma con soli tre uomini, come fu dichiarato nei libri antecedenti. Questi soli fattisi alla lesta del ponte disputarono gran tempo il passo al nimico, fermi sul posto medesimo, in mezzo a nembo di strali e tra ’l fulminar delle spade, finché tutta l’armata ripassò di qua dal fiume. Come però videro in salvo i suoi, Erminio e Largio, laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti, si ritirarono a grado a grado. Orazio però, sebbene dalla città lo richiamassero i cittadini ed il console, e tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai parenti e alla patria, Orazio solo non ubbidì, ma nel posto suo si rimase come dianzi, raccomandando ad Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero verso la città, quanto prima potevano il ponte. Era di quel tempo il ponte uno solo e di legno, con tavole congiunte per sè stesse e non per ferrei grappi, quale custodiscesi tuttavia dai Romani : raccomandò nemmeno che quando avessero sconnesso il più del ponte, quando picciola parte resterebbe a disfarne, a lui lo dichiarassero con certi segni, o con sonora voce. Lasciassero a lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a que’due si tenne in snl ponte, e parte col ferir della spada, parte col dar dello scudo, ne respinse, quanti investendolo, vi si avventavano. E già quelli che perseguitavano il romano non ardivano più venire alle mani con esso, come preso da furore e fermo di morire , molto più che non era facile andar fino a lui, che aveva a destra e a sinistra il fiume, e dinanzi un monte di cadaveri e di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in folla con lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la mano ; o coi brandi e coi scudi degli estinti, se non aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro medesime : tirando su la moltitudine ; sempre, com’ è verisimile, colpiva alcuno. E già percosso, già carico egli era di ferite in più parti del corpo, già un colpo portatogli direttamente per la coscia alla testa del femore, lo addolorava e difficoltava nel caminare; quando, udendo gridarsegli addietro essere il ponte nella sua più gran parte disciolto, si gettò di un salto colle arme nel fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e molto vorticoso per le travi che già sostenevano il pon te, e che ora abbattute rompevano il corso delle acque, fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto perduta niuna delle armi. Tale azione produsse a lui gloria immortale : e li Romani coronandolo lo portarono immantinente per la città com’ nno degli eroi tra’ cantici trion&li. RU versavasi la urbana moltitudine, finché le era permesso, per desiderio di vederlo, almeno nell’ ultimo presentarsele; sembrandole che tra non molto morirebbe per le ferite. Scampò tuttavia da morte; ed il popolo mise nella parte più cospicua del Foro la statua metallica di lui com’ era fra le armi ; e diedegli del terreno pubblico quanto ne potrebbe in un giorno un pajo di buovi arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici doni, ogni uomo o donna, i quali erano insieme più che trecento mila, gli recarono ciascuno il vitto di nn giorno mentre era fra tutti terribile la peuorta. Orazio dimostrala in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani invidiabile. C quantunque, divenuto perchè zoppo, inutile ad altr’ incarichi nou potesse in vista di tale sciagura conseguire nè il consolato, nè altre militari presidenze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da lui, vedendolo tutti ì Romani, in quella battaglia, merita di esserne encomiato quanto mai lo fosse ciascuno de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio, soprannominato Cordo, sceso da chiari antenati, anch’ egli si mise ad una nobilissima impresa. Io ne dirò tra poco dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma. Dopo quella battaglia il re dei Tirreni collocatosi nel monte vicino, dal quale avea discacciato il presidio romano, dominava tutta la campagna di là dal Tevere. Li figli di Tarquinio, e Mamilio il genero di lui tragittando le milizie loro picciole barche aU. ' i3y r altra riva per cui vasai a Roma, accampamsi in luogo ben forte. Donde slauciandosi davano ilguasto alle terre, ed agli alloggi pe’ bestiami, e piomavano su’ bestiami stessi che uscivano dai sicuri luo^i per pascere. Ora essendo tutto 1 aperto in balìa el iie mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai in città le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto carestia gravissima ; consumandovi tante raigliaja Iprovvigioni già fattevi, che non erano copiose. Allea gli schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero, disertavano dai padroni, e li più malvagi del ppolo trasferivansi alle parti del tiranno. In vista di ciò arve ai consoli di supplicare i Latini i quali riverivano' le> gami del sangue, e sembravano fidi ancora, che ian> dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire ambasciadori a Cuma nella Campania, ed alle itià Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far guerra con Tarquinio nè co’ Romani, avendo con mbedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio pediti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trincate da’ campi Pomentini più barche di ogni vettvaglia, le introdussero in una notte senza luna dal tare EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno ben tosto pur questa provvigione, e ridottisi gli uoainì ai disagi di prima ; Porsena chiarito dai disertori cime, que’ eh’ eran dentro vi penuriavano, mandò arabi ad essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno liberarsi dalla guerra e dalla fame. Non comportarono i Romani il coaando, risola piuttosto di subirne ogni male. Ma prevedendo > Musi' che l’una delle due ne seguirebbe, o che vinti dal bogno non terrebbono gran tempo la parola, o che aendola ne perirebbono sgraziatissimamente; pregò li coioli che gli adunassero il Senato, come volesse proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli, disse Io medito o senatori una impresa, donde il popo nostro s’involi da’ mali presenti. Ardita molto ella ì questa, ma facile, io penso, da compierla. Beri, riuscendomi, poco, ower nulla io spero su la mie vita. Ora essendo io per espormi a tali pericoli, anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che, voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar la trova, io sitine celebrato almeno per V azione bellis.ma, e me ne abbia gloria eterna in luogo del capo mortale. Già non era sicuro palesar quanto mcchino al popolo, perchè niuno spinto dall util suo ne riferisse à nemici, quando è ciò da nascondersi cote arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli maniestolo, i quali, ne confido, lo tacerete: gli altri da vo r udiranno a suo tempo. La impresa che io medito è mesta : Fintomi disertore, andrommene al campo Treno. Se non mi ciedono e muojo, voi non avrete peduto che un cittadino : laddove se mi riesce introdumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il sue re. Caduto Porsena, sarà per voi finita la guerra. Io pronto sono ad ogni sorte, qualunque gli Dei me ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e teslimonj miei presso del popolo, e pigliando il genio buoni della patria per guida, portomi^ e vado. Encomiatone dai senatori presenti, ed avuti gli augurj propizj per la impresa, passa il Tevere : e giunto agli alloggiamenti de’ Tirreni, ne penetra come nno di essi le porte, deludendone le guardie : perchè non portava arme visibili, e perchè parlava alla tir> rena, come eravi fanciullo stato istruito dalla sua natrice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tecda del principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e complessione di membra seduto in veste di porpora nel tribunale in mezzo a molti che armati lo circondavano. Or pensò, ma indarno, che costui fosse Porsena, non avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni : ma egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tribunale e numerava i soldati, e registravano i pagamenti. Inoltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme, snl tribunale, cava il pugnale che celava sotto l’abito, e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo scriba, egli è preso immantinente e portato al re già consapevole della strage. Il quale vedutolo appena, Ah scelleralissimo ! esclama, pagherai ben presto le pene che meritasti. Dì, chi sei ? donde vieni ? e su qual confidenza osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola morte delio scriba, o la mia parimente ? quali compagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o li tormenti vi ti forzeranno. E Muzio non presentando pur un segno di paura non col variar del colore, non colla fissezza dei pensieri, nè con altre affezioni solite in chi dee punirsi (li morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual diserlom ed tuo campo, nè già per causa vile, ma per liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere te, qu$nUmque io non ignorava che o riuscissi o fai' lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io destinava con' secrard alta patria la vita, e lasciarle pel corpo che essa àveami dato, una gloria sempiterna. Errai : e causa ifelT errore furono la porpora, lo scanno, e le altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva !. . lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la morte thè io decretava a me medesimo nell accingermi a rfuesta impresa. Che se tu giuri per gli Dei di risparmiarmi li tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto che ti svelerò cose, gravissime per la tua salvezza. Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colui come attonito, e temendo pericoli non veri da molti, glie lo giurò. Muzio allora ideato un inganno del quale non potea convincersi : disse : O re, trecento Romani tutti a ma pari di età, tutti patrizj di condizione, abbiamo mac' chinata di ucciderli, dandocene vicendevoli giuramenti. Pavé, a noi quando ci consultavamo su le maniere insìiiarli, che non tutti insieme ci ponessimo a questa impresa, ma ciascuno da sà, tacendo perfno ai compagni, quando, dove, come, e con quale occasione £ investirebbe, acciocché facile ci fosse di occulterei. Cosi macchinando, ci demmo le sorti, ed io me la ebbi il primo per cominciare la impresa. Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete egiude di gloria, e che forse alcuno la sazierà con successo più fausto del mio ; deh ! considera se possi more mai guardia abbastanza che ti d fenda. Il re ciò udendo comanda al atelliti che incalenino costui, se lo menino, e lo custodiscano diii> gentissimamente : egli poi convocando i più amici, e facendo che Arunte il figlio suo gli sedesse da presso, ragionò con essi le maniere da far vane le insidie : ma suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano cogliere il punto : quando il figlio suo propose un consiglio, superiore all’ età ; perciocché volea che non si pensasse a guardie onde precludere i mali, ma piuttosto a far quello per cui le guardie non bisognassero. E maravigliandosi tutti del suo consiglio, e desiderando sapere come lo eseguirebbe ; col farci, ei disse, amici i nemici, e col pregiare o padre, la salvezza tua più che il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben diceva, ma essere da consultare come consdignità si pacificassero. Sarebbe gran vitupero, se egli che uvea superato in battaglia, e tenea ristretti i Romani fra le mura si ritirava, senza compiere quanto avea promesso ai Tarquinj, quasi vinto dai vinti, e quasi fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte. Facea conoscere che l’unico mezzo da togliere le niniicizie sarebbe, se gli avversar) mandassero ambasciadori per trattare gli accordi. Cosi disse in quel giorno agli astanti ed al figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato egli il primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. Sbandatisi intorno i suoi militari, e datisi a predar di continuo quei che recavano in città le merci; i consoli Romani se ne misero in buon luogo alle insidie, e molti ue uccisero, e più ancora ne imprigionarono. Di ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolungarsi della guerra, e sfogandosi in desiderj di rendersi alle lor case. Or vedendo come tutti gradirebbero ma nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi. Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio sul giuramento di tornare poscia al monarca: ma vo glion altri che fosse piuttosto custodito come ostaggio nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.' Questi poi furono gli ordini che il re diede a’ commise sarj ; non dicessero parola sul ritorno de Tarquinj ; ma ne raddomandassero i beni, principalmente gli ereditar] dal canto di Tarquinio P antico, già posseduti da essi bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero almeno, quant’ era possibile, i compensi delle case, de' bestiami, de' campi, delle raccolte, come purea loro espediente, col danaro del pubblico, o de' possessori, ed usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto ad essi. Chiedessero poi > per lui che deponea le inimicizie li sette pagi, cosi detti, antico luogo dell' Etruria, invaso da Romani nella guerra e tolto aproprielarj, e finalmente chiedessero de' giovani delle famiglie più insigni, per ostaggio, che i Romaai si terrebbono amici costanti de' Tirreni.Venuti i deputati a Roma, il Senato per in sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne tutte le dimande in vista della penuria che alHigeva il popolo e. la classe de poveri ; onde accettissima sarebbe loro una pace, giusta nelle condizioni. Il popolo ratificò tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però die si vendessero i beni, o si desse a’ Tarquinj danaro, privato nè pubblico, e volle che si mandassero ambasciatori a Porsena perchè si contentasse degli ostaggi e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli giudice fosse tra’ Romani e tra Tarquinio, udisse 1’ una e r altra parte, e ne sentenziasse non per favore nè per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta, e con essi gli ambasciadori del popolo i quali conduceano per ostaggi venti giovani delle famiglie più illustri, avendo i primi dato i consoli Marco Orazio il 6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le nozze. Pervenuti questi nel campo, il re dilettatone, e moltolodati i Romani, conchiuse una tregua per un numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa. Baltristaronsi però li Tarquinj, caduti dalle speranze più lusinghiere, che avrebbegli quel monarca ricondotti sui trono ; e per necessità dovéttero acconciarsi alle circostanze, e prendere clocch’era lor conceduto. Giunti da Roma al tempo ordinato i più anziani de’ senatori e gii oratori della eausa ; il re sedutosi cogli amici nel tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intimò che parlassero. Trattavasi ancora la causa, quando un tale annunziò che gli ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché le donzelle tra' questi, avuta come la chiedeano, la facoltà di andare e di bagnarsi nel fiume, andatevi, dissero agli uomini che alquanto se ne discQstassero, finché lavate e rivestite si fossero, sicché non le vedessero nude. Or questi cosi facendo ; quelle gitlatesi a nuoto ripararonsi a Roma, eccitatevi da Clelia che le precedeva. A ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di iperginro e di mala fede, e provocava il sovrano perchè più non gli adisse, come divenuto il giuoco dei loro tradimenti. Esciisavasi il console, dicendo queir opera, tutta delle donzelle, senza voler del Senato: e che presto dimostrerebbe che niente era per inganno. Persuasone il re concedè che andasse e rimeuasse come pròmettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal fine: Dia Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni diritto un opera infanóissima, e spedirono in su la strada una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ricondotte, il console, e quanti tornavano al campo, e ritenersene le persone pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tarqninj, senz’ aspettare il fine del giudizio. Ma non permisero gl’ IJdj che succedesse loro secondo il disegno : perché mentre gl’ insidiatori uscivano dal .campo Latino per sopraffarsi a que’ che venivano, il console romano era già passato innanzi colle fanciulle : e già era alle porte degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunte da’ persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma ben presto fu nota a’ Tirreni, e ne corsero frettolosissimi in ajuto il figlio del re con de’ cavalieri, e la schiera dei fanti che stava di guardia innanzi del campo. Sdegnatosi di ciò Porsena convocò li Tirreni > e narrò come essendo egli fatto giudice da’ Romani di quello ond’ erano accusati da Tarquinio ; gli espulsi, e bene a diritto, da loro, aveano tentato di violare, le persone sacre degli ambasciadori e degli ostaggi, in tempo di tregua, e prima che si decidesse la causa. Dond’ è che i Tirreni assolvettero su di ogni richiamo i Romani, e togliendosi all amicizia di Manilio e di Tarquinio, intimarono loro cb’ entro il pros rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj pieni in principio di belle speranze per 1’ ajuto de Tirreni, o di essere di nuovo i tiranni di Roma, o di ricuperare! loro beni, perderono 1 uno e 1 altro per la offesa degli ostaggi e degli ambasciatori, e partirono con infamia, e con odio dai campo. Il re poi de Tirreni facendosi condurre gli ostaggi dinanzi dei tribunale gli rendette al console, dicendogli che pregiava la fedeltà de' Romani più di ogni ostaggio. R lodando Clelia, che avea persuaso le compagne di passare a nuoto il fiume, come ne suoi pensieri maggiore del sesso e della età, e feli citando Roma perchè allevava non pure de valentuo mini ma delle eroine, regalò la donzella di un cavallo generoso, e magniCcamente bardato. Sciolta radunanza fe’ cogli ambasciatori de Romani gli accordi e li giuramenti di pace e di amicizia, e li onorò come ospiti, e restituì senza prezzo, perchè li recassero in dono alla loro città, tutti li prigionieri, che eran pur molti : ordinò che rimanessero com erano i padiglioni suoi, fatti non come per breve durata su le terre altrui, ma fregiati, quasi una città, con private e pubbliche spese; quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato, usassero di. t noti serbarli. E fu questo, se in danaro si .calcola, non picciolo dono pe Romani, come lo di chiarò la vendita fattane da questori dopo la partenza del re. Tal fu la fine della guerra de’ Tirreni e di Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a tanti Dopo la partenza de’ Tirreni adunatosi il Senato Romano decretò che si mandasse a Porsena.il trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trionfale colla quale i re si adornavano: e che Muzio, espo stosi alla morte per la patria, e cagione principalissima del termine della guerra, si premiasse a spese del pubblico,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto terreno; di là dal Tevere, quanto poteane in un giorno solcare intorno coll’ aratro : e questo è il terreno che pur nel mio tempo si chiama il prato di Muzio. Cosi fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concederono che una statua di metallo se le innalzasse, ed i, padri 'delle donzelle glie la innalzarono nella via sacra,' dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’ abbiamo trovata ; e dicesi che mancò per un incendio delle case d’intorno. Fu quest’anno compiuto il tempio di Giove Capitolino, dei quale partitamente abbiamo scritto nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo consacrò, e lo intitolò prima che potesse tornare Valerio il compagno, uscito per avventura dalla città coll’ esercito, per difenderne la campagna : perocché Mamilio spedendovi a far preda, assai vi danneggiava li coltivatori éhe vi si erano di fresco l'icondótti, lasciate le fortezze. -E questo è ne’ fasti dèi terzo consolato. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli dell’anno' quarto io compierono senza guerra. Morì nel 1 • ; I • • • (i| Plutarco sclibenè poslèriore a Dionigi dice che la statua di Clelia esisteva aucora su la via sacra là donde vasai isf e-asAttrter in palatiwn. Casaub. (3) Ad. 348 secondo Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuudasioue di Roma, e 5o4 avanti Cristo] 149 loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re de' Tirreni Assediava già da due anni, la città della Riccia, perché conchiusa appena 1’ alleanza co’ Romani, prese dal padre metà dell’ esercito, e marciò contro quella città per sottoporsela, e dominarvi. Ma essendo ornai per espugnarla, sopravvennero a questa de’soccorsi da Anzio,. dal Tuscolo, e da Cuma della Campania. Egli schierò le milizie sue' minori contro le più numerose: ma dopo respinti, dopo incalzati gli altri 6no alla città, peri finalmente, vinto egli stesso dai CumanI condotti dalr r Aristodemo, che Malaco si chiamava. Fuggi, non sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti ne ^ soccomberono incalzati da’ Cumaui ; ma più ancot^ : sbandati ; ridotti senz' arme, nè più Idonei per le ferite a. fuga più lunga, ripararonsi nel territorio non lontano di Roma. Se li menarono i Romani dalle .campagne' in citté^ nelle proprie case, portandovene i più malconci a cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a proprie spese li nudrirono, e curarono, e ristorarongll con sol-, lecitudine molto affettuosa. Di talché molti di loro legati da tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene in patria, ma di rimanersi fra tali benefattori ; ed il Senato assegnò loro perclié vi si fabbricasser le case, la valle tra ’l Palanteo, ed il Campidoglio, lunga presso a quattro stadj. Chiamasi questa anch’ oggi nell’ idioma de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere ebbero dal re di quella gente dono non lieve, e che assai li dilettava, la campagna di là dal fiume, ceduta già da essi quando ne ottenner la pace. Cori iSó trìbuUroao agl’ Iddj li sagnfiz) magoìBci che aveano già promesso co’ voti se ricuperavano mai li sette pagi. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione dei re la Olimpiade sessantesima nona, nella quale Iscomaco Crotoniate vinse allo stadio, Acestoride fa 1 arconte di Atene per la seconda volta, e furono consoli Romani Marco Yalerìo, fratello di Valerio Poplicola, e Publio Postumio, detto Tuberto. Arse nel loro consolato un’ altra guerra co’ vicini, la quale cominciò colle prede, e procedette a numerose e grandi battaglie : finché cessò da indi a quattro consolati, dopo essersi nel tempo intermedio sempre stato fra le arme. Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita per gl’ incontri suoi co’ Tirreni, quasi non dovesse mai più ricuperare l’antica dignità, ne assalirono, affin di predarli, e certo molto ne danneggiarono, li coltivatori, i quali calavano di bel nuovo dai luoghi forti alla campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi rono ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal> ché non più molestassero chi lavorava i terreni. Ma non ricevendone che orgogliose risposte, intimarono ad essi la guerra. Valerio il console il piimo con truppe equestri e con fiore di milizie leggere scorse tu que’ rubatori de’ campi, e grande fu la uccisione de' sorpresi nri pascoli, sbandati, com’ è verisimile, nè provvidi del venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un An. a49 ài Rom. ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e &o3 vanii Criaio, esercito sotto un duce perito di guerra, i Romani usci rono di bel nuovo con tutte le forze, dirette da ambi li consoli. Postumio mise il campo nelle alture prossime a Roma, pei'cbi uon vi si facesse una subita irruzione da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu riva all’ Aniene, fiume che nella città di Tivoli casca da rupe altissima, e poi corre, dividendoli fra loro, i campi de’ Romani e de’ Sabini, finché vago in vista e dolce a beverne, scende nel Tevere. Erano i Sabini dall’ altra parte del fiume non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, e che poco a poco degrada. In principio gli uni rispettando gli altri esitavano a passare il fiume e farsi alle mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere, furono alle prese. Imperocché venuti ad abbeverare i cavalli e far acqua, inoltraronsi molto entro il fiume, vmile allon nel suo corso, perché non accresciuto dalle acque in vernali : e siccome bagnavali appena, poco più su delle ginocchia ; lo trapassarono. Attaccatisi in su le prime pochi con pochi, ecco accorrere altri a difenderli, ognuno dai proprj alloggiamenti, e via via sopraggiungerne di rinforzo, come questi o quelli erano superati. E quando i Romani respingevano i Sabini dal fiume, e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E molti uccisi e feritivi, ed eccitativisi tutti a combattere, come avviene nelle scaramucce fortuite, sorse ardore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli eserciti. E primo passandolo il console Romano e con esso r armata sua, ' piombò su li Sabini. Non eransi questi ancora nè bene armati, uè schierati ; pure non esitarono ad accettar la battaglia, inanimiti molto è spregianti, perchè non arcano a farla nè con ambi li consoli, nè con tutte le milizie Romane, e slanciatisi, combatterono con furia di baldanza e di odj. Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se 1’ ala destra, or’ era Postnmio il console, superava gli avversar] ed avanzavasi ; la sinistra ‘era travagliata e respinta al fiume. Or saputo ciò 1’ altro console usci coll’ esercito suo : marciava egli pian piano colla fanteria, ma fe’ precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Seniore, e console dell’ anno precedente. Andato costui di tutta briglia passò facilmente il fiume, che non era guardato da alcuno, e giratosi attorno l ala destra dei toemici pigliò di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui sorse battaglia diuturna e grave di cavalleria con cavalleria. Frattanto avvicinatosi anche Postumio co’ suoi fanti a queU’ ala ed investitala, molti ne uccise, e molti ne disordinò : di modo che se non sopravveniva la notte, i Sabini avviluppati da’ Romani che già prevalevano, sarebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, e salvi si ricondussero alle lor case. Impadronironsi i consoli senza combattervi de’ loro alloggiamenti, abbandonati dalle guardie al veder quella fuga : ed occupatevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito, lo rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma, allora la prima volta, da’ inali suoi co’ Tirreni, senti lo spirito antico, ardi come prima arrogarsi 1’ impero su’ vicini, decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo, e di più che si desse a Valerio che era I’udo di questi, un sito nella partepiù distinta del Pallanteo, dove gli si fondasse una casa a spese del pubblico. Questa è la casa innanzi alla quale sta il toro di bronzo, e questa tra tutti i privati e pubblici ediCzj è la sola che ha le porte che aperte si girano in fuori. XL. Presero dopo questi il consolato Publio Valerio Poplicola per la quarta volta, e Tito Lucrezio, di bel nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città Sabine, tenuto un congresso comune, decretarono far guerra ai Romani, quasi fosse finita 1’ alleanza loro, per essere caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’ aveano giurata. Aveale indotte a ciò,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto di nome, il quale coll’ onorare e supplicarne i cittadini primari di ognuna, metteva in tutte un animo per la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e consociate a queste pur le due città Camcria e Fidene, ribellatele da’ Romani. In contraccambio le città lo elessero generalissimo loro con facoltà di reclutare milizia da ognuna, come quelle che aveano perduta la prima battaglia per la insufficienza delle forze, e del capitano. Ed in ciò si adoperavano questi : ma la fortuna volendo contrappcsare i beni al mali di Roma, le diede in luogo degli alleati che le si eranp tolti, un rinforzo, quale non 1() Tra i Greci era grande onarificenia aver le porte che ai apriaaero au.la pubblica strada; e questa servitù della pubblica strada coiopcravasi a gran presso: come è chiaro da ciò che si legge d’Ificrate presso di Aristotele negli Economici. (a|)'An. di Bom. aSo secondo Catone, e aSa secondo Varrone, e 5oa av. Cristo] imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio, un Sid>mo domiciliato a Regillu, nobile e denaroso, fuggissene in seno di lei menando con sé gran parentado, ed amici e clienti in copia, i quali spatriavano con le famiglie ; tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila buoni per le arme. E questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra sferire in Roma la sede. I primar) delle città più cospicue alienatisi da lui -lo aveano incolpato di poca affezione verso il pubblico bene, citandolo qual traditore ; come r unico che mal soffriva la guerra, e che avea ripugnato in consiglio a quei che voleano sciolta 1’ alleanza, nè permise che i suoi cittadini AtiGcassero il decreto degli altri. Or temendo egli un giudizio, ove le non sue città sentenzierebbero della sua sorte, raccolse le sue robe, e gli amici, e si congiunse ai Romani, non senza picciolo sbilancio degli affari ; talché parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio della guerra. Per tanto il Senato ed il popolo lo ascrissero tra’ patrizj, lasciandogli in città quanto sito volle per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi compagni, da’ quali risultò poi la tribù Claudia che ancora tiene quel nome. Apparecchiatasi appuntp l’ una e 1’ altra parte, li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero due accampamenti, r uno all’ aere aperto non lungi da F idene, r altro in Fidene a difesa del popolo, come in rifugio dell’ esercito esterno in caso di sciagura. I consoli Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro,• uscirono anch’ essi con floride scltiere, e presero campo, separati T ano dall' altro, Valerio a fronte degli allog ' giatnenti sabini all’ aere aperto, e Lncreaio poco più di sopra, in un altura donde potea vedere l’ armata com. pagna. Era disegno de’ Romani di venire quanto prima a giornata per decidere subitamente, e visibilmente la guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di attaccare in pieno giorno la baldanza e la robustezza romana, sempre ferma, contro ai casi anche più duri, deliberò di investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era necessari a riempire le fosse, e trascendere il vailo, quando ebbe pronto tutto, voleva tor seco il 6or deU r esercito, ed assalire nel primo sonno le trincee de’Ro mani. Su tal disegno avea fatto intendere all’ armata di Fidene che quando si avvedessero del giunger suo venissero anch’ essi dalla città, ma con armi leggere : ed avea posto in luoghi opportuni gli agguati con ordine, che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro campo, uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito di voci e di arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine e trovativi pronti li centurioni, non aspettava che la opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo romano disse di quella trama al console. Giunsero non molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a far legna furono presi. Interrogati questi separatamente c/te mai preparasse il lor capo, risposero, che scale e ponti : ma che dove, o quando fosse per valersene, non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco alr altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava r animo dei nemici, e come si dovessero questi assalire. Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni, dicendo quanto avea raccolto dal disertore, e da’ prigionieri ; confortandoli ad esser magnanimi, e credere cb’ era giunto alfine il tempo sospirato onde prendere' su’ ne mici una luminosa vendetta ; prescrisse ciocché dovessero fare, diede i segni, e rinviò ciascuno alla sua schiera., XLII. Non era ancora la notte a mezzo, quando il duce Sabino fatti levare i soldati, ne condusse il fiore al campo romano, imponendo, a tutti che, taciti, avanzassero senza strepito di arme ; perchè i nemici non si avvedessero di loro prima che fossero giunti. Or come i primi a procedere furono vicini al campo, nè videro ivi lume di fuochi, nè voci vi udirono di sentinelle, assai riprendeano di stoltezza i Romani, quasi tralasciata ogni gtiardia, se la dormissero : c già riempiute le fosse in gran parte, le passavano senza ostacolo alcuno. I Romani però si teneano, non veduti si per le tenebre, ma schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e quando chi le passava era loro alle mani, uccidevanlo. Rimase alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a quei, che seguivano. Ma non si tosto quei eh' erano vicini alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i mucchi incontro de’ cadaveri de’ compagni, e le schiere valide de’ nemici che resistevano; gettarono le armi, e fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimogrido, perchè quel grido era segno all’ altra armata, corsero in folla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti subito 1 cavalieri per ispiare se ci aveàno insidie nemiche, si mosse indi a poco egli stesso col fiore della fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da Fidene per insidiare, li fugarono: ma la fanteria perseguitava) ed uccidevali, : ornai disordinati e sena’ arme, quelli che erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in teli òombaltimenti circa tredici mila tra Sabini ed al leali, rimanendone prigionieri! quattro mila dugento: ed il campo loro fu preso nel giorno medesimo. la stoltezza, e chiamandoli degni di morte quanti ve ne erano, giacché nè erano grati pe’ beneGzj, nè faceano senno pe’ mali ; ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi vi uccisero i più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri lasciarono che albergassero come prima, ponendo a coabitare con. essi la guarnigione che era decretata dal Senato, e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo ciò ritirarono le truppe dalle teiTe nemiche, e trionfa• rono secondo il decreto del Senato. E tali furono le geste di, questo consolalo. Creato consolo Publio Postumio Tuberto per la seconda volta, e con esso Menenio Agrippa Lanato , fecesi ma con piu schiere la tersa Irmzione dei Sabini prima che i Romani se n avvedessero, e pro> cedette 6n presso le mura di Roma, Risultarono da questa molte uccisioni non solo di agricoltori romani, colti repentinamente da nembo che non aspettavtno prima di ricoverarsi ne’ castelli vicini, ma di quelli eziandio che in città dimoravano. Imperocché Postumio il console riputando insopportabile quella ingiuria; uscì di tutta fretta, con truppe comunque per soccorrere i suoi, pih animoso in vero che savio. I Sabini, visto con quanto dispregio, disordinati, e sbandati si avanzassero verso loro, e latto disegno di ampliarne ancor più la negligenza, partirono con marcia più che ordir naria, quasi fuggissero addietro, finché giunsero ad una selva profonda ove il resto celavasi delle loro milizie. Or qui voltando faccia contrastettero a chi gl'inseguiva; ^ come pure gli occultati nel bosco ne uscirono, vociferando. Ed essendo essi in buon ordine e molti, prostesero gli altri che combattevano disordinati, sbandati, ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice deserta quanti ne fuggirono, con preoccupare le vie che menavano a Roma. E perocché già la luce era mancata ; posero le arme presso di quésti invigilandoli tutta la notte, sicché taciti non s’ involassero. Saputosi in città r informnio, vi fu gran turbamento, e concorso ai muri, e. timor comune, che i nemici trasportati, dal successo propizio, si presentassero in quella notte a An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo Varrone, e Sol av. Crino.. 1 5g Roma: e là com piange vans! i morti; qua i commiseravano li sopra vanzatt, come quelli che 'se nop erano immaniineote soccorsi, caderebbero prigionieri per la penuria. Passatasi con tanto mal' in cuore senza sonno la notte, Menenio, nato il giorno, armò li più floridi per anni, e li guidò ben forniti e con ordine a liberare gli assediali nel monte. I Sabini al vedere che ti avan> cavano non li aspettarono ; e tolto il campo si ritirarono, pensando che bastassero loro i vantaggi presenti: e senza indugiarsi gran tempo, tornarono festeggiando alle patrie, ricchi di bestiami, di schiavi, di danari. XLV. Rattristati i Romani dal danno, e credendolo causato da Postumio il console ; deliberarono di mar> ciane sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina, desiderosi di rifarsi della perdita inaspettata ' e turpe j molto più che assaissimo gli aveva esulcerati 1’ ambasceria recente e contumeliosa e superba colla quale i nemici, come già vincitori, e prenditori senza contrasto di Roma se non erano ubbiditi, comandav.vno che rendessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai vincitori r imperio, e stabilissero il goverho e le leggi, come sarebbero ordinate da questi. Aveano i Romani replicato a tali messaggi, che annunziassero alle loro comuni che i Romani comandavano ai Sabini, di deporre le armi, di sottomettere le loro città, di ubbidire,come per addietro, e ciò fatto di venir supplichevoli per iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde gli aveano violati nelle incursioni passate, se voleano pace ed amicizia : ma se ricusa vansi a tanto, aspettassero tra non molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ; uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il -fiore de’ giovani di ogni città con arme bellissime : e li Romani tutta la milizia urbana e le guarnigioni, concependo che i domestici e li schiavi, e quanti superavano ^ la età militare, bastassero in difesa di Roma e dei castelli della campagna. Cosi concentrati si accamparono ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da Ereto, città de’ Sabini. Come gli uni sepper degli altri o per con~ gettura dall’ampiezza degli alloggiamenti, o per ciò che ne udivano da’ prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini confi denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma timore ne’ Romani per la moltitudine di essi. Pur fepero cuo^e, e pigliarono qualche speranza su la vittoria pe’ segni mandati loro dal cielo, e per 1’ ultima visione, quando erano 'per ischierarsi, che fu questa : Su le punte dei lanciotti (sono queste le armi che i Romani scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti empion le mani, e lunghi, con ferrei spuntoni nell’ uno e nell’ altro estremo, diritti, nè minori di tre piedi, tanto che le armi, compresovi il ferro, somigliano ad aste mezzane ) su le ferree ponte di. questi lanciotti, piantati tra padiglioni, brillarono delle fiamme ; talché per tutto il campo fu luce continua come di accesi fanali, gran tempo delia notte. Ora come gli auguri dichiaravano ( nè già era difficile intenderlo ), concepirono che gli Dei con tal visione annunziassero loro una sollecita e luminosa vittoria : imperocché tutto cede al fuoco, nè cosa vi è che per esso non consumisi. E _ Dpercfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono con assai fiducia dalle trinciere, e nell’ estero di tale fi ducia, attaccatisi combatterono, sebbene di tanto minori, co' Sabini. La sperienza eh’ era in essi col vivo amor dei travagli, elevava li a spregiare ogni pericolo. Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra, inteso a riparare la passata disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici, non curando la vita per la vittoria : e come chi rapito è da furore, e fermo per ogni via di morire, si lanciò nel mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al tr’ ala con Menenio ornai stanchi, ornai cacciati di po sto, al conoscere che que’ di Postumio prevalevano su gli emoli, rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avversar] loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini, e diedesi pienamente alla fuga. E dopo la perdita delle ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro per sislerono, ma forzati dalla cavalleria Romana che gli assaliva si misero in volta. Tutti al proprio alloggiamento si riparavano, ma i Romani seguendo e investendo, ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne mico non fu totalmente distrutto, ne fu cagione la notte ed il luogo della sconfitta, che era nella Sabina. Imperocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in casa più facilmente di quello che lo potesse, per la imperizia sua, sorprendere chi 1’ inseguiva. Nel prossimo giorno i consoli, bruciati i cadaveri dei loro, e raccolte le spoglie, e tra queste le armi abbandonate dai vivi nel fuggire, e trasportando seco non pochi fatti prigionieri, c le robe invase' (non compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica vendita delle quali cose ogaaao riebbe i prestiti, contri' baiti per la spedizione ; tornarono con una luminosa vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato Tubo e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario sedendo su regio carro, Postumio col secondario, e men grandioso, che chiamano della ovazione, altera'tone il nome che era greco, sicché più non distinguesi. Conciossiaché per quanto io ne concepisco o ne trovo in molli degli storici Romani questo trionfo chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si praticava : ed il Senato, come Licinio racconta, ora per la prima volta ne ideò la pompa. Differisce quest’ onor secondario dall’ altro, primieramente perchè chi sei gode, entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come in quello: e poi, perchè non porta come l’altro la toga contraddistinta pe’ ricami varj e per l’oro ; nè la corona pur di oro; ma la toga candida contornata di porpora, la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ consoli, e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ; in questo cede al primo trionfante, che noU va collo sceturo. Postumio poi, sebbene più che altri segnalato OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce di Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo ovari era dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte con dire ss lasserò Tarquinio, Mamilio, gli Aricini, e cbiunqae davasi per accusatore di quella, iìuchè uditili tutti, seutenziarono essere stata l’alleanza rotta dai Romani; e fecero intendere a Valerio che col suo tempo discuterebbero come aveano a vendicarsi di loro che aveano i diritti calpestati del sangue. In mezzo a tali vicende congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguardevoli di Roma, e d’ incendiarla in più parti. Se non che datone indizio da’ complici, ne furono ben tosto chiuse le porte dai consoli, e preoccupati i siti forti dai cavalieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della congiura presi immantinente tra i domestici, o portati dalla campagna, perirono tutti, battuti, tormentati, crociGssi. E tali sono le cose operate in quel consolato. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Camerino, e Manio Tullio Longo , alcuni di Fidene con vooando de’ soldati dal popolo de’ Tarquiniesi occuparono il castello di essa, e parte uccidendo, parte esi liando quelli che si opponevano, ribellarono di nuovo Fidene ai Romani. Venutivi degli ambasciadori da Roma, erano per malmenarli come nemici: ma contenutine da’ seniori, gii esclusero dalla città senza udir nè rispondere. Il Senato quando seppe tali cose' non voleva ancor far guerra co’ Latini, perchè aveva udito che non a tutti piaceano le risoluzioni del congresso, che i poti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone, a 498 STtnli Cristo] poli ia ogni città vi si ricusavano, e perchè certo diceansi più quelli che voleano mantenere 1’ alleanza, che gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decretò che Manio un de’ consoli marciasse con armata poderosa contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente la campagna senza che niuno gli si opponesse, ne andò coir esercito fin sotto le mura, e provvide che non più vettovaglie vi s’ introducessero, nè armi, nè soccorso niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare le mura, spedirono alle città de’ Latini per implorarne solleciti ajuti. Convocarono i capi di quelle un congresso comune di tutte : e datavi di bel nuovo facoltà di parlare ai Tarquinj come agli altri che venivano dagli assediati, invitarono i consiglieri, cominciando da’ seniori e più cospicui, a djcbiarare il lor voto, e come aveasi a far guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose, e prima su la guerra se dovesse ratificarsi, i più torbidi fra i consiglieri insistevano perchè si riconducesse Tarquìnio al trono, e sì volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano con questo ad ottenere cariche di comando militare, e mescersi ai grandi affari ; e quelli vi miravano soprattutto, i quali cercavano in patria preminenza, e tirannide, lusingati che avrebbero ad essi ciò procacciato i Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più agiati e miti ( ed eran questi i più accreditati nel popolo ) chiedeano che si stesse ai patti, non si corresse ciecamente alle armi. Respinti quei che brigavansi per la guerra dai consiglieri di pace, persuasero all’ adunanza che mandasse almeno oratori a Roma perchè la pregassero, ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli altri fuoruscili senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que ' sto, e si governasse poi di suo modo. Ritirasse però r armata da Fidene ; non potendo essi guardare con Indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero della patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di queste cose, le s’ intimasse, che deciderebbonsi per la guerra. Non ignoravano costoro che Roma non pieghe rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma cercavano pretesti decorosi onde romperla, sperando Intanto di rendersi col tempo e colla buona grazia benevoli i loro contrarj. Concluso questo, fissarono un anno, ai Romani per deliberarsi, come a sè per apparecchiarsi : e nominati gli ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol sero r adunanza. Separatisi i Latini, ognuno per la sua patria, Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli propendevano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro come istabili in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero a mettere in Roma stessa una guerra interna, nè preveduta, svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri. Imperocché già disunita vi si era, nè più riguardava al ben pubblico una gran parte del popolo, quella principalmente dei bisognosi e degli oppressi dai debiti; e ciò appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione ne’ crediti, ma fin carceravano e malmenavano i debitori come schiavi comperati. Su tale notizia spedì Tarquinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi baldanzosi, e parte dando, e parte promettendo se ivi il re sen tornasse; aveano subornato moltissimi. Àdunque fecesi contro i3e’ potenti una congtnra de’ poveri ingenui, e de’ servi màlvagi, i quali stimolati dal desiderio di esser liberi, e disamoratisi de’ padroni perchè aveano punito nell’ anno antecedente i loro conservi, gl’ insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti, come se venutone il tempo essi pure gli assalirebbero ; con piacere si diedero a chi gl’ invitava. Il disegno poi della congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della città ; gli altri poi come intenderebbero dai gridi che gitteriano, aver loro già preso que’ siti opportuni, doveano uccidere tra ’l sonno i proprj padroni, saccheggiare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte. Ma la providenaa celeste la quale in ogni tempo ha salvato, e salva tuttavia Roma y fe’ traspirare i disegni al consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due già propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con> giura, Publio e Marco fratelli, della città di Laurento necessitati da impulso divino. Imperocché si presentarono loro tra’l sonno visioni spaventevoli, minacciandolt di pena gravissima, se non si chetavano e toglievansi dall’ impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incalsassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, colmandoli di altri mali terribili. Dond’ è che spaventati e tremanti destaronsi, nè più poterono pel turbamento aver calma nel sonno. E su le prime per togliei'si ai genj rei che li conculcavano, tentarono i sagrifizj di propiziazione co’ quali si allontanano i mali. Non traen> done però niun frutto, si rivolsero alla divinazione : e celando lì disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono solamente d’intendere se tempo fosse da compiere cioc' chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano via di delitto e di perdizione, e che se non mntavan proposito, ne perirebbero infamissimamente; investiti dal timore che altri non li prevenisse nel portare in luce l’arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in città si trovava. Costui lodatili, con promessa grande ancora di beneficarli se il dir loro a’ fatti corrispondesse; li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con chiunque. Allora introdotti in Senato i deputali latini, tenuti a bada fino a quel giorno per la risposta, disse di concerto co' padri : amici, compagni, andate, riferite al comun dei Latini che il popolo di Roma non condiscese prima il ritorno al tiranno su le istanze dei Tdrguiniesi, nè punto appresso vi si commosse irt forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e guidati da Porsena ci portavano la pià orribile delle guerre; ma che seppe vedere i suoi campi manomessi, ed arsivi li casolari, e perfino ridursi a difendere le sole sue mura per esser libero, e non comandato a fare ciò che non vuole. Dite, che meravigliati ci sia^ mo che sapendo voi ciò, siale venuti a comandarci che ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio di Fidene, con intimarci la guerra se ricusassimo. Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi, impersuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per questo scindersi dalla nostra alleanza e far guerra, più non s’ indugino. Data tale risposta agli ambasciadori, ed accompagnatili per significazione di onore fuori della città, poi disse in Senato delia occulta cospirazione ciocché aveane appreso dai delatori : ed avutane autorità piena d’ investigare L complici, e trovarli, e punirli, non tenne già mezzi orgogliosi e tirannici, come un altro ridotto a tale necessità gli avrebbe tenuti, ma si rivolse a mezzi ragionati, salutevoli, e convenienti al governo d' allora. Imperocché non deliberò che i satelliti snoi svellessero per le case i cittadini dall’ amplesso delle mogli, de’ figli, e de’ padri, e li traessero a morte ; considerando quanta pietà ne sarebbe tra gli attinenti nel distacco de’ cari lor pegni, e temendo che alcuni, disperatisi, corressero alle arme, e si necessitassero ai male a costo di sangue civile. Non deliberò che si erigessero de’uribunali contro di essi; riflettendo come tutti negherebbero, e come non avrebbero i giudici argomenti incontrastabili e saldi, ma semplici denunzie, e colle quali, se credeansi, dovrebbero sentwaziare la morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i novatori ideò tal metodo, per cui li capi si adunassero prima spontaneamente in un luogo, e quindi arrestati vi fossero per argomenti indubitabili, che non lasciavano mezzo a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non una solitudine, o ritiro, dove pochi osservassero, e convincessero; ma il Foro, talché scoperti alla presenza di tutti ne fossero in proporzione puniti, nè sorgesse in città turbamento nè sollevazione degli altri, come suole ne’ castigi de’ congiurati, massimamente in tempi pericolosi. Forse un altro, quasi poco sia bisogno di precisione in tai cose, penserà che basti dir sommarianieute che arrestò tutti i complici de’ maneggi secreti, e gli uccise; ma io riputando degna che ricordisi la maniera onde furono presi, ho risoluto non tralasciarla; perciocché giudico che non basti all’ utile di chi legge le storie conoscere il termine solo de' fatti, (piando brama piuttosto ognuno che gli si espongane le cagioni, le guise delle operaxioni, i pensieri di chi praticavate, e come i Numi li favorissero ; nè gli si taciano le conseguenze che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io vedo essere tali cognizioni necessarie agli uomini di Stato, perchè abbiano d^lì esempj co’ (piali dirigersi ne’ varj casi. Or questa fu la maniera ideata dal console per l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori ordinò che al segno convenuto occupassero in città con seguito di amici e di parenti i luoghi forti ne’ (piali per avventura abitavano : istruì poi li cavalieri a tenersi armati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e compiere ciocché sarebbe lor comandato. E perchè nella presa de’ cittadini i loro fautori non si elevassero, nè ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console che assediava Fideoe, perché al far della notte marciasse col fior dell’ esercito alla volta di Roma, e lo accampasse nelle alture intorno de’ muri. Ciò preparato; impose ai delatori che venissero circa la mezza notte nei Foro ai capi de’ congiurati con i compagni loro più fidi come a ricevervi 1’ ordine, il posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno ciocché avrebbe egli a fare. Or ciò appunto si fece. E poiché tutti questi si furono accolli nel Foro; immantinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi foni farooo pieni di uomini, armatisi per la patria ; e r intorno del F oro fu guardato da’ cavalieri, sen.ia che via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio r altro console si presentò coll’ armata in campo Marzo. Nato appena il giorno i consoli, cinti da uomini di arme, recaronsi ai tribunali, e fecero che i banditori ~ invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa la moltitudine, le rivelano il maneggio sul ritorno del tiranno, e le presentano i delatori. Quindi concedendo che si difendesse chiunque volea per ambigua 1’ accusa, nè volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal Foro in Senato per chiedervene la sentenza dai padri: e presa e scrittavela ; tornati al popolo gliela pubblicarono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due denunziatori la cittadinanza, e dieci mila dramme di argento a testa, e venti jugeri de’ terreni del pubblico ^ e se così ne paresse al popolo si prendessero i complici della congiura, e si uccidessero. E ratificando il popolo quel decreto, ordinarono che uscissero dal Foro quanti vi erano per 1’ adunanza : e chiamati i littori colle arme, intimarono che dessero morte a tutti li congiurati : e quelli, circondandoli ; appunto ov’ eran già chiusi, trucidarono li colpevoli. Uccisi questi, non che ammettere le incolpazioni su degli altri partecipi, ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal supplizio ; e ciò per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi finirono quei che aveano macchinata la congiura. Appresso il Senato ordinò che tutti si purificassero per essere stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini : nè concedersi loro d’intervenire alle sante cose ed ai sagrifizj, prima di esserne rendati mondi e tersi colle espiazioni consuete. E poiché da quei che dirigono le cose divine, a norma delle leggi della patria fu compiuto quanto ricercavasi per sanliGcarli, decretò che ia rendimento di grazie si facessero sagriGcj e giuochi agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e denominati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli caduto tra la pompa dal carro sacro nei circo, ne mori da indi a tre giorni : e perchè poco rimaneva dell’ anno, Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza collega. Furono designati consoli per l’anno seguente Publio Veturio, e Publio Ebuzio Elva. E di questi Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sembravano abbisognare di cure non tenui, perchè i poveri non facesservi mutamento. Veturio poi menando seco metà dell! esercito, devastò le campagne de’ Fidenati senza che ninno gli ostasse : e postosi all’ assedio della città, davate assalti continui. Ma non potendola espugnare con questi, la cinse di vallo intorno e di fosse per sottometterla colla fame. E già ne eran gli abitanti nelle angustie, quando venne un soccorso di Latini spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre cose utili per ia guerra. Cosi ringagliarditi osarono uscire dalla città con forze non piccole, e mettersi in campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la cir convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia. Diedesi questa vicino alla città ; pendendone qualche Ad. di Roma aS5 secondo Catone, 357 secondo Varrone, s 4 o 7 av. Cristo.. l'jj tempo dopo l’ esito incerto. Infine, quantunque più copiosi di numero, sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza Romana ne’ travagli, acquistata col molto esercizio, fu> rono ridotti alla foga. Non fu la strage loro copiosa, per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli altri respingevano dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipatesi dopo ciò le truppe ausiliarie sen partirono senza avere punto giovato gli assediati ; e la città ricadde ne’ mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tarquinio marciò con un armata Latina sopra di Segni dominata da’ Romani come per occuparla a prira’ impeto^ Ma resistendogli da entro generosissimamente, tentò di stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non che spesovi gran tempo senza opera niuna degna di ricordanza, e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto ? dei consoli ; ne perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata, ne sciolse l' assedio. > • LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli Tito Largio Flavo e Quinto delio Sicolo. delio, dolce per indole e popolare, fu messo dal Senato con metà dell’ armata su le cose politiche per vegliare contro dei novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da imprender gli assedj, parti per la guerra co’ Fidenati ; E spossatili colla diuturnità dell’ assedio, e col disagio di ogni cosa, desolavali ognora più, minando i muri, ei^ gendo terrapieni, avvicinando macchine, nè lasciando di e notte di stringerli, tanto che sen prometteva in breve il t. I i All. >li Roma lS6 secondo Catone, aSR eecondo Varroue, • /Jg6 avanti Cristo] di espugnarli. Né le città Latine, su le quali contando ì Fidenati trovavansi in guerra, potevano ornai più salvarli. Imperocché niuna città bastava sola da sé per liberarli dall' assedio: nè le forze comuni di tutte si erano riunite ancora : ma li capi del|e città Latine a’ frequenti messaggi de’ Fidenati rispondeano sempre di un modo, cioè che presto giungerebbe loro il soccorso: non però mai nino fatto moveasi pronto su le promesse, né le speranze scintillavano più in là delie parole. Nondimeno i Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma persistevano su la espettazione di essi affronte di tutti i mali, sopialtutto della fame, la quale facea senza combattere strazio grande degli uomini. Spedirono, è vero, alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console tregua di un numero certo di giorni per deliberare intanto su la pace co’ Romani, e sui modi onde riordinarla. In realtà però ciò non cbiedeano per deliberare, ma per fornirsi di compagni di arme, come alcuni disertati di fresco da essi indicarono, giaoché nella notte innanzi aveano spedito i cittadini loro più cospicui, e più validi tra’ Latini, perchè iu forma di oratori suppbcassero quel popolo. Largio, ciò saputo, ingiunse agli ora tori che deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi favellasser di tregua : iu altro modo non pace, non armistizio, non moderazione, non umanità presumessero dai Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori deputati ai Latini. non rientrassero in città ; preoccupando con guardie rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal che diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli alleali si videro astretti a pregar veramente l’iaimico. B riunitisi, conohiusero di soiTrire la pace, comunque il vincitore la desse. Altronde il console ( tanto i costumi de’ capitani di que’ tempi respiravano 1’ amor della pa> tria, e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che pochi san fuggire de’ capitani presenti, invaniti dal C 0 i mando I ) il console sebbene prendesse la città niente vi permutò di voler suo : ma fattala deporre le armi, e presidiatala, conducendosi a Roma e convocando il 3^ nato, lasciò che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del rispetto del valentuomo verso loro dichiararono che i più nobili dj Fidene secondo che il console li giudi casse capi della ribellione, si battessero colle verghe, e ei decapitassero : su gli altri poi disponesse egli stesso come glien parrebbe. Largio divenuto 1’ arbitro di tutti sparse in vista del pubblico il sangue, e confiscò li beni di alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma concedè che gli altri ritenessero la patria e le robe loro, e solamente ne dimezzò le campagne, poi dispensate a sorte tra’ Romani lasciati in guardia della fortezza. Alfine dopo ciò ricondusse in casa 1’ esercito. LXI. Risaputasi fra’ Latini la espugnazione di Fidene, ogni città ne fu sospesa e tremante, e mal soddisfatta de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati. C fattosi consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la guerra, assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano. Erano de’ primi Tarqulnìo, e Mamilio il genero di lui e li capi tra gli Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano i Latini, vollero generalmente la guerra contro de' Romani, e diedero scambievole giuramento, che tiiuua l8o città tradirebbe il comune, nè farebbe pace sema il consenso delie altre decretando : che qualunque non os-> servasse i patti decadesse dalla lega alla esecrazione e nimicizia di tutti. Sottoscrissero e giurarono questi patti i deputati degli Àrdeati, degli Aricini, dei Boiaiani, dei Bubentani, dei Coresi, dei Corventani, dei Gabj, dei Lavrentini, de' Laviniesi, dei Labiniani, de' Labicani, de' Nomentani, de' Moreani, de' Prenestini, de' Pedani, dei Querquetulani, de' Satricesi, de' Scaptini, de’ Sezzesi, de' Teliini, de' Tiburtini, de'. Tuscolani, de' Tolerini, de' Trienni, de' Veliterni. Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi, tanti in ogni città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^ Tarquinio, i quali erano generalissimi nominati. E per giustifìcare ancor più li titoli della guerra spedirono a Roma da ogni città li personaggi più insigni come oratori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della Riccia si richiamavan di Roma, perchè qucuido i Tirreni mossero contro loro la guerra, essa non solo die a’ primi libero il passo per le sue terre, ma li coadjuvò su quanto era d' uopo, ricoverandoli mentre poi ne fuggivano e salvandoli tutti, inermi e feriti : eppure non ignorava che quelli portavano guerra al corpo tutto della nazione : e che se avessero domalo Dioaigi nel namerare questi popoli siegue l’ordine dell’ alfabeto latino e non del greco : del resto numera popoli quando nn tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono trenta i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi abbiamo ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto aia stata emendala non par libera ancora da ogni storpiatura.. ' i8r la Riccia; niente pià gli avrebbe impediti, sicché non soggiogassero le altre città. Pertanto annunziavano che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia nel tribunale comune de’ Latini, e rimettervisi al giudizio di tutti, non avrebbon essi cagioni di guerra. Ma se tenendosi all alterigia sua consueta ricusava affatto condiscendere sul giusto e su V onesto inverso de’ confederati ; minacciavano che i Latini tutti la moverebbero con tutte le forze la guerra. LXn. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari cini una causa dov’ essi giudicherebbero, e dove prevedeva che i nemici non sentenzierebbero di questo sola mente, ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più gravi, decise che accettava la guerra. Argomentava dal valore e dalla sperienza de’ suoi tra le arme che Roma non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la moltitudine de’ nemici, sollecitò più volte con ambascia tori le città vicine per confederarsele ; se non che spe divano i Latini ancora nelle stesse città legazioni che accusassero a lungo Roma, e la contrariassero. Gli Err nici adunati a consiglio di stato diedero all’ una e alr altra ambasceria risposte sospette nè salutevoli, dicendo che per ora non si vincolavano con alcuno; ma voleano posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più giusta, e prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli in contrario promisero senza arcano mandare soccorsi ai Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le inimicizie, essi mansuefar ebbono i Latini, e ne concilierebbono gli accordi. Risposero i Volaci che si stupivano della impudenza de’ Romani ; perciocché sapendo essi quante volle gli avessero offzzl conTenlftnti a pcgnere ^elfa tnrblo ratiBcò; dando t principj certi di una tirannide a norma : Quindi i capi del Senato si fecero a considerare lungamente e providamente il personaggio che avrebbe a comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un nomo espedito negli affari, più che perito nell’ arme, e savio, e temperato, sicché poi non > delirasse per l’ampiezza del comando; insorama di uno il quale oltre le belle doti, quante ai buoni comandanti si convengono, sapesse presieder con fortezza, nè cedere mollemente alle istanze. Di un uomo tale appunto abbisognavasi allora. .Videro concorrere doti siffatte quante seu chiedeano in Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il collega, uomo altronde buonissimo, non era nè attivo, nè bellicoso, nè imponente, nè temuto, ma edite troppo in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato prendea .verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva secondo le leggi, e di concentrare .nell’ altro il potere di ambedue, anzi un poter più che. regio. .Teniea per qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse della rimozione sua, come disonorato dai Padri ; e camhiale le maniere del vivere, si ponesse alla testa del popolo, c turbasse dal fondo la repubblica. Esitando tutti, e gran tempo, per la verecondia di proporre ciocché ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uomini consolari, diede un tal suo parere, per cui fu salvo l'onore di ambedue li consoli, scegliendo essi appunto il personaggio più acconcio al comando. Diceva : Poiché il Senato ha risoluto, ed il popolo ha ratificato che il poter del comando si affidi ad un solo, restano ai Padri due cure non picciole : chi debba sottentrare ad una autorità pari alia monarchia, e chi possa legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva che l’uno de’ consoli sia per cessione, sia per sorte', eleggesse il romano più idoneo, a far 1’ utile e il bene della patria: giacché trovandosi allora in città magistrati sacrosanti, non vi abbisognavano gl’ interré come nella monarchia, per eleggere di accordo chi succedesse al comando. ' i Applaudivano tutti al partito, quando levatosi un altro disse : Ali sembra o Padri che debbasi alia sentenza aggiungere: che reggendo di presente la repubblica, due valentuomini, de’ quali non trovereste i migliori, V uno 'debba dare la nomina, e l’ altro riceverla, talché scelgati essi fra loro il più idoneo ; e C uno e i altro se ne abbia onore e soddisfazione uguale, quello perchè sceglie nel collega il più degno, c questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonissime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non avessi ciò aggiunto ; pure avrebbono i consoli così DWaiGI, toma II. il praticalo ; egli è meglio^ nondimeno che il facciano eziandio col vostro volere. Parve a tutti ciò detto a proposito, e niuno più notandovi altra cosa, ne decretarono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro il più idoneo al comando, fecero una mirabilissima cosa, e ben varia dalle affezioni dell’ uomo. A vicenda r uno dicea 1’ altro, e non sè, degno del comando : così passarono tutto quel giorno, encomiando l’ un l’altro, e insistendo ciascuno per non comandare: tanto che gli astanti in Senato ne furono in grandi perplessità. Sciolto il Senato, i parenti più prossimi di ciascuno, e li Padri più venerabili recatisi a Largio assai lo stimolarono £no a notte avanzata, dichlaraùdogli come il Senato poneva in esso ogni speranza, e dicendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno: egli tuttavia ricusava, ora supplicando, ed ora contradicendo. Adunatosi nel prossimo giorno il Senato, mentre colui ripugnava, nè levavasi ancora dal suo parere su le istanze comuni, Clelio sorge, e lo nomina, come gl’interré solevano nominare, e lascia il consolato. Fu questi il primo che, solo, fu reso àrbitro in Roma della guerra, della pace, d’ ogni affare, col nome di Dittatore sia per la podestà di ordinare e dettare leggi su’ diritti e sul bene degli altri, come glien pareva e piaceva, chiamandosi da’ Romani Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e su l’ ingiusto : sia per essere allora un tal. uomo detto e dichiarato da un solo e non dal popolo secondo i riti della Ad. di Roma aS6 socondo Catone, a58 secondo Varrone, • ar. Cristo] patria, perché comandasse. Guardaronsi dal dare al magistrato di una città libera un nome esecrabile e grave per rispetto di quelli che ubbidivano, sicché in odio del titolo non si conturbassero, e per rispetto di chi prendeva il comando, sicché nè fosse costui offeso dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore non bene l’ ampiezza ne significa del potere ; non essendo la dittatura che un Dispotismo elettivo. Sembra che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione. Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissimamente tra loro erano, come dichiara Teofrasto nel libro intorno del regno, despoti elettivi. Li creavano le città non per tempO' indefinito o perpetuo, ma nella circostanza, e fin quando sembrava che giovassero loro, come li Mitilenei già scelsero Pittaco contro gli esuli, compagni di Alceo poeta. Tennero questo metodo I primi che aveano appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché nelle origini era ogni greca città sovraneggiata, non però dispoticamente come tra’ barbari, ma secondo le leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto più per potente quanto era più giusto, e più fido alle leggi, e men schivo de’ patrii costumi : ciocché s’ intende per Omero il quaì nomina i sovrani, vindici del diritto, e de/f onesto. Tennesi lungo tempo la signoria dei re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse Mèi testo: intarrtXnt, e SiftttTttrtXuf. cioè che si reruuio sul giusto e su C onesto. costituzioni. Ma cominciando poi taluni di questi a trascendere gli usati poteri, poco concedendo alle leggi e molto ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgustati, e rovesciarono 1’ autorità de’ monarchi, e le loro maniere : e stabilendo leggi e creando magistrati, assunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché non bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste da essi, nè a coadjuvare le leggi li magistrati o li comissarj che avean cura di queste ; e percioccliè il tempo col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a fare stabilimenti non ottimi si, ma certo i più consentanei alle vicende che li sorprendevano o di sciagure abborrite, o di smoderate prosperità. Per le ' quali confondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto riparo ed un arbitro immediato, furono necessitati a rialzare l’autorità dei monarchi e dei re, velandone coi nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar' ~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti per timore d’ intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi. che teneano per cosa scellerata rinovare poteri abattuti tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi. Quindi, come ho detto, a me sembra che i Romani prendessero da' Greci l’esempio: Licinio però crede che i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ; scrivendo cbe questi, venuta meno la regia discendenza dopo la morte di Numitore e di Amulio, eleggessero annui presidenti col potere appunto dei re, ma con titolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Roma derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea dell’ autorità che in tal nome si ' addita. Se uon che forsb non è pregio dell' opera che scrivasi di ciò più luDgameate. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo dittatore facesse, e con quale apparato decorasse la sua dignità ; persuadendomi che siano più utili ai lettori le materie appunto che porgono in copia esempj splendidi ed opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in somma per quanti vogliono governare e maneggiare il pubblico Imperciocché non io prendo a descrivere le istituzioni > e li modi di una città vite e negletta, né li consigli e le pratiche di uomini ignobili e di niuna espettazione, sicché lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad altri frivolezza e molestia : ma di una città legislatrice di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potere; cose tutte che se un amante della sapienza giunga a non ignorare ; ne sarà per politico ravvisato. Investito Largio appena del suo potere dichiarò maestro de’ cavalieri Spurio Cassio, già console nella olimpiade 70. Osservavasi tal costume da’ Romani fino a’ miei giorni, e ninno mai, scelto per dittatore, ne tenne la dignità senza maestro de’ cavalieri. Quindi a rilevare la potenza di una tal dignità, per imporre piuttosto che per osarne, ordinò che i littori marciassero per la città con fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de’ re, tralasciato poscia da’ consoli, e primieramente da Valerio Poplicola per diminuire la odiosità del comando. Spaventati con questo ed altri segni di regia dominazione i turbolenti eà i novatori, comandò a lutti i Romani di adempiere la migliore delle leggi .di Servio Tullio, sovrano popolarissimo, cioè di assegnare per tribù li loro beni, li nomi delle mogli e de’ figli, e la età loro e de’figli. Terminato in breve il registro per la severità de’ castighi, perdendosi da’ contravventori i beni e la cittadinanza ; si rinvennero cento cinquanta mila settecento e più Romani adulti. Poi separando gli uomini di età militare dai provetti, e riducendoli in centurie ; li divise tutti, fanti e cavalieri in quattro parti : e ritenutane una, che era la migliore, per sé, fece che delio già suo collega nel consolato se ne eleggesse un altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il prefetto de’ cavalieri avesse la terza, e Spurio Largio il fratello la quarta ; la quale fu comandata trattenersi e presidiare insieme co’ vecchi la città. Egli poi, com’ ebbe pronto quanto bisognava per la guerra, menò le milizie in campo aperto; appostando tre armate ne’luoghi appunto donde sospettava che i Latini uscirebbono. E considerando esser proprio de’ savj capitani fortificare le sue cose come debilitare quelle del nemico, e terminare le guerre senza battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle milizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuosissime più che tutte sono le guerre tra’ popoli amici e congiunti ; concludeva che si aveau queste a finire con tratti di clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque spedendo occultamente persone non sospette ai più riguardevoli de’ Latini, li persuase a rendere la pace alle loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori ad ogni città, come alla rappresentanfa generale di tutte; ottenne senza difficoltà che non tutti avessero più l’antico ardore per la guerra; alienandoli principalmente cogli ossequiosi modi e co’ benedzj dai duci loro. In opposilo Mamilio e Sesto, che aveano da’ Latini rice TUto il generai comando, riunite nel Tnscolo le forze, si apparecchiavano come per piombare su Roma ; se non che spesero su ciò gran tempo o che aspettassero le città le quali tardavano, o che non buoni apparissero loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spiccatisi dall' esercito devastavano la campagna romana. Largio, risaputolo, spedi delio su loro col fiore dei cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui, presentatosi inaspettatamente, gli assalì, e ne uccise, imprigionandone la più gran parte. Largio curatine li feriti, e guadagnatiseli con altre amorevolezze li rinviò senza offesa o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi romani ton essi per ambasciadori. Or questi operarono che si sciogliesse l' armata latina, e si facesse tra le città la tregua di un anno. Largio, ciò fatto, ricondusse l’ armata dalla campagna: e designando i consoli depose prima che ne spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso, o bandito, o ridotto comunque a gravi mali un romano. Cominciato T invidiabile esempio da un tal uomo si mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino alla terza generazione prima della mia. Imperocché la storia fino a quest’ epoca non presenta ninno il quale non esercitasse quella dignità moderatamente e qual cittadino, quantunque Roma fosse astretta più volte a sospendere le magistrature ordinarie, e concentrare tutto nelle mani di un solo. E non sarebbe gran meraviglia se personaggi ottimi della patria pigliando la dittatura solamente nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti incorrotti nella grandezza del potere: ma pigliandola nelle sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I sospetti di regni e tirannidi rinascenti, o per altra sciagura, lutti, quanti la ottennero, conservaron sestessi iqiniacolati, e simili al primo dei dittatori. Tanto che tutti unanimemente conclusero che la dittatura era 1’ unico rimedio contro de’ mali intrattabili, e 1’ ultima speranza dii salute quando sparse sono le altre speranze. dalla procella. Quattrocento anni però dopo la dittatura di Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che primo ne abusò, vendicativo e 6ero : talché li Romani allora sentirono a prova, ciocché aveano prima ignorato, che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran nide : imperocché costui ordinò un Senato di uomini comunque, infìacchi 1’ autorità del tribunato, devastò città intere, distrusse e creò regni, ed altre cose fece e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a raccontare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia, ne trucidò nemmeno di quaranta mila, datisi a lui prigionieri, dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è questo il tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile del comune : solamente ho voluto dimostrare che ne divenne abominato c spaventevole il nome di dittatore: ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate dagli uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché tulle le cose appariscono belle e giovevoli se bene si .adoperino, come danncvoli c turpi se mal si dirigano ; di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha sparso i germi dei male ; se noa die di tali cose diremo altrove più propriamente. L’ anno prossimo a questo nella olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio Tisicrate Croloniatejessendo Ipparco F arconte di Ale ne, presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio. Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71. nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo Ipparco arconte di Atene, presero il consolato Aulo Sempronio Atralino e Marco Minucio , ma niente vi operarono degno di ricordanza, nè in città nè fra le armi : perciocché la tregua co’ Latini dava loro placida calma cogli esteri, e la legge decretata dal Senato di sospendere la esazione dei prestiti, finché la guerra imminente avesse buon termine, avea sopito le somfi) Àn. di Roma aS7 secondo Catone, 259 secondo Vairone, • 4 recchi per la guerra. Il complesso de’ Romani era vo- lentei'oso e propensissimo a combattere ; ma il più dei Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le città uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle prò messe di Tarquinio, e di Mamilio, rimossi dalle cure pubbliche quanti favorivano il popolo e ripudiàvan la guerra. Cosi non più dandosi a chi la volea la facoltà (li discorrere, si ridussero i più corucciati a lasciare in copia la patria, e fuggirsene in Roma. Nè quelli che dominavano ve gl’ impedivano, ma teneansi obbligatissimi ai competitori, dell’ esilio spontaneo. Li riceveano i Romani e compartivano tra le milizie interne, e mescbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con mogli e figli, ma spedivano gli altri a' castelli intorno e per le colonie, sopravvegliando intanto che non facessero' mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare a suo modo ogni cosa, fu nominato dittatore Aulo Poslumio il console più giovine da Virginio il collega : e costui, come già 1’ altro dittatore scelse per suo maestro de’ cavalieri Tito Ebuzio Elva, e registrati in poco tempo tutti i Romani già puberi, ordinò la milizia in quattro parti, reggendone egli 1’ una, dandone a reggere la seconda a Virginio il compagno nel consolato, la terza ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri, c An. di Roma aSS secoado Catone, aCo secondo Varrone, • 4e essi agevolerebbero ossea più le cose loro. Se non che mentre deliberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito iVirgiuio r altro console, marciato improvvisamente nella notte dinanzi : e prese anch’ egli campo in altra altura assai forte. Di modo che i Latini rimasero intracchiusi, nè più idonei ad un assalto, avendo a sinistra il console e a destra il dittatore. Adunque tanto più sen conturbarono tra quelli i capitani i quali non voleano se non partiti sicuri, e temerono che tardando si riducessero a consumare le loro provvigioni, le quali non erano molle. Postumio notando quanta fosse la imperizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio maestro dei cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad .occupare un monte rilevantissimo in su la via, per la quale recavansi i viveri dalle loro terre ai Latini. Andò questa milizia espedita con la cavalleria, e condotta di notte tra selve non frequentate ; prese il monte prima che i nemici se ne avvedessero. V. I capitani nenuci osservando invasi anche i posti forti che erano loro alle spalle, nè più avendo speranze buone sul trasporto indubitato de’ viveri da’ paesi loro, deliberarono respingere i Romani dal monte prima che vi si assicurassero ancora cogli steccati. Adunque Sesto r un d’ essi presa la cavalleria vi si lanciò con impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse a ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro gli assalitori, Sesto durò qualche tempo ora dando voi ta, ora tornandole a fronte. Ma perciocché quel luogo riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture, e costava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ; e perciocché giungeva ai Romani un soccorso di milizia legionaria mandata appresso da Postumio ; egli ritirò, non potendo altro fare, la cavalleria negli alloggiamenti. I Romani impadronitisi appieno del luogo, si misero a fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e Mamilio ndn essere più da indugiare gran tempo, ma doversi decidere la sorte con una pronta battaglia : e parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque avesse ne’ principi ideato di dar fine alla guerra senza combattere, sperando giungere a ciò, specialmente per la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri custodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che andavano dai Yolsci a’ Latini con lettere di avviso che, indi a tre giorni al più, verrebbe milizia copiosa di rinforzo da loro, come altra dagli Eroici. Or ciò ridusse i duci Romani a venire, sebbene contro il proposilo, a pronta giornata. Datosi da ambe le parti il segno della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri al campo intermedio, e cosi vi ordinarono le armate. Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1’ ala sinistra de’ Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro figliuolo di Tarquinio comandava il centro óve erano i disertori e fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito Ebuzio ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mamilio, e Tito Virginio il console si contrappose colla de stra a Sesto Tarquinio; Empiva de’ genj suoi Postumio stesso il dittatore 1’ armata di mezzo, e moveala contro Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con lui. Il complesso delle milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella parte Romana, e quaranu niila fanti, e tre mila cavalieri nella Latina. VI. Quando erano per andare a combattere i capitani Latini, aringando ognuno i suoi, diedero mille eccitamenti di coraggio, e ricordarono lungamente ciocché bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano vedendo cbe i suoi temeano come quelli che cimentavansi con gente assai più numerosa, e volendoli sollevare da quella paura, fe’ radunarli, e poi tra corona di senatori, onorabili per anni e per credito, cosi concionò : Gli Dei cogli aitgurj, colle viltime, con ogni segno divinatorio promettono alla nosti'a patria Li libertà, ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della pietà verso loro, e della giustizia esercitata da noi verso gli altri in tutta la vita : per lo contrario, inìmici sono, come deano, de' nostri nemici, perchè tante volte e tanto da noi beneficali, essi parenti, essi amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento per avere appunto gli amici stessi ^ i nemici, ora spregiato ogni vincolo, ci movono una guerra ingiusta non per decidere qual di noi si abbia la preminenza e il comando, ciocché sarebbe il meno de mali ; ma in favor dei timnni, e per fare la patria nostra che è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o centurioni e soldati, che militano con voi gli Dei, quelli stessi che hanno sempre difesa Roma, si con^ viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa battaglia : molto più che ben sapete che gli Dei favoriscono i bravi combaltitori, quelli che quanto è da loro fan tutto per vincere, e non quelli che figgono i 'pericoli, md quelli che li sostengono per salvare' sè stessfi Inoltie a voi sono apparecchiati dalla sorte altri mezzi non pochi per la vittoria, e tre soprattutto manifèstissimi. Vn. Il primo è la fedeltà scambievole, requisito principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; imp^ciocchè non' dee già cominciar • questo giorno a rendervi amici fidi e costanti; ma la patria ha da tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi allevati in urta terra, educati di una maniera sagrificate agl’ Iddj su di altari medesimi :. e voi avete fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato insieme i tanti mali, i quali rinforzano, anzi rendono indissolubili, le amicizie fra gli uomini, quante volte presentasi loro un cimento comune su gravissime cose. In secondo luogo, se voi soggiacerete .ai nemici, già non sarà che alcuni di voi restino immuni, altri subiscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti, sì, tutti perderete la gloria vostra, f impero, ' la libertà j noit più padroni delle mogli, non più de' figli, non più _ •' delle sostanze, non più altro bene vostro qualunque. ^ E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati ‘ miserandamente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non offesi da voi punto nè poco, fecero a voi tutti ogni maniera cT ingiurie ; e che mai potete aspeltarvene ora se vincano, nella memoria che hanno de’ mali ; che gli avete ridotti fuori della patria, che gli avete spogliati de’ beni, nè consentile che tornino alle case, paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore degli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo le cose tra’ nemici men prospere che non pensavamo. E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli Anziati, niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi concepivamo che verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sabini ed Ernici in copia, e mille altre vane paure ci i fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini, immaI ginati su promesse vane, su speranze senza base. Quindi altri nel meglio ne abbandona la causa, spregiando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li terranno ^ anzi a bada che li soccorreranno, temporeggiandoli con lusinghe ; e quelli che or si apparecchiano, come tardi per la battaglia, inutili diverranno. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I ciocché io dico, eppur temono. la quantità de' nemici, j. a I I €onoscanò per una breve iilruzione, o piuttosto ricordo, che essi temono non temibili cose. E prima conside\ tino che il pià di' loro è stato forzato alle arme contro di ìtoi, come ce lo ha con tante opere e detti mànìfestato ; e che gli spontanei, quelli che di lor piacere combattono pe’ tiranni sono ben pochi, e piuttosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso considerino che le guerre guidale a buon successo non la superiorità' nel numero, ma nella fortezza. E lunghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di barbari, quanti di Greci, tuttoché preminenti di numero, siano stati disfatti da piccioli corpi e quasi non credibili a dir. Ma tralascio gli esempj altrui : dite ^ quante guerre non avete voi ben guerreggiato con armata minore della presente, e contro apparecchi assai pià potenti di questi ? Dite ; voi fin qui teiribili agli altri che avete combattuti e vinti, siete ora voi dispregeiSbli a questi Latini, ai Folsci loro alleati, perchè non vi han essi mai sperimentato Jra le arme ? Sapete pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno in campo superati ambedue. E vi par verisimile che la condizione da’ vinti sia dopo tante perdite migliore, e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellissimi fatti ? E chi,' se abbia mente, chi mai dirà questo ? Anzi ben io mi 'stupirei se alcuno di voi paventasse questa turba ove si pochi sono li bravi, e spregiasse la milizia nostra si forte e si numerosa ; che nè pai' numerosa nè pià forte mai ne abbiamo finora schierato in battaglia. Che pià : deve, o cittadini ì esservi impulso grandissimo a non temere, nè ricusare i pericoli t ejsere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con voi la sorte stessa delle arme i primarj de’ senatori, quelli che la età o la legge gli esenta dalla milizia. Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti gli affrontano, Avran cuore i vecchi di ricevere per la patria la morte se dare non là possono ai nemici; e voi li sì. vegeti, voi che ben potete • f una e l’ altra cosa, o salvarvi e vincere senza danno, o certo magnanimamente operare, e soffrire, voi non vorrete nè cimentare la sorte, nè la Jama .procacciarvi de’ valorosi F No, ciò di vói non è degno, o Homani, ai quali sopravvanzan tante mirabilissime gesta degli antenati, le quali niuno loderebbe mai quanto basta : e se voi vincerete questa guerra, i vostri posteri ancora si gioveranno di tante vostre gloriosissime imprese. Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera K alle grandi azioni ; nè si trovi col danno chi ne teme i rischj oltra il debito, udite prima d incorrerla, Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro. Chiunque ìlei combattere imprende belle e magnanime gesta ne sarà da chi ’l vede encomiato ; ed io, quando dispenserò li premj che .ciascuno' -dee raccoglierne. secondo il costume della patria j quando. darò insorte le, terre pubbliche, io costui ne appagherv, sicché pià di nulla abbisogni. Al contrario chiunque nel cuor suo vile, offensivo de’ numi, si deciderà per la fuga, costui si troverà per me colla morte che fogge ; chè ben è meglio per esso e per altri che un tale cittadina perisca : e così perendo, non che attere i funebri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè pianto, in abbandono agli uccelli e alle fiere. Con ioli previdenze, andate : combattete alacremente ; e V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza buona, chè dato a questo cimento un termine generoso, come tutti desideriamo, avrete ottenuto amplissimi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni, avrete, come doyeasi, corrisposto alla patria, che chiedea la gratitudine vostra per avervi generati e nudriti, avrete operato eh i teneri vostri figli, le vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che ì vecchi vostri genitori vivano in calma il picciolo avanzo di vita. Felici voi d quali riservasi tornare da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve ne aspettano, e le spose, e li genitori. Quanto sarete celebrati, quanto ' invidiati pel coraggio di dare voi stessi per là patria ! Tutti deano morire valentuomini o no] ma il moribe con dignità' e CON GLORIA NON È PROPRIO CHE DE' VALENTUOlilNIAncora egli continuava tali detti magnanimi ; quando ecco spargersi nell’ esercito un ardore divino, e tutti ad una voce gridare : ardisci, e guidaci. E qui Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi agl’ Iddj, se avea buon successo nella guerra, di fare grandi e sontupsi sagrilìzj, e ^lendidissimi giuochi da rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò le milizie perchè si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e le, trombe l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando, quinci c quindi prima i soldati leggeri e li oavalietà, e poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima, ^dottasi tutta al dar delle mani. Tennesi questa lungo tempo contraria alla espcttazione di ambedue, sperando gli Ubj e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere, ma che a prim’ impeto forarebbero, ed intimorirebbero rinunieo; i Latini alhdati alla cavalleria loro numerosa quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria Romana; e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli, quasi cosi avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti tali primitivi concetti degli uni su gli altri, vedeano tutti seguire il contrario. Quindi considerando che il mezzo di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la paura de’ nemici ; militarono bravlssimamente anche sopra le forze ; e varie ne furono le vicende e le sorti. XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il fiore de’ cavalli con Postumio dittatore, e'dove combatteva egli stesso tra’ primi, cacciano di posto i loro compettitori dopo ferito con uno strale in una spalla, cd inabilitato a valersene, Tito l’ uno de’ figli di Tarqurnio ; sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose verisimili e possibili, suppongano esser questo che militando a cavallo restò ferito lo stesso re Tarquinio, uomo più che nonagenario. Caduto Tito, le sue milizie .\nofaa Tito Lhrio i di questo parere, quantunque avesse considerata la difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima inacìesuos aiihortantem i/utruentemtfua, Tarquinius super but quamquam jam alate et viribus crai graiùar equnm infestas admitil. Nà SODO mancsti altri re che in quella ^ fornivano tutti gl' incarichi del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno di.questi, cd .àntea re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di novant’anni tennero fronte alcun tempo, e sollecite ne raccolsero vivo il corpo, non però fecero altro più di generoso, ma rinculavano incalzate via via da’ Romani, 6nchè soccorse da Sesto l’ altro 6glio di Tarquinio co’ fuorusciti Romani, e da truppa scelta di cavalieri si arrestafono, e tornarono su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano combattevano questi nuovamente. Intanto negli altri coi> pi segnalandosi più che tutti i duci Ebuzio e Mamilio, fugando ovunque volgeansi chi resisteva, e rior dinando i loro se scompigliavans! ; vennero a disfida in fra loro : lanciatisi 1’ uno su l’ altro portaronsi colpi gravissimi, ma non mortali, Ebuzio spingendo 1’ asta per la corazza al petto di Mamilio, c Mamilio traforando il braccio destro di Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue da cavallo. Portali amedue fuori della battaglia Marco Va lerio che era un’ altra volta luogotenente anzi il più vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro de’ cavalieri : ma contrastando colla sua la cavalleria nemica, e contenen dola per breve tempo, infine fu violentato e respinto assai lungi ; perocché gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti Romani a cavallo, o di milizia leggera: e Maiadìo stesso riavutosi dalla percossa era tornato in campo con cavaleon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive che Tarqptinio superbo più che nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse Licinio e Gellio non son dà riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio; anche secondo Dionigi, visse più di novani’anni. Vedi § ai di questo libro. ' Cioù Mamilio nell’ ala destra de’ Latini ed Ebutio nella sinistra de’ Romani, percbù già stavano appunto in queste aie ; uù Diouigi lia (inora dello che avessero cambiato posto. lerla numerosa e col nerbo de’ soldati espeditì ; anai in questa pugna cadde trafìtto da un’ asta Io stesso luogotenente Valerio quegli che il primo avea trionfato de’ Sabini, e rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei danni ricevuti da’ Tirreni : e con lui pur caddero altri molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li due Publio e Marco, fìgli di Poplicola. Or questi consegnandolo intatto colle armi sue, mentre respirava ancora, ai scudieri perchè Io riportassero agli alloggiamenti; lanciarono sestessi in mezzo al nemico spinti dall’onta ricevuta e dall’ardore dell’ animo : ma piombando d’ ogn’ intorno i fuoruscili su loro, alfine carico r uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale infortunio r armala Romana fu cacciala di posto, ed assai malmenata dalla sinistra fino al centro. Il dittatore al conoscere che i suoi fuggivano, ben tosto si staccò per soccorrerli con i cavalieri che aveva d’ intorno : e dato ordine a Tito Erminio di andare coll’ ala della caval Intende il Valerio fratello di Valerio l’oplicola: però il primo Valerio è detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il Valerio del igotliti, li menò contro 1’ armata di IMamilio, ed egli stesso avventandosi addosso di lui die era il più grande e più gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo uccise; ma fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi soccombò trafitto .dal brando di un tale in un lato. Sesto Tarquinio, duce dell’ala sinistra Latina, resistendo tuttavia tra tanti mali, avea cacciata di posto 1’ ala destra de’ Romani : come però vide Postumio venire su lui col uei'bo de’ cavalieri, disperatosi corse in mezzo a’ nemici. E qui circondato da’ fanti e da’ cavalieri ed investito, quasi una fiera d’ ogu’ intorno, mori, ma non senza averne anche egli stesi molti di quelli che lo investivano. Caduti i duci, pienissima fu la fuga de’ Latini, e la presa de’ loro alloggiamenti, abbandonati pur dalle, guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero molti e belli vantaggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini, tanto che moltissimo ne decaddero : e la strage fu tanta, quanta mai più per addietro ; imperocché di quaranta mila fanti e tre mila cavalli, come ho detto di sopra, nemmeno dieci mila tornarono salvi alle case. XIII. È fama che in questa battaglia si rendesser vi_sibili al dittatore, ed al seguito suo due cavalieri adorni del Gore primo di giovinezza, grandi e belli assai più 2i8 delle antichità.’ romane che la condizione non sostiene dell’ uomo ; e che ponendosi alla testa della cavalleria romana, peKotessero colle aste i Latini che le si avventavano, o' li sospingessero a rapidissima fuga. E fama è similmente che dopo la fuga de’ Latini, e la presa de’ loro alloggiamenti, presso al crepuscolo vespertino, appunto quando la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere in abito militare nel F oro romano due giovani altissimi, e vaghissimi ', spirando in volto ancora 1’ ardore della battaglia, dalla quale venivano, e reggendo cavalli, molli di sudore. Dicesi che smontati l’ uno e 1’ altro da’ cavalli, lavavansi nell’onda, la quale sorgendo presso il tempio di Vesta forma una lacuna, picciola si, ni profonda : ma che fattisi molli intorno di loro, e chiedendone se punto recassero di nuovo dall’ esercito, rilevarono ad ei Ciocch’era della battaglia, e come 1’ aveano guadagnata: e che partiti poscia dal Foro non più furono veduti da alcuno, tuttoché seu facesse ricerca grandissima dal comandante lasciato in Roma Come però nel giorno appresso riceverono i capi della città lettere dal dittatore, e conobbero 1’ assistenza dei due numi, e tutti i successi della battaglia ; giudicarono che i .due personaggi apparsi fossero, com’ era verisimile, gl’ Iddii stessi, e conchiusero che erano le immagini di Polluce e di Castore. Attestano la comparigione inaspettata e meravigliosa di questi Numi, molti segni ancora, come il tempio fondalo a Castore e Polluce nel Foro, appunto dove comparvero j e la fonte vicina, chiamati c creduta sacra finora, e li sagrifizj magnifici che il popolo ne celebra ogni aqno per mezzo de’ a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste due cose: che. era bensì, da giovine iL trasporto d’ allora per combattere ; ma che assai più biasimevole sarebbe' il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due parliti seguissero, andrebbe a genio de’ nemici. Era il parere di questi, cbe di presenta 'si triucierassero e preparassero quanto bisognava per la battaglia, e clic intanto spedissero ai Volaci per chiedere che inviassero nuove forze onde pareggiare quelle de’ Romani, o che richiamassero le altre già’inviate. La sentenza però sembrata più persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al campo romano alcuni osservatori col nome di ambasciadori onde preservarli, li quali, complimentandolo, dicessero al capitano, che il comune de' Volsci mandavali per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti tardi per la battaglia non troverebbero uemmen gratitudine di tanto amore, vedendo come l’aveano già vinta a grande lor sorte, anche senza degli alleati. Con tali dolci maniere illudendo, c dandosi per amici, andassero, spiassero, conoscessero la moltitudine de’ nemici, le arme, gli appareccbj, i disegni. Conosciuto ciò, discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove truppe, o menare le presenti all’ assalto. Poiché si riunirono tutti in questa sentenza, ne andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e poiché recati nell’ adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro discorsi ; Postumio soprastando alcun tempo, alfine rispose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli sotto belle parole,: nemici nelle opere, volete presso noi la stima di amici. Voi foste inviati dal vostro comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo voi giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo questi già vinti, cercale deluderci con dirne cose contrarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè sincera è r amicìzia del parlare che assiunete in vista del tempo presente, nè sincero il titolo della vostra legazione ; ma pieno è di malizia e d’ inganno. Non voi veniste sensibili pe nostri beni, ma per investigare qual sia lo stato tra' noi di debolezza 'e di forza. Messaggeri ne' detti, voi non siete che esploratori nè fatti. E negando questi, ogni cosa, soggiunse che presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere dei Volsci intercettate da lui prima delia battaglia, e chi le portava ai duci dei Latini, nelle quali prometteano mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere, e palesato dai prigionieri il comando che aveano ; arse la moltitudine di manometter que’ Volsci, quali spie sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi, nomini probi, si diportassero come i malvagi ; dicendo esser meglio serbare permesso a quelli a’, quali solcasi, che die^fes^ i loro pareti ; Tito Largio, il primo de’ dittatoti create già per l’anno antecèdente consigliò che usassero'^ la sorte sobbriamente. Diceva ' essere encomio grahdissimo per una città come per un uomo se rion lasciandosi corrompere dalle prosperità, le sostiene con regola e con dignità : odiarsi tutte le prosperità, quelle principalmente per le quali possono ingiuriarsi, e gravarsi i Vuol dire tre anni addietro: come fu notalo da Silburgio. miseri e li sottomessi. iVon confidassero su la sorte, essi che àveano sperimentato tante volte ne’ beni, e ne' mali proprj, quanto fosse mal ferma e mutabile: nè Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo estremo per la qualè ipesso gli uomini s’ innalzano, e combattono sopra le forze. Temessero, se prèndeano pene irreparabili e dure su chi avea mancato, di provocarsene f ira comune di ogni popolo sul quale aspiravano di comandare ; imperocché decaduti dalle maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di oscuri parrèbbono aver fatto ' della sovranità una tirannide, nqn lìn governo éd un patrocinio. Dieea che mezzana non irremisibile è la colpa, se città già libere,• anzi usate al comando, nOn sanno dall’ antico grado discendere. Se quei che anelano il meglio, siano sé falliscono il colpo, vendicati immedicabilmente ^ niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti con intimo amore della libertà si distravano gli uni cogli altri. ^AggiuDgefra che assai piti nobile, assai piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo i sudditi colld beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché dà quella' nasce la benevolenza, e dà questi il timore > e ciocché si teme, ^^si odia vivàmente per necessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per esempio le opere bellissime pqr le quali gli antenati loro'tajfto erano encomiati'^ ' e qui ridiceva com' èssi aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola, non diroccando le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi almeno gli adulti, ma riducendqle colonie di Bofna, e concedendo la cittàdLinanza a tutti i yinti che in Jtoina vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir sao principalmente a questo, che si riqovasse co’ Latini l’alleanza, com’ eravi staU,'nè più ingiuria dcun% di qualunque città si ricordasse. Servio Sulpizio punto non contradisse intorno la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome di oomini che aveano tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi per r esercita, ^e. scegliendone trecento .. ostaggi, dalle famiglie più cospicue, _ parti come ^ avesse dissipata la guerra. Non però fu, questo un dissolver!^ 'ma .piuttosto un dlHerirla, e dar causa di apparecclij ad essi, preoccupati dal giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito romano, si accinsero i Volaci di bel nuovo alla guerra, e munirono e meglio presidiarono le città, ed ogni luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi per l'impresa i Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma segretamente molti altri ancora. I Latini, essendo venuti ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza, li legarono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla / costanza della lor fede, e più ancora alla prontezza colla quale > solcano spontaneamente per esso cimentarsi, e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, ciocché pur vedea di’ essi desideravano, ma vergognavansi dimandare, intorno atbeimila fatti prigionieri nelle guerre eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma degna de’ parenti, -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini liberi. Del resto fece intendere che non abbisognavasi di sòccorso latino, dicendo che bastavano a Roma le proprie forze. per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci. Ancorò il 'Senato sedeva nella Curia, ancora considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni, sordido ne’ vestimenti, e ha^'buto ^ capelluto ., gridava ed invocava soccorso dagli uomini, Accorsa la moltitudine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse visibile disse: Io. generato libero y dopo. 'èssere finché n era la ptà., marciato in tutte le spedizioni, dopo averi' sostenuto vent’ otto battaglie ^ e riportato pià volte,i premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi che strinsero Jìonm alle ultime angustie fui necessitato a prendere wi prestilo per supplire al tributo che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era desolato da’ nemici, e le' rendite urbane tutte. per la penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi non avendo come più redimere il debito, fui condotto dal prestatore con due miei figliuoli a servire. Comandandomi poi quel padrone non facili cose io contraddissi ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così dicendo squarciò la lurida veste ;,e mostrò pieno il petto di ferite, e grondanti le spalle di sangue. E. qui ululando, e piangendone la moltitudine .?' ^1 Serrato si disciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. deploravano la infelice lor swte, ^ cliiedeano soccorso da’ vicini. Uscirono allora dalle Case tutti quelli che erari servi pe’ debiti, abbuffati le chiome, e la maggior parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi, senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur toccarli, erane manomesso co’ dU'ittL della, forza. Tanta rabbia in quel punto invase il' popolo ! Nè molto dopo il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di chi signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto de’ mali, temette coutfa di sè le ffe della moltitudine, e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma Servilio deposta la veste contornata di porpora, e gettatosi lagrimando appie di ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per quel giorno, e tornar; nel seguente, mentre il Serrato provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi dipendo, Ds’ creditori e comandando al banditore di proclamare, die ninno de’ creditori potesse trar seco pe’ debiti alcun cittadino, finché il Senato su ciò deliberasse, e che tutti gli astanti 'ne andassero ove più /deano senza timore ; chetò la turbolenza. Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo giorno vi' si riunì non solo la moltitudine della città, ma r altra ancora de’ campi vicini; tanto che sull’ alba già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per discu te re ciocché era da fare, Appio chiamava il compagno adulatore del popolo e capo' della insolenza de’ poveri : e Servilio rimproverava lui come austero, caparbio, e fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla disputa; Intanto latini cavalieri spronando vivissimamente i cavalli si apprésentarono al Foro, annunziando essere già usciti 1 nemici con -.esèrcito poderoso, e già sovrastaìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi : e li cavalieri, e quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria, armaronsi in fretta, come.su. pericolo estremo; laddove i poveri ;• sjngolarmenle gravati da’ debiti, nè toccavan armi, né -soccorrevano in alcun modo a’ pubblici bisogni: anzi gioivano, ed accoglievano con desiderio la guerra esterna, come quella che redimerebbe loro dai mali presenti. E se altri, gli' esortava a respingere gli inimici, mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi, e lo confondevano addinrtandando, se Cosse mai degno combattere per difendersi tanto benefizio. Anzi taluni osarono perfino dire., esser meglio servire ai -Volsci, che soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città ripiena di ululàti; di tumulti, e di ogni lutto di femmine. A tale spettacolo i senatori pregarono ii console Servilio, come più autorevole presso del popolo, a soccorrer la patria. E costui convocandolo al Foro, dimostrò la urgenza del tempo presente, e coiùe non ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che piombassero unanimi tutti sul nemico, non che tollerassero che rovinasse la patria, ov’ èrano le divinità paterne, e le tombe. degli antenati, cose preziosissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia pe genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza ; e pietà delle donne che bentosto sarebbero astretti a subire gravi ed inesplicabili affronti : ioprattiitto commiscrassero che teneri figliuoletti, cèrto non educati a tale speranza, avessero a finir tra' le ingiio'ie e i vilipendj spietati. Quando tutti al paio concordi, tutti al paro infiammati, avessero tolto il rischio presente; allora discutessero comèra da ordinare un governo eguale, comune, salutevole a tulli, e 'tale, che nè i poveri insidiassero ''agli averi, del. ricco,, nè il ricco i poveri ne conculcasse ^ cose tutte in società dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica discrezione fosse da provvèdere ai poveri, con quale agli altri li quali dopo dati i prestiti per soccorrere, ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si leverebbe la fede do contralti, bene principalissimo tra gli uopiini e cuslóde dell' armouia nel corpo delle città. Dette queste e slmili cose, quali convenivano al tempo, da ultimo provò com’ era la benevolenza sua stala sempre costante verso del popolo^ e.pregò'che in contragcamblo, almeno di questa, si unissero per la spedizione j essendo a' lui data ^'.amministrazione della guerra, e quella di Ron^a alt compagno. Protestava che la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che il Senato tn>evalo\ assicurato di cpncedere quanto egli prometteva al popolò;,.'eche egli aveva assicurato il Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la patria ai nemici. Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare che hiunof poiesséarrogarsi le case di quelli che rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i Vblshi, nè venderle, nè impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno della stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare : perwtessero pei^' Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^ stamri.'coutre'qaellijche -noli, prendeano le armi. Come i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti, pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla aperto dì, guadàgnare ; cbi ..dalla benevolenza pel capitano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da ‘Appio e dai vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et ! màli : finché, vinsero noRofecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai sopravvenendo’ ài ^Rqmani'laVlèro cavalleria vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage, ttfrnaroho a Roma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhln.''ETmpnb^oi cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina sul titolo, di veder gli ^spettàcoli, dóveariq’ se^rido Taccordo all’ avvicinàrsi'aéi lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu forti : e li sagnfizj ihterrbttK per' (a guerra fiiroho per decreto del Senato raddoppiati ; talché oc fu ^oju e riposo nel popolo. Ancora festeggiavano 1 quand’ ecco ambasciadori dagli Arunci, popolo che occupava i più be’ luoghi della Campania. Presentatisi questi in Senato dimandavano' il territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani e dispensato agli nomini mandativi per guardia della nazione : dimandavano insieme che tal guardia si richiamasse; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunci su’ Romani, e vendicherebbero tutti i mali che aveano causato ai loco vicini. Replicarono a ciò li Romani. Ambasciadori, annunziate agli Arunci che noi Tlomani teniamo per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi ciocché ha conquistato per valore su nemici : che la guerra degli Arunci non la temiamo ; giacché non è questa per noi nè la prima nè la più terribile : che noi costumiamo combattere con chi vuóle per t impero e pel bene ; e se la cosa riducasi ora all arme, intrepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scontrarono presso la Riccia città lontana centoventi stadj da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti, e poco distanti fra loro: e poiché vi ebbero trincierati gli alloggiamenti, scesero al piano per combattere. Avendo Appio cosi detto, ed acclamandovelo strepitosamente i giovani, quasi egli desse il ben della patria ; Servilio ed altri seniori sorsero per contraddirlo : furono però sopraffatti da giovani che erano venuti preparati ed insistevano con forza grande; tantoché prevalse inGne la sentenza di Appio. Dopo ciò li consoli, sebbene i più volessero Appio per dittatore, come l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclusero di concerto, ed elessero Marco .Valerio frateDo di Pubblio già primo console, uomo anriano e popolarissimo di credito, persuasi che a lui basterebbe la terribilità della sua carica; e che si abbisognasse più che tutto di un uomo placido, perchè non si ^cessero delle innovazioni. ^ XL. Valerio investito della sua dignità, e scelto per maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello d> Servilio, collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^ polo si radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra la prima volta ed in gran moltitudine, da che guidato all’ armata erasi poi scisso manifestamente al dimettersi di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in baiiaali ; ed ora si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11 ciiaia. disse : Sappiamo o cittadini che sempre di vostro buon grado hanno a voi comandato alcuni della stirpe dei p^alerj, da' quali liberati dalla dura tirannide, non foste mai rigettati nelle' oneste domande^ nè temeste violenza ; affidandovi a quelli che sembravano e sono popolarissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo y quasi voi abbisognate di essere illuminati che noi convalideremo al popolo la libertà la quale gli abbiamo da principio vendicato : io parlo per ammonirvi solo brevemente affinchè siate pur certi che vi manterremo quanto promettiamo. Non ammette che vi deludiamo V età nostra venuta alla perfezione ^e men sostiene che vi ri^riamo, il grado supremo che abbiamo, e finalmente dMbianm pur vivere V avanzo dei nostri giorni tra voi per iscontarvela se parremo di avervi abusati. Io tralascio però queste cose giacché non abbisognano di molto discorso tra voi che le conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli altri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da tutti, nel vedere che sempre il console che v’invitava contro i nemici, prometteavi dal innato, senza mantenervele mai, le cose, per voi necessarie ; questo io vi convincerò che non dovete di me sospettarlo, principalmente per tali due argomenti : prima perchè a deludervi in tal modo' mai sarebbesi il Senato abusato di me che amantissimo sono del popolo, avendone altri più. acconci : e poi perchè non mi avrebbe mai condecorato della dittatura per la quale io posso concedervi anche senza di lui ciocché il vostro meglio mi sembra. Digitized by Googli !ì5o delle Antichità’ romane. Non crediate che io dia mano al Senato per ingannarvi f nè che io consultando con esso vinsidii. E se voi così giudicate ; fate ciocché pià volete di me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate, datemi udienza, da tale sospetto gli animi vostri : ripiegate la collera dagli amici su vostri nemici che vengono per levarvi la patria, e per fare voi schiavi di liberi, sollecitandosi a premervi con tutti i mali y riputati gravissimi dagli uomini. Già non lontani si dicono dalle nostre campagne. Sorgete, accingetevi, mostrate loro che la milizia Romana in discordia, tissai pià vale della loro, tutta unanime. Se presi noi tutti da un ardore, piomberemo su loro ; o non ci aspetteranno, o prenderanno le pene degne del^ r audacia loro. Considerate che i nemici che a voi portano la guerra sono i Fblsci, sono i Sabini, quelli che tante volte avete combattuti e vinti: e che non ora han fatto pià grande il corpo nè pià generoso di prima il cuore ; ma che ben altro se lo hanno ; tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando avrete punito V inimico, io vi prometto che il Senato darà buon fine alle vostre contese pe’ debiti, ed alle oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella guerra. Intanto libere siano le sostanze, libere le persone, libera la fama de’ cittadini Romani dalle azioni de’ prestiti, e di ogni altro contratto. Per quelli poi che combatterai!, con impegno bellissima corona fia la patria ridiriaata, luminosa la gloria tra compagni, e pari la nostra ricompensa a vivificar le famiglie, c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi aSi esempio, ve n’ esorto, V ardor nùo verso de' pericoli : io stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra voi. Udì tali detti, coDsoIandosi il popolo, e come quello che non più sarebbe deluso, promise di arrokrsi per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno di quattromila uomini. Prese ogni console tre di questi corpi con quanta cavalleria gli fu compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto de’ cavalli. Ed apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Volaci, ed il dotatore Valerio contro de’ Sabini; rimanendo a guardia della città Tito Largio co’ più vecchi, e con piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe prontissima risoluzione : imperocché necessitati a combattere, pensando gli antichi mali, e come aveano milizia più numerosa, piombarono i primi, anzi pronti che savj, su’ Romani, appena si videro accampati, gli uni dirimpetto degli altri. Attaccatasi vivissima la battaglia, fecero molte magnanime cose ; ma scontramdone ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo fu preso, e Velletri loro città principale fu ridotta per assedio. Lo spirito poi de’ Sabini fu invilito ancor esso in brevissimo tempo, essendosi 1’ una e 1’ altra parte deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna fu saccheggiata, e presi alcuni villaggi, ove i soldati acquistarono schiavi e roba in copia. Gli Equi all’udire la fine de’ compagni, riflettendo la propria debolezza An. iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a Ì93 av. Cristo. si misero su luoghi forti ; e ritirandosi alia meglio per le cime di monti e balze presero tempo e mantennero alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre illeso r esercito, perchè sopravvenendo i Romani arditissimamente su pe’ dirupi ; ne espugnarono a forza il campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’ Latini, e le città si ridiedero colla facilità, colla quale erano^ già state prese al giungere del nemico. Alcune però furono espugnate, non cedendone le guarnigioni ostinate il comando. Riuscitagli la guerra secondo il disegno, Va lerio trionfò, com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò la milizia, quantunque non paressene al Senato tempo ancora, afBnchè i poveri non esigessero le promesse. Quindi a diminuire la sedizione in Roma, scelse alquanti di questi, e li mandò nelle terre acquistate colle arme 'e tolte ai Volsci, perchè le possedessero, e le presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri che avendo avuto il popolo tanto pronto a combattere, gli osservassero le promesse. Non però davano questi udienza, ma si opponevano come dianzi all’ intento,; perchè li giovani e più violenti e più numerosi tra loro, fatto partito, brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta voce la prosapia di-^ lui adulatrice del popolo, e conduci trice alle ree leggi, tanto care ai Valer] su le adunanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste annientato tutto il potere de’ patrizj. Esacerbatone Allude alla legfi^ falla da Valerio 1’ aano 347 di Roma secondo Catone, colla quale davasi ad un privato il diritto di appellare al popolo dai magistrali che lo aveano condannalo. Vedi 1. 5, S 9molto Valerio, e dolutosi come se calunniato a torto patisse pel popolo, compianse il vicino fin d’ essi cbe cosi consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso, presagendo loro pi& cose, altre per passione, altre per intendimento maggiore degli altri, s’involò dalla Curia, convocato il popolo disse : Cittadini, dovendovi io piena riconoscenza per la prontezza colla quale mi vi deste per In guerra ; e più. per la virtù la quale dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai perchè foste voi ricompensati con ogni modo, principalmente col non essere delusi nelle promesse che io vi feci a nome de’ Padri, quando fui scelto consiglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi allora scissi, a concordia. Nondimeno ora sono impedito di soddisfarvi da uomini che non mirano il bene della 'comune ma solo il proprio, almen di presente. Questi prevalendo di numero prevagliono con una potenza che ad essi la gioventù concede più che la perizia degli affari.' Ed io, sono vecchio come -.vedete e vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel consigliare, ed invalidi per eseguire, e la provvidenza su la repubblica sembra ridotta propriamente a questo, che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro al Senato un vostro fautore, e voi mi accusate come benevolo troppo verso del Senato. 5e il popolo innanzi carezzato da me fosse venuto meno alle promesse del Senato, sarebbe la giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non io. Ora però non mantenendosi i patti dal Senato, mi è necessario dichiarare che è senza mia parte quanto patite, e che io medesimo sono come voi, anzi più, di voi, circonvenuto e deluso. Imperocché. non solo io sono offeso con ingiuria a tutti comune, ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno facendo. Di me si mormora che io per far f utile de’ privati dispensai senza il voto del Senato a’ poveri Va voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei del popolo ciocché era di tutti, e che per impedire che il Senato vi malmenasse, licenziai, ripugnandovi lui, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si rimprovera la spedizion de’ coloni nella regione de’ V^olsci, perchè ho io comportilo una terra ampia e buona a poveri Va voi, piuttosto che donarla a pcUrizj ed a cavalieri. Soprattutto mi si provoca indignazione moltissima perchè io nel fare la leva ho assunto più che quattrocento do’ vostri tra cavalieri ; don^ è che ricchi ne son divenuti. Se ciò mi avveniva quando fiorivano gli anni, ben avrei insegnato co’ fatti a’ nemici, qual uomo avessero vilipeso. Ora essendo io più che settuagenario, invalido a provedere fino a me stesso, e reggendo che non più la vostra sedizione può da me racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole, io gliel concedo, faccia di me come giudica, se crederi comunque da me danneggiato, XLY. Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se gulto quando parti dal Foro. Ma questo appunto esasperò contro lui li senatori: e ben tosto ebbe tali conseguenze. I poreri non più celatamente nè di notte, come per addietro, ma pubblicisshnamente riunÌTansi,c trattavano di scindersi da’ patrizj. Il Senato, disegnando impedirneli, diede ordine ai consoli di non dimetter r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle reclute, come sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £ per questi vincoli ninno attentavasi di abbondonaroe le insegne ; tanto la riverenza potea de’ giuramenti ! Alle^ gavasi per titolo della ritenzione, che gli Equi e li Sa^ bini eransi convenuti per la guerra contro de’ Romani. Ora essendo i consoli usciti colle schiere, ed essendosi accampati non lontani 1' uno dall’ altro, i soldati radu naronsi tutti in un luogo colle arme, e per istigazione di un tal Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropiandosi le insegne, cose tra’ Romani onoratissime e sante, come simulacri di Numi. E creatisi nuovi centurioni, ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano da Roma presso 1’ Aniene un monte che sacro si chiama 6n da queir epoca. Pregando, sospirando, prornettendo, li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma Sicinio replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che ora vogliate richiamare quelli che avete espulso dalla patria, e che di liberi gli avete schiavi rendati ? Con qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali siete rimproverati di aver tante volte tradito? Piuttosto, poiché volete in città, soli, aver tutto ; andate ; abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e pe miseri. Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne terremo per patria, solchè vi si abbia la libertà. Annunziatesi tali cose in Roma, tutto vi fu .\n. dì Roma a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^ T. Cristo. romore e pianto: e là correva il popolo, intento a la> sciar la città, qua li patrizj cbe voleano alienameli, colla forza ancora, se ricusavano. Soprattutto eravi clamore e pianto alle porte ; ed ingiurie vi si facevano, come tra’ nemici, con parole e con opere, niun più riverendo nè la età, nè l’ amicizia, nè la gloiia della virtù. Non potendo però, come scarsi, i soldati di guardia destinativi dal Senato custodire le uscite, le abbandonarono, sopraffatti dalla moltitudine. Allora versandosene fuora gran popolo ; parca lo spettacolo, còme la città fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli che ' restavano, vedendo che desolavasi. Dopo ciò si fecero molte consultazioni ; si accusarono gli autori delia separazione; ed intanto correano li nemici, depredando la campagna, 6no a Roma. Li fuorusciti presero i viveri necessarj drile terre intorno, nè punto più le danneggiarono. Tenendosi in campo aperto accoglievano quanti venivano da Roma, o da’ castelli intorno ; tanto che ne divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano, non solamente quelli che voleano levarsi dai debiti, dai giudizj, e da altri; angustie imminenti, ma tutti eziandio gl’ inBngardi, gli oziosi, i malcontenti ; quelli che in malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben essere, o che per altri mali, e cause comunque, discordavano dal governo. XLVII. Adunque si eccitò ne’ patrizj turbazione, ed angustia grande, e paura, come se li fuorusciti e li nemici stranieri fossero per venire quanto prima contro di Roma. Poi, quasi tutti ad un segno, prendendo coi loro clienti le armi, altri corsero alle strade donde pensavano clie giungessero gl’ inimici, altri ai castelli per difenderne i posti forti, ed altri ai campi innanzi la città per trincerarvisi, e quei che per la vecchiaja non poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti per le mura. Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi nemici, nè saccheggiavano la campagna, né faceano altro danno considerabile, respirarono dalla paura ; e mutato pensiero, esaminarono come si riconciliassero. Suggerirono i capi del Senato mezzi di ogni genere, diversi per lo più fra loro; ma li più anziani suggerirono i più discreti, e più convenienti ai tempi ; facendo riflettere che il popolo twn ti era separalo da loro per malizia, ma in forza de proprj mali, o delle promesse non mantenutegli, e che auca così risoluto V utile suo piuttosto tra la collera che tra la calma della ragione, vizio consueto nella ignoranza. Aggiungevano che i più di questi conoscevano di avere mal deliberato, e cercavano emendarsene, se il buon punto ne avessero iiche già ne' ei^an le opere come di chi si pente ; e che volentieri tornerebbero nella patria se potessero, augumrvisi un avvenire felice, dando loro il Senato perdono, e pace decorosa. In mezzo a tali consigli supplicavano che essi che erano i gratuli non sentisser la ira più che i minori’, nè differissero stolti a riconciliarsi allora .quando fossero necessitati a far senno, e curare il male più piccolo col più grande, vuol dire, quando' avessero a tedere le armi, e le persone, e togliersi da sè stessi la libertà : cose tutte quasi impossibili a farsi. Usassero moderazione, pròponessero i primi gC ulili consigli, e la riunione, avvertendo che se era proprio de' patriiù] comandare e dirigerò ; era propria ancora de' buoni C amicizia e la pace. Mostravano che la dignità del Senato non minorasi quando provede alla sicuiozza col sopportare pazientemente le perdite necessarie ; ma quando opponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repubblica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per amor del decoro : ben essere da ceivare ambedue queste cose : ma dove sia da cedere V una o C altra, doversi la salvezza riputare più necessaria. Era l’intento li tali consiglieri che si mandasse a fuorusciti per trattar della pace non altrimente che se la colpa loro non fosse insanabile. Piacque cosi appunto al Senato ; e scelti personaggi accontissimi, li diresse a quelli che erano in campo con ordine d’ intenderne i bisogni e le condi' zioni colle quali volessero in cittlt ritornare ; perciocché se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le rigetterebbe : intanto se depenessero le arme, e tornassero in Roma, promettea loro perdono e dimenticanza perpe tua di tutto il passato : come belle ed ntili le ricompense a chi servisse valoroso, ed affrontasse ardentemente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e comunicarono tali voleri al campo, aggiungendovi cose consentanee. Non accettarono' i fuorusciti l’ invito : anzi rimproverarono a’ patrizi T orgoglio, la dnrezza, le simulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del popolo, e quelli pe’ quali si era separato. Ci assolvono, diceauo, da ogni pena per la ribellione, come fossero i padroni, essi che abbisognano dell’ ajulo nostro. Quando giunga su loro, e sarà tra non molto, con tutte le forze il nemico ; non potranno alzare nemmen lo sguardo contr esso, e pur ci voglion far credere che non sia bene loro t esser difesi ; ma felicità di chi si unisce a difenderli. Aggiunsero a tal dire che se vedevano già le angustie di Roma ; comprendereb- bero poi meglio con quali nemici avessero a guerreggiare : e qui minacciarono molto e veementemente. Non contraddissero a ciò, ma partirono, e dichiararono i legati a’ patrizj le risposte dei segregati: e Roma, uditele, se ne turbò ; e temette più che per addietro. Il Senato non sapendo come espedirsi o diffenrc, si disciolse, dopo avere più giorni ascoltate le infamazioni e le ac> cose vicendevoli de’ suoi capi fra loro. Il popolo rimasto in Roma per benevolenza verso de’ patrizj, o per desiderio della ..patria più non somigliava sestesso; dileguandosene gran parte nascostamente o in pubblico > nè sembrandone il resto affatto più stabile. Fra tali vicende i consoli, avendo poco più tempo per comandare, fissarono il giorno pe’ comizj. Venuto il tempo nel quale aveansi a riunire nel campo Marzo e scegliere i proprj magistrati; ninno ambiva, nè sostenea di esser consolo. Adunque nella Olimpiade setlantesÌDa seconda nella quale Tisicrate da Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene Diogneto ; il popolo rielesse al consolato due vecchi consoli Postumio Gominio e 'Spurio Cassio, uomini cari alla moltitudine ed ar grandi, da' quali già domati i Sabini aveano lasciato di competere dell’ impero con Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle calende di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai consoli precedenti, convocarono innanzi tutto il Senato per deliberarvi sul ritorno del popolo. CbieslO' il’ parere di tutti ; invitarono a dire Menenio Agrippa, uomo allora venerabile per età, credulo più che gliaU tri insigne in prudenza, e lodato principlmente' per loi scelta de’ suoi regolamenti, perchè teneasi^al mezzo non fomentando 1’ arroganza de’ nobili, nè lasciando che i| popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando il Senato alla riconciliazione, disse r Se quanti qui siamo o Padri Coscritti fossimo tutti di un animo; e se niuno si opponesse a far pace col popolo, comtmque la facessimo, per giuste o per ingiuste condizùy^ ni ; e se questo fosse proposto unicamente d diseu^ tere ; dichiarerei, con poche parole dà che ne penso. Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare ancora se forse riesca più utile far guerra a fuorusciti ; non credo che io possa in ^ pocoinsinuare dà che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampiamente su la pace quanti tra voi ne discordano. Imperocché questi conducono a cose contraddittorie ; spaventano voi, che già ne temete, su mdli da nulla o lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi. Certamente cosi propongono perchè non decidono delr utile colla ragione, ma col furore e coll’ impelo. E come si direbbe che essi provvedono le cose proficue, o fattibili almeno, quando stimano che Roma, una A^oi di Roma a6t ceoodo Catóne, o63 secondo Varrone,e 4{)t arami Critu. a6i città si grande, ed arbitra di tante genti ^ e già in~ yidiata e molestata da’ vicini, possa ritenerle e difenderle facilmente senza il suo popolo, o che possa in luogo del suo sì scellerato introdurre altro popolo che per lei combatta del principato ; che con lei sia di buon accordo su la repubblica, e sempre moderato in pace ed in guerra ? Eppure non altro potrebbono dirvi quei che tentano dissuadervi dalla pace. L. Ma qual sia la più stolta di queste cose, vorrei che voi stessi lo decideste dalle opere. Considerate, che alienatisi da voi li più poveri perchè abusaste della loro infelicità senza modestia e senza politica, e che recatisi appena fuori della città senza farvi o macchinarvi altro mede, col solo intento di averne una pace non ingloriosa, molti de’ vostri nemici abbracciarono con trasporto questa occasione come dono della sorte, e riedzan lo spirito, e credono venuto per loro fitudmente il tempo felice da battere il vostro impero, di Equi, i Eolsci, i Sabini, gli Etnici, questi che mai si alienano eìal farci la guerra, esatperali ora dalle sconfitte recenti, già devastano le nostre campagne. Que’ Campani, que Tirreni die vacillavano nella nostra soggezione ora parte fi abbandonano matdf estàmente, parte in occulto • vi si preparano. E gli stessi LeUirti, quantunque nostri congiunti, a me non semhran procedere di buona fede, costanti neW amicizia; ma odo che guasti sono in gran numero per amore di un cambiamento, che tanto gli uomini alletta. Noi die abbiamo fin qui portato in campo aperto la guerra su gli altri; noi ci stiamo or qui dentro, difensori delle mur^; lasciando senza seminarli i nostri terreni, anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi, via levale le predo, e fuggirsene di per sestessi gli schiavi, senza che abbiamo rimedj a tanti mali. Non pertanto noi ' tutto soffriamo, perchè speriamo ancora che il popolo ci si riconcilj, ben sapendo che da noi dipende il toglierecon un solo decreto la sedizione. Ma se pessimo è lo stato nostro in campagna;, non è meno funesto e terribile dentro le mura. Noi ' non ci siamo .apparecchiati già da gran tempo, come per un assedio, nè bastiamo di numero contro tanti nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e plebea, per gran parte, merce nar f, clienti, artefici, custodi tton affatto saldi dello stato turbato degli Ottimali : e le continue loro diserzioni verso de’ fuorusciti ce li hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo le nostre campagne dominate da nemici, ed impossibilitato il trasporto de’ viveri ; abbiamo a temer di una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più ci spaventerà la guerra, la quale senza questo ancora non concede mai calma allo spirito. Quello poi che supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati, vedere i teneri figli, i padri cadenti, che sqqallidi e miserandi si rigiran pel Foro e per le vie, che piangono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e più ancor la futura, spettacolo in véro desolante ed insopportabile ! Niuno è si barbaro che non s intenerisca a mirarlo, e non si appassioni sul destino degli uomini. Che se abbiamo a diffidar su plebei ; dofremo rimoverne gt individui, altri come inutili nelr assedio, ed altri come amici non saldi. Or se questi rimovansi, quid forza rimane in guardia di Roma ? o da quale soccorso animati ardiremo star contro dei mali ? V unico nostro rifugio, P unica nostra buona speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete ella è questa, nè bastante a darci i grandiosi disegni. Che dunque impazzano, quei che propongon la guer^ ra, o perchè mai ci deludono, e non consigliano piut~ tosto di cedere fin da ora senz ar^ustie, e senza sangue Roma ai nemici ? Ma forse io ciò dicendo son cieco, e predico per terribili, cose che non son da temere. Roma non corre altro rischio che di un cambiamento, cosa certo non difficile ; potendovisi facilissimamente introdurre mercenarj e ' clienti in copia da ogni gente e luogo, posi van divulgando molli de contrarj al popolo, uomini, viva. Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza vengono alcuni ; che non propongono già consigli salutevoli, ma desideri impossibili I Ora io volentieri dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia per far tali cose, essendone tanto vicini i nemici : qtude condiscendenza alt indugio o al ritardo del giugnere degli alleali in mezzo à mali che non temporeggiano, nè aspettano ? Qual uomo, o qual Dio mai vi terrà sicuri, o congreghem da ogni luogo in gran calma, e qui ci porterà de’ sussidj ?. Inoltre e quali tuoi saran. ' quelli che lasceranno la patria per venirsene a noi ? Quelli forse che haruus case e Dii Lari € viveri ed onori tra proprj cittadini per la nobiltà degli antenati, o quelli che per la gloria risplendono de' pnoprj meriti ? E chi mai sosterrebbe di abhemdonare i proprj commodi, e partecipare vergognosa^ mente i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non per dividere con noi la pace e le delizie, ma la guerra e i pericoli, e questi incerti, se a bene riescano ! Convocheremo forse una -turba, qual fu quella rigettata da noi, plebea e senza lari? Ben è chiaro che pe' disagi suoi, io dico pe’ debiti, per le penalità, c per cause altrettali prenderà volentierissima. dovunque una sede : ma sebbene questa plebe sia utile, c ( per concederle questo ancora ) sebbene sia moderata ; tuttavia ci riuscirà generalmente, assai, meno 'buona della nostra, perchè non è rutta tra nci, nè come noi disciplinata, e perchè ignora i nostri costumi, le nostre leggi, e le nostre maniere. celebrasi la vostra clemenza, il quale nè manda a noi per conciliarcisi esso che à C offensore, nè porge risposte umane e socievoli a quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inalbera e minaccia, nè lascia conoscere quello che voglia. Udite voi dunque ciò che iò consiglio che^ facciasi. lo nè penso il popolo irreconciliabile a noi > nè > ohe mai farà quanto mincucip, ; dióchà mi sono buon argomento le opere sue che a’ detti non somigliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che noi sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una patria onoratissima, e teniamo irt poter nostro le sostanze di lui, le case, i genitori, a tutte le cose pià preziose : ed egli si trova senza patria, senza magioni, senza i pegni suoi più, cari, e senta V abbondanza ancora del .^vivere quotidiano. Che se alcuno mi chieda perchè mai fra tanti patimenti egli nè accetti gl inviti nostri, nè mandi a noi per istanza niuna, rispondo s ciò essere manifestamente, perchè Digitized by Google 2G8 delle antichità’ romane fin (jid mn intese dal Senato che parole senza vederne poi le opere o di benevolenza o di moderazione ; e perchè crede di essere stato molte volte ingannato da noi che promettevamo di provvedere su lui, senza avervi mai provveduto. Non ci spedisce ambasciadori perchè son qui tanti che ce lo accusano, e perchè teme non ottenere ciò che dimanda : e forse così gli suggerisce un ambizione non bene considerata; nè già è meraviglia. Imperocché son pure tra noi non pochi, difficili, contenziosi, i quali colle brighe loro non vogliono che cedasi punto ai cóntrarf, e cercano per ogni via di sopraffarli senza mai condiscendere essi i primi, finché loro non sottomettasi chi vuole essere beneficato. Or ciò considerando io penso che debbansi spedire al popolo ambàsciadori, principalmente di stia confidenza : e consiglio che questi ambasciadori siano plenipotenziarj, perchè levino la sedizione coi patti che essi terranno per giusti, senza rimettersene al Senato. Questo popolo che ora vi pare sì spregiante e grave, questo darà loro utlienza, al vedere che voi cercate veramente la concordia, e ridurrassi a condizioni più mitij senza chiederne alcuna vituperosa, o non fattibile. Imperocché tutti, e specialmente i plebei, ne’ dissidj s' irf urtano con chi su loro insolentisce ; ma si ammansano con chi li blandisce. Cosi disse Menenio; e levossene in Senato gran romore, parlandovi ciascnno alia sua volta. I fautori del popolo esortaVansi a vicenda a dar tutta la mano perchè rlpatriasse, avendo per capo di questo consiglio il pii riguardevole de patrizj. Per Topposìto quegli ottimati die cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della patria mal sapeàno ciò che avessero a fare, nò voleano condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno uomini integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano la pace, intenti a questo di non essere assediati tra le mura. Or qui fattosi da tutti silenzio il più anziano dei 'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità, stimo landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della repubblica, a dir francamente ciocché ne sentissero, e compiere senza strepitò ciocché sen decidesse: indi nel modo stesso cercandolo dei suo parere, chiamò per nome Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati carissimo ài popolo, e fratello all’uno di quelli che aveano liberato Roiòa dai tiranni. Costui levatosi in piede ricordò ai Padri i suoi provvedimenti, e come avendo egli presagito più volte i terribili casi avvenire, ne tennero pochissimo conto : poscia esortò li contrari discutere ornai su la moderazione, ma solo a vedere ( giacché non aveano permesso che si estirpasse quando era ancor piccola ) di racchetare ora, comunque, il pià presto, la sedizione, perchè, trascurata, non procedesse pià oltre, e non divenisse incurabile f o presso che incurabile, e sorgente di mali senta fine. Dichiarò che le dimande del popolo non sarebbero come per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe colle condizioni di prima insistendo per la sola remissione dei debiti, ma che vorrebbe forse un qualche difensore, onde tenersi illeso nell' avvenire : affermava che dopo introdotta la dittatHra era venutameno la le^e tutelare della Uhtrià la quale non per^ metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giudicato, nè di cederlo giudicato reo nelle mani de’ lorocontradditori, e la quale concedeva a chi volea V appelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto che quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^ Poco mancarvi che non fosse statà tolta al popolo tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad dietro, quando non potè ottenere dal Senato per le imprese rmlitari il trionfo a Pubblio Servilio Prisco, uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore. Pertantoben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi nè abbia se non triste speranze della sua sicurezzaj Non il console, non il dittatore aver potuto soccorrerà il popolo, quantunque il volessero,; .anzi averne partecipale le incurie e V avvilimento, perchè studia vansi provvedere su lui. Essersi poi cospirati per im pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj, ma uomini oltraggiosi, avari,. acerrimi ne’ rei guadagni, quali, pe’ grandi prestiti a grandi usure, aveano ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ; dicea che questi facendo loro leggi dure, orgogliose. aveano alienata tutta la plebe da patrizj ; e che datosi per capo Appio Claudio, odiatore della plebe, e propizio ai pochi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la parte savia del Senato non si contrapponesse, la repubblica pericolerebbe di essere schiava o distrutta. Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di Menenio, e chiese che si spedisse al popolo qiumto prima: procurassero i deputati quanto volessero la calma della sedizione : ma se il popolo non accettava le dimando loro, essi quelle accettassero del LIX. Sorse, invitato, dopo lai Appio Claudio, uomo contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso, nè senza cagione. Perocché nel vivere suo quotidiano era moderato e santo, nobile nella scelta de' provvedimenti, e tale da conservare la dignità de’ patrizj. Costui pren dendo occasione dell’ aringa di Valerio, disse : Certamente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava unicamente il suo parere, senza condannare quello de’ contrarj ; giacché non avrebbe nemmen egli ascoU tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar consigli onde renderci schiavi ai cittadini pili vili, ma sferzò pure i suoi contrarj, cimentando anche me ; così vedomi necessitato assai di rispondere, e di respingere primieramente le calunnie a me fatte. Son io rimproverato di una condotta nè' sociale, nè decorosa, quasi io cerchi per ogni via far danari, quasi spogli molti de’ poveri della libertà, e quasi da me sia derivata in gran parte la separazione del popolo. Ben vi è facile però di conoscere che niente di ciò è vero, niente probabile. Or su, dimmi, o Valerio, quali sono quelli che ho io ridotti servi pei debiti, quali i cittadini che ora tengo nella carcere ? (filale dei fuorusciti si è privato della patria per la durezza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu dirlo. .Anzi tanto è lungi che alcuno sia da me riilotto servo pe’ debiti che. io sparsi tra molti V aver mio, nè mi rendei schiavo, nè disonorai niuno di quei che mi hanno defraudato : ma tutù ne son Uberi, e tutti me ne ringraziano, e stansi nel numero degli anici e de clienti miei pià familiari. Nè ciò dico per incolpare chi non opera come me, nè per ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta solo per levas'e da me le calunnie. In ciò poi che mi accusa della durezza e del patrocinio mio sui scellerati, chiamandomi odUpopolo ed oligarca perchè favorisco il comando de’ pochi, in ciò son io da riprendere quanto voi che avete ricusato, come pià riguardevoU, di soggiacere ai men degni, e di lasciarvi togliere il comando dei vostri antenati da una democrazia, pessimo infra tutti i governi. Nè già perchè egli soprannomina oligarchia il comando de’ pochi dovrà questo disciogliersi per le beffe del nome. E pià giustamente e propriamente possiamo noi riprendere lui come un adulatore del popolo, ed un ambizioso di tiranneggiare. Perciocché niuno ignora che la tirannide nasce dalle adulazioni della plebe : e che la via speditissima a rendere le città schiave è quella che mena al comando col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli ha fin qui carezzato costoro, nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben vedete che questi abietti, questi miseri, non avrebbero. mai ardito d’ insolentire in tal modo se non fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e bello amatore della patria, come se l’ tali trattare, Abhiam per ostaggi le loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado, dei quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi, Questi, li collocheremo • nói, questi al cospetto dei loro congiunti, minacciando, se tentano assafirti, di ucciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove ciò sappiano, voi li riceverete inermi', supffikhevoli, piangenti, pronti ad ogni pena. Terribili sono tali necessità, e frangono, ed annientano ogni baldanza.E questi sonod riflessi -^pd quali non dobbiamo la guerra temere degli esuli. Le mirtacce poi di altri popoli rum ora Ut prima volta si trovarono fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si scoprirono sempre rtùnori delt apparenza quante volte i popoli fecero di noi paragone. M quelli che tengono per insufficienti le intime nostre forze, e però temono appunto la guerra, quelli non bene le han calcolate. Ai citrini da noi separati, se il vogliamo, possiamo contrapporre scegliendoli e liberandoli, il ' fiore de’ servi. Certamente vai meglio donare a questi la libertà, che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto più che stati essendo questi tante volte presenti ne’ nostri campi hanno sperienza che basta di guerra. Per combattere poi cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e tutto il resto del popolo : e perchè sia questo ' cspedito a cimenti, rilasceremp ciascuno privatamente, e non max per legge, ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in vista de’ tempi cedere in parte e temperarci; non dee mai farsi questo con cittadini che ci s' inimicano, ma cogli amici, perché sappiasi che noi concediamo grar zie, eomthossi e non violentali’, che se queste non bastino, se bisognino altre fòrze, f arem venirne dai presidii e dalle colonie: e quanta siala moltitudine loro, è facile raccoglierlo dalC ultimo censo. 1 .Romani atti (die arme son cento trenta mila, e di questi appena la settima tparte è fuggita ' da noi ( 1 ). Non commentoro qui le' trenta città de’ Latini, le quali come voitre alleate ^ combatteranno di bonissima voglia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla vostra cittadinanza che > sempre .vi hanno domandata. Ora vi aggiungo' (.e finisco ) quello che rileva fra le arme assaissimo, e che voi non avete avvertito, o certo niun dice de’ Padri. Chi cerca il buon esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto di egregi capitani. Or di questi la nostra città soprob[Questo ceuso non par quello fatto da T. Largio primo dituiorr, ma l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu di Roma, ov dice eba furono numerati più che centodieci mila ciuaUini. benda, ma scarsissime ne sono quelle de' nemici. Lè grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme, si svergognano, e rovinano di per sestesse con danno tanto maggiore, quanto sono più numerose: ma i buoni condottieri presto rendono grandi anche picciole armate. Di qua seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni al comando, mai avremo penuria di quelli che fac cianci comandare. Or ciò considerati^, e ricordando voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete decreti meschini, vili, indegni. Che dunque, se alcuno tnel chiede, ( e già forse bramate da gran tempo saperlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro-> pongo che nè spediscansi ambaseiadori d fuorusciti ^ nè sen decida arti, finché raccolto il voto de’ senatori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno e r altro di questi cousigli, faceano di lor voglia la pace ; protestavano che noi permetterebbero, ma vi si opporrebbono di tutto lor animo, colle parole finché dovevasi, o colle arme in ultimo se bisognava. Era que> sto partito J1 più forte, aderendovi quasi tutta la gio ventù palriaia. In opposito piegavano al partito di Me-s uenio e di Valerio tutù quelli che aveano cara la pace, p cbe torneano soprattutto per 1’ età loro, considerando quanti siano .nelle città li mali delle guerre civili. Mossi però dai clamori e dai tumulto dei giovani, adombrati dall’ ambizione loro, e dall’ arroganza contro de’ consoli, e timorosi che indi a poco si venisse alle mani se nou cedevano; si volsero in ultimo a piangere, e supplii care, piangendo, i conirarj. Sopitosi coi tempo lo strepito, e tornato il silenzio, i consoli abboccatisi fra loro, cosi conchiusero. Noi vorremmQ primieramente o Padri Coscritti, che voi tutti foste unanimi d intelligenza e di volere in^ torno la salvezza del comune : se no, che i più gio^ vani almeno cedessero, non ripugnassero d seniori, considerando, che ancK essi giunti alT età di questi avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo voi caduti in una discordia, rovinosissima fra i mali umani, e sorgere qui mollo f arroganza de’ giovani ; e siccome poco ornai soprawanza del giorno, nè possono aver fine le discussioni ; ritiratevi dal SeruUo : tornerete in cUtra adunanza più placidi e con sentenze migliori. Che se qui persevera l’ amore delle contese, non più ci varremo de' giovani por giudici, né per consiglieri su ' quello che giova : ma precluderemo il disordine con una legge ; determinando la età che aver dee chi consiglia. Quanto a’ seniori se non si uniscono ne' sentimenti ; torneremo a dar loro la parola, e ne risolveremo le dispute per una via speditissima, la quale è meglio che voi udiate e conosciate precedentemente. Voi sapete che noi abbiamo fin dalla fondazione di Roma, che il Senato è t arbitro, è vero, di ogni cosa, ma non di crearei magistrati, rum di fare le leggi, rum di portare o cesseue la guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in "ultimo col suo voto. E siccome ora non consultiamo che su la guerra e la pace ; cosi debbe il popolo, liberissittur ne' suoi voti ratificare indispensabilmente i vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i vostri pareri, ru>i scguerulo questa legge, inviteremo la moltitudine al Foro, perchè ne sentenza. Così le' contese avran fine ; mentre ciò che la pluralità dei voti destinavi, quello abhracceremo. Senza dubbio son degni di quest’ onore quelli che si tennero finora henaffetti alla patria, io dico i compartecipi de' nostri beni e de mali. Sciolsero, ciò detto, radunania. Fecera nei giorni appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della campagna che si presentassero, e similmente al Senato che si riunisse nel di stabilito ; e qnaudo videro la città riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle preghiere fatte tra le lagrime, e tra’ lamenti de’ vecchi genitori, e de’ teneri '6gli de’ profughi, recaronsi nel tempo destinato sul finir della notte al Foro, angusto a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano donde solcano aringar l' adunanza, lodarono primieramente Il popolo dello zelo e della prontezza nell accorrere in tanta frequenza: quindi lo esortarono che aspettasse in calma la risoluzione del Senato; animando intanto gli attenenti de' profughi a buone speranze, come quelli che riarrebbero tra non molto i loro pegni dolcissimi. Dopo ciò passando in Senato vi tennero benigni e modesti ragionamenti, ed invitarono ancor gli altri a proporre consigli vantaggiosi, ed umani. Chiamarono innanzi tutti Menenio, il quale alzatosi in piede rivenne ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace : e riproponendo che si deputassero ai segregati bentosto de’ personaggi, arbitri di concordare. Invitati poi secondo 1’ età sorsero a mano a mano gli uomini consolari: parve a tutti questi che fosse da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio di favellare. Or questi sorgendo t'eggo, disse, o Padri Coscritti che piace ai consoli e poco meno che a tutti di rimpatriareil popolo colle condizioni eh’ ei vuole: che fra tutti i contrarj della pace or io rimangomi solo, esposto aie odio di quello, e niente utile a voi. Ala non per questo rimovomi dalle mie prime deliberazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo su la repubblica. Quanto piò. restomi derelitto da quelli i quali come me ne sentivano ; tanto piò col volger degli anni ne sarò pregiato tra voi, sarò in vita coronato di gloria, e morto sarò benedetto dalla ricordanza de posteri. Sia pure o Giove Capitolino, o Dei presidenti della nostra città, o eroi e genj, e quanti in guardia avete il suolo Romano, sia pur Diomcj, urna IT. i a8a. hello ed utile a tutti il ritorno de fuorusciti, e delusa resti la espettazione eh’ io ni' avea su 1’ avvenire. Ma se pe’ consigli presenti dee venire (e fia ciò palese tra non molto ) alcun disastro su Roma, deh ! rettyicateli voi prestamente, e fate la nostra salvezza. Deh ! siate benevoli e propizj a me che non avendo mai voluto dir le piacevoli per le utili cose, non tradirò nemmen’’ ora il comune per la mia sicurezza. Io così volgomi a pregare gV Iddj ; perchè non abbisognano più, parole. Ripeto la sentenza di prima : assolvasi IL POPOLO RIMASTO IN CITTa’ DAI DEBITI ; MA COMBATTANSI CON TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI TINCBÈ STARANNO SU LE ARMI. E ciò detto Gnl. Poiché le sentenze de’ seniori concordaronsi con quella di Menenio, e poiché venne il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione, sorse Spurio Nauzio, un rampollo della prosapia nobiliasima originata da quel Mauzio compagno di Enea nel guidar la colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il quale nel trasmigrare aveane portato seco il divin simulacro, dato poi successivamente in custodia a’ suoi discendenti. Ora Nauzio che parea per le sue belle doti più nobile ancora di tutti i giovani, nè lontano mollo dall’ ottenere la dignità consolare, cominciò la difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato Anche Virginio fa meniioue di questo Nauxio, che egli chiama Pfautt, nel libro 5. Tum senior PfaMes, unum Triionia Paìlas, Quaeitt docuit, muUaqus insignem reddidit arte, Haec responsa datai precedente avetmo pronunziato in contrco'io de' padri non fu già per amore di contendere o insuperbire con essi, ma solo mancando, se aveano pur mancato, per inesperienza di anni : e qui soggiunse che farebbero fede di ciò col variar sentimento : che lasciavano a loro come più savj decidere co’ voti il ben del comune : essi non contrarierebbono, ma secon' darebbero i seniori. E dichiarando Io stesso ancor gli alni giovani, toltine pochi, legati di parentado con Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia ; ed esorta tili ad essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici, elessero tra’ seniori piÀ cospicui dieci deputati, uomini consolari tutti, fuori che uno. Furono gli eletti, Manio Valerio, Tito Largio, Agrippa Menenio figlinolo di Gajo, Publio Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di Quinto, Tito.Ebuzio Flavio figlio di Tito, Servio Sul picio Camerino figliuolo di Publio, Aulo Postumio Albo prima alle tose loro quei che le aveano lasciate. Presi tali ordini, partirono i deputati nel giorno (1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio, Tito Largio, e si nolano altre maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione di Porlo medesimo. Precedè la fama il giunger loro, divulgando nel campo tutte le cose fatte in città : dond’ è che lasciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente incontro a’ deputati che erano in via. Aveaci nel campo un uomo turbolento affatto \ e sedizioso, acuto a preveder da lontano ciocché avverrebbe, nè insufficiente, come parlator lusinghiero, a dirne quanto ne pensava. Chiamavasi questi Lucio Giunio col nome appunto di lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il nome per intero, facessi intitolare Bruto ancora. Rideano i più su la cura vana di esso^ e Bruto il chiamavano quando pungere lo volevano. Or questi mise in cuore a Sicinio, duce dell’ esercito, che il bene del popolo non istava nel rendersi troppo facilmente, sicché men degno ne fosse il ritorno per le umili condizioni ; ma nel resistere lungamente, simulando come in tvia tragedia. E profferendosi egli a Sicinio di parlare in favore del popolo, e suggerendogli altre cose che erano da fare o dire, lo persuase. Dopo ciò Sicinio, convocato il popolo, impose a’ legati che dicessero le cagioni per le quali venivano.Recatosi in mezzo Manio Valerio come il più provetto e popolare, e contestatagli dalla moltitudine la sua benevolenza con grida e saluti amichevoli, alfine, fatto silenzio, disse: Niente, o popolo proibisce che vi riconduciate alle vostre case, niente che vi pacifichiate co’ Patrizi. Il Settato ha per voi decretato' un ritorno utile e decoroso j e di non pià ricordare o vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propensissimi per voi, come da voi rispettati, ha qui deputato con poteri assoluti di concordare : affinchc noi non opinando nè congetturando su vostri desiderj, ma udendo da voi stessi con quali condizioni chiedete riconciliarvici, ve le accordassimo se moderate, se non impossibili, nè impedite da indecenza insanabile, sene’ aspettare il voto de’ Padri, e senza intristire V affare colle dilazioni, e colla invidia dei contrari. Avendo il complesso de’ Padri così per voi decretato ; ricevetene il dono lieti, pronti, e benevoli s pregiandone degnamente una sorte sì bella, e ringraziando vivamente gV Iddj che Roma, la dominatrice di tanti popoli, che il Senato, regolatore di tutto il bene che è in essa, mentre V usanza della patria non permette che cedasi ad alcuno, cedano alle istanze vostre solamente, nè pretendano come i più. grandi su’ men grandi discutere minutamente quanto conviene ad ambedue, ma primi essi vi spediscano per. la pace : che non piglìasser con ira le risposte imperiose da voi fatte ai primi ambasciadori, ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una ostinazione giovanile, come il buon padre sul figlio non savio : che volessero indirizzarvi una seconda ambasceria, diminuire i loro diritti', e rimettervisi dove la moderazione il consente. Giunti a tanta felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi giubilando alla terra che vi ha generati e nudriti : Allude ai scDatorì che arrebbono perorato in contrario nei Senato. Già non le deste voi li trofei e le ricompense pià belle, riducendola quanto è da voi solitaria, o come un campo da pascolarvi. Se trascurate questa occasione, forse ne richiamerete pià volte la somigliante. Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio, e I disse, che chi ben consulta non riguarda V utile da una banda sola, ma lo contempla nel suo rovescio ancora, principalmente in affare di tanta importanza. Pertanto comandò che chi volea rispondesse a ciò, deponendo ogni verecondia e timore. Non permettere la natura delle cose che essi benché ridotti a tante angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui, fatto silenzio, e gli uni riguardando su gli altri, e cercando chi perorasse pel comune; ninno si presentò. Ma replicando Sia aio altre volte l’ istanza venne alfine in mezzo secondo gii accordi quel Ludo Ginnio desideroso di essere cognominato Bruto : ed avuto a far dò grandi significazioni dalla moltitudine, tenne questo ragionamento : Il timore che avevate de’ Patrizj o compagni è scolpito ancora per quanto vedo, e triorfa negli animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate far qui, udendovi tutti, i discorsi che usavate tra voi. Forse ciascuno confida che il vicino suo aringherà sul comune, e che piuttosto incorrerà tra’ perìcoli ogni altro e non egli : ami che egli tenendosi in salvo, goderà senza perìcoli parte del bene che possa mai nascere dall ardire degli altri : ma stolto è questo concetto. Imperocché se tutti aspettiamo la stessa cosa, la codardia di ciascuno sarà nocevole a tutti; c dove ognuno figurasi la sua sicurezza; ivi insieme con tutti rovinerà la comune. Ma se non avete appreso finora che per le arme ci togliemmo la paura, e per le arme avete consolidata la vostra libertà ; conoscetelo ora almeno, ed i Patrizj, essi stessi ve 10 insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~ mini, non vengono come prima comandando e minacciando, ma supplicandoci, ed esortandoci a tornare alle nostre case : e già cominciano a trattarci come liberi veramente. Che dunque or più vi anneghittite e tacetq ? Che non la Jote da liberi uomini ? c se avete già scosso il freno : che non dite qui ora pubblicamente ciocchò avete sopportato da loro ? O miseri ! e quali patimenti temete ? se io stesso v invito a parlar francamente ? Io dunque, io stesso mi rischierò di dire liberamente per voi ciocché è ffusto, senza niente occultare. E poiché Valerio dice che niente proibisce che vi rendiale alle case vostre concedendovisi dal Senato il ritorno, ed essendosi decretato di non perseguitarvi ; io risponderò a lui cose nemmeno vere che necessarie a dire. Oltre i motivi ben grandi e varj, tre ne sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che c impediscono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il primo è che venite a noi per esortarci come traviati; e Radicate beneficenza vostra accordarci il ritorno : 11 secondo è che invitando noi a pacificarvici, niente dichiarate le condizioni compiacevoli o giuste su le quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo che niente di quanto ci promettete sarà per essere stabile, giacchè avete continuato a rigirarci e deluderci tante volte. Discorrerò di ciascuna di queste cose, incominciando dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol cominciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pubbliche. Noi dunque se ve ne abbiamo mai fatte, noi non chiediamo nè impunità nè dimenticanza delle ingiurie. E non yorremo piò. rio starci a parte della vostra città, ma dandoci in balia della sorte e dei genj che ci guidino, ci fermeremo là dove .porta il destino. Ma se per colpa vostra noi siamo ridotti alla condizione in cui ci troviamo ; e percpè non confessate che voi li quali foste gli oltraggiatori, voi abbisognate anzi di perdono e di dimenticanza ? Come dite di accordarci voi questa ; quando avreste a dimandarcela ? Come così vi magnificate quasi voi calmiate lo sdegno verso di noi, quando dovreste cercare che noi verso di voi lo placassimo ? Cosi confondete la natura della verità, così la dignità dei diritti pervertite ! Che poi non siate voi gli offesi ma offensori; che voi beneficati tante volte e tanto dal popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate non bene contraccambiato ; uditelo, e convincetevene. Io non parlerò se non di cose che voi sapete, e se alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne prego, non che stiate a bada pazientando. Il nostro governo primitivo fu monarchico, e lo abbiamo conservato per sette generazioni. In tutti que’ principati il popolo non fu mai conculcato dai re, specialmente dagli ultimi. Anzi lascio di dire che derivò da quel dominio molti e segnalati vantaggi;. a8g impemcchè per obbligarlo a sestessi e console porgeva al popolo, noi non più memori verso di voi dei mali antichi, noi pieni di lusinghiere speranze per f avvenire, ci dedicammo tutti a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le guerre, tornammo con seguito folto di schiavi e di prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense giuste, o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo lungi ne siamo. Anzi ne avete tradito le promesse che imponevate al console di farci a nome del comune. E quest’ uomo bonissimo, del quale abusavate per deluderci, lo avete. questo privato del trionfo, quando degnissimo ne era più che tutti i mortali. Nò già per altra cagione così ancor lo spregiaste, se \ non perchè vi dimandava che adempiste le promesse, e perchè sdegnato mostravasi che ci beffaste. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo intorno al diritto, e finisco ) quando gli Equi, i 5abini, i Volsci insorsero di comun voto, e concitarono ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e gravi, a ricorrere a noi negletti e vili, colmandoci di promesse per iscamparvela ? e non volendo parer d’ ingannarci come altre volte, trovaste per coprir la impostura questo Mania Falerio, uomo amantissimo della plebe. E noi credendogli come a uomo dal quale non saremnw traditi perchè dittatore, ed amicissimo nostro f ci consociammo novamente a voi per questa guerra, e vincemmo i nemici con ‘ battaglie non poche, nè pieciole, nè ignobili Ridotta la guerra a bellissimo fine prima ancora delle sperante comuni, tanto foste alieni da renderne grazie, e ben copiose al popolo, else cercavate ritenerlo anche senza voglia, sotto le insegne e fra V armi, per trasandar le promesse, come trasandarle destinavate fin dal principio. E non tollerando il valentuomo la beffa, nè la infamia delV opera, e riportando in città le bandiere, e rilasciando tistti per le proprie case ; voi, presone motivo onde non far la giustizia, ingiuriaste lui, nè serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi gravissimi, perchè profanaste la maestà del Senato, annientaste il credito di un tal uomo, e rendeste inutile cC vostri benefattori il merito delle fatiche. Omj potendo noi dir queste e simili cose non poche, non abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni ed alle preghiere, nè accettare come i rei di gravissime colpe, il ritorno su la obblivion del passato. Sebbene, essendoci noi qui riuniti per concordare ; non dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose, ma vociamo trascurarle e dimenticarle, • e tenercele. Che non dite voi dunque palesemente a qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per chiederne ? Su quali speranze volete in città ricondurci ? Qual sorte abbiamo a prendere per guida del nostro ritorno ? Qual giubilo, quale benevolenza ci aspetta ? Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibizioni umane e benefiche, non onori, non magistrature, non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose qualunque, sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea già dùcisi ciocché siete per fare, ma ciò che fate, perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere vostre, vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire. Ma io penso che voi risponderete a ciò, che voi siete qui plenipotenziari, e che qualunque^ cosa ci persuaderemo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e ne sieguano conformi gli effetti ; niente vi contraddico. Bramo però sapere le cose che da loro ci si faranno dopo queste. Vale a dùe, quemdo avremo noi detto su quali condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci saran concedute ; chi ci sarà di esse mallevadore ? Su quale sicurezza deporremo le armi, e metteremo le nostre persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su quella forse dei decreti che si faran dal Senato, non essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedirà che annullino questi con altri decreti, quando così paja ad Appio e ad altri che pensan com’ egli ? Con^ teremo forse su la dignità dei deputati che ne porgono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo forse ne trattati fatti innanzi agV Iddj, e confermati da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede umana consimile, vedendola da quei che comandano vilipesa. E so, nè già ora per la prima volta, che i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi vuol dominare han vigore soltanto finché la necessità così porta. Or quale è queir amicizia e quella fede nella quale siamo costretti ad ossequiarci contro voglia, insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora incessanti i sospetti e le calunnie; allora le invidie e gli od] ed ogni maniera di mali: allora la gara di preoccuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio a mal termine. Non vi è, come tutti sanno, guerra più. trista della civile : questa i vinti fa miseri, ed ingiusti li vincitori : e li 'vinti han dagli amici i lor mali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dunque o Patrizi vogliate chiamar noi a pari circostanze, a pari bisogno non desiderabile ; e noi o plebei non ci rendiamo loro mai più: ma come la sorte ci ha divisi, così teniamoci in calma. Abbian pur essi tutta Roma, senza noi se la godano, e ne raccolgano soli ogni bene, essi che han ridotto fuor della patria noi miseri, noi disonorati plebei. E noi andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano, considerando che non la nostra ma t altrui città lasciamo. Niuno di noi qui lascia non campagne proprie, non abitazioni paterne, non sacerdozi, non ‘ magistrature comuni come in sua patria per t esercizio delle quali siavi ritenuto pur contro voglia ; anzi nemmeno lasciammo qui per noi la libertà, quella che ci avevamo colle arme e con tanti travagli acquistata. Imperocché parte i nemici, parte la miseria quotidiana, parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e consunto e tolto ogni cosa : tanto che noimiseri eravamo ridotti a coltivare le terre di questi zappando, piantando, arando, pasturando, divenuti conservi degli schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi portavamo catene alle mani, chi ne piedi, chi nella cervice finalmente, come fere intrattabili. E qui non ricordo le ferite, gli avvilimenti, le battiture, le fatiche da notte a notte , ed ogni altra sevizia, e non le ingiurie, e non C orgoglio che ne abbiam sostenuto. Liberati, la Dio mercè, da tanti e sì gran nudi, fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sappiamo, e prendiamo per. duci della fuga la sorte e gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando come patria nostra la libertà, e la virtù còme nostrà ricchezza. Ogni popolo nè, ammetterà, sì perchè non molesti, come perchè utili a chi ne riceve. E ci siano in ciò' di esenqtio molti Greci, Dal tempo prima dell’alba fiuo a aera. e molti barbari, e principalmente gli antenati tii quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con Enea dal£ Asia nelC Europa fondaronsi nel Lazio una patria : e poi spiccandosi da Alba sotto gli au spicj di Romolo che guidava la colonia, pigliarono sede ne' luoghi appunto abbandonati da noi. Abbiamo noi forze non già poco maggiori che essi, ma triplicate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli partivan da Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà dagli amici : e ben è più misera cosa essere espulsi dai domestici, che dagli estranei. Quei che a Romolo si ligaroho per compagni trascurarono la patria per cercare terre migliori : ma noi lasciamo un vivere senza città, un vivere senza case paterne quando rechiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa agl Idàj, non molesta agli uomini, nè gravosa a terra niuna ; non rei' del sangue e della strage de’ cittadini che ci han discacciati, non rei del ferro o del fuoco messo ai campi che abbandoniamo, nè di altro monumento qualunque fondatovi di eterna inimicizia; come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno i popoli traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testimonio i genj e gl' Iddj che guidano con giustizia le cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi la vendetta, abbiamo chiesto unicamente di riavere i nostri teneri figli, i (secchi Padri, che in città si rimasero, e le mogli in fine, se alcune pur vogliono dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere questo, non altro dimandiamo da Roma, E voi tanto impolitici f tanto insocievoli verso de' miseri, vivete felici, e come più desiderate. Appeaa Bruto ebbe ciò '' detto si tacque. Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai diritti, e quanto per accusare la superbia de’ senatori, principalmente quando dichiarò che la semplicità dei patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma quando infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì, e ciascuno ricordò li suoi mali ; niup v ebbe sì fermo di animo, che non si desse a piangere, e lamentare i danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori contenere le lagrime, pensando la calamità per la separazione de' citudini : e rimasero gran tempo tra 1’ afflizione, e tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali gli alti gemiti, e tornato il silenzio nell’ adunanza, procecedelte per farvi le difese Tito Largio autorevole sopra tutti i citudini per anni, e per dignità, come lui che due volte console, e già rivestito della ditutura, avea con esercitarla bene più che gli altri, renduu venerabile, e sanu una carica altronde odiata. £ datgsi a parlare sopra i diritti, e ulvolta incolpando gli usuraj perchè aveano operate cose durg, e disumàne ; talalira rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere che si rimettessero ad essi i debiti per forza anzi che per grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato piuttosto che con quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e picciola era la parte del. popolo, .ingiuriosa suo mal grado, e necessiuta a dimandate per la igopia gravissima la condonaeione dei debiti, ma più grande assai la parte la quale esigeva ciò perche viveasi scorretta, insolente, voluttuosa, e preparata a supplire co’ furti alle sue passioni, talché ' doveansi ben distinguere i poveri dai ribaldi, quelli che erano da compatire da quelli che erano da odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi consimili, veri si ma non grati generalmente; non soddisfece tutta la udienza. Dond’ è che sorsene strepito grande di voce, altri sdegnandosi. quasi rincrudisse loro gli affanni, ed altri confessando che dicea pur troppo il vero. Ma perciocché gli ultimi erano assai minori di numero, scomparivano tra la moltitudine degli altri, e prevaleano soprattutto i clamori degli adirati. À queste cose ne aggiugnea Largio poche altre su la partenza e precipitanza loro, quando ripigliando la parola Sicinio il capo del popolo ne riaccese assai più lo sdegno con dire : che ben poleano da un tal parlare, comprendere quali onori e quali ringraziamenti ne avrebbero, se tornassero nella patria. Se quelli che slansi nel colmo de’ pericoli, ed abbisognano del braccio del popolo, e per questo a lui vengono, non san trovare nemmen ora discorsi moderati ed umani; qual animo dee credersi che avranno quando siano .le cose riuscite loro secondo il disegno, e quando chi offendono ora colle parole, sia sottomesso loto ancora nelle opere ? Da quali insolenze mai si conterranno ? da qual; flagelli, o da quali tiranniche sevizie ? Se a voi dà il cuore, ei dicea, di servire tutta la vita incatenati, battuti, straziati col ferro, col fuoco, colla fame, con ogni guisa di maU; su, non perdete tempo, gettate le armi, seguitateli. Ma se V è pure in voi desiderio di libertà ; non pazientate ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali cortidizioni ci richiamate ; o partite daW adunanza ; perchè non lasceremo più che vi parliate. E qui tacendosi lui, tutti gli astanti ne strepitarono, acclamandolo, perchè area detto a proposito. Restituitasi quindi la calma Menenio 'Agrippa il quale areva interloquito in Senato sul popolo, e proposto e fatto principalmente che gli s’ inviasse un’ ambasceria plenipotenziaria, fe’ cenno di volere aneli’ egli discorrere. Riuscì la richiesta gratissima ; e parea come r augurio che udirebbe nsi allora Analmente condizioni giuste, e salutevoli ad ambe le parti. E subito esclamarono tutti a gran voce, che parlasse. Poi si chetarono, e si profondamente, quasi fessevi solitudine. Parve uu tal uomo, com’ era verisimile, assai persuasivo nei suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza: è' fama però che in ultimo proponesse una tal favola sul gusto delle Esopiane espressivissima delle circostanze, e che con questa principalmente li guadagnasse. Dond’ è che la favola fu creduta degna di ricordanza, e rapportasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu questa : Popolo, noi veniamo dal Senato a voi, non per difendere lui, nè per accusarne voi: nè già pormi che il tempo ciò chieda, nè che ciò sia prosperevole per la sorte della .repubbUca. Ma noi veniamo con tutto f ardore e V efficacia per 'levar le discordie, e rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^ rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto non pensiamo che,sian ora da esaminare i diritti > come fece con orazione lunghissima questo Giunio ; pensiamo piuttosto che debbansi con gli amorevoli modi ricongiunger gli spiriti. Qual fede sia poi per garantire le nostre convenzioni, ve lo esporremo, appunto come ne cibiamo deliberato. Considerando noi else le sedizioni si curario in ogni città col to gliere i semi delle discordie, abbiamo giudicato ne cessarlo di conoscere e spegnere le cause produttrici della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure de’ presuli sono la origine de’ mali presenti ; così le correggiamo. Decretiamo che quanti soggiacciono a debiti, nè possono estinguerli, ne siano del tutto assoluti. Decretiamo Uberi tutti, quanti son detenuti per aver differite le paghe oltre i tempi legittimi, e decretiamo liberi infine quanti furono in mano consegnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^ annullando noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai contralti precedenti tenuti come causa della sedizione: ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne ordinerà la legge che sarà costituita da voi, da tutto il popolo, dal Senato. Dite, non erano queste le cose che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi che sareste conienti, e che altro di più non bramereste, se le impetravate Oggi vi si concedono ; andate, tornatevi' gittiilando alla patria. I riti poiche convalideranno ed assicureranno questi trattati saran quelli appunto delle leggi, usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato approverà pur egli questi trattati ^ e darà loro forza di Digilized by Google 3o2 delle Antichità’ romane leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui noi come ne piace ; ed il Senato vi sarà sottomesso. E che questi si rimarranno indelebili ; che il Senato non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario, noi qui deputati, noi li primi ne facciam garanzia sul corpo, e vita, e stirpe nostra, e con noi pure ve ne fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto. Imperocché mai, ripugnandovi noi si decreterà cosa niuna contro del popolo ; giacché noi -siamo li primi del Senato, e noi li primi a dichiarare i nostri pareri’. ven farà da ultimo garanzia la fede comune atutti i Greci, e a tutti i Barbari, quella che niun tempo mai potrà cancellare, quella che con giuramenti, e libagióni rende i Numi vindici degli accordi, e su la quale chetaronsi tante, e non picciole nimicizie de’ privati, e tante guerre di repubblica con repubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia che vogliate permettere a noi, pochi si, ma capi del Senato, di giurarvi a nome di questo,^sia che vogliate che tutti i Padri sottoscrivano e giurino con rito santo di serbarvene i patti inviolati. E tu, o Bruto, non incolpare il pegno delle destre, non le libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né togliere tali espedienti bellissinii degli uomini: e voi non vogliate tollerare che costui ricordi le promesse tradite dai scellerati e dai tiranni, da quali tanto è lontana la virtà de’ Romani. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò) una cosa non ignorata i fiè controversa da rtiun dei/ mortali. Ma quale è mai questa? Essa importa >'t utit colmine,. e saU/a le parti f una colt altra : essa è r unica e sola che ci raccolse già tutti in un corpo, e che mai farà separarci. Abbisogna, nè mai cesserà di abbisognare la moltitudine imperita di sas>j che la dirigano ; come un complesso di savj idonei a dirigere abbisogna di chi lascisi governare. Nè ciò per immaginazioni sappiamo, ma per esperienza. Che dunque ci riduciàmo a tremare brigandoci gli uni con gli altri ; o che ci logoriamo in triste ^parole ; essendoci facilissimo tornare alt utile nostro ? Che dunque non ci espandiamo, ed abbracciamo, e voliamo (dia patria, aUe antiche delizie, agli oggetti di tanti dolcissimi e soavissimi nostri desiderj ? A che cercare impossibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^ come in guerra nemici fierissimi che in tutto sospettano il peggio ? A noi, o plebei, a noi membri del Senato, basta la sola vostra parola, clte non sarete se tornate iniqui con noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro buon allevamento, la istituzione legittima, e le altre virtù che avete in guerra ed in pace dimostrate. E se i contratti oggi ottengono a nome del comune una riforma, così dimandando la fedeltà, così la speranza, degli uni verso degli altri ; teniam certo ancora che siano per corrispondere in voi le altre buone doti : e niente da voi cerchi (uno ^i giuramenti, niente gli ostaggi, nè altro pegno qualunque di sicurezza ; nè però mai contrarieremo le vostre dimande. Ma ciò basti su la fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che se in voi resta aricora alcuna, invidia non degna, che vi àccita a pensar' pravanten^s del Senato •, io dùò pur. di questa : e voi attenti, in calma, ascoltatemi o plebei. 1 ' Somiglia ad un corpo umano una repubblica : perciocché l uno e t cdtra risultano da più parti ; nè ciascuna delle parti in essi ha forze eguali, né porge un uso medesimo. Adunque se le membra del corpo umano ricevessero tutte, come il senso, la voce, e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi tutte le altre ad una ad una contro del ventre, e, li piè si dolessero che il corpo intero poggiasu loro, le mani che solo esse traltan le arti, procacciano il necessario, combattono co’ nemici, e pongono molti t^ri beni in comune-, gli omeri perchè p'orVan essi ogni peso, la bocca perchè parla, la testa percitè vede, perchè ode, e perchè comprende tutti i sensi onde il complesso vive del corpo ; e se quindi dicessero, or tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale riconoscenza, qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lontano dal cooperare e dal compiere con nei alcun utile comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che è più intollerabile, ci necessiti a servirti, e portarti di ogn intorno quanto ti sazj negli appetiti tuoi. Orsù; chè non ci rendiamo noi liberi, nè cessiamo dalle cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse loro, se nhtna parte più fornisse le proprie funzioni-, or potrebbe il corpo a lungo 'sussisterne ? Anzi in pochi dì consumerebbesi dsdla fame, pessimo fra tutti i mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite pure altrettanto di una repubblica. Compiono questa molti generi di persone niente, infra li>r,sornigUanti'; e ciaicùno le porge un uso proprio di lui t come le nsembra lo porgono al corpo. Chi coltiva i campi f chi pe' campi combatte co' nemici : chi ne reca assai beni tr^Jicando pe' mari ; e chi travaglia in su le arti necessarie. Se ciascun genere di queste personeinsorga contro il Senato, che è l’ ordine degli ottimali, e dica ; qual cosa, o Senato, tu ci fai di bene ? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi, comandare sugii altri? Non ci terremo una volta da questa tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ? Se con tali pensieri si levasse ognuno dalle usate incombente ; cosa impedirà che una tale sconcia repubblica miseramenteperisca per la fame, per la guerra, per ogni male ? Istruiti dunque, o voi del popolo, che come ne' corpi nosU'i il ventre accusata a torto da molti, nudrito nudrisce, conservato conserva ; e quasi uim dispensa universale, porge ad ogmino il' suo bene, e la sussistenza in un tutto ; così nelle repubbliche il Senato che matteria il comune e provvede a ciascuno V utile suo, tutto salva e custodisce e dUrige ; cessate di lanciar contro lui voci ccUunniose, quasi per lui siate fuori della patria, e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non volle mai questo, nè farawelo : anzi vi chiama, evi supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porte, e raccoglievi. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano ad ora ad ora voci varie e molte da^i astanti. Ma pai> chè sul fine del suo ragionatiteoto si diede a comma veri!, e 'deplorare le disgrazie e la sorte immiucnle su DlOUtai, lomo II. a di ambedue, su quelli rimasi in città e su gli altri che ne erano usciti ; si misero tutti a piangere, ed unanimi ad una voce gridarono che li riconducesse alla patria, né più s’ indugiasse. E poco mancò che partissero tutti a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati senea brigarsi più oltre della sicurezza. Se non che Bruto facendosi innanzi ritardò l’ impeto loro, dicendo : che erano pur buone per quei del popolo le promesse del Senato, e chiedendo che grazie appieno gli si rendessero per le cose a loro concedute. Aggiungeva ancora di temere per l’ avvenire che uomini una volta oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricordare, e punire le cose operate dal popolo. Jtimanervi una sicurezza sola per quelli che temono questo dagli Ottimati, cioè quella di rendere indubitato che, se vogliono, non posson piii offenderli. Finché sta in essi il poter danneggiare, non mancheran de malvagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga tal sicurezza ^ -non altro resteragli da chiedere. Ripigliando Menenio, ed invitandolo a dire qual sicurezza pensava che al popolo bisognasse, concedeteci, disse, che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro alcuni magistrati i quali non siano ad altro autorizzati che a proteggere gli oltraggiati, e gli oppressi nel popolo, nè lascino che alcimo sia defraudato de' suoi diritti. Alle^ cose accordateci aggiungete in grazia ancor questa, ve ne preghiamo, ve ne supplichiamo, se la pace esser dee non in parole, ma in fatti.. 11 popolo udendo un tal dire lo accompagnò con grandi e lunghe acclamazioni, raccomaiidau dosi ai deputati che gli concedessero anche questo. I deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo alquanto in fra loro, vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi tutti, Menenio fattosi iunanzi disse : La dimanda è grande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi viene timore ed ansietà che non abbinasi a fare due città di una sola. Quanto è da noi, nemmeno in ciò vi ci opporremo, or voi compiaceteci (tende anche (Questo al ben vostro ) date a tre deputati che tornino in Aonuif e narrino al. Senato la richiesta. Non ci arr roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da esso U potere di concordare come ne piace, arbitri in tutto di prafnettere.. Siccome il caso che ci occorre è inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai Padri, quasi in esso V autorità ci si limiti. Ci persuadiamo, pelò ‘ che essi ne sentiran come noi. Frattanto io qui resto >, e con me parte dei deputati. Valerio e gli altri onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ informare il Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma. Proponendo i consoli in Senato la richiesta; Valerio opinò che si concedesse. Appio, nimico Gn da principio di ogni, accordo, contraddisse anche allora chiarissimameute, esclamando e rilevando, chiamatine in testimonio i Numi, i germi dei mali che impiantavano alla repubblica. Non però convinse la pluralità, desiderosa, come ho detto, di .spegnere la discordia. Adunque il Senato autorizzò con suo decreto lè promesse dei deputati ai popolo, come pure che gii accordassero la sicurezza che dimandava. Fatto ciò tornando il giorno ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH Ieri del Senato. Quindi esortando ' MenenioU'^poii^lD d’inviare alquanti a’ quali il Senato desse la Sull' ftdé ; fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale abbiÀtt'i^no di sopra, e Marco Decio, e Spurio Icilio con esso. Andò metà dei deputati compagna di Bruto in Roma. Agrippa, pregatone, si rimase nel campo, per istender la legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi magistrati. 'Nel di seguente Bruto rìlortiò già fatti i patti col Senato per mezzo de’ Feciali, che cfaia> mano. Divisosi allora il popolo in Fratrie, come ah tri qui nominerebbe quelle che essi dipono Curie, dichiarò suoi, magistrati dell’ anno Lucùr Gìnnio Bruto, Cajo Sicinio Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e con essi ancora Ca}o e Publio Licinio ì e Cap Icilio Ruga. Assunsero questi cinquei primi' la^ potestà tribunizia, quattro giorni avanti le idi di ’decembre {%), CO 7 me pur nel mio tempo si pratica. Firttterle ’eiéEÌoni'parve a’ deputati del Senato, adempito l’ intento della loro missione. Ma Bruto, convocata l’ adunanza ' del popolò, consigliò che dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo Lìtio, Dionigi, ed altri storirn antichi non ben si accordano sn la nomina di questi magistrati. Livio dice che i due i primi nominati furono Cajo Licinio, e L. Alhiud. e che questi poi si scefaero tre colleglli tra quali fiv Sicinio V autore delia seditìone. -Ma^ Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio Bru^o, e C. Sicinio Bellirto : a quindi C. e Fuhiio Liciuro, e C. Icilio Ruga. (3) Anni di Roma 361 secondo Catene, s63 aeeondo Varrona, a 491 avanti Cristo.. 3o9 labili slabilenilone la sicurezza colle leggi e co’giiiramenti. Piacque ciò a tutti, e si fece su lui e su collcghi la legge : che niuno forzaste un tribuno ) come un altro qualunque a far mai cantra sua voglia ; ni lo battette, ni lo uccidesse, né ordinasse ad altri di balte rio, o di ucciderlo. Che te alcuno a dà contravvenga anche in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a Cerere -i beni : e chiunque lo uccide, abbiasi coma puro dalla strage. E perchè non si potesse mai più far cessare questa legge, ma restasse immobile iu ogni ar venire ^ si stabili che ì Romani giurassero tutti co’ riti santi dì osservarla ' essi, ed i posteri loro perpetuamente.E si aggiunse ai giuramenti la preghiera, che gli Dei superni, ed inferni fossero propizj a' chiunque favoriva la legge, ma contrarj a quanti la violavano, come cootaminati di delitto gravissimo. Da indi sorse ne’ Romani il-cosWme che persevera pur ne’ miei giorni, di riguai^ dare le persone de’ tribuni come sacrosante. XC. Concordato dò, fecero un aitare su le dme della montagna ovo s’^erano accampati, e lo denomina rono nell’ idioma, loro, l’altare di Giove la cito su la fiducia di respingere i nemici che si avan zavano ; ma costretti bruttamente a fuggire^ prima di dare alcuna nobile prova, nemmen fecero punto di ger nevoso combattendo poi su le mura. Adunque i Ro> mani in un sol gioruo s’ impadronirono sehzà tere dei lor territorio, e, ne presero a forza la citti, nè con molto travaglio. Il comandante Romano concedè '. .. 'V (t) Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo proprio d’ RoroasK' che le miline si approp lasserò le robe invase; e presi diala la città, ne andò col resto deli’ esercito contro l'altra città de’ Volsci, chiamata Polusca, non molto lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli incontro, percorse facilissimamente U campagna, e ne investi le maia. E datisi i soldati, chi a spezzare le porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca anch’essa fu presa nel giorno medesimo. Il console scel-, tivi alcuni pochi, autori della ribellione, li fe’ morire : e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle arme; gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. Lasciato anche in guardia di Digitized by Google 3aa Delle antichità’ romane ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta, in-' tanto che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei contorni del golfo Jonio, cacciati poscia di là dai Galli, e gli Umbri con essi, e li Dauuj, ed altri barbari in copia tentarono distruggere Cuma, Greca città tra gli Opici fondata dagli Eretrj e da’ Calcidesi , senz’ altra vera cagione, se non che ne odiavano la prosperità. Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta r Italia per la ricchezza, per la potenza, e per molti altri beni, avea le terre le più fruttuose della Campania, con porti utilissimi presso al Miseno. Invidiandone i barbari il si gran bene, le mossero incontro con diciotto mila cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e non meno. Accampatisi questi non lungi dalla città surse un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi che scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno nominavasi 1’ uno, e l' altro il Ciani (3) ) lasciando lo Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’ Eukea o Ne^o ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano dus altre Eretrie. Vedi tom. i, la not. al S 4^ parla della prima. (a) Par troppo torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei numeri. (3) Vi sono altri lìami di pari nome. Questo à quello additato da Virgilio 1. a, Georg., Vicina Veitvo Ora jugo,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis. Antonio Boudrand: (vedi novum Lexicon Geographic.) chiama questo fiume Agno ; e dice che passa presso di Acerra, di Aversa e Mintomo. Forse il Ciani h quello stesso fiume che ora chiamasi JPatria nelle catte geografiche scendere lor natarale si ripiegarono, rifluendo gran tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la meraviglia, fecero core i Cnmani di piombare su’ barbari, come se i Numi fossero per deprimere l’altezza di quelli, e per sublimare loro che depressi ornai ne pareano. Pertanto dividendo in tre corpi la gente militare, con uno guaiw darono la città, con altro le navi, e coi terzo, :hieratoio avanti le mura, aspettarono l’ inimico che inoU travasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e quattro mila cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero fronte a tante migliaja I IV. Ck>me i barbari seppero che eransi appareo:hiati per combattere, dato un grido, coisero in barbara for> ma, disordinati e misti, cavalli e fanfl, appunto per annientarli tutti in un colpo. Il luogo, dove innanzi la città si affrontarono, era una valle angusta, rinchiusa da lagune, e da’ monti, propizia al valor de’ Cumani, ma nemica alla fdUa de’ barbari. Dond’ è che, travolgendosi e calcandosi questi, gli uni gli altri in più luoghi, e principalmente su pel fango intorno la palude, si distrussero in gran parte fra loro, senza pur venire aUe mani colia Greca milizia di Cuma : e quell’ esercito appiedi si numeroso, e disfatto, e sbaragliato da sestesso, fini qua e là fuggitivo, senz’ avere operato nulla di generoso. Li cavalieri però si avventarono, e molto travagliarono i Greci : ma non potendo circondar l’ inimico per r angustia del loco, e temendo i destini che combatteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini, si diedero anch’ essi alla fuga. In questa battaglia i cavalieri Cumani militarono tutti luminosamente, riconoDigiiized by Google 3a4 delle Antichità’ bomane sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so' pra tutti Aristodemo cTiiamato Màlaco ; imperocché solo opponendosi, uccise il capitano nemico, e molti valorosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di ringraziamento ai numi, e davasi magnifica sepoltura agli estinti in battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si dovesse la corona, come al più forte ; assai se ne disputò. Li giudici più ingenui, e con essi anche il popolo, voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i più potenti, e con loro tutto il Senato, ad Ippo'medonte, duce de’ cavalieri. Di que’ tempi era in Guma il governo degli ottimati, nè molto il popolo vi potea : ma natavi sedizione appunto per tal controversia, i seniori temendo che tanta ambizione finisse colle armi e colle stragi, persuasero ambedue li partiti di dar "pari onore all' uno e all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora divenne Aristodemo Malaco il protettore del popolo : e poiché ‘si avea procacciato una persuasiva nei discorsi di Stato, commovea con questa la moltitudine, allettando lei con stabilimenti gradevoli, beneficando coll’aver suo molti ' de' poveri, e rimproverando i potenti che si appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che ne divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile., V. Venti anni dopo la battaglia co’ barbari vennero ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al Cumani per supplicare che li soccorressero nella guerra contro i Tirreni. Imperocché Porsena re di questi dopo la pace con Roma dando metà dell’ esercito, come esposi ne’libri antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato, voglioso che n’era, ad acquistarsi un dominio : e costui di quel tempo appunto assediava gli Arieini rifugiatisi tra le ;nura, sulla idea di prenderne tra non molto la città colla fame. A tale ambasceria li primi degli ottimati odiando Aristodemo e temendo che non causasse alcun male al governo ; concepirono di avere il buon punto di levarsel d’ intorno con delicate maniere.v Persuadendo il popolo a spedire due mila per soccorso degli Aricini, e nominandone capitano Aristodemo come il più insigne nelle armi, fecero poi tal maneggio, nde iusingarsi che colui perirebbe o per le battaglie co’ nemici, o per le fortune di mare. Imperocché resi dal Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare di rinforzo, non v’ inchiusero alcuno de’ più famosi e più riguardevoli ; ma reclutando i più poveri e più scellerati .da’ quali aveano sospettato sempre delle sommosse, ordinarono con questi l’ armata, e riducendo in mare dieci navi antiche, pessime a correr le acque, e dandone il comando a Cumani poverissimi, ve la soprapposero, con minacciare di morte chiunque ne disertasse. VI. Aristodemo, dicendo unicamente che non ignorava le mire degli avversar) che in apparenza Io mandavano per soccorrere, ma in realtà per farlo soccombere ; assunse il comando dell’ esercito. E facendo ben tosto vela co’ deputati Aricini, e superando a stento e con pericolo il tratto interposte, di mare, approdò sui lidi più prossimi dell’ Aricia. E lasciata guarnigione sufBciente alle navi, e fatto nella prima notte il cammino il quale vi restava, che certo non era lungo, si presentò su 1’ alba inaspettato agli Aricini. Accampatosi presso di loro, e persuasi gli assediati di uscire all’ aperto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi ed attaccatisi, gli Aricini resisterono piòciolo' teinpo, e piegarono e rifuggironsi in folla tra le mura. Aristodemo però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno, so~ Bienne tutto il forte della battaglia, ed uccisone di sua Diano il duce, mise in fuga i Tirreni, riportandone una vittoria nobilissima. Ciò fatto, e magnificato dagli Aricini con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma peressere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a lui molte barche Aricine colle spoglie e coi schiavi presi ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e messe a proda le navi, concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi della città, e molto encomiando quelli che si erano segnalati nella battaglia, e dispensando argento e parteci pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che di tali beneficenze si ricordassero, quando sbarcherebbero nella patria, e lo fiancheggiassero se mai gli ottimati gli creavan pericolo. Confessandosi tutti obbligatissimi per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta, come perchè tornavano colle mani non vuote in famiglia ; e protestando che darebbero a' nemici anzi sestessi che lui ; Aristodemo, rirtgrazionneli, e sciolse 1’ adunanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma liziosi e prodi, e guadagnandoli tutti co' doni, co' bei discorsi, e colle spc>anze lusinghiere, li fé pronti a mutare il governo che vi era. VII. Presi questi per ministri e per combattitori, istruitili parte a parte su ciò che avessero a fare, e messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi ancor essi, viaggiò piò oltre colle navi coronate 6no ai porti di Cuma. I padri e le madri de’militari, tutto il parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili ad incontrare mentre scendevano a terra, lagrimavano, gli abbracciavano,. li baciavano, li chiamavano con tenerissimi nomi. Tutto il resto della moltitudine urbana ricevette fra tripudj ed acclamazioni il capitano, accompagnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi della cittò, quelli principalmente che gli aveano affidato 1’ armata e ne aveano con altri modi tramato la rovina, facean tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati decorrere alquanti giorni onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^ e ricevute intanto le sue navi da carico rimaste indietro, alfine venutone il tempo, disse voler esporre in Senato le cose operate nella guerra e mostrargli le prede riportatene. Riunitisi in numero i primarj, ed i magistrati nel Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare tutte le cose operate nella battaglia : quando gli uomini apparecchiati da lui per 1 impresa, accorsi in folla nel Senato co' pugnali sotto gli ‘ abiti, vi uccisero tutti gli ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre, chi alle proprie case, chi fuori delia città, quanti erano al Foro, eccetto i complici del disegno, i qnali avevano occupato la fortezza, il porto, ed ogni luogo monito delia città. Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri, destinati alla morte, ed armandoli con altri suoi amici, tra quali (t) In segno della -riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai coronavano ancora LI FASCI erano gli Schiavi Tirreni, ne fece un corpo di guardia per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo a parlamento, ed accusativi a lungo gli uccisi, disse che erano stati meritamente % puniti ; avendo per tante volte insidiata a lui la vita : ma che, quanto agli altri .cittadini, egli darebbe loro la libertà, la eguaglianza .dei diritti, ed altri beni copiosi Vili. Ciò dicendo, ed elevando tutto il popolo a speranze meravigliose, stabili due regolamenti, pessimi tra tutti i regolamenti ^ ed iniziativi di ogni tirannide, io dico la nuova division delle terre e la remissione dei debiti. Figli promettea provvedere su l’una e l’altra cosa, purché fosse eletto comandante assoluto, finché il comune fosse in salvo, e v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere ud) la plebe e tutti i peggiori che avrebbonsi a ghermire i beni degli altri: ed egli, avutone un potere indipendente, aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo ancor essi, alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché fingendo temere torbidi e sedizioni de’ nobili contro dei .plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni nuove de’ terreni, disse che a precludere una guerra ed un eccidio civile, trovava un solo rimedio, cioè che, tutti prima di ridursi a tal male, recassero dalle loro case le arme, e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano, e non contro sestessi: pertanto esser bonissima cosa che stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di tanto i Cu> mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti, e negli altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno, \iccldendovi molti buoni, sul pretesto che non avessero portate ai Numi tutte le armi. Dopo ciò fortificò la tirannide sua con tre generi di guardie : il primo fu di que’ vilissimi e reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ autorità degli ottimati : il secondo fu de’ servi indegnissimi renduti liberi da esso perchè aveano trucidati i loro pa> droni : ed il terzo furono i militari assoldati da’ barbari più inumani. Erano questi nommen di due mila, e validissimi più che gli altri nelle arme. Tolse le immagini degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi in vece loro le sue. Le case, i campi, ogni avere di questi lo donò tutto ai complici suoi nel preparargli la corona, riservando per sè l’ oro e 1’ argento, e quanto altro è base della tirannide. Ma li doni più numerosi e più grandi li profuse tra gli assassini dei loro padroni ; i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie de’ padroni medesimi. Quantunque però niente avesse in principio curata la stirpe virile degli uccisi, alfine si accinse a sterminarla tutta in un giorno, sia che per un qualche oracolo, sia che per computi verisimili concludesse che perpetuava con questa a sestesso uno spavento non piccolo. Ma perciocché vivamente nel distoglievano quelli presso a’, quali dimoravano i figli e le madri, egli vo-lando concedere loro un tal dono, gli assolvè, sebbene contro sua voglia, dalla morte. Per cautelarsi però da loro sicché congiurandosi non .insorgessero contro il suo regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi verso r uno e chi verso l’ altro luogo : e vivessero per le I Saidliti del tiraoDu alli quali egli stesso le area mariiate campagne senza istruzione e coltura, propria di liberi giovinetti, con pascer le greggi o con altri campestri esercizi, minacciando di morte chiunque di loro in città fosse preso. Cosi quelli, abbandonati I patri > sosteneansi come schiavi per le campagne, servendo agli uccisori medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi& ci avesse di virile o di generoso prese ad effeminare colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana, togliendole I ginnasi e gli esercizi militai, e variandone le maniere già consuete del vivere. Volle che I giovani come le donzelle nudrisser la chioma, e bionda la riducessero e ricciasserla, e ricciata di reti lievi la cii^ condassero ; e portassero toghe talari e ricamate, e clamidi sottili e molli, vivendosi all’ ombra. Donne, educatrici loro, li accompagnavano, recando parasoli e ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti musiche dissolutezze: ed esse li lavavano, esse portavano ai bagni i pettini, e gli alabastri con gli unguenti, e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli uomini. Ma egli che avea cosi vituperato e danneggiato i Cumani, egli che non avea risparmiato loro nè impudenze, nè sevizie, egli alfine già vecchio, quando si credea sicuro nella tirannide, Sterminato con tutti, i suoi, ne pagò le giustissime pene ai Numi ed agli uomini. X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla tirannia di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli che egli avea risoluto in principio di trucidare tutti in nn giorno, ma che poi risparmiò, come ho detto, vinto dalle istanze de’ satelliti suoi, maritati da lui colle madri loro, comandando che abitassero per le campagne. Pochi anni appresso viaggiando egli pel contado e vedendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n congiurassero ed assalisserlo : e macchinò di prevenirli ed ucciderli tutti prima che niuno se ne avvedesse. Adunque consultandosene • cogli amici, deliberava con essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde spegnerli. Sepperlo que’ giovinetti per indizio forse di alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi da con getture probabili, fuggironsi ai monti, dando di piglio ai fèrri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto loro i fuorusciti Cumani rifugiati in Capua, tra’ quali erano i più cospicui, e seguiti in gran parte dagli ospiti loro Campani, i figli d’ Ippomedonte, di quello che nella guerra Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi armati recavano a’ compagni le armi con una truppa non picciola di amici e di mercenarj della Campania. Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi nemici, ritoglievano gli schiavi dai padroni, ed ogni altro qualunque dalle carceri, e gli armavano, e quanto, non poteano trasportare o menar seco lo davano alle fiamme, o alla mòrte. Ansio dubitava il tiranno come avesse a combatterli, perchè nè sapeasi quando impren derebbero, nè teneansi fermi sempre in luoghi medesimi, ma regolavano le loro incursioni o colla notte fino all’ aurora, o col giorno fino alla notte. Avendo più volte spedito milizie ma' indarno a guardia delle cani pagne, a lui ne venne un tale degli esuli malconcio di battiture, spedito ad arte da essi quasi un disertore. Costui chiedendo la impunità promise al tiranno di guidare 1’ armata che manderebbe con lui, nel luogo appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. Indotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun premio, e porgea sestesso in ostaggio, spedi li suoi duci più fidi, seguiti da molli cavalieri e da’ mercenari, con ordine di conduire a lui, legati almeno, i più, se non tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò posto menò tutta la notte 1’ armata a disagi gravissimi per vie non trite e per boschi, in parti le più lontane dalla città. Come i ribelli e l profughi posti per le insidie intorno all’ Averno, monte vicino alla città, conobbero pe’segnali dati dagli esploratori che l’armata del tiranno era uscita, mandarono circa sessanta i più arditi di loro che cinti da irte pelli portavano fi)sci di sarmehti. Or questi nell’ ora, quando accendonsi i lumi, chi per l’ una e chi per 1’ altra parte entrarono, quasi opera), la città senza essere conosciuti; ed entrali cavarono da’ sarmenti le spade che vi occultavano, e si raccolsero tulli ad un luogo. Donde marciando in schiera alle porte che menano all’Averuo, ne uccisero i custodi che dormivano, e spalancatele, v’ introdussero tutti i loro che v’ eran già prossimi, nè per tanto il fatto ^ ravvisa vasi ancora. Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa, ond’ è che tutti oziavano per tutto in città tra le bevande ed altri diletti. Or ciò diè loro gran sicurezza di trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del tiranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti, nè .vigilanti, ve gli uccisero senza stento, oppressi dal sonno o dai vino : ed internatisi in folla trucidarono nell’ abitazione, quasi una greggia, tutti gli altri, ornai pei vino non più arbitri de’ corpi nè degli animi loro. Or qni preso Aristodemo, i figli, e tutti i parenti, e battutili gran parte della notte, e torturatili, e devastatili con ogni male, gli uccisero finalmente. Cosi sterminando dalle radici quella stirpe di tiranni fino a non lasciarvi non fanciulli, non donne, non consanguineo ninno ; e rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la tirannide ; andarono, nato il giorno, nel F oro, e con Tocatovi il popolo, e depostevi le arme, renderono la patria a scstessa. Or questo Aristodemo nel quartodecimo anno della sua tirannide in Cuma, questo vulcano gii esuli compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la patria. Ripugnarono alcun tempo i deputati de’ Romani, come quelli cbe nè erano a tal fine venuti, nè avevano dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non profittando però niente, anzi vedendo quel despota propendere in contrario per le brighe, e per le istanze degli esuli ; chiesero un tempo per le difese, e depositarono una somma per garanzia di eseguirle essi stessi. Ma poi nel correre di questo tempo, quando niuno più vegliava su loro, fuggirono, ritenendosi il tiranno gli schiavi, li giumenti, e li danari che aveano portalo per comperare de’ viveri. Tali furono gl’ incontri di queste legazioni, e così riuscì loro di tornarsene in patria sebbene senza l’ intento. Ma la legazione spedita neU’Etruria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche fluviali a Roma, e Roma ne fu nudrita sebbene per poco ; fiocbè consumatili, ricadde ne’ disagi medesimi. Non erari genere di alimenti a cui non si rivolgesse. Dond’è che non pochi tra la scarsezza, e la inconve' nienza de’ cibi non soliti, s’ avean male nella persona, o diventavano a tutto impotenti, non soccorsi nella pcvvertà. Come ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ istigarono con vicendevoli occulti messaggi a riprender le armi, quasi fosse impossibile che i Eomaui resistessero bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz) che vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ nemici, ne dimostrarono allora più chiaramente la protezione. Di repente si mise tra^Volsci una tal pestilenza, quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre, disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortuna, di ogni temperamento, validi o invalidi. Mostrò soprattutto gli eccessi del, male Yelletri, città insigne, de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste appena ne rispailniò la decima parte, investendovi e consumandovene le altre. Ond’ è che i superstiti a tanto infortunio, mandati ambasciadori, e dichiarata a' Romani la loro solitudine, sottomisero fa città. E siccome aveano prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di presente ancor altri. XIII. Impietoùrono, sapendoli, ai loro mali i Romani ; nè pensarono che si avessero a premere come nemici fra tanta sciagura, dacché pagavano agl’ Iddj le pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro, di riammetter Yelletri, e spedirvi numero non picciolo di coloni presagendone sommi vantaggi. Parea che il posto, se presidiavasi acconciamente, sarebbe ostacolo grande e ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo altrove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una colonia la sedizione che vi si riproduceva, non essendovi ancora sopita in tutto la prima. Imperocché il popolo discordava un altra volta come per addietro, e ne odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi co' quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di essi perchè non aveano a tempo preveduta nè riparata la penuria futura, dicendo alcuni perfino che ad arte aveano procurato la caresua per astio e desiderio di affliggerne il popolo in memoria della ribellione. Per tali riguardi sollecitissima fu la spedizione della colonia, de slinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, perchè sarebbe cosi levato dalla fame, e perchè viverebbe in terra felice : ma poiché rifletté che la peste ge aeratasi nella città che gli avrebbe a ricevere aveva distrutto i suoi cittadini, e temè che in tal modo ancora maltratterebbe i coloni, variò poco a poco di sentimento. Tantoché non molò, anzi meno assai che il Senato ne permetteva, esibironsi per la colonia : e questi bentosto ne furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di uscire. Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti altri non più si acconciavano ad andare. Ma dertretato avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal complesso di tutti i Romani secondo le sorti, e stabilendo dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per tale necessità condotto il numero conveniente in iVelle tri. Noo raoUi giorni appresso un’ altra colonia fu tra> sferita in Norba, città non ignobile dei Latini -. XrV. Non però segui da ciò ninna delle cose con~ gbietturate da’ patrizj secondo la speranza di spegnerele discordie. Imperocché la plebe rimasta intrisi più ancora, vociferando con assai clamore contro de’ padri nelle adunanze prima di pochi, indi di molti, per la fame divenuta gravissima; e concorrendo al Foro volgeasi lamentosa ai tribuni suoi perchè 1’ aiutassero. Or tenendo questi adunanza, fattosi innanzi Spurio Icilio allora capo di essi perorò lungamente contro de’ padri aumentandone quanto potè la malvolenza. Egli istigò pur altri a dire pubblicamente ciocché sentivano, e principalmente Siccinio e Bruto allora edili, invitandoveli a nome, appunto come capi già del popolo nella prima sedizione, ed inventori, anzi magistrati la prima volta della podestà tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi, udendoli il popolo vogliosissimamente, malignissime cose già da molto tempo premeditate, come se la carestia fosse procurata per malizia de’ ricchi, perchè il popoloavea loro malgrado, ricuperata colla sedizione la libertà. Dissero che i ricchi non aveano pur la miaima parte del disagio dei poveri : molta essere la loro non curanza de’ mali, perchè aveano cibi occulti e danari onde comperarli se introducevansi, laddove i plebei mancavano di ognuna di queste due cose: protestarono che mandare i coloni a’ luoghi contagiosi, era un avviarli a rovina visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana A tempo di Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa sei miglia lontana da Segni ameasogiomo. con parole il male. Chiedeano qual sarebbe il fine a tante sciagure, e richiamavano loro in memoria gli an> tichi Hagelli, ond’ erano stati malmenati da’ ricchi ; ag> giungendo ancora iinpuuissimamenie cose consimili. Da ultimo Bruto la Gni minacciando, dicendo cioè, che se secondavano, egli necessiterebbe quanto prima a spegner r incendio quelli stessi che eccitato Taveano. E così r adunanza fu sciolta. XV. Intimoriti i consoli su tali innovazioni, e solleciti che le adulazioni di Bruto verso del popolo iiou terminassero in grandi sciagure, intimarono nel prossimo giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj da essi, come dagli altri seniori. Pensavano alcuni che si dovesse blaudire i plebei con ogni dolcezza di parole e promessa di opere, e renderne i capi più moderali con esporre lo stato delle cose, e convocarli e consultare insieme il bene comune : io opposito altri consigliavano che non cedessero, uè si abbassassero verso del popolo : essere la moltitudine, imperita, e caparbia : insolente, incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano : facessero piuttosto costare che non ci avea ne’ patrizj colpa ninna, c promettessero ovviare, quanto potè vasi, al male. Redarguissero e miuacciassero di pene condegne i sommovitori dei [K>polo, se nou si chetavano. .\ppio era il primo in tal sentimento, e prevalse in mezzo alle grandi opposizioni de’ padri. Tanto che il popolo turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse alla curia, e tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo ciò li consoli usciti adunarono il popolo, restandovi breve DlOXlGi t Zumo 21.parte del giorno, e tentarono di esporgli i voleri del Senato. Contraddissero i tribuni, nè già fu vicendevole nè ordinato il colloquio. Gridavano, interrompevansi ; tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro pensieri, e ciò che volessero. Diceano i consoli cb’essi come di autorità premineute doveano comandare in tutto alla città ; laddove i tribuni replicavano che i consoli avean dritto in Senato, ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sentenziare da’ voti del popolo. Prendea parte, vociferava per essi la moltitudine, pronta ad assalire se bisognava, chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano, e davan animo ai consoli, circondandoli. Vivissima era la contesa per non cedere gli uni agli altri ; quasi allora appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Già il sole era per tramontare, e tuttavia concorrea dalle case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li troncava, forse i dissidj finivano a colpi, ancora di pietre. Bruto perchè ciò non seguisse, fecesi innanzi, e chiese ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto. Concederono questi che parlasse, parendo loro che si deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ciò chiedeva da essi, presenti i trihuui. Fatto silenzio, Bruto senza dir altro interrogò li consoli di tal modo: Ki ricordale voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per^ diritto che quando i tribuni adunassero sotto qualunque fine il popolo, i patrizj nè intervenissero all’ adunanza, nè la turbassero ? Ce ne ricordiamo, disse Geganio. E Bruto ripigliò : qual male aveste voi dunqué da noi che c impedite, nè permettete che i tribuni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: perchè non voi, ma noi consoli avevamo chiamato il popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo da voi, non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brigheremmo in ciò che si tratta : ora essendo da noi convocalo, non v' impediamo che Jdvelliale ; ma che noi ne siamo impediti, ciò non è giusto. Allora Bruto, abbiamo vinto, disse, o popolo: concedesi a noi dagli awersarj q> anlo chiedes’amo : ora desistete, chetatevi, ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza V abbiale. E voi tribuni cedete ad essi di presente nel Foro : non sempre già qui cederete qiumdo abbiate compreso ( e presto lo comprenderete, io prometto chiarirvene ) il potere del vostro magislialo. Abbasserete cotanta loro preminenza : e se troverete che io V abbia deluso, fate ciocché vi piace di me. XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti dall’ adunanza : non però gli uni e gli altri con pari divisaniento. Credeano i poveri che avesse Bruto ideato qualche nobile impresa, e che non indarno la promet' lesse : ma i patrizj trascuravano la leggerezza di lui, pensando che T audacia delle promesse non andasse più in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo, se non facevasi ad esso ragione. Non però la cosa parca spregevole a tutti, specialmente ai seniori, ma che dovesse attendersi che la manìa di un tal uomo non generasse mali insanabili. Bruto la notte appresso svelato il parer suo fra i tribuni, e raccolta una massa non tenue di popolo, ne andò di conserva nel Foro : e prima clie si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano donde eglino soleano concionare, invitarono il popolo a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale mai più V era stato, presentasi Icilio il tribuno, e parlavi luughissimamente contro de’padri. Egli commemora quanto han latto in danno del popolo, e come nel giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare contro i poteri ancora della sua dignità. E qui disse : e di che altro tarem più padroni se noi siam di parlare ? Come potremo soccorrere voi se ojffesi, quando ci si toglie la libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj delle operazioni : nè ignorasi che quelli che non possono dir ciocché pensano, nemmen possono far ciocché vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potestà che ci deste, se non volete mantenercela inviolabile; o proibite con legge che alcuno più ci si opponga. A tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la legge : e siccome teneala già scritta, la lesse. £, dispensati i voti, fe’ che il popolo immantinente ne decidesse ; parendogli non esser questo un affare da esitarne, o differirlo, perchè non avesse altri inciampi dai consoli. La legge era questa : Concionando un tribuno al popolo, niuno aringhi in contrario, nè interrompalo : e se alcwio contravvenga, dia mallevadori ai tribuni di pagare, chiamatone in giudizio, la multa che gl imporranno : e non dandoli, egli sia punito di morte, li beni di lui sien sacri, e tutte le controversie su tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi voli la legge dimisero 1’ adunanza : ed il popolo si ritì rò, tatto di bu on anirno, e pieno di riconoscenza per Bruto, come per 1’ autore della legge. Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli molto, e su molte cose : nè il popolo ratificava i decreti del Senato, nè il Senato approvava decisione niuna della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti. Non però r odio loro, come avviene in simili turbolenze, procedette a danni irreparabili. Imperoccbè nè i poveri investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano che troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su palesi merci per involarle : ma pazienti comperavano a gran costo il poco, e sostcneansi di radici e di erbe se penuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti, (eh’ era pur molta) la classe indigente, esiliandone o trucidandone ; ma conduceansi come padri savissimi inverso de’ figli, con cuore sempre benevolo e premuroso tra le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma, le città vicine invitavano qual più volealo de’ Romani tt traslatarsi nel seno di esse, allettandoli con dar loro la cittadinanza, ed altre propizie speranze : ma le une invitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei mali altrui, le altre (ed eran le più !) per invidia della prosperità passata della repubblica. E furono ben molli quei che partirono con tutte le famiglie, e posero altrove il soggiorno : ma taluni di questi, riordinato lo stato, ripatrìarono, e tal’ altri mai più. Or ciò vedendo i consoli parve loro, per voler del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, e porre in campo un esercito. Prendeano occasione speciosa a tanto dall’ essere la campagna tante volte danneggiata dalle scorrerie, e saccheggi de’ nemici ; calcolando ancora i beni che nascerebbero dall’ inviare un esercito di là da’ confìni : mentre quei che restavano avrebbero, come diminuiti, le vettovaglie in più copia: e gli altri colle arme vivrebbero io siti più abbondanti a spese dell’ inimico, e la sedizion tacerebbe, almen quanto si tenesse in piedi l’armata. Tanto più poi sembrava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e plebei, quanto che dovrebbei'o militare insieme, e partecipare i beni e i mali a fronte de’ pericoli. Non però la moltitudine ubbidiva, nè si presentava spontanea, come altre volte, per essere iscritta. Non vollero i consoli foi^ zare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscrissero volontarj co' loro clienti, congiungendosi ad essi che uscivano, anche picciola parte di popolo per militare. Era duce di quest’ esercito quel Caio Marcio, il quale espugnò la città de’ Coriolani, e riportò la corona dei forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo lui per capitano, i più de’ plebei che aveano piglialo le anni vi si confermarono, altri per benevolenza, altri per la speranza di esserne diretti a buon fine. Imperocché famosissimo egli era quest’ uomo, e grantal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^ e di bestiami in copia, senza dirne il mollo grano che era ne’ campi ; tornandone indi a non molto ricchissimo fatto di viveri : tanto che quei che s’ eran rimasti, eran mesti e dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano privi di un tanto bene : cosi Geganio e Miuucio consoli di queir anno trovatisi in tempeste varie e grandi, e più volte in pericolo di rovinar la cilli, non operarono nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica più savj che prosperi nell uso delle circostanze. XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo Sempronio Atraiino eletti consoli dopo loro, presero per la seconda volta quel grado. Non imperiti nell’arme, e nel dire, empierono con assai provvidenza la città di grano e di ogni maniera di viveri, come si ristringesse all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però poterono ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla sazietà pur l’orgoglio in quelli eh’ eran saziati. E quando meno pareva, allora fu su Roma il pericolo maggiore che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani, comperatone negli emporj entro terra o sul mare, lo aveano già trasportato a' pubblici serbato)'. Quand’ ecco i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’ intorno in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor carichi, li custodiva. Vennero i primi i commissarj spediti in Sicilia, Geganio e Valerio con piene assai barche ; portavano in esse cinquanta mila moggia siciliane di grano, metà procacciato a lievissimo costo, e metà regalato e mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi in città 1’ arrivo delle navi portatrici de’ grani siciliani ; discussero i patrizj longamente come avesse a disporsene. I più moderati e popolari fra loro, considerata la pubblica calamità, consigliavano che il grano donato dal re si donasse ancora a tutti del popolo, e che 1’ altro Anni iti Roma 263 seconda Catone, 265 secondo Varone, e 469 avanti Cristo. tìet.le Antichità’ hotmane comperato coll’ erario, si vendesse loro a picciol mercato, ricordando clie per tali beneficenze principalmente si ammansano gli onimi de’ poveri verso de’ ricchi. Per r opposito i più arroganti fra loro, ed amici del comando dei pochi, sentenziavano che aveasi con tutto r ardore e l’ ingegno a deprimere il popolo, ed eccitavano a non fargliene se non carissima la vendita, perchè la necessità li rendesse per innanzi più savj e più conformi alle leggi. Fra questi amici del comando de’ pochi era pur quel Marcio, chiamato Coriolano, uè già dicea come gli altri in occulto e con riguardo i proprj sentimenti, ma di proposito, e con ardore, sicché molti del popolo lo udirono. Avea costui non che le cause comuni contro del popolo, motivi privati e recenti onde parer di odiarlo meritamente. Cercando esso ne’ comizj ultimi il consolato, il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri che lo sostenevano, nè permise che lo conseguisse ; perchè sospettava che un tal uomo colla chiarezza ed ardire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e tanto più ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui, come a niun altro mai per addietro. Inbammato costui dalla ingiuria, e macchinando riordinar la repubblica su le antiche maniere, adoperavasi, come ho detto, palesemente, incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del popolo. Lui cingeva un seguito di molti nobili e ricchissimi giovani, e per lui stavano molti clienti, prosperatine già nella guerra. Esaltato da questi, andavano fastoso, e minaccievole, e fra tutti chiarissimo; non però ne ebbe termine fortunato. Adunatosi pe’ casi presenti il Senato e proponendo, com’ è costume, il proprio parere prima li seniori, tra quali non molti con trariarono manifestamente la plebe ; alfine ridottasi la disputa ai giovani, egli chiese da’ consoli il poter dire ciocché voleva : e tra ’l favor grande, e la grande attenzione di tutti cosi contro del popolo ragionò. Che U popolo non siasi ribellato per necessitA e per disagi, ma sollevalo dalla rea speranza di abbattere il comando de' pochi, e farsi egli stesso l’ arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o padri compreso voi tutti, considerando la incontentabilità sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno suo di violare la fede de' contratti, e di abolire le leggi che la garantivano, senza passare più oltre. Esso per levare il magistrato de' consoli, ne fondava un altro nuovo, c lo rendeva sacrosanto ed immune per legge, ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un plebiscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E per certo, quando gC incaricati di un tal magistrato col pretestare i bei titoli di proteggci'e i plebei malmenati opereranno con esso e disporranno come a lor piace, quando niuno, non uomo privato, non pubblico, potrà impedirne gli abusi per timor della legge la qual toglie anche il dire non che il fare, minacciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera voce in contrario ; dite, e qual altro nome dee mettere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello di ciò che è veramente, e che voi tutti confesserete, quello cioè di una tirannide ? Siasi un solo che tirantt^ggia, siasi il popolo tutto, e qual divario ? quando uno appunto è l’operar di ambedue? Era ottimissima cosa non lasciare mai che il seme s’ introducesse di un simil potere y e soffrir prima tutto, come il valorosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto tempo le ree conseguenze. Ma giacché ciò non si fece, ora almeno sradichiamolo, gettiamolo dalla città mentre è debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non siete, o padri coscritti, nè i primi, nè i soli a’ quali tocchi ciò fare ; quando molti già tante volte deviando dalle buone risoluzioni su di affari gravissimi ; e ravvoltisi in necessità sconsigliate, tentarono estinguere il mal già cresciuto, se impedito nel nascere non lo avcano. E quantunque la penitenza di chi lardi fa senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sott’ altro rispetto apparisce non inferiore, rmnullando V errar già commesso coll’ impedir che si termini. Se alcuni di voi han per gravi le operazioni del popolo, se pensano doversi lui prevenire sicché più non esorbiti, ma vien loro la verecondia di parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sappiano, che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi gl’ Iddj, e compiran la giustizia col? utile proprio ; giacché non eomincian essi /’ oltraggio ma lo respingono, non tolgon essi i patti, ma chi prima li tolse puniscono. E grandissimo argomento siavi che non voi cominciate a rompere i patti, non voi l’alleanza, ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle quali ottenne il ritorno. Non chiese già egli i tribuni per danneggiare il Senato ; ma per non essere danneggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo dee^ nè per ciò che fu crealo, ma per turbare e confondere lo stalo della repubblica. Ben vi ricorda dell ultima adunanza, e delle cose dettevi dot tribuni, e quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero. Ed ora, niente più savj, quanto fasto non menano al vedere, che tutta la forza della città sta ne’ voti, e ne’ voti ci vincon essi, tanto maggiori di numero ? Se dunque han essi incomincialo a frangere i patti e le leggi; che dobbiamo noi fare se non rispinger la ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché ingiustamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni ognora più grandi? e ringraziare gl Iddj che non han permesso che essi coll acquisto del primo potere divenissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ricuperare il perduto, e custodir ciocché resta, come si dee? Se volete riavervi; non altra occasione mai fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte di essi è vinta dalla fame, e /’ altra non potrà resistere lungamente per l indigenza, se abbia i viveri scarsi e cari. Li più rei, quelli non mai propensi al comando de’ pochi, ridurransi a lasciarci, ma gli altri più miti diverranno ancora più docili, nè mai più vi turberanno. Custodite dunque, non iscemate di prezzo i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi ne avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella ingratitudine di un popolo che mormora, quasi abbiate voi prodotta la carestia, nata dalla ribellione loro, e dal guasto che diedero alle campagne, levandone e trasportandone ciocché vollero come da terre nemiclie, e nelle spese dell’ erario per la spedizione de’ commissarj in cerca di viveri, e nelle tante altre ingiurie, onde foste oltraggiali. Conoscansi fin da ora quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno, se non facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro dicono per atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una simile. E se il popolo sappia una volta che voi macchinavate di abbattere tanta sua forza, ma ne desi-, steste ; tanto più vi si renderà gravoso, tenendovi nei vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri timori. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri, e molto si romoreggiò nel Senato. Imperocché quelli che da principio contrariavan la plebe, e ne ammisero malgrado loro la pace, tra quali erano i giovani, quasi tutti, e li più ricchi e più riguardevoli de’ seniori ; esasperandosi della impudenza di essa, encomiavan quest’ uomo come generoso, come amico della patria, e che parlava il ben del comune. Ma quelli che propendeano, come prima, verso del popolo, nè stimavano le ricchezze oltre il dovere, nè credevano cosa alcuna necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal dire, non che vi aderissero. Volevano che si vincessero i poveri colle dolci, non colla violenza : essere la dolcezza una cosa non solo conveniente ma necessaria ; principalmente per la benevolenza verso de’ eittadini : e chiamavano que’suoi consigli non libertà di detti, e di opere ; ma delirj : nondimeno questo partito, come picciolo e debole, era sopraffatto dall’ altro più forte. Oi! dò vedendo i tribuni ( eran questi presenti, invitati in Sonato da’ consoli ) gridarono e fremerono, chiamando Marcio peste e rovina della città ; come lui cbe usciva in discorsi si rei contro del popolo. E se i patrizj non lo frenavano coll’ esilio o con la morte, mentre svegliava in Roma una guerra civile, essi, diceano, che lo punirebbero. Or qui nato un tumulto ancora più vivo pei discorsi dei tribuni, principalmente dal cauto dei giovani cbe mal sopportavano quelle minacce ; Marcio animatone parlò più veemente ancora e più risoluto. Io, diceva, io se voi non la finite di far qui turbolenza, e di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi farò cantra voi non colle parole, ma colle opere. Or qui riscaldatosi più ancora il Senato, i tribuni vedendo che più erano quelli che volevano richiamare, che serbare i poteri conceduti alla plebe, fuggirono dal Senato gridando, e protestando gl’ Iddj, vin non fate voi parer vere le calunnie che di voi si spar^ gono ? e che savj sono pel pubblico, quanti consigliano che non pià crescer si lasci questa vostra potenza violatrice delle leggi ? A me così par certamente. Afa se vorrete far cose, contrarie a quelle delle quali vi accusano, moderatevi, ve ne consiglio : ricevete a cor placido, e non con ira, i discorsi dai quali siete investiti. F’oi se così fate, ne parrete uomini dabbene, e coloro che vi odiano, ne saran/w pentiti. Avendovi cojè noi fatto ragione amplissima come pensiamo, non siate, ve n esortiamo, indegni di voi. Folendovi noi implacidire non esasperare ; miti, umane furono le opere colle quali vi abbiamo trottato : io dico, per tacere le antiche, quelle fattevi di recente pel vostro ritorno. Certamente sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di queste ; mentre noi vorremmo dimenticarcene. Tuttavia la necessità ci stringe a ricordarvele per chiedervi in contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi già concedevamo alle istanze vostre, che nè si uccida, nè bandiscasi Un uomo amantissimo della patria, e nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca sarebbe la perdita, voi lo vedete, se Roma fosse privata di tanta virtà. Egli è giusto che mitighiate lo sdegno verso lui, risgiiardando almeno quanti ne salvò di voi nella guerra, e ripetendone le belle sue gesta, non perseguitandone lé vane parole. Niente vi hanno i detti nociuto di lui, ma moltissimo i fatti vi giovarvno. ' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda, donatelo almeno a noi, donatelo al Senato che vel chiede : rendete una volta la stabile calma, e la sua unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete alle nostre persuasive ; riflettete che neppur noi cederemo alle vostre violenze. Così il popolo messone a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e di beni maggiori; o nuovo principio di una guerra civile, e di gravissimi mali. I tribaoi, avendo Minuzio cosi perorato, consideratane la moderazion del dire, e come la plebe mossa dalia dolcezza delle sue promesse, ne furono sdegnati e dolenti, e soprattutti Cajo Sicinio Belluto, quegli che avea suscitato i poveri a ribellarsi da’ patrizj ed erane stato nominato capitano, 6nchè fìiron su Tarmi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato a grande chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la seconda volta tribuno giudicava che a ninno giovasse men che a lui che la città fosse appieno concorde, e ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se governavano gli ottimati, egli nato e cresciuto ignobile, senza luce alcuna d’ imprese in pace o in guerra, non avrebbe più gli onori, nè la influenza medesima ; anzi che correrebbe pericoli estremi, come sommovitore dei popolo, ed autore di tanti suoi mali. Fissato adunque ciocché avrebbe a dire e fare, e consultatosene co’ tribuni compagni, poiché li ebbe unanimi, sorse, e lamentata brevemente la disgrazia del popolo, lodò li consoli perchè degnati si fossero di rendere ragione ai plebei, senza spregiarne la loro bassezza : e d'sse che rìngraziava i patrizj ancora, perchè nasceva finaluaente in' essi la cura della salate de' poveri ; e che molto più egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi, quando darebbero pur le operc> simili ai hitti. Cosi proemiando, e parendone anzi sedato, e propenso alla pace, si volse a Marcio presente ai consoli V e disse i E tu o valentuomo niente ti difendi coi tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ? Chè non supplichi piuttosto, e ne plachi lo sdegno, sic’ chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei che tu negassi un tale tuo fallo, avendolo tarili ve ; nè che, tu Marcio, tu pià altero in cor tuo che un privato, ti volgessi ad invereconde difese. Sarà parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di aringare essi in tuo bene, nè parrà per te degno che tu lo facci su te stesso? Or cosi parlava -costui ; ben conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai di essere T accusator di sestesso, e chiedere come colpevole la esenzion della pena, nè mai contro l’ indole sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma che o ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ innato ardimento suo, niente tempererebbe nè il popolo, nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi, e presi i plebei, quasi tutti, da bel desiderio di liberarlo, purchéegli ne &vorisse la occasione, manifestò tanta insolenza e dispregio per essi ; che nè, presentatosi, negò le parole da lui dette in Senato, nè come pentitone, si diede ad impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li volle, come privi di autorità competente per giudici di cosa ninna, pronto per altro a sottomettersi, com era la legge, al tribunolc de’ consoli, se alcuno volesse ac> cusarvelo, e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le, opere. Diceva eh’ egli era, colà venuto, giacché vel chiamarono, parte per riprendere le loro prevaricazioni, e la incoutentabiUlà j manifeslala aemprepiù nella separazione y e dopo il riiomo ; e parte per consigliarli, per fiammata, soffiandovi, 1’ ira del popolo, concluse l’ao cosa, che il tribunato ne sentenziava la morte, per r oltraggio fìtto agli edili, che egli percosse e respinse, mentre per ordin suo lo arrestavano il di precedente: non finire che su chi gC incarica, gli oltraggi de’ ministri, E così dicendo ordinò che portassero Marcio al l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un dirupo ro> vinoso e vasto donde solcano precipitare i rei condan nati alla morte. Corsero gli edili per prenderlo: ma dato un altissimo strido, si levarono conira loro in folla i patrizj, e quindi contro de’ patrizj il popolo : e molto era in arabe le parti il disordine, molto lo in giuriarsi. Io spingersi, Tassalirsi. Se non che gli autori di un tanto moto furouo rattenuti e necessitati a moderarsi dai consoli i quali, cacciatisi in mezzo, coman darono ai littori di rimover la turba. Tanta era allora negli uomini la riverenza per quel magistrato, e tanto il pregio deir autorità suprema ! Intanto Sicinio non piò saldo, ma perturbato, e timoroso di ridurre i partiti a respingere forza con forza, non volendo lasciare, nè potendo continuare la impresa una volta tentata, era pensierosissimo su >ciò che fosse da fare. Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gin nio Bruto, quel capipopolo che ideò le condizioni della concordia, uomo acuto specialmente in trovare, ove mancano, gli espedienti, venne, e solo con solo, suggerì che non si ostinasse in una disputa ardente, nè legittima : mirasse tutti i patrizj irritati, e tutti pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli, ma dubbiosa la parte migliore del popolo, nè ben animata a permettere senza previo giudizio la morte dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora, egli così consigliava; badasse a non combattere i consoli per non eccitare mali manieri : piuttosto indicesse a un tal uomo, fissandone un tempo qualunque, di perorar la sua causa, i cittadini votassero per tribù su lui: e ciò sen facesse che la pluralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai tiranni la violenza che ora minacciavasi, facendosi il tribuno accusatore in un tempo e giudice ed arbitro della pena : ma in una repubblica doversi agli accusati le difese come voglion le leggi, ed il gastigo secondo il voto dei più. Cedette Sicioio a tale consiglio non trovandone altri migliori, e fattosi innanzi disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj per la violenza e le stragi : vedete come tengon voi tutti da meno che un solo caparbio che oltra^a una intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo e corriamo alla nostra rovina, cominciando o respingendo una guerra. Ma perciocché alcuni di loto allegano, come onorevol pretesto, la legge la qual non permette che uccidasi un cittadino ' senza previo giudizio, ed allegandola ci tolgono d infliger le pene ; diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri disagi abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste, nè secondo le leggi da essi. Dimostriamoci anzi probi colle clementi maniere, che del numero de’ vostri of Linno VII. 36 1 Jénsori colla violenza. Ritiratevi ; aspettate, nè già sarà molto, il tempo avvenire. Noi preparando in^ tanto le cose che importano, fisseremo a codest’ uomo un tempo perchè si difenda, e non eseguiremo se non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i suffragi secondo la legge, votatene allora la pena che merita. E ciò basti su questo proposito : Che poi giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi grani, noi vi provvederemo, se questi (\) ed il Senato non vi provvedono. E ciò detto disciolse i' adunanza. Dopo questo evento i consoli convocando il Senato considerarono posatamente come dar fine alla discordia presente. Sembrò loro primieramente che dovessero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri a picciolo e fàcil mercato, e poi persuadere i lor capi a chetarsi in grazia dei Senato, nè astringere più Marcio al giudizio, e temporeggiare in fine lunghissimamente, se non lasciassero persuadersi, finché l’ ira del popolo si diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al popolo tra pubblici applausi l’ editto su i viveri cosi concepito che : sarebbero i prezzi de' generi necessari al vitto quotidiano, tenuissimi come innanzi la sedizione. Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero per Marcio dilazion quanta vollero, se non piena assoluzione. Anzi essi stessi gli procacciarono altro indugio, valendosi di questa occasione. Gli anziati, spedita una banda di pirati, aveano predato non lu ngi dal lido, I CoDsvii.mentre tornavano in casa, le navi e i deputati del re di Sicilia, che aveano recalo i grani in dono ai Romani, e volgendone ogni cosa come di nemici ad olile, ne teneano in carcere le persone. I consoli, ciò saputo, spedirono agli Anziati : ma non potendone per ambasciadori ottener la giustizia, decisero marciare colle armi su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl’iegli ninna delle cose ordinate dalle leggi su de’ giudizj. Pareva ai consoli, deliberatisi col Senato, che non fosse da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto potere. Or si diè loro un titolo giusto e legittimo d’impedirneli ; e credeano, usandolo, di renderne vani lutti i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi del popolo. Congregitisi cou quanti erauo gli opportuni per essi, Minucio disse : Tribuni, ci è piaciuto decretare che bandiscasi la sedizione da Jloma con tutte le forze, nè più nudrasi contesa ninna col popqlo ; vedendo voi principalmente che tornavate dalla violenza alla giustizia ed alla ragione. Or noi lodando voi di questo proposito, abbiamo reputato che il Senato, come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi decreti. E potete contestare voi stessi che dalP ora che i nosU'i avi fondarono Roma, il Senato che la ebbe, ritenne sempre questa precedenza : e che il popolo senza la previa risoluzione idi lui mai nò giudicò, nè votò non solo in questi tempi, ma nemmeno in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al popolo, se non le cose decise in Senato, e così le confermavano. Non vogliate dunque levarci questo diritto, nè abolire tal bella istituzione primitiva. Preanvmonile il Senato, se avete il bisogtto di cose moderate e giuste, e quello che il Senato ne avrà giudicato, quello notificate al popolo, e ne decida. Cosi discorrendola i consoli, Sicinio mal sopportavali, nò volea render aibitro di cosa ninna il Senato. Ma gli altri, eguali a lui di potere, seguendo i suggerimenti di Lucio consentirono che si facesse questo previo decreto. Imperoccbé ancor essi avevano Lucio Bruto: forte come pensa il Ccleoio, dee leggersi Decia in luogo di Imcìo, .Certamente in questi affari elibe parte anche Deciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi I. fi, § 8S. Bruto aveva, tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha mai contratte guato ancora col solo pronome. r)ELLr antichità’ romane falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ; Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che sono i procuratori del popolo, come agli altri che volevano aringare favorendo, o contrariando; e che infine, dopo udite le discussioni di tutti, -allóra ciascun padre porgesse il suo voto, premesso il giuramento legittimo, come ne’ giudizj, e dichiarasse ciocché gli paresse il giusto e V utile della repubblica : e quello si tenesse per valido che i più. preferissero. Concedendo i tribuni che si decretasse come i consoli dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno appresso i padri in Senato, i consoli vi esposero le convenzioni: e quindi chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le cause per le quali venivano. £ qui fattosi innanzi Lucio, colui che avea condisceso che si facesse il previo decreto, disse : Potete ravvisare o padri ciocché sia per succedere, vuol dire che noi saremo accusati appresso il popolo dell’ essere qui venuti, e che V accusatore sarà quel nostro collega, per quel previo decreto che V abbiam conceduto. Pensava costui che -non dovessimo noi chiedere da voi quello che ci attribuiscon le leggi, nè prendere per benefizio quanto avevamo per diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non tenue, che condannati, abbiamo a soffrire bruttissimamente come chi diserta, e tradisce. Ma quantunque ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti, superiori a noi stessi j confidando su la rettitudine della causa, e mirando ai giuramenti secondo i quali voi do' 'vete dirigere le vostre sentenze. Noi tenui siamo, e disacconci pià assai che non conviene, a parlar di tali cose, che piccole certamente non sono. Porgeteci non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste ed utili, e vi a^iungo, necessarie ancora pel conw ne, vogliate spontaneamente concedercele. Primieramente dirò sul diritto. Quando o senatori cacciaste i monarchi avendo noi compagni nelr opera, e fondaste il governo nel quale ora siamo, ed il quale noi non riproviamo, voi vedendo i plebei aggravati ne’ giudizj se mai li facevano ( e molti scn facevano ) co’ patrizj, emanaste per suggerimento di Publio Valerio consolo una le^e per la quale permettevasi a tutti i plebei sowerchiati da quelli di appellare al popolo : e per niun altra, quanto per questa legge, procacciaste la concordia di Soma, e respingeste i re che vi tornavano in seno. Jn forza di questa l^ge citiamo codesto Caio Marcio dinanzi al popolo, e gli prescriviamo che risponda su cose nelle quali tutti ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi. Nè su questo abbisognavi previo decreto del Senato. Imperocché voi siete gli arbitri di deliberare i primi, ed il popolo di confermare co’ voti quello su cui le le^i non pollano ; ma dove ci han le leggi, sono immobili, e debbono osservarsi, quantunque niente ora voi, perchè si osservino, decretaste. Già non dirà ninno che in caso di aggravio ne’ giudizj un privato appelli validamente al popolo, nè validamente v’ appellino i tribuni. E forti per tale concession della legge, veniamo qui, non senza pericolo, ad esser sotto voi giudici. Pel diritto della natura, diritto che non è scritto, nè introdotto come le altra leggi, noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià nè da meno di voi : mentre con questo diritto ha con voi sostenute molte e grandissime guerre, e mostrato ardore vivissimo per compierle, contribuendo non poco perchè Roma le desse, non ricevesse da alwi le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno che voi se frenerete col terror di un giudizio chiunque attenta contro le nostre persone e la libertà. Pensiamo che i magistrati, le precedenze, gli onori debbansi compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma pensiamo pure ben giusto che essendo tutti sotto un governo, tutti dobbiamo ugualmente e senza riserva o non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione. Come dunque a voi concediamo que’ gradi sublimi e luminosi, così non vogliamo esser privi dei diritti eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi le mille cose, bastino le dette fin qui sul diritto. Or quanto sian utili queste cose, quanto il popolo le apprezzi se faccianst, lasciate che io brevemente ve lo esponga. Su dunque : se alcuno vi dimandi qual pensiate il pià grande de’ mali, quale la cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~ reste che sia questa la dissensione? certo che sì. Or chi è si stolido, chi sì fatto a rovescio, chi sì ne“ mico della eguaglianza, il qual non veda, che se concedasi al popola di giudicare le cause che gli spettano, avrem la concordia ; ma se gli si neghi, leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si toglie, a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci ridurrete ad insorgere nuovamente, e combattervi ? Certo che nelle città dalle quali si escludono i giudizj e le leggi, la discordia soUentra e la guerra. Chi non si è trovato in guerre civili non è meraviglia che per la inesperienza non senta ribrezzo de mah antecedenti, nò precluda i futuri. Ma quelli, che caduti come voi tra pericoli estremi, felicemente se ne liberarono, sgombrando i mali come permetlevasi dalle circostanze ; quelli, io dico, se vi ricadono, qual mai scusa aver possono sufficiente e decorosa ? Chi non condannerebbe la stoltezza e delirio vostro grandissimo, considerando che voi li quali per non avere la plebe discorde vi piegaste, non ha gìiari t a tante concessioni, forse non tutte convenevoli ed utili, ora vogliate in discordia tornarvela, tutto che non siate offesi negli averi, nelf onore, o in altre pubbliche cose, e solo per favorir chi la odia ? Se non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io V interrogherei quali concetti erano i vostri quando ci concedevate il ritorno colle condizioni che chietlevamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un bene ? o fu necessità che vi ridusse a cedere ? Se ne apprendevate il bene di Roma, e perchè ora non vi ci attenete ? se fu necessità, se impossibilità di essere diversamente, or che vi dolete del fatto ? Bisognava, se pur tanto potevate, non cedere forse da principio ; ma ceduto avendo una volta, non dovete più rimproverarvene. A me sembra o padri che voi seguiste il vostro migliore nel paci/icarvici : ma se fu necessità di scendere a condizioni; ella è pure necessità mantenercele. Voi gV Iddj chiamaste vindici degli accordi, imprecando molte e terribili pene a chiunque li violava di voi o de nipoti in perpetuo. Ora io non Pedo perchè dobbiamo tediare pih a lungo voi che tanto bene il sapete, con dire che giuste ed utili sono le nostre dimande, e molta la necessità che vi astringe a corrisponderle, se memori siete de Muramenti. Voi capite, o piuttosto ( giacché io non dico cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente che rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa per violenza o per inganno, e che un fortissimo stimolo ci ha qui condotti, offesi gravemente, e pià che gravemente, da quest’ uomo. Date dunque su quanto ho detto il vostro voto, ma, dandolo, considerate qual sarebbe il vostro animo verso quel plebeo, se alcuno pur ve ne fosse, il quale tentasse dire o fare centra voi nelle adunanze, ciò che qui codesto Marcio ha pur tentato di dire. Le convenzioni della pace sacrosante al Senato, quelle che munite più -che con vincoli adamantini j ninno di voi, per averle giureUe, nè de’ vostri discendenti può sciogliere, finché Roma fia Roma ; quelle ha il primo codesto Marcio tentato di rovesciarle, non essendo nemmen quattro anni che si conclusero, e tentato ha di rovesciarle non col silenzio, non da oscurissimo luogo, ma qui, pubblicissimamente, al cospetto di voi tutti', sentenziando, che non dovea più lasciarsi, ma ritogliersi a noi la podestà tribunizia, che è la primaria ed unica difesa della libertà, e col mezzo della quale potemmo ri^ congiungersi. Nè qui C ardinsento finì del suo dire, ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come una ingiuria la libertà dei poveri, e tirannide nominando r uguaglianza. Risovvengavi ( era questa la più infame delle istanze sue ) com’ egli disse allora, che era pur venuto il tempo di ricordar tutte le ingiurie del popolo nella prima discordia, e come esortava quindi a mantenere la stessa penuria di viveri, giacché il popolo, logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a cedere in tutto ai patrizj. Non resisterebbero i poveri gran tempo comperando a carissimo prezzo cibi scar-^ sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la cUtà, e parte rimanendovi, perirebbero infelicissimamerUe, E così delirava, così era in ira ogF Iddj ciò persua~ dandovi; che non discerneva che oltre i tanti mali co quali travagliavasi per annientare i trattati del Senato, quando avrebbe ridotto i poveri i quali eran pur tanti, alle angustie de viveri, questi poveri appunto farebbonsi addosso agli autori delle angustie, non più tenendoli per amici. Tanto che se voi pur delirando approvavate il suo parere; non restava più mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo, o de patrizj. Imperocché non ci saremmo già dati quasi schiavi a spatriare o morire : ma chiamando i genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffrivamo ; avremmo riempiute, ben lo intendete, le piazze, e le vie di ukdergogne ; sin che tu abbi un altra difesa qua^ Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e tirannico, toma, o sciaurato, ai concetti del popolo : renditi simile agli altri', prendi come chi ha peccato e raccomandasi, un abito dismesso, addolorcvole conforme ai disastri, e cerca il tuo scampo ; umiliandoti, non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te. Sianti esempio di bella moderazione^ le opere, le quali se tu avessi ùnitalo, non saresti ora ripreso dai tuoi cittadini, io dico, quelle di tanti buoni, quanti qui ne vedi, segnalati per tante virtù militari e civili, quante non sarebbe facile nemmeno in grati tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e risspettabili ; niente mai fecero di duro, niente di or^ goglioso contro noi si tenui e bassi, e primi intromiìsero discorsi di pace, primi la pace offerirono, quando la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non su le condizioni che essi riputavan migliori, ma su quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine premura grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt de' grani per la quale noi gli accusavamo. Ma tralasciando le altre cose, quali ptcghiere non fecero per te, nel tuo superno accecamento, presso tutti, e presso ciascuno del popolo per involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Settato, i> quali invigilano su questa, tanto grande città, crederon bene che al giudizio ti sottomettessi del pòpolo, nè tu o Marcio a bene lo tieni ? Questi tutti non han per un biasimo il pregare per tuo scampo il popolo, e tu per biasimo tei prenderai? JVè ciò li bastava, o magnanimo ; ma quasi fatta una belV o pera, ne vai con fronte altera e magmfìcandoti, e niente adoperandoti a mansuefarli? per non dire che insulti, che rimproveri, che minacci la plebe. E pretendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete, o Padri, a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di accingervi ad una guerra per esso ; egli dovrebbe amarvene, e tenersi tutto pronto per voi, non accettar però mai un tal bene privato col danno comune, ma sottomettersi alle difese, alla sentenza, a tutte infine le pene, se bisognasse. Questosarebbe l’ obbligo di un vero cittadino, di uno che vuole il bene colle opere, non colle parole. Ma le violenze presenti qual ne additano mai C indole sua, quale la inclinazione ? quella appunto di violare i giuramenti, di tradire la fede, di rescinder gli accordi, di far guerra al popolo, di oltraggiare le persone dei magistrati, di non sottometter la propria per niuna mai di queste cause, e di girarsela franchissimamente, non come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che niun teme, e di niuno abbisogna, immunissimo in tutto da tribunali e discolpe. Or non è questo un vivere alla tirannica? certo che jì / Eppure a conforto di quest’ uomo spargono aure lievi e suoni dolci, alcuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del popolo non san vedere che questo male si termina anzi contro de’ nobili che degl’ ignobili, e credonsi affatto sicuri, sol che deprimano il partito che è loro contrario per natura. Ma non così sta il vero, ingannati che siete. Prendete a maestra la esperienza che Marcio stesso vi somministra, prendetene il corso dei tempi: illuminatevi per gli esempj stranieri insieme e domestici.^ e ravvisale, che la tirannia la qual nudtesi contro i plebei, contro tutta la città si alimene ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine eia, fortificatasi, contea tutti ruggirà. Ragionate queste cose da Oecio, e supplite da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano, quando il Senato nè dovè sentenziare, levaronsi i primi in piedi i seniori tra gii uomini consolari, inviati secondo r ordjne consueto dai consoli, e quindi via via gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono ultimi i giovani, ma non disser parola ; perocché ci avea di que’ giorni ancora tra’ Romani la verecondia, che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani. Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi preordinato che i senatori presenti giurassero prima, come ne’ tribunali, e poi dessero il voto. Appio Claudio il patrizio, come ho detto, più acerbo col popolo, e che mai non aveva approvato che si concordasse con esso, mal soffriva che ora si facesse un pari decreto, e disse : Avi'ei veramente voluto, e più voltf ne ho supplicato i numi, essermi sbagliato io circa il sentimento su la pace col popolo, vede a dire che il ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto, nè decoroso, nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^ tante io primo ed ultimo mi vi opposi, anche abbona donalo da tutti. Anzi avrei voluto o padri, che voi li quali per le speranze concepute del meglio, cora- (UscendesCe ed popolo sul giusto e su t ingiusto, He compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le cose, non come io desiderava, anche pregando_ne i numi, ma come io prevedeva, e cangialevisi le beneficente in vilipendio ed odio ; io lascerò, come estraneo a ciò che dee farsi, di riprendervi e di contristarvi in vano per le vostre mancanze, quantunque sarebbe pur facile, ed è pur questo f uso dei più. Dirò piuttosto ciò che può rettificare le cose passate, quelle almeno che non sono in tutto insanabili, e renderci più savj circa le presenti. Quantunque non ignoro, che dicendo io liberamente i miei sentimenti, parrò farneticare e sagrifìearmi, ad alcuni di voi, li quali considerino quanto sia disastroso il parlar francamente, e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale non per altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non penso che la cura della propria salvezza sia da pregiarsi più che il pubblico bene. Già questa mia persona è tutta pe’ vostri pericoli, tutta pe' cimenti della patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle, come piace agl’ Iddj, con tutti voi, o con pochi ^ e solo ancora, se bisogna. Nè finché io vivo, mai mi terrà la paura dal dire quello che io penso. E primieramente io voglio elte vi persuadiate una volta senza eccezioni che il popolo è malaffetto, e nemico al governo presente f e che qualunque cosa gli avete, coma deboli, corueduta, £ avete spesa vanissimamente, e vi è stala cagione di vilipendio, quasi conceduta £ abbiate per forza, non a ragion veduta, c per beneplacito. Considerate come il popolo si appartò da voi, pigliando le armi, e come ardi mostrarvìsi palesissimamente per inimico, non o^eso da voi realmente, ma fingendosi offeso : perchè non polca corrispondere a suoi creditori, e dicendo, che se decreten ate la remissione dei debiti, e la condonazione delle colpe commesse per la sedizione, non desidererebbe più oltre. 1 più di voi, non però tutti, sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto mai non lo avessero ! ) deliberarono di anntdUire le leggi, mallevadrici della fede pubblica, nè più ricordane, nè perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli però non si tenne già contento di questa concessione, pel solo bisogno della quale diceva di essersi ribellato ; ma ben tosto pretese altra prerogativa più grande, e meno legittima : io dico quella di eleggersi ogni anno dalt ordin suo i tribuni, pretestando il troppo nostro potere, peichè fossero scudo e rf i^io d poveri oltraggiati ed oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio stato delta repubblica, e volendola ridurre democratica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a lasciare che entrasse in repubblica il tr ibunato ; come in fatti vi entrò per isciagura comune, e princìfxdmente in onta del Senato, mentre io, se bene ve ne ricorda, tanto ne schiamazzava, protestando ai numi ed agli uomini, che introdurreste tra voi una guerra interna ed implacabile, e presagendovi tutti i mali, quanti ve ne avvengono. E questo buon popolo che vi ha egli fatto dopo che gli avole conceduto il tribunato? Non ha già valuta’o degnamente tanto dono, anzi nemmeno da voi prese con prudenza, e con verecondia, come so glie lo abbiate accordato, premuti e costernali dalle forze di lui. Ha detto che aveasi a rendere sacro, inviolabile, sicuro pe giuramenti, ed ha pretesa un autorità migliore che rwn quella da voi destinata pei consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e là tra le vittime giuravate la roidna di voi e de’ vostri di-scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egli mai questo popolo ? In luogo di riconoscervene, dolora per le altrui sciagure, e sa compatire gli uomini costituiti in dignità, se la sorte loro travolgasi. Tuttavia diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di ammonimenti, di esortazioni, e di preghiere che facevano violenza. E giacché egli era la causa. della discordanza del popolo dal Senato, e calunniavasi come tirannica la esuberanza delle sue maniere, e temeasi che per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gravissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili; pregavalo a non verificare, o non confermare almeno le incolpazioni e le paure con quel suo nou gradito contegno : assumesse un abito più umiliato : sottomettesse la sua persona per dar conto a quelli che chiamavausi oltraggiati da lui : si presentasse alle difese contro di un accusa ingiusta si, ma che in giudizio appunto si annullerebbe. Sarebbe un tal fare più sicuro per la salvezza, più splendido per la fama che desiderava, e più consentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava che se ostinavasi anziché raddolcirsi, e se riduceva, persuadendoli, i padri a subire ogni pericolo per òsso, misera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima se vincitori, la vittoria. E qui tutto davasi al pianto, riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano nelle discordie le città. LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non artificiose 'e noa finte, ina vere, egli venerabillstima per anni e per meriti, come videne commosso tutto il Senato, cosi con più confidenza seguitò, dicendo : Se alcuno di voi conturbasi, o padri, pensando che introducesi un tristo costume nel concedere al popolo di votar su patrizj, e che non produrrà niun bene f autorità de' tribuni che tanto si fortifica, sappiate che voi siete errici, e v ideate il contrario di quel che conviene Imperocché se mai vi sarà metodo salutare, metodo per cui non si tolga né la libertà nè le forze a Romec, e per cui le si conservi in perpetuo la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo sarà quello che assumasi anche il popolo al goverrto, talché non sìa questo nè pretta oligarchia, nè democrazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma che più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle altre, applicata sola, com è per sestessa, scorre facilissimamente alle insolenze ed alle ingiustizie; laddove quando una forma si abbia ben contemperata da tutte, allora se una parte commovesi ed esce dalr orditi suo, vien contenuta sempre dall altra, che è savia, e tiensi al dovere. La monarchia divenuta dura^ superba, tirannica, suole abbattersi da pochi valenti uomini : la oligarchia, qual voi t avete al presente, se troppo s' innalza per le ricchezze e per le aderenze, nè più tien conto della giustizia e della virtùf si annienta da un popolo savio : un popolo savio e che vive secondo le leggi, se poi volgesi ai disordini ed alle ingiustizie; è sopraffatto dalle arme, e rimesso piomat, tamo II. '. j5 Digìtized by Google 386 DELLE antichità’ ROMANE in dovere dal pià forte. Voi trovaste, o padri, rimedj efficaci perchè il potere di un solo non si mutasse i n tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due capi della repubblica, e dando loro il comando non per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste oltracciò per invigilarli i trecento patrizf, i più anziani e più grandi, da' quali è composto il Senato. Ma voi, per quanto si vede, non avete fin qui messo per voi niun che vi osservi, e tenga in dovere. CeT’~ tornente io finora non temei che vi corrompeste ancor voi tra t abbondanza, e la grandezza dei beni, per-chè non è molto che avete liberato Roma da una vecchia tirannide ; nè aveste mai comodo di scapricciarvi e cC insolentire per le guerre continue e lunghe. Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo voi, e quante mutazioni suol produrre la diuturnità dei tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino, e riducano per occulte vie finalmente il governo in tirannide. Ma se comunicherete il comando col popolo, non sorgerà quindi alcun male. E se altri ( giacché tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica) se altri tenti elevarsi più de’ colleghi e del Senato, procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiurare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al popolo, per quanto egli sia grande e magnifico, renderà conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo, ne subirà le pene che merita. Ma perchè il popolo con tal potere non insolentisca nemmen esso, nè guidato da capi rei s’ inalberi contro de' buoni, tiranneggiando che nasce tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invigilerà, nè pennellerà che ne abusi un uomo distintissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con potere assoluto, inappellabile, separerà dalla città la parte infetta di popolo, nè lascerà che la sana se ne corrompa. Egli, riordinati i costumi e le preclare maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica savissimi per la cura del pubblico, ed eseguili tali cose in sei mesi, rientri di bel nuovo nella classe de’ privati, conservando per sè t onore, e non più. Pertanto considercutdo vqì questo, e giudicando bonissima tal forma di repubblica, non vogliate da ciò che chiede escludere il popolo. Ala come avete attribuito al popolo che scelga ogni anno i magistrali che regolino, che ratifichi o annulli le leggi, e decida della guerra e della pace, cose tutte rilevantissime e principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè avete di niuna di esse lasciato cubitro indipendente il Senato ; cosi chiamale anche il popolo a parte dei giudizj, massimamente se alcuno sia accusato di offendere la stessa repubblica, eccitando sedizioni, preparando la tirannide, convenendosi co’ nemici di tradirci, e macchinando mali consimili. Imperocché quanto più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la trasgression delle leggi, e le innovazioni di Stato, mostrando intenti su loro più occhi e più guardie ; tanto più la repubblica starà nel suo fiore. Dette queste e cose consimili, tacque. Convennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti dopo lui, eccettuatine pochi. E standosene ornai per formare il decreto ; chiese Marcio la parola e disse : Quale, o padri coscritti, io sia stato verso la repub^ blica, come io sia venuto in tanto pericolo per la benevolenza mia verso di voi, e come ora io ne sia da voi contraccambiato fuori della mia espettazione, voi tutti il vedete, e meglio lo intenderete ancora dopo dato un fine alle mie cose. Ed oh ! se come la sentenza di Valerio prevale ; così vi giovasse, ed io mi sbagliassi nelle mie congetture sul futuro. Almeno però perchè voi che siete per emanare il decreto, conosciate le cause p^r le quali mi consegniate al popolo, nè io ignori su che sarà combattuto nelt adunanza di esso ; intimale ai tribuni che dicano alla presenza vostra la ingiustizia su la quale mi accuseranno, e qual titolo diasi a questo giudizio. LVin. Egli cosi diceva, perchè congetturava che a vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi fatti in Senato, e perchè voleva che i tribuni convenissero che su que sto appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni consultatisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide, e su. questa accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi di restringere 1’ accusa ad una sola causa, e questa nè valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere di accusarlo su quanto volevano > pensando che resterebbe così Marcio spogliato di tutto il soccorso del Senato ). Marcio dunque replicò: se io debbo essere giudicato su questa calunnia, mi sottometto ed giudizio del popolo, nò mi oppongo che ne stenda il Senato 'il decreto. Piaceva al più de’ padri che su ciò si rigirasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi non più sarebbe un senatore incolpato per dire cioc> chè pensava nelle consultazioni ; e perché di leggieri quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron de, ed irreprensibile nella vita. F u dunque, secoudo ciò, steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Tenevasi allora, e tuttavia si tiene da’ Romani il mercato in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei dalle campagne in città ; vi cambiavan le merci, e vi discutevano le liti private : e ricevendo i voti ; sentenziavano su le cause pubbliche, riservate loro dalle leggi, o dal Senato. Negli otto giorni intermedj a’ mercati viveansi nelle campagne, essendone i più di loro lavoratori e poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro, v’adunàrono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il Senato, e lettavene la sentenza ; intimarono il giorno nel quale si finirebbe quella causa ; raccomandando a tutti d’ intervenire, perchè discuterebbono importantissime cose. LIX. Divulgato ciò ; vivissime furono le cure e i ma neggi de’ plebei e de’ patrizj ; di quelli come per punire un arrogante, e di questi perchè non restasse all’ arbitrio de’ loro avversar] il difensore del comando de’ pochi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a pericolo i diritti tutti della vita e della libertà. Giunto il terzo mercato, si ridusse dalle campagne in città tanta moltitudine, quanta mai più per addietro, occupando infino dall’ alba il Foro. I tribuni la invitarono a riunirsi per tribù, separando con funi il sito dove ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su quest’ uomo fu la prima la quale votasse per tribù , sebbene assai si opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chiedendo che si tenessero, com’era l’uso della patria, i comizj per centurie. Imperocché ne’ primi ten>pi se il popolo dovea votare su di una causa qualunque rimessagli dal Senato ; i consoli adunavano i comizj per centurie, compiendo prima i sagrifìzj legittimi, che in parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come nei tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne, adunavasi nel campo di Marte posto innanzi della città. Quivi non prendevano e davano tatti insieme il lor voto ; ma ciascuno nella propria centuria, secondo che eran chiamate dai consoli. Ed essendo le centurie cento novanta tre, e dividendosi queste in sci classi, chiamavasi innanzi tutte, e dava il suo voto la prima classe, la quale formata dei più riguardevoli per sostanze, e primi negli ordini militari, comprendeva diciotto centurie equestri, ed ottanta appiedi. Appressò votava 1’ altra classe la quale men comoda per sostanze, seconda nell’ ordine della battaglia, e men cospicua de' primi per armatura, formava venti centurie; aggiuntene ancor due di artefici, i quali apprestano legni e ierro, ed ogni altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella terza classe venti centurie, inferiori tutte nell’ onore, nell’ ordine della battaglia, e nelle armi, non simili a quelle de’ precedenti. Gli altri chiamati appresso, rispettabili anche meno in pregio di sostanze e di armi, ma più sicuri di posto nella battaglia, divideausi ugualmente Anni di Roma a63 secoado Catone, aR5 secondo Varrone, a 4^ aeCristo. ia venti centurie ; alle quali se ne univano altre due y di suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t S'So j ù tratta la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai cataloghi militari, erano certameule liberi dalle coscrizioni: peraltro potevano militare se volevano. (a) Nella prima classe ci aveano ottanta centnrie appiedi a diciotto a cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le altre classi in tutto costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda classe comprendeva venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven lidne : e la quinta trenta; risultaudo la sesta da una sola. Digitized by Google 3q2 delle antichità’ romane bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri. Era questo il refìigio estreirio, se mai le cento novantadue centurie scindeansi in parti eguali ; e ne preponderava la parte alla quale quell’ ultimo voto si volgeva. Chiedeano i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo sarebbe liberato dalle novantotto centurie' della prima classe quando le chiamavano, o dalie altre almeno della seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ciò li tribuni, conclusero che si avesse a riunire il popolo per tribù, e così renderlo giudice della contesa ; perchè nè i poveri ci avessero men potere dei ricchi, nè i soldati leggeri men di quelli di grave armatura, nè la moltitudine, differita per 1’ ultima chiamata, fosse impedita a dare egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore. e nel voto, avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suffragi tribù. Or pareano i tribuni più giusti che gli altri, col pensare che il giudizio del popolo fosse veramente del popolo, non della parte fautrice degli ottimati ; e che su le offese di tutti, tutti dovessero sentenziare. Conceduto ciò con stento da’ patrizj, essendosi ornai per disputare la causa, Minucio 1’ altro de' consoli ascese il primo in ringhiera, e disse quanto eragli stato commesso dal Senato. E prima ricordò tutte le beneficenze, quante il popolo ne avea ricevute da’ patrizi : e poi chiese in contraccambio di queste, eh’ eran pur tante, che il popob concedesse una grazia, necessaria ad essi che la domandavano, pel pubblico bene : quindi lodò la concordia e la pace e rilevò di quanti beni Sten causa I’ una e T altra nelle citUi: condannò le sedizioni e le guerre intestine; e mostrò, che ne erano stale distrutte le città con gli abitanti, anzi le • intere nazioni : raccomandò che secondando l’ira non isceglies sero il peggio per lo migliore: che provredessero il futuro con saviezza, non si valessero in consultazioni gra vissime dèi consiglio de cittadini più tristi, ma di quelli che tenean per bonissimi, da’ quali sapeano sere stata tanto giovata in guerra ed in pace la patria, e de’ quali non era giusto che diffidassero, quasi avessero già mutato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi, che non dessero niun voto contro di Marcio, ma in vista prindpal mente di essi assolvessero quel valentuomo ; ricoi> dandosi quale egli era stato per la repubblica, quante guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per r impèro di Roma, e come non farebbero cosa nè pia; nè giusta, nè degna di. loro, se ingrati alle opere segnalate di lui ne punissero le vane parole. Esservi bellissima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen tava la sua pmeona ai nemici, per subirne in pace il giudizio che di lùi formerebbero. E se non che riconciliarsegli, persistevano duri, implacabili con esso, almeno giacché il Senato trecento i: più insigni della città, facevasi a supplioudì, s’ impietosissero e mansuefacessero, ciò considerando ; nè per punire un nemico ributtassero le {ghiere di tanti amici, ma in grazia di tanti valealuomini condonassero la pena di un solo. Dette queste consimili cose, aggiunse in ultimo, che se assolvesserò dopo dati i voti un tal uomo, parrebbouo ril.iaciarlo per non esser stato un ofTeusore del popolo : ma se proibivano di prosegniroe il giudieio, mostrerebbero di donarlo a tanti che per lui supplicavano. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinio il tribuno, e disse: che. uè egli tradirebbe la libertà del popolo, nè permetterebbe di buon grado che altri la tradissero. Pertanto se i patiizj sottomettevano realmente un tal uomo al giudizio del pòpolo, iàrebbe che su lui si votasse, nè punto da ciò i si scosterebbe. ^ E; qui subentrando Minucio replicava : Poichésiete o tribuni fermi in tutto eli dare il voto su quest’uomo; almeno non lo accusale di altro che della offesa imputatagli. K poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide di chiarate e convincete, ciò con gli argomenti t ma' non vogliate .nè ricordare nè accusare le parole, le quali 10 incolpavate, di^ carer. detto in Senato.^ Imperocché 11 Senato lo dichiarava immune da que'sta colpa j e sentenziò phe al popolo si. presentasse '..per le cause convenute. E qui lesse la seuteoBa. E pò,bn gli altri più potati de’ tfibutii. Manon eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare, combaciando da capo, numttò quante spedizioni militari avea sostenuto dalla prima età sua>per.^ blica, quante corone trionfali avea' riportate da saoi cc.^^ mandanti, quanti erano i nemici presi da lui prigionieri, quanti li Cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne profferiva io testimonio I capitani, e ne chiamava a nome i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e supplicando i cittadini a non uccidere, nè distruggere come nemico chi era la causa della loro salvezza ; chiedendo la vita di un solo per quella di tanti, ed esibendo in luogo di lui sestessi, perchè come più voleano ne disponessero. Erano i più di loro del popolo anzi al popolo utilissimi. E preso il popolo da verecondia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi, e ne pianse. Quando Marcio squarciandosi 1’ abito, mostrò pieno il petto, piene le altre membra di cicatrici, e dimandò se credeano poter esser le opere di un uomo stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e saU alo opprimerlo nella pace : e se chi fonda una rannlde, caccia dalla città una porle del popolo, dal (filale principalmente la tirannide si alimenta e corrohora. E lui parlando ancora, tutti i più mansueti, e più umani del popolo esclamavano, che si rilasciasse: e vergognavansi che stesse fio dal principio in giudizio per simil cagione un uomo che avea tante volte spregiata la propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i più invidiosi, tutti i più malevoli ai buoni, e più pronti alle sedizioni, soffrivano di mai in cuore di avere a liberare un tal uomo : tuttavia non sapeano che più fare, non apparendo in esso indizj nè di tirannide, nè di ambizion di tirannide, e su ciò dovessi giudicare. Or ciò vedendo quel Decio che avea ragionato in Senato, e procurato che si stendesse il decreto per la causa, levatosi in piede fece silenzio e disse : Poiché, o popolo, i patrizj hanno assoluto Marcio dalle parole dette in Senato, e da fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi onde accusarlo ; udite, non le parole, no, ma la egregia cosa che questo valentuomo vi apparecchiava ; uditene £ orgoglio, la sovverchieria, e conoscete qual vostra legge, egli privatissimo uomo, violasse. Koi tutti sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di acquistar col valore, tutte per legge son del comune, e che niuno, nemmeno lo stesso capitano, non che un privato, ne è £ arbitro ; sapete che il questore le prende, le vende, e, fattone danaro, lo versa nel pubblico erario. Or questa legge che niuno da cheRoma è Roma non solo non ha mai violato, ma nemmeno ha ripreso come non buona ; questa già firmala, invalsa, questa ha £ unico Marcio conculcata, appropriando le prede che erano del comune, £ anno scaduto, e non prima. Imperocché essendo noi scorsi su le terre degli Anziati, e pigliato avendovi prigionieri, e bestiami, e frumenti, ed altro in copia ; egli non depositò già tutto' nelle mani del questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo nel£ erario : ma divise in dono agli amici suoi per cattivarseli, tutta la preda ; or questo io dico eh’ egli è argomento certissimo di tirannide. E come no ? Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, li custodi della sua persona, li cooperatori della tirannide. E vi affermo che questo fu come un abrogare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure innanzi Marcio, e dimostri £ una o £ altra delle due; omelie egli non compartì le belliche prede a’ suoi amici ; o che se bene ciò fece, non ruppe la legge. Ma egli non potrà dire ninna di queste due cose. Imperocché voi sapete ( una e V altra, la legge e t opera : Nè mai potrete coll assolverlo, dar vista di conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio le corone ed i premj, lascia le ferite ed ogni ostentazione, e rispondi a questo, su che li concedo ornai che tu parli. Cagionò tale accusa grande mutazione; e li più dolci, e più premurosi per I’ assoluzione di questo uomo si rallentaron ciò udendo. E li più perfidi, quali erano i più della plebe, deliberati allatto di perderlo, vi si ostinarono ancor più, per una occasione si grande, e simanifesta. EU’ era ben vera la distribuzion della preda, non era però fatta per mal genio, nè in vista di una tirannide, come Decio calunniava, ma solo con fine benissimo, con quello cioè di riparare ai mali della repubblica : perchè essendo allora il popolo discorde ed alienato da’patrizj, i nemici dispregiandoli, ne scorrevano e ne predavano di continuo le campagne. E quante volle parve al Senato di spedire una forza che li reprimesse, ninno usciva del popolo, anzi giubbilava contemplando i casi d’ intorno, nè le forze dei patrizj bastavano a contrapporsi. Or ciò vedendo Marcio promise ai consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un’armata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto Marcio il potere, congregò li clienti, gli amici, e quanti voleano partecipare le sue fortune, e la sua gloria nelle armi. E quando parvegli che si fosse raccolta milizia sufficiente ; la menò su’ nemici che niente ne prevedeano. Scorso in region doviziosissima, ed arbitro divenuto di amplissima preda, permise alle sue milizie che tutta se la dividessero, afUnchè li compagni dell’ impresa, raccoltone il frutto, andassero pronti anche agli altri cimenti : e quelli, che impigrivano in casa, considerando da quanti beni, a’ quali poteano partecipare, gli allontanasse la sedizione; divenissero più savj per le spedizioni seguenti. Tale era su ciò la idea del valentuomo. Ma la turba invida e tenebrosa, considerandone con malvolere le operazioni, credette vedere in esse un predominio, nna largizione tirannica. Dond’ è che il Foro si riempié di clamori e di tumulto : nè più Marcio, nè il consolo, nè alcun altro sapeano che rispondere, riuscendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poiché dunque ninno più faceane le difese; i tribuni dispensarono alle tribù li suffragi, proponendo per pena del delitto Y' esilio perpetuo, io credo perchè temevano, che se proponevano la morte, non sarebbevi stato condannato. Dato da tutti il voto, e numeratili, non vi fu gran divario. Imperocché essendo allora ventuna le tribù le quali ottennero il voto, nove si decisero per la liberazione di Marcio, tanto che se altre due vi si aggiungevano, sarebbe stato, còme ordina la legge, liberato per la uguaglianza. Se le trìbCk erano at, e nove si dichiararono per Marcio: dunque dodici lo condannarono; e però ire o non due altre trilnt ci Toleano per uguagliare i Voli della condanna e dell’ assoluzione. Forse Dionigi Tuoi dire che se la tribù condaunaTauo cd undici assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in guisa, che per uu voto di più non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò è, nel lesto non vi è discordia, ma la voce dovrà tradursi I Fu questa la prima oitasione di un patrizio al popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu stabilito il costume che i tribuni chiamano chi lor piace de’ cittadini a subire il giudizio del popolo. £ dopo tal fatto ancora assai il popolo si elevò, decadendo nomtneno il potere de’ pochi, perché ne furono ridotti ad ammettere > plebei nel Senato, a concedere che aspirassero agli onori, a non vietare che prendessero i sacerdozi, e a dividere con essi per forza e loro malgrado, o per provvidenza e saviezza, i tanti bei pregi, un tempo proprj solo de’ patrizj, come ne’ luoghi opportuni diremo. Del resto l’ uso di citare i cittadini primai'j al giudizio della moltitudine può somministrare materia ben ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lodarlo ; perciocché molli uomini probi ed egregj ne sostennero cose non degne della loro virtù, fatti inglòriosameute uccidere e malvagiamente pe’ tribuni : e per r opposito ne pagarono pnre la debita pena molti uomini aiToganti e tirannici, astretti a dar conto del vivere e procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor buono le discussioni, e vi si reprimevano le esorbitanze dei graudi, quella sembrava mirabilissima cosa, ed erano da tulli lodata : ma quando a torto il merito vi si prostrava de’ valentuomini egregj nel governo del comune ; sembrava orribilissima, e gli autori se he accusavano non per la uguaglianza de' voti come abbiamo (allo ma per la efficacia de’ voti. Sappiasi in fioe che talono de’ critici afferma che le tribù allora erano 3i, e non 3i ; ma il Sigonio de civiiate Rom. G. 3, ed Onofrio Vanvlno al c. 8, sostengono che erano realmente Tcntuna. della coDsnetudtne. Esaminarono, evvero, più volte i Romani se la dovessero annullare, o custodire come r aveano ricevuta dagli antenati ; ma non diedero mai fine all’ esame. E se pur io debbo dirne ciocché ne penso, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consideri, vantaggiosa, anzi necessariissima a Roma ; esservi però più o mcn bene riuscita, secondo il carattere dei tribuni. Imperocché se scontravansi savj, giusti, e solleciti del pubblico, più che del proprio lor bene, e se chi offendeva la patria ne era, come dovea, castigato; in tal caso un timor vivo frenava ancor gli altri dai fare altrettanto. E 1’ uomo buono, 1’ uomo avvanzatosi eoo cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergognose, né gìudizj, alieni dal procedere suo. Ma quando aveansi il poter tribunizio nomini scellerati, intemperanti, avari, succedeane tutto l’opposito. Tantoché non dovessi rettificar come erronea la consuetudine, ma curar piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza che tanta autorità temerariamente si conferisse. Tali furono le cagioni, e tale il termine della prima sedizione de Romani dopo la espulsione dei re. Io ne parlai lungamente, perché ninno si meravigli come i patrizj permisero che il popolo si attribuisse tanto potere, nè succedessero intanto come in alure città, gli eccidj e le fughe degli ottimati.' Ciascuno brama conoscere delle insolite cose la cagione ; proporzionandosene a questa la credibilità. Dond’è che io conclusi che non sarei stato creduto in gran parte o in tutto, se io diceva nudamente, e senza allegarne le cause, che i patrizj aveano ceduto ai plebei la primazia ; e che polendo dominare come nei comando dei pochi, aveano fenduto il popolo arbitro di affari gravissimi: e cosi concludendo ; volli esprimerle tutte. E poiché ira loro non si violentarono e necessitarono colle armi, ma coocordaronsi colla persuasiva, giudicai portare il pregio dell’ opera, che si esponessero soprattutto i discorsi tenuti allor dai primari ciascun dei partiti. E ben io mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della guerra descrivere minutissimamente, e taivoha consumassero tante parole intorno di una sola battaglia dicendo la natura de’ luoghi, la proprietà delle armi, la forma delle ordinanae, le ammonizioni del capitano, e tatti i motivi, quanti coadiuvarono la vittoria ; nè poi credessero che narrando i movimenti, e le sedizioni civili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe quali si operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-' mente se nel governo de’ Romani vi fu portento degno di encomi, e della emulazione di tutti, fu questo a parer mio, famosissimo più che i tanti, che pur vi furono stupendissimi, vuol dire che i plebei spregiando i patrizi non si avventa sser su loro, uccidendone in copia i più insigni, ed usurpandone i beni, e che quelli che esercitavan le cariche non conquidessero di per sestessi o co’ soccorsi di fuori tutto il popolo, rimanendosene poi liberi da paure in città ; ma che a guisa di fratelli co’ fratelli, e di figli co' padri in una savia famiglia, la discorresser fra loro su’ diritti comuni, e finissero le controversie col dialogo e colia persuasione, senza permettersi gli nni contro degli altri azione alcuna inir DtOSttGl, tomo //• iG qua ed insanabile, come nelle loro sedizioni ne fecero i Corciresi, come gli Argivi, i Milesj, e la Sicilia intera, e tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi estenderne che ristringerne la narrazione ; e ciascuno ne pensi come glien pare.. Avuto allora il giudizio un tal esito, il popolo si parti con una vana ghiattauza; concependo aver tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne andavano umiliati e mesti, ed incolpavano Valerio per suggerimento del quale avevano rimessa al popolo la sentenza. E quelli che riconducevano Marcio, impietositi, ne sospiravano e ne lagrimavano : non però vedeasi Marcio né piangere, nè lamentare la sorte sua, nè dire o fare cosa qualunque, non degna de’ sublimi suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e fortezza deir animo suo, quando giunto in casa ridevi la moglie e la madre che aveansi squarciata la veste, e pesto il petto, e gridavano, come sogliono in simili casi, donne separate dai loro più cari per 1’ esilio, o per la morte : niente invili tra le lagrime, niente tra’ clamori delle donne. Ma dato loro un amplesso, le animava a tollerar virilmente la disgrazia, raccomandando ad esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni, ma sosteneano l’ altro colle braccia ancora. E senza dare altri pegni della sua benevolenza, e senza tor seco ciocché bisognavagli per 1’ esilio, usci sollecitamente dalle porte, non indicando a ninno, dove si trasferiva.,Venuto pochi giorni appresso il tempo de’comizj, furono dal popolo scelti consoli Quinto Sulpicio Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda volta. Turbarono quest’anno la città molti segni di celesti terrori. Imperocché apparvero a molti visioni insolite, e voci si udirono senza niun che parlasse ; le generazioni degli uomini e delle bestie assai scostandosi dal naturale tendevano al mostruoso ed all’ incredibile: e si udivano m più luoghi risonare gli oracoli, e donne da divino furor sorprese annunziavano alla città lamentevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio nellamoltitudine. Fece questo assai strage di bestiame, ma non molta fu la mortalità degli uomini, non estendendosi il morbo più in là che a far dei malati. E chi diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i quali si vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore de’ cittadini ; e chi dicea che gli eventi non erano opera divina, ma fortuiti, come tutte le vicende degli uomini. Poi si presentò, portatovi in una lettiga, un infermo, chiamato Tito Latino di nome, vecchissimo d’anni, fornito a sufficienza di beni, e che avea per lo più vivuto nella campagna, lavorandola colie sue mani. Costui venuto in Senato rivelò che avea tra il sonno veduto Giove Capitolino che standogli a fronte, ua, disse ; fa intendere d tuoi cittadini che nelT ultima pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon capo per la danza. Pertanto mi ripetano, e compiano un altra festa di nuovo, non avendo io accett ata la prima. Dicea costui che risvegliatosi non faeea verun caso delia visione, ma teneala come una delle comuni ed illusorie. Quando ecco infine gli si presentò nel sonno Anni di Roma a64 secondo Catone, 66 secondo Varrone, e 48iS av. Cristo. la immagiue stessa, e bieca e sdegnata, che non avesse annunziato i comandi al Senato, e minacciandolo, se non gli annunziava immantinente che apprenderebbe con grave suo danno a non trascurare gt IddJ. Questa seconda visione, egli disse, che la riguardò come la prima, vergognandosi di assumer rincarico, egli vecchio e lavoratore, di portare al Senato i sogni suoi, pieni di augnrio e di terrore, perchè non vi fosse deriso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo figlio, senza malattia, e senza niuna causa sensibile fu rapito da morte improvvisa. E ben tosto il simulacro stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che egli area già colla perdita del figlio subita la pena della sua trascuraggine, e del dispregio delle celesti voci, ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre. Udendo tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannuntio, Se avesse a morirsi, non più curando la vita: che non gli diede il nume però questa pena, ma che gl'internò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^ bili, non potendone movere parte alcuna senza tormento estremo. E che allora infine comunicato ^evento agli amici, venivane per consiglio loro al Senato. Pat^a, ciò dicendo, che poco a poco si riavesse dal dolore. Alfine compiuto il discorso, usci di lettiga, ed invocato il nume, ne andò per la città libero e sano in sua casa. Il Senato ne fu spaventato ed attonito , Questo fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega nel lib. I de Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l Ma il Senato avea bisoguo d’ illudere un popolo superstiiiuso, e ne secoudò li delirj. Per tali vie la verità si confonde, e si allouuna! nè sapeva inf]ovinare ciocché il nume signifìcasse, e qual fosse nella festa antecedente il duce, de’ salti che buono a lui non paresse. Àlfìne un tale, memore delr evento, lo disse ; e tutti se gli accordarono. Qr fu r evento cosi : Un Romano non ignobile consegnando un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero alla morte, ordinò per renderne più romorosa la pena, che lo traessero, flagellandolo, pel Foro, e per tutti, quanti erano, i luoghi più insigni della città. Precedè costui la festa che la città avea prescritto che si facesse in quei tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al supplizio slargandogli e legandogli ambedue le mani ad un legno, postogli dietro il petto e diretto per le spalle fino agli estremi delle braccia, lo seguivano, e lo battevano nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità gridava e con sconce voci, quali il dolore gliele suggeriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or questo giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indicato dai nume. E giacché sono a tal parte d’ istoria penso non dover tralasciare i riti che nella festa si tengono dai Romani: non perchè più bella ne sia la narrazione per giunte teatrali e per fioriti discorsi, ma perchè sia più credibile il proposito rilevantissimo, vuol dire, che greche furono le colonie fondatrici di Roma, e venute da famosissimi luoghi, e non barbare e non prive di case, come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine del primo libro, tessuto da me su la origine sua, promisi convalidarla con mille forti argomenti di leggi, di costumi, d' industrie che vi persistono ancora, quali si ricevette dagli avi ; nè giudico che basti a chi scrive le storie antiche de’ luoghi delioearle come degne di fede perchè tali si odono da’ paesani, ma per l’ opposito giudico che a renderle credibili abbisognino queste di altri documenti invincibili, quali 'sono principalissima mente le cerimonie, ed il cullo usato in ognr città verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li barbari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo tempo frenati dalla riverenza de’ numi vendicatori. E ciò fanno i barbari soprattutto per molte cagioni da non essere qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a dimenticare o corrómpere alcuna delle divine cose gii Egizj, i Lìbj, li Celti j gli Sciti, gl’ Indi # e generalmente tutti i barbari, seppure caduti sotto il comando di altri non furono necessitati ancora di volgersi ai riti loro. Roma però non fu mai ridotta a tal sorte, anzi essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva da’ barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s le istituzioni nazionali, per le quali g[iunse a tanta fortuna : e quindi dovette astringere tutti i sudditi a venerare gl' Iddj con le forme Romane come niigliori. Se dunque i Romani eran barbari, niente poteva ritardare che barbara si rendesse tutta la Grecia che ornai da sette generazioni ne porta il giogo. Alcuno forse crederà che bastino per segno non piccolo delle pratiche antiche, quelle che ancor vi si usano. Ma perchè altri noi prenda come insufhciente per la opinione non giusta, che i Romani quando vinser la Grecia, con piacere ne assunsero i costumi come migliori, ripudiando i proprj ; ho deliberato aiv _ gomentar dal tempo quando essi non ci dominavano ancora, nè avevano olire mare 1’ impero, valendomi deir autorità di Quinto Fabio senza che altra me ne bisogni. Imperocché antichissimo tra quanti scrissero le cose ror.. .u., ce le accredita -non solo perciò che ne ha udito, ma perciò che ne ha veduto ancora. Il Senato, come ho detto di sopra, aveva decretato quella lesta, per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio dittatore, quando fu per combattere le cittàribellatesi de’Latini, che tentavano rimettere Tarquinio sul trono: ed aveva decretato che si applicassero ogni anno ptr li sagriGcj e pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e puntualmente ve le applicarono fino alla guerra con i Cartaginesi. In questi sacri giorni si faceano molte cose conformi alle greche usanze circa il concorso, 1’ accoglienza de’ forestieri, e le immunità, cose tutte > ben difficili a descriversi. Le cose poi, che concernono la pompa, i sagrifizj, ed i certami, erano come sieguono, e ben da queste si possono argomentare, quali fossero ancora, le tante cbe sen taciono. Prima cbe si desse principio ai giuochi, le persone che aveano il potere più graude, avviavano dal Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo Massimo : e nella pompa eran primi i lor figli prossimi alla pubertà : ma que’ garzoncelli che poteano per 1’ età far parte della pompa ne andavano a cavallo se fossero di equestre famiglia, o a piedi, se a piedi dovessero mili^'U'e; e .quali nc andavano ad ale e caterve, e quali a corpi ed ordinanze maggiori come per essere istruiti: e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Romana che era per giungere alla età militare, e quanto ne fosse il numero^ e quanta la bellezza. Venivano appresso loro i guidatori di quadrighe, di bighe, ed altri che pompeggiavano su cavalli non aggiogati. Seguivano quindi i combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi si vedevano, se non quanto velavano le parti del sesso. E tal costume conservasi ancor tra' Romani come nei prìncipi aveasi pure tra’ Greci, finché tra’ Greci vi fu tolto dai Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi il corpo e nudo corse ne’ giuochi Olimpici nella olimpiade decimaquinta fu Acanto di Lacedemonia; laddove innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere tolto nudo il corpo ne’ spettacoli, come certifica Omero scrittore antichissimo e degnissimo più che tutti di fede, il quale introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrìvendo il certame di Ajace e di Ulisse ne’ funebri onori di Patroclo disse : Sceser cimi di zona ambi alla pugna. E ciò dichiara ancor più nell’ Odissea, narrando il pugilato di Irò e di Ulisse in tal modo : SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse, E di una zona circondàndo i lombi, Gli ampi e voghi suoi femori scopria, ' E nude Sen vedean le vaste spalle,, Nudo il petto t e le braccia. Ed introducendo quel misero che non volea combattere, ma ne temea ; scrive : Cosi diceano : ad Irò il cor si scosse .•. Cinserlo i proci di una zona, e tutto Tremante lo sospinsero alla pugna. Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino ali’ ultimo tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero ultimamente da noi, anzi che non lo mutaron col • tempo, come abbiamo noi fatto. Teneau dietro agli atleti, cori di saltatori divisi in tre bande : erano i primi adulti, imberbi gli altri, e giovani gli ultimi ; venivano quindi sonatori che davan fiato a tibie di antica forma, e picciole, come costumasi ancora, e citaredi che toccavan col plettro lire eburnee di sette corde, ed altre ancora di più, barbiti nominati. DI questi era mancato l’uso ne’ miei tempi tra’ Greci quantunque fosse lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i sagrifizj 'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori purpuree toniche, cinte con metalliche fasce, e spade che ne pendeano, ed aste anzi corte che giuste : vedeasi negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi, e pcnnacchj che P adornavano. Era di ogni coro il duce un uomo il qual dava agli altri la forma del ballo ; rappresentando moti marziali e vivi, con ritmo per lo più proceleusmatico. Era greca antichissima pratica anche quella di saltare colle armi e Pirrica si chiamava, sia che Minerva cominciasse la prima dopo la disfatta de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici trionfali per la vittoria ; sia che prima ancora fosse il Proceleusmatico cbiamaTasi no piè metrico di quattro sillabe brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano premettersi, caulandoli, r7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni o comandi. Quindi il ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe avere allusione a tali piedi o versi, ed esortazioni. rito Introdotto da’ Cureti, quando educando Giova voleano carezzarlo col suono delle arme, e con lièti moti e cadenze, come la favola narra. Omero più volte, e principalmente nella foiDiazione dello' scudo che dice donato da Vulcano ad Achille, mostra l’ antichità • di questo rito, e la nascita sua tra’ Greci. Imperocché rappresentando in esso due città, l' una ornata di pace bella, e l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era naturale, la felicità di quella con feste, con matrimonj, e conviti, e dice : Faeton la danza i (Rovani, e frattanto Vdiati il suon di tibie, e cetre ; e tutte, Meravigliando ai limitar di casa, Stavan le donne. E di nuovo elogiando con vago ornamento nello scudo un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice : Aveaci espresso V inclito Vulcano Un vario coro somigliante a quello. Che Dedalo formò per Arianna, Che in si bei ricci avea la chioma attorta : Qui giovinetti e ver^nelle vaghe. Tenendosi per man, facean lor dama. Ed esponendo 1’ ornamento di questo coro per dichiarare che i giovani saltavano colle arme, scrive ' E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi Aurate spade a cinti argentei appese. E parlando dei duci del salto loro, di quelli che davano agli altri le prime mosse, dice :. Il popolo prendea dolce diletto Intorno al coro; e due de' saltatori Clan cantando e danzando a tutti in mezzo, Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci riti da qnfsie danze marziali ed ordinale, usate da' Romani ne’sagrifìcj e nelle pompe, ma dalle danze ancora sati ricFie e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi in mostra cori imitatori de’ satiri, non dissimili dalla greca Sicinne. L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano ispide vesti, chiamale da alcuni Cortee ; e manti con ogni varietà di fiori: in quelli poi che somigliavano un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo criniere irte di lioni, e cose altrettali. Or questi beffavano e contraffaceano serj moti, spargendovi del ridicolo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che era antico e proprio de’ Romani il motteggio e la satira. Imperocché permettevasi u quelli che segui van la pompa lanciar beffe e giambi so gli uomini più riguardevoli, c fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene era^ permesso che nè lanciasser quelli che sul carro se^itavau la pompa, e che ora cantan versi improvvisi. Eid io ne’ funerali di personaggi cospicui, specialmente se già fortunati, vidi tra le altre pompe cori in forma di satiri che precedevano il feretro, e saltavano come nella Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de’ satiri non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè di altri barbari, abitanti dell’ Italia, ma de’ Greci ; temo di sembrare molesto, volendo a lungo convincere una cosa della quale già si conviene. Dopo questi cori pasA Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di saltasione nel I. a c. 19. lusiiiul. Poei. (a) Cortee proviene questa voce da ^cfTts r:hc siguitica Jìeno, erba CC. ’ e savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli che portavano profumi di aromi e d’ Incensi, e quelli che portavano lavori meravigliosi di oro e di argento sia de’templi, sia del comune. Venivano In ukimo della pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini foggiati come quelli de’ Greci quanto alla forma, agli, abiti, al simboli ed al doni, secondo che que’ numi es-‘ sendooe stati I trovatori, gli aveano, ciascuno., donati ai mortali, nè solo v’ erano I simulacri di Giove, di Giunone, di Minerva, di Nettuno, e degli altri che li Greci contano tra I dodici numi ; ma di altri più antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i simulacri di Saturno, di Rea, di Temide, di Làlona, delle Parche, di Miiemosine, in somma di lotti, quanti hao templi, ed are fra i Greci, come quelli de’ numi che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero, vuol dire quelli di Proserpina, di Lucina, delle Ninfe, delle Muse, delle Ore, delle Grazie, di Bacco, e quelli de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l corporeo frale diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini, cioè quelli di Ercole, di Esculapio, di Castore e Poi luce, di Elena, di Pane, e di altri mille. Se dunque i fondatori di Roma eran barbari, e se v’istituiron tal festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi e genj della Grecia, negligentando I propr) ? Almeno mi si dimostri un altra gente non greca, la quale avesse Erodoto narra nel libro seconda che: i Greci derivarono questi dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio scrive die questi erano : Giove, Apollo, Mercurio, Nettuno, Marte, Vulcano, Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta. tali sante cose come nazionali ; ed allora si condanni la mia dimostrazione come non buona. Terminata la pompa facean sagri Gzio i consoli e que’ sacerdoti a’ quali spettavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra noi. Lavatesi le mani, lustrate le vittime con acqua pura, sparsi i frutti di Cerere sul capo di esse, e poi fatti de’ voti, comandavano infine ai loro ministri d’ immolarle. E quale di questi mentre la vittima era in piede ancora ne percotea le tempia colla mazza, e quale nel cadere la trafiggeva colle coltella. E poi scorticandola c squartandola prendean le primiziedi ciascuno de’ visceri e di ogni membro : e sparsele con farina di fiiTo, le portavano ne’ bacini a quelli che sagrilìcavano : e questi soprappostele all’ altare, le arde-^ vano, e spruzzavano intanto di vino. E poi facile intendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste cose fatta secondo le leggi istituite da’ Greci pe’sagrifizj: perciocché descrive gli eroi che si lavan le mani ed usano farina di farro con sale dicendo : E lavaron le mani, e sparser farro : E che ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei detti : Ma cominciando il santo rito getta 1 capelli sul foco ; E li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le vittime, e che cadute le immolano come fa nel sagrifizio di Emeo. Percotela, di quercia alzando un tronco, Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme Lo spirito la vittima, e qui gli altri Miseria in inani, e ne arrostino. E descriveli che pigliano le primizie delle viscere, e di altri membri, e le infarinano, e le bruciano su gli altari: come fa nel sagri fì ciò medesimo. E da ogni parie le primìzie piglia Be’ membri tutù, e crudi ancor li copre Di grasso, e di farina ; e dagli al foco. Ora io so per averlo veduto, che i Romani osservano ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su questo argomento, anche solo, mi rendei certo, clie i fondatori di Roma non furono barbari, ma grecivenuti da tutte le parti. Ben può essere che alcuni baiiiari somiglino in pane ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz), e delle feste ; ma che in tutto somiglino loro, ciò non è verisimile. Mi resta ora di dir brevemente de’ giuochi che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa delie quadrighe, delle bighe, e dei cavalli sciolti, come nei giuochi Olimpiaci e Pitiaci de’ Greci in antico, e fiu di presente. Ne’ certami equestri si conservano ancora tra’ Romani due istituzioni antiche, come furono fondate in principio, quella cioè de’ carri a tre cavalli, la quale ora in Grecia è cessata ; sebben vi fosse anticbissima e già ne’ tempi eroici ; introducendo Omero de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché essendo due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo accompagnavali contenuto e tratto colle redini, e chiamato parioron appunto dall’ esser più libero ; e non come gli altri in biga. L’ altra cosa di cui restano ancor le vesiigie ne’ riti aniichi di alcune poche città di Grecia è la corsa di quelli che anduvau su’ Carri ; peroccliè finite le gare a cavallo, smontati dal carro quelli clt e sedere presso del focolare in silensio era un aulichissioia maniera di supplicare. Addita anche ciò Tucidide nel t libro, discorrendo di Temistocle: e si vede un tal rito piò chiaramente io Plutarco nella vita di Coriolano, appunto iu questo luogo. le calamità che lo (lageilavaDO, e lo ìnchinaTano a ricorrere perfino ai nemici, pregavalo ad avere idee miti e benevole verso chi rivolgevasi a lui, non a tenerlo, mentre davaglisi nelle mani, come avvemrio, nè a mostrar la sua forza contro gl' infelici e depressi, e ri flettere piuttosto quanto istabili fossero le sorti degli uomini. £ ciò puoi, disse, apprendere principidmente da me, che già potentissimo fra tutti in città grandissima, ora derelitto, infelice, bandito, senza patria, debbo correr la sorte che vuoi tu destinarmi. Io, se tu amico me ne rendi, io ti prometto far tanto bene ai Volsci, quanto male ad essi cagionai, mentre ne era nemico. Ala se prevedi tuU' altro di me, siegui r ira tua, dammi in sulC atto la morte, immolando colle stesse tue mani il supplichevole tuo, presso a’ tuoi focolari. IL Or lui cosi dicendo, Tulio gli stese la destra, e sollevandolo, animavaio a confidare ; perocché non sof^ frirebbe cose indegne della sua virtù : professavasi insieme obbligatissimo che avesse ricorso a lui, per essere questa non picciola significazione di onore : promise che renderebbegli amici tutti i Volsci, cominciando dalla patria sua, nè mentite ne furono le parole. Dopo non molto tempo deliberandone da solo a solo, Marcio e Tulio, conchiuscro di movere la guerra, Tulio, concentrando tutte le forze de' Volsci, voleva marciare immantinente su Roma, mentre era agitata ancora dalla sedizione, e sotto consoli imbelli. Marcio in opposito pensava che vi abbisognasse prima un titolo onesto e giusto di guerra ; dicendo che gl’ Iddj mcschiavansi a tulle le cose, e panico Urmenle a quelle della guerra quanto sono più rilevanti, ed oscure nell’ esito. Aveaci allora tra’ Volsci e tra' Romani sospension d’arme, e tregua ed amicizia, conchiusa poco innanzi per due anni. Se tnovi, disse, inconsideratamente e precipitosamente la guerra, tu sarai colpevole di aver rotti gli accordi, nè te ne avrai propizj gVIddj ; ma se aspetti che i Eomani ciò facciano ; si giudicherà che tu risospingali, e protegga la confederazione che violano. Ben ho io con assai provvidenza trovato come ciò facciasi, e come essi i primi volgansi alle arme, e noi siam giudicati et imprendere una guerra giusta e santa. Bisogna che per maneggio nostro essi i primi offendano il giusto : e tale è questo maneggio che io finora ho celato profondamente, aspettandone il tempo, e che ora di necessità, sollecitissimo, ti svelo, procurandone tu la esecuzione. Debbono i Romani far sagrifizj e giuochi assai sontuosi e magnifici, e molti accorreranno di fuori agli spettacoli. Attendi la occasione, ed accorri tu pure a tanto apparato, dando opera insieme, che vi accorra, il più che per te si possa de’ Volsci. Come tu sia in città, fa che alcuno degli intimi tuoi vadane ai consoli, e dica loro secretissimamente, che i Volsci tra la notte assaliranno Roma, e che perciò vengono in tanta moltitudine. Tu ben sai quanto apprezzeranno la nuova : vi cacceran senza indugio da Roma, e vi porgeranno un titolo giusto di risentimento. HI. Esultò Tulio meravigliosamente, ciò udendo : e differito il tempo d’ imprendere ; diedesi ad apparecchiare la gnerra. Approssimatisi poi gli spettacoli, ed essendo già consoli Giulio e' Pinario ; am>rsevi da tutte le città la gioventà più florida dei Yolsei, come Tulio bramava. La maggior parte non avendo ricetto ndle case e preo degli ospiti, presero alloggio in sacri e pubblici luoghi; e quando giravansi per le strade, ne andavano a crocchi e moltitudini : tantoché già su loro in città si faceauo discorsi e sospetti non buoni. In questo mezzo venne ai consoli un delatore apparecchiato da Tulio, come avea Marcio suggerito : e quasi avesse a svelare a' nemici una pratirà arcana in danno degli amici suoi, strinse ’i consoli a giurare di salvar lui, né mai dire ad alcuno de’ Yolsei chi avesse ciò palesato, e poi dinuneiò gli assalti mentiti. Parve ai consoli vero il racconto, e ben tosto invitati i senatori ad uno ad uno, si congregarono. Presentatovi il delatore, ed avutene le eguali promesse, replicò la dinunzia medesima. Coloro a’ quali parea già cosa piena di sospetto che venuta fosse agii spettacoli tanta gioventù di una sola nazione nemica, assai più ne temerono, aggiungendovisi ora una dinunzia della quale ignoravano la frodolenza. Parve a tutti che si cacciasser di città quei forestieri prima che il di tramontasse con bando di morte a chi non ubbidisse; e che li consoli invigilassero sicché tranquilla ne fosse la uscita, e senza offese. lY. Decretato ciò dal Senato, altri scorrendo le strade intimavano ai Yolsei di partire immantinente tutti per la porta detta Capena, ed altri con i consoli li scortavano, mentre partivano. Or qui più che altrove si conobbe quanta mai fosse, e quanta vigorosa quella moltiiadine ; uscendo In un tempo tutu per una porU. Usci sollecitissimo Tulio prima che tutti, e prese non lungi da Roma un tal posto, dove raccogliere gli altri che seguitavano. E quando tutti furono giunti, convo> catane l' adunanza, assai v’ incolpò li Romani, dichia> rando grave ed indicibile 1’ affronto de Volsci, unici ad essere espulsi fra tanti forestieri : ed eccitandoli tulli perchè ciascuno lo raccontasse in sua patria, e vi trattassero le maniere di vendicarsene e reprimere per l’avvenire tanta insolenza ne’ Romani. Cosi dicendo ed infiammandoli, dolenti già per 1’ oltraggio, sciolse 1’ udienza. Ricondottisi in patria, ridissero ciascuno ai compagni la ingiuria, esaggerandola, unto che ne furono tutti esacerbali, nè poleano rattemperarne lo sdegno. E spedendo una città all’ altra degli ambasciadori, chiesero un congresso generale, per concordarvisi intorno la guerra. Succedeva tutto ciò per briga di Tulio principalmente. Cosi li magistrati di tutte le città, e moltitudine grande ancora di altri adunaronsi nella città di Eccetra, ripuUU la più acconcia per congregarvisi. Dettevi assai cose dai capi di ogni città, si dispensarono i voli finalmente, e prevalse il partito di mover la guerra, avendo primi i Romani conculcato gli accordi. Y. E qui proponendo i magistrati varj che si discutesse la maniera di fare la guerra, presentatosi Tulio consigliò che si chiamasse Marcio, e da lui si udissero i metodi di abbattere la potenza Romana ; giacché ninno più di lui conoscea da qual lato questa fosse inferma, e da quale vigorosa. Il consiglio piacque e tutti cscla I I tnarono che si chiamasse immantinente il valentuomo. Marcio ottenuta l’ occasion che volea, presentatosi mesto e piangente soprastette alcun tempo e poi disse: Se 10 vedessi che tutti pensaste ad un modo su la mia disgrazia, giudicherei non essere necessario difendermene. Ma considerando che Ira indoli tante e varie evvene forse alcuna che forma concetti né veri nè degni sopra di me, quasi il popolo m' abbia per cagioni solide e giuste espulso di patria ; debbo innanzi tutto dir qui tra voi circa il mio esigilo. E voi che ben sapete P infortunio che io m’ ho da' nemici, e come indegnamente io sia perseguitalo dalla sorte, voi, mentre qui lo espongo, contenetevi, prego, nè vogliate desiderare d intendere ciocché dee farsi, prima che ne abbiate compreso chi sia che i^i consiglia. Breve ne sarà il discorso quantunque pigliato dalle origini. Era 11 governo Romano da principio un tal misto del comando di un solo e dei pochi ; fnchè Tarquinio, r ultimo de' monarchi, tentò volgerlo tutto in tirannide. Adunque i capi nel comando de’ pochi insorgendone, lo espulsero : e subentrando essi al maneggio del pubblico, basai orto una reggenza più savia per confessione di tutti, e più buona. Ma da ora in dietro non più che Ire o quattf anni, i più miseri, e li più oziosi de' cittadini, dandosi capi scelerati, ne coperser d ingiurie ; tentando infine di abbattere l' aulì] Queste lagrime forse le TÌile più Io storico che Marcio. It contegno Ji >{uesto valoroso era stalo hen altro coi tribuni e col popolo li Roma come apparisce dal libro antecclcnte j e 'come può coucloJersi dal $ del presente. /oriUÌ de pochi. I capi del Senato ne incollerirono tutti, e cercarono come reprimere la insolenza de' rivoltosi. Di mezzo a c/uegli ottimati udppio C uno dei seniori, degnissimo di lode per tanti titoli, ed io V uno de’ giovani, parlammo sempre liberissimamente non per combattere il popolo, ma perchè sospetta ci era la prepotenza de' ribaldi; non per rendere schiavo niuno, ma per garantire a tutti la libertà, come ai migliori il comando sul pubblico. VI. Or ciò vedendo que’ tristissimi capipopolo vollero in priruipio tor di mezzo noi franchissimi oppositori : e gittarono le mani, non già su tutti due in un tempo perchè il fatto non fosse grave troppo ed esoso, ma su me primieramente che era il più giovane, e men dijfcile da opprimere. Cosi tentarono di perdere me prima senz' (uUorità di giudizio, e poi mi chiesero dal Senato per la morte. Ala venuti lor meno ambedue que tentativi ; mi citarono ad un giudizio ( ed essi aveano ad esserne i giudici ) per incolpazioni di bramala tirannide ; nè videro che rùun tiranno tenendosela co’ pochi combatte il popolo, e che piuttosto egli col popolo conquide il partito più valido nella città. Un giudizio mi destinarono non per centurie, com’ era C uso della patria, ma un giudizio come tutti consentono, iniquissimo, e, la prima e f unica volta, su me praticato, un giudizio dove i merccnarj, li vagabondi, e quanti insidiano gli averi altrui, preponderavano su' boni che voleano salvi i diritti ed il pubblico. E tante erano in me le ragioni per non esserne condannato, che sottomesso ai giu 1.3 ditj di una turba, odiatrice in gran parte de' buoni, e però mia nemica^ non fui sopraffatto che per due voti: sebbene i tribuni divulgassero che assai sarebbero disonorali nel loro comando, e patirebbono da me l estremo de mali se io fossi assoluto, ed insi^ stessero intanto contro me con tutto F ardore e la sollecitudine nella causa. Così malmenato damici cit^ ladini, reputai che più non sarebbe vita la mia, se non prendessi di loro vendetta. Quindi sebbene il potessi, ricusai vivere senza cure, o tra’ parenti nelle città de’ Latini, o nelle colonie fondale di recente dà miei maggiori : e tra voi mi ricorsi, che io ben sapeva essere tanto -offesi da’ Romani e nemicissimi loro, per farne con voi quanto -potessi le vendette colle parole, se le parole vi bisognavano ; o colle opere, se le opere. Intanto io vi rendo amplissime grazie ; perchè mi avete voi ricevuto, e perchè mi date tali significazioni di onore, niente ricordando, nò contando i mali che un tempo voi rtemici miei, avete da me sostenuto fra le arme. VU. Or dite, e qual genio sarei io mai se spogliato da uomini per me beneficati, della riputazione e degli onori quali tra miei mi si competevano, e privato della patria, della famiglia, degli amici, dei numi patemi, delle tombe avite e di ogni altro bene; se ritrovate tra voi tutte queste cose per le quali già in grazia ài essi v infestai colia guerra ; ora terribile non mi dimostrassi con quelli che nemici mi furono in luogo di cittadini, e propizio agli altri che amici mi si rerìdono di nemici ? Io sicuramente non terrei nemmeno per uomo chiunque nè ax>esse nitnicizia per chicli fa guerra, nè benevolenza per chi lo ha salitilo :non iilitno mia patria una città che mi ha ripntliato, ma quella, dove sehben forestiero divengovi cittadino : nè già reputo amica la terra ove sono oltraggiato, ma quella ove trovo la sicurezza. E se Dio ne porga il favor suo, e voi pronta, com’ è giusto, C opera vostra ; seguiranno, spero, grandi e subiti cambiamenti, foi ben sapete che i Romani cimentatisi con tanti nemici non han temuto niun più che voi ; e che niente cercati più attenti quanto indebolire Ya vostra nazione. E pigliandole colle arme, e devUmdovele colle speranze di amicizia, ritengonsi le vostre città per questo, appunto, perchè unendovi tutti in un corpo non portiate su loro la guerra. Se voi dunque a vicenda persevererete procurando il contrario ; e se avrete come ora, tutti un animo per la guerra ; Jacìlmente abbcUterete la loro potenza. Vili. E poiché ricercale il parer mio sul modo di entrate in campo e dirigervi, sia per attestato della esperienza mia, sia della vostra benevolenza, sia per [ uno e { altro ; io dirò tutto, e senza velo. Primieramente vi esorto a vedere che vi abbiate una causa religiosa e giusta di guerra. E come religiosa, come giusta, come utile insieme ve l’ abbiate ( in udite. Picciolo, sterile, aveano da principio i Romani il lor territorio, ma vasto, e buono è quel che vi aggiunseio, togliendolo a’ vicini ; e se ciascuno dei derubati tipela il suo, tiiutia città diverrà quanto Roma picciola, debole, bisognosa. Or io penso che voi doiHate i primi cominciare. Spedite ambasciadori che richiedano le vostre città, quante ne tengono, e che intimino loro di abbandonare, quanto han fabbricato per le vostre campagne, e li premano a rendervi, quanto si hanno di vostro appropriato colle armi: nè vogliate prima che vi rispondano, romper la guerra. Cosi facendo otterrete V una o t altra delle cose che più bramate. Vuol dire, o ricupererete le cose vostre, senza pericoli e spese ; o rinvenuto avrete il titolo onesto e giusto di prender le arme : giacché tutti confesseran per bellissima la condotta di non chieder r altrui, ma il proprio; e di combattere in fine se non ottengasi. Or su, qual cosa pensate, faranno i Eomani a tali vostre proposte ? che renderanno forse le vosUe regioni ? ma qual cosa impedirebbe più mai che lasciasser tutto t altrui? se verrebbero poi gli Equi e gli Albani, se i Tirreni e tanti altri a ripetere ognun le sue terre. O pensate che riterranno le vostre cose, nè vorranno affatto la giustizia ? Così appunto io ne penso. Voi dunque protestandovi, i primi, offesi da loro; e volgervi per sola necessità alla guerra ; avrete compagni, quanti spogliati de’ beni hanno fin qui disperalo ricuperarli altrimenti, che per le arme. Bellissima è poi la occasione, e di cui non avrete mai più la simile per andar su Bomani, preparata fuori di ogni speranza dalla sorte propizia agli offesi; perciocché li Romani, discordi e sospetti fra loro a vicenda, nemmeno luin capi idonei per la guerra. E questo è quanto io poteva suggerire e raccomandar con parole agli amici, detto lutto con cuor sincero e benevolo : quanto poi si dovrà provvedere e compier colle opere, lasciate che i duci deli armata lo curino. RispeUo a me son per voi, comunque di me disponiate; e mi sforzerò di non riuscirvi U pm ignobile sia de’ soldati sia de’ centurioni, sia de' capitani. Spendetemi dove pià vi son uUle, e tenetevi cerio, che io, che già contro voi guerreggiando, tanto vi ho danneggiato; ora, per voi combattendo altrettanto vi gioverò. IX. Marcio cosi disse, e U Volsci, menlre parlata ancora, davan segno di gradirne i discorsi : ma poi che ucque, miti a gran voce allesUrono che benissimo consigliava ; e senza concedere che altri più disputasse, ratificarono il parer suo. Quindi stesone il decreto, e scelti immantinente i personaggi più riguardevoli di ogni cillA, gl’ inviarono ambasciadori a Roma : dichiararono Marcio membro de’ consigli in ogni città, e lo auumzzarono a conseguire in ciascuna le magistrature e gli onori più grandi che vi erano. Per altro anche innanzi le risposte de’ Romani, si diedero agli apparecchi di guerra. E quanti erano ancora disaaimali per le perdite nelle battaglie antecedenti, tutù si rincorarono quasi fossero per abbattere la potenza Romana. Gli oratori spediti a Roma, presentali al Senato, dissero, che sarebbe a’ FoLsci carissimo cessare le controversie coi Romani, e viverne da ora innanzi alleati ed amici senz artifici ed inganni : e dichiarano che stabile sarà questa fede e quest' amicizia, se riabbiano le terre e le città che furono tolta loro da’ Romani : laddove in altro modo nò pace mai vi sarà, né amicizia coslan. 1-j te ; giacché V offeso è naturalmente in guerra perpetua colf offensore. Cliiecleaao pertanto di non essere colla esclusione delle giuste dimcuide necessitati alla guerra. X. Detto dò, fecero i padri ritirar gli oratori, e consullaron fra loro. E cónchiusa la risposta ^ li riobia> maroQO in Senato, e dissero : Conosciamo o Fólsci che voi non f amicizia cercate ; ma pretesti splendidi di guerra : perocché ben vedete che mai vi saran concedute le dimande, per le quali venite, indegne, inammissibili. Se voi date ci aveste da voi stessi e pentitine' poi ci raddomandaste le vostre terre ; non sareste affatto oltraggiati, non riavendole. Ora però voi oltraggiate noi, pretendendo ciocché è degli altri: giacché non eravate voi gli arbitri delle terre, se la légge delle armi ve le toglieva. ^ noi teniam per giustissimo quanto possediamo. per le vittorie : nè primi noi abbiamo fondata questa legge, nè la crediamo degli uomini, anziché degli Dei. E se i Greci, se i barbari tutti se ne valgono ; noi non tlaremo già in ciò segrà di debolezza, nè renderemo punto delle nostre conquiste. Imperocché ben sarebbe vituperosissima cosa lasciarsi per timore e per stoltezza ritogliere ciò che per senno e per nuignanimità si possiede. Noi nè a combattere vi necessitiamo, se non volete ; nè se volete, ve ne ritiriamo. La rispingeremo, se ce la incominciate, la guerra. Riportate ai Folsci queste risposte, e dite, che se pigliano essi i primi le arme, noi gli ultimi lo deporremo, Diomai, tomo ut. Prese qpeste risposle Je riferirono gli tmibascia dori al Comune de Volaci. E convocato di bel nuovo U Consiglio, si concbiuse in fine d’ intimare a nome di tutta la nazione la guerra ai Romani. Quindi scelsero Tulio e Marcio con assoluto potere capitani di tutta 1’ armata, e decretarono che si ascrivesser milizie, si contribuisser danari, c si facessero altri apparecchi, quanti ne vedean necessarj per la impresa. 'E già essendo per isciogliersi l’ adunanza ; Mar.io levatosi in piè disse e Bonissimo è quanto si è qui decretato dal vostro Comune ; e facciasi pur tutto a suo tempo. Intanto però che qui scrivonsi le milizie, e preparansi le altre cose che dimandano cura e tempo ; io e Tulio ci porremo in su r opera.. Seguite noi, quanti volete, saccheggiando le campagne nemiche, partecipare a gran prede. Io vi prometto, se il del ne ajuta, molti e grandi vantaggi. Li Romani non sonasi ancora apparecchiati, vedendo che noi non abbiamo riunito le forze; sicché potremo senza paura scorrere a nostro bell agio tutte le loro campagne. Accettato da’ Volsci anche questo partito, j duci uscirono immantinente, e prima che in Roma se ne sapesse, con molta soldatesca volontaria. Tulio si gettò con parte di essa nel territorio latino per impedire i soccorsi che di là ne andrebbero al nemici, e Marcio guidò le altre aUe campagne di Roma. 11 male giunse improvviso a quelli che vi erano ; e. caddero in poter de' nemici molti ingenui Romani e molti schiavi; e bovi e giumenti’, ed altro bestiame non poco. Quanto era derelitto di grano, di ferramenti, o di altro onde la terra cohirasi, tutto fu predato, o disfatto. Dii uU timo recando 'fino il fuoco, lo gettarono i Volscl pe’ca sali ; tanto che quelli che ne furono spogliati, non po3 secondo Varrone c 486 aranii Cristo. perocché ne andarono ai Volsci appena si ebbe la guep. ra, e concordarono, e giurarono T alleanza. Or questi spedirono a Marcio la milizia più numerosa e più risolutai. Dato da questi un principio, molti altri ancora favorivano occultamente i Volsci ; mandando loro dei sussidi non però per decreto o pubblica approvazione. E se taluno de’ loro voleva a quelli coogiungersi', 've gl’ incitavano, non che gl’ impedissero. Dond’ è che i Volsci accozzarono in breve tempo tanta milizia, quanta mai più per addietro, nemmen quando le loro città più 6orìvano. Marcio che ne era il duce la gittò di bel nuovo su le campagne di Roma ; e tenendovisi molti giorni, devastò quanto crasi lasciato nella prima incursione. Non prése però questa volta prigionieri molti ingenui uomini, giacché, raccolte le cose più pregévoli, ransl questi ritirati^ in Roma o ne’ castelli più vicini, e meglio fortiGcalj. Ma depredò il bestiame che non arcano potpto ridurre altrove, e gli uomini che lo pasturavano, come il grano tenuto ancora nelle aje ed altri prodotti che raccoglie vanSi o che erano già pe’ grana). Cosi derubata 6' guastata ogni cosa, non osando alcuno di conlrapporglisi, riportò nuovamente in patria 1’ esercito, carico di grandi acquisti, e quindi lento in sua marcia. I Volsci veduto'!’ ampio guadagno, e convintisi dell’ abbattimento de’ Romani, che predatori già delle robbe altrui, miravano ora devastarsi impunemente le proprie; ne imbaldanzirono soprammodo, e concepirono pur la speranza di dominare, quasi fosse per loro facilissima e vicinissima cosa annientare il potere degli avversar]. Adunque facaano agl’ Iddj sacriBzj di nngrauamento, oraavapo i templi ed i pubblici fori di spoglie che dedicavano. E tutti iu feste, in sollazzi, ammiravano e celebravano Marcio, qual uomo ipsignitaimo fra gli altri nella guerra, e qual duce cui ntun pareggiava non Romano, non Greco, non barbaro cajiitano.. Soprattutto lo felicitavano della sua prosperità ; vedendo che quanto intraprendeva, riuscivagji tutto speditissimamenle, secondo i disegni. Tanto che ninn v’era di età militare il qual, volesse non esser con lui; ma spiccavansi, e venivano da tutte le città per aver parte nelle sue gesta. Il duce, corroborato ]’ ardore dei Volici, e depresso il coor de’ nemici, e ridottolo ad irrisolutezza indegna de’ valentuomini, marciò coll’ esereito contro le città che alleate di essi teneansi ajncora fedeli:. ed avendo ben tosto apparecchiato quanto ricercavasi per gli assedj, piombò su’ Tolerini, gente del, Lazio. I Tolerini, preparatisi molto prima per la gueiv ra, e portalo in dllà, quanto^ bisognavacl della campagna, ne scontraron l’ assalto. Ben resisterono alcup tempo, combattendo e ferendo ip copia i nemici, dalle mura, ma risospinti è travagliati poi fino a sera dai feombolierì, le abbandonarono in gran parte. Marcio, compreso ciò, diede ordine ad altri che applicasser le scalchila parte derelitta del ricinto: ed egli ne àndò col fior de’ bravi alle porte ; sebbene infestato cogli strali dalle torri : e là ^^zzali i serragli, il primo si mise in città: ma perciocché si era disposta alle porte una schiera folla e poderosa di nemici; questi lo riceverono virilmente ; disputandogli lungo tempo intrepidi r intento, finché perdutine molti, dieder volta, e sbanduiì fuj^ronsi jier le vie. Gl insegoi Marno, acciden(Ione c|uanli ne sopraggiangeva ; se 'gettate le anni non volgeansi alle preghiera. lolanto gli asc^i per le scale impadronironsi delle mura. Cosi la città fu presa, e Marcio separò dalle prede quanto era donativo pe' numi, o decorazione per le città de’ Yolsci, abbandonando il rea’ soldati, Aveanci nell’acquisto uomini, danari, grani; tanto cUe non riuKl facil cosa a vincitori tor via tutto in un giorno. Adunque menandoselo, o trasportandolo successivamente di per seslessi, assalto, prese ad investirne in gran parte le mura. I Bolani, aspettatane 1’ ora conveniente, spalancano le mura ; e sboccandone in numero, a schiera, e con ordine ; si avventano su quelli che stavano a fronte: ed uccisone molti, e più antera feritine, e ridotti gli altri a turpissima fuga, cioulraron le mura. Marcio, che non era presente al sito dell’ inforinnio, conosciuta la fuga de Volsci accorse di tutta fretta con pochi : e raccogliendo quei che vagavan dispersi, li ticongiun^ e rìaoimò : poi riordinatili, edimostrato ciocch’ era da fare; comandò loro di attaccar la città verso le porte appunto. Ricorsero i Bedani a’ tentativi medesimi, emergendo in gran mollitudine dalie porte. Non gli aspettarono i Volsci, ma ripiegandosi fuggirono giù pel declivio come il duce avea già suggerito. Non videro i Bolani l’ inganno, e tnoltissime li seguitarono : quando slontanatisi già dalle mura ; Marcio che avea seco il fiore de’ giovani, diede su loro : e qui molta ne fu la uccisione ; fuggissero o resistessero. Seguitando poi li respinti fino alle porte, li prevenne; internandovisi a 'forza, prima che si richiudessero. Impadronito^si il duce appeua delle porte ; ecco giugnere altra moltitudine di Volaci. Li Bolani abbandonate le mura, rìpararonsi nelle case. Divenuto in tal modo r arbitro anche di questa città, concedette a’ soldati di farne schiavi gli uomini, e di porne a sacco le robe. E trasportatane, come altre volte, successivamente, a grand’ agio, tutta la preda, abbandonò la città finalmente alle fiamme. Pigliando quindi 1’ esercite, ne andò su’ Labicàni. Eran questi, come altri, 'Colonia già degli Albani, ma popolo allora ancb’ esso dei Latini. Or egli per atterrirli fin dentio le mura, sparse, giuntovi appena, su’Joro campi il fuoco, principalmente in quelli donde era .per essere più visibile. Ma i Labicani, avendo ben fortificate le mora nè sbigottirono p?r 1’ arrivo di lui, nè diedero segno alcuno di debolezza : ma si opposero e pugnarono generosamente; trabalzandoli piùjvolte fin da sopra le mura. Non però resisterono ' con successo; combattendo pochi contro di molli, e senza requie mai, nemmen picciolissima i giacché 'frequenti erano intorno la città gli assalti successivi de’ Volsci ; ritirandosene via via gli stanchi, e cimentandosi altri l'ecpnti. Adunque data per un intero giorno battaglia, nè fattasi pausa emmen su la notte-, furono dalla stanchezza astretti a lasciare in fine le mura. Marcio, espugnatele, ne rendè é schiavi li cittadini, e dté tutto in preda a’ soldati. Di là trasferendo 1’ esèrcito io ordinanza contro la città' de’ Pedani, Latina anch’ essa di popolo, la pigliò di forza, giuntovi appena. E trattatala come le' altre già prese, levandone in su 1’ alba le truppe, le menò béntotfto sa Corbione. Ma nell' approssirharvisi gli abitanti 1’ apersero, ed uscirongli incontro, presentando simboli di pace, e la ' resa loro senza combattcrè. Ed egli, encomiatili come savj nel provvedere a séslessi, comandò che gli portassero grano ed argento, come l’ esercito ne bisognava ; e ricevuto tutto secondo i comandi, marciò co snoi contro Coriolo. Gederonò gli abitanti pur questa senza resistenza ; ma perciocché con pienissima propensione supplirono viveri, danari, e quanto Kn chiese, nè ritirò 1 armata ; come su territorio àmico. E per fermo ; egli procurava! con ogni sollecitudine che quelli che si rendevano non subissero i mali causati dalla guerra ; ma riacquistassero, intatte le loro terre, e li bestiami, e gli schiavi che aveano lasciati ne’ loro poderi : nè permetteva che le truppe alloggiassero belle città di essi ; perchè non fossevi danno di furti o prede, ma le accampava presso' le mura. XX. Di 'qua mosse l’esercito verso Bovilla città cospicua allora è contata tra le primarie de’ Ladini, che Nel lesto dice Boia: ma forse dee leggersi Bovilta \ percbl;' Coriolgoo già era stato ai Toleriai, a Bota, a Labico, a Pedo, a Corbipne, ed a Coriolo. -Potrebbe dubiigrsi se sia scritto Bovilla nel $180 nel presente di questo libro : Si descrivono tulle due come so r alture ; parlandovisi di declivj ; e Boriila eia nella via Appia in piano, secondo Cloretio. erair pochissime. Nod Io accolsero già quei che v’ erano dentro,' confidati nelle fortificazioni 'assai vàlide, e nel numero dei difensori. Adunque egli eccitando le trupper a combattere generosanaente, e proponendo amplissimi premj. a’ primi che ne salisser le mura; si accinse all’as^ salto. Or qui vivissima sava ; n^i perchè, spalancate le porte ne uscirono in furia ed in copia, e ne incalzarono' abbasso quanti ne erano a fronte. Assai perirono di Voisci in quella sortita, e diuturna fu la zuffa sopra le mura ; sicché mai più speravano d’ invaderle. Ma il duce supplendo nuovi soldati non fe’ conoscere la perdita degli altri: e raccese l’ardore dei vacillanti; portandosi egli ‘stesso alla parte di esercito che pericolava : Nè spiravano coraggio i delti soli, ma i fatti ancora 'di lui : corse a tutti I pericoli, nè lasciò tebtativo, finché non si preser le mura. Irilpadronitosi poi della città, messa parte dei vinti a 61 di spada per. le leggi dei forti, e parte rendulala schiava, ricotadusse f esercito. E^Ii rimenavalo dopo una segnalala vittoria c^'co di spoglie bellissime, e ricco de’ tanti danari, ivi presi, quanti in ninna delle città coqquistate. Dopo ciò tutta la regione percorsa 'Era in po ter sùo, nè più gli resisteva ninna 'città se non Lavinia, la -prima delle città fondate da’ Trojani approdati con Enea nell’ Italia, dalla quale dm vano i Romani come di sopra fu dichiarato. Gli abitanti pensavano dover prima incontrare ogni male, che 'mancar di fede ai discendenti loro. Adunque vi ebbero attacchi terribili su le mura, e battaglie veementi per le forltficazioiu:^non però sì espugnarono a prini impeto ; ma parve abbisògnarvt assedio, e tempo. Postosene Marcio all’ assedio cinse intorno la dtià di vailo e fossa, e guardò le strade, perché non le si recassero esterni soccorsi e viveri. I Romani udita la rovina delle città vinte, compresa la necessità delle Fendutesi a Marcio, pressati da’ messaggi quoiidiaid delle altre, fedeli ancora, che imploravano ajulo,, spaventati insieme dalla circonvallazione che tiravasi intorno Lavinia, e convinti che se cadea questo iurte > la guerra verrebbe addirittura su loro, crederono uno solo il rimedio a tanti mali, decretare il ritorno di Marcio. Tutto il popolo, gridava questo, e li tribuni voleano lare. una legge per annullarne la condanna : ma^ li patrizj si opposero, ricusando che si ' annullassé alcuna sentenza enianàta. E petuo. Che dunque impedisce che rivenghi alla dolce, alla carissima vista de' tuoi pià congiunti, e ricuperi t amatissima patria, e comandi, come ti si conviene, a chi comanda, e sii duce de' duci, e ne lasci C amplissima gloria a' tuoi figli e nipoti ? E che tali e tante promesse avran prontissimo effetto, noi, quanti qui vedi, noi tutti ne siamo i mallevadori. Finché nè stai di fronte col campo e colla guerra, non parve al Senato nè al popolo far su te decisione ninna di clemenza e di moderazione ; ma se ti levi dalle arme, avrai, né tardi, e noi lo porteremo, il decreto del tuo ritorno. Tali sono i beni se alla patria ti riconcilii: ma se ti ostini, se t odio non deponi verso noi ; dure e molte ne saranno le conseguenze : ed io due le pià manifeste te ne addito ; vuol dire : la prima che avresti il barbaro amore di un'ardua anzi impossibile cosa, di abbattere cioè la potenza di Roma, e colle arme de' Volsci : C altra che quando pure tu ben ^ indirizzi e riesca alf intento, ne sarai creduto il pià sciaurato de' mortali. E perchè io così congetturi su te ; lo ascolta o Marcio, nè t’ inacerbare sul franco mio dire. E prima ne intendi la impossibilità. Molta è in Roma, e tu U> sai, la gioventìi paesana : e se le si tolga ( e torrassele per la necessità presente in tal guerra ) la sedizione, racchetando il timore comune tutti i dissidj, non pià li V jIscì, ma niuna gente d’ Italia ci abbatterrà. Molte sono le milizie de Latirù, molte quelle degli alleati, coloni di Roma, le quali aspettati che in breve giungano per soccorrerci. 1 capitani, come te, seniori o giovani, tand sono di moltitudine, quanti in tutte lo altre città non sono. Ma t ajuto pià grande di tutti, quello che non ei ha mai deluso ne’ grandi accidenti, e che pili vale di tutte le forze degli uomini, è la beneifolenza de’ numi, per la quale teniamo questa città già da otto generazioni non pur libera, ma felice, ed arbitra di tante nazioni, JVon pareggiarci ai Pedani, ai Tollerim, agli altri popoletti, de’ quali sormontasti le cittadelle. Anche un altro duce minore di te, e con esercita minore che questa tuo, violentato avrebbe tali fiacche e poco presidiate munizioni. Ma considera la grandezza della nostra città, la luce sua per tante imprese guerriere, e C ajuto divino pel quale, già picchia, tanto s’ inff-andì : nè concepire che si diversifichi codesta tua forza colla quale vieni a tanta cimenta : anzi ricordati che un esercita meni di Folsci e di Equi che noi stessi abbiam vinta in tanto battaglie in quante osarono di affrontarci : Talché ben vedi che porti a combattere i men forti contro i pià valorosi, e chi sempre perdette contro vincitori costanti, E quand’ anche fosse il contrario ; pur sarebbe da meravigliare, che tu perita di guerra non sappi, che ne' pericoli non è pari r artlire in ehi difende i suoi beni, ed in chi cerca gli altrui ; che questi se non vincono, niente vi scapitano; ma niente agli altri pià resta, se perdonoE questa principalmente è la causa che le grandi armate svaniscono contro le piccole, e le migliori. contro le men buone. Chè può la terribile necessità, ponno i pericoli estremi spirare' corono anche ad indoli che non ne abbiano. E quanto alC arduità deb r impresa potrei dire piò cose, ma bastino queste. Mi resta a fare un solo discorso, cui se accompagnerai colla ragione non colf ira, vedrai che esso è giusto, e ti verrà pentimento del procedere tuo : ma quat è mai questo discorso ? Gli Dei non concessero a niuno che nasce mortale solida scienza delt avvenire : nè troverai da tutti i secoli alcuno cui tutto riuscisse propizio senza mai contrarietà della sorte. Perciò li piò awanzati in prudenza, quale il vivere lungo e la molta esperienza la recano, deano prima di accingersi ad una impresa considerarne il termine, non solo se riesca come pur lo vorrebbono, ma nel caso ancora che devii dai disegni: e ciò deano i comandanti principalmente delle ‘ guerre, a' quali, quanto piò essi dispongono gravissimi affari, tanto piò tutti ascrivon la origine de' buoni o tristi successi ; tal che se vedono esser niuno, o ristretto e piccolo il danno dell' azione se la sbagliano, allora la intraprendono, ma se vario e grande lo vedono, la tralasciano. Or fa tu similmente ; prevedi avanti di operare ciocché sia per incontrarti, se manchi, o se tutto non ti viene a seconda nella guerra. Tu sarai colpevole presso gli ospiti tuoi di aver tentato imprese, grandi piò che eseguibili. Concepisci ( nè già lasceremo impuniti quelli che han preso ad offenderci ) che r esercito nostro vengavi novamente ^ e devasti le loro campagne : non potrai evitare, 0 di essere obbrobriosamente trucidato da quelli a’ quali sei causa di mali sì grandi, o da noi che ora vieni per uccidere e per soggiogare. Forse essi stessi innanzi di patirne alcun male, tentando far pace con noi dovran consegnarti alla patria che ti punisca : e già Greci e barbari assai, ridotti a pari vicende, dm'ettero ciò sopportare. Or ti pajono queste picciolo cose, non degne a discorrerle, o tali che debbansi trascurare, o non piuttosto mali estremi a patirsi ^ fra tutti i mali? XXVni. Ma via; n abbi tu pure il buon termine; e qual frutto allora ne avrai così desiderabile, così meraviglioso ? qual mai gloria ne avrai ? Deh ! considera questo ancora. Ti succederà primieramente di esser privo degli obbietti che piò, ami, e piò ti appartengono ; io dico della madre alla quale porgi amara la ricompensa di averti generato e nudrito, e de' tanti travagli che sostenne per te : dico della savia consorte la qual vedova e solitaria sta desiderandoti, e deplorando dì e notte il tuo esilio : e finalmente de' due tuoi figli a quali aspettavasi, come ai posteri di egregj progenitori, che ne percepissero pieni di fama buona gli onori se la patria fosse felice. Di questi tutti sarai costretto a vedere le dolorose e sfortunate catastrofi, se ardirai sospingere fino alle mura la guerra ; giacché a ninno de' tuoi perdoneranno gli altri che temono pe' ctai loro, e che patiscono disastri eguali da te. Concitati dalla propria calamità doranti terribilmente e spietatamente a balterli, ad ingiuriarli, e far loro ogni specie di vilipendj : e di ciò non questi che il fanno ma tu ne sei r autore, che ve gli astringi. Tali i frutti sono che gusterai, se ti giunge V intento. Or su contempla la lode che te ne avrai, la emulazione, gli onori, cose tutte desiderevoli a buoni: Z’ uccisore sarai nominato della madre, C uccisore de' figli, il traditore della consorte y la rovina della patria. £ ninno buono, niun giusto vorrà, dovunque tu capiti, partecipare ai tuoi sagrifizj, alle tue libagiorU, al tuo consorzio : nè sarai caro a quelli nemmeno per la benevolenza de’ quali ciò fai : ma godendo dascun d'essi il frutto della tua empietà, detesteranno la ostinazion del tuo cuore. Lascio di dire come senza /’ odio che avrai fin da piò miti, ti sarà intorno la invidia [non piccola degli eguali, il sospetto degl’ inferiori, e per queste due emise, le insidie, c ta/ui altri infortunj, quanti è verisimile che sopravvengano ad un uomo, privo di amici in terra di estranei. Lascio di dire le furie che ispiransi da’ numi e da’ genj negli empj e ne’ facinorosi, dalle quali, straziati ne’ corpi e nelC anima, vivono sciaurata la vita, aspettandone misera ancora la fine. Tali cose considerando o Marcio ' correggiti ; e cessa d’ inseguir la tua patria. Riguardando la sorte come autrice de’ mali che hai da noi tollerato, o fatto a noi, toma felicissimo a' tuoi, ricevi gli empiessi carissimi della tua madre, le amorevolezze soavissime della tua sposa, ed i baci dolcissimi dei • tuoi figli : almen simili cose di sè. Ma qual altro può gloriarsi o centurione, o comandante d aver presa come io la città de’ Coriolani f O qual altro in un giorno stesso ruppe f annetta nemica come io ruppi quella degli .daziati, che veniva per soccorrere gli assediati 7 Lascio di ricordare che dopo tesi pegni di tnrtà potendo io prendere in copia dalle prede oro, argettto, schiavi, giumenti, gceggie, e terre vaste, e feconde, non volli : ma intento a serbarmi principalmente senza invidia, pigliai per me solamente dalle prede un cavallo militare, e da prigionieri t ospite mio, ponendo tutto il resto ad util comune. Dite : era io per tanto degno di premj o di pene ? Dovea subire la legge da’ vilissimi cittadini, o darla io loro ? O non mi espulse il popolo pcf questo, ma per La lode h, perebt Coriolano prese con pochi la città, sema essere ni ooniaodanle, nà tribuno, a' qMii sarebbe alato unto piti facile invaderla colle milisie dipendenti. chè io era nel retto della vita, un intemperante, un suntuoso, un senza leggi? Ma chi potrà dimostrarmi un solo, pe miei piacer non legittimi esule dalla pa^ trio, spogliato dalla libertà, privato degli averi, o ridotto ad altra sciagura qualunque ? se nemmeno i nemici mai di tali cose m’ incolparono o calunniarono, contestando anzi tutti come irreprensibile la vita mia quotidiana? La scelta, dirà taluno, abbonila de tuoi governamenti ti procacciò questo male ; Ut polendo eleggere il meglio ti appigliavi al peggiore : e dicesti e facesti tutto perchè in patria cadesse il comando degli Ottimati, e s' impadronisse del comune la moltitudine imperita, e scellerata, O Minucio ! Ben io mi adoperava in contrario, e provvedeva che il Senato, maneggiasse in perpetuo il comune, e restasse la patria forma di governo. Per tali belli stabilimenti, creduti sì pregievoli da’ nostri antenati, io me n ebbi dalla patria la si fausta e beata ricompensa, cacciatone non solo dal popolo, o Minucio, ma molto innanzi pur dal Senato, il quale, quando io mi opposi a' tribuni che m incolpavano di tirannide, mi animò da principio con vane speranze, quasi osso fosse per operare la mia sicurezza, ma poi temendo de’ plebei mi si distolse, e mi cedette a’ nemici. O Minucio ! tu eri console quando faceveui il previo decreto pel giudizio, e quando Falerio, cita tanto ne fu lodato, esortava col dir suo, che io fossi al popolo consegnato. Ed io temendo dal Senato un decreto che mi consegnasse ; condiscesi, e promisi di andare f e presentarmi io stesso in giudizio. Ma dP Minucio, rispondi : parvi al popolo solo, o pure al Senato ancora io parvi degno di castigo per lo buon inaneggio e condotta mia pubblica ? Se così edlora a tutti ne parve ; e tutti mi scacciavate; egli è chiaro che quanti così deliberavate, odiavate allora la giustizia, nò restava in Roma alcun luogo che sostenesse il bene. Che se il Senato, violentato, si rendette al popolo, e quella fu /’ opera della necessità non del cuore ; confessate che siete il gioco degli scellerati, nè resta al Senato podestà niuna su qurmto mai scelga, E ciò stando, mi chiederete che io men venga ad una città dove i buoni son vittima dei ribaldi? Troppo di stolidità mi condannate ! Or su: diamo che io persuadami, e che deposta, come chiedete, la guerra, ne andiamo ; qual sarà dopo ciò f animo mio ? quale la vita ? Sebbene eletto il partito piò sicuro e meno pericoloso t cercando io poi li magistrati, gli onori, ed altro che io credo competermi, soffrirò di adulare la turba che li dispensa? vilissimo diventerei di magnanimo, e niente più V antica virtù mi gioverebbe. O restando ne’ miei costumi, e serbando le istituzioni mie del viver civile mi opporrò a quelli che diverse ne sieguono ? Or non è manifesto che il popolo di nuovo mi combatterebbe, che a nuove pene mi citerebbe, cominciando l'accusa da questo, che io ridonato da esso alla patria, pure ai piaceri di lui non mi conformo ? Certo non dee dirsi cdtrimente. E qui sorgerà tal altro insolente tribuno che simile agl'Icilj ed ai Decj m incolpi di scindere i cittadini fra lorOf d insidiare il popolo, di tradire la patria a' nemici, di tentare, come Decio me ne imputava, la tirannide, o taC altra ingiustizia, come ad esso ne paja; giacché non mancano a chi ti odia i pretesti. Pro durransi dopo queste, nè già tardi, le imputazioni ancora su le cose da me fatte in tal guerra, che io percossi la vostra regione, che rapii prede, che espugnai città, che di quelli che le difendevano parte ne uccisi, e parte a’ nemici li consegnai. E se gli accusatori allegheran tali cause ; che dirò io per ispedirmene ? o con quale soccorso sosterrommi ? Non è dunque chiaro o. Minucio che belle v' avete, ma pur finte le parole, e che un bel velo date ad un impuro disegno ? Non a me concedete il ritorno ; ma vittima al popolo me portate ; e forse ( giacché buone idee su voi non mi vengono ) vi siete concertali a ciò fare, seppure ciò non voleste, senza prevedere ( e vi si accordi ) i mali che ne avrei da soffrire. Or che varrebbemi la vostra ignoranza ? che la vostra stoltezza ? se non potreste, anche volendo, niente impedire, necessitati di concedere anche questa colle altre cose alla plebe. Se non che non piti bisognan parole a mostrare che questa, che io chiamo via prontissima di rovina : niente, sebben voi la chiamate ritorno, gioverammi per la salvezza. Che poi ( giacche m' invitavi a riguardare ancor questo ) niente o Minucio mi giovi per la buona fama, niente per P onore, niente per la pietade, anzi che io opererei turpissimamente ed empiiss imamente se a voi mi rendessi; ascoltalo dalla mia parte. Io militai già contro questi Folsci, e molto nel militare li danneggiai ; procacciando alla patria impero, forza, chiarezza. Non convenivasi thè io fossi onorato dai beneficati, ed abborrito dagli offesi ? jdppunto ; se a ragion si operava. Ma la sorte perverti tutto, e rivolse ciocché t uno e C altro mi doveano in contrario. Voi per le cose onde io era a questi nemico, mi spogliaste di tutto il mio, e, quasi ciò fosse nulla, mi bandiste : laddove, questi che avean tanto infortunio da me, mi raccolsero questi nelle proprie città povero, abbietto, senta casa e senza patriaNè bastando loro questo splendido, questo generosissimo tratto ; mi han conceduto cittadinanza, magistrature y onori, quanti ven sono piti grandi in tutte le loro città. Ma lasciamo questo : ora mi han fatto comandante assoluto delV esercito posto oltra iete a chiedere, e non 4^ me, la pace o la tregua. Tuttavìa non vi do questa risposta : ma venerando gl’ Jddj patenti, rispettando le tombe avite, commiserando la terra ove nacqui, le femmine, i fanciulli non degni che su di essi ricadano le colpe de’ genitori e degli altri ; e j nommen che per questo o Minucio, in grazia di voi che foste qua deputati dalla città ; vi rispondo, che se i Romani rendono ai folsci le terre tolte loro, e le città che ne tengono, richiamandone i proprj coloni; se fanno pace con essi comunanza perpetua di diritti, come co’ Latini, e giuramenti ed esecrazioni contro de’ violatori de’ patti; io do fine alla guerra. Annunziate primieramente ad essi questo, poi, come avete presso me perorato, aringate presso loro sul giusto : e quanto è bella cosa che ognun s’ abbia il suo, e vivasi in pace : quanto pregevole che niun tema nè i nemici, nè i tempi : e come è biasimevole che chi ritiene l’ altrui si esponga senza necessità alla guerra con pericolo delle cose anche proprie. Dimostrale loro che non eguali sono i premj vincendo o perdendo per chi appetisce r altrui : e se vi piace aggiungete, che quelli che han voluto prendere le città degli oltraggixti, se infine poi non prevalgono, perdono pur la terra, e la città loro, e vedono malmenate obbrobriosamente le mogli, portati i figli agli affronti, e li padri lorOj fatti schiavi di liberi, nelC estrema vecchiezza ; Persuadete insieme il Senato che dovrà tanti mali alla stoltezza sua non a Marcio. Terocchè potendo fcàre il giusto ; potendo non incorrer ne’ mali ; corrono agli ultimi rischi, aspirando sentpre alC altrui. Questa è la risposta; nè potreste altra averne dame: andate, ponderate ciocché a fare v abbiate : io vi do trenta giorni per decidervi. In questo tempo ritiro o Minwciò in riguardo tuo e degli altri t esercito da questi campi, che asscù se vi rinuuiesse, ne sarebbero danneggiati, Al ventesimo giorno mi ci aspettate a pigliarne la risposta. Ciò detto sorse, e sciolse 1’ adunanza : e nella notte seguente presso 1’ ultima vigilia levò l' esercito, e lo condusse OMilro le altre città Latine, sia ebe realmente fosse persuaso che di là verrebbono de’ sussid) a’ Romani, come 1’ ambasciadore avea detto, sia che egli ne spargesse la voce per non sembrare d interromper la guerra in grazia de’ nemici. E piombando sopra Longola, ed impadronitosene senza fatica, e fattovi come nelle altre, dei schiavi, e delle prede; venne alla città de’ Satrìcani. Presala, e tenutovisi pitxiolo tempo, ordinò che parte dell’ esercito recasse le spoglie raccolte da ambedue queste città in Eccetra, ed egli marciando coir altra parte venne a Ceda, che chiamano. Otte nutala, e derubatala -, si gittò nel teiritono de’ Polu scani . Non valsero nemmen questi a resistere ; ed espugnatili, si avanzò verso le altre città : prese di as Questa Toce è aiqbigaa. Lirio nooiioa Tiebbia ; ed altri ia questo luogo di Oiooigi vorrebbe por Silia Seste : ma questa par troppo lootaaa pel viaggio di Marcio. (ij Lapo parve leggere Ttuelarù. salto gli Albieti ed i MugiUaui ; e ricevette a patti i Corani. Divenuto in trenta giorni padrone di sette citti ; si rivolse a Roma con più milizie che prima : e fermandosene lontano poco più che trenta stadj, si accampò presso la via Tuscoiana. Intanto che prendeva ed univa a sé le città de’ Latini, parve ai Romani, consultale lungamente le proposte di lai, di non far cosa indegna della repubblica. Pertanto, se i Yolsci partissero dal territorio loro, degli alleati e de’ sudditi, e lasciasser la guerra e spedissero ambasciadori per trattare la pace ; il Senato decidesse allora e ne riferisse al popolo le condizioni : non decidesse però mai nulla di umauo su loro, finché stavano con ostili maniere su le campagne di Roma e degli alleati. Couciossiachè li Romani (Muervarono sempre altamente di non far mai nulla pe comandi, nè pel terror de’ nemici ; ma di compiacere, e contentare gli avversar] pacificatisi, e rendutisi, nelle dimande se fosser discrete. E Roma ha mantenuto tale sublimità di carattere in molti e grandi pericoli, nelle guerre co cittadini e cogli esteri, e tuttavia lo mantiene. Deliberate tali cose, il Senato scelse am)>asciadori altri dieci tra’ consolari, perchè dimandassero a Marcio che non desse ordini duri nè indegni di Ro Silbnrgio sospetta ebe io luogo di Albiètì debba leggersi Lahitiiati ciot Laviniaui di Lauinio, la presa del quale era stata tralasciata, come si t veduto di sopra. Il cognome di Lucio l'apirio Mugillaoo prova che vi ebbe una città Multila di nome, donde tono i MugiUani. montai. ama Ili. t Digitized by Google 5o DELLE Antichità’ romane ma, ma deponessc le nimicizie, ritirasse le truppe dal territorio, e cercasse di trattare con modi persuasivi e conciliativi, se voleva che gli accordi tra due popoli fossero permanenti ed eterni ; giacché gli accordi sia privati, sia pubblici, conceduti per la necessità e pei tempi, finiscono appunto co’ tempi e colla necessità. Or questi, eletti ambasciadori, non si tosto. udirono l’ arrivo di Marcio, andatine a lui, dissero assai cose atte a guadagnarlo, badando di non offendere co' discorsi la maestà della repubblica. Marcio però non rispose altro se non che consigliavali ( e questa era 1’ unica tregua che dava ) a tornar fra tre giorni con deliberazioni migliori. E volendo essi replicare ; non lo permise : ma impose che partissero immantinente dal campo. E minacciando che li tratterebbe come spie se non ubbidivano ; quelli ammutoliti partirono incontanente. I senatori quantunque udite le risposte ostinate e le minacce di Marcio, pnre non decretarono di portare 1’ esercito di là dai confini, sia che ne temessero, come raccolto in gran parte di fresco, la inesperienza, sia che 1’ abbattimento temessero dei consoli, poco intraprendenti per sestessi, e giudicassero pericoloso il cimento ; sia che i segni celesti interdicessero loro quella uscita per mezzo degli uccelli, degli oracoli Sibillini, o di altra visione : cose che non sapeano gli uomini di allora, come i presenti, trascendere. Adunque deliberarono di guardare la città con vigilantissima cura, e di respingere dalle fortificazioni gli aggressori. Ciò fatto e preparato ; nè tuttavia disperando di piegar Marcio, se lo pressassero con deputazione più augusta e più grande, decretarono che pontefici ed auguri, e quanti arcano sacri onori e ministeri nelle pubbliche divine cose ( e molti sono fra loro e sacerdoti e santi ministri, e questi i più cospicui pel sangue paterno, o pel merito proprio) andassero in copia co’ simboli delle divinità riverite e festeggiate in Roma, e cinti di sacre vesti, al campo nemico, e vi replicassero gli stessi discorsi. Giunti questi, e dettovi quanto aveano dal Senato, Marcio non rispose nemmeno ad essi per ciò che chiedevano; ma consigliò che partendo adempissero gli ordini se volevan la pace; o la guerra in città si aspettassero : del resto intimò che non più ritornassero a lui per far parlamento. Caduti ancora di questo tentativo, e deposta ogni speranza di pace, si apparecchiavano i Romani per 1’ assedio ;, collocando i giovani più vigorosi alle fosse ed alle porte, e li veterani già licenziati ma pur buoni ancor per le armi, alle murai Le mogli loro, quasi approssimatasi già la tempesta, lasciato il decoro col quale si tenevano in casa, correano ai templi piangendo ed abbracciandosi a’ simulacri de’ numi. Ed ogni sacra magione, specialmente quella di Giove in Campidoglio, risonava di ie minei ululati e di suppliche : in questa una matrona preminente per lignaggio e per dignità trovandosi allora nei meglio degli anni, attissima a provveder ciocché deesi (Valeria ne era il nome) sorella di quel Poplicola il quale aveali già liberati dai tiranni', eccitata da istinto divino, si fermò nel grado più alto del tempio, convocate le donne compagne, primieramente le consolò ed animò a non smarrini ne’ mali, poi diede a vedere che restavaci una speranza di scampo, riposta in loro nniramente, se faceano quanto era d'uopo. Allora r una di esse ripigliò : Con quale opera nostra mai potremo noi donne salvcwe la patria, non sapendo più fare ciò gli uomini ? E qual forza ahhiam noi, deboli, sciaurate F E Valeria, non le arme, disse, abbisognano, non le mani ; dispensandoci da ciò la natura, ma le arnorevolezze e la persuasiva. Or qui, fàltusi clamore, e pregandola tutte a svelarlo se pur ci avea rimedio alcuno, disse : In questo lutto, in questo disordine di vestimenti prendete compagne anche altre donne, e menando con voi li vostri figli, ne andiamo in casa di Veturia la madre di Marcio. E ponendo i nostri figli dinanzi le ginocchia di essa, e lagrimando ; scongiuriamola che impietosita di noi non colpevoli di male ninno, e della patria ridotta in pericolo estremo, vada al campo nemico ; e vi meni i suoi nipoti, la madre loro e noi tutte, le quali la seguiremo co' nostri figlioletti : e che interceditrice presso del figlio, lo dimandi, lo supplichi a non fare la calamità della patria. Lei piangendo e rimovendolo; nascerà forse alcuna compassione o mite pensiero in quesF uomo, che già non ha si duro ed impenetrabile il cuore da respingere fin la madre che abbraccigli le giruscchia. Poiché le astanti ne approvarono il dire; ella supplicando i numi di dare persuasiva e grazia alle istanze, loro pari) dal tempio. La seguitarono le altre ; e prese dopo ciò per comp-igne alti’e donne, ne andarono in fòlla alla casa della madre di Marcio. Volannia la mo glie di Marcio seduta presso la suocera si meravigliò nel vederle, e disse : E che possiamo noi farvi, o donne, cito in tanta moltitudine venite ad una casa di sciagura e di aflizione? E Valeria soggiunse: i?tdoUe a pericoli estremi noi, con questi fanciullelli, veniamo a te supplichevoli, o Feturia, per implorare^ tonico e solo ajulo, e primieramente che abbi pietà della patria non mai fin qui stata in man de' nemici, eicchè non vegli soffrire che ora la libertà le si tolga dai Folsci; seppur conquistando la patria la rispar~ mieranno, non la struggeranno dai Jondamenti. Dipoi per noi preghiamo e per questi miseri fgU, sicché non veniamo tra gli strazj degf inimici, noi niente ree de mali accaduti. Se un cuor ti resta in parte almeno, clemente ed umano; deh! tu ne compassiona, o F fluria, tu donna, e tu partecipe de' diritti sacri, inviolati delle donne : prendi teco Folunnia, questa ottima donna, e con essa i suoi figli, prendi coi figli nostri pur noi supplichevoli a un tempo e magnanime, e vieni al tuo figlio, persuadi, insisti, ni dar fine alle suppliche, finché pe' tanti benefizj tuoi non ottieni da lui che si rappacifichi co’ suoi cittadini, e rendasi alla patria che lo ridomanda'. Ut, ben 10 sai, trionferai di lui, che pietoso, certo te non dispregierà prostrata a’ suoi piedi. E tu riconducendo 11 figlio tuo alta patria, ne avrai, corni è giusto, splendore sempiterno, perchè C avrai liberala da tale ()) Meli’ uso della Religione comune rischio e terrore: e sarai cagione a noi di essere oHo~ rate presso degli uomini ; perchè avremo sciolta la guerra che non potè da essi dissiparsi. Parremo cojI le discendenti veramente delle femmine che mediatrici terminarono la guerra di Romolo co’ Sabini ; e conm giunsero duci e nazioni, e grande renderono di piedola la città . Magnìfica sarà t impresa, o Feturia, d' aver seco riportato il figlio, d’aver liberata la patria > salvate le sue concittadine ; e di lasciare ai posteri suoi luce indelebile di virtù. Dacci, o Fetum ria, con cuore spontaneo e vivido questa grazia ; vieni, ti accelera ; poiché grande, imminente il pericolo non ammette più indugio, o consiglio. XLI. Giù detto, tutta in pianto, si tacque. E piangendo pur esse, e pregando vivamente le compagne; iVeturia, vinta dalle lagrime, dopo breve silenzio, disse: Foi seguite, o Falena, leggera e fiacca speranza ; promettendovi un ajulo da noi ; donne infelici. Ben abbiamo tenerezza per la patria, e volontà di saL'ore I cittadini, qualunque mai siano; ma la potenza e la efficacia ne mancano per compiere ciocché vogliamo. Marcio, o F ileria, ne rifugge da che il popolo fe’ di lui r amara condanna, ed odia tutta la casa insieme colla patria. E ciò diciamo, sapendolo da Marcio stesso', non da altri; perocché quando soggiaciuto alla condanna venne in casa in mezzo agli amici, trovando noi addolorate, abbattute, co’ figli suoi su le ginocchia, e che piangevamo, corri era giusto, e Vedi 1. a, $ 4^ espone disicsantenle tale storia deploravamo la sorte che ci soprastava nel perderlo ; egli fermatosi alquanto da noi lontano, insensibile come una pietra, e co’ sguardi fissi, partesi, disse ^ Marcio da voi, o madre, o Volunnia donna bonissima, cacciato dai suoi cittadini perchè prode, perchè amico della repubblica, e perchè subito ha tanti travagli per la patria. Voi sostenete, come si conviene a femmine virtuose, tanta calamità, non facendo mai nulla d’ indegno, mai nulla di vile: consolandovi in questi fanciulli sulla mia privazione, educateli degni di noi, e della stirpe. Gli Dei concedano ad essi, uomini divenuti, sorte più buona ; ma virtù non minore. Addio. Io vado, e lascio questa città che più non cape gli onesti uomini. Addio numi tutelari, e tu Vesta, paterna divinità, e voi quanti siete Dei di questo luogo. Appena ciò disse, noi misere, noi dal dolore impedite, scoppiando in gemiti, e per^ cotendoci il petto portai'amo a lui, per riceverli an~ cara, gli amplessi estremi : ed io menava meco il maggiore de’ figli, e la madre avevasi in braccio il minore. Quando egli, ritirandosi e rispingendoci, disse: Da ora innanzi Marcio non più sarà tuo figlio, o madre, togliendoti la patria in esso il sostenitore della tua cadente età, nè più sarà da questo giorno il tuo sposo, o Volunnia: ma sii pur felice, un altro cercandotene più di me fortunato : nè più sarà padre vostro o figli carissimi: ma orfani e solitarj presso queste crescete fino agli anni virili. Ciò detto, nè soggiungendo altro, nè comandando, e non significando nemmeno ove andasse, uscì di casa, o donne, solo, senza servi, in disagio, senza portare seco delC aver suo neppure il vitto di un giorno. E già volge t anno quarto eh’ egli fuggì dalla patria, e riguarda noi tutto come straniere, niente scrivendo, niente mandandoci a dire, e niente volendo di noi risapere. Or presso un cuore si duro, si impenetrabile, o Troieria, qual forza avranno le preghiere di noi alle quali non dava, partendo £ ultima volta, non un amplesso, non un bacio, non significazione niuna dì affetto? Che se tuttavia domandate voi questo, e volete in tutto vederne wniliate ; concepite, che io e Volunnia a lui ci presentiamo co’ figli. Quali discorsi io madre, dirìgo la prima, quali preghiere porgo al mio figlio ? Dite, ammaestratemi. Chiederò che per^ doni a suoi cittadini da quali ( e senza che offesi gli Oi’esse ) fu privato della patria F Chiederò che inteneriscasi o compassioni la plebe, che su lui non seppe intenerirsi, tré compassionarlo? Che abbandoni e tradisca quelli che esule lo hanno raccolto, i quali sebbene malmenati già un tempo da lui tanto e sì feralmente, pur non £ odio gli mostrarono di nemici, ma la benevolenza di amici e di congiunti ? E con qual cuore pregherei io mai questo mio figlio che amasse chi lo sterminava, ed oltraggiasse chi lo salvava ? Non sono questi i discorsi di una madre savia al suo figlio, non di una moglie al marito : nè voi ci astringete, o donne, che imploriamo da lui cose non giuste presso degli uomini, nè pietose presso gli Iddii: piuttosto lasciate noi misere nella umiliamone ove siamo per la sorte, senza che noi pure svergfsgniamo piu ancora noi stesse. Taciutasi lei, surse un tanto lamentarsi di femmine, e tale un pianto ne riinbotnbò, che udendosene i • clamori per gran parte della cUlà, si empierono di popolo le vie d’ intorno la casa. Poi rinovando Valeria più lunghe e più commoventi preghiere, le altre donne, com’ erano congiunte di amicizia o di sangue con r una o l’ altra di loro, supplicavano ancora in atto di stringerne le ginocchia. Tantoché non più restendo per l’ afflizione fra tanto piangere e supplicare; cedette infine Vetutla, e promise di andarne oratrice per la patria co' figli e colla moglie di Marcio, 'e^ con quante cittadine voleano. Racconsolatesi allora vivaiùeuté, ed invocati i numi a favorire le loro speranze, partirono dàlia casa, e nunziarono ai consoli il fatto. E questi, lodandone là buona volontà, convocarono ed interrogarono i padri, se fosse da concedere che le femmine ^uscissero. Or molto, e da molti se ue disputò; tanto che giunti a sera dubitavano ancora ciocché fosse da fare. Dicevano molti non essere piccolo cimento permettere che le donne andassero co’ figli al campo dei nemici; imperocché se questi, spregiando le leggi sacre degli ambasciadori e de’ supplichevoli, volessero che le femmine non più 'rìtornassero, prenderebbono Roma senza combattere. Pertanto consigliavano che si lasciassero andare a Marcio solamente le donne che a lui si appartenevano insieme cu’ figli. Altri però giudicavano che non si concedesse che andassero nemmeno rpieste; anzi esortavano di custodirle gelosamente, e di considerai le come ostaggi sicuiissimi, perchè la città nou subuse grave disastro. Per l’ opposito altri proponevano che si accordasse a quante donne volevano, di uscire, perchè^ le donne congiunte a Marcio, fornissero con ' più dignità la mediazion per la patria. Dicevano che non succederebbe ad esse niente di sinistro; giacché ne sarebbero mallevadori primieramente i numi col favore santo de’ quali si moveàno ad intercedere ; e poscia il duce stesso al quale ne andavano, come uomo puro ed inviolato in sua vita da ogni ingiusto ed empio attentato. Vinse finalmente il partito che accordava alle dònne di andare, e còn decoro amplissimo di ambedue; del Senato come savio, perchè vide ciocché era a farsi il migliore, senza punto turbarsi al grande perìcolo ; e di Marcio finalmente per la sua pietà, perché fh confidato, che niènte oliraggerebbe tal parte imbelle, espostasi a lui quantunque egli fosse nemico. Steso il decreto, e recausi l consoli al Foro, e raccoltovi il popolo, essendo già notte, vi palesarouò il voler del Senato, e preordinarono, che tutti al nuovo giorno accorresserò alle porte per accompagnarvi le donne che uscireld)ero. Busi frattanto, diceano, che curerebbero quanto era d'uopo. Era ornai l’alba vicina;, quando le donne portando i figli loro, andarono colle faci, e presa in sua casa Vcinrìa, la condussero alle porte. I consoli idlesUte mule da tiro, e carri, ed altri trasporti moltissimi, ve le acconciarono, e seguironle per, lungo tratto: le accommiatavano intanto i senatori ed altri in buon numero con auguri, con preghiere, con eocomj, rendendone cosi più dignitoso il viaggio. Come si potè dal campo distinguere, che donne, lontane ancora, si àvanzavano, Marcio spedi de’ cavalieri per apprendere che fosse quella moltitudine, e perehé dalla catti ne veoisse. E risapendo da loro che venivano le donne Romane oo 6gli, e che innanzi -di tutte era la madre di lui, e la moglie co’ figli suoi; stupì da principio che femmine potessero aver cuore di avanzarsi co’ Ggli senza guardie al campo nemico, e darsi a vederè ad uomini insoliti, lasciata la verecondia conveniente a matrone ingenue e pudiche, e la paura del pericolo nel quale incorrerebbero, se questi volgendosi airutile più che al giusto, volessero acquistarle,. e giovarsene. Ma posciacbè furono vicine, deliberò di uscire dal campo con alquanti ' verso la madre, comandando ai littori che quapdo le fossero dappresso deponessero le scuri, e le abbassassero i fasci. Usavano i Romani questo rito quando i magistrati minori s’ incontravano co’ maggiori ; ed il rito persevera ancora. Osservò Marcio allora tal pratica, e rimosse tutti i segnali dell’ autorità sua ; quasi egli dovesse presentarsi ad una autorità maggiore : tanta fa la riverenza, tanta' la sollecitudine sua per la pietà verso la madre. Fattisi ornai vicini, si avanzò la prima per riceverlo la madre, ahi ! quanto miseranda, squallida vestunenti, e logora gli occhi dal piatito. Come la vide, Marcio, duro, imperturbabile fin’ allóra contro tutti gli assalti, non più valse a persistere nel proposito suo: ma vinto dagli affetti del cuore umano corse, la strinse, la baciò, la chiamò con tenerissimi nomi: e molto lagrimandone, e curandone ; la sostenne, mentre venuta meno abbandonavasi a terra. Soddisfiitta la tenerezza sna verso la madre, ricevendo la donna sna che sea veniva co’ figli disse ^ Fornisti o Koluimia gli offizj di ottima donna, > uh’endoli presso la mia genitrice: ed io godo come su dono dolcissimo infia tutti, che non t qhbandonasli nella sua solitudine. Dopo ciò chiamato a sé 1’ uno e l’altro de’ figli, e carezzatili come si conveniva ; si rivolse noVamente alla madre, invitandola a dire per qual fine veniva: ed ella soggiunse che il direbbe, udendola tutti ; giacché non chiederebbe se non giustissime cose. Lo esortava dunque che sedesse nel luogo appunto dal quale solea far giustizia a’ suoi militari. Con piacere udì Marcio la proposta, pen hé varrebbesi di assai più regioni per rispondere alle istanze .di essa, e darebbe dv opportunissimo luogo fra la turba la risposta . Adunque recatosi al tribunal militare fe da indi rimovere e calarne al pianteiTeno la sedia, giudicando non dover lui tenersi p’ù alto che la madre, nè còn maestà niuna contro di lei. Poi fatti sedere presso di sé li più cospicui de’ capitani e dei centurioni, e lasciando che intervenissero quanti volevano ; significò alla madre che incominciasse. Veluria, poste innanzi del tribunale la donna di Marcio co’ figli e le altre più ragguardevoli tra le Romane, ' pHmieramente rivolti gli occhi alla terra, pianse lungamente, p mosse tenera compassione negli astanti : poi raccogliendo sé stessa disse : Le donne, o Perché sarebbe siala risposta pubblica; udendolo cbi Tclcea ; e perché cjuel luogo stesso, di dignità e di comando aerebbé ricordalo Ila madre le ubbligaiionf Che egli arcTa co' Votaci. (a) Anni di Roma a06 sccoodu Calorie, a63 secondo Varoue, e 4^ arami Criaio. Marcio figlio, considerando gC info rtunj che su di esse piomberebbero se la città divenisse de nemici, diffidatesi di ogn altro soccorso, poiché tu davi le sì dure, le jì ostinate risposte agU uomini che chiedeano un fine alla guerra ; queste donne, o Marcio ^co’ /?glioletti, in questo lugubre apparato ricorsero a me tuà madre, ed a V olunnia tua sposa per supplicarci 'a non permettere che avessero tanto male ‘da te, più che da ogn altro, esse cfie non ci aveano offeso punto nè pocO', e che grande ci aveano dimostrata la benevolenza nella nostra sorte felice, e viva nommeno la compassione quando ne dec'ademmo. Noi ben possiamo testificarti che dalf ora che tu lasciavi la patria, daW ora che noi restavamo derelitte nella solitudine, e nel nulla, esse di continuo ci visitarono, ci consoletrono, e piansero al pianto nostro. Memori di tanto io e questa tua donna, coabilatHce mia, non abbiamo già ripudiato le loro preghiere, ma preso abbiam cuore di cercarti ; e pregarti, corno ci atìdimandavano, per la patria. E lei parlan(h> ancord, Marcio ripigliava : rnadre ! se' tu venuta per un impossibile, venendomi a chiedere, che io Iralisca quelli che mi hanno ricettato a quelli che mi bandivano, quelli che mi donavann i beni, più grandi fra gli uomini a quelli che tutto il mio rn involavano. Io pigliando questo cofnando, dos a malle\'adori i genj ed i numi,, che non avrei tiadito gU ospiti miei, nè finita la guerra se cosi non fosse piaciuto a tutti i Volsci. Pertanto adorando gt Iddìi su quali giurai, riverendò gli uomini a quali vincolai la mia fede, guerreggieiò fino alla decisione co' Romani. Se renderanno mì f^olsci le terre che" ne possiedono colla forza ; e se amici se ne fwanno, accomunando ad essi tutto, come co' Latini ; deporrò ' le armi : altrimente mai contro di essi le deporrò / Voi dunque andatene., o donne, riferite ai vostri un tal dire, e persuadeteli a non pretendere ingiustamente [ altrui, ma contentarsi del prpprio, quando altri lascia che lo abbiano. Non aspettino che si ritolga loro colla guerra, quanto colla guerra usurparono ai. Volsci; perocché li vincitori non saranno già paghi di ricuperate i lor beni, ma vorranno quelli ancora de’, vinti. Se ritenendosi, e difendendo ostinatamente ciocché lor uon si spetta, vanno incontro m pericoli, accusino sestessi, e non Marcio, e non altri de' mali che piomberanno su loro. E tu -daW altra parte', o madre, io figlio tuo le ne prego, non mi sollecitare a cose non degne, nè giuste; nè, unendoti d miei e tuoi malevolissimi, volete credere a te contrarj quelli che 'ti sono per natura amicissimi : ma standoti, coni è ragìc^nevole, presso me, vegli riguardare per patria quella che io riguardo', e possedere per' casa quella che io possiedo, e godere con me gli onori miei, e la mia riputazióne, presi per parenti, per amici e nemici tuoi,, quelli appunto cK io prendami. Bandisci, o misera, f afiìanno sostenuto finora per la mia fuga, e pesfa in tale tua forma .di afliggermi. Gli altri beni, o madre, più belli della speranza, più grandi del desiderio mi son dati da mimi, e dagli ùomini. L’affanno che io prendea su te, non contraccambiandoti col nudrirli ne' senili tuoi giorni, diffuso per le mie viscere, amareggiava e levava la mia vita da ogni bene. Se meco ti rimani, se partecipe ti fai di ogni mia cosa; più non mi mancherà alcuno -tra L mortali. E qui taciutosi lui, Veturia sopraslando breve tempo &nchè, cessassero le lodi cbe molte e grandi gli si fecero da’ circostanti, soggiunse: Non io. Marcio figlio, ti voglio il traditore de' Volsci, che ricevitori tuoi nelC esìlio, ti onorarono in iMtte guise, e ti affidarono il comando di ses tessi ; nè voglio che. tu da te solo finisca senza il voto comune, la guerra contro i patti e i giuramenti, chè facevi loro, quando prendevi armata : nè temere che la madre tua siasi di tanta malvagità riempiuta ; ‘ che inviti C unigenito e carissimo figlio a cose vituperose e non giuste: ma cJtiedo che tu levi col pubblico voto la guerra, ridu^ cendo i V ytsci a temperanza, e ponendo tra le due genti pace ì>ella e decorosa. E ciò sarà fatto, se al presente movi t armata e la ritiri, e fai tregua per un anno ; perocché spedendo e ricevendo in questo tempo ambasciadori, procaccerai pace stabile, e vera amicizia. Tu ben sai che f Romani, se il disonore, o la impossibilità non lo vieta ; faranno vinti dalle persuasive ogni cpsa : laddove violentali, come ora vuoi tu violentarli, non concederanno mai cosa picciola o grande, come puoi tu conviruertene da tanti esempj, ed ultimamente dalle cose concedute ai Latini che deposeco le ormL 1 Volsci, dirai, sono assai ' più pertinaci, come avviene ai gran fortunati. Ma se ricordi loro che ogni pace vai più della guerra: e che più stabile è quella che si fa per amicizia la quale rende i cuori propizj, che non, f altra la quila per necessità si riceve: esser proprio de’ sa>’i moderare la sorte, quando stimano averla; non però mai ft^ cosa indegna nelle vicende infelici e meste ; se dirai loro gli altri documenti quanti sen trovano ( notissimi a voi che il pubblico maneggiate ) per indurre a dolcezza a mansuetudine ; scenderanno dalt eUterigia ove sono, e concederanno che facci quanto credi a loro giovevole, Ma se resister^anno, se non ammetteranno il dir tuo, sollevati dalle belle Jbrluna provenute da te e dal tuo comandare, cqme siati quéste immutabili ; rendi loro palesemente co lesto tuo capitanato, nè il traditore sii di chi te lo afJidcR>a, nè il combattitore de’ congiuntissimi tuoi ; cose, T una e t altra indegnissimo. Queste soao, o Marcio figlio, le cose che io vengo a supplicarti che sian fatte da te, non impossibili come tu dici, ma pure da ogni '' rimorso di ingiustizia, e di malvagità. Tu temi '( sono questi i titoli che vai magn'ficanio col discorso ) tu temi d’ incorrere sé fai quanto consiglioU, la taccia rea come d’ ingrato versa i tuoi benefaUori, i quali ti accolser nimico, e ti a nmisero a tutti i-loro beni, quali se gli hanno co^ loro che nacquero cittadini. Ma dì j non hai tu lendulo toro il molliplice e bel contraccambio ? non hai suj'ferato i benefizj loro colt amplitudine immensa dei tuoi? Costoro che leneano pel sommo e pel più amabil de beni viversi liberi usila patria ; gli hai tu ridutU (fuesti non solo arbitri stabilmente di sestessi, ma tali infine da bilanciare, se tornasse lor megliò, di abbattere la potenza de' Romani, o di partecipare, ugualmente alla repubblica che Roma ha fondato. Lascio' di dire con quante spoglie abbi ornalo le loro città per la guerra, e con quanta ricchezza premiato quelli che vi militav vedo che^ gU orgogliosi che quei che' spregiano le preghiere -de supplichevoli, corrono all ira de' numi ed alia sciagura finalmente. Certo gl' Jddii • istituirono e ne dierono tale costume,essi i pruni ptrdanano s e fqcili si rappaciane';, e molti si. placarono già pe’ voti j e' pe' sagrifizj verso di uomini, lontani per grandi reità da loro". Quando o A/arcio tu tioti vagli che. l’ irà de’ celesti sia mor-^ tale, ma immortale quella, degli 'uoniini ; • forai con rettitudine f e con dignità tua o della patria, se ne condoni gli errori, essa già correggendosene, e placandotisi, e rendendoti quanto prima ti levava. Che se implacabile ti rimani, rendimi questo deposito, questo benefizio y i quali niun altro può ripeterti i e pe’ quùli hai tu non le minime, ma le auiplissinte è pregiatissime doti,' onde tutto ottenesti,, rendimi il corpo tuò e l’ànima. Derivate le hai queste da ma; ; nè luogo o tempo, nè beneficenze, nè • grazie di Fblsci o di altri mai tanto ' eccederanno e saliran fino^ ai cieli ;. che tu possi csmcellar la natura,,nò pù't udirne i diritti. Mio sarai pur tu semproj e sempre il bene del vivere a me dovrai perla prima, e 'farai senza scusartend quanto ti additnandoCiò prescrive la natura ai viventi che sentono e che ragionano { >e di ciò confidata puf io, ti supplico o Marcio figlio a non portaré guerra alla patria;, o qui sto per oppormiti se le fai violenza. O me tua madre che mi ti oppongo sagrijicherai prjma di tua mano alle furie, e cosi darai principio alla guerra; o, se temi la infamia di matricida, cedi o figlio alla madrfi tua ; dammi, flie il puoi, questa grazia. Se questa leg^e che niun tempo ha mai tolto, mi assiste, mi protegge > non è giusto o Marcio che io sola sia da te priva degli onori che essà mi concede. Ma Icssciando questa legge, ricordati la tanta e gran sc^ie de'miei benefizj. Io prendendo a curar te fanciulletto, orfano del padre tuo védova me ne rimasi, e gli stenti tutti soffersi onde allevasi, madre tua non solo, ma padre in ur[ tempo, educatore é sorella dimoetrandomiti, ed ogni altra spficie . di teneri .oggetti. Divenuto tu grande, potendo io liberarmi dalle • cure, nutritandomi ad •altri, e darmi nuovi figli e nuove speranze sostenitrici della vecchiezza; non volli, hià restài ne' tuoi lari 'domestici, contenta della vita medésima, e ristringendo a 'te sólo ogni mia consolazione, ogni bene. Di questi ine. ne privasti tu, parte di voler tuo, parte senza volerlo, rendendomi infelicissima tra le madri. ^ qual tempo, da che toccasti l' età •virile, qual tempo io pissr mai sene’ agitazioni e terrori? e quando ebbi, mai l' anintà tranquilla so' pra di te, vedendo che acciimolavi guerra a guerra, che passavi da battaglia a battaglia, e ricevevi ferite su ferite ?. . Lll. E quando ti desti alla repubblica cd al maDigilized by Google ’ Lifino vm. 69 ncggìo de' pubblici affari, gustai forse io tua madre diletto alcuno ? Eh ! Che ne divenni allora più misera, mirandoti in mezzo alla civil sedizione. Imperocché le uìe provvidenze pér le quali più sembravi valere, e per le quali sostenendo i patrizj, spiravi indignazione contro del popolo, queste mi spaventavano tutta, considerando, per quanto tenui motivi tramutasi la sorte degli uomini: e sapendo dai tanti casi uditi che qualche ira, divina traversa i valentuomini, e la invidia umana li perseguita. E_ così non fossi stata, come io ' m' era troppo vera indovina degli eventi! fa civile, invidia t' assalì, ti sopraf/kee, ti sifclse dalla patria,. Il refto della vita mia, se vita può dirsi da che partendoti ' mi lasciasti co' figli tui, passò tra questa desolazione., Va questo apparato di lutto. Per tutto questo io che molèsta mai non ti fui, nè ti sarò finché vivo, ti prego che vagli serenarti una volta co' tuoi cittadini f' c finir C Ira acerbissima che nudri contro la paù'kt. E con ciò di cosa io ti prego non buona per me solq, ma per ambedue. Per le Se tea persuadi, nè scorri ad azioni non degne ; perchè avrai C anima immacolata e libera da ogn’ ira, da ogni^ terrore di furie persecutrici, e p6r me poi, perchè la fama che men yetrà, mentre vivo, dai cittadini, e dalle cittadine. Tenderà beati i miei .giorni f e quella che mi sarà dispensata come io presagisco, dopo^ morte, renderà sempiterno il mio nome. E se 'dopo morte riceve alcun luogo le anime sciolte da corpi; riOn riceverà già la mia quel sotterràneo rp tenebroso ove dicono che i detnoni soggiornano ; nq 1 il ampo che chianìdn di Lete; ma C etere sublime e puro, ove dicono che albergano con prospera e beata sorte i JigUifoli de’ numi. JB’ià divulgando anima min la pietà e le grazie onde m’hai riverita, ten chiederà per sempre dagt Iddii la degna ricompensa. Ma se dispregi la madre tua, se inonorata la' rimandi n per me fortunata nò per le, la quale hai salvato la patria, e perduto insieme il pietoso ed amantissimo tuo figliuolo. Cosi detto, si ritirò ne' siioi padiglioni ; comandando che lo seguitassero la inoglie; la madre -,, i fi^i : é vi si. tenne tutto il resto dei giorno, eonsultaudo, con esse ciocché era da fare. Enrono le risoluzioni : che nè il Senato proponetse al popolo, nè il popolo decretasse nulla del suo ritorno, prima che .si persuadesse aWolsci r amicizia e la cessaziofs della guèrra. Egli leverebbe e ritirerebbe /' esercito, marciando cofne tu terre di amici: Dato conto del suo capitanato, e dimostratina i beni; pregherebbe quelli. che glie lo aveano càtfi flato, a’ volersi ricongiungere per giuste condizioni ai nemici,. ed incarieore lui pefchè vi fosse ne patti t ofpùtà, senza niuna fmdolenza. Che se protervi pei successi filici non aecettósser la. pace; egli si spoglie rebì>e del comando. In. tal caso o non sosterrebbero essi di ^leggete un altro per ^mancanza di buoni capi ioni ; o cimentandosi di 'affidare le forze ad un altro qualunque, imparerebbero a grande lor danno, ciocchi era V utile a Jare. Tali sono le deliberazioni ira loro tenute, e riconosciute per eque e giuste, e capaci presso tutti di buona faina, oggetto principalissimo delle cure del valenluomo. Ben erano essi agitati da un timido sospetto che la turba irragionevole speraozala di debellar riiiinii co, delusane, alfìne infuriasse; e setiz’amihctter discorso trucidasse come traditore' quel suo capitarlo; tuttavia deliberarono d’inedutrere non pur questo ma ogn^allro più tetro pericolo, e serbare vh-tuosameule la fede. E poiché il giorno piegava a sera; datesi vicendevoli signiflcaziout di affetto, uscirono da' padiglioni, e quindi le donne tornarono a Rema. Esitose Marcio agli astanti le cause che lo inducevano a scioglier là,guerra, e pregò lungamente t sòldan che'gb'el condqnassero, e che tornati in patria, ricordevoli de’ suoi beneQzj,. non'' permettessero essi compagni suoi, che subisse alcun reo trattamento dagli altri. Ej ragionate altre cose, tutte persuasive, t:omandò che iaces^erq le b^gagHe, oude partire la notte 'seguentPi LVi Coinè seppero dalla fama,' percorsa alle, donne, die Icvavasi il pericolo loro, uscirono lietissimi i Romani dalia dtlà per incohlcarle; dicendo e fàcendo ora a cori, ora ad uno ad uno, salutazioni e' cantici e tripudj, quali gli latino e li dicono quelli che' da rischio terribile passano prosperità non pensata. Si menò poi Ja notte tutta' In feste e conviti : nel giórno appresso il Senato adunato da consoli su Marcio dichiarò che si differisse in tempo più acconcio a risolver gli onori da farseglt : ma. che per lo zelo ditnostrato sì desse alle donne nc’ pubblici antichi registri un elogio che ne'portasse eterna la memoria, tra’ posteri, ed un donativo, qual sarebbe il pti\ car ed ' ' i Romani -colende ; giorno appunto che disciolse la 1 “ ^, Cotiolano si approssioiò.due volte a Roma j 'la prima volU ai accampò preaso le fosse delle Cluvìlie.-io distaosa di ciitipie miglia, e la seconda io luogo anche piò vicino a Roma, iiitburgio scrive, che io questo secondò luogo appunlo fu eretto il tempio delta Fortiuia Mulirhrc. A questa sci\tei]sa sembra corritpondero ricchezze, noh ricéVò con dispiacere la iùtérro zvon della guerra, e^ favorendo il valentuomo, escusavàlo se non la dltlmava, mosso daUe prègbieve e dalla compassion della madre. Ma la gioveUtù rimaka nelle città,, tocca da invidia per. le grandi prede fatte dalFe scrci'to, e’ delusa delle speranze che aveva, se prendei^ dosi Roma ne era Oaccàto l’orgoglio; ne fremette, e fi esulcerò contrd'del capitano. £ finalmente assunti, per ca|)i della scellcrsgginc uomini .potentissimi tra quelle genti, imbarbarì, e commise nn indégnissimo fatto. Istigavala aoprattattO Azzio Tulio circondato da non pochi di ogni città. Costui non polendo più la invidia sua contro ‘Marcio; aveva già da uii tempo risolato di ucciderlo occultamente e frt^dolentemeote, se quel duce xiuscendo ne’ disegni e 6accando Roma tort^Va dal sottometterla ai Volsci, o di darlo manifestamente ai suoi partigiani ^d ucciderlo come traditore, se falliva nella impresa, è tornavane senza l’ intento. Ora ciò fece appunto. Imperocché ' convocando gente non poca; le accusò quel .valentuomo argomentando dal vero il falso, e conghietturando dalle cose già' state, quelle -che non sarebbero mai t poi comandò che deponesse il comando, e desse conto del suo capitanato. Once costui delle truppe rimaste nelle città, come ho detto di sopra, ‘era l’arbitro di raccogliere le adunanze, e di chiaipare chi voleva in giudizio. Marcio giudicava non dover contrapporsi a ninna delle dué intimazio.ni ; solamente discordava nel metodo di soddisfarvi ; 'credendo che égli dovesse prima dar conto de’ fatti della ' guerra, e pqi deporre, se così paresse a tutti i 'Volséi, il comando. Affermava che non dovesse di tanto esser arbitra una sola città corrotta in gran, parte 'da Tulio; ma tutta la nazione, raccolta in comizj legittimi, ove fossero spediti deputati da 'ogni . città, come portava il 'costucrie, quando aveansi a discutere i grandi jeffari. Opponevasi a ciò Tulio,' ben vedendo cbe se Marcio, ahroòde parlatore, facciasi tra la pompa di capitano a dar conto delle 'tante e belle sue gesta trionferebbe^ della moltitudine ; c non' cbe suhire le pene • de’ traditori, ne diverrebbe più onorato e )>iù grande. Impe^occbé ’ sarebbero per concedergli tutti che solo finisse a piacer suo la guerra, ed arbitro re stereljbe di ogni cosa. Adunque per molto tetnpo se no suscitarono ogni giorno dicerie vicendevoli, e reclami in Senato, éd altercazioni vive nel Foro ; uou essendo lecito a niun di essi 'far violenza all’ altro, garautito dalla dignità pari della magistratura,. Or poiché non dovasi fine, alla disputa ; Tulio comandò a Marcio di venire in dato giorno a deporre il suo gradò, e sottomettersi ai proressi di tradimento, E sollevati eon lusinghe' di benefizi > uomini audacissimi, e messili per capi della scellcraggiuc indegna; si portò nel Foro destinato. 'Asceso ' nel tribunale accusò Marcio con tòòlte incolpazioni ; ed istigò la moltitudine a' degradarlo a fo4'za, se spontaneo non lasciava il comando. ' LIX, Accese Marcio anch’ esso per;, far le difese ; ma ì grandi clamori de’ seguaci di Tulio gli tolsero di parlare. Dopo ciò gridandosi: {ira, ferisci, lo efreonJa' rouo, e con .nembo di sassi lo, uccisero uomini inso-, lentissimi. Ed essendo lui strascinato Foro, quelli che erano presenti allo spettacolo, e quelli che Vi sopravvennero dopo eh’ egli erst spirato, deplorarono il valeniaoiiio ; perchè' non degna avea da loro la ricatupensa. E Hdiceano quanto bene avea fatto al comune, e r arresto' .voleanO degli uccisoci, perchè dato.aveano esempio di opèra. ingiusta, e lesiva delle '.città, spegnendo senz’iimmelterne le difese violentemente un di loro, c questo,, comaudante. Ne fremeauo soprattutto i compagni di lui uclle spedizioni. Epoiché non erano stati da tanto d’ impedirne i mali mentre viveva ; delU berarono riconoscerlo de’benefizj, almeno dopo la morte; recando al Foro quanto alla deliha onorificenza ricluedesT de’'valentoomini. Quando lutto fu pronto > collocarono lui con veste di capitano, su letto vaghissimamente ornato : poi facendo precedere quelli che recavano le prede, le spoglie, le cotone, le immagini delle citli prese da lui ; ne sollevarono il feretro i giovani più segnalati fra le armi. Lo portarono al sobborgo più ragguardevole, accompagnandone il cadavere i 'cittadini tutti con gemiti e la^inDe. uomo il. più grande di tutti 'al suo tgmpo' nelle armi. Continente da lutti i pacetri che traspòrUmo i giovani, seguiva 'la giustizia ifon involontario per le leggi che forzano col timore de’ supplizi', ma spontaneo, come per inclinazione d’indole bennata. Non tenea per virtù non offendere ; e bramava non solo di esser puro egli stestd da ogni malfare, ma credea giusto di astringervi -anche gli '^allri. Magnanimo', liberale, intentissimo a soccorrere quando cpnoscevalo, il bisogno degli amici, npn era inferiore a ninno de’ patrizj nel roaneggio.del pnbblico. C se fa sedizione della città non lo avesse impedito da' pubblici .•(Tari, forse' Roma preso avrebbe da' regolamenti suoi grande aògumeolo d’iiQpero. Ma'già. non può farsi cbe tuKe le virtù si uniscanó nella natura di un nomò ; nè da seme mortala e caduco sorgerà mai niutlo per ogni parte peidetto. LXI. Il ‘destino che ' propizio area sparso in esso i germi di tali virtù^ vé ne mise alfiri ancora di sciagure e dì mali. Non era dolcezza nè illarità ne’ suoi modi, non degnevolezza ne salmi e ne’ colloqui, .. non' facilità di placarsi, non moderazione nell’ ira se contro alcnno la concepisse, grazia in6ne, quella die adorna tmte le nmane cose. ¥élnto lo avresti sempre difficile, e sempre acerbo, f^ocquero a lui mólto tali maniere, e soprattutto la severità sua ^moderata,' incredibile, e senza scintilla mai di chnuenza ne|)ar custodia dei giusto e delle leggi. Ma ben sembra vero il detto^d^ filosofi antichi, che le virtù specialmente quelle delia giustizia,. sono moderàzioni, e non estremità de costumi : perocché sia che la ginstizia manchi dal mezzo, sia 'che lo ecceda ; non più giova i mortali, cagionando talvolta gran danni, e ridùcendo a stragi > miserande, ed immedicabili inali. Nè fu cbe la troppo sollecita e troppo austera esigenza del giusto la quale ridusse Marcio fuori della patria, e senza il frutto delle altre belle sue doti. Potendopiegarsi per atòunà maniera al popolo, e lasciare qualche cosa af loro desiderj e divenire il primo fra loro ; non volle : ma contrariandoli in qualunque cosà ' la quale ad essi non si dovea, se ne concilò l’ odio, c fu cacciato dalla -patria. Potendo, appena ^ sciolse la guerra, lasciare il comando deifarmata, e trasferire alet 8o trove la sua dirnora, Gncbè gli fossi! conceduto il ri torno alU patria, anzi 'che esporre ^ stesso à nemici, ed alle stoltezze della moltitudine ; ne vide la necessità di ‘farlo, e non volle. Ma giudicando 'dovere affidare sè stesso a chi gli aveva affidata T armata, .c conto del suo capitanalo, e se irovavasi. reo di co.sa alcuna subirne le pene secondo le leggi; raccolse amaro U frano di tanta giustizia. Pertanto sé col disciogìiersi de’ corpi aiicUo l’anima, qualunque' cosa ella sia, si discioglic, né punto ne so^ravvanza; io non vedo come.chiamare beati quelli elle non goderono della loro virtù niun frutto, anzi pci^ essa perirono. M.i se le anime nostre ’Soprav- vivono Immortali affatto come pensano alcuni ;'0 qùalebe tempo almeno dopo la .-partenza' loro dal corpo, il più lungo quelle do’, buon;, ed .il più breye quelle dei malvagi (it; certo parrà beq grande ai. virtuosi l’ onore che li seguita, loipérocclié sebbene la fortuo' stasi loro contrapposta; avranno buona fama e langbissima la ri cordanza tra’ vi vanti, come appunto ' accadde a questo uomo. Perocché non solaincute ’mofto io piansero e Io onorarono, i Yolsci come virtuosissimo; ma li Romaui, conosciutone appena il caso, riputandolo sciagura altissima di Roma, ne fecero pnvalo e pultbJ/co lutto. Le donne come usano in morie dei domestici loro amaiiss.ifni, lasciarono da un canto l’ oro, la porpora, ei • V. [1 Vossio nel lil> i ^ de IJoloturia dctltice d f|iicslo passo ch^ Diouigi crcdctle che le auhne esùtono Jpu !a tnofie del colpo ma solo -per un tempo limitalo ; e per ciò lo ridice nella classe dt (|iicl!i che pensavano quaulu alla durazioue delle anime come gU Stoici \ 8 I atterono fra loro senza regola, senza comando, misti e confusi: tanto che grande ne fu la strage in ambe le parti ; e forse totale ne sarebbe stata la rovina, se il sole non tramontava. Ma cedendo, loro malgrado, alla notte, che inipedivali di contendere, separaronsi, ed alloggiaronsi ciascuno nel Aa. di Ruma aGG secondu Catoue, aGS secoudu V'arrooe, e 48G 8T. Cristo.DJONICI. tomo Iti. fi proprio campo. La maltina i duci lerando le truppe si ricondussero alle loro case. Udirono i consoli dai diser.tori e da altri divenuti prigionieri col fuggire dalla battaglia, qual furia e quale flagello divino fosse nell’esercito; non però colsero la occasione tanto a proposito per essi non lontani più di trenta stadi, nè gl’ incalzarono nella ritirata : nel qual tempo se essi freschi, in buon ordine, avessero perseguitato gli emoli stanchi, feriti, confusi, e già pochi di molti, di leggieri gli avrebbero totalmente distmtu. Sciogliendo aneli’ essi il campo, tornarono in patria sia che fossero paghi del bene dato loro dalla fortuna, sia che non fidassero su r annata loro non disciplinata, sia che assai valutassero il perdere anche pochi soldati. Ma giunti in città vi furono vituperati, riportandovi fama di pusillanimi per tale condotta. Mè facendo altra spedizione, rassegnarono il poter loro a’ consoli susseguenti. Presero l’ anno appresso il consolato Cajo i^quilio e Tito Siccio, uomini periti di guerra . E facendo questi proposizioni di guerra; il Senato decretò che si spedisse un’ ambasceria per chiedere soddisfazione secondo le leggi dagli Ernici, popolo amico e confederato, il quale aveva offesa Roma nel tempo della guerra de’ Volsci e degli Equi con prede e scorrerie su le terre contigue : e decretò che intanto che ne avessero la risposta i consoli iscrivessero milizie quante ne potevano, convocassero con messaggi gli alleati, ed apparecchiassero sollecitamente col mezzo di molti ministri Roma Catone Varrooe LiDno vili. 83 armi, grano, (lanari, e quanto è necessario ()cr la guerra. Tornali, cspcKero gli ambasciadori le risposte degli Ernia, i quali diceano non esservi pubbliche convenzioni tra loro e tra’ Romani, e che pensavano già sciolte quelle che vi furono tra loro e tra Tarquinio, come detronizzato, e morto in terra straniera : che le prede e le incursioni non furono ingiustizie del pubblico, ma di privati intesi al guadagno: e che non doveano però nemmeno gii autori di quelle consegnarsi al supplizio: e lamentandosi che avessero anche gli Eroici patito altrettanto ; signiQcavano che volentieri accetterebbero la guerra. Il Senato, ciò udendo, decretò che si dividessero in tre parti le nuove reclute descritte: che il console Cajo Aquilio marciasse coll’ una sugli Eruict già in arme aneli’ essi: che Tito Siccio, l’altro console, ne andasse coll’ altra su i Volsci : che Spurio Largio, nominato da’ consoli comandante della città, prend cero ciò primi li Volsci ; e ben tosto la ottennero ; dando l' argento multato dal console, e somministrando quani’ altro bisognava all’ esercito ; dopo avere promesso che sarebbero ì sudditi de’ Romani, né più da tali ao> cordi si leverebbono. In ultimo gli Eroici vedutisi rimasti soli, trattarono coi console di amicizia e di pace. Ma Cassio assai richiamandosi di essi con gli ambasciadori, disse, che prima doyeano far quanto conviene ai vinti ed ai sudditi, e poi discorrer di pace; e soggiungendo gli ambasciadori che lo farehhono se moderata e possibile ne fosse la esecuzione, comandò loro che gli portassero in grasce i viveri di un mese, ed in argento la somma onde stipeudiarue t soldati secondo il solito per sei mesi: e definendo un numero di giorni entro cui potessero tutto apprestatali ; concedette intanto ad essi una tregua. Presentarono gli Ernici ogni cosa con prestezza ed impegno, e spedirono di bel nuovo i parlamentar] di pace. Li lodò Cassio c li rimise al Senato. Ne deliberarono i padri a lungo; e piacque loro che si ammettessero questi all’ amicizia, c Cassio il console esaminasse, e decidesse le condizioni de’ trattati da conchiudersi. Approverebbero i padri ciooch’ egli ne stabiliva. Prescritto ciò dal Senato; Cassio tornando in città chiedeva un secondo trionfo per aver sottomesso i popoli più riguardevoli : ant>gavasi però quest’ onore per le aderenze, piuttosto che di giustizia lo ricevesse tinperocchc non avendo nè prese città per assalto, nè disfatti eserciti in campo aperto ; non potca menar seco in spettacolo i prigionieri e le spoglie che sono gli ornamenti dei trionfi. Ma lo amare il piacer suo ; non le risoluzioni simili a quelle degli altri, gli concitò subitissima invidia. Impetrato il trionfo pubblicò la concordia, com’ aveala firmala con gli Eroici. Erano le condizioni trascritte da quella conchiusa già co’ Latini. Dicchè mollo si dolsero i più provetti ed autorevoli, e tennero lui per sospetto, sdegnati che gli Eroici, estraneo popolo, fossero pareggiati di onore ai Latini loro congiunti ; e quelli che dato non aveano neppur minimo segno di benevolenza partecipassero le cortesi retribuzioni di chi tanti dati ne avea. Soffrivano ancora di mal' animo la superbia di quest’ uomo, perché onorato dal Senato non aveali a vicenda onorati, fissando e pultblicando i patti come glie ne parve ; non di concerto comune coi padri. Così la troppa felicità nuoce, non giova ; divenendo insensiòilmente per molli cagione di orgoglio incredibile, e stimolo di desiderj superiori alla natura; come avvenne a costui. Condecorato allora dalla città egli solo fra tutti con tre consolati e due trionfi ampliava l’ onorificenza sua, ambizioso del regio potere. Considerando però che la via più sicura per chi ambisce il regno e la tirannide è quella di guadagnare il popolo co’benefizj, e di costumarlo ad essere alinien tato da chi dispensa le pubbliche cose ; a questa si rivolse, e senza manifestarsene ad alcuno. E perocché ci aveva un terreno amplissimo del comune ma trascurato e goduto da^ ricchi ; deliberò di compartire questo tra’l popolo. E se contentato si fosse di procedere fin qui ; forse riuscito sarebbe ue’ disegni. Ma trasportatosi a troppo ; cagionò sedizione nou picciola, e fine sciaurato a sestesso. Imperocché presunse congiungere alla divisioa del terreno non pure i Latini ; ma gli Ernici, ricevuti ultimamente per cittadini. Tali cose ideando a conciliarsi quelle nazioni, convocò nel glotoo dopo il trionfo il popolo a parlamento. Quindi asceso in tribuna com’ è 1’ uso de’ trionfatori, prima dié conto delle opere sue, delle quali era la sostanza : che fatto console Ut prima %>oUa vinse i Sabini, e li rendè sudditi a Roma alla quale disputavano il comando : che fatto console per la seconda, racchetò la civil sedizione, e restituì la plebe alla patria : e ridusse amici e (compartecipi della cittadinanza di Roma, i Latini che erano consanguinei, ed emoli eterni delt impero e della gloria di lei; tantoché non più la contrariarono, ma riguardarono Roma come patria loro. Chiamato la terza volta al consolato necessitò li V ilsci ad essere amici, di nemici che erano, colle armi, e sottomise spontanei gli Ernici, popolo vicino, grande, potente, ed attissimo a nuocer molto, o giovare. Eisponendo queste e simili cose chiedeva al popolo che attendesse a lui, provido soprattutti ora e per sempre della repubblica, e chiudendo il discorso disse che farebbe e tra non molto tali e tante beneficenze che supererebbe quanti erano encomiati di aver amato e salvato il popolo. Oisciolta 1' adunanza invitò nel giorno appresso a raccogliersi il Senato sospeso e timoroso pe’ delti antecedenti di lui. Prima di ogni altra cosa propose un tal suo sentimento tenuto occulto alla plebe, e chiese ai padri che giacché questa era stata si utile per la libertà dando mano a farli dominare su gli altri, prendessero cura di lei e le dispensassero il terreno, pubblico in sestesso per essere acquistalo colle armi, ma goduto in fatti senza niun dritto da patrizj impudentissimi : e poi chiese che si rendesse dal pubiuale fu sopraimominaiu Poplicola. potenti per aderenze e ricchezze, e tutto che giovani, non inferiori a niun pari loro nei trattare le pubbliche cose esercitavano la questura. Ed arbitri per questo -di intimar le adunanze accusarono al popolo con incolpa zioni di tirannide Spurio Cassio il console dell’ anno precedente, che osò d’introdurre le leggi su la partizione delle campagne ; e • preGggendogli il giorno, lo citarono a giustiCcarsene presso del popolo. Adunatasi nei giorno prescritto gran gente essi invitandola ad ascoltare dimostrarono che le opere manifeste di quest’ uomo non comprendeano nulla di buono : primieramente perchè mentre i Latini appagavansi di essere ammessi alla cittadinanza, e riputavano sommo il favore se la ottenevano; egli console non solamente concedè la cittadinanza che dimandavano, ma decretò che si desse loco il terzo delie spoglie della guerra, se in comune la sostenessero: secondariamente perché rendette amici in luogo di sudditi, concittadini in luogo di tributar) gli Eroici che, vinti, doveano ben esser contenti se non erano danneggiati collo smembramento delle lor terre; anzi ordinò che si desse loro pur la terza parte delle prede e 'Tlelle campagne che fossero mai per conquisure. Tanto che divisa la preda in tre parti doveano i sudditi e foresuerì pigliarne due parli, ed i paesani e padroni una sola. Dimostravano che da questi due assurdi ne segnirebbe r uno o altro, se volessero pe’ molti e segnalati servigi condecorare un altro popolo come i Latini, o come gli Eroici che ninno prestato ne aveano, vuol dire: o che non avrebbero che dar loro , o se volessero pareg Il lesto di Rciske si togUmero e confiscassero i beni del padre che ne avea svelato le brighe per la tirannide ; e per questo io decidomi piuttosto per la prima narrazione. Le ho nondimeno riferite ambedue, perchè coloro che leggono aderiscano a quale più vogliono. Insistendo poscia alcuni perché si uccidessero i figli ancora di Cassio; parve al Senato aspra la inchiesta nè utile. E congregatosi decretò che si rilasciassero, c vivessero sicurissimi da esilj, da infamie, da ogni sciagura. Da quel fatto si stabili tra’ Romani r uso, custoditovi fino a’ miei giorni, che vadano immuni da ogni pena i figli di padri delinquenti, sian essi figli di tiranni, di parricidi o di traditori, che tra loro è il massimo dei delitti. E quelli che vicini al nostro tempo, circa il fine della guerra Marsia, e della guerra civile dandosi ad abolire quest’ uso, impedirono finché dominarono che i figli dei proscritti da Siila giungessero agli onori paterni e prendessero posto in Senato, sembrarono far opera degna della esecrazione degli uomini, e della vendetta de’ numi. Perocché col volger degli anni raggiunse loro la giustizia, vendicatrice non riprovata, per la quale furono dal colmo della gloria precipitati ai fondo delia miseria; non lasciandosi del lignaggio loro se non la prole nata di femmine. E colui che li distrusse riordinò quei costume com’era ne’ prìncipi. Pfeaso di alquanti greci però non è così mite il costume; perchè alcuni credono giusto che i gli de’ tiranni co’ tiranni finiscano; ed altri con perpetuo esilio li punistxtno; quasi non consenta la natura che sorgano figli buoni da’ padri rei ; nè figli rei da buoni padri. Ma su ciò lascio che altri discuta, se migliore è l’uso; de’ Greci o migliore quel de’ Romani : ed io prosieguo la storia. Dopo la morte di Cassio i fautori del comando de’ pochi divennero più baldanzosi, e spregiatori del popolo. Laonde gl’ ignobili per nome e sostanze se ne abbatterono ; accusando molto sestessi di stoltezza, perchè aveano colla condanna' di lui distmito il custode fidissimo della fazion popolare. Era questa la causa per la quale i consoli non eseguivano il decreto de’ senatori pel quale doveano eleggere i dieci che determinassero la terra pubblica, e riferire in Senato quanta parte ne fosse da dividere, ed a quali persone. Adunque si tenean de’ crocchi mormorandovisi in ciascuno so l’ inganno, ed incolpandovisi più che tutti i tribuni precedenti come traditori del comune ; slmilmente faceansi dai tribuni d’ allora continue le adunanze e le richieste della promessa. Or ciò vedendo i consoli deliberarono rimovere col pretesto di guerra la parte sediziosa della Aagatto. città ; percccbé di qae tempi il territorio era iofesiato da’ ladronecci, e dalle scorrerie de popoli circonvicini. Adunque per far la vendetta degli aggressori aveano inalberato i segnali di guerra, ed iscriveano le milizie della città. Ma, non dando i poveri il nome loro, non potevano astringervi a nonna delle leggi gl indocili, {jerocchè li tribuni proteggevano la moltitudine, e lo avrebbero impedito, se altri tentava portar la violenza su le persone, o le robe di chi ricusava. Adunque lanciarono i consoli molte minacce, che non permette rebbero che alcuno rivoltasse la moltitudine ; e svegliarono ne’ cuori un secreto sospetto che nominerebbero un dittatore il quale sospendesse tutti gli altri magistrati, ed avesse egli solo un potere supremo ed irrefragabile. In tale apprensione i plebei temendo che il dittatore fosse Appio, uomo duro e dlflìcile, piegaronsi a soffrire ogni cosa, piuttosto che questa. Descrittone il molo, i consoli presero le milizie, e marciarono su l’ inimico. Gettatosi Cornelio nel territorio de’Vejenti ne portò via la preda sorpresavi. Allora i Yejenti spedirono ambasciadori, ed egli rilasciò loro i prigionieri per date somme, e concedè la tregua di un anno. Fabio coU’altr armata piombò su la terra degli Equi, e quindi su quella de’ Volsci. Pazientarouo i Yolsci alcun tempo, ma non molto, che fossero i campi loro predati e devastati: poi spregiando i Romani come venuti con armata non grande impugnarono in buon numero le armi, ed uscirono su le terre degli Anziati per Incontrarli : se non che ne andarono anzi precipitosi che savj : perocché se giungevano inaspettati, e K>rprendeano i Romani mentre erano qua e là dispersi; ne avrebbero assai variato le vicende; ma il console istruito del giunger loro dagli esploratori, richiamò bentosto i suoi, sbandati com’ erano, da’ foraggi, e dié loro la ordinanza conveniente alla guerra. Come i Volaci che .-venivano confidando e spregiando, videro fuori dell’ imaginazione tutte le forze nemiche ordinate e raccolte, sbalordirono alio spettacolo inopinato : nè più curando la salvezza comune, provvide ognuno alla sua, e dando volta, con quanto aveàno di velocità, fuggirono tutti chi per una e chi per altra via; salvandosene la maggior parte nella città . Solamente nu picciolo corpo il quale era più che gli altri ordinato ritirandosi alla cima di un monte, quivi pose le armi e vi pernottò. Ma ne’ giorni seguenti essendo dal console circondala 1’ altura e chiusene tutte le uscite, necessitato dalla fame si sottomise, e cedette le arme. 11 I console fe’ vendere pe’ questori quanto vi era, prede, spoglie, prigionieri, onde riportarne danaro alla patria. Non molto dopo levò 1’ esercito dalle terre nemiche e a suoi lo ricondusse, ornai standosi 1’ anno per terminare. Giunto il tempo da creare i magistrati, i patrizj che vedevano il popolo irritato e pentito della condanna di Cassio, deliberarono di sopravvegliare perchè non facesse movimenti elevato di nuovo a speranze di donativi e di divisioni di terre da taluno che prendesse gli onori consolari pieno della facondia per aringarlo e travolgerlo. Parve loro che se il popolo desiderasse ponto di ciò, potesse impedirsegli con eleggere un console ad esso non £tvorevole. Ck>nchiuso ciò confortano perchè aspirino al consolato Fabio Cesone 1’ uno degli accusatori di Cassio fratello di Quinto, console attuale^ e Lucio Emilio altro patrizio propensi^mo agli Otti mali. Non potendo il popolo impedir questi due che aspirassero al consolato, usci dal campo e si levò dai comizj. Perciocché ne’comizj centuriati tutto il poter de’snfiragj assorbivasi da’ cittadini più illustri e primi di ordine ; e di raro cosa alcuna si decideva col voto ancora delle centurie intermedie di ordine: la classe estrema poi nrila quale votava la parte più misera e più numerosa non avea, come innanzi fii detto, se non un voto solo, il quale era 1’ ultimo. Adunque negli anni dugento settanta dalla fondazione di Roma essendo Nicodemo 1’ arconte di Atene divennero consoli Lucio Emilio figliuolo di Mamerco, e Fabio Cesone figliuolo 'di Cesone. Ora succedette loro secondo il desiderio di non essere pertui> bati da sedizioni civili; per essere la repubblica investita di fuori. E le cessazioni delle guerre esterne sogliono rieccitare le nazionali, e dimestiche tra’ Greci, tra’ bar bari, e dovunque, principalmente tra’ popoli che vivono Ira le armi e i travagli per amore della bbertà e del comando ; perchè gli animi avvezzi a bramare ognora più, ridotti senza gli esercizj consueti difficilmente si contengono. Su tal vista comandanti savissimi fomentano sempre alcuna discordia cogli esteri; giudicando migliori le guerre nelle regioni altrui che nella propria. Allora Roma Giatonc Varrone] I 1 I fecondo il genio appunto de’ consoli, occorsero come bo detto, le insurrezioni de’ sudditi. Imperocché li Volsci sia che hdassero ne’juoti interni di Roma, contendendo il popolo co’ magistrati ; sia che fremessero per la infamia della precedente disfatta, ricevuta senza combattere; sia che insuperbissero per le forze loro che eran grandissime; sia che seguissero tutte insieme queste cagioni; aveano deliberato ikr guerra ai Romani. E raccogliendo i giovani da tutte le dtté marciarono con parte dell’esercito contro le città de’ Latini e degli Ernici, e coll’ altra che era la più numerosa e più forte teneansi pronti a ribattere chiunque si avanzasse contro le loro. 1 Romani ciò saputo deliberarono dividere 1’ armata in due corpi, e guardare con uno le terre degli Ernici e de’ Latini, e correre coll’ altro a depredare quelle dei iVolsd. Avendo i consoli, com’ è loro costume, tirato a sorte le milizie ; Fabio Cesone assunse il comando di quelle che andavano a soccorrere gli alleati, e Lucio marciò colle altre contro la città degli Anxiati. Avvicinatosene ai confini, e vedutevi le armi nemiche, si accampò su di un colle a fronte di ^e. Ma uscendo i nemici ne’ giorni consecutivi più volte in campo, e sfidando alia battaglia; egli credette avere il buon punto, e cavò le sue schiere. Ed ammonitele, e riammonitele prima del cimento ; alfine diedene il^egno e le avventò. Bentosto i soldati alzato il grido consueto della battaglia pugnarono folli, a schiere e coorti. Esaurite poi le lance, i dac;di cd ogni arme da tiro si scagliarono, rotando le spade, gli uni su gli altri con ardire e desiderio eguale di misurarsi. Era iu ambedue simi lissima la maniera di combattere : nè maggiore tra Ro mani la saviezza e la sperieuza che gli aveva rendati già più volte vincitori, nè maggiore la costanza e la sofferenza per 1 esercizio di tante battaglie ; ma le doti stessissime brillavano pur tra’ nemici 6n dall’ ora, che fu duce loro Marcio, famosissimo duce romano. Adun(jne gii uni resistevano agli altri senza cedere il posto preso in principio. Ma dopo alquanto i Volaci a poco a poco si ritirano, schierati, e con ordine, tenendo fronte ai Romani. Tendea quel movimento a dividere le milizie di questi e combatterle da lut^o elevato. In opposito i Romani credendo che questi principiasser la fuga tennero anch’ essi a passo a passo in buon ordine dietro loro che si ritiravano. Ma poiché videro che a rilancio conevano agli alloggiamenti anch’ essi rapidissimi, in disordine li seguitarono. Intanto le centurie estreme e la retroguardia, quasi già vincitrici, spogliavano i morti, e davansi a predare la regione. Vedendo ciò li Voisci che facean credere di fuggire, giunti appena alle Urincee, voltata faccia, si contrapposero : e quelli che erano negli alloggiamenti, spalancate le porle, accorsero numerosi da più parti. Or qui cambiarono le vicende della battaglia : chi perseguitava fugge, e chi fuggiva perseguita. Perirono, com’ è naturale, molti bravi Romani incalzati giù pel declivio, e circondati ; essi pochi, dai molti. Non dissimile sorte incontrarono quanti eransi dati a spogliare e predare, impediti di retrocedere schierati e con oi^ dine ; imperocché sopraHatti ancor essi da' nemici restavano iracidali o prìgiooierì. Quanti però di questi o di quelli respinti giù pel monte fuggivano in salvo ; soccorsi, benché tardi, dalia cavalleria, tornavano al6ne a’ proprj alloggiamenti : e parve che a non essere intc-ramenie distratti giovasse loro un’acqua dirottissima dal cielo, ed un bujo qual formasi per nebbia profondissima ; perocché non potendo i nemici vedere più di lon tano, infkslidirottsi a seguitarli più oltre. La noue appresso il console movendo l’ armata la ritirò cheta, in buon ordine, sicché 1’ inimico noi comprendesse. Al tornar della sera mise il campo presso la ciué di Longòla t scegliendo un’altura idonea, onde. respingerne gli assalitori. E qui fermatosi curava gli egri .dalle ferite, e rianimava gli aiHitti dalla vergogna delia disfatta impensata. Tale er^ lo stato de’ Romani. Li Volacipoi come al nascere dei giorno conobbero che quelli eransi di loggiati; portarono più da vicino il campo loro. Quindi spogliato avendo i cadaveri de’ nemici, raccolto i semivivi che davano speransa di guarigione, e seppellito gli estinti loro compagni, rientrarono la città di Anzio che prossima rimaneva. Qui cantando inni e porgendo in ogni tempio sagrifìzi per la vittoria, si diedero ne’ giorni seguenti ai conviti e piaceri. E se teneansi a quella vittoria, né intraprendevano altra cosa; la guerra avrebbe avuto per essi nn esito fortunato. Imperocché li Romani non aveano cuore di uscire dagli alloggiamenti per combattere ; anzi desideravano di lasciare le terre nemiche, anteponendo nna fuga ingloriosa ad una morte DIOIfJGI, tomo ut. manifesu. Infiammati però da speranae maggiori, perderoDO la gloria ancora della prima vittoria. Udendo dagli eipioratori e dai disertori che i Rbmani andati salvi eran pochi, e per lo più feriti ; ne concepirono disprezzo grandissimo, ed impugnate le armi marciaron sa loroi Li seguitarono senza 1’ armi moiri della città per vedor la batuglia, e per fare insieme prede e guadagni. Ma quando giunti all altura circondarono gli alloggiamenti, e presero a svellerne gli steccati ; proruppero prima su di essi i oivalieri Romani, postiti a piede per la condizione del luogo, e poi li triarj, schieratisi strettissimi. Sono questi i veterani a’ quali si dà la guardia degli alloggiamenti, se le milizie escono per combattere, ed a’ quali per mancanza di altri ripari si ha restrerao indispensahil ricorso quando avviene strage funesta de’ giovani. Ne sostennero i iVolsci la irruzione e pugnarono gran tempo pieni di valore. Ma non favoriti poi dalla natura del aito se ne rimossero : e fatto a’ nemici danno tenue, nè degno di memoria, e ricevutolo essi più grande ancora; calarono alia pianura. Messi quivi gli alloggiamenti, schierarono ne’ giorni appresso 1’ armata, e provocarono i Romani alla battaglia : nè pertanto uscirono questi al paragone. 1 Volsci vedendo ciò li spregiarono : e convocate le milizie dalle loro città ; si ap pareccbiarono per espugnarne le trincee colla moltitudine. E ben erano per fare alcuna cosa di grande riducendo per patri e colla forza il console e i suoi che già penuriavano ; ma giunse prima di loro il soccorso Romano, e furono traversati da compiere con bellissimo (ìpe la guerra. Imperocché Fabio Cesoue l’altro console,. I I 5 Mpen rono compartiti pe’ corpi varj. I consoli dopo avere sup> plite le coorti mancanti, tirarono a sorte il comando degli eserciti. Prese F abio l’ esercito sostenitore degli alleati, e Valerio 1’ altro che accampava tra’Yolsci ; recandovi le nuove reclute. I nemici saputo il giugner di lui, deliberarono far venir nuove troppe, trinderarsi in luogo più forte, nè coìrere, come prima, per lo dispregio rovinose vicende. F orqirono i duci tutto ciò speditissimàmente, intenti l’ uno, e l’ altro a guardare le trincere sue dagli assalti, non ad assalir le inimiche, per espugnarle. Cosi decorse non poco tempo fra terror vicendevole che 1’ ano 1’ altro investisse. Non poterono però l’uno e l’altro osservare sino al fine il proposito. Imperocché quante volte spedivasi alcuna parte di esercito pe’ frumenti o per altro bisogno ; davansi attacchi e percosse, con esito non sempre vittorioso per ' Cesare (a) Altenlare so’ Iribaoi era delitto graTÌssimo, perchè le persone loro si riguardavano come sacre ed inviolabili : Quindi Cicerone nel lib. 3 de legibns scrive: quodque ii prohibessint, quodque plcbem rogaisint ralitm està ^ taneiique turno. vin. I ig UD de' partiti. Ne perirono in tante scaramacce non pochi ; restandone feriti ancor più. Non riparava le perdite Romane alcun nuovo rinforzo venuto altronde ; mentre i Volsci, sopravvenendo ad essi schiere su schiere, si erano moltissimo ampliati. Dond’è che animatine i duci loro, cavarono dalle trincee 1’ esercito per la battaglia. Usciti i Romani nommeno e schieratisi a fronte, insorse una mischia grandissima di cavalli, di fanti, di soldati leggeri, pieni tutti di ardore e di > sperienza e ciascuno col disegno che dipendesse da lui solamente la vittoria. Cadutine dall’ una e dall’ altra parte molti estinti, e piò ancor semivivi ; si ridussero a pochi quelli che tuttavia rimanevano tra la mischia e il pericolo. Or non potendo questi fare le azioni di guerra perchè gli scodi destinati a difendere, pieni di dardi conGccativi ^ aggravavano la sinistra, né permettevano che si tenesse ferma in atto di ripercotere i colpi, e perchè le spade erano ornai spuntate, rotte, inutili ; tanto più che il combattere di tutto il giorno gli aveva stancati, mer^ vati, illanguiditi a ferire, e la sete, il sudore, l’aiTanno travagliavali come chi combatte a lungo nelle ardentissime ore di estate; la battaglia non prese termine me morando, ma 1’ nnò e l’ altro duce ritirarono ben vo lentieri le armate : e tornarono a’ proprj alloggiamenti^ Non uscivano più gli uni o gli altri a combattere, ma standosi dirimpetto spiavano a vicenda le sortite degli emoli pe’ bisogni di guerra. Parve nondimeno, e molto in Roma se ne discorse, che la milizia Romana, potendolo, non facesse nulla di luminoso per odio contro del console, e per indignazione su’ patrizj, mentitori nella dÌTÌsione delle terre. In opposito i soldati acctisa vano il console come insulficiente ; scrìvendone ognuno lettere ai suoi. Tali furono gli eventi nel campo in Roma intanto molti segni celesti annunziarono l’ira divina con voci, e viste inusitate. E tutti i segni concorrevano a questo, come i vati e gli spositorì delle sante cose, te nutone consiglio, interpretavano, che alcuni de’ numi erano esacerbati, perché non riceveano gli onori legit timi, o riceveano sagrifizj non puri, nè pii. Faceasi dunque grande ricerca, 6nchè diedesi indizio a’ sacerdoti che l’ una delie vergini, custodi del fuoco sacro ( Opimia n’ era il nome) avea la verginità contaminato, e con la virginità le sante cose. Or questi con indagini e discussioni chiarìtlsi .esser vero pur troppo il fello indicato, spogliarono quella delie sacre bende, e condottala di su |1 foro, la seppellirono viva tra sotterranee pareti. Flagellarono poi nella pubblica luce ed uccisero due convinti del fello con essa. E ben tosto favorevoli le sante cose, e favorevoli si ebbero le risposte degl’indovini, come per la pace venduta da’ numi. XC; Giunto il tempo de’comizj, e venutivi i consoli, ebberì briga e contenzione assai viva tra’ patrìzj e tra ’l popolo su’ personaggi che avrebbero da pigiare il comando. Voleano quelli promovere al consolalo giovani intraprendenti né amici della plebe ; e per insinuazione loro chiedevalo il figlio di Appio Claudio, di quello riputato già si contrario al popolo ; ed era questo figlio pieno di orgoglio e di audacia, e potente per amicizie e clientele più che lutti dell’ età sua. Per l’ opposito il popolo nominava a far l’ utile pubblico e volea per con vm: 1 3 1 soli personaggi anziani, notissimi per le d^ci maniete sole vi marciasse colle armate. Fu tal decreto un sub> bjetto di contraddizioni : perocché molti non lasciavano che la guerra uscisse, ricordando a’ plebei la partizion delle terre decisa già da cinque anni dal Senato, e come tra le belle speranze furono defraudati, e protestando che non particolare ma comune sarebbe quella guerra, se la Etruria tutta levavasi unanime a soccorrere ì suoi nazionali. Non poterono però nulla tali sediziosi discorsi; imperocché per le insinuazioni di Spurio Largio anche il popolo ratiScò la sentenza de’ padri : pertanto i consoh cavarono gli eserciti, e gli accamparono separati r uno dall’ altro, non lungi da Yejo. Si tennero in tal modo più giorni: non uscendone però l’inimico coll’armata ; datisi a saccheggiarne i campi, sen tornarono con quanta poteano più preda in patria. Or ciò e non altro vi ebbe di memorabile sotto questi consoli. L JLj anno appresso nacque disparere tra ’l popolo e tra i senatori su la scelta de' consoli : imperocché questi voleano promovere al consolato due di cuore patrizio, laddove la moltitudine due ne volea popolareschi. Arse la disputa finché tra loro si persuasero, che ambedue le parti dovessero nominare, ciascuna, un console. Pertanto il Senato elesse Fabio Cesene per la seconda volta, quello appunto che aveva accusato Cassio come reo di tirannide, ed il popolo creò Spurio Furio Roma Catone Vairone. laS nella olimpiade settantesima quinta ; essendo Calliade Arconte in Atene, al tempo appunto che Serse fece la sua spedizione contro della Grecia. Or avendo questi preso appena il comando, yennero in Senato gli ambasciadori Latini per supplicarvi, che si mandasse loro coir esercito l’ uno de’ consoli, il quale non permettesse che la insolenza degli Equi procedesse più oltre. Annunziavasì insieme che la Etruria tutta era in moto, e che tra non molto uscirebbe colle armi per essersi già riunita in (x>mizj generali : come pure che avendo i Vejenti insistito per congiungersele contro i Romani, ne aveano Gnalmente ottenuto, che potesse ogni Tirreno parucipare alla impresa: dond’ è che fatto, si era un corpo riguardevole di Vejenti volontari, per militarvi. Or ciò vedendo i magistrati Romani deliberarono che si recintasser le armate, e che li consoli uscissero con esse r uno per combattere gli Equi, ed esser il vindice dei Latini ; e l' altro per marciare contro l’ Etruria. Opponessi a ciò Spurio Sidnio l’uno de’tribnoi, è con gregando ogni giorno il popolo a conclone raddomandava le promesse dal Senato, e protestava che non pen> metterebbe, che si eseguisse niuna delle cose decretate da’ padri su’ nemid o su la dttà, se prima non creavano i Died, per deBnire le terre del pubblico, e non le compartivano, come eransi obbligati in verso dd popolo. Implicavasi, nè sapeva che fare il Senato ; quando Ap> In atconì codici ti legge Icilio: e Lirio stesso nel lib. 4, dice : auetoret fuitte tam Uberi popolo mffrayì leitios accipio, ex famitia i/ifeetUtima patribue Irei in eam antuun Uibunot plebù ereaioi. e pio Claudio suggerì che si procurasse la dissensione tra questo e gli altri Tribuni ; perciocché vedea, eh' essendo r oppositore inviolabile, ed impedendo col poter dei^ leggi i decreti de’ padri, non rimaneva altra via da rintuzuraelo, se non quella che un altro di eguale onore e potenza operasse in conurario, e proibisse ciocch’ egli proibiva: consigliava inoltre che quanti prenderebbero successivamente il consolato si adoperassero, e mirassero sempre ad avere iàmigliari ed amici de’' tribuni, ripe tendo non esservi altr’ arte da iuvalidame il potere, se non quella di ridurli discordi. II. Parve ai consoli che Appio ben consigliasse, ed essi, e gii altri de’più potenti si afiàticarono vivamente, perchè quattro de’ tribuni si dessero ai voleri del Se> nato. Or questi cercarono alcun tempo persuadere colle parole Sicinio a desistere dalla mira che i terreni si' dividessero innanzi la fin della guerra. Ripugnando e giurando, e dicendo però costui protervissimamente, che vorrebbe piuttosto vedere la città caduta in poter dei Tirreni e di altri nemici, che lasciare placidi a sestessi que’ che godeansi le terre del pubblico, pensarono di prender quindi la bella occasione di parlare, e di operare contro tanta arroganza, non udita con piacere, nemmeno dal popolo. Adunque dichiararono che gliel proibivano ; e fecero svelatamente, quanto piacque al Senato, ed ai consoli. Dond’ é che Sicinio rimasto solo non era più 1’ arbitro di cosa niuna. Fecesi dopo ciò la iscrizion dell’ annata, e si apparecchiarono dai privati, e dal pubblico con ogni diligenza le cose tutte necessarie per la guerra. I consoli, tirata a sorte la spe. 127 dÌEioQ loro, uscirono ben (osto all'aperto, Spurio Furio contro le città degli Equi, e Fabio Casone contro i Tirreni. Corrispondevano i successi appunto ai disegni di Spurio ; non avendo i nemici nemmen cuore di venire alle mani : e potè di quella spedizione raccogliere danari e prigionieri in buon numero ; imperocché per poco non scorse tutto il territorio nemico, menando o portando via. Concedè tutte le prede in dono ai soldati : e se parea già da gran tempo l’amico del popolo; più che mai se lo accarezzò con tal suo capitanato. Del quale, finito il tempo, ricondusse l’ esercito intero, inviolato, ricchissimo divenuto, alla patria. IIL Fabio Cesone diresse nemmeno bene il comando deir armata, por andò privo delle lodi delle opere, non per colpa sua, ma perchè fin d’ allora che fe’ giudicare, e dare a morte Cassio il console, come intento alla tirannide, non avea più lafiètto del popolo. Donde che li soldati suoi non erano disposti nè ad ubbidire colla prestezza la quale abbisogna al duce, che ordina, nè ad espugnare con ardore quantunque muniti di fòrze convenienti, nè a guadagnare colle insidie i posti opportuni al buon successo, nè a fare cosa niuna dalla quale raccogliesse onore e fama buona pe’ comandi che dava. Le altre iocongruenze poi colle quali spregiavano esso capitano erano per lui meno gravi, nè di tanta rovina per la patria. Se non che quel che fecero in ultimo creò pericolo non lieve, e grande ignominia per ambe> due. Imperocché scesi a battaglia campale fra i due colli su quali alloggiavano diedero molte e splendide prove di valore, fin a scingere i nemici a dar volta ; non però gl' inseguirono nella fuga, sebbene il capitano ve gli scongiurasse, né vollero con fermezza asserliame gli alloggiamenli ; ma lasciata la bell opera imperfetta, si ritirarono alle proprie trincee. Anzi tentando il console capitano dire alcune cose : molti a gran voce ne lo beffarono, e redarguironlo che avesse per la im> perizia sua nei comandare, fatto tra lor la rovina di tanti valentuommi: ed aggiungendo altre maldicenze e querele, esigerono che sciogliesse il campo, e li riconducesse a Roma, come insufficienti ad una seconda battaglia, se il nemico su loro tornasse. Nè puntò si pie garouo per le ammonizioni, nè si commossero pe’ g> miti, e per le suppliche di lui, nè le grandi minaccie ne riverirono { ma sd^nandosene ognora più si ostinarono. Per le quali cose tanta, e tanto universale fu la insubordinazione, e il dispregio pel capitano; che le-vatisi intorno la mezza notte, dismisero le tende, e raccolsero le armi ; trasportandone li feriti, senza comando ninno. ly. Il duce vedendo ciò fu costretto dare il segno per tutti della partenza ; temendo 1 audacia e l’ anarchia loro : ed essi come salvatisi colla fuga, pervennero in gran fretta su 1’ alba presso di Roma. Le guardie delle mura ignorando che fossero amici, brandirono le armi, e chiamaronsi a vicenda ; e tutto il resto della ciltè si empiè di confusione e tumulto, come per grande sciagura : nè si aprirono le porte, se non a di luminoso, quando si ravvisò eh’ era 1’ esercito loro. Questo poi, Secondo ua’ altra leiione il teaio Mrebbe : ami tentando aieuni dare ai cotuoU nome d' Imptradore ec. per tacere la infamia deli' abbandono del campo, corse a riscbio non lieve, traversando disordinatamente di notte le terre nemiche. Imperocché se gli emoli se ne avvedevano, e lo inseguivano, niente impediva che lo sterminassero. Cagione, come ho detto, di questa irragionevol partenza, o fuga, fu l’odio del popolo contr dei capitano, e la invidia su la onoriBcenza di lui, af> finché più autorevole non divenisse per la gloria del trionfo. I Tirreni conosciutane al quovo di la rimozione, spogliarono i cadaveri de’ Romani, presero e trasportarono i feriti, e saccheggiarono nelle trincee tutti gli apparecchi, certamente ben grandi, come per guerra diuturna. Alfine dopo avere, quasi vincitori, depredate le terre nemiche più prossime, ricondussero in patria 1’ armata. V. Creati consoli dopo questi Cajo Malllo, e Marco F abio per la seconda volta, siccome il Senato decretò, che marciassero contro Vejo con armata quanta po> teano numerosa, intimarono il giorno per la iscrizioa dei soldati. Ben pose loro Impedimento per questa Til>erio Pontificio T uno dei tribuni con reclamare il de-creto su la partizione delle terre : ma essi, come aveano fatto i consoli antecedenti, guadagnando altri de’ tribuni, disunirono que' magistrati, e cosi diedero esecnzlone pienissima ai voleri del Senato. Finita in pochi di la coscrizion militare, uscirono contro de’ nemici ; conducendo ciascuno due legioni, reclutate dalf interno di Roma Catone Varrons] Roma, e milizia non minore ; spedita dalle colonie e da’ sudditi. Giunse dai Latini e dagli Emici il doppio del soccorso intimato, non però li consoli lo usarono tutto, ma rimandandone la metà, li ringraziarono amplissimamente di tanto buon animo. Accamparono innanzi di Roma una terza armata floridissima di due legioni, per guardia del territorio, se mai vi si presentasse altro esercito nemico improvviso ; e lasciarono a difenderne le fortezze e le mura gli altri non più compresi nella iscrizion militare, ma validi ancora per le armi. Quindi guidando gli eserciti fin presso di Vejo ne misero il campo su due colli non molto lontani fra loro. Accampavasi davanti la città l’armata nemica, numerosa e buona pur essa ; anzi maggiore non poco della Romana per esservi accorsi i primarj di tutta la Etmria co'lor dipendenti. All’aspetto di tanta moltitudine, allo splendore delle armi, assai temerono i consoli di non listare a vincere, se metteano l’ esercito loro non bene concorde a fronte dell’ esercito unanime de’ nemici. Adunque deliberarono i consoli fortificare il campo, e prender tempo, finché l’ audacia nemica, elevata da un irragionevol disprezzo, desse loro la opportunità di ben fare. Seguivano dopo ciò preludj continui di battaglie, e brevi scaramucce di soldati leggeri ; non però mai nulla di grande o di lumino). VI. Mal soffrendo t Tirreni la dilazion della guerra accusavano i Romani di viltà perchè non uscivano a battaglia, e magnifica vansi, quasi avessero questi ceduta loro r aperta campagna. Anzi tanto più si elevavano a spregiare le milizie nemiche e vilipenderne i consoli ;. 1 3 I quanto che credeano gl’ Iddj combattere pc’ Tirreni. E certo caduto un fulmine nel quartiere di Cajo Mallio ]' uno de’ consoli, ne abbattè la tenda, ne mandò sosso pra i focolari, ne macchiò le arme, le bruciò d’ intor no, o in tutto glie le distrusse ; e ne uccise il più co spicuo de’ cavalli dei quali valessi nel combattere, ed alquanti de’ servi. E condossiacbè gl’ indovini diceano che i numi annunziavano la presa del suo campo, e la rovina de’ personaggi più riguardevoli ; Mallio levò l’ e centrò nel campo stesso del compagno. I Tirreni conosciuta la traslazione, ed uditane la causa da’ prigionieri, s’ ingrandirono tanto più nel cuor loro, quasi il cielo ancora guerreggiasse i Romani; e moltissimo confidarono di vincerli. E gl’indovini loro i quali sembrano aver meglio che quelli di altri popoli esaminato i segni superni, e d’onde scoppino i fulmini, e dove finiscano dopo il colpo, da qual Dio vengano, e con quale presagio di bene o dì male; esortavano che si andasse al nemico, inlerpetrando il segno avvenuto a’ Romani in tal modo : poiché il fulmine cadde nella tenda consolare ov' è il centro del comando, e disfecevi tutto insino ai focolari ; egli è indizio divino a tutto l’ esercilo deir abbandono del campo espugnato a forza, e della rovina de' più riguardevoli. Se dunque, diceano, coloro che ebbero U fulmine restavansi nel luogo fulminato, nè trasportavano ciocci erano significato infra gli altri ; la presa di un campo, e la distruzione di un’armata sola avrebbe appagato lo sdegno del nume cite U contrariava. Ma perciocché cercando precedere col senno gli Dei si trassero aiì aluo campo, lasciato deserto il proprio, quasi il segno celeste fosse pel luogo non per gli uomini ; quindi è che [ ira ' dà' ina fulminerà lutti e chi trasmutatasi, e chi li raccolse. E siccome mentre la necessità divina prenunziava la presa del campo essi non aspettarono, ma lo cederono di per sestessi a nemici, così non il campo abbandonato sarà preso di forza, ma quello che ricettò chi lo abbandonava. I Tirreni, udite tali cose dagl’indovini, invasero con parte dell’ esercito il campo derelitto da’ Romani, per valersene, contro dell’ altro. Erane il luogo ben forte, e mollo accomodato per impedire chi da Roma andava all’ esercito. Fatte poi diligentemente altre cose colle quali superar l’ inimico, recarono in campo 1’ armata. Ma standosene i Romani in calma, i più audaci fra loro scorsi e fermatisi a cavallo presso le trincee, rampognarono tutti, quasi femmine : e dicendo simili i duci loro agli animali più timidi, gli sbeffavano, e chiedeano l’ una delle due, vuol dire ; che se disputavano altrui la gloria delle armi ; scendessero in campo, e ne decidessero con una sola battaglia : ma se riconosceansi per codardi ; cedessero le arme ai più forti, subissero la pena delle opere, nè più aspirassero a nulla di grande. Replicavano altrettanto ogni giorno: ma per ciocché niente ne proGttavano ; deliberarono rinserrarli intorno intorno con muro, per astringerli, almeno colla fame, alla resa. consoli lungo tempo guardarono solamente ciocché facevasi non per codardia nè per molIcsza, essendo Tuno e l’ altro animoso e guerriero; ma perchè temevano il mal talento, e la ritrosia nata e perpetuatasi ne’ soldati plebei fin d’ allora che il popolo tumultuò per la division delle terre. Ancora stavano loro su gli orecchi, e su gli occhi le cose che avea fatte nell’ anno precedente per astio sul console, vituperose né degne di Roma, cedendo la vittoria ai vinti, e sostenendo fin gli obbrobrj di una fuga non vera, affinchè colui non trionfasse. Vili. Volendo tor vii finalmente dall’ esercito la sedizione e richiamare alla concordia primitiva la moltitudine ; e dirigendo a ciò tutti i disegni e le providenEe ; poiché non poteano ravvederla uè co’ supplizj parEÌali come protervissima ed armata, nè co’ discorsi come insofferente di essere persuasa, concepirono che due vie rimarrebbero per la riconciliazione; vuol dire; la infamia di essere vilipeso da’ nemici per gli uomini (che pur ce ne avea ) d’ indole moderata, e la necessitò, coi tutti paventano, per gl’ indocili al bene. Adunque per effettuare ambedue queste cose, lasciarono che i nemici li disonorassero colle parole, biasimando la calma loro come la calma de’ vili ; e li necessitassero coi fatti pieni di arroganza e disprezzo a tornar valentuomini, se tali non dimostravansi per sestessi. Speravano, se ciò faceasi, grandemente che accorrerebbero tutti al quarlier generale fremendo, gridando, ed istando di esser condotti al nemico. Or ciò appunto addivenne ; imperocché non si tosto prese il nemico a rinchiudere con fossa e steccalo le uscite dal campo, i Romani considerata la indegnità dell’ opera, ne andarono prima in pochi, indi in folla alle tende dui consoli, c vi schiamazzarono, e come di tradimento li redarguirono; protestando infine die se niun de’ due li guidava, essi di per sestessi volerebbero colle armi alla roano su gli avversar). Ciò fatto da tutti, giudicando i consoli venuta alfine la opportunità che aspettavano, imposero agli araldi di chiamarli a parlamento. Allora Fabio recatosi innanzi disse : Sohìati, capitani, tarda è la vostra indignazione su vilipendj che vi si Jan da’ nemici ; nè più in tempo è la volontà che at'ete di combatterli, pei'che m annestatasi troppo dopo il bisogno. Allora doveasi ciò fare quaruìo li vedeste la prima volta scendete dalle trincee, e cercar la batiaglia: jdllora bello era il combattere pel comando, e degno della sublimità de’ Romani. Ora necessario ne si è reso, e certo non di egtuile decoro, quatulo ancora vincessimo. Nondimeno sta pur bene che vogliate una volta ri' scuotervi, e riavervi delle occasioni tralasciate, E molto siete lodevoli per tale ardore verso le nobili gesta ; imperocché procede da virtù, e vai meglio cominciar ciocché deesi aruhe tardi, che mai. Ed oh! cosi tutti V abbiate sentimenti consimili per t util vostro, e vi animi tutti uno zelo medesimo per combattere. Paventiamo noi però che i trasporti de’ plebei contro de’ magist rati per la division delle terre, siano cagione al pubblico di sciagure, E ciò noi paventiamo, perché i clamori, e le istanze, e la insofferenza per uscire, non è forse in tutti t ejffctto di un disegno medesimo. Ma quali di voi anelale uscir dai campo per punir f inimico ; e quali per fuggirvenc. E cagione del tintor nostro non sono già gl’indovini, non le congetture; ma fetui più che notorj e non antichi, anzi freschi delt anno precedente, come tutti sapete, quando uscendo contro questi nemici medesimi un esercito nostro numeroso e forte, e pigliando fn la prima battaglia un esito propizio per noi, mentre Cesane mio fratello, console condottiero poteva espugnare gli alloggiamenti loro e riportare alla patria una vittoria luminosa, alquanti presi da invidia della gloria di lui perchè nè era popolare nè mirava nel suo governo a far le voglie de’ poveri, levarono le tende la notte stessa dopo la battaglia, e fuggirono fuori di ogni comando, senza valutare il pericolo che comprendevali nelf andare privi di ordine e di capitano per le terre nemiche, e fra la notte, e senza riguardare quanta vergogna ri avrebbero, perchè quanto era in loro, cedevano C impero a nemici, essi già vincitori ai viziti. Tribuni, centurioni, soldati ! in vista di tali uomini, non buoni nè per dominare, nè per farsi dominare, che pur sono molti e caparbii, e colle armi, non abbiamo noi fin qui voluto la battaglia, nè osiamo ancora per tali compagni decidere in campo la somma delle cose, perchè non sian essi tT impedimento e di danno a chi presenta tutto il buon animo. Ma se la divinità richiami ancor essi a buon senno, se, lasciate da parte le discordie per le quali ha il nostro comune tanti mali e sì gravi, e differitele ai tempi di pace, vorranno redimere ora col valore { obbmbrio passalo: niente impedisce che ne andiamo caldi di belle speranze al nemico. Oltre le tante opportunità di vinrere, le più. grandi e più solide ce le porge la stoli^ dità degli avversar] medesimi. Costoro superiori a noi di molto nel n limerò, ed atti con ciò solo a contrahhilanciare t animosità e perizia nostra, han privato sestessi fin di quest’ unico vantaggio, consumando il più delle milizie in guardia delle loro fortezze. Ap-presso, quantunque dovrebbero fare ogni cosa con diligenza e saviezza considerando con quali e quanti grand uomini abbiano a misurarsi, pur vanno conarroganza ed incuria al cimento, come sian essi invincibili, e noi sopraffatti dal terrore di essi. E le fosse con che ci cingevano, e le corse a cavallo fin sotto ai nostri alloggiamenti, e tan^ altre ingiurie colle parole e colle opere, questo appunto dimostrano. Or via dunque, ciò riguardando e le tante e sì belle antiche battaglie nelle quali gli avete vinti : andatene con ardore a questa ancora. E quel luogo dove ciascuno sarà collocato, quello concepisca essere la casa, i poderi, la patria sua : concepisca che chi salva il vicino in battaglia salva sè ancora: e che abbandona sestesso a nemici chi abbandona il compagno. Ilammentatevi soprattutto che di quelli che persistono valorosi e combattono, pochi no soccombono ; laddove pochi ne scampano, e a stento, di quelli che piegano, e figgano. X. Egli seguitava ancora, in mezzo a lagrime copiose, tal discorso animatore, e chiamava a nome ciascuno de’ tribuni, de’ centurioni, e de’ soldati, nolo a lui per le belle prove di valore date nel combattere, e prometteva a chi più segnalato sarebbesi nella batlaglia molti e gran pegni di benevolenza, onori, r;c> cliezze, soccorsi d’ ogni guisa in parità delle imprese ; quando proruppe da tutti una voce che inviuvalo a con6dare, e portarli al nemico. Cessata questa, gli si fece innanzi dalla moltitudine Marco Flavoleio, plebeo di condizione ed arteGcc, non vile però, ma per le sue virtù pregiato, e prode in guerra ; e per tali due rispetti condecorato in campo di una presidenza luminosa, cui sieguono ed ubbidiscano per legge sessanta centurie. I Romani chiamano primipili nel patrio idioma tali condottieri. Or quest’ uomo, altronde grande e bello, postosi in parte, donde fosse a lutti visibile, alfine disse: K oi temete, o consoli, che le opere nostre non corrispondano alle parole ? Io per il primo vi darò su mestesso le assicurazioni meno equivoche della mia promessa. E voi cittadini, voi compagni della sorte medesima, voi che avete risoluto di pareggiare ai detti le opere, non sbaglierete facendo quanto io fo. E qui, sollevando la spada, giurò con formola sacra e solenne ai Romani, per la sua buona fede, di non tornare, se non dopo vinti i nemici, alla patria. Sorsero al giuramento di Flavoleio lodi amplissime d’ogn’intorno. Fecero bentosto altrettanto i consoli e mano a mano i duci minori, tribuni e centurioni ; e la moltitudine finalmente. Yidesi dopo ciò molto buon animo in tutti, molta benevolenza fra loro, molta confidenza, e fermezza. Partiti dall’ adunanza, chi metteva il freno ai cavalli, chi le spade aguzzava e le lance ; e chi riforbiva gli scudi ; ond’ è che tra poco tutta 1’ armala fu in pronto per la battaglia. I consoli, invocali gl' Iddìi con voti, con ugrifizj, con suppliche, perchè fossero i duci essi stessi di quella uscita, portavano fuori degli steccati l’esercito, schierato in buon ordine. I Tirreni vedutili scendere dalle loro trincee, ne stupirono, e vennero ad incontrarli con tutte le forze, XI. Come furono gli uni e gli altri sul campo, e le trombe annunziarono il seguo delta battaglia, corsero quinci e quindi con alti clamori. E fattisi i cavalieri su i cavalieri, ed i fanti so i fanti; pugnarono, e molu fu la occisione in ambe le parti. I Bomani dell’ala destra comandati dal console Mallìo malmenavano il corpo che li contrastava, e smontati da cavallo combattevano appiedo: ma quelli dell’ala sinistra erano circondali dal corno destro de’ nemici. Imperocdiè essendo ivi la milizia tirrena più elevata e più numerosa, i Romani ne erano battuti, e coperti di ferite. Comandava in questo corno Quinto Fabio luogotenente e già due volte console. Egli resistè lungo tempo, ricevendovi ferite sopra ferite ; ma poi trafitto da una lancia nel petto fino alle viscere, esangue ne stramazzù. Come ciò udì Marco Fabio il console che crasi ordinalo nel centro, pigliò seco i più bravi, e, chiamato Fabio Cesone l’uno dei fratelli, marciò verso 1’ altro Fabio . E proceduto buon tratto, e trascorso all’ala destra de’ nemici, venne a quelli che circoudavano i suoi. Dato l'assalto, causò strage cupa a quanti avea tra le mani, e fuga ad altri che erano da lontano. Trovato il fratello che respirava Il ferito. Par questo il senso migliore. Nel testo si legge in luogo di Fabio. Qui dunque si hanno tre Fabj, Marco, Quinto, c Cesone, fiaiclli lutti tre. ancora, lo soUcTÒ; ma questi non molto sopravvivendo, morì. Crebbe qui l’ira a’ vendicatori suoi su’ nemici. Nè più riguardando la propria salvezza lanciatisi in piccieda sebiera nel mezzo di essi, dove erano più folti, vi alzarono monti di cadaveri. Pericolò da questa |>arte la milizia toscana, ed essa che prima incalzava en incalzata dai vinti. Per l’ opposto c|oelli dell’ala sinistra che gii crollavano, e gii meticvansi in piega li dove era Mallio, quelli fugarono i Romani contrapposti. Imperoo cbè trafitto Mallio con una lancia da banda a banda in un ginocchi o, c riportato da’ suoi che lo circondavano agli alloggiamenti ; i nemici lo credettero estinto, e se ne animarono ; ed assistiti pur da altri forzavano i Romani, ridotti senza duce. I Fal^ dunque lasdalo il corno sinistro furono di nuovo astretti a soccorrere il destro. I Tirreni, vistfli che venivano con esercito poderoso, desisterono dall’ inseguire : e strettisi fra loro, combatterono io ordinanza, perdendovi molti de’ loro ; e molti nocidendovi de’ Romani. XII. Intanto i Tirreni ebe avevano invaso gli alloggia menti lasciati da Mallio, aizaione il segnale dal capitano, marciarono con gran fretta ed ardore verso gli altri alloggiamenti Romani perchè non bene forniti di guardie. Era il loro concetto verissimo ; perché tolti i triarj e pochi giovani, non v’ erano se non mercadanii, e servi, ed artefici. Ma ristringendosi molti in picciolo spazio presso le porte, ebbevi una viva e terribile zuffa con strage copiosa e vicendevole. Accotzo con i cavalieri Mallio il console per ajuto ; cadde col cavallo, nò potendo risorgere per le molle ferite vi morì. Perirono ancora intorno a lui molti giovani valorosi : e per tale infortunio gli alloggiamenti furono espugnati ; vcriGcan dosi cosi li vaticini fatti ai Tirreni. E se avessero ben usato la sorte presente, e guardato quegli alloggiamenti; sarebbero stati gli arbitri delle provvigioni de’ Romani e gli avrebbero costretti a partire obbrobriosamente : ma datisi a predare le cose rimastevi, e li più a ristorarsi ancora, lasciaronsi fuggir di roano una bella occasione. Imperocché nunziatasi appena all’ altro console la presa del campo, accorsevi co' fanti e cavalieri migliori. Li Tirreni saputo che veniva cinsero le trincee ; e fecesi battaglia ardentissima tra chi voleva ricuperar le sue cose, e chi temea, se ricuperavansi, 1’ ultimo eccidio. Ma traendosi in lungo, e riuscendovi migliore assai la condizione de' Tirreni, perchè combatteano da luogo elevato contra uomini stanchi dal 'combattere di tutto il giorno; Tito Siccio legato e propretore, consigliatosene con il console, intimò la ritirata ; e che si riunissero ed attaccassero tutti le trincee dal canto più facile. Trascurò la banda verso le porte per un discorso plausibile che non lo ingannò; per questo cioè, che i Tirreni sperando salvaf&i, ne uscirebbero : laddove se di ciò disperavano circondati da nemici senza uscita niuna; sarebbero necessitati a far cuore. Portatosi in una sola parte l’assalto; non più si diedero i Tirreni a resistere; ma spalancate le porte, salvaronsi ne’ proprj alloggiamenti. II console, rimosso il pericolo, scese di nuovo a dar soccorso nel piano. Dicesi che questa battaglia de’ Romani fu maggiore di tutte le antecedenti per la mollltudine degli uomini, per la durazione del tempo, e per l’ alleraarvi della sorte ; imperocché venti mila erano i fanti, tutti di Roma, floridi e scelti, oltre mille dugento cavalli che univansi alle quattro legioni ; ed aU trettanta era la milizia de’ coloni, e degli alleati. La }>attaglia conunciaia poco prima del mezzogiorno si estese 6no air occaso, e la sorte ondeggiò quinci e quindi gran tempo tra vittorie e tra perdite. Occorsevi la morte di un console, di un legato, stato due volte console, e di tanti altri capitani, tribuni, e centurioni, quanti mai piu per addietro. Il buon esito della giornata fu creduto de’ Romani non per altro, se non perché li Tirreni fra la notte lasciarono il proprio campo, e passarono altrove. Il giorno appresso fattisi i Romani a saccheggiare il campo Tirreno abbandonato, e seppellire le morte spoglie dei loro,tornarono agli alloggiamenti. Dove riunitisi a parlamento diedero i premj di onore a quelli che avevano combattuto da valorosi, e primieramente a Fabio Gesone fratello del console, che avea fatto grandi, e meravigliose gesta : in secondo luogo a Siedo, cagione che gli alloggiamenti si ricuperassero ; ed in terzo a Marco Flavoleio duce di una legione, si pel giuramento, che per la magnanimità sua tra pericoli. Rimasero dopo ciò per alquanti giorni nel campo ; ma ninno più dimostrandosi per combatterli tornarono alla patria. In Roma per battaglia si grande laquale prendea fine bellissimo, voleano tutti aggiungere r onor del trionfo al console che tornava : ma il console stesso noi consentì, dicendo, non essere pia cosa, nè giusta, che egli s’ avesse pompa e corona trionfale per la morte del fratello e del collega. E qui lasciate le insegne, e congedalo 1’ esercito, depose ancora i) consolato due mesi prima del termine suo, non po> tendo ornai più sostenerlo per la grande finta che lo travagliava e riduoevalo in letto. Il Senato scelse gl’ interré pe’ comizj, e convocando il secondo interré la moltitudine nel campo Marzo, vi fu nominato console Tito Yerginio, e per la terza volta Fabio Cesone, colui che ebbe i primi premj della battaglia ed era fratello insieme del console, che avea deposto il comando. Questi, decidendo ciascuno per sé l’esercito col mezzo ddle sorti, uscirono in campo, Yerginio per combattere i Yejenti e Fabio gli Equi che scorrevano, depredando, le campagne Latine . Gli Equi all’ udire che i Romani venivano, si levarono iu fretta dalle terre nemiche, e ritiraronsi alle proprie città, sopportando che si derubassero le terre loro : tanto che il console col subito venir suo s impadroni di danari, di persone, e di altre prede in copia. Si tennero i Vejenti in principio tra le mura ; ma quando parve loro di avere il buon ponto, usarono su’ Romani sbandati, ed intenti alla rapina delie campagne. E perciocché piombarono numerosi, in buon ordine contro di essi, non sedo ue ritolser le prede; ma uccisero, o fugarono quanti si opposero. E se Tito Siccio legato non accorreva, e li frenava, con soldatesca ordinata appiedi e a cavallo, niente .impediva che I’ esercito in tutto si distruggesse. Ma giunto lui per impedir ciò, si affrettaci) Adoo di Room 37S aecaudo Catone, 377 secondo Marrone e 479 av. Cristo] I 43 rono a rlunirsegli, senza eccettuarne alcuno, tutti i dispersi. Coocenlralisi tutti occuparono a sera un colle, e vi pernottarono. Animati dalla prosperità li Vejenti accamparonsi presso del colle e chiamarono altri dalla città, quasi avessero addotti i Romani in luogo, privo in tutto de’ viveri, e poiessero tra non molto necessitarli ad arrendersi. Accorsavi gran moltitudine, si misero due campi ne’ lati possibili ad espugnarsi del colle ; ed altre picciole guarnigioni in siti men facili ; tanto che tutto ribbolliva di armati. Fabio l’ altro console intendendo per le lettere del compagno che gli assediati nel colle erano agli estremi, e sul punto ornai di rendersi per la fame, se alcuno non li soccorreva ; raccolse 1’ esercito, e corse su’ Vejenti. E se giungeva un giorno più tardi; niente gli sarebbe valuto, ma trovato avrebbe l’ esercito rovinato. Imperocché quei del colle costretti dalla penuria ne uscirono per correre a morte più onorata ; e fattisi alle prese co’ nemici, combattevano esausti dalla fame, dalla sete, dalla veglia, da ogni disagio. Ma dopo non molto, quando videsi l’esercito di Fabio che giungeva numeroso, in buon ordine, tornò la conBdenza ne’ Romani, e la paura negli avversar). Dond’ è che i Tirreni più non estimandosi acconci per fare giornata cx>ntro di un esercito fresco e potente, abbandonarono l’ impresa, e partirono. Ma non si tosto le due armate Romane si ricongiunsero, fecero un amplisnmo campo in luogo munito presso della città. Trattenutisi quivi più giorni, e saccheggiatone il meglio del territorio di Vejo; rimenarono in ‘patria gli eserciti. Avvedutisi i Vejenti che le milizie Romane eransi levate dalle insegne, presa ia gioventù più spedita che essi tenevano ia arme, e quanta ne era presente de’ loro vicini, si gettarono su campi confinanti, e li depredarono pieni di fratti, di bestiami, di uomini ; per essere i contadini calati da’ castelli a pascere i bestiami c lavorare le terre su la fiducia che aveano nell’ esercito Romano trincierato innanzi di loro. Non eransi questi ai partir dell’esercito affrettati a ritirarsi colle cose loro, non temendo che i Vejenti, tanto danneggiati, dessero cosi pronta la ripercossa a’ nemici. Fu la irruzione de’ Vejepti piccola se se ne guardi il tempo ; ma grandissima per la quantità de’ campi saccheggiati : ed avanzatasi fino al Tevere verso il monte Gianicolo a meno di venti stadj da Roma ; le recò dolore e vergogna insolita ; non essendovi sotto le insegne milizie che impedissero a quella di estendersi. Cosi l’esercito de’ Vejenti prima che queste si riunissero ed ordinassero, corse desolando, e parti. XV. Adunatisi quindi il Senato e i consoli, c datisi a considerare in qual modo fosse da far guerra a’ Vcjenti ; prevalse il partito di tener ne’ conOni milizie di osservazione pronte sempre in campo per la difesa del territorio. Couturbavali che grande ne diverrebbe il dispendio, laddove l’ erario era esausto per le imprese continue, nè più bastavano i beni ai tributi ; e molto più contnrbavali la recluta di tali presidj da spedirsi perocché ninno voleva star in guardia per tutti: dovendosi travagliare non a volta a volta, ma sempre. Essendo per tali due cause mesto il Senato; i due Fabj (a) 1 due Fabj sono Marco Fabio, e Fabio Cesoue nomiaati di topna.; 145 convocarono qnanti partecipavano il loro lignaggio. Con saltatisi, promisero al Senato di andare spontaneamente essi per tutti a tal rischio, conducendo seco amici e clienti, e militandovi a proprie spese ; finché durerebbe la guerra. Ed esaltandoli per la disposizion generosa, e contando tutti di vincere anche per (jnesta opera sola, pigliarono essi famosi in città le aripe tra’sagrifizj e tra i voti, e ne uscirono. Era duce loro Marco Fabio il console dell’ anno precedente, quegli che vinse i Tirreni in batuglia. Esso menava presso a poco quattro mila, clienti per la maggior parte ed, amici, ma trecento sei ve n’ erano delia stirpe de’Fabj. Usci non molto dopo su le orme loro l’armata Romana, comandata da Fabio Cesone, Tuno de’ consoli. Avvicinatisi al Cremerà, fiume non molto discosto da Vejo, fordficaroiio su di una balza precipitosa e dirotta un castello opportuno a difendere tante milizie, e vi scavarono intorno doppie fosse, e vi elevarono torri froquenti. Cremerà fu nominato ancor esso il castello dal fiume. E conciosnachè molti esercitavano, ed il console stesso coadiuvava quel lavoro, fu terminato prima che noi pensassero. Allora cavò r esercito, e marciò su 1’ altra parte alle terre dei yejenti, poste incontra al resto della Etruria, dove quelli tenevano i bestiami, non aspettandovi mai l’arme Romane. Fattavi gran preda se la recò nel nuovo castello, esultandone per due cause, cioè per la vendetta non tarda pigliata su’ nemici, e per 1’ abbondanza che dava copiosissima ai soldati che lo presidiavano, percioc chè niente ne riservò per l’ erario, o ne dispensò tra lo DIONIGZ, tomo in. 1 sue milizie, ma tulio concedette a quelli che guarda^ vano la regione, greggi, giumenti, gioghi di buoi, ferramenti, e quanto era utile per la coltura. E dopo ciò rlmenò 1’ esercito a Roma. Erano dopo fondato il cartello i Vejenti a mal termine ; non polendo nè lavo t^re con sicurezza le terre, nè ricevere esterne vetto> vaglie. Imperocché li Fabj diviso in quattro parti la gente loro, con una difendevano il castello, e le tre altre scorrevano la regione nemica pigliando, e traspor> landò. E quantunque molte volte i Vejenti gli assalirono con truppe non poche nell’ aperto, e se li tirarono dietro in terre piene d' insidie ; essi nondimeno vinsero r uno e r altro pericolo ; e fatta glande uccisione, n ricondussero salvi al castello. Pertanto non osavano più li nemici d’ investirli, ma tenendosi per Ib più tra le mura, np faceano furtive sortite. E cosi ne andò quel r inverno. XVI. Entrati l’anno appresso (a) in consolato Lucio Emilio, e Cajo Servilio, fu nunziato a’ Romani, che i Volsci e gli Equi eransi convenuti di portare su loro la guerra, e d’ invaderne tra non molto le terre; e verissimo ne era 1’ annunzio. Imperocché, armatisi gli uni e gli altri prima dell’ aspettazione, corsero, e devastarono, ciascuno, la regione vicina a sestesso, persuasi che non potrebbono i Romani combattere in un tempo i Tirreni, e rispiiigere altri che gli assalissero. Poi so Cioè quelli i quali prcaidiavauo il casiello aoUo gli auspicj di Marco Fabio. Roma Catone Varroae] {iravveiiendo altri ridicevano che I’ Elriiiia tutta levavasi in guerra coulro i Romani, e preparavasi di s[>edire ia comune un soccorso a’ Vejenti. Or lo avevano i Ve> jenti f incapaci di espugnare il castello, imploralo qu> sto soccorso ; commemorando la unità del sangue, 1’ amicizia, e le tante guerre che aveano insieme combattute. Anzi aVeano dimandata l’ alleanza loro nella guerra co’ Romani non si per questi riflessi, come per quello ancora, che i Vejenti erano su la frontiera dell’ Etraria ; e frenavano una guerra, che versavasi da Roma su tutta la nazione. Convinti di tanto i Tirreni promisero mandare tutti i sussidj che richiedevano. Per 1’opposto il Senato, informatone, risolvette spedire tre eserciti. Ed arrolate in fretta le milizie; fu spedito Lucio Emilio sa i Tirreni. Usci pur con esso Fabio Ceso ne, colui che avea di fresco deposto il comando, ottenuta dal .Senato la facoltà di ricongiungersi in Cremerà, e partecipare t pericoli della guerra colle genti Fabie che il fratello aveaci condotte in difesa del luogo : ma egli v’ andava co’ suoi compagni ornato di autorità proconsolare. Cajo Srrvilio l'altro console marciò contro i Volsci, e Servio Furio proconsole contro gli Equi. Seguivano ciascun di essi due legioni Romane, e truppe alleate non minori di Eroici, di Latini, e di altri. Servio il proconsole espedì la guerra con termine rapido e lieto ; perciocché fugò gli Equi con una battaglia, e senza stento ; impaurendoli al primo investirli : e poi rifuggitisi questi ne’ luoghi forti ; ne devastò le campagne. Ma Serviliu il console fattosi a combattere con fretta ed orgoglio, incontrò ben altra sorte da quella che ne aspettava: Opposiiglisi i Volsci bravissimameote, vi perdette molti va lentuomini: tanto che si fidasse a non far più battaglia: ma standosi negli alloggiamenti, deliberò di mantenere la guerra con tenui mosse e scaramuccie de’ soldati leggeri. Lucio Emilio mandato nell’ Etruria, trovando accampati innanzi della città li Yefenti con grandi rinforzi di quella nazione, non indugiò per imprendere : ma dopo un giorno da che erasi trincerato, presentò le schiere in battaglia. Vi si lanciarono' i Vejenti arditissimamente: ma divenuta questa eguale in ambe le parti; prese i cavalieri, e. gli avventò su 1’ ala destra de’ nemici ; e perturbatala; corse su la sinistra, combattendo a cavallo dov’era luogo da cavalcarvi, e dove no, smontando, e combattendo a piede. Venute in travaglio ambedue le ale, nemmeno ' il centro potè più sostenersi, forzato dalla fanteria : e fuggirono tutti verso gli alloggitrmenti. Emilio allora gl’ inseguì con le milizie ordinate, e molti ne uccise. Giunto presso gli alloggiamenti diedevi con mute continue 1’ assalto, ostinandovisi tutto quel giorno e la notte seguente : finché nel giorno appresso languendo i nemici pel travaglio, per le ferite, e per la veglia, se ne impadronì. Quando i Tirreni videro i Romani trascendere le trincee, le abbandonarono, e fuggirono quali in città, e quali a’ monti vicini. Tennesì il console per quel di negli alloggiamenti nemici ; ma nel giorno prossimo onorò con doni convenienti i più segnalati in combattere, e concedette a’ soldati quanto era ivi stato lasciato, giumenti, schiavi, c tende piene di ogni ricchezza. E 1’ esercito Romano se ne ricolmò quanto non mai per altra battaglia; impe 1 4p rDcclièJi Tirreni vivono vita delicata e sontuosa in patria, ed in campo ; e portan seco, non che le cose necessarie, suppelletlili ancora di pregio e di artifizio, ond’ esserne in piaceri e delizie. Ne’ giorni appresso stanchi da’ mali i Vejenti spedirono ambasciadorì i più anziani della città cq^ modi de’ supplichevoli per trattare intorno la pace col console. Or questi sospirando, prostrandosi^ e dicendo,^ tra molte lagrime, quante cose mai sogliono impietosire; indussero il console a questo, che permettesse loro d’inviare oratori a Roma per dar fine in Senato alla guerra : e che non danneggiasse in tanto la terra loro, finché ne tornassero colie risposte. Ad ottenerne però questo, promisero, come volle il vincitore, dar grano per due mesi, e danari per sei pe’ stipeudj di tutta V armata. E portate, e ricevute, e dispensate tra' suoi tali cose, il console conchìuse con essi la tregua. Il Senato, uditi gii ambasciadori, viste le lettere del console che molto pregava, e raccomandava che si finisse il più presto la guerra co’ Tirreni ; deliberò dar la pace che dimandavasi : e che nel darla il console Lucio Emilio stabilisse le condizioni che gli sembrasser migliori. Il console a tale risposta si concordò co’ Vejenti, facendo una pace anzi umana, che utile pe’ vincitori, senza riserbare per essi delle terre, senza impor nuòve multe, nè garantire i patti cogli ostaggi. Or ciò lo mise in grand’ odio, e fu causa che non avesse dal Senato ringraziamenti, come savio nel procedere suo. Imperocché chiese il trionfo; ed i padri si opposero ; incolpando 1' arbitrio de' suoi trattati, definiti senza il pubblico voto. AlìGaché però nou sei prendesse ad ingiuria, nè sen corucciasse ; lo destinarono a portare le armi contro de’ Volaci in soccorso dell’altro console, perchè, come fortissimo nomo eh’ egli era, desse ivi, se poteasi, buon fine alla guerra, e dissipasse 1’ odio dell’ azion precedente. Ma costui sdegnato sa la negazion degli onori fece presso del popolo lunga accasa de’ senatori, cpiasi dolesse loro che spenta fosse la 'guerra co’ Tirreni. Diceva, che ciò facevano ad arte in conculcaménto de poveri, perchè i poveri, delusine già tanto tempo, non insistessero per la division delle terre, se tornavano dalle guerre di fuori. Queste e simili contumelie lanciò con indignazione vivissima su’ patrizj, e sciolse 1 armata che avea con lui combattuto, e richiamò, e congedò 1’ altra che era tra gii Eqni sotto Furio proconsole. Con die renelle conti ricchi i poveri. Presero quindi il consolato Cajo Orazio, e Tito Menenio nella olimpiade settantesima sesta, quando vinse allo stadio Scamandro da Mitilene, essendo in Atene Fedone P arconte^ Il torbido interno impedì questi a principio ne fatti del comune, fremendo la moltitudine, nè tollerando che si fornisse niuna pubblica cosa innanzi la divisione delle terre. Ma poi, vinto il popolo dalla necessità, lasciò quanto facea sommossa e tumulto, e ne andò spontaneo in sul campo. Imperocché le undici popolazioni Tirrene non comprese nella Roma Catone Varrone. stimi molto potere ai tribuni di malignare doni contro del Senato,, e di alienare n ciò principio alla guerra. Levaronsi, ciò convenuto, dal par- lamento. Indi a non mollo spedirono i Yejenti a raddo mandare' da’ F abj il castello, e già tutta 1' Etruria era sa r arme.I Romani, conosciuto ciò per lettere spedite da’ F abj, decretarono che uscissero ambedue i consoli r uno alla guerra che sorgea dall’ Etruria, e 1’ altro a quella che ardeva già co’ Yolsci. Orazio marciò con due legioni e con truppe alleate ben forti contro de’ Yolsci, Menenio dovea con altrettanta soldatesca incamminarsi contro r Etraria. Ma intanto che si apparecchia, e s’in> dogia ; il castello di Cremerà fu preso, e distratta la stirpe de’ F abj. La sciagura de’ quali si narra a due modi r uno non persUadevole, 1’ altro piò prossimo al vero. Io gli esporrò tutti due, come gli ebbi. XIX. Narraoo alcuni che sovrastando no patno sagrideio che doveasi porger da’Fabj, uscirono gli uomini con pochi clienti per compierlo, ed andarono, senza esplorare le strade, non ordinati sotto le insegne, ma incauti e negligenti, quasi passassero terre amiche, nei giorni lieti della pace. I Tirreni, saputane anzi tempo r andata, disposero tra via le insidie con parte dell e> sercito, mentre 1’ altra parte veniva in ordinanza non molto addietro. Approssimatisi i Fabj, sorsero i Tirreni dalle insidie, e gl’ invasero di fronte, e di fianco ; assalendogli non molto dopo da tergo il resto de’ Tirreni. Circondatili d’ ogn’ intorno con fionde, con archi, e dardi, e lance ; gli uccisero tutti colla moltitudine dei colpi. Or tale racconto a me sembra poco persuasivo. Imperocché non par verisimile, che tali uomini, addetti com’ erano alla milizia, ne andassero dal campo in città senza il voto del Senato per sagrìficarvi ; potendo il santo rito fornirsi per altri del lignaggio medesimo, già provetti negli anni. Che se tutti erano partiti d Roma senza che stesse ne’patrj lari alcuno de’ Fabj; nemmeno può credersi, che uscissero dal castello quanti di questi il guardavano; imperciocché se ne andavano tre o quat tro, bastavano a compiere il santo rito per tutta la prosapia. Per tali cagioni a me non sembra credibile questo racconto. L’ altro che io reputo piò verisimile su la distruzione di essi, come su la presa del cartello, così procede. Andando questi di tempo in tempo per foraggiare, e. spandendosi ognora più da largo, come quelli che prosperavano ne' tentativi ; i Tirreni, raccolte gran forze,, si accamparono, senza che il nemico ne sapesse, in luoghi vicini : poi facendo uscire da’ castelli masse di pecore, di buoi, di cavalli, come per pascere, accendevano i Fabj ad invaderli: ond’ è che venendo questi predavano i pastori, e menavano seco i bestiami. Davano i Tirreni di continuo tal ca, traendo i nemici sempre piii lontani dal campo : or quando ebbero con gli allstlameoti perpetui dell’ utile rallentate le provvidenze loro per la sicurezza; misero di notte gli agguati in luoghi opportuni, intanto che altri stavano su le allure per esplorare. Nel giorno appresso mandali innanzi alcuni soldati, come per difesa de’ pastori, cavarono mollo bestiame da’ castelli. Come fu nunziato ai Fabj, che se andavano di ià dai colli vicini, troverebbero ben tosto il piano ripieno d ogni bestiame senza valida guardia : lasciarono nel castello un idoneo presidio, e vi si diressero. E trascorrendo frettolosi, ardenti veri, e dicendo opera loro, quanto è l’opera di 'una sorte improvveduta, ed inevitabile ; li renderono insolenti, se già erano esasperati. Fra tanti mali i consoli spedirono con molti danari chi comperasse grano dai luoghi vicini : e comandarono che chi teneane in casa oltre i bisogni moderati della vita, lo recasse al pubblico: e destinatone i prezzi convenienti, e fatte queste e cose altrettali, ammansarono i poveri che si sfrenavano, e si rivobero di bel nuovo agli apparecchiamenti delia guerra. E certo tardando a giugnere le vettovaglie di fuori, e finite in breve le interne, non aveaci altro scampo da’ mali: ma doveasi neceariamente o rischiare tntte le forze e snidare i nemici dai territorio, o morire tra le mura per le discordie e la fame. Adunque elessero farsi incontro ai nemici, come al meno dei mali. E levatbi di città coll'esercito valicarono circa la mezza notte su picciole barche il fiume, e prima che il giorno fosse luminoso, già teneano il campo presso a’ nemici. Donde cavato nel giorno appresso 1’ esercito, 1’ ordiua Di ani illiberali • sordide. Silbtirgio inleade (|r. Quindi è che se dividasi 390U per laS risulta -i6. Casaub. le trasmutarono in, àlire di pecore e’ buoi, tassato anche il numero di questi per le ammende avveniife, che i magistrati imporrebbero su’ privati. La condanna di Menenio fa causa che i patriaj si sdegoas'sero col ppolo, nè più gli permettevano di fare la divisione delle terre, nè voleano in cosa ninna condiscendergli. Ma tra non' molto lu potilo il pplo de’ suoi giudizj, appunto nell’ udire la morte di Menenio.. Imperocché non crasi questi mal p(ù veduto nelle adunanze, o" ne’ pubblici luoghi: e polendo pagare l'ammenda (giacché non pochi de’ suoi eran pronti a soddisfarla pr esso ), e con ciò non perdere' niun pubblico diritto j non volle : ma giudicando pri la ingiuria alla morte; si tenne in casa, nè più ammise prsona, e rifinito dal dolore e dalla ’ fame ' abbandonò la vita. E tali sono le Operazioni di quest’ anno. Divenuti consoli Pulsilo Valerio Poplicòla e Cajo Nauzio, fa condotto a giudizio capitale anche un altro patrizio Servio Servilio, console dell’anno precedente, non laokò -dopo che aveva lasciato il coma'udo. Due tribuni Ludo Cedicio, e.Tito Stazk) erano quelli che lo accusavano’ al popolo chiedendo ragione non d' ingiustizia alcuna, ma degl’ infortuni suoi, perchè nella ballagUa co’ Tirreni spintosi egU fin sotto alle trincee nemiche con più ardirò che prudenza, e rincalzatone da quei d’ entro' che ne uscirono in copia, vi prJetle il meglio de’ giovani. Questo giudizio parve ai patrizi il più duro di tutti.' E congregavansì, e doleansi, Abdo di Roma 979 Mcoado Catoast aSi secondo Varrone, e 473 >r. Cristo] lG5 è teneano per gran male se il bell’ ardire, e il non ri cu sarsi ai pericoli accusarasi ne’ capitani che non tro vavan propizia la. sorte, e da quelli che non erano nemmeno stati ne’ perìcoli : dicevano, che qne’ giudizj aarebbero, coni’ era verìsimile, cagione di timori e di ignavia ne’ comandanti, e di non &r loro mai piu con cepire nuovi trovameoti : che perita ne sa.rebbe la libertà, come annientata.!’ antorità del capitano. Ed insistevano caldamente presso la plebe >. perchè non conrebbe il . danno se puoi vanti i dttci > pe’ successi non buoni. Venuto il tempo del giudizio, fattosi innanzi Lneio Cedicio, uno de’ tribuni, accusò Servilio di avere per imprudenza ed imperizia di comando menata i’ armata incontro a pericoli manifesti, e rovinato il Bore della repubbnca : tanto ohe se informalo beo tosto il console ' compagno della sciagura volando a lui coll’esercito, non respingeva i nemici, e salvava i suoi; niente impediva che non fosse disfatta anche tutta 1’ altra milizia, e che in avvenire per metà decadesse, non che si ampliasse la'' potenza di Ronìa. E cosi dicendo presentava per testimOnj i centurioni, quanti ve n’ erano, èd alcuni soldati, i quali, volendo rilevare sestessi dall’ infamia della disfatta e della foga, d’ allora, versavano sul capitano là colpa degl’ infortito) del combattimetnto. Quindi inspirando viva compassione, verso gli estinti in quella giornata, exl esagerando quel male, ne ricordò con. molto .disprezzo ancor altri, i quali detti in comune contro i ' patrìzj, scoraggiavano chiunque di loro volesse intercedere per Servilla ; é dopo ciò gli concedè la diiE Servilio pigliando a difendersi disse ^ Ciftadini, se mi chiamale al giudizio, e cìuedete ragione del "mio capitanalo ; san pronto, a renderla : ma se mi oliiàmate ad una pena già risoluta, e' mente pift giova eh’ io dimostri che non v oJ[esi; prendete fusa-, temi come avete già stabilito. .Egli'è pur meglio eh’ io mora non giudicato cK ottener le difese, nè persua-, dervele ; perciocché sembrerei patir con giustizia ogni cosa che su me sentenziaste. Altronde voi meno sa~ rete colpevoli, se togliendomi le difese, jnentre oscura ancora c la mia colpa, se colpa ho mai fatta ; secondate 1 vostri risentimenti. Il pensier vostro' dalla vostra udienza mi -sarà chiaro : il silenzio o' il tumulto mi saran d argomento se m’ avete alle ^scolpo chiamato, o alla pena. E biò detto si tacque. E fatto silenzio, e gridando ben molli che facesse, cuore, e dicesse ciocché voleva, cosi ripigliò: Cittadini, se .voi siete i‘ giudici, non i nemici miei ; di leggeri spero XOftVincervi, che non v’ oj^esì ; e comincio da ciò cito' tutti sapete. Io fui scelto console ’coll ottimo V-erginio, quando i Tir^ reni fortificatisi nel colle imminente a Ronìà, domi navano, tutta intorno la campagna, sperandosi di abolire ben tosto, ambe il vostro f principato. Eravi in città fante, discordia, defeienza onde risolvette. Incontratomi in tempi così. turbati e terribili ruppi, unito al collega, due volte in battaglia i nemici, e gli astrinsi a lasciare, il castello, 'che guardavano. Feci dopo non molto cessare la fame, ricondotta t abbondanza npl Foro, e consegnai d consoli susseguenti sgombro da’ nemici il territorio che n’ era pie-HO, e Roma sana da tutti i mali politici, i cot pipopoU l’ avea/io inabissata. So dunque non è de^ litio vincere gt inimici, e di che mai son io ’^lpevole presso vai ? O conte ha Servilio offeso il popolo', se alcuni bravi incontraron la morte col, maU:hio combai tere ? Già non v’ è niun Dio che asiicuri ai capitani la vita de suoi militari ; nè prendiamo, d, comando con patti e formale di vincer lutti i nemici ^ e non perdervi aldino de' nostri. E chi mai, s egli è uomo^ chi si offrirebbe di riunire in sè tutti i bei tratti di consiglio buono, e di sorte ? Anzi i grandi risuUad con pericoli grandi s' ottengono. Nè già io sono il primo éte m’ avessi tale ÒKonlro in combattere, ma se l ebbero, dOei, quanti fecero pericolose battaglie con poche schiere contro lè molte nemiche. Incalzarono alctzni i nemici, e poi furono incalzati: ne uccisero, e ne furono decisi, anche in più nurhero.siri capitani, riuscitici altri con termine buotto, ‘altri con doloroso ? E perchè dunque^ lasciate gli altri, e me 'giudicale ; se a norma ponderale delle leggi le opere, non degne della sapienma e del capitanato ? Quante imprese più audaci ancor della' mia cadde in pensiero capitani^ di compierle, quando la circostanza non ammetteva consigli sicuri,' é già maturati^ Chi strappando le insegne dalle. mgni de' soldati, le gittò fra nemici, perchè i suoi scoraggiati ed intimoriti d -rìànimassero a forza, istruiti, che chi non salvatale ne avrebbe morte ingloriosa dal comandante, jiltri scorrendo sul territorio nemico, ucdicarono e ruppero i ponti de' fiumi valicati, perchè i soldati non. vedessero scampo nella fuga, se la tramavano, e com^battessero coji ardore e ferrnezza. Altri dando alle fiamme le bagagUe e le tende, necessitarono ' i suoi a ritrovare nelle terre nemiche quanto lor bisognava. 'Lascio' mille altre imprese', audaci tutte, ed ideate da capitani, che ió .potrei pur dire 'su la storia, e su la sperienza, e per le quali ninno mai, faUilagli .la prova, soggiacque alle pena E già niuno può redarguirmi che mettendo i compagni ad aperto pericolo, io xnen tenessi lontano. Se io mi vi esposi cogli .altri, se ultimo me ne ritolsi, se vi 'corsi la sorte comune di tutti ; e diche • sono io reo ? Ma basti il fin qui detto su me. Voglio ora dirvi alóune poche cose intorno del Senato e de’ patrizj, perocché f odio pubblico contro di loro per la division sospesa àeUe terre deot neggìa eutcora a me, nè l accusatore mio occultò que-^ sto facendomene parte non piccola delt accusa. E questo dir mio sarà libero ; giacché diversamente nè io saprei parlarvi, né > voi profittarne Popolo! voi nè giusti siete nè retti non rendendo grazie al Senato de' tanti e 'grandi benefit j che ne aveste ; e sdegnandovi che non 'per invidia ma per calcolo di ben pubblico, vi si oppone .in cosa che' dimandate, la quid conceduta tusai nocerebbe '.al comune. Piuttosto dovevate accettarne i consigli pome' nati -da principj sol dissimi, pel bene di', tutti, e tenervi dalle sedizioni'} 0 se non potevate con tal sano discorso frenar gli appetiti, t non sani, dovevate implorar te dimande, persuadendo, non violentando, Imfièroechè li doni spontanei titnpettp de’ violenti son più cari per chi li dona y e più stabilì per . chi. H riceve.. Or • voi, viva Dio, non ' avete ciò cónsiderato : nia commossi ed inaspriti dai capipopolo,. come il mare dai venti che insorgano, F un. dopo F altro, non avete lasciato che la patria riposasse, nemmen picciolotempo.,, tra la xoima, 'e il sereno. Dondt è che. noi. dobbiam pensare migliore per noi la guerra, che la pace ;^iacchà nella guerra maltrattiamo i nemici, ma gli amici nella pace. Se voi lipulate tutti burnii e lutti utili, come sono, 1 decreti del Senato ; perchè, non avete riputato tale anche questo ? E se credete che il Senato non provveda con semplicità, mq che male, e vituperosamente amministri, 'perché noi degradate / voi tutto, e ven prendete le cariche, e consultate e guerreggiale voi per la potenza di Roma, ma, lo stuzzicate, e lo indebolite poco a poco, chiamandone i personaggi più illustri in giudizio? Certo sarebbe pur meglio che fos situo tutti insieme combattuti, che càìunmati ad -uno ad uno. Sebbene, non siete voi, con’ io diceva, la cagione di ciò, ma i capi del popolo che vi sommovano, non sapet^o essi nè ubbidire y nè comandare. E per ciò che spetta alla loro imprudenza ed impe^ rizia', già più volte sarebbefi la nave rove^aicita. Eppure il Senato che ha riparato tante volle i loro sbache. fa che la vostra repubblica navighi rettamente, ' ascolta ^ peggio della maldicenza da loro. Or queste cose, vi piacciano o no-, le ardisca io dire con ogni verità: e vorrei piuttosto morire;, videndorm di una libertà 'profittevole ab pubblico {. che salvarmi adulandovi. G}si, dicendo,, senza volgei^i a lamentare o deplorar la sciagura, senza uniilianti a suppliche, e proslrai^ioni non degne y e senza' ..palesai^ affezione alcuna men che generosa, lasciò che parlassero gli altri, 'dogliosi di ' coadiuvarlo arringando, o testificando: Lui di scolpavano, molti che eran presenti, singoK\rmente Ver giuio, gii cpnsòle. co'n euo lui, riputato l’autore della vittoria! Coitui non solamente dimostrò Servilio irreprensibile, ma degno che si encomiasse ‘ed otiofasse come peritissimo in guerra, e savissimo tra’ capitani. Diceva che se credeano buono iì termine della gaerra dovevano ringraziar lutti due ; o tutti dile punirli se sci aurato ; giacché avevano .tntti;.dne avuto 'doiiiu ni i consìgli, le opere, la fortuna. Commovea non solo il discorso di lui ma la vita intera, speriménUtta in tutte le belle ationi. A^iungevasi, ciocché ispirò piò compassione, la forma addoloievole, (piai suoL essere in qiielli che han sofferto, o siano per soffrire tamii terribilL Tanto che li' congiunti degU uccisi, quelli che pareano più. implacabili contro 1 autore tl^l danuo, Ia sciaronsi vincere-, e deposer lo sdegno che ne aveano manifestato ; imperocché qinna tribù nel dare il voto ló diede per la condanna. E tal fu la fine de’ pericoli di Servilio. Marciò non mólto dòpo contro i Tirreni r armata Romana sotto gli auspicj dei console Pubfio Valerio, perocché si era d^ bei nuovo levau in arme la città di Vejo, ubendpsde i Sabini, alieni fino a quei giorno di unirsele, quasi aspirasse cose impossibili : quando però vider(> Menenio in fuga e presidiato il monte prossimo a Roma, giudicando ^ scadute le forze Romane, e sbaldanzito 1’ animo di quella 'repuUilica, eoncertaronsi co’ Tirreni, spedendo loro milizie numerose. I Vejenti confidati su le schiere proprie e su quelle giunte di fresco^ da’ Sabini frattanto che aspettavano le ausiliarie degli altri Tirreni anelavtino, di volarsene a Roma col più dell’ esercito, quasi ninno, ne uscirebbe a combattere, ma dovessero per assalto espugnarla, o ridurla con la fame. Indugiandosi però essi ed aspettando i confederati, lehti a ingiungersi, Valerio ne prevenne i disegni, guidato contra loro il fiore de’ Romani, .e gli alleati, con sortita non manifesta, ma occulta quanto polevasi. Imperocché .uscito da Roma sul far della sera, e valicato il Tevere ; si accampò non lontano dalla città. Poi levando F esercito su la mezza notte, si avanzò con marcia oi-dinata; e prima che fosse il giorno, investi r nna de’ campi nemici. Erano due questi campi ; di^ sgiunti, ma non molto, fra loro, l’ uno de’ Tirreni, r altro, de’ Sabini. Fattosi primieramente stil campo Sa bino, assalirlo fb prenderlo ; ''dormendovi i più senza' guardia sufficiente, 'come in terra amica, e liberi da ogni sospetto, nwntre non si annoqziavano in parte ai cuna i nemici.Preso il campo, quali furono uccisi tra il sonno, quali ^orti appena’, o mentre si armavano, e quali armati già, mal resistendo disordinati e dispersi: la -più parte peri, fuggendo verso .1’ altro campo,' sorpresa dalla cavalleria. Valerio', invaso' il 'campo Sabino, marciò su r altro de’ Vejenti, postisi in luogo non abbastanza sicuro: ma non poteano più gli assalitori ghingeM oc-' culti, per essere il giorno già chiaro ; e datoyi da fnggitivi r avviso della strage Sabina, e di quella imminente ai Tirreni. Pertanto eca necemario andar con fortezza al nemico. 'Ecco dunque resistere con ardore sommo i. Tirreni avanti j^i alleggia'menti, e fervisi' aspra tenzone e strage vicendevole.; stando 'lungo tempo incert^ e pendendo or quinci Or quindi la sorte della guerra. Alfine dan volta i Tirreni, sospinti dalla cavalleria Rpmana, e ricacciansi tra le uincee.. Segueli il consolé, ed approssimatosi alle trinclere nè ben formate, nè in. luogo, come ho detto, abbastanza sicuro, le assaU da più parti ; travagliandovi tutto il resto del giorno, nè desistendone por nella notte appresso. I Tirrenivinti da’ mali incessanti / a'bbandonano su l’ alba il CAmpo ; altri in città iuggeo4o$i, altri dispergendosi pei boschi vicini. Il console, invaso par questo campo, diè riposo ; in quel giorno all’ esercito : e net seguènte com> parti la preda copiosa de’ due alloggiameuti tra le Site milizie, coronando co premi ^ usati chiunque s’ era più segnalato nel 'combattere. SenrUio il console dell’ anno precedente, quegli che sfuggi le ^ne popolari, mandato ora luogdtenente di Valerio, parsé aver pià che tatti risplenduto fra le arme, e sospinto i Vejeqti alla fuga; è per tale SUO merito ne ebbe il primo i premj, riputati' più grandi tra' Roiliani. 'Fatti quindi spogliare i cadaveri nemici, e> seppellire quelli de’suoi, marciando, e venendo il console coll’ esercito ne’ campi prosskni a Vejo; sfidò quelli d’ entro per la battaglia. Ma non presentandovisi alcono, e conoscendo altronde esser cosa ben ardua pigliarli di assalto, come chiusi in città fortissima, scorse ingran parte il lor territorio, e si glttò su s quello dé’ Sabini. E saccfaeggikto pei^., più giorni', pur questo, ^ che era ancora intatto ; ricondusse l’ esercito carico di prede àmplissimi in patria. ‘ Usci di città molto a dilungo per incontrarlo ' il popolo cintp di ghir ciò Furio ; il Senalo decretò che Tnino de’due mar, classe ^contro di Vejo, ed essi decisero, come u$ayasi, colle sortì, chi andasse. E 'toccato a Malliq, vdlò colr armata, e mise il campo presso a’ nemici. I Vejenti ristrettisi fra le mora, resisteroùO intanto,. e spedirono alle città Tirrene, _ ed ai Sabini,' recenti loro ' alleati, chiedendone che mandassero sollecito ajuto, .Ma perciocché non furono secondati -e consumarono .tra poco i viveri ; alfine ^ necessitati dalla fame, uscirono, i personaggi più provetti e 'più veóer;iodi e co’ simboli di. pace, ne andarono ambasaiadori ai console per intercedere ' da esso il fin della guerra. M^o comandò che poetassero a lui li viveri di due mesi per'.tulta.rarmsui). o tanto di argento da stipendiamela per un’anno, e ciò.Roma fatoae Vacroae. fatto, perirebbero al Senato per trattarvi la pace. Ac> cattarono i Vejenti le condiaioai, e dati beu^tosl gli stipendi, e per concession del console, anche in luogo del grano il suo prezzo, ne andarono a Roma. Introdotti in Senato cercarono perdono t delle cose operate fin’ allora, e requie dalla guerra in tu.tio. l’ avvenire. Disputate più cose per l’una e l'atra sentenza, al line prevalse quella che insinuava la riconciliazione, e vennesi ad Una tregua di quaraot anni., Gli oratori, avuta la pace, assai de ringraziarono Roofa, e partirono. In opposito Mallio vi tornò finita la guerra, e vi chiese, e n’ebbe il trionfo a piede . Fecesi, reggendo questi consoli, il censo ; ed i cittadini che assegnarono sè Stessi, i beni, e li figli '^ià puberi, fotono, poco più. che cento fneUta' mila; Giunti dbpo quesU al consolato . Lucio Emilio Mamertx) per la terza volta e Giulio Yopisco nella olimpiade settantesima settima (a), nella quale vinsè allo stadio Date Argivo, mentre Caritè era l’a ' contedi Atene ; ebbero assai travaglioso e turbato il comando, sebben tacesse. la guerra di fuori. Standosi ogni nemico in calma ; ineprsero per le se4izìoni interne, in pbricoti, prossimi a rovinar la repubblica. Sciolto il popolo dalia otilizia insistè ben tosto per la division delle' lem. 'Imperocché fra i tribuni aveacene uno baldanzoso, nè disacconcio alle arringhe. Gneo Genuzib.eia deiso, l’ istigatore dei popolo. Egli ad ora L’ovatiooe. Roma Catone Varrauc]. 177 nJ ora adunauJolo, per conciliarsi i poveri ; pressava i consoli all eseguire il decreto del Senato sa la divi sion delle terre. E questi ricusavano dicendo, non esserne la esecuzione stabilita pel consolato loro, ma per quello di Vergiiiio, e di Cassio a’ quali era diretto il decreto : similmente che gli ordini del Senato non erau leggi perpetue, ma previdenze, valide per un anno. In mezzo a tali pretesti non potendo costringere i consoli che aveano autorità più grande della sua ; diedesi a protervi consigli. Mise in pubblica accasa Mallio e Lucio, consoli dell’ anno precedente, e prescrisse loro il giorno nel quale dovésse giudicarsene, pronunziando svelatamente per titolo dell' accasa, ch’essi aveano offeso il popolo col non avere nominati i decemviri, com'era il decreto del Senato, per dividere finalmente i terreni. Che se non menava in giudizio altri consoli quando dodici erano i consolati dalla emanazione del decreto, ma faceva rei, questi due soli, della promessa tradita; davano per cagione la mansuetudine sua. In ultimo disse; che i consoli attuali allora unicamente ridurrebbonsi a divìder le terre, quando vedessero alcuni de’ trasgressori puniti dal popolo, considerando che avverrebbe anche ad essi altrettanto. Ciò detto, esortati tutti a venir pel giudizio, giurò per le sante cose, che egli osserverebbe il proposito, ed insisterebbe con tutto l’ardore su la condanna di quelli, e prefisse il giorno in cui sen farebbe la causa. I patrizj, ciò udito, caddero in molto timore e sollecitudine, come dovessero liberare que’ due, e reprimere 1’ audacia del tribuno. Deliberarono resistere DIOXIGI . tomt Iti. i> al popolo fortissimameote, e bisogoandovi, colie armi ancora, né permettergli cosa ninna, se mai la decretasse contro la dignità consolare. Non però vi bisognò violenza ninna, cessando il pericolo con risoluzione inaspettata e repentina. Imperocché quando mancava al giudizio un giorno solo; Genuzio fu rinvenuto morto nel suo letto p senza indizio niuno di uccisione non per isu-azio, o capestro, o veleno, nè per altre insidiose maniere. Risaputosi il caso, e portatone il cadavere nel Foro, parve questo come un impedimento divino, e ben tostò il giudizio fu tolto. Imperocché niun tribuno osò di riaccendere la sedizione, anzi molto condannò le lune di Genuzio. ' Se dunque i consoli quando il cielo chetò la discordia avessero ceduto, non insistito in contrario ; non sarebbero incorsi in altro pericolo. Ma datisi ad insolentire e spregiare il popolo, e fatti vogliosi di mostrargli quanto era il potere del loro comando ; causarono mali gravissimi. Intimata una iscrizioa militare, e forzandovi chi ricusava, con multe e verghe : ridussero il più del popolo alla disperazione, principalmente per tali motivi. Publio Valerone, un plebeo, d’ altronde illustre fra le arme, e già capitano di centurie nelle guerre precedenti, fu segnato da essi per semplice legionario. Or lui reclamando, e ricusando un posto che lo disonorava quando non aveva demeriti anteriori, sdegnaronsi i consoli de’ liberi modi, e comandarono ai Kttori di nudarlo a forza, e di batterlo. Il giovine invocava i tribuni, e chiedeva, se era colpevole, di essere giudicato dal popolo. Ma non udendolo, ed insistendo i consoli perchè i latori sei menassero, e lo bal^ lessero; egli riguardò la ingiuria come insoffribile, e divenne appunto il vindice di sè stesso. Imperocché, fortissimo eh’ egli era, trae de’ pugni in faccia, ed atterra il littore che primo lo investe, e poi l’ altro. Esasperandosene iconsoli, e comandando a tutti insieme i satelliti di avventarsegli ; parve raiion superbissima ai plebei ebe eran presenti. E congregandosi ; e schiamazzando per istigarsi 1’ uno V altro alla vendetta; ritolsero il govane, e respinsero colle percosse i littori. Alfine si spiccavan su i consoli, e se questi non isparivan dai F oro ; sarebbevisi fatto male gravissimo. Per tale evento tutta la città se ne scinde ; ed i tribuni placidi fin’ allora, fremendo ne accusano i consoli : e le contese per la ditnsion de’ terreni cangiaronsi in altra più grave su la forma del governo. Imperocché irritandosi i paU-isj come i consoli, quasi fosse l’ antorilà conculcata di questi ; voleano precipiur dalla rupe l’ audace che insorse su i littori. Per 1’ opposi to i plebei riuni vansi, e vociferavano e conciUvansi a non tradire la libertà. Si rimettesse la causa al Senato, vi si accusassero i consoli, e se n esigesse un castigo, perchè non lasciarono goder de’ suoi dritti, e traturono come uno schiavo, e diedero a battere un uomo libero, un cittadino, che chiedeva l’ ajuto de’ tribuni, e di essere, se fosse reo, giudicato dai popolo. Fra tali contrasti e ritrosie di cedere gli uni agli altri, decorse tutto il tempo di quel consolato senza fatti di guerra, o di governo, belli e memorandi. Xh. Venuto il tempo de’comizj furono dichiarati consoli Lucio Pina rio e Publio Furio . In principio di quest’ anno la cilià fu piena ben tosto di religiosi e divini terrori pe’ molli portenti e segni che apparvero. £ li vali, e gl' interpreti delle sante cose, dichiaravano tutti, esser questi gl’ indizj dello sdegno celeste per alcuna sacra cosa, fatta con ministero non pio, nè puro. E dopo non mollo ne venne su le donne un morbo, chiamato contagioso, e tanta moruliià per le gravide principalmente, quanta mai più per addietro. Imperocché partorendo prole immatura e già morta, perivan con essa. IVè le suppliche ne’ templi e nelle are de’numi, nè i sagrifizj di espiazione fatti a scampo della patria o delle famiglie, portarono un fine ai mali. In tal rio stato un servo diè cenno a’ pontefici, che una delle vergini sacre, custodi del foco inestinguibile, ( Orbilia ne era il nome ) avea la sua verginità estinta, e che non pura sagrificava ; ed essi traendola dai Santiìario, e dandola a giudicare ; poiché per gli argomenti fu rea manifesta, la batterono, e condottala con pompa lugubre per la città, la seppellirono viva. Di quelli poi che ebbero il mal' affar colla vergine, 1’ uno si diè la morte di per sè stesso; l’altro fu preso nel Foro pe’ soprastanti delle sante case, e flagellato come uno schiavo, ed ucciso. Dopo ciò fini ben tosto la infermità sopravvenuta alle femmine, e la tanto lor perdita. La sedizione già si diuturna in Roma de’plebet co’ patrizii, vi ribolli per opera di Publio Valerone tribuno, quello che ntll' anno precedente aveva disubbi|i) Anno di Roma aSa secoudo Catone, aS; secondo Varrone, e 4^0 av. Cristo] dito i consoli Emilio e Giulio quando il segnavano per legionario, di centurione che era. Costui nato di stirpe vilissima, e cresciuto in grande oscurità e disagio, fu creato tribuno dal ceto de' poveri, appunto perchè sembrava che avesse il primo tra’ privati umiliato il grado consolare, autorevole Gu’ allora come quello dei monarchi, 'e molto più per le promesse che dava di togliere, giurilo al tribunato, la potenza de’ patrizj. Costai quando l' ira del cielo era cheta, convocando il popolo, fece uba legge su le elezioni popolari trasmutando i comizj che i Romani chiamano per curie in quelli per tribù. Io sporrò qual sia la differenza degli uni e degli altrL Li comizj curiati perchè fossero va^ lidi, conveniva che precedesseli il decreto del Senato, che il popolo vi desse il voto di curia in curia ; e che oltre questi due requisiti, niun segno, nè augurio celeste vi si opponesse : laddove gii altri comizj compivansi dalle tribù con un giorno solo senza decreti anteriori del Senato, senza sagriGzj, e senza le divinazioni degli auguri. Due degli altri quattro tribuni volean com’ egli la legge ; ed esso tenendosi amici que’ due ; ne andava superiore a fronte degli altri che la ricusavano i quali eran meno. I consoli, il Senato, i patrizj intendeano tutti a distoglierla e renderla vana. E recatisi in folla al Foro nel giorno preGsso dai tribuni per fondare la legge, vi furono aringhe di consoli, di senatori provetti, e di chiunque il volle, per dimostrare gli assurdi di essa. Risposero i tribuni, e di bel nuovo i consoli ; e prolungandosi mollo le altercazioni, fecesi notte, e l’ adunanza fu sciolta. Proposero nuovamente i tribuni pel terzo mercato la diacussion su la legge ; ma concorsavi gente anche in pi et copia, se n’ebbe un fine simile al precedente. Or ciò vedendo Publio, deliberò di non permettere ai consoli di accasare la legge, nè al patrizj di trovarsi al dar de’ sufiì'agj. Perocché questi co’ loro amici e clienti non pochi, ingombravano gran parte del F oro, facendo animo a chi denigrava la legge, e remore a chi difendevala, e cose altrettali che nel dar dei voti sono indizio di violenza e disordine. XLII. Se non che ne interruppe i disegni tirannici nn’ altra calamhé mandata dal cielo. Imperocché sorse in città nn morbo pestilente che infuriò pnr nel resto d’ Italia ; non però quanto in Roma. Nè valeva per gii infermi soccorso umano, morendovi del pari e chi era con ogni diligenza curato, e chi non lo era. Nemmeno giovarono allora suppliche, sagrifizj, espiazioni private o pubbliche, alle quali necessitati si rivolgono gli uomini io tali casi per estremo rimedio. Il male non distinse non età, non sesso, non vigore, non debolezza, non arte, non cosa ninna di quelle che pajono renderlo più leggero; ma comprendea del paro Uomini e donne, giovani e vecchi. Non però durò gran tempo, e questo impedì che la città ne perisse totalmente. Si gettò come torrente o incendio su gli nomini con impeto furibondo, ma passeggero. Quando il male diè requie ; Publio era per uscire di carica. E siccome non potea stabilire in quel, resto di tempo la legge ; soprastando i comizj j chiese di nuovo il tribunato per l’anno seguente, fatte molte e grandi promesse al popolo: e di nuovo se lo ebbe egli, e due de’ compagni. Per Topposito i patrizj tentarono far console un uomo aspro, odiatore del popolo, e che non lascerebbe punto diminuire l’ autorità de’ pochi : io dico Àppio Claudio, 6glio di queir Appio eh’ crasi tanto opposto al ritorno del popolo. Or quest’uomo che moltissimo contraddiceva alla scelta dei tribuni, questo che non avea nemmeno voluto venire al campo p’ comic], sei crearono con- sole, quantunque assente, avutone precedentemente il decreto del Senato. Terminati ben tosto i comic] > per esserne partiti i poveri appena udito il nome di Appio ; pre^ sero il consolalo Tito Qninuo Capitolino ed Appio Claudio Sabino, nomini non simili di caratteri e di voglie . Perocché Appio voleva distrarre tra le milizie di fuori il popolo ozioso e povero, afGnchè coi suoi travagli guadagnasse dai beni ' del nemico il vitto giornaliero, di cui tanto penuriava, e rendendo UliK servigi alla patria, non fosse malafFelto e molesto a’ padri che governano il comune. Dicea che avrebbe puiv le cagioni plausibili di guerra una città che si procacciava il comando, e che era da tutti invidiata : chiedeva che argomentassero dalle cose passate le future, esponendo quanti moti erano stati' in città, e come sempre nella cessazion della guerra. Quinzio però non pensava di portare ad altri guerra : dichiarando che dovea bastar loro quando il popolo ubbidiva chiamato contro ai pericoli esterni, che sopravvengono e stringono, e dimostrando, che se forzassero nel caso preti) Anno di Roma a83 secondo Catone, aSS secondo Varrone, av. Cristo] sente gl' indocili, indurrebbero la disperazione come i consoli precedenti 1’ avevano indotta. Dont} è che porrebbonsi essi a repentaglio o di opprimere la sedizione col sangue e colle stragi, o di scendere con vitupero ad appiacevolire la plebe. Comandava Quinzio in quel mese ; tantoché non potea 1’ altro console far nulla senza il consenso di esso.. Ma Publio e li compagni ripigliarono senza indugio la legge, che non aveano potuto stabilire nell' anno precedente, aggiungendo a questa, che si creassero ne' comizj stessi ancora gli edili: o che tutto in fine, quanto si trattava o risolveva dal popolo, si trattasse e risolvesse nel modo medesimo con i comizj per trìbùr Or ciò era l’ annientamento manifesto del Senato, e l’ inalzamento del popolo. A tale notizia mpensierirono, e discussero i consoli, come togliere pronti e sicuri la sommossa e la sedizione. Appio consigliava che si chiamassero alr armi quanti volean salva la forma della repubblica ; e che si numerassero tra’ nemici quanti si opporrebbero ad essi che le impugnavano. Ma Quinzio giudicava che si dovesse prendere il po[x>lo colla persuasiva, e con.vincerlo die per ignoranza de’ -veri interessi sla nciavansi a rovinose risoluzioni. Dicea esser t estremo 'della de^ menta estorcere colla forza da’ cittadini ritrosi ciocché aver ne poteano di buorr grado. Ora approvando pur gli altri senatori il parere di Quinzio ; i consoli ne andarono al Foro, e chiesero da’ tribuni un’aringa, ed il giorno in cui farla. Ottenuta a stento l’una e l’altra istanza, venuto il giorno richiesto, e concorsa al Poro moltitudine d’ ogni genere preparata per opera de’ due magistrati in favor loro, presenlaronsì i consoli per censurarvi la legge. Quinzio, uomo altronde discreto, e persuaso che il popolo avessi a guadagnar col discorrere, chiese il primo udienza, e ragionò cose a propo sito, e con piacere di tutti ; cosicché li fautori delia legge impotenti a dir cose pii^ giuste o benigne, assai ne furono imbarazzati. B se il console collega non lavasi ancora troppo gran moto ; forse i plebei riconoscendo che non cercavano nè il giusto, nò il bene ripudiavan la legge. Ma perciocché colui tenne un discorso superbo, e grave ad udirsi da’poveri ; il popolo ne fu crocciato, implacabile, e discorde, quanto mai piò per addietro. Non parlò costui come a uomini liberi, a cittadini arbìtri di fare e disfare le leggi : ma quasi parlasse con nomini vili, forestieri, né liberi solidamente; vi lanciò detti amari, insoffribili: vi lamentò le assoluzioni dei debiti, e ricordò la separazione dai consoli ; quando dato di piglio alle insegne, che pur sono, santissima cosa, abbandonarono il campo, volgendosi ad un esilio volontario. Richiamò li giuramenti che avean fatti, quando presero per la patria le armi, che poi contro lei sollevarono. Pertanto diceva che non sarebbe meraviglia se essi che avevano spergiurato gl’iddj, lasciato i capitani, e diserta, quanto era in loro, la p^ttria, e che vi erano tornati, confusavi la buona fede, e sovvertitevi le leggi ed il governo, ora non si dimostrassero moderali ed utili cittadini : mai incitati da nuòvi desideri ed eccessi, talvolta chiedessero magistrati proprj, scelti dall’ordin loro, e questi iudipendentì, inviolabih ; tal’ altra chiamassero in giudizio per cagioni turpissime que’palrizj che loro paressero, trasferendo dal celo più puro al più sordido i poteri con cui Roma faceva un tempo giudicare sull’ esilio e la morte; e talora i mercenari e privi de’ palrj lari com’ erano, fissassero leggi ingiuste ed oppressive contea i bennati, senza lasciare al Senato la facoltà di proporle prima col sno decreto, tolta ad esso una prerogativa che aveva V sempre avuta senza contrasto, fin sotto de’monarchi, e de' tiranni. E dette molte altre cose consimili, senza lasciare indietro memorie amare, nè risparmiare nomi ingiuriosi ; alfine pronunziò questo ancora per cni tntto il popolo ne infuriò, vale a dire che mai la città che terebbesi totalmente dalle sedizioni ma che sempre infermerebbesi per nuovi mali, finché fossevi il poter dei tribuni ; affermando che negli affari politici si dee vedere che i principi sian buoni e giusti, giacché da buon seme si ha frutto buono e felice, ma infelice e reo da reo seme. Diceva : se questo potere fosse erttraio in città di buon accordo per ulil comune; venutovi col favor degli augurj e della religione, sarebbe stalo a noi causa di molti e gran beni, di unione, di leggi savie,di speranze belle dal ctmto dé’ numi, e di mille altre cose. Avendovelo però introdotto la violenza, la prevaricazione, la discordia, il timore di una guerra interna, e tutti i mali più odiati fra gli uomimf come con tali principii ne sarà mai fausto e salutare? Ben è superfìua cosa cercar farmachi e cure quante sen possono ai mali che ne germogliano finché restavi la radice viziata. Nè mai vi sarà termine, mai requie alcuna dallo sdegno celeste, finché ques^ invìdia, in saziabile furia in città s’ annida, e lorda, ed infracida tutto. Ma per tali cose vi sarà discorso, e tempo più acconcio. Ora, poiché si vuole rimediare alle còse presenti ; io lasciando ogni acerbità, vi dico : N& questa legge, nè altra qualunque non approvata prima dal Senato sarà mai valida nei mio consolato. Ma so> n Sterrò con parole gli ottimati, e quaudo anche 1’ o pere vi bisognino, nemmeno in queste sarò vinto dagli avversar). E se non prima ayete saputo quanta sia r /lutorità de' consoli, nel mio consolato lo saa prete, a Àppio cosi disse, quando Cajo Lettorio il piò provetto e più venerabile de’ tribuni, uomo riconosciuto non ignobile in guerra, e buono al maneggio degli affari, sorse e replicò, cominciando da alto, e ragionando a luogo sul popolo, quante diftìcili spedizioni avessero intrapreso i poveri, da lui vilipesi, nonsolo nel tempo dei re, quando forse era necesiiià, ma dopo la espulsione loro per acquistare alla patria la libertà e il comando. Pur non ebbero, dicea, ricompensa ninna da palrizj, né goderono alcuno de' pubblici beni; ma quasi presi in guerra, furono privati injino della libertà : e se volevano conservarsela dovettero. abbandonare la patria, cercando una terra ove non fossero, essi liberi uomini, insultati^ Senza violentare, senza obbligare colle arme il Senato, ebbero nella patria il ritorno, condiscendendo a lui che chiedeva e pregava che si rendessero alle abbandonate lor cose, fi qui spose i giuramenti, e rammentò gii accordi fatti per questo ritorno; tra’ quali v’era I amnistia di tutto il passato, e la concessione a’ poveri di eleggersi magistrati i quali proteggessero loro, e resistessero a chiunque volesse mai conculcarli. Scorrendo su ^li subjetd, aunoverò le leggi fondate poco prima dal popolo ; come quella su la iraslasion dei giudizj per la quale il Senato cedeva ài popolo che chiamasse in giudizio qual più volesse de’ patrizj ; e 1’ altra sul dar dei suffragi, la qual rendeva arbitri de’ voti i comìzj per tribù, non quelli per centurie. E così ragionato Sul popolo ; rivolgendosi ad Appio disse : E tu ardisci et insultar quelli pe’ quali la repubblica divenne di piccola grande, e luminosa d' ignobile ? tu chiami sediziosi gli altri ^ e rimproveri loro tome fuorusciti ? Quasi non tutti rammentino ancora ciocché avvenne tra noi, vuol dire che gli avi tuoi levarono il capo contro de’ magistrati, abbandonaron Ut patria, e supplichevoli qui s' alloggiarono. Se non forse voi che avete abbandonala la patria per amore della libertà, voi v avete fatto un opera belìa^ fié ^ella è quella de’ Romani che han fatto altrettanto, Tu ardisci calunniare l’ autorità de’ tribuni conte introdotta a mal fatto ; e persuadi qui noi che c involiamo questo sacro, questo immobile rifugio de’ poveri, confermatoci da numi a dagli uomini per tanto grandi cagioni ? Ta tirannissimo, ninUcissimo che sei del popolo ! E non giungi nemmeno dunque a vedere, che ciò dicendo, oltraggi il Senato, oltraggi la tua mùgislratura ? Insorse pure ' tutto il Senato contro dei re, più non potendo so ferirne la superbia c gli affronti ; e fondò il consolalo, e prima di bandirli da Rema f coesi altri ministri del regio potere. 2'antochè ciò che dici contro del tribunato come introdotto mal fato, per la origine sediziosa, ciò dici ancora contro del consolato ; giacché non altra causa il fé nascere se rwri lo scuotersi de’ patrie j contro dei re. Ma che parlo io di queste cose con te quasi con cittadino buono e Moderato, quando tutti sanno che tu sei di^ stirpe mal grazioso, anzi acerbo, anzi infesto al popolo, nè buono da ingentilire la salvatichezea tua ? X) perchè non pospongo i detti, e ^ investo co’ fatti, e ti mostro che tu che non ti vergogni di chiamare il popolo un sordido, e senza casa, tu non sai quanta sia la forza di lui ? quanta quella del suo magistrato a cui le leggi ti obbligano di dar luogo e di cedere ? ma già lasciati 1 rammaricìd delle parole, comìncio le opere. E ciò detto giurò col giuramealo, più rive reado infra loro, di sostenere la legge; o di morire. E qui taciutisi lutti, e latti empiutisi di ansietà su ciò che farebbe : comandò che Appio ne andasse dall adunanza. E perciocché non ubbidiva, ma cingendosi coi littori e colia turba che aveasì perciò condotto di casa, ripugnava ad andare ; Lettorio, intimato pe’ banditori silenzio, consigliò che i tribuni facessero portare il console nella carcere. E qui la guardia di lui si avanzò, comandata, come ad arrestarlo ; ma il littore, che il primo se la ebbe innanzi, la battè e respinse. E levatosi romor grande e rammarico; v’accorse lo stesso Lettorìo, eccitando la turba in ' suo ajulo. Se gli oppose Appio con giovani bravi e numerosi; ed eccone quinci e quindi viluperauoni, grida, spinte ; talché la contesa divenivane zuflà, ornai cominciandovisi il trar delle pietre. Se non che ripresse tali colpi, e fece chn il male non procedesse più oltre Quinzio l’ altro console, cacciandosi egli c li più anziani de’ senatori, tra le minacce, e supplicando e scongiurando tutti a desistere. Non avanzava allora se non picciola parte del giorno, e però si divisero finalmente, ma di mal’ animo. Incoiparonsi i magistrati a vicenda ne’ giorni appresso : il console accusava i tribuni che tentassero di annientare il suo grado col volere in carcere chi lo rappresentava ; ed i tribuui il console, pe’ colpi portati su persone, sacre ed inviolabili per la legge ; e de’ colpi avea Lettorio i segni manifesti nel' sembiante. Intanto stavasi la città scissa e fremente. I tribuni ed il popolo occuparono il Campidoglio, non tralasciandone mai la guardia, giorno' e notte : il Senato adunatosi tenne lunga e travagliosa discussione intorno ai modi di chetar la discordia, considerando la gravezza del pericolo, e come nemmeno i consoli fossero uniti fra loo); giacché volea Quinzio conr^dere al popolo le istanze • moderate, ed Appio vi ripugnava, a costo ancora della vita. E poiché ninna cosa avea termine, Quinzio presi nn per uno i tribuni ed Appio, orando, scongiurando, raccomandava loro di antepoiTe il ben pubblico al proprio. E vedendo alfine ornai rimplacidili quelli, ma duro in sua caparbietà il console compagno; persuase Leitòrio e i seguaci di lui, sicché rimettessero al Senato l’esame de’ privati e pubblici risentimenti. ConTocato quindi il Senato, lodativi ampiamente i tribuni, e scongiurato il compagno a non contrastare la salvezza pubblica, invitò tutti, secondo il solito, a dirne il parer suo. Invitato per il primo Publio Valerio Poplicola, disse: che doveansi dal pubblico condonare, non portare in giudizio le incolpazioni vicendevoli de' tribuni e del console su quanto s’ avean fatto o sofferto nel tumulto; perchè non erosi fatto per mal animo, nè per ben propiro, ma per gara di preminenza in repubblica: quanto alla legge poi sen facesse previo decreto in Senato ; giacché Appio console non voleva che senza questo al popolo si proponesse. Del resto provvedessero tribuni e cofisoli insieme il buon ordino, e C armonia de' cittadini nel dar de' suffragi. Approvarono lutti quel dire ; e ben tosto Quinzio fe’ dare il volo a’ senatori su la legge. AcCusolla Appio per più capi, e -molto i tribuni se gli opposero, ma vinse (ìnalmente di gran lunga il partito per introdurla ì stesone il decreto del Senato, ne tacquero le gare de’ magistrati, il popplo di buon grado lo accolse, e fece co’ sufTragj suoi la legge. Da>quelip fino a miei tempi i comizj per tribù decidono col volo loro la scelta de’ tribuni e degli edili ^enza dipendenza ninna dagli augurj^e dalle cose di religione. E tal fu la soluzione de’ dissidj che di que’ giorni conturbarono Roma. L. Piacque dopo non molto ai Romani di arrolar le milizie, e spedire ambedue ^ consoli contro gli Equi e li Volsci: perocché nunziavasi loro eh’ erano uscite truppe Roma Catone Varrone] in gran numero deli’ uno e dell’ altro popolo e depredavano gli alleati Romani. Apparecchiati dunque in fretta gli eserciti, e sceltone colle sorti il comando ; Quinzio marciò contro gli Equi, ed Appio contro de’Volsci. Ma ciascun dei due consoli v’ ebbe le vicende che meritava. Imperocché l’armata di Quinzio benevola al vaientQomo per la moderazione, e per la dolcezza di lui, ne ubbidiva pronta i comandi, e le più volte anche senza comandi affrontava i pericoli, per acquistargli fama ed onore. Dond’è che scorse in gran parte, saccheggiando, la region de’ nemici ; senza eh’ ardissero questi venirne alle mani : e raccoltevi amplissime prede, e vantaggi, e dimoratavi alcun tempo scevra in tutto da mali; si presentò di bel nuovo in patria, rimenandovi il suo capitano luminóso per le belle azioni. Ma 1’ arntata, andatane con Appio, lasciò per odio di lui ipulti patrj dovéri; perocché fu mal animata in ogni spedizione e poco curante il suo duce: e quando le bisognò far battaglia co’ Volscl, schieratavi da . esso, ricusò di venire alle mani. Centurioni ed antesignani, chi lasciò la schiera sua, chi gettò 1’ insegna, e rifuggironsi agli alloggiamenti. E se gl’inimict, sorpresi dalla stranissima fuga, ed' intimoriti per essa di un qualche inganno, non desistevano dall’ incalzarli ; perivane il più de’Romani. Or ciò faceauo a mal cuore del capitano, sicché egli sulr esito di fauste battaglie, non crescesse col trionfo, e con altri onori. Nel giorno appresso ora il console redarguendoli per la fuga -ingloriosa, ora esortandoli a cancellarne la infamia con un generoso combattimento, ora minacciandoli che varrebbesi del rigor delle leggi se ig3 non teneansi fermi contro a’ pericoK, essi ìadociii tut>' lavia Io intronarono colle grida, e cltiesero che li ri> tirasse dalla guerra, come invalidi a pi& resistervi per le ferite. E quasi feriti davvero, ' aveansi alcuni fasciate membra sanissime. Appio adunque, necessitatovi, ritirò r esercito dalle terre nemiche; ed i Volaci tenendogli dietro, ne ticoisero'non pochi. Giunti in terre amiche, il cònsole convocatili, e fintine i grandi lamenti, annnnrìò che. punirebbeli come i disertori. E quantunque seniori e magistrati militari assai lo pregassero a temperarsi, nè volgere la patria di danno in danno ; egli non tenne conto di alcnno, e stabili la pena. Quindi i centarìoni le cui centurie fuggirono 'e li portatori delie bandiere, che le aveano peivlute, gli nm furono decapitati colle scuri, e gli altri Colle verghe battuti e morti. Del resto della diilizia ne peri, tirata a sorte, la decima parte per tatti. Tale fra Romani è il castigo per chi lascia l’ ordinanza, o getta la insegna. .Dopo ciò egli, duce odióso, condocendo 1’ avanzo dell’ esercito mesto è disonoralo ; ornai sovrastando i oomiz), si rimise in patria. Dichiarati consoli, dopo questi, Lncio Valerio per la seconda volta, e Tiberio Emilio ; i Tribuni contenutisi già per qualche tempo, introdussero di bel nuovo il discorso su la division de’ terreni. £d andatine ai consoli, chiesero supplichevoli ed insistenti che si mantenessero al popolo le proihesse fattegli dal Senato Addo di Roma 384 , piacciavi udirle o no, vi dico,, veracissimo e libero, come utili di presente, e sicure per P avvenire, se lascerete mai persuadervene ; quantunque per. me che affronto pel pubblico bene l'odio altrui saran causa di mali non pochi. Imperocché ragionando antivedo, e presentami i casi altrui come norma de'miei. Appio cosi disse, e consenlendo con lui quasi tutti, fu sciolto il Senato. Irriuronsi i tribuni per la ripulsa : e partitisi, considerarono come punirne un tal uomo. In mezEO al molto discutere piacque loro di sottoporre Appio ad un giudizio capitale. Pertanto accu sandolo .nell’ adunanza del popolo, invitarono tutti a venire in giorno determinato, per sentenziare su lui. Sarebbero queste le incolpazioni, vuol dire che stabiliva massime ree cofilro il popolo ; che riaccese in città la sedizione ; che alzò viqlento le mani sul tribuno ad onta delle leggi sacrosante ; e che duce delC esercito, sen tornò pieno di sciagura, e (T infamia. Annunziate tali cose al popolo, e destinato il giorno in cui di(^ vano che ne farebber la causa, intimarono ad Appio di comparire a difendersi. Sen dolsero e prepararonsi i padri Con tutto l’ ardore a salvarlo. Eid esortandolo a cedere al tempo, e prender abito conveniente alle cir> costanze ; replicò che mai non farebbe azione vile, nè degna delle precedenti; e che sosterrebbe anzi mille morti che prostrarsi supplichevole ad alcuno. Rimosse alquanti ‘che eran pronti d’ Intercedere per lui, dicendo: die sarebbegli stata doppia vergogna, se vedesse altri fare per lui ciocché non' dovea fare nemmeno per sè stesso. Dette queste, e cose consimili, senza cambiar vestimenti, nè tener di sembiante, nè llul fìnsero che per una Infermità morisse. Portatone quindi il cadavere nel Foro, -il Gglio di lui fattosi innanzi ai tribuni ed ai consoli dimandò che convocassero Tadananza legittima; e ^mettessero a lui di lare sul padre suo la -funebre laudazione, usala in morte de’ Valentuomini. Intimarono ai consoli l’adu nanzB ; ina vi ripugnarono itribuni, ed imposero al giovine di tor via quei cadavere. Non sofferse il popolo né guardò con indifferenza clte inonorato il cadavere si rimovesse ; ma concedette al > 6glU> di rendere i consueti onori al padre : £ tale fu la fine di Appio. I consoli arrotarono, e cavarono di città le milizie ; Lucio Valerio per combattere gli Equi e Tiberio Valerio i Sabini ; perciocché gli ultimi ne’ tempi della sedizione entrarono il territorio romano, e danneggiatane gran parte, ne partirono con amplissima preda : gli Equi poi venuti più volte alle mani, e presevi molte ferite, eransi riparati in luogo fortissimo, nè più ne scendevano per combattere. Ben tec^ò Valerio di assediare quelle trincee, ma ne fu proibito dal cielo. Imperòcclié mentre v’andava e ponessi all’opera; si mise il cielo in caligine, in pioggie, in fulgori, e tuoni spaventevoli. Se ne sbandò l’ esercito, ma sbandatosi appena cessò la procella : e fecesi grande serenità. Prese il console come cosa di religione un tal fatto : e perciocché gl’ indovini diceano non essere da por quell’assedio ; egli diè volta, e saccheggiò la terra; e lasciata in utile de soldati la preda, ricondusse in patria l’eser cito. Tiberio Emilio però scOrrea fin dal principio con assai negligenza le regioni" de’ nemici, nè aspettavano ornai più le milizie; quando uscirono a fronte i Saliini, e sen fece battaglia ordinata, quasi dal mezzodì fino a sera. Sorprese dalla notte ritiraronsi le armate ciascuna aoi al suo campo, nè vincitori nè vinte. Ne’giorai appresso i duci presero cura de’ loro estinti, e munirono di fossa gli alloggiamenti ; ambedue con proposito di difender' visi, non di uscirne per offendere. Poi col volger del tempo levarono le tende, e partironsi cogli eserciti. L’ anno dopo nella olimpiade settantesima ottava in cui vinse nello stadio Parmenide di Possido> nia, mentre Teagene vea l’ annuo magistrato di Atene, furono in Roma consoli Aulo Verginio Cclimoutano e Tito Numicio Prisco. Ascesi appena questi al comando, ridicevasi che giungevano i Volsci con esercito poderoso. Nè mólto dopo fu invaso da essi, e dato alle Gamme un posto ne’ dintorni di Roma : e non essendo questo mollo lontano ; il fumo stesso annunziava alia città l’in ibrtunio. Immantinente, essendo ancor notte, inviarono i consoli de’ cavalieri per osservare, e misero guardie su le mura; ed essi stessi schieratisi fuori delle pqrte co’ soldati più spediti, v’ a^ettavano i ' rapporti de’ cavalieri. Fatto giorno raccolta la milizia che avevasi iu Roma, andarono contro a’ nemici: ma questi, derubato il luogo' ed incendiatolo, ne erano ben tosto partiti. Liberarono r consoli )e cose che ardevano ancora, e lasciatovi un presidio sen tornarono a Roma. Pochi giorni appresso usci coll’ armata propria, e con quella degli alleati l’ uno e 1’ altro console : Yergiulo contro degli Equi e Numicio contro de Volsci : e ciascuno se n’ ebbe fra le armi il successo che desiderava. Devastando Verginio le terre degli Equi non ardirono questi Attuo di Roma z85 tecondo Calotte, >87 secondo Varroac, e 4^ av. Cristo. di venire alle mani. Ben posero nna imboscata di uomini scelti ove speravano di piombare su l’inimico sban> dato; ma vanissima ne fu la speranza. Imperocché saputosi ben tosto pe’ Romani, fecevisi vigorosa battaglia: ove gli Equi tanto perderon de’ suoi die più allora non vennero al paragone delle armi. Numicio marciò su la città degli Anziati, 1’ uua allora delle primarie tra’VoIsci, ma non se gii oppose armata niuna, riducendosi tutti a rispingerlo da entro le mura. Fu dunque saccheggiato gran tratto della lor terra, e presa una cittadella in sui lido, la quale era per essi come arsenale ed emporio, ove concentravano il molto che andavano depredando sul mare. L’ esercito si attribuì per concessione dei console gli schiavi, i danari, i bestiami, le merci : ma gli uomini liberi che non erano periti tra la guerra furono presentati all’ incanto. Si acquistarono nommeno su gli Anziati ventidue navi lunghe, ed apparecchi ed armi di navi. Alfine per comando del console i Romani ne bruciarono le case, ne devastarono l’ arsenale, e ne distrussero da’ fondamenti le mura; perchè, ritirandosene essi, quel luogo non fosse un castello vantaggioso per gli Anziati. Tali furono le azioni separate de’ consoli ; poi. gettatisi insieme sui territorio dei Sabini, e depredatolo, rimenarono a Roma gli eserciti; e r anno finì. L’anno appresso fatti appena consoli Tito Quinzio Capitolino, e Quinto Servilio Prisco, tutta la milizia romana fu in arme, e spontanea si presentò Auno di Roma aS6, secondo Catone, aS8 secondo Varrone, e 4^ av Cristo.. ao3 quella degli alleati, prima che richiesti ne fossero. Dopo ciò fatte suppliche ai nami, ed espiato l’esercito, mar> ciarono i consoli contro a nemici. Li Sabini contro ai quali era andato Servilio, non che schierarsi in batta> glia, non nscirono nemmenoall’ aperto: ma tenendoM dentro del chiuso, lascravano che si devastassero loro le terre, s’ incendiasser ’ le case, e gli schiavi se ne fuggis . sero. Dond’ i che i Romani tornarono a grand’ agio dalle lor terre, carichi di preda, e risplendenti di glo ria. E cosi terminò la spedizion di Servilio. Quinzio, ed il seguito suo, movendosi con marcia più che mili tare contro gli Equi, ed i Volsci, venuti ambedue dalle regioni loro in un sito stesso a combattere per gli altri, ed accampatisi davanti di • Anzio : diedesi a vedere improvviso. E fermatosi non lungi dal campo loro in tm luogo, basso per sé medesimo, che era quello ap> punto dove prima fa veduto e vide gli avversar), posevi le bagaglie per far mostra di non temere i nemici, quantunque superiori di numero. Or com’ ebbero ambedue tutto in punto per la battaglia, uscirono in campo, cd avventatisi pugnarono infino al mezzogiorno. Non cedevano, non superavano, quésti o quelli, ristorando sempre la parte che vacillava, co’sussidj ordinàli per questo. Allora quando come superiori di nnmero, cominciarono i Yolsci e gli Equi a vantaggiare ^ e pre> valerne; non avendo i Romani moltitudine, pari all’ardore, Quinzio veduti estinti molti de’ suoi, e ferito il più de’ superstiti, era per intima ve la ritirata : ma temendo poi di dar vista ài nemici di fuggire; concluse, ch’egli dovea cimentarsi. E scelto il nerbo de’cavalieri. Digitized by Google 2o4 delle antichità’ bomane vola in soccorso de' laoi nell' ala destra, dove principalmente perìcclavaoOi Ed ora sgridando di codardia li duci stessi, ora ricordando le passale battaglie, e dipingendo la infamia ed il pericolo loro se fuggivano; alfine disse una cosa Gota sì, ma cbe rincorò li suoi più che tutto, e sbigottì F ibiiuico. Egli divulgò che r allr ala sua incalsava già gli avversar}, e già stava prossima agli alloggiamenti r e divulgandolo, spronò sui nemici ; e sceso di cavallo co’ bravi suoi cavalieri, prese a combattere di piè fermo. Tornò l’ audacia aUora nei suoi che ornai si abbandonavano, e divenuti quasi altri da quelli cbe erano, fulminaronsi tutti sul nemico. Talché li Volsci contrapposti -appunto in quella parte, dopo aver luogo tempo résislito, piegarono finalmente. Quinzio fiigaiili appena, rimonta il cavallo e corre all’ altr’ala, e mostravi a’ fanti suoi disfatta l’ala nemica, e raccomanda che non sieno per virtù minori de’compagni. Dopo ciò niono più de' nemici 'tenne fronte, ma fuggirono tutti alle trincee. Non gl’ inseguirono lungo tempo i Romani, ma beutoste se he rivolsero forzali dalla stanchezza, nè più 'avendo ornai l’arme, pari al bisogno. Decorsi alquanti giorni, convenuti per seppellire gli estinti e curare i mal conci, avendo già riparato quanto mancava loro per combattere, fecero nuovo conflitto intorno gli alloggiamenti romani. Imperoccliè venute nuove reclute ai Volsci e agli Equi dalle terre circonvicine, inanimito il capitano perchè i suoi erano il quintuplo de’ Romani, e perchè vedeva le trincee di questi su luogo non abbastanza munito, credette il buon punto d’ assalirvegli. Con tal disegno guidò. . ao5 su la mezza notte 1’ esercito intorno al vallo de’ Romani, e cinseli, e tineli in guardia, percbè inosservati non s’ involassero. Quinzio saputa la moltitudine de’ nemici, ebbe caro di accoglierla. Ed aspettaudo che fosse • giorno, e principalmente Tura nella quale il Foro suol riempirsi, quando vide > che i nemici venivano ornai stanchi dalla vigilia e dalle scaramucce, non per centurie, nè in schiera, ma confasi e sparsi; immantinente, spalancale le porte, precipita su loro col nerbo de’ cavalieri, mentre i fanti lo seguitavano serrati e stretti. Sbalorditi i Yolsci dall’ audacia, dopo aver sostenuta bteve tempo la furia della irruzione, rinculano, e lasciano gli alloggiamenti. E percbè non lungi da questi aveasi un colle alquanto elevato ; vi accorrono, come a riprendervi requie ed órdine. 'Non riuscì però loro di fermarsi e di riaversi, giungendo ben tosto i nemici, stretti quanto poteano colle coorti, per non esserne trabalzali, nell’ ascendere a forza la pendice. Fattasi azione vivissima per gran parte del giorno, ne perirono molti diagli ani e degli altri. I Volaci, 'tuttoché superiori nel numero,. e rassicurati dal posto occupalo, nou goderono alcuno de’ dué vantaggi : ma violentati dall’ardore e dalla virtù de’ Romani, abbandonarono il colle. F uggendo però verso le trincee, molti ne soccomberono. Imperocché non cessarono i Romani d’inseguirli, ma tennero immantinente .dietro loro, senza desisterne, finché ne presero a forza il campo. Impadronilivisi dei prigionieri e di ogni cosa lasciatavi cavalli, armi, danari, che erau pur molli, passarono ivi la notte. Nel giorno appresso il console, apparecchialo ciocché bisoDigitized by Google 2o6 delle antichità’ romane goava per un assedio, diresse 1’ esercito alla città degli Ansiati, uon lontana più di trenu stadj. Per avvenlora ivi slavan di guardia alquanti Equi ausiliarj e custodivan le mura, e questi per terrore della baldanza romana naacchinavan fuggirsene. Saputo dagli Anziati, ed impediti partirne, congiurarono dar la cittade a’Roraani che si appressavano. Gli Anziati avuto sentore pur di questo, cedettero al tempo : E imnvenutisi cpn loro ; si diedero a Quinzio, in modo che gli Equi pe^ patto si dimettessero, accettassero gli Anziati in città la guarnigione, e seguissero i comandi de’ Romani. Divenuto pertanto il console arbitro della città, pigliatine stipendi ed altri bisogni dell’ esercito, e presidiatala, se ne ritirò. Uscitogli per tal gesta incontra il Senato, lo accolse gratissimamente, e lo onorò del trionfo. L’anno -appresso furono consoli Tiberio Emilio per la seconda volu, e Quinto Fabio Ggliuolo dell’ uno dei tre fratelli, duci già della guarnigione spedita in Cremerà^ ed 'ivi periti co’ loro clienti. Ora. favorendo Emilio console ai tribuni, e rimescendo qu^ti di bel nuovo il popolo intorao la divisione de’ campi ; il Senato voglioso di cattivarselo, e sollevarne i poveri, stabili di compartir loro uu tratto del territoifio conquistato r anno avanti su gli Anziati. Furono deputati per la divisione Tito Quinzio Capitolino, quello appunto a cui si erano gli Anziati venduti, e Lucio Furio ed Àulo Verginio. Non stumio Albino per la prima volta, e Quinto Servilio Prisco per la seconda. Nei lor giorni gli Equi risolvei Roma Catone Vsrrone e tero vioiai-e i patti, recenti co’ Romani, per questa cagrane. Gli Aoziati che avevano case e campi, rimasero nella lor patria, coltivando le terre ad essi concedute, come quelle attribuite ai coloni, a’ quali davano con regole Gsse parte del frutto :quelli perd che unila più avevan di questo, si trasmigrarono. Gli accolsero di buon grado gli Equi fra loro ; ma uscendone, d^>redavx> le terre latine : dond’ è cbe 'i più audaci, e più poveri ancora degli Equi, fecero causa con essi. Lamentarono i' Latini r insulto in Senato, e'tdiiesero che mandasse loro un esercito, o loro concedesse di ribattere gli autori delia guerra. Il Senato, udito eiò, nè inviare un esercito, né permise ai Latini che lo menassero : ma scelti tre ambasciadori, capo de quali era Fa-,bio, quegli che l' anno avanti avea conchiuso il trattato, ordinò loro di chiedere dai primarj della nazione, se mandava il pdbtdico per qite’ latrocini ne’campi degli alleati di Roma, anzi di Roma stessa, ne’ quali eransi anche fatte alcune scorrerie da, quegli esuli : o se il pubblico non avea di ciò colpa ninna : E se diceano che r opera era de’ privati senza volere del popolo ; chiedessero nelle mani le predé nomuMno ohe i predatori. Venuti gli oratori, ed ascoltatili ; gli Equi diedero oblique risposte, dicendo, che 1’ opera non era certo fatta per pubblico voto, ma che non istimavano bene consegnarne gli autori, perché, ridotti già senza patria, e vaganti, erano come supplichevoli stati ricevuti nelle campagne (t). AddoloravaSi Fabio, e reclamava i patti Vuol c^ita pareva loro come tradire la fede oepiiale, $e ti conergnaTeoo. Linno IX. 209 traditi, pur vedendo che gli Equi s’inGngevano, e dimandavano tempo a consultarsi, e lo intrattenevano come pe’ doveri ospitali ; si rimase infra loro con di> segno di esplorare le cose della città. E visitando ogni luogo sul titolo di vagheggiarvi le cose dei templi e del popolo, gli opifizj delle arme da guerra o Gnite o che si lavoravano, comprese i loro disegni. Tornato n Roma disse in Senato quanto aveva udito, e veduto. Ed il Senato, non più dubbioso, decretò che si mandassero i F eciali per intimare agli Equi la guerra, se non cacciavan da loro i fuorusciti di Anzio, nè promettevano rintegrare i danneggiati. Replicarono gli Equi baldanzosi, Gno a dir che accettavano, nè già di mala ' voglia, la guerra. Li nigione su’ turbolenti di Anzio, onde rassicurarsene, e Spurio Furio l’altro de’consoli coll'esercito contro degli Equi. Marciò ben tosto 1’ uno e 1’ altro ; nfa gli Equi udendo uscita già l’armata romana si mq^sero da’ campi degli Ernici per incontrarla. Vedutisi appena fra loro, tutto che non fossero molto distanti, per quel giorno si trìncierarono. Nel giorno appresso i nemici vennero quasi alle trincee de’Romani per. esplorarvenè gli animi. E poiché questi non uscivano alla battaglia, fattevi delle scaramucce, e niente di memorando, sen partirono assai Allude ai Romaui' portali non molto prima iif Aniio, come coloni pcrchi nel tempo slesto invigilassero e lenestero iit soggeunn^ Ig città proclive alla ribellione magnificandosene. Il cohsole lasciate nel giorno seguente quelle trincee, come non molto, sicure, trasposele in sito più acconcio, e vi scavò fossa più profonda ^ e vi piantò steccati più alti. Crebbe a tal vista il cuor dei nemici, e molto più quando ad essi pervennero altri snssidj de’ Volaci e degli Equi ; tanto che senza più indugi marciarono al campo romano. Il console considerando che a lui. non bastava r>esercito contro le dpe nazioni, spedisce alcuni cavalieri con lettere' in Roma perchè mandisi a lui pronto soccorso, pericolandogli tutta l’ armata. Giuntivi questi su la mezza notte, Postumio il collega di lui ricevendole, fe’ convocare per via di molti araldi i padri in Senato: e prima che il di si chiarisse, crasi decretato che Tito Quinzio già console per la terza volta portasse bentosto con autorità proconsolare il fior de’ giovani a piedi ed a cavallo sul nemico, c che Aulo Postumio il console raccolte il più presto le altre milizie, a raccoglier le quali vi abbisognava più tempo, li soccorresse. Quinzio riuniti sul principio del giorno presso a cinque mila volontari, dopo non molto marciò. Gli Equi ciò sospettando non istavansi a bada : ma deliberati d’ assalir le trincee de’ Romani prima che vi giungesse il soccorso, si divisero in 'due corpi, e t’ andarono per espugnarle colla forza, e col numero. Fecesi per tutto il giorno calda battaglia, spingendosi questi audacemente in più parti su’ ripari, nè reprimendosene pe’ tiri continui delle lance, degli archi, e delle fionde. Adunque, confortativisi a vicenda, il console ed il legato spalancando in uri tempo le porte, ne sboccano, e piombando co’soldati più validi da ambedue le parti del campo su i ne mici, ne rispingono quanti vi salivano. Messili in fuga, il console insegai breve tempo i soldati a lui coatraposti, e poi si ripiegò: ma il fratello suo e Publio F urio il legato trasportati dalla impresa e dall’ ardore corsero incalzando e uccidendo fino al campo nemico ; e non avean seco se non due coorti, numerose in .tutto di mille uomini. Gli avversar) loro be erano intorno a cinque mila, osservato ciò, si avventano dagli steccati.. E mentre questi vengon di fronte, la cavalleria, fatto un giro, prende alle spalle i Romani. Publio ed il seguito suo cosi circondato e disunito dal resto de suoi ben potea salvarsi se cedeva le arme, esibendogli questo i nemici, cbe assai valutavano far prigionierì que’mille bravi, quasi potessero in vista di essi ottener pace ono rata: ma i Romani spregiato l’invito ed animatisi a non far cosa indegna della patria, combatterono e spirarono tutti Ira’ cadaveri de’ nemici. Morti questi, gli Equi inebbriati dal buon successo presentaronsi alle trincee romane elevando confitto alle aste il capo di Publio e di altri cospicui, per iscoraggirne quei d’ entro, e necessitarli a ceder le arme. Ma se venne ad essi pietà per la sciagura degli estinti compagni, e se ne pianser la sorte, si moltiplicò ben anche lo spirito per combattere e l’ onorato amore di vincere o di morir come quelli prima che andar prigionieri. Circondati dunque, com’erano de’ nemici, passarono i Romani senza' sonno là notte, riordinando le parli che aveano soiferto nelle trincee, e quant’ altro mai potea respingere gl’ inimici se tentavano un altra volta investirveli. F ecest nel giorno appresso di bel nuovo r assalto, schiaotandovisi lo steccalo in più parti. Più volte furono gli Equi respinti da quei d entro che ne uscivano a schiere, e più volte nell’ audacia delle soi> lite, lo furono questi dagli Equi. Durò tutto il di la vicenda: quando fu il console romano ferito nel femore da uno strale a traverso dello scudo, e feriti pur furono ^ molti de’ più rignardevoli, quanti li combattevano infoiano. Ornai vacillavano t Romani, quando su l’ imbrunir della sera ecco inopinatamente apparire Quinzio per soccorrerli col corpo de’ prodi volontarj. I nemici, vedutili che avanzavano, diedero di volta, lasciando l’assedio imperfetto: ma quei d’ entro incalzandoli nella ritirata facean strazio della retroguardia : se non che indeboliti per la più parte dalle ferite, non gl’ inseguirono a lungo ; ma presto si ripiegarono verso il lor campo. Dopo ciò si tennero gli uhi e gli altri lungo tempo fra le trincee, guardando sestessi. Quindi mentre il nerbo de’ Romani era impegnato in campo, altre milizie di Equi e di Volaci credendo il buon punto d’ ime depredando la regione, uscirono tra la notte ; ed invasala in parte lontanissima dove gli agricoltori viveano scevri d’ogni paura, occuparono non poco di robe e di nomini. Non però ne ebbero bella in,dné né facile la ritirata, imperocché Postumio il console mepaudo agli assediati nel campo i soccorsi adunati, appena udì le operazioni de' nemici, si presentò loro contro la espettazione. Non sbalordironsi essi, nè tremarono, ma ponendo a bell’agio le bagaglio e le prede in luogo sicuro, e lasciandovi guarnigione delle antichità’ romane che bastasse, marciarono ordinali al nemico. Venuti alle mani, sebben pochi contro molli, fecero memorabili prove. Imperocché precipitandosi giù dalle campagne uomini in copia cinti di lieve armatura conir’ essi che eran tutto arme il corpo, fecero grande uccision dei Romani ; e per poco non si ritirarono, lasciando nell’altrui territorio un trofeo su gli assalitori. Ma il console e con esso i cavalieri più scelti spronandosi a redini abbandonate su’ loro, dov^ erano il forte, e combattevano ; ve li sbaragliarono e prostrarono in copia. Battuti que’ pnmi, anche il resto dell’ armata respinto fuggì : e la guaniigìone delle bagaglie, lasciatele, s involò di su pe’ monti vicini. Cosi pochi moriron di essi nella battaglia ; ma moltissimi nella fuga, perchè ignari de’ luoghi ed inseguiti dalla cavalleria de’ Romani. Intanto Servio 1’ altro console persuaso che il collega ne veniva a lui per soccorrerlo, e temendo che 1 nemici ^non gli uscissero incontra e glien traversasser la strada ; risolvè frastornameli, con assalirli negli aU loggiamenti. Questi però lo prevennero; perciocché sapuu la sciagura de’ compagni dai predatori salvatisi, levarono il campoj e nella notte, che fu la prima dopo la battaglia, rientrarono in città, senza che avesser potuto tptanto aveano disegnato. Ma se ne periron di loro tra le battaglie e i foraggi ; ne soggiacquero nella fuga d’ allora assai più di prima (ra quelli che restavano addietro. Aggravati questi dal travaglio e dalle ferite, Iraendosi a stento innanzi, perchè non .prestavansi ad essi i lor membri, stramazzavano, vinti principalmente dalla sete, presso de’ ruscelli e de’ dumi : e raggiunti da’cavallert romani, erano trncidali. Netnraeno i Romani tornarono felici in tutto da quella f guerra ; perdutivi molti valentuomini, ed il legato che vi si .era segnalato, più che tutti, nel combattere. Non pertanto rivennero in patria con una vittoria non inferiore a ninna. E ciù fecesi in quel consolato. Sacceduti consoli Lucio Ebusio, e Pnblio Servilio Prisco ; k Romani plinti da mori>o contagioso, quanto mai più per addietro, non fecero in queir anno cosa ninna degna di rimembranza nè in guerra nè in pace. Gettatosi quel morbo in prima tra gli armenti de’ cavalli, e de’ bovi, e poi delle capre e delle pecore, disfece quasi tutti i quadrupedi. Quindi serpeggiando tra' pastori e tra’ coloni via via per tutta la regione, in ultimo invase anche Roma. Non è facile ridire quanti servi, quanti mercenàrj, quanti della, classe indigente perissero. Da principio se ne trasportavano i cadaveri a mucchi su’ carri : ma poi quelli. de’, men riguardevoli si gettarono nella corrente del fiume. Contasene perito il quarto de’ senatori, e con essi i due consoli, ed il più de’ tribuni. Cominciò quel morbo intorno a’ primi di settembre, e prosegui per un anno in^ro, investendo e consumandone di ogni, sesso e di ogni età. Saputosi tra’ vicini il disastro romano, gli Equi ed i Yolsci lo riputarono occasione bonissima da levare sene il giogo, e fecero patti, e giuramenti, di alleanza fra loro. Quindi preparato quant’ era d' uopo per 1’ assedio, uscirono gli uni e gli altri il più presto colle Roma Catone Vartoae milizie; inondando su le prime il territorio de Latini e degli Emici, onde precludere a Roma il soccorso degli alleati. E nel giorno che giunsero ai Senato gli oratori de’ due popoli assaliti per ottenerne ajuto, in quei giorno appunto era morto Ebuzio 1’ uno de consoli standosi già Servilio, eh era 1’ altro, per morire. Or questo, sopravvivendo anche un poco, convocò il Sepa to. Portativi i più de’ padri malvivi su le lettighe dichiararono ai legati di annunziare a lor popoli ^ che U Senato concedeva ad essi di respingere col proprio valore i nemici, finché il consolo si risanasse, e fosse raccolto un esercito per soccorrerli. A tali risposte i Latini concentrato ciocché poteano dalie campagne, guardavano le mura, trascurando ogni altro danno. Ma gli Eroici non reggendo al guasto ed al sacco de’ campi, diedero all’ armi, ed uscirono. Infine dopo fatte luminose battaglie con perdervi molti ^de’ loro ed uccidervi molto più de nemici, fuggirono, necessitati, fra le mura, né tentarono più di combattere. Pertanto gli Equi ed i Volsci, depredatone il territorio, si avvanzarono impunemente ai campi Tuscolani. E derubati pur questi senza che ninno li respingesse, scorsero fino ai Sabini ; e giratisi impunemente anche su le terre loro, avviaronsi a Roma. Ben poterono essi turbarla; non però conquistarla. Quanlun que languidi nella persona, e perduta 1 uno e F altro console, mortone di fresco ancora Servilio, armatisi oltre le forze i Romani, si misero su le mura. Estese allora per circuito quanto quelle di Atene, sorgeano queste parte su i colli e su. scogli dirotti, fortissimi per, a 19 natura, e bisogoevoli appena di difesa, e parte assicurate dall’ alveo del Tevere, fiume largo quattrocento piedi , profondo da navigarvisi con legni grandi; rapido quant altri e vorticoso nel corso. Non passasi questo appiedi se non per vìa de’ ponti, de’ quali ve n era allora sol uno, e di legno, cui disfacevano nei tempi di guerra. Il lato di Roma men arduo ad espu gnarsi dalla porta chiamata Esquilina fino alla Collina era fortificalo eoli’ arte; imperocché scavata innanzi ci avevano una fossa, larga, dove' eralo il meno, più di cento piedi, e cupa di trenta, è quinci e quindi su la fossa elevavasi un moro, cinto da argine interno ampio ed alto, talché né battere quello si potrebbe cogli arieti, né rovesciar sbucandone le fondamenta. Lungo questo lato circa sette stadj spandesi cinquanta piedi per largo. Or qui schieratisi in folla i Romani respingevano 1’ as salto nemico :perocché noù sapevano allora i mortali né far testuggini sotterranee, né macchine espugnatrict delle mura. Diffidatisi gli assalitori di prendere la città ritiraronsi dalle mura, e devastandone, ovunque passavano la campagna, sea tornarono in>patria. I Romani come sogliono quando restano senza chi comandi, scelsero gl’ interré per tenere i comizj, e vi crearono consoli .Lucio Lucrezio e Tito Veturio Gemino (z). Sotto questi ebbe requie la pestilenza; puc 'Wel testo: ntritfit rìkirftr : la toco rXtrftr ’ interpreta da altri per jugero : Svida la interpreta per cesto piedi. Ma tale cspoiisione noa corrisponde. ' (a) Aano di Roma aga secondo Catone, 394 secondo Varrone, e 46a av. Qrisio. 1 furono diflerite le controversie civili private o pubbliche: e tentando Sesto Tito T uno dé’ tribuni >, riaccendere quella su la division de’ terreni; il popolo gli si oppose, e rimisela a tempi più acconci. Eccitossi in tutti in vece I un desiderio di punire quanti aveano dato guerra alla repubblica ne’ giorni del morbo. Cosi decretata la guerra dal Senato, e ratiScata ' dal popolo, si arrolarono le soldatesche : e ninno di anni militari, quantunque pri> vilegiatone per le leggi, cercò sottrarsi da quell’ impresa. Diviso r esercito in tre parti 1 una fu lasciata in guardia di Roma sotto gli auspicj di Quinto Fabio, uomo consolare ; e le altre seguirono i consoli contro i Yolsci e gli Equi. Aveano gii' fatto altrettanto i nemici. Riunitesi le milizie migliori d’ ambedue quelle nazioni, teneano il campo aperto sotto due capitani per cominciare dalla terra degli Ernici, dove ' allor si trovavano, a devastarne quanta ne soggiaceva ai Romani : la parte men atta delle ipilizie crasi lasciata in custodia delle città, perchè su di esse' ngn venisse irruzione improvvisa dagli emoli. Avuto infra loro consiglio, crederono i consoli il meglio d’ investire innanzi tutto le lorp città sul riflesso che la unione delle armate si scioglierebbe, se ciascuno udisse ridotta in pericolo estremo la sua patria ; giacché riputerebbero assai meglio salivare le proprie cose che guastar le ini miche. G)sl Lucrezio piotnbò su gli Equi, e Yeturio su i Yolsci. Gli Equi trascurando ogni rovina di fuòri guardavano la città e li castelli. In opposito i Yolsci ardimentosi, arroganti, spregiando 1’ armata Romana come diseguale contro la Lisno IX. 221 lor ffloltitudiae, uscirooo 4 combattere pel territorio proprio, e misero il campo presso di Yeturio Ma come accade a milizie receuti, raccolte per la circostanza alla rinfusa di mezzo a villani e cittadini, privi in gran parte di arme o di sperienza, non ebbero cuore nemmen di venire alle mani : e perturbatine i più fin dal primo avventarsi de’ Romani, non reggendo nè al suono delle arme percosse, nè ai gridi, preludio della battaglia, tornarono con dirottissima fuga in città. Dond’ è che incalzati dalia cavallwia ne perirono molti nello stretto de’ sentieri, e più ancora mentre a gara si cacciano tra le porte. A tale disastro accusarono i Yolsct sestessi d’ imprudenza, nè più tentarono di cimenUrsi. Li capitani però che tenevano in campo aperto le milizie dei Yolsci e degli Equi all’ udire, com’ erano investite le loro città, deliberano di fare ancor essi alcuna magnanima impresa, levandosi dalle terre de’ Latini e degli Eroici, e marciando on quanta avean furia e prestezza su Roma. .Ancor essi avean mira che rinscisse loro r uno o 1’ altro de’ due belli disegni, cioè d’ invadere Roma,improvvista, o di richiamarvene le armate di lei dai loro territori, necessitando ti consoli a soccorrer la patria. Su tale pensiero marciarono a gran fretta per essere inaspettati su Rotna, coll’ effetto delr opera. Avvicinatisi di nuovo al Tuscolo, udendo che le mura di Roma erano tutte piene di arme, e che in antecedente aveva tentalo il primo d’ iikrodiuTe tale eguaglianza ; ma dovette lasciar I opera imperfetta, tro-; vandosi U gran numero del popolo nell' armata in sai' campi nemici, tenutovi ad arte.,da’ consoli, finché il tempo finisse del loro governo. IL Postisi quindi a tale impresa il uibubo Aulo Veoginio’e li colleghi, t voleano consumarla: ma i consoli, col Senato, e. con altri in città. più potenti adoperavansi costantemente per ogni maniera,, affinchè ciò non seguisse, nè dovessero governare secondo le leggi : e. più volle sen tenne 1’ adunanza del Senato, piA volte quella del popolo ; facendo i lor magistrati ogni sforzo gli uni contro degli altri ; doiid’ era a tutti viàbile che verreb!>e da' tanto Jisàdio alla città disastro insanabile e grande. A tali |>resagj. dai canto degli uomini agglongevansi i terrori dal canto del cielo, d’ alcuni de' quali non Irovavansi L àmili ne’ pubblici scritti, né, par monumento qualunque. Ben trovavanà occorse ancora in antico e coiTuacazioni soorrenti pelcielo ed. accensioni fissa in un luogo, muggiti e scosse continue delia terra,. e larve qua e là vaganti per l’aere, e voci desolatrioi, e cose alirallali: ma ciò che non erasi mai nè sperimentalo nà udito, e che più che lutti perturbava., era che il cielo navigò. dirottamente pQngià con nembo, dii neve, ma con brani, più o men grandi di carne; che tali cairn momot, ltrio di ''contndirla fino al ritorno del terso mercato. Or molti, d^l Seoatè giovani e vecch), nè giè de’ più dispregevoli, la contraddissero per più giorni cou as^ai studiati discorsi. Stanchi poscia 1 tribuoi per tanto consumarsi di tempo, più non per> misero che altri aringasse in contrario: ma predesti Dando il giorno nel quale espedire la legge, invitarono i plebei a raccogliersi appunto in quello, giacché non sarebbero più conturbati dalle lunghe concioni, ma voterebbero su di essa per tribù. Cosi promisero, e sciolsero 4’ adunanza. Dopo ciò li consoli e li patrizj più potenti andatine più esasperali ad essi reclamarono, e dissero che non permetterebbero che introducessero leggi senza previo decreto del Senato : SSSMUS IM lecci t patti DELLE ANTICHITÀ’ ROMANE DSL COMVNS DELLB ClTtjC IfOTf DI ONA PARTE DS~. GLI ABlTAafl DI QUESTE : CHE QUAWDO LA PARTE-, MEIf SANA VI da' leggi ALLA MIGLIORE A PRSf.UDlO MANIFESTO DI DANNO TRISTO, INSANABILE, SCON GISSIMO. Quale., aggiuDgevaQO qtuU potere avete voi o. tribuni di far leggi o distruggerle ? Voi non avete con questi diritti ricevuta dal Senato là magistratura: voi chiedeste il tribunato in difesa de' poveri offesi o soverchiati, non per altra briga niuna. Che se aveste già prima tal potenza cedendo il Senato ad ogni vostra pretensione ; non C avete voi questa, perduta col mutar dei comizj ? perciocché non i Pereti, del Sornald', non i voti dati per centurie destinano voi per tiibuni: voi non premettete ai comizj per la vostra creazione nè i sagfijicj dovuti per legge, né altri ossequj verso de' numi, nè pietose -opere verso degli uomini. Come a voi si appartiene far cose ( quali appunto sono le leggi) che ahbisognavtmo' di culto e di sagrifizj di un dato rito, se i riti tutti violate f Coai lissero ai tribuni i patrixj seniori, cosi li giovani, .che andarono cinti da un seguito per la città : e rìcuperà^ rono colle dolci i cittadini più miti spaventando i ca-, parbj e K turbolenti se non faceano, senno, col terroc de’ pericoli : anzi battendo come schiavi, ed^ escludendo dal Foro alcuni de’ più bisognosi ed abjelti, i qualt non curavano se non l’ utile proprio. • V. L’ uno di quelli ebe ebbe maggior seguilo, e che poteva aUora più di lutti i giovani fu Quinzio Cesone, figlio di Lucio Quinzio chiamato Cincinnato, nobile, Straricco, bellissimo, valentissimo nelle armi, e nel dire Or questi molto allora si scaricò su' plebei, non aste nendosi' nè da parole, molesiissitne ad uomini liberi, nè da’ fatti corrispondenti alle parole, Pertanto i pairizj lo onoravano, e ^istigavanlò più a tener fronte ai perìcoli, promettendogli sicurezza essi stessi : ma i plebei r odiavano più che ogni altro. Or da 'un tal uomo risolverono liberarsi i tribuni avanti tutto per abbattere in esso gli altri giovani, e necessitarli ad esser più savj. Ciò risoluto, e preparati assai discorsi e lestimon}^, lo dtardno come reo di pubblica offesa per punirlo 'di morte. Intimatogli di presentarsi al popolo, venutone il giorno, e convocata 1’ adunanza, perorarono a lungo coofra lui ; nunierando tutte le violente fatte, ed allegandone gli offesi stessi per teslimonii. -Or .qui data licenza di parlare ; il giovine chiamato a difendersi non ubbidiva : ma volea soddisfare ai privati in 'quanto diceansi oltraggiati da loi > secondo le leggi, tenutone il giudizio innanzi de’ consoli : ma, il padre di lui vedendo i plebei sofferime malamente le ritrosie, prese a difen’^erlo egli stesso ; dimostrando le tante delle accuse coqic false f ed insidiose, e dimostrandole,. quando negar non poteansi, come picciole, leggere, nè dégne dell’ ira del popolo, e su cose, fatte non per trama o disprezzo, ma piuttosto per enfasi giovanile di gloria. Per questa diceva eh’ eragli occorso talora di fare e tal altra di pa> rire forse incautamente nelle contese; non essendo lui nel fiore degli anni e del senno. Pertanto pregava il popolo non solamente che non se gli adirasse pel discorrere suo, ma che giel condonasse in vista delle belle gesta di esso le quali operarono fra le armi la libertà de’ privati ed il comando della patria, ed invocavano fin d’ allora per lai quando Avesse mancato la clemenaa ed il soccorso di tcuti. E qui narrò le campagne da lai sosténute, -e le battaglie nelle quali avea riportato dai capitani la corona de’ prodi, quante volte eravi stato la diiesa de’ cittadini, e quante avea primo salito le mura de’ nemici : da ultimo ri rivolse ad impietosire e scongiurare il popolo in riguardo della modera^'one sua verso tutti, e del vivere ‘suo conosduto sempre come innocente ; chiedendo che in grazia almeno gli salvassero il figlio. Compiacevasi il popolo a tali discorsi, e deliboravasi rendere H 6glio al padre. Se non che riflettendo Yerginio che se costai non subiva le pene ; ne diverrebbe intollerabile 1’ audacia, e la caparbietà de’ giovani, sorse e disse : Contestata o Quinzio è la tua virA, la tua benevolenza verso del Spopolo e te ten debbe tutta la stima: ma la molestia, e la insolenza di codesto tuo figlio verso tutti non ammette escusàzione o perdono. Egli educato con la tua disciplinà sì discreta, cpme tutti sappiamo, e si popolare ; ne abbandonò gli ammaestramenti e seguì V arroganza de tiranni, e la sfrenatezza de' barbari, portando in città gf incentivi a tristissiiHe opere. E sia che tu noi conoscessi per tale ; ora che tei conosci ben dei con noi e per noi concitartene : che se per tale il sapevi, e lo coadiuvavi in quanto egli inviliva ognora pià' la sorte dei poveri ; eri anche tu lo scellerato, e mal souavati intorno la fama di uom probo. Afa tu non vedevi ( ed io stesso potrei contestartelo ) quanto egli dalla. . a3i tma uirtà degenerava. Sebbene io tenga però, che allora tu non partecipavi con esso. nelF offenderci ; dolgomif che ora come noi non te ne sdegni. Ma. perchè tu meglio conosca qual niostro' abbi nudrito senza avvedertene contro la patria, quanto tirannico, c non . puro nemmeno tlal sangue.. dk' cittadini ^ odi la egregia opera sua, e contrapponi a questa, se puoi, U bellici suoi prèmji E voi, quanti siete imo pioto siti al pianger di un padre, considerate se stia bene che risparmisi un tal cittadino. E qui fe' cenno a Marco Volscio T uno de’ suoi colleghi perchè sorgesse e dicesse quanto sapeva di quel giovane. E fatto silenzio, e grande espettazioiie ; V(d> scio soprastando alcun poco-, disse : Oltraggiato, e pià che oltraggiato che io fui da quest’uomo, ben avréi voluto pigliarmene, o cittadini, le pene che ut erano concedute dalle leggi : ma impeditovi allora, dalla mia debolezza, dalf esser mio di plebeo, prenderò ora che mi è dato f le parti di testimonio, se quelle non posso di accusatore. Udite le acerbità, le indegnità che men ebbi. Era Lucio, fraltel mio,,che io amava piti che tutti i mortali Avea \ questi cenato mecò. presse di un amico, quando al giungere della notte di levammo, e partimmo. E già passavamo per il Foro, quando si abbattè con noi codesto petuUui-,te, seguito da giouani pari suoi: li quali, ebbrj ed 'arroganti che erano, beffarono ed insultarono noi, quanto, insultato e beffato avrebbero i meschini e gli .ignobili. Così provocati j V uno di noi parlò liberissimamente. Or codesto Cesane estintando . ria cosa ttdire ' ciocché non voleva, gU s' avventò, lo battè : e mainìenalolo con i calci e con ogni guisa di sevizio^ e cT ingiurie; io uccise. Ucciso lui, manomise ancor me, che ne gridava, e ne repugnava quanto io po~ tev'a : nè mi lasciò, se non dopo credutomi estinto, ài vedermi immobile in terra, e senza voce. Allora se no' andò giubilando come per bellissima prova ; ed allora' gli astanti raccòlsero noi lordi dal sangue j e riportarono a casp Lucio il fnio fratello, morto, come ho detto, e me presso che morto, e che certo ornai poco sperava di sopravvivere. Occorse ciò. sotto i consoli P^ublio Servilio, e Lucio Ebuzio, quando spaziava in Boma la ff-an-' pestilenza, alla quale eravamo soggiaciuti atKor noi. Quindi non potei dimandarne ragione, morti /essendo i consoli tutti due. Succederono poi consoli Luaezio e Tito Terginio. Io voleva allora ' citarlo in giudizio ; ma ne fui impedito dalia guerra, fasciando ambedue per essa la città. Jiitomati .questi dal campo, quanto volte 16 citai presso de òiagittrati, quante volte mi vi accostai, tante ( e ben molti lo sannò ) fui da esso ferito. E questo, 'o popolo, che io ne ho tollerato, questo vi ho detto con tutta la verità. Alzarono a quel dire, gli astanti le grida, (eolandone molti la vendetta colie lor inani. Ma vi si opposero i consoli, ed i più de’ tribuni, alieni che in città s’ introducesse la tea consuetudine ; tanto più che la parte più sana del popolo non voleva che si toglicssero le difese a chi pericolava in giudizio della vita. La cura duirque della ginsUzut represse allora gii empiti della iur scienza, ed il giudizio fii differito non, senza contenzioni e dobbj non piccioli, se dovesse' intanto il reo serbarsi neiia carcere, o dare i mallevadori per la sua dimissione, come il padre di lui dimandava.' Il Senato adunatosi decretò che se no desse malleverìa • sotto ob-> biigazion pecuniaria ; ed egli libero andasse finché di lui si giudicasse. Or mancando il giovine di comparire • al suo tempo ;. i tribuni convocarono il giorno appresso la molthndine, e contro lui sentenziarono ; dond’ è che i mallevadori, eh’ eran dieci, pagarono là multa convenuta in sicurezza delia sua presentazione. Colto dunque fra tali insidie dai tribuni che guidavano tutta la trama, colle itestimobianze di Volscio, che poi false si riconóbbero, Cesone fuggi nell’ Etruria. Il padre di lui venduto il più di sue cose, e rintegrati i mallevadori delle multe obbligate visse tra il disagio e lo stento in un poderétto; che aveasi con picciolo abituro lasciato di là dal Tevere, coltivandolo con ponchi servi, né più rècandosi in città per 1’ afflizione, b la inopia, nè riabbracciando gli mici, né iniramettendosi -a festa, o ricreazione niuna. Ai tribuni però succedé ben altro che le loro speranze: imperocché non .solo qon se ne chetò pér alcun modo la gioventù contenziosa ammaestrata dai mali di Cesone ; -ma ne imperversò più ancora, contrastando co' detti e co’ fatti la legge; talché non poterono affatto stabilirla, cousumandosi in brighe la loro magistratura. Pertanto il popolo confermò pel nuovo anno i tribuni medesimi. ' fX. Ascesi ai grado consolare Valerio Popiicola, e Cajo .Claudio Sabino , Roma corse in pericoli quanti Anoo di Roma 39! secondo Catons, 396 secondo Varrone, c 4''8 av. Cristo. uiai più ^ per la guerra cogli i esteri, attiratale dalle d!i cordie domestiche, come af eano j preoooziato i libri sibillini, e li segui dimostrati 1’ anno precedente dai numi. Io sporrò cagione, che suscitò U guerra, e ciò che fu per queau operato allora da’ consoli. Li tribuni preso di nuovo il lor grado su la speranza di fondare la legge, vedendo console Ca)o Claudio pieno di odio ereditario contro del popolo, e sollecito per ogni guisa nd impedire quanto facevano ; e vedendo i più potenti de’ giovani trascorsi -iu fùria manifesta da non combatterli colla forza, ed i più della plebe obbligati da' servigi de’ patrizj, e rimasti senza il primo ardore per la leggQ deliberarono spingersi all’ intento con mezzi più risoluti, onde atterrire quei della plebe, e far desistere il console. Su le prime procurarono spargere voci varie per la città, poi sederono da mattina a sera coosultaudosi visibiloRate senza comunicarne ad alcuno nè consigli nè parole. Ma quando parve loro tempo di .eseguire i disegni, finsero delle lettere ; facendosele recare mentre sedeano nel Foro da un ignoto. E come prima Je lessero,, battendosi la .fronte, e contristandosi ne’ set^bi^nti ; levaronsi in piede. Accorsa gran moltitudine, ed insospettitasi che fosse in quelle lettere indicato alcun grande infortunio, essi or dioaroiio,pe’ banditori silenzio e dissero; La repubblica o cittadini sta. negli estremi pericoli. E sé la benevo^ lenza degl iddj non avesse provveduto a chi era per. incorrervi : noi tutti saremmo in fetali sciagure. Chiediamo che vi tfiniale qui breve tempo, finché riferiamo al Senato eiocohè ne si avvisa, e facciamo di cornuti volo oiocché si debbo ; E ciò detto, ne andarono ai consoli. Frattanto che il Senato si radunava, faceansi pel Foro molti e svariati discorsi; ripetendo altri appo> stalaroente ne’crocchj ciocché era stato intimato loro da’ tribuni ; ed altri pubblicando, come detto ai tribuni, ciocché temeano essi stessi, che succedesse. Chi dicea che i Volsci e gli Equi aveano accolto Quinzio Cesone il giovine condannalo dal popolo, creandolo comandante assoluto delle due genti e che leverebbe .gran forze e marcerebbe contro di Roma: echi dicea che quel giovine d’ accordo cp’ patrizj tornava con esterne. milizie, perché si abolisce una volta per sempre il magistrato che era il presidio de’plebei : altri aggiungeva che eosì non sentivano tutti i patrizj ma i giovani soli: e. vi fu chi ardi fino dire che colui si stava occulto in città, e che occnpenebbe i posti più acconci. Ondeggiando cosi tutta la città per |a espeUazioue de’ mali, e sospettandosi tutti, e guardandosi gli uni dagli altri : i consoli convocano il Senato : ed i tribuni vengono e palesano ciocché avvisavasi loro: parlava, per tutti Aulo Yerginlo e disse : • f > X. Finché gli annunzj che ci si davan de' medi ^ ci sembrarono non accureUi, ma vani e senza fondai mento, sdegnefmmo o padri coscritti, di pubblicarlit tal timore che non.se ne eccitassero grandi txirbamenti, come sogliono, alP udirsi triste cose, e con riguardo di non essere da voi creduti anzi precipitosi che savj. Non però lasciammo tali annunzj, trascu^ rondo li eiffaUo : anzi ne abbiamo i investigata la ver rità, quanto per noi si potè.. Ora. poiché la provit denzu celeste, la quale ci ha ‘sempre salvato la repubblica, ci benefica p svela i segreti consigli y e le ree macchinazioni di uomini nemici agt iddj, e teniamo fin delle lettere che abbiamo di fresco ricevute in pegno di benevolenza da ospiti, che voi poscia adirete, e poiché concorrono e concordano gC indizf Interni con gli^ altri di fuori, e gli affari che abbiam tra le mani non ammettono più. indugio e riserva i deliberiamo, com’ è giusto, palesarli a vói, prima che al popolo. Sappiale dunque che hanno contro il popolo congiuralo uomini non ignobili, tra' quali dipèsi-esser parte, non grande però, degli anziani, ascritti al Senato, ma più grande de’ cavalieri che ascritti non vi sono ; e questi, quali siano, non è tempo ancora di rivelarlo. Questi, come udiamo, colta una notte oscura, sono per assalirci tra’l sonno, quando nè può risapersi ciocché è fatto, nè vaUomo a congregarci e difenderci. Fermi sono d'investire ‘e di uccidere nelle case noi tribuni e quei plebei che st opposero iy o fossero mai per opporsi ad essi circa la libertà. Quando avran tolto noi, pensano di aver da voi ciò che resta, sicurissima ' mente, cioè che revochiate di comun voto le concessioni da voi fatte alla plebe. Fedendo però che han bisogno per compiere ciò di prepararsi occultamente una milizia di fuori, e non piccola, si hanno eletto capo queir esule nostro, quel Ceso e, convinto delV eccidio di cittadini, e della discordia della città, • e pure fatto per alcuni di qua entro, fuggir salvo dal giudizio e da Roma, con promettere di procurargli il ritorno, magistrature, onorificenze, ed altri, compensi de' servigj. E questo Cesene ha protnesso di conduf loro, milizia di Equi e di Eplsci, quanta abbisognane. Egli verrà tra non molto co’ più audaci, introducendoli a pochi a pochi e '.sparsamente in ci/r tà: l^ altre milizie, quando saremo periti noi capi del popolo si avventeranno su gli alpi del popolo stesso, i quali difendessero ancora la libertà. Queste, o padri coscritti sono le terribili, le impurissime opere che disegnano far tra le tenebre, senza temere r ira degli iddj, nè riguai dare, la vendetta degli uomini. Agitati da tanto pericolo, a voi ne veniamo supplichevoli, o padri, voi scongiuriamo per gf iddj, voi pe genj adorati dalla patria, voi per la memoria dei tanti e gravi nemici da noi combattuti in coma-, ne, affinchè non lasciate che noi patiamo le sì dure, ed indegnissime offese : ma v’ 'empiate come noi di risentimento, e ne soccorriate, e puniate, come delf~ Lesi, tali macchinatori tutti, o nei capi almeno della infame congiura. E prima che tutto, dimandiamo o padri che decretiate, come è giusto,. che inquisiscasi da noi tribuni su le cose deferiteci; perciocché oltre, la giustizia, la necessità dee rendere, inquisitori di-, agentissimi gV investiti dal pericolo. Che se alcuni tra voi son disposti di non compiacerci punto, anzi di contrariarne in, quanto vi diciamo del popolo ; volsntieri conoscerò da essi quale vi disgusti delle. nosVe dimande, e ciò che vogliate da noi finalmente Che non facciamo forse niuna ricerca, ma trascu~ riamo la si bufa e si rea tempesta che pende sul popolo ? E chi direbbe li sì fatti decisori esser sani, e non corrotti) e non' partecipi della congiura anzi chi non direbbe che temono per sestessi, temono di essere scoperti, e quindi scansano che si esamini • il vero ? Perciò non debbesi attendere a tali uomini. O vorranno forse che non siamo noi gl' inquisitori 'di dò; ma il Senato e li consoli? Ma che impedirebbe che i tribuni pure dicessero, che a loro che han preso a difendere il popolo / a loro si spetta la inquisizione de plebei, se alcuni mai congiurassero contro de' padri e de'consoli, e macchinassero la rovina del Senato ? Or che seguirebbe da ciò ? questo appunto, che mai la indagine si farebbe maneggi reconditi. Noi però mai ciò nort faremmo, perchè sospetta ne sarebbe f ambizione : e così voi non bene adopererete dando mente a coloro che non vogliono che noi pure slam pari a voi ne’ casi nostri, per fare F esame; ma benissimo adopererete riguardando questi, come nemici comuni. Al presente, o padri coscritti, niuna cosa tanto bisogna, quanto la sollecitudine: glande, imminente è il pericolo; e C indugio a salvarsi è sempre intempestivo ne’ mali che non indugiano. Lasciando dunque le altercazioni, e i lunghi discorsi decretate ornai ciocché F utile vi sembra della' repubblica. eraoo i padri come rìsolfere: e riflettevano seco stessi, e ripetevano 'fra loro, come fosse ugualmente arduissima cosa concedere e non concedere ai tribùni di fare inquisiaione su loro, in affane comune e gravissimo. Ma Cajo Claudio 1’ uno ajg de consoli, che tenea per obliqua quella loi^ proposta, sorse e disse : iVon penso, o Kergìnio, che costoro sospettino me come partecipe della congiura che dite macchinata cantra voi, e cantra il popolo e sospettino che io sorga a contraddire, perchè temo per me o per alcuno de miei che n è complice ; giacché il tenore della mia vita esclude in tutto da me tali sospetti. Io dirò sincerissimamente e sema riguardi ciocché reputo £ utile del Senato c del popolo. Molta, anzi affatto s’ inganna Ferginio, se concepisce che alcun di noi sia per dire ohe si lasci,, sema discuterlo, im tal affare sì grande e necessario ; e che non debbono aver parte, nè star presenti alla indagine i magistrati del popolo. Niuno è sì stolido, niuno sì malevole al popolo che voglia ciò dire: Che se dunque alcun chiede, qual ne ho male, ohe insorgo contra cose che io concedo per giuste; e che presumo io mai col mio dire ; io, viva Dio, ve' lo esporrò: Io penso, o padri coscritti, che i savj debbano considerar sottilmente i germi e le linee prime di ogni affare : imperocché deesi di ogni affare discorrere secondo che ne stanno i principj. Ora udite da me ciocch' è V intrinseco del subietto presente, e quale il disegno de tribuni. Non riesce ora loro di ultimare ninna delle cose incominciate nè proseguite nelC anno antecedente, perchè voi vi opponete ad essi come allora, nè pià il popolo li favorisce. E ciò conoscendo cercano necessitare voi, sicché cediate loro anche vostro malgrado, ed il popolo, sicché cooperi a quanto mai vogliono. Ma per quanto se ne consultassero, per quanto volgessero da,' ogni banda, V affare, non trovando mezzi semplici e buoni per V uno e V altro intento ; alfine così la discorsero.. Lainenliamoci che alenai nobili han congiurano di> abballcre il popolo / e di uccidere quanti ne proca nino la salvezza. E quando avrem &UO, che tali cose, preparale da gran tempo, siano. in cittA disseminate,; e sembrino credibili I popolo (e credibili le renderà a la paura)} allora fiugeremo delle lettere da presenti larcisi per un ignoto in presenza di molti. Ne amdre> mo quindi In Senato, ci> sdegneremo, ci dorremo, e cercheremo il poter d’ inquisire su le dinunzie dateci. Se i patria) ci si oppongono, prenderemo ‘da indi ^argomento di calunniaiii presso del popolo; ed il a popolo esacerbato contro di essi diverrà ^ propizio a X .quanto noi vogliamo. Che se cel concedono leveremo X di città, come trovati complici, i più misgnanimi frA loro, e più nemici nostri, vecch j ^o giovani. Impe rocchè coloro intimoriti di essere condannati o pat tuiranno con noi di non più contrariarci ; o saran costretti a lasciare la patria : e co^ la fàzipn contrap posta sarà desolata . Tali sono i loro disegni p padri coscritti, e quando li vedevate che sedeano o consultavano ^ al~ lora tesseano C inganno contro i più riguwrdevoli tra, voi, allora complicavan la rete contro i cavalieri più puri. E che ciò sia vero ; presto ve lo dimostro. Dì, yèrginio, dite voi, su quali pende il pericolo, da quali ospiti aveste la lettera ? dove abitano, come vi conoscono', come seppero tali nostre cose ? Perché differiste a svelare i lor nomi, perchè prometteste dirceli poi, nè li avete già detti ? Qual fu V uomo che vi portava le lettere ? che noi menate voi qui y sicché su lui cominciamo a diicutere, se vere elle siano y o se piuttosto, come io penso finte da voi ? E gt indizj interni che si accordano co’ segni di fuori quali sono mai questi? o chi mai ve li diede ? Perchè ne celate, non ne pubblicate le prove ? Se non. che mal si trovano prove di cose che non furono mai come io credo, nè mai saranno. Questi o padri coscritti non sono indizj di una congiura contro loro ma piuttosto delle insidie e del mal animo che essi covano contro di voi, come C affare dichiaralo • per sè stesso. Ma voi siete -di ciò la causa, voi che concedeste loro le prime cose, e portaste a tanta potenza codesto insano 1 loro magistrato, quando lasciaste nell’ anno antecedente che giudicassero per falsi titoli Quinzio Cesone y 'e soffriste che strappasSer dal seno un tanto difensor de'patrizj. Da ciò nasce chepili non serban misura, nè tolgon di mira i nobili ad ano ad uno, ma investono e scacciatio in un globo tutti i migliori della città : Eciò che è peggio j non permettono nemméno che contraddiciate Biro, e V atterriscono con darvi per i sospetti, e calunniarvi come complici de’ segreti disegni ^ con dirvi ben tosto inimici del popolo, e citarvi al popolo stesso, perchè -subiate la pena de’ discorsi qui fatti. Ma su ciò diremo altrove pià acconciamente. Ora per istringere e non prolungare il discorso, ammoniscavi che vi PTOIftCr, tomo in. ' it guardiate da codesti turbatori di 'Jioma, dti codesti seminatori de’ mali. Nè celerò già al popolo quanto qui dico ; ma gli sporrò liberissimo che non pendo su lui niente di. male, se non quanto glien fanno i tristi ed insidiosi ..tribuni, benevoli ne' sembianti e nemici ne' fatti. Sorse al dire del console clamore m tomo ed applauso ben grande, e sciolsero 1’ adunanza senza ^pertncHve che '^pià i tribuni parlassero. Dopo ciò Yergiaio convocato il popolò, vi accusò il Senato ed i consoli. Ma Clandio ve li escusava apptmio co’ discorsi tenuti in Senato. Presero i più discreti del popolo per vana quella paura: ma i più sjolidi per -vera, credendo le dicerie : e quanti ne erano I più soellerali, ^anti i più bisognosi ognora di un cambiamento, vi xercaròno un pretesto -di sedizione, je di torbido, doù che mi> ressero a far disceraere il Vero dal falso. Intanto un Sabino non ignobile di lignaggio, potente in averi (Appio Erdonio ih chiamavano.) si pose in cuore di abbattere la potenza romana, sia che ne cercasse per sé la tirannide, sia che una grandezza ed un dominio, ai -Sabini, sia che tina fama luminosa al suo nome. Comnni'catosi, in quanto a tale idea, con' molti amici, divisata là maniera dell’ impresa, ed approvatone ; riuni li clienti, e li più baldanzosi de’ servi suoi. Concentrati In poco tempo intorno a quattro mila uomini, ed apparecchiate arme, viveri, e quanto bisognava per una guerra, gl’ imbarcò su legni fluviali. ?iavigando sul Tevere, gli approssimò a Roma dalla banda, ove sorge il Campidoglio, non lontana nemmeno uno stadio dal fiume. Era la notte in sul mezzo: ed in Roma calma grandissima. Egli dunque al favore di queo ottenuti i luoghi piu acconci, ricever^ gli esuli,, liberare, gli schiavi, sdebitar con promesse i poveri, e consociare a sestesso 4utti gli akti cittadini clie dal basso loro stato invidiavano ..ed odiavano i potenti, e seguivano con diletto la mutazione. La iipniagine. che deludevalo intanto che lo isperariziva di ottenere quanto aspettava, era la civil sedizione, per la quale concepiva che più non vi fosse amicizia, nè ligame tra i plebei e tra’ patrizj. Che non fosse a lui riuscita ninna di tali cose r allora disegnava chiamare con tutte le milizie i Sabini, i Yolsci ed altri vicini, quanti voleano iredimerst dal giogo esecrato de’ Romani. . Occorse, però che s’ ingannasse in lutto ; jmpe> aocchè nè si diedero a lui gli schiavi, dè gli esuli ripatriaronb, nè gl’ indebitati q disonorali 'anteposero'!’ utile proprio al comune, nè i sqcj esterni ebbero spaziò abbastanza da preparare la guerra: giacché tale affare, che diede tanta paura e turbamento a^ Romani, ebbe Gne ben tosto ne’ primi tre o quattro giorni. E per verità, presa appena la fortezza, datisi gli abitanti dei luoglù Questa porta fu chiamala ancora scellerata perchè poterono per essa uscire ma non tornare i Pabj che andarono a Cremerà contro i Toscani j come iuiUcano Testo ed Ovidio. Fasi. a. intorao che non erano rimasti uccisi, a gridare e fug-' gire ; il popolo non sapendo che mai fosse, impugnò le armi, e Corse parte ne siti eminenti y o ne’ spaziosi, che eran molti, della città, e parte ne’ campi vicini. Quanti perduto il fiore degli anni erano nella impotenza delle forze, salirono colle, mogi) ai tetti delle case per combattere di là li forestieri, parendo loro ogni luogo pieno di nemici. Fatto giorno, come seppesi che 'erano in città prese^ le fortezze, e chi prese le avesse ; i coasoli andarono al Foro, e chiamarono i cittadini alle arme. Li tribuni convooita la ' moltitudine dissero che non voleano far cosa contraria, alla patria ne’ suoi pericoli ; ma che riputavaào giusto, che il popolo il 'quale espoùevasi a tanto cimento vi si esponesse con patti espressi : Se i patrìzj, diceano, promettono, chiamarti done mallevadori gli Dei, che Jinifa la guerra cìoon^ cederanno di creare i legislatori, e di vivere pari a noi ne diritti per t avvenire; liberiamo con essi 'la patria : ma se ricusano ogni partito di moderaziode ; e perchè mai cimentarsi ?' perchè gettile la vita, quando niun bene' ce ne ridonda ? Mentre cosi dicevano ed il popolo se >ne persuadeva tiè udiva le voci di chi altro gli suggerisse ; Claudio. disse ohe non tJ>bisognavasi di tali che soccorressero la patria non volontari, ma per prezzo e non ' lieve : che i pcurizj armando sestessi e i clienti, e chiunque univasi loro spontaneamente assedierebbero le fortezze ; Che se tali milizie non pareano sufficienti; ne chiamerebbero ancora dai Latini e dagU Ernici : e se la necessità stringesse, prometterebbero la libertà agli schiavi : cAe infine inviterebbero, tutti, piuttosto che quelli che in tal congiuntura profittavano della odiosità de' vec~ chj fatti. Contraddiceva a tanto Valerio 1’ altro console : e giudicando che non dovesse mettersi in guerra coi patris) la plebe già adirata con essi .-consigliava che si cedesse al tempo : si pretendesse da' nemici esterni il diritto: ma si usasse helle gare domestiche equità e dolcetta, E sembrato egli al più dei padri di aver dato il consiglio migliore, ne venne all’ adunanza del popolo,e tenutovi un ' conveniente discorso, lo terminò, giu> rando, che se i plebei si unissero a, lui con ardore sella guerra, q, riordinassero le cose della città; concederebbe ai tribuni di far discutere al popolo la legge che essi progettavano su la eguaglianza ne’ diritti, e che terrebbe modo onde ciò che fosse à questo piaciuto si eseguisse nel suo consolato. Ma ‘non portava il destinò eh’ egli adempiesse alcuno de’ patti, seguendolo ornai da presso la morte. Sciolu i’ adunanza, intorno a’ crepuscoli vespertini accorse ciascuno a’ suoi posti per dare a’ capi il suo nome, ed il militar giuramento; e fra tali due cure si consnmò qncl giorno e la notte che lo segui. Nel giorno appresso furono compartiti e còllocati da’ consoli i tribuni sotto le insegne sante, aiTollandovisi la nioltitndine ancora abitatrice della campagna. Ordinata così ben tosto ogni cosa, i consoli divisero le milizie, e ne tirarono a sorte il comando. A Claudio toccò d’ invigilare innanzi le mura, aIBnché non entrasse in sussidio altr’ armata di fuori ; perocché sospettavasi di un moto assai grande, e temeasi che piomberebbero forse tutti i nemici su loro. Portò la sorte che Valerio si mettesse all’ assedio delle fortezze. Altri duci furouò destinati sb I di altri luoghi muniti, interni alla città ^ ed altri su le vie che menano al Cartipidoglio per impedire che vi passassero al nemico gli schiavi e li bisognosi temuti soprattutto. Non venne a Roma sussidio di alieniti, se non de’ Tnscolaili, informati ed apparecchiati in una notte e guidati da Lucio Mamilio, uomo operosissimo, e capo allora della nazione. Questi soli entrarono con Valerlo a parte de’ pericoli, et dimostrandovi Ihtta la benevolenza e lo zelo ; rivendicarono con eSso le fortezze. Diedevisi da tutte le parti 1’ assalto : chi adattava su le donde vasi pieni di bitume e pece incendiaria, e lanciavali dalle case vicine in sul colle : chi recava, fasci di sarmenti, e fattine cumoli ben àltj su lo sco' sceso della rupe gli ardeva, lasciando che il vento ne trasportasse le damme: i più magnanimi ristrettisi nelle Schiere salivan alto di su per vie manufatte : ma la motti(udine colla quale tanto sorpassavano 1 inimico, niente giovava ad essi che ascendevano per sentiero angusto, pièno sopra di sassi da trabalzameli, e tale che i pochi vL divenivano bastanti contro i mólti : nè la costanza acquistala tra le molle ‘‘guerre incontro ai pericoli valeva punto per chi rampicavasi diritto sa pei scogli. Pcroccliò facessi la battaglia con colpi lontani e Dòn a corpo a corpo onde moslraiwi audacia e forza ; le arme lanciate da basso in alto giungevano, cotn -è verisimile, se colpivano, languide e tarde ; laddove quelle scagliate dall’ alto in basso piombavano penetranti e piene, secondandone il peso, \ lor tiri. Non però invilivano gli assalitori, ma persistevano, necessitati, tra' mali, senza rèquie alcuna diurna o notturna : tanto che mancate finalmente agli assediati le arme e le forze, dopo il terzo giorno gii espugnarono. Perdeèouo i Ro mani in questa battaglia molti valentuomini, ed il console', valentissfmo, come tutti concedono. Costui sebbene ricevute molte ferite, non si levava da’ perìcoli : ma saliva tuttavia la rocca, finché gli precipitarono ad dosso un macigno, che gli tolse • la vittoria e la vita. Espugnata la fortezza, Erdonid robustissimo che era di corpo-, e bravissimo in arme, destò strage incredibile idtornct di sé, ma sopraffatto infine dai colpi morì. Tra quelli che -avevano occupato con esso il castello, pochi furoRO pigliali vivigli più trafissero sestessi, o perirono precipitandosi dalla rupe. Finito cosi l’attacco de’ Ladroni, i tribuni riprodussero le ‘interne discordie, chiedendo dal console superstite che adempisse le promesse circa la istituzioa della legge fatte loro da Valerio, estinto nella battaglia. Trasse GlandLò in lungo qualche tempo, ora con espiar la città, ora con fare agl’ Iddii sagrifiz) di ringraziamento, ed ora dilettando il popolo con spettacoli e giuochi. Alfine mancatigli tutti'! pretesti disse, che dovessi nominare. in luogo del defunto un altro console, perocché le cose, fìtte da lui solo non sarebbero né legutime ', né salde,' ma salde saqebbero, e legittime fatte da ambedue. Respintili con 'questa replica, prefisse il giorno pe’ oomizj ove farsi un collega. Intanto i capi dei Senato concertarono con maneggi occulti fra loro il console da eleggersi. Venuto il giorno de’comizj, quando il baDclitore chiamò la prima classe, le diclotto ceniarie de’ cavalieri e le ottanta de’fanti ricchi di più possideusa entrate nel luogo dimostrato nominarono console Lncio Quìdeìo Cincinnato, il cui figlio Cesone ridotto a già di^o capitale da’ tribuni, avea per necessità lasciato la patria: >nè più si > chiamarono altre classi a dare il lor voto, giacché le centurie che lo aveano dato superavano per tre centone le rimanenti. Il popolo si ritirò pronosticando il suo male, perché sarebbe il consolato in mano di chi lì odiava. Il Senato spedi uomini che prendessero e menassero il suo console al comando. Quinzio arava allora per avventura un campo per seminarvi, ed egli stesso scinto di^ tonica, col pilco in testa, e con fascia ai lombi, teneva dietro ai bovi che lo fendevano. Or vedendo i molti che a lui si recavano, fermò 1’ aratro, e dubitò buon tempo chi fossero, e perchè sen venissero ; ma precorrendo un tale ed ammonendolo ad acconciarsi, andò nell’ abituro, e acconciatovisi riuscì. Gli uomini spediti a riceverlo, lo salutarono tolti non dal suo nome, ma come console : e messagli la veste circondata di porpora, e dategli le scuri, e le altre insegne de’ consoli, lo pregarono che in città si portasse. £ colui soprastando alcun tempo e lagrimandone disse : questo mio campiceUo. in qilesto anno restar^ dunque non seminato, ed io correrò pericolo di non avere come alimentarmene. E qui salutata la consorte, ed intimatole che provvedesse alle coso dimestiche, sen venne a Roma. Or questo mi son’ io condotto a dirlo non per altra cagione, se non perchè sì conosca quali erano allora i primarj di Roma, come operosi, collie savj ; e come, non che gravarsi di noa povertà onorata, ricusavano, non ambivano i sovrani poteri. Dal che. sarà manifesto, che i moderni non so migliano a quelli nemmen per poco, eccettuatine aiquanli, pe’ quali vive ancora la maestà romana e serbasi una. immagine di que tempi. Ma basti su ciò. Quinzio preso il consolato chetò li tribuni dalle innovazioni e dalle brighe su la legge, con intimare, ehe àc non la finivano, porterebbe tutti i cittadini fuori di ' Roma, minacciando una spedizione sui Volsci. E replicando i tribuni che lo avrebbero impedito di arrolare l’esercito; egli convocata un’ adunanza, disse che lutti si erano vincolati col giuramento militare di seguire a qualunque guerra fossero chiamati, li con soli; come di non lasciar le bandiere e di non far cosa contro Ja legge. Diceva che con assumere il consolato, ei tenevali tutti sotto quel giuramento. Ciò detto, giu-> rando che si varrebbe delle leggi contro gl’ indocili, fe’ cavar le bandiere da’ tèmpli. £ perchè disperiate di ogni aggiramento di pòpolo nel mio consolato, non tornerò, disse', da cnmpi nemici se non dopo Jinitone il tempo. Apparecchiatevi dunque in quanto v è necessario, come per isvernare nel campo. Sbalorditili con tal parlare, quando li vide alquanto più mansuefatti supplicarlo di esser liberi dalla spedizione, dichiarò che sospenderebbe in grazia loro la guerra, purché non fa cessero movimenti, lasciassero eh’ egli reggesse il con[fi) Roma Catone Varrone] -solato a suo modo, e dessero ed esigessero scambievole mente il giusto. Calmata la turbòienza, ristabilì su le istanze loro li giudizj interrotti da tanto tempo, ed egli straso decise il più delle cause colla equità e colla giustizia, sedendosi quasi tutto il giorno nel tribunale, > io atto sempre compiacevole, mite, umano verso de’ ricorrenti. Operò con questo die il, governo non sembrale aristo cratico, che i poveri, gl' ignobili, ed altri infelici comunque conculcati da’ potenti, OOn avessero bisogno dei tribuni, 'nè desiderassero piu nuova legislazione per essere trattati cOn eguaglianza, anzi che amassero e gradissero tutti il ben essere attuale delie leggi. Fu iodato nel valentuomo questo procedere, òome pure, che fluito il suo comando, ricusasse non che lieto riaccettasse il consolato offertogli nuovamente. Imperocché il Sanato che vedea la moltitudine non alièna di obbedire aU’uom buono, rivolealo a grand’ istanza nel consolato, perché li tribuni brigavansi a non lasciare uemmen pel terzo anno il magistrato, ed egli sarebbesi ad essi contrapposto rattenendoli dalle innovazioni colla verecondia o col terrore. Disse che non appcovava cJte i tribuni non cedessero il grado loro ^ ma che egli non incorrerebbe ' neir acciua di essi. E convocato il popolo e lamentatovisi lungamente de’ riottosi a deporre, il comando, giurò solennissimamente di non ricevere il consolato innanzi di averlo ceduto. E prefisse il giorno pe’ comizi, e designativi i consoli, si ritirò di bel nuovo nel suo picciolo abituro, c visse, come dianzi, col travaglio delle sue mtini. > X aSi Divenuti consoli Fabio Ylbolano per la terza volta, e Lucio Cornelio , e celebrando i patrj spet> tacoli, frattanto circa eeì mila Eqof, uomini scelti, marciarono in lieve armatura nella notte, e la notte durando ancora giunsero al Tuscolo, città latina, distante nemmeno di cento stadj da Roma. Trovatene aperte come in tempo di pace, le porte, nè '"custodite le mura, la invasero al giunger primo, in odio de’Tuscolaci > perchè erano gli ardenti cooperatori dei Ror mani, e principalmente perchè essi gli unici aveano fatto causa di guerra con loro nell’ assedio del Campidoglio. Uccisero certo degir^uomini, non però molti nella invasione della città ; perocché mentre prendeasi quei che v’ -erano, eccetto gl invalidi per vecchiezza e per mali, fuggirono ^ spingendosene fuori per le porte. Fecero prigionieri, le donne, i fanciulli, i servi, e diedero il sacco alle robe. Nunziatasi in Roma la espugnazione,, i consoli conclusero che si dovesse bemosto provvedere ai fuggitivi e rendere loro la patria. Opponendosi però U tribuni, non permettevano che si arrolasscr soldati, se prima non si desse il voto su la legge. Cònlurbandosene il Senato, e ritardandosi là spedizione, sopravvennero altri messi 'da’ Latini colia nuova che là città di Anzio erasi manifestamente ribellata, accordandoviki i Volsci, antichi abitatori di essa, e, li Romani venutivi come coloni, e compartecipi de’ terreni. Giunsero contemporaneamente de’ nunzj ancora dagli Eroici e dissero, che già era' uscita, e già stava nel lor ter Adqu li Roma' 395 secondo Catone, 397 secondo Varrone-, 457 av. Cristo] -ritorio un armata grande di Volaci e di Equi. A tali a^unzj parve al Senato che dovesse > ornai,non indù giarsi, ma corrersi con tutte le forze da entrambi i consoli : e che chiunque ciò ricusasse, romano o confederato : si avesse per inimico. Or qui li tribuni cederono, e li consoli descrissero quanti aveano età militare, e convocate le truppe alleate, uscirono bentosto in campo ; lasciando il terzo delle milizie urbane in guardia di Roma. Fabio n andò di fretta coIF esercito su gli Equi fra’ Tuscolani : li più di quelli saccheggiata la città, sen’ erano già ritirati : ma pochi ne difendevano ancora il castello. E questo assai forte, uè bisognavi molto presidio. Adunque alcuni dicono che le guardie del castello, dal quale, come elevato, scopronsi dj leggeri tutti i dintorni, vedendo uscire da Roma un’ armata, lo abbandonassero spontaneamente: altri però dicono, ebe postovi da Fabio l’ assedio si renderono a patti, e passando sotto giogo ebbero in dono lai vita. Fabio venduta la patria ai Tnscolani, levò l’eaercito sul far della sera, e marciò di tutta fretta coiv tro a’ nemici ^ Equi e Volsci che accampavano, come udiva, con armata numerosa intorno alla città dell’ Algido. Viaggiando tutta la notte si trovò su l' alba a fronte dei nemici alloggiati nel piano senza vallo, senza fossa, come nel proprio territorio', con disprezzo degli avversar). Or qui confortati i suoi a farla da valentnqmini, piombò prima sul campo nemico con la cavalleria, mentre i frati alzato il grido militare la seguitavanoAltri furono uccisi che dormivauo, altri che sorti appena davano all’ armi, e volgeansi a resistere : ma li. a53 più gettaronsi alla fuga e si dispet^ro. Presi con molta fiicilltà gli alloggiamenti, concedette a’ suoi che vi s’impadronissero di robe e persone, salvo quanto era dei Tuscolani. Non istette quivi gran tenapo, e menò 1’ armata'su la città degli Eccctrani, riguardevolissima allora tra quelle de’ Volaci, e fondata in fortissimo luogo. Tenutovisi più giorni da presso coll’ esercito su la Speranza che quei d’ entro uscissero per combattere, nè uscendone ; diedesi a devastare la loro campagna piena di bestiami e di uomini; non avendone gii assediati ritirato prima ciò che v’ era pel troppo repentino giungere dèi nemici. Fabio 'lasciò che i soldati facessero anche qui le prede per loro, e consumati più giorni nel farle ; alfine con essi ripatriò. Cornelio T altro console mossosi contro i Romani di Anzio, e li Volsci sen’ imbattè colr esercito loro che l’aspettava a’ confini. Fattovisi alle mani, uccisine molti, e fugatine gli altri, s’ avanzò col campo fin presso fe mura: ma non osandovisi più uscirne a combattere ; prima desolò la lor terra, e poi ne rinchiuse la città con fossi e steccati. Vinti allora dalla necessità, ne uscirono novamente con tutte le forze, che erano molte si, ma disordinate. Paragonatisi in battaglia, sostenutala, ancor peggio, e fuggitine scoraggiti e svergognati, si rinserrarono un’ altra volta tra le mura. Il console non dando ad essi tempo di riaversi, portò le scale alle mura,, e ne abbattè con gli arieti le porte: e cenciossiachè da entro vi resistevano affaticati e languidi; ve li espugnò senza molto travaglio. Quanto eravi monetato, quanto di oro, di attuto, di rame, fe’ portarlo neU'erario : gli schiavi, e le altre prede le fe’ raccogliere e venderle da’ questori ; lasciando a’ soldati, quanto ve n era, alimenti, vesti, e cose • altretuli di lor giovamento. Poi scelti tra i coloni e t^a gli Anziaii nativi i capi, clie eran, molti, più cospicui della rivolta, e battutili lungamente e decapitatili inSne, si ravviò coir esercito alla patria. Il Senato usci all incontro dei consoli che tornavano, decretando che ambedue trion lasserò: si concordò, per finire la guerra, cogli Equi, che aveano perciò spediti oratori, e nei patti fu, che ritenessero le cittò, e eie terre che aveauo nel tempo che si conehindeva la pace, ma ubbidissero ai Romani; non pagassero tributi, ma somministrassero ideile guerre, come gli altri alleati, truppe ausiliarie. secondo >1 bisogno : e con ciò l’ anno spirò. XXII. L’anno appresso fatti consoli Cajo Nauzio per la seconda volta, e Lucio Minu^io ebbero per qualche tempo guerra domestica su’ diritti civili con Verginio e li compagni di lui, tribuni già da quattro anni. Ma poi venendo alla città guerra da-’ popoli iotorno, e paura che le tógliessero il régno ; presero con trasporto l’ evento come dalla fortuna : e fatti i cataloghi militari, divise in tre parti le milizie interne e confederate, e bsciatane una in città sotto' gK ordini di Fabio Vibolano ; essi alia testa delle ^ altre uscirono immantinente, Nauzio contro de’ Sabini, e Minucio contro degli Equi. Iniperoccbé questi due popoli s’ erano di que’ giorni ribellati a’ Romani : li Sabini manifestamente tanto, che si erano avanzati sino a Fideue, città dominati da Roma, Roma Catone Varrone. I. a55 che ne era distante quaranta stadj ; laddove gli Equi ferbavano colle parole i ^diritti dell’ ultima pace ; facendola nelle opere da nemici, con movere guerra ai Latini, confederati di Roma, quasi i^el trattato di pace non ressero mcbiuSo ancor essi. Comandava l’armata loro Gracco delio ^ uomo intraprendente, che avea renduto quasi regio il potere arbitrario di cui era stato adornato. Costui ne andò fino al Tuscolo, città pigliata e saccheggiata ancora nell’ anno antecedente dagli E^ui, che poi ne furono espulsi dai Romani, e rapi dalle campagne quanti uq sorprese‘ uomini in copia e bestiami, guastandovi i fruiti, buoni già da ricoglierli. E giunta un’ ambasceria, dal Senato per intendere le cause per le quali guerreggiavano contro gli alleati de’Romani quando erasi di fresco giurata pace^con essi, nè frattanto era occorso disturbo alcuno tra’due popoli, e dovendo questa ammonir Clelio a dimettere i prigionieri che avea di quelli, a ritirare 1’ armata, e ‘ subire il giudizio su le ingiurie o danni fatti a’ Tuscolani ; colui s’ indugiò lungamente scuz’ abboccarsele come impedito dalle occupazioni. Alfine quando gli parve tempo di ammettere r ambasceria, e quando i. membri di essa ebbero espresso gli annunzi del Senato $ egli Soggiunse: Mi meraviglio, o Romani, come voi per^dominare e tiranneggiare., temale per Turnici lutti gli uomini, anche senza esserne offesi. Voi non permettete che gli Equi si venr dichino de' Tuscolani, contrarj loro., senza che ciò si concordasse nella pace, firmala con voi. Se dite che abbiamo oltraggiato e danneggialo voi ; vi rinlegretemo a norma de' patti : ma se venite a chieder conto Digilized by Goc^le 2 56 dell?: Antichità.’ romane su Tuscolani ; nienle vale, che a me parliató, o vai quanto parliate con quella pianta; e frattanto additò loro un &ggio , che prossimo frondeggiava. I Romani cosi vilipesi da colui non cavarono subito, abbandonandosi all ira, gli eserciti : ma repUcarono un altr ambasceria, e mandarono i Feriali che chiamano, uomini sacrosanti,. per attestare i genj ed i numi, che essi porterebbero, necessitati, una guerra legittima, se non erano soddisbuti ; e dòpo ciò spedirono il console colle milizie. Gracco all’, intendere che i Romani venivano, levò l’esercito, e lo portò più ad dietro, seguendolo pasto passo i nemici. Egli volea ridurli in luoghi da vantaggiarsene ^ come addivenne. Imperocché tenendo in mira una valle cinta da monti, non si tostò i Romani vi s’ internarono, egli voltò faccia, e si accampò su la strada che conduce fuori di quella. Segui da questo,.che i Romeni misero il campo non dove il volevano, ma dove la circostanza lo permetteva. Ivi nè era facile il pascolo pe’ cavalli, per. essere il luogo chiuso da monti ripidissimi e nudi ; nè facile I dopo aver' consumato quelli che portavano, procacciare a sestessi gli idimenti dalle terre nemiche, o mutare il campo; standogli a fronte i nemici, e, proibendone r uscita. Risolverono dunque usar la violenza, e cacCiaronsi avanti per la battaglia : ma respinti e feritivi largamente si richiusero fra le loro trincee, delio inanimato dal buon succedo li circondò con fosse e steccali, su la fiducia che premuti dalla fame gli si (>) Lìtio chiama quèrcia quella che i delta fiisgìo da Dioiùgi.. 2,5'J reoJerpbbero. Giupta in i\oma la ao|ia di ciò. Quinto FabÌ9 lasciatovi comandaute, scelse il fiore ed il nerbo suoi militari,, e li spedi per soccortere il console, sotto gli ordini di -Tito Quinzio uome cousoUre, e questore. Mapdò, oopomeno letiére a rCsuaio ra, e le .altre insegne ornamento un tempo de\. re. Saputo^ che Roma .oIeggeval(> diltàtore, non solo non ' si rallegrò di up 4anio onore, ina conr tuebandoseoe disse, adiaufue per io mio occupdzioni perud',pw e il fi allo di ifUest' unno e noi.tidti rje avremo grande il', disàgio ! Dopò ciò recatosi a Roma ( 1^, confortò su le prime i cittadini con discorso al (•y'-Amio li Roma agS secu'mla Caloof, ajS fecondo Vsernas, t 4^ sv. Lfista. •. ZJYw.v/(;/. /tZf 'popolò' dà'enapierlo di beile speranze! Poi'^coavocAti mai i giovani dalia Oittà' e dalia campagnì, soncenlrate le truppe ausiliarie, e nominalo maestret de’ cavalieri .Lucio ' Tarquinio, 'ignobile per la povertà ma nobilissimo in arme, Usci coll’esercito riuaiio e gianto >af questore Tito Quinzio c6e io aspettava, prese ' pur le sue schiere, e né andò' sul nemico. Appe'Oi# ebbe considerata la natura de' luoghi ov’ erano gli accampamenti cOilooò parte dell'armatA ntdie aliuiié onde precladerc agli ^quà i sussidi ed i meri, e' riieneodo 'seco le ah re naHizie lé avanzò cOn -ordiqe de 'battaglia, GleliO phnto tion si sbietti, perocché nè la sua gente era poca, 'Oè poco il cor suo nella guerra, e lo seooti^ nel sUo^ giagnerè, e ne sorse una pugna ostinata; Era decorso buon tempo, e li Romani oom'e cresciuti ’fi'à''' le arme rinovavansi Ognora al travaglio, e la cévallérià soccorrea |yron;a ove erano ì iaHti'iti pericolo. Criccò dunque Eopra0altone, si ritirò nel suo cantpo. Quinzio ' éllora 10 cifis^e con aho steccato e torri frequenti, e' quando seppe a!6nc che penuriava' de’ vivevi, lo investi con assalii contigui nel stio oéntfpo,' ordinando a hSinucfó che uscisse dall^altVà parte. Esausti gli Equi di viveri, disperaii di un soccorso, -e streiii per ogn’ intorno Halr assedm, furouo nécéssitéti à prender ibr&a dì ' su[^ {tlichevbli, e spedire a Qoìozìq per la pace. E colai replicò che la daitebbe, 'e lasccrebbe agli Equi iSalva la persona, se deponessero le arme, é passassero ad' uno ad uno sotto giogo: traliersbbe però' qual nemico Gracco 11 capo tkUa guerra,, e gli altri consiglieri delia rivolu. £ qui comandò che gli 'recassero tali '^ùoraiai in ferri. l turno X. a59 [/milìaVaiui gli Equi' a lutto; quando' egli ordioó, che giacobè aveano senza "esserne oilest previamettie, soggettilo e derubato il Tuscolo città coufederau di Ruma, essi consegnassero a lui ' CorbioBe -, città loro perchè ne lutasse altrettanto. Prese tali -rrsposta partirono gli oratori, e dopo non molto tornarono traendo .con st Gracoo è i Compagni incatenali. Essi poi cedute le arme, e lasciate 'le trincee t ne andarono ^so t(o ^iogo, come era il volere del diltaiort,. à traverso .del.èaiupo romano. Consegnarono tiorbione, e ebn restituire,i prigionieri tuscolaai ottennero soUmeotè che ialiti prima ne uscissero gli uomini iagfenai. Quinrio ricevuta ht" città, comaodd che. le prede pià -wgqardevoU sr trasportassero in Roma, .concedéndo che le altre si dispensassero tra’ soldati venuti con esso, e tragir altri spediti prima con Quinzio il questore ;, e" soggiungendo, che a^ soldati rinchiusi mi console. Miiiudo avea dato ànjplissimó lono, quando li rivenaiet dajla morte. Ciò 'fano, obbligando Minucio.a dhnettérsi djl suo grado, si ripiegò verso IVoma, e'ne menò. Uionfo luminoio, più. che tutti .i duci meuatoIo avessero perche in sedici giorni de’ die avea preso il còniaotfo, 'uvea salvalo l’ esercilò anaico, disfatto i’ altro floridissilno de’ nemici ; saccheggiata la loto città, messavi guarnigione, e comku va • séco In catene il capo, e. gli altri primarj di’qneUa gueira. . FaoeVa soprattutto ùieravigliu die avtmdo ricevuto quel magistrato per sci mési non sei tenne quuito eonòedeva la'> legge : • ma coni vocata la plebe, e ragipjiatuJe delie cosr operate ; lo depose. E pregandolo il Schato che prendesse quanto vote delleterre, degli schiavi delle prede conquistate colle armi, e pressandolo che vivificasse la tenaiti sua con ricchexaa ginata, ché egli possederebbe 'glónosrsaitna, come 'tratta colle proprie iàticbe dal nemico', ed=o(fe rendo'gli' amici e pai'enli amplissimi doni, e pregiando più che tutto' adagiare un tal uomo, egli ' lodatane la cortesia, non prese nulla, ma si ricondusse nel piodolo suo campicello „ ' ed antepose ad nna splendida vita la vita 'tua travagliósa, nobiliubdosi per la ^povertà, più che altri .non. sogliaho per l’ opulenta. Dopo non molto Nanzio f altro console vinse in battaglia i vamente le armi contro de’ Romani, e scorKroacchegjgiando assdi della lòr terra tanto che quei che' veai vano int.copia fuggendo dalle campagne, dicevano tatto in poter loro, quanto è tra Fidene e Cmstumera^ Anche gli .Equi sottomessi ultimamente sorsero^ im’ afira volta alle armi: e recandosene > tra la notte i più robusti a Corbìone, città ceduta da essi Panno antecedente ai Romani, c sorpresavi, la gnamigioDe nel sonno >; ve la uccisero, salvo podhi‘^ che" per .ventura non v’ erano. Gli altri marciarono ju gran moltitudine contro 'di Ottona, Anno di Roma 397 'secondo Catone, 399 seconda Varronc, a 4S5 Cristo.' . olimpiàde otlan dr Gitene vinse cìni de Latini, e -presala a prim’ impeto, fecero per la rabbia su gli alleati de’ -domani, docebè non potevano su’ Romani medesimi ' uccisero tutti > puberi, eccetto quelli -ette efan fuggiti udì’ invadersi della' cillà-r rende-, rono prigionieri, donne, fanciulli, vecchj,, e raccoltovi in fretta quanto poteano trasportar di pregevole,' ripar tirono prima'' che v’accorressero tutti.! Latini.,11 Senato saputo ciò da’ Latini, e da’ militari salvatisi della guarr. nigione, decretò di 'iàr uscir le milqsie y e con ùse i due consoli. Ma Verginio e i colieghi, tribuni già da cinque anni davano a ciò ritardo, opponendosi come negli -anni antecedenti alla scelta militare,, che faceasi pe’coqsojij.u reclamando che. si Sdisse prima la guerra domestica, -con rimettere al popolo l’esame della. legge, che davano sò la eguagliauaa .dei diritti : e la plebe ooadjuvava t ttibaui che asiaf malignavano, contro, del Senato. Imapto temporeggiandosi, nè comportando i consoli,’ che si facesse in Senato il previo decreto su la legge e si proponesse al popolo né volendo i tribuni concedere la leva e la marcia delle, milizie, an^i facendosi accuse inutili e dice^e vicendevoli belle concioni e nella curia,, alSne fu ideato da’ tribuni -uu altro disegno^ che sorprese l padri e chetò >U sedizione attuale,^~ma fu causa di molto ingrandimento per il popolo: ed io sporrò .come il popolo se lo ebbe questo incremento. Essendo manomesso e predato il. territorio de’ Romani e de’ cOufederati, e spaziandovisi i nemici come per una solitudine su la speranza che nou 'Uscirebbe oontr’ essi esercito. alcuno a causa dcHe sedizioni di Róma, i consoli -adunarono il Senato per consultare come sy pericolo estcetno. Tenutisi raoUi discórsi, liichestò il primo dei parer suo Lucio(^uiozio, il> dit latore dellVarìBO, aotecedents, >ttomq,noo/^solo -il più grande allora fra le armi',; ina creduto ancora savissimo nel govefoo', propose il coniglio d ^ale poi persuase più che tnttq'i tribuni e gli altri, che si dij^erine in tempo più accóncio t esame allora ‘non riecessario della legge, è si /accise con tutta prontezza la guerra alfutJe’, scorsa ornai /no, su la etllà r nè si perdesse imbeflemente e Mtuperosasnente il comando con tanti stenti acqmstato. H che se il popolo non -ià-s' tmiceva; si armassero patrizj e clienti, conguanti altri vòleano far causa con essi in qaeil aringo ‘nobilissimo della patria, e ne andassero ardenti al nemico,pren^ dendo per duci dell andafpiento i Numi 'protettori di Roma. Imperocché ne verrebbe lune 'o laUi^ buono e bel fratto^ vuoi dire ò che riporferebbefo ima vittoria la più gloriósa fra tutte le riportate "dai loro ptaggiori, o che magfianimi' niorirebbero pe' beni che sìeguòno la vittoria. 'Annnnzìaira c4e> egli stesso ^n si ricuserebbe a tanto .esperimento, ma presento vi pugnerebbe' qeaniq i più coraggiosi', e ‘che rpempieno manchérebbevi alcuno seniori che amasse-.la libertà e li buon nome. Così piacitito a tutti, Senza che alouna vi ù -óppon%sc, i consoli convocarduo il popolo.' Cbacorsi quanti erano in Roma come per ndieofa di nuov^ co se, fattosi innanzi Cajo Orazio, l’uno de^ consoli, tentò volgere spontaneamente i plebei anche alia guerra pre sente. Ma perciocché i tribuni vi 'ripugnavano, 'ed i LTUno X., 263 plebei,!a> senti vn coq essi; recatoseli console Un altra volta in tneszo disse : Beìia marlwigliasa impr^a ifi vero é^la vostra -o f^ejrginìo ck^. abbiale stacpatò U popolo dal Senato ! e cho. dal^ canto vostro avesstmo già perduto quanto abbiamo, ereditato dagli .avi, e ffuanlo .oUepiUo co')Ttoftrì sudori Ma noij npn, cederemo noi questo, senza lordarsi nemmeno di polvere) ma impugnando le orini con .quanti vprrap salva la patria ne andremo al cimento, i^erantiti su la bontà dell’impresa. E se àLui}' Dio rimìui. le belle.,, le' giustissime imprese') se la sorte che da tanto ' tc/Apo prò • spera questa cillà -, non t ahbqndona sqibnontereniò il nemico., Ma se alcun, Dio me gravita. sopra 4 c’ ci si oppope per, bt salvezza . di -Jiqma ) certo JC voler nostro x di nostra propensione non perirà-; che Jortissimamente per la pat/ia moriremo. 'E voi li belli, U generosi capi che siete di ' Roma, guardata pure colle vostre mogli le case, abbandonando e tradendo noi:,, ma nà te noi vinciamo onoràta sarà la vostra vita, nè sicura se perderemo. Se pur non siete ‘animali (lidia misera speranza che inémici dàpo.' rovinati i patrizj, preserveranno voi per gratitudine, a coricederànuo che godiate la vostrd patria, la libèrtà, il comando, e tuUi t befù -^/ie ora v’ avete. Sb, questo appunto a voi copeederanao cfue’ nemici a' quali men / tre vói pensavate pìà 'saviamehte avete levato tardo iersìtorio, distratte ttgtle c'ktà, JaUine' schià^i i >popoli, ed irudzati toni itrofei, tanti manUmérUi di nemicizfa, e sì luminosi, che mai^per età non perirahpo. Ma perchè io mi addoloro còl popolo il qtude non fu mqi taUù’o ài voter non piit tosto o Vt^fginìo con Voi che per si bella maniero, io dirigete ? Noi' certo necessitali b. non -pensar bassamente noi deliberata abbiamo, e ninno cel vielirà, 'difarci a combattere per la patria: jna voi che abbandonate, voi che ^ tradite il comune, voi neavrete condegna, irreprensibil vendetta dal cielo: nè' fuggirete ‘già questa, se quella fuggite degli uomini. Nè crediate già che io ciò dica pertatterrirvi : 'ma sappiate che quanti siano qui lasciati per guardia dèlia città, se mai gf inimici prevalilo Ho ^ ne destineremo come a noi si conviene.' Se od alcuni^ ìfarbatì, ornai tra le unghie de' nomici, venne in cuore di non lasciare ad essi' non le mogli, ~hon i figli, non le cùlà, ma di ardere .gueste, e di uccidere 'quelli; non farànno altrettanto sé" li Èomani de' quali è proprio il dominare.? ' Certo' degeneri non saratmo : ma còmi notando da vqi > che' nemicissimi Stata,s. ogrii amica\lor cosa distruggeranno. ^onsidarMe ora up'i questo, ié> considerandolo ; fatevi -le adunatvte e le leggi. ' ~ • Detto tali ^ose e ‘molte consimili, presentò li più provetii de patrie] che piangevano. A tale''s[>euaoolo molti del popolo boa contennero nemmeno essi le la gtime: t destatasi grande commoxlone per gli acmi e per la maestà di tali uomini, il console sopraÀandò alquanto disse : 'Impugneranno questi seniori le 'armi per voi giovani nè' voi ve nè' vèrgognelete, occultandovi' fin .sollotarm é" vi terrete lontani da questi duci, che padri sempre, avete nominati ? 'Sciaguo^i voi ! nè degni pure di èsser detti cittadini -di questa èittà fonSala "da c'olbro che àveano por iole fpaile il padre, aperto loro dà numi lo teatnpo ^ra le armi e le fiàmmè Catm Yergioìo temè ciré il pòpolo fosse commosso dà) quel discorso per non SDfhii{V 'dl dover mettersi quella guerra coOlro il sub dire, fecési avanti' e soggiunse; Noi non vi abbandoniamo'né. Vt' 6-adiamo, Hè mai vi .abbandoneremo o padrii come per addietro mai'^ foste da noi derelitti su, et impresa niurtae di mettere custodi' delia libertà te leggi a cui tutti ubbidiscano^ Che se ciò vi .sa male p, Se sdegriate concederle a' vostri cittadini questa grazia,' e'^ riputate com’ essere la mocte. vostra ammetlére il popolo nelC eguaglianzd; non' pià vi darem briga su dà, ma vi chiederemo ' altro' dono, avuto il quale farse noh avrem pià bisognò di nuova legislazione: se nonché ci vien paura che non ottérremo nemttten questo, sebbene non sia ponto lesivo dei Senato, e sia ^uUo bmief ceedonorevole al popolo. E replicando il 'consoleche se rimetteanb la istanza vai Senato, non sarebbe oegata loro cosa, che discrcia fosse-; ed invitandoio a dire ciocché dimandasero, ' Verginio abboccatosene alquanto ^co’-suoi colleght rispose, che lo dirèbbe al Senato, 'fiopo ciò Ji consoli adnnarooo il Senato, ed egli venutovi ^ e divisatovi quanto edmpetevasi al po>pólo, chiede che si duplicassero i magistrati del pòpolo, ed .ogni anno in luogo ;d> ciò que ài nonaipaiserD dieci', tiibuni. Alcuoi, ca{>0 de’qaaii era Laoio QuipzioV àatorevolissinto Pilota, in v Senato, pensavano clie.ciò pon. offenderebbe Ja repubblica e ooDsigll nico vi si'dppose Cajo Claadio, figlio di Appio /dau dio, deir avvertano 'perpetuo a voleri del popolo, se non erano ^a nórma 'delle, leggi. Egli ereditati i ' sentimenti del padre, impedì quando. fu console che si concedesse ai' tribpni d. inquisire contro de’ cavalieri, calunniati di congiure, ed ora con iuiligo ragionamento di^ mostrava, che il popolo non diverrebbe più moderato e più docile y ma più incansiderato e più grave. lùiperocchù appelli che sarebbero ' dt poi giunti 'al iribonaio noi prenderebbero gii' per questo eoa. legame' .che li tenesse ai patti, ma beP. presto tratter^bero di divìsioue di 'terre 4^ dl,e^[}ia|ità dì drritir',,e certdtei;ebbera parlando e ..brigando de cqiUe cose, estensive 'delia potenta del popolo, eotne dmpaqenti 1 onor del .Seoato^.-ìlfosse ntolti tH^ tal dire graodemeote i. ma Quinzio a ritrasse ammaestrandoli voler 1’ otite del Sedato che i tribooS si moltipKcttseil, giacché i molti men 8’ at^rdan dei poclii t esser rocspediziooe>^ Toccò a MìducÌo Ja gaem co’ Sabfm ad Orazio 1 altra' eoo gli Eqaiye ben lostb marciarono ‘atubedi^e. L Sabini gtuuy dando le Idko città.; non curarono .'che' ì Romani si menassero >6 portasae.ro quanto .r’ era pez le campagne. Gii Equi a|ledirono 'Ito’ armala' per coalrxitarli; ma -tutto ebe pugnassero nobilissimamente / non poterono superarli, e si ritirarono ne^sitatt oeile loro^ città, perduto il castello pel quale avaano co/nbattùlo'. Orazio respinti i nemici, -iPatto assai danno alle, lor itette.^ abbattè le mura di Corbinne r ne rovesciò da’ fondamenti' le mse, e -ricondusse in Roma l e(wreito. Sotto Marco Vaieriòy e Spurio Verìpoio consoli delH anno segne'nte, non osci dà’ confini nato, e • convoràlv. il Senato. E condosslachè un littóre, comandatone, rispinse Taraldo ; icilio e i suoi coUeghi degnatine presero e trassero 'il littore me per balzarlo ^la ‘ rupe I consoli tuttoché sen tenesseró 's[^giatls$inù non poteano.fiir violenza, e redimere quel prigioniero: e''^i volsero ptf ajuto agli altri' tribuni-: 'Perooché niuu pifò sospendere p proibire gli atti di alcun tribuno, se non quegli che tribuno, sia parimente giaqchéji tribuni s’ erano preoccupati già, da molti e potenti. Unico -contraddisse .a.tal dire Caju Claudio, comprovandolo molti ; ma -si decretò che il silo al -popolo sì concedesse. Dopo ciò. presenti i pontefici,‘ gli auguri, e due sagrificatori, fatti secondo il rito.sà^ifizj e preghiere, e convocati da’ consoli i 00niizj centurìati si 'confermò la leg^e, e descritla sQ colonna^ metallica, e portata ne|l’ Avventiòq ' fu collocata nel tempio di Diana. Poscia coqgregatisi J plebei tirarono a sorte il suolo dove fabbricare e fabbricarono, occupando ciascuno, lo spa^o che poteva. Unironsi al-r. • i r edifiso dì qò^lcke cak due o M' pèrsone, e talvoiu piùancora, prendendosi uno i pianterreni . e gl! ahri i piani,'àupdnori. E 'cosi tl’. armo si consumò eoj^i^bbricare. Riusoi pesò complicatò e varìo e pieo di grandi avVenluee l’ anno seguente (j)’, nel optale eletti consoli .T'ito' Ro™iliO e Cafo Veturio, furono riassunti al Hribanale ‘Icilio e i coUegbi. {mperoccfaè fu di nuoro suscitata da’ tribuni la dril sedizione ebe parea venuta ihene; e sorsero guerre dagli' esteri : ma queste non 4^e danneggiarla, ' giovaróno non poco la repubblica, non toglierne gl’ in^rlH diSsidj ; essendole’ consueto e viceodevole di ' esaére ’anaoime tra le guerie, ma discor> diosa' nella pace, distraiti - di ciò quanti salirano al con- solato prendevano eoo trat^rtOi se nascevaoo,Te guerre cogli esteri. E ce i ^oemìd erim' 'cheti ; essi stèssi finge- vano’ manoanze pretesti 0' debi- ^litavasi tra lo sedizioni.' Animati nel modo 'stesso i-'oOn soli 'di quest’'am^, deliberarono cavar 1' esercito' contro L taemìci spi timore che i' poveri e gli oziosi. qoaiìn- ctassero a perturbare - la pacel Or essi- ben la rutebde vano,'cbe 'vuoisi- distrarre la mollitudioe ndle gtiè'rre cogli esteri i’hia non beò intendevano com’ eseguiscasi.' ' Quando avrebbero dovuto flir leve moderate ì Qotìae ilo città mal affetta ; si diedero a 'castigarvi colla forzà tùtii i ’ranitenti i senza Cfonsazione o dispensa, iriando ine- sorabili ^il rigor 4elie. leggi sù gli àVen> e su le persone. 'ny Anqo di' Roma agg secoodo Calooc, joi seoondo Varroue, a 453 av. Critto.. Presero da tal proceder^ occasioae di bel onovo i tri buoi di concitare la plebe ; e radonatala, vi strepitarono per più cause, come ancora, perchè aveano. .fatto portar nella carcere molti che reclamavano 1’ ajuto de’ iriboni: e dissero che' essi che soli he aveano l’ autorità dalle leggi, gli assolveano da quel rechi [amento. ' Vedendo però che niente ne profittavano, anzi ' che laccasi la coscrizione piti severamente, incominciarono ad oppor visi co’ fatti. E resistendo I conscM .colla forza del grado loro ; sen fecero altercazioni e scaramnCce. La tenea pei consoli la . gioventù patrizia, ma teneala • pe’ tribuni la turba oziosa e povera : e quel giorno assai prevalsero i LODSolif su' tribuni. Ne' giorni appresso versandosi in> città più turba. dalle campagne, i tribuni, vedutisi òmai con forze' da contrapporsi, convocarono assai spesso il popolò-, ^e mostratigli'! ‘minbui loro malconèr ' dalle piaghe, prolestaropo che deporrebbero il magistrato se non erano da esso gàraoliti. Irritatasene la nioltitudiée ; dt^'no i coiv soli a ' dar conto al popolo del procedete' loro. Nóp gli attesero questi; ed andatine i 'iribòni alia curia ove il Senato ^a^e va 'già consultandoqe lo.aupplicaroooi a non trascurare essi tribuni, offesi -bruttisiihiàmrate, uè il spopolo, che era dell’ aita loro privato. -^E qui ùàrracono quante ne aveano sopportate da’ consoli, e le mapohinazioni di quesb contr essi ond’ erano svergognati' non pure flel grado ) ma' nelle penonc. Laonde chiedeaao che ^.consoli facessero l Una delle due, vuol dire, se negavano di aver fatto . cesa vietata datie leggi controde’ tribuni vemsserò e giurando Ift negassero all’ adoaaaza ; se di giurare non sostenevano, venissero, c vi rendessero, conto ; e le tribù entenziereLbero su loro. Si difesero i cousoli,. dando a vedere ebe i tribuni erano la origine de’, mali, per la caparbieti, per l’audacia di profanare Je persone de’ consoli, prima con avere imposto aisatelliti jorp 'e agli edili di portare in carcere uonjini rivesliti di ogni potere, e poi con tentar di assalirli col raeazo de' plebei più temerarj ; e qui sponeano quanto fosse il^ divari a dalla tribunizia alla, consolar dignità, piena 'questa di regio potere, e nata l’altra solo per protegger' gli ttppressi. Tanto esser lungi che potes^ro far votare la moltitudine contro de' consoli, che noi póteauo nemmeno contro il minimo de’ patriz| senza un decreto espresso del Senato. Pertanto 'minacciavano, se i, tribuni faceano' votar la moltitudine di dàr. rju’me a patria). Continuandosi ‘ppr tutto.il giorno i pochi contro de) ' r • . Vedi Ii che si ripiegasse lo sdegno su’ lor fautori, castigandoli a norma delle leggi. Se quel giorno i tribuni trasportati dall’ira lanciavansi a far cosa alcuda contro del Senato, p de consoli, niente avrebbe impedito che la città di per sé rovinasse. Tanto eran tutti pronti per armarsi e .combat Uni t Ma perché sospeser 1’ afiàre, dando ' a sé tempo per meglio consigliartene; serbarono essi ' moderazione, e r fra del popolo n'n fu mitigÀa. Intimarono pel tc^'zo mercato dopo quel giorno una assemblea popolareove condannire; i consoli ad una emenda in mgeoto, e sciolsero 1’ adunanza. Approssimandoti pe^ò quel -giórno desisterono anche da lah intrapreta dicendo, di coneedecp ciò alle istanze di uomini i più 'venerandi per anni e • per grado. Poi congreg-indo il popolo; dichiararono die essi rimettevano le offese proprie, sul desiderio di motti buoni, a’ quali nop era lecito contraddire : ma che le ingiuri^ fette al popolo e punirebbero queste, anzi le toglierebbero. Imperocché diretumente aggiùngerebbero tra le leggi pnr quella su la divisiori delle terre differìlit ornai da treni’ anni, e quella su’ diritti eguali r • N. ’ Kel lesto v^it nuot’aiiante, forse ot nè per dono,> nè per compera, nè per altro legittimo mezzo che^ possa dimòstrarvisi. Se ne avessero questi dimandata parte pià grande, che noi dopo • avere come noi tra~ vagliato neW acquistarle ; certo non sarebbe stato de gno di uomini, degno di cittadini che pochi si ap propiassero" ciocché era di tutti; ma pur stata una causa vi sarebbe a tanta ingordigia^ Ma quando non potendo dimostrare alcuna opera grande e magnanima per la quale si tengono ciocché è nostro, non sen vergognano 'né lo rilasjdano y nemmeno convintine ; chi potrà comportarli? Or su, per Dio, se io nfetilo in ciò, venga chiunque di questi onorandissimi, venga, e dimostri per quali splendide e belle gesta presuma pià parte di me. Forse ha guerreggiato pià anni, in pià battaglie, con pià ferite, con pià onore di po rotte di spoglie, di prede, o di cUtre marcfm da vincitore, per le quali /’ inimico se ne umilia, e la, patria > magnificata ne sfol^ra ? Dimostri il decima almeno di quanto io v ho dimostrato. Per, certo i pià d’ essi non potrebbero allegare nemmen. la minima parte delle mie gesta : anzi alcuni di loro non par.^ rebbero di' avere sofferto nemmen quanto il popoletlo pià basso. Grandi essi ne detti, noi sono certo nelle armi, pià vagliano contro l' amico, che a fronte dell' inimico: non pensano essi di avere una patria a tutti comune, ma propria di loro, quasi non siano stati per noi liberati da’ tiranni, ma dà tiranni ab-^ biano noi preso come un lòt bene. Questi (perocché bacaselo /e ingiuriò continue pià o men ^andi j eh tutti sapete ) sono giunti a tanta in scienza ^ efu^.non soffrono che alcuno di noi dica libere yoci, o che solo apra la bocca su la patria. E 'Sputió Cassio, quello che ptimó^ parlò su la le^e agraria-, quello che illuitre per tre eonsólati, e per, due trionfi gloriosi, e che avea dimostrato tanta solerzia nel comando nplitare e civile, quanto niun altro in quei tempii qùeH' uomo si grande lo accusarono i con•soU’j come intento alla tirannide, lo sopraffecero con falsi teslìmonj, e, Jìnalniente^ precipitandolo dalla rupe,, Io uccisero', nè per altra cagione se iwn perché era V amico della patria e del popolo.' E Cajo Genuzh) tribuno' vòstroche riproduceva dopo undici anni la stessa legge, e citM>a in giudizio i consoli deir anno antecedente come trascurati 'a compiere i v decreti del Senato tu la partition delle terre, lo lèvaron di mezzo appunta il giorno avanti, il giudizio con occulte maniere i non potendolo colle manifeste. Donde tte venne .a successori grave timore, e niun più st mise a quel rischio : e già sono trend anni che sopportiamo, quasi perduta il nostro potere nella tirannide. Ma lasciamo il resta. I magistrati vostri attuali, quelli che voi avete rendati siseri per le^e ed mvMabili, a quanti mali non incorsero per voglia di difendere gli oppressi tra 7 popolo ? Non furono questi ètpulsi dal Foro a pugni e calci, e con ogni altra guisa di vilipendj ? Vò 'siro era V affronto; e voi vel comportaste nè cercaste vendicarvene con., i'^g darne i voti almeno, in che solo vi resta la libertà. e Ma su prendete spirita o miei cpmpopoUiri. Presene tino i tribuni la legge su la partizione dellecampagne'; _e voi la confermate co’ voti vostri, nè soffrite pur voce chi reclami. Voi non abbisognate o tribuni di esortazione a questi opera ; voi posti vi ci siete, e benissimo fate a non desisterne. E se la caparbietà', se là insolenza de’ giovani vi' si opponga, e rovesci le urne in'' che i voti raccolgonsi, o./i voti vi levino, o scondita tal, altra cosa nel' dar de sofì fragi ntastrate -loro quanta ' il potere siasi del tri i bunato. Che se non è lecito degradar^ i constai, sot topOnete ai. giudizio i privati, de’ quali si vatgonó per le violenze ; e fate che il popolo' voti su loro come su conculcatori delie leggi sacre y e distruttori del dostro magistrato. Or Jui cosi dicendo, ta moltiludibe nè fa cóm> mossa tanto intimainente, e manifestò tanta ira contro gU oppositori, che, copie ho divisato dai princt[yio, non vofesa memmen tollerarne t discorsi. Quaodo sorgendo Icilio tribuno dii^e : che eran pur buoni 1 suggerimenti di Siccio, e lan^mcnte lo encomiò, tuttavia dimostrò cìie non era cosa nè giusta, nè sociale negar la parola a chi vojeya perorare in contrario, prìncipalmeote' di> acutendosi una legge colia quale far prevalece il diritto alla Ibraa varrebboosi di occasioni consitnili, qpelK che non avevano pensieri eqni uè ginstì sul popolo, a turbar la pUè novamentp, e'rimovetae ciocché le gio /asse. E ciò detto prescrivendo ^ il giorno seguente ai, contraddittori della legge, sciolse 1’ adunanza. I consoli a4umildjili oiuiglio privato de^'pairìxj più energici al lora e più floridi, dimostrarono cbe dovea leg^ impedirsi per ogni modo prima' colie parole, è poi colle opere, se il popolo non lasciasse persuadérsi. AdunqH^ raccomandavano a tutti che andassero la ma^a al poro ciascuno quanto più poteva con amici e cliènti:, e quindi che alcuni ài stessero .ed aspettassero intorno la tributiti onde parlasi all’ adunanaa, ed altri in più crttcchj tna>. versassero il Foro, per intraccbiudere, il popolo, é vietarne la riunione. Parve questo U partito migliore, e prima cbe il di si chiarisse, erano molli posò del Forò presi gii 'da’ patriÉj. Vennero dopo ^ciò li' Iriboni e li consoli, quando il banditore invitò chiunque voleva dir contro la legger Presemaronsi perciò molti onesti uomini, ma il remore e il disordine non lasciai ascoltarne le voci. Imperocché qoal déflli astanti esortava 'ed animava i di ^ cuori, e quale gli urlava e'rigettavali nè la lode'preyalèva de’fautori, né lo strepito degli avversar): Sdegna ronsi .protestarono r consoli, che il popolo dava prìn cipio alla vioTenza col non volere ascoltare: ma replicarono i triboni che avendo essi ascoltato ben per cinque anni, non laceano cosa da odiarnéli, se non voileaoo più tollerare trite contraddizioni, e rant^de. Còsi ne andara il più delia giornata, quando il popolo chiese di votare/ Allora i giovani patria) credendo che più non iCoise da sufferire, impedirono il popolo che si raccogliesse in tribù, tolsero a chi li portava i vasi de' voti, e battendo e spiugendo, cacciarono quanti erano a ciò deputati, nè $en parlivauo. Alzarono le grida i tribadi e géttaronsi nel _ méz^o di essi : e questi cederono e là sciarono die ipvioiati ' passassero ovnnqne, ina passare ovnnque nob Isàdavano il popolo'xbe li seguitava, o quello che tumultuando e disordinandosi qua e là per lo Foro moveasi verso di loro. Cosi divenne inutile al popolo il soccorso de’ tribuni : ed i patrizj ila. vinsero, nè lasciarono che si ammettesse la legge. Le famiglie che più sembrarono coadjuvare i consoli furono le tre de’ Posiumj, de’ Sempronj, de’ Clelj, cospicuissime tutte per lo splendor de’ natali, e potenti assai per amicizie; per ricchezze, e riputazione, .come insigni per le imprese nella guèrra. Si consente che da questi -dipendè prìncipalmebte che la legge non si ammettesse. Nel giorno, appresso i tribuni prendendo i l>le bei più rlguardevolT discùssero ciocché fosse da ‘fare: e tutti di comun voto statuirono di non citare in giudizio i cposoli, ma i' privati che erano stati loro! minjstrij; la punizione de qudi ecciterebbe come Siccio' avvertiva meno diceria contro del popolo. Adunque cominciarono dih'geotemcnte a discutere, quabti 'fossero da : processare, qpal titolo Ressero al giudizio e qtialé. ne sarebbe, '.e quanta la pena. 1 più buj di carattere consigliava nò che si desse a tutta un aria di graveùa e di terrore f in opposito i' più miti voleano moderazione e ^clemenza, é Siccio era,il' capo di questi, e ve li persuase ; io djco colui che perorò per la partizion delie terre diuonti del popolo. Parve loro che si trascùraaserogli àitri patrizi, e si menassero al popolo i Clelj, i Posiumj, i Sempronj a subirne le pene 'delle opere' fotte : si ! accusassero,’ .di aver soverrbiato .ed rnipedUo i tribuni dal forc'uliiiiutre la deftsioQ 'della legger qaido lè l^gt facre -dei Senato-e del popolo,hqn tsoucedoM ad; alcuno, di p/dl^i ri chiuso t ed alfine sen venne il tempo di giudicare coloro. I cooteli ed i, patria] (rau questi i migliori) a^^ sunti per consultatvisi -opinavano che si dovesse concedere a! tribuni, la punigione, affinché i|upedki Uoa causassero male tpaggiore 1 e lasciare che i ^plebei furi-' Ixmdi versassero r ira loro sù le.soÀanxe degli accusati affiprhè paesane arendeita quanta ne voleanp, V iirq>Ucidnsero pér l’ avveAire prinoipalmente ché il danno negli averi potrebbe risarcirai a chi aosteuevalo. Or Unto appunto àddivénne. Imperocché condannati questi, scnaaapptfrìre in giudizio, il popolo Inasprito se ne^raddolci,ì tribuni pensarono che fossè rendalo, loro un moderato eivil potere e sostegno: ed i'patrizj -restituirono ai condannati le lo'to ^stanze reiHmendole, a prezzo eguale da chi areale dal pubblico comperate. Con tali riparisidissiparono i mali imminenti ^lla repubblica. Dopo non molto riprodussero i. tribuni il discorso su la legg^y àia l’avviso deliairmzioae repeatina de’ucjidci sul Tusoolo fu causa bastante ad im^edirneli. ^ceeiuccliè precipitandosi li Tuscolani in folta a, Roma 'dicendo essere giunta una artnaNi grande di Equi, che ava già devaatatq le foro campagne, e ohe tra pochi gieini ne espugnerebbero fin k ciwà se ben tosto non sibccorpeTauo ; iK Senato decretò ‘che v’ andassero entrambi U consolù .ed i consoli, intimata la leva, fchk tnarono tutti i dttsdini alle anni. Ebbevi anche allora del snsurro, oppibnendovisi i tribnni alla iscrizion mili^ tare, né. volendo die gl’ indocili si pòm'ssei'O col rigor delie leggi: ma tutto io indarno.’ Imperocché -il Senato, raccoltosi, decretò che uscissero alia guerra i ' patck) coi loro clienti : che quanti voleano avér parie nel aalvaro la patria, avessero ancor parte nelle sante cose de’ numi, ma che niuna più ve n’ avessero quei -che lasciavano i consoli. Saputosi il decreto del'Sen^o nell’ adunanza del popolo mólti si misero spontaneamente all' impresa. Vi si misero i p{ù ingenui per la verecondia 'di non soccorrere toha città confederata,' diauuta wmpre per r aderenza sua con Roma : tra questi fu Siceio 1’ accusatore presso del popolo degli usurpatori delle 'pobblidie terre, -il quale menava seco -ottocento uomini, timi co me -lui di età superiore, nè piè vincolati dalla legge ^a combattere ma pieni della riverenza del valentuomo pe’ grandi benefizj ricevutine aveano ripntato cosa non degna di abbandonarlo, mentre rinsciva egli a fitr guerra. Òr questa tra la milizia d’ allora fu di gran lunga la' migliore per la perizia iu combattere, Come per T'ardire tra’ pericoli. Seguitarono anepr altri T eaercito vinti dall’ aderenza e dalle istanze de' seniori. E il èri pur k milizia 'pronta sempre a tnui {.pericoli per amor deUe prede, che si fan tra4e arme.. Pertanto in poco tempo ebbest un armata numerosa, e .'fornita splendidissimameute. .! nemici udite che i Romani marcercbbero contre ^ essi, ravviafóQO terso la" patria r esercito : ma i consoli avanzando,a .gran >freilao per 6eno, e gl investirono improvvisi, mentre scendevano a tor r acqua ; e più volte a battaglia li provocarono. -Or attagiia ; e cavò le milizie dalle trincee#. e comparti fcavslieriie fanti per coorti, ciascuno ne’luoghi' Convenienti ; alfine chiamando Siede gli disse : iVbi combattiamo da quindi o Succio, 1 nemicL Tw mentre noi ed efsi ci risparmiamo apparecchiandocip va di fianco per quella via sul monte ove è il.eaatpo nemico, e v assalùci quei che ilo guardano, affinchè gli altri che slan contro’ noi ne teman la perdita, e tentando soccQnjerlo ci volgari le spalle ; e cor/ie. avviene ^in una subita ritirata, si affi. foUirt tutti per una strada, e con fUcilità li., conquidiamo : o se qui si rimangono ; lo perdano il^ campo ^ loro. La milizia che -lo presidia, per quanto seti concepisce, già non è. per sè foige, ma pan mettere tutta la fiducia bliquamente per quella slracbi, impossibile a salirsi di, rutscosòr dei nemici: ma io vi condurrò per vie non, visibili ad essi; e ben mi presagisco trovarle tali òhe ci -guidino sul morite, e sul campo. Inanimiìevi dunque i e speràlCk Ciò detto s avviò Wk fa selva, '> eorsooe buoa tratto, a’ imbattè con un 'cHtadioo, parti tosi non so d’ onde, e fattolo arrestare ;, sei prese a guida. E colui rigirandoli gran tempo attorno del mon te, li pose al fine su di nn colle rimpetto degli aHog la battaglia ebb^ un fine decisoli Imperocché -Siccio co’ suoi, non Si toifo fu -presso degli alloggiamenti, trovalbne'' il danto verso di sè derelitto dalla iniliiia, intenta tutta, come n spetta cólo dal canto verio del combattimento > vi diede faci lissimitmente assaltò, -e sonrontpvvi :. e prorompendo in grida ; corsele come dall’ alto ^ addosso. Sopraffatta quella dal mate impensato e concependo che venisse non qne’ pochi ma l' altro console colle > sue schiere si precipitò fuori delle trincee, per la 'più. gran parte senz’arme. Que’di Siccio ne' uccisero 'qua uà ne presero, e signori già degli alloggiamenti, ripiombarono sa gli altri nel piano. Gli Equi, conoscintadalla foga e dar damori la presa degli alloggiamenti,’ e veduti dopo non molti^.i nemici correre loro alle spalle, noo 'mostraùlno .già cnof 'generóso, ma dnordinadsi, ceecàrono scanapo per varj sentieri. Ma iu questi appunto fecesi strage copiosa, non avendo i Romani lasciato d’ iusegnirli a trucIdarvegU fino alla notte. Siccio ne era l’uccisor più graude Ira Ilice d’imprese bellissime: e quando vide le cose. nemiche ornai ridolte al suo temiihe, egli già fatta notte, tripudiando e forte magnificandosene rimenò la sua coorte agli alloggiamenti espuguati. 1 suoi npn sedo illesi ed inviolati da’ mali che ne temeyanó „ ma 'empiutisi tutti di gloria vivissima, lo chiamavano padre y salvatore, Dio, ed ogni altro bel nome, nè finivano di felicitarlo con amplèssi ed -altre esuberanze di 'gioja. Intanto r altra. milizia romana tornava al campo tuo ‘ dall’ inseguire i nemici. Era già la mezza notte, quando' Sfecio raminando 1’ odio suo 'bontro de’ (Gasoli che,lo oveano spedito alia morte -, si pose in ' animo, dì tor loro la gloria 4el buon' successo. Rivelato il cor suo tra’ compagni, e sembratone a tatti benissimp, anzi ammirandone Ognuno i concetti e F ardire, .^li prese e fe’' prender le armi, e prima uccise guanti trovò 't|tnvi nomini, cavalli, ed altri animali degli Equi, e pòi mise in fiamme i padiglioni, pieni di arme, di vesti, di apparecchi di guerra, e di robbe moltissìmé, recàtevi dalla [ureda tascoiaua : al fine, dopo svanita ogni cosa tra r incendio, parti su I’ alba senza altro che le arme, e rientrò con marcia rapidissima in Roma. Osservativisi questi appena, solleciti tra le arme, tra ’b sangue, tra i cantici della vittoria, eccovi grande il concorso, e la smania di visitarli, ed intenderne le cose .operate., Ed essi, andatine alForo, ve le narrarono ài tribuni: ed i tribuni, intimata un’adunanza; comandarono loro che vi favellassero. Era già grandè la moltitudine ; quando Siedo recatolesi iunanzi narrò la. vittoria \ e' le maniere del combatlimentp j >e come il campo nemico era preso per ie ' forze sae>e degK ottocento suoi, spediti dal console a morire, e come infine le altre • milizie combattute^ dai -consoli ne ifurono ridotte a fiìggjre, Chiedea per tanto che non sapessero grado, se non a luì dèlia vittoria dicendo in' ultimo : noi veniamo sMve le persone e le arme, nè pattiamo coià ninna grande o picciola delle involate ài 'nemico. Il' popolo -alf udirli', impietosì, lagrìmò, vedendo la età, considerando la fortezza de’ valentuomini, e crucciandosi, • e smabiandó so chi voluto ne aveva privare la patria.' Sorkène, come era l’intento di Siccio, l’odio di tutti contro de’ con soli. Il Senato srésso'non soffrì ciò di buon animo, nè decretò per essi il trionfo' o altro pe’ fausti cornettimenti. H popolo poi veduto if tempo della scelta dei magistrati, nominò 'Siedo tribuno ; conferendogli la dignità della • qpale erà' 1’ arbitro. E tali furono le cose più rilevanti operate in qòeiranno. Spurio Tarpeo, ed A11I9 (i^ Térmipio pr^ sero il consolato per l’ anno seguente (0). Questi carezzarono di continuo il popolo con più medi, ccène col previo decreto del Senato su’ magistrati; imperocché “ Si coniulti SigoDÌo su Livio. Di là si raccoglie cìie forse dea Irggtt ti' jfterh. \ ' Anna di 'Roma 3ao. secondo Catone.. ^o secoado Varrone, e av'. Cristo.,. ' (3) Cioi che si potessero multare i magistrati arrogami o clie trascendevano i limili^dei loro poteri. Vedi.g 5o^i rjueito libro. Nondimeno vi è chi crede che vi si parli del senatusconialto fallo emanare dai consoli perchè li tribuni potessctp ìar approvare dal DlOillGT, amo Iti. • ' ' ' nsoli ultiini. Intanto prima che d di Sén Venisse 'di' quella causa.^ facendo l’uno e^l’ altro d^li accusati calde brighe e raccomandaziodi, essi, come già consoli, assai speravano su del $éQato ; • e teneano per leggero., il pericolo, promettendo i seniori di quel ceto ed i giovani che ilon lascerebbero far tal giudizio. Ma ì tribuni prevependo tutto da lontabo, e non valutando preghiere; non minacce, non pericoli ; a{q>ena giunsene il tèmpo,' convocarono .il popolo. Eransi già riversati da’ campi in città poveri e lavoranti in gran numero : or .-questi aggiunti alla moltitudine interna 'empierono il Foro, e le vie che vi conduconp. popolo il progetto sa la formasione del.le leggi, eguali per tatti ; 'argomeaio allora di controTeraie, -come apparisce dalle, coa'e precedenti/'’ -• (r) Forae Icilio tribuno dell’ anno precedente. ..., laQ^oUo.per il primo il gÌRdluo' tU' Romi lio, .Sieda fattoti (^vaati .accurà le> violenze di lui nel •DO consolato contro de’ tribuni, e le insidie contro di aè e della sua coorte nel suo capitanato. E endo egli voluto esimere' da quella spedizione. Matxo .Jciiio, coetaneo ed qmico'SUOf figlio di' uri tale dellfi coorte^, perchè qifesti non ujttme. ài un tempo col ^adre -à morire ^ e che avendo ottenuto da Aulo V srginio, zio suo, e luogotenente afiqrq delle nfilizie di recarsi' ai consoli^ chiederne quésta grazia ; i coruiyli ebbero cuore di .coatraddirh, ed egli, fa ridotto al conforto nùsero delle lagrime ^ non restar^do à (iti che dèplorarela calamità, delf amico : che t antico pel quale pregqvaf udito ciò, se_n venni, 9 chiesto di parlate protestò choj avea pur grandi gli obblighi agi inteAiessori suoi, rna che. mai grad^ebbe anche ottenutala una concessione che levavagli d' esser pietoso inverso del sangue suo : nè nidi si Hmove/ubbe dal padre quanto più si avyiava a. morte, certa come tutti sapeane : anzi ne andrebbe con lui pey difenderlo fin dove potrebbe, e correrne, la sorte medesima, Or costui ridicendo tali cose, niun fu " che nou commiscrasse la sorte di tali uomini : ma quando poi chiamati, comparvero per attestarla, (cilio ' padre, e figlio, e oarrarono cioochè era. di loro; non poterono i più del popolo contenere le lagrime. 'Perorò, se ne difese Ròmilk>,'non ossequioso, non pi^érole-ai tem pi ; ma fastoso, e, grande ne’ concetti ' suoi, coÉàe non si avesse a dar cónto del consolato. Adunque l’ira ne crebbe de’ cittadini, e rendati arbhri di sentenziame, deliberarono ripercoterlo,' e condannarlo co’voti di' tutte le tribù ;. talché la' condanna fosse una ' multa di assi dieci mila. Siccio, 'sembrami, risolvè ciò non senza nna .provi denza : ma perchè scadesse il favór de' patrizj su costui, nè facessero broglio nel darsene ih voto, considerando che la emenda era in danari e non ‘altro ; e perchè li plebei fossero più pronti a .pronunziarne la pena, non dovendo spogliare l’àom consolare di patria, nò di yita. Condannato Romilio fu dopo pochi giorni condannato eziandio Yeturio.' Anche la multa suafa pecuniarìa, ma suddupla di quella del consolato. Adunque non \ più governavano misteriosamente, ma Con intento manifesto ai vantaggi del popolo. E priipa stabilirono ne’comizj benturiati per legge: che tutti i magistrati potessero punire quelli i quedi ecce devono o disordinavano i loro poteri, perchè per addietro non altri che i consoli pòteano far questo. Per Qoi di'cinqoa mila aui. Ora ciò sembra ragionevòle; perchè esseodo Romilio oppositore più che Velario de’ tribooi, dovea sentirne danno maggiore. Nondimeno Livio afTerma che Romilio fa condannalo per dieci mila assi, e Velario per (piiadjci mila ; il che ha -fallo, interpreiare la voce a/oUssi qui dire minatamente, a voi, che vef. sapete, quanto ho sofferto dal pòpolo non per mie private ingiustizie i ma per la henevolenza mia verso di voi; tuttavia ciò ricordo per neceisità, affinchè vediate che io parlo per lo migliore,, non per adulare il popoìp, che mi è eontrarioi Nè alcuno si meravigli, -je io che fui d altro asviso più volte, e quando fui ^console e prima, ora mutato mi sia sttbitamenté ;J nè vogliate concepire che non bene consigliassi allora,, o non bene mi ritratti ah presente. Io finché vidi, o padri,, superiore lo .stato de nobili, lo favorii, come doveasi, non. curando quello dei popolo. Ma poiché fatto savio da’ mali miei, vidi. a gran costo che il poter vostrq è minore dei vostri voleri ; e che piegaridovi alta necessild più volle avete lasdèUo manometter dal popolo quelli che vi sostetievimA, rdiora più,non tenni gh antichi pensieri. E ben vorrei che rion fossero a me, nè al collega mio succedute le cose per le tjtiali voi tutti su noi'vi condolete. Ma poiché finite sono, tali nostre vieef^e, e possiamo solo curar' t avvenire, provvedendo 'che ailri non soffran Iq stesso, v'i esorto ad uno. xid uno I é tutti insieme che órdinialé m bene, almeno il presente: àmpcrocchò'JèUcissimamente governasi una repubBlica, la qual si èontempera alle sue cose; quegli è il consiglierò migliòre che pòrge il parer suo per cònio di utile pubblico^ -non di nirnidxte private o furóri; e benissimo lei. porgerà su'tempi di poi chi pigha esempio delle cose JWhtre dalle passale. Noi., o padri, quante sfolte si disputò, si 'donlése tra'l Senato e tra ’l popolò ; tante ne àvemmo per alcun modo lapeggio con morti, v esilj, con sfingi' (T Uomini insigni. Or quale sciagura maggiore per una. repubblica che le si tolgano i cittadini migliori, ò senza Una cauia ? Pertanto io vi esorto che questi ve ù risparmiate; nè gettiate i consoli presenti a''màmfesti pericoli, abbandonaisdoli poi tra la tempesta, al pentimento. Deh! che non gettiate ai ‘pericoli niim altro qualunque, e sia pur egli piccolissimo per la repubblica. La principale fierò delle cose che vi' raccomando, è che mandiate deputati,'qiusli nelle grecite città d" Italia, e quali in Alene ; perchè vi cerchìn le leg'gi migliori, e più confacevoli a’ nostri costumi, e Sce le fìpot'i.iio: che Ibrnnti questi, i consoli propongano al Senato, quali debbansi 'scegliere per legitlatori con Jfual potere,, per quanto tempo, e cosp altrettali come egli le crederà spedienti : finalmente che lasciate le discordie col popolo, e di cofinetlervi disgrafia a disgrazia, principalmente per una legislazione, la quale ha seoo, se tiòn altro uM apparqto 'almeno di maestà. . Seooodarooo i dpe consoli ài parer di Rqntiliò con più ragioni premediut^ e, molti altri xonsiglieri lo secoodaronof; tanto cbè la plorftità'vi ^ deprsj^. E già già se ne slendeva ài decreto, quando Slocio'.il^ trtbimot quegli cbe zyevz accusalo iLomilio sorse, e fattone ekn gio copioso, ne laudò la mutazione, e cbe non ayesse anteposto Je nimicizie sue all’ util comune,-,ma ^tto ingennào^entè 9ÌÒ. eb’era il bene. Peritai meritp^ soggiunse, IO gir rendo qvesC ossequio, 0 ^ptesta ricono^ saenza : io U> assolvo dalla multa impostagli' nel giudizià, e dà pra in poi, me ^ riconcilio : perocché ci ha sopra^atlo ftel .bpne. Egli disse } e già altri tribuni presenti acconsenlironò. I^on sostenne RomiUodà, prenderne quel conlnccambio ; ma lodati i .tribuni protestò cbe pagherebbe la multa, essere questa sacra ai numi: e non fare cosa né giusta nè pia, chi spoglia h numi di quanto si dee laro per legge : e. coti £e$;9. Steso il decreto dal Senato, 'e confermato dal popolo, ' furono eletti a prendere le leggi da Greci Spurio Posiiunio, Setvio. Sulpicio, ed Aulo MalHò . Furono, questi a ' ., " ^ „ In Lirio si legge PuM Sulpicio .in laog'o di Servio Salpido come scrivesi '.in Dionigi. Servio Sulpicio fu eOosdle l'anno 193, ma Publio non si trova cbe 'mai lo fosso. Tanto Liiio quanto Dionigi numeraao Aulo Manlio Ua i depùiati, cd. Aulo Maoliq seooado pubbliche spese forn^ di triremie > di ogni arredo ; quanto si convenisse ialia maestà ' dell' impéno ; e cosi l’anno -spirò. Nella olimpiade ottantesima seconda, quando Lieo Tessalo' di Larissa vinse allo stadio, e Cherofiino era l’arconte di Atene, compiutosi 1’ anno,trecentimo dalla fondasionb di Roma, cretti consoli ' Publio Orazio, e Sesto Qaintilip j, proruppe nella ^città up morbo coptagioso, il inaggioi% di quanti ue erano ricordatL Vi 'perirono quasi tutti i sèrvi, e circa .Una metà di cittadini. Non. piò i medici avean cuore d( curare gl’ iniermi, non i domestici, non gli amici di porgere loro le cose necessarie ; perocché volendo 'assistere gU -altri còl tatto e col commercio ne coutr^evan i malu Donde è che piò famiglie si^ desolarono per, deficiènza di assistenti. Non era la minima delle sciagure quella so la esportazion decadaveri, ^ certo era causa'.cliè il morbo non venisse meno subitamente. Su le prime per la verecondia, e la copia de’ funebri apparecchi bruciavano o seppellivano i -morti : ma poi curando poco la verecondia, o non avendo ciocché bisognava, ne gettavano molti nelle chiaviche, e più ancora nella corrente del fiume. nd’ è che spinti ai scogli e alle arene delle rive, songeane danno gravissimo ; perchè spiccavasene Oiooipi fu contotq r aono s8o i laddove io Livio leguaai .ia quell’anno per coufole G. Manlio. S; dunque ì deputali erano, còm'a veri$imile, tuui uomini co^olari, il tèstodi Dionigi in questi -luegbi trovasi più eastigato che quello di LCvio. t .- Aono di Roma 3oi secondo Catone,, 3o3. secondo Varrone, e 45 av. Crisio. "‘uBao x; '7 un odor fetidissimo, il quf^e col corso dé’ reali causava subite mutezioni ai corpi anche saqi. Nè l’acqua portatq dal dame era più buona da beveme si per 1’ odor tri sto, ri per le ree digestioni a designarvi i consoli, e designatili ', propoiTebbero' io sieme con questi ai padri la scelta de’ legislatori. ^ Aocordativisi i tribuni, essi intimarono -i comizj prima assai deir usato, e destinaieno consoli Appio Clandio, 0 Tito 'Genuzio. Dopo questo .omettendo, quasi già fòsser di altri, .tutte -li cure {fùbliliche, più non datano ascolto ai tribuni ', e solo miravano a sottrarsi di briga nel resto delia loro raagistratnra. Occorse intanto cbo Mencaio l’ iroò de’ consoli s’ ìnfernuMe di juna' lunga malattia, e vi fu chi disSe che il languore sopravvenutogli per -l’ affanno e per 1’ abbattimento, la rendeva in sanabile. E' Séstio sol titolo che egli non "potea’ solo per. . 1, a()9 aè fiir aiedle,' respingeva 4e istanzt de’ tribuni,^ e voleva che si vbigessero a miO^i niagislrati. E questi non avendo altoo lYiodó, furono astretti in privato, e nelle adunanze pufablicbe dirigersi ad Appio, e suo collega, quantun> qùe non avessero ancora preso il coniando. Or gli ridussero alQue questi uomini, empiendoli' di grande spe> ranza di onori e, di potere, se prendessero a” cuore gli interessi del'popdfo. Imperocché -Appio iu invaso dal1’ ambizione di avere una qualche nuova magistratura, di fondare leggi di cònCordia e di pace", e di far che tulli estimassero 'che la patria sola comandava^u‘ citu dini. Ornato però di una' grande magistratura non vi à contenne; ma inebbriàtone da’ poteri sublimi,^^tr^orse ai furori di perpetuarsela, e per poco non giuose alla tirannide ; cqme spbirò ne’ suoi tempi. Allora dunque cosi pensaodota con cuore -buono, '6no a {lersuademe il. collega egl’ invitato più' volte dai tribupi alle adunanae, vi 'si (^dusSe, e 'tenpevi molti ed umani ragionamenti. I quali rigiravansi. ip t^eslo che piaceva a hd come al collega suo', prÌTtcipalmeiUe che si destinassér le leggi, e si chetassero. le discara die civili su diritti ; e diceano ciò ' palesissimàmeute ; come pure che ''essi ', perchè non entrati al comando, non aveano 'facoltà di nominare i cosUtutori' delle leggp ‘ che noH si opporrebbero per ' mòdo 'alcuno a Menenio’ console e suo ^collega se dava esecuzione al decreto delSenato, anzi’ che do coadj'uverebbero e ringràzierebbyo ; che' se Menenio e il compiano reylica e protesta( Soggiungevano), che trovandoci noi designati per consoli f Tton ^uo ' nominare altre' magislrature lé quali prendano podestà pari' alla consolare ; noi dal canto, nostro non saremo V ostacolo della operazione : perchè sporttanoi cederemo la nostra soprastanza, se cosi • piace in Senato, ai nuovi che sceglieransi in. ^ogo de' consoli. Elocomiava it popolo' la buona volonlà di tali .uomini ; e spiolMÌ, tutti ia /olla nella curht, Sesto ( non poiendoviai tcovare Menenjo per la iufern^ità ) costretto a convocare egli solo il Senato, propose la deliberazione su le. leggi. Ben si disputò qninci e quindi copiosaiaeute da. chi lodava l’essere coiuanihto dalle leggi, e da chi chiedeva che si ritenessero le costumanze paterne: ma prevale il, parere de’ consoli designati propostovi da Appio Claudio, interrogatone per il pritpo : vuol dire cAe si icegliessero dieci i più cospicui tra padri : che forrtandastero su tutta la repubblica per un anno dal giorno deità elezione'col potere' che 'ci aveatip i consoli', e primari re : e che-.fiotànto che governavanp i decemviri .cessasse ogni altra .màgislralura: che qqesti proponessero le leggi più utili alla ivpubblica, scegliendone le migliori da quelle riportate pe' deputali dalla Grecia, e dalle usante. della patria; che le leggi scritte da decemviri, approvale • che fissero dal Senato e ratificate dal popolo,, valessero per tutto f avvenire; e che i magistrati che si creerebbero a norma di queste leggi, discutesteror a rtórma appunto di esso i, conti atti d'e' privali, e pròvyedessero al pubblico. .,LYL. Preso questo decreto ne anderonò i tribuni al/ adunanza, e letto velo; assai vi encomiarono i padri, ed Appio che lo aveva proposto. Giunto poscia il tempo :^ . ‘ 3oi de’ comizj, i iribun! convocatovi il popolo, fecero ve Dirvi i censoU/ designiti perchè g[li osservà^ro le promesse: e questi presentatisi ; deposero il consolato. Non finiva il popolo di encomiarli e lodarli: fattosi quindi a dare il voto pe’ legislatori scelse a tal grado -ipiestl due per i 'primi. Imperocché, ne’ comizj per centurie furono eletti legislatori Appio (gaudio, e>Tito Genuzio^ li due' che doveano èsser consoli l’anno seguente : Pu blio 'Sestiò., insqle ^ dell’ anno corrente, li tre Publio Postnmió, Cervio Sulpicio, ed -Aulo Mallio -,. r qusfli aveano riportate le leggi da’ Greci; Romilio il console dell’ anno antecedente il quale condannato peo le accuse^ di' Sfócio dal popolo, fu poi sentito il primo a dir senlèDEe fautrici ^ cemVirato • f Dettesi quinci 0 quindi più cose' vinse' finaltnente.il partito di chi consigliava che sì tenesse ancorsi il decemvirato su -là repubblica; peroccbè' compilata in picciolo,t$mpo la legislazione non pareva La .tutto ultiosata., e -pareva ancora ;che bisognasse un magistrato assoluto per .obbligare, volessero 0 no, tutti, a quanta ne èpa già -stata decretata. Ma ciò-,cbe gl’. indusse più che tutto, a preeleggere i dieci. fu, rinlenlo di spegnereil tribunato, ciocché bramavano sommanaenie. ''Tali fatono i risaltati delle pùbbliche cousuUaziom : ma. in privato i primi del Senato disegnavano procurare per sè quel magistrato Sui timore che intrqduceodovisi uomini turbolenti nen cagionassero grandi sciagure. Il po polo ricevè con diletto, e ratificò Con pieno trasporto, dandone -il voto, le sentenze -dej Senato.. I dieci prefissero il tempo de’.comiàj-, e li più provetti e più rispettabili de’ patrizi ambirono quel' magistrato, b fptì molto ebeomiato da tutti JVppio, il pruno ^allora del decemvirato, ed il popoip vo)ea .couifermarvelo, -come se niou altro meglip di lui -lo remerebbe. Egli fingea su le prime di escusarsene e 'cbiodeva ebe Ip esimessero da nn incarico, pieno di travagli e d invidia : ma poi Btimolandovelo tutti; fecesi a chiederlo nottamenle ; anzi dolendosi dei migliori ' de’ competitori, come di animo non buono verso lui per 4a ' invidia ; favori gli amici suoi palesissimamente. Egli dunque nc’comizj per centurie fu crealo per la seconda volta datore di leggi: e eoa esso'lai furono creati' Quinto Fabio detto Vibo^ lado, già 'per 'tre volte console; edirreprensibile 6no a quel tempo in ogni bel costume : e ira gli altri pa-^ trii) diletti ^uoi; Mai‘co' Cornelio, Marco Sergio, Lucio MinuCio, Tito Antonio, e Manio Rabulejo, .uomiut non molto chiari : de’ plebei poi Quinto Poetelio, Cesbne Duellio, e Spurio Oppio. Aveaci Appio assunti por questi per adulare il popolo coi dire che', 1’ equità voleva, • he, stabilendosi una magistratura uòica su tutte le -còse ; aves^ro parie in essa anche i plebei. Applaudito in unte' queste cose,. e ‘parendone il migliore dei re, e de’ soprastand annuali ; prese la magi.i stratura per l’ anno che seguiva. Or questo e non altro ' è quanto si operò degno di ricordauza nel primo decemvirato presso de’ Romani. Presero nell' anno ^guente -la podestà suprema i dieci con Appio alle idi di maggio. Allora i mesi legolavausi colla Iona, e cadeva in quelle' idi appunto il plenilooio. Or prima legandosi tra sagrifizl, arcani alla plebe, convennero di non contrariarsi mai fra loro, 'di ratificare tutti quanto ciascuno giùdicherebbe: di ritenersi la magistratura ih vìta\ nè Jasciare che altri vi sottentrasse : di aventi' tutti onore e potere eguali : di ricorrere di rarii, e per necessità sola, ai. . 3o5 i>oti del Senato e del popòlo, e di ultimare per lo più le cose colC autorità propria. Poi jrenuto il gio;^o da pigliare il comando, ( è questo giorno sacro ai Romani, e guardansi tutti di ascoltare o vedere cose non liete ) ^ fatto prima sagrifìzio agl’ Iddìi secondo il rito, uscirono ben tosto i. dieci su la mattina con tutti i distintivi di nn regio potere . Come il popolo vide, che non osservavano più |e mauiere popolari e, modeste di preminenza, e che non avvicendavan fra loro come prima i segni del comando supremo; assai ne decadde nell’ aspetto e nell’animo. Temè le scuri messe tra’ fasci portati da dodici licori dinanzi a ciascuno, i quali facean largo, dando de’ colpi come prima ai tempo dei re. Era stator questo costume abolito ben tosto. dopo la espulsione dei ré da Publio Valerio, uomo popolare, quando ne succedette al comando. E paréndo essere stato autóre di ottima cosa; tutti i consoli posteriore fe> cero come lui, nè più misero tra’ fasci le scuri, se non quando marciavano, all’ armata, o per altro intento uscivano da Roma’. Or quando portavano guerra agii esteri, quando visitavano i sudditi, assuiueans le scuri ; .perchè r aspetto terribile di esse-,. come dirette contro de’ nemici e de’ servi, si rendeva mec grave pe’ cittadini. LX. Veduto ciò, che riputavasi il segnate di nn regno, si temè, come ho detto, moltissimo, credendosi pòduta la libertà, e creati dieci per un solo monarca. Con. tal modo sbalordirono i dieci la moltitudine : e Roma Catone Varrous, e 448 ar. CrJslo. ' '1 PlOStGt, Itipu) in. '. IO fermi, cbe avrebbero a dominare per 1’ avvenire col terrore ; ciascuno fecesi Un seguilo dì ^oyanl i più leDterarj, e opporiuui per esso. Ben era da aspettare, o sperare cbe i più de’ poveri e sciaurati si dimostrassero fautori della tirannide ; anteponendo l’ utile proprio al pubblico ; ma non era da aspettare, nè da sperare, e certo egli fu meravigliosissimo^ che molli patrizj potendo grandeggiare per 'sestauze e per, sangue soffrissero di opprimere co’ decemviri la liberi^ della patria. ' Costoro datisi a tutti i piaceri, quanti sottopongono 1’ uomo, comandavano superbissitnamente : e legislatori insieme e giudici, tcncano per niente il Senato ed il popolo, ed uccidevano e spogliavano, conculcando ogni diritto. E perchè azioni illegittime e biasimevoli sembrassero noux indegne, anzi operale per giiislizia; nomsi accingevano a farle se non previo esame, ed'uu giudizio. Erano gli accusatori inandaii da fondatori stessi delta tirannide, creali i giudici dal ceto de’ loro amici; laDlochè solcano questi in coniraccaràbio sentenziarne per compiacerli. Molte cause però', nè di poco rilievo, le defìnivano i dieci per sesiessi. Cosi quelli che erano per essere defraudali del loro diritto, non trovando altro scampo, conducevansi necessariamente a renderseli amici. Ood’ è che col volgere del tempo videsi la parte corrotta ed inferma maggiore della innocente. Imperocché coloro che v' erano concul^cati da’ decemviri sdegnavano di rimanervi, e si ritiravano nelle campagne, Bspettandovi il tempo de comizj, ^quasi coloro finito 1’ apno fossèro per deporre il comando, ed eleggete nuovi ^nagislrali. Appio intanto £ i colleghi ^crisscA) le. leggi che rimanevano in altre due tavole, e le aulroao alle prime. In queste eravt traile altre lajegge, che non concodeàsi a^atrizj il matrimonio co’ plebei: e ciò non per altro, io t j , !• OLGENDO la olimpiade ottantesipia ' terza nella quale Grisoue Imero vinse allo stadio mentre Filisco era 1 arconte di Atene, i Romani annientarono il decemvirato il quale governava già da tre anni la repubblica. Ora, io tenterò descrivere dalle origini per qual modo, quali nomini, con i|uali cause e pretesti, seguendo la libertà, si lanciassero a schiantare una signoria che ovea già profonde le radici ; perciocché ne reputo la cognizione bella e necessaria principalmente al Glosofo die contempla, ed all’ uomo dr stato che amministra, per non dire a tutti. E certo .molti non si contentano ^ conoscere dalia storia, solamente come gli Ateniesi ed i Lacedemoni vinsero, per esempio', la ^ guerra col Persiano, aiTrontandosi in due battaglie navali ed nna campale contro un barbaro che area tre milioni di nomini, essi che 'aveano appena cento dieci mila nomini insieme cogli alleali; ma vogliono' por co, noscere dalla storia i luoghi ove occorsero, .ed kiten dere le cagioni per lè quali si compiecono le meravigliose ed incredibili gesta, come apprendere quali fossero i duci delle armate greche e persiane, nè essere, per cosi dire, defraudati, di cosa niuna fatta ne’ combattimenti. Imperocché dilettasi la mente dell’ nomo por, tata quasi per mano dai racconti alle opere, e come a vederle dopo ascoltatele; E quando gli uomini odono le civili vicende, non appagansi di udire la somma ed il termine degli ’ affari, per esempio., come gli. Ateniesi permettessero el^e gli Spartani demolissero le mura, conquassassero le navi di Atene, ponessero guarnigionè nella Iqr cittadella è vi trasmutassero il governo del popolo in quello de’pochi^ senza nemmeno combattere (.i); ma. bentosto dimandano quali erano le angustie di 'quella città, onde incorse in tali orrori è miserie, quali e di chi li discorsi che ve 1’ acchetarono, e quanto seguila tali cose. Dilettarsi poi della contemplazione totale di quanto concerne gli affari è cQmifuq a tutti,. come agli uomini, pubblici, tra’ quali colloco àncora i fUosofì, quelli almeno che pongono la filosofìa non già nelle Occorsero tali fatti oelf''aoao Hltimo detta goeri'a del Pelopoaneso ; conws pu& vedersi io Senofoute nel libro secoado lAasxnel lib. -i3 di Di odoro, t nel LitandrQ di Plutarco., I parole, ma nelf esercizio delle opere belle. Cd oltre questo diletto, ne segue, > no, e riducendd' quanti ner credevano IntorTerablle il giogo ; a lasciare colle -mogli e co’ figli lo^ patria, ed alloggiarsi nelle città vicine, ricevutivi da’Lallni in forza de'parentadi, e dagli Eroici per essere stati di fresco creati cittadini da' Romani. DI guisa teaoo traversarne 'le opere ; nè vi rimasero nemmeno gli asciiitl al Sentito I qu^li doveano per necessità star pronti pe’ decemviri ; ma l più trasferendosi con quanto aveano in famiglia; dimoravano, abbandonate lo case, per le carrqiagne. Non dispiaceano gli allontanamenti de’ grandi personaggi agli amatori del decemvirato per più cause, e principalmente, perchè I più 'giovani di questi erano divenuti don che scellerati, molto insoleati, né poteauo tollerare. 1’ aspetto di qtielll, innanzi dei quali doveano arrossirsi della loro impudenza. III. Derelitta cosi la città dal fior degli uomiai (^), e cadùlavi ogni libertà ; gli Equi già vinti da' Romani, cogliendo la Occasion propizia di combatterli, di con Anuo di Roma 3o5 Mcondo Caioua, ìof ascondo Vartoae, c av. Cristo. Digitized by Googie 3i2 delle antichità’ romane traecambiarlt delle iogiorie sostennlene, e riveodicarsi quanto perduto ci aveano, apparecchiaronsi all’ armi, e marciarono con grandi eserciti contro di lei', malconcia pel comando de’ pochi nè idonea a tener fronte, nè a concordarsi, nè a' cura fecesi innanzi e disse che portavasi a -Roma, la guerra, da due parti, quinci dagli Equ^, e quindi da’ Sabini ; tenendovi un discorso ariifiziosissimo, indirilto a far votare la leva delle milizie e condurle imipzntioeDtc in campagna, non peùnetteodo T Ifare che indagiasse. Or lui cosi dicendo insorse Lucio Valerio, soprannominato Polito, uomo che grande tenessi |>e' grandi genitori: certamente era stalo padre di lui più, importano, conte sarebbe il buon ordine della moltitudine, e che la cosa stessa apparisca utile a tutti, rimovendo dalla città la ingiustizia e la soverchieria che vi domina, e rendendo l’ antica forma al governo; in tal caso sbattuti quelli che ora inorgogliano, e gettate le armi, verranno a noi tra non molto per saldarne le ingiurie, e trattare la pace : e noi, ciocché i savj tutti desiderano, potrein finir senza le armi, la guerra con essi. Or ciò considerando, poiché sì grave tra le mura è la turbolenza ; io giudico che debbasi per ora sospendere ogìti cura di guerra, e concedere a chi vuole di proporre mezzi di concordia, e buon ordine interno. Noi chiamati da queste magistrato non abbiamo potuto già prima di essere addotti a questa guerra, consultare su lo stato^ de’ nostri pubblici affari, e conoscere se scóncio alcuno ci avesse. Ed ora assai riprensibile sarebbe chi, lasciata la occasione, •cercasse di altro discorrere : e niuno dir può con sicurezza che trascurato questo tempo, come men congruo, un altro ne avremo pià acconcio. Anzi se alcuno vuol concludere V avvenire dal passato ; trascorrerà gran tempo senza che possiamo qui riunirci per deliberare. IX.' Io prego te, Appio, e voi tutti presidenti di Honta, voi che dovete provvedere non al bene vostro privato, ma a quello Ai tutti, a non corucciarvi, se io parlo secondo la verità, non secondo il genio vostro. Voi dovete por mente, che io parlo, non per malignare, o vilipendere il vostro magistrtUo; ma per additare, se pur vi è, una via di salvare, e dirigere la repubblica, dopo mostratine i /lutti da’ quali è sbattuta. Quanti han cara la patria, debbono forse qui tutti discorrere dell’ util comune, ma io principalmente. Imperocché io debbo per la onorificenza fattami dar principia ad opinare : e saria vergogna e stoltezza grande, se io che sorgo il primo non dicessi le cose che prime son da correggere : Appresso trovandomi io zio paterno di Appio il capo decemviro, accade che più di tutti mi consolo, o rattristomi secondo che bene o non bene governano la repubblica. Aggiungi che ho io ricevuto da’ maggiori miei la civil consuetudine di curare anzi l' utile -pubblico che il mio, senza guartlare a privati pericoli ; nè io, la tradirò io questa civil consuetudine, nè profanerò le gesta di que' valentuomini. Orjt, che il governo presente male a .noi si conviene anzi che incomoda, direi quasi tutti ; siane questo l’ argomento gravissimo, che quanti trattavano le cose civili ( nè già potete voi soli ignorarlo ) ràiransi ogni giorno da Ho 3ai ma, lasciando le paterne case deserte. Qual de' plebei più rìguardevoli trasferisce la propria sede colle mogli e co' figli nelle città più vicine, e quale nelle campagne più lontane da Roma : E molti de' patrizj nemmen essi in città se ne vivono, ma li più si dimorano per le campagne. Ma che giova parlare degli altri j quando appena in città se ne stanno alcuni pochi senatori uniti a voi per amicizia o per sangue, e cercan gli altri la solitudine più che la patria? E quando voi v'aveste il bisogno di adunche il Senato, tornarono invitati ad uno ad uno dalle campagne que' dessi che solcano insieme co' magistrati guardare la patria, nè mancare mai da affare niuno della repubblica. Or tdie pensate voi che gli uomini ahbandonande la patria fugano i beni o li mali ? certo che i mali. E t essere abbandonata da plebei, derelitta da' pevrizii senza incontri di guerra, di pestilenze, e di altri disastri mandati dal deh,, ella è sciagitra questa non seconda a niuna per una città, massimamente per Roma, la quale abbisogna di molle milizie, tutte sue ; se vuoi dominare stabilmente su' vicini. X. Folete udir voi le cagioni che riducono i popoli ad abbandonare i templi e le tombe degli avi, e lasciar diserti i poderi e le case paterne' ^ e credere ogni altra terra più necessaria della patria ? Certamente tali cose non avvengono^ senza cagioni, ed io sporrovele queste, non occulterowele. Molte Appio sono le accuse e di molti sul vostro magistrato : vere o false che siano, noi cerco per ora : certo che vi si fatino. Ninno, se non del vostro seguito j trova il ben suo nell' orditi presente. I ^andi, figli pur essi di grandi, à quali spettavano i sacerdozj, le magistrature, e gli altri onori goduti dai loro padri, fremono di essere da voi respinti e tolti dalle dignità degli antenati. Quei del celo di mezzo che cercati la calma del vivere, v imputano lo spoglio ingiusto de beni loro, lamentano il disonore che fate alle lor mogli, la effrenatezza verso le loro figliuole nubili, ed altri oltraggi molti e gravi: e la parte più. bassa del popolo, non più arbitra per voi de' voti e delle elezioni, non più chiamata alle a4unanze, nè, partecipe di alcuna civile uguaglianza, ve ne maledice appunto per questo, e tirannico chiama il vostro governo. XI. Ora come voi correggerete questi abusi, come la lingua, incolpati che ne siete, accheterete del popolo ? questo è ciò, che rimanemi a dire. Facciane il Senato previamente il decreto : fate che il popolo deliberi, se torni a lui meglio ripristinare i consoli, i tribuni e gli altri magistrali della patria, o continuare r ordin presente : se tutti i Romani avran caro il comando de' pochi, e dinoteran co’ lor voti, che ve lo abbiate voi questo comando ; voi terrete un magistrato legittimo, non violento. Ma se vorranno di nuovo i consoli, di nuovo gli altri mostrati ; voi sarete decaduti per legge, nò più crediate dominare, se ìton da tiranni su gli eguali, non prendendo gli ottimati il comando, se non da' cittadini spontanei. E nel far questo, o u4ppio, tu dei dar principio, c tu disciogliere un comando da te stahilUo, utile un tempo, ed ora noceyole. E m’ odi ciocché ne guadagni, se mi ti arrendi, se ne deponi codesto malveliuto comando. Se li tuoi colleghi a ciò s’ indurranno'; ciascwi dirà che buoni fatti su /’ esempio tuo vi si indussero t laddove se questi si ostinano a tenere un dominio illegittimo ; sarai tu benedetto che volesti, altnen solo, compiere il giusto ; mentre i contumaci saran con infamia e danno gravissimo degracUtti. Che se mai ( lo che potria ben essere ) fermato v' aveste infra voi secreti trattali e parole, pigliandovi i Dei per mallevadori, fa pur conto che siasi empietadv osservarli, e vera pietà vilipenderli, come contrarf ai cittadini, e alla patria. Imperocché sogliono i numi esser presi mallevadori su gli accordi buoni e giusti; non su gV ingiusti e vergognosi. XII. Che se tu esiti lasciare il comando per timor de' nemici, sicché non ten venga pericolo, nè sii stretto a dar conto delle opete tue ; certo non è ragionevole questo timore. Non è sì picciolo, non sì sconoscente il Romano da ricordare i tuoi sbagli, c scortlarc i tuoi benefizj : ma contrapponendo i beni presenti ai mali passati giudicherà degni questi di perdono, c quelli di lode. Potrai tu rappresentare al popolo' le tante belle tue gesta innanzi del Decemvirato, ed in .vista di queste ottenerne ajuto e salvezza, e difenderti in più modi dalle accuse, come ad esempio, che non eri tu che abusavi, ma un altro senza tua saputa; che non bastavi a reprimerlo come tuo pari: o che eri necessitato a soffrire per areme altra cosa più utile. Ma troppo lungo sarebbe il discorso, se numerare volessi tutti i modi delle difese. Coloro che non han discolpa niuna giusta, nè plausibile, pur confessando il delitto, e raccomandandosi, ammolliscono il cuor degli offesi, con allegare il poco giudizio degli anni, la pravità de' tompagnì, la vastità del comando, o la sorte che travia ne calcoli loro tutti i mortali. Or tu se deponi il comando, tu n avrai, lo prometto, amnistia generale de’ mancamenti, e riconciliazione col popolo, decorosa in mezzo de' mali. Ma io temo, che il pericolo siati pretesto non vero a non lasciare il comando ] essendo a mille riuscito di rinunciar la tirannide, nè scontrarne alcun danno da cittadini. Le cagioni non dubbie sono un ambizione vana che cerca le apparenze di una gloria vera, una propensione pe' rei piaceri, quali il vivere concedegli de’ tiranni. Ma se pià che andar dietro alte immagini, e alle ombre degli onori, e de’ piaceri, ne vuoi tu ciò che è solido; rendi alla patria la tua preminenza, ricevi le dignità dagli eguali tuoi, acquistati la emulazione de’ posteri, e lascia loro in luogo del mortala tuo corpo, sempiterna la fama. Questi sono gli onori fondati e veri, questi gt indelebili e cari nè rincrescevoli mai. Pasci V animo ti.'o de’ beni della patria: già non parrai di averglìt.^e dato la menorna parte, liberandola da signoria ce'ti dura. Prendi esempio dagli antenati, considera chs^ niun d’ essi mise affetto ad un potere dispotico ^ nè fu lo schiavo vilissimo de piaceri del corpo ; eppur furono onorati in vita, e morti sono celebrati da posteri ; giacché tutti fan loro testùnoniama, che furon custodi fidissimi delC aristocrazia ^ che Roma fondò, dopo espulsi i monarchi. Non dimenticare i detti ^ non i fatti tuoi gloriosi; perciocché belle pur furono le prime tue mosse nella repubblicUf e pur grandi per la speranza ^ che davano della tua virtù. Deh ! che siano consentanee ancor le altre tue opere. Deh ! ritorna a quella indole tua Jlppio figliuolo : sii nel genio del governo un ottimate, non un tiranno. Fuggi quelli, che adulando, ti parlano, quelli pe' quali, se’ lungi dalle utili istituzioni, errante dal diritto sentiero, già’ wotr È rzRtstitiLE, CHS AtTSt SIA DI SSL HVOrO SXWDUTO BDOIfO, DA CHI già’ FSSSIXO lo RStfDk. Xiy. Quante volte dir ti volli tali cose da solo a solo j per instruirviti dove le ignoravi, o per ammonirtene, dove vi mancavi! Nè già venni, per ciò sola una volta in tua casa, ma i servi tuoi,me ne rimandarono, e con dire, che non avevi tu ozio da inti'attenerd con un tuo congiunto ; ma clu: avevi a fare cose più necessarie ; seppur v è cosa più necessaria della pietà verso i suoi. Forse, i tuoi servi, ciò conoscendo y mi vietarono di per sé stessi t entrata, e non per tuo comando. E ben io vorrei, che così fosse. Certamente questo mi ridusse a parlarti di ciò. che io volea nel Senato, non avendolo mai potuto da solo a solo. Ma .le buone, e le utili cose dovunque, 0 rippùj y son da dire tra gli uomini, piuttosto che 'JaG sempre tacerle. E che io a le rendessi gli ojfizj dovuti alla nostra prosapia ; ne attesto gl' Iddj de' quali noi dell’ Appio sangue veneriamo i templi e gli altari con sagrifiej comuni: ne attesto i genj degli antenati, a’ quali porgiamo del paro gli onori secondi, e li ringraziamenti, dopo de’ numi : e soprattiMo attesto questa terra, la qual tiene nelle sue viscere il padre, ed il fratello mio, che io dedicava a te la vita e la voce per sit^erire il tuo meglio. Pertanto desideroso di rettificare, per quanto io posso, gli sbagli tuoi ti prego a non rimediare male con male } à non perdere le cose tue mentre aspiri ad altre pià gratuli ; e finalmente a non dominare agli eguali e a maggiori, ed essere dominato da' pià vili, c più tristi. Se noti che, volendoti io ra^nar di più cose e più a lungo, non so ridurmici : perocché se Dio ti rivuole a buon senno; sóprawanzano le cose anzidetle: ma seti abhandona al tuo peggio, sarebbero indarno, quante io ne aggiungessi. Eccovi, o padri coscritti, e capi tutti di Poma, il mio sentimento per dar fine alla guerra, ed ordine alla repubblica perturbata.' Se altri tien cose migliori a ridirne ; vincano pure te ottime. Cosi disse Claudio ; assai speranzandosene i paIri, che i Dieci deporrebbero il loro magistrato. Non replicava Appio nulla in contrario ; quando fattosi innanzi Marco Cornelio altro Decemviro disse : Non abbisognano, o Claudio, i tuoi consìgli: su Futile nostro provvederemo noi da noi stessi; perocché tale appunto ò' la nostra olà, da non disconoscere ciò che ne giova, nè scarsi siamo di (uaici, età consultar nel bisogno. Pertanto dispensati da opera intempestiva ; non dare o gran veccJào consigli, ove non se ne richiedono. Che se vuoi di cosa alcuna ammonire t o pià propriamente, inveire su di Appio ; inveisci a tua voglia y ma quando se’ fuor di Senato. Quivi entro però di ciò, che ten pare su la guerra t co’ Sabini, e con gli Equi, circa la quale se’ chiesto del parer tuo ; e cessa da vaniloqui fuori di argomento. Sorse a lai voci Claudio nuovamente tutto mesto, e pieno gli occhi di lagrime, e disse: Appio o padri, Appio, presenti voi, non reputa me, lo suo zio, degno nemmeno di risposta. Egli precludemi, quanto è da esso, il Senato, come già la sua casa. Anzi levami, a dirlo più veramente, dalla città ; perocché non io potrei rimirarvi di buon occhio un indegno degli antentUi, un emulatore de' tiranni. Io dunque raccolti i miei, e le mie cose, vammene tra i Sabini, per abitarvi la città di Jiegillo, dond’ è la oiigine mia, e tenermivi finché questi trionfano nel sì bel magistrato, ma quando ( nè dee molto tardare ) fta di questo decemvirato, ciocché ne antivedo ; allora tra voi mi renderò. Ma ciò basà su me. Quanto alla guerra, e sue cose, consigliavi o padri, che non diate sentenza niuna, finché i nuovi magistrati non si abbiano. Cosi dicendo, e svegliando grandi ap> plausi nel Senato pel maschio e libero suo spirito; sedette. E qi)i rizzandosi in piede Lucio Quinzio Cincinnato, Tito Quinzio Capitolino, Lucio Lucrezio, e lutti i primari 1 senatori, seguirono il parere di Claudio. Comarbatine i coilegbi di Appio; risolverono di non più chiamare, a dir la sua mente, niodo io vista degli anni, e dell’autorità sua nel consigliare; ma solo in vista delia intrinsichezza, e dell’ aderenza con esso loro. E qui procedendo in mezzo, Marco Cornelio fe’ sorgere Lucio, Cornelio il fratello suo, uomo operoso nè infacondo nella ragione politica, e già compagno di consolato a Quinto Fabio Vibulano, mentre Fabio era. • console per -la terza volta. Ora costui sorto disse: Egli r è mirabile, o padri, che uomini di tatua età quanta ne kan quelli li quali hanno prima opinato, e li quali cercano primeggiar nel SeiuUo, portino per gare politiche, un odio implacabile ai capi dello stato, quando dovrebbero, quanto è d'uopo difenderli, animare i giovani a combattere intrepidi per la buona causa, e tener per amici, non, per nimici i sostenitori del pubblico bene. Ma mollo pià mirabile egli è, che trasferiscano là malvolenza privata alle atse della repubblica, e vogliano anzi perir co’ nemici, che con tutti gli amici salvarsi. Eccesso di furore, e direi accecamento divino egli è questo; eppure cosi li capi si comportano del nostro Senato. Sdegnati questi che nel concoirere al decemvirato, che ora accusano, furon vinti da altri che apparvcr pià idonei, fan loro eterna, irreconciliabile guerra: e sì stolida, e sì furiosa ; da ìovesciare da capo a fondo la pàtria, per calunniare presso voi li Decemviri. Vedon essi la nostra regione in preda a nemici : vedono che ornai giungono a Roma, giacché breve è lo spazio che ne li separa ; ed in luogo di esortare, e d’incitare i giovani a combattere per la patria, e di soccorrerla essi stessi con tutta la diligenza, e l’ ordorè, quanto la età loro ne ammette ; vogliono che ora voi provvediate ad ordinare il governo, a creare nuovi magistrati, e far tutto piuttosto-, che conquidere gC inimici : nè san vedere che danno sentenze, anzi che tengono desiderj impossibili. XVII. E certo, fate cosi ragione : il Senato emani il decreto de' comizj : i Decemviri lo riferiscano al popolo, destinando il giorno del terzo mercato dal giorno presente ) perocché -, e come staà mai valido ciocché si vota dal popolo j se non compiasi a norma delle leggi ? Poi quando abbiano le tribà dato il voto, prendano i nuovi magistrati la repubblica, e propongano a voi la guerra perchè ne discutiate. Se in tempo sì grande, quanto ve n ha da ora ai comizj, si avanzino intanto i nemici, e vengano fino alle mura; noi che faremo, o Claudio? Diremo loro: atpettate per Dio, finché ci avrem fatti nuovi magi a straM ? Certo Claudio suggerìvaci a non decretare, a nè riferire mai cosa al popolo, nè scriver le leve, a se prima non siasi deciso come vogliamo su' magia strati. Itene dunque, e quando udirete creati ì cona soli, creati i magistrati, e tutto pronto per le armi a tornate allora per trattare con noi della pace ; giacB cbè voi senza essere offesi da nei d avete i primi a oltraggiato ; e d ricompenserete, secondo la giusti a zia, in danaro i danni delle vostre incursioni : non a però vi conteremo le stragi degli agricoltori, non le a inginrie, e le insolenze sperimentate da femmine in M guuc, nè altro male insanabile . Ed essi li nemici a tal nostro invito useranno moderazione, e lasciato che la repubblica crei li nuovi maestrali, e faccia gli apparecchi di guerra ; tomeran poi portando ùi luogo delle armi, suppliche per la pace ; ed arren dendo a voi sè medesimi. Xyni. O pur stolti coloro d quali van pel pensiero tali delirj ! e milènsi noi se non ci corucciamo con quei che li propongono: anzi sosteniamo di udirli, quasi consultino su nemici, non su la patria e su noi! Che non leviamo di mezzo i cianciatori sì fatti? che non decretiamo sul punto, che marcisi a difendere il territorio, il quale ci si devasta ? che non armiamo quanti vi sono idonei de cittadini ? anzi, che non portiamo le armi contro le città loro ; ma ce ne stiamo qui a bada, ed accusando i Decemviri, ideando nuovi magistrati, e discutendo forme di governo, lasciamo quant' è nelle nostre campagne, come nella pace, esposto al nemico ? Che sì ; che infine, se permetteremo che la guerra giunga alle mura, corriamo noi rischio di essere schiavi, e che ne sia lì orna stessa distrutta. Non sono queste, o padri coscritti, le maniere di uomini sani, non le maniere di una social provvidenza, la quale antepone al ben pubblico gli odj privati ; ma le maniere piuttosto tli una contenzione intempestiva, di un disamar sconsigliato, di una invidia sciaurata, la qual non lascia esser savio chi ne vieti preso. Tacciano per Dio le controversie ; che tenterò di esporre ciò che avete a decretare salutevole per la patria, ed espediente per 1 101, come terribile pe’ nemici. Stabilite ora la guerra co Sabini f e cogli Equi : arrolate diligentissinù e prontissimi le milizie da guidare contro ambedue : e quando la guerra abbia avuto buon, termine, quando siansi in città ricondotte le milizie ^ quando sia già rinata la pace ; allora volgetevi ad ordinare il governo, allora chiedete conto dai dieci delle operazipni loro nel mostrato, allora createvi nuovi magistrati, fondatevi nuovi tribunali ; e quando da voi dipendono queste cariche onoratene i personaggi che ne son degni ; avvertendo, che pud tboppo non seb FONO I TEMPI Alts COSE MA LE COSE AI TEMPI. Spiegatosi Cornelio in questa sentenza vi aderirono, toltine pochi, anche gli altri che dopo lui ragionarono, altri perchè la stimavano necessaria, come -convcnien' lissima a' fatti presenti, ed altri perchè piegavansi e blandivano i Dieci per timore delia loro autorità, la quale avea costernato non picciofa parte de’ padri. XIX. 'Alfine essendosi opinato dalla più parte, e cora parendo quelli che volcano la guerra superiori di numero agli altri ; invitaron tra gli ultimi a dire Lucio Valerio, quello che volea fin da principio proporre la sentenza sua, ma se fu ritardato, come già scrissi. Or costui sorgendo tenne questo ragionamento : Fedele, o padri j C inganno dei Dieci] Non permisero questi che a voi favellassi, com' io volea, nel principio, ed ora tra gli ultimi mel permettono ! quando pendano che io punto non giovi la repubblica, sebbene io segua il partito di Claudio, perchè ben pochi vi si appigliarono. Che se io mi dichiaro per altro consigilo, sia quanto si vuole bonissimo, ne sarò vanissimo difensore ove io contraddica gli espósti da loro. Annoverar si possono facilmente quei che dopo me sorgeranno per dire : e quando pure consentano tutti con me, che può mai risultarmene, non facendo essi nemmen picciola parte rimpetto ai fautori di Cornelio ? Ma sebbene io ciò veda ; pur non dubito dire il mio sentimento: a voi si spetta, quando udito lo avrete, di volgervi al meglio. Quanto al Decemvirato, e le cure sue del ben pubblico^ concepite che io ven dica le cose tutte, che il prestantissimo Claudio ven diceva : e che debbesi far nuovi magistrati prima che votisi per la guerra, giacché pur questo chiedea con purissimo 'fine quel valentuomo. Tentò Cornelio mostrarvi impossibili i cos/.ui su^erimenli, pretestando il gran tempo che abbisognavi per le civili r forme, quando la guerra ne ò sopra. Egli mise in burla, cose niente burlevoli, e con ciò commosse, ed ebbe molti di voi: ma io, fofò vedervi, che non è impossibile, no, la sentenza di Claudio ; come niuno di quanti la derisero osò dirla nocevole : e vi mostrerò come salvisi il territorio,' e puniscasi chi temerario danneggialo : come ristabiliscasi intanto il comando, che era qui degli ottimati; e come tutto si compia, cooperandovi i cittadini, senza che niuno tenti il contrario. Nè sarà già questa una mia saviezza ; ma io non vi addurrò se non gli esempli di cose operate da voi; imperocché qual luogo hanno tnai gli argomenti dove la sperienza stessa ne ammaestra su ciò che giova ? Fi ricorda che i popbli stessi che ora le manti a/w, spedirono ancora milizie in un tempo stesso, già è r mino nono o decimo^ su le terre nostre e de^ gli alleati, sotto i consoli Cajo Nauzio, e Lucio A/i maio F Foi mandando allora molta florida gioventà contro i due popoli ; f uno de' consoli ridotto a triocerarsi in luoghi disastrosi, non potè far nulla, anzi videsi assediato nel >suo campo medesimo, e, sul rischio di esservi preso per la penuria de' viveri. Nauzio poi contrapposto a' Sabini, impegnato da battaglie continue, non potea nemmeno accorrere verso i suoi che pericolavano : non ignoravasi che se periva V esercito contro degli Equi, non avrebbe nemmeno potuto resistere V altro contro de’ Sabini, riunendosi insieme i nemici. E fra tanti pericoli intorno della città, mentre nemmen ci avea nelC interno suo la concordia, qual rimedio voi ritrovaste ? Congregativi su la mezza notte in Senato ( lo. che giovò sicuramente ogni cosa, e dirizzò la patria che rovinava ornai miseramente ), creaste un magistrato solo, arbitro della guerra e della pace, sospendendo tutti gli altri ; e prima che fosse giorno, ebbesi un dittatore neir ottimo Lucio Quinzio, sebbene si trovasse allora non in città, ma in campagna. Foi ben sapete le imprese operate dipoi dal valentuomo, come apprestò forze idonee, liberò V armata che pericolava, e punì gV inimici, pigliandone fino il duce prigioniero. E fatto ciò con soli quattordici giorni, e riparlato quan^ altro pur v era di male nella repubblica, depose il comando. Così niente impedì, volendolo voi che si creasse il imovo magistrato, solamente in un giorno ; e così dovete > credo, imitarne V esempio, e scegliere, poiché altro non potete, un dittatore, prima che di quivi usciate. Se trapassiam questo tempo, i Dièci non pià vi aduneranno per consultazione alcuna. E perchè sia il dittatore nominato legittimamente eleggete un interré nel pià idoneo de cittadini; come solcasi fare quando i re mancavano, o li con. soli, nò si aveano affatto, come ora non le avete, legittime autorità. Spirato che fosse per questi il tempo del comarulo ; la le^e a sé ne richiamava i poteri. Or questo o padri, che è sì fattibile ed utile, è ciò che vi eswlo di fare. La opinion di Cornelio porta la dissoluzion manifesta del comando degli ottimati ; imperocché se i Dieci divengano una volta padroni delle arme per tale occasione di guerra ; temo che. valercnisene contro di noi. (^uei che non voglion deporre i fasci, depotranno essi mai le armi f Considerate ciò : "'guardatevi da tali uomini ; provvedete contro tutti gC inganni ; poiché vai meglio provveder che pentirsi; cotne é cosa pià savia discredere gli empj ; che, credutili, accusarli. Piacque il dir di Valerio ai più come potè rilevarsi dalle voci loro e da quelli che sorsero dopo di lui ; perciocché doveano opinare ancora i giovani, e questi, eccetto pochi, lenean per bonissitno,quel consiglio. Cosi quando tutti ebbero opinato, e le deliberazioni aver dovevano un termine ; Valerio chiese che i decemviri proponessero la ritrattazion dei pareri, c che di nnovo s invitassero a dire tutti i senatori ; c persuase ciò fàcilmente, volendo molti di loro cangiar eli partito. Cornelio che avea consigliato che si desse a decemviri il tornando deHa guerra, opponeasi potentissimamente; dicendo esser questo un affare già discusso, e portato giurìdicamente al suo fine col voto di tutti : pertanto si annoverassero i voti nè cosa ninna si rìnovasse. Alternavansi tali detti ostinatamente a gran voce da ambe le parti, essendone scisso il Senato; perocché tutti quelli che voleano riformato il disordiu civile, favorivan Valerio ; ma peroravano per Cornelio quanti preferivano il peggio, e temeano de’ perìcoli da un cambiamento. I decemviri presa occasione di fare a lor modo per la turbolenza del Senato, si -attennero al parer di Cornelio. Ed Appio, quell’ uno di essi, re. catosi in mezzo disse : JVoi v abbiamo qua convocati o padri perchè deliberaste su la guerra cogli Equi e co’ Sabini, e per questo abbiam /alto che interloquissero quanti il volevano ^ chiamando voi tutti dal primo aia ultimo, ciascuno ordinatamente, al suo tempo. I tre uomini • Claudio, Cornelio, e Valerio in fine, ne diedero tre pareri ; e voi tutti, quanti altri qui restavate, li ponderaste : e ciascuno, udendolo tutti, espose il partito al qual si appigliava Tutto fu a norma delie leggi : ed essendo ai pià di voi parato che Cornelio abbia presentata la sentenza mi^ gliore ; dichiariamo che questa prepondefa ; e scritta Ut pubblicfdamo. f^alerio e ti' suoi partitoni, annullino se vogliono, ma quando sian consoli, i giudizj già finiti : ed invalidino le sentenze già firmale da tutti. E' cosi dicendo, c comandando che io scriba legesse 3 decreto del Senato, col quale ordinava che i dieci làcesser la leva delle milizie, e ammiuistrasser la guerra ; sciolse 1’ adunanza. Quei della panie decemvirale ne andavano dopo ciò superbi e gonfi, come vincitori, e come riusciti con esser gli arbitri delie arme, nell’ intento, che non si abolisse il loro comando. Per contrario quelli che aveano voluto il bene della repubblica suvansi timidi e mesti; come se non più ne sarebbero gli arbitri in maneggio ninno. Dond’ è che si divisero con risoluzioni diverse ; riducendosi i meno ' generosi per indcde a concedere tutto ai vincitori, e consociarvisi ; laddove i men paventosi teneansi in placida vita lontani dalie pubbliche cure ; e li più eccelsi di spìrito faceansi ua seguito proprio, intenti a difènder sestessi, e trasmutare il governo. Capi di queste unioni erano Lucio Valerio e Marco Orazio, que’ dessi appunto che intrepidi, proposero i primi al Senato di ritogliersi al decemvirato : e questi custodivano la propria casa colle armi, e sestessi con valida guardia di 'clienti e .di servi per non patir violenza, e non mostrar di temerla insidiosa o palese. Quelli che non voleano in Roma part^giar coi più forti, nè brigarvisi in cure pubbliche, nè giudicavano intanto ben fatto di starvi in ozio indolente ; ne uscivano,. parendo loro cosa non facile di vincere i dieci colle arme, anzi impossibile di abbatterne la grande potenza ; ed era lor condottiero 1’ insignissimo uomo Ca)o Claudio, lo zio di Appio Clandio capo decemviro^ il quale adempiva le promesse fatte in Senato al figlio del fratello quando stimolavalo a deporre 3 comando. xr., 337 ne T Io indusse . Lui seguivano torbe di amici e clienti; ma, datovi da esso il principio, abbandonarono la patria ancor altri colle mogli e co’ Ggli, non già di nascosto ed in pochi; ma a moltitudini ed in pubblico. Altronde i compagni di Appio indispettiti del fatto si misero ad impedirlo, cbiudendo le porte, e ritraendone alquanti de’ profughi. Ma poi venuti in paura, che gli impediti si rivolgessero alla forza, e considerando più rettamente come era meglio che uscissero che rimanessero, nemici loro, a conturbarli; spalancarono le porte, e lasciarono andarne quanti mai vollero; incolpatili però come disertori, ne invasero le case, i poderi, ed ogni cosa non potata portar via per l’esilio, apparentemente a conto del fisco, ma in sostanza beneficandone i loro fautori, quasi comperata l’avessero. Or tali imputazioni date a’ primarj esasperarono più ancora i patrizj e i plebei contro ai decemviri. Nondimeno se qiiesti non aggiungevano novi errori ai già detti; parmi che avrebbero tenuto ancora lungo tempo il comando. Imperocché stavasi ancora in città la sedizione, mallevadrice del poter loro, cresciuta da tanto tempo, e per tante cagioni : le quali facevano esultare a vicenda gli uni pei mali degli altri ; li plebei perchè vedevano, mancato il cuor ne’ patrizj, e nel Senato ogni arbitrio su la repubblica; e li patrizj, perchè vedevano il popolo ridotto in tutto senza libertà e senza forze, fin d’ allora che i dieci gli tolsero l’autorità de’ tribuni. Ma perciocché tali decemviri nè moderali in campo, nè prudenti ìu Roma, Vedi S i5 di questo libro. 4 v ptONlGl > ITI’, la iasistevaDO con assai durezza centra l'uno e Tallro par ti(o, lo astrinsero infine a riunirsi, e deporli colle arme stesse, avute per la guerra. Tali poi furono gli ulllmi delitti pe’ quali svergognato il popolo, ne infuriò. Dopo che ebbero stabilito .in Senato il de creio per la guerra ; descrissero in fretta le milizie, e divisele in tre parti, ne serbarono due legioni per guar dia deir interno della città. Piesedeva a queste due Ap pio Claudio il capo decemviro insieme uon^ Spurio Op pio. Intanto Quinto Fabio, Quinto Poeteiio e Manio Rabuleio nè andarono con tre legiodi contro de' Sabini: partirono con altre cinque per la guerra .contro degli Equi Marco Cornelio, Lucio Minucio, Marco Sergio, Tito Antonio, e Cesone Duvilio finalmente. Militarono con essi le truppe latine, e di altri alleati, non meno numerose delle romane. Ma con tantb milizie urbane, con tante ausiliarie, niente riuscì loro secondo il disegno. Imperocché li nem'tci spregiandoli come nuove re clute, si accamparono vicinissimi a loro; e ne invadevano i viveri che erano ad èssi portati, insidiando le strade, e gli assalivano mentre uscivano ai pascoli. E se mai venivano ordinati alle mani, cavalieri con cavalieri, e fanti con fami; riuscivano da per tutto vincitori i nemici ; perocché non pochi Romani mandavano alla peggio ogni cosa, indocili al capitano, come restii per combattere. Quelli che erano tra’ Sabini, renduti sav) da mali minori, deliberarono da seslessi di abbandonare il campo: e levandosene circa la mezza notte ripassarono con una ritirata, simile ad una fuga, dal territorio nemico nel proprio; fino a Crustumero, città nou lontana Digitized by Google tiBno jfi. 339 da Roma. Gli altri che. teneano il campo nell’ Algido della regione degli Equi, ne riceverono ancor essi non poebe^ percosse. Ma ostinandosi incontro a’ pericoli, quasi a riaversi' dalie perdite, incorsero in danni lagrimevoli. Imperocché spintisi i nemici su loro, cacciarono quelli che erano in guardia degli steccati; e salite le trincee, occuparono il campo, e vi uccisero i pochi che resistevano, uccidendone anche più nell’ inseguirli. Quelli che scamparono colla fhga, feriti in gran parte, e quasi tutti privi di arme, ripararonsi al Tuscolo. Del resto tende, giumenti, danari, schiavi e tutti gli altri apparecchi furono preda ai nemici. Saputasene in Roipa la nuova i nemici del decemvirato, quelli ancora che ne occultavano 1 odio, si dichiararono, esultando su la rea condotta de’ capitani. E già grande era Ja moltitudine presso di Orazio e di Valerio, capi, come fu detto, de' crocchi aristocratici. XXIV. Appio e Spurio somministrarono a quelli che comandavano in campo arme, danari, grano, ed ogni bisogno, pigliandone superbissimamente da’ privati e dai pubblico: e reclutando dalle tribù tutti gl’idonei a combattere ; gl’' inviarono loro in supplemento de’ morti, e delle schiere. Invigilarono diligentissimi su Roma, presidiandovi i luoghi più acconci; talché il seguito di Valerio non fosse occulto nel sommoversi. Commisero per vie sécretissime ai capi dell’esercito di sterminare i loro contrari, in occulto se riguardevoli, ma palesemente se ignobili, sempre però con qualche pretesta, perchè paressero giustamente levati. Altri mandati da essi a foraggiare, altri a proteggere i trasporti de’ viveri ; ed altri ad altre belliche incombenEe lisciti dagli alloggiamenti, non furono mai più vedùti in alcun luogo. Ma li più ignobili accusati _ di aver dato princi'pio alla fuga, o portato secreto notizie ài nemico, o non mantenuto r ordine, erano in pubblico trucidati per ispavento comune. Così le milizie erano in due modi disfatte : le fautrici del -decemvirato pe’ cimenti col nemico, e pei capitani le altre che ridesideravano jl governo degli ottimati. Appio co’ suoi commetteva in città delitti consimili e non pochi : la plebe tenne picciolo conto di alcuni estinti quantunque fossero molti di numel-o : ma la morte barbara, ingiusta di uno de’ plebei più cospicui, celeberrimo per le belle virtù sue nel combattere, operata nell’ accampamento ov’ erano i tre capitani, decise quanti vi erano alla ribellione. Sicciu fu I’ ucciso, quegli che avea combattuto le cento v^nti battaglie, raccogliendone sempre' il premio de’ prodi, quegli che disobbligato già per gli anni dal > guerreggiàre, si diè spontaneo per 'la guerra,con gli Equi menandovi per r amor che gli avcano, altri ottocento, già liberi ancor essi a norma delle leggi da’ servigj militari : quegli che spedito dall’ uno de’ consoli contro le. trincee nemiche a rovina come parea manifesta; pur le invase, e preparò pienissima la vittoria pe’ consoli. Or quest’ uomo, cercando Appio co’ suoi di levarsel d’intorno, perchè avea molto parlato in città contro i duci del campo come codardi e imperiti io trassero a discorsi amichevoli, lo invitarono a deliberare con essi intorno le cose del campo, e dire come fossero da emendare gli errori de’ capitani i e Io indussero infine ad andare in forma di legato all’ armata di Crustumero. È tra’ Romani il legalo onoratissima e santa rappresentanza, con l’ autorità de’ comandanti, e con la riverenza e la inviolabilità de’ sacerdoti. Lo accolsero al giunger suo con benevolenza i duci, e lo stimolarono affinchè stesse e comandasse con essi ; anticipandogli de’ doni, e promettendogliene ancora. L’uom d'arme, tutto ingenuo in seslesso, deluso dai scellerati, come lui che non capiva i presti gj delle parole, e quanto erano ingannevoli ; suggerì loro le cose che utili riputava, e soprattutto che trasferissero il campo dal territorio proprio a quello de’ nemici ; additando i mali che ivi soffrivano, c rilevando i beni che da tale passaggio nascerebbero. Fingeano que’duci udirne con diletto gli ammpnimenti : Adunque che non ti. fai tu duce, gli dissero, di questo transito, preeleggendone il sito opportuno, tu si perito do' f ioghi por le tante tufi spedizioni ? Noi ti daremo schiera eletta di uomini, espediti per armamento leggiero. Avrai tu cavallo come alT età tua si com’iene, ed armatura degita. dei tuoi pari. Tenne Siccio l’invito, e chiese cento uomini scelti. Quegli, essendo ancor notte, spediscono lui senza indugio, c con lui cento i più baldanzosi de’ loto fautori, istrutti, e mossi ad ucciderlo con lusinga ahiplissima di ricompense. Or questi giunti, ornai ben, lungi dal campo, in luogo montuoso, angusto, e difficile di ascenderlo a cavallo, se non di passo, ordinaronsi, datone il segno, in maniera da serrarsi in folla su lui. Un tale, sostenitore e servo di Siccio, valoroso tra le 34 a, arme, indovinando il cor loro, diedene cenho al padrone. Il quale vedutosi in tanto disagio di sito da noa potervi nemmen slanciar con forza il cavallo', ne salta, e postosi coir unico sostenitore suo in una balza per non esservi circondato, aspetta che ve lo assalgano. Or tutti ( ed erano molti ) assalendovelo ; ne uccide intorno a quindici, feritone il doppio : e parca, se lo assaliva da presso, che avrebbe, combattendo, straziato ancor gli altri. Ma questi, conceputolo per invincibile, e come non era dà prenderlo a corpo a corpo ; non vennero in tal modo alle mani: ma tenendosi lontani da lui; lo fulminarono con dardi, sassi, e legni. Ed altri avanzandosi di fianco in &ul motttc, e riuscendogli a tergo, rotolavano dall’ alto macigni stragrandi : talché per la moltitudine de’ dardi lanciatigli conira, e per la enormità de’ sassi che cade.mu romorosi dall’ alto, lo oppressero in 'fine: e questo fu il termine incontrato da Siccio. Tornaitono gli uccisori co’ feriti nel campo, e vi pubblicarono che una insidia ióiprovvisa di nenrici avea spento Siccio, e gli altri, che assalirono i primi, e che essi he erano a stento scampati, ricevutine molle ferite. Pareano questi dir vero ; non però si giaeque occulta la loro per6dia : ma sebbene avvenisse 1’ eccidio in luoghi deserti e senza testiinonj ; i fati stessi e la giustìzia che invigila le cose umane, lo diedero a conoscere per segni indubitati -. Imperocché quei del campo riputando 1’ uom forte degno di pubblica sepol A quella icotenza somiglia quella lauto vera di Arioslo can. 6 e tanto poco tenuta in peotieio dagli nomini. tara. e di onori distinti rispetto degli altri, per più cause, e' principalmente pel carattere suo di legato, e per cbè libero già da’ servigj militari, eravisi cimentata di nuovo per util comune; decisero di unirsi dal complesso di tre legioni e di uscjre cosi per investigarne il cadavere, onde riportarselo con pieno decoro e sicurezza. Concederono questo i capitani per non dare sospetto alcuno delle insidie : e prese le arme uscirono intenti all’^opcra bella e degna. Giunti al sito e vistovi non selve, non valli, non luoghi consueti per le insidie, ma una balta tuttar nuda ed aperta,.ed angusta a passarla; sospettaron bentosto ciocch’era. Avvicinatisi quindi ai cadaveri % mirato Siccio e gli altri derelitti, ma senza essere spqgliati; si meravigliarono che-i nemici, vincendo, non avessero levate loro non le vesti, nè le anni. E specolando ihtoroo ogni cosa, nè trovando vcstigia di cavalli o di uomini se non le impresse nel sentiero; tennero per impossibile che i nemici fossero su loro venuti improvvisi, quasi uccelli., o uomini discesi dal cielo. Ma, più che questi e simili indi^, il non trovarsi ivi cadaveri, di avversar) fu. loro argomento evidentissimo, che gli amici ne erano stati gii uccisori e non i nemici. Imperocché non parea loro che Siccio, e quel Miscr chi maV oprando si confida, Che ngnor star debba il maleficio occulto ; Che quando ogn’ altro taccia intorno grida V aria e la terra ittetsa in che-d tepultq^ . E Dio fa spesso che 'I peccato guida Il peccator, poi cV alcun di gli ha indultoChe" si medesmo, seni' altrui richiesta JnavOedutamstnle mastifesla. ^44 nF.LT,E sosteuitore suo, e gli altri, che seco perìroofi, sarebbero morti inulti, specialmente se venuta si fosse, quanto si può, (la vicino alle mani. Rac(:olsero. ciò ancora dalle ferite : perocché Siccio, come quel suo, sostenitore, ne avea molte per colpi di sassi o di strali e di spade ; laddove gli uccisi da loro avean colpi di spade si, non di sassi, o di strali e di saette. Adunque .ne sorse indignazione, e claipore, e lutto. Alfine compianta la disgrazia ; raccolsero e portarono il cadavere ai campo : e là gridarono altamente contro de’ capuani, esigendo allora allora secondo la legge militare la morte degli uccisori ; o che sen fidasse almeno il giudizio ; e già molti erano pèr,farvisi accusatori. Ma conciossiaché non davano loro udienza, e nascondeano gli uccisori, e^ne differivano il giudizio, con dire che in Roma darebr bero a chi la volea la podestà di accusarli ; ben vtdesi che la trama era de’ (ùpitani. Adunque portarono (xm magnifica pompa Siccio al sepolcro, alzandogli una pira meravigliosa, e tributandogli secondo il loro potere altre primizie che la legge concede negli onori estremi dei valentuomini. Alienaronsi allora tutti dal decemvirato; e pensarono come liberarsene. Cosi l’ esercito presso Chistumero r Fideue era nimico a’ suoi capi per la morte di Siccio legato. L' esercito acc;impato nell’ Algido della regione degli Equi, e la molutudiiie in Roma crasi per tali cagioni esacerbata tutta con essi. Lucio Verginio un plebeo, non secondo a niuuo nella milizia, starasi capo di una centuria nelle cinque legioni, belligeranti con gli Equi. Avea costui per avventura una figlia vaghissima fra ratte le donzelle romane. Ella portava il nome del padre, ed avealasi pattuita in isposa Lucio Icilio, uomo tribunizio, qome 6glio di quell’ Icilio che primo fe’ stabilire, e primo assunse T autorità di tribuno. Appio Claudio il capo decemviro vista la verginella che leggeva in una scuola ( stavansi allora le scuole pe’ giovinetti intorno del Foro) bentosto ne fu preso dalla. bellezza ; anzi vinto dalla passione era così tòlto a sestes-^ so, che non potea non passare più volte intorno della scuola. Or non potendo torlasi sposa come già sacra ad altri, anzi perchè egli avea pur moglie, e perchè non istavagli bene donna plebea di lignaggio contro il suo grado e la legge scrìtta da lui nelle dodCci tavole ; su le prime tentò corrompere co’ danari la giovinetta. Egli mandava ad pra ad ora delle donne con doni e promesse maggiori' alle nudrici di essa, orfana già della madre ^ avea però comandate le donne che tentavano le nudrici a non dire chi fosse l’amante della fanciulla, ma solo eh’ egli erg un tale che potea, volendo, -beneficare e nuocere. Non potendo però^ guadagnarle, anzi vrt.duta la donzella guardata più che prima, si mise, caldissimo che ne era d’ amore, a camminare altra via con meno ancora di sénno. Fattosi chiamare Marco Claudio, r uno de’ suoi clienti, uomo ardito e pronto ad ogni servigio, gli additò la Gamma sua : e prescrit(t) Forse nipote’, perchfc dalla islitusione del tribonato all' anso prescote decorsero 45 aooi. Pertanto Lucio Icilio di cui qui ai ragiona o era nipote ni, Icilio Ruga, o coOTÌen dire che di molto eccedesse gli anni di Virginia destinatagli sposa ; seppure non voglia dirsi che Icilio Ruga generasse beo tardi quel figlio. > togli cioccliè volea che facesse, e dicesse ; lo spedi con allato uomini impudentissimi. Costui recatosi alla stuoia, vi tolse la vergine, b volea recarsela palesemente pel Ford. Impedito però dai clamori e dal grande oucorso, di recarsela dove avea stabilito; venne al magistrato. Sedessi allora nel tribunale Appio' solo, rendendo risposte e r&gioni a chi ne chiedeva. Or volendo colui dire, sòrsene rumore e sdegno tra circostanti, i quali tutti reclamavano, perché si aspettasse 6nchè venissero i parenti della fanciulla ; ed Appio ordinò che in tal modo appunto si facesse. Passato appena picciolo tempo; ecco presentarsi 'Publio Numitore nomo insigne tra i plebei, zio materno di lei, con, seguito di molti amici e parenti; e dopo non molto ecco giungere con numero poderoso di giovani plebei Lucio Icilio, quegli che per le promesse dèi padre aver dovea la donzella in isposa. E questi, tutto sospeso ed ansio nel respiro, avanzandosi al tribunale, addimandò chi osato avesse toccare la giovine' cittadina, g (die mai ne pretendesse. Fattosi intanto silenzio. Marco Claudio, quegli appunto che avessi preso la donzella, così ragion:^; O j^ppio Claudio, niente ho io fatto di temerario, niente di violento contro la fanciulla. Signore, come io tono di lei, secondo le leggi me la conduco. Or odi comi ella siasi la mia. Ho io una tal serva paterna che ministrami già da tempo lunghissimo. Or questa, familiare che ne era, usava di andare alla mo"liè di f^érginio; e la moglie di Ferginio persuase lei gravida a concederle, quando che fosse, il frutto del suo ventre. La donna, partoiita una figlia, ( ed era questa ) serlà le promesse ; e àiedela a Numitoria, con fingere presso noi che uscita fosse la di lei prole già morta. Numitorià tuttoché madre non fosse di fanciulli o fanciulle, la pigliò, la fé' sua, la nudrì, senza che io sapessi nel principio la vicenda.' Or la so per indizj di molti e buoni testimonj : io ho fatto t esame di quella serva, e ricorro alla legge comune per tutti ha quale vuole che sia la prole non di chi la impostura per sua, ma di chi 1’ ha gene rata ; e che libera sia se nata di libera, e serva, se nata di serva, de’ padroni stessi delle madri u. Su questa legge esigo di riportarmi la figlia della mia serva, pronto a subirne il giudizio: Che se alcuno la reclama per sua, dia certi mallevadori di riprodurla in giudizio : ma se anzi vuole chi^ ora qui sen tratti la causa io lo secondo, voglioso c^e si espedisca anzi che si procrastini, e che io mi assicuri con mallevadoii la vergine. Scelgano qual più vogliono di questi partiti. Claudio cosi disse aggiungendo vive preghiere di non essere considerato meno de’‘suoi competitori per amici, e torlasi a forza quando glie la ripresent'avano per la sentenza. E perchè 11 giudizio fosse con buona forma, sul pretesto che il padre di lèi non erasi presentato ; diè lettere a cavalieri fedelissimi, e li spedi nel campo ad Antonio, cdroandante della legione ov’ era Verglnio, con ordine che ritenesse quest’ uomo cautissima mente, talché udite le vicende della figlia, da fui non s’ involasse. Ma Io prejr vennero, attinenti che erano alla donzella, il figlio di Numitorio, cd il fratello d’ Icilio, spediti avanti, sul nascere appena della sommossa. Giovani pieni di coraggio fornirono prima il vaggio sferzando i cavalli ed abbaudonando loro le redini j e _ narrarono a Vergitiio l’evento. E Verginio, ^cimane ad ^Antonio la cagione vera, e fintogli di aver udita la morte di un suo pa rente di' cui doveasi fare il trasporto, e la sepoltura secondo la legge, ebbe il congedo. E presso 1' ora in cbe accendonii i lumi ; se ne andò con que’ giovini, ma per altra via, temendo, come avvenne, di essere inseguito da quei del campo e della città; perocché Antonio, ricevuta la lettera circa la prima vigilia, spedi contr esso una banda di cavalieri, mentre un’altra spe dita da Roma guardò per' tutta la notte la strada che vi conduceva dal campo. Ma non si tosto un tale ridisse ad Appio che Yerginio era l’unto contro la espettazione; egli, uscito di' senno, ne andò con gran seguilo al tribunale, e fece che a lui si chiamassero i congiunti della donzella. Venuti' questi, Claudio ripetè lo stesso discorso, e dimandò cbe Appio senza indugio decidesse l’affare; dicendo esser pronto chi lo esponeva, e chi lo attestava, fin la serva, madre vera della fanciulla. Simulava in tutti questi atti. che assai si sdegnerebbe, se esso per essere cliente di lui non ottenea come prima la giustizia egualmente che gli altri ; e dimandava che ajutasse chi dicea cose più vere, non chi più lamentevoli. Il padre della donzella e gli altri patenti escludcano la supposizione del parto con molti argomenti giusti e veri, per esempio che non ebbe cagion plausibile di farla la sorella di Numitorio c moglie di Verginio maritatasi vergine ad utl giovine la quale partorì tra non molto : appresso perchè sebbene voluto avesse iotradere in sua casa un 6glio altrui ; v’ avrebbe intruso non il figlio di, una donna schiava, ma quello di una ingenua, amica o parente sua, onde ritener fedelmente e stabilmente ciocché TÌce'’eaiée : ed arbitra in tutto di Scersela Come volea, scelta s’ avrebbe la prole non femipea, ma > vivile} imperocché la donna che partorisce, vinta dall' aderenza pe’ 6gli che partorisce, ama e nudre ciocché la ‘natura le porge: laddove, la donna che imposturasi un 6g)fO sei' cerca del > sesso migliore, non del più ignobile. Contro lui poi che dava .l’ indizio,'e .contro i molti tesu'monjedibili da Claudio come degni di fede. allegavano cagioni tratte dal verisimile : vuol dire che Numitoria non avrebbe operalo imai palesemente e presenti molti ingenui tekùmònj tur fatto che abbisognava di silenzio, e che -pbtea' fornirsi col ministero di un solo ; e c|ò perché la prole edncatà non fosse col tempo ritolta dai padroni delia madre. Agginngeano che la dilazione non picoiola' era segno evidente che il calunniatore non prolTeriva niente di vero: perocché colui che dié l’ indiziò 'della supposlzioue e gli altri che la cooteslano -l’avrebbero molto 'iuoansi svelata, non tenuta Segretissima per quindi^, anni. Frattanto redarguivano le pròve degli accusatori, come non vere 'né credibili, e chiedeano che si paragoudssero colle altre loro, nominando molte doqpe non ignobili le quali dicevano aver veduta Numitoria gravida cOn pienezza di utero. Olirà queste ne additavano altre che in fom del parentado venute pel parto o per la pimrpera aveano mirato k prole, ed iuasievano perché s’ iuViomci terrogassero. Era poi di siderando queste e simili cose, e fra lóro discorrendole, ne piangevano. Appjo altronde, come non cauto, per matura, e corrotto dalia grandezto del potere, invanito di sestcsso, e caldo ' di amore nelle viscere, non ohe attendere al parlare dei difensori, e commoversi alle lagrime della vergine, adiravasi per la compassione che di -lèi' Sentivano >i circostanti (Juasi di compassitme egli fosse più degno, e patisse mali più grandi, ridotto prigioniero dì quella bellezza. Da tali cause infuriato ardi fin di 'fare' impudenti discorsi (pe’ quali, coloro che già ne sospettavano,' foron -chiari, 'che sua era 1 impostura contro la donzella ) > e compiere infine la barbara c tirannica azione. Àncora parlavano, quando egli iuUqoò sUeniiio ; e. feoesi. jbtanlò la moilitudine che era nel Foro, ^ntenendo lo adegno si spinge innanzi per desiderio d’ intendere ciocché direbbe ; ed esso volgeo'. dosi qua c là per numerare col guardo i crocchi degli amici co quali avea p|:ima occupato il Foro cosi favellò: O Verginio j o voi qui presenti con, esso f fiqn io sento ora la prima voltd un tal fatto, ma lo sentii prima ancora di giutfgere a questo magistrato. Or udite ; Come ' lo sentàsL 11 padre di questo Marco Claudio ornai. spiratido la fitfl y pregavnmi die io prendessi la tutela del figlio lascialo da lui piccélo ; giqcchò essi fin. dagli antichi loro son . clienti della ìiostra famiglifc. Or mentre io rn era il tutore di esso udii della donzella e .come Numitoria sala suppone; prendendola dalla sert>à di Claudio: ed esaminatala; trovai che appupto cosi pava •' dettai c, giudico esser Claudio padrone della serva. Udito ciò, quanti ivi erano fiomlni iniegrì, sostenitori di que’ che dicevano il giusto, levarono le mani al cielo, con “"un grido misto d’ indignazione, e di pianto : per 1’ opposlto i partigiani de’ Decemviri, mandavano voci atte ' a confortarli ed animarli. Irritatasi però l’adubanza, e riempiuta di ogni guisa di afTetti, e discorri ; Appio intimo silenzio, e disse : O tutbolenti, o inutìii a tutto nella guerra e nella pace !• se non cessale di sonunover la' patria, e di controporvici ; farete alfin senno per forza. Non pensate, jche abbiamo noi messo un presidio nel Campidoglio, e nella fortezza soltanto contro i nemici di fuori, e che lascèremb poi fare quei iT entro, i quali sconciano ih Roma, ogni cosa. 'Prendete consiglio migliore ^ thè non avete o. voi tutti a quali non spetta C affare ; andatene per le cose vostre in buon ora. £ tu Claudio recati ria pel toro ' la donzella : non temere ; giacche i dodici miei Colle scuri ti saran guardia. A ul dire gli altri ululando, battendosi la froòte, nè potendo raffrenare le lagrime, partirono dal Foro; e Claudio succò via la donzella, che stringeva, che baciava il padre suo, e con voci affettuosissime lo invocava. Fra tanti mali, Yerginio si mise in pensiero un’ azione, amara, addolorevole ad un padre, ma degna di ud nomo liberò, -di un Uomo generoso. Egli intercedette di salutare ancora una volta la 6glia, e di parlare a lei le cose, che volea da solo a solo ; prima che dal Foro la involassero. Condiscesone dal capitano, e ritiratisene alquanto i satelliti, abbraccia la figlia che sviene, che abbandonasi ; e cosi la sostiene, richiamandola, baciandola', rasciugandola dalle lagnile, che la inondavano. Poi^ trattala seco un poco, non si tosto fu presso la officina di un niacellajo, rapiscene di su dal banco la coltella, ed immersela nelle viscere della figlia gridando: Figlia (i mando Ubera e casta ai nostri sotterra: per colpa del tìrarmo già ntm potevi tu viva serbare questi pregi.. SóHevatisi intanto de' clamóri ; tenendo in pugno il ferro insanguinato, egli stesso grondante del sangue, sebitaato su lui, nell’ uccidere della figlia, corse furibondo, peó la città, reclamandovi la libertà ; de cittadini. Passate a fona le porte, àìcese il cavallo, ebe tenessi per Ini' preparatp, e rivelò nel campo, riaccompagnatovi dà Icilio, e da' Knmitórlo, i giovanetti ebe ne 1 cavarono. Teneano loc' dietro anche altri plebei non pochi, Jn numero quasi di ^attro. cento. j ' ;Appio al caso della ^giovinetta,. levatosi da sedere, si slanciò cpme per inseguire Verginio, dicendo, e facendo cose non degne : ma eiroondandolo, e pressandolo gli, amici a non traviare, si ritirò, pieno di rabbia su tutti : quando ornai -presso della sua casa udì da taluni de' suoi fautori, che Icilio il .suocero, e Nut raitore lo zio, ridottici con altri amici, e congiunti intorno al cadavere, gridavano conteaIni an colpe no> te, e non note concitando tutti a rendersene liberi una volta. Colui spedì per la rabbia che ne' ebbe, alcuni de’ littori, -con ordine d’ imprigionare i maledici, e di levare dal Foro il cadavere; opera, insana in v?ro, sconvenientissima al tempo. Imperocché mentre doveacarezzar la moltitudine incollerita giusUmente, e-jóedere in principio al tempo, e poi rdifendersi, pregare, beneficare onde’ riconciliarsela ; egli 'corso Alla violenza, ridusse tutti. a disperarsi. Pertanto non permisero che gl’ inviati levassero la estinta, o' portassero alcuno nella carcere : ma gridando, ed animandosi gli uni gli altri ; cacciarono dai Foro coll’impeto, e oolle percosse i mi'nistri della violenza. Talché Appio, ciò udendo, fu costretto dì recarsi con molte partigiani e clienti nel F oro, e comandare 'che battessero, e sbandissero, chi v era, ne’ capi delle vie. Orazio e Valerio, duci come ho detto degli altri a riprendere la libeiné, sentito il disegno dell’ uscir di colpi, menarono' con sé molti bravi giovani, e si' misero dinanzi k estinta. E qpando ebbero più \icini {'compagni di ‘Appio, prima inveirono, (jnanto poterono, su loro cOn -clamori .ed ingiurie ; é quindi, pareggiando ai detti le opere, ferirono e rovesciaronoquanti osarono lanciarsi su lOro. Appio mal .sofferendo l’ostacolo impreveduto, nè trovando come trattare tali nomini \ risolvette di correre Una viaria più rOvinOk. Impéròccbè portatosi al tempio di Vulcano ; invitavi a parlamento la ' plebe, quasi' benevola ancora verso di esso: e prendevi ad accasare la inginslizia, t la dnsojenza di tali uomini, lusingandosi per l’ autorità sua .tribunizia, e per le vane speranze, ebe la moltitudine gli concedesse di precipitarli dalTa' rupe.. Afa i compagni di Valerio occupata l’altra parte del Forò, e postovi il cadavere della vergine visibilissimo a .tutti, ''convocarono un altra adu.'nahza; facendovi vivissime aCcusé di Appio e de’ suoi. Occorse, com’era vcrisimile’, che’aUÌt'andovene altri 'la riverenza per ^questi ' nomioi,, altri la commiserazioae vereo la dctazella soggiaciuta a vicènde dure,,e più, che dure per la sv>a bellezza infelice, ed, altri H. desiderio stesso della forma .precedente df governo, vi si rioni più gente che intorno di Appio : tanto che non rima-c seto presso questo 'se non pochi, appunto i partigianir ira'qtuli cc ne^avéa pur alèoni, che per molte cagìoivi mal più si acconcravano eoi Decemvirato,, contèntissimi di rivolgersi agli avversar), sé il partito loro si fortiGeasse. Appio vedendosi derelitto ^ -fo cpstretio i mutar COtasigHo,'e ' ritnrarsi dèi Fpro^cioecll&' moitissiUo gii giovò. Imperocché prèso a cólpi'dalia moltitadioe pagata le avrebbe le giustissime pene. Dopò .ciò Valerio . acquistata preponderanza, quanta 'ne volle, si sfogò perorando contro ai 'Decemvirato, e decise in favor suo perGno i dubbiosi. Molto. più' poi conjpccia'rono la moU titudiiie contro ai Dètèiòviri i parenti della vergine, recando -al Foro .il feretro, -e T altro lagubre apparato, maguiGco quanto potevano, è facendo ..la traslazione del cadavere per le .vie più illustri, di Roma, onde fóssevi più rimiralo; imperocché còrreabu fuori di casa matrone e donzelle per piangere la sciagura e qual d’esse gettava su la bava Gori^e ghirlande', e qual veli e. nastri . e fiV;gi pel capo di .una vergine, e quale, in Gne.te anella de’ Vecisi capelli : iiratlantor molti uomini •nobilita vano 'la liinèbre pómpa con' doni convenienti, presi grsìtnitamente’ o con pfeézró dalie prossime olBcIce. Tanto che divulgaiissima era per' la citrii la lagrimevole cerimònia, éd avea tulli acceso il desiderio di -spègnerti la' lirannlde. Ma qnei chè la difeudeano f isirntii che 1 ' ; ‘ ".jd ny erano di arme, davano grande spavento ; laddove Va^ lerio W SUOI non volea finire col sangue de’ duadim la disputa. ". Tale era in Roma la turbolenza. Intanto Verginio che avea^ come ho detto ^ itccisa di sua mano la figlia spronando.' a briglia sciolta il .cavallo i giunse agli alloggiamenti presse l' Algido su l’ imbruttir della sera, tutto lordo -di sangue, e. colla ooltelitt, in pugno, appunto. com’ era fuggito da Roma. Vedi^tolo, i soldati che stavansi a guardia innanzr del campo ^ non sapeano indovinare ciocché . avessè patito^ e lo accompagnarono per intenderne 1 alto.' e terribile caso. E colui tuttavia camminava piàngendo, e significando a quanti gli erano intorno di .seguitarlo. Uscivano fin di mezzo alJf cena da’ padiglioni, presso i quali passava, soldati Jn folla y con faci e làmpade, pieni di mestizia e tumulto, e fa cendogli corona^ lo accompagn#ano. Alfine giunto in un luogo spaziose del campo.,' e salita una eminenza ov’ essere da tutti veduto, nar^ò. le disavventure sue, dandone per testimou) quanti erano con esso, venati da Roma. E quando infine videne molti addolorati e piangenti-; fecesi allora a supplicarli e scongiurarli di non permettere che restassero,. egli invendicato, ^ concaicataria patria. E lui coti dicendo, ecco. in tuttigrande la voglia di. udirlo e viva 1. istigazione perchè parlasse. Adunque tamtx più animoso 'inveì su’ Decemviri, mostrando di quanti, aveano essi tolte le sostanze, di quanti flagellato il corpo, e quanti ne aveano ridotti senza colpa niuna a lasciare la patria ^ e numerando insieme le ingiurie verso le matrone, i ratti delle donzelle. nubili, i '.disoBoramenti de’ liberi > garzoncelli, e, le, tante altre ingiustizie e tirannidi. E così, disse, ci calpestano (Questi, senza che ne aibiano il poterti non dulia legge, non dal Senato, non dal popolo. Imperocché spirato è /’ anno dflla loro magistratura ; e spirato ; doveano in altre mani> trasmetterla'.' violentissimi però la ritengono ; spregiando in noi, quasi in femmine, la paura grande e' la codardia. Ognun • di voi qui ricordi quanti^ mali ha da loro sofferti, o veduto sofferirsi dagli e^i. Che se alcuni qui blanditi da essi mai con' piaceri o favori, non temete il Decemvirato, ne apprendete che eguali mali siano per., venire un giorno su voi, sappiate che non vi è fede pe tiranni, sitppicUe che non donano t' potenti per benevolenza, e sapendo queste e simili, cose, Uorreggetévene : ed unanimi tutti Iterate da tù'onni la patria, quella dove sono i templi de\ vostri Dii, dove le tombe dei vo.stri maggiori, ! quali voi riverite appresso gV Iddj, dove li veóchi genitori che .dimandano il premio dei travasi e delle tante cure per voi ^ dove le mogli, vostre legittime ^ dove le figlie nubili, alle quali deesi non tenue Id Vigilanza: dove infine \i vostri figli maschi, che aspettano da voi cose degne dèlia natura loro^ e de’ progenitóri. Taccia le vostre case, i vostri poderi, i vostri danari acquistati con tome fatiche dagli antenati e >da^ voi :, delle, quali cose tutte pià non pofrtle essere i certi, padroni 'finché i Dieci qui tiranneggianox ' .Già non è da savj,. non da valenùtompii cer care colla fortezza le cose altrui ^ nè curare poi che per viltà si rovinin. le proprie far co gli Equi ^ co’ Fblsci, co’ Sabini, a ' con tutti intorbo i vicini guerre diuturne indefesse per la indipendenza e pel principato, nè vbter poi nemmeno prendere le armi per la vostra sicurezza e la libertà cantra uomini illegittimi che fi comandano. Che nòn ripigliate lo spirito' delia patria ? Che non tornano in voi li sensi degni degli' antenati? cU quelli che per V oltra^ìo di una femmina solà profanata da un de •Tarquìnj ed ucàisasi da sestessa per le^ vergogna, 'tanto rie incollerirono e infierirono, e tanto comune tipqtaron la ingiuria'; che sbandirono di Roma non il solo Tqrquinio,maJ re-: nè piti soffersero^ die magistrato alciùfó vi comandasse in vita, e senza doverne far conto : di quelli che ne fecero altisiunto giuramento fitto con imprecazione su paetèri' se noi' compievano ? Of essi non avran sopportata la incuria di un sol giovinastro su di una libera donna' soltanto ; e voi vi state Comportando una tirannide di tante teste, •ehé’ scorre ad ogti ingiustizia e libidine ^ è scorrerawi anche pià se pià tra vói la tenete ? Non laebbi io sole una. figlia vaghissima, che jippìò-accirigevasi palesemente a violentare e lordare : le avete anche molti infra voi‘'rhogli o ; figlie e figli avvenenti: Or chi difhn'dele mai che ' ' alcuno de' Dièci nón fàccia loro come /dppio ? Vi raccertano forse gt Iddf che so lasciate impunita la insolenza ' a me fatta, no/i si avanzi questa fin su molti di voi; e che ^ nmor ti~ tannò, giunto alla mia figlia, ivi si 'rimanga e si plachi rispetto degli altri fanciulli e faiKÌiille? Quanto stolula, quanto atfena cosa è dire che mai tali idee si -effettuerànno ! Illimitate sono de' tiranni le passioni, perchè superiori alle leggi, e al^ timore. Su dunque fate le mie vendette, prepardte la sicurezza vostra, per non subire egual male, rompete o miseri una volta la^ cótena: riguardate ‘con intenti sguardi la libertà : ~E per qual altra occasione mai fremerete pià che per queéta; quando ne si tolgon le figlie prètestandooele per ischiave, e quando via ne si porlan le spose" co’ littori? E se'ora che siete tutti cinti di arme la trascurate la occasione e: quando mài \ quando il geniadi libertà ripiglierete? -, Ma iotaato cKe egli parlava molti gli promctteanò, gridando, la vendetta: e chiamati a nomr i dnci delle schiere gl’ invitaronó a por mano aff impresa ; molli ancora, se ne avéano riéeTuto alcun danno, faceansi coraggiosi innanzi, e lo rivelavano'. 'Udito ciò li cinque, capi come ho detto delle legioni, temendo che la moltitudine facesse qualche soròmossa ' Cóntro di essi corsero tutti 'al pretorio e vi consultarono con gli amici, se poteanO chetarne il tumulto cinti dalle arme de par ' tigiani. non si tosto intesero che i soldati eransi .tri tirati 'nelle tende, che caduto e cessato era il tumulto, senza sapere intanto che il piò de’cènturioni aveva congiuralo occultissimamente d’ insórgere e liberare la patria ; destinarono, appena fosse giorno, imprigionare Verginió che istigava la^ moltitudine, e raccolto l’ esercitò condurlo ed acc^parlo tra’ nemici,. e desolarvi H meglio elei lor lerritorj ; nè più' lasciare chè ognuno investigasse Curioso ciocché facevasi in Roma, ma tutti perocché, chiamato Vergioio ai pretorio, i ceatnriooi non permisero che v’ andasse pel sospetto che vi peri colasse: e scoperto com’era ne’ratpi 'il proposito di portare l’armata tra’ nemici. Io riprovavano, dicendo: Meramente ci avete prima comandato benissimo, perchè ora isperanzili vi seguitiamo f Duci voi di 'tanta milizia, quanta ninna ntai ne portò da Roma f e dagli alleati non sapeste nè vincere, nè danneggiare i nemiti. Voi dimostrandovici odi, imperiti, colf accamparci male, e col desolare, quasi asversarj, le terre nostre, ci rendes^ poveri, e bisognosi delle cose le quali noi conqOistayamo col prev/dere in bailaglia, quando i nostri capitani \ eran migliori che voi. Ora il nordico inalza contro noi li trofei i il nemico si. porta le cose nostre; saccheggiandoci tende ^ schiavi y ottm, danari.Verginio per la rabbia, e perché non più temea que’ capitani .inveiva più libero conti di essi, 'chiamandoli corruttori e distruttori delia patria, ed animando i centurioni a tor le insegne,, e ricondursi in Roma colle milizie. Molti non ardivano ancora movere le insegne, che sono inviolabili ; né riputavano cosa onesta e. sicura abbandonare i loro capitani ' e ^i comandanti ; perocché il giuramento militare, die i Romani avvalorano più che tutti,, (à che il soldato siegua i suoi comandanù, dovunque Io guidino : e la legge concede a questi di. uccidere, nemmen giudicandoli . gl’ indocili e li disertori. Verginio, vedendoli tenuti ancora da tal riverenza, mostrò ' loro che La le^e stessa avea sciolto quel giuramento : giacché dea ehi cómanda gli eserciti, esser scelto a norma delle leggi ; e r autorità de’ decemviri era tutt^ contro le leggi, trapassalo t anno per cui fu destinata ; far poi gli ordini di chi comanda contro le leggi non è ubbidienza, nè pietà, ma demenza e furore. Or ciò adendo, giudicarono udire il vero : e suscitatisi a vicenda ; e quasi dato lor cuore’ dagl’ Iddi!; tolser le insegne, e ne andarono.' In mezzo d’ indoli tanto varie, nè tutte conoscitrici del meglio, si rimasero, co’ decemviri, com’è verisimile, centurioni e soldati', minori però molto, non eguali di numero agli altri. Quelli clie partirono dal campo, viaggiando tutto il giorno, giunsero al far della sera in città, seuzaqhè alcuno ve li annunziasse ; nè poco la costernarono, credula cbe giugnesse il ne> mica. Adunque tutto tri divenne clamore, moto, disordine ; ' ma non sì a lungo, da nascerne òiale : perocché quelli passando pe’capi strada, vi gridavano che eran gli amici, e venivano in bene della pàtrio: e conformarono le Opere ai detti, non offendendovi alcuno. Recatisi ali' Aventino,' colle il piò acconcio entro Roma per accamparvisi, allogaronsi presso il tempio di Diana. Nel giorno seguente fortificato il campo, e destinati dieci tribuni miljtàri, de' quali era capo' Marco Oppio, sul comune, si tennero in calma. Dopo non molto giunsero in sussidio loro con molta milizia dal campo di Fidene i centuribni migliori delle tre' legioni, alienatisi da’ comandanti fin di allora che fecero trucidare, come ho detto, Siedo il legato ; .e timidi non pertanto di cominciare i primi la ribellione in vista . delle cinque legioni delK Algido, quasi fossero amiclie ai Decemviri. Ora però saputane la insurrezione; acceuarotjo di tatto buon grado il favor della sorte :> anche di queste milizie eran capi dieci tribuni eletti in mezzo alla marcia, ma Sesto Manlio ne era il più ragguardevole. Congiuatisi tutti, e deposte le arme, incaricarono i venti tribuni a poter. dire e fare quanto dovessi pel comune. .Elessero di questi venti come capi consiglieri i due più rispettabili,. Marco Oppio, e Sesto Manlio. E questi .formata un coùsigUo dei centurióni maneggiavano tutto,cpn,. essi. .Non essendo ancor c^arl al popolo i (prò disegni, Appio .consaperóle a ses tesso di essere la cagione di quella turbolenza, e de’ìUali che ne verrebbero, tenòvasi in casa, non 'ehe ardisse far pubblici atti. Sbigottì su le prime anche Spurio Oppio, costituito, come lui, su la città, quasi fossero ben tosto per assalirlo nemici, e fossato appunto per questo venutL Quando però vide che‘'uon fàceano innovazioni] rallentando le paure ^ convocò li Senatori nell.^ curia, intimatili ad uno ad ano per le case. E ' standovi questi ancora adunati: ecco giungere i cpmandanii dall’ armata di Fidane, irritati che la milizia avesse abbandonato T uno e.T altro' campo, -.ed. insistere col Senato perché ne prendesse degna vendetta. Ora dovendo ciascuno dare il sno voto su questo. Ludo Cornelio disse, porlqre il dovere,che tornussero i spillali 'ttcl giorno stesso daW Avenlitto lot' campi, ed eseguissero gli ordini des comandanti. Con ciò non sa'rebhero tenuti rei di quanto s' era fatto, so noti gli autori sali, della ribellione ; à qvudi imporrebbe la pena' il duce ^medesimo : ma se non ubbidwanq ; il Senato delibererebbe su loro,, camq su disertori dei posti, affidati ad essi da' capitani, e come su violatori del giuramento ipiUtare. Lucio .Valerio gli contrae riava .... Ma nè conviene che no facclaosi af&tto' parole delle leggi romane ehe troviamo nello dodici tavole, essendo tanto venerande e più insigni delia grecai legislazione ; nè conviene che sen facciano oltre il dovere, prolungando la storia delle leggi medesime. Tolto il decemvirato ebbero i primi ne’oomizj cenluriati la dignità consolare, dal popolò come ho ‘detto Lucio Valerio Potilo, -e Marco Orazio Barbato, uomini popolari per indole, come per educazione ereditari'. Fidi alla promessa che avcan fatta al popolo quando lo indussero a, deporre le armi, di maneggiare sempre il governò in suo bene ; stabilirono ne’ coraizj centuriati, mal grado i palrizj che vergognavansi di reclamarvi, oltre le leggi che non rileva qdi scrivere, anche quella coUa quale ordinavasi, che i decreti faixi dal popolo ne comizj per tribù valessero conìé i decreti emanati ne' comizj ceniuriati per ogni classe di cittadini ; sotto pena t in caso 'di convinzione, per chiunque^ abrogasse o trasgredisse questa legge, della Qdì miaca 1’ aliimo SYÌluppo de fatti co quali fa tolta la eppreaaione Decemvirale. -Perdita non ignobile ; traltSadoYiti di uno de graudi oambiameati di stato. dalla fondaiiooe di Aoma,3o6 secondo Catone^ Quest anuo è tralasciato nella cronologia di Varroue e però/ le dne cronologie differiscono dopo questo per un anno solo, non per due com^ per I addietro. morie e della confisca de'heni. Questa risoluzione levò le controversie tra’ plebei e tra' patrizj, i quali ricusavano di ubbidire ai d^eti latti dai primi, e riguardavano i decreti emanati ne’comizj per 'tribù come leggi singolari di 'esse non 'come universali di' Roma intera: laddove ciocché fosse stabilito ne’comizj per centurie lo riputavano ordinato a sestessi come a tutti i cittadini. Fu gié détto innanzi che ne’ comiz) per tribù li poveri e li plebei prevaleano su’ patrizj, come i patrizj/ quantunque assai minori di numero, prevalevano su’^plebei ne’ comizj per centurie. Stabilita da’ consoli questa legge con altre leggi, fautrici ’anch’ esse, 'come ho detto, del popolo ; ben tosto i tribuni credendo vénnto il tempo di vendicami di Appio e de’ colleghi di' esso, pensarono d’ intimar loro il giudizio >e chiam'arveli non tutti insieme perchè gli uni non giovassero gli altri ; ma l’ uno dopo l’altro, su la idea di convioceryeli più facilmente. Ora considerandu su chi prima incominciassero più a proposito, deliberarono mettere in istato di accusa Appio, il più esoso al pqpolo per le oppressioni, e per le indegnità recenti contrò la vergine. Parea (oro che assicuratisi ''di questo, disporrebbono' facilmente pur degli altri; laddove se cominoiassero dai men furti, parea loro che l’ira de’ cilladtni, calda oe’ primi gludizj s’indebolirebbe, come spesso accadde, per giudicare in ultimo i rei più segnalati. Deliberato ciò, sopravvegliarono i rei, ordinando a Verginìo di accusare Appio', senza, ' t |i) Cioè gli aliti DeceniTiri aùìaebè non soccorceMcto Appio nemmeno decidere colle sorti chi Io accusasse. Appio dunque accusato da Yerginio nell’ adunanza fu citato al giudizio del popolo, e chiese tempo per giustificarvisi. £ siccome non si ammisero per v lui mélievadorì ; fu tratto in carcere per custodii^elo finché di lui si giudicasse. Ma prima ' chu giùngesse il di prescritto pel giudizio mori nella carcere, per opera come molfi sospettano de’ tribuni : ma secondo che divulgarono altri, che li discolpano, egli, appiccò sé medesimo. Dopo lui fu tradotio al popolo Spurio Oppio da Publio Numitorio altro tribuno : ma', dategli, le difese, vi fu condannata a pienissimi voti : e portato in carcere fini nel giorno stesso la vita. Gli altri decemviri pfima di essere necessitati al giudizio, condannarono sestessi all’ esilio. 1 questori incorporarono all’eràrto i beni degli uccisi e degli esuli. Fu nommeno citato Marco Claudio quegli che si accinse a tor via come schiava la donzella da Icilio lo sposo : ma preiéstando i comandi di Appio fu scampato da morte ^ e 'gettato' in esilio perpetuo. Gli altri' ministri ^elle ingrastizie 'dèi decemviri non .subi-' irono giudizio pubblico ma diedesi a tutti la impunità. Suggerì pari economìa Marco Duilh'o il tribuno per essere ornai turbati i cittadini, e. timorosi di -essere finalinente anch’ essi giudicati. XLyiI. Chetate le turbolenze interne', raccolto il Senato, decretatio che esca immantinente T armata con tro, a’ nemici. Ratificato dal popolo il decreto del Senato, Valerio l’uno de’ cònsoli, marciò eoa metà delle schiere contro gli Equi e li Yolsci i quali miliuvano ' PtOSIGt, itmo III. insieme. (Consapevole però thè gli Equi, imbaldanzili pe’ vantaggiprecedenti, elevavansi fino a sprecar grandemente la milizia romana, cercò renderli ancora più temerari e vani con'^are di sé vista ingannevole, pra de’ Romani r -ma dimostrando r cavalieri un ardor sommo ottenne una segnalata vittoria, nccisivi molti nemici, imprigionativene pii^ ancora, e preso' i loro alloggiamenti dereKtti. IvÙ trovò •molte provvigioni da guerra, e tutta la preda già tolta, dal terchoi^'dé’'Romani : anzi' detenuti molti de’ suoi che liberò; non. essendosi alTretlati i Sabini pel disprezzo che aveano del nemico a riporre in sictirb 4anti loro vantaggi. 'Adunque diede a’ soldati la roba nemica, preelcggeudone ciocché era da offerire agl’ Iddii 1 ' ma ‘ rendette te prede a chi n^era stato spogliato. Fatto ciò ricondusse 1’ eserdto in Roms ove giunse)contemporaneamente anche . Valerio : ambedue sentivansi grandi per là vittoria, e' se ue auguravano luminosi trioufi. Non però uiccedette cobi’ essi ne sperayano .imperocché Raccoltosi il Senato' per essi 'dtieefae stavansi coli’ esercito sul campo -Marzo, ed esaminatine'le gesta, non accordò loro il sagrifizio per 1 vittoria : essendo oontrarìati da molti., e da alcuni manifestamente, soprattutto da Cajo Claudio, zio come scrissi di Appio, vuol dire del fondatore dei decemviri, e tolto non ha guari di mezzo .da’ tribuni. Cajo ricordava le leggi colle quali ajrean essi ‘ diminuita rautorilà del Senato, e ricordava le altre maniere da essi tenute perpetuamente ' nel gorernare : ricordava ‘ le morti o le conCfohe'de’beni dc’decemviri, traditi da esu ài tribuni contro i patti ed i giuramenti essendosi in mezEO alle vittime convendta tra’ patrizi e tra’ plebei la dimenti canza, e la impunità su tutto il passato. Protestava cbe Appia non era caduto morto innanzi al giudizio di sua mano, ma per malizia de’ tribuni : aflìncbè nell’ essere giudicato non ottenesse nè difese, nè misericordia : co me polea ben ottenerle, se potatalo in giudizio metteva ÌDuanzi al guardo la nobiltà della sua gente, e le molle beoefìcenze di essa verso la repubblica ; se reclamava i giuramenti e' la buona ^fedesu la quale gli uomini riposano) e rendonsi a far pace; se veniva, co’ suoi figli co’ parenti., jn àbito di umiliazione ; in somma con -gli altri modi pe’ quali uo popolo si disacerba, s’ intenerisce, e perdona. '{fra tali rimproveri dati loro da Cajo Claudio, e da altri presenti, fu coucluso, che si contentassero i' due, di non pagarne le pene: del resto non essere nemmeno in picciobssima parte d^gui del trionfo, o,di concessioni non dissìmili. L. Valerio ed il coUega esclusi ^al trionfo,' lenendosene ofTcsìssimi, e sdegnandosene ; convocano il popolo, e vi accusano vivamente il Settato. .Peroravano per loro i tribuni^ e proposero e ne ottennero dal popolo il trionfo: ed essi ..primi di tutti i Romani pro> dussero tal cot^uetudine. Dopo ciò rinacquero ‘i dissid), e le incolpazioni tra’ patrizj f e tra’ plebei. Li tribuni raccendeano questi ogni giorno concionandoti. Irriuyali soprattutto il sospetto cbe li tribuui cercavano di corroborare con romori incerti, e di amfdìare con divinazioni varie, come se li patriz) fossero per' )tnnienUre le leggi stabilite dai consoli, Valerio e suo collega: c quel lupetto ornai tanto prevaleva che degenerava la fede. E tati sona gli eventi di qnel consolalo. LI. Nell’ anno appresso foron consoli Laro Erminio, e Tito Verginio . Snccederon loro Marco Geganio..>(a). LH. Nè rispondondo essi, ma sdegnandosene; Scatùo fecesi di nuovo innanzi e disse : ecco o cittadini che si concede dai litiganti medesimi che essi pretumonb, parte che a lor non compete f della noslrà campagna', or voi considerando ciò decidete ciò che é giusto e congruo co' giuramenti. Scattio cosi diceva : ma i consoli ardevano dalia vergogna in riflettere, che il giudi aio prenderebbe un ' termine. nè giusto, uè onorato, se’ il popolo il quale qiai non aveast attribuito ' la campagnar disputata, ora, elettone giudice, se T attribuisse, con toglierla ai litigami. Adunque ad iscansare èiò si tennero dai consoli" e dai capi del Senato molli e molti discorsi ; ma ihvauo. Impetocchè quelli' che aveano pi Ando di Roma 3o7 fecondo Catone,, 3o3 fecondo Varrone, e 445 v. Ctifio. E C. Giulio secondo che si ricava dà Livio. Net consolato di Erminio e venissero persuasi in contrario, annullerebbero alcuna delle rìsokizioni proprie. LV.' In vista di .tali minacce .adunati gli Ottimati Ji piu anziani e principali da' consoli a consiglio privato, ponderavano ciocché ''fosse da fare. Cajo Claudio come U men popdiarc, ed erede degli antenati in tal genio di procedere, inculcava ostinatissimo, che non si cedessero al popolo né i consolati, nè altro magistrate qualunque; e che senza riguardo di persona. privata o pubblica si frenasse colle armi, se. non l'eodeasi per le parole, chiunque tentasse il contrario. (mpero.cché chiunque tentava sommovere le patrie costumanze o disciogliere la forma primitiva del governo era non cittadino ma nimico. Per 1’ opposito Tito Quinzio non voleva che si reprintessero gli avversari colla violenza, .né si venisse alle armi ed al sangue civile colla plebe: tanto più diceva che. -noi abbiamo contrarj i tribuni, che i nostri padri dichiararono sacri ed inviolabili;' facendo igenj e gl' fddj mallevadori dell’ accordo con imprecatone gravissima delia rovina loro e' de’ figli, se da indi in poi lo avessero mai violato anche in parte.Accosta vansi. a questo partito . ancor gli altri chiamati a' congresso, quando. Claudio pigliando la parola disse : Non ignoio quaji Jòndamento pongasi di mali, per tulli noi,, se^-concediamo che il popolo facciasi a volare su questa legge': ma non avendo cosa pià farmi, nè come resistere a voi; che tanti siete ; ahbattdonomi ' ai vostri consigli. Ben è giusto cJte LIBHOXI.. 377 ognun dica Ciò che sente deU util comune: ma poi siegua ciò che i più ne conchiudono. Jar, eome esortasi in c^fan che aggravano, nè si vogliono, vi esorterei che non cedeste nè ora nè poscia il consolato a ninno, se non ai patrtzj, i quali è giusta è pia cosa che lo abbiano : ma qustndo come cd presente, siete alla ncessità ridotti di far partecipi anche gli altri cittadini del grado e del potere più grande ; vi dico che assu^ miate i tribuni militari in luogo de' consoli, defineieione un numero { otto -o sèi forse, chè tanti credo bastarne ) riel quale i patrizj e i plebei si pareggino. Così Jrscendo nò renderete il córuolato magistratura di uomini indegni ed abbietti •, oè parrete per voi f ohe hricare un comando ingiusto, coll escluderne affatto i plebei. Ed approvando tatti, senza reòlamt> niuno un lai voto} udite soggiunse, .ciocché restami a dire a voi consoli. Prefisso il giorno in cui^ stabiliate quel previo decreto ^ e ciò che daf Senato si giudica, lasciale che parlino su Ha legge chi la difende e chi C accusa. Fi~ mia la disputa, quando fio t ora d’ irttendeme i voti, non. vogliate da me cominciare, non da, codesto Quirtr zio, nè' da altro seniore ma dsU popolafissimo senatore Lucio Valerio; interrogando appresso Orazio, se punto vuol dire, Bicercate così le .loro .sentènze, ordinale che noi seniori diciamo. Jq sporrò liberissirrtamente il parer mio 'contrqrio ai tribuni,• e fa questo [ utile della repubblica. .Questo Tito Genuzio, se il volete, dia la proposta su tribuni militari. Parrà questo il partilo più congruo e meno sospetto se progettisi o Marco Genuzio dal tuo fratello. I( consiglio senal brò giusto, e parlironsi' dU oiAigresso. T^merbuo i tri buui la secretissima aduuanza, come intenta a gran danno de’ plebei, perché fatta in casa, _ non in pubblico, e senz' .ammettervi alcuno de’ capi 'del popolo. Adunque raccogliendo anch’ essi un consiglio di uomini, amantis simi della plebe ^ idewono ript|ri e guardie contro le iusidìe che aspeitavansi da’ patrizj.. LVIL Giunto il tempo preacritlo per fare 'il previo decreto, i consoli convocato il Senato, ed esortatolo grandemente al buon ordine ed alla concordia; invitarono, prima di ogn’ altro j a parlare i tribuni deUik. plebe, i quali propónevano la legge. Fe^i avanti Cajo Canule)o, un di loro ; ma egli non che dimostrarla, bon mentovò nemmeno la giustizia e la utilità della legge. Diceva c/te si stupiva de consoli che avendo fra loro ponderato ù deciso ' ciocché jsra da fare, ora quasi pi abbisognasi sero consigli e decisioni, metteansì a proporlo ai Pa dri, e 'davano facoltà di cBingaxyi con simulakione non cbnvèniente nè alt età loro, r\è alla ' grandezza del comando. Diceva che irttroducevan t esempio di tristissime' pratiche, quando umvansi in casa et congressi recondite, jtè vi chiamavano tutti i Senatori, ma i soli favorevolissimi loro. E qui soggiungeva che poco faceva^li meraviglia che fossero esclusi da^quel coa1 sigho edtri sonatori;, ma ^grandissima gliene ftcevache 'avessero tenuti indegni da invitarveli Marco Grazia, e Lucio L aierio, qaell( che avetìno. tolto il Decemvirotò, ambedue uomini consplari %nè idonei' -men di chiunque a deliberare su la repubblica: lui non poter, concludere appunto In cauta .di tal procedere ; indovinco iie però quest' unica: valé^ a direi cfie essendo essi per allegare -disegni' ingiusti trovinosi alla piche, non vollero, convocarvf persone di essa amantissime, per ' chè sdegnate arti popolaresche ; numerando fin da principio, tutti i |>ericoli venuti su Roma per colpa di quelli phe volevano conU'ario governo; rilevando come l’odio versola plebe crasi renduto dannoso a quanti lo ebbero; e lodando amplìssimamente il popolo .come, autor principale delia libertà e del comando delia repubblica; alfine ragionate queste e simili cose, concluse non poter e^ser libera quella città dalla quale tolgasi /’ eguaglianza z e quindi sembrare a lui giusta, la legge laqual vuole che concorrano al consolalo/ tutti i Boinani purché siano irreprensibili ne costumi e degni per le opere di lai tanto onore : non essere però, quello il tempo opportuno da trattare legge siffatta in tanta turbolenza di guerra per la repubblica. Pertanto consigliava, ai tribuni di permettere che si réclutassèro i soldati, e che reclutati uscissero: ai consoli poi di pubblicare, appe-j \ Digitized by Coogle V', i.iBHó xr.' ' 38 1 na detto buon alla guerra il previa decreto su la legge: e si scrivessero e si corueruissero fin et alloratali cose da ambe ’ie, parti. Ta^è fu la senteuza di Vail secoudo da' consoli: non ^ però ne fu pari 1 affetto io tutti gli astanti. Imperocché quelli, che voleaoo preclusa la legge, ne udirono f!Ot> piacere la dilazione, non'peré con piacere ne adirono éhe essa dovesse decretarsi dopo la guerra: air opposito quelli che volevano che sì accattasse la legge dal Senato iotesero con trasporlo che giusta si dichiarava : ma con isdegno intesero che se ne ritardasse il decreto. j > LX. filato taraulto ('oom' è verisimile, perchè questa sentenza non soddisfaceva in tutto ad ainhe le parti, il console fattosi innanzi interrogò per il terzo Cajo Claudio il quale sembrava ostinatissimo e/ potentinimo fra tutti i primari della fazione opposta alla |>lebe. Costui tenne un dùtcorso premeditato contro del popolo-, rilevando di luì tutte le cose che gPien parevano contrarie a begli usi della patria, fra lo scopo principale ove tendeva il dir suo, che i consoli non pcoponessero al Senato l’^esar me di quella legge nè allora' uè mai, ooine diretta a distruggere il comando degli Ottimati, e confondere ogni buon ordine. Cresciuto a tal dire il tumulto, sorse invitato il quarto, Genuzio, fratello dell a^tro console.-Costui j discorse breveménce le circostanze della città, e come la cótnplicav^^no all uno o all’ altro disastro, o di far prosperare ^i nemici per la discordia e 1 ambiziojie de’ citudinij e, di dare mal termine alla guerra interna e domestica .|>er espedirsi dajl’ altra che le era portata di fuori, disse, che essendo' due i maiì' ed essendo necessità d’ inwyrreme, loro mal grado,' l’^udo o Y altro, credeva coufacevole ai Padri lasciar che il popolo urtasse alcune istituzioni proprie, anzi che rendere la patria Io scherno di forestieri' e nemici^ E cosi dicendo" propose la sentenza approvata nel congresso di ^elli che si erano in casa riuniti, sentenza come io dichiarai suggerita da Claudio, che si eleggessero ift luogo de' consoli i tribuni militari, tre de’ patrizj, e tre dd plebei, tutti con' potestà superiore : chè quando -^nìrebbefo questi il lor tempo, e si dovrebbero creare i nuovi magistrati ; allora unitisi di bel nuovo il SerUUo ed il popolo decidessero quali più voleano riassumesre al cornando li tribuni militari o li consoli : che per valido si tenesse quello che il voto comune destinerebbe: e che pari decreto si rinovpsse ogni anno. Eu la opinion di Genuzto acclamata da tutti: e gli altri che sorsero a sentenziar dopo lui -la tennero, quasi tutti, per b migliore. ' Se ne stese dunque da' consoli il decreto, ed i tribuni della plebe, pigliatolo, oe andarono, tripudiando, al' Foro. E convocatovi il popolò, vi lodarono amplissimamente il Senato^ e vi di nunziaronoV cbe doncorresse pure a’ magistrati .‘insieme co' patrizj chiunque il volea de plebei. '.Se non ohe il desiderio senza cagione, Speciàlmemc' nel popolo ^ è per sé" dori vano, e cori pronto ' a dar luogo arcOnirario ; ohe quelli i quali facevano ogni prova per essere a parte ' del magistrato, risoluti se non concedeasi ciò da’ patrlz}, di abbandonare la patria come 1' avevano abbandonata altra volta, o dì usurparselo colle armi, ottenutane appena la pertnissione, rattemperacono sestessi, e rivolsero altrove i loro favori. E quantunque molti de’ plebei aspirassero al militar tribunato, e" facessero per giungervi insistenze caldissime ; non riputarbno alcuno degno del grande onore.Cosi quando vennesì al voti nominarono al militar tribunato tra’ patria) che yi còneorrevano, Aulo Sèmpronio Atratino^ Lucio Attilio Longo, e Tito delio Sieelo. Questi assunsero i piWi qu^ grado in luogo del consolare nell’ anno terzo della olimpiade ottantesima quarta essendo Di61o arconte in Atene : ma ritenutolo settantatrè' giorni lo deposerq secondò gli usi della patria’ spontan^atOébte ;• perché alquanti segni celesti vietavano loro il maneggio de’ pubblici affari. ' Levatisi questi dal comando; il Senatosi raccolse, e nominò gr;ìn(errè. U quali prefìssero il tempo de’ comizj e proposero; da risolvere al popolo se voleat rieleggere li tribuni o li 008011 1 il popolo decise attenersi agl) nsi primitivi; ed essi contderono che chiunque il volea de palrizj concorresse al consolato." Adunque si elessero di' nuovo i' consoli’ dell’ ordin patriuo, e fuf'onò' Lucio Papirio Mugiliano, e Lucio Sempronio Atratino, fratello di uti de tribuni che s’ eran dimessi. Dond è che furono in -fiLoma tu un anno stesso due magistrature supreme. Non però comparisce 1’ una e l’ altra magistratut^ in tutù gli annali Romani : ma in alcuni trova'nsi i 'soli tribuni, Aodo di Roma 3ii $ècon{lo Catone, 3ia secondo Varronc, e 44 ^v. Ccisle. Tilo Livio dice cbv i tribuni militari entrarono maghtraii sul termidare dall anno 3io, e perciò toccarono anche l’inno 3 11. ÌD altri i consoli soli, osservandosi in non molti T .una e r altra. Noi ci atteniamo agli ultimi nè senza ragione, affidandoci alla testimonianza de' libri sacri 'recònditi. Sotto, questi consoli nou occorse altra cosa civile o militare degna di ricordanza; fecesi però trattato di amicizia e di alleanza colla cidi degli Ardeali, peroccliè spedirono ambasciadori, pe qliali, lasciate le querimonie intorno la campagna, dimandarono di essere gli amici e gli alleati de’ Romani. I consoli ratificarono questo trattato. Il popolo confermò co' suoi voti che si cf'eas s^ i consoli anche per 1’ anqo seguente ; e nel. plenilunio di Dicembre presero il consolato Marco. Geganio Macerinó per la secotula volta, e Tito Quinzio Capitolino per la quinta . Questi rimostrarono mentre i più inutili e più svergognati eran fuori ài ogni registro, e cangiavano luogo con luogo affine di viverci come loro piaceva., i. Addo di Roma 3ia se'coado Catone, 3i3 seeuado, Yatione, 41 ar. Cristo. U tomai dì AUcartiosso scrìsse le Antichità Romane dalie orìgini di Roma fino alla prima guerra Punica in venti libri estesissimamente, e di questi, poi diede un compendio in cinque libri come fu già detto nella prefazione al tomo primo. De' venti libri perirono qualche parte deW undecimo, e tutti i nove ultimi, salvo alcuni frammenti pubblicati più volle e ridotti in fine secondo P ordine de' tempi in ciò che narrano. ’ Avendo io trasportato nel nostro idioma gli undici primi libri, e li frammenti già noti de' rimónéitti, fu tutto dato in luce U anno ii5ia per Fìncenm Poggioli, editore in Roma della Collana Greca tradotta in Italiano. Quattro anni appresso però, cioè nel 1816, apparve in Milano una stampa Grecolatina della quale il titolo latino è: DiONTsii Halicarnassei RomaDarum AntiquitaUim pars hactenus desiderata nunc denique ope codicum Ambrostanorum ab Angelo MaJO Ambrosiani Coliegii doctore, quantam licuit, restitala. Quella stampa comprende gli antichi frammenti dei nove libri smarriti, e parti riguardevoli derivate dal compendio, collocate prima c dopo di essi frammenti per ordinare un tutto il quale dia compenso e lume di ciò che erano i nove libri perduti di Dionigi. Jn questo letterario ordinamento ci si dà ciò che si è trovato, e non sopra. Del resto la versione latina è precisa, corrispondente, elegante, buona, anzi molto : te note opportune, nè vi si desidera diligenza : e ciò basti su quell’ opera. Considerando come i frammenti veri de’ nove libri presentati di nuovo in quella stampa erano già volgarizzati, C editore in Roma della Collana Greca tradotta, cercò più volte di avere anche il volgare di que’ supplementi raccolti come si potè dalla Epitome o Compendio di Dionigi: ed uUirnumente vi aggiunse pur le sue premure il nuovo editore in Milano della Collana' Greca, presa la occasione dal valersi egli ancora della mia traduzione. Su tali istanze ho consegnato il volgare di que’ Supplementi ordinato coi vecchi frammenti appunto come si ha nel testo Grecolatino. E ciò è quanto basta a dar luce alla giunta seguente. i • £jglI avendo radtinato Intorno a sé uomini di ogni reo genio, li nudrìva, quasi fiere, contro la patria. Suppiementi. Cos\ li chiamo per dittiogaerli dai Frammenti. Qnetti tono parti vere^ dei libp perduti f gli altri tono parti deriTite dal compendio de’ Tenti libri delie anpchilà di Dionigi troraio in Milano ueil’ Ambr>a°a io due dodici, l'nno intitolato: Di Dionigi di jilicarnatto Archeologo Romano t l’altro: Dionigi di Alitarna$$o Archeologo dplle cote Romane. E chiaro che questo titolo i dato da altri. Li supplementi avran sempre doe TÌrgole in principio ed in fine dei paragrafi per dùtiognerli dai frammenti., DELLE antichità’ ROMANE Tuttavia se ascoltava me, se confofmavast alle leggi, egli faceva un gran colpo per la difesa, dando segno non piccolo di non aver cospirato. Ma sbattuto dalla sua cosdenza si ridusse dove quelli si riducono, i quali siegnono scellerati disegni contro dei loro più congiunti; deliberò di non presentarsi al giudizio ; e respinse a colpi di mannaja li cavalieri spediti su lui .... li suolo -della sua casa i Romani Io chiamano equimelio: conciossiacbè equo è detto da loro, ciò cbc non ha prominenze. Cosi il luogo soprannominato Mclio in principio fu di poi detto Equimelio alterandosi i dne nómi in un solo . II. Guerreggiando i Tirreni, i Fidenati, e li Vejenti co’ Romani (3j, Laro Tolumuio re de’ Tirreni segnalandovisi spaventosamente ; un tribuno romano, Aulo Cornelio cognominato Cosso, spronò il cavallo su lui. F attisi a combattere già moveano ai colpi le aste ; quando Tolumnio feri nel petto il cavallo dell’ emulo, talché il cavallo ne infuria e lo atterra. Ma Cornelio internando I’ asta per lo scudo e 1’ usbergo nel fianco di Tolumnio rovesciò pur lui da cavallo. Ben sorgea questi ancora, quando fu colto nell' anguinaja. Con ciò Cosso Io ucdsc e lo ' spogliò, non solo respingendo quanti accorrevano fanti e cavalieri, ma disanimando e t. Qosla h parte òel discorso di Cineinnato sa Spn^o Melio Deciso come reo di ambita lirannido. La occisione di Spurio Melio co4) corre con l’anno 3r5. II libro XI di Dionigi non eccede 1 anno Sia. Pertanto cib ebe manca a dar conliuna la storia delle Àniichiià Romane con quella del Cocapendio b la serie dei fatti dell’ anno 3i2 e dell! due sdenti. impaurando quanti erano alle mani neN' uno e nell altro cornò. Essendo consoli' ntiovamenie Aulo Gjmelio Cosso, e Tito Qtrinzio ; penuriò la terra per gran siccità; mancando non che le pio^e, fin le acque nelle sorgenti. Donde nniversaie fa lo scapito 'di pecore, di giumenti, di bovi : e moitè -fra gli uomini le. malattie, quella principalmente che scabbia à detta, assai molesta per lo rosore nella cute, c più Rtolesta ancora se inniceravasi : infermità miserabile in vero, e cagione sollecitissima di rovina . IV. .... Mal sembrava a’ primarj del Senato addimesticare il popolo alla pace e prolungargliene la calma, sul riflesso che per la pace si schiudono in città, vizj, piaceri, e sedizioni, e solean queste prorompere ad ogni occasione, difficili nè interrotte, appena si logliean le guerre di fuori .... E meglio superar 1 initnico beneficando, che punendo : imperocché di là sie gue se ' hon altro, almeno la speranza loro più dolce sopra de’ Numi V. . . a Appena conobbe che i nemid Io assalivano alle spalle, chioso com’ era per ogn’ intorno da, essif disperò di retrocedere. Egli tenea grave sul cuore che nel pericolo comune, essi pochi contro de' molti, essi gravati dalie arme conira milizie leggere perirebbero turpissimamente senza dar segno di opera generosa. Adunque vista un’ allora conveniente nè lontana destinò di occuparla VI. Agrippa Menenio, e Publio Lucrezio e Servio Nauzio tra gli ODorì di tribuai militari scopersero and insurrezione di servi destinata coaUx>'di Roma. Disegnavano i congiurati dar fuoco tra la notte in un tempo a più case in più luoghi, e quando vedeano gli altri intenti a reprima. L’incendio, allora invaderne il campidoglio, ed altre parti munite, e quindi provocare ad esser liberi tutti gl’altri servi, e con essi ucciderne i padrom', onde averae le mogli e li, beni. Manifestatasi la prauca, i capi d’essa furono presi, battuti, e crociassi: e que’due servi che la manifestarono, ottennero essi la libertà veramente, e miUe dramme a testa dal pubblico erario a. Adoperavasi il tribuno romano a compiere la guerra iu pochi giorni, come lui che credea facilissimo, e quasi posto nelle sue mani, sottomettere còn una batuglia i nemici. Per contrario.Jl comandante nemico apprendendo la perizia de’Romani tra le armi, e la costanza ne’pericoli, non avea cara una battaglia in campo aperto con pari circostanze; ma Uaeva la guerra tra le arti e 1’inganno, aspettandone chq gli si presentasse un vantaggio. ferito e morto venuto appena. In quest’anno fu l’inverno rigidissimo, in Roma, tanto che dove la neve caduta era meno, .tnno di Roma Il mille mauca oel lesto. È presso a pòco il nomerò pbe dee supplirai consideralo ciò che se ne ha presso di LIVIO (vedasi), o. aS. Questo racconto consente per qualche modo con ciò che narra LIVIO (vedasi) intorno la disfalla dei Romani contro degli Equi. ivi era alta li sette piedi. Vi perirono alquanti uomini, e molte greggi, ed altro bestiame non poco, sopraffatto dal gelo o dalla fame per mancanza de’pasccdi. Le arbori firuuifere inusitate alle grandi nevi o perirono in tutto, o seccate ne’tempo in tali regioni alquanto più boreali del mezzo, seguendo il circolo parallelo il qual viene per 1’Ellesponto sopra di Atene. Allora, per la prima ed unica volta 1’ambiente di questa regione s’allontanò dalla sua temperatura fa). I romani fecero le feste dette letxistermi nelr idioma, dei luog.o. Or furono ammoniti a tanto pe’libri Sibillini: giacché gli astrinse a consultarne l’oracolo nn morbo pestilenziale mandato loro da'Nomi, nè sanabile'per cura umana. Adunque acconciarono, come voiea r oracolo tre ietti, T uno ad Apollo e Latona, r altro ad Ercole e Diana, ed il terzo a Vulcano e Nettuno. Fot per,s?'tte giorni fecero pubblici sagrifizj, come pur fecero, ciascuno secondo le forze sue, private offerté ai Numi, e conviti sontuosi ed accoglienze di forestieri. , I I LIVIO (vedasi) raeconu I., c. i3 cb il Tevere non pelea navigard. Questo fraocbiaaiUko tcnvere et desiderare le cautele dell’aatore dei veoli. libri delle Aulichità Aooiaae. Le muiasioai anche rarieeime dcll'elmosfera ooa perché non sono scriue pel tempo paalaio, può concludersi che non avvenissero mai piò. (3j LIVIO (vedasi) parla di ul festa nel lib. t, 0. i3, la dice occorsa Pìsone il censore fa negli annaK suoi quest’ag> giunta: cioè, che sebbene fossero sciolti tutti i servi ^ tenuti io ferri dai padroni, sebbene Roma si empisse di forestieri, e sebbene si tenessero dì e notte spalan cate le case, penetrandovi chi volea, senz ostacolo; pur ninno si dolse che avessene furio, nè oltraggio; quan tnnque i giorni festivi sogliano per 'le brìachesze dar largo il campo a disordini ed ingiustizie. Stando i Romani all’assedio di Vejo sul nascere delia canicola quando gli stagni diminuisconsi e tutti li fiumi all’infuori dell’Egizio {filo, il lago de’monti Albani, distante non meno di quindici miglia da Roma, presso al quale fu già la città madre de’Romani, crebbe senza piogge, senza nevi, e senz’altre apparenti cagioni, per le sole inteMe sue fonti a tal dismisura, che inondò buon tratto delle adiacenze con molte case di agricokorì. E finalmente aprendosi a forza, il passo tra monti si versò con terribile sbocco ne’campi sottoposti, Della estate contagiosa, la qual s^cedcltc all'inverao rigidissimo descritto diantì. Addo di Roma. Aie infuori delV Egitto Nilo Questa cceetione, &t conoscere, parmi, che l’autore del compendio non i Dionigi. Imperocché egli nato in Alicamasso città dell’Asia, e già spettante al regno di Persia, come tatto il corso dell'Eufrate, non poterà, e certo non dorerà ignorare in tanta naturai tua diligenia che P Eufrate anch esso nel luglio assai cresce e trabbocca, come si legge in Arriano iibro ni, par. ao, greco per esso, e scrittore delle gesta d’Alessandro. Lo stesso Arriano scrire nel lib. r, paragr.7 secondo la nostra tradusione, che anche i fiumi Indiani nell’estate ingrossano fuor di modo e neU’inrerno scemano. Vedalo ciò li Romaai, da princìpio, (jQast 10 sdegno del cielo minacciasse Roma, decretarono pia care con sagrifizj i Nomi ed i Genj del luogo, consaltandovene pur gl’indovini, se ne eressero mai co$a da SIGNIFICARE GRICE: Se non che né il Iago ripigliava l'ordine SQO, nè gl’iinterpetri sapean dirne a proposito, ma snggerirono che si mandasse per intenderne l’oracolo in Delfo. Intanto un di Vejo perito, per Ipmc avutone da’maggiori, dell'arte divinatoria di'qne luoghi, sfavasi per avventura in gnardiè'deNe mura/ Era cosini noto ad un centurione romano. E quél centurione venato una volta presso le mura lo saluta come usa; aggiugnendogli di commiserare Ini come tutti i suoi pe’mali imminenti nella espugnazione dellai cittè. Per l’opposito il Tirreno, il qual già sapeva In inóndàziooe del lago Albano, e sapeva gl’antichi oracoli intorno di questa, replica, sorridendo, guanto é bene conoscere t ot'tvnt're. Voi per non conoscerne sostenete una guerra senza fine, e travagli irriuscibili, disegnandovi la distruzione di Vejo. Se alcuno vi rivelasse portare il destino di questa città che allora sia presa, quandó U lago Albano impoverendo nelle acque sue, non più si mescoli al mare, cessereste di tenere voi nella fatica, e noi tra le molestie. Assai ne impensierì ciò udendo il romano, e parti. Nel giorno appresso il romano, comunicatone il disegno co’tribuni, rivenne allo stesso luogo, ma senza le armi, onde il Tirreno non sospetta affatto d’insidie. Ripiglia I’usato saluto, e poi disse innanzi tutto l’incertezza la quale agitava il campo de! Romani, e cose altrettali da rallegrarne, com’egli crede, il Tirreno. Poi chiedealo spositore di alquanti segni e portenti occorsi di recente ai tribuni. Gnidiscese colui niente sospettando d’inganni. E fatto ritirare gl’altri i quali erano con lui si mise egli solo col centurione: £ questi U passo a passo lo allontanò dalle mura con discorsi diretti a deluderlo; Or come fu presso alle muniuoni romane. lo abbracciò con ambe le mani, e sei portò negli alloggiamenti. Quivi i tribuni or lusihgando or minacciando lo ridussero a dire quanto cela sul lago Albano, e poi lo mandano al Senato. Non parvene u tutti i padri in un modo: e chi tenea costui per pno scaltro ^ per un impostore, per uno che MENTE GRICE MEAN MENTIRE MENTE -- sugl’oracoli de’ Numi, e chi dicea lui parlare a punto il vero. Fluttuando fra tali incertezze H Senato, ecco i deputati al Nome in Delfo riportarne le divine risposte, concordi a quelle, date già dal Tirreno: vncd dire che gli Dei e li Genj li quali aveano in sorte la città di Vejo promettevano mantenervi costante la prosperità trasmessavi dagl’antenati finché le acque sorgenti del lago Albano ne Uaboocassero e corressero al mare: Ma quando quelle acque, mutata la fonte e il corso antico, deviassero altrpve, nè più si mescolassero al mare, allora pur Vejo ne andrebbe sossopra. Parve che potesse pianto ottenersi da’Romàni, se scavando delle fosse intorno al lago V’incanalavano l’acque le quali sboccavano, dirìgendole in campi lontani dal mare. G>DOsc!ato ciò li Romaai bentosto misero gli operaj su r intento, Rendutine i Vejenti consapevoli per nn prigioniero, deliberarono spedire a chi li assedia, a fine di toglier la guerra innanzi ch^ la città soccombesse: e scelsero de’seniori per deputati. Rigettata dal Senato la pace, lasciano questi, taciuirni, la curia: quando il più Cospicuo fra loro e più famoso nel divinare, fermatosene alla porta e girato lo sguardo su tutti senatori disse: bel decreto v avete voi fatto o Romani! e degno di voi U quali cercate dominare er tutto intorbo, quando ricusate aver suddita una città nè piccola nè ignobile la qual depone le armi e si rende, e destinata abbatterla da’fondamenti senza tememe^t ira de'^Numiy nè la vendetta degli uomini. Or ne verrà per questo su voi la giustizia punitriea de’Numi con pari vicenda; Voi che spogliate li Vejenti di patria, voi, tra non molto perderete la vostra. Prendendosi dopo breve tempo Yejo, taluni de’cittadini ne andano, e stettero da valebtnomini contro a’nemici, e ne uccisero e furono uccisù: altri diedero a sé stessi la morte: ma quanti per codardia, e bassezza di spirito risguardavano ogni altro successo come più mite della morte, abbandonarono le armi e sè stessi al inncitore. Anche CICERONE (vedasi) nel lib. r, èe Natura Deoram fa menxione di quella ambasceria, e dell'annunxio del castigo, succeduto, ^oni’ egli scrive, sei auui dopo la presa di Vejo, col piombare dei Galli su Roma. GatniUo sotto la dittatitra del quale Ve)o fu presa, stando co’Romani pili insigni su luogo elevato donde tutta quella città si scopriva, prknieramente fèliqitava té stesso^della' Iiella avventura con che gl’era accaduto d’espugnare e senza gran costo una città grande e prosperosa, la quale erà parte, uè gii la più ignobile 'della Etmria, allora fiorentissima, e potentissvna tra'popoli dell’Italia, e la quale avea disputato |1 principato ai Romani con guerre moltiplicate per dieci generazioni con cimentarsi alfine a tutti i mali tra r assedio non interrotto di nove, anni. Di poi ponsiderando per qual lievissimo billico trascende la sorte umana, e come nino bene tien fermezza, alzò le mani, sopplichevole a Giove e agK altri Nomi, perchè tanta felicilà non chiama l’invidia su lui principalmente, nè sulla patria: e se per Contrario pubblici disastri pendeano su Roma, o privati sa lui, almen fossero questi i più lievi e più tollerabili. Non minore di Roma per gli cdificj, godea Vejo terreni ampj, d’assai frutto, dove piani, e dove montuosi in aere purissimo e salutevolissimo, senza paludi vicine, dalle quali sorgono aliti gravi ed ingrati, e senza ninn fiume il qual dia troppe fredde le aure del mattino: nè scarse vi son Tacque, nè condotti) Ciok per circa irecento anni asjegaaado treni' anni ad ogni generaaione; Imptroccbè Vejo cominciò tali tae gaerre con Romolo: poco prima della aua morte, e loocomM LIVIO (vedasi) ed aliti dicono durato quello asi^io dieci anni: vuol diro nove furono gli anni' interi ciocché scrive I’autore dell’Epitome, ma non intero fu 1’ultimo. Dionigi nel paragr. i5 del libro iz scrive che non lungi da levi altronde, ma vi scatnrtacono copiose nommeoo, ohe bouissime a beverne a. Dicono, che quando Enea figlio di Anchise e di Venere approdò nell'Italia volesse, far sagrìfizio ad un tale de’Numi; e che fatte già le preghiere, stando ornai per operare sulla vittima apparecchiata, mirasse venir da lontano tm greco, Ulisse forse quando fu per r oracolo d’Avemo, o Diomede quando si recò per soccorso di Danno. E dicono che disgustato Enea dell’incontro, tenesse come inaugurata la vista dell’inimico tra le sante cose, e che volendo respingerla si bendasse e volgesse altrove; finché dopo la sparizione di colui lavatesi di nuovo le mani fece il sagrìfizio: e siccome vi si rendè fàusta ogni cosa, e^U ne fu dilettato per .'nodo da custodihie di poi nelle sante cose la cerimonia; conservandola per ciò li posteri di Ini quasi legge dei sacro ministero, In conformità de’patrii riti, fatta la supplica Camillo ancora si trasse in sul capo il manto, e volea rivoltarsi. Ma travoltoglisi ciò che avea di sotto a piedi, nè potendosene rattenere, ne andò supino a terra. Or questo rovescio, indizio che egli di necessità cadrebbe per una miseranda caduta, questo rovescio fàcilissimo da intenderlo senza calcoli e divinazioni, anVejo è il fiume Cremerà, e che da questo fiume fu denomioaio Cremerà il caetello edificato da Romani contro di Vejo. Qui ai •crÌT che non vi è niun fiume il ^oalc dia troppo fredde le aure del mattino : che anche senza fiume vi abbondano le acque. Questo esservi e non esservi un fiume et concepire che lo scritture del com'.^ pendio non è Dionigi.] che da’ meoo periti, questo egli noi pensò degno da guardarsene e da espiarsene f ma lo ridusse tale da. consolarsene come se li Numi avessero ‘esaudito le pre glie pii\ illustri a' quali esso era maestro di. lettere, li \ ' • t Narrano che Dionigi divise il suo campcndie in cinque libri. Ambedue li codici trovati del compendio delle aiilicbilà non hanno 0 non ritenpoiio indiaio ninno della distinsiooa in libii. BfOHlGI, urna III. j,S cavò fuori delie porte come per passeggiare dinanzi le mura, e far loro visibile il campo romano. Poi sionla nandoli poco a poco dalla città, li ridusse presso le guardie Romane:^ queste accorsero; ed egli cedè sé stesso, e gii altri. Menato a Camillo disse, che da gran tempo egli volea rendere la città de’ Romani : ma non avendo in sua balla nè la fortezza, nè le porte, nè le armi, si argomentò di mettere nelle mani di lui li 6gli ^e’dtta^ dini primarj, consideràndo cbe necessiterebbe li padri, solleciti di salvarli, a dar la città quanto prima ai Romani. E cosi diceva, immaginandosene maravigliòsi pre^ mj pel tradimento, a II. Camillo, dati da custodire. il maestro e (i fanciulli, scrisse al Senato il successo, chiedendone cièche fosse da fare. Lasciatogli dal Senato di lÀrne il lueglio che a lui ne paresse, egli cavò dagli alloggiamenti' il maestro e li fanciulli, e fece alzare il suo tribunale non lungi dalle porte, presentandosi immensa la folla su le mura, e dalle porte. Quindi primieramente distinse ai Falisci quanto il maestro fosse stato ardito di olTeuderli. Appresso ordinò che i servi gli traesscr la veste, e lo canninasser ben bene colle sferzate ; e quando tal pena gli parve bastare ^ .allóra ‘diè delle' verghe ai fanciulli, e fece che sèi menassero innanzi alla città, legato colle mani al t&rgo, battendolo e malmenandolo per ogni maniera. I Falisci ricuperalo i fanciulli, e punito il maestro in proporzione del suo malfare, sottomisero la patria a Camillo. Lo stesso Camillo nella spedizione su Vejo lece volo a Giunone^ 'Dea sovrana del luogo, di collocarle se prendea Yejo, la statua iu Roma', istitoendoveue insiemé cpito magnidco. Pertanto dopo espugnalo Vejo, man^ò de’ cavalieri più rìguardevoli a prendere dalla sua sede it simulacro. Appena gl’ inviati vennero al tempio, r uno (K loro sia. p^erilmeitte e per beflTarsene, sia per fame l’augurio, addimandò la Dea se voleva tra^mn grarsi a Roma, e colèi soggronsè volere con chiarissima voce della statua ; e due volte lo aggiunse. Impérocchè non potendo que’ giovani peiiuadersi che la statua fosse quella che vea parlato, replicarono la dimanda, e ne adirono un altra volta la voce stessa . IV. 'Tra il comando de’ consoli dopo Camillo proruppe in Roma un morbo contagioso, apparecchiato dal non piovere e dall' anura estrema. Afflitti con 4:iò git' albereti e li senànati porsero frutti pochi, e nocevoli' agli uomini, e pascoli scarsi e malsani ai bestiami. Odd’ è che il male consuase pecore e giumenti senta numero non sedo per. • quantunque non ignorassero che U multa eccedèVa non poco gli averi di ]ui: ma ciò vollero perchè messo ' in fcavcere scapitasse nella riputazione chi tanta ne avea per 'hobitissiole guerre, amministrate per^ eecellenia. Li ‘congiunti e li clienti accozzarono e diedero la son^ma richiesta afBnchè egli non soggiacesse a vilipendj ; ma H valentnonio riputando intollerabile la ingiuria., abbandonò (a patriq. Nel giungere alle porte fra gli astanti • addo lorati e piangenti per la perdita che farebboho, bagnò di largo pianto anch'esso il senAbiante, -e lamentò la infamia in che era mesio dicendo : > ^ Adunque disperando i barbari prendere la fortezza per inganno o di furto-, si diedero a trattare del prezzo, cui dato, i Romani riavessero la cittù. Dopò giurati gli accordi; i Romani portarono r oro, e Vckiticinqae talenti era la somiina'.la quale' doveano ricevere i Galli. Disposta la bilancia ècco il Gàllp imporvi un peso maggiore deKgiusto: se ne querelarono i Romani : ma. il nemicò tanto fu alieno dal rettificarlo, che lo aopmccaricò delia sua spada, levatosela dal cinta E chiedendo il questore che volea mai significate quel fatto ; rispose, ^ubt pò vinti. E poi che il peso ivi posto, ampliato com’ era-, non si pareggiava, anzi mancava un terzo' di tanto, i Romani si ritirarono chiesto tempo da raccoglier l’ intero. Sosteneano tanta insolenza ignari delle cose operate ] come al>biàm detto, in campo dpe il 'corpo ad un tempo e lo spirito; converseodola oibei Uòndi nasposto^ma palesemente. Addolorato Arante per lo distacco della donzella non più reggeva alia ingiuria-, cbe ne avea da ambedue : né potendo pigliarne Vendetta si mise' ad -ùn viaggio sótto .vista di liegoziare. Udì con trasporto il giovine lo andare, dandogli ciò che era l^sogao ai goadàgiii,' e T altro poftò, nelle Gallie molli earri eoa Q^i di vinoV di olio ^ e 'tnollr.'ata ceste >di fichi, a ' r ‘. a I Galli di quel di' non conoseeano il vino delle, vili, nè 1’ olio-, quale fi'a-uoi 1q danno ie olive: ma.teneano vin d’orab, festnefatato in acqqà, ó fogliame. tetro all odore, usando per olio ^assi vecebj di porco, ingrati a odorarne e gustarné/> CoiQe provarono frutti non prima gustati ne presero dilatto masaviglioso, iuierrogaodo il forestiere, dove e come ciascuno di questi si generasse, n -'t E. colai replica, the.'iimpìa e buona è la terra che li produci, è questa posseduta da uomini, pochi di numero: uè punto. migliori delle Jìemraine in far guen'a. Suggeriva;,chc'non ricevessero più 'tali cose dagli altri ad on péezzq, ma cacciassero i possessori antichi, e se le appropriassero. (Mossi da quel dire ven mi. Ma i 'GaRii ne misero in fuga la molhtudine, ed occuparono tutta Róma, salvo il Campidoglio. v Con c'ò gran eommrrcio praesdente. Cioachè non ti accorda con la DoTÌlà deacriiia .dei prodotti recati da Aruoti nelle Gallif. Won a facile a connidemi ube una natione ai ecciti e commo^a a tfatmtgrare pa’ racpooti dì un aTTeuttrriero. Livio tcrive Iv 5. i4> .Eoa ( Gallt ) ^lu oppufinavtrunt CUuiunì. non fuh$t qui primi alpet trantUrint^ latù óonstat. 0uel .aarii eo/iitat impoHa Alt lai nidiaione era comune in Roma a'iAreno Ira! leueraii 'oi t,empi di Livio, che sod (joelli di Augatcn,, .nel cui regno^^ anche Dionigi vino, io Roma luogo tempo. Panai duiiqae da coocluderbe che lo scritto ai risente di alquanto nosiooi te 'quali .uoo erano del diligentissimo aatore della aiilicbità : ciot questo tjompoodio k di t>n greco il quale non essendo £>rao vivulo nell Italia, S compendiando Dionigi, 'vi lasciava conoscere la vena dell ingrfpio ano non ai para quanto quella di Dionigi.] \, • rodar(7ao, nel lesto edeltan, donde celtico e poi ceillca,,, Digitized by Googlc 4i3 delle Antichità.’ romane dopo V incendio generò dal ceppo un tirgnlto, come dì Un cubito, volendo gli Dei manifestare ^e ben presto la' città, ricreando se stessa, darebbe germi novi in vece degli antichi. Anche in ‘Roma il picciolo tempio di Marte in cima alPalatino, 'i Romani pensano' chò debbasi operare ben alirimen)Ì debbasi a’ vecchj benefìzi sagrificare la coliéra per gli oltraggi recenti. Cerltmenle della Romana grandezza ben. fu meraviglioso. quel ^axto, che non malmenarono, pia lasciarono ille^ tjttti i Tuscolani ‘^u^ntuòque colpevoli f tna più meraviglioso ancora fu quanto eòncedesouo ad essi dopo il perdono. Imperocché fattisi % provvedere che non .saccedesse più nòlla di Simile., nella loro città, né più ci avessero alcuni comodità di far cose nuove, non conclusero già di mettervi guarnigione nella fortezza, nè Questo e li tre seguenti paragrafi sono fratOmeaii dei venti libri delle autichltà Romane acUtte da bioaigt e àul'' dal Gomptndjo ; aono picciolo parti dèli’ opera vara' e noi parti derivata altronde per supplirla, il tasto grec e-la tradaàioqe latina ai ara atampata più volte. Li framosenti ai dislingtsuao dal non avere l virgole nè in principio nù in fin^ dei paragrafi. lasciarono contro il sangue loco eccessi ùi oltraggi che i barbari più empj potessero sopraggiungervi. . ^ 'i' . 'XI.tE potrei allegare’ altri errori' infìnhi 'di quelle repubbliche ; ma' li tralascio; giaocbè spiaeemi ; fino l’aver menzionato gli ànzidetti. Imperocché vorrei che la nazione Greca. si distinguesse '‘dà . quelle de’ barbari non col nome solo. e col dialetto; ma per la.inlelligeoza eia scelta delle utili costumanze; c sopratthtto che infra loro noit si desolassero con ingiurie più che disumane. E ad esercitare i lor corpi o faticare nelle armìv ne ausavano di continuo, e vi grondavano dal sudore, costretti a desisterne innanzi P awiSo de’ capitani. Udito ciò f ' Camillo dittatore de’ RomaOi, adunò le sue milizie, e condonò • tra loro,. assai vivifi(ndole ad imprèndere: 0 ‘Romani ^ e^i disse, nói abbiamo assai più cùU it nemici benfatte le arme, le corazze y gli elmi, gli stivali, gli teuài saldi, coi tiuaU guardiamo tutto il corpo, le spade' d due tagli, ed in luogo dell asta, saette iP irreparaòH colpo. Le armi colle qutdi ci copriamo son tali'da ndn> fdcilitare su noi le ferite: laddove quelle con lè quedi nodiamo 'ci abilitano per ogn impresa. B poi ruiao è il càpo dei nemici, nudo il petto ed i lati, 'nudo il,fem&re è la gamba mfino piedi. Altro noti hanno die li. munisca se nonf lò' scudo : nè adiro tanto picchiar degli scudi, e guani altro ostentano di barbara e stolido a bravar t inimico, guai vantaggio daranno ad essi i guali assalgono senza regola, .a-, guai mai terrore a chi con tanta re^la sta tra i pericoli? Considerando tali cose: voi tutti guanti ne foste nella prima guerra cpì Galli e guanti non vi foste, non ‘diserrate.' o voi ohe vi foste C arUica virtù, col temere, e; vai che non virfbste non siate da meno che gli altri net jegntdarvi co' fatti . Andate La prima gnarra ocoqrae l’ aooo I acMiida ueii’bravi giovani : dimostratevi degni de' padri valorosi, correte intrepidamente al nemico ; Sarà con voi la ' mano degC Iddìi per tentarvi à punire • quanto volete, questiimpìacabili. Io vi son duce, al qucde tanto teslificate buon senno e Jbrlunà. Da ora in poi saréte felici, sia che riporterete alla patria la iwbilo corona della vostra virtù, sia che qui finendo la vita lascorete a’ teneri' figli] e ai vecxhj padri per un fragile corpo una splendida fama immortale.^ Ma già non è più da tenervi, Ecco t irUaùco sen viene ; ofidaie, presentatevi in schiera . Era ‘'il combattere de’ Barbari ansi brutab: e maniaco senza le cure e la scienza delle e vi ascese. Accorsa la molUtudine 'urbana allo spettacolo, egli primieramente fece voti alBncbè 11 ^umi avvèrsaaero l’ oracolo, e facessero nascere molti, eguali a lui di valore bella patria. Dopo ciò lasciate le redini e ' dato di sprone cavallò precipitò nella voraginet Sopra lui furono gittate in quell’ abisso nioltè. vittime, nìolti frutti, molte ricchezze, molte preziose Vesti ^ 'molti oggetti di arti di ogni maniera, e senza più la terra si ricongiunse Il Gallo area corpo straordinario, il quale molto eccedeva la proporzione comnne ....Licinio Stolone stato dieci volte tribuno, quegli il ‘‘quale fu capo alla fstitnzlone delle leggi, per la 'quale dieci anni fu sedizione, alfine' vinto iu giudizio e condannato ad una multa in danaro ()) disse: che non vi è bestia alcuna pià callivà del popolo, il qutde non nsparmia nemmeno chi lo sostenta . Assediando Marcio console que’di Piperno, ridotti senz’ altra speranza spedirono a lui. E Marcio, indicatemi, disse, come solete voi trattare li servi li quali dà voi si ribellano ? tome si dee, soggiunse il legato più anziano, punir chi desidera ricupenve la r Sie mai ri fu questa Toragiae, ciò che può beo essere, ta ricoopuDtione di lai mode ò tutta (àvolosa. Livio assai propiiio a tali raceopti aon lafiiTorisce. liberti ncUiva. DlIetUtosL Marcio del franco parlare, e se nei, dicea, se noi ci lasciassimo piegare a' lispar^ miarvi ogni cruccio, quali pegni ne darete voi di non farla mai più da nemici ? q V anziano tipigUava. Sta in te o Marcio e ne' tuoi Romani' sperimetttm-lo. So con la patria Uberi torniamo, vi ci terremo • pen sèmpre costanti amici : ma tali mai vi saremo, 'se ci astringerete a servire. Marcio ne ammirò li magnanimi M‘q^i, e sciolse 1’ assedio .. L IV^EMTAE i GaQi guerreggiavano Roma, un priil' cipe di questi sfidò qm^lunque de’ Romani a venire con esso al paragone dello armi,. Un Marco Valerio tribuno proveniente da Valerio PopUcola il quale insieme con altri ' Ubera la città dai tiranni, si fa innansi pel combattimento. Venuti alle mani, un ooryo si mise in su r elmo di Valerio, sgrid^do e guardando terribilmente il barbaro f e se mai lo vede portare de’colpi sul romano / gli si avventa ora colie unghie alle Addo di Roma. j. ' ; guance lacerando, ed ora col rostro agli'occhi, pungendo. Tanto che il Gallo ne anda fuori di se, non potendo trovare come ribatter 1'emolo, nè come guardarsi dal corvo! Ma traendosi la zuffa in lungo, il Gallo fu col ft;rro sU l’altro per internarglielo coll'impeto nel seno. Corsogli il corvo agl’occhi Onde forarglieli, colui alza Io scudo a respingerlo: e tenendolo alzato, il Romano che ne seguiva le mosse, menò da basso la spada, e lo uccise, Camillo il comandante lo insigni con aurea corona soprapnominaudolo Corvino dall’uccello compagno di lui nel combattimento; perocchò li Romani chiamano corvi, gli oicoelll che noi coracas chiamiamo. E costui da quel fatto ha 1’elmo ornato d’un corvo. In guisa che quanti fecero statue o pitture di lui, lutti gl’acconciarono sul capo quell’uccello. Devastavano le campagne ricche d’ogni bene nomini sfìaiti dalla guerra e simili ai cadaveri, se non quanto respiravano. Essendo calda ancora la penero come dicono dell’ucciso. Fu vittin miseranda delr inimicO’Uomo il quale sazia la invidia sua poi sangue civile. Dispensò tra soldati parte de vantaggi nè questa la più piccola, ma tale da sommergéK frà le ricchezze la inopia dt ciascùtlo diedero il guasto ài seminati già colmi per h raccolta tnalmetiando il meglio dellB^ terre fruttifere: ' i I • f I ' t, Queste Cemitlo il quale apparisce ora aalHaaao'4e& Roma i Uli tìglio del ftmoso Furio Csmiflo morto i6 ano,! adòiciro. Aucb'esso viute S fugò con ifna iniigue battaglia i galli, tuttavia molesti ai romani. LIVIO (vedasi) aS. aC. 'Ma percl^è spesso e molto danneggiavano i Campani come iorp' amici. Pertanto il senato romano sulle istanze e lamenti replicati de campani contro de napoletani spedi a questi ordinando che non più nocessero ai sudditi della repubblica; ma ne avessero e rendessero ciò ch’era ^usto: e nascendo coih(roversìe fra loro, le dJscutesserò co’gindizj non'cqlle armi, secQudo le convenzioni che ne farcbbono: del resto mantenessero la pace con tutti ìntorno i popoli, non corseggiassero il mare tirreno né tentassero eséi per sé nè CO-OPERASSERO GRICE con altri imprese disdicevoli ai greci. Soprattutto istmi, gl’ambasciadori che cercassero, Se venivano il destro, di alienare co’bei modi verso de’potenti la loro città dai sanniti, e renderla amica di Roma. ',. y. Ti-òvavansi di quel tempo in Napoli come ambasciadori di Taranto uomini rispettabili, e, po’ligami del sangue, ospiti antichi di que’cittadini: ma por altri, vi si trovavano inviativi da nolani, cooSuanti dei napoletani, e tutti dediti ai greci, i quali vi brigavano in contrario onde non copcórdassero co’ Ifomani nè co'sudditi d’essi) nè lasciassero l'amicizia verso dei sanniti. Che se r Romani set pigliassero a pretesto di guerra { rton temessero, nè invilissero, come in^ su^rabile rie fosse la forza; ma, perseverassero, e combattessero come i jbraoi Grecf., confidando sù le Manca il principio dj questo raccolto: puj> coninliar^i LIVIO (vedasi), c. aa. Questo pangrafo e tutto il resto del libto sono frammenti veri dei libri perduti dell’antichità di Dionigi. schiere proprie e sulle ausiìiane che verrehhono dai sanniti. Riceverebbero se ne abbisognano, pià delle loro, le forte navali dà' TaretUim, le quali eran tanUs e. si buone. Adunato il Sanato, e tenutivi molti dlsconi dai legati loro fautori, vi si divisero i sentimenti: ma li piu autorevoli parfianO tenerla pe’Romani. Non fecesi per quel giorno decreto alcuno, ma riserbato per, altra sessìone l’esame intorno ai legati; recaronsi a Napoli in folla i primarj de’Sanniti. Or quésti Conciliandosi con ossequióse manio:e i capi del comune, pregarono il Senato a far si che decide il popolo dell’utile pubblico. Quindi recandosene all’adunanza, vi ricordarono i loro benefizj, poi vi fecero le mille accuse di Roma come d’una ingannevole e perfida: e finalntente promiserole meraviglie ai Napoletani se deliberavann pella guerra: vale a dire che mauderèbbero loro milizie, quante ne bisognassero per difender le ptura, come l’armata e 4utta la ciurma pelle na#I. Davano insieme a vedere che subirebbero tutte le speso guerra non solo pe’soldati proprj, m pe’loro; che respinto l’esercito romano ricupererebbero, Cuma, occupata dai Campani, erano già due generazioni, .cén esdnderM gli abitanti: che renderebbero la patria ai Cumani, accolti, quando U perderono, dai Napoletani, e fatti partecipi d’ogni lor bene: che darebbero ai Napoletani un trat^ assai grande del territorio che tenevasi dai Catppihi., -, ' r ', vn. Ih mezzo a tal dire, la parte calcolatrice dei Ntpoletani, la quale vedea da lontano i mali xhe ver rri>bero colle battaglie, sulla città, dimanda che ai conservasse la ^ace: ma' la parte amante di cose nuove ^Ja quale cerca insieme un mezsp arricchire nelle ttsbolenze lanciavasi verso le guerra: Pertanto, elevafonsi a vicenda e voci e mani; procedendo la contesa fino al tiro delsàss). Alfine prevalendo il partito men buono, gli oratori di Roma dovettero tornarsene senza Tintento. Dond’^è che il Senato romano decreti 'd’inviare un eseacito contro de’Napoletani. I romani all’udire 5^10 i Sanniti apprestavano un esercito, vi spedirono prima Rmbasciadori. E di essi quelli eh’erano scelti dell’ordine senatorio venuti ai consiglieri de’Sanniti dissero: Voi fatfi ÌQgiustamonte o Sanniti violando i p'attati cha ovate con noi concordato. Amici vi eijt^nete di nome, nemici che ne siete di fattL Vìnti, voi da Romani in tanti condtattimenti, sciolti pelle istanze vostre caldissime dalla f. . guerra j oiténuta la pace come la volevate e desiderosi poi di essere gli amici e gli alleati di Roma; giuraste, alfine, di avere amici e nemici quelli appvinto che per tali riconosce la nostra repubblica. Ed ora immemori di tutto questo, e fin posti in non cale i, giuramenti, avete abbandonato noi nella jguerra co'Latini e ci>i Volsci,, cpn que’ pòpoli io dioOf che sono divenuti nemici nostri appunto per voi, perchè avevamo noi ricusqtò di unirci con essi net dare a wi guerra. JE nelt anno. J precedente voi avete istigato con tutta la premura e l’ardore, anzi voi avete necessitato i Napoletani che temevano farlo, a prendere contro noi la guerra^ e voi ne supplite le spese: voi la loro città ven tenete. Ed ora tutti intenti INTENT INTENZIONE GRICE ad apparecchiarvi raccogliete d'ogn intorno milizie, coh pretesto, come pare, innocente, ma: in realtà con disegno di guidarle contro i nostri cotoni. Ed a tanta ingiustizia invitate i .Fdndiani e i Formiqni ed altri, i (fuaii abbiamo no,i pOr^^iato ne'diritti ai nostri cittadini. Or 'voi profanando così scopertamente 9 turpemente i trattati di amicizia GRICE LOGICALLY DEVELOPING SERIES e di alleanza; il Senato ed il popolo romano deliberarono di spedirvi ambasciadori, e iperitnentai'vi colle parole, innanzi di procedere ai'fatti. E queste sono le cose che ami tutto vi dimandiamo, queste quelle, ottenute le quali, crederemo soddisfatti i nostri risentimertti: Chiediamo primieramente che ritiriate, le truppe inviate in soccorso ai Napoletani:, e poi che non mandiate milizie condro i nostri coloni, nè provochiate affatto i sudditi nostri a voglie ambiziose. Che se dite che tali cose non piacciono a tutti fra voi, ma che le fitnno alcuni solamente contro il voto comune; cónsegHàteci dunque voi questi perchè ne giudichiamo, 0 cen terremo contenti: ma se non gli avremo noi tjuesti nelle mani j né prenderemo in ) testimonia i Numi, ed i Genj invocati da voi nel giurare i trattati; e pSrciò siam qua venuti co Eeciali. Dòpo H parlar del romano consaìlatisl infra loro quei capi de’Sanniti diedero questa risposta: Non è già colpa del comune che i nostri sussidj giungessero a poi tardi per Ut guerra cóntro i latini, Imperocché si era appunto decretato che questi a voi s’inviassero: ma i capitani assai s’irtdugiOrono nell’àpprestarveli; come voi troppo vi acceleraste a dar la battaglia] e coti giunsero quelli tre o Quattro giorni dopo il bisogno. Jiispetto a Napoli poi dove sono alquanti, de nostri, tanto siamo lantàni dcUt oltraggiarvi soccorrendola in qualche fnodo mentre perico la; che noi pensiamo d’essere piuttosto gl’oltraggiati e gravemente da voi. Foi, tutto che non òjfesi, v'adoperale a soggiogare questa città, confederata ed amica nostra non già da poco, né d^ allora che con voi ci concordammo, ma da due generaeioni en>antS, e per grandi e copiosi ben^tij ricevutine. Tuttavia non é la comun dei Sanniti che offendavi nepimeno in questo; imperocché di propria voglia ìóccorpono Napoli, come udiamo, alcuni nostri, ospiti ed amici loro, o stipendiati, pella indi^nta’fbrse del vivere. Nè abbiam poi bisogno di staccare da voi li sudditi vostri; imperocché senza que’di Fondi, e. li Formiesi, noi, necessitati alla guerra, bastiamo a noi stessi. Apparecchiamo un esercito non per levare: a vostri colorii le cose loro; ma per difendere le nostre propriamente. A vicenda noi dimandiamo da voi j se volete far la GIUSTIZIA GRICE ESCHATOLOGY, che partiate da Fregelli, città da noi conquistata tanto priiHa col mezzo dell’armi, che è mezzo dirittissimo di possedere; e voi sera alcun titolo ve t avete, già sono due anni, appropriata. Or tali cose ci si concedano nè crederemo di essere stati oltraggiati. Allora subentrando al discorso il Pedale Romano, ripiglia: Niente impedisce che violando voi così manifestamente i trattati di pacOy i romani passino all’armi: nè già ponete lepnerUarvi d’essi, ma de'non sani vostri consigli. Ornai da loro si è /atto qtuuUo doveàsi pelle leggi rsacre e civili della patria, o di pio verso i Numi, o di giusto GRICE GIUSTIZIA ESCHATOLOGY verso i mortali. Gli dei che per sorte soprawegliano alla guerra, giudicheranno tfuale de due popoli osservasse i tràttati. £/ qpi recatosi in atto di partire, e tiratosi al capo il lembo onde cingevasi gli omeri, alzò come era il costume j le mani al cielo, orando don. imprecazione gl’iddii : che se Roma ingiuriata da Sarmio, non potendo riaversi dalla ingiuria cotle jrsfrole e co'tribunali procede finabnerite all’opere, U dessero pella mente ctmsigU bùqni, e condotta, propizia pella guerra. Afa se in opposito Rorna ìràscurando i legami santi dell’amicizia, accattava pretesti non giusti onde romperla, non la dirigessero 0 ne consigli o ftelle opere. Levatisi gli uni e gli altri dal colloquio; e dichiarate alle loro città le CMe disputatevi; dascuno dei due popoli pensò molto diversamente su Tabro. I Sanniti come £an essi quando iqtprendon la guerra, tendano per lent^ assai |e operazioni de’romani; laddove i romani immaginavano rannata di Sannio ornai prossima a piombare ^u i Fregèllaui’, loro còloni. Donde ne avvenne a ciascuno ciocché erane consentaneo: Imperocché li primi, apparecchiandosi e indugiandosi rovinarono la opportunità d’imprendere: per l’opposito i romani tenendo tutto pronto, udita appena la risponsóli. E prima che i nemici ne udissero la marcia; tanto le milizie reclutate V, ‘non. di:etidere in teiTa, ma dalla terra elevarsi. Imperocché nell’ e^ero stan le sorgenti del fuoco divino. a Ciò che si dimo^ra pel fuora nostro sia che lo abbiam 'da. Prometeo, sia che da Vulcano. Impe^ rocché quando è sciolto da’vincoli pe’quali è necessiuto a rimanere fra noi, corre subitamente pell’aria verso 1’altro fuoco, suo connaturale, ed Q quale doge d’interno' tutta la natura del mondo^ Cosi donque l’al. l6 e LIVIO (vedasi) più dislesamente. Il tratto aegnenic sembra parte della ri^tosia di Poaaio airinviato de’romani. neUe guerre han perduto i jìgti, quanti i fraleìli, e quanti gli amici? Ne’quali tutti come pensi che dee traboccatne la bile se alcuno ' gf impedisca placare ^ue' morti eoa tante vite di nemici le quali sole son credute un ossequio in verso gU estinti. Ma supponiamo che persuasi, o forzali o per qualunque maniera vinti mi si arrendano, e contxdano che questi continuino tìi vita, or ti pare, che sian per cqnce'dere'che ritengano insieme ogni lor cesa, q sema pur neo di vergogna se ne vadano quando, a tbr pia ce, quasi eroi qui apparsi per felicitàrne? O non piuttosto sopravvenendomi j quasi fiere, mi sbranerebbero appena tentassi dit questo? O non vedi come i cani da caccia quando è presa la fiera la qual chiusa dà essi va nella rete, circondano il ceuciatort, chiedendo parte della preda? e se non ottengono bttntosto il sangue o le viscere, non yédi come lo sieguonó, e pressano, e malmenano, nè respinti sèn pdrtono, nè percossi? Faticarono tuUo'il di cotnbaltendd, ma^i che le ombre tobero di rafhgurare gii amici e i nemici, tornarono a proprj alloggiamenti. Appio Gaudio non so per qual mancanza intorno de sagrifizj perdé la vista, e ne fu denominato ->^f£'eco; 'perocché li' Romani cosi chiamano chi non vede le scritluce custodite tra 1 murs, formate con lettere/ accuratissime, odo'rifere pello misto in che sono, presentano tal iloridez È diifieite iotarpetrare dove miri iitesio rottame. Fn detto che alle nti Freoettine. • i u.. I RonUuii ckUmaQO calende le ncòmeaie come none dtiamano la mezza IbQa, ed idi il pleoiluaio. Era la falange nel rnsAZO disgiunta ié mal piena: cori quelli che ivi erano disposti id òontrario, le furono sopra, e ne 'respinsero i>coDÒfc|auenli l’'iaosa, guàra aitàccò tutto il fiore dc^ cita Uomini sacerdoti, onorati Co’sacri minirieii. Quest’uomo pien di trasporti senza consiglro, insolentissimo, deliberando e ctmcentrando in sé tutti i poteri pella guerra E poi tu ardisci d’accusare ia sorte, turche la usavi pessimarnente, postola su barca già rovesciata? Così eri stolto? \, .^jilcuni i membri abbisognano di cura, e tali altri cicalritzcmdosene. VQt Ma vo’ricordare ancora un’arion' dvile de gna degli noom) di tutti i mortali, dalla iquale sia chiaroai Greci quanto Roma allora abborrisse soellerati, e come fosse inesorabile contro chi viola i diritti comuni della natura. Cajo Letorìo soprannominato Mergo, uomo illtutre pe’natali, còme non ignobile per le belliche imprese; dichiarato trìbW>' militare nefia guetta sannitica Ittsiqgò per un tempo un giovinetto sub camerata, vago più eh’altri di aspetto, perchè rendere si volesse agli amorosi AMICIZIA GRICE diletti di lui. Ma perchè noi guadagna cb’'donl, uè còlle gentili maniere, ornai più non bastando a sesiesM, cpr§e alla violen^. Divulgatosene il disordine tra le miliziè, i tribuni della plebe y; Qoaoto SigoJa questo libro, er^etlaato. it paragrafo lO'A lutto frammenti. ripuUQ^Io oltraggiò comune della {repubblica, me die dero accusa pubblica al reo, cpudannatone quindi dal popolò a Qiorte eoo voti pieqi. Peroécbè non tollerò questo ebe uomini di grado nell',;fsercilo profanassero con ingiurie‘ùmpìabili e contrarie ali^ natura Tirile, persone iagentté, mentre esse pella libertà co njballe-; vano i . Se non che non molto prima di questo fece^ttn’ opera‘ aaeor piò tp^evigliosa pell’ingiuria recata ad un altra persona, quantunque servile. Il (àglio di PubKo, io dico t di uno di que’tribuni milUari che umiliarono ai sanniti l’esercito e n& andarono, sotto giogo, fa costiletto, come lasciato iir grave pénuria, a ter danari ad usura pe’funerali del padre,^qtfasi ch% sarebbene quanto prima rilegato da’parenti. Ma deinsò nelle sue speranze, e scadutone il termine {vfa présir'egU Stesso pel: debito, giovinetto èòm’ era. e vaghissimo nc’ sem Valtrìo Masshiro pirla di a( capo primo Le deecrjsione qui ecala b l'una' de’ tram meati de’libri perdoti di Oiop^i.,II'£|ito fi narra pur aél compendio in tal modo: Ua tal Romano^, Cajo Leutrio, intUleva cpn un giovine, suo eumerata, ond’avir tUo diletto da lui y vago della persona. Ma non essendo il giovane goodagnalq nb per doni v né pér eavetse, alta Jiite divalgato il disordine dell’uomo, i tribuni lo condannaranò. -'IXdnigi, ’Oòm'Vne'^reaiaieoii, leone per ciseostinta gravissima del fitto la vipleoia, usala in noe dg Letorio: Se cglf compendia sè atess >Ta le carni ^acci&ct^ appena-^ si'riseajtooo e commoTOusi ifid tanto eh gli piriti nalnrali di esse yio lentano i p.ori, e $i dissipa'no. Questa •>, pur la cagione de’terremolwià Roma. Conciossiaché tutta vuota di setto per grandi e contiqùatl canali pe’quali conducesi Tafana tien m'ohe sflatatoje^ per le quali sen.esca. il vento rior. hiusovit ma quando il vento rimastovi prigiohiero sia troppo e veemente questo somioove Roriù e rompene il suolo, a •' Si^ consenta in generata ani liplo rfi qi|eSto, giATÌnetto: ma si discorda autonome, sulla famìglia, e sul ten^)0. Valerio Massimo nel lihA lo chiama fity Vetório figlto noa di Pubblio ma di quel Tito Veturio che net aifq consolato fu dato ai Saooiti (lal. cfattaio obbrobrioso coocluso con essi. LIVIO (vedasi) chiama it giovine Cajo Publicio, ed assegna il fauo all’anqo .'4^7 di lioma aolto i oontoli C. Poeleliu fc Lucjo Pepino, vispi 4irùclusa la pace co’Romani, soprastettero breve tempo i Saiteiti, e poi, stimolati dà un antiéa ingiuria, mar 'ciaróno coll'armata tra i Lucani, loro cónfinauti. Questi affidati da principio alle forze proprie sosienner la guérra: ma pòi vinti in tutte le battaglie, pelòta gran parte del territorio, e già prossimi perdere anche il resto, si videro necessitali ad implorare rajuto di Roma J£ quantunque consapevoli a sestessi di aver tradito i patti cdnclusi Uria volta con lei di antiòizia e di alleanzaf non disperSròne ch^ concorderebbe di nuovo, se le inviassero in ostaggio insibme òon gli oratori i giovinetti più rignardèvoti di tutta la repubblica loro. Qr questo appunto ne seguitò. Perciocché Venutivi gl’oratori e supplicandovi ca^dissimamente; il Senato deliberò di ricever gli ostaggi e render^ ai Lo cani l’amicizia GRICE FRIENDSHIP; ed il popolo né comprovò la sentenza. Firmati gii accordi con gl'inviati de'Lh'cani, il Senato elesse i più provetti per anni è per onori ^ e li diresse ambasciadori al consiglio generale dèi Sanniti; affinchè dichiarassero ad èssi che‘i Luoùni erano git amici GRICE FRIENSHIP, e gli alleati .di Bontà, e gli esortassero a render lóro le terre usurpatene, nè più tramarli ostilmente: già non permetterebbe la repubblica che alleati suoi che a ' lei ricorret'àna, rinutnessero esclusi, dal proprio, territorio. • tata levar tutu levando, i oaneli. Pìi( volentieri diremo che le mosee de' venti ttnterranei seno éfletlo 4ie'unemoti ausi che la priout eafione. I Sanniti gli mnbasciadcwi incollerìrono e replicarono primicramentò; che i trattati di pace non erano Jdtt} Con accordo che essi non mossero per amico; o, nemicò se /ton ^quello che assegnassero loro per tale i romani i Appresso, che i romani ~s' avjevano renàuto amici GRICE FRIENDSHIP i Lficani non già in antico, ma di recerite quand'erano questi già inoolli nella guerra co'Sanniti; oh A è che non avevano titolo nè, giusto nè decoroso per romperla co' Sanniti Risposero i Rotofiixì''che coloro i quaU avevano promesso di soggiacere, ottenendo appuntò con ciò la pace, dovevano obbedire in tutto, a chi presede.; '.e minacciavano in caso contrario di portare sa essi la guerra. I 3aimiù ripuianjlo intollerabile |a ptresunaione di Roma intimaroflo agli ambasciadori cht partiasero sull’istante; e dentarono che sL apparecchiasse spianto bisogna pella guerra di tutta .1 fazione, e d’ogni citti^ Pèrtanto la; cigìon manifesta, nè ingloriosa a raccontarla, della guerra Sanuiliea, fu .la voglia di socQ>rrere i Lucani caccòmmuidatisi a Roma quasi fosse già pubblico e^ vecchio costume di essa difendere gli oppressi, che la invocavano: ma la oagion recondiu., e che più \li sospinse a romper la pace, era la potenza Saimitica, divenuta già grande, e la qnal$' crescerebhene ancora, se domati i.l, ucani ed i confinanti di questi si volgessero ad essi anche le barbare genti che stayansf appresso. Cosi tornati appena gli ambasciadori la pace fu rotta, e sì àfrolarono due armate. Postumio già console, venuta 1 oca di esserlo iivatneiue, teniasi grande per to splendor de’nataii, come pel gemino consdato Doleasene sa ie prime il collega di Ini quasi escluso daU’essergli Uguale, e più volle ne fece 'in Senato rimostranxa. Alfine qUah plebeo venuto in luce da poco, riconosoendosegli' mìAore per gli antenati, per gli amici GRICE FRIENDSHIP, e per àltre eccellènze, .n'mi liossegli, e gli concedette di per si stesso il comandò della guerra Sanuitica. Diede grande invidia a Postumio un tal fatto, come nato dalla media arroganza sua; ma poi glien ' diede un altN, ancona più indegno di un duce Romano. linperoccbè separali due mila difi esercito suo li ridusse nelle campagne sue proprie' senza i fèrri con ordine l'nsieme ebe potassero un qùerceto, leneudoK gran tempo in òpere ài mercenari e dà schiavi. E superbo tanto prima di Uscire |Kr la s|>èdizione, apparve, più InioUeraUle ancora nel compierla; dando al Senato ed al popolo catise giustissime òndè r abborrissero. E ceno, avendo. i| Senato definitó'che Fabio il console dell’àttnò precedente, il quale area vinto i Sanniti cbiamali' ’FeHtri' si rimanesse nei campo con aniorità proconsolare per guefreg^are colla parte stessa de' Sanniti, ^gli.oon ieiterrs(ia' gl'intimò di par tirne, come spettasse e lui sólo còmaudarvi. Spedirono i FUdtì'a ^chiederlo ebe non impedisse al proconsole di stTtre, nè ripugnaste 'ài loro decreti; ed 'agli non diede se nOn. òrgegboae e tiranne rlsposfe, dicèndó:cAe finAocbe Litio fa mauaionè di quelli SaoaÌM: nondimeau Clatetio li tralatoia Della ina Italia antica..- beticippe IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido Fatta sedizione, vinti quei delle vergini e ritiratisi dalla cità, spedirono a Delfo, e ne udirono che navigassero per l'Italia: che trovato nella japigia il luogo Satirio ed il fiume Taranto dove mirerebbero un capro tinger la barba nel mare, ivi fondasser la sede. Fatta vela, e trovato il fiume, videro un caprifico (1) nato in riva del mare con una vite la quale al caprifico si abbracciava, intanto che una parte di essa vite toccava il mare. Interpretando che questo fosse il capro cui l' oracolo prediceva, che mirerebbero tingere in mare la barba, si fermarono in quel luogo, e vinsero li japigi, e fondarono la città cui Taranto nominarono dal fiume. " III. « Artemide Calcidese avea dall' oracolo che dove trovasse il maschio soggiacere alla femmina ivi si fer- masse senza navigare più innanzi. Navigando intorno al Pallanteo d'Italia, e uniratavi una vite intorno di un caprifico, femmina quella, e maschio l'altro, talchè questo ne era coperto, concepì che l' oracolo fosse adem-pito. Ed espulsi i barbari che vi erano, vi si accasò... Regio fu detto il luogo sia perchè fosse uno scoglio dirotto, sia perché ivi interrotta la terra tien disgiunta l'Italia dalla Sicilia coutrapposta: sia che tal nome fusse il nome eziandio di chi vi dominava. » IV. « Leucippo Lacedemone interrogando l' oracolo, dove portasse il destino che egli co' suoi prendessero sede, se ascoltò che dovessero navigare all' Italia, ed ivi (1) Caprifico, fico silvestre. La voce greca payos significa capro e presso alcuni popoli caprifico. Quindi l'ambiguità d' interpretare la voce per capro o caprifico. Fatta sedizione, vinti quei delle vergini e ritiratisi dalla cità, spedirono a Delfo, e ne udirono che navigassero per l'Italia: che trovato nella japigia il luogo Satirio ed il fiume Taranto dove MIREREBBERO UN CAPRO un capro tinger la barba nel mare, ivi fondasser la sede. Fatta vela, e trovato il fiume, VIDERO UN CAPRIFICO [nota [Caprifico, fico silvestre. La voce greca “tragos” SIGNIFICA GRICE SIGNIFICARE ‘capro’ e presso alcuui popoli ‘caprifico.’Quindi l’ambiguita d’interpretare la voce tragos per ‘capro’ o ‘capritico’. GRICE: AVOID AMBIGUITY – unless you are a Pitonisa.] nato in riva del mare con una vite la quale al CAPRIFICO s’abbracciava, intanto che una parte di essa vite toccava il mare. INTERPRETANDO CHE QUESTO FOSSE IL CAPRO CUI L’ORACOLO PREDICEVA, che mirerebbero tingere in mare la barba, si fermarono in quel luogo, e vinsero li japigi, e fondarono la città cui Taranto nominarono dal fiume. " III. « Artemide Calcidese avea dall' oracolo che dove trovasse il maschio soggiacere alla femmina ivi si fer- masse senza navigare più innanzi. Navigando intorno al Pallanteo d'Italia, e uniratavi una vite intorno di un caprifico, femmina quella, e maschio l'altro, talchè questo ne era coperto, concepì che l' oracolo fosse adem-pito. Ed espulsi i barbari che vi erano, vi si accasò... Regio fu detto il luogo sia perchè fosse uno scoglio dirotto, sia perché ivi interrotta la terra tien disgiunta l'Italia dalla Sicilia coutrapposta: sia che tal nome fusse il nome eziandio di chi vi dominava. » IV. « Leucippo Lacedemone interrogando l' oracolo, dove portasse il destino che egli co' suoi prendessero sede, se ascoltò che dovessero navigare all' Italia, ed ivi (1) Caprifico, fico silvestre. La voce greca payos significa capro e presso alcuni popoli caprifico. Quindi l'ambiguità d' interpretare la voce per capro o caprifico.l’ORACOLO, dove portaste il destino che egli cc/’^stiei prendessero tede, né ascoltò chè dovessero Aavìgare-AllMuiia, ed ivi [Caprifico, fico silvestre. La voce greca “tragos” SIGNIFICA GRICE SIGNIFICARE ‘capro’ e presso alcuui popoli ‘caprifico.’Quindi l’ambiguita d’interpretare la voce tragos per ‘capro’ o ‘capritico’. GRICE: AVOID AMBIGUITY – unless you are a Pitonisa. [ahbìtàre dove approdati rimanessero un 'giorno ed una notte. Approdata la flotta intorno di Gallipoli in un tal campo de^T^renlinì, dilelliito'Leacippo della aalbra del luogo, operò coi Tarenlini afllnchè gli isonCedessero di stanisi ii giorno e la notte. Cosi passatine più giorni ;voleano i ^Tarentini che ne partissero ì -ma colui noti ditd^ lor mente, dicendo che secondò ^li accordi uvea iU loì^ quel tUoigo pel giorno e per la notte", e però sino a Umto^che fosse o furio o f altra non se ne partirebbe. I Taréalini vistisi, nell’ inganno,' coQsentirono che rimanessero. u I Looresi popolando Zefirio, Ina punta d’Itali; ne flirtino soprannominati' Epizeflrii. Stav tniropo. che rimanesse nel hiogo in che era, sostenendone la ^ecn. che ne deriva furono dissipati tra selve e valli e ripidezze. Un TarentiOo, uomo empio, e deditO/-à tatti i piaderf p la incpntinenztr e prostituzione della Sua bellezza fln'da ^ovinetto / ne' iu nominato Taide. Fatta ià' scelta dal popolò erano' partiti. Vilissimi e petulaaUssìml tra cinadini. Fu Postumio spedito ambàsciadore ai Tarentinr: ma' facendovr rimostranza; questi non-T iitte> sero, nò ' pigliaronp il contegno de’ saVf i quali -òòmuliino su là patria che pericola: anzi, se nieoiotavitno mai che cóldi non parla accuratissimo il greco 'Idioola, ve! Siraboàs pel libro setto dà questo 'Sdetiaid racconto pell’origine di Melapoalo. Cosi detto perebà risolte al vento Ztflro ciot di Ponente. Questo e li tre paragrafi srgoenti tono frammenti. deridevano, ed elevando 1i;m le mani o la voce, se ne irritavano, e barbaro lo chiamarono; jtantt> che 1q espulsero infine dal teatro. E già costui m ne anda co’suoi, quando per istrada s’avvenne con essi,.Filopide, un accattone di Tasanto il quale sopran-j nominavasi Colila dall’uso che avea, continyo di briacarsi. Caldo del vino, ancora del di precedente, come ebbe vicini i Romani, si tirò su la veste: e scompóstosi in atto indegnissimo da vederlo, sbrufTè sul manto sacro de’Legati ciocché non. può nominarsi nemmeno con decenza. Scoppiatene da tutto '3 teatro le visa, e sbattendoglisi per fino le mani da'più protervi, EoStumio riguardandolo dice: accettiamo o tvtissimo uomo / augurio: giacché ci date fin le cose che nòn chiedi/ama. Poi rivoltosi alla moltitndine, mostratovi contaminato il suo manto, e sentitevi uuiversaliN aucora e più, grandi le risa, anzi le voci nemmeno, di àlcUni che'sen compiacevano, e lodavansi, della contutUelid: -ridete f dice, finché V é dato ; ridete, pure o "Tarenùni; ehè assai ne sospirerete dii j>oi. Fremendo alquanti alla minaccia iò ; replica, perchè pià Jremiale vi aggungo; che assai laverete col sangue: quesUi, mia Cosi spregiati dai prijvati e(kl pubblico, e tosi •pcoaunziatp quasi come un vaticinio divino, su loro / sciolsero, d legati dal porto da Taranto. Giunti questi sotto Emilio fiarbula magisti^to Aono di Roma al Altri all’idea-dj acoattonesoatitaiacono quella di od aomo brflardo t garrulo, ellione de’Lucani e de Bruzj ‘j e finch’era' indomita la nazione grande le bellicosa de Sanniti, e1 altra de questi son fatti a dar buoni auguri, a chi cerca mantenne i beni pri>prii. Ma chi cerca r altra!, spii queiU augnrf d’uccelli di pronto e rapido impeto per lontauT Via^. Ginciossiaché questi uccelli sieguooo e pcocacciansi ciò che nbn hanno: ma gl’altri guardano e''cnstodiscòno ciò saltité. Pormi saviezza mandar lettere di minàcce aC sudditi: ma vi&t pendere come uomini da pocoro da nulla Uomini dei quali non siansi considerate le milizie -nò conosciuto il valore, questo è indizio di forsennato, o di chi non sa ciò che è senno. 3Ia noi sogliamo punire i nemici co folti, non colle parole. Nè fàteiamo te giudice de’nostri richiami co’Tapentùti, co’Sanniti, e con altri: nè prendiam te garantedà far valere ciò che tu giudichi. Decideremo colle armi nostre la disputa pigliandone la pena che ne vohemo. Su tali 'notizie apparecchiati come nimico ^ noa come giudice nostro. Vagli poi considerare quali’garanti ne darai per te da soddisfare le ingiurie >che tu ci fai: non ricevere a carico tuo che nè^farentim. né sdtri nemici opprimeranno i diritti. Se luti deliberato d’intprendere per ogni rqdnierà la guerra contro di noi, tieni certo che ti succede dò Se di ^ necessità succede a chi vuole combattere innanzi di, aver ponderalo con chi siaper combatterò. Abbi tutto in pensiero, e poi se cosa ti bisogna da noi, aìlo'ntànale minacce, pon già. quella tua regia fierezza V vieni al senato, informalo, persuadilo uè' vedrai -mtuteanS non 'il tjlirilto, e non £ equità a. V i'9 • JLìevino console romano, preso un esploratore li Puro (e prendorfe alle sue milizie le armi e schie>r rarsì: poi mostratone a lui lo spettacolo gl’impose di riferirne a cbv lo manda, tutta la verità: e che oltre le cose vedute dicesse che Levino il console de’romani lo ammoniva a non inviare occultamente altri per osservare: venisse egli e vede palesissipiameate, e sperimenta ciò che-gian l’armi romane. Addo (li Roma. 474n/ÓJV/C/. lówà Ua tal Oblaco, soprannominato.VuUinlo, dace de'Fereatani, al vedere che Pirro non avea posto certo, ma presentavasi rapido dòvuoqnc. tra’soldati, diresse r attenzione. a.' lui solo: e dove' che, ne anda il re cavalcando, ivi piega anch’esso il proprio cavallo. Osservando 'ciò Leonnato di Macedonia figlio di Leofante, .l’nno de compagni del re, se ne empi di sospetto, e scoprendolo a Pirro dice fvMarortaro(^o. Dopo quell’incontro il monarca afEne fidisstihó e valorosissimo fra’ coin|>kgni la da mide sua di porpora e d’oro usata da Ibi nel combattere, c l’armatura, migliore delle altre pella materia e pei 'tavqro, ed Segii prese la clamide bruna, e 1’usbergo e la causia colla quale, Megacle difende il capo dagl’ardori. E questo fu cagione, sembra, a lui dj salute a. ‘V. Dopo (Jbe Pirro signore degl’epiroti porta l’esercito contro ai romani, deliberarono spe dirgl’ambasdadoH pel riscatto de'prigionieri, sia che colui volesse restituirii'cambiandoli, sia che tassando un prezzo per ciascuuo d’essi. Pertanto dichiararono ambasciadori CAJO FABRIZIO (vedasi), il quale gii console, addietro da tre anni, vinte i sanniti, i lucani, i bruzj con strepitose battaglie, e disciolse 1’assedio di Turi, e Quinto Etnilio il quale éelTega un tempo di Fabrizio fece la guerht co’Tircehi, è Pdbiio Cornelio il quale gii console addiètrct da quattré' atini atuccò ^utti i Galli chiamati Scnoni, nenvcilsfmi'de’^omani, 'e 'mitene a 61 di spada tutù gl’adulti.' Venuti quésti a Pirro, e -discorsogli qninto concerne il subjelto, come la sorte non Imttoposta a calcoli, corno repentini sOno i eangiamenti fra l’armi, e come niun può' di leggieri antivederne il futbro; proposera alui che sceglieste dì rendere i prigionieri a p-szzo o permuta. ( ' 001101 rispose: jirduo cimento è il vostror o romani, che ricusate can^iungervi meco di aiaicieia, e richied/ete i vostri prigionieri d’usarli in altre battaglie in mio dannoi Voi se desiderate il bene, se intenti siete tdX utile comune a noi due; pacificatevi con me, e ee’ miei confederati, e ripigliatevi gratuitamente 1vostri prigionieri, alleati, o cittadini che sieno. In altra moda non soffrirò che vi abbiate un'altra volta tanti, Je ^tanto valorosi. Coì dice presenti i tre 'legéti, ma poi prendendo Pabrizio in disparte soggiunse:, Vili. Odo o Fabrizio che tu se prestantissimo nel guidare una guerra, che se’giusto, e sobbrio e pieno d’^ogni virtù, dell’uomo privato, ma che intanto sei povero di sostanze, e depresso in ciò solò dalfis sorte; onde noli vivi tù eoa più agio cher. gV infimi senatori. Ora io volendo sollevarti anche in ciò, ti afferò tanta quantità d’argento e d’oro da superarne il più facoltoso tra Romìmi. Imperocché io reputo liberalità bellissima, e degna di citi presiede, beneficare i valentuomini i qiysli. per, la povertà non vivono con dignità de’lor genj bennati, equesti io reputo doni, questi monunten{i luminosi per /una regià potenza. Or tu vedendo o Fabrizio il voler mio, lascia ogni verecondia, vieni, a parte de’miei beni; e concepisci che mi farai piacer grande, e che sarai presso me riverito come un amico, o un congiunto, o certo coni uno degli ospiti più onorevoli. Nè già per questo mi dovrai tu p/eslare l’opera tha in cose ' xvnì. 4'^non giuste, o non degne, md in coj& onde tu ne sia piti stimabile e grande ancora nella tua patria. E primieramente pròvecherai spianto puoi perchè faccia la pace cotesto tu& Senato, fin qui duro, e privo di niodprati contigli. Dirai che ia venni in danno' di Roma promettendo soccorrere i tarentini ed altri d'Italia: che ora non sarebbe giusto, né decoroso che gli cdibandonassi io presente qui coll'esercito, e vincitore già., di tuia battaglia: che nondimeno affari imperiosi e molti avvenutimi poscia -mi richiamano alla reggia. Ed io qui ne do, sii tu solo o am gli altri compagni, le assicurazioni più. ferme, c&è io son intento a tornarmene se ì romani mi si concordano per la pace: talché puoi dirlo pur francamente ai tuoi cittadini se alcuni mai ve ne fossero d quali mal suona, il mme di un re, come quello di un fi4o, ne’trattati, e-témessero di me similmente perchè taluni monarchi si videro, sorpassare i giuramenti, e tradire gl’accordi.. Fatta la Magro ò il nfio poderetto: eppure amando io di lavorarvi ed appiicàndomene prudenzialmente -> i frutti t somministramb tutto il bisognevole; riè la natura ci viohnUf a cercare pià che il bisogiievole. Soave m’è falimento cui la fame còridiscemi, dolce la bevanda Cui la seté procurasi, e molle il sonno cui la stanchezza precede. '&ijfèientissima rrì è la vèste Che mi difènde dal fredda, come acconcissimo, il -vose meri prezioso fra quanti datino P uso medesimo. Noti saria ^unquè giusto accusare la sorte, la quale mi pòrge quanto basta alla natura, e la quale se 'non dovami H'abbondanza, non tri'impresse netntnèno desiderf superflui. Io non hb mètri' è vero dasoccorrere ritisi debbe;~'ma nemmeno diedemi ''Dio. su le ricchezze quella cognizione certa j 'o divinatoria pella qualegioitasi chi he'abbisogna, come nemmeno diedemi tante altre cose. Partecipo ciocché ho colla patria e gliamici; porgo loro còme comuni le cose mie, beneficando come posso chi ne abbisogtia, nà quindi io credo mancare. K quesfe sono quelle maniere mie che tu giudichi, prestantissime, e else sei pronto di comperale a sì gran prezzo. Che se poi la gran possidenza sia degna che procqrisi po/t tante premure, e gare appunto per benefitare chi ne abbisogna e se questa rende più Jelici i pià ricchi come sembra a voi re j qaoii vie saran le migliori, da pi'ocurarsela, quellè pelle quali vuoi tu che io me l'abbia ingloriosamente, o quelle pelle quali io l’avrei prima ottenuta con decoro? Certamente gl’affari di stato mi diedero tante volte per addietro > mezzi d’arricchirne principalmente quando già da tre anni fui consolo, spedito colf esercito cantra, K potendo di^ tali acquifU applicarmene quanto.iovoleva; non veppi toccarne I 0 trascurai per amor della gloria uua ricbhezza anche giusta; come, fece falcfio Poplicola,' e, come pur fecero, altri moltissimi pc’quali Roma tante 'ne è grandiosa, Ma da te quali doni mi si, apparecchìanà? Non canshierei forse il meglio col peggio? Sal'ebbe quella prima maiiiera di possedimento stata uiùin colla soddisjazione del cuore, con un apparalo di giustizia, e decoro; ma da codesta tua Ujopfia tatto ciò manca. Imperocché qpAttVO uquo^accstta dall’nomò k cotta ca knseTiro csb-gu gravita iNTOthro riw cuk SOL oottrairifA i k NAseoaDASf purb . la etATORÀ DBL PRESTITO .co' tfÙMI SPSCIOSf, DI DONLf Dt favori; DI BiOfBFfCBmBE.',, o Or su poni che io uscendo da me prenda C oro che mi offerì, e ciò divulghisi tra romani. I magistrati irreformabiU, quelli che noi chiamiamo censori, a’quali spetta esaminare U'vivete de' ife> mani e castigar ehi devia dalle cóasuetadini della patria, quelli mi citino e m’astringano a dar conto de’doni ricevuti, al cospetto del pubblico e, dicano: ;,xt. Noi ti abbiamo inviato o. Fabticio con due consoUpi al monarca per trattare il riscatto dei prigionieri. Tu rivieni dalla spedizione ‘feoza li prigio/tieri, e sene’altro bene por, la eittà: Bitorni col mà, e m solo^ e npn. i tuoi compagni, delle regie.( se non da ciò die tu ne tradisci al nemico, sì che egli coi tùo mezzo soggioghi per sè /’/talia, e tu col mezzo di lid tòlga alla patria la libertà? Così fan tutti gli nomini di una v^tà simulata, e non vera, quando si sono avanzati al grande e forte degl’affari . , w Che^fe non tuadorno ddla dignità senatoria, e non da nemici, cnom^per tradire e far tiranneggiare la patria avessi accettato que doni, ma soltanto come privato da'-un re cotfederato, e senza ombra di male pel comune, dì, non saresti da punire anche per questo che depravi li giovani, insinuando nella loro vita il genio pella ricphezza, pelle delizie, e per Its sontuosità dd monarchi-^quando abbisognavi condnenza estrema a preservar la repubblica? Svergogni, li tuoi maggiori de'qu^i niuno deviò dagli usi della patria nè mutò la povertà decorosa con turpi ricchezze: Si tennero tutti nel tenue patrimonio, che fu riceyesti, ma poi riputasti minore di tC n' ., K ' u Anzi tu dissipi la gloria a te risultata pe’fatti anteèedenli, la qiiaL possedevi di uom temperante, e superiore ai bassi desìderj. Ti diletterai d’esser fatto malvagio di proho, quando dovevi anche cessare dall'esSer inalvagió, se eri mai tale? O sarai da ora in -poi messo a parte mai più degl’onori dovuti ai buoni? anzi levati piuttosto dalla città, o dal foro almeno. E se ciò dicendo mi casi. sasserp dal Senato, e mi riducessero. disonnati, qual cosa ftqtrei replicare, o. quid Jar giustamente in contrario? E, dopo ciò qital vita vivrei io mai, caduto in tanta, infamia t‘~e versatola in tutti i iniei posteri? n • Quanto a te poi come darò segno mai più di giovarti, se tra miei perdo la influenza e Ut riputazione, pelle qatdi ora cerchi, di afJezionap~miti? Quando non potessi più nuUa nella patria, non mi rimarrebbe che uscirne cottr tutta la Jìtmiglia, condannandomi da me stesso ad un obbrobrioso esilio. Ma dove mi starei da indi in poi, qual luogo mi ricetterebbe ridotto^' ^eom’ è conseguenza, senza la libertà del parlare? Forse il tue regno? VivaGiovo se mi apprestassi tutta la règia tua prosperità, non mi daresti tanto bene quanto mé ne togli'. levatami la libertà, preziosissima innanzi,n. . u Còihe potrei tener vita tanto divérta ^ tardi ammaestrato a servire? Se cJù è nato ne’regni e nelle tirannidi quando abbia cuor generoso, ama la libertà, stì/nando ogni benè meno difessa; come chi è cresciuto ùt città libbra e consueta dominare sugl’altri, passerà volentieri di bpie in -mole, di libero in suddito per imbandire laàte ogni giorno le mense, pie aver gran seguito intorno di servi, e pigliar diletto senza rifeèya eoa'' femmine e donzelli formosi quasi la umana felicità sia riposta in questo 0 non già nella virtù?-n. u'Ma sùm pure questo e cose altrettali degnissime \di esser cercate, or quando l’uso ne sarà / tnai lieto se non sono mai stabili? Se a voi sta concedere tali amabili cose; voi le ritogliete uguale mente, quando vi piace. Lascio di ridire le gelosie, le calunnie, la vita sempre in pericolo, sempre in timore, e tutti gl’altri sconci, non degni del wx lentuomo, quanti ne porta lo sfar presso ai moìiarchi. Già non colpirà tanta stoltezza Fabrizio d’abbandonare la famosissima Roma per vivere nelC Epiro; o da ridurlo chk merUre può far da capo nella città dominante, voglia essere dominato da un solo, pien di sestesso, e còhsueto d’udire dagl’altri soltanto ciò che diletHa. Già non potrei levare il grandioso nei pensieri t nè impiccolirmiti, anche volendo, sicché tu non debba sospettare niun danno. E rimanendomi come la natura e-'glt usi della patria mi han fatto, ti parfè grave, e quasi tirare, da ogni pòrte il comando verso di me. Generalmente debbo avvertirti ctie non vagli ricevere nel tuo regno, nè Fabràio, nè altri, sia maggiore sia 'pòri tuo nella virtà, ni affatto chiunque sia'crescitUò iti, città Ubère con sensi più grandi deiiP nomo privato. Già non è sicura ai principi nè cara la dimestichezza con uomini, di mente eccelsa. Mà sull’utile tuo vagli tu da te, discernere ciò eli è da fare:.-quaoto a prigionieri nostri scéndi ai miti consigli, lasciane aitdare. Appena Fabrizio (ìae, maraviglialo della magnanimità sua, lo prese pella (lesira dibendo: Già non mi vlen maraviglia che la vostra città sia tanto celebrala, la cresciuta a tanta signoria, dap. 4^1 poiché dia nudre tali valentuomini. Ben avrei caro che non fosse stata fra noi briga ninna fin dall’origini, fifa poiché vi fu, poiché taluno de'numi volle che noi misurassimo a vicenda le nostre forze e iL valore, misuratolo ci riconciliassimo; son pronto. E cominciando io la benignità la quale dimandate, restituisco 'in dono, e non a prezzo i suoi prigionieri a Roma « X^ECto, un. Campano, lasciàtd da Fabrizio console romano per capo ddia gbarnìgione di Regio, invaghito dei beni di questa, finse venutagli lettera da un ospite suo nella quale s’annunzia che il re Pirro manderebbe cinque mila soldati a Reggio per invaderla, promettendogli li cittadini, d’aprir loro le porte. Su tale pretesto uccise cinque di Reggio, e poi comparti le maritate e le nobili tnt suoi militari, vi si fa tiranno. Alfine caduto nudato degl’occhi manda cercando in Messina Dessicrate medico prestaatissimo secondo che udiva. .>,. r Pirro recita li versi che Omero mise, in bocca d’Ettore verso Achille, 'qnast detti da’romani verso di Pirro; ., Ma te tale e Xaot’ nomo io gHi non voglio, col guardo seguitandoti, di.'forto, Ma palese ferir^ se mi riesca i ' . Poi soggitmgendo che egli seguiva forse nn tristo $u> bjetto di guerra contro Greci, buonissimi e giustissimi, ma rimanevaci un solo e bel termine; che li rendesse 4 amici di nemici, con' principio magnifico di BENEVOLENZA – GRICE CONVERSATIONAL BENEVOLENZA. Quindi fattisi veaire li prigionieri de’romani, diede a tutti vesti convenienti ad uomini liberi, e le spese del viaggio, Con esortargli infine a ricordarsi quale egli foése staio inverso d’essi, a manifestarlo agh altri, e CO-OPERARE GRICE con (utlb 1’impegno a rendergli amiche le patrie loro, quando vi giungessero, 'i . Certamenté r oro de’principi' ticn forza insuperabile, hè fu dagl’uomini trovato fin qui riparo contro di arme siffatta. CKnia da Crotone uomo soperchiatore privò di libertà le cittadi, 'cOn dar fritnehigia ad esuli e schiavi numerosi de’luoghi intorno. Fondata là tirannide Quel di Reggio '«ve vano cercalo il presidio romano, temendo tanto de Cariagipeai quanto di Pirrol Dacib uccise li cinque qni SIGNIFICALI GRICE in un convito. Ma li soldati ne uccisero assai più pelle case, come sì raccoglie da Dione. Questo paragraie, e l( tegajeuti lino al duodeoimo sono frammenti. col mezEO di questi uccise o bandi li Grotoniati più rìguardevòli. Anassilao oocopò la fortezza di Reggio, e ritennela per tutta la vita, lasciandola appresso al figlio suo Leofrone. Dopo questi anche altri facendosi a dominar le città vi sconvolsero ogni cosa. Ma il dispotismo, ultimo a nascere e massimo ad opprimere le città d’Italia, fu quello di Dionigi, tiranno della Sicilia. Imperocché passato nella Italia in soccorso de’Locresi che vel chiamavano a danno di que’di Reggio, che sono loro nemici, ha incontro eserciti italiani numerosissimi; ma postovisi in battaglia uccise moltissimi, e presevi a forza due città. Poi tornato un’altra volta in Italia svelge dalle loro sedi gl’ipponiesi traendoli nella Sicilia: invade Crotone e Reggio e vi tiranneggia fiqché queste città sopraffatte dal timore di lui si danno ai barbariv Ma poi premuti pur da’barbari come nemici, si rimisero nelle numi del tiranno. E fluttuando, come le acque dqli’Euripo, si volgevano senza requie qua e là fortuitamente, levandosi da chiunque li malmenasse. Scese PiiTo di bel nuovo nell’Italia, non riuscendogli nella Sicilia le cose come le idea, perchè il governo di Ini sembra dispotico anzi che 'regio alle città principali. E per vero dire, iutrodoftp questo in Siracusa da Sosistrato che allora vi presede, e^da Toinone capitano della fortezza, e ricevnto d’essi r erario, e presso che dngento navi rostrate, e sotto Ciurlino uel lil>. a fa mcniione di più zelante per pubblica confessione e più attivo nel dar mano a Pirro pèrcbé scende nell’isola e vi regnas, giacché si eca costui recate colla fidUar^er incontrarlo e gli av^a renduta l’isoletta, da Idi, presidiata in Siracusa.. Ma tentando sorprèndere ugualmente Sosistrato fu ddosò; perocché costui previde le insidie, e fùggì. ' r ' ' i ’, ^irapnsiT'pcr quatuo rileviamo da Lucio l^loro era coma aoa ciùà composta da tre cittàio delle quali ngoiina /ra ciroonJata di mora. Vedi le uote lib.' a, c. nella faoSlra tlraduxKltoe ^i quello icritìera. Poi coniinciaiKlo a scouyolgeoi le cose di Itti; Cartagine crede avere il buon tempo da riprender nell’isola i luoghi perdniivt, e' ti spedi sollecita un’arinata. Evagora figlioolo di Teodoro, ^alacro ' figliuolo di Mieapdro, e Dinarco figliuolo di Nicia, tristi, infàmi sopra tutti gl’amici di Pirro, emoli com’erano in dar consigli, alieni da’Dumi e dal culto, vedendo il monarca in disagio, cercar vie da conseguire danari, glie ne proposero una indegnissitna i^e era quella d’aprire i tèsoli sacri di Prosèrpina. Imperocché nella città stessa eravene un tempio aaitvo, il quale serba oro in copia, intatto da tempo antichissimo, e dove altro ven'era invisibile a tutti, come posto occnltistimamente sotterra. Sedotto da tali adulatori, e riputando la necessità superiore a'tutto, si valse de’consiglieri medesimi pello spaglio sacrilego. Quindi tutto riconfortato imbarca con altre ricckecze Toro venutogli'! dal tempio, spendendolo a Taranto. Ma la provvidenza giusta degl’Iddj maoifcslò T efficacia sua. Perocché ariose dai porto pròcéderono in principio le nari' col fi^re A t/n. venm terra; ma poi cambiatosi questo iu altro coo^rìo ii^pestà per tutta la notte, e quali ne affonda, quali'ne miruse al golfo di Sicilia; e spinse ai fidi, di liocrs quelle ov’èrano portati i doni', già votivi ne’tempj, e Poro 'amJtnas&atooe: e qui disfacendosene i legni foce perire i nocchieri naufoaghi pel riflusso deUe onde, e sparse )’ oro sacra su la spiaggia appunto più prossima a Ix>cri. Donde costernato rese il mouaroa alla Dea tulli gli ornamenti e i tesori, quasi per allontanare con collera. 4G7 ciò' (a Stollo ! che non vede t/ùali tormenti Tf« ìncorrerì: 'chè facili non tono,. Thnla a mutarti le celesti menti, Come' Ai détto d’Omero. Dappoiché stese la mano lemerliria sul1’oro sacro, onde valersene in guerra, la Dea lo iniìitQÒ nè* Consigli per esempio e documento de’posteri. E per questo appunto io vlcrto colle armi da’ Ro praticati don éagli uomini, ma dàlie capre per lo selvoso e scosceso in che sorto: ed erano, per andare senza ordine alcùno spossandosi dalla sete e Odissea 111-,, ):^micllUà Romane di Dionigi. Tulio il resto t auppliio col compendio formala su li medesimi verni libri. parecchio. Conciossiachè ivi crescono in copia abeti altissimi e pioppi, e la pingue picea, e il pioppo e il pino > e r ampio fàggio, e il frassino, fecondati dàlie acque che vi trascorrono ^ed ogni altra sorta di alberi, la qual densa ne’rami tiene continua 1’ombra sulla montagna 1). s \ VI. a Eh questa sélva gir alberi prossimi al mare e ai fiutni tagliati interi dal ceppo e recati ai porti ricini forniscono a tuttà l’Italia materiali per navi e case: gU alberi lontani dal mare e da fiumi, ridotti in pezzi, e riportati sulle spalle dagl’uomini somministrano remi V " Stra'bufu nel lilwo V-I di« che questa selva eré lunga tcllccento stadj. e pertiche, e mezzi d’ogni arme, e rasi domestici: fi* naimcnie la parte di piante più grande, e più oleosa vien preparata a dar le resine, e scn fornia la resina chiamata. Bruzia-., la più odorata, -e la piu soave infra quante io ^ne conosca. Or dagli affitti di unto Roma ne ha ciascon anno cospicue rendite. Io Reggio, iecesi un’altra sommossa dal presidio lasciatovi di Romani e di confederati: seguitatidone da' ciò stragi ed esilii noti pochi. Per tanto Gajo Gemicio r altro de’consoli usci coll’esercito a punir quei ribelli. Presa la città colle ardii rendette ai citudini pròfughi gli averi loro, edarresuto il presidio lo condusse prigioniero in Roma. Or su questi tanta fu' Pira, c tanto il dispeuo.-Dcl Senato e uel popolo che non vi fu I pietà di partiti: nm da tutte le tribù (ù senlenziau su tutti la pena di morte come presciivono le leggi su tali malfattori. Vili, a Stabilita la sentenza di morte furono pianUti de’tronchi nel foro e condottivi e legati trecento a corpo nudo i quali aveanq già i cubiti avvinti dietro le spalle: e poi battuti, e poi decapitati colle scuri. Dopo ì primi vi furono puniti altri trecento, e quindi altrettanti ancora 4 findiè in t'uttO furono quaMro m'da dn La Irgiooe Campaoa con Decio capitano occupi Ecgg'o l'anno 4/4 Roma poco ifopo la venuta di Pirro nM’ ftalia, occorsa appunto in quell’ann^. La legione ribelle fu punita l’anno 4^^ sotto il contole Genucioi Livio dice clic la pena fu dicci anni dopo il delitto, é ebe li póniti in Roma furono quattro rada. Nel testo ai parla della ribellione come aeconda. Non k chiaro se l’indicata io questo luogo eia detta seconda in rispetto a quella di Dcciu, o di altra antecedente. quecento. Non ebbero questi sepoltura, ma tirati dal foro in luogo aperto dinanzi la città vi s’abbandonarono, pascolo d’uccelli e di cat^i. La turba mendica non tenea cura dell’onesto nè del giusto. Però sedotta dal Sannite si raccolse in un corpo, e su le prime vivea por lo più pei monti nelle campagne. Ma poi cbe fu cresciuta in numero ornai da tener fronte occupi una città forte, dalla quale prendea le mosse a depredare le terre ihtomo. ÌÀ consoli, cavarono la milizia, contro di questi. Ricuperata senza gran briga la città batterono ed uccisero gl’autori della ribellione, véndendone gli altri all’incanto. Era già 1’anno avanti stata venduta la terra e g^i altriacquisti fatti colle armi e l’argento risultatone dal prezzo èra stato comparilo ai cittadini. 4^Qui 81 attude «Ila guerra concitata da LoUio Sannite il quale fuggito da Roma dove era ostaggio, raccolse gente, prese un luogo munito della sua regione, e vi padrone'ggiava, e predata. Dionigi nel lib. 1. 9 dice di tessere la storia sua fioo al principio della prima guerra punica. Tanto che il eoiApendio ha prossima corrispondensa alla storia delle aSA*itA «Usa in venta libri. Nome compiuto: Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Masullo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la scissione dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna – la scuola d’Avellino -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Abstract. Grice: “For a while I was fixated with objects – indeed I coined ‘obble’ to deal with thm in a lingo I invented for one of my seminar. But an obble is not a sobble. The Latins distinguish between a subject and an object so well, that they would often talk of ‘inter-soggetivo.’ This does not quite translate in Ariskantian philosophy, which is ego-centric, rather. When in my pirotological progression, I refer to ‘talking pirots,’ the point of inter-subjectivity becomes clear. Take the language of perception. ‘Visa’ are not necessary, because if Pirot 1 says that the apple is rotten, he is unlikely to be referring to his own sense data. The communication is about – or refers to – THINGS – and I best understood as a psi-transmission, as I call it – i. e. the transmission of a psychological attitude on the part of Pirot 1 meant to influence Pirot 2 into coming to believe that Pirot 1 believes that the apple is rotten, and therefore not to be eaten.” Filosofo italiano. Avellino, Campania.  Insegna a Napoli.  Ha trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli.  È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle Scienze.  È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione.  Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori frequentando il liceo classico Carducci. Fequenta il corso di laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a M.. Studia l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara. Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico. Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione originale.  Nella formazione e nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara.  M. però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla fenomenologia.  Il soggiorno di studio a Friburgo gli consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf. anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro. Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo negativo, ciò che pensiero non è.  Il pensiero Intuizione e discorso è un testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M. si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la conoscenza.  M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile -- Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode -- il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi.  M. considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla patosofia.  Struttura, soggetto, prassi è il testo che documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è «intellettualisticamente sofisticata, trasparente a sé stessa, come vorrebbero le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia, svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante.  S. Non è possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo, esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne i vissuti.  Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di funzionamento.  M., con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice,  La storia e la morte, Napoli, Libreria Scientifica, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di Il senso del fondamento  e raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso, del tempo.  In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.”  Nei studi su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di sé.  In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa.  Ciò introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita. Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento di sé attraverso il cambiamento.  L'uomo, a differenza degli altri viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso», è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il desiderio di permanenza.  Parallelamente alla esplorazione della soggettività, in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo.  L'etica che M. vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il proprio futuro.  Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitive;  una volta esplorato il campo del senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”».  Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori da condividere.  Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi, personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno speranza nel futuro.  M. pubblica La libertà e le occasioni, che sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.  L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università italiana. M., per i caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in seguito  come senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione legale.  All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli.  M.  si mette di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della "giunta del sindaco".  A livello di politica nazionale M. è di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione assistita.  Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica,  “Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica  “La comunità come fondamento,” Grice: “Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but it takes a philosopher to understand that that is what stands behind ‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica,  “Anti-metafisica del fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti,  “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,” Roma, Donzelli,  “Meta-fisica: storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all ‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the ‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G. Cantillo, Napoli, Scientifica,  “Filosofia morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P. Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G. Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli, Guida,  La libertà e le occasioni, Milano, Jaca,  I linguaggi della follia e i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi, Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi di Napoli l'Orientale. Nome compiuto: Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’inter-soggetivo, la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal – l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Matassi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio – la scuola di San Benedetto del Tronto -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Abstract: Grice: “ “Seductio” is not something we study at Oxford much, even though it is SO CLOSE to ‘in-ductio’ and ‘de-ductio’ – Why? The most accurate explanation of the prefix ‘se-‘ in the Latin verb ‘seducere’ is that it conveys the meaning of ‘apart,’ ‘away,’ or ‘aside’. Here’s how it wors with ‘seducere’. Se- means ‘apart, away, or aside. Ducere means to lead. Therefore, seducer literally translates to ‘to lead away, ‘to lead aside, to lead astray. The meaning of ‘se-‘ is consistent with other Latin words using the same prefix, such as se-parate (to prepare apart), se-cede (to go apart), and se-lect (to choose apart). In the context of ‘seducere,’ it implies leaing something away from a proper or intended path, often with a connotation of temptation or corruption. Filosofo italiano. San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “I like Matassi; but then I like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale.  È stato Presidente della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società Filosofica Italiana.  È stato nel comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna.  Ha diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum, Paradigmi, Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale Ad Parnassum. Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia.  Menzione speciale della giuria al premio di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica.  È stato uno dei principali collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Si è occupato di filosofia tedesca, in particolare di Hegel, delle scuole hegeliane, del criticismo tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Un suo saggio è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane da Gans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.  Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e  Adorno, fino ad elaborare un'originale filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella pratica.  All'interno di tale prospettiva svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger.  Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli, Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida); “Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli, Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica (Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli, Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo, Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema” (Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo.. In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c. di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui rapporti tra democrazia e capitalismo,  Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche»,  M.  Latini, Doppia risonanza sul mondo (a proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a "Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf. “La palestra di Platone”. Nome compiuto: Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia Grice e Matera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di Peirce – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Abstract. Grice: “It may be said that ‘mean’is a very English thing that naturally leads to an ‘intentionalist’ analysis since to mean IS to intend. Not so in Italian, where the focus has always been on ‘segno’, rather, which leads you to a causal-naturalistic approach – as when M. says that this zodiac sign means this or that. While there are ways to express in both Latin and Italian something LIKE ‘mean’ – e. g. the complex phrase, ‘vuole dire’—it’s not quite the same! The scholastics would often refer to the INTENTIO UTENS or AUDITORIS, and that may also prove relevant to the intentionalist analysis”. Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “Only in Southern Italy is a philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e successivamente a Napoli.  Vive nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni, il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera  Morelli, Storia di Matera, Montemurro,Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb.  ntonio Giampietro, Personaggi della storia materana. Nome compiuto: Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mathieu: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’uomo animale ermeneutico – filosofia ligure – la scuola di Varazze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Abstract: “I gave two seminars with Austin – one in a trio with Hare, on Aristotle’s Ethica Nicomachaea – the other just Austin and I, on Categoriae and De Interpretatione. In general, I dislike ‘double seminars’: if you are going to discuss the ‘Categoriae’, how can you expect your syllabus to include notes on De Interpretatione as well? However, we fared well. We would often argue. ‘You don’t like the argument?’ Austin would ask. ‘I’ll give you another.’ He was often the speaker, myself the commenator. And I only knew that I had won an argument when in the following week, Austin would not mention the issue. It all starts with hermeneia – How close is Boezio’s translation as ‘inter-pretare.’ ‘Interpret’ is not something an ordinary chap would say – which was the critern for us ‘ordinary-language philoosphers’ there to rally in defense of the man in the street. There is an ‘inter- that sounds dyadic, but what is the ‘pret’? So to the meaning of ‘inter’ as ‘between’or ‘among’ we add -pre. This element  is likely related to the Proto-Indo-European root per-, meaning ‘to traffic in’ or ‘sell’. Thie combination with ‘between’ or ‘among’ suggests the original  meaning of ‘interpres’ – the noun from which ‘interpretari’ is derived—is an AGENT or MEDIATOR who operatores BETWEEN parties to facilitate understanding, much like abroker or translator faciliteates exchange between buyers and sellers. Over time, the meaning evolved to encompass: explaining and expounding – making the meaning of something clear or explicit --, understanding and comprehending – grasping the meaning of something --; and translating – rendering something from one language to another. Therefore, the etymology of ‘interpretari’ highlights the core idea of acting as a go-between to clarify or understand something, mushc like how a negotiator works between parties to reach an agreement or a translator mediates between languages. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Varazze, Savona, Liguria. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or ‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi su  Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale nella vita intellettuale di Mathieu).  Libero docente nella filosofia, è stato professore incaricato, e  Professore di filosofia teoretica a Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è stato membro del Comitato del CNR;  è stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi). È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan.  Ha fondato con Berlusconi,  Colletti ed altri il movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.  Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel luglio  (in connessione con la sua carica di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca filosofica:  la filosofia della scienza; la storia della filosofia; l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella scienza e nella filosofia".  Seguendo Bergson, ha valorizzato anche altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo, dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di un sistema all'interno del sistema stesso; M. ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica, ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.” La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere.  Di estetica è "Goethe e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua profondità e capacità genealogica.  Nei suoi volumi sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un articolo sul Corriere della Sera  rettifica sul Corriere della Sera  smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino); “L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza” (Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,  Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere, Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché punire. Il collasso della giustizia penale, Liberi libri, Introduzione a Leibniz, Laterza,  In tre giorni, Mursia,; La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano  Ideazione, il fatto quotidiano. 3del portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su archive ostorico.corriere. Nome compiuto: Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Matraja – grammatica razionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “The English are ambivalnt towards grammar – there are grammar schools, which are a bad thing – so that does not help. Clifton is not! Strictly, a ‘grammatical’ category is a ‘morpho-syntactical’ category – and I have discussed them at large. Usually at Oxford, ‘syntax’ is used in such a way that whenever I’m outside Oxford, I speak more in hope than in understanding! Whle ‘razionale’ has been applied to ‘grammar’ – it I only because it is part of the broader ‘psicologia razionale’!” Filosofo italiano. Roma, Lazio. Una lingua numerica viene progettata da M. nella sua “Genigrafia italiana: nuovo metodo di scrivere quest'idioma affinché riesca identicamente leggibile in tutti gl’altri idiomi del mondo” (Lucca, Tipografia genigrafica), lingua di cui discusse più tardi anche La Société de Linguistique. M. è l'unico ideatore ITALIANO di una lingua razionale a essere preso in considerazione da questa ‘société’ galla nel corso del dibattito sulle lingue ausiliarie. La Genico-grafia, lett. 'scrittura generale' e di cui ‘genigrafia’ è la forma sincopata -- è un modo di scrivere che non ha relazione con le parole e che permette di comunicar tutti i concetti senza dipendenza dall'idioma ne dell’emittente o del recettore, ma di un modo, che il messaggio risulta interpretabile in tutti quelli del mondo. Nasce quindi come progetto di lingua universale che si prefigge di comunicare chiaramente, ma che non è concepita per sostituire gl’idiomi presenti nelle varie nazioni. Si nota che l'ordine e il modo in cui M. nomina i grandi filosofi, Cartesio, Leibnitz, Wolfio, Wilkio, Kircher, Dalhgarne, Beclero, Solbrig, e Lambert, è lo stesso con cui SOAVE (vedasi) li cita nelle sue Riflessioni: “da Cartesio, Leibnizio, Wolfio, Wilkins, Kirchero, Dahlgarne, Beclero, Solbrig, e Lambert”. Interessante è anche il fatto che di seguito aggiunga: “e Demaimieux e RICHERI (vedasi), oggi Richieri, anche Richer), di TORINO. Maimieux pubblica i suoi studi sulla lingua universale dopo Soave e RICHERI (vedasi) prima. M. quindi dove certamente conoscere (oltre agl’ultimi due filosofi) anche il lavoro di SOAVE (vedasi), vista l'evidente citazione. Decide di non farne nome. Anzi, dopo aver sostenuto che al momento della stesura dei lavori dei filosofi sopracitati non è ancora giunto il giusto momento per comporre una tale lingua, asserisce che finalmente quel momento è arrivato e che lui, ha adempiuto positivamente tale onere – “while lying in the bath, I would presume” – Grice. Dopo aver proceduto all'analisi strutturale di “alcuni idiomi,” – cf. Grice, ‘some establised idioms, like ‘pushing up daisies’ – M. asserisce che e possibile riconoscere nei vari sistemi linguistici delle caratteristiche ricorrenti denominate concorrenze generali - quelli che oggigiorno chiameremmo universali linguistici - da questi comunemente  condivise. Molte di queste caratteristiche sono ad oggi discutibili. Ogni idioma umano concorre nelle cose seguenti. Nell’idea essenziale delle cose. Ogni dizionario nazionale da di queste cose una MEDESIMA DEFINIZIONE (Grice: “bachelor”, ‘unmarried male’ – cf. Strawson, “Anglo-linguistic” – “into any language into which it may be translated” – cf. Jones on Welsh not having the concept of ‘I’, but of ‘the self’ (criticised by Grice’s pupil Flew) -- e solo diversa nel suono delle parole (“shaggy,” hairy-coated – revolution, revoluzione. Nell'origine, poiché tutti gl’arii occidentali sono figli più, o meno immediati del latino, di cui ne confessano la discendenza, tanto per la sua grammatica – morfo-sintattica --, quanto con la edizione del suo dizionario etimologico comparato coll’idioma volgare.  Nel mezzo istrumentale, con cui comunicano in distanza (‘tele-mentazionale,’ nelle parole di McGinn, of Oxford) i suoi concetti, poiché tutti usano dell'alfabeto originale. Nel modo di rap-presentare nella carta i sopra-detti concetti poiché tutte le nazioni lo eseguiscono per mezzo del discorso o meglio, la conversazione, espresso conforme al genio di ciascuno idioma.  Nella TESSITURA (o implicatura) del discorso e la conversazionae; poiché è indiscusso, che non solo le nazioni del mondo antico, ma ancora ITALIA, senz'altra istruzione, che la infusale dalla NATURA, lo dividono egualmente nelle  medesime parti. Nella generale ammissione, ed egual valore delle cifre aritmetiche, per esprimere le quantità numeriche della scuola di Crotone. Nell'uso universale delle medesime note ortografiche per VIVIFICARE (o accentuare) il discorso o la propria mozione conversazionale, rappresentato dai caratteri nazionali; come ancora quello delle cifre scientifiche usate dalle nazioni culte. Nella comune accettazione finalmente della carta rigata per comunicare inerrabilmente le note musicali: Home, home, sweet, sweet home. Queste caratteristiche, proprio perché considerate universali, non possono che essere presenti anche nel sistema immaginato da M. Si nota poi che con la sua lingua non è possibile comunicare attraverso l'uso della parola, giacché, a detta di M., questa mal si presta  alla comunicazione precisa – cf. Grice’s irritation on dialect speakers saying ‘soot,’ when they mean ‘suit’.  M. distingue nove parti del discorso -- articolo, nome (“shaggy”), pronome, avverbio, verbo, participio, preposizione e interiezione -- a cui associa un numero da I a VII, che, in esponente alla “caratteristica” - con accezione leibniziana, cioè al “segno” - determina la parte del discorso di cui questa fa parte.  Ogni idea deve essere assolutamente riconoscibile ed espressa da una “caratteristica” specificata fino alla sua ultima differenza da cifre numeriche, che sempre la precederanno a guisa di coefficienti algebrici. Cf. Grice’s subscript notation for ‘She wanted him – She-1 wanted-2 him-3” (Vacuous Names). Questi co-efficienti vanno letti separatamente gl’uni dagl’altri, mai assieme. Ad esempio il coefficiente 123 si legge 'uno due tre', e non 'centroventitré.’ Al contrario, vanno letti assieme nel caso in cui seguano la caratteristica e ne siano quindi esponenti. Poiché nella genigrafia italiana di M. le caratteristiche esauriscono tutto l'esprimibile in loro potere, non è  necessario l'uso dell’articoli – cf. Grice on the definability of ‘the’ in terms of ‘some (at least one) – apres Peano. Il genere del nome deve essere sempre specificato (A = maschile, e. g. aquila A; B = femminile, e. g. cane F; C = neutro – e g. ‘rain N’. I nomi possono essere singolari o plurali (1 = singolare – ‘some (at least one), ‘re’, il re di Francia; 2 = plurale, i re di Francia) e avere sei casi (1 = nominativo;  2 = genitivo; 3 = dativo; 4 = accusativo o causativo; 5 = vocativo; e 6 = ablativo). Ne consegue che il nome deve  sempre essere preceduto da due cifre, dette co-efficienti, la prima delle quali indica il numero e la  seconda il caso.Si distinguono nelle due classi. Sostantivi (comuni – shaggy thing’ -- e propri – The Shaggy One. Se il sostantivo comune non subisce alterazione va indicato con la caratteristica che il dizionario di M. vi assegna, dopo i co-efficienti stabiliti. Se, ad esempio, al concetto di 'gatto' e associato il carattere (accezione leibniziana)  «G», esso si rappresenta “A11G.” (cf. Grice on K as ‘king’). Un sostantivo comune poi puo essere alterati. Il sostantivo diminutivo si indica *triplicando* la caratteristica del sostantivo -- es.  «A11GGG» 'gattino'. Nel sostantivo aumentativo si la duplica: gattone: A11GG. Il sostantivo apprezzativo si segnan una riga sotto la caratteristica -- es. «A11g» 'gattuccio.’ Il sostantivo disprezzativo si indica ponendo *due* righe sotto  la caratteristica: gattuzzo – A11gg.  Se il sostantivo comune deriva d’un verbo (‘shag’, ‘shaggy’) e detto ‘sostantivo verbale’ – es. amare > amore, e non amazione). Il sostantivo comune si dice “nominale” se deriva d’un aggettivo (buono › bontà, bonitas – but cf. Grice on Plato, horseness. Per non ampliare ulteriormente il vocabolario, basta sovrapporre una linea sopra la caratteristica del verbo qualora questo indica un sostantivo verbale (se per esempio 'amare' = «A» allora l'amore è  «-A»); *due* linee (--B) qualora indichi sostantivo nominale (bonta). Il sostantivo proprio si indica per esteso corsivo nella lingua dello scrivente e, nei manoscritti, devono essere rigati al di sotto (es. “marco”, o “pietro” o “paulo”) di modo che il recettore capisce che si tratta di un nome proprio. Gl’aggettivi (‘shaggy’) possono essere originali, se non derivano da alcuna parte del discorso, o al contrario derivati. S’il nome aggetivo deriva da un nome sostantivo (es. virtù > virtuoso) si indica con la caratteristica del sostantivo ma in corsivo e, se in manoscritto, rigandola al di sotto una volta. S’il nome aggetivo derivata da un verbo (es. amato > amatorio) si indica con la caratteristica del verbo ma in *semi-gotico* e, se in manoscritto, rigandola al di sotto due volte. L’aggettivp deve concordare con il sostantivo in genere, in numero, e in caso (“ho visto i promessi sposi M M”).  Esistono due differenti specie di nomi aggettivi: graduali -- cioè di grado positivo, comparativo - ottenuto dalla mera *duplicazione* del carattere - e superlativo - ottenuto dalla *tri-*plicazione del carattere -- e numerali (cardinali, ordinali, distributivi - cioè quelli che noi chiameremmo frazioni o numeri razionali, che si indicano con numeri arabi rigati nella loro parte superiore - e molteplici (‘a double burgher’)- che veicolano i significati di doppio, triplo, quadruplo, ecc. – ‘a triple paradox’ --, e che sono scritti come gl’ordinali, ma rigati nella parte inferiore. Il pro-nome deve possedere tutte le caratteristiche del nome sostantivo che sostituisce e concordare con esso in genere, caso e numero. Ve ne sono di due tipi. I pronomi primitivi sono *personali* - a sostituire le persone - che a loro volta si distinguono in relativi, dimostrativi e indeterminati – o pronomi *reali* - a sostituire le cose. Un pro-nome *derivato* puo essere o possessivo o  relativi. Ogni pronome ha una caratteristica propria inconfondibile. Non è necessario indicare caso, numero e genere sulla caratteristica del pronome qualora questi concordino con quelli del nome. Se invece il caso *non* concorda, si scrive solo quello. Ogni avverbio, parte dell'orazione indeclinabile, ha una caratteristica associata peculiare e inconfondibile. Gl’avverbi si dividono in originali -- che non hanno bisogno di specificazioni -- e derivati, indicati con la caratteristica della parte del discorso da cui derivano, ma in corsivo.  Quanto ai gradi di comparazione, questi vengono indicati come si fa pel nome aggettivo. Ogni verbo e di voce attiva ed e rappresentato d’una sola specie di caratteristica. Il verbo – che ha la funzione di predicato – accezione leibniziana -- dove concordare nel numero (singolare o plurale) coll nome sostantivo suggeto, da cui derivano la coniugazione. La coniuazione si compone del modo -- Esistono quattro modi -- infinito , indicativo , imperativo (3) e congiuntivo  (4) -- e questi sono indicati da una cifra co-efficiente. Il tempo puo essere presente (1), preterito IM-perfetto (2), preterito PERFETTO semplice (3) solo all'indicativo -, preterito perfetto COMPOSTO (4), preterito PIU CHE perfetto (5), e futuro (6). I numeri nella coniuazione puo essere singolare (1) o plurale (2). La persona nella coniugazione e prima (1), seconda (2) o terza (3) – la porta sta aperta (e persona?). Ognuno di questi co-efficienti deve essere scritto prima della caratteristica specifica del verbo che si intende usare. Il participio dove essere ben distinguibili, così come le altre parti del discorso. Ne esistono di cinque tipi: presente – IMPLICANTE (1), preterito IMPLICATO (2), futuro attivo IMPLICATURUM (3), futuro passivo IMPLICANDUM (4), gerundio IMPLICANDO (5), e indeclinabile.  Alla caratteristica del verbo somo premessi il co-efficiente che indica il TEMPO del participio e il co-efficiente zero, per distinguerlo dal resto dei verbi. È necessario inoltre, poiché essi si declinano anche come i nomi e gli aggettivi, indicare le caratteristiche di GENERE (IMPLICATO, IMPLICATA) e numero (IMPLICATO, IMPLICATI) che posseggono. La pre-posizione (e. g. ‘to’, ‘betweeen’ – both discussed by Grice: ‘does it make sense to speak of the SENSE of ‘to’? When I say, Jones is between Richards and Williams, do I mean in a mere spatial sense or in some moral ordering – does this change the sense? I don’t think so!) e una parole indeclinabili che determinano le relazioni che hanno tra loro le referenti delle parti del discorso.  Ogni preposizione ha carattere proprio e inequivocabile.  Ogni interiezione ha un carattere particolare.  La congiunzione, composta da una parola indeclinabile e breve, unisce parti diverse del discorso. Essa può essere avversativa (“She was poor BUT she was honest” – Grice), disgiuntiva (“My wife is in the kitchen or the bedroom” – Grice), alternativa, ecc. Anch'essa possede un carattere specifico. Note ortografiche e scientifiche  Anche la punteggiatura (segno grafico delle pause e delle enfasi del discorso) deve far parte di un sistema universale di comunicazione e Matraja sceglie di mantenere il sistema di punteggiatura in uso per la lingua italiana. Allo stesso modo, anche i segni matematici d'uso comune devono essere mantenuti come tali.  Esempio.  Una volta stilate le regole precedenti si dove essere in grado di trascrivere in lingua genigrafica la frase. La natura insegna comunicare i concetti mentali per le parti dell'orazione del proprio idioma. L'azione che bisogna fare è una sorta di analisi grammaticale della frase, per cui, prendendo il soggetto «la natura» si converrà che esso è un nome sostantivo comune, femminile, singolare, nominativo (perciò «B°.1.1») e nella tabella essa è descritta come «A'. 236». Il risultato allora e «Bº. 1.1 A'.236». Lavorando allo stesso modo per tutte le parti del discorso presenti, alla fine si avrebbe:  B°.1.1 A':236 - 2.1.13Y5.37 -I. H5.37 - A°. 2.4. X' 83. N?. 32 - E7.3 - Bº  9. 2.4 P'. 257 - B°. 1.2 L'. 245 - A°. 1.2 A'. 174. D'. 42.88. Nome compiuto: Giovanni Giuseppe Matraja. Matraja. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matraja”.

 

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’ implicatura conversazionale --  l’io e l’altro – io e l’altro – i duellisti – la scuola d’Amorosi -- filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Amorosi). Abstract. Grice: “There is more to the model of the duel than philosophers realise. Even myself, who have gone on record as proposing a cooperative model of conversation as rational behaviour, can perceive that there is rationality in the duelists. Philosophers are familiar with the fact since Aristotle who divided philosophical argumentation into two types: gladiatorial, as Warnock calls it, or epagoge, and dialogical, or diagoge. While the former may be a zero-sum game, the second ain’t!” Filosofo.  Amorosi, Benevento, Campania. Grice: “There are two main things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each ‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the ‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’ makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale, si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia hegeliana  destinata ad esercitare nel suo pensiero un'influenza duratura.  Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per uditore giudiziario.  Ottenuta l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea. Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.” Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.” “L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of my friends, J. F. Thomson, it is!”  “Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ --  Grice: “My favourite is his description of the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The ‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy). Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The conversationalist like me, I s’ppose.”  “Una relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,.  Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. LA  FILOSOFIA DI BRUNO, Festa letteraria  nel T{_. Liceo di Trapani  AVELLINO   TIPOGRAFIA TULIMIERO. Bruno appartiene alla illustre falange degli  eroi del Risorgimento . I quali, scuotendo il pesante giogo,  che gravava da lunghi secoli sullo spirito umano, inalberarono la bandiera di quella indipendenza e sovranità del  pensiero, donde si origina tutta quanta la civiltà moderna.  La più parte di questa illustre falange di eroi furono figli dell’ Italia nostra, ma,la figura più spiccata, il genio  più alto e più originale, la tempra più ferma e più ga- i  gliarda, che allora onorasse l’Italia e in cui si annunziasse più chiara la bella aurora del nuovo spirito del mondo, fu senza fallo il Bruno.   Ma Bruno, o Signori, non fu soltanto un grande eroe;  egli fu eziandio un gran filosofo. Anzi, esprimendo liberamente il mio pensiero, aggiungerò che, sotto un ceno riguardo, Bruno è il piu g rande filosofo italiano. Imperocché, fra tutti i nostri pensatori, quello che è penetrato  più addentro nei segreti della scienza, quello che più profondamente ne ha compresa la vera natura, quello che  più d’ogni altro ha sostenuto a spada tratta e a visiera levata gli etem.i dirilt i Jclla Ugjfipe si è appunto il  filosofo di Nola. Egli è vero che, se si considera il Bruno  per ciò che riguarda la trattazione speciale e determinata  delle singole dottrine filosofiche, si deve confessare che,  per questa parte, egli si trova inferiore a molti altri; ma,  sejij)on mente alla sostanza del pensiero speculativo, bisogna allora convenire che questa sostanza, come c ò nel  Bruno, non c’ è in nessun altro filosofo italiano. In questo discorso io non posso trattenermi su tutti  gli aspetti del Bruno, perchè, quando si tratta di un personaggio gigantesco e moltilatero come questo, è già ben  troppo, se si piglia ad abbozzarne un lato solo nella brevità del tempo, di cui io posso disporre. Costretto adunque a limitarmi, io mi farò a guardare nel Bruno soltanto  la stia dottrina filosofica. E fo questa scelta tra perchè è la  filosofia quella, che costituisce il titolo maggiore della grandezza del Nolano, e perchè questa è la scelta, cui mi astringe con debito speciale il posto, che ho l’onore di occupare in questo liceo. Signori, se noi ci facciamo a considerare in un modo  generale il carattere proprio della speculazione nel periodo  del Risorgimento, scorgiamo soprattutto due cose. In primo luogo, tutti questi filosofi, quantunque con forze disuguali, pure, chi più chi meno, combattono la Scolastica.  In secondo luogo, questi stessi filosofi, se da una parte  combattono la Scolastica, dall’ altra ciascuno di essi esplica  in certa guisa, o almeno avvia la esplicazione delle profonde esigenze, che in quella si acchiudono. Ma, fra tutti  questi filosofi, ò Bruno quello, che più fieramente guerreggia la Scolastica, e nel medesimo tempo è lo stesso Bruno quello, che più di tutti gli altri traduce in atto, per  quanto è possibile ai suoi tempi, le esigenze poste dalla  Scolastica nella storia della filosofia.   Per occuparmi adunque, con quella brevità che sappia maggiore, della filosofia Bruniana, io devo innanzi tutto  accennare quale sia la posizione del pensiero filosofico nella  Scolastica, e quali siano quelle esigenze dell’attività speculativa, che in siffatta posizione si rivelano.   Ebbene la posizione del pensiero filosofico nella et  |^^ca^ è la seguente. In questa filosofia l’intelletto concepisce la verità come es istente della natura e f  dell’ uomo; c quindi considera tanto F una che P altro come affatto destituiti di ogni elemento divino. La natura,    Wi   Mimi* /sJaVu'M   W” te  1 dinanzi allo intendimento scolastico, non ha valore di sorta;  essa è pura ombra, puro giuoco, e onninamente sfornita di qualsiasi significazione ideale ed assoluta. Per la stessa ragione, l’uomo è considerato come una semplice creatura  e come essenzialmente contaminato dalla colpa: tutto quello che riguarda 1’ uomo, tutto che gli si attiene in proprio  comecchessia non è altro che miseria, abiettezza, vanità.  Per tal modo, dinanzi allo intendimento scolastico, Dio resta spogliato di tutti quei principii ideali, che si svolgono  nella natura e nello spirito umano; appunto perchè tanto  il mondo naturale che il mondo umano sono considerati  come una sfera ed una evoluzione del tutto estrinseca al1 assoluto, e non già come la estrinsecazione propria del1 assoluto medesimo e la effettuazione sempre più verace    della sua unità (i). »   Intanto, mentre da una parte il pensiero scolastico    (l) « In der tibersinnlichen Welt war keine Wirklichkcit dcs  denkenden, allgeuaeincn, vernùnftigcn Selbstbewusstseyns anzutreffen:  in der umnittelbaren Welt der sinnlichen Natur dagegen keine Gòttlichkeit, weil sie nur das Grab des Gottes, wie der Gott ausser  ihr, war. Gott war wohl im Selbstbewusstesyn, dodi von Aussen  und zugleich ein ihm Anderes, eint andere Wirklichkeit: die Natur  von Gott gemacht, sein Geschòpf, kein Bild seiner » (Hegel, Geschichte der Philosopliie, Zweiter Theil, S. 178, 204, Zweite Auflage). rimuove in tal guisa e discaccia la verità da tutti gli esseri, e quindi anche da £è stesso, dall’altra parte poi ha  la pretesa di voler comprendere la verità medesima colle  semplici forme vuote ed astratte della propria attività. Questa pretesa è quella che spiega perchè gli Scolastici dettero tanta^ im portane d lo^iudio^ldwPgllsi^rg, fletto, cioè,  al^) studio ^ di_g^m^^|^ch£poi a ragione fu appellata logica scolastica. Ed in effetti dovea esser cosi, perchè quante  v volte, ad onta che si sostiene essere la verità estrinseca  al pensiero, si fa tuttavia ogni sforzo per arrivare a determinarla mediante le forme proprie del pensiero, egli è  giuocoforza che tutto il lavorio preliminare e fondamentale della speculazione si faccia consistere nello studio di  queste forme.   Considerando però attesamente questa posizione del 9   l’intelletto scolastico t non si può non iscorgere in essa  una profonda e radicale contraddizione. Imperocché, affermando che la verità è affatto l«ori del mondo, quella ragione, che è nel mondo, dovrebbe abbandonare qualsiasi  aspirazione alla conoscenza di essa, e quindi rassegnarsi a  non cercare altrove il proprio obbietto che nella bassa  sfera della esistenza puran^nte fenomenica e peritura. Ma  la Scolastica, ardente come è dell’ amore della verità, e  profondamente agitata dal bisogno dell’ eterno c dell’ as     ro    soluto, non potrebbe, per certo, acconciarsi a questa d 9   miliante condizione. Ed è per questo die, quantunque ella  abbia collocata la verità fuori della natura e fuori dello  s pirito, tuttavia si fa a, cercarla con un ardore indescrivibile,  e il cielo, in cui intende a trasportarla, si è appunto il cielo  del pensiero. Ma, siccome un simile tentativo quando si  è stabilito un ra pporto di asso luta estrinseche zza tra la verità  ed il pensiero deve tornare necessariamenie infruttuoso  ed inane, cosi è che, mentre la Scolastica si argomenta con  tutte le sue forze di raggiungere la verità, non riesce che  a notomizzare le forme del proprio intelletto, e, in vece  della verità, non ottiene altro che tritumi, sottigliezze ed  astrattaggini. Sotto questo rapporto adunque si può ben  dire clic la j _^|^srica è una barbara filosofia dell’ intelletto  astratto, una filosofia senza contenuto suo proprio, una filosofia, che non offre nessun verace interesse ed alla quale  non ò più possibile ritornare (i).   Mi limito a queste poche riflessioni per ciò che ri [So hoch auch die Gegenstàndc waren, die sie (die ScholaStikcr) untersuchten, so cdele, tiefsinnige, gelelirte Individucn es auch  unter ihnen gab: so ist doch diess Ganze eine barbarischc Philosophie  dcs Vcrstandes, oline realen Inhalt, effe uns kein wahrhaftes Interesse  erregt, und zu dcr wir nicht zuruckkehren kOnnen » Hegel, Geschichte der Philosophie] riguarda il lato debole della Scolastica. Ma oltre questo lato   f? - -L.W -- 4'Ji i k - uli-^ .r-t - ‘   la Scolastica ne Ita anche un altro, ed è quello appunto  in cui, se io non m’ingannò, cpnsiste il suo vero significato, e-per cui essa si connette colle filosofie posteriori,  e trova nelle medesime il suo proprio esplicamento. Qui  intanto mi si permetta una breve digressione. Ordinariamente, quando si fa la critica di una dottrina filosofica, si  crede esser bastevole mostrare gli errori, che in essa si acchiudono. Eppure egli è un fatto che, in quella guisa stessa  che nel mondo della realtà etica il male ha la sua ragione e  il suo principio nel bene, cosi simigliantemente, nella realtà  storica del pensiero filosofico, l’errore ha la sua segreta  radice nella verità. Per la qual cosa la semplice confutazione dell’ errore non può costituire che il lato meramente  astratto e negativo della critica filosofica, il cui arduo e  gravissimo compito' consiste, in vece, nello investigare  quella verità, che si nasconde sotto lo involucro apparente  dell’ errore, e senza di cui terrore stesso non sarebbe possibile. La storia della filosofia, che è appunto 1’obbietto  della critica filosofica, e che ò critica filosofica essa stessa,  non è un’arena di dispute infeconde, non è una vicenda  di avventure di cavalieri erranti, clic si vadan battendo  soltanto per proprio conto, che si agitino e si affannino  senza scopo, e le cui gesta si dileguino, senza che resti di loro la menoma traccia. Egli è, nella stessa guisa, assolutamente falso che la storia della filosofia ci presenti lo  spettacolo di tale, che arzigogoli di qua, e di tale altro, che  almanacchi di là a suo proprio talento: egli havvi, all’ incontrario, nel movimento storico del pensiero speculativo,  una continuità ideale e necessaria, ed un procedere determinato dalle leggi stesse della ragione. Chi non è convinto di questo vero, chi non ammette questo governo della Provvidenza nella storia della filosofia, come nella storia dell’ umanità in generale, non. può intendere affatto il  valore intrinseco di nessun sistema filosofico, e non può  investigare, mediante la critica, quelle ragioni ideali, che  fecero apparire i diversi sistemi, e che, ad onta di tutte le  contraddizioni, fecero passare gli anteriori nei posteriori, come nella loro propria espressione e nella loro verità. È  con questa convinzione adunque che io mi fo a determina [Die Thaten der Geschichte der Philosophie.sind   nicht nur eine Saramlung von zufàlligen Begebenheiten, Fahrten irrender llìtter, die sich fur sich heruraschlagen, absichtlos abmOhen,  und deren W’irksamkeit spurlos verschwunden ist. Eben so wenig hat  sich hier Einer etwas ausgeklfigelt, dort ein Anderer nach Villkùr;  sondern in der Bewegung des denkenden Geistes ist wesentlich  Zusamraenhang, und es geht darin vernùnftig zu (Id. ib. Einleitung] re brevissimamente iMato vero della Scolastica, quel lato,  cioè, in cui consiste il significato storico e razionale della  medesima. Come ho già innanzi accennato, la scolastica fa due cose: da ^yjyyxt^e^one la verità fujp della natura e fuori  dello spirito, e dall’ altra si argomenta, benché indarno, di  trasformare la medesima in contenuto razionale. Ora io  domando in primo luogo: perchè la Scolastica pone la verità fuori della natura e fuori dello spirito? Ebbene la risposta vera per me è questa. L^^jcok^stica ha un profondo sentimento dell’infimtacmKretezza  dell’ Idea cristiana; essa sa che questa Idea è superiore alla  natura ed allo spirito finito, e che la sua realtà non è  quella isolata, astratta e fugace, che ha luogo nella sfera  delle cose sensibili £d illusorie. Egli è vero che, mentre la    Scolastica ha questo profondo sentimento dell’ infinita concretezza dell’Idea cristiana, dall’altra parte poi non si avvede che questa concretezza si trasforma in una mera astrazione, qualora le si sottraggano tutti quei principii, che  si manifestano nella natura e nella spirito; imperocché, in  tal caso, in vece di avere 1’ ente realissimo, la realtà delle  realtà, la idea delle idee, non si ottiene altro che un assoluto indeterminato, solitario e trascendente, un assoluto,  a cui fu tolto tutto quanto il regno della realtà e della vita. Ma la Scolastica non poteva accorgersi di questo errore; imperocché, non essendo ancora sceverata nella naura e nello spirito la esistenza ideale ed eterna dalla esistenza empirica e passeggera, essa non potea fare altro,  che quello che fece: dov ea porre P assoluto fuori della natura e fuori dello spirito.   Però, se i grandi pensatori della Scolastica ritornassero in questi tempi, nei quali la scienza ha messo in rilievo la forma eterna ed immutabile delle cose, certamente  essi non esiterebbero un istante a riconoscere la vita stessa  di Dio in tutto questo contenuto infinito ed imperituro  della realtà naturale e della realtà umana (i). Se adunque  la Scolastica vilipende e degrada in tal guisa la realtà della  natura e dello spirito, questo sbaglio non appartiene a quel  pensiero interiore, da cui essa è animata e a quelle ragioni  ideali, che l’hanno fatta sorgere nella storia, ma appartiene,  in vece, alla semplice posizione immediata e, dirò cosi,  provvisoria, in cui si muove. Quello che appartiene al suo  pensiero Interiore c profondamente speculativo si è il concetto, benché vago, di una più alta realtà, si ò il bisogno  di un mondo migliore, si è la esigenza di una natura spi (i) È inutile dire che questa scienza, di cui qui parlo, non è  certamente il trasformismo, i rituale, redenta, deificata, di una natura, in cui ci sia dato  ravvisare la realtà stessa di Dio e quindi scernere in ogni  cosa un’ idea assoluta ed immutabile. E difatti, se la Scolastica rifugge dal mondo, se lo dichiara una vanità, ciò  è perchè nella sua coscienza si agita 1* idea del vero mondo, di quel mondo, in cui ha luogo la vera presenza dell’infinito, e in cui perciò si trova realmente conciliato l’elemento mondano col divino.   Egli è vero che fu questa stessa idea quella, che produsse nel medio evo la più mostruosa confusione del divino e dell’ umano, e la più spaventevole barbarie, che immaginar si possa; ma egli è vero altresì che, in fondo a  quella confusione e a quella barbarie, vi è un significato  della più alta" importanza, vi è la sorgente di quella verace conciliazione, in cui consiste il fondamento incrollabile della vita moderna (i).   La seconda cosa, che troviamo nella Scolastica, si è lo ^   (i) Es hilft nichts, das Mittelalter eine barbariche Zeit zu nennen. Es ist eben eine eigenthùmliche Art der Barbarei, nicht eine  unbefangene, rohe, sondern die absolute Idee und die hòchste Bildung ist, und zwar durchs Denken, zur Barbarei geworden; was einerseits die gràsslichste Gestalt der Barbarei und Verkehsung ist, andererseits aber auch der unendliche Quellpunkt einer hòhern Versóhnung (Id. ib. Zweiter Thell, S.). sforzo di riprodurre il contenuto della fede in una forma  razionale. Ora io domando di nuovo: che cosa vuol dire  questo sforzo? Vuol dire, naturalmente, che la Scolastica, ad  onta di tutte le apparenze contrarie, non si accontenta affatto  di una verità inaccessibile, di una verità, che non sia fatta per  r intelletto umano. Quello, in vece, che essa cerca, quello,  a cui aspira ardentamente, si è appunto la forma razionale  della verità della fede, e tutta l’attività, tutta l’energia infaticabile delle sue profonde meditazioni non tende ad altro  che a tradurre queste verità nel linguaggio proprio della  ragione. Ed in effetti tutti i grandi pensatori della Scolastica non si accontentano della pura e semplice fede:  essi vogliono credere e credono davvero, ma vogliono  credere pensando ed intendendo; essi, come dice S. Anseimo, non cercano d’intendere per credere, ma credono per intendere; e tutto ciò perchè sanno che la religione è fatta per 1’ uomo, non per l’animale e che le  verità, che in essa si contengono sono state rivelate da  Dio, che è la ragione assoluta, e che perciò devono essere  necessariamente razionali (i). Egli è vero che gli Scola Hegel, parlando di S. Anseimo, dice cosi: Sehr merkwùrdig  sagt er, was das Ganze seines Sinnes enthàlt, in seiner Abhandlung  Cur Deus homo, die reich an speculationen ist: Es scheint stici fanno distinzione di verità intelligibile e di verità sovrintelligibile, ma questa distinzione ha tutt’altro significato da quello che si crede ordinariamente. In effetti la  Scolastica non fa questa distinzione, perchè forse ritenga  essere davvero sovrintelligibili in sè stesse quelle verità, che  essa chiama con siffatto appellativo, ma la fa in vece perchè, fino ad un certo punto, essa supera sè stessa, ed ha  una certa coscienza della posizione storica in cui si muove. In altri termini la Scolastica si accorge che quell’ intelletto,  di cui fa uso e i criteri logici, di cui dispone, non sono  sufficienti a far comprendere la natura e le determinazioni  della verità cristiana. Ma con tutto ciò ess? non si arrende e  non si scoraggia, ma si fa in vece a lottare gagliardamente  colla sua stessa posizione storica e dichiara, per cosi dire, col  fatto stesso delle sue profonde lucubrazioni, che 1’impotenza del pensiero non può essere assoluta ed insupera mir eine Nachlàssigkeit zu seyn, wenn wir ini Glauben fest sind,  und nicht suchen, das, was wir glauben, auch zu begreifen ». Utzt  erklàrt man diess fur Hochmuth; unmittelbares Wissen, Glauben hall  man fur bòiler als Erkennen. Anselmus aber und die Scholastiker   haben das Gegentheil sich zum Zweck gemaclit.Dénn der   Gedanke, durch ein einfackes Raisonnement zu beweisen, was geglaubt wurde das Gott ist —, liess ihm Tag und Naclit keine  Ruhe, und quàlte ihn lange.] bile. Ed è per questo che il perpetuo tormento, che travaglia quei {orti intelletti di Anseimo, di Abelardo, di Pietro Lombardo, di Duns Scoto, e via dicendo, è riposto  addirittura in quelle verità, che chiamano sovrintelligibili. Dal che si può scorgere che, in quehe mjjjafoU^ri^ ed  asmuu^jgmdella Scolastica, vi è un arditissimo ed immenso   tentatm^w ò il tentativo dell’ assoluta autonomia, del1’ attualità infinita della ragione. In altri termini, vi è quel  colossale tentativo, che poi produsse, sotto lo aspetto religioso, la Riforma, sotto lo aspetto sociale, la rivoluzione  francese, e che alla fine divenne filosofia tedesca e particolarmente filosofia Hegeliana. E fu appunto in questa filosofia che venne soddisfatta l’aspirazione divina del pensiero scolastico, e trovò il suo adempimento il vaticinio  di Cristo: Ego rogabo Patron et alitivi Paracletum dabit vobis, S piritimi Veritatis : ille vos docebit omnia.   Come è chiaro adunque da questi pochi cenni, quel1’ attività filosofica, che si agitava nella Scolastica, studiata  nelle sue intime ragioni, ha il significato di una duplice  esigenz a, che essa pone nella storia della filosofia. La prima è quella che ho già detta, cioè la esigenza di una naura ideale, di una natura spiritualizzata e in cui si possa  daddovero ravvisare il regno e la realtà di Dio. La seconda esigenza, la quale deriva dalla prima, si è  quella di un intelletto superiore, di un pensiero tale che,  contenendo in sè la verità, sia, per ciò stesso, in grado di  attingerla dal suo fondo medesimo e di provarla in un modo  assolutamente razionale. Ebbene tutta la storia della filosofìa moderna altro  \   non è che 1’ attuazione successiva e sempre progrediente  di questa duplice esigenza; e la prima, benché parziale, attuazione df essa si è appunto la filosofìa del Risorgimento. A me qui spetta di mettere in rilievo brevemente la  gran parte, che ebbe il Bruno nell’ attuazione di questa  duplice esigenza, £ di chiarire come egli, per servirmi delle  sue stesse parole, sia davvero nella mattina per dar fine  alla notte, e notì nellà sera per dar fine al giorno. È stato detto che ogni scoperta della scienza È una detronizzazione di Dio. Questo pronunziato è vero soltanto per rispetto  al falso concetto di Dio. Quanto al Dio vero, al Dio cristiano la  sentenza giusta è, in vece, che ogni scoperta della scienza non può^  essere che una nuova affermazione, una nuova prova della esistenza di Dio. cacaXcip  ^tf  cVi\>  Signori, il principio fondamentale della filosofia Bruniana è il seguente. Bruno concepisce Dio come essenzialmente creatore. Il che vuol dire che nella creazione il  Bruno non vede già un fatto accidentale ed arbitrario, nè  una verità di second’ordine, ma ci vede la essenza stessa  di Dio. Dinanzi alla mente di Bruno, Dio in tanto è quello  che^ è, in quanto crea; se non creasse, non sarebbe Dio,  perchè non farebbe atto di divinità. Il Dio del Bruno, in  somma, è il Dio cristiano, è il Dio creatore, o per dir meglio, è il Creatore. Anchejhniobe'p^nj pjqmi nostri. lia  conshi^gw^uestaveritj^igji^J^jjigjj^jj^jjj^jjh^^^la   ma nel Gioberti però questa verità non è accompagnata da una chiara coscienza. Gioberti dice sempre che 1 ’ atto creativo è la verità sup rema. e che nella  contemplazione di quest’ atto, tanto in sè stesso che nelle  forme particolari della natura e dello spirito umano, consiste appunto la vera riflessione filosofica. Il fatto è però  che, quando si* va a vedere, questa grande verità (e che  è realmente il principio e la radice di ogni verità), nella  filosofia di Gioberti, si riduce ad una semplice parola: Sulla imperl'ezioue di questo concetto come è nel Brnno  vedi in fine.] è un detto, di cui egli stesso non si rende conto, e che  perciò non gli giova nè alla sistemazione generale della  sua dottrina, nè, molto meno, alla trattazione speculativa  di una parte qualsiasi della scienza. In Bruno in vece  almeno fino ad un certo punto, la cosa non va così. E U v,»   per verità il Bruno dice nettamente: « In Dio il potere e il  f are è tutt’ uno . Egli non può essere altro che quello che  è; non può essere tale, quale non è; non può. .potere altro  che que llo che può: non può. volere altro che quello che  vuole, e necessariamente non può fare altro che quello  che fa. L’ ajone^ sua è_ necessaria, perchè procede data- -t~  le volontà che è la stes sa n ecessità. In lui libertà, volontà, necessità sono affatto medesima cosa, e il fare col  potere volere ed essere. Ed è per questo appunto che  egli arriva a concepire il principio universale del tutto  come unità di materia e forma. È vero che anche il De l’infinito Universo e Mondi, Opere itti. Wagner. Hegel, dopo di aver citato il bellissimo luogo di Bruno  (De la Causa, Principio et Uno, Dial. dove dice: « Se  sempre è stata l a potenza di far e, di produrre, di creare, sempre è  s tata la p o tenza di esser fatto, prodotto e creato; perchè l’una potenza implica l’altra ecc, soggiunge: Diese Simultancitàt der wir    l ujtl*   4/C [rifa  Gioberti ha detto che il principio universale non è nè  l’ idea, nè il fatto, ma il fatto ideale. Però questo fatto ideale del Gioberti non è che una espressione diversa del  lo stesso atto creativo, e perciò non aggiunge nessun  valore veramente filosofico al principio medesimo. Questo  principio, nella filosofia del Bruno, è la chiave di tutto il  sistema, è il centro vero c produttivo di tutta la sua dottrina, ed è come la fonte, da cui scaturisce liberamente e  consapevolmente tutta la ricchezza delle sue meditazioni.  Nella filosofia del Gioberti, in vece, quantunque la parola  non manchi mai, tuttavia il principio stesso dell’ atto creativo ci si trova, come dire a pigione, rincantucciato ora  in nn angolo, ora in un altro, senza aver mai la forza  di girare la mazza a tondo, di cacciare via tutte le rappresentazioni della coscienza ordinaria, e di dichiarare  solennemente che la casa della filosofia è casa sua.   Egli è d’uopo però confessare che, anche nella filosofia  del Bruno, questo principio non arriva a spiegare tutto   kenden Hraft und des BeWìrktwerdens ist eine sebi 1 wichtige Bestimmung; die Materie ist nichts ohne die Wirksatrilfeit, die Form also  das Verm&gen und innere Leben der Materie. Vare die Materie bloss  die unbestimmte Móglichkeit, wie k-ame man zum Be'stimniten? il suo valore. Ciò si può vedere, chiaramente quando si  osservi che, se da una parte il Bruno pone la rivelazione  di Dio come essenza stessa di lui, dall’ altra poi non fa  consistere tutta quanta la essenza di Dio in questa rivelazione medesima. Secondo Bruno, Dio rivela^ solo una  gran parte di sò stess o; un’ altra parte, quantunque minima e quasi ridotta ad un punto microscopico ed insignificante, resta però assolutamente irrivelabile. Dal che si  scorge che Bruno non sa disfarsi in tutto del vecchio sovrannaturale della Scolastica, e mettersi cosi pienamente  d’ accordo con sé medesimo. Imperocché, quantunque egli,  tr asfon d endo la vita di_ Dio nella realtà della natura, riduca quel sovrannaturale a minime proporzioni, lo assottigli,  lo scarnifichi e scheletrizzi in guisa da poterlo anche mettere in canzonatura ed abbandonarlo quasi balocco alla meditazione dei teologi, ciò non ostante lo lascia li come  qualcosa che non si estrinseca, che non cade nella creazione, che non diviene materia di quell’ atto assolutissimo,  nel quale, secondo lui stesso, consiste la vera essenza di  Dio. Quantuque però quest’ultima .ombra del vecchio Dio  tenebroso induca un grave difetto nella filosofia Bruniana,  tuttavia egli è da osservare che la correzione di questo  difetto è data già, implicitamente, nello stesso concetto,  che il Bruno si forma del principio universale delle cose. Ed è per questo che Spinoza, continuatore di Bruno, potò  sbarazzarsi totalmente di quel caput mortuum del medio  evo, e recare così a grado di esplicamento più compiuto  il concetto di Dio, o della verità che dicasi, come atto creativo. La necessità di questo esplicamento storico e razionale del principio del Bruno si può vedere agevolmente,  quando si rifletta che la idea di Dio come il Creatore importa che, non potendo egli avere una doppia natura, non  può, per ciò stesso, nulla contenere, che rimanga al disopra dell’ atto creativo, e non giunga a grado di esplicazione reale e vivente nella realtà infinita dell’universo.  Dire da una parte che al disopra dell’ atto creativo resta  nell’ assoluto qualche cosa, che non si rivela e non piglia  il suo posto nè nella natura, nè nello spirito, e dire poi  dall’altra che la essenza di Dio consiste nella rivelazione  ^di sè medesimo, sarebbero pronunziati contradditori. Spinoza adunque, rompendola assolutamente con quella falsa  idea dell’ estramondano, non fece che esplicare logicamente il principio fondamentale della filosofia del Bruno.   Da questo principio, di cui ho brevemente discorso  e che costituisce quello, che vi ha di più intimo nella filosofia Bruniana, come in ogni vera filosofia, perchè non  esprime questa o quella forma dell’ Idea, ma l’Idea stessa  nella sua intrinsechezza ed universalità, da questo principio, dico, ne scaturiscono due altri, c sono: la esistenza j /  eterna ed ideale di tutte le cose, e quindi la vera immanenza di Dio nell’universo. Questi due principii, veramente, non sono che due modi diversi di considerare, e  direi quasi di esprimere, lo stesso concetto; ma questi due  modi hanno una cosi grande importanza nella filosofia di Bruno e nella filosofia in generale, che io credo mio debito fare una parola e dell’ uno e dell’ altro. Cito un breve tratto relativamente al primo modo di considerare il  detto principio. Bruno adunque dice cosi: « Le sole  forme esteriori delle cose si cangiano e si annullano, perchè non sono cosi) ma delle cose, non sono sostanze, ma  delle sostanze sono accidenti e circostanze. Che se delle  sostanze si annullasse qualche cosa, verrebbe ad evacuarsi ^  il mondo. Nulla cosa si annichila e perde 1’ esserg^eflffi- Jj  to che la forma accideittidL£atSàQtS-0^£S2Ì£? P c ™ tiUV  to la materia quanto la forma sostanziale di che si voglia  cosa sono indissolubili e non annichilabili. Da queste poche parole, che ho citato, si può vedere,  senza una difficoltà al mondo, comedi Bruno sia davvero  un idealista di prima forza. Per Bruno ogni cosa, considerata nella sua forma interiore, è una natura determinaV. Dialogo 5-° e 4.° De la Causa, Principio et Uno.] ta, eterna ed immutabile; ogni cosa ha la sua idea. Tutto 1’ universo non è che una trama di principii o forme assolute, le quali si sviluppano e si rinnovano eterna  mente nella loro esistenza esteriore e sensibile, ma conservano eternamente la loro natura ideale ed incorruttibile. Per tal modo la essenza di tutte le cose dell’ universo non è niente di indefinito o di arbitrario. Tutto ciò  che è ha la sua legge, in fondo a tutte le cose vi è un  eterno statuto che le modera e governa; ed è questo statuto appunto quello, in cui deve travagliarsi la meditazione del filosofo. Egli ò vero che in tutti gli esseri vi ha  numero, differenze e moltiformiti, ma il numero, le differenze e la moltiformità di un essere qualsiasi altro non  è che lo sviluppo di un principio unico e fecondo; e quin di anziché importare mutazione o cangiamento nella na- .  tura di esso, ò in questo sviluppo, in vece, che si effettua e s’invera sempre più compiutamente la natura del1’ essere medesimo.   Signori, se Bruno avesse spinta più oltre la investigazione di questo principio, e si fosse fatto ad applicarlo alla storia, egli avrebbe potuto porre un secolo prima, almeno in un certo qual modo generale, quel gran  concetto, che forma la gloria di Giambattista Vico. E  s^pWtt^rió^che^èhah^uaidea. se tutto quello  che si svolge nell’ universo ha la sua legge, e come dire,  il suo codice eterno ed immutabile, anc he la storia dev e  a vere la sua legge e il suo statuto; e quindi deve esser  possibile la ricerca di questo eterno statuto della storia,  deve esser possibile, io voglio dire, l a^ filosofia della sto ria. Il Bruno però, bisogna confessarlo, non ha piena coscienza di tutti quei tesori, che si acchiudono nella sua dottrina. Ciò derivi, in parte, dal soverchio entusiasmo, ond’ egli si abbandona e si dimentica nella contemplazione  della infinita natura; e, in parte e principalmente, dalla  profondità stessa e dalla fecondità inesauribile dei suoi principi, dei quali, certamente, non si poteva avere ai suoi  tempi una chiara e perfetta coscienza.   Confessando però che il Bruno non giunse a questo  gran concetto del Vico, io debbo aggiungere che, con tutto  ciò, Bruno non è affatto inferiore a Vico; anzi, esprimendo liberamente quel che penso, dirò che Bqjqq, come  metafisico, gli $ di gran lunga superiore. Nel Vico que.  sto gran concetto della storia ideale ed eterna non si appoggia su di una metafisica seria e profonda, anzi questo  concetto è in assoluta opposizione colla metafisica del Vico.  E per vero, quanto a metafisica, il Vici) non esce dalla  posizione dello intendimento scolastico; e credo anche non  sia ingiustizia lo aggiungere che, se si paragona il filosofo 1AV la tettar  napoletano coi più grandi pensatori della Scolastica, questo riscontro non può riuscirgli molto favorevole. Dal che  si può inferire, che il gran concetto della storia ideale ed  eterna, se da un lato e per ragion di scoperta è tutto proprio del Vico, dall’ altro poi e per ragion di natura, esso  fa parte della dottrina del Bruno. Imperocché, quantunque  il Bruno non si sia innalzato alla contemplazione del disegno ideale della storia, tuttavolta è nella metafisica del  Bruno e non in quella del Vico il fondamento e la possibilità di siffatta contemplazione. Egli è vero che il merito del Vico non consiste soltanto nell’ avere ammessa    una storia ideale ed eterna, e perciò nell’ avere ricono- differisce essenzialmente da quella, che governa la natura. Nella natura, dice Vico, è Dio che ope ra, mentre nella  storia opera 1’ uomo, e pure, operati lo lui, compie il disegno eterno della storia, effettua gli eterni decreti della  Provvidenza. Cosi l’uomo, in questa nuova posizione, non  è soltanto /’ infinito effetto della infinita causa, non è semplicemente /’ eterna genitura dell’ eterno generante, ma è  eziandio qualche cosa di più. E in questa posizione soltanto è possibile la vera filosofia compiuta, la vera contemplazione di Dio come Causa sui. Questo concetto della  Causa sui, cioè della Causa della Causa non c’ è_^_davvero nell' assoluto Bruniano (come non c’ è neppure in  quello di Spinoza), quantunque sia appunto questo concetto quello, che travaglia incessantemente la sua coscienza e quello stesso di cui fa uso, come mostrerò in appresso, nella sua dbttrina della conoscenza e della libertà.   Tutto ciò adunque non si nega. Ma non si può negare però, d’ altra parte, che questa nuova e più alta posizione, in cui ci colloca la dottrina del Vico, è resa possibile soltanto dalla posizione Bruniana. Solo ammettendo l’Idea, come essenzialmente manifestazione di sè medesima, si può e si deve arrivare, quandochessia, al concetto di quella tale manifestazione, la quale esprimendo davvero V Idea, ed essendo essa proprio quello stesso che è  I Idea, e perciò rappresentando non più una manifestazione esteriore, ma il ritorno dell’ Idea in sè medesima, deve necessariamente essere governata da una legge affatto  differente da quella, che governa le manifestazioni esteriori, non effettuatrici esse stesse del principio assoluto.  Stando in vece alla posizione della metafisica'del Vico,  non solo non è possibile ammettere questa legge fondamentale della storia, ma non si può neppure ammettere  il concetto generale di una storia ideale ed eterna. Passando ora al secondo aspetto del principio che  sto esponendo, cito in prima un breve tratto del Bruno.  Nel primo dialogo della Cena delle ceneri il Bruno si esprime cosi: Noi « conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti  numi, che son quelle tante centinaia di migliaia eh’ assistono al ministerio e contemplazione del primo, universale, infinito cd eterno efficiente. Non è più imprigionata   la nostra ragione con ceppi di fantastici mobili e motori.   Conoscemo che non è eh’ un cielo, una eterea regione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze, per comodità de la partecipazione de la perpetua  vita. Questi fiammeggianti corpi sono que’ ambasciatori che  annunziano 1’ eccellenza de la gloria e maestà di Dio. Cosi  siamo promossi a scoprire V infinito effetto de l’infinita  causa, il vero e vivo vestigio dell’ infinito vigore, et abbiamo dottrina di non cercare la divinità rimossa da noi, se  l’abbiamo a presso, anfi di dentro, più che noi medesimi  siamo dentro a noi. Signori, questo principio della imma nenza di.Dio ne^Ja  natura e nello j>£Ìrito sorge la prima volta col Bruno nella  storia della filosofia. Fu Bruno il primo che si fece a cercare davvero la Divinità nell’ infinito mondo e nelle infinite  cose, e fece di questa ricerca la esigenza fondamentale e  lo scopo unico di tutto quanto il sapere filosofico. « Di questa infinita presenza di Dio nell’ universo, dirò colle  belle parole del nostro più profondo pensatore vivente,  nessun filosofo ha discorso con tanto entusiasmo e convinzione, quanto Bruno. La sua voce era come il primo  grido di gioia della natura che ora cominciava a scoprire  sè stessa e a conoscersi n#l suo reale valore. Premesse queste poche cose, io posso ora determinare il significato che ha nella filosofia Bruniana la dottrina dell unita dell universo. Ciò facendo, resterà meglio  dualità la importanza di quel poco che ho esposto finora.  Ma prima cito un breve tratto del nostro filosofo. « Quando l’intelletto, dice Bruno, vuol comprendere la essenza  di una cosa, va semplificando quanto può; voglio dire, da  la moltitudine si ritira, rigettando gli accidenti corruttibili... Cosi la lunga scrittura e la prolissa orazione non intendemo, se non per contrazione ad una semplice intenzione.  I.’ intelletto in questo dimostra apertamente come ne P unità consiste la sostanza de le cose, la quale va cercando o  in verità, o in similitudine. Quindi è il grado de le intelligenze, perchè le inferiori non possono intendere molte  cose, se non con molte specie, similitudini e forme; le superiori intendeno migliormente con poche; le altissime con SPAVENTA (vedasi), Saggi di Critica] pochissime perfettamente; la prima intelligenza in una idea  perfettissimamente comprende il tutto... Cosi adunque, montando noi a la perfetta cognizione, andiamo complicando la  moltitudine, come, discendendosi a la produzione de le cose,  si va esplicando l’unità. Quindi è che « ogni cosa che  prendemo nell’ universo, perchè ha in sè tutto quello che  è tulio per tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del  mondo. E cosi non è stato vanamente detto, che Giove  empie tutte le cose, inabita tutte le parti dell’ universo.  È per questa ragione che « quelli filosofi hanno ritrovato  la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovato questa unità.  Medesima cosa a fatto è la Sofia, la verità, la unità. La ragione di questo principio nella filosofia del Bruno risulta già chiaramente da quel poco che ho detto fin  qui. Imperocché se Dio è immanente nella natura e nello  spirito, egli è manifesto che quel principio, che si attua  nell’ uomo e che dà luogo a tutte le forme del suo sviluppo, non può, considerato in sè, essere altra cosa dal  principio che pone la natura. Ammessa la dottrina della  immanenza, /’ arte interna del pensiero, per servirmi delle  stesse parole del Bruno, deve necessariamente appartenere    (i) De la Causa, Principio et Uno] allo stesso artefice- interno della natura; e quindi quel principio, che forma i minerali, le piante, gli animali, deve  essere quello stesso principio, che pensa nell’uomo. Il che  vuol dire che, se da una parte tutte le forme della natura e dello spirito hanno una sostanzialità loro propria, una  loro natura specifica e diferenziale, dall’ altra cosi le prime come le seconde non possono essere che gradi diversi  della stessa unità fondamentale del tutto, di quell unità  della materia e della forma, del reale e dell’ ideale, in cui  consiste la radice di ogni esistenza. Ed ò per tal modo  soltanto che si può cessare l’assoluta separazione di spirito e materia, di realtà consciente e di realtà naturale,  separazione che degrada tanto 1’ una che l’altra, e che fa  dello spirito qualcosa di astratto e d’inconcepibile, e della  natura un mondo senza vita, senza ragione e senza finalità.   Signori, per questa dottrina il Bruno è stato generalmente accusato di panteismo; ed anche in questi ultimi  anni la maggior parte di coloro, che in Italia hanno trattato del Nolano, si son fatti a rinnovare questa vecchia  accusa, senza però investigare seriamente, e spogli di preconcetti, il vero senso della dottrina Bruniana e il significato preciso della teoria panteistica. Io qui, naturalmente, non posso far la critica di questa accusa. Dirò soltanto alcune cose principali. E in primo luogo osservo che, anche quando il Bruno non fosse altro che un semplice panteista, bisognerebbe sapergli grado almeno per  questo: voglio dire che bisognerebbe sapergli grado perchè,  dop o le astrattezze della Scolastica, egli avrebbe posto almeno il principio della unità del mondo, e quindi ricollocata  la filosofia sul suo terreno naturale. Imperocché, si dica pure  tutto quel che si voglia, il principio su cui si fonda il panteismo, c che è l’unità dell’infinito e del finito, dell’ideale e  del reale, è quel principio, da cui appunto comincia la filosofia, e senza di cui nessuna filosofia è possibile. E per vero dal momento medesimo che comincia la speculazione  filosofica, e quindi la ricerca della essenza universale di tutti  gli esseri, comincia per ciò stesso una certa unificazione,  o identificazione, se così piace dire, di tutte le cose in un  principio unico ed assoluto. Questo principio adunque è  come la prima lettera dell’ alfabeto del pensiero; e chi non  ha pronunziato ancora questa lettera, chi, cioè, non si è  ancora innalzato a questo nesso universale in cui si unifica e cielo e terra, e che è come il pernio, a cui si appunta tutto quanto 1’ universo, chi, dirò colla bella immagine dell’ Hegel, non si è ancora bagnato in questo etere  purissimo della unità del mondo, deve essere ancora certamente assai lontano dall’ augusto santuario della coscienza filosofica (i). Fino a questo punto adunque la dottrina  panteistica, anziché essere un sistema particolare di filosofia,  é la filosofia stessa nella sua più intima essenza. Onde  è che, se una filosofia si differenzia da un’ altra, questa  differenza non può nascere dilli’ ammettere o non ammet tere l’unità, ma soltanto dal modo diverso di concepirla  e di determinarla; imperocché, come ha già detto bellamente il Bruno, medesima cosa affatto è la Sofia, la verità, P unità. La qual cosa è stata vista lucidamente anche  dal nostro acutissimo filosofo Roveretano, Rosmini. Il quale, pur respingendo da sé ogni possibile accusa  di panteismo, ha tuttavia sostenuto anch’egli un principio  unico universale, ed ha considerato tutte le forme della  realtà natur ale, della realtà upiana, e della realtà di Dio  come diversi modi di essere, come diverse determinazioni  del principio medesimo.   Che se poi noi ci facciamo a considerare la dottrina  panteistica non più rispetto a quell’ idea fondamentale che    Ile   r- <K  Wenn man anfangt ni philosophiren, muss die Seele zuerst  sich in diesem Aether der Einen Substanz baden, in der Alles, was  man fur wahr gehalten hat, untergegangen ist; diese Negation alles  Besondern, zu der jeder Philosoph gekommen seyn muss, ist die Befreiung des Geistes und scine absolute Grundlage.] in essa si contiene, e per cui il panteismo e la speculazione filosofica in generale fanno tutt’uno, ma rispetto a  quella determinazione particolare della stessa idea, dalla  quale solamente la dottrina panteistica attinge il suo significato e 1’ essere proprio di sistema speciale di filosofia, in  tal caso non possiamo avere che due soli ed opposti concetti di siffatto sistema. Imperocché, o il panteismo si concepisce come identificazione dell’ infinito col finito nella  sua immediatezza e quindi come deificazione di tutte le  cose, ovvero come risoluzione ed annullamento di unte  le differenze ideali dell’ universo nella vuota identità della  pura sostanza. Il primo concetto del panteismo, che è appunto quello che hanno avuto in mente i nostri critici del  Bruno, non trova affatto qualsiasi riscontro nella filosofia  del Nolano. Bruno non ha mai confuso l’infinito col  finito, non ha fatto mai 1’ apoteosi della esistenza caduca  e corruttibile delle cose, non ha mai deificato le forme  accidentali, esteriori e materiali, le quali per lui, come  per ogni vero filosofo, non sono cose, ma delle cose, non  sono sostanze, ma delle sostanze sono accidenti e circostanze. Bruno ha deificato soltanto /’ infinito mondo, la  infinita natura, le infinite cose, ha deificato la eterna genitura  dello eterno generante; la qual dottrina non ha nulla che  fare col panteismo. Questa dottrina è in vece eminentemente cristiana, anzi è la essenza stessa del cristianesimo;  e la negazione di questa dottrina non è solamente la negazione della vera filosofia, ma è la negazione altresì di  tutti i principii del sapere moderno, e della possibilità stessa della scienza in generale.   Ma c’è di più; imperocché questa pretesa confusione  dell’ infinito col finito non pure non si trova affatto nella  filosofia Bruniana, ma non ha nemmeno il suo riscontro  in qualsiasi sistema di filosofia. Tutta la storia della filosofia, per quanto è lunga e larga, non ci presenta alcun sistema, in cui si possa ravvisare questa strana confusione ; in quella guisa medesima che la storia della religione non ci mostra nessun popolo, che abbia proprio  adorato il finito come finito. Lo stesso Bruno, parlando degli Egizi, dice a questo riguardo, le seguenti memorabili parole: Non furono mai adorati coccodrilli, galli, Diejenigen, welche irgend eine Philosophie fiiir Pantheis mus ausgeben.. batteri. es vor Alleni aus nur als Faktum zu   konstatiren, dass irgend ein Philosoph oder irgend ein Mensch in  der That den Alien Dingen an und fur sich seiende Realitat, Substantialitat zugeschrieben und sie fur Gott angesehen, dass irgend  einem Menschen solche Vorstellung in den Kopf gekommen sei ausser  ihnen selbst allein. Id. Encyklopàdie. Vedi anche: Aesthetik, Zweiter Theil.]cipolle e rape, ma la Divinità in coccodrilli, galli, cipolle  e rape ». E parlando dei Greci, si esprime cosi: « I Greci  non adoravano Giove come fosse la Divinità, ma adoravano la Divinità come fosse in Giove; il che, come  ognun vede, è cosa assolutamente diversa. Quanto poi all’ altro concetto del panteismo, cioè a  quel concetto secondo il quale Dio non è altro che la  semplice unità astratta dell’ infinito e del finito, dell’ ideale  c del reale, egli è d’uopo riconoscere che una tal dottrina c’ è davvero nella storia della filosofia. Forse non  sarebbe difficile provare che questa dottrina, considerata  nella sua assoluta purezza non ha luogo, in una forma  veramente speculativa, che soltanto nella filosofia Parmenidea. Anche la filosofia di Spinoza, quando la si intenda  bene, non è poi addirittura quel rigido panteismo che ordinariamente si crede. Ma, lasciando stare queste riflessioni, il fatto è che nella filosofia Bruniana il princip io  dell’ unità dell’ ideale e del reale, il concetto della identità  non ha affatto quello stesso significato, che ha nella dottrina panteistica pnra. Imperocché nel puro panteismo questa unità esclude assolutamente ogni qualsiasi determinazione, ogni differenza, e perciò è la negazione di tutto   V. Spaccio della Bestia Trionfante, Dial.]quanto 1’universo intelligibile, mentre, nella filosofia Bru% niana, questa unità si muove, si distingue, si va specificando e, come dire, spezzando in tutte le forme della natura  e dello spirito. Ammettere questo dirompimento dell’unità  universale, guardare in tutte le cose un principio eterno ed  immutabile come forma vera e totale dell’ unità medesima,  riconoscere in somma un mondo infinito, tutto questo non è  affatto panteismo; anzi è la critica vera e positiva della dottrina panteistica. E tale è in fondo, considerata nel suo spirito, la filosofia Bruniana. Il che è tanto vero che BRUNO è arrivato fino a vedere cosa degna veramente della  più alta ammirazione — che la vera esigenza della filosofia, che il vero segreto dell’ arte, come egli dice, consiste  appunto, non già nel semplice innalzarsi all’ unità del mondo, ma nel procedere dall’ unità stessa a tutte le forme  differenziali ed opposte, in cui essa si va esplicando, e in  cui si manifesta la vita tutta dell’ universo. Profonda  magia, ha detto il Bruno, è trarre il contrario, dopo aver  trovato il punto dell’unione. Se adunque, io dico,  L’ Hegel dopo di aver citato questo passo di Bruno: « Aber  den Punkt der Vereinigung zu finden, ist nicht das Gròsste; sondern  aus Demselben auch sein Entgegengesetztes zu entwickeln, dieses  ist das eigentliche und tiefste Geheiranis der Kunst » soggiunge enfaticamente: « Dicss ist ein grosses Wort, die Entwickelung der Idee Bruno ha visto financo che il segreto della filosofia sta  nel tirare le differenze ideali dell’ universo dalla sua unità,  o, in altri termini, nel contemplare 1’ atto proprio del differenziarsi dell’ unità, quell’ atto, che, come egli dice, non  pure è potenza di tutto, ma è atto di tutto, come si può  sostenere che la sua filosofia sia panteismo ? Ha forse il  Bruno inabissate, ha forse estinte nell’ unità assoluta tutte  le forme ideali dell’universo? E non è vero in vece che  la esigenza della sua dottrina si è appunto quella di distinguere nell’ unità assoluta un mondo intelligibile, un universo infinito? Ovvero si vuol sostenere che il Bruno è  panteista sol perchè non ci ha presentato, ai suoi tempi,  in una forma veramente speculativa, tutto questo suo u è   niverso infinito? perchè, in altri termini, non ci ha dato  una filosofia della natura e una filosofia dello spirito ?  Una simile pretesa non sarebbe certamente degna di una  mente sana. Ma altro è dir questo, anzi altro è anche aggiungere che la dottrina di Bruno non è nemmeno un  sistema nel senso vero della parola, altro è affermare che    so zu erkennen, dass sie eine Nothwendigkeit von Bestimmungen  ist ». Geschichte der Philosophie, Zweiter Tchil.] 1’ assoluto Bramano sia addirittura come la notte, in cui  tutte le vacche son nere. Ma io mi avveggo, o Signori, di essermi soverchiamente dilungato su questo punto. Dirò dunque ora proprio di volo, prima di conchiudere, pochissime parole sull’applicazione di questi primi principi più generali della  filosofia del Bruno alla teoria della conoscenza e della libertà. Senza fare ciò non si può vedere la vera importanza di questa grande filosofia. Bruno si può dire pant eista in un senso solo, cioè nel senso  che nella sua filosofia manca il concetto della vera ed assoluta esistenza di Dio, manc^lconcettodiDio^conHSjjersonalità assoluta.   Il Dio di Bruno vive nell’ infinito universo, ma non ha una vita sua  propria come principio assoluto, non ha una sua realtà distinta,  nella quale si raccolga tutto il mondo intelligibile; inso mma il Dio del m Bruno non è l’Idea come autocoscienza assoluta, e perciò non è  ancora realmente Dio=Dio. Tutto questo è vero. Ma siffatta critica  della dottrina Bruniana si può fare soltanto dal punto di vista dell’Hegel, non già dal punto di vista de’nostri critici del Bruno. È  l’Hegel soltanto, che ha dritto di chiamare il Bruno panteista. La  spiegazione e la critica del Bruno, a me pare la seguente. Bruno^contempla Dio come cosmogonia, come attivitàcosmogonica (ciclo di origine), ma non contempla il cosmo come teogonia, come attività teogonica (ciclo di ritorno). Egli è vero che non c’ è cosmogonia senza  teogonia, come non c’ è intuito senza riflessione; ma c’ è teogonia e [In ordine alla conoscenza il Bruno insegna che la verità di essa non si ha e non si può avere immediatamente,  cioè nella sua forma originaria c primitiva, e finché dura il  carattere proprio della medesima. Il carattere di questo primo grado della conoscenza si è quello di essere legata alla  natura esteriore, sensibile, accidentale, e quindi è la estrinsechczza del pensiero a sè medesimo. Per potersi sciogliere da questi legami col mondo esteriore e fenomenico, e  giungere davvero a possedere sò stesso, lo spirito ha d uopo o della fede o della scienza. Ma, nella fede, l’uomo  non s’innalza alla verità colle sole forze della ragione e  in un modo assolutamente libero: nella fede 1 uomo, fino  ad un certo punto, accoglie in sè la verità come vaso o  recipiente, e perciò in guisa non corrispondente del tutto   teogonia, come c’è riflessione e riflessione. Ora il Bruno non arriva al concetto di quella forma del cosmo che non è solamente  una certa teogonia, ma che è la vera ed effettiva teogonia; non arriva al concetto del cosmo veramente teogonico; e perciò non arriva alla vera esistenza di Dio. Dunque la personalità assoluta di Dio,  in questa filosofia, è impossibile. Ma d’ altra parte neppure è possibile arrivare a questa idea, uscendo da Bruno assolutamente. È  sulla via aperta dal Bruno che bisogna camminare per raggiungerla.  Chi vuole adunque questa idea, accetti il Bruno, vada avanti, e la  troverà. ] alla vera eccellenza della propria natura. Nella scienza, al  contrario, lo spirito si eleva alla contemplazione della verità colla sola libera energia della sua mente, e produce  la coscienza di essa come vero artefice ed efficiente. Il  processo della contemplazione della verità consiste nel profondarsi nel profondo della mente e nel circuire per i gradi della perfezione, cioè nel percorrere col pensiero le diverse manifestazioni dell’ infinito vigore, e perciò nell andare non già dal finito all’infinito, o viceversa, ma nell’andare dall’infinito all’infinito. Lo scopo ultimo di siffatta contemplazione si è di capire quell ' atto assolutissimo  che t medesimo coll’ assolutissima potenza, e di effettuare  così la vera immanenza di Dio in noi colla virtù stessa  della nostra mente.   In conformità di questo concetto della conoscenza, Bruno determina il concetto della libertà nel modo che  segue. La verità e, la legge sono tutt’uno. Perciò, come VC/àU  la verità è intima allo spirito umano, cosi anche la legge  è intima all’umana volontà. Questa adunque non si può  considerare come una facoltà vuota ed indeterminata. D altra parte, nella guisa medesima che la verità non è posseduta dallo spirito originariamente c senza la sua stessa  attività, così anche la volontà non è oggettivamente libera, e quindi non è vera ed assoluta volontà, finché non si ò elevata alla legge ed alla verità. La verità adunqne è  il fondamento ed il contenuto della libertà. Fuori della verità, fuori della legge la vera libertà non è possibile. Per  tal modo la libertà non è arbitrio, ma è necessità. Questa necessità però non è esterna, non è fatalità, ma appunto perchè s’immedesima colla stessa verità, è necessità interna e razionale. M. non ha bisogno di fermarsi sulla importanza pratica di questo concetto bruniano della libertà.  Senza che il dica, ognun vede come in questo concetto  si acchiuda ad un tempo la critica della falsa libertà, e  della falsa autorità, e come sia appunto in questo concetto  che sta il fondamento della nuova vita sociale e il principio animatore di tutta la civiltà moderna. A me qui  spetta soltanto di chiarire brevemente il valore speculativo  di queste applicazioni dei principi metafisici del Bruno, e  di mostrare come in queste applicazioni si possa scorgere  il germe di una più alta filosofia. Ebbene egli è facile vedere che queste idee di Bruno, relativamente alla conoscenza ed alla libertà, più che  semplici applicazioni del suo principio metafisico, sono in  vece delle conseguenze, che hanno una portata di gran  lunga superiore allo stesso principio. Bruno in queste  applicazioni supera davvero sè stesso, egli va al di là dello jtesso suo punto di partenza. E per vero il punto  di partenza del Brudo è Dio come semplice atto creativo, Dio come semplice creare, e perciò come generare ; e quindi l’universo Bruniano è si la infinita,  la eterna creatura o genitura di Dio, ma non è altro  che la eterna, la infinita creatura o genitura di Lui. Intanto il concetto Bruniano della libertà e della conoscenza ci presenta una vera reazione sullo stesso principio  assoluto: esso importa un’ attività superiore al semplice  creare, importa un’ attività, che non è mera estrinsecazione del principio eterno delle cose, ma ò una effettuazione  vera del principio medesimo, come atto dello stessa creatura fi'). GIOBERTI (vedasi) ha detto ai giorni nostri, in un momento di profondo intuito filosofico, che l’uomo rende a Dio la pariglia; anzi egli ha detto anche in generale che l’atto creativo è essenzialmente atto teogonico. Ora  questo rendere a Dio la pariglia, questa forma di atto creativo, che è nel medesimo tempo atto teogonico, è appunto O meglio: come atto di Dio stesso, ma in quanto creatura.  Col linguaggio della religione si direbbe: come atto dello stesso  Padre, ma m quanto Figlio. Si sa poi che questo atto del Padre,  che è atto di lui in quanto Figlio, è quello che là la verità del Figlio e la verità del Padre ; e che questo atto è appunto lo Spirito: la  vera Ferità. quella idea, che noi non possiamo ravvisare nel principio  metafisico del Bruno, ma che però troviamo adoperata  nella sua dottrina della conoscenza e della libertà. Si può  adunque affermare che, nella filosofia del Bruno, le conseguenze contengono più delle premesse; ma siffatta contraddizione anziché menomare il merito del nostro filosofo, è appunto quella, se io non mi sbaglio, in cui si rivela la più alta potenza della sua speculazione. Nè varrebbe il dire che il Bruno non finisce come comincia; imperocché il Bruno, ha cominciato bene, come era possibile  ai suoi tempi, ed ha finito molto meglio. E se tra il Principio ed il Fine, tra 1’origine ed il Intorno la sua filosofia  non pone quell’ accordo, in cui consiste la vera Idea, di ciò  non si può fare un’accusa al nostro grande pensatore,  stante che un tale accordo è il risultato di tutta quanta la  speculazione moderna; e perciò non si può pretendere dalla filosofia del Bruno. Nè si può pretendere dal Bruno la  coscienza della contraddizione, che corre tra il suo principio metafisico e la sua dottrina della conoscenza e della  libertà, perchè una tal coscienza non poteva sorgere nella  storia, se prima i due estremi, cioè il Principio ed il Fine,  1’ Origine ed il PJtorno, non avessero spiegato separata-  mente tutto il loro valore e non si fossero presentati dinanzi al pensiero speculativo come le due somme ed opposte potenze (Teli* universo, 1’ una predominante nel mondo della natura, 1’altra in quello dello spirito. La filosofia cartesiana rivelò il potere del Trincipio, la filosofia Kantiana  (precorsa solo da Vico) mise in evidemza l’attività indi-  pendente ed assoluta del Fine, e fu perciò solamente la  posteriore filosofia tedesca quella, che potè innalzarsi alla  contemplazione del Principio-Fine, dell’ Origine-Ritorno, e  porre cosi un nuovo e più alto concetto di Dio, il concetto di Dio come sviluppo, come Spirito, e quindi una  nuova filosofia: la filosofia dello Spirito. Raccogliendo adesso le fila del mio ragionamento, io  posso conchiudere così.   La filosofia del Bruno ha riabilitata e {ligni ficat a la e l ia restituito il suo vero valore, 1’ ha innalzata a  manifestazione reale e vivente di Dio; dunque il primo ardente desiderato del pensiero scolastico, in questa filosofia,  è soddisfatto. Ma c’ è di più; imperocché il Bruno, avendo concepito Dio come immaii ^q^ nella coscienza umana  in lorza dell’ attività stess^ai^ essa, ha posto in questo  concetto la possibilità di quella intelligenza superiore, che  formava la seconda e più alta aspirazione dei grandi pensatori della Scolastica, e la cui attuazione non poteva essere  che il risultato finale di tutta quanta la filosofia moderna. Nome compiuto: Sebastiano Maturi. Not to be confused with Walter Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino, Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia campanese -- filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London, the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,” Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione culturale a Napoli dove si laurea con SCHIPA, uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da CROCE. Del suo maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.  Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Collaboratore dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.  A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea.  Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe.  Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua inaspettata scomparsa.  Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nome compiuto: Walter Maturi. Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Maurizi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract: “Sellars and Yeatman refer to the fact that my English forebears worshipped all sorts of odd gods, by the names of Monday, Tuesday, Wednesday, Thursday, Friday, and Saturay. I am surprised the Romans were never able to export their Bacco to Britannia! The implicature being, of course, that I find Bacco the god most congenial to my nature!” Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Partecipa alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca) ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Acampora, Fenomenologia della Compassione, Sonda, Casale Monferrato,, e ha tradotto, con Dalmasso,  Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di antispecismo.  Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale "essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di Hegel portata avanti da Adorno, infatti, M. sostiene la leggibilità e razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà, imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da M. come un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di M., che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque essenzialmente politico  e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). M. è stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel  l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’ – “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” --  la musica contemporanea da Schönberg ai Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo  Intervista su questo tema a cura del collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress. com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista: youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag  Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma.  Antispecismo Diritti degli animali Scuola di Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress. Nome compiuto: Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mazio: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I refer to the Athenian dialectic as opposed to the Oxonian dialectic, I fous on the agora of Socrates, the accademia of Plato and the lizio of Aristotle – but of course there was also the Porch, and the Garden! It is not surprising that of all these Hellenistic sects, Walter Pater, at Oxford, found the Garden to be the most congenial to his ultimately Roman mind!” Filosofo italiano. Friend of GIULIO (si veda) Cesare and Cicerone (vedasi). M. writes on food and trees and takes an interest in the philosophy of the Garden. L’orto. Gaio Mazio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazio.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mazzarella: l’implicatura conversazionale – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come from the same Roman root! But M. would know that – you wouldn’t!” –  Professore a Napoli,  è tra i principali interpreti di Heidegger. Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico.  Dopo essersi laureato presso l'Università degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila. Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera.  Opere In una delle sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di Heidegger.  In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che storia”.  Pensare e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di M.; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel concetto di "agape".  I suoi scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita).  In un dialogo costante con i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Forte, M. si è occupato specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita).  In Opera media ha inoltre messo in luce un talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città di Vita”, Firenze, e ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato.  Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger (Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli); “Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano, Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy, and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” --   “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia e teo-logia” --  di fronte a Cristo (Cronopio, Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo, Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia, Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica, in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli, Guida,  Archivio degli articoli di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae, pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Nome compiuto: Eugenio Mazzarella. Mazzarella. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mazzei: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Poggio a Caiano). Grice: “When I deliver my proemium as the John Locke lecturer at Oxford, I played on the idea of the old world versus the new world – which was a topic of some interest for my former pupil, Strawson. Strawson argued, wrongly, that Carnap, who emigrated to the New World, had to start anew – whereas in the Old World, we respect TRADITION!” Filosofo italiano. Poggio, Toscana. Grice: “Not every philosopher has a city, ‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas, transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre, he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche.  Sebbene sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte.  Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione francese.  La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi.   Dopo gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese.  Una breve parentesi italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà italiana.  La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo M. conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione americana.  Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.  Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò, e l'amico Bellini che sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.  Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Jefferson, con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per oltre 40 anni.  Il livello delle frequentazioni americane trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America.  Eletto speaker dell'assemblea parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio, composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della Virginia.  La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta fatica.  Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione.  In questo periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia.  Rientrato in Virginia, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il francese Plumard, Comte De Rieux.  La Rivoluzione francese e le vicende europee  Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.  Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.  Da questa posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della costituzione.  Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno.  Ultimi anni M. visse quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa.  Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma: Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche storiche  sull’America” (Firenze, Ponte alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera statunitense, adottata dal Congresso  un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag.  In suo ricordo è stato istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia.  Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano. Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele, Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano, Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America. Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni, Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo, Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo, Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz, M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com. Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei. net.  M., chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com. Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I processi contro  ed i liberali pisani, su idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org.  famous americans. net. Another Site about P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org.  M., Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice: “As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” – Nome compiuto: Filippo Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la giovine italia – la scuola di Genova -- filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Abstract: Grice: “I never liked Mazzini’s adage, ‘giovine italia’ but then my favourite Australian composer is Peter Allen, ‘everything old is new again.’ Mazzini has been identified by Benedetti (vedasi) with fascism, as he should!” Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “Of course it is difficult for an Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” --  Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha  per tutta la vita: oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.  Ho a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio.  I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a Montpellier.  Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata "un italiano", insieme a Berghini e Barberis, M. fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi  nella cittadina svizzera di Grenchen, nel canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni Ruffini.  Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove M. raccolse attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia, dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani; qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley (vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron, idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini. Nello stesso quartiere di M. visse anche Marx.  Durante il soggiorno londinese M. ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti con la famiglia di Ashurst e con il genero di questi, il politico Stansfeld, la cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld e sostenitrice della società "Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana M. collaborò anche con il secolarista George Holyoake.  Fondò poi altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa M. fonda anche l'Alleanza Repubblicana Universale.  Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Saffi, la moglie di Saffi, uno dei più stretti collaboratori di M. e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.  Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali M. era stato a capo della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da M.. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.  A Londra per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa, M.  fonda il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana e l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. M. era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, M. vinse con larga messe di voti (446). Dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti.   Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa. Maschera mortuaria di M., gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo M. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani.  Lascia Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe in una carrozza Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo.  Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente.  Traversie della salma  M. morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.  Le esequie furono accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di M., onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.  Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di M. alla Massoneria fu l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici.  Il sepolcro reca all'esterno la scritta “M” e all'interno sono presenti numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente M., a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli ideali mazziniani, simili ai suoi.  La principale obbedienza italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società segreta, la Giovine Italia. In effetti M. fu carbonaro, ma la Carboneria fu presto distinta dalla massoneria. Montanelli afferma invece che probabilmente Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Erasmo, Roma), che a119 scrive a proposito di M.: «Iniziato a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M. alla Massoneria.»  M. stesso sembrerebbe però smentire la sua partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo – M. Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.  Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione. Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia degli uomini.  Napoleone I è stato, con le sue continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato.  La concezione reazionaria contro cui M. combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa)  al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.  Concezione mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana – M.,  Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svg Mazzinianesimo. Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.  Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se, come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la sua concezione teologica da quella politica e l'assenza di intermediari tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato. Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere, come la nazione che avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema questo poi ripreso da Gioberti nel suo Primato morale e civile degli Italiani.  M. ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.  Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione. Per lui non conta che la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica, «l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il M. collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio, senza calcoli di utilità. Quello di M. era un progetto politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.». La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da Dio.  Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.  Patria e umanità  Targa in onore di M. sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation.  La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo M., doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.  Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.  Funzione della politica  Il mausoleo di M. nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; M. esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.  La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.  La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.  La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la rivoluzione francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale M. affrontò la questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. M. fu tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indica Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli operai.  M. criticò il marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di M. al comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, M. punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».  M. punta sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.  La sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello capitalista e quello marxista.  Cospirazioni e fallimento dei moti mazziniani  M. in una fotografia con autografo scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre condannati.  «Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda»  (Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia  «Su queste classi così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura.»  (Camillo Benso conte di Cavour). M. si trova a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.  Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti dei francesi.  Con la fondazione della Giovine Italia il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.  Durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da M., che fondò al suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare.  Prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Ruffini, amico personale di M. e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.  Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di M. con Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto non fermò M., convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.  Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli.  M., invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi testimonianza della propria credenza.»  (M., lettera di risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra,  dopo essere stato espulso dalla Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli Bandiera.  Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli dell'ammiraglio Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta, l'Esperia e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di M.. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.  Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito.  Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente.  Moto di Milano  e sollevazione in Valtellina. Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui tuttavia M. non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri.  Pisacane Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.  Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza.  Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati. Condan morte, furono graziati dal Re, che tramuts la pena in ergastolo.  Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».  Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che Gladstone definiva negazione di Dio eretta a sistema di governo.. Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.  Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.  Controversie  Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a Staglieno Conflitto con Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, deportati. Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Orsini e Pieri, il governo di Torino incolpò M. (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna. M., intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»  (M.]) Timori di M. per la cessione della Sardegna  Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia. Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.»  (da Scritti editi e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, M. affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo praticamente impossibile.»  (da Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di M., Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e amico di M., confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna»  Anche il giornale britannico "The Illustrated London News"  citava l'inopportunità di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano. Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. M. infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour. Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l’animus. Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano. Le idee politiche di Mazzini furono alla base della nascita del Partito Repubblicano Italiano. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e politica. Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo  M. sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di M. è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza. Già prima dell'avvento del FASCISMO, il cinquantenario della sua morte e celebrato con una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista M. e oggetto di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime di MUSSOLINI. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") diBottai, però, l'utilizzo che ne fa MUSSOLINI e strumentale.  La popolarità di M. durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a MUSSOLINI durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo». Particolare e il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Nenni, e i fratelli Bergamo presero parte attivamente alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di M. e del quale Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Malaparte e Ricci, che nel FASCISMO vede la perfetta sintesi fra «la Monarchia d’ALIGHIERI e il Concilio di M. L'intellettuale mazziniano. Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal "parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal "particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore  Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio critica il Risorgimento e indicò in M. un precursore del FASCISMO. La tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso sviluppata fino all'estremo. M., se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di MUSSOLINI sulla funzione dell'Italia nel mondo. La rivoluzione anti-fascista non potrà essere che una rivoluzione "contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso, dopo la svolta unitaria (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata nel giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal Regime) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate Brigate M.. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia  Doveri dell'Uomo  Editori Riuniti university press Roma  Pensieri sulla democrazia in Europa, trad. Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia  Periodici diretti da M. L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il tribunoNote  La Civiltà cattolica, La Civiltà Cattolica,   «La politica acquista pathos religioso, e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire, Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The Reception of  Shelley in Europe  Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli Scritti di M., Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi anche: Memoriale M.-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita di M. su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, edizioni Dedalo; Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul federalismo, Armando.  Comune di Savona  Liguria magazine in.  Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01  Patria, nazione e stato tra unità e federalismo. M., Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una vita per un sogno, Guida, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (M.: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la "Giovine Italia",  Domus Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a Ollivier, che pubblichiamo, M., pur parlando di Giuditta come della propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino come proprio figlio:...») Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. a Londra  È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le edizioni delle poesie del marito Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo e politico William Godwin.  Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe  Seymour, Mary Shelley, M., il cospiratore senza segreti  Lettere di Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc. Alighieri  Politica e storia Buonarroti e altri studidi Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M. «pavese» e l'Unità d'Europa  Quando M. scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni  Pensiero di M., brigantaggio: la Repubblica nasce nel nome di M., su pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. Esule antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu solpensandoo ideal, sei vero».  La stessa semplice scritta volle Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a Firenze  Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di M. nella Massoneria Italiana   in.  La stanza di Montanelli L' unità d' Italia e la Massoneria  M. massone?  A.Desideri, Storia e storiografia, IEd. D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in A. Desideri, Ibidem  «S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini, Firenze)  M., Fede e avvenire, M., Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo  Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, M. il patriota scomodo  Reghini a metà strada tra fascismo e massoneria  «Noi dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (M. su Pisacane)  Lettera a Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (M., in Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo).  Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto inaspettato di Mazzini  Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs noms et formes»  G. da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione civile, con postfazione di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza,  A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondadori, Milano,  «L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.: comunismo vuol dire dittatura  Il "Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini  Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3°  M., Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri,  A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola, M., op. cit.  Nome col quale i greci indicavano l'Italia antica  L. Stefanoni, G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza  Documentati colla loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith, M., Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, Cappa, Cavour, Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy  La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e M., Cattaneo, M., Francesco Cheratzu, 8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondatori, Milano, (Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal diario di Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di M. A quando a quando il brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo"  G. Belardelli, “Camerata M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R.  Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo: L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni. Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli, "L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in Arianna editrice  Mario Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit.  Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. “Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi, Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino, POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa, Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano, Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S. Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin);  N. Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso, Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.- L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R. Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni.  M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M. Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ; interpretato da Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a M. (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento.  su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  su sapere, De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera, Camera dei deputati.  Istituto Mazziniano a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia, su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini. Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Nome compiuto: Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana, stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; Grice e Mazzoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la vita attiva dei romani – la scuola di Cesena -- filosofia emiliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cesena). Abstract. Grice: “It is sad that my favourite philosopher, Ariskant, succumbes to the intellect – or as Mazzoni would call it ‘la vita speculative.’ The Romans, never! We do have an adage at Oxford: a man of words, and not of deeds is like a garden full of weeds.” This dwells on the real antonym of ‘vita speculativa’. Aristotle would have ‘theoretical,’ since ‘theorein’ is like to ‘see’. But then you would think that opposite is the ‘vita prattica.’ Mazzoni prefers ‘vita attiva’ – which is a bit of a redundancy – but anything goes when it comes to over-qualify the Romans!” Filosofo italiano. Cesena, Emilia Romagna. Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti. Invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della Commedia di ALIGHIERI Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome, in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri. Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis philosophiam preludia. In questo saggio egli sostiene il sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica di Galilei. M., Prefazione, in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del divino poeta ALIGHIERI, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., su sapere, De Agostini. Davide Dalmas, M. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., su accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di M., su ope nMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron, Маццони, Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de Repub. ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss ditione, quàm probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis. VITAE ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare diligenter, coaciones quoties opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque maior parsius filler exequio1 quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem disciplinam pertinet, hi summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic quid visunt eller imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad haec de his qui sub corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium fumiere, his praeterea licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente, publiciaeris, quantum resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse. Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus erat atg; administrator: nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem arbitratu im pensae fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de quibus iudicium publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii, caedis, at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio quod si vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam, vel civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia videtur. Consules enim ante quam ex urbe legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et có.,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit, probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant, et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere, decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere, populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium, quae ex populi administratione confatam fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio pofitumerat. atq; horum quidem, quae superius dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata irrogannda esset et praesertim ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum, neq; vestimenta, nec obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila; maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere, atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet, populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum, omnes imperio deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus, caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius authoritatem approbasset populus, praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit, nedum Sena erat 1 natus, et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis ex prouincia decedere voluisset, quamuis domo pulum tamen intueri, ac illius rationem habere coactus fuit: in maximis enim,atg; atrocissimis quaestionibus eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-. piteple&untur,nihilSenatus ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum quae decreuerat perficere: sed ne sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat: Trib.autí 11 di et um est: nunc autem quaratione potuerint partes illae quoties voluerint, sibimutuo repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft: enimuerò Consul poft quameani, quam superius dixi facultatem adeptus, copias eduxerat, funini o quid e mille cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus auxilio indigebat, ac sine his adresge 1 erat officium id femper exequi: quod populo visunr fuerat ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus cepissent, eos relevandi; siquae difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo minus ellent foluendi obstitisser, loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul ut hac tionibusti midem, ac minime libenter aduers ab an turtum populus, tum Senatus caniforis, militiaeque; universus exercitus, et singuli, quia fub c o ad se inuice miuuandun, et impediendum adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione Polybije aminterse aprem, conue Bodi nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei pub formare periti potuerit.' name, cum habeant omnes Res pub. In orbe quandam có 11.4, versionem et mutationem. Nullam ipse hac firmior emar Essen bitratus eft, fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis, ac sublatis artibus et studiis, aliquo post tenporis intervallo rursus humanum genus auctum et propagatum fuit, quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus, quod etia in in ratione carentium animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum gregibus fortiffimus quisý; manifestò principatum fibi vendicat: omnes enim fortissimum et potentissimum fectabantur, aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel honore illo digni habiti sunt in regnis consenescebant iusta studia fe& antes nullaq; propter eos invidia, fi qui de m non magna in eis aut v i et tis, aut verò omnibus Senatus praeerat. idem diem proferendi, fiquam publicani calaniitate mac rum imperio, ac potestate eflent.i Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem Senatus metuebat, ad populique : voluntatem, studi uni et cogitations suas dirigebat. At contra Senatu i populus ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim, et singulatim colere, arg; obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent in ITALIAM ul bidid tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara 33°53.stusd; publicos locare solebant:in his omnibus conducen discurandis populus implicitus esse confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus kitus gracatio cernebatur: verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag cotes, eaem qua populus victus ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum iam comparata haberent imperio, essent differre et ad haec licexe etiam spemine : prae metu contradicente: in concesus concubitus appetore, ató;ita coorta eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex Cyri, Cam.bylif que imperio, fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam ducum En suorum consilia multitudine, atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat forma facile vedelereture ueniebat, atque indeiam optimatum principalu sortunt, atque initium accepifient, educati abinitio in poteltate, ang honoribus apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus inferendam, alijdenių; adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum principatus ad paucorun dominationem hinc illorum imperioper idem quod tyrannos oppresserat in fortunium finiş imponebatur, ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac, qua superiores vsi fuerant metum, neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam re centi rei malae gestacniemoria ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq, ita popularis fornia effe et aeft horum postremo filii plus caeteris in Res Publica posse contendebant; atg; sinhanc cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis pecuniae largitionibas plebem cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter eaae quabilis, communisų libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam, atq; aff.uentiam cupiditatibus obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus et epulisabijs, quifubeoruni f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi principes fiebantàgen crofiffimis,& 1 1 tur . duxit . hiprinò administratione gaudentes commun ivtilitate del nihil antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi a n i eorum liberi e andem å patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae affirefacaaliena bonaconselle, vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere facileducem elaro animo, ace; audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for mailla, cuius conservatio in flavum fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum plebs in vnum coactacaldem facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris lau Res publicae benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione liquid paret: inhisverò Reip. niutaionibus, quis fimilitudineni, et contrarietateinnes gabit) FACVLTAS ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; et inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt plebiscita, et leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin seconti not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au et a 1ist. et prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf cuiufớiroboreac potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam declinaret, ne 1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis que legibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO] hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum, hoc eft suffragiis populi percurias collectis. quidam retulerunt. pe: TAPE PTA LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta, et principum placita,exquibus EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit) iuxta curiatis ferrentur,iii IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur ybi putabat,cum quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse t accusam o m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas responsa appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure& consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1 primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,& itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a et iones. Iureconsulti verba vnatantunt fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur. :.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone .I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui. fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius Hermodorinon rectè colligitBaldus {,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet faciendi legenon prohibitum, atý;isto rum, alij sunt liberti, alij libertini, alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt, appellabantur. -horun, autem alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s. : aut testamento nullo iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt iuris, alijverò alieno iuri fubie&i. et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias appellan-1.1.f.&his tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura, velquisútlui adop. natura sunt qui ex nuptiis uxoris et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur modis Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per coenuptionem conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar reationeminime. caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem maximam fuisse differentia adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, et fanèfar reatio Top. Cicerone folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò cereis solemnitatibus per agebatur, fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui nullius imperio subie &I facultatem liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini ex iustaserui. Il convito di Platone. Discorso de' Dittonghi di M. all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria de Marchesi del Monte. In Cesena Appresso Raverio. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella Basilicata. II.Discorso di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discorso, se ne ragiona qui addietro a cart.19. e segg. III. M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam. in4. IV.M. Cæsenatis deTriplici HominumVita, Activa nempe, Contemplativa, ei Religiosa Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus centum etnonaginta septem distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis, multæveroaliorum Græcorum, Arabuin, et LATINORUM in universo Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat in Questo volume contiene le celebri conclusioni di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di Cesena, e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario, Abbreviatore de Curia, e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost. CommissarioGenerale.In Cesena Per Verdoni. in e V. Della Difesa della Commedia di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle opposizioni fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica, e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in Roma, com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro, e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi qui addietro ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodi questo libro.Della Difesa della Commedia di Dante distinta in sette libri, nella quale si risponde alte opposizioni fatte al Disa corsodiM. M. esitratta pienamente dell' Arte Poetica, e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia, ed alle belle lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata incuisitrova, cosìpergloriadel M., come per le insigni qualità del Prelato, che vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente. a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata Ad Albizzidell'una e dell'altra Segnatura Re ferendario, Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc. XI. in Cese na per Severo Verdoni in 4. Nell'occasione, che D. Mauro Verdoni, illustre letterato di Cesena, ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di Dante, vedendo che la prima era di già divenuta assai rara, si determinò d i dover ristampare anche questa, siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo Monsig. Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate, cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig. Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo, ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La dedica a Monsig. Pilastri è in data, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere tratta dall'oblivio ne Illuge 'animo fatociperultimare que sta grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta restituzione, eriman dar (comesidice) questo FiumealsuoMare. Nepunto erriamo, sesottonone di Mare ricopriamolavastità delsa pere, la profondità della prudenza, i tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita, a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità, emulando la pietà de'suoi Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli Altari;sovvengaleCongregazioni del Taumaturgo Fiorentino, ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità dal Porporato, che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami delpiosuo Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena del Mondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti il nostro M.; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiin considerazione delle grazie tan tevolte compartiteci,e dell tria, ' Fondatore, non potiamo, nè dobbiamo concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano, se non quello, che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 Præceps illamanus Auvios superaba tIberos, zioni,eprove dell'amore che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri tuttose stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia, proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori, eisovvegni conseguiti dalla bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens . A questo Mare adunque, la di cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj, abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro, col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra Patria ha saputoprodurre i M., i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti, preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli hanno generosamente accolti, favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere, che non paventa veruna offesa; resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran Nome; che non potrà mai ricor darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è, che nella Patria in vedere le affettuose dimostra f > mula di quelGrande, neque negavit quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est. Cesena. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di M. intorno alla Risposta ed alle opposizioni fatregli da Patricio, per est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione, che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo, e primo seguace del Redentore, Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla dilei Pietà ravvivata ; le di cui Sante Reliquie, fatte portare dalle ultime regioni del Tago, siccome hanno impietositi gli Altari, così ancora hanno indotta tal venerazione del di leiNome, che ingegnosamente si dice, meritar ella corona più preziosa di quella, che da' Romani donavasi a chi rendeva i suoi Cittadini a Roina; ovvero che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena. Viva dunque il nome di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa negl’animi di tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo, a cui non Atene, ma Cesena, che è pur l'Atene della Romagna, ergapertrofeouna corona di cuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo ossequio, riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci, che ci pubblichid mo per sempre Di V.S. Illustriss.e Reverendiss. Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig. D.Verdoni, e D. Buccioli > te 145 tenente alla Storia del Poema Dafni, oLitiersa di Sositeo Foeta della Plejade. InCesena appresso Bartolomeo Raverii .in4. VII. Ragioni delle cose dette, ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii in4. Del merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione, che indusse l'autore a scriverli, si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis, in almo Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis, in universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia, sive de comparatione. Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum CarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume, che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera, si vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza, colpa de' nuovi sistemi di Filosofia, che di poi si sono introdotti . Ad ogni modo è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re ingegnosa, e nel suo genere affatto singolare; con tenendo quasituttiisistemi degli antichi Filosofi esa In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi Mazonii Oratio habita Florentia Idus Orazione al Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori, che avea ricevuti da questo m a gnanimo eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice, che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori .mi . T minati ed illustrati in una maniera sorprendente. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di esso M. in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Bonetti. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a carte e delle Annotazioni, ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra la prima parte della Difesa di Dante di M.. In Siena appresso Luca Bonetti. Ed una indiritta a Speron Speroni staa cart.355. del volume quinto di tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M, medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio piacendo, periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi. vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere questi Commentarj per soddisfazione di Francesco MariaII, della Rovere Duca d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Veterani Ministro del Duca, come pu . re a reinaltraa Belisario Bulgarini, cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini. M. medesimo poiacart. della DifesadiDante nomina isuoi Commentarj sopra il Fedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis, fatti ad imitazion di Varrone. Compose M. quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio, e. disse a Roberto Titi che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante. Veggasi quan toda mesenediceacart. 44.e98. delpresentevo lume. Censura del primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Simon in una lettera a Dandini, che si legge a cart. della sua Biblioteca Critica, afferma d'aver inteso da questo Prelato, che M. avea scritto contro il primo tomo del Baronio, tosto che questo uscì in luce, e che il manoscritto di quest'opera sic onservava nella libreria delGran Duca. Discorso d'una breve Navigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia, e nel Paese del Prete Janni . A Buoncompagni General di S. Chiesa, e Marchese diVignola. Questo si trova in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete. Anche questo Discorso, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel Monte celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma per diligen zefattenon siè potuto rinvenire al num.513., allegato dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e dietro a lui da Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò, che del pregio di quest'operetta si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica, e i Dieci Libri dell'Etica d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di quest'opera, mancante però e imperfetto, si conser vava alquanti anni sono presso ilSig. Gio: Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma da Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti, dalle quali si apprende, che lo stesso Cecca roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica; ma sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. In universam Platonis Rempublicam Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo M. medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν gata al Sig. GiulioVeterani; dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla, o di recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino. alle La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni, e non mai pubblicate, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera, prima viene accennata a cart.89., detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia . La se conda scrittada lui eloquentissimamente per movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart. 100. El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio Romano, facendo una comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che mai non videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze, due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella della Crusca sopra i Brindisi,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi a cart.77.94.95.e97. Lettere. Di alquante lettere del M. si conservano gli originaliin Pesaro nella libreria Giordani, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio della Rovere, una al Duca d'Urbino, due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti, cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati, denari Romani, qual fazione restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più trovato. Forse tutti questi mss. dovettero essere in quelle dieci casse di libri di M., che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire da un pubblico Documento rogato. Per Per ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al presente chi sostiene doversi attribuire al M., così la Canzone composta in lode del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la Canzone Mostra l'altera fronte. In Cesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii. in8.; machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credeCre, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere fattura del nostro autore, essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa, e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo M.. Mazzoni. De triplice vita. Mazzoni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Abstract. Grice: “In my ‘reflections on happiness,’ I dwell on autonomy, and give the example: do not rely on a grant by the government. In fact, most of my requests were systematically rejected, even if I thought I had provided good grounding for them – “The value of this should be self-evident.” “The significance should be obvious by its character.” In Ancient Rome, the government gave no grants, but Maecenas did!” Keywords: Grice, Gardiner, Mecenate. Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del M. in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn. For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//» ftt.y. !f '8 )>: 9 .éffsuz^ncsÉ OtjJ A, «a k.Sm i STORIA DI CAJO CILNIO M. CAVALIERE ROMANO SCRITTA, X DEDICATA A S. A. S. il Signor Principe FEDERICO DI SAXE-GOTH A DaU’Avv. Sante Viola P. T. ROMA i8£Ó. Presso Francesco Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9 A spese degli Eredi Raggi Libra] al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA Allorché io mi occupava a raccogliere le Memorie Istoriche della Vita di Cajo Cilnio M. 9 pensai ocacciare al mio Libro un Protettore nella Persona dell’ A. V. S. sapendo quanto sia benemerita della Letteratura, delle Arti, e de’ loro Coltivatori ; e sebbene la piccolezza della mia Offerta dovesse sgomentarmi, tuttavia fatto coraggioso dalla grandezza del suo magnanimo cuore, restai fermo nel mio pensiero, persuaso, che la Storia delle geste civili, politiche, e morali di quell’ esimio Cavalier Romano, doveva presentarsi ad un Principe i nel quale si ammiravano per singoiar modo trasfuse le doti più belle \ di cui era quello fregiato. E come non dovrà celebrarsi P A. V. S. nel vederla animata dal genio istesso del gran Cibilo riguardo al progresso, ed al miglioramento delle Arti > e delle Scienze? In Roma, Capitale di un vasto Impero, M. avvalorava i talenti, proteggeva i Dotti, e dava così un impulso potente alla Civilizzazione del Genere umano ; e F A. V. 5. nell* istessa Capitale, ora Sede, e Maestra del buon Gusto, e delle Arti, accoglie con amorevolezza, onora con discernimento, protegge con costanza tutti gli Artisti, e Letterati, de’ quali la stima, la venerazione, e T amore sono ben dovuti all’A. V. per quella soavità di maniere, ed eminenti virtù, che in tanta copia brillano i n tutte le di Lei azioni. Se l’A. Y. S. si degna di accogliere sotto la benefica, e valevole sua Protezione questo mio qualunque siasi lavoro, andrà esso fastoso vedendosi onorato di qùelNome illustre, che ridesta la dolce memoria de TI grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in ogni epoca recarono decoro alla Patria, onore, e gloria alle Contrade Alemanne. Supplico PA.V.S. di aggradire i sentimenti di quella profonda venerazione, ed invariabile ossequio, con cui ho, l’onore di rassegnarmi. Di V.A.S. Vino Dmo Obbmo Servo SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio Cilnio M. ebbi di mira soltanto la riconoscenza dovuta alla memoria di questo grand' Uomo, che fù il più zelante promotore delle belle Letter e, l'Amico sincero, il Protettore liberale di tutti li Letterati suoi contemporanei. Per lo spazio di circa tredici, o quattordici Secoli il nome di M. fu sepolto, per dir cosi, nel seno dell' oblio ; effetto della barborie de' tempi. Giovanni Meibomio fù il pririio a raccogliere tutte le notizie relative alla Vita di questo esimio Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro avente per titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus gestis. Prima del Meibomio ne aveva scritta una Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua Ca stigliarla. Ma quest’Opera non potè procacciarsi un incontro felice per le stravaganze, di cui era ripiena, portando l' impronta piuttosto di un Romanzo, che di una Storia, conforme osserva il lodato Meibomio. Praeloq. ad Lect. : Historia Vitae Maecenatis a Jo. Paulo Martire Rizzo Lingua Cast igliana de script a. . Tantum enimabest, ut illa sit historia, ut parum absit ad fabulas abeat. Circa treni' anni dopo l’Opera di questo, cioè, Cernii diede alla luce in Roma con le stampe di Lazzari una Vita di Cajo M. Ma questa operetta per lo stile inelegante, ed uniforme al gusto di quel secolo, sembra che non riportasse tutta l’approvazione de’letterati, essendo caduta in una quasi totale dimenticanza ; ciò non ostante l' Autore, con la scorta del sudetto Meibomio, non omise di riunire molte notizie sulla Storia di M., estratte dagli Autpri antichi. Altri ancora posteriormente hanno parlato, e scritto sul medesimo soggetto. Nel 1 j 46. fu publicata in Parigi da M Riclier una Vita di M., e successivamente V Abb. Souchay fece una raccolta di notizie in una Dissertazione inserita nelle Memorie dell'Accademia dell’Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno M. Avendo profittato de' lumi, che questi Autori diffusero nelle loro Opere, e non avendo omesso di esaminare li Scritti di Livio, Dione Cassio, Appiano, Tanfo, e Vellejo Patercolo fra li Scorici antichi, non che quelli dì Seneca, Macrobio, ORAZIO (vedasi) Flocco, Virgilio, Properzio, ed altri, ho tessuto questo qualunque siasi lavoro, con aver procurato di non CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal.. ... r j deviare nella narrazione de' fatti dà un ordine regolare, e cronologico. Fra li moderni ho fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo Echard (1), e degli eruditi Catrou, e Rovillè (2 ), nelle quali oltre a non poche notizie relative al mio assunto, ho toltili materiali sulla Storia contemporanea, con aver però ri-* scontrati li fonti, in cui quelli avevano ati tinto, Lapresente Operetta è divisa in IV Libri. N el primo si sono rintracciate le Notizie sull’ origine, e sulle qualità della Famiglia de' Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro M. può essere entrato nella CorQe di Ottavio Augusto, e si nota tutto ciò che vi ha di più rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra detta di Perugia, cagionata dagl intrighi di Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio. Contiene ancora le operazioni del medesimo M., e prima, e dopo la disfatta di Bru-> to, e Cassio nelle Campagne di Filippi, (1) Storia Romana dalla Fondazione di Roma sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Costantino scritta in idioma Francese dall’ Abb. delle Fontane sopra l’Originale Inglese. Venezia 1751. (*) Histoire Romaine depuis laFondation de Rome par les RR. PP. Catron, et Rovillè. Paris. Il secondo Libro comprende la serie de folti relativi alla Storia di M. dalla indetta disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epoca, in cui Ottavio rimase il solo Dominatore della Romana Gran dezza. N el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto da questo con Agrippa, e M. per deliberare, se, stante V estinzione del Triumvirato, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo il sistema Republicano, o se dovessero gettarsi le basi di una Monarchia Universale, e qui si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi, recitati l’uno da Agrippa, che perorò per la Repuhlica, e l’altro da M., il quale fa di opposte sentimento, ed opinò per lo stabilimento della Monarchia ; e come Ottavio antepose le ragioni di questo alle riflessioni di quello. N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse l influenza di M. sullo spirito di Ottavio, divenuto Imperadore, e quale la deferenza di questo verso di quello. Si ravviserà inoltre quanto grahde fosse la protezione, c la liberalità di M. verso i Letterati, e quale impegno avesse per il progresso dèlia Letteratura, e delle Scienze. In fine sipario della Morte. Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia, Appendice divisa in tre Discussioni, che sonuninistrano de' schiarimenti, ai altre- memorie, che in quella, q erano state omesse, o appena accennate. Le prime due Discussioni abbracciano Le notizie relative ai celebri Giardini, ed Abitazione, che M. possedeva in Roma, ed alla magnifica sua Villa situata sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli. La terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua, e Veglia Triennale, che Plinio il Naturalista attribuisce a M. Tutte le volte, che questo grand’Uomo trovò degl' imitatori nella protezione, e nel favore delle Lettere, e dei Coltivatori delle medesime si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi, e la Letteratura fece mirabili progressi, In fatti a questa imitazione siamo debitori di tante utili scoperte, e di quelle venuste produzioni dello spirito umano, che viddero la luce sotto i Leoni, sotto gli Alfonsi, e in tutte le altre epoche, nelle quali le fatiche de' Dotti furono r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti. Se pertanto questa imitazione non sarà posta in oblìo, e se il nome di Cajo Cilnio M. non sarà dimenticato, li Secoli successivi saranno sempre più migliorati, ed illuminati dallo sviluppo delle umane cognizioni. LI Poeta Marziale, che vivgpa in un epoca, in cui la Letteratura inclinava alla sua decadenza, si lagna, e fa conoscere, che allora non esistevano dei Mecenati, che non erano le scienze protette, e che perciò non si vedevano comparire ingegni sublimi. Ti meravi gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri. .. manchino ingegni simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno sappia cantare le mi-,, litari imprese con una tromba eguale alla sua. Io ti rispondo, che se vi fossero de * Mecenati, come quelli, che vissero sotto I Impero di Ottavio Augusto, vedresti svilapparsi altri Genj niente inferiori a quello,, del Poeta Mantovano. Era stata a questo rapita la sua piccola Possessione presso Crcmona, implorò la protezione di M.,,, pianse, e sotto il nome diT itiro cantò in,, stile boschereccio le perdute pecorelle. Rise al suo flebile, ma dilettevole canto il Toscavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,, maligna povertà. .. Allora Virgilio concopi la grandiosa idea dell ’ Eneide . Se tu dunque, o Fiacco, sarai benefico come M., e mi ricolmerai di doni, ti,, assicuro, che anche io diverrò Virgilio (l). ( i) Martini. Lib. 8. Epigr. 55. ad Flaccnm. Temporibus nostris ìngenium sacri miraris abesse Maronis; Nec quemquam tanta bella sonare tuba. $int M. s, non deerunt, Flacce, Marones. Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae, y Flebat et adductas T ityrus aeger opes. Jìisit Tuscus Eques, paupertatemque malignarti Rcpulit, et celeri jussit abire fuga, Digitized t XIII Nello scrivere la presente Storia non pretendo di aver fatto un lavoro completo, nè di aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure politiche, morali, e civili di questo esimio Cavaliere Romano. Se non vi sono riuscito, non fu colpa della mia volontà, o effetto di trascuratezza. Qualunque mancanza si deve attribuire alla ristrettezza delle mie cognizioni, e de’ miei talenti. Può essere però, che all' impulso di quésto mio travaglio altri si scuotano in seguito, che forniti di migliori materiali, ed ingegno più elevato, sappiano supplire alli miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore, e leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte intorno alle geste del mio Eroe, sarò ben contento di apprendere da altri, ciocchi io aveva tentato di conoscere colle mie fatiche. Protinus Italiam concepii, et arma virumque. Ergo ero Virgilius si munera Maecenatis E>es wihi. . v w. v i y* N A STORIA DI CAIO CILNIO M. _| ràle famigli» le più antiche, e doviziose di Arezzo nell’Etruria meritamente è annoverata quella de’ Cilnj. Circa la metà del quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e duecento novant’ anni puma dell’Era volgare la medesima figurava luminosamente non solo nella propria Città:, ma eziandio sopra tutta la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze avendola resa troppo orgogliosa, e prepotente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle altre famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu sottoposta a disgustiose vicende. Nell’ epoca succenuata, e precisamente nell’ anno 4S0. di Roma, fu ordita nel seno stesso della sua Patria contro di quella una terribile congiura # e quantunque, per mezzo de’ suoi rapporti, ne giungesse al discoprimento,, non potè però impedirne l’esplosione. Gli Aretini presero le armi risoluti di discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto disimpegnarsi dalla pericolosa situazione, se non avesse trovato un appoggio nelle forze della Romana Republica., Questa aveva già sperimentato più volte la potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in quel tempo costituivano una nazione popolosa, formidabile; e guerrierafi) e se aveva su di questa riportate delle vittorie, TEtruria non faceva ancora parte delle provincie Romane ad essa confinanti. In questa occasione, o fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o più probabilmente per profittare delle interne dissensioni, Roma vi spedi il Dittatore Marco Valerio Massimo con un’ armata. Sebbene lo Storico Livio narri il principio, il progresso, ed il termine di questa insurrezione degli Etrusci, nutladimeno, secondo il medesimo, sembra, che riuscisse al Generale Romano di calmare li sediziosi movimenti degli Aretini, e di riconciliare la Plebe, con la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto d’armi rimarchevole, e sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse inalberato lo stendardo della rivolta, e che erasidato principio! alla medesima dalle sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj, invidiata perle ricchezze, voleva scacciarsi colle armi Alcuni Autori, che (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samnitium bello ;. .. Etrusci belli fama exorta èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus . .,. arma terribiliora esscnt cum propinqui tate agri, tum muli ita din è hom&nutn, y tengo presso eli me, affermano, che per iopera del Dittatore, calmati li sediziosi movimenti degli Aretini, e ricpnciliata Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ricondotta la quiete nell’Etruria, senza alcun fatto d’ armi memorabile. Dopo due anni però, cioè nell’anno 453, si accese nuova guerra fra questa, e laRepublica Romana. Sene ignora la, cagione, e non si conosce qual parte vi prendessero i Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse costretta a chiedere la pace, tuttavia dopo breve tempo fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti. Questi popoli guerrieri sempre inquieti > benché sempre vinti dai Romani, nell anno 557. tornarono all’ armi, e fecero tptti li sforzi per stringere un'alleanza offensiva con le popolazioni Toscane Etrusci ( cosi parlarono li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata Lib. io. num. 3. e 5. Multiplex de inde exortus terror. Etruriam rebellare ab Aretinorum scditionibus, mota orto, nuntiabatur, ubi Cilriiurn genus praepotens, divi tiarum invidia pelli armis ceptum Ha* beo Auctores, sine allo praolto pacatam a Dittatore Etruriam esse, seditionibus tantum, Aretinorum compositis, ctCilnio genere cuoi plebe in gratiam redacto. . L. . v ) la pace, quando non potevamo sostenere più lungamente il peso della guerra. Siamo tornati ora a' prendere nuovamente le armi, perchè la pace ci era più dura degli orrori di quella L’unica nostra speranza però, la sola nostra risorsa risiede nella nazione Toscana, nazione ricca, bellicosa, e fertile di guerrieri. Se noi avremo il vostro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri petti quel coraggio,. con cui Porsena, e i ^vostri Maggiori spaventarono Roma istessa, nulla avremo a desiderare (i). Li Sanniti ottennero ciò, che bramavano. Gli Etrusci accedettero alla lega, e la guerra cominciò con furore. Ma non era ornai più tempo di resistete alle forze delle Republica Romana già divenuta invincibile .'Eglino furono superati, e la sorte, che incontrarono in questa, incontrarono ancora nelle altre guerre posteriori, finché furono costretti a sottoporsi alle leggi, ed all' impero di quella. Quantunque la Storia ci abbia occultato le avventure de’ Cilnj, dopo che l’Etruria fu da’ Romani soggiogata, pure sembra potersi credere, che continuassero sempre ad occupare un rango distinto fra le famigliedella Nazione. Imperciocché se deve -prestarsi fede al Poeta Silio Italico, nella seconda guerra Punica un individuo di essa famiglia militò contro Anni • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w. •. baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché restasse prigioniero, diede argomenti di coraggio, e di valore. Avendo Annibaie superato le Alpi, incontrò nelle vicinanze della Liguria il Consolo Cornelio Scipione, che con un’ armata Romana voleva contrastargli la marcia ; ma impaziente il Generale Africano di dare esecuzione al già meditato progetto di conquistare l’Italia* e impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò l’esercito nemico. La battaglia fn incominciata, e sostenuta con accanimento dalla Cavalleria Numida, e le truppe di Scipione furono completamente disfatte. Egli stesso rimase ferito, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi, se non avesse combattuto al sno fianco Scipione di lui figlio denominato posteriormente Africano. Questo giovane guerriero, benché in età di soli diciotto anni, salvò il padre con il suo coraggio, e diede in tale occasione li primi saggi de’ suoi talenti militari. Questa terribile battaglia, e questo disastro dai Romani sofferto accadde tra il Pò, ed il Ticino nell'anno di Roma 536. (i). (i) Dion. Cas. lib. 14. Eutrop. lib.3. Florus lib.a. Cap. 6. Ac primi quidem impetus turbo inter Padum ac Ticinum valido statim fragore delonuit. Tunc Scipione Duce,fusus Exercicus, saucius et ipse venisset in hostium ma nus Imperator,niii protectum patrem praetex «I 6 Frà li molti prigionieri di distinzione fatti da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Città di Arezzo nell’ Etruria. Giovanetto anch' esso, come il figlio del suo Generale, combatteva nella Cavalleria Romana. Il suo Cavallo ferito cadde nella pugna, ed egli restò prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che narrò in versi tutte le azioni di questa guerra formidabile, cosi si esprime Cilnio d’ il-,, lustre prosapia, e nato nella Città di Arezzo, situata nelle contrade Toscane, da un destino crudele era stato spinto sulle rive del Ticino, benché giovanetto; quivi nel furor della mischia, balzato al suolo,, dal suo Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato costretto a sottoporre il collo alle Libiche catene „(i). Annibaie bramando di conoscere le geste, e l’origine di Fabio Massimo Dittatore Roma tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset. Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao. At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto Dìctatore vigent ....• Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores; Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora Ticini juvenem ripis, fususque ruentis V ulnere equi, Libycit praebebat colla catenu. Cop ale i no» di cui tante cosq narrava la fama, ne interroga il sudetto Cilnio suo prigioniero. Questo appaga il Generale Africano, ma gli parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa Conoscere in fine, che piu della schiavitù, cui era stato per disavventura sottoposto, amala morte. Offeso .quello dall’ardita risposta di Cilnio, cosi lo rampogna. Indarno, q folle, cerchi di accendere il mio sdegno, è di schivare con morte, che desideri, », la schiavitù. Viyrrai tuo malgrado, e il tuo collo sarà riservato al peso di catena più pesanti .,,(1). « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie continuò a trascorrere l’Italia, riportando segnalate vittorie. La più strepitosa, e memorabile fu quella presso Canne piccolo, ed ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma $ 38. La perdita della Romana Republica in questa fatale giornata fu immensa. Tutte le famiglie furono ricoperte di lutto, perchè ognuna vi ebbe delle vittime da compiangere (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma (1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq. Qnem ( Cilnium ) cernens avidurn leti post talia Pocnus Nequidguam nostras, demens, ait, elicis iras, Et captiva paras moriendo evadere vincla ; yivendurn est, arefa servàntur colla catena. Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn 8 soltanto; essa aveva fatttf leva di frappe dar tntte le Provincie o conquistate, o collegate, onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1 rore prodottoda quella battaglia sanguinosa * Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’ suoi guerrieri estinti nelle campagne della Paglia, e frà gli altri di un illustre Pcrsonagf. gio chiamato M., e dell' iste.ssa famiglia de’ Cilnj. Il sndetto Siliò Italico dettagliando li soggetti di distinzione, che erano periti a Canne, fa menzione particolare di questo èon tali espressioni Te'ancora trafitto nelL* inguine da Tiri© strale Veggio cadere estinto, o M., nomeMllustre per li scettri Toscani, e venerato per la patria, che ti diede i Natali (i). Se fosse incontrastabile l’autorità di questo Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni, relativamente all* oggetto della Storia, che si descrive ; Nella battaglia del Ticino è fatto prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo, di prosapia illustre ; in quella presso Canne, cioè dne anni dopo, cade estinto altro sogetto chiamato M., parimenteToscano, mà bulnus Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae V icus, sed magnitudine c/adii, emersit ; et quadraginta millium eacdr parta nobilitai ; Ibi in exitium infelicis exercitus dux, terra, coelum, dia, tota denique rerum natura contentiti ( i) Lib. io. vers. 39. Digitized by Google li antenati del quale erano stati Monarchi : Et sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora l'uno, e l'altro discendevano dalla stessa famiglia de’Cilnj, o erano di due separate famiglie ? Come poi, e quando, e chi delle medesime venne a stabilirsi in Roma ? La notte del tempo, e la mancanza di memorie ci toglie tuttU lumi necessari, onde ravvisare la verità senza incertezza, e giungere allo scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno 538. epoca della ìsudetta battaglia presso Canne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull' oggetto ricercato; in quest’anno però sembra, che comincino a diradarsi le tenebre, ea presentarcisi un qualche raggio rischiaratore per conoscere, che allora la famigliar M. già erasi stabilita in Roma, leggeudo, che un Cajo M., aggregato al corpo de’ Cavalieri, figurava luminosamente in quella. Capitale. In tal epoca, e precisamente nel detto anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Livio Druso. Questo cittadino Romano fornito di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attaccò le prerogative esistenti nell’antico, e no Oppetis, et Tyrio super inguina fixe veruto, Maecenat, cui maeonia venerabile terra, Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis. IO bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/ diante una Legge,' venissero; questi.' spogliati dei-diritto sulla Giudicatura, dritto annesso, óna volta, al Senato iifi) j -, Per riuscire nel suo progetto Druso fece ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino» vimento tutte le risorse della politica, dell' eloquenza, e della saviezza ± mà oltre ad ave? re incontrato delle forti opposizioni fra li stessi Senatori, -Cajo M.,• Flavio Pugione, e Gneo Titinmo, Cavalieri di specchiata probità si opposero energicamente alle di lui potenti manovre, e con lai loto fermezza, ed influenza* mandarono a. vuoto il progetto di Legge > che già quello aveva modellato (2). ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’Orazione a favor di Cluenzio, presentandogli I * • i •• 1; i - Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f inter jectis paucis annis, TriburuUum iniiejtf. Livius Drusus, vir nobilissimus, eloguentis simus, sanctissimus, qui cum Senatui priscum restituire cuperet dccus, et judicia ab Equi ti bus ad eum transfer re Ordinem. .. in its tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum habuit adversarium, Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeoque Cajus Flavius Pus io, Gn.Titinius, Cajus Maecenas Principes Equestri s Ordinis Curiata hit le gibus ingredi aperte ree usar unt. re l'occasione di rammentare questo avvenimento de’ fasti Romani, fa un’elogio, e di Cajo M., e degli altri due Cavalieri ne’ termini seguenti Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,, Titinnio, e Cajo M., que’ potenti sostegni del popolo Romano non agirono, come ha ora agito Clueuzio, quasi che ri* >, cnsando pensassero di far ricadere sopra di essi un qualche principio di colpa, ma ricusando apertamente, energicamente, ed onestamente fecero conoscere, che eglino avrebbero potuto sollevarsi per giudizio del Popolo a cariche sublimi, se avessero >, direttele loro cure a richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine Equestre, incui si trovavano, in cui erano vi» suti ancora li loro Maggiori, avevano stimato di seguire una vita quieta, e tran* qui Ha lungi dalle procelle, che sogliono suscitare l’invidia, e gl’intrighi de* giudi»> zj, simili a quello, di cui.si tratta Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0 Virot fortes, Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris simo, oc potentissimo M. DrusoTribuno pie bis restiterunt Tane C. Flavius Pusio, Cn. Titinius, Cajus Maecenas, illa robora papali Romani, ceterigue hujusmodi Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen tius, ut aliquid culpae susci pere se putarent recusando, *ed apertissime r spugnar unt, cunt Qigilized by Goo jle i iDa questo Caio M., di dui parla Cu cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra CajoCtlnio' M. non trascorsero, .che soli anni ventiquattro-, essendo egli n3to, come fra poco si vedrà /udranno di Roma, cosi che se, quando quello si oppose all’ intrapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663. non era in età provetta, poteva vivere: ancora quando ebbe principio resistenza di questo. i E sebbene sia sembrato irreperibile il suo preciso anuo Natalizio,, tuttavia riflettendosi sull ’ annoi della nascita * e sù quello della morte del Poeta Orazio Fiacco, si potrà conoscere, e forse con qualche sicurezza, che il nostro Cajo Cilnio M. fu messo al mondo nell indicato anno 686. dopo la fondazione di Roma, ed anni sessantotto prima dell'Era volgarp. et Lucio Asinio Gallo Consulibus. Fast. Cons. loc. cit. pag. 107. Digitized by Google i5 quantasette, qual periodo’ di vita appunto gli assegnano Eusebio di Cesarea (i ) Pietro Crinto ( oc) ed altri ., Sembra anche certo egualmente, che il nostro Cajo Cilnio M. morisse di anni sessanta, è nell* anno istesso, in cui cessò di. vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che il primo mori verso il mese di Settembre, ed il secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[ Dunque M. aveva preceduto di tre anni, resistenza di Orazio, che visse cinquantasette an. ni conforme si è detto, ed essendostata fissata ; 1 ;!/ InChronich. Horatius quinquagesimo septimo aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo ratius anno aetatis suae septimo, et quinquagesimo. (i ) Dion. Gas. lib. 55. Morery Gran. Diction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund. Tom. j. part. 3. ad ann. 746. Consulibus Cajo Mario Censorino, et C. Asinio Gallo fnensi Sestili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesidium, et decus Nequc diti suo Mae cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyricus. Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j, hisque Consu li bus. v ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19. 16 la nascita di questa all’ anno 689. il Natale di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo la fondazione di Roma, ed. all' anno 68. prima dell’Era volgare » Con maggior certezza poi si conosce il giorno preciso, in cui il sudetto Cilnio fu registrato nel numero de mortai}, che fu il giorno i3. Aprile. La verità di questo punto istorico risulta dalle Odi del surriferito Orazio Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ricorrenza del sudetto giorno Natalizio del suo amico M., invita Fillide alla Festa, e cosi si esprime Ed affinchè conosca, o Filli de, a quali esultanze io ti chiami, sappi, che dovrai celebrare con ime il dì, che in due divide il mese di Aprile, sacro a Ciprigna; giorno per me giustamente solenne, e più sacro ancora dj quello, nel qua., le io nacqui; giacché in esso incomincia a,, numerare gli anni della sua vita il mio M. Od.i 1. Vi tanica noris, quibus advoceris Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac, Qui die* mcnsem Veneri s marinai Findit-Aprilem. J are sole mais mihi, sanctiorque Paene Natali proprio, quod ex hac Luce Maecenas meus ajfluehtes Ordinai annoi, Avendo procurato di rintracciare alla meglio l'anno, ed il giorno della nascita del nostro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di fare alcune osservazioni relativamente al suo Padre, ed alla sua Stirpe. Quel Cajo M., che nell' anno 66a. faceva in Roma una comparsa brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cavalieri ; ciò si è dimostrato coll' autentica testimonianza di Cicerone, ed anche con le autorità di Livio testé riferite. Inoltre l’ istesso Cicerone ci fa conoscere, che il Cajo M., di cui fa egli gloriosa menzione, non aveva alcuna ambizione, nè curava di sollevarsi ad impieghi luminosi, ai quali pur troppo avrebbe potuto giungere per la buona opinione, che godeva presso il Popolo ; ma che contento del semplice titolo di Cavaliere, amava di passare una vita lieta, e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori. Se potuisse ( sono parole di Tullio sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in amplissimum locum pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent sed Ordine suo, Patrumque suorum contentos fuisse, et vitam illarn tranqnillam, et quietam .... sequi ma-,, luisse. Ora il carattere, che forma Cicerone di questo Cajo M., non è similissimo a quello del nostro Cilnio ? Tal circostanza si conoscerà nel decorso della sua Storia, ma intan B j8 to possiamo accennare, che questo aveva tutti li mezzi per inalzarsi a cariche le più eminenti, e decorose, stante la grande amicizia, di cui era onorato da Augusto, ma che pago del suo stato, e del semplice titolo di Cavaliere, mai volle, ne dimandò altri onori, e nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere l'epoca del tempo, in cui quello viveva, ed era celebrato per uno de’ sostegni del popolo Romano, ed in cui sono fissati i natali di questo, e dal tutto insieme ne risulterà un grado di probabilità non del tutto dispregevole, per credere, che il sudetto Cajo M. potè essere l’Autore del nostro Cilnio. Potrebbe la nostra assertiva essere smentita da una antica Iscrizione riportata da Dionisio Lambino nella quale si parla di M. figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela - ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat. £ 7 ni us praeterea Marnioris antiqui testimo— nium producala, quod Romae visitur in Aedibus Fusco aura e regione aediurn Farnesiarum, in quo haec sunt incisa. Lieertorvm et Libertarvm C. Maecenatis. R. F. Pontif. Posterisq. eorvm Et qvi ad xd tvendvm CONTVLERVNT CONTVLEIUUT zione al nostro M., sarebbe stato figlio di Lucio M., non di quel Cajo da Cicerone accennato. Ciò non ostante pare che un tal documento non Taiga, nè a somministrare schiarimento sull'oggetto, di cui si parla, uè a distruggere la detta nostra assertiva, i. peri hè non costa, che quella Iscrizione seco porti un carattere di sicura autenticità ; a. perchè non si conosce dal contesto della medesima l’epoca del tempo, in cui fa incisa, né a qual Cajo M. debba riferirsi. Veniamo ora alla Stirpe del nostro Cilnio. Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Commentatori di Virgilio, di Orazio, di Properzio, ed altri si sono divisi di opinione nel fissare la nobiltà della discendenza di questo grand’Uomo. Orazio, Properzio ed anche Marziale chiaramente hanno scritto, Od.j.Lib.i. Maecetias atavis edite Regibus, O et praesidium, et dolce decus rneum! Maecenas eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse tuam. Lib. la. Epigr. 4. Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque Maroni M. atavis Regibus ortus eques. B a Od. ug. lib. 3. Tyrrliena Regum prò genies, Lib.3.Eìeg. che egli era di stirpe reale. IlTorrenzio Commentatore di Orazio, descrive una linea genealogica degli Antenati reali di quello, e crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli Etrusci. Acrone ('a) altro Commentatore antico di Orazio è dallo stesso sentimento, « fa seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’ Albinovano ^ 3 ), e dal Beroaldo Commentato' re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone, che discendesse dal famoso Porsena parimente Re de’ Toscani. Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo ( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. Antiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater, Menippus Avus, Cecinna li ex Etruscorum fuit A t avus. (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat. Edite Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam dignitatem. Eleg. in obit. M.. Rcgis eros genus Etrusci, tu Caesaris olim Dcxtera, Romanae tu vigli Urbis eros, Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de sanguine Regum : quia fuit oriundus a Porsena Rege Etruscorum. Lib. 19. pag. 534. Reliquas res non Ro mae modo, sed per totani Italiam Co* Patircelo (t), benché spesso parlino del medesimo non gli attribuiscono un origine reale, ma lo caratterizzano soltanto per un indivivuo di ragguardevole e splendida famiglia. Dacier poi, e Pallavicini sono d’avviso $ che dalle indicate espressioni di Orazio, di Properzio, e di Marziale non può con certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio scorresse un regio sangue ; giacché è noto altronde, che le parole Re, e Regina, nel senso de’ migliori Autori, segnatamente Poeti, spesso significano Signori potenti, Uomini, e Donne di qualità, e distinzione ; e cosi aveva ancora in sostanza pensato il Porfirione prima de' sudetti Dacier, e Pallavicini. Riguardo ai Poeti contemporanei però non tutti han parlato sull'oggetto ip questione, come. Properzio, ed Orazio. li Poeta di Mantova più d’una volta si volge col discorso a M. nelle sue Georgiche, ep jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi nistravit. (1) Lib. 2. art. 83. Tum Urbis custodiis praepositus Cajus M. equestri, sed splendido genere natus. (2) Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5 i. Comment. ad Od.i Horat. M., ait, atavis Regibus editus, quia Nobilibus Etruscorum ortus sic. lì pure non Io ha mai decorato di nna reai prò-» sapia• La diversità di queste opinioni potrebbe ini qualche guisa conciliarsi, se, come si è sopra accennato, sussistesse realmente ciò che abbiamo veduto asserirsi dal Poeta Silio Italico nella seconda guerra Punica. Imperciocché si è in quel luogo rimarcato, che quel Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ticino non è chiamata di stirpe Regia; e che quel M., che mori posteriormente presso Canne era celebrato per li Scettri Toscani. Nella verità di questi fatti potrebbe Georg lib. i.vers.i. e seq. Quid faciat laetas segete s, quo sidere terram V ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites Conveniat Hinc cane re incip iam. Lib. a. vers. 40. Tuque ades inceptumque una decurre laborem Maecenas pelago que volens da vela petenti Lib. 3. vers. 40. IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur Intactos, tua, M., haud rnolliajussa Lib. 4 vers. i Protinus aerii melili, coelestia dona Exequar, hanc etiam, Maecenas, excipe partem. aà dirsi, che Orazio, Properzio, Marziale, e gli altri, che danno al nostro Cilnio una Regia discendenza, lo abbiano fatto derivare dal secondo ; e che Virgilio, Dione, Vellejo, e gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian fissato per Capo della sua famiglia, o per uno de’ snoi Antenati il primo. Si è disputato ancora in qnal’epoca, a quale degli Antenati del nostro Cilnio, e per qual motivo venisse aggiunto il nome di M.. Riguardo all’ epoca, nell’ anno 450. di Roma la famiglia de’ Cilnj ancora non portava questo nome, conforme si è osservato da Livio. Ottantotto anni dopo, cioè si comincia a vedere in quel M., che mori presso Canne, sempre però sull’autorità poetica del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66atrovasi in Roma già celebre, e rinomato in quel Cajo M. encomiato da CICERONE (vedasi). MeibomiO riporta un frammento del Libro terzo delle Storie di Sallustio, estratto da Servio Commentatore di Virgilio, in cui si fà menzione del famoso Sertorio, e di un M. Segretario del medesimo. Sertorio morì Jn Vit. M.. Praeloqi adlect. Ex-^ tot Sallustii fragmentum apud Servium adLib. X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g Igitur, inquit, discubuere Sertorius inferior in medio, tuper eum Lucia s F alias Hispaniennt S* notar , nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone, che viveva, e scriveva nell’ epoca istessa, in cui mori Sertorio, fa uso ancora esso nelle sue opere della parola M. e di cui si tornerà in appresso a parlare. Da tuttociò sembra chiaro, che nel settimo Secolo di Roma già fosse commune alla sudetta famiglia il nome di M.. Ma riguardo a conoscere a quale degli Antenati di Cilnio, e per qual motivo fosse aggiunto quel nome, il Martini ingenuamente confessa, e si protesta, che il tutto è involto nelle tenebre, e nella incertezza, (a) Aggiunge però che se fosse lecito di promuovere sn questa sconosciuta materia qualche riflessione, che possa aver luogo, non già sul vero, o sul verisimile, ma sul possibile, si po sa: Proscriptis ; in summo Antonini, et infra Scriba Sertorii Versius, et alter Scriba Maecenas in imo. (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin. (a) Lexic. Philolog. art. M.. De origine nominis nihil certi, et *'ix aliquid probabile dici potest ; quia certum est, esse nomea proprium,nec vcrum satis certum mihi qui dem est, cujus linguae vox sit, et historia de stituor cui, et ex qua causa primum juerit imposi tum. Addo, quod ctiam de vera scriptum dubitai ur. Digiti?ed iS trebbe dire, che la voce M. è un vocabolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei, dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la loro origine ; primieramente, perchè la flessione di detta voce seco porta un non so che di straniero ; in secondo luogo, perchè li nomi de’ Caldei si solevano ordinariamente prendere dalle forze naturali degli oggetti morali, dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle passioni. Il Catrou è d’avviso (a) che con Tantorità di Varrone, e di Plinio possa trovarsi nn qualche schiarimento per sapere, come fosse dato un tal nome alla famiglia de’ Cilnj. Secondo quello, si rileva dal succennato Terenzio Varrone, li nomi degl’ individui, che finivano in as, significavano qualche luogo. Si licei aliquid de hujusmodì prorsus incognitis dicere, quod ncque inter vera, neque inter verisimilia, sed tantum inter possibilia ponantur, sit nomen Etruscum, ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) praesertim, quia forma flexionis peregrinitatem sapit. Nomina autem fere a naturalibus viribus, a ut a moralibus objectis, facultatibus, actionibus, aut passionibus imponi consueverunt, tamquam monumenta quaedam de iis, quae rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt. particolare dell' individuo medesimo (i\ Plinio poi ci avverte, che fra li vini scelti dell* Italia erano celebrati quelli ancora, che si raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) : perciò conclude il detto Storico, che il nome di M. provenisse a quella famiglia da qualche terra, o possessione alla medesima spettante. Ma, ad onta di tali dilucidazioni, sembrando la cosa tuttora incertissima, secondo il sullodato Martini, dobbiamo soffrire una tale ignoranza senza sgomentarci, e con quella docilità, e rassegnazione j con cui soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante altre materie più interessanti. Potrebbe qui aggiungersi ancora una qualche riflessione sulla formamateriale della parola Maceenas, ed esaminare se debba scriversi Hinc quoque dia nomina Le* nas, Ufcnas, Lavinas, M., quae cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen Urbi nas ab his debuerunt dici ad nostrorum nomi num similitudincm. In Mediterraneo vera Caesenatia, ac M. ( vina ) ; In Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a Virgilio. (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora patte nter ignorarmi!, edam et hoc, et similia, •ine pudore possumus nescire. con il dittongo nella prima, o nella seconda sillaba, se in ambedue, o se debba leggersi senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo potendo presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al citato Lambino, il quale ne’Commenti alla prima Ode di Orazio ne ha parlato con precisione, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la parola M., che leggesi nell’Ode i.del i.lib. di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi succcnnato, In omnibus fere manuscriptis Codicibus, quibus usus sum, nomea Moecenas scriptum reperi et in prima, et in.secunda syllaba sine diphthongo ; quam scripturam tametsi non probe m omni ex parte, sequor in eo ta men, quod secunda per e vocalem, non ut vulgo per oe diphthongum scribitur. Adjuvat me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo exaratus in Cluentiana, quo loco scriptum etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque syllaba. J am vero quod ad primam attinet Graecorum auctoritate moveor, apud quos M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in va syllaba, ut in secunda per v quae vocalis Ver ti tur in e longum. Quia JElianus, qui cum Romanus esset graece scripsit. «/ «f hanc scripturam retinet. Praeterea apud Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia» Dopo di aver raccolto le descritte notizie ; e prodotto quelle poche riflessioni finora accennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ autore del nostro Cilnio, e su tutt’altro relativo al suo nome, sembra, che ornai dobbiamo occuparci sulla relazione delle sue geste, e de’ suoi costumi, e sulla Storia della sua vita ; ed in primo luogo dovremmo parlare della sua educazione, sotto quali maestri, ed in quali Accademie venisse istruito ; ma su di ciò mancando notizie sicure, qual vantaggio potrebbe ricavarsi da congetture vaghe, ed inconcludenti, da riflessioni possibili, o estratte dal fondo di un immaginario probabilismo ? Ciò non ostante si pnò dire, che l’educazione di M. fu proporzionata, ed uniforme al rango, che li suoi Maggiori occupavano nella società, e nella classe de’ cittadini Romani. Fornito dalla natura di non ordinarli talenti, ebbe tutta la cura di svilupparli, allorquando fu adulto, perchè non erano stati oziosi, ed incolti nella sua adolescenza. Ma se egli venisse istruito in Roma, o altrove, e quali fussero li Dotti, cui venne affidata la sua letteraria educazione, s’ ignora pienamente. Crede il Cenni, che M. fosse manna»! de Accent. in Exemplaribus Aldinis, sine ulta varietale perpetuo ita scriptum, est hoc nomen. dato in Apollonia, allora Città ragguardevole della Macedonia ; suppone inoltre * che mentre quivi attendeva alle scienze, vi si trovassero ancora per lo stesso oggetto Marco At grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc casione si stringessero con i dolci legami dell’ amicizia, o almeno facessero unà reciproca conoscenza. Sembra però, che questa circostanza non sia stata accennata da verunAutore antico ; nè il Meibomio, ed il capriccioso Caporali, ne’ scritti de quali attinse il Cenni la sua supposizione, sono forniti di qualche autorità valevole, e concludente. Quello, che può asserirsi con qualche certezza, e che risulta dalle opere di Dione, di Appiano, di Orazio, e di Properzio, si è che il nostro C. Cilnio M., se non divenne amico di Ottavio nell’ epoca de’ loro studj, di buon’ ora cominciò la carriera de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi* Bistrati fino all’ ultimo respiro della sna vita. Ottavio venne in Roma, dopoché Giulio Cesare suo padre adottivo fu dai Republicani pugnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella sudetta Città di Apollonia. Aveva allora appena oltrepassato il quarto lustro di sna vita, e correva l’anno di Roma. Giunto in » quella Capitale, diede subito saggi manifesti Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler. Chronog. ad au. 7*0 3o di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché in età giovanile, di nn senno maturo • Cominciò a procacciarsi la puhlica opinione, la stima de’ Grandi, l'affetto della Plebe, e dei Soldati. In tale occasione, ed in tale epoca sembra potersi stabilire, che M. entrasse nella Corte di Ottavio, e che questo lo prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti, e delle sue future intraprese. Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco Antonio governava, per dir cosi, dispoticamente la Republica Romana, conciosiachè egli aveva tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul Popolo, e snU’Armata. Ottavio fece istanza presso di esso, affinchè, come Erede Testamentario di quello, gli venissero consegnati quegli effetti, che gli erano stati nel Testamento lasciati. f Antonio, poco curando la tenera età del medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la di lui giusta, e regolare dimanda. M., che allora già trovavasi al fianco di Ottavio, non maucò di consigliarlo a sopportare con calma, e rassegnazione P ingiustizia, e T insulto del prepotente Romano, e nel tempo stesso gli fece conoscere, che bisognava momentaneamente abbracciare la causa del Senato, stantechè da tutte le circostanze scorgevasi imminente una guerra Civile. Il Senato proteggeva l’attentato commesso dagli uccisori di Giulio Cesare, ed Antonio aveva inalberato lo stendardo guerriero contro di questi. Ottavio, come figlio adottivo del famoso Dittatore pareva, che dovesse unirsi ad Antonio, e secondare le mire del medesimo, ma M. da previdente, ed accorto Politico credette, che dovesse per allora uniformarsi ai voleri del primo. In fatti il Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto Antonio, cominciò a fargli mille buoni uflìcj, ed a colmarlo di onori, e di carezze. Intanto questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno degli assassini di Giulio Cesare, che assediò in Modena. Allora il Senato incaricò li Consoli Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata contro il nemico del sudetto Decimo Bruto, ed Ottavio fu ad essi associato in tale spedizione. Questa guerra fu fatta con differente successo, nè l’impresa di Antonio potè cosi sollecitamente reprimersi; ma lilialmente in una battaglia campale fu egli completamente disfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bruto liberato, mercè li talenti militari di Ottavio, al quale fu attribuita la maggior gloria di quella giornata ; in essa vi morì il Consolo Irzio, e Vibio Panza mortalmente ferito ebbe tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli salutevoli istruzzioni, e consigliandolo segnatamente ad unirsi con Antonio. Questo fatto storico si pone all’anno di Roma. epoca, in cui Oitavio correva nell’anno vi^esimo primo della sua vita, e M. 3a parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in età di circa venticinque anni, già stava al sho servizio. Abbiamo di ciò ne’scritti di Properzio un argomento di certezza, che pare non possa incontrare eccezzione. Imperciocché il sndetto Poeta, uno de’più cari amici di M., scrivendogli una robusta, ed elegante Elegia, gli dice, che se avesse talenti da poter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Titani, e la loro guerra contro Giove, allorquando ammonticchiarono le montagne di Pelio, ed Ossa, non canterebbe neppure le battaglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio di Troja, il primo Regno di Romolo, l’ardimento della superba Cartagine, le minaccie de’ Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei ( soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece», nate, le guerre, e le azzioni illustri del », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le sue imprese, tu occupi il posto secondo, Canterei la guerra di Modena, le tombe degli estinti presso la Città de’Filippi, la guerra di Perugia, la battaglia di Azio, e », la conquista dell’Egitto (i). ( t) Lib. a Eleg. i. Quod mihi si tantum, M., fata dedissent, V t possem Heroas ducere in arma manus ; Non ego Titanas canerem, non Ossan Olympo hnpositum, ut Coeli Pelion esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di Ottavio nella guerra ‘di Modena, il Poeta non avrebbe detto, che quello nelle imprese di questo occnpavadl pò* sto secondo, e facendo la serie di tali imprese, non avrebbe descritta per la prima la sudetta battaglia di Modena. Properzio voleva fare un elogio al suo Protettore, al suo Amico, al suo Benefattore, ma questo elogio non sarebbe stato giusto, e veritiero, se realmente M. non avesse avuto il posto secondo, ossia, se non fosse stato il Consiglierò di Ottavio fin dall’epoca sudetta della liberazione di Modena. Dal che sembra potersi dedurre altra valevole congettura, onde credere, che quello entrasse nella Corte di questo nell’anno Non veteresThebas,necP er gama nontenHomcri ; Xersiset imperio bina coiste vada ; Regnane prima Remi, auC animos Carthaginis altae, Cymbrorumque minas, et benejacta mari. Bellaque, resque fui memorarem Caesaris, et tu Caesare sub magno cura secunda jòres. Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta Phi lippos, A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut canerem Aegyptum, et Nilum cum tractus in Urbem Septem captivi! debilis ibat aquis. precedente. conforme abbiamo accennato pocanzi. Ad onta della perdita dei due Consoli Ir* sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata contro Marco Antonio ricolmò di gioja Roma, ed il Senato. Allora fn, che Cicerone si sca* tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo della sua maschia, ed inimitabile eloquenza. Quc* Senatori, e quella porzione di Popolo, che nutrivano ancora un qualche sentimento per il Governo Rcpnblicano, ascoltavano con estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai suoi voleri. Infatti Antonio fu proscritto > fu risoluto di continuare la guerra fino al di lui esterminio, furono destinate le Armate, scelti li Generali ; eppure questa volta, nelle nuove disposizioni marziali, non si fece menzione di Ottavio, benché ad esso fosse dovuto tutto l’esito vantaggioso della passata Campagna. Il Senato era già divenuto geloso della gloria di quello, col non curarlo voleva umiliarlo, ed abbassare l’orgoglio, che le già eseguite favorevoli Imprese avevano potuto inspirargli. Ottavio, e M. conobbero in tal .congiuri tura la condotta poco lodevole, e disobbligante del Senato. Allora memore il primo delle istruzioni ricevute dal moribondo Consolo Panza, e penetrando il secondo nell’artificiosa politica di quello ± determina* Digitized by Google H rono di procurare una riconciliazione cqn, il detto Marco Antonio. Il progetto esigeva una somma precauzio* ne, ed ima impenetrabile segretezza, ma ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-* te di M., che, fra le altre sue virti» politiche, possedeva in particolar maniera quella del segreto, conforme narrano Sesto Aurelio Vittore, ed Eutropio. Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto ad Antonio molti prigionieri * Per dare principio alla riconciliazione, gli rimandò li pii distinti, e ragguardevoli. Fra gli altri vi era Decio, brava persona, e molto affezionata al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la libertà. Decio separandosi da Ottavio, gli richiesi, che cosa doveva dire ad Antonio “ Dite ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,. vio ) che io credo aver egli tanta penetrazione per interpetrare la mia condotta. Se,, nulla ha compreso, sarei imprudente 4 » spiegarmi più diffusamente „. Intanto Ottavio, e M. fissarono la loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci l In Epit. de Vit. et Morib.Imper.Romao, Cap. 1. In amicai fidai extitit ( Augustus ), quorum praecipui erant ob taciturnitatem M., ob patientiam laborit, modestiamque, 4grippa .. Lib. 7 in Augusto. C a cerone, penetrando con la loro previdenza, che bisognacattivarsi l’animo di quell'Oratore. Imperciocché egli aveva in quell’epoca un dominio irresistibile e sullo spirito del Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori. Ottavio dunque onde ottenere l’intento gli scrisse una lettera in tali termini concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza negli affari ; sarò occupato tutto il resto £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma coll’autorità, che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occasione di ristabilire lo Stato Republicano, ed uguaglierete la gloria del vostro secondo con quella del primo Consolato ( i ),,. Tullio benché avesse tutti i lumi del più grande Letterato del suo Secolo, non aveva quella finezza di politica, di cui era feconda la testa di M.. Egli cadde nella rete; credè sincera la deferenza, e la dichiarazione di Ottavio, e cominciò ad encomiarlo, e proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe anche il coraggio, o piuttosto la debolezza di proporre, che gli venisse conferito il Consolato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o Padri Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e», rede del nome, e de'beni di Giulio Cesa*•, Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou Tom. 17IU). 4, £ j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni, noi non cessiamo d’irritarlo senza riflettere, che egli comanda a Legioni vittoriose. Perchè non procuriamo di calmarlo? Sebbene giovanetto aspira al Consolato, e potrà ottenerlo malgrado la nostra ripugnanza. Contentate le sue brame per gli onori. Nell’età, in cui sì trova, questa brama è più vivace, che in tempo della >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di ottenerlo prima del tempo dalla Legge prescritto. In ciò però è necessaria una limisi fazione. Date al giovane Ottavio un Colle» ga di età matura, che gli sia di guida, e maestro. Questo reprimerà il fuoco di quel* lo, e l’amministrazione della Republica sal à al sicuro sotto il primo, mediante i consigli dell'altro. Non ostante la potente influenza di Cicero* ne, le sue premure per Ottavio non ebbero alcun effetto vantaggioso, mercè l’inalterabile fermezza del Senato. Li Padri Coscritti conoscendo, che una tale richiesta trovavasi in opposizione con le Leggi fondamentali dello Stato, stante l’età di Ottavio, non potevano realmente secondarla ; ma questa ragione pian* sibile poco forse avrebbe operato in un tempo, in cui le Leggi Repnblicane erano inoperose, e senza vigore, ed in coi l’antica Co (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit. ÌLxìob. «api > a. in,ln '' ”f "V La ma^eior parte de’Membn componenti il Se“no allora, o compiici de» aa.amo.0 ai celare, o aderenti ai medesimi. Temeva. *0 pertanto, che, sollevando ad un grado di potenza coli eminente l’Erede di qnelk,, | P£ irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato divendicarne la morte •, j Ottavio adunque, vedendo, che con le buone non poteva ottenere il Consolato, cercó altre risorse più efficaci ; scrisse diretta mente ad intorno. preveneodolo dell, neonciliazione. Questo, che aveva avuto già qualche sentore di una tale disposizione di animo di quello, e mediante il rinvio de pronteri e le parole dette a Decio, accolse con trasporto le lettere del suo rivale, ed il progetto, che gli faceva ; Incontanente si diè tutta la premura di dargli esecuzione. 11 primo passo che fece, fu quello di riunirsi con Marco Lepido, Soggetto anche esso poco beQuesto allorquando ebbe la notizia dell unione di Antonio con Lepido, fremè di rat bia, e deliberò di disfarsi di ambedue. Per lo che, supponendo che Ottavio fosse reai, mente nemico dell'uno, e dell’altro, lo incaricò di marciare all' istante con le sue Leeoni contro qne’due ribelli. Ottavio mostrò, o piuttosto finse di uhM*. re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog' Digitize in Roma, e con una Armata bellicosa, non ebbero più vigore, costanza, e coraggio di prò* seguirla. Bruto, Cassio, e tutti i complici degassassimo di Giulio furono condannati, e proscritti con decreto solenne di quello stesso Senato, che pocanzi aveva spedite Legioni, Armate, Consoli, ed il medesimo Ottavio in «)nto di essi. Intanto Antonio, che era già in una piena corrispondenza con Ottavio, si dxè premura di prevenirlo, che il partito de’Republicani si andava ingrossando nelle Provincie della Gre» eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò era tempo di abbandonare Rema,ed unitamente marciare contro di quelli. Ottavio profittò di questo avviso per poter prendere le necessarie precauzioni. Egli doveva ancora occultare al Senato la seguita riconciliazione, e corrispondenza con Antonio, e perciò ebbe ancora bisogno di circospezione, e di quel segreto impenetrabile, di cui era capace il solo M.. Per secondare il Collega, e per imbrogliare al tempo istesso la testa de’Senatori fece spargere la .notizia allarmante, che M. Antonio, e Lepido^meditavano di marciare alla volta di Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava cosa urgentissima di uscir contro di essi, e combatterli ; Il Senato credulo, ed ingannato prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostranze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par» 4 * tire da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j ed alle supposte minacele di quelli. Non bastava però tuttociò alla penetrante politica di M., e del suo Padrone Volevano, che il Senato rivocasse, e cassasse il Decreto di proscrizione emanato contro de’ sudetti Lepido, ed Antonio. Restò in Roma Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio, persona totalmente consagrata alli suoi interessi Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndetta, ed è probabile, che della medesima operazione delicata fosse a parte ancora M.. Si fece riflettere al Senato, che, cassando qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di clemenza, e di generosità capace a spegnere nella sua origine il fuoco di una guerra civile, ed a calmare la collera, ed il risentimento de' due Colleghi. Il Senato si fece vincere, ed il sovraindicato Decreto di proscrizione fu annullato. Ricevuta Ottavio questa notizia consolante ne prevenne con la massima sollecitudine Lepido, ed Antonio; allora questi, e quello si avvicinarono con le loro Armate respettive, e stabilirono un Congresso. Uua Isolctta formata sul piccolo fiume Reno, che scorre tra Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo memorabile, in cui li tre Guerrieri dovevano unirsi a parlamentare. L’abboccamento durò più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r to del celebre Triumvirato, mediante il quale yenne scagliato un colpo mortale alla Costituzione Republicana, e venne immaginata la proscrizione troppo nota, e funesta, nel vortice e negli orrori della quale fu involto ancora il riferito Marco Tullio Cicerone (i). Dopo qualche tempo Antonio, ed Ottavió marciarono a grandi giornate contro Bruto, e Cassio, e si trasferirono con le respettive Le» gioni nella Macedonia incontro all’Esercito de’ Repnblicani. È troppo conosciuta la sorte infelice di questi nelle Campagne di Filippi per non essere costretto a tesserne la storia dolente, e che sarebbe fuori del mio assunto. La vittoria si dichiarò a favóre de’Triumviri, e Bruto cadde estinto, non già da ferro nemico, ma con un disperato suicidio si sepelli da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri della spirante libertà Romana. In questa battaglia si trovò ancora il Poeta Orazio Fiacco, di cui già si è fatta menzione. Piotare, in Ant. pag. 679. Congressi tres illi in modica Insula amne circumfluo, triduum in colloquio fuere. De celeris convenie inter eos facile, totumque Imperium intcr se steut patrimonium suum sunt partiti, sed disceptati dcillis, quos statuerant interficere, detinuit eos .... Tandem fervore in eos, qui aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami c orum benevolentiam postniittentcs, Ciceronem teseti Caesar Antonio, Amico di Bruto, e fautore del partito Republicano, seguì quello nelle Campagne di Filippi in qualità di Tribuno. Afferma il Porfirione (a), che Orazio restasse prigioniero ; che in seguito non solo fosse liberato per intercessione di M., ma ancora, che per mezzo di questo si procacciasse il favore, e l’amicizia di Ottavio. Lo stesso si legge in una Vita di Orazio d’incerto Autore prodotta da Giovanni Bon. Altri credono di più, che fatto prigioniero, per opera dello stesso M., venisse liberato immediatamente, e sul Campo di battaglia. Ma tali assertive so Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major. Et tibi, F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta Carminis est auctor, qui fuit et veniae. Sveton. in Vit. Horat. Sello Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta Imperatore, Tribunus Militum meruit. Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Porphìrion addit, Horatium captum fuisse a Cae«are, sedpostea, beneficia Maecenatis, non solum servatus, sed etiam Caesari in amicitiam traditus. Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav. an. i663. Coluitque adolescens Bruturn, sub quo Tribunus militum militavit ; captusque a Caesare post multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam in amicitiam acceptus est, I H do smentite dalf autentica testimonianza dellTstesso Poeta- >.'• ’-n ed in questa occasione per mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia, e la protezione di M.. Dopo questa epoca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio nella Satira testé riferita ; e siccome la sudetta battaglia presso Filippi, accaduta verso il mese di Novembre 71 a, (i)è anteriore di molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma, così sembra evidente, che allora M., che ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio, non poteva conoscere netampoco Orazio, nè cooperare alla di lui salvezza sul Campo di battaglia. Orazio adunque fu in primo luogo debitore del suo futuro benessere alla tenera amicizia di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C. Cilnio M., il quale mercè li buoni uffici di quelli, non solo lo mise nel numero de’ suoi amici, ma vennto in cognizione da se stesso del raro di lui ingegno per la lirica Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò per esso il perdono da Angusto, e successiva- De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia. Circa Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedonia, pereuntque Cassius, et Brutiu. mente gli procacciò eziandio la sua amici» zia(i e meritava la di lui affezione. Ancora giovinetta di una beltà superiore all’altre Dame Romane era vedova di C. Clodio Marcello, che era stato Consolo. Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il sudetto progetto, che gli presentò M., chiamò la sorella, e la persuase ad accettare la destra di Antonio. La virtuosa Ottavia non *i ricusò alle premure del Fratello, ed «al bene, che le sue nozze potevano recare alla Patria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il matrimonio in fatti segui con reciproca sodi•fazione ; e M. ebbe il contento di vedere effettuato pienamente il suo progetto. La gioja de’Romani fu grande, ed universale, perchè ognuno credeva, che, mediante questa alleanza di parentela, e di sangue, anderebbero a cessare per sempre le guerre civili ; e che li due putenti Rivali avrebbero vissuto in una pace inalterabile. Ma li progetti dell’Uomo sono sottoposti incessantemente alli capricci, ed alla volubilità dell’Uomo istesso, ed i matrimonj formati dalla Politica, rare volte seco portano una seguela di felici avvenimenti. Conchiuso il sopradetto matrimonio,li due Triumviri vivevano con una intelligenza, che giungeva alla familiarità. Si accordavano Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae. Has nuptias suaserunt ornncs, quod Oetaviam sperarent, quac excellentiae formae gravitatela, et prudentiam habebat adjunctam, ubi Antonio conjuncta csset, atque ut talis foemina, haud dubie ab eo adamata, omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al Laturam 6 ? scambievolmente ciò che l’uno all’altro proponeva, sempre però a discapito del Regime republicano. Imperciocché stabili rono fra le altre cose, che iu avvenire essi nominerebbero li Consoli, quando non vorrebbero esercitare eglino stessi il Consolato, togliendone la elezzione alle Centurie ; e che, dopo la loro separazione, Antonio farebbe la guerra ai Parti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nella Sicilia, ad onta della buona fede, su cui questo si era da essi separato. Gli amici di questo, saputo il tradimento, ed il nuovo progetto de’Triumviri non mancarono di prevenirlo minutamente. A tale notizia Sesto animato da un risentimento naturale, e non ingiusto, non aspettò a farsi sorprendere, e facendo uso di una straordinaria attività, prevenne li suoi nemici, e diede principio alle ostilità. Ricopri delle sue Flotte li mari d’Italia, e ne bloccò tutti li porti, affamando in tal guisa la Capitale. La carestia divenne terribile. Romalanguiva dalla miseria, eoli Romani conoscendo, che la loro penosa situazione era l'effetto della cattiva politica de’Triumviri, cominciarono a mormorare apertamente, ed accadevano disordini, e sollevazioni. Antonio, ed Ottavio stretti da queste imperiose circostanze, cercarono la maniera di calmare Pompeo, e di riconciliarsi con esso. Sebbene quello fosse profondamente penetrato £ a dal torto ricevuto, ed avesse l’animo irritato contro li Triumviri, tuttavia, stante l'interesse, che avevano preso per la pace Libonc suo Suocero, e Muzia sua Madre, condiscese a tenere un congresso a Baja, e come altri vogliono a Miseno (i). Le discussioni del Congresso furono lunghe, e spinose, e più d’una volta venne disciolto per le condizioni che promoveva Pompeo, piuttosto dure, ed umilianti per li suoi Avversar] ; finalmente furono spianate tutte le difficoltà, e fu sottoscritto un Trattato di pace. Secondo Appiano Alessandrino, dopo qualche tempo dalla conclusione di questa pace, sembra, che Ottavio trovasse il pretesto di romperla. Forse 1 ’csistenza del Successore del gran Pompeo attraversava la vastità delle di lui mire politiche, e perciò cercava la maniera, o di umiliarlo all’atto, o anche distruggerlo. Pompeo anche in questa circostanza prevenne il suo nemico. Mandò subito in corso molte navi corsare, che, scorrendoli mari d’ Italia, intercettavano li viveri per Roma. Ottavio scrive ad Antonio, prevenendolo della guerra, che andava ad intraprendere contro di Sesto, e facendogli conoscere, che Appian. Dion. Appian. vi era stato costretto l Antonio sorpreso della novità, e più sincero questa volta nell’adempimento del sagro dovere detrattati, nonapprovò le mosse ostili., e l’intenzione del suo Gallega, e lo consigliò a desistere dalla meditata intrapresa. Non ostante la disapprovazione di quello, Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti, perchè nello stato in cui si trovavano le cose T credeva, che ne resterebbe leso il suo decoro, e compromessa la sua gloria, se retrocedeva, e se avesse dovuto proporre un accomodamento al. suo nemico -, ma egli restò umiliato dal valore di questo, che disfece pienamente la sua flotta navale, e ne riportò una completa vittoria. Roma frattanto già sentiva gli effetti funesti del blocco, che nuovamente avevano posto alli Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo, e già la fame cominciava di bel nuovo a distendere la sua mano devastatrice sugli infelici abitanti. Si mandavano al cielo imprecazioni contro l’Autore di questi mali, e voci 9orde, e dispiacenti si diffondevano contro del medesimo nel publico, che venivano avvalorate dagli amici, e partitanti di Pompeo. Da questa pericolosa, e critica situazione forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con onore, e forse non avrebbe superato que pericoli, da quali era minacciato, senza l’assistenza, li consigli, la destrezza, e la politi Digitìzed by Google di cui quello facesse uso presso di questo iu un affare così importante, e delicato ; nè si sà su quali basi poggiasse la discolpa del suo Padrone nella guerra attuale da esso continuata, nonostante la manifesta disapprovazione del suo Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efcficace eloquenza, li talenti politici, la destrezza, e le di lui cognizioni rapporto a materie diplomatiche prevalsero a tutte le ragioni, che fino allora avevano reso Antonio neutrale. Che anzi Sesto Pompeo naturalmente non aveva mancato di profondere dell’oro, e de’ presenti presso li Ministri, e nella Corte di Antonio, non aveva trascurato d’inviargli Deputati, ed Oratori, architettar cabale, e profittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se* co lui contro il dominatore dell’Occidente, o almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato sistema di neutralità ; ma l’arrivo, e la presenza di M. nella Grecia, in Atene, e nella Corte di Antonio sconcertò tutte le precauzioni, fece andare a vuoto tutte le manovre, e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché persuaso Antonio, che Ottavio aveva operato giustamente, e che il torto era dalla parte di Pompeo, fece lega con quello, e si dichiarò eontro di questo. Con si felice succèsso ultimato l’affare, M. . A Appian. a ] non tardò nn momento a ragguagliarne con esattezza il suo Padrone, sapendo, che doveva esser agitato da una penosa folla di cure, e di pensieri molesti. Ottavio infatti sapeva, che la salvezza de’suoi interessi, della sua gloria, ed anche della sua vita, dipendeva dall’impresa, che M. si era addossata, e che tutto sarebbe perduto, se la fedeltà di questo Ministro non fosse stata incorruttibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua missione, de’suoi progetti, e delle sue trattative, lo stato del di lui cuore non poteva essere il più felice, perchè scosso quindi, e quinci da tutte quelle moltiplici impressioni, che sogliono mettere in movimento in simili circostanze la dubbiezza, il timore, e la speranza ; ma ricevuta la notizia consolante, primieramente in iscritto, e quiudi a viva voce dallo stesso M., che, tornato in Roma, gli presentò il Trattato con Antonio conchiuso, Ottavio si consolò, bandi ogni sollecitudine affligente, e conobbe appieno, che l’abilità, li talenti, e piu la fedeltà di un Ministro virtuoso possono alle volte salvare uno Stato, e recare un bene inestimabile al Principe, ed alla Nazione. In seguito diede principio a nuovi preparativi militari, affinchè con questi, e col soccorso, che Antonio gli avrebbe recato, potesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre l'abbondanza nella Capitale, e misurarsi nuovamente col sua rivale. Antonio intanto, fedele alle promesse fatte a M., ed al trattato conchiuso, parti da Atene nella primavera, con una flotta di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi, ove era ilquartier generale di Ottavio. Non ostante le premure, e l’impazienza di questo in avere il bramato soccorso, sembra, che appena si avvicinarono le due Armate, nascessero dissapori, e diffidenze fra li due Triumviri. Il motivo di questa strana mutazione resta ascoso sotto il velo di quegli arcani, che la politica, e l’ambizione rendono imperscrutabili, seppure non debba dirsi, che fu effetto di gelosia di stato. ' Antonio già pensava di ritirarsi, e forse con sinistri disegni contro il Collega ; già le reciproche contestazioni erano giunte a tal segno, che si presagiva una manifesta rottura, se non fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di Antonio, e se non si fossero trovati al campo M., ed Agrippa, altro Favorito, e Ministrò di Ottavio. i, .b Quella donna virtuosa non omise alcun mezzo per dileguare dall’animo del fratello qualunque sospetto, che potesse nutrire contro del marito, ma sebbene da qdello venisse accolta con ogni dimostrazione tutte le volte, che andò presso di esso, tuttavia non ebbo mai alcuna risposta precisa, e consolante. Impaziente però dell’esitck nella intrapresa mediazione, si rivolse ad Agrippa, e a M., conoscendo la grande influenza, che aveva, segnatamente il secondo, sullo spirito di Ottavio. Perciò essendosi portata da essi, animata da quel vivo entusiasmo, che le veniva inspirato dal doppio amore, e zelo del marito, e del fratello, cosi si espresse “ Ottavia, che vedete avanti di voi, benché nel più alto rango, a cui possa giungere una donna, sarà per ritrovarsi ben tosto nella situazione la più deplorabile, se i vostri consigli non prevengono i mali, che essa paventa. Sorella di Ottavio, e moglie di Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate aspettano dalla sua mediazione il loro riposo, e credono, che da essa soltanto dipenda di poterlo ottenere, dileguando que’dissapori che intorbidarono l'alleanza recentemente,, fra quelli conclusa. Ah! quale sarà lamia sorte, se non potrò disarmarli ? Senza pa^ ce tutto è a temersi per me; si tratta di un fratello, e di uno sposo. In istato di guerra io dovrò piangere l’uno, e l’altro per sempre. La vostra virtù, la publica stima, e quella di Ottavio verso di voi, potranno contribuire decisamente alle mie,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la tùia mediazione,,, avvalorata dalla vostra, influenza, preude che prima di due mesi non avrebbe potuto agire nuovamente. ', Questo disastro di Ottavio risvegliò il coraggio, e le speranze degli amici segreti di Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provincie, e credendo, che egli volesse profittare de’vantaggi, che gli recavano inaspettatamente gli elementi, già prevedevano la distruzzione di quello, ed il trionfo del successore del gran Pompeo. Ottavio, prevenuto di qneste circostanze da esso presagite per una conseguenza quasi naturale della sofferta disgrazia, spedi contutta sollecitudine M. nella Capitale ; ove giunto non mancò in primo luogo di dissipare ogni inquietezza dall’animo degli amici del suo padrone ; quindi seppe prendere misure cosi giuste contro li malintenzionati, che furono costretti a rientrare nella taciturnità, e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città. Non può non ravvisarsi, che Pompeo in questa occasione non seppe approfittarsi delle circostanze favorevoli, che gli somministrava la mina della Flotta del suo rivale. Egli si contentò di vedere la sua fuga, o piuttosto la sua ritirata, credendo, che non potesse molestarlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con tutta quella previdenza, degna di un bravo Capitano, giusta la riflessione dello storico 7 « Appiano. Se esso avesse assalito Ottavio nel disordine, in cui lo aveva gettato la tempesta, avrebbe senza meno riportata una vittoria completa, e forse decisiva, e gl’interessi del suo partito avrebbero sicuramente migliorato. In fatti Ottavio rimase talmente sconcertato dalla tempesta, e dai torbidi in Roma accadati, che voleva abbandonare l’impresa, e lo avrebbe fatto, se M., che conosceva l’attuale situazione delle cose, e prevedeva politicamente il futuro, non lo avesse persuaso diversamente. Egli gli fece conoscere, che Roma soffriva per la fame; che la fazione di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta, che le mormorazioni del popolo non sarebbero cessate, finché non si fosse quello allontanato dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia ; che se gli elementi avevano malmenata, e re» sa momentaneamente inservibile la sua Flotta, quelle di Lepido, di Agrippa, e di Statilio Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che perciò bisognava con costanza proseguire la spedizione, e profittare segnatamente dell’errore commesso dal nemico dopo la tempesta (a). In vista di tuttociò Ottavio segui li consigli Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou del sno Ministro, e mentre questo conteneva in Roma Io spirito de’faziosi, e sopprimeva le scintille del malcontento, con una condotta degna del piu grande politico, quello si occupò di rimediare ai disastri della tempesta ; risarcii! vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri a quelli perduti ; ed in tali operazioni agi con tanta celerità, che nella prossima estate si trovò in istato di uscire nuovamente in mare con forze eguali, ed anche maggiori di quelle della scorsa campagna. La sorte però non aveva ancora rivolto le spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava benigna. Imperciocché venuto alle mani con Ottavio, e datasi una battaglia campale, questo fu totalmente disfatto, e non salvò la vita, che dandosi ad una fuga precipitosa accompagnato da un solo soldato. Questo novello rovescio tornò ad infiamma' re la testa ai partitanti di Pompeo, perchè M. si era allontanato da Roma. Ma egli anche questa volta seppe riparare ed alla perdita de’ vascelli, ; ed ai disordini, che accadevano per opera de’Pompejani. Si spedirono immediatamente degl’ordini a tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a Marco Agrippa Ammiraglio sperimentato, perchè accorressero con le loro Flotte iuajuto. In seguito M. volò in Roma, ove tro- Appian. So vò, che il male era maggiore di quello, che si era creduto ; ma non per questo si sgomentò l’anima sua intraprendente. Facendo uso di una fermezza senza pari, e di misure con tutta la saviezza applicate, seppe sconcertare anche per la seconda volta li progetti sediziosi de’seguaci di Pompeo, alcuni de’quali più inquieti, « recidivi condannò all'estremo supplicio, ed in tal guisa ricondusse il buon ordine, la quiete, e la sicurezza nella Città. Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di Marco Agrippa, che, obbediente agl’ordinl ricevuti, era accorso in ajuto, e più incoraggito dalla presenza di questo fedele, ed intrepido Ammiraglio, riprese arditamente l’offensiva, attaccando replicatamele le Armate di Pompeo ; questo non lasciava di difendersi, e di schivare gl’incontri, che potevano essere dubbiosi, e comprometterlo ; ma già si avvicinava 1’ estremo periodo della sua brillante carriera, e la Parca crudele già gli andava preparando quel destino ferale, cui fu sottoposto sulle spiagge Africane l’iufelice suo genitore. Dopo differenti parziali combattimenti, la Squadra di Ottavio, commandata da Marco Agrippa, si azzuffò con quella di Pompeo. C’urto fu de'più formidabili, e si combattè con furore da una, e dall’altra parte ; infine però Appian. loc. cit. 8i la vittoria si dichiarò a favore di quello, e la Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento* 6a, che sarebbe restato egli stesso prigioniero, se non fosse fuggito sù di un piccolo Brigantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena giunto gli fu recata la dispiacevole notizia, che il resto della sua Armata, sfuggita all'eccidio, era passata sotto le bandiere nemiche. Allora riflettendo più seriamente alla sua salvezza, fuggi ancora da Messina con poche navi, che gli erano restate fedeli, dopo avere imbarcato la figlia, il danaro, gli amici, e tutte le cose preziose andò errando qua e là per l'Asia, ora con prospera, ed ora con iufelice fortuna. Finalmente, per ordine segreto di Marco Antonio fu messo a morte in una Città della Frigia (a^. La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ricolmò di gioja il giovane Ottavio, perchè si vedeva liberato da un pericoloso, ed inquieto rivale, ma in questa istessa circostanza ebbe 1’occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido, Collega nel Triumvirato, e quello, che, in privato, forse più degl' altri aveva abusate della potenza usurpata. Lepido aveva comandata una Flotta nella Dion. lib. 49. Strab. lib. 3. Vellej. lib. a cap. . Oros. lib. 6 cap, 19. Usser. Annal.. i F guerra testé riferita, ed anche egli aveva in parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’ impresa. Dopo qnella battaglia campale, in cui Pompeo fu rotto, e fuggi, nacquero delle contestazioni tra quello, ed Ottavio, o perchè Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio della vittoria, o per altra ragione non bene nella Storia conosciuta. Tali contestazioni avevano anche preso un aspetto serio, e pericoloso, e si potevano temerne conseguenze disgustose. M., cui rincresceva altamente, che, appena spento il fuoco di una guerra civile * dovesse accendersene un' altra, cercò di prevenirla con una di quelle politiche risorse, di cui egli era capace. Nella Flotta di Lepido vi erano già degli amici, e partigiani di Ottavio, il cui numero si era aumentato inseguito delle surriferite contestazioni. Si aprirono delle relazioni con questi ; delle giudiziose istruzioni, che vennero loro comunicate, li prevennero del progetto ., che si meditava. Lepido non era amato dai Soldati, e perciò lo sviluppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo alcuno, e fu sollecito, e vantaggioso. All’ improvìso l’intiera Flotta di quello passò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di Ottavio,. IUrdasto abbandonato, solo, ed inerme, si vide Lepido ridotto in una situazione incapace affatto a reali zzarp qualche idea di civile discordia, che forse andava machinando. Che anzi, siccome egli era di nn animo de-» iole, e di carattere vile a fronte delle disgrazie, cosi temendo maggiori sciagure, si portò supplichevole ad implorare la clemenza di Ottavio. Alcuni avrebbero voluto la di lui perdita, ma questo si contentò di spogliarlo di quella autorità, di cui era rivestito, e di ridurlo ad una vita privata. In tal modo ( secondo l’espressione di,, Appiano ) Marco Lepido, uomo di si grande impero, ed autorità, che aveva pronunciata la Sentenza di morte contro tanti Cittadini di nobile, ed illustre lignaggio^, fu balzato dalla volubile, e fallace fortuna ; in guisa che con abito privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di alcuni di quelli stessi da esso condannati, fu ridotto a vivere senza riputazione, ed a morire ignominiosamente. Ottavio, sistemati gli affari delle nuove Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo la fuga di Pompeo, e la destituzione di Lepido, fece ritorno in Roma. Il suo ingresso fu un Trionfo. Fu accolto con entusiasmo, e con applauso dal Senato, e da tutti gli Ordini de’ Cittadini, perchè credevano, che ai tonfi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in Octav.Art. 16. F a I bidi passati sarebbe snccednto l'ordine, l’ab* bondanza, ed una pace generale ; ed erano cosi persuasi di questo novello sistema di cose, e segnatamente della pace, che inalzarono in onore di Ottavio una colonna con questa Iscrizione " Il Senato, ed il Popolo Row mano hanno inalzato questo Trofeo a Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace generale per mare, e per terra, che prima M era bandita da tutto il Mondo. (i) Roma infatti cominciò subito a respirare. Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi, ed una reciproca confidenza già assicurava la quiete di ognuno, tanto in quella Città, che .nelle Provincie. Quello però, che contribui più d’ogn’altro, mediante la sua incomparabile prudenza, alla tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il nostro M.. Si è già veduto, che Ottavio, allorquando era occupato nella spedizione contro Sesto Pompeo si era più volte servito de’ talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza di qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del «uo partito nella Capitale. Da ciò si rileva chiaramente, che già fin d’allora lo aveva nominato Governa tore, o Prefetto di Roma, e che di questa carica sublime era pur auco rivestito nell’epoca, che ora si descrive. Appian. Queste j ed altre simigliane contestazioni reciproche diffusero le prime elettriche scintille, foriere del turbine devastatore -, che in breve sarebbe andato a precipitarsi sull’orizzonte politico di Roma, e formarono l’oggetto, e la materia a que' pretesti^ che aveva già M. preveduti. Non bastava però ad Antonio di aver offeso in tante guise Ottavio, ed il Senato, e di aver commesso, per dir cosi, in Oriente tanti delitti a disonore del nome Romano. Per colmo della sua sfacciatagine, o piuttosto cecità, volle aggiungerne un altro. Mentre la virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più sinceri della sua conjugale premura, del suo zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò bruscamente, e la ripudiò, per immergersi pienamente negli amori illegìttimi di Cleopatra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e degno di tutti li rimproveri, rivoltò contro di esso la publica opinione ed in Roma, e nel Senato, e nell' Italia, ed in tutti que’ luoghi, ove erano conosciuti li pregi, e le virtù' della. Sorella di Ottavio. Allora si ravvisò appieno, * (r) Plutarc, in Ant, che la condotta di Antonia offèndeva ornai troppo manifestamente la grandezza Romana, il decoro del Senato, eia purità della Costi» tuzione ; che in consequenza non era più de* gno di comandare, nè doveva, nè poteva ulteriormente tollerarsi. s La guerra adunque fu dichiarata contro di quello, ed i Romani diedero principio ad una operazione bellicosa, che doveva cagionare la perdita totale del sistema Republicano, e nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi gli estremi accenti, e l'ultimo anelito della loro spiraute IjhljrtA. b*;ù»q.**6J«swi i»y: Ottavio prima di allontanarsi da Roma per portarsi a combattere Antonio, raccomandò la cura di questa Capitale, e dell'Italia al suor M., che tuttavia esercitava la Prefet» tura dell’ una, e dell’altra. La tante volte sperimentata fedeltà di un cosi abile Ministro rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era del tutto persuaso, che nella sua lontananza, e durante questa nuova, e civile discordia, gl* interessi del suo partito non avrebbero sofferto alterazione veruna. Con questa fiducia parti da Roma, e prese il camino là dove il supremo Direttore degli umani avvenimenti lo chiamava per divenire il primo, ed il più potente Monarca del Mondo. Alcuni hanno creduto, che in qtiestaspedrsione militare M. seguisse Ottavio, e che anch’ esso si trovasse presente alla memo rablle bavaglia di Azio. Dedussero questa credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora* zio Fiacco, nella quale il Poeta si fa a parla** re a M. in tal guisa “Tu dunque, o ami-,, co M., andrai sulle agili navi Libnr-,, ne /disposto ad incontrare tutti i pericoli di Ottavio, incontro gl’ alti bastimenti di,, Antonio? (t) • Il Grammatico Acrone, fondato su queste parole, sostiene, che M. non solo andasse nella battaglia di Azio, ma inoltre è d’avviso, che da Ottavio venisse nomi-* nato Comandante delle navi Liburne \ esprimendosi, come siegue “ Orazio parla a Mej, cenate, che va con Augusto alla battaglia,, navale contro Antonio, e Cleopatra. Mentre Cesare Angusto sta per andare .> alla spedizione presso Azio, affidò a Mecenate il comando delle navi Liburne che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone •I.• ?.• ^ V Epod. Od.r. * Ibis LiburnU inter alta naviutn, Amice, propugnacula, P aratus orane Caesaris perìculun Subire, Maecenas, tuo. • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M. prosequitur euntem ad bel/urn nasale cura Augusto adversus Antonium, et Cleopatram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~ gustai, Liburnis praeposuit Muecenatem. t _ di più, che dopo la battaglia, e la fuga di Antonio, Ottavio ordinasse a M. d’ inseguire li fuggitivi con le sue navi Liburne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello stesso sentimento, dicendo Anche M. segui Augusto contro Marco Antonio, e,, Cleopatra presso Azio, Promontorio di Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e del Mancinelli sono Stati il Turnebò, Mcibomio, Cenni e Volpi. Il Torrenzio però, sull’autorità di Dione Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire, dice egli, che nella celebre battaglia presso Azio, non fu pre., sente M., il quale in quell’ epoca era Prefetto di Roma, e dell’Italia, come », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di più Virgilio, che fa menzione del solo ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae sar misso curri Liburnis Maecenate, qui lorigius insequeretur fugientes, ad honores Deo rum, a quibus adjutus credi volebat, se contulit. ». fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera Augustum Maecenas est contra M. Antonium, ef Cleopatram apud Actium Epici Promontórium. Com. in 1. Epod. Horat. v.. Vit.C. Cilnj M. Vit. di M. lib.i. Postil.9. -, Lat.vetus tom.io.part.x.pag.a37. Digiti; ile,> Agrippa, e che lo eguaglia allo stesso Otta» vio, non avrebbe omesse le lodi ancora del suo M., se anch’esso si fosse trovato in quell'azione. Laonde Orazio scria» >» se questa Ode nel supposto della futurapartenza di quello. Su tale articolo sembra, che il sentimento di questo Comen tato re sia il più giusto, ed il più fondato se si legge con qualche riflessione ciò che narra il suceennato Dione, e prima e dopo la disfatta di Antonio, e di Cleopatra presso Azio. Imperciocché con tntta chiarezza rilevasi dagli scritti di questo autore che M. era Prefetto di Roma, e quando Ottavio parti per la spedizione contro Antonio, e durante 1’ epoca della medesima, e dopo la riportata vittoria, come si è anche accennato di sopra. Di più Velie jo Patercolo descrivendo la ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me existimare, celebri ad Actium pugna non interfuisse Maecenatem tane temporis Romae, et Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod significare videtur Dion. Virgilio» sane solius Agrippae Theminit, insigni laudatione ipsum Caesari aequiparens, non omisurus Maecenatem suum, modo adfuisset. Quare carmen hoc sola opinione futurae profcctionis tcripsit Horatius. Lib.a, art. 85.: Dcxtrum navium } ur 9 * sudetta battaglia di Azio * domina individùak mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subalterni della Flotta di Ottavio > e non fa pa-» loia di M., il quale secondo Acrone, sarebbe stato il Comandante delle navi Liburne. Ecco le parole di Vellejo L’ala,, destra delle navi di Ottavio fu affidata a Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed >, il centro ad Agrippa, Ammiraglio di tutta la Squadra. Ottavio f che trovavasi per,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna chiamato,. Torniamo in sentiero. Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di Roma, e dell’ Italia a M., come si è detto, si portò in Brindisi, ove era ancora-, ta la sua Flotta. Essendosi quivi imbarcato, fece vela verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad Antonio, che già stava nella Città di Azio, e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ ingresso del Golfo di Ambracia. Ottavio entri nello stesso Golfo, e si disponeva a dare una battaglia; ma avendo osservato, che il suo equipaggio non era completo, e che non era prudenza azzardare un fatto in luogo si angusto, si tirò in alto mare, lasciando il suo nemico nella primiera posizione. r : 4. ‘J> i'.i lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum Aruntio, Agrippae omne classici certamìni s arbitrium ; Caesar ci parti destinatili, in, quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti Intanto giunse ad Antonio con varie Legio* ni Canidio. Questo Generale Romano, che seguiva sinceramente il partito di quello, avendo veduto Cleopatra nel Campo, lo consigliò a doverla assolutamente allontanare, sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in mezzo all’Armata. Lo consigliò inoltre ad evitare una battaglia navale, ed a portarsi nella Macedonia, ove con il soccorso del Re de’ Gesti, avrebbe combattuto per terra, e la vittoria non sarebbe stata dubbiosa. Non ostante la saviezza di questi consigli prevalse 1’ influenza della Regina di Egitto, e fu risoluto di combattere sul mare. Non solo Canidio, ma ogn 'altro sperimentato Militare conosceva, che l’ esporsi ad una battaglia navale, era un errore. Infatti mentre Antonio trascorreva la Flotta, e dava gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi soldati, ricoperto di ferite gli disse ad alta voce,, Come, o Signore, andate a confidare » la vostra gloria alla meschina, e pericolosa « risorsa di una battaglia di Vascelli? Lasciate, lasciate il mare alli Egizj, ed ai Fenicj, che sono nati per questo elemen*' e mettete a combattere li Romani sul Continente. Se allora periremo, la nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà compensata dalla vita de\nostri Nemici. Antonio nou rispose al Soldato, e persisti per sua disavventura nel Piano stabilito. (i) Essendo stato il mare per alcuni giorni furiosamente agitato non si fece alcun movi» mento nè da una parte, nè dall’altra: Essendosi in fine calmato, ambedue le Flotte posero alla vela per dar principio ad una battaglia, che doveva decidere della sorte del Mondo; Il sudetto Vellejo accennando il giorno di questa battaglia memorabile, cosi si esprime 6 dolore, e della sua disperazione. Lacera le proprie vesti, si percuote il volto, ed il petto, e chiama replicate volte il suo amante con nomi non meno teneri, che rispettosi ; Antonio, benché prossimo ad esalare lo spirito, tuttavia non è meno occupato di Cleopatra. La esorta a conservarsi, finché possa vivere con gloria, a non rammentarsi tanto del suo tragico fine, quanto dello splendore di sua vita, e degli onori, ond’ essa lo aveva veduto circondato ; Ed a riflettere, che egli non era stato vinto, che da un Romano, dopo essere stato egli stesso il più illustre fra i Romani ; quindi spirò, pronunciando queste ultime parole. Antonio ( conchiude il sudetto Storico In* glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli, e fra i piaceri. Era posto in paragone con Cesare per il valore, e per la capacità militare ; ma l'amore gli fece perdere il senno, il coraggio, l’onore, la stima, l’affetto de’ Romani, e l’ Impero, e la vita. Cleopatra con una morte egualmente spontanea seguì l'ombra di Antonio, ed nn monumento istesso chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi) (i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton. in Octay. art.i 7. Echard. loc. cit. JVlentre Ottavio in tal guisa trionfava nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con tanto successo qnest3 guerra Civile, si attentava tacitamente alla sua vita nel senoistesso della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la fedeltà, Vattaccamento ? e la vigilanza di M.. Marco Lepido il giovane aveva dei risentimenti particolari contro di Ottavio, e nutriva nel petto un odio mortale, perchè 1’ ambizione, e prepotenza di lui avevano balzato Marco Lepido il padre da quella superiorità, e e da quel potere, che gli dava il Triumvirato,© lo avevano ridotto a menare una vita oscuta, e negletta. Era questo Giovane Romano figlio di Giunia, sorella di Bruto morto nella battaglia di Filippi : Egli voleva adunque vendicare nel tempo stesso, e la morte dello zio, e l’avvilimento del padre. Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum ultimam bello Actiaco, Alexandrinoque Cae~ sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis forma, quam mente melior, Lepidi ejus, qui T riumvir fuerat Reipublicae constituendae, fili us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^ Formò a tale effetto una pericolosa congiura per uccidere Ottavio, qnando dall’Egitto avrebbe fatto ritorno in Roma. La cospirazione non focosi segreta, che non giungesse a notizia di M. Prefetto di Roma. Egli seppe con tanta quiete, e simulazione penetrare il nero progetto del traditore, e con tanta celerità impedirne le consequenze funeste, che Lepido venne arrestato, giudicato, convinto, e condannato all' ultimo supplicio, senza che venisse punto alterata la tranquillità di Roma. In tal guisa M., secondo Veliero ( i ), con una sorprendente destrezza seppe spegnere le perniciose scintille di una nuova, e rinascente guerra Civile. Servilia moglie di Lepido, forse complice della congiura, non volendo sopravvivere al marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed alljt timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia inierat. Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praepositus Cajus Maecenas .... Hic speculatus est per surnmam quieterà, ac dissimulai ione nt prae cip itis consilia J uvenis, et mira celeritàte, nullaque cum perturbatione aut hominum, a ut rerum, oppresso Lepido, immane novi, ac resurrectui i belli civilis restinxit initium, et ille quidem male consultoruni poenas exsol log pena dovuta, si uccise da se stessa con aver inghiottiti de* carboni ardenti. Anche Giunia moglie del vecchio Lepido fu accusata di complicità in questa congiura del Figlio ; ma contro di essa non esistevano, che semplici sospetti; tuttavia M. la obligò a dare la cauzione nel Tribunale di Balbino, Liv. in Snpplero.lib. i 33. art. 72. Servilia Lepidi Vxor curn superesse viro non substinerct, et diligenti familiarium custodia ni hil adipisci mortiferum posset, pruuis arxlentibus deVoratis, vita abiit\: Vellej. loc. cit. Aequatur praedictae Calpurniac Antistii, Servilia Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato, praematuram mortem immortali nominis sui pensavit memoria Roberto Riqucz nelle irate a questo articolo di Vellejo, fa le seguenti osservazioni relativamente aCalpnrnia. Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito comuneme nte a Porzia moglie di Bruto. Infatti Valerio Massimo, esatto Scrittore del Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto, non ne fa menzione. Di poi la moglie di Lepido non fu Ser vilia, ma Antonia figlia del Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa negare la verità del fatto a Vellejo, 1. perchè Lepido, ripudiata, o morta Antonia, potè passare alle seconde nozze con Servilia, 2. perchè Eliano Var. Histor. annovera fra le illustri D ame Romane una Ser’» vilia .,!*• uno de’ Consoli. Allora Lepido di lei marito si presenta a questo, e cosigli parla" Voi sapete con certezza, o Balbino, che io non sono stato complice del delitto di mio Figlio, e sapete egualmente, che non ebbi parte alcuna il quell’Editto di proscrizione emanato, quando la sorte mi faceva domi-,, naie, e nella quale foste anche voi compreso. Se rifletterete per un moménto alla mia passata grandezza > io spero, che alla vista di un supplichevole, di cui rispettaste altre volte li decreti, sarete per ascoltarmi con cuore placato. Giunia mia consorte non ha che me per adempie-re alFohbligo, che gli è stato ingiunto. Ricevetemi adunque per la sua cauzione, o permettete, che io vada fra le prigioni con essa,, Balbino sensibile alle preghiere di un uomo, che prima del cambiamento della sua fortuna, la potenza aveva reso formidabile ai Romani, e conoscendo ancora del tutto insussisteute l’accusa contro la sudetta Gunia promossa, dichiarolla innocente. Intanto Ottavio avendo posto fine alla guerra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten^ dell’ unico competitore, che gli restava, fece ritorno in Roma ove fu accolto con incompreusibile allegrezza; vi trionfò per tre giorni, e chiuse il Tempio di Giano, che Appian. lib.4. Catrou loc. cit. per il corso di dne secoli, era stato aperto. Benché rimasto solo padrone della vasta dominazione Romana, tuttavia non cercò, che di farsi amare con le maniere popolari, ed affabili, con le sue liberalità e con le più savie disposizioni prese e per il bene publico, e per quello di ciascun Cittadino in particolare. M., che gli stava al fianco, e senza il consiglio del quale per cosi dire, Ottavio non faceva passo, non mancò di fargli prendere tutte quelle determinazioni necessarie per preparare insensibilmente l’esecuzione di quell’ ardito progetto-, che già da gran tempo andava meditando. In fatti la condotta di quello, dacché ritornò dall'Egitto, fu tale, che il Senato, il Popolo, e tutti gli ordini dello Stato già sentivano gli effetti di un Governo Monarchico, benché ognuno fosse persuaso, che la Repuhlica andasse a momenti a riprendere l’antico suo lustro, e splendore. Ottavio però mostravasì indeterminato, e dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se dovesse rientrare nella classe di semplice Cittadino, ristabilendo laRepnblicà nel suo stato primitivo. Da una parte gli si affacciavano all’ immaginazione agitata li pericoli, a cui la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ; richiamava al suo pensiero il crudele destino di Giulio Cesare suo padre, e li rimproveri, che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che egli travagliava meno per il publico bene, che per la sua propria grandezza,, dall’altra parte si lusingava, che la Republica, stanca dai furori delle guerre civili, preferirebbe un giogo pacifico, e salutare ad una indipendenza funesta, bastante a richiamare tutti gli orrori passati. Credeva anche di rimarcare, che il Popolo Romano avesse perduto lo zelo geloso, e l’amore costante per la libertà ; che il Senato non avesse più P inflessibile fermezza, che era scoglio alla Tirannia; e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci, ed intraprendenti per formate una formidabile Fazione. Queste riflessioni, e la sua indeterminazione era un peso, che Ottavio portava con pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene nel seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’abbiamo già osservato, uno era Agrippa, Uomo tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era intrepido nelle battaglie. Unito alla Corte di Ottavio fin dall* infanzia, crasi acquistata la sua stima, e la sua tenerezza più ancora con l’esatta sua probità, che per gl’importanti eervigj nelle armi ; era un guerriero de’ tempi antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri Catrou Tom. 19. lib. 5. Echard. 1 13 cj i fi) L'altro era M.. Dal fin qui detto abbiamo conosciuto, che egli era un amico disinteressato di Ottavio, fornito di uno spirito franco, e leale * il Politico più raffinato del suo tempo, il più destro, ed il piu giudizioso de’ Cortegiani. Agrippa adunque, e M. consultò Ottavio per fissare la sua irrisolnzione, e per decidere sul grande oggetto. Agrippa parlò il primo con una fermezza, conforme alla rettitudine del suo cuore, all’ amore, che aveva sempre conservato per la sua Patria, ed alla riconoscenza, che doveva al suo Padrone (a)., Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi soltanto, vi esorterei a profittare all’ istante delle circostanze del tempo, e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza ; ma, facendo usodiquella sincerità propria del mio carattere, e fi) Catrou loc. cit. Dion.. : Hoc autem anno vere iterum pencs unum Hominem s u /rima rn totius Reìpublicae esse coepit, quamquam armorum deponendorum, resque omnes Senatus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCaeSar agitaverit ; ad quam deliberationem, curi Agrippam, Maecenatemque adhibuissct, nani cum his de omnibus suis arcanis communicara solebat, prior inhanc sententiam Agrippa lo cutusest. * II » già da voi altre volte sperimentata, credo, o Cesare, clic bandito ogni privato riguardo debba parlarvi, e manifestare il mio sentimento per il vostro, e per il publico bene .,, È principio certo in Politica, che il sottoporre ad un governo Monarchico un popolo geloso della sua libertà, forma un opera dilEcile ed eseguirsi. L’amore della,, indipendenza nasce con noi, ed è un attributo quasi necessario dell’umanità. Questa inclinazione universale in tutti gli uo5, mini aumenta, o s’ inde.bolisce per mezzo,, dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te, secondo i pregiudizj della Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte eventnale di nascere. Perciò la natura, li cosfumi, l’edutazione, e la lunga abitudine,, dovranno rendere ai Romani insopportabile il dominio di un solo. Li popoli assuefatti al giogo di un Padrone hanno un debole sentimento di quella generale pendenza, che la natura ispira per la libertà ; ma quelli al contrario, cui,, per successione è stata trasfusa la massima, vera o falsa che sia, provarsi cioè,, minor servitù in un Governo formato da Magistrati di loro scelta, si rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un Sovrano. Potrà la forza tenerli per qualche tempo soggetti, ma questa forza istessanon sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe vivifico, che la natura v’ infuse, e che dalla educazione,, venne quindi allentato. Finora, o Cesare, le vostre imprese sono state legittime, e la gloria da voi acquistata, non ha in veruna guisa scemato lo splendore della vostra virtù. Imperciocché nella guerra di Perugia opprimeste degli ambiziosi, che col pretesto di vendicare la morte di Giulio Cesare, pretendevano d’inalzare un Trono sulle ruine della Dittatura. A Filippi purgaste la terra di due assassini di un Zio, che vi aveva adottato per figlio. La Sicilia, invasa da un Tiranno, che spacciandosi per difensore della Repilblica, ne cagionava la mina, fu liberata dalle vostre armi. De’ due Colleghi, che per mezzo del Triumvirato sapeste con saviezza associarvi, uno vive tuttora nell’ oscurità, enei disprezzo, e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di sonore, che recava al nome Romano. Dopo tante vittorie, è giunto, o Cesare, l’istante fatale, incili dovete pronunciare sulla sorte dell’ Universo .,, Quale mai, e qaanto grande sarà la vo}J stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,, tente per assoggettarlo da Monarca, saprete in guisa superare gl'impulsi dell’amor proprio, che lo ridoniate a’ suoi veri Padroni ’ Allora vedreste sollevarvi al di soli a pra de' Camilli, e dc’Scipiorti, e consa-» orarvi Tempj,come a Divinità tutelare dal Senato, e dal Popolo, ristabiliti nell’an>, tica loro autorità, e nel primitivo stato di eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di,, Cittadini appunto noi siamo debitori della conquista del Mondo, e finché li Romani, ne furono in possesso pacifico, si viddero sortire dal seno della Republica, e Generali scelti con riflessione, e Soldati premu-,, rosi di rendersi degni di poter un giorno *, anch’ essi comandare. Ah, Cesare, io >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,, blica, cessi ancora per qualche tempo di vincere, e di conquistare,,, Quando il sistema Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori, a quanti incarichi laboriosi, e pesanti non j, va a sottoporsi il nuovo Monarca, e sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi > ed il Senato riuniti affrontarono >, immensi travagli per regolare 1’ amministrazione di tante Nazioni comprese nella vastità della Republica Romana. Ora potrà un solo nomo supplire all’esercizio, che su di quelli gravitava, e la salute la più robusta potrà sostenere le fatiche inerenti al governo dell’ Universo ? Il solo Dion. lib. . : JEqualitatis et nomen est speciosum > et res j ustissima, dipartimento delle Finanze non presenta,, una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di pensieri, e di cure ? Io convengo, o Cesare, chele rendite- dello Stato sono gran>, di, ma saranno sufficienti a mantenere tante Armate esposte su tutte le frontiere dall’ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne popolare si concorre agevolmente, e con piacere ai bisogni dello Stato, e l'istes— sa avarizia cede alla ragione del bene comune. Allora la liberalità de’Cittadini for>, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*,, ri, ed agl’ impieghi (i). Al contrario in un Governo monarchico le publiche intraprese di un Sovrano sono riguardate come suoi affari personali. Ognuno crede, che,, da quello soltanto si debba supplire del suo proprio tesoro a tutte le spese del Governo, Ogni nuova imposta produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e nuove amarezze per il medesimo, e sempre con la forza, o di mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare » il pagamento delle Tasse quantunque ordinarie, e regolate dalla Legge. Quale odio poi non si procaccia un Giudice universale, incaricato di punire da se l Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est Imperium, multi multam pecuniam conje rune, etiam ut liberalitatis opinionem consequnntur, ac prò Ut ho noia mcritos adipiscantur. ti8 >, solo tatti li colpevoli ’ In un cambiamento i t di Governo, il numero de’ malvagi si mol-, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mali, contenti sortono, per dir cosi, dal seno,, stesso della terra. Non potendosi tutti ridurre al buon sentiero nè colla dolcezza, nè coiresempio del rigore usato con alcuni, sarete dalla necessità costretto a pronuncia' i, re contro de* medesimi, decreti o d' igno* minia, o di bando, o di morte, e sebbef, ne sarete nel punire moderato, ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della vostra giustizia necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un particolare risentici mento. Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini, e le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro inalzamento al Trono, e perciò non pochi di essi non temeranno di censurare primieramente la >, vostra condotta, e quindi anche formare,, delle congiure a danno della vostra esistenza, e del sistema da voi introdotto. Se perciò vorrete punirli, ed umiliarli, si susciterà contro di voi la publira indignazione, e se li lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la vostra sicurezza, sarà compro j, messa, c sarete circondato incessantemente da mille pericoli. Dion. loc, cit. : Hos ncque, si augeri ji 9,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò» getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige indi—,, spensabilmente 1 ’ opera, e la confidenza di Generali rispettati dal Soldato per la loro nascita. Questi riceveranno da voi il comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno contro voi stesso quelle forze, che,, ad essi affidaste. A quale espediente allo-,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà, che facciate uso d’ individui di vile estrazione. Questo rimedio però potrebbe com« promettere la tranquillità dello Stato, eia 33 vostra gloria ; imperocché, se per caso 3, questi nomini oscuri riescono nelle imprese, diverranno insolenti, se poi soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare, preferite pure, preferite. le dolcezze di una vita tranquilla all’ im33 barazzo di una potenza tumultuosa. Un,, momento di piacere puro, e solido è supc33 riore a tutto il fasto della grandezza. Che cosa pretendo conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse 33 violentare il vostro animo a rinunciare per sempre a quella superiorità, che avete coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io vi darei un consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a restituire la Republica al Popolo Romano nella situazione, in cui si pattare, tutus vivet, neqiie si opprimere cancri},juste ages. ritrova al presente ; essa ha bisogno di rij,, forma, prima che gli antichi Padroni ne vengano ripristinati al possesso. Profittate pertanto di quella Sovranità,,, di cui la vittoria vi ha rivestito per migliorare quel campo, che avete acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,, per tanto tempo, quanto sarà necessario per ristabilire le Leggi, richiamare la prattica' delle antiche costumanze, corregere li », abusi del Comiz'o, reprimere 1’ ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle pretenzioni del Senato, moderare il potere de’ Tribuni, regolare l’uso delle Finanze, e », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani. Quanto glorioso allora sarà per voi di comparire da semplice Cittadino in uno Stato, / >, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di », tante proscrizioni, ed il carnefice della sua », Patria, seppe dimettersi a tempo, e mori », rispettato, e tranquillo. Giulio Cesare vostro Padre, il meno sanguinario degl’Uomini, e il più inclinato a perdonare, fece,, perpetua la sua Dittatura, e trovò degli », assassini frà li suoi amici più cari. M discorso di Agrippa fece una forte impressione sullo spirito di Ottavio. Egli forse avrebbe abbracciato il sistema da quello proposto, sagrificando le sue vittorie al ristabir limento della Repubbra, ma M., essendo di contrario sentimento, entrò neH’are ~ uà, e parlò con tale facondia, e vivacità, che ottenne nna completa vittoria sullo spirito di Augusto. Se si trattasse ( rispose egli ) di delineare un Campo, e di prendere del le misure per dare una battaglia, io non oserei di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma, aggirandosi la discussione intorno a materie politiche, credo di potere con sin-,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo su di quelle lungamente riflettuto, e trat-,, tato non poehi affari dello Stato in differenti, ed anche difficili occasioni. Comprendo la solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco ancora, che lo scioglimento di essi non può imbarazzare un Eroe già Padrone,, sovrano, e capace d* ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha incominciato colla,, forza. La Republica, o Cesare, è caduta in uno stato d’ infanzia, ha bisogno perciò di,, esser messa in tutela. Ora non siamo piq in que’ tempi felici, in cui la virtù soste-,, neva questo gran Corpo, ed in cui le sue forze non erano state indebolite dal vizio;,, ma l’avarizia è succeduta all’amore della povertà, l'ambizione agli onori, la temperanza alla frugalità, e 1’ incontinenza al,, modesto pudore ; è impossibile pertanto di,, trovare al presente un numero diMagistrati disinteressati, sobri, casti, virtuosi, e simili a quelli, che fecero onore ai primi f aa secoli di Roma. Tanti mali invecchiati vi-» a chieggono una roano capace a poterli gua>» lire. f. Si, Cesare, voi dovrete affrontare pei, santi incarichi nel prestare la vostra opera ad una cura cosi difficile ; e preveggo, che,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la vostra vigilanza, li vostri travagli ; ma nell’attuale stato delle cose sono divenuti i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi spaventevole un tale prospetto, tuttavia sono persuaso, che non avrete il coraggio di abbandonare il Governo nel pericolo di,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa-,, Iute, f. Non è possibile di rimediare ai mali pre*,, senti con una Dominazione passeggierà. U ristabilimento del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle leggi, e de’ regolamenti è un idea di speculazione, che non può aver luogo in prattica; bisognerebbe, che quelle venissero infinitamente moltiplicate per poter correggere li disordini, che le passioni hanno introdotti. Come poi potrebbero trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’ quali fosse abbastanza incorruttibile, e li costumi abbastanza puri per mantenerne l’osser-? vanza ? LaRepublica è ridotta in tali circostanze, rt che ha bisogno di una Legge vivente, che f, ordini, e che faccia al tempo stesso ese guire. Appena la maestà di un Padrone perpetuo basterà per imprimere il rispetto;,, ma che cosa accaderà, se Magistrati di un anno saranno incaricati della Riforma f Li Cittadini indocili, e pertinaci spereranno » r impunità nel governo di Successori più deboli, sostituiti ai più rigorosi. E’ necessa-,, ria una Autorità permanente per distrugge-,, re inclinazioni perverse, che rinascono incessantemente, e che non è tanto facile 99 di estirpare. Voi, o Cesare, vi dovete alla Patria, divenitene Padrone per sempre per sua compassione. Fate sì, che il Senato sia composto di Soggetti di sperimentata saviezza ; confidate le vostre Armate ad abili Generali, e scegliete li vostri Legionarj frà le,, Famiglie povere, le quali porranno som», ministrare Cittadini eccellenti ; ma conser-,, vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin» piegherete nelle cariche, e suiti Comandan» ti degli eserciti, e suiti soldati medesimi. Ne con ciò pretendo, che il peso degli affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne #> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj delle antiche Famiglie, che renderete i ! 1 u stri, con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo, bisogna regolarsi con tal cautela, che sia sempre contenuto nell’ umiliazione. Finché li plebei s’ interessarono della sola cultura delle terre, Roma fu tranquilla ; si ridderò però divenire insolenti, allorqnan», do, associati ai publici affari col soccorso i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte la ’ Costituzione dello Stato ; c necessario per», tanto, che rientrino in quella subardina», zione, dalla quale furono levati dalle Fazioni. Disprezzate le publiclie voci tendenti a », denigrare la vostra condotta. Forse si dirà, che avete vinto perii vostro solo ingrandimento ; ma Roma parlerà con altro linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vostri auspicj vedrassi al colmo della feli jy Cltil «,, Non dovrete temere alcun attentato alla,, vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i vostri giorni saranno in pericolo, y, se, spogliato del supremo potere, rifenì, trerete nella classe di semplice Cittadino ; .chi mai in questo caso potrà garantirvi dalla perfidia di que' scellerati, e malconten* ti, che sopravissuti alla distruzione nelle », passate guerre civili, si aggirano ancora e,, in Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’ turbolenti partegiani delle Fazioui di Sesto Pompeo, e di Antonio. Que Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ristia, qua optimus quisque servire cogitur, et acerbissima est, utiisque cominunem pcrniciein ffert. nS A sti, serbando contro la vostra persona odio, risentiraento, e livore, cercheranno di vendicare l’affronto, che loro recaste per,, averli vinti, ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima gradita all’ s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle camf> paglie di Filippi, o sulle spiagge dell’ Epiro. Siavi d' esempio Pompeo il grande, il,, quale, spogliatosi spontaneamente di quella potenza, che colla vittoria si era acquistata, fu miseramente ucciso, mentre faceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :,, Alla medesima dissavventura sarebbero stati esposti ancora Mario, ed altri potenti Cittadini, ie non l’avessero prevenuta colla morte. (i,) • t > * Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet, ubi omnes res, uti mine ace sunt, P apuli, àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et pcrmulti a te sint offensi, et omnes fere summam rerum tentaturi, quorum alteri et ulcisci te, alteri adversarium te e medio tollera cupicnt 1 Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal proposito ragiona : Si va incontro ad egual pericolo tanto nell ’ impossessarsi, che nel dis* farsi del s/lpremo potere. F aiaride era prontissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l ma chiedeva- un Nume per sicurezza della sua vita, se rientrava nella classe di Cittadino privato, £’ stata sempre comune opinione Sul Trono però la maestà, che imprime il rango supremo, e la guardia d’ ond’ è,1 circondato, spegne ne’ cuori gl’ istessi de* siderj della vendetta. D’altronde, o Cesare, la vostra gloria, e le vostre precauzioni sapranno preservarvi da qualunque timore. Koma vi riguarda. come un dono,, ricevuto dai Numi, e voi passate per una,, Divinità tutelare, che il Cielo volle serbare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare il loro benessere, e la loro felicità. Si è detto, che il peso dell’ Impero è troppo grande ; ma questo è un vano terrore capace a «coraggi re tutt’ altri, che il Fi-,, glio adottivo di Giulio Cesare. La metà del,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi; finora non foste, che Triumviro, e l’ Impero dell’Occidentè non fu per voi un in»; carico troppo pesante. Presentemente tut— te le Nazioni godono quella pace, che voi,, «apeste ad esse procurare ; le nostre Fron che quelli, li quali hanno preso le armi contro la loro patria, o contro il loro legittimo Sovrano, sono ridotti in certa guisa nella necessità di continuare nel male, per. La poca sicurezza, che trovano nel fare del bene. Non osano di divenire innocenti per timore di sottoporsi alla discussione delle Leggi, che hanno offese, e persistono ne loro errori, credendo, che il loro pentimento non trovi compassione. ja? •Nere sono difese da Governatori di vostra scelta, e gl’ ordini non derivano, che da voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’ Oceano Brittannico. Non si tratta più di cercare, in che guisa potrete divenire il,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mezzi potrete sostenere quel peso, che il Cielo ha voluto addossarvi;. Io spero di potervi somministrare li mezfci ricercati. », Formate Un Senato, che sia composto di », persone sagge, e tranquille, nè la pover-,, tà deve essere un motivo, onde escluderne li buoni Cittadini ; sarà non meno cosa vantaggiosa, se unirete ai Senatori Romani de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri Alleati. Con questo temperamento, potrete » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il go-,, verno della Capitale, sia per contenere le » Provincie lontane, e le cabale saranno meno » frequenti tra Individui di diverse Nazioni. L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma trovasi circoscritto da troppo anglisti confini. Ammettetè ih questo ceto illustre, seni, za fissarne il numero > tutti que’ sudditi >> delle Provincie Romane, che ne sono de», gni, e per li natali, e per li servigj pre*,, stati, e per le ricchezze. >» Li Pretori devono scegliersi dal Corpo de' Senatori dopo cinque anni di servizio* e dell’ età di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome di sotto-Censorc, che prenderà cognizione di que’ leggeri disordini de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che sogliono cagionare delle inquietezze nelle famiglie, e che tolgono la quiete publica, ed il buon ordine della Città. La carica di questi due,, Magistrati potrà essere a vita, non po* tendo concepire alcun timore di due Uomini inermi, che eserciteranno la giustizia sotlo i vostri occhii Io non so, o Cesare, se il mio discorso incontrerà la vostra approvazione, ma ciò,,, che ho detto, mi sembra troppo necessario a rendere il vostio regno pacifico. Contendete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque Individuo, che ne sia degno * delle Città alleate, e soprattutto delle CoIonie, e cosi avvilirete questo titolo di Cittadino Romano, che rende il Popolo della Capitale si fiero, e affezzionandovi le Nazioni straniere, ve le renderete fedeli * i. Crescerà poi il loro affetto, se facendo con precauzione una scelta de’ Soggetti li più Digitized by Google l3i,, ragguardevoli, li farete partecipi anche y, degli onori del Senato. Che cosa importa, se il numero de’ nostri Senatori oltrepasserà li trecento ? Più saranno gl’impieghi, e le cariche da conferirsi, e più autorità vi acquisterete, ed anche maggior sollievo. E’ giusto, che sia fissato uno stipendio per i Consoli, ed i Pretori, che manderete nelle Provincie, giacché è cosa del tutto vituperevole, che per mezzo di enormi,, concussioni, si aggiudichino da se stessi li salarj de’ loro travagli, ed impongano tasse arbitrarie sulle Popolazioni, che governano. Se si porteranno delle lagnanze contro l’avarizia di alcuni di quelli, dovranno richiamarsi all’istante, benché non siano finiti li tre anni dell’esercizio della loro carica ^ In generale poi sarà una giuyv sta misura di non prolungare ad alcuno il tempo della sua amministrazione oltre a cinque anni. Ho detto, che bisognava moltiplicare il » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo » Corpo rispettabile dovrete scegliere levostre Guardie, a cui assegnerete de’ Capitani. Allora la vostra Persona sarà più sicura, e se P uno di questi Capi diviene so» spetto, l’altro per emulazione veglierà con y, zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità poi, >, che loro darete sul resto della vostra Casa, ' « li affezzionerà maggiormente al servizio,,e I a se si conoscerà, che le loro incombenze fossero troppo moltiplicate, potranno in,, parte discaricarsene su di alcuni subalterni col nome di Luogotenenti -, che parimente potrete nominare. Dallo stesso corpo de’ Cavalieri potrete estrarre ancora e gli Coj, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,, te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl* Intendenti de' viveri, e li Presidenti del pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle Provincie, (ij Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene d’ impiegare ancora de’ Liberti per la riscossione del pnblico danaro. Questa qnalità di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all* impiego di Esattore. Con questo mezzo potrete far uso, e distri— L’ ordine de' Cavalieri desume il suo stabilimento parimente da Romolo, il quale avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo di guardia della sua Per sona. Allora erano chiamati Celeri, ma posteriormente furono sottoposti ad altre variazioni di nome al dire di Plinio presso il Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom. Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum est, in his quoque, qui adequitatum trahe bantur. Celerei sub Romulo, Regibusque appellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trottali : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit. Digitized by i33 buire degl* impieghi, che serv'irannó di ri-,, compeiiza ai vostri domestici, e popolandorOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sarete con esattezza prevenuto della situazione delle Provincie lontane .,, Una delle cure le più importanti di un Sovrano è di vegliare attentamente sulla educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi siano adunque per questa delle publiche Scuole, delle Accademie per formar-,, la nel mestiere delle armi, e de’ Maestri ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-,, lo spirito, e del corpo. Da questa dipende la forza dello Stato, e questi fiori coltivati con saviezza, produrranno il frutto a suo tempo, e luogo. Procurerete però, che non venga educata nella mollezza, e nella indolenza, altrimenti se ne risentiranno in seguito gli effetti funesti ; Roma,, cesserà di esser feconda di Eroi, e tntto l’obbrobrio ridonderà a carico dell’Autore,, della Monarchia, "t Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te summopcre hortor insticuas, ut Putridi, Equestrisque Ordinis homines, dum adhuc pueri tiam agunt,ludos literarios frequentent Ita e nim statini apuero discentes, et exercentes omnia ea, qua e adultis sunt usurpanda, ad omnia ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre gii Principi* est, non modo ipse ut omnia e* 4 Anche le Truppe esiggono una particola. re attenzione, come quel Corpo, che forse,, costituisce la porzione più necessaria, e interessante dello Stato. Allorquando la maggior parte delle vostre città godrà il diritto della Cittadinanza Romana, vi riuscirà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini Romani • Fatene la leva in tutte le contrade dell’ Impero ; siano puntualmente pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non permettete, che invecchino sotto le armi, poiché da ciò ne derivano le sedizioni militari. Ogni Veterauo è ordinariamente ardito, e presuntuoso ; perciò è necessarlo, che questa porzione di Truppe,,, facciali suo servizio senza interrompimento dopo il fiore della gioventù fino al princi-,, pio della vecchiezza ; le vostre Legioni siano sempre sul piede di guerra, ed in numero sufficiente per difendere le Frontiere. Siano escluse dal vostro governo quelle leve istantanee, e tumultuose, come soleva altre volte praticarsi in caso di estremo,, bisogno. Fate si, che una porzione de' nostri Contadini eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro rustici lavori sieno turbati dal timore di dover ascoltare ad ogni istante il suono della tromba guerric officio agat, verum, ut qua rat ione etiam reliqui omnes quarn optimi fiant, prospiciat. ra, che ad essi annunzi degli arredamenti involontari .,Le Armate saranno assai deboli, allorquando non sono fonnate, che di sudditi forzati a servire. Si dirà, come trovare somme considerevoli., onde mantenere tante Armate conti», imamente sul piede di guerra, e pronte sempre a marciare a qualunque cenno del Sovrano ? Questo è il punto decisivo, e l’oggetto di terrore, che vi è stato presentato,,, Ogni Stato ha le sue rendite, e voi potete divenir padrone del Tesoro publico de’,, Romani. Basterà questo per dare esecu*,, zione al progetto, che io vi propongo ? Nò », certamente; ma con una prudente, e savia », economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie delle Provincie conquistate, e formatene, col prodotto, un fondo per libi7, sogni straordinarj. Promulgate de’ sa vj re-. golainenti, affinchè le campagne siano con impegno, e profitto coltivate dai Proprie», tarj, ed esigetene un tributo sul loro prodotto. Non è forse giusto, che con il sagrifizio di una tenne porzione delle loro sostanze, si acquistino la sicurezza, che voi \, procurate ad essi, e a tutto lo Stato ? Vegliate sulle miniere de’ metalli, che si discopriranno nelle diverse contrade dell' t, Impero. Esiggete puntualità nella riicos rU sione delle tasse per testa, senza permettere, che li debiti si moltiplichino.Procurate, che non si rappresentino altri giuochi fuori della corsa de’ carri, e de’ cavalli, perchè ordinariamente le Città le più opulente, sogliono esaurire le loro rie•chezze in futili divertimenti * Riguardo alla «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~ sere in essa sontuosi, è li Spettacoli magnifìci; la Capitale è il centro di tutte le Nazioni, e la maestà del Padrone, che gor verna, si misura con la Città, ove risiede conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite agli abitanti 1* eccessività delle spese, e quindi con questo provido temperamento tutti saranno in istato di pagare li tributi. Si potranno inoltre dispensare le Provincie a fare Deputazioni così frequenti. Li Governatoti respettivi ultimeranno gli affari sulla faccia del luogo ; e se fosse necessario, che quelli dovessero rimettersi al voatro Tribunale, li rimanderete al Senato. Allora voi detterete le sne risposte, e sfug-,, girete di prendere sopra voi solo l’odio, che quelle potranno seco portare. Fate partecipe il Senato delle querele, che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei Re stranieri potranno promuovere, ed a voi solo riservate la cognizione delle grazie, » che loro vorrete accordare. Non dovrete mai più permettere al Po polo la decisione de’ delitti capitali. Qne*> sta dovrà essere una ispezzione esclusiva del Senato, il quale si crederà onorato di un tale imbarazzo, e voi ne resterete con piacere discaricato. Io però non parlo de’ delitti comuni, la di cui punizione è stata regolata dalle Leggi. Per li attentati contro »» la vostra persona (giacché tutto può accadere) siatene voi stesso il delatore, ma non giudicate giammai nella vostra causa. Fate, », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,, non dovete interessarvenc, che per moderare la pena. » Non dovete fissare la vostra attenzione, », come già ho accennato, nè alle parole in»> considerate de’ malintenzionati, nè alle saj» tire, che si diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in co», gnizione degli autori ; poiché dovete figli» rar ?i, come situato in una sfera superiore, »• in cui siete invulnerabile, come li Dei. La vostra collera non deve accendersi, che » contro li sediziosi, che, posti alla testa di una Armata, avranno rivolte le vostre,, armi contro di voi stesso. Il giudizio di que sti scellerati, e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta considerazione, dev essere rimesso per commissione ai Con* >» soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà », peso alla decisione, che saranno per pronunciare. Vi saranno delle cause, dall’egame delle quali non potrete dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh ciali delle vostre Armate, e gli Appelli dai T ribunali del Prefetto di Roma, e del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora scegliete degli Assessori fra i Patrizio al tri Soggetti qualificati, che possano figurare con,, voi in una Assemblea giudiziale. La grande saviezza di un Padrone indili pendente consiste nell’ ascoltare volentieri,, gli altrui consigli. Accogliete pertanto grati ziosamcnte tutti quegli Amici, e Cittadini, che saranno per darvene dei salutevoli;,, ma non discacciate con orgoglio coloro, i quali potrebbero suggerirvcne alcuni non sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-,, li sortono consigli poco utili, possono aver avuto retta intenzione : Accade di questi, come dei Generali di Armata battuti,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa* bile nè agl’ uni, nè agl’altri ; e siccome non si può sempre rispondere degli avvenimenti della guerra, cosi non deve riguardarsi con occhio bieco quell’ Uomo, che di buona fede dà un consiglio poco sensato. Li Filosofi procureranno sovente di gui* darvi con le loro speculazioni. E’ vero,,, che avete sperimentato, quanto erano van*, taggiosi li consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma generalmente parlando, le opinioni di tali Uomini sopo difettose per mancanza di esperienza nel maneggio degli affari Le meditazioni del Gabinetto sono spesso le meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo del Portico è nativo della Città di Tarso. Fa maestro di Augusto, dal quale Ju decorato di molti onori. ed anelli di Tiberio. Aveva il talento particola) c per far apprendere con facilità le scienze a' suoi Di scepoli. Le sue cognizioni erano cosi estese, e tanta la forza della sua eloquenza, clic Sallustio lo assomigliava al fuoco, che accende tutto ciò, che gli si avvicina : Athenodorus Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa vio Romanorum Imperatore omni bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab iji genio, quam recta animi voluntate instructus erat .... idemque dilucido discipulis suis explicabat. Hunc Sallustius oh studiuni admiratus, igni similem esse dixit, omnia propinqua incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4. pag. 463- aveva l' abilità di rispondere estemporaneamente a qualunque argomento, e fu onorato ancora da Marco Antonio il Triumviro, ììi lode del quale scrisse un Poemetto, dopo la battaglia presso Filippi. t fa') Dion. loc. cit. : Neque enìm quia Areum., et Athenodorum bonos, ac honestos viro s expertus es, omnes alias idem studium prua i4o Ecco, o Cesare, alcune massime geuerali per il Governo, clie renderanno la vostra amministrazione Sovrana meno difficile, e meno pericolosa di quello’, che vi è stata,, rappresentata. • .,, Le qualità personali del Monarca, so», pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia, », devono eguagliare la sublimità del rango, », al quale egli è giunto. Io credo, e so* », no persuaso, che quello non deve in difierentemente accettare tutti i titoli, e tutte le distinzioni, che l’adulazione potrà deferirgli. La realtà della Monarchia vi deve bastare sotto qualunque nome la rite*-,, niate. Che importa di esser chiamato Cesa-* » re, o al più Imperadore, quando voi amministrate sovranamente lo Stato Romano ? Bisogna, che con una irreprensibile con dotta v'innalziate dei monumenti perenni sul cuore de’ Sudditi. Che cosa servono quelle Statue d’oro, o di argento ? Sono stati eretti nelle Provincie alcuni Templi a vostro onore, ciò poco interessa ; ma non dovrete » giammai permettere, che ve ne sieno con* secrati in Roma, perchè sarebbe un oggetto di disprezzo per le persone sensate, ed una seferentes, similes eorum indicare debes, curri hac specie usi multi infinita mala populis, privatisene hominibus adjeraut, y, spesa inùtile, che pot là essere meglio im i, piegata. Fate uso voi stesso di economia nelle vostre spese particolari, ed in quelle della vostraGasa. La buona opinion, e, di un uomo frn» gale vi farà più onore di un grande numero »> di tempj, di altari, e di statue. Questo culto esteriore, e materiale diverrà comune ai buoni, ed ai malvaggi Principi. D’altronde non si recherebbe insulto ai Numi, con eguagliare i vostri onori a quelli, che il Popolo suole ad essi deferire? Un sovrano, che cerca di essere onora» to deve sempre mostrare della pietà verso li Dei immortali, perciò nón permetterete, che s’ introducano in Roma delle Sette religiose straniere. Una novità in materia 5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e e quindi ne risultano attruppamenti sediziosi, e pericolose congiure. Ammetto, che restino frà noi degli Auguri, che consuiti, chi vuole ; ma non devono assolutamente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ; j) imperciocché dalle loro predizioni false, o vere, che siano » hanno principio sempre le intraprese dei perturbatori del publico riposo, -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr, et ubique ita cole, ut moribus Patriae est reccptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc * 4 Voi avrete indiverse parti delatori -, e. spioni ; questa razza di persone saranno necessarie, ma guardatevi di deferir cieeamenre ai loro rapporti. Spesso l’odio, rinteresse, la vendetta, o altre passioni sciolgono agl’ uni la lingua, e chiudono agl’altri la bocca. Qui è dove fa dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano, e procurar di farla inclinare piuttosto a favore degli Accasati .,, Li vostri antichi Amici, ed i vostri Domestici li più familiari devono esser per,, voi non meno un soggetto di precauzio-,, ne. Disprezzarli, sarebbe, un ingratitu-,, dine, sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe contro di voi un argoinento perenne di rimproveri, e dimormorazioni. Si giudicherà di voi per mezzo de’ vostri Amici, e i loro difetti saranno a voi attribuiti. Cercate adunque di disfarvi dei meno discreti, e di quelli, che sono nelle loro brame insaziabili \ • 1 • i regrìnarum vero Religionum auctor esodio, ac Supp liciis prosequere,. qui nova numi na introducane, multos ad peregrinis Legibus utendum pelliciunt ; inde conjurationet, coi- tioncs, et conciliabula existunt, minime unius principe fui commodae res ; itaque nequeDeorum contemptorem, ncque praestigiatorem allum tolerabi *. Governo : L’ingiusta preferenza produce del malcontento, e quindi può ancora cagionare il rovescio totale di quello. Siate il protettore dei Grandi fino ad un certo punto, ma l’eterno sostegno dei deboli, ed il vendicatore degli oppressi.,, Proteggete con energia le arte utili, clic esercita il basso Popolo, e bandite gli oziosi. Ordinariamente le sommosse popolari incominciano da pe rsone disoccupate, *, e sono fomentate da nomi di partito, che,, si danno reciprocamente per farsi ingiuria; ciò forma la sorgente delle rivolte, che Fa duopo distruggere nella nascita. L’abuso della propria autorità è il più,, grande dei mali per un Sovrano. Dare esecuzione a tutto ciò, che si può, è lo stes« i, so soventi volte, che fare più di quello è >, permesso. Più utio si conosce potente, o più bisogna > che vegli sopra se stesso per non farsi trascinare dai proprj desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di? : b fatti > ma segretamente vi biasimeranno. Abbiate dunque per massima di regolare la,, vostra condotta, non tanto su quello, di i, cui siete stato redarguito, ma sù quello, per cui potrete essere rimproverato. Riflettete sopra voi stesso, e non già come,, Sovrano, ma come Suddito responsabile j, di tutti i vostri andamenti al Publico, il quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione,,, e vi giudicherà con rigore maggiore di quello, di cui voi userete verso di esso. Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua. liti, che voi dovete acquistare, c de'sco-,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza, di cui il Cielo ha voluto decorarvi, vi servi-,, rà di. guida, e 1* esperienza vi faciliterà l’arte di governare. Entrate adunque, entrate con confidenza nella carriera, che le vittorie vi hanno aperta ; Roma, e l’Universo vi reclamano, come il solo Uomo capace di riparare ai disordini di una Repnblica andata in decadenza. Quelli, che vi esortano a consumare la Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria. Che dolcezze non gusterete in una amministrazione tranquilla, in cui voi farete la felicita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più dolce del dominio, allorquando il Dominatore è capace di procurare la comune felicita. Non vogliate discacciare la fortuna, che vi ha scelto fra mille per sostener Roma vicina a cadere. Regnate senza prendere il nome di Re, e siate Sovrano senza altro titolo, che quello di Cesare, o d'Imperadore. In una parola, la regola più sicura onde rendere amabile il vostro Impero è quella di governare li popoli a voi,, soggetti, come bramereste di essere gavernato voi stesso, se i Numi vi avessero,, fatto per ubbidire. Il tX scorso di M. dissipò le dubbiezze di Ottavio, gli trasfuse nell'animo maggior sicurezza, e non esitò ulteriormente per aderire al progetto di quello. 11 bravo Agrippa non restò malcontento al vedere posposto il suo sentimento, perchè comprese anch’es-, che il suo Padrone rischierebbe meno di quello, che non si era creduto, sul posto eminente > nel quale veniva consigliato a perpetuarsi > e che l’utilità publica si troverebbe unita alla gloria del medesimo. Egli non potè non ammirare la saviezza, e profondità delle massime politiche di M., proposte per rendere felice un'Amministrazione Monarchica ; e perciò l’esperienza ci ha fatto quindi conoscere > che tutti li Re veramente degni del Trono hanno formato il loro piano sù quello, che il sudetto M. presentò ad Ottavio. La lettura del suo discorso > che per intero ci è stato dallo Storico Dione trasmesso è un Capo d’opera, che anche ai nostri giorni, ed in ogni tempo può istruire li Sovrani a divenir felici, procurando la prosperità de’ loro Sudditi. Il laborioso Catrou, da noi tante volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia Dion. Catrou Catrou loc. cit. lib. 5. K t+6 delle ragioni dettagliate da M., V à~ nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso, ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio determinasse qnesta sua ir risolutezza, e lo inducesse ad ahbracciare definitivamente il prò* getto della Monarchia. Il Catrou parla in tal guisa (i,) Osare, avendo ripieno lo spirito di tutto ciò, che aveva ascoltato da Mecenate, non ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i nomo di bassi natali, nato in un villaggio da poveri genitori, ma li di cui ta-* lenti erano sublimi Questo fu il famosò Virgilio, Poeta, la memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli. Da lungo tem-,, po egli era al servizio di Cesare Ottaviàno, e per mezzo di vili principj èraginnto a meritarsi il favore delsno Padrone .,, M. lo aveva tirato dalla polvere -, ed egli aveva già spiegato quel genio incomparabile, che faceva presagire un altro Omero . Virgilio fissò la irrisointezza dell’ lmpefadore con queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrbnifi del Governo non visorio riusciti, fe perchè f Perchè po.o giusti verso degli,, altri, han dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti Voi al contrario, o Signore, che il Cielò - - *1 • loc. cit. ha fatto nascere giusto, e moderato, passerete giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai Romani un impero amorevole. Sembra però, che il Catrou in questo luogo siasi fatto sorprendere da quella Vita di Virgilio, che viene attribuita a Donato Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra menzione (i). Siccome però questo scritto, Il Succennato Autore della Vita di Virgilio si spiega nel modo seguente. Postcaquam Augustus summa rerum omnium poti tus est, venit in mcntem, an conduceret Tyrannidem omittere, et omnem potestatem annuii Consulibus, et Senatui Rempublicam reddere. In qua.re diversae sententiae consu/tos habuit Mae cenai eni, et A grippata. Agrippa enim utile sibi fare, edam si honestum non esset, relinquere Tyrannidem longa oratione contendit, quod Maccenas dehortari magnopere conabatur. Q tiare Augusti animus et hinc ferebatur, et illinc. Erant enim diversae scntentiae, variis ratiombus firmatae. Rogavit i gi tur Maro ne m, an conferat privato homi ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre. Tum ille : Omnibus ferme, inquit, Rempublicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis futi, et Civibus ; quia necesse crat odia subditorum, aut eorum injustitiam, magna suspicione, magnoque timore vivere. .. Q uare si jusCitiam, quod modo facis, omnibus in K a a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di errori, e di favole, cosi non può fissare la nostra attenzione su quanto narra di Ottavio nel momento, in cui stava per decidersi sulla scelta o della Monarchia, o del ristabilimento della Republica. Se sussistesse ciò, che ivi si legge, cioè > che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio ad uniformarsi al sentimento di M., non si sarebbe certamente omesso da tanti valenti Biografi, « he hanno parlato diffusamente, e di Virgilio, e di Ottavio ; e Dione segnatamente, che ha trasmesso alla posterità gli eloquenti, e giudiziosi ragionamenti di Agrippa, c di M., e che inoltre afferma positivamente, che Ottavio si attenne al parere del secondo, sembra, che non avrebbe occultata una notizia cosi interessante, e rimarchevole. De la Rue accenna appunto questa ragione per escludere la verità di quella circostanza narrata dal sudetto Donato Se non fosse un fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse Ottavio ad aderì-,, re al progetto di M., e che deter-,, minasse l’animo vacillante di quel Princi futurum, nulla hominum facta compositione, distnbues ì dominar i te, et tibi conducet, et orbi . Ejus sentcntiam sequutus Cattar Priaeipatum tenuit » » pc, non si sarebbe narrato dal solo pseui, do-Donato, ma sarebbe stato ai posteri trasmesso dalla penna ancora di Storici il rispettabilissimi. V Ambrosi, che pensava come de la Rne, nel premettere alla sua magnifica Edizione dell'Opere del sudetto Virgilio la indicata Vita di Donato, cosi previene il Lettore infine della medesima e in cui visse •. Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò del gran Pounpeo, richiede il Patrimonio paterno, sconvolge, e mette sossoprali mari d’Italia, e di Sitilia; men», tre Ottavio si vendica degli Uccisori di Giulio Cesate ano Padre, si divellano scene sanguinose nelle Campagne della », Tessaglia; mentre il genio incostante, e,, e volubile di Marco Antonio, o deprezza », Ottavio, corno successo re di Cesare, o,, acciecato dagli amori di Cleopatra, indina a divenire un assoluto padrone del Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare il. suo seampo » che gettandosi in brac• ciò alla schiavitù. Ma buon per noi, che «, in cosi terrihile sconvolgimento di cose» i, le redini del comando caddero nelle mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa », la sua sapienza, e con la sua sagacitàsep i5a pe riordinare le membra scomposte dell’ immensa mole dell’ Impero, che non sarebbero tornate sicuramente al suo luo» go, se dalla meote, dal senno, e dalla abilità di un solo non fosse stato il Governo diretto (; ). Fior. lib. 4 Cap. 3. Populus Pomanus, Caesare, et Pompe\o trucidati, redasse in statum pristinac libertutis videbatur ; et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut Cassar haeredem reliquisset ; vel quod utroqua perniciosius juit, si non collesa quoti -,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac, fax, et turbo sequentis saeculi, superfuissec Antonius. Quippe durn Scxtus paterna repetit, trepidatum foto mari ; dum Octavius mortevi patris ulciscitur, ite rum fuit mo venda Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio, aut successorem Cassar i indignai ur Octavium, aut amore Cleopatrae desciscit in Pegem j nam aliter salvus esse non potuit, visi confugisset ad servitutem. Gratulandum tamen in tanta perturbatione est, quod potissimum f ad Octavium Caesarern Augustum somma rerum rediit, qui snp lentia sua, acque soler tia, perculsum undique, et perturbatovi ordinavi Impcrii corpus,i quod ita haud d tibie nunquam coire, et consentire potuisset, nisi uni us Praesidis nutu, quasi anima, et mente, regcretur, Il grande progetto della Monarchia unfc*versale da M. proposto, non era conosciuto, che da esso, da Agrippa, e da Ottavio. Siccome il silenzio è l'anima delle imprese delicate, cosi questo dovette esigere da Agrippa un segreto inviolabile, dovendosi mettere in esecuzione con metodo, con circospezione, lentamente, e senzacbe i Romani potessero avvedersene, giusta le istruzzioni dell’Antore del medesimo. Ottavio segni in tutte le parti li consigli di questo savio Politico, e gli fu debitore della suar gloria, e della felicità del suo Regno. In fatti riformò subito il Senato.; ed es» eludendo que’ Soggetti, la di cui presenza in quel Corpo rispettabile, o non poteva recave alcun vantaggio, o cagionargli del male, ve ne sostituì degli altri di sperimentata prudenza. Usò in questa riforma la precauzione di far vedere, che da esso era quello in special maniera onorato, per non cade «54 re nella stessa disavventura, alla quale fn sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprezzo ingiurioso per un Magistrato composto delle più illustri Famiglie di Roma, fu più veramente la cagione della sua morte funesta, che l’interesse della publira libertà. Aboli tutti li debiti dai Cittadini contratti con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti, che la necessità del tempo aveva fatti promulgare nell’epoca del Triumvirato, Abbellì Roma di grandiosi Monumenti, e divenne ristoratore di un grande numero di Templi, li quali o le guerre passate avevano rovinati, o per mancanza,di denaro, erano stati negletti.?, Stabili, che la distribuzione gratuita del grano, che, per costume antico j; soleva farsi .al Popolo sopra li fondi, del publico Tesoro, fosse più frequente, e che in ogni distribuzione se ne dasse alle povere famiglie una misura quadrupla di quella, che prima era in usanza. Questi, ed altri regolamenti salutari gli conciliarono una stima generale, ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti. Allora M. si avvide con la profondità delle sue viste politiche, che il suo Progetto era giunto alla maturità, e che il Senato, Roma, e tutti gli Ordini dello Stato erano già disposti a riconoscere l’impero di Echard loc. cit, un solo nella persona del sno Padrone ; perciò concepì un secondo Progetto, per ultimare il primo, che sembrava piuttosto stravagante, e pericoloso, ma che doveva inseguito produrre tutto il suo effetto. Consigliò pertanto ad Ottavio', che si pre. sentasse in Senato, e con un discorso politico, ed artificioso rinunciasse al comando assoluto, che allora riteneva, rimettendolo nelle mani de'snoi antichi Magistrati. Gli fece riflettere, che con questo mezzo non solo non lo perderebbe, ma anzi avrebbe ottenuto, eh’ egli, il quale finallora era stato arbimanamente Padrone del Mondo, per consenso di tutta la Nazione, sarebbe divenuto Monarcha legittimo ; inoltre, che, mediante le riforme già fatte e nel Senato, e nelle altre Magistrature, erasi procacciato una quantità di Partegiani, che per le sue liberalità, per la sua giustizia, e per lesile maniere obbliganti era sommamente amato dal Popolo ; che in conseguenza, allorquando questo, ed il Senato avrebbero inteso pronunciarsi da]la bocca del loro benefattore la rinunzia alla direzione del Governo, o per riconoscenza, o per rispetto, o per politica, o per non perdere le dolcezze della vita, e del buon ordine, ch’esso aveva introdotto, non solo non avrebbero accettato la proposizione, ma lo avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero, acni finallora aveva preseduto. Ottavio adunque penetrato, e persuaso dalle ragioni, donde era stato dal suo Ministro istruito, si presenta in Senato, e con un’aria d’ingenuità, e di franchezza sorprendente, in tal gnisa si fece a parlare.La proposizione, che io vengo a farvi, Padri t3 Coscritti, sarà da pochi approvata, e da molti stimata incredibile. Soventi volte la j, diffidenza, con cui sogliono riguardarsi le persone costituite in dignità, fa rendere sospette le medesime, anche quando parlano, ed agiscono sinceramente, Io mi esporrei immancabilmente a questo perin colo, se non fossi determinato di dare una s pronta esecuzione a quanto sono per pròA porvi. Voi vedete, Padri Coscritti, a qual » rango sublime mi hanno fatto giugnere la,, sorte delle armi, ed una condotta moderata. Capo assoluto, ed indipendente della Repnblica, io sono in istato di far uso del»» m i a potenza, e di perpetuarmela. Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza, impugnai la >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di un Zio, che mi aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa carn riera, presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia compagna. Fui coiì stretto a combattere con nemici di diverso carattere, e di qualità differenti. Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed aprire con essi delie relazioni per non soccombere j> sotto il peso della moltitudine. Mi convenne in seguito perseguitare gli altri ardilaniente, e costringerli a rivolgere contro essi stessi quel braccio, che era stato funesto a Giulio mio Padre. Mi associai alcuni compagni delle mie vittorie, e divisi con essi il peso del Governo. Che cosa quindi ne accadde ? Lepido in Africa lasciò decadere con la sua negligenza gli affari di Roma ; Antonio, esposto nell' Egitto, e nell’Asia, come su di un teatro, disonorò con la sua turpe condotta il nome Romano, j, e lo rese abbominevole a tutto l’Oriente. Il Cielo secondò quello zelo, che esso stesso mi aveva trasfuso per riparare a tali disordini v Antonio non esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo del suo carattere. Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,, da un Vincitore, padrone del suo, e del vostro destino? Tutte le Fazioni sono distrutte; ogni corpo di armata sulle Frontiere è comandato da Geuerali, che godono tut-,, ta la mia confidenza. Li Re nostri Alleati,, non ricevo.no l’impulso, che da miei cenni, ed i loro soccorsi non marciano, che agli ordini miei. Il denaro proveniente dalle nostre rendite non è versato, che nel mio i} tesoro, e non ne va nelle publiche casse, che quanto io ne permetto. Fiù. Io eonosco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in generale. Io potrei rispondere del vostro affetto verso di me, e riposarmi sulla publica benevolenza. L’indipendenza adunque, e la Sovranità possono andare più oltre? Ma perchè tenervi più lungamente sospesi ? Ascoltate con attenzione le mie parole, ed il suono delle medesime faccia passaggio alla più lontana posterità . Questo Vincitore, Sovrano assoluto, questo Generale Supremo di tutte le forze di Roma, questo linperadore adorato dal popolo sagrifica al bene della Patria gli onori, di cui lo avete ricolmato, li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine tutto il frutto delle sue vittorie. In questo istesso istante io vi restituisco li miei diritti sulle Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul governo delle Provincie, in una parola sù tutto ciò, che voi mi avete accordato, e che la necessità delle circostanze mi hacostretto ad accettare. Che volete di più? Ora si dica pure, che io non ho travagliato, che per il mio ingrandimento, quando mi esposi a tutti li pericoli delle battaglie. ORoma, tu fosti sempre presente agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne di Filippi, in Sicilia, nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola io allora immolava >, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi 1S9 if go del mio sangue, che per assicurare la liberta Romana. Ah fos'se piaciuto ai Numi, che io non avessi impiegato il mio Ministero in guerre civili, che ci hanno esaurito di Cittadini, e spopolato le Provincie. O mia cara Patria, perchè non ti trovai tranquilla, conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t tu non me lo hai permesso ! Benché giova•netto mi scregliesti per essere il vendicato}> re del più perfido assassinio, il riparatore degl’insulti recati alla Nazione Romàna, il ristoratore della nostra gloria eclissata, e finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!,, La mia opera è compita > ed ho pienamente sodisfatto ai miei destini. Permettete > Padri Coscritti, che iomen vada nella solitudine a bearmi di quella fe>, licità, che io stesso ho procarata. Ora non posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,, gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è dovuta alla mia propria sicurezza, per mettermi al cotperto degli assassini. Che anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li vostri antichi privilegi, ma vi dono eziandio l’opulento mio patrimonio, e le prerogative, che io posseggo per diritto della mia nascita(i). (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19. » dotta, e nelle tue operazioni, nè mire am>» biziose, nè avarizia, nè verun’ altro di,, que vizj, che sogliono albergare ne Cortigiani, e nelle Corti. Properzio scrivendo allo stesso M., ci da à conoscere, che quel suo disinteresse per gli onori sublimi, ai quali avrebbe potuto pervenire, prodnceva un’ azione si gloriosa, e commendevole, che il di lui nome sarebbe dalla fama, e dai posteri celebrato al pari di quello de’ Camilli. (a) (1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil. lib. a. pag.aay. Regis eros genus Etrusci, tu Caesaris olirà D exter a, Romanac tu vigili] ibis eras. Omnia curri posscs tanto tam carus amico, T e sensit nemo posse nocere tamen. Eleg. Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse t narri Di più questo suo morigerato contegno, e Mobile disinteresse serviva anche d’esempio alle famiglie le più cospicue de’ Romani Cavalieri, e ne ebbe imitatori, ed ammiratori. Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una soìclla dello Storico di questo nome, seguì perfettamente il tenore di vita di M.. Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,, rirono due illustri personaggi Lucio Volusio, e Sallustio Crispo. *. . Questo, nipotè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai* lustio elegantissimo Sri ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,, aveva tutti li mezzi li più potenti per ottenere qualunque dignità ; tuttavia, emùlandò la condotta di M., senza il titolo di Senatore, Superò in potenza molte famiglie,che erano state decorate delTrionfo, e Consolari ». ». Mentre visse Metani libi romano dominas in honore sccures, Et liceat medio ponere jura foro. Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni T empore tam faciles insinuentur opes ; Parcis, et in tenues h umile m le collegi* umbras, Velorum plerMs subtrahis ipse sinus. Crede mihi magnos aequabunt ista Camillos Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum, Ì76,) cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano affidati li segreti Imperiali ; fu il primd i, però, quando quello cessò di vivere, Ciò non ostante Augusto procurava di compensare questo commende’vole distacco dagli onori luminosi del suo Favorito colli tratti del* la più tenera amicizia, e della più sincera confidenza. Imperciocché, allorquando il peso, e la serie degli affari del Governo gli lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a visitarlo anche nella maestosa Villa, che possedeva sulle fertili sponde dell’Aniene. Quivi Ottaviosi compiaceva di rivedere l’amico, di consultarlo, e di riceveie sempre consigli, istruzzioni, e massime per ben g vernare, e per ben governarsi ; che anzi vi è chi crede, che il memorabile Congresso frà Tacit. Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni concessere vita insignes Viri L. V olusius, et Sallustius Crupus. Crispum equestri crtum loco, C. Sallustius, rerum Romanarum flore ntissimus auctor, sororis nepotem in nomea adscivit ; atque Me, quamquam prompto ad capesse ndos honores adita, Maecenatem aemulatus, sine dignitatc Senatoria multos Triumphalium, Consulariumque potentia anteiit . Igitur incolumi M. proximus, mox praecipuus, cui secreta Imperaiorum inniterentur. (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M. Ottavio, M., ed Agrippa, e le deliberazioni per rinunciare, od accettare la Sovranità fossero tenute nella tranquilla solitudine, e nel dilettevole silenzio di questa Villa deliziosa. Ed in vero qual luogo più opportuno per trattare con riflessione, maturità, e quiete un oggetto cosi grande, che aveva relazione con gl’interessi dell’Universo ? Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche infermità, non già restava nella Corte, in mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori. Esso non si trovava contento, e non sentiva sollievo alle sue fisiche indisposizioni, che nelle mura dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?. Cumvero bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli abdicando, et inpristinam restituenda Reipublicae libertate, et in gravissima e deliberatiti— nis consultationem Agrippam generum, et M. amicissimum arbitros, et consiliarios assumpserit, quemadmodum in majoris momenti rebus omnibus consueverat. Agrippa ad illum longissimatn prò abdicando ora tionem habuerit, prò retinendo ac optime in stituendo rerum regimine M., haec in nostra Tiburti Villa M., ut potè in serhoto à turbis, securoque odo, agitata fuisse, vehementer, ut suspicor, inclinat animus. M del suo M. Svetonio ci dice chiaramente, che quello in tempo delle sue malattie riposava nella casa di M.. Ma la stima, la tenera amicizia, la fiducia, il rispetto, che dimostrava Augusto verso M., non si limitavano soltanto a queste semplici dimostrazioni, che possono chiamarsi materiali, e passeggere; egli amava di essere istruito incessantemente da quello nelle vie difficoltose del Governo, e ne riceveva ancora con tutta la rassegnazione li più umilianti rimproveri, quando conosceva, che erano diretti contro le sue passiotai t Fra le altre istruzioni benefiche, e salutari, che M. aVevà suggerite ad Ottavio, vi era quella, coti la quale gli veniva raccomandata la moderazione, perche aveva conosciuto, che l’animo di questo inclinava alla severità, ed all’ira. A tale effetto pare, che si facesse seguire da M. in tutti li suoi andamenti, ed in particolare maniera quando doveva sedere nel Tribunale, come Giudice supremo. Allora M. esaminava le sue mosse la sua voce, e li suoi delineamenti, e se rimarcava, che T lmperadore agiva con dol fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis cu.ba.bat » eezza, con giastizia, a sangue freddo, e non si faceva sorprendere dal risentimento, che porta con se la severità, lasciava, che operasse liberamente, e se ne compiaceva ; ma se scorgeva, che nel Giudizio Voleva far nso di nn rigore soverchio, eccessivo, e non giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era circondato, lo redarguiva, lo faceva tornare in calma, egli faceva rammentare la sua massima salutare, GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione di trasmettere alla posterità un esempio memorabile del dominio, che M. aveva sullo spirito di Augusto per farlo marciare con la moderazione > e con la dolcezza al fianco in ogni sua intrapresa. Sedeva egli una voltata qualità di Giudice alla presenza di molti Accusati, che attendevano la loro sentenza. M. si avvide, che stava per pronunciare contro quegl’ infelici la sentenza di morte. Siccome conosceva» che era ingiusta, e la folla del popolo non permetteva di avvicinarsi al Tribunale, e nel luogo, sù di cui sedeva, •crisse queste parole ardite nelle sue tavolette incerate > e nello stesso tempo gettolle ad Ottavio Sorgi, o carnefice, ed esci da questo luogo Ottavio conobbe la mano di chi le aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che forse per nn momento aveva dimenticato, si levò dal Trisanate, e dimandò assolati quegli Accasati. Che M. ha un impero irresistibifé suH’ahimo d’Augusto, e particolarmente ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo fece conoscere lo stésso Angusto, quando quello aveva cessato di vivere, e di assisterlo. Giulia sua Figlia aveva ricoperto di scandalo la Corte con le sue dissolutezze. Il Pad re sommamente rammaricato non poteva rimediare n questo disordine domestico. Tr.v sportato dall’impeto della collera, rilegò la Figlia, e rese publica la di lei disonestà. Poco dopo rientrato in se stesso, si penti de’suoi trasporti inconsiderati, e di questa publicità, che disonorava la sua casa. Allora ricordanti^) t>!on. . Tarn vero si cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi habuit, a quo ab ira ad mansuetiorem animum reduceretur. Unus ejus rei documentarti prof e-* ram. Praesetite aliquando M., Augu. stus prò Tribunali stdens, cum multos esset morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M accenni, cum per circumstantium coronam ad ipsum irrumperè, ac proximc assistere ne qui rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge vero tandem, Carni fex ; vamque Tabellam, qua* si atiud quid indicantem, in sinum Augusti projecit, qua lecca, is statini suri exit, nomi * ne morte mulctato. i8l dosi di Agrippa, e di M., e della saggezza de’consigli, che da essi soleva ricevere quotidianamente, esclamò replicate volte. « Ah, che questo non mi sarebbe accaduto, se o M., o Agrippa fossero stati ancora al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia, che ha parlato di Angusto, e di M., si rileva agevolmente, come, dopoché quello si assise, e consolidò sul Trono Imperiale, e fu messo in piena esecuzione il sistema della Monarchia universale, questo si ritirasse affatto dalla grande amministrazione degli affari politici. Finché il suo amico lottava co’nemici, che si opponevano alla di lui grandezza futura, egli compariva in mezzo alle imprese le più rilevanti, e spinose, affrontava delle ambascerie malagevoli, contribuiva a trattati di pace li pia vantaggiosi, diveniva Prefetto, Amministratore, ed Arbitro dell’ Italia, e di Roma ; quando però quello non ebbe più nemici a combattere, più rivali da distruggere, e restò cqn ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Divus Augu, tus filiam intra pudicitiae male dictum impudicam relegavi!, et flagiti* Pi ilicipalis domus in publicum emisit. deinde cum interposito tempore verccundia gemens, quod non illa silcntio pressisset. ... Saepe ex clamavit ; Horum mihi nihil accidisset, ti ani A grippa, autMaecenas vixistet . 1 8a vinto, e persuaso a gettare la base della sudetta Monarchia universale, e che a tale effetto gli fu presentato il Piano, furono fissati li principj, e le più savie istruzzioni ; in una parola, dopoché fu sistemato il nuovo Governo politico, M., che aveva a tutto contribuito, che aveva collocato il suo Amico, e il suo Padrone sul Trono deirUniverso, e sul rango il più eminente, a cui potesse giungere un mortale, abbandonò, per dir cosi, le vanità del mondo, ritirandosi fra le dolcezze di una vita privata, e tranquilla. Continuò a prestare li suoi servigi all'Imperadore, ma lungi dallo strepito della Corte ; consigliandolo sempre a farsi amare, e a fare amare il suo Governo. Dopo questo ritiro però. M. non già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’indolenza. 11 genio del grand’Uomo non era venuto sulla terra per desistere, negli anni migliori della sua vita, dal far del bene ai suoi simili, ed alla posterità. Coll’aver consigliato Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca, e in quelle circostanze, aveva reso un grande vantaggio all’ umanità, giacché con questo mezzo aveva troncato la testa al mostro spaventoso delle fazioni, sempre famelico di sangue umano, e di stragi ; aveva ricondotto la sicurezza, e la concordia nelle famiglie, la pace nella Capitale, nell’ Italia, e nelle Provincie le più remote. Egli però voleva, i83 e doveva fare di più; -una nazione già colta, doveva migliorarla, un secolo già istruito doveva perfezionarlo. Protesse in grado eminente, e fece proteggere da Augusto le arti, li letterati, e le scienze, e nacque subito il secolo d’oeo del Fune, c delle altre. Si ; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo con tutta giustiziala posterità è debitrice all’anima benetica di M. di tutto ciò, che di bello,riguardo alle arti, ed alle scienze risultò in quel secolo avventuroso, che noi riguardiamo con ammirazione al presente, e che non meno dovranno ammirare tutte le colte future generazioni. Amando quello, e proteggendo, facendo amare, e proteggere dal capo dal Governo li talenti, fece si, che questi si sviluppassero con energia, e prodigassero opere capaci ad istruire, e migliorare lo spirito, ma incapaci ad essere eguagliate. Li Poeti migliori di quel serolo hanno celebrato questo favore, e questa protezione di M., e ci hanno fatto conoscere al tempo stesso, che egli era un protettore pieno di discernimento, illuminato, che non concedeva il suo affetto, che a soggetti veramente colti, e di talenti forniti, e che fra quelli, che esso accoglieva, e proteggeva, regnava una concordia inalterabile Nella Casa di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,, schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disordini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la 1S4,, gelosia, e la falsa emul azione, ed ognuno indistintamente occupa il suo posto, nè si bada a chi sia più dotto, o più ricco. M. riguardava negl’uomini il solo me. rito. Ogni dotto veniva da esso con amorevolezza accolto, qualunque fosse la di lui estrazione. Secondo li suoi prìncipj saggi, e fondati sulla natura, ognuno era nobile, quando era virtuoso " Sebbene, o M., ( soggiunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre dite, fra tutti quelli, che vennero dall’ Asia a popolare le Toscane Contrade, e e sebbene un di li tuoi grandi Avi, comandarono vaste Regioni, tuttavia sei Horat.Sat. .M. quomodo tecum ? Hinc repetit. Paucorum hominum, et mentis bene sanae, Nemo dexterius fortuna est usus. Haberes Magnum adiutorem, posset qui ferrc secundas, ffunc hominem velles si tradere ; dispeream ni, Summosses omnes. Non isto vìvimus illic, Quo tu rere modo i Domus hac nec purior ulla est, Nec magis hit aliena malis ; nilmi officit um quarti, Ditior hic, aut est quia doctior ; est locus uni Cuique suits. Magnum narras, vix credibile ; atqul Siehabet. tanto buono, e modesto, che non sai egomentarti, ne aggrinzare il naso, come fanno li superbi, nella società di gente ignobile, quale, fra gli altri sono io, figlio di nn padre libertino; Imperciocché taserbi la massima degna di tutti gli elogj, che nulla nuoce ad nn individuo la bassezza de’ 03" tali, quando egli sia virtuoso. Ed in fatti, che cosa egli non fece a vantaggio di un istesso suo Liberto, chiamato Melisso, perchè lo conobbe fornito di talenti, ed erudito? Era questi della Città di Spoleto, e benché nascesse libero, tuttavia perla discor»* dia de’ genitori, fu venduto, e sottoposto all’ altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di essere educato con ogni cura j ed attenzione, Lib. i. Sat. 6. Non, quia, M., Lydorum quidquid Etruscos Incoluit fines, nemo geaerosior est te ; N ec, quod Avus tibi maternus fuit, atque pa » ternus, Olim qui magnis regionibus imperitarunt Ut plerique solent, naso suspendis adunco Ignotos ; ut me libertino P atre natum. Quum referrc negus, quali sit quisque parente Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere, Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum, Multos saepe viros, nullis majoribus ortas, Et vixisse probo s, amplis et honoribus auctof, fece grandi progressi nelle scienze, e fu data in qualità di Grammatico a M., il quale avendo subito conosciuto il merito letterario del suo Liberto, raddolci talmente la sua situazione, che lo riguardava piuttosto, come tin amico, che come un servo. M. però non permise, che lungo tempo continuasse a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal ruolo de’servi, e lo fece tornare al possesso della sua libertà naturale, col nome di Cajo Melisso M.; quindi proseguendo a beneficarlo, e ad avvalorare li suoi talenti, gli procacciò il favore, la grazia, e la protezione dcH’istesso Sovrano, dal quale fu incaricato di ordinare le Biblioteche esistenti nel Portico di Ottavia (1 ), Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-, jus Melissus, Spoltti uatus, ingenuus, sedob discordiam Parentum expositus, cura et industria Educatoris sui altiora studia percepii, ac M. prò grammatico rnunere datus est. Cui cum se gratum, et acceptum in modum Amici videret permansit in statu servitutis, praeseritemquc conditionem vcrae origini ante— posuit ; quare cito manumfssus, Augusto et insinuatus est ; quo delegante, curam ordinandarum Eibliothccarurn in Octaviae porticu su scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist. Poet. dialog. Arduino in Indie. Anct. Plinii La protezione pòi di M. non era soltanto di parole, e di raccomandazioni, non era nna protezione sterile, ed infeconda. Egli faceva parte ai Letterati delle sue ricchezze, e de’suoi beni. Il lodato Orazio temendo, come già si è di sopra accennato, che . il suo M. potesse allontanarsi da Roma, e andare con Ottavio nelja guerra contro Marco Antonio, e Cleopatra, gli scrive una Ode vaghissima, nella quale ci fa conoscere, che egli era stato arricchito dalla generosità di quello, e glieue mostra cop effusione di cuo* re, e con tenero canto la sua ricouoscenza « », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro M., marcerai sulle navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto a soggiacere a qualunque periglio di Cesare ? Ed io intanto, che cosa farò ? Senza,, di te, le ore del viver mio saranno affanno* se, e moleste. Dovrò forse assiso nel doice ozio, toccare le corde della mia cetra, e tessere degl’inni ? Ma senza la tua presetiza, senza l’amabile tua compagnia, lamia », cetra sarà dissonante, e la mia voce roca, e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se-,, g, u irti, o per le alpestri balze delle Alpi, o sulle vette dell’inaccessibile Caucaso, od anche fino alle ultime spiaggie dell’Occiden* Art. Melissus. Catron Tirabo* schi Stor. della Lett. Itati. » te? E vero, che essendo di debole temperamento la mia risolnzione non potrà recare alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-,, mi a tc vicino, saranno meno intensi li miei f, timori, e meno penosa la mia angoscia Io dunque affronterò non solo questa, ma. qualunque altra militar spedizione, a solo oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia riconoscenza, e non già perchè divengano più numerosi li miei aratri, perchè le,, mie agnelle prima della Canicola faccian passaggio dai pascoli della Calabria alle tenere erbette della Lucania, o perchè giunf, ga a possedere sulle Colline deliziose del Tuscolo una Villetta, la quale debba estendersi fino alle muta della Città. Io, o mio v M., null’altro desidero, e sono ap~ pieno contento della tua generosa munificenza, che già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i. Ibis Liburnis inter alta navium, Amice, propugnacula, Paratus orane Cacsaris periculum Subire, Maecenas, tuo. Quid nos ? guibus te vita si superstite, Jucunda ; si contra, gravis? Vtrumne jussipersequemur otium Non dulce, ni tecum simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non solo in questo luogo ; ma soventi volte Orazio ci avverte de’bene&cj, e delle ricchezze, di cui era stato da M. fornito “ Se il crudo Verno ( ripete egli ) ricoprirà di neve le campagne Albane, allora il tuoPoeta scenderà sulla Marina ; quando poi coannoieranno a vedersi le prime rondini, ed a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora, o dolce amico M., tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti. Tu mi face>, sti ricco, non già come l’ospite Cala Inhospitalem et Caucasufn, Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum, Forti sequemur pectore ? Roget, tuum labore quidjuvem meo, Imbellii, ac firmai parum ? Comes minore sum futurus in meta, Qui major aìscntes hab:et ; è Libenter hoc, et omne militabitur Bellum in tuae spem gratiae : Non ut juvencit illibata pluribut Aratro nitahfur me a, Pecusve Calabris ante iidus fervidum Lucana mutet patcuis. Nec ut tuperni Villa candens Tusculi Circaea tangat moenia. Satis, superque me òenignitas tua Ditavit, brese, che suole apprestare allo stanco viaggiatore frutta soltanto. Che anzi era tale il di Ini zelo, ed impegno nel beneficare i Letterati, che dopo di averli arricchiti, sarebbe stato prodigo con essi anche di beni maggiori, se li avessero richiesti, e se ne avessero mostrato desiderio. Nell'opere dello stesso Orazio si rinviene il testimonio di una tal circostanza, e quantunque il Poeta parlidi se stesso, tuttavia sembra doversi credere, che lo stesso tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le api Calabresi ( soggiunge il Poeta ) non travaglino per mio uso, e vantaggio favi dorati ; sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della Campania, o i pingui pascolali della Gallia non mi producano lane squisite, tuttavia, o M., mercè la grandezza del tuo animo generoso, sta lungi dalla mia Casa la molesta povertà ; e conosco, che più mi da Epist. Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ; Ad mare descendet Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima : Non quo more pyris vesci Calaber jubet hospes Tu me fecisti locupletem »».»»•• / I J 9* •resti, se fossi petulante a chiederti altri beni. Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche, opera composta ad istanza di M., dà bene a comprendere di quante cose egli era a questo debitore, e che l’amore, e l’amicizia, di cui l’onorava davano l’impulso alla sua mente, onde produrre idee sublimi “ O Mecena», te, ( dice Virgilio ) o tu i che sei il mio i, decoro, che con Cagione posso chiamarti « la massima parte della mia celebrità, deh », vieni ad avvalorarmi, e meco trascorri l’incominciato lavoro ; senza di te la mia mente non è capace di stendere un volo subli'me. Properzio quell’aureo, ed elegante scritta re della tenera Elegia di sopra accennata, anch’csso godeva la familiarità, e la protezione di M., anch’esso era stato beneficato^ veniva da questo mcoraggito ad impiegare, ed esercitare li suoi poetici talenti “ O Me . Od. . Quamquam nec C alabrae mella f erutti ape*, N ec Laestry gonia Bacchus inamphora Languescit mihi, necpinguia Gallicis Crcscunt veliera pascuis ; Importuna tamen pauperies abest ; jNec, siplura velini, tu dare dcneges. (a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o tu, la-d! t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani, perchè vuoi, che io m’ ingolfi nel vasto pen Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose it non sono adattate alla mia piccola navicella Ma io appresi li precetti della vita )s da te, e perciò sulTorme tne, e col tuo }} esempio sono spinto a superarti» «. . Tu t, generoso mio Protettore, prendi le redini dell’ incominciata mia giovanile carrie ra. ( i ) Il Poeta Lucano, benché posteriore al secolo, in ctii vissero Orazio, Virgilio e Properzio, e benché non avesse partecipato delle liberalità di M., tuttavia egli pure encomia altamente la protezione straordinaria, di coi quello onorava li Poeti. “ Virgilio dice y> egli fu quel Poeta, che cantò fra li Po* Life. 3. Eleg, y. M., eques Etrusco de sanguine R cguitl, Intra fortunata qui cupis esse tuatn, Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl Non surit opta mede grandia vela rati. At tua, Maecenas, vitae pratcepta recepì, Cogor et exemplis tc superare tuis. Molli* tu coeptae f autor cape lorajuventae. n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi. glio di Anchise, e che provocò con il poetico stile romano il genio divino del vecchio Omero. Ma quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di quelle selve, che fu*,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono, ed esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na«ioni, se M. non lo avesse animato con la sua tenera amicizia, e con le sue beneficenze. Ma questo non solo protesse, ed onorò il Poeta di Mantova ; egli avvalorò il genio di Vario a scuotere il palco teatrale con il tragico coturno ; mostrò ai popoli della Grecia, che ancora le corde delle Cetre latine sapevano risuonaie dell’ augusto nome di Giove, ed eccitò, produsse, ed arricchì 1’ italica Lira del Poeta Venosino : 0 M., o decoro, ed onore delPar-,, naso, degno della venerazione di tutte le generazioni, e di tutti i cuori, sotto le ali,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-,, ventò le miserie della cadente, e molesta,, vecchiezza. CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e seq. Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum, Maeoniumque senem Romano provocai ore } Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra, N I Questo favore prestato da M. alle lettere traeva la sua origine dall’esserne egli stesso coltivatore. Che egli fosse colto, ed istruito,e che producesse ancora delle Opere in varj generi di Letteratura non mancano fondamenti per esserne persuasi. Orazio lo chiama dotto nella lingua greca, e latina. Seneca ha lasciato scritto, che egli era fornito di un ingegno grande, e robusto, che avrebbe dato nn luminoso modello della Romana eloquenza, se non l’avesse snervata con la soverchia nata* ralezza. Quod canit, et sterili tantum cantasset avena, Ignotus populis, si Maeccnate carcret. Qui tàmen haud uni patefecit !im in a Vati, Nec sua Virgilio permisit nomina soli, M., tragico quatientem palpita gestu Evexit Varium. Maecenas alta Thoantis Eruit, et populis ostendit nomina Grajis. Carmina Rornanis etiarn resonantia chordis, Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s O decus, et toto merito venerabile aevo, Pierii tutela chori ! quo praeside futi Non umquam Vatés inopi timuere scnectae, (O Lib.3.0d.8. Docte sermo nes utriusque linguae. Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit ( Maecenas ) magnum cxemplum Romanae eloquentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici- Sappiamo ancora dal niedesimo autore, che scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Voglio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Mecenate, cioè L’Uomo, che è in supremo grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre in timori, ed in tempèste a guisa del tempo, che tuona Se mi domandi in qnai libro egli parlò in tal gnisa, ti rispondo, che lo ha detto in quel libro intitolato da esso Prometeo Di più secondo lo stesso Seneca, scrisse altra opera avente per titolo de culto suo » 11 Cenni afferma, che queste due opere fossero scritte da M. in versi, e che il Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre, che altra Tragedia intitolata Ottavia è parimenti à quello attribuita. (2) tas : Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium et grande, et virile nisi illad ipse discinxisset. Senec. Epist.i 9. ; Volo Ubi rej erre hoc loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo attonat summa,, Si quaeris, in quo libro dixerit, in eo, qui Promethcus inscribitur. Cenni Vita di M. - : In questo luogo l’autore si è dato caricò di trascri vere tutti li frammenti delle opere, delle quali fu autore M., estracndoli da varj Biografi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt N a I I delle altre in prosa, e segnatamente dei Trattati concernenti materie di Storia naturale. Imperciocché si rileva da Plinio, che quello fuAutoredi un libro sulle differenti specie delle pietre preziose. ( e da Prisciano, che aveva scr tto una Storia in dialoghi intorno agli Animali, citandosi da quello il dialogo decimo. Di più, secondo Solinò scrisse ancora una Storia delle imprese di Augusto. In fatti si può conoscere dalle Odi di Orazio, che M. aveva tutta la premura, onde fossero celebratele geste gloriose del suo Sovrano, che perciò venisse quel Poeta vivamente stimolato ad occuparsene, che questo si scusasse, dicendo, che non conveniva alla lirica poesia di cantare oggetti gravi, e strepitosi; ed esortando lo stesso M. a scri raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono consultarsi. Hist. Nat. . cumNot.Harduini. Apud Harduin. in Indie. Auctor. lib.i» Plin. Art.M.: M. eques romanus, Augusto gratissimus, cujus res gestas lietcris consignavit, ut ex Solino discimus ejus Dialogorum lib.10. laudai Priseianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou lib. 7. Tom. 19. nelle Note. 9 6 Oltre le snccennate opere in versi compose vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,, stimolarmi, o M., ( scrive Orazio ) a cantare ron le deboli corde della mia Lira,,, oil lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar Siciliano rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’ Giganti, li quali fecero tremare la fulgida Regia del vecchio Saturno, debellati quindi dal valore di Ercole, giacché tu stesso potrai, meglio di me, trasmettere alla posterità con unaStoria le battaglie di Augusto,,, li trionfi, ed il numero dei Re dal medesirao soggiogati. Anche Servio è d’ avviso, che M. scrivesse la Storia di Angusto, appoggiando Lib.a. Od. Nolis longa fcrae bella Numantiae Nec dirum A anibaie m, nec Siculum mare Poeno purpureum sanguine, mollibus Aptari Cithar ae modis: N eo saevos Lapithas domitosque Hcrculea manu Telluri s juvencs, unde periculum Fulgens contremuit domus. Saturni veteris ; tuque pedestribus Dices historiis proeliaCaesaris Maecenas melius, ductaque per vias Regum colla minacium i Iettato, e molle del tutto riprova, e per ischerzo imitando deride. Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem Augustus, qui Maecenatem suurn noverai esse stilo remisso, molli, et dissoluto, taltm se in epistolis, quas ad eum scribebat, et contro casti gationem loquendi, quam aliis ille seri bendo servabat, in epistola ad Maecenatem familiari plura in jocos effusa subtexuit : Vale, inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He truria, A da mas super nas, T iberinum margaritum, Cylniorum smaragde, hyaspis figulorum, berylle Porsennae : Vedi il Turnebio Advers. Sveton. in Octav. Art. : Oenus elo~ quandi secutus est Augustus elegans, et temperai uni, vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito parlando dell’ottimo, e perfetto genere dell' eloquenza, e della forma del discorso, insegna frà le altre cose, doversi sfuggire r impeto di Cajo Gracco, e li belletti di M. Quintiliano ancora riprova nella di lui maniera di scrivere una certa trasposizione di parole, che rendono il periodo lussureggiante, oscuro, e vizioso. Se poi si dovesse dare ascolto al surriferito Seneca, M. sarebbe stato 1 * uomo il piu immorale, e il più cattivo inconcinnitate. .. pari fastidio sprevit, et Cacozelos, et Antiquarios. Exagitabat non numquam in primis M. suum, cujus p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque perscquitur, et imitando per jocum, irridet. (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat. cap. 26. Ceterum si omisso opt imo ilio, et perfettissimo genere cloquentiae, eligendo sit forma di tendi, malim hercule Caji Gracchi impetum quam M. ealamistros. Quintil. Instit. Orat.. : Quaedam vero tranigressiones, et lon gae sunt nimis ... et interim etiam compositione vitiosae, quae in hoc ipsum petuiUur, ut exultent, atque lasciviant, quales iUae Maecenatis Sole, et Aurora rubent plurima : inter sacra movit aqua fraxinos. Ne exequias quidem unus inter miserrimos viderem meas quod inter hacc pessimum est, quia in re tristi ludit composi ciò. Scrittore frà quanti sono itati ammessi nella Kepublica letteraria. Con qual fiele non si scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed altrove ancora nelle sue opere il Maestro di Nerone ? Parlando egli di M. ora scrive : » Tu vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo •> ubriaco inviluppata, errante, e piena di lingue Ora attaccando anche li di lui costumi soggiunge “ Quando tu leggerai li suoi scritti, e le parole cosi viziosamente ornate, cosi negligentemente buttate, così poste fuori dello stile di tutti, mostreremo, che non meno li suoi costumi fossero nuovi, depravati, p singolari Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p. : Quo modo M. vixerit, notius est, qitam ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit, quarti delicatus fuerit, quam cupierit videri, quam vitia sua latere nolut. Quid ergo ? Non oratio ejus aequerite saluta est, quam ìpse discine t us ? Non tam insignita illius verba sunt, quam cultus, quam comitatus, quam domus, quam uxor. Magni ingenii vir fucrat, si illud egisset viarectiore, si non vitasset intelligi, si non etiam in oratione difflueret. Videbis itaque eloquentiam ebrii hominis involutam, et crrantem, et licentiae plenam : M. in cultu suo .' Quid turpius ani ne, silvisque ripa comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr * soque vado remittant hortos, .Ma Seneca era troppo invidioso della fama, della riputazione, e delle doti brillanti di M., il di cni splendore ancora traspi* rava chiaro, e vivace nel secolo, nel quale quello viveva, e come Ministro, e Consiglie rodi Nerone, conoscendo, che non aveva potuto, ne’poteva eguagliare le sublimi virtù politiche, di coi andava nobilmente fregiato il Ministro, e Consiglierò di Augusto, ne divenne l’nnico, e il più maligno detrattore. Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti li Biografi all* uno, e all’ altro contemporanei 4 Non ostante però tutto il male, che dice ne’ suoi scritti, di M., Seneca sapeva benissimo, che questo nel tempio della gloria Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret, hunc esse, qui, solutis Cunicis, in Urbe seraper inccsserit ? Nani edam cum absentis partibus Caesaris funger et ur, signum a di scindo petebatur .... Hunc esse qui Uxorem millies duxit, cum unam habueritì Haec verba tam improbe strucca, tam negligenter abjecta, tam extra consuetudinem omnium posila, ostendunt mores quoque non minus novos, et pravos, et singulares fuissc. Quasi della stesso tenore parla Seneca di Me cenate, ed in questa, medesima lettera, e nella diecinovesima nella nonagesimaterza nella ceutoventi e pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa il posto di un grand’ uomo di Stato, di un eccellente Ministro, di un Consiglierò illuminato, e di un Favorito nou infetto dai vizj abominevoli dell’ avarizia, e dell’ interesse, H quali al contrario avevano ad esso procacciato il possesso di più milioni, estratti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi Romani. Sapeva inoltre, che quello aveva meriti grandissimi, conforme fu costretto a manifestare pubicamente, e in faccia allo stesso Nerone, allorquando, decaduto dal di lui favore, aveva forse cessato di screditarlo, Imperciocché sappiamo da Tacito, che dopo la morte diJJurro, mori ancora, pèr dir cosi, la potenza di Seneca. Allora si accrebbero a carico del medesimo le satire, e le mor* morazioni furono universali per le immense ricchezze, che aveva accumulate, e segnatamente per la grandiosità de’ snoi Giardini, che eguagliavano quasi gl* istessi Giardini Imperiali. Seneca volendo dileguare, se fosse stato possibile, dall’animo del suo Padrone .ogni sinistra impressione, dimandò di essere ascoltato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo Sovrano un discorso artificioso, o pipttosto la sua Apologia, nella quale fra }e altre cose, ricordandosi di Augusto, di M., e di Agrippa, e dei meriti politici di questi, disse cosi : Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a Marco Agrippa il ritiro di Mitilene, e a Cajo M. un ozio pellegrini) nella stessa Capitale. 11 primo, come com-,, pagno d’armi di quel Monarca, ed il secon-,, do come quello, che seppe disimpegnarsi da molti incarichi laboriosi anche in Roma, ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom3, pense in vista de’ meriti grandi, di cui erano forniti. Si attribuisce ancora al nostro M. 1’invenzione di scrivere in abbreviatura. Dione afferma, che egli trovasse alcune note Tacit. Annal. Mors Burrhi infregit Senecae potentiam variis cr i mi nat io 1 libili Senecam adoriuntur : tamquam ingentes, et privatum supra modum evectas opes adhuc augeret .... hortorum quoque amoenitate, et villarum magni ficent la, quasi Principem super greder et ur. .. At Seneca criminantium non ignarus. tempus sermoni orat : et accepto, ita incipit. Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mitylenense seeretum, Caio Maecenati in ipsa Urbe velut peregrinum otium permisit ; quorum, alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~ boribus jactatus, ampia quidem, sedpro ingentibus meritis, proemia acceperant. fa). : Primusque M. ad celeritatem scribendi notas quasdam literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae Liberti ministerio, multos doaj.it. *o5 per scrivere con celerità, e che insegnasse questo metodo a molti per mezzo di Aquila suo Liberto. 11 Catrou è di sentimento, che tali note costituissero un Trattato per poter scrivere abbreviando le parole. In fatti è indubitato, che la maniera per scrivere con prontezza, e sollecitamente è quella, che istruisce a scrivere col soccorso delle abbreviature, e siccome nel caso, di cui si parla, Dione dice, che M. prirnus cxcogitavit, così pare non possa mettersi in questione, che prima di questo un tal metodo di scrivere era affatto sconosciuto, e che egli ne fosse il primo inventore. Isidoro di Sicilia dice (a) che il poeta Ennio fosse 1’ autore di mille e cento note per scrivere ; che il primo, il quale in Roma facesse un commento di queste note, fosse Tirone Liberto di CICERONE (vedasi); che dopo di questo Persannio, Filargio, ed Aquila Liberto di M. ne inventassero delle altre, e che Seneca finalmente ne ordinasse un numero di cinquemila. Riguardo però ad Aquila Liberto di M. non sembra giusta l’asserzione delEaccennato Isidoro, attribuendogli E invenzione di alcune note per scrivere, giacché abbiamo rimarcato da Dione, che il sudetto Liberto di Lih.i.orig. cap.aj.' l ioó M. non ne fu inventore, ma che fu il propagatore del ritrovato, e dell* opera del suo Padrone, e che esso stesso, istruito da questo, ne istruisse degli altri. Dallo stesso Dione sappiamo (i) ancora, che M. recò ai Romani un altro rimarchevole vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni delle acque calde. Dal che si ravvisa, che questo specifico salutare, ed alla umana salute profittevole, non era in Usanza in Roma prima dell’ epOcà di M. ; cosicché questo, il qnale, secondo le osservazioni già fat* te, era intelligente della Storia naturale, avendone in prattica sperimentato gli effetti benefici, ne introdusse fra li Romani l’uso, e l’esercizio. ( a) Mentre M. passava nel ritiro le ore ( 1) fjOC.eit. Idem primus (M.) RomaeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it. P linio attribuisce a M. V introduzione nelle mense de’ figli lattanti dell'Asina, li quali in quell epoca erano preferiti alli Onagri, o Asini selvatici. Aggiunge inoltre, che il gusto per questa sorte di pietanze svanì con la sua morte. Ecco il testo di Plinio lib.8. cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus, aurium referre in his et palpebrar umpilos ajunt: Pullos earum epulari M. institu.it, multum eo tempore praelatos Onagris. Post eum intcriit authoritas saporis. della snà vita m comporre delle opere io prosa, ed in versi, in presentare ai Romani, ed alla società delle tifili invenzioni in proteggere, animare, e arricchì re li Letterati, ed in promuovere il progresso della Letteratura; Augusto, che in tutti li suoi bisogni non mancava di consultarlo > gli diresse una lettera. Dal contesto di questa si rileva, che quello era lontano da Roma, e c he se ne stava fra le delizie della sua Villa Tihurtina con la dolce comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento delie Cetre de’ m gliori Poeti. Augusto aveva bisogno di un Segretario, e per mezzo di quella lettera richiese il Poeta Orazio, che stava presso di M.. “Prima poteva da me stesso, dice Angusto, scrivere delle lettere ai miei amici,ma ora.o mio M., che,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo, che mi mandi il nostro Orazio. Io sò qnanM to vive contento presso di te, ma spero,,, che lasceràlesue mense squisite, e verrà nella mia Regia per ajutarmi in qualità di » Segretario.fi) (Sveton. in Vit. Horat. : Ante ipse sufficiebam scribendis epistolis amicorum ; nunc occupatissima s, et infirmus, Horatiam nostrum te cupio adduccre. Vcniet igitur ab ista parasitica mensa ad hanc Regiam, et aos in epistolis scribendis adjuvabit. Non sappiamo con sicurezza, sé le brame di Angusto in ciò venissero appagate. M. non avrà mancato di rappresentare ad Orazio il grande onore, che gli si voleva compartire con quell’impiego luminoso, ma il Poeta, che amava la calma, che per lo più, lungi dallo strepito della Capitale, e della Corte ^ desi» derava di ragionare con le Muse, o presso le onde sussurranti del fonticello di Blandnsia, o sotto le ombre taciturne del boschetto di Tiburno, avrà mostrato tutta la renitenza di accettare un tanto onore, e per disimpegnarsi dalle richieste del suo Sovrano. Sebbene adunque M. si fosse ritirato spontaneamente dai grandi affari della Corte, tuttavia Augusto continuava a rispettarlo, e a deferire in tutto, e per tutto alli suoi consigli. Ma questo rispetto, questa amicizia, questa fiducia, questa uniformità di pensieri fu sempre eguale fra l’uno, e l’altro ? Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione sembra esserci stata un’epoca di tempo, nella quale un adultero amore sconcertasse quella bella armonìa, che per tanti anni era stata fra di essi inalterabile. Terenzia moglie di M. era una donna arricchita dalla natura Sveton.Vixit plurimum in se eessururis sui Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur circa Tiburniluculum : V edi il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio « a9 tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie seducenti, che sogliono distinguere il bel sesso. Si suppone, che Augusto, il quale aveya occasione di vederla sovente, come sovente soleva vedere il marito, ne divenisse amante, e che Terenzia non fosse insensibile alli di lui teneri sentimenti. Si suppone inoltre, che la fiamma di quello si rendesse cosi vivace, che Roma ne mormorava ; che per involarsi dalle mormorazioni, e dai rimproveri de’ Romani, se ne andasse nelle Gallie, portando con se la detta Terenzia. Soggiunge Dione, che da questi amori nascesse il motivo di quella freddezza, che si ravvisò per qualche tempo tra M., ed il suo Sovrano, e che per lo stesso motivo non fosse quello lasciato da questo Prefetto di Roma, quando intraprese il sudetto viaggio. Sentiamo come parla lo Storico. Vedendo Augusto, che la sua lunga permanenza nella Capitale riusciva a molti molesta ; che se,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti altrettanti nemici ; che se doveva passare,, sotto silenzio i loro delitti, sarebbe stato costretto ad offendere esso stesso la nuova i. Costituzione, e a ledere l’osservanza delle sue leggi, stabili, ad esempio di Solone, di andare lungi dalla patria. Vi furono peio alcuni, li quali sospettavano, che egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione di Terenzia, moglie di M., affinchè, stanti ti le voci diverse, che si divulgavano pe Roma, de’ loro amori, potesse in questo viaggio vivere con essa lontano da ogni ru« more. Lasciò in qualità di Prefetto,, di Roma, e dell’ Italia Statilio Tauro, giacché Agrippa era stato inviato nella Siria, e M. era già con esso in qual*,, che disgusto per motivo della sua mo» glié (0 • Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrittore non pare abbastanza provato il fatto, di cui si parla, e che narra riguardo agli amori di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgusti di quello con M.. Imperciocché Dion.. Cu/n enim diuturna ejus in Urbe commoratio molesta multis esset, ac multos, qui contra leges deliquissent plectens offender et, multis parcens, eogeretur suas ipse leges praevaricari, pere « gre abire, Sblonis exemplo -, statuii. Fuerunt qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem, eurn discedere suspicarentur, ut quoniam multi Homae de ipsorum amore sermones per vulgus darentur, in peregrinatione sua citra om nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset. Deinde Urbis, et Italiae gubernatione Tauro injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam mite rat ; e rat autem ei M. propter Uxorem minus j am gratus. Dione non parla di questi pretesi amori, come di un fatto sicuro. Asserisce semplicemente, che alcuni sospettavano, che correvano per Roma delle Voci diverse ; ma questi sospetti, e queste voci non valgono ragionevolmente a costituire una prova tale, che non possa, nè debba credersi altrimenti ; tanto più, che 10 stesso Diohe, premette il motivo positivo, per cui Augusto volle allontanarsi da Roma. D'altronde Svetonio, Tacito, Vellejo, ed altri antichi Biografi di vaglia, hanno parlato, e scritto chi più, e chi meno della vita publica, e privata di Augusto, e niuno ha riferito, e neppure accennato li pretesi di lui amori con la moglie di M. É vero, che 11 detto Svetonio non omise di narrare, che quello non fu esente da’vizj, e che fra questi non esclude l’adulterio, ma non ha mancato di aggiungere, e di prevenire la posterità, che questi Vizj deturparono soltanto i giorni della sua prima giovinezza, e che se commise degli adulterj, non già cadeva in questo disordine per libidine, ma per discoprire, per mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li segreti de’ suoi nemici, La sua giovinezza ( scrive Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’imfamia di vari difetti . Gli stessi suoi,, amici non negano, che fosse dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo, che questa sua condotta non era l’effetto di una passione disordinata, e libidinosa, ma O 2 aia,, che lo faceva per discoprire più facilmente l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro i, mogli fi). Ora se Angusto commetteva degli adulterj, non già per libidine, ma quasi direi, per politica, e per quel punto di politica, che nelle testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò non poteva aver luogo con Terenzia moglie di M.,, sulla sperimentata fedeltà del quale non poteva quello, nè giammai aveva potuto sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce, che l’epoca di alcuni vizj del medesimo Augusto fu la prima sua gioventù, inconseguenza resta escluso quel tempo, in cui si suppone l’amorosa passione con Terenzia, ritrovandosi egli allora in età di circa anni quarantacinque fa). Meno prova ancora, che partendo perle Callie, non lasciasse Prefetto di Roma M., perchè era con esso irritato a motivo degli amori 6 udctti. Imperciocché si è di già osservato, che questo, elfettuato il novello Sistema politico della monarchia universale In Octav. Prima \uventa variar um dedecorum in/amiam subiit, >. adulterio guide in exer.cuisse, ne amici guiderà negant ; excusuntes sane, non libidine, sed ratione eommissa, guo facilius consilia adversariorum per vujusque mulieres cxquircret. (3) Dion. loc. cit. Digitized by Google n3 si ritirò dalla Corte, e da’grandi affari, nè curò impiego veruno. Si è osservato altresì, che nella nuova Costituzione dal medesimo modellata si era parlato del rimarchevole impiego di Prefetto di Roma, e si era stabilito per massima, che questo doveva essere di più lunga durata, e che dovesse addossarsi a persone di specchiata probità, e consolari. Come dunque può recar meraviglia, se Augusto allontanandosi da Roma, per andare nelle Gallie, non nominasse Prefetto di Roma Mece*« nate ? A llora quasi tutte le leggi della succennata novella Costituzione erano in una piena osservanza. Di più l’assertiva di Dione sù tal punto storico, sembra, che venga del tutto smentita da Cornelio Tacito, il quale a chiare note dichiara, Ghe Augusto per tutto il tempo dei torbidi, e delle guerre civili, lasciò sempre Prefetto di Roma, e dell'Italia M., e che dopo di essersi sollevato alla Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a coprire questa carica,, Del restai dice Tacito ) Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die, nominò alla Prefettura di Roma, e dell’Italia CajoCilnio M. dell'Ordinò de’Cavalieri. Divenuto però Sovrano asso-, x luto, addossò questo impiego a Soggetti Consolari . Il primo, che venne rivestitedi questo potere, fu Messala Corvino. ài4,. . il secondo S'tatilio Tauro quindi fu eletto Pisone (O* Dopo ciò, che cosa può addursi di più convinceute per conoscere, che se Augusto, partendo per le Gallie,non lasciò M. Prefet. todi Roma, fu per tntt'altra cagione di quella immaginata da Dione ? In quell’epoca per legge, e principio fondamentale della Costituzione, dovevano rivestirsi di tal carica persone Consolari ; M. era semplice Cavaliere Romano ; non poteva dunque esercitarla, senza ledere l’ordine, e l’integrità della Costituzione medesima ; e siccome esso stesso era sta* to Fautore della Legge, cosi quantunque Augusto lo avesse voluto decorare della Prefettura anche in tali circostanze, T averehbe francamente ricusata, come incapace di mettersi in contradizione co’suoi principi, Comunque sia però, ed ammessa ancora laveria tàdel racconto di Dione, li pretesi dissapori fra M. ed Augusto dovettero essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gustus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm equestri s Ordinis, cunctis apud Romani, atque Italiani praeposuit. Mox rerum potitus, ob magnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia, sumpsit e Coruularibus, qui coerceret serviti a .... primusque Messala Corvinus eam potestatem accepit .... Tum Tau rus Statili us. .. Dein Pis »* 1 et di poco momento, e passeggeri, sapendo da Plutarco, che quello nel giorno suo natalizio offriva sempre in dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva ogn’anno da M. in dono una Tazza nel giorno suo natalizio. Ma finalmente M. dopo aver veduto p ratticamente, che le sue fatiche, le sue ve» glie, li suoi lumi, e la sua politica avevano formata la felicità, di Koma, e dello Stato ; che il suo Padrone, o piuttosto il suo Amico era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’ Monarchi; che le sue liberalità, ed il suo zelo,e la protezione accordata alle lettere, ed ai Letterati avevano dato un favorevole impulso al progresso dello spirito umano, del genio della letteratura, e del buon gnsto, M., dissi, doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indispensabile tributo alla natura. Se è vero, se è possibile ciò che Plinio il Naturalista suppone, negli nliimi tre anni della sua vita, fu quello sottoposto ad una malattia di tal carattere, che il sonno non chiuse mai le sue luci per tutto quel non breve spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più efficaci, e potenti, che furono messi in opera Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj. Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*> tus .... a M., cum quo vitam agebat, yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram. I ài6 per giovargli, fosse costretto a vegliar sempre, ed a soffrire più sensibilmente li no)osi effetti di una febre continua, dalla quale, secondo lo stesso Autore, sembra, che fosse attaccato ('i). ' Per l’esame di questo fatto da Plinio riferito, abbiam creduto di riunire alcune riflessioni in una breve Discussione uell’Appendice dell’Opera, alla quale rimettiamo il Lettore. Intanto, proseguendo la nostra narrazione, possiamo asserire, che M. neH’nltimo periodo della sua vita fu sottoposto a delle fisiche indisposizioni, delle quali si doleva con li amici più cari, e segnatamente eoa Orazio. Questo Poeta riconoscente, e sensibile si tapinava all’eccesso della peno6y» situazione del suo amico, del suo benefattore, del suo tutto, e procurava di consolarlo con l’espressioni della più tenera amicizia, animato dal dolce, e mellifluo suono della sua Lira O Mecenate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime ornamento, e sostegno delle mie sostanze, perchè mi rattristi con le tue querele ? Non >, piace nè a me, nè agli Dei t che prima della mia debba distruggersi la tua esistenza. Ah! se la Parca crudele sarà più,, sollecita a troncare lo stame della tua vita, che è porzione della U)ia, come io potrò y, restare superstite ? Si > o mio caro M., benché tn volessi precedermi, pure insieme entreremo nel cammino dell*éternità; nè mai potranno distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera, », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»,, se tornasse sulla terra. È scritto già nel », libro de’destini, che io, il quale vissi eoa te, debba con te trapassare egualmente, c i, che un istesso giorno debba segnare il ter», mine della vita di ambedue. i. Avvicinandosi l’ultima ora della sua mortale carriera. M. fece il suo testamento, e volendo mostrare al Publico, ed alla posterir Od.. • ’ Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis amicum est t noe mihi, te priut Obire, Maecenas, mearum Grande decus, columenque rerum. Ah ! te meae sipartem anitnae rapii Maturior vis, quid moror altera, Nee carus aeque, nec superstes Integer ? Ille dies utramque Ducet ruinam. k. \ Utcumque praecedes, supremum Carpere iter comites parati. Me nec Chimaerae spiritile igneae, Nec si resurgat centimanusGyas • Divellet unquam : sic potenti Justitiae, placitumque Parcis, r tg là, .che tra esso > ed Angusto / vi era passata un'amicizia sempre eguale, e costante, o che se in qualche occasione venne alterata, non ebbe una tale alterazione, che una durata pià piomentanea di una elettrica scintilla, lo Ì6tir lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Letteralir^.i _>, Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q lo aveva cousolato, ed assistito ne'giorni della sua infermità, cosi a questo volle consagraxe, per dir cosi, Teatreme sue voci, e dare l’ultimo pegno della sua beneficenza, raccommandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti raccommando, o Cesare, Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a). ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere cur vehementem lituani M aecenatis mors Augusto afferret,quo ea e(iam accessit, quoti M. haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima quaedam, in e)us pot estate reliquie, si velie! Amicis suis quaedam. dare ._ Svet, in Vif. Ilorat. M. quantoper è eum. ( Horatium ) flilexerit, satis testatur ilio Epigrammate : Ni te visceri.bus meis, Horati, Plus \am diligo, tu tuum Soclalem N inaio videas strigosiorem, Sed multo magie extremis judiciis, tali ad Augustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto raemor. Mori conforme accennammo ancora nel Libro i., cinque anni prima dell’Era volgare, ventitré dopo la battaglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce il principio dell’Impero Romano, e nell’anno 746. della Fondazione di Roma. Egli morì senza successori. Risulta ciò chiaramente, e dal testamento di sopra accennato, e dall’ uniforme testimonianza di tutti li Biografi, che hanno di esso parlato. È sebbene ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano vissuto altri Soggetti aventi il nome diM., tuttavia non può dirsi. nè costa, che fossero discendenti di quello, e che avessero col medesimo relazione alcuna di parentela. Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un Publio M. Olimpico, di cui si conosce il solo nome, inciso in una base grande, e quadrata disotterrata in Roma presso l’Arco di SettimioSevero ; (a) parimente si conosce il solo nome di un M. Elio. Nel Regno dell’Imperatore Gordiano il giovane si vede figurare in Roma un per (0 Dion. Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vixit Publius M. Olimpicus ; ejus memoria super est Romae in basi marmorea grandi, et quadrata ad Arcum Septimii Severi effossa, v Gruter. sonaggio ragguardevole chiamalo M., conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O, e da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è involta nelle tenebre istesse, in cui trovansi e l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure congetturarsi, che avesse un qualche rapporto col nostro Cajo Cilnio M.,. J/annunzio funesto della di lui morte fu un ;l. i Curtia.j.L. Prapis Cui pars dimidiahujus / Moni menti concessa est ab Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante, allora appunto, quando Ottavio divenne assoluto monarca dell’universo. Che coija non poteva pretendere, che cosa non doveva sperare, quali posti luminosi -, quali onori, quali distinzioni ? Eppure quello, che in tutte le sue operazioni aveva per oggetto soltanto il benèssere della Patria, e la felicità de 5 suoi simili, nulla volle per sa nullà curò, e quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia de’ secoli, lo accompagnò fino alla Tomba. Amò le Lettere, che coltivò esso stesso, protesse, animò li talenti, e fù prodigo delle sue liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le scienze salissero a qual grado supremo, in cui si viddero al tempo di Augusto, fece si, che questo secondasse il suo Genio • Angusto lo secondò in fatti con tutto il calore, e con zelo, ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj, e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la prima epoca del gran’ Impero Romano, arricchirono il regno della Letteratura, e ferero tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio M. fu amato da tutto il mondo, la sua riputazione è passata fino alla più lontana posterità, ed è qaasi estesa, quanto quella dello stesso Augusto. (O Tillemont. Histojr. des Emper. Catrou Tom.i9.Lib.7. APPENDICE ALLA STORIA DI CAJO CILN10 M. t GIARDINI IN ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI DISCUSSIONE. Insiste nella Regione Esquilina dell'antica Roma un locale, in cui venivano sepolti li cadaveri delle genti plebee : Essendosi riconosciuto col progresso del tempo, che da questo luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni, nocevoli alla salubrità dell’ atmosfera, ed alla salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare, onde depurar P aere, ed adornare insieme la Città di edifizj. > 11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o perchè per antica costumanza le sepolture consistevano in pozzi, o perchè ivi si putrefacevano li cadaveri, conforme nota il Pomey “ Minutae vero plebis, mancipiorumque sepulchra extra portam Esquilinam Visebantur, quem locum. Puticulos, vel a puteis, P ti6 inquosconjiciebantur, vel a putore cadèveroni vulgo appellabant. (ij Lo stesso afferma l' erudito Alessandro Donato sull’autorità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( egli dice ) extra Urbem plebs humaretur, un3, de Populus Romanus odoris, atìt coeli gravitate laborabat,Augustus locum expnrgavit, Urbemque aedificis auxit, ornavitque, Puticuli antea locus appellatns, quod vetustismum genus sepulturae in pnteis fuerit, et, ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi cadavera putrescerent. Quivi scrivé Orazio poc’anzi solevano trasportarsi su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo esser stati rimossi dalle loro ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva la,, tomba comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,,, Conservo, vili portanda locabat in Arca ; Hoc miserae plebi stabat comune sepulchrum. Questo luogo pertanto, che formava una specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della Città, giacché era generalmente vietato di De Funeribus. De Urb. Rom. Vedi il Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris, ed H detto Pomey Satir. seppellire li cadaveri dentro le mora ; ed era destinato, come si è accennato, per la qilebe soltanto. Le tombe de’ Re, degl’ nomini illustri, e delle doane di nascita ragguardevole venivano collocate nel Campo Marzo .che stava parimenti fuori della Città, secondo la testimonianza di Appiano. e di Strabone presso il rife rito Pomey. Dopo però, che da quella Regione furono tolte le sepolture plebee. e fu nel recinto di Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose abitazioni, e vi fece ritorno 1’ amenità, e Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato ) quam amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci amoen nitatem, tectorumque frequentiam secuta E’ nota su di ciò la Legge delle XII. Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito, neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo, il quale nella cit. Dissertazione ne farla con critica, ed erudizione. C 2 ) Loc. cit. : Locas ad sepulturam o rnatissimus extra Urbem fuit Campus Martius, Appiano teste, qui scribit, selos ibi Regcs, horninesque illustrissimo sepelùi consuevisse, non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime sacrum ac venerabile m, ideoque pracstantissi morum virorum, ac joeminarum monumenta ili fuisse collocata. P 2 est nova coeli salubri'tas .( i) .Ora poi ( sogli giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es« quiiina sono state rimossfe le tombe, hè più si osservano sii di un infontie campagna ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,, ameno diporto sotto un cielo salubre. m Nunc licet Esquiliis habitare salubribus, atque Aggere in aprico spatiari, quo modo tristes Albisinformem spectabant ossibus agrum(a ) Porzione di quel terreno fu donato da Augusto, mediante anche un decreto del Senato, al suo M., il quale vi fece sorgere in seguito quc deliziosi Giardini, la di cui celebrità è giunta fino a noi, secondo la testimonianza del Marliani,del riferito Minatolo,e di Samuele Pitisco Cum igitur ( dice questo ), tem. Abbiamo osservato nella Storia di M., che esso fu il primo ad introdurre in Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo incontrastabile,che li suoi Giardini, e la grandiosa Abitazione in essi esistente, e di cui si parlerà fra poco, dovessero contenere tutti Art. Hort. M. Lib.4.. a3i gliagj, che sa immaginare l'umano raffinamento, e la voluttà, cosi non sembra fuori di probabilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi Bagni, eihequivi ne facesse sperimentare li primi vantaggi, prima} Jamdudum apùd me est. Eripe temorae. Fastidiosam desere copiam, et », Molem prepinquam nubibus arduis : 0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque - Romae. Il Palazzo, o la Tórre di M. esisteva tuttora ai tempi di Nerone. Questo folle, ed insensato Monarca, dopo aver dato l'ordine ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta Città del Mondò,' alla Sede del suo Impero, non fece in essa ritorno, se non quando, fu prevenuto, che 1’incendio si avvicinava alla sua Regia, che era stata dal medesimo ampliata fino al Palatino, ed alti Giardini di M.. Nero, scrive Tacito, non ante in Urbetn regressus est, quam domiti ejus, qua Pala V Eib.3. Od.ao.» tinnii et Maecenatis hortos continuaverat, ignis appropinqnaret. Rientrato quel Tiranno in Roma, sen’ corre ai Giardini di M., e sale nel luogo più eminente della Torre sopradetta. Quivi rimira con occhio insensibile, e truce’ii vortici delle fiamme, .che distruggono la sua Capitale, ed ascolta a sangue freddo li gemiti, e le strida degl’ infelici abitanti, che periscono. Allora compiacendosi dello spettacolo a• C l ) Il Pitisco, fondato su di un passo di Tacito, mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e dagli altri riferiti Autori. Egli suppone, ebe, secondo il detto Annalista, venissero distrutte dalle fiamme e il Palazzo di Nerone, e la Casa di M., e li Giardini, e il Palatino, e tutt’altro, che intorno a questi luoghi esisteva, cosicché in tal c$so non avrebbe potuto quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla Torre Mecenaziana. Neronem ex Torri M. prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera pene verbis repetunt P.Diaconus &c. Tacitus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq is tantum, sed domum etiam ipsam M.,, tis, et hortos, et Palatium, et cuncta circum » l°ca eodem momento a Neronis incendiario,, igne,sed ipso absente,hausta commemorala) Non sembra però che Tacito accenni la di Loc.cit. Art. Turris M.. •trazione delli Giardini di M,, e suo Palazzo annesso ; racconta semplicemente, che quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ incendio si avvicinavano alla sua Casa fece ri-» torno in Roma; che non ostante, la rapidità di quelle non potè ritardarsi, e fu distrutta anche la sna Casa, e tuttoció, che vi stava intorno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Nero Antii agens, non aute in Urbem re» gressus est, quam domili ejus, qua Palatium, etMaecenatis hortos contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati jjotuit, quin et Palatium, et Domus, et cuncta circuiti haurirentur.Qui si parla del Palatino, e del Palazzo di Ne» rone, e con l’espressioni, cuncta circuru haurirentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la magnifica Abitazione, e li Giardini di M. erano, come si è detto, nell’Esquilino, e benché confinassero con la Casa Neroniana, tuttavia pare, che non possa con sicurezza dedursi, che contemporaneamente all’ incendio di questa venia» serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan» nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in contradizione l’autorità rispettabile del detto Annalista con quella egualmente rispettabile dello Scrittore delle Vite de’ primi dodici Imperadori ; tanto più che anche quello accenna il Annal lib.i5. cap.àq. fatto narrato da questo, come si vede nel tev sto seguente: Sed solatinm Populo exturba-,, to, et profugo Campum Martis, et monuraeti-,, taAgrippae, hortos qnin etiam suos patefecit. . pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam popola ri a in irritino cade-,, bant, quia pervascrat rumor, ipso tempore,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam scenam, et cecinisse Trojanum excidium. Giacomo Lauro ammettendo, che la Torre, cd il Palazzo di M. fosse una stessa cosa, ne fa una elegante descrizione, dicendo, che era un meravglioso lavoro ripartito in quattro Piani l’nnoall'altro superiore, sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico ancora, che la sommità della Fabbrica termina' va in un Teatro, dal quale non solo poteva godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini, ma eziandio l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale del mondo. Non piace però al riferito Pitisco il sentimento del Lauro, e degl’altri, che pensano come questo, supponendo, che non vi siano prove confacenti “ Sunt qui, dice il Pitisco, inter quos Jacobns Lanrus qui Domunì Maecenatis cum Tnrri uuam, eamdemque faciunt. Fuisse enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum, V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus, ^ una super alte.an. in altum ad motomTur ris excrescentibus, c«,us fast,g ; um dearne bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«, non tantum in hortorum amoemtatem, tonus Urbis amplitudine®. Atqne et.am m, e am formam aLauro depingitur. Verno un’ de illi haec habeant, me quidemlatet .( i j ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle Romane antichità dubita della realtà d, ciò che asserisce il Lauró relativamente alla materia struttura dell’abitazione di M., si pi forse con esso andare d'accordo, ma se p. de che la Torre, e la detta Abitazione fos due fabbriche diflerenti,pareche voglia opporsi alla comune Opinione, ed ancheall autori a sopra accennata di Orazio. In fatti nói t tede» 2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a» De di MecenUe, e facendo uso dell espiessiom, ora di alta doma, ora di molem F c pinquam nw*ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e conoscere, che l’altezza di M»clla era a gntsa di Torre sublime, che si avvicinava alle nubi 1, M. Tnrris Maecenatiana ("dièc quello) cognominata est, vel maxime halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata. .. quaedam vestigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui asserunt. Questi avanzi, secondo il Pitisco, sono da alcuni ravvisati, in qnel monumento antico chiamato Torre Mesa, che si trova scendendo per quella parte del Quirinale, che risguarda il Foro di Nerva„Hoc scio, descenu3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner», vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et rudera etiam none monstrari; quam T*>rre Meta Romani vocant, et partem domus, sive i, Turris Maecenatianae fnisse volunt. Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi intiera, e che per sincope era chiamata Mesa in vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in quella contrada, in cui si vedeva, era fama costante, che quella fosse la Torre esistente ne’ Giardini di M., e sulla quale Nerone rimirò l' incendio di Roma ; Ecco le parole del lodato Biondo : “ Eadem in Esquiliarum paru te, qua ex eo monte prospectU6 est in depressam Urbis partem, Hortorum Maecenatis visuntur reliquide Extatque pene integra Tnrris, ex qua Svetonins Tranquilla Net, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et . .o t, in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim vulgo nnnc vèrbo. .. syncopato Mesam prò Maecenatianàm appellant. .. Nec est,, in ea Regione foemelia, quae quid fuerint il lae ingente* ruinae interrogata, non dicat, eam fuisse Turrim, ex qua Nero crudelis Urbem incendio flagrantem, ridcns, gaudensque spettavi t. Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono di avviso, che il Biondo, e li suoi seguaci abbiano su di ciò preso un equivoco EQUIVOCO GRICE ; giacché la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esquilino, ma piuttosto nel Quirinale. Aggiungono inoltre, che le vestigia di quell’ antico monumento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedicato al Sole dall' itrperarore Aureliano, o di una Curia, o piccolo Senato fabbricato sul Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì egli fece presedere la sua Ava chiamata Mesa, e la sua Madre Saemi ; conforme risulta da Lampridio nella vita del detto Monarca ; dice di più il Donato, che nello stesso luogo potevano esservi ancora, e la Curia succennata, ed il Tempio del Sole in torta delle congetture, di cm égli fa uso, ragionando in tal guisa In hortis Coiumnensibus marmorei ae~ dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira* ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu>, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo. dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem,, templi Solis pronunriant, qnod ab Ameliano, auctorc Flavio Vopisco, extructum est ad eam formam, quam viderat in Oriente Quid si aedificium illud partera Senaculi, seu Curiae dicerem, quam Ilcliogabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad conventus habendos, quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis praesiderent ? Quod duplici conjectura elicitur. Alteram praebet nomen. Maesa enim dicebatur, ut avia Heliogabali. Alteram ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic eain nobis linea vit, ut domicilii piane figurara descripserit freqnentibus scalis, aulis, peristylis, ac porticibus. •. Palladius >, autem. .. practer alias aedificii partes, in templi quoque formam descripsit amplissimi, magnisque columnationibus insiguis. Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum. Nell’ ameno diporto de’ sudetti Giardini, e della grandiosa Abitazione Augusto sovente soleva portarsi a visitare il suo amico M., ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno, e dall’ altro beneficati, e protetti facevano sentire il dolce suono della loro Cetra Celebrati sunt dice il Giraldi j M, hortiinEsquiliis, quo loco cum Caes.ire versari frequen / Lee. cit. lib.3. capa 5. Diaitizec I i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc Poetae conveniebant. Lo stesso dice Pietro Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini al cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece»> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi versari interdum consnevit, deque liberalibns,> discipliiiis serriionem habere cum amicis suis. Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa»> vius propter loci amoenitatem, velut qui »> animarti libertini haberet a cnris in eo quietis secessi!. Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi un Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata da M. al Dio Priapo. Li Poeti, che frequentavano quel luogo, come si è accenuato, solevano scrivere sulle pareti di essó Tempietto de’ versi scherzevoli, ma poco purgati. La raccolta di questi diede luogo a quel libro intitolato la Priapeja dato alla luce dal Giraldi, e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi>» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio extructtim, et dedicatimi. Poetae, qui Maet, cenateci suum quotrdie visebant, versicu» los aliquot jocosos in Sacelli parietibus notarunt, et hosPriapejorum nomine in unum collegit libellum, et vulgavit .... Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri -. Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum, quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio adscri*» bunt ; quamquam Verosimilius est, multorum id opus esse ob argumenti similitudinem unum in volumen conjunctum. Su tale articolo potranno aversi maggiori schiarimenti e presso il lodato Giraldi, e pres« 80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati. fi) Loc. cit. (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja, VILLA IN TIVOLI DI M.: DISCUSSIONE IL solo M. possedeva li deliziosi giardini, e la magnifica abitazione sull’Esquilino, onde sollevarsi dalle cure del Governi? insieme con il suo Cesare Angusto, e bearsi colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti, é de’ Letterati, ma eziahdio per lo stesso oggetto egli aveva fatto edificare sulle sponde dell' Aniene una Villa maestosa, ed elegante. La celebrità di questa è ornai nota a tutte le colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero, perché ne hanno parlato, e scritto infiniti Scrittori, e se ne legge la memoria in tutti lì Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico, e pensante. Infatti Lilio Giraldi, Francesco Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio del Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio: Zappi, Pirro Ligorio, Atanasio Kirker, ed a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re (2)> e Marquez f 3 ), non che altri Autori ezian Lat. vet. Ville di Tivoli Illustrazioni della Villa di M. ià Tivoli. et dio di materie antiquarie hanno costantemente asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di M. in quel luogo, che si accenna, e descrive dai sullodati Volpi, del Re, e Marquez, e sul quale tuttora si scorgono con ammirazione le immènse reliquie della medesima. Il primo ammirabile oggetto ( scrive il Volpi ) che si presenta allo sguardo del Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole superba di quel CajoCilnio M. Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fido consigliere di Augusto, il quale superò t, molti Re in potenza, cd in ricchezza. Que>> sta Yilla per concorde testimonianza di tutti li Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’ inalzava presso la detta Città sulla sponda ministra dell’Aniene. .. così costantemente hanno asserito Lilio Giraldi e tutti gl’ altri, che descrissero le maestose reliquie di quell’antichissimo Edifido ; ciò poi, che deve sorpassare Lauto>, revole usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e fama, per cui si è in ogni tempo creduto fra liTiburtini, chepresso le mura della loro Città fp I4 Vili# d» M. J ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omnium sete Tybur adeuntibus admirandum, ve jtigandumque offerf ingcntis molis Villa M., scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu omesso per rendere questa Vili* vaga insieme, e grandiosa. L’oggetto più caro il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati, non fu preterito, e però vedeansi jn essa amene passeggiate, e portici deliziosi, ove si riunivano li Dotti, che mercè l’ illimitata protezione di M., nel seno; del silenzio, della calma, e di tutti gl’agj, travagliavano indefessamente per il progresso dello spirito umano nelle arti, e nelle scienze Quivi, come in un altro Parnaso, in un;altra Accademia, in un altro Peripato, in un altro Liceo, Filosofi, Istorici, Poeti, ed Oratori discutendo, perorando, e meditando, procuravano di compiacere al loro munificentissimo Protetto tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari amicissimi, fidclissimique consiliarii, quiqìie Reges permultos non solum aequavit, sed etiam. amecelluit opibus, et potcnìia. Haec concordi omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S criptorum testimonio, ad ipsum Tibur fuit in sinistra Anienis ripa. .. ‘ Ita LiPius Giraldus. .. aliique omnes, qui ingentia Aedi fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc fràgmenta, et rudero niemorapcrunt, a ut descripscrunt unanimitcr, atque constantcr M. hanc V illam Tibur tem nominaverunt; quodquc ipsos etiam scriptores auctoritate vincere debet vetustissima, a majoribus per ma nus tradita fama id nobis affirmat .yt, e cosi per impulso del genio benefico di questo recavano servizj inesplicabili al genere umano, e travagliavano per la sua civilizzazione. Il Cenni dopo aver parlato de’giardini di M. in Roma, non manca di parlare eziandio con stupore della villa del medesimo in Tivoli. Nè solamente in Roma, dice quello, ha M. le sue delizie, ma per non goder sempre mai la villa negrOrti, che egli ha, le ampliò fuori di quella ancora, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa. Quivi fabbrica egli una città più che una villa, palesandola tale fin'oggi le superbe reliquie, e le rovinose grandezze della medesima, e quivi parimenti nel ritifo, che facevano dallo strepito cittadino, trovavano 3, il loro riposo le muse romane. Il Patisco, benché ne parla compendiosamente, pure la chiama villa ripiena d’ogni sorte di de» Volpi: Atque hue litteratorum homìnum congregatas polissi mum erudita s Catervas sub M. patrocinio ac tutela philosophorum, inquam, oratorum, historicorum, ac omnium maxime poetarum turmas, ad dìssercndum }recitandum, fabulandum, meditandum edam, atque otianr dum animi ergo in Parnaso voluti quodam, auC Portico, aut Peripato, Accademia, voi Lyceo LIZIO. fa) Vit. di M. libra lizie, opera meravigliosa, e che per la vastità della sua mole non cede ad alcun altra fabbrica de’romani. Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore magnifico di M. il rimunerare li dotti coll’uso soltanto di quegl’agj, che si rinvenivano o ne’suoi giardini di Roma, o nella villa di Tivoli: la sua generosità si estende molto più oltre; soleva bastantemente provederli di tutto il bisognevole, come è noto, e conforme abbiamo dimostrato nella storia, e perciò presso la detta villa di Tivoli, o nelle sue vicinanze li poeti ad esso più cari possedevano casini di campagna, deliziose villette, e possessioni ragguardevoli; e queste proprietà si acquistavano da quelr Lexic. Antiq. art. Villa i Villa M. in ultimo Tyburtinae Urbis Clivio, omnium deliciarum genere conferta, ab ilio est extructa. opus sane admir abile, quod sane vasta sua mole nulli ex romanorum fabricis cedit. Pet. Crinit. de Poet. Lat. rap..: Vubgatum est de M. quantum Litteris, ac litteratis omnibus faverit, cum in urbe unus hic potissimum haberetur, ad quem poetae omnes, atque oratores, ve/ut ad certam anchoram, per/ugiuni sibi haberent; itaque ab eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -, nf ribus amplissimi honestati. li mercè la liberalità del medesimo, onde avvalorare sempre piòli talenti poetici di Orazio, di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di essi potesse vivere contento anche quando esso non poteva trattenerli sotto l’ombra de’portici maestosi della sua villa. Inoltre possedendo que’poeti delle proprietà in Tivoli, mentre M. vi possede la villa grandiosa, più spesso, e più agevolmente poteva egli vederli, e più volentieri abbandonavano lo strepito fragoroso della capitale per passare giorni quieti, p delle ore pacifiche nella calma de’loro deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno perpetuo delle muse e di Febo. Che ORAZIO (vedasi) ha un casino di campagna in Tivoli quasi di fronte alla villa di M., non può mettersi in questione, e benché Sanctis ponga in dubbio l’esistenza.in Tivoli di una villa spettante a quel poeta, tuttavia conviene, che questo vi avesse una casa di campagna, nella quale egli vagheggia l’antro muscoso della risonante Albunea, le onde dell’Aniene, che si precipitano dall’ alto delle rupi. 1 ! ombroso boschetto di Tiburno, li giardini irrigati dalla molle attività di scherzevoli ruscelletti, nella quale desidera arden- Dissert. sulla villa di Orazio. Ode 7. lib. 1. a5a temente di finire i suoi giorni. Essendo; pertanto dimostrato per confessione ancora delio stesso Orazio, come si è veduto nella storia che esso era stato arricchirto da M., sembra del totto chiaro, che la liberalità di questo gli procacciassero il j Me nec tam patiens Lacedacmon, Ncc tam Larìssae percussit campus opimae, Quam dora us Albuncae resonantis, Et praeeeps Andò, et T iburni lucus, et uda Mobilibus pomaria riyis. Od. Tybur, A rgeo positum colono, Sit mene sedei ut in am. senectae ! Sit modus lasso marie ì et viarum, Militiaeque ! i lite terrarum mihi praetedomnes Angulus ridet, ubi non Hymetto Mella decedunt, viridique ccrtat Bacca Venafro j V er ubi longum, tepidasque praebet Jupiter brumai; et amicus Aulon, Fertili s Baccho, minimum Falernis ' InvidetUvis. t Ille te mecum locus, et beatae Postulant arces ; ibi tu calentem Debita sparger lacryma favillarli \ Vatis amici. possesso del surriferito Casino di Campagna in Tivoli. Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de’scrittori delle Antichità Tiburtine ne ha fatto menzione ; ciò non ostante si rileva dai scritti di questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli la sua Amorosa, dalla quale ricevè nella mezza notte unà Ietterà, in etti lo invitava a portarsi in detta Città 1 Quando il carro di Boote, dice Properzio, era giunto nel mezzo della sua carriera ricevo una lettera dalla » mia Bella, che mi ordinava di portarmi all’ istante presso di essa ; la lettera veniva daTivoli, ove le biancheggianti vette fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda dell’Aniene siprecipita in ampie lagtJne. In altro luogo poi il Poeta facendo la descrizione patetica di un sogno, finge di vedere, che Cinzia sia morta, tal’ era il nome della sua Bella. Fa parlare l'ombra di Lib.S. Eleg.i 3. Nox media, et Dominac mihi venit epistole^ mstraej Tybure me mista jussit adesse mora; Candida qua geminas ostendunt culmina turres, Etcadit in patulos lympha Anima lacus. Il vero nome della donna Tiburtina amata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da' a5a questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-, polcro sia scolpita una funebre iscrizione, che essa stessagli detta “ La dove il potnifero A„,nieue parla Cinzia scorce placidamente per le tqrtuose campagne, e dove,1’ avorio giammai impallidisce mercè la potenza del Dio Ercole scrivi nel m ezz P di nna COLONNA, questa epigrafe degna di me che possa leggere il passeggero. Qui giace la bella Cinzia sepolta nel suolo Tiburtiuo Apulejo presso il Crinito nella vita di questo, Poeta :j Sextus Aurelius Propertius, dice Crinito. M., e Tacito maxime acceptus fait. Cum i(i Elegiis, ut inquit Plinius, forct egre gius. Libros quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus fere suos calarti, et Mosti ae laude m, et formam celebrai ; nam in pucllam Hostiam miro qui dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut est auctor L. Apule] us, Cyntiam appellare maluit. Corre la voce a tempi di Properzio, ed uriche posteriormente, cirriforme si rileva, da Silio Italico, c da Marziale, che l’uria T iburtina somministrava alle cose ur\a bianchezza potentissima. Properzio ripete questo privilegio da Ercole divinità tutelare dal Paese, e che era in special maniera venerato in quella Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accennata Elegia di Properzio alle parole : polle? I N aì>3 la sùa tomba, o Amene, accrébbe decoro J, alla tua fertile sponda . Se io volessi ricavare da queste espressioni di Properzio resistenza di una sua Villa in Tivoli mostrerei forse troppa prevenzione per il Suolo, che mi diede i natali ; ma essendo cer-« to, che quello aveva la sua Amorosa ih quella Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio, e che godeva il favore del benefico M., sembra non 'affatto inverisimile, che anch'esso avesse, o qualche cosa di campagna, o qualche altra possessione presso la Villa del sudetto M., frutto, e risultato della beneficenza del medesimo. i tbur ; parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~ num dicebatur rebus praestare candorém pòtentissimum e bori, unde ait Silius: Tyburit dura pascit ebur : Et Martialis, T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris Omnia dum fieri candida credit ibi. Hoc fieri Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V bur enim Herculi dicatum, et Herculeum cognohtindtur. Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis. Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur', Hoc carmen media dignum me scribe columna, Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar, Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra, Accessit ripae, laus, Aniene, tuac. I I a$4 Se è certo, che Orazio, se non è improbabile, che Properzio avessero nel Territorio di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di M. una qualche possessione, non è fuor di credenza, che il Principe de’ Poeti Latini vi possedesse anch’ esso un luogo di delizioso soggiorno. Li Scrittori delle cose Tiburtine hanno serbato su di ciò un profondo silenzio > ed il solo Volpi accenna, ma dubitando, una tal circostanza. Sapendo però quanto M. stima sse, proteggesse, e beneficasse non meno quel grande Poeta, si può, e forse con non debole fondamento asserire, che questo eziandio possedeva presso la Villa del suo Benefattore o qualche abitazione di piacevole permanenza > o qualche altra possessione. Infatti, se Orazio era stato arricchito da M.^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo dalla beneficenza di questo,cbe cosa dovrà dirsi di Virgilio, che in meriti letterarj non er? certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm Vetuslib. Villani in Ty burle habuisse Virgiliani, suut qui putant, Villae proximam M.; eum tamen neque locum de s igne ni, nec ullus hoc Auctor scripsit, quod quidem perlegcrim, 1 neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef fulgeat, id asseverare nonausim. ] aveva dedicato a M. il suo dotto, ed elegate poema sulla coltivazione? Di poi non mancano congetture di qualche rilievo per credere ciò, che finora si è detto riguardo alla Villa di Virgilio. L’Ughelli riporta un Diploma, estratto da un Codice manoscritto della Biblioteca del Card» Francesco Barberini, la di cui antichità non è stata finora contradetta. Questo Diploma è legittimo, ed in esso il Vescovo di Tivoli Uberto è confermato nel possesso di tutti li suoi beni, che possedeva nel Territorio di quella Città, e frà gli altri fondi si fa menzione della possessione Virgiliana : Fundus Licerana, Picianus, 'Galliopini, Vicianus, Virgilianus. ’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. . : Pùblius Virgilius adhunc Maecena tetri libros suos misit, qui Georgica inscribuntur, absolutissimum omnium opus, quae in eo genere composita unquam ab alio fuerint. Ughelli Ital. Sag. Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit temporibus Martini Papae?. Ab eodem Pontifice omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac Tyburtinac concessa, hoc diplomate revocati meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS. Cod. Biblioth. Card. Francisci Barberini. .che quella anticamente spettava al Poeta Virgilio, e che vi era stata qualche Villa di sua pertinenza 7 Difatti quante contrade del Territorio di Tivoli sono anche oggi denominate, Pisone, Cardano, Paterno ec. dai nomi di quegli antichi Romani, che quivi ebbero del- le Ville, e la verità delle quali non può recar- si in dubbio dopo lo scoprimento di monumenti irrefragabili, e. sicuri? Se la località di quel fondo Virgiliano non si fosse smarrita nella notte del tempo, forse agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb- bero sfuggiti li mezzi, onde verificàre la semplice tradizione •, e coll’ ajuto de' scavi i e coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o altra reliquia di antichità, si sarebbe potuto conoscere il sito, ove esisteva, ed anche la qualità del medesimo ; e non accade così di Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae vetustate consumpta renovantur temporibus D. Martini Sum. Pont. Potitific. ejus scilicet an, g., Sugerentc Hucberto Tyburtinae Eccle- siae peccatore, ethumili Episcopo. Clausura universa. .. Fundus Li cerata, Pidanus, Calliopi/ti, Vicianus, Virgilianus. lion poche altre Ville, la di cui memoriaper lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto il velo della tradizione? Nè la forza delle addotte riflessioni, e congetture può essere scemata dal silenzio di tutti li Scrittori Tiburtini, e segnatamente de' più moderni Cabrai, e del Re; conciosiachè è certo altronde, che tanto questi, che gl’altri omisero di accennare -, che Plinio il giovane ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato, che anche una Villa di quell* esimio Scrittore abbelli il territorio di questa Città. Egli ne parla espressamente scrivendo al suo amico A- pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’ altra Villa, che possedeva in Toscana.,, Ecco le ragioni, dice Plinio, perchè io antepongo la mia Villa Toscana alle altre, che '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli, ed inPre-,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj 5, vi si gode un ozio maggiore, più abbondan- te, e però più sicuro, e con meno disturbi kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga; >, non vi è chi venga a chiamarci, e a invitarci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con pace, e quiete. Torniamo alla Villa di M.. CO Ville di Tivoli Plin. Epist. : ffabes causas cur ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ; Praenestinisque meis praeponam ; narri super R a 5 S È noto, che il sullodato Poeta Virgilio credendo, che la sua Eneide fosse un lavoro imperfetto lasciò per testamento, che venis- se consegnato alle fiamme, e che Tucca, e Va- rio suoi amici fossero nominati dal medesimo esecutóri di questa sua ultima volontà, conforme hanno lasciato scritto Gellio, Macrobio, e Plinio presso il Volpi. Augusto non permise, che si dasse esecu- zione agl’ ordini di tal natura, senza prima meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio, e nella calma tranquilla della Villa di M., quivi, previo un esame ma- turo sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo Il pensiero di Lilio GiraWi, seguito dal Volpi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen- tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse sopravvivere, e trasmettersi alla posterità; illa, qua e retuli, altius ibi otium, et pin- guius, eoque securius ; nulla necessitate togae i nemo arcessitor ex proxima ; placida omnia, et quiescentia: Vedi Marquez Ville di Plinio Porro eam deliberai io n em in hac Villa M. Tyburte su- sceptam ab iis ( Tucca, e Vario ) cor am Au- gusto putat Lilius Gir aldi. conforme frà gli altri riferiscono Plinio, e Sulpicio Cartaginese. Non è fuori di probabilità, che M. mo- risse in questa sua Villa di Tivoli. Egli aveva qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire an- cora una permanenza non interrotta negl' an- ni estremi segnatamente della sua esistenza; e perciò sembra, che abbia voluto esalare l’ul- timo respiro, dove aveva trovato le sue deli- zie, la sua pace, e il suo sollievo nell' ultimo periodo della sua brillante carriera. Augusto erede di quello, come si è detto, ereditò an- cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per cui posteriormente fu chiamata Villa di Cesare Augusto, conforme accenna il Kirker, è dopo di esso il Pitisco E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che M. prima di morire i- 3, stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo,, stesso Augusto,al quale nella medesima aveva per tanti anni esibita la sua ospitalità, per,, cui posteriormente, ed anche fino al pre-PLINIO (vedasi): Divus Augustus carmina Virgilii cremati con tra testamenti ejus verecundiam vetu.it. J usserat haec rapidis aboleri carmina flammis Virgilius, Phrygium quae cecinere ducem. Tucca vetat, Variai simili, tu, maxime Caesar, Non sinis, et Latiae consulis historiae. Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1. R 2 ! o sente giorno si chiama Villa di Cesare Augnasto. Potrebbe ora darsene una descrizione to- pografica, ma su di ciò si farebbe un lavoro del tutto superfluo, nè potrebbe dirsi di van- taggio i nè meglio parlare di quello, che h an- no detto, e parlato li succennati Pitisco, Cabrai, e recentemente Marquez nella sovra- indicata Dissertazione. Se questo valente Scrit- tore aveva dato saggi commendevoli delle sue cognizioni, e del suo criterio nelle opere a quella antecedenti, e segnatamente nel Libro sulle Ville di Plinio il Giovane, e nell'altro sulle Case di Città degli antichi Romani ; nel- le Illustrazioni sulla Villa di M. ha fatto conoscere la penetrante oculatezza del suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le noti- zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es- se Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa : M. moritu - rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in hac Villa recepisset, eumdem Villac haeredem constituisse fertur, ut proinde vel ex hocco - pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti C cesar is in hutic diem appclletur. s'6t FEBRE PERPETUA » febris est, sicut Cajo M. . Eidem triennio supremo nullo horae momento contigit somnus . L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio ci previene, che Schenk nelle sue mediche Osservazioni riporta varii esempj d’ Individui, che non viddero il sonno per lo spazio di quattordici mesi, .ed anche per un intero decennio. In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr- ZT 'a 6 Non è mio scopo di esaminare, se cosi lunghe veglie possano darsi in natura, come ancora se possa un mortale vivere gran tempo con la compagnia disgustosa di una febre continua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la materia esclusiva di que’ Dotti, che sono nell' arte medica versati, e perciò io mi tratterrò nel vedere, se quel Cajo M., di cui par- la Plinio, è M., di cui si è scritta la Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà se sussista la realtà di quella febre perpetua:, e della pretesa veglia triennale. Crinito afferma non esser certo, che il M. allegato da Plinio sia quel Mecena- te Consiglierò, Favorito, ed Amico di Augusto. Notatum est a Plinio ( dice quello ) in- j, ter mirifica Naturae officia eum M. nnmqnam horae momento dormisse per totum trieimium ante obitum, sed hoc non piane compertum est, an referendum sit ad,, alterum M. Al contrario Cenni è di opposto sentimen- to, ed impugna il Crinito in questi termini:,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo dubbio parmi senza ragione. Da Plinio si,, parla del nostro, e non di altri M. decim, qui decennio Coto somnum non viderint Jo.Schenkius Observat. Medie, lib. i. pag. p3. De Poet. lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è possibile t che questo soltanto ayes-; se la notizia cosi precisa di questi fatti, e che ’ o • (i^Lib.a.Art,t>$ la medesima sfuggisse a Vellejo, e a Cornelio Tacito contemporanei di esso Plinio, e s’igno- rasse da Svetonio, da Appiano, e da Dione, che vissero, e publicarono le loro Storie nel secolo posteriore all’esistenza di quel Natura- lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali, opera critica, ed erudita, non omette di parlare di molte qualità personali di Cajo M., delle quali si è fatto già menzione, e serba un profondo silenzio sulla febre perpe- tua, e sulla veglia triennale, di cui si parla. Lo stesso deve dirsi di Seneca. Egli mormora spesse volte, aguzza la lingua nelle sue Opere sulla condotta del Consiglierò di Angusto, ne critica il lusso, le ricche abitazioni, le squisi- te mense ec., ma benché sia contemporaneo di Plinio nulla dice di preciso sul fatto contro- verso. Ma si supponga, che il M. accenna- to da quello sia il M., che è l’oggetto delle nostre storiche ricerche . Sussisterà in questa ipotesi quella febre continua, e quella veglia triennale ? Pareva incredibile al lodato Giraldi questa veglia triennale, e peno- sa del nostro M., e non ne sarebbe giammai restato persuaso, se la sua credulità non fosse stata sorpresa da un’ altro fatto più stravagante s riferito da Olimpiodoro Alessandri-, no, ij quale suppone, che un Uomo vivesse senza mai dormire, pascendosi di sola aria, o di luce. Quindi io giudico ( scrive il ?6q,, raldi ), che proveniése a M. quella è- sica indisposizione di non aver potuto dormir »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi i, sembrava quasi incredibile prima che leggessi in Olimpiodoro Alessandrina che « nn Uomo visse senza mai dormire, pascen- dosi di solo aere solare, ed in conferma di tale portento cita quello l’autorità di Aristatele. Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono d avviso, che Seneca abbia parlato della sudet- ta veglia triennale di M., allorquando fauna specie di parallello frà questo, ed il celebre Attilio Regolo Veniamo ora ( dice » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn- »> na gli nocqne quando egli diede quel grande argomento di fedeltà, e di pazienza? Trapassano li chiodi la sua cute, dovun- y, que rivolge, ed inclina le sue membra affaticate incontra una ferita, e le sue luci sono aperte ad una veglia perpetua . Cre- : Mine illi (M.) existimo cantigisse, c/uod a Plinio scribitur, ut per triennium non dormieril, id quod ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim- piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commentario legissem, hominem insomnem vixisse, qui solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo Aristotelem citai., di tu, che sia più fortunato M., il quale divorato dagl’amori, c da replicati », ripudj della ricalcitrante consorte, si pro-,, caccia il sonno mercé l’armonia de’ musi- si cali istromenti, che da lungi echeggiano, soavemente? Ma benché egli prenda sonno colla forza del vino, scuota, ed inganni il suo animo col mormorio dell’acque cadenti, e con mille altri generi di piaceri, tnttavia veglierà nelle piume, come Attilio, Regolo nella croce . (Non si comprende però come Seneca in que- sto luogo voglia indicare la pretesa veglia tri- ennale di M., giacché la sostanza dei suo discorso si è che questo, essendo vessato dall’ amore sconcio, e dal carattere inquieto De Provid. Veniamus ad Re- gulum : quid illi fortuna nocuit, quod illud documentimi j Idei, documentimi patientiae fetic ? Figunt cutem davi, et quocumque fatigatum corpus reclinai, vulneri incumbit, et in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos, bui amoribus anxio, et morosae Uxoris quoti- diana repudia deflenti, somnus per symphoniarum caritum a longinquo lene resonanlium quaeritur ? Mero se licei sopiat, et fragori- bus aquarum avocet, et mille voluptatibus mentem anxiam fallat, tam 'vigilabit in piu- ma, quam ilio in croce di Terenzia stia moglie, che egli arnav^ perdutamente, procura di sollevarsi con il vino, con lo strepito piacevole delle acque cadenti dalle rupi, e con altri mezzi capaci a discacciare, o mitigare la noja dello spirito ; aggiunge inoltre, che ad onta di tut- to questo, M. non trovava sollievo, come Attilio Regolo tormentato dalla barbarie degli Africani nella botte guarnita di punte di ferro. É’ pur troppo vero, che una moglie fornita di un Carattere infedele, caparbio, ed incostante potrà tenere in grandi inquietezze un onesto marito, dal quale è amata, manonpare verisimile, nè credibile, che tali inquietezze possano giungere fino al grado di cagio- nare una veglia non interrotta di più anni. Perciò si può convenire nella supposiziqne di [Girald. loc. cit. Porro Terentiam Maccenas miro amore deperiti } .ut Acron, et Porphirion tradidere. Cantei, Not. ad Valer. Max. lib.l. de Relig. Dir is sane suppliciis crucactus est Attilius : primum quidem, et id tantum cibi datum est, un de vitam aegre su- stentaret, et adductus Ltiphas, a quo territus nec animo, nec corpore conquiesceret : tum, praecisis palpebris ne connivere posset, solis radiis'objectus est : in dolio denique inclusus praefixo davi culti, quorum acuti it misere lacerai us inceriti, Seneca riguardo alla' sùdetta Terenzia moglie di M.; si può convenire, che ella sarà stata di Un umore capriccioso, ed indocile ; che M. ne avrà provati disgusti, ed amarezze, e che per discacciarle lóntand dal suo spirito filosofico, avrà profittato di tutte le possibili risorse ; non si può però ragione- volmente, e giustamente conchiudere, che per tal motivo non potesse procacciarsi il sonno per il non breve intervallo di un intero trien- nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere, come Seneca abbia nel citato luogo voluto si- gnificare ciò, che Plinio ha riferito sulla pre- tesa veglia triennale del nostro M. i Passiamo alla febre perpetua. La febre è annoverata fra li pallidi morbi > che affliggono miseramente la specie umana. Quell' individuo, che da una febre viene mo- lestato, e da febre di tal carattere, che non abbandona giammai il povero paziente, è impossibile, che possa agire con energia, e trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si è detto nel decorso della Storia del nostro M., risulta pienamente, che egli fin dall’ età più verde incominciò a prestare i suoi servigi ad Ottavio Augusto prima del Triumvira- to, fin dopo inalzato al Trono. Si è rimarcato, che iu tutto questo tempo affrontò le imprese le più faticose; segui qualche volta il suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi } governò lunga stagione Roma, e l’Italia, dissipò congiure pericolose, ed usò in tutte le i operazioni, che gli furono affidate, eoraggio, fermezza, e straordinaria vigilanza. Se pertanto fosse stato sottoposto ad una malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli potuto agire con tanta energica attività per disimpegnare gl’incarichi laboriosi, che tutto giorno riceveva da Augusto? Ola febre è una malattia, o non è malattia . Se non è una malattia tutto è conciliabile, ma siccome non può mettersi in que- stione, 'ch’ella sia un malore, che sconvolge il sistema fisico deirUomo, cosi sembra potersi dire, che Plinio in quel luogo, 0 ha parlato di qualche altro M., o se ha parlato del nostro le sue assertive non possono in verun conto fissare la fiostra attenzione. Impugnando però questo passo di Plinio, noi non abbiamo avuto il pensiere di divenire il censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore della storia naturale. Egli esige tutto il rispetto de’letterati, li quali conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un posto brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui dovette giovarsi, e profittare degli occhi, e delle mani di molti, non deve recar meraviglia, se egli avesse inserito una qualche opinione grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M., Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io per guarire da uno sputo di sangue, no parlò mai per lo spazio di tre anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della febre perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet sermoni porci multis de causis salutare est. Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi imperavisse a convulsione reddito sanguine. L' Arduino nelle note a questo luogo di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece di Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di cui qui si parla, sia veramente il Liberto di M., giacche Svetonio de lllust. Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato da Plinio è il Cajo Melisso M. Liberto del nostro M. : Meminit Svetonius ( Hard, in Ind. Auct. Plin. ) Caji etiam Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam fuisse ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Portico ordinandarum curam accepisse, a Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est . Hic eriim illc est, quem Maecenatem Melissum scribi oportet, apud Pliriium. Nome compiuto: Cajo Melisso Mecenate. Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mecenate.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Medio: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “The Romans were a bit like the Oxonians: it all had to be Greek – witness Diogenes Laertius – he goes on in great detail to list all the lost essays by unknown Greek philosophers – but when it comes to Roman philosophers like Medio, he couldn’t care less – ‘he wrote a number of essays,’ he notes – VERY edifying!” Filosofo italiano. Medio. Porch. Portico. A contemporary of Plotino. M. writes a number of essays. Medio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Medio.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Megistia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone --  Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicero argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley, “History of English philosophy’!” -- Megistia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Megistia”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese – la scuola di Bucchianico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Abstract. Grice: “I am call a systematic philosopher – which, in Gilbert Harman’s paraphrase, means that when it comes to philosophy, I want to make it all my own! In Italy, the corresponding figure would be Camillo De Meis – and since Pirandello – it has become a drawing-room joke: “Who says it?” “Camillo De Meis!” – The implicature being that Camillo De Meis shared my motto that there is only ONE problem in philosophy, namely: all of them!” Filosofo italiano. Bucchianico, Chieti, Abruzzo.  Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli. Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re. E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo tra i ministeriali. Busto di M. al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo. Venne citato, di passaggio, nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà. Tessitore, M. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei deputati. M. di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo Cristianesimo Oggettivismo ideale particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande organismo umano, l'individuo grande, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della vita animale; e la coscienza assoluta è la corona e l’apice della vita spirituale. Come spirito l'uomo è per prima cosa, e per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma più naturale dello spirito: essa è il patrimonio dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è una estensione del suo corpo, e della sua anima; ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza, che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del circolo umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco l’interno di se, la sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito sensibile; nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo, nell’individuo particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale, commerciale: produzione materiale, frumento o libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è formata. Quello che invade l’altrui, non occupa solo una porzione di natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile. Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la virtti; dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la morale, non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale, giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso: essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di difesa. La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica, nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio, rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata, non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e favorisce il commercio con istituzioni, e leggi, e procedure speciali. Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La ricchezza è la materia, lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro è l' anima. L' anima fa il corpo, ma non è corpo per questo; e l'Economia politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila di Meaux, e per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e il puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la Divina Commedia e il Decamerone, il Barbiere di Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente; ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è che il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere essere Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato; e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea, e in cui si fa reale. È una creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si traduce e si concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono la triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita economica, politica o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto di un altro Stato, e di reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel secondo caso. I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo; tutto questo è forma di forma: la forma essenziale, il vero Stato, è l”IO assoluto, la coscienza e la volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è possibile una funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o quello, si vuole e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale, domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente RELATIVI (“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti naturali, e di più immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta dell'essere, quella alla quale appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei contemporanei, sarà di certo la coscienza politica degli avvenire. La storia approva IL COLPO DI STATO e LA RIVOLUZIONE popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l' essere apparente dello Stato non corrisponde al suo VERO essere, a quello che esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza il suo essere, il benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si vede il suo interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è meraviglia. IL CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la società vede nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità, filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza di mente, che ad altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine, ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno incolto e per dir così più spirituale, avrà cessato di riguardarla come un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua filosofìa, ed egli condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità, e condanna la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di essere: quando guerreggia e conquista per vivere per essere, o per diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una parola, divide in più corpi sociali, per cui DI UNO SI FORMANO PIU STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non mai la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e vivente con una interna unità e un' anima generale. LA GEOGRAFIA è la condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale di questa formazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e nell'altro questo sentimento è la nazionalità, la coscienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima scissa, con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di NAZIONE. Esso è dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È la buona guerra, e la legittima conquista; ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette che la soluzione consapevole, volontaria e razionale. Questo succede quando in tutti i corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleva e si perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee, fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria, nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie, degli Stati meno inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA COMUNE – FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza, di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro, medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO, ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa del Risorgimento, custodisce e protegge con una edificante unanimità il barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L' Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve n'è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa è rimasta nazionale, astratta; ed ha solamente prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale, incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO (si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara, czeca e jugoslava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza politica francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo ha termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e s'abbandona, e la nazione intiera scende nella tomba della servitù straniera e papale, egli solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra, sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia vive ancora. E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba, e l'Italia vi scende di nuovo, rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria: onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero e forte Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto: egli allora non è piu lo Stato, è un altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia: forme dello stesso disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne tutti: l’arche è la ragione. Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra al mondo della natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle funzioni a lui superiori. L'arte è una funzione naturale, e perciò rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una società artistica: vi sono soltanto degl’artisti e dei poeti; e la parte dello stato è di render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri, e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il suo contrario: che s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere naturalmente universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell' infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu barbare, e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO, e il Codice Civile era di là da venire. Se questo vi fosse stato, non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella era pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla vendetta divina. E si crede anche oggi come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente succede alle religioni che di spirituali si fanno temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte e della Religione, vi è la scienza, LA FILOSOFIA. Ma qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del pensiero, della verità assoluta. Lo Stato non interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è invece agire, educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio repugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò consiste la libertà civile. Il principio del Demagogo è la libertà sensibile, e l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta, ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non può quindi godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi da noi. La libertà non appartiene che alla libertà. Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qualunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva e professa il principio generale, e vive dello stesso elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza non sono assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede. E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale, perchè professa delle particolari idee che in un certo mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltrepassa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di un principio particolare, religioso o scientifico, io non lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva e naturale della vita artistica, della società religiosa, e della pura attività scientifica. La sua funzione consiste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio, e non può altrimenti intervenire nell'arte, a promulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e la poetica mediante decreto: e così non può decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato: cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from the all new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti » La vita e la storia del pensiero di M. . La famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam. Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico inazione dei vasi sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco voltata in italiano da M., nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster. Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De M. ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale, Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia]. Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti, Il sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE, nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, [È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti, [La Prelezione era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data: Bologna, Il canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico, Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania, in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento, che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in un solo risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in seguito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale. Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi FICHTE —, che con profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristotele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale genere umano.Hegel, ponendosi nella posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord, si era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda) era stato versato invano ed VICO (si veda) non era stato compreso da nessuno, [Pel giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di BRUNO e di VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte; ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse di tutta l'Europa, la Germania inclusive Ora che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M., accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo proposito i giudizi circa SERBATI e la evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania volgare — non in quella pensante —, nel sud, dove un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel MONDO LATINO a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco EQUIVOCO GRICE, compare per la prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se [Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. E non è finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli ha preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci[Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO; il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr. qui addietro, Le idee estetiche e religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare. Quando la Germania crea il vero sistema del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed aborti strani; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coesiste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la religione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano, natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge particolare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale. Le forme e gli elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo il genio, l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana, e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una successione di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (M., hegeliano e medico, prende spesso come termine di confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale. Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa quarta muda l'uomo riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere [Dopo la laurea, Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ». È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione. La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spirito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua civiltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma intermedia della religione, che è tutt'insieme oggettiva e soggettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'antichità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente drammatica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaicofilosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed eternamente vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, debbono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subordinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scultura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epicoreligiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risorgimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti plastiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento lirico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgimento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risorgimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il risorgimento progressivamente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla melodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'immaginazione. Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima romana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risorgimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'umanità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della religione e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medioevale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote. Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scettiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa teoria di M. si mossero da Spaventa e da altr’obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente a questa. Come può lo spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione? M. risponde che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompagnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relativamente perfetti — se son davvero capolavori —, perchè l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M. intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un termine: e il loro termine non può essere che la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fantastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fantastico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che quello di essere una religione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e dell'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somigliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'assoluta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera, perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione finisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la morale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero acquista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la religione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressivamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere, oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti pensieri. Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, definitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le religiose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di storia del genere umano tracciato per convalidare queste argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostrazione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua concezione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza, dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia concreta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata della filosofia. La corrente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, torbida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla religione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia dell'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane dic'egli e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avvenire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le conoscenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come naturale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si comunica alle altre, ed è una successione e una complicazione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli animali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie traumatiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volontaria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia compiuto il fato umano. Così l’uomo naturale diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più crudeli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellettuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua particolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutritivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passionali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina la cristiana nel suo primo fiore è del pari senza morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la guarigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristianesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora sparirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qualità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le categorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secondaria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qualità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni storiche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime generali non esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia talvolta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genialità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla sua stessa concezione di [Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia storica): Sarà vera o falsa, buona o cattiva; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato, egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale, individuale anch’essa. La prima creazione è quella che l’idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1'idea dell'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una doppia creazione: quella dello spirito individuale e quella dello spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'attuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre creazioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ] forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori e le protovertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'individuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ragionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'impulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché, come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile; la creazione di una specie è produzione di molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la successione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto sparisce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La successione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o dell'altra secondo che si tratti di una forma più o meno prossima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vegetale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nell'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'individuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la chiave I tipi animali,, Bologna, Monti; Lettere sulla patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, artificiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto darwiniano, di una inestricabile confusione. Come Hegel combatte e denigra Newton, così M. lancia in quasi tutte le sue opere strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si compendia la scienza dell'astronomia: I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo. - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M. circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che tale modificazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella selettiva di Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale ; la generazione è creazione; la variabilità deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella determinazione. Secondo M., è vero che l'individuo varia senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere, l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad una storia accidentale, alcuni i seguaci della scienza antica, essenzialmente religiosa e intuitiva ammettono due storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, considerando la storia extramondana come un effetto ottico operato dalla intuizione. Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si considerano questi elementi formali come caratteri costitutivi di un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che consiste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il termine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi universale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla generazione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia informe a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne determina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'universo, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corrispondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella natura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo, poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descrizione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le proprie determinazioni. Invece i sistematici ordinari, tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, artificiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti generali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare. Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non classificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vegetale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposizione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dall'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il cotiledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il vertebrato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di dimostrare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dialoghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retrocedendo nella storia del processo naturale si perviene ad un muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire insomma la materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo. La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spontaneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo semplice informe. L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di materia reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pensiero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensibile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre proprietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le disseminano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia, ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. Il primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà tutta la natura, e la vita — il vegetale —, e l'anima — l'animale ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà dell'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua originaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta identità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'afferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dialogo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che M. lavora spesso frammentariamente. Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale, come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggomitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi ii. È facile scorgere che M. non è felice quando vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di dimostrare, ma solo di far presentire la verità, come la presente egli stesso: e certo di quella verità da lui presentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA FILOSOFIA ITALIANA. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nell'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fondamento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ricerca della pietra filosofale, come è quella della forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dall'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana, vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli credeva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai poteva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e materia. Della medicina sperimentale; e cfr. tutte le opere di M. M. non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione speculativa della natura, quale l'idealismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, « l'idea di contrapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwinismo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispensabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile all'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve precedere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza influsso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di saldatura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo realmente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e d'esterni influssi. E in generale tutto il processo e lo sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed accidentale. Forza e materia, / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena. Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto dell'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrinseco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi creativa. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione con la universalità e necessità riconosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene Deus creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantitativamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale. Di fronte a questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia interna, essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui; l'altro, l'accidente accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei generi, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo domandarci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del M., è veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di esso, interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina veramente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non soltanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M. crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio dall'innocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un accidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movimento degli opposti, il momento negativo non è meno necessario che il positivo a dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione ? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, inconciliabile contraddizione interna del pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè, secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia, perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle malattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen- siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” – Nome compiuto: Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melandri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale – filosofia ligure – la scuola di Genova -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Abstract. Grice: “In an essay which was originally to be included in my ‘Way of Words’, ‘Aristotle on the multiplicity of being’, I focus on M.’s obsession or fixation: analogia, or proporzione. ‘Analogical unification’ is just one mode of unification for Aristotle: the others being ‘focal unification’ and ‘recursive unification’. I basically elaborate on Aristotle’s analogy for ‘medical’, dropping my view that there may be more about Aristotle’s idea of this unity that may relate to my view on theory-theory. Keywords. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” --  Grice: “He has studied Buehler; I like that!” Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di  Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.  Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia mitteleuropea con sede a Trento; partecipando  alla realizzazione della rivista Topoi. Da vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della filosofia.  Il filo conduttore di tutta la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare, legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli, filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza  Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”, Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,” “Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica – co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili, la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile -- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”  Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino  rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben, appendice di  Besoli e Brigati, Limongi. Nota in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino,  L'analogia, la proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet, Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna: Pitagora;  L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino, Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche, Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia, in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet,  Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso fenomenologico", in  La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet  sinistra in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini, "Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di  M. edite da Quodlibet, edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Nome compiuto: Enzo Melandri. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical unification, la comunicazione, implicatura problematica, aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice, analogical unification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melanipide: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Abstract. Grice: “It is slightly odd that the philosopher whose teachings I taught most – Aristotle – is better known in the continent in literary studies as the author of a little tract on tragedy and katharsis – not his categories or his Ethica nicomachaea!” -- Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a number of tragedies. M. appears to have practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin; therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive: Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London red-brick!” – Melanipide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melanipide.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melchiorre: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il convito di Turolla – la scuola di Chieti -- filosofia abruzzese --  filosofia italiana -- Luigi Speranza (Chieti). Abstract. Grice: “It’s very rare to find an Italian philosopher who won’t give you a tirade on ‘That’s amore!’. On the other hand, on the colder shores of Oxford, as my pupil Strawson calls them, we TRY. The closest I came to the idea of love was through my reading of Butler. Butler founds his morality, as is well known, in two conflicting desiderata: that of self-love, and that of other-love, or benevolence. My pupils at Oxford were therefore treated to the conversational versions of these two desiderata: the desideratum of conversational self-love, and the desideratum of other-love, or benevolence. I later realised that ‘benevolentia’ is all that mattered. And this became ‘helpfulness’ and later ‘co-operation’!” -- Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea.  Terminati gli studi, nel medesimo ateneo inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della storia, per poi insegnare a Venezia.  Richiamato a Milano, ha ricoperto  la cattedra di Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano; Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia, religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione, creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.  Grice: “Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” – Nome compiuto: Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e persone, meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, Turolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melesia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melesia.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melisso: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool Library. Melisso

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Melli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “It would be silly to suppose that Antonino represented Plato’s idea of the philosophus rex. In fact, Mussolini detested Antonino, and tried, without success, to replace his equestrian statue at the Campidoglio by one of Giulio Cesare!” Keywords. Filosofo. Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione di Villari, Firenze,  La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda) s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza, filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo. Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore,  al giureconsulto, agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette. Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono nominati un  AMAFINO (si veda) e un RABIRIO (si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO (si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore (si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE (si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non furono amichevoli. Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si dava incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare che i primi semi della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali era anche Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni dopo, nel 156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche questa volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia rovinosa che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazionale. Ma ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle idee greche era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista delle città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e LA FILOSOFIA PRIMA DI CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul teatro di filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un frammento di Ennio, nel Neottolemo di Euripide: Philosophari mihi necesse est, sed degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della cultura, con lo svilupparsi dell’eloquenza, nasce il bisogno d’istruirsi presso i filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo amico Lelio, diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un’utile disciplina nella dialettica stoica; le riforme dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i Romani domandavano alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche e una cultura necessaria o utile agli oratori, ai giureconsulti, agli uomini di Stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Romani è Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare, che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con Bruto aveva sentito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia seguiva, pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero rappresentante e interprete della filosofia presso i Romani è M. Tullio Cicerone. 202 LA FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci appartengono, ma sui filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone nacque nel 106, fu ucciso dai sicari di Antonio nel 43 a. C. Studiò in Atene e a Rodi, udì maestri delle varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa accademico: lo stoico Liodoto divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco morì in casa sua: udì poi ad Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a Rodi lo stoico Posdonio. Cli uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in quegli ultimi anni della Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici, ch’egli del resto aveva considerato sempre come una preparazione necessaria all’oratore e poi come una nobile distrazione dello spirito; ma le vicende della vita pubblica, l’ozio a cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia, e sventure domestiche, tra cui specialmente la morte della figlia Tullia amatissima, lo riconducono alla filosofia, nella quale egli cerca un’occupazione e una consolazione. Bisogna aggiungere a questi motivi quella che chiamano la vanità letteraria, e ch’è la passione dello scrittore di razza, di uno scrittore di prim’ordine e che gode di una grandissima autorità presso i suoi concittadini; egli vuol far parlare in latino la filosofia, toglierne il monopolio ai Greci, darle il diritto di cittadinanza in Roma rivaleggiando con loro, e si rivolge ai giovani ut huius quoque generis laudem iam languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come l’iniziatore di quest’opera, di conquistare alla letteratura latina questa vastissima provincia del sapere. Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i suoi trattati politici De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De oratore, era proclamata con molta energia 1’unione della filo- sofia con l’eloquenza : Cicerone in un luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre filosofato: cum minime videbamur, tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri propriamente d’argomento filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua vita, dal 45 al 43. E quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli stesso in un passo del De divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal titolo Consolatio, composto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della figlia, indicando nel titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filosofìa: era fatto a imitazione di un libro simile di Orantore accademico raspi, raévOoo;, eh’ è detto altrove un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive VHortensìus, introduzione ed esortazione allo studio della filosofia, difendendola dai pregiudizi romani. Ortensio, ch’era un grande oratore suo contemporaneo, vi combatteva lo studio della filosofìa, Cicerone la difendeva calorosamente. Il libro era molto ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la lettura di esso contribuì alla sua conversione. Questi due libri sono perduti. Le opere che ci rimangono sono : Academica > in due libri, importantissimi per le controversie dibattute fra Stoici e Accademici intorno al problema della conoscenza e specialmente per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad Antioco. Ce n’ora una prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in quattro libri, e dedicata a Varrone che vi entra come interlocutore. Il caso ha voluto che noi possediamo il 1° libro della seconda edizione, e il 2° libro, il così detto Lncullus, della prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr. II). È deplorevole che non ci sia, e sarebbe desideratissima, un’edizione italiana commentata di questi libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque libri. Vi sono esposte e criticate le teorie delle diverse scuole greche sul problema fondamentale dell’Etica, il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1° libro Torquato espone la dottrina di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica; nel 3° è introdotto Catone, quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel 4° se ne fa la critica ; il 5° libro espone la teoria accademica e peripatetica. È una delle opere più istruttive e forse meglio composte di Cicerone. Le Tttsculanae disputationes, in cinque libri, dalla villa ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto il dialogo, pure d’argomento morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2° de tolerando dolore, il 3° de aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi perturbationibus, il 5°, continua Cicerone, eum locum complexus est qui totam phil osophiam maxime inlustrat, docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. Seguono i tre libri De natura deorum, importanti per le teorie metafisiche e teologiche degli Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio, espone la teoria di Epicuro; Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici; Aurelio Cotta accademico combatte gli uni e gli altri dal punto di vista delle dottrine probabiliste della nuova Accademia. Si connettono col De natura deorum i libri De divina- tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone, Quinto, difende dal punto di vista stoico la verità della divinazione, e nel 2° F augure CICERONE (vedasi) la combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure si connette agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto disgraziatamente con molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le quistioni intorno al destino e il modo confesso possa conciliarsi con la libertà umana: anche questa una delle controversie dibattute fra Stoici e Accademici. Ci sono poi degli scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius de amicitia; anche i Paradoxa, scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a sostenere in linguaggio oratorio, come un avvocato, sei dei piu famosi paradossi stoici; e infine il grande trattato di morale pratica De officìis, in tre libri. La filosofia sociale e la teoria del diritto erano state trattate prima nei libri De republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti filosofici di Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico: àT:óypacpa sunt; minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono riproduzioni, derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da alcuni molto alla lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo di suo, oltre le parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De fin. I, fi): non interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab iis quos probamus, eisque nostrum iudicium et nostrum scribendi ordinem adiungimus. È noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista, dilettante, compilatore frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo Ziegler, ha detto : il solo suo merito è di aver trovato parole e frasi latine per rivestirne i pensieri greci, un merito che può essere stato utile più che ai suoi contemporanei, agli scolastici del medio evo e ai latinisti moderni. Questi giudizi non sono giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è un filosofo di professione: è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto delle idee generali, e considera la filosofìa come una parte essenziale della cultura umana, importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può considerare o come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le dottrine e i risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha conosciuto direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo, l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, conosce Senofonte, gli è familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici. Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere controllata, commentata e corretta. Ma si può domandare: qual’è lo scrittore o doxografo antico di cui non si debba dire lo stesso, a cominciare da Aristotile e da Teofrasto, che pure erano filosofi di protessione, e scrivendo di storia della filosofia ci hanno dato notizie e interpretazioni del pensiero altrui molte volte discutibili. Sarà sempre uno studio interessante il cercare le fonti di cui può essersi servito Cicerone e come se n’ è servito: si potrà trovare che in qualche punto s’inganna, che può aver lavorato in fretta, che parafrasando o accorciando gli è accaduto di fraintendere in qualche punto la dottrina che espone: tutte cose su cui si può discutere caso per caso ; ma dal dire questo al dire sommariamente che non capiva niente di filosofia e non sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è una grande distanza. Come ha detto benissimo il Giussani, è diventata una specie di moda o di mania quella di parecchi critici di scoprire a ogni momento prove dell’ignoranza o della irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade che una più attenta considerazione può provare che chi non ha capito è il critico. Ma questa non è nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti gli errori parziali o di fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non bisogna dimenticare è che le idee e le dottrine della filosofia antica andavano ripensate per poter essere dette in latino, e sono state ripensate e rielaborate da un cervello non scolastico, coltissimo, aperto, ch’era anche un grande scrittore, un maestro della parola, e si rivolgeva a un gran pubblico, non fatto per le disquisizioni sottili o le finezze di scuola. Questo ripensamento e questa trascrizione delle idee greche in un altro linguaggio non è il primo venuto che poteva farla. Non solo ai suoi concittadini e contemporanei, ma durante il Medio Evo, per quanto poteva essere conosciuto, e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere di Cicerone hanno reso all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un servizio immenso. « Le esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora trovare superficiali o anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una grande chiarezza e in una forma attraente. Per uomini che non potevano leggere, e che anche potendo non avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti citavano, Cicerone fu una guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della sua opera era un pregio di più : vi si trovava quello che gli antichi avevano pensato di più nobile, di più grande e di più accessibile. Si direbbe che Cicerone avesse preparato per gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per più secoli di pensare, un nutrimento intellettuale eh’essi potessero assimilarsi, a dir così il succo della filosofìa antica; che li preparasse a comprendere i filosofi greci quando fossero stati loro accessibili, e li preparasse infine a pensare da sè » ] ). Questo servizio, come interprete vivo, facile, eloquente, del pensiero antico, egli ha continuato a renderlo anche dopo il Rinascimento, continua a renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole, dovunque s’impara a leggere e a pensare leggendo le sue opere. - Rimane a sapere qual’è il valore di Cicerone come filosofo, che cosa ha pensato lui) Queste parole sono del Picavet, nell’ Introduzione alla sua edizione, con note, del II libro De Natura deorum (Paris, Alcan)] ( qual’è e se c’è un contributo suo personale alla storia delle idee. CICERONE (vedasi) non è e non pretende di essere un filosofo originale. Sa di essere scolaro dei Greci e si trova davanti a dottrine discordanti, quando già nelle scuole greche stesse è cominciato quel processo di ravvicinamento e di fusione che le porta a diventare eclettiche, ciascuna a modo suo. Qual’è l’atteggiamento ch’egli prende? Cicerone si professa accademico, dice di aderire alla teoria della conoscenza della nuova Accademia. Non già ch’egli creda suo compito il trattare ex professo di questi problemi, riflettendo per conto suo sulle condizioni e i limiti della conoscenza umana, come ha fatto Cameade; no, egli non ha di queste ambizioni; ma trovandosi davanti al contrasto delle sètte e delle opinioni su quistioni spesso sottili, su problemi difficili a decidere, l’attitudine più savia gli pare quella del dubbio prudente, raccomandato, com’egli crede coi suoi maestri, da Socrate e da Platone: egli non è scettico ma probabilista: è la dottrina o meglio la disposizione di spirito ch’egli chiama, meno arrogante, la più aliena dalle arroganze dogmatiche; ed è anche conforme alla sua abitudine di sostenere il prò e il contro di ciascuna causa, richiede agilità e versatilità di spirito, e si presta agli sviluppi oratori, mentre nello stesso tempo lo tiene in guardia dai paradossi stravaganti, e lo mantiene in contatto con le opinioni popolari. E infine diciamo pure eh’è un’attitudine conforme alla sua natura ondeggiante e diversa, al suo carattere spesso indeciso anche nella vita pratica. Ma intanto quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a mantenere lo spirito libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare nelle parole di un maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in diem vivimus : vuol conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina accademica non solo gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più coerente, non nel senso eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non si contradicono, ma nel senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che, dando la sua adesione a ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con se stessa: il che gli ha permesso di prendere quello che gli pareva buono in ciascun sistema, di libare tutte le dottrine, di essere insomma l’interprete e il volgarizzatore dei grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa disposizione di spirito, piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e non settaria, senza partito preso, e Cicerone la descrive con parole che meritano di essere ritenute : (De nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non ci sia niente di vero, ma al vero è mescolato il falso, bisogna essere canti nel giudicare e nell’affermare : diciamo che ci sono molte cose probabili, le quali se pure non dànno scienza certa, generano una convinzione che basta a guidare l’uomo savio. E in un luogo molto bello del libro II dei primi Accar- demici, al cap. 3° è detto: « Fra noi e coloro che credono di sapere la verità delle cose passa questo divario, ch’essi tengono per verissime le loro opinioni, mentre noi abbiamo sì molte cose probabili da seguire, ma non ci attentiamo di spacciarle per certe. Così rimanendo assai più liberi e sciolti nel giudicare {inteff tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci costringe a difendere delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre che gli altri si trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale sia la migliore: l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un amico autorevole* o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di cose che non conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano come ad uno scoglio al primo sistema di cui hanno sentito parlare : ad quameumque sant disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad saxum, adhaerescunt ». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi plerumque iis qui discere volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur. Quest’attitudine di riserva prudente egli mantiene specialmente nelle quistioni di fìsica, che del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le opinioni sono tante e così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo abbastanza nè il nostro corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue, se è mortale o eterna: nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo penetrare nè nel cielo nè dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio della fìsica debba essere messo da parte. L’esame e la.considerazione della natura sono una specie di nutrimento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più grandi, ci solleviamo al di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane tenendo l’occhio e la mente rivolti alle cose divine e celesti. La ricerca, anche nelle cose più oscure, ha una grande attrattiva e procura una voluttà umanissima. Ma da buon romano, nonostante quest’elevazione dello spirito, egli ha poco gusto per la speculazione pura: apprezza di più la scienza eli* è utile alla vita. E quanto più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi pratici della vita morale e sociale, egli sente il bisogno di affermazioni più decise. E tra il contrasto delle opinioni una sorgente o criterio di verità, o vogliamo dire di probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza naturale, quello che la coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini rivela a ciascuno, e che trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli ricorda il ‘conosci te stesso’ dell’oracolo e lo interpreta in questo senso: tutta quanta la filosofìa è un commento, uno sviluppo della conoscenza di se stessi, di quello che la coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso anche gli Epicurei avevano parlato di nozioni comuni, che si formano naturalmente in ogni coscienza. E Filone di Larissa deve avergli insegnato che ci sono delle nozioni evidenti, perspicue, impresse dalla natura nella mente e nell’animo di ciascun uomo. Egli trova che fra gli uomini nessuna gente è così fiera, così selvaggia che non abbia il concetto della divinità, anche se non sappia quale ne è la natura. Egli non ignora che anche qui le opinioni sono discordi, e conosce pure le difficoltà del problema; e se gli domandate, quid aut quale sit Deus, egli vi risponderà come Simonide, il quale interrogato su questa quistione dal tiranno Jerone, domandò un giorno per rifletterci su, e poi due e poi quattro, e finì col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi res videtur obscurior. Ma ciò nonostante non è una credenza arbitraria: Omni autem in re consensio omnium gentium lex na- turae putanda est. E oltre il consenso delle genti, è anche molto plausibile, il più plausibile fra tutti, 1’argomento delle cause finali, ricavato dall’ordine e dalla bellezza del mondo, ch’egli espone con molta eloquenza, quantunque non trovi sempre concludenti o del tutto convincenti le argomentazioni degli Stoici per provare la provvidenza e l’ottimismo, e che sono fatte più per rendere dubbia la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli crede agli Dei, anzi a una divinità unica: è un’idea alla quale la mente degli uomini è naturalmente condotta. E lo stesso si può dire dell’anima umana, che dev’essere una natura singolare, diversa dagli altri elementi terrestri che ci’sono più noti. i^Toi non possiamo vantarci di conoscere la natura dell’anima; ma gli elementi dei corpi che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il fuoco non potrebbero spiegare la conoscenza, la memoria, la previsione dell’avvenire, le altre funzioni psichiche: e dalle opere di Cicerone si può ricavare un piccolo trattato di psicologia, che non sarà quello degli scienziati moderni, ma che contiene delle descrizioni eccellenti, e sempre vere, dei principali fatti della coscienza, compresi gli affetti e le passioni umane, ricavate dall’osservazione interiore e dall’ esperienza della vita, seguendo anche in questo naturalmente i suoi maestri, Platone e Panezio e Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il fato degli Stoici, e crede anche nell’immortalità come una cosa infinitamente probabile. Quod si in hoc erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove sono descritte le sfere celesti e la loro armonia, e la sede dei beati, è affermata con gli argomenti platonici l’immortalità delle anime umane. Soprattutto quello che la coscienza ci rivela è la legge morale, eh’ è una legge della ragione, la quale ragione è il privilegio dell’uomo sui bruti, l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che lo congiunge ai suoi simili. Così Cicerone crede di avere scoperto nella coscienza stessa del genere umano i fondamenti di cui ha bisogno per la sua dottrina morale. Opinionum enim commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat. E ricordandosi dei dubbi accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i problemi morali, quelle parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni harum omniam rerum Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina ch’è stata chiamata del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia della filosofìa. Ma l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto in questo: che noi vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come rivelazione della coscienza comune è il precipitato di tutta la speculazione greca anteriore, risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le tendenze affini delle tre scuole derivate da Socrate: platonica, aristotelica e stoica, e che hanno per base la concezione teleologica, il valore cosmico e antropologico che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui tengono la virtù come il massimo dei beni o la condizione essenziale della felicità. Rimane esclusa, come ho già avvertito, da questo processo di fusione la scuola epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula pericolosa della voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel fatto CICERONE (vedasi), indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte aspramente, fino all 1 ingiustizia, L’ORTO, trovandolo inconseguente in quello che può avere di buono, e pur avendo la più grande stima del carattere di Epicuro stesso e di alcuni degli Epicurei ch’egli ha personalmente conosciuto: io combatte anche, oltre che per tutte le altre ragioni, perchè l’Epicureismo non possiede secondo lui una base su cui fondare i doveri civili, che a lui stanno tanto a cuore. Ma tra tutte le altre scuole egli trova che le affinità sono maggiori e più importanti che le differenze, e sceglie e adatta quello che gli pare più utile e più conveniente. E lo guida, oltre il talento straordinario dello scrittore e dell’oratore, un grande buon senso, una grande rettitudine, e un certo istinto generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e grande. 1 _ E una volta eh’è sul terreno della morale, egli non si \ tiene sulle generali, ma costruisce in tutti i particolari un trattato di morale eh’è fino al giorno d’oggi un perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino: il De of - Jiciis. Nel quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio, e inclina egli stesso verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio incomparabile della virtù : ma i paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed egli tempera la dottrina morale con la misura dei peripatetici, ricollegandola anche ad alcune delle speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella dell’immortalità. Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la dottrina con esempi presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza d’animo, di disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria. Traduce il xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto le quattro virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non dimenticando la beneficenza accanto alla giustizia, la charitas generis Immani, e non dimenticando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del governo misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione nella vecchia costituzione romana. E nel De legibus aveva esposto le basi lìlosofiche del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli ritorna sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura, dappertutto diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma. Ohi la rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna e immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle legislazioni umane. Essa stabilisce fra tutti gli uomini, che partecipano della ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore. Espressa da quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del diritto umano esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita e della cultura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho accennato ai giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche Rundschau), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione del Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini, de la Philosophie (Paris, Del agrave).] citata da Cicerone sulla cultura dei popoli dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle persone colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla bellezza della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda influenza eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore, del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di moralista e di scrittore - 3. Le sue idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche; dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una consolazione, dei principi salutari, una regola di condotta. Sotto Augusto cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di Stato se ne occupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per i loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura d’anime. Seneca ci parla di un condannato a_morte, che andando al luogo del supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum philosophus suus, col quale s’intrattiene dell J immortalità dell’anima. Quando Livia, la moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per essere. consolata nelle mani di Areos, il filosofo di suo marito: era il confessore, il confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento pubblico di filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di uomini, i quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi tutto i due Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona famiglia, che al tempo della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in Atene, e poi venne a professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò una scuola, la cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore, esercitò molta efficacia: essi lottano con energia contro i vizi del secolo, e mettono in uso certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica già raccomandata dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche nell’astenersi dalle carni di animali. Altri professori illustri della stessa scuola furono So- zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pitagorismo insegnando la metempsicosi, Attalo stoico e Fabiano Papirio, un declamatore del tempo di Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle scuole, trattando quelle cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’eloquenza dei retori. Fu convertito da Quinto Sestio alla filosofìa, e continuò a declamare, a parlare pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento così non fu più limitato a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una vera predicazione: la filosofia s ? indirizza alla folla, diventa eloquente, cerca di essere persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio specialmente ebbe un grande successo: aveva una fìsonomia dolce, una maniera di parlare semplice e sobria: 10 ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a volte V uditorio, colpito dalla grandezza delle idee, non poteva trattenere delle grida di ammirazione. Un altro che attirò l’attenzione della gioventù romana fu il cinico Demetrio, ille semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca, con la stranezza delle sue maniere e la foga della sua parola, tutto energia e disprezzo del dolore e della morte: riappariscono i Cinici, che sono come ' sempre l’esagerazione degli Stoici. Del resto, qualunque sia il nome che portino, tutti questi filosofi erano più o meno stoici. Non si trattava per loro di scoprire verità nuove, ma di applicare le grandi verità morali e le massime di condotta già fissate dagli antichi saggi. Come dice ancora Seneca, i rimedi dell’anima sono stati trovati prima di noi: non ci resta che cercare in che maniera e quando bisogna applicarli. La tristezza dei tempi e il dispotismo imperiale che diventa sempre più pazzo e violento dànno, come ha detto 11 Boissier, un terribile, a propon allo stoicismo, il quale diventa una fede ardente, la religione delle anime libere: l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel sentimento della sua forza e della sua dignità in mezzo a quelle sventure e a quei pericoli che a ogni momento la minacciano. Per questo la filosofia ebbe l’onore di essere odiata dagl’ imperatori : essa e la Storia erano, come dice Tacito, ingrata principiòus nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi martiri, a cominciare da Catone, che rifiuta la vita cercando libertà, e venendo alle vittime di Nerone illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto, assistito negli ultimi suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso Seneca, sul quale dobbiamo fermarci ] ). L. Anneo Seneca, figlio di Seneca il retore e di Elvia, nacque a Cordova. Venuto a Roma col padre che non ama la filosofia, e avrebbe voluto farne un oratore, è scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione, Attalo, Fabiano Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la più viva impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via degli onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto l’imperatore Claudio fu esiliato in Corsica per gl’intrighi di Messalina; dopo otto anni è richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione del giovane Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in disgrazia nel 62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato agl’intrighi e ai delitti della corte imperiale che non seppe o non potè impedire, il suo carattere è Stato molto discusso, special- mente per le immense ricchezze eh’ egli possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore, e per la parte che può avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di Nerone, in nome del quale Seneca scrisse una lettera giustificativa al Senato, presentando la morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che possano essere state le J ) Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn; Boissier, La religion romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme et ses origines, * 2° voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de la Lìti, latine (Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri (Sandron). sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una bella morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far testamento, diceva di lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e senza vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella corte; ma non gii si può negare un certo entusiasmo sincero e l’aspirazione verso il bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i trattati morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata, de olio, de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de beneficiis; le Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le Lettere morali a Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più importante delle opere di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che trattano di argomenti di fisica, fecero testo e godettero di molta autorità durante il Medio Evo; ma vi si tratta anche di argomenti morali., Seneca si prolessa stoico, e degli scrittori latini è l’interprete più compiuto della dottrina stoica, di cui riproduce i dogmi con una certa enfasi, non scevra di declamazione e di retorica. Ma è eclettico anche lui e impara da tutte le scuole: Cita spesso anche Epicuro, verso il quale è più giusto degli nitri Stoici. Egli stesso confessa: Solco in aliena castra transire, non tanquam transfuga, sed tanquam explorator. La sua specialità è il genere monitorio e precettivo; e il suo capolavoro ò una raccolta di consigli e precetti morali a Lucilio, suo amico, un cavaliere romano ch’era procuratore in Sicilia, amministratore finanziario della provincia, e ch’egli guida e dirige da lontano coi suoi consigli. * E' 1 Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA Seneca non ama la folla, non pensa al gran pubblico: Satis sunt mifii patiti, satis est unns, satis est nullws. La sua opera non è di un predicatore, ma di un direttore delle coscienze. Ed egli sa adattare il suo insegnamento secondo le persone e le circostanze. Aliter cum alio agendum: egli consola quelli che hanno bisogno di essere consolati, spinge all’azione le nature fiacche e molli, ridesta la forza di quelli che s’annoiano, predica il ritiro e la solitudine a quelli che amano troppo la vita mondana. E in quest’opera di moralista pratico egli porta una grande conoscenza della vita, l’esperienza di un uomo che conosce il mondo, la corte, le passioni, le inquietudini e i bisogni del cuore umano: sicché i suoi trattati e specialmente le sue lettere sono importanti non solo per le verità morali che contengono, ma anche come studio dei caratteri e delle passioni del suo tempo e di tutti i tempi. La sua psicologia è molto più raffinata di quella di Cicerone, e c’è in Ini una preoccupazione della vita interiore e della perfezione morale, in ciò che ha di più intimo, che non c’è in Cicerone. Egli propone come un ideale di perfezione la virtù stoica, ma sa adattarsi alle circostanze, e consente quando occorre alle debolezze della natura umana: di qui le contradizioni che gli rimproverano, e che derivano dalle condizioni speciali in cui si esercita il suo insegnamento. S’aggiunga, per spiegare l’impressione che fa Seneca, l’efficacia di uno stile non senza artifizio, ma concettoso, sentenzioso, energico, a frasi spezzate e serrate, con qualche cosa di brusco e di veemente. La grande frase, il periodo ciceroniano si spezza: ne prendono il posto dei periodi brevi, a scatti, con frequenti antitesi, e sentenze aguzzate e raffinate, piene di energia: anche questo un carattere che lo ravvicina al gusto di noi moderni. La morale di Seneca, guardata nel suo insieme, è, come . quella di tutti gli Stoici, un’àpologìà perpetua della volontà morale di fronte a tutto ciò che tende a limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte agli attacchi della fortuna, il disprezzo dei beni esterni, la serenità davanti alla morte, questi e gli altri temi abituali della predicazione stoica sono anche i suoi : egli ne rinfresca l’espressione col suo accento passionato e concitato, che dà a quelle massime forza e rilievo.Soprattutto non bisogna dimenticare quel sapore di attualità che, come abbiamo accennato, avevano le idee stoiche in quella condizione dei tempi e in bocca di Seneca. Già questa attualità o riscontro nella realtà comincia ad essere un fatto anche con Cicerone. Il quale, quando scrive nelle Tusculane de eontemnenda morte o de tolerando dolore, non scrive di temi astratti e retorici, ma di pericoli imminenti, in tempi già diventati iniqui e tristissimi, tra gli orrori delle guerre civili e delle proscrizioni. Con l’impero, dopo Augusto, la situazione si aggrava, diventa intollerabile. In mezzo a quell’orgia, a quei delitti, a quella tirannide che non ha più niente di umano, la sola cosa che l’anima umana può salvare è la sua libertà e il sentimento della sua dignità. La filosofia compie l’ufficio suo predicando la forza della volontà, la purezza interiore, il disprezzo di tutto ciò che non dipende da noi, il disprezzo della vita. He nasce una situazione violenta, che si riflette anche nello stile di questi scrittori, come ha osservato con molta finezza l’Havet. SENECQuando noi leggiamo in Seneca e negli altri stoici che la povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non sono nulla, noi diciamo eh’ essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la loro declamazione è come imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di un sentimento legittimo e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di sii dare la forza brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In quella declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è anche qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono veemente: la sua enfasi, le sue ripetizioni insistenti, il gesto concitato che sembra accompagnare la parola, sono altrettante proteste di una coscienza che la forza vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per farsi ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso. Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi. In Seneca le grandi tesi sociali e umanitarie dello stoicismo sono riprese con un nuovo accento, più forte e più intimo. Egli vede negli schiavi degli amici di condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi, ma sono degli uomini: imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che Cicerone, quantunque non li amasse, giustificava ancora come una scuola di coraggio per fortificare l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte, quando quelli che si vedevano combattere erano dei malfattori. Seneca non li può soffrire sotto alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la crudeltà: quest’uomo è un brigante, merita di essere punito; ma tu, disgraziato, che hai fatto per essere condannato a questo spettacolo? E in quest’ordine d’idee trova la meravigliosa espressione: homo res sacra homini; e condanna pure la guerra, dicendo che la natura ha fatto l’uomo per la dolcezza (mitissinutm genus), dimenticando forse che ci sono delle guerre giuste e anche pietose, quando bisogna difendersi dai briganti e dagli assassini. E celebra con parole che hanno del mistico la solidarietà umana e i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit: di qui l’amore reciproco e ciò che ci rende socievoli: la giustizia e il diritto non hanno altro fondamento : è più miserabile il nuocere altrui che l’essere offeso: siano sempre pronte le mani a giovare, e abbiamo sempre nel cuore e nella bocca quel verso: Homo sum, nihil Immani a me alienum puto. E aggiunge: la società umana è come una vòlta che cadrebbe se le singole pietre non si sostenessero a vicenda. Esorta alla bontà, alla clemenza, al beneficare, al perdono delle offese. Ubieumque homo est, ibi benefica locus est. Non desinemus opem ferve etiam inimicis. Alteri vivas oportet si vis Ubi vivere. Questa morale, che con la sua umanità e la sua mitezza si stacca sul fondo di quella tristezza di tempi crudeli e violenti, ha già un carattere e un’ispirazione religiosa. Questo caràttere religioso si accentua ancora di più in alcune delle idee che Seneca esprime intorno alla divinità, alle relazioni dell’uomo con Dio, e al destino dell’anima umana. Anche per lui, come per tutti gli Stoici, il concetto di Dio oscilla tra il panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi. Quid est Deus ? quod vides totum et quod non vides totum. Ma nella sua opera di moralista consolatore e direttore delle cosciente egli non può a meno di mettere in evidenza gli attributi personali della divinità, concepita non solo come ragione universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei, malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi templi nè si rende propizio sollevando in alto le mani supplichevoli, ma con la purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis illos coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si fonda questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Un Dio cosiffatto non è una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di adorazione religiosa : il rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due persone, l’una delle quali si sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con noi, risiede in noi, ci ama ed è amato da noi: colitur et amatur; e noi P invochiamo perchè, com’è detto altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi e forti: ille dat constila magnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si direbbe che in queste parole è toccata o intraveduta la dottrina della grazia. Notevoli pure sono i concetti intorno all’uomo, alla natura e al destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di vantarsi, di essere orgoglioso: idem semper de nobis pronuntiare débébvmus, malos esse nos, malos fuisse, invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus omnes. E solo a traverso gli errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore fra noi ad innocentiam tamenpeccando pervenit. E l’inìzio della salvazione è la conoscenza del peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza di Epicuro, che Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è dentro dell’uomo una lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo, eh’è come un peso o una prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira alla sua liberazione: gravi terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo corpo di morte?’ griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa d’irrazionale: quel dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella dottrina stoica, è conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata l’espressione: diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte della concezione cristiana. SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis militan- dum est, ed è un genere di milizia che non consente riposo. Bisogna essere vigilanti con se stessi, bisogna combattere con le passioni, col dolore, col piacere, con la fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice quaecumque cor tuiim laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum cimi illis revellendum crai, parole energiche die ricordano quelle dell’Evangelo: se il tuo occhio destro ti scandalizza, strappalo e gettalo da te. Seneca ha il sentimento più vivace della miseria umana: Omnis vita supplicmm est. Per questo la morte è una liberazione, e come il porto nel quale troviamo il rifugio dal mare agitato della vita. Dell’ immortalità Seneca non parla sempre allo stesso modo. Ipotesi, speranze, le opinioni diverse s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado, specialmente quando si rivolge ai suoi corrispondenti per consolarli della morte dei loro cari, egli prende un tono più affermativo. La morte è l’inizio, il giorno natale di una nuova esistenza. IMes iste quem tanquam extremum reformidas, aeterni na- talis est. Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si dissiperanno le caligini che circondano la nostra esistenza, la luce divina ci apparirà nella sua sorgente, e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma basteranno. Sono queste idee che hanno fatto credere a una ispirazione cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe noster, diceva già Tertulliano. 4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0., quattro anni prima della morte di Seneca, giungeva a Roma un piccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il quale accusato e perseguitato da altri ebrei, si appellava, nella sua qualità di cittadino romano, dal giudizio delle autorità imperiali in Giudea, a quello dell’imperatore. Fu condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era Burrus, amico e collega di Seneca come ministro di Nerone. Giudicato favorevolmente, l’apostolo fu lasciato libero o quasi libero durante due anni, dei quali profittò per diffondere la sua dottrina, e pare che facesse dei proseliti anche nel palazzo imperiale, fra gli schiavi o i liberti della casa di Nerone. Si disse per esempio che Atte, la giovane eh’ era stata amata da Nerone, e che poi abbandonata fu la sola che ne cercasse il cadavere, quando egli fu obbligato ad uccidersi, per dargli sepoltura, fosse stata convertita al Cristianesimo. Atte, come sappiamo da Tacito, era personalmente conosciuta da Seneca. Bisogna aggiungere che anche prima della venuta a Poma, Paolo, accusato dagli ebrei di Corinto, s’era trovato a contatto con un proconsole romano, ch’era quel Gallione di cui parlano gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare ascolto ai suoi accusatori, trattandosi di cose die non lo riguardavano (polemiche religiose tra Ebrei). Ora si dà il caso che questo Gallione era fratello di Seneca, e si chiamava così perchè adottato da un Gallio, di cui portava il nome: il suo nome di famiglia era Anneo Novatus, ed era fratello maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a poco si formò la leggenda che Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi fossero diventati amici, e che l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si fossero scambiate anche delle lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e in base a queste lettere S. Girolatno, nel quarto secolo, enumerando gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli, vi mette anche Seneca. È una leggenda che ha avuto corso per tutto il Medio Evo, e anche alcuni moderni vi hanno creduto. I^a qui- stione è stata agitata più volte l ). Le conclusioni sono queste: La corrispondenza è certamente apocrifa, scritta in un latino che non è nè classico nè argenteo; e del resto è insignificante, e qualche volta buffa. Per es. c’ è una lettera, la 7% nella quale Seneca informa il carissimo amico Paolo che l’imperatore è stato molto colpito dalla sua dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio di Paolo sulla virtù, avrebbe detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto un’istruzione regolare possa avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera gli scrive: lo Spirito Santo ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier questo mi piacerebbe che avessi un po’ più cura della forma, ut maiestati earum rerum cuìtus sermonis non desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole, gli manda un libro de copia verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo. Sono inezie da una parte e dall’altra. La corrispondenza è certamente una falsificazione, e anche poco abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si sono conosciuti. E se per conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi, incontrarsi, scambiare qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro dolLAutìERTiN, Sénèque et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr nella Zeitschr. f. wias. Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un voi. dì Abhandlungen del Baur; e più brevemente quello che ne dice il Boissier nel libro che ho citato : La religion ro inaine.] meno insignificante o per ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne sappiamo nulla. Quello che importa è che, anche dato e niente affatto concesso che Seneca abbia conosciuto o avvicinato l’apostolo, certamente non gli deve nulla nè per quello che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le seguenti ragioni: ! 1° ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla provvidenza, sulla natura dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle opere sue anteriori a questa pretesa conoscenza con S. Paolo ; 2° quando si leggono quelle idee, non come frasi staccate ma al loro luogo, in connessione con tutto il resto, fanno parte di un discorso nel quale Seneca continua a professare le dottrine stoiche, alle quali ha sempre aderito; e non c’è nulla in quelle idee stesse di sapore cristiano o che sembrino tali, che non trovi il suo riscontro non solo nei vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filosofica anteriore, in Platone, in Epicuro, in Cicerone; 3° e soprattutto, se Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti e si fossero messi a discorrere di filosofia e di religione, non si sarebbero intesi affatto, in nessun modo, per la differenza radicale e insanabile che c’è tra i due modi di considerare il mondo e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto comprendere nulla di tutta la parte storica e dogmatica del pensiero di Paolo, voglio dire di quei fatti e di quei dogmi che sono come i cardini del suo apostolato: il peccato di Adamo, la venuta del Messia, la morte e la risurrezione di Cristo, la redenzione di tutti gli uomini fondata sulla fede in questo fatto della risurrezione: sono fatti così miracolosi, e interprelazioni di questi fatti così lontane, così aliene da una mente educata nel razionalismo greco-romano, che Seneca, quando pure non avesse sbarrato tanto d’occhi per la meraviglia, non avrebbe potuto comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul terreno limitato dell’Etica, j le due concezioni, quella di Paolo e quella di Seneca sono, .= nonostante le frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra. Seneca si riconnette a tutta la tradizione classica e pagana, che considera la virtù come una perfezione della natura, una conquista e un trionfo della ragione sugl’im-1 pulsi inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica: seguire la natura, che egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente razionale. S. Paolo e con lui il Cristianesimo insegna la corruzione originaria, radicale, della volontà naturale dell’uomo, e in- . segna la rigenerazione possibile solamente per opera della ; grazia divina, che redime e rinnova la creatura, ricrean- dola a dir così dalla vita della carne alla vita dello spirito. Per Seneca come per gli altri Stoici la legge morale è % una semplice legge della ragione che s’identifica con la \ legge cosmica; per S. Paolo la legge è nel senso preciso della parola un comando, un imperativo, espressione della volontà divina; e il peccato non è la semplice distanza che separa la realtà empirica dall’ ideale morale, ma è sin dall’origine una ribellione al comando di Dio, della sola volontà che sia santa. L’autonomia e l’autarchia del saggio stoico non sono parole cristiane. La conseguenza è che il saggio stoico, l’ideale di Seneca, manca della qualità propriamente cristiana, non è umile; può sentire più o meno la sua imperfezione finche quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è propriamente abnegazione in lui, anzi egli pone il suo orgoglio nell’affermazione della sua volontà razionale, e in questo senso egli si sente simile a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla gli appartiene, non ha orgoglio, nega la sua volontà, la sente spezzata e ri-generata da una forza onnipotente, e si umilia pregando: fiat voluntas tua, eh’è qualche cosa di più della semplice rassegnazione stoica a quello che vuole o porta il fato. Ohi vuole misurare con un’occhiata sola tutto il contrasto, guardi a queste parole di Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris Jupiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani partibus non semel fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium. Il saggio stoico con la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato in modo eh 7 è lo spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E badiamo che Catone è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo corpo è una via aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la ribellione più aperta alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la gloria di Dio, e il fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a se stessi per essere partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono due concezioni diverse. Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di vero è che l’accento religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un indizio che segna* l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Dopo Seneca, contemporaneo più giovane di lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a Volsinia (Bol- sena) nell’ Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto gl’imperatori Vespasiano e Tito. Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la filosofia seguendo le dottrine stoiche, come dice Tacito clie lo nomina più volte. Fu un maestro tutto pratico, stimando inutile ogni scienza che non giovasse alla vita. Esortava alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa non è altro per lui che la ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto, e senza la filosofia non si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro il suo aratro può filosofare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di saggezza: faceva un elogio dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio alla filosofia dei costumi corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita intemerata gli dettero nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se dobbiamo giudicare specialmente dal modo come lo ricorda Epitfeto clie fu suo scolaro; e basterà averlo ricordato anche noi, senza insistere sui frammenti e precetti particolari che ci sono stati conservati di lui. 2. - Il grande e più celebre rappresentante dello stoicismo nell’ epoca imperiale è Epitteto. Epitteto nacque a Hierapoli, nella Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma, dove passò la sua giovinezza, come schiavo di un Epafrodito, che fu probabilmente il liberto e favorito di Nerone dello stesso nome. Lo stesso nome di Epitteto non è in origine un nome proprio, ma vuol dire schiavo (!tuxt7]tq£). Era zoppo e, secondo un aneddoto celebre, per effetto dei maltrattamenti del suo padrone. Un giorno questi gli avrebbe messo la gamba in uno strumento di tortura. Bada, gli disse Epitteto, che finirai col rompermela. E siccome l’altro continuava e la gamba si ruppe di fatto, Epitteto si contentò di aggiungere: Te l’avevo detto. Questo tratto d’insensibilità stoica fu tanto ammirato, che più tardi Celso, l’avversario del Cristianesimo, apostrofava i cristiani : Forse che il vostro Cristo, nel suo supplizio, ha mai detto niente di così bello? Al che Origene, lo scrittore ecclesiastico che scrisse contro Celso, rispose: Nostro Signore non ha detto niente, e questo è anche più bello. Il giovane Epitteto, ancora schiavo, potè istruirsi e seguire le lezioni di Musonio Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma, tentando anche lui l’insegnamento o la predicazione morale, finché non fu obbligato a lasciare la città quando l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto del 94 d. C. fece cacciare i filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si ritirò nell’Epiro, a Nicopoli, dove visse fin verso il 125, povero e senza famiglia, ma circondato da molti discepoli, e venerato per la santità della vita, come maximus più losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli che lo udirono, e per più anni, fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu il più attento e il più entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di avere dei gusti e uno spirito affine a quello di Senofonte, volle essere un Senofonte redivivo, e, come l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e i suoi Memoràbili: Epit- teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni di lui (Storpipoi o Xóyot) raccolti molto fedelmente da Arriano (in 8 libri, dei quali ce ne rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già vecchio rivive con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e del suo insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto, Arriano le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’, che nei tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo Poliziano, nel 1493; il testo originale fu pubblicato nel 1528, a Venezia. Non ho bisogno di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi. Epitteto è anche lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi o discuta i fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche sistematiche, le discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire sulle coscienze, rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un letterato, che pure mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità di scrittore, e si compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue massime, le sue osservazioni, i suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole applausi, non ha mai pensato  TO'*, C 1 1 " L 1 ^ y h  t,. :'yY £VsE S, àtàeXcpol  Un primo documento di quest’attività greco-ebraica è la traduzione greca della Bibbia, che si disse dei Settanta, perchè secondo una leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti mandati dal Sacerdote di Gerusalemme a Tolomeo Filadelfo, che voleva avere nella sua grande biblioteca i libri di Mosè tradotti in greco, e questi 72 traduttori, chiusi in tante camerette separate, senza poter comunicare fra loro, avrebbero tradotta da capo a fondo, come per un’ispirazione divina, tutta quanta la Bibbia. Il vero è che la traduzione rispondeva al bisogno della comunità ebrea di Alessandria di leggere il libro suo nazionale nella lingua diventata oramai comune nella colonia. La maggior parte non leggevano nemmeno più l’ebraico. Questo libro si può considerare come il primo travasa- mento di idee giudaiche in un contenente ellenico 1 ), ed ebbe una grande efficacia sulla propagazione posteriore dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo. Un ebreo di Alessandria, che in filosofia era peripatetico, Aristobulo è ritenuto da molti il primo scrittore in cui apparirebbe una vera connessione di filosofemi greci con le idee e le tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in uno dei libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di Saio- mone, che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C. Ma il principale rappresentante di questa filosofia grecoebraica è Filone ebreo.0 Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: FILONE EBREO 265 2. - riione nacque in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia sacerdotale ch’era delle più ricche e ragguardevoli fra gli Ebrei di quella città. Ebbe un’istruzione compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita agli studi teologici e filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza trascurare i legami col suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva. Doveva godere di una grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e per la sua eloquenza. Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di un’ambasceria presso l’imperatore Caligola per chiedere la liberazione dei suoi correligionari di Alessandria dalle persecuzioni a cui erano fatti segno. Tornato ad Alessandria, scrisse egli stesso la relazione di questa ambasceria, e morì forse verso il 50. Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni degli scritti di Filone sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale fosse io stato della colonia giudaica di Alessandria: gli altri sono per la maggior parte un commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la scienza greca e la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire la verità con la semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata da Dio nei libri santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato alla meditazione, grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un culto per Platone: egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla Bibbia, e legge la Bibbia a traverso i concetti della filosofìa, la vede in quella gran luce di verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione di elementi così disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse possibile senza un certo sforzo, il quale importava due cose: una finzione e un metodo particolare 2 ). La finzione (in buona fede, s T intende) è che i filosofi greci come Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i poeti più antichi come Omero, Esiodo, avessero avuto notizia dei libri di Mosè e attinto dunque alla sapienza ebraica: una finzione che si trova già in Aristobulo; ed era avvalorata da alcune falsificazioni: si attribuivano ai poeti mitici come Lino, Orfeo, dei versi di fattura posteriore. Il metodo è quello dell’interpretazione allegorica, non inventato da Pilone, applicato già prima di lui fra gli Ebrei alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli davano l’esempio. Pilone distingue dapertutto un senso letterale e un senso spirituale o intelligibile, e ritiene il primo come simbolo del secondo; la relazione tra i due è quella che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio, Adamo è lo spirito (il vouc), e il Paradiso è 1’^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel quale egli è messo per coltivare gli alberi, che sono le virtù; la creazione di Èva significa il nascere della sensibilità, e così via: quel metodo d’interpretazione allegorica che si può dire fantastico e non critico quanto si vuole, ma che ha contribuito a spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo ha cominciato col concepire Dio a sua immagine e somiglianza, attribuendogli occhi e mani e voce e passioni umane. A poco a poco il concetto del divino si spiritualizza. Per Filone, Dio non solo non ha forma nè attributi umani, ma è al di là di ogni determinazione, una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der Griechen.] assolatamente trascendente, sia rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra intelligenza alla quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza, ma non possiamo comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di cui si servivano gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione aristotelica: l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa denominazione in quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o sum qui sum: èyw eijxt Ó wv. Dio dunque è l’essere universale, eterno, immutabile, semplice, libero, pago di se stesso, assolutamente trascendente e separato dal mondo. Ma d’altra parte egli raccoglie in sè tutte lo perfezioni, e tutte le perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui. Egli è la causa prima di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è una doppia esigenza in questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio, e quella dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma possiede forze infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due principali di queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si uniscono nel Xóy oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della creazione, e che si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o la ragione cosmica di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo principio del mondo, ma è a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo verbo, l’intelligenza divina stessa iu quanto personificata, qualche cosa che sta in mezzo tra la pura essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone ha bisogno di potenze intermediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta trascendenza di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze intermediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione, ma formula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in questa mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova atmosfera spirituale sta l’interesse e l’importanza storica di Filone. E che cosa è l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo prendendo un pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu fatto in anima vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo è la creatura di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere l’uomo celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e sensibile. Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna, è l’idea dell’uomo in quanto uomo, di natura incorruttibile; invece l’uomo terrestre, plasmato dal fango della terra, e non da Dio direttamente, ma dalle sue potenze o ministri, è di natura sensibile, materiale, naturalmente mortale, capace del bene, ma anche del male. L’uomo intelligibile è un riflesso diretto del Logos divino, quindi possiede tutte le virtù che lo fanno simile a Dio. L’uomo terrestre realizza solo in parte quest’idea, perchè l’anima, partecipe dello spirito divino, si trova ad abitare in un corpo mortale, fatto di forze inferiori. Di qui la doppia natura dell’uomo: egli si trova come al confine dei due mondi, del mondo sensibile e del mondo intelligibile. Per esprimere questo concètto Pilone riproduce a modo suo la distinzione aristotelica dell’anima vegetativa, sensitiva e razionale; oppure la teoria stoica dello rnsOpa, che pure conservando nell’espressione la reminiscenza del suo significato materialista, si viene sempre più spiritualizzando: è lo spirito, il soffio divino nell’uomo; soprattutto, si ricorda delle immagini platoniche che il corpo è come una prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è l’opposizione tra la parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è l’uomo? Tutto per la sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per la sua natura mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile mescolanza di grandezza e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma anche capace di male, miserabile, mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le loro corolle verso il sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi divini, elevarsi verso il cielo, ma questa sua libertà è come appesantita dal peso del corpo. E qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? Il restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a lui, il seguire la natura, clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un nuovo significato. Pilone combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il massimo impedimento alla vita divina; accetta la formula stoica del seguire la natura, e distingue le quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei quattro fiumi del Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apatia, è insomma l’ideale del saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per lui obbedire alla volontà divina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si trova tutta quanta nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La virtù dell’uomo è un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il saggio riceve la virtù come un dono della grazia divina, e un dono sempre rinnovato. In quest’ Etica teologica le quattro virtù cardinali ricevono il loro compimento nelle virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita contemplativa, di cui fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita attiva, che consiste nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima, allontanandosi da Dio, s’è legata in questa vita dei sensi, così essa può ritornare a Dio ; e l’ultimo grado della perfezione umana è l’unione conDio, la deificatio, la visione estatica. L’ uomo può sollevarsi al di sopra dei sensi, al di sopra delle idee; e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così quest’unificazione con Dio non è possibile mediante la conoscenza razionale, ma avviene per la grazia di Dio che si comunica a noi, in una specie di rapimento eh’è in noi come il furore dei coribanti, dice Filone con frase platonica; e i limite della felicità, la più alta aspirazione dell’uomo è, mediante quest’estasi, il riposare in Dio: sv jaóvcj) Osm axf;vai. Questa è nei suoi tratti fondamentali la filosofìa di Filone ebreo, eh’è in fondo anch’essa una filosofia eclettica, in quanto profitta di tutte le filosofie anteriori; ma è caratterizzata specialmente dal suo carattere religioso e dalla mescolanza d’idee greche con idee o credenze ebraiche. Le stesse tendenze religiose e mistiche, che abbiamo visto in Filone ebreo, ritroviamo sul terreno greco in quel gruppo di filosofi che si sogliono denominare Neopitagorici e Platonici eclettici più o meno pitagorizzanti, che si possono considerare anch’essi come precursori e preparatori del Neoplatonismo propriamente detto. L’antica scuola pitagorica, come un complesso di dottrine, era estinta sin dal quarto secolo, al tempo di Aristotile; ma come forma e metodo di vita, che si diceva appunto vita pitagorica, come disciplina di pratiche morali pure e austere sanzionate da credenze religiose, il Pitagorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra i quali abbiamo già nominato i due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi cinquantanni che precedono Péra cristiana e poi nei due o tre secoli che seguono, il Pitagorismo rinasce e si diffonde: non solo si cercano i libri degli antichi pitagorici, ma se ne scrivono anche degli altri,-che si attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi seguaci: tutta una letteratura apocrifa, come i Versi d'oro di Pitagora, che sono una serie di precetti morali, il trattato di Timeo di Locri a\\WAnima del mondo, quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto, in parte, se non interamente, i libri attribuiti a Filolao e ad Archita di Taranto, anche ad alcune donne pitagoriche, come la famosa Theano e altre, perchè una delle specialità dei Pitagorici era di avere un grande rispetto della donna. Sono opere dovute a falsari di buona fede, i quali ri- spondendo ai bisogni del tempo, senza nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le filosofie contemporanee o anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee intorno a Dio, il mondo, 1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee sotto il patrocinio di un nome illustre e autorevole: il bisogno di appoggiarsi a un’autorità venerata era uno dei bisogni del tempo. La stessa leggenda di Pitagora si compie in questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti meravigliosi: la sua vita diventa un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce ne furono delle altre pubblicate dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono appunto i Neopitagorici. Si possono e si sogliono citare come rappresentanti di questo indirizzo un NIGIDIO FIGULO (vedasi), eh’è nominato da CICERONE (vedasi) come rinnovatore del Pitagorismo in Alessandria, Sozione, scolaro dei Sestii, che abbiamo pure nominato, poi più specialmente Apollonio di Tiana, Moderato di Gades, e M- comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura più importante e caratteristica che possiamo prendere come rappresentante di tutto questo indirizzo è Apollonio di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque sotto Augusto e visse fino agli ultimi anni del primo secolo dell’e. v., e la cui efficacia si estende molto al di là del tempo in cui visse. Più di un secolo dopo la sua morte, nei primi decenni del 200, ne scrisse la vita un sofista di quel tempo, Filostrato di Lemno, in una specie di romanzo che vorrebbe essere storico, a richiesta dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di Settimio Severo, la quale era una bella donna, originaria della Siria, ambiziosa e colta, che non solo faceva, occorrendo, della politica, ma aveva il gusto delle lettere e della filosofìa, e raccoglieva alla sua corte un circolo di persone istruite più o meno illustri. In questo libro Apollonio è presentato come un tipo di perfezione morale e religiosa, secondo i precetti della filosofìa pitagorica, come un essere più che umano, non filosofo solamente, ma qualche cosa di mezzo tra la natura umana e la natura divina. Ha una nascita meravigliosa e fa anche dei miracoli. Cosicché è difficile, da questa vita dì Filostrato, sceverare la parte storica dalla leggenda, quello eh’è stato realmente Apollonio da quello ch’è diventato nell’immaginazione dei suoi ammiratori. Ce lo possiamo raffigurare come una specie di riformatore morale e religioso che, dopo essersi istruito nella filosofia e avere accettato quella di Pitagora o che passava per pitagorica, esercita un apostolato predicando la conoscenza del vero Dio e il culto che gli è dovuto. In un frammento di lui che ci è conservato da Eusebio, egli dice: « Per onorare degnamente la divinità e rendersela propizia e benevola, non giova, al Dio che diciamo primo e ch’è uno e separato da tutte le cose, offrir sacrifizi nè accendere fuoco nè in generale consacrare alcuna cosa sensibile; giacché egli non ha bisogno di nulla, e non c’è pianta che la terra produce nè animale eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia. Quelloche dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non le parole che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli esseri, il nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il pensiero (il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di sotto di questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali è il sole, la più pura manifestazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale, anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la sua vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina sempre più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a lavorare la leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta da Apollonio, nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo divino, la personificazione vivente della perfezione spirituale e della potenza a cui può giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è nato, pretendono ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma afferma che venne al mondo in condizioni straordinarie, dopo che sua madre ebbe appreso in sogno che portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in persona. Dopo avere abbracciata la vita pitagorica ed essersi formato nel silenzio per cinque anni, viaggia per il mondo, in Oriente, in Grecia, a Roma, in Egitto, in tutti i paesi allora conosciuti, conversa coi sapienti di tutti i paesi, istruendosi e ammaestrando gli altri, preceduto da una gran fama e facendo delle cose maravigliose. A Efeso ferma la peste facendo lapidare un vecchio mendicante, il quale difatti non è altro che un demone camuffato, nel quale s’era incarnato il flagello. Ad Alessandria riconosce istantaneamente in un corteo di condannati a morte un innocente. A Efeso pure egli sa e annunzia la morte di Domiziano nel momento in cui questo è colpito a Roma: un bel caso di telepatia. Non solo sa delle cose sconosciute a tutti gii altri uomini, ma dispone di un vero potere sugli elementi della natura: sulle rive dell’Ellesponto ferma i terremoti. Parla tutte le lingue senza averle imparate, scaccia i demoni, si trasporta istantaneamente a grandi distanze, s’intrattiene con le ombre degli eroi, fa cadere i suoi ferri in prigione col solo prestigio della sua volontà, richiama in vita una ragazza che passava per morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei suoi discepoli perdutamente innamorato di una donna molto bella e ricca in apparenza, ma ch’era in realtà una lamia, uno di quei cattivi demoni femminili che si fanno amare dai giovani per poterli divorare a loro piacere. E non già ch’egli sia un mago, uno stregone, che operi prodigi grazie all’intervento di spiriti maligni; no, Filostrato si dà una gran pena per escludere questa interpretazione. Apollonio fa dei miracoli in virtù della sua scienza superiore e della sua cola unione con gli Dei; e per arrivare fino a questo punto quello che occorre è una virtù austera, un’estrema purezza di costumi e l’osservazione di una disciplina rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle cose più nascoste all’uomo, predice l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua carriera si termina aneli’essa in modo meraviglioso. La leggenda più diffusa intorno alla sua morte racconta che, essendo andato a Creta vecchissimo, entrò nel tempio di Diana e non ne uscì più. Si sentirono come delle voci di fanciulle che cantavano nell’aria: lasciò la terra, salì al cielo. Dopo la sua morte, la città di Tiana gli rese onori divini, e la venerazione di tutto il mondo pagano attestò l’impressione lasciata negli spiriti dal passaggio di quest’essere soprannaturale, che faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio abita fra noi J ). Questo carattere meraviglioso della vita di Apollonio ha fatto credere che fosse intenzione di Filostrato e della sua ispiratrice di opporre una specie di Cristo pagano a quello della Chiesa nascente, che guadagnava sempre più adoratori. Per combattere il prestigio che la storia e l’insegnamento di Gesù esercitavano di giorno in giorno non solo sulla folla, ma in tutte le classi della società, avrebbero pensato di suscitargli contro un rivale in un saggiopagano, che non solo operava miracoli come l’altro, ma che professava una dottrina attinta alle più pure fonti della scienza ellenica. Ora la più parte dei critici non credono a questa intenzione o tendenza del romanzo, nel quale non si allude affatto e non si può dire che ci sia uno spirito ostile al Cristianesimo. Il romanzo è piuttosto interessante innanzi q Cfr. .1. Réville, La veli gioii (ì Home som ìes Sé vèr eh, Paris, Levous.] tatto per il fatto stésso che, alla distanza di poco più di un secolo, la vita di un filosofo neopitagorico come Apollonio sia potuta diventare materia di una leggenda cosiffatta: è un documento interessante non solo di quel- V atmosfera meravigliosa e della credulità in cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma soprattutto di quella religiosità spirituale che tendeva a purificare e moralizzare il paganesimo, e del bisogno che si sente di presentare l’ideale \ religioso come incarnato in una figura concreta, santa e beila di quell’ideale stesso, e operatrice di miracoli, perchè avesse più presa sulle coscienze e la forza di comunicarsi. Il saggio stoico o quello di Epicuro sono costruzioni razionali che non bastano più: occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che s’india, che rappresenta la natura umana divinizzata. A questo bisogno, a quest’aspirazione religiosa delle anime, rispondono ora le figure di Pitagora e di Apollonio. Del quale sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno e l’altro sono uomini divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità si è rivelata, i Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare filosoficamente le loro credenze e le loro massime etico religiose, essi mescolano alle idee pitagoriche concetti elaborati dalla filosofia posteriore, platonici, aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della loro speculazione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresentato dal due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo tutto è ordinato con numero e mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee, che sono pensieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi numeri; e poiché Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto realizzate da un essere intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia preesistente, la quale pure talvolta resiste a questa penetrazione delle forme divine; ed è nella materia che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e del male nel mondo. Questo dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima ha bisogno di purificarsi con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare divina. È stato osservato che in/queste speculazioni ora è accentuato il concetto monistico del principio unico da cui tutto il resto sarebbe derivato; ora invece, e più spesso, prevale la concezione dualistica del principio divino e di una materia originaria. Il problema del male s’.è posto davanti alla coscienza religiosa e alla riflessione filosofica, e l’una e l’altra s’affaticano a risolverlo cercando di superare l’antitesi tra il divino e il suo contrario, tra il corpo o la materia e le aspirazioni superiori dell’anima. Il problema in fondo era nato con la distinzione platonica tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. E di tutte le autiche scuole nessuna doveva sentirsi più vicina all’ indirizzo neopitagorico della scuola platonica, per la ragione eccellente che Platone stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi pitagorici, aveva finito col pitago- reggiare identificando le sue idee coi* numeri, e speculando su Dio e l’anima e la formazione del mondo materiale alla maniera dei pitagorici nel Timeo, il quale Timeo era quel Timeo di Locri pitagorico, da cui Platone fa esporre appunto la sua filosofia della natura nel dialogo che porta quel nome. Così è che V indirizzo dei Neopitagorici si può dire continuato nel secondo secolo d. 0. da un gruppo di Platonici eclettici, tra i quali, senza citare altri nomi, possiamo ricordare due scrittori notissimi, Plutarco e Apuleio; e poi, per la sua importanza caratteristica, Numenio di Apamea, che ora è detto pitagorico ed ora platonico. PLUTARCO di Cheronea è Fautore celebre delle Vite parallele – la seconda e di ROMOLO --, che hanno educato tanta gente all’amore della virtù e dell’eroismo, e poi di una quantità di opuscoli che si sogliono designare col titolo complessivo di Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista principalmente, anche nelle Vite, ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e piacevole: le sue opere sono una specie di enciclopedia, un repertorio di notizie e d’idee su tutta l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira in tutte le sue forme; e come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo popolo e degli eroi antichi, così si assimila la scienza, la religione, la morale dei padri, e se ne fa l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri. Uomo religiosissimo, ha nella sua patria e a Delfo funzioni sacerdotali. Ama la filosofia, e l’ha anche insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come il più grande dei filosofi, ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da quell’uomo istruito che è, e non nella filosofia solamente, ha qualche volta la riserva prudente dei nuovi Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non precisamente un sistema, ma una dottrina eh’è come il risultato di tutte le dottrine anteriori. La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e religioso: egli vuole mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei suoi miti e nelle sue pratiche, interpretandola secondo principi filosofici, in modo cioè che non faccia ostacolo a una concezione pura e degna della divinità. La filosofia è la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino che i miti contengono, togliendo le concezioni false e le menzogne che talvolta i poeti raccontano. Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la superstizione, quella ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura servile degli Dei: invece la fiducia e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto. Combatte gli Epicurei per il loro materialismo, ma combatte anche gli Stoici, che col loro principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E qui apparisce il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio delle cose nè nei corpi senz’anima (negli atomi) come fanno Democrito ed Epicuro, nè nella ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel primo caso non si capisce come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel secondo caso non si capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde viene il male? Non dal bene, non da Dio certamente. E nemmeno dalla materia, come molti pensano, perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il sostrato indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per spiegare dunque la cosa, bisogna ammettere che come c’ è un’ anima del mondo che realizza le idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un principio o potenza del male che esiste da tutta eternità col bene, il quale, benché superiore, non può mai annientare quella potenza eh’ è Y origine e la causa di tutto ciò clie v’ lia di disordine nel mondo, e rende conto della generazione del male. Il motivo di questa speculazione è eliminare, di fronte alla realtà del male, tutto ciò che può compromettere la purezza e la bontà di Dio, a costo di compromettere la sua onnipotenza. Di qui im J altra idea affine e connessa con questa. Dio è il principio del bene e governa il mondo con la sua provvidenza; ma questa provvidenza non si esercita dilettamente da lui, ma per mezzo di esseri intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto del Dio primo e supremo, realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei celesti o visibili, e al di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che vigilano e governano direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce ne sono dei buoni, ce ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina apparisce inquinata e commista al male. Questa demonologia, clPè insegnata anche da Apuleio, ed è una delle credenze più diffuse in quest’età, serviva non solo a mantenere puro nella sua sublimità trascendente il concetto di Dio, ma anche a giustificare in qualche modo tutte le divinità pagane, e le funzioni loro attribuite, e i riti e gli oracoli e tutte le altre parti del culto che vi erano connesse. E infine un’altra idea domina la speculazione religiosa di Plutarco, quella di trovare a traverso la diversità dei miti e delle credenze dei diversi popoli una verità fondamentale. A quello eh’ è stato detto il sincretismo religioso, il mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteristico di questi secoli, corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi, i quali aspirano a formulare la verità religiosa comune ai diversi .sistemi e alle diverse civiltà. Non ci sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi popoli, non ci sono Dei barbari e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come il sole e la luna illuminano tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il mare esistono per tutti, nonostante la diversità dei nomi con cui si designano, così vi ha una sola Intelligenza che regna nel mondo, una sola Provvidenza che lo governa, e sono le stesse potenze che agiscono dapertuttó; solo i nomi cangiano come le forme del culto; e i simboli che elevano lo spirito verso ciò eh’ è divino sono ora chiari ora oscuri. Idee affini e tendenze mistiche anche più pronunziate si ritrovano in Apuleio di Madaura, che anch’egli professa ed espone il platonismo, adattandolo ai bisogni teosofici del tempo. Ma di tutti questi filosofi eclettici del secondo secolo quello che segna più nettamente il passaggio al Neo- platonismo è Numenio di Apamea: gli stessi Neoplatonici lo considerano come il loro precursore immediato: lo leggono e lo commentano nella loro scuola. Secondo Numenio, che visse verso il IfiO, la vera dottrina di Platone era identica a quella di Pitagora; e questa filosofia egli la trova d’accordo con quella dei saggi dei- fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei. Egli aveva in particolare la più viva ammirazione per Mose, nel quale trovava tutte le idee di Platone; di qui quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa è altro Platone se non un Mosè che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo come di Filone ebreo si diceva: o Filone platonizza o Platone fìlonizza. Numenio conosce certamente Filone e adopera lo stesso metodo d’interpretazione allegorica, e ha tendenze affini nella sua speculazione : cosicché qui il sincretismo è completo: la tradizione orientale e occidentale si congiungono a produrre la nuova filosofìa. Dei libri di Numenio, uno dei quali s’intitolava intorno al Bene, ci rimangono dei frammenti interessanti conservatici da Eusebio, e che si possono vedere nel 3° volume del Mullach, Frammenta pliilosopliorum graecorum. Numenio si domanda: che cosa è l’essere, la vera realtà? Non i quattro elementi, nè i corpi composti da essi, che sono realtà mutevoli, cangianti, si trasformano, divengono sempre e non sono mai, come diceva Platone; e nemmeno la vera realtà si può cercarla nel sustrato materiale di tutti questi fenomeni sensibili, nella materia, la quale è qualche cosa d’indefinibile e d’irragionevole (àXoyo?). Per conoscere la vera realtà bisogna rivolgersi non al- 1’ esperienza sensibile, ma alla ragione. Per Numenio la realtà è ciò che è assolutamente, l’ Essere increato e che non sarà distrutto, l’Essere semplice e invariabile. Quest’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è intelligibile (voyj-cóv), si può cogliere con la ragione solamente, non con la sensazione o con l’opinione, come le cose periture e finite. Con questo Numenio esprime la tendenza di tutto questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni materialismo, non solo a quello degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici: il bisogno di concepire la realtà ultima come una realtà spirituale diversa e opposta a tutto ciò eh’ è corporeo. Da queste considerazioni metafisiche Numenio ricava la sua dottrina teologica.  NUMENIO La quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in questo: nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale, senza connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un Dio secondo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici ponevano degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio statuisce al disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in certo modo quello che Platone identificava: il Demiurgo era per Platone, a dir così, la funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo essere divino, il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di tutte le cose che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile formando e ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia : è come un pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi sul cielo e 1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che dirige mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio; ma d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo, il suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono da lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un Dio .TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il primo Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice (mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che insegna Numenio. ' Del quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima razionale e un’anima non razionale: queste due nature sono in lotta fra loro, come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo contatto con la materia, e tutte le incorporazioni dell’anima sono considerate come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle anime; 1’ unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una colpa commessa in una vita anteriore, prima della nascita in quel dato corpo. E l’aspirazione suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la contemplazione o l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui possono godere solo quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione col corpo e coi sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, formulate le idee e le esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la trascendenza del divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il mondo, la doppia natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Origine divina, e dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il bisogno della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi con Dio: idee e esigenze che troveranno la loro espressione più compiuta nella filosofia dei Neoplatonici. La Filosofia greca finisce col sistema e la scuola (lei Neoplatonici. Fondatore del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi e dagli stessi Neo pi atonici Ammonio Sacca > alessandrino; nato ed educato da genitori cristiani, sarebbe passato alla religione antica; e insegnò filosofìa in Alessandria. Non scrisse nulla, e non sappiamo niente di preciso sulle dottrine che professava: ci è riferito che secondo lui le dottrine di Platone e di Aristotile, nelle cose essenziali, concordavano, si potevano ridurre o fondere in una sola dottrina. La tendenza religiosa dell 7 uomo, oltre che l’ammirazione che ispirava, si può concludere dall’epiteto di 0£o5iBaxToc, a Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno. Ebbe, molti scolari: si citano tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che non è da confondere col teologo cristiano dello stesso nome, quantunque anche di questo è detto che passò per la scuola di Ammonio; poi il critico  e retore Longino a cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime; ma sopraffatti importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi tre scolari principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di non pubblicare nulla degl’ insegnamenti di Ammonio, probabilmente per non profanarli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi Origene, anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli è diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed espositore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino e poi dei suoi successori. 2. - Plotino è di Licopoli, nell’Egitto. A 28 anni si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei maestri eh’erano allora in Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un amico, al quale s’era confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è quello che cercavo; e rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando conoscere nelle sue fonti la saggezza orientale dei Persiani e degl’indiani, accompagnò l’imperatore Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma questa spedizione riuscì male; lo stesso imperatore vi fu ucciso ; Plotino potè appena salvarsi in Antiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi rimase quasi fino all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò sempre più numerosa. Non tanto il talento della parola, quanto la profondità dei pensieri, la bontà del carattere, la purezza e semplicità della vita gli attiravano la simpatia e la venerazione. Era una natura mite e gentile, meditativo, tutto dedito all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando parlava, e specialmente quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelligenza sembrava brillare sul suo viso e illuminarlo. Dovette esercitare una potente efficacia. Tra i sxioi ascoltatori furono persone di riguardo, dei senatori e alcune donne distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a morire, gli affidarono i loro figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come a un depositario o un tutore di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa era piena di giovanetti e di giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a tutti i suoi obblighi, il che non lo distraeva punto dalle cose intellettuali, ch’erano la passione della sua vita. L’imperatore Gallieno e sua moglie, l’imperatrice Saloniua, lo ebbero in grande favore, 27egli ultimi anni del filosofo fu ventilata pef un momento tra lui e l’imperatore l’idea di fondare nella Campania una città filosofica sul modello di quella di Platone, e che si sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non se ne fece nulla. Le condizioni della sua salute peggiorata (soffriva di un’affezione cronica dello stomaco) lo decisero ad abbandonare Roma e a ritirarsi in una villa della Campania che fu messa a sua disposizione. Morì nel 270, a 66 anni, presso Minturno. Al medico, suo amico e discepolo, che venne a vederlo, Plotino morente avrebbe detto : Ti aspettavo, prima di riunire quello che v’ha di divino in noi al divino che è nell' universo. Tutte queste cose si leggono nella Vita che ne scrisse il suo scolaro Porfirio, il quale comincia la sua biografia con queste parole: Il filosofo Plotino, vissuto ai nostri giorni, pareva si vergognasse di avere un corpo. Così pure egli non parlava mai della sua famiglia e della sua patria; e gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un busto. Un giorno che Amelio (un altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi ritrarre, Plotino gli disse: Non basta di portare quest’immagine nella quale la natura ci ba chiusi? Bisogna proprio trasmettere alla posterità l’immagine di questa immagine come un oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo soprattutto a Porfirio se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato per molti anni dell’insegnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato a mettere, in iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal suo pensiero, lungamente e intensamente meditato, senza curarsi molto dello stile e nemmeno dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole che aveva. Verso la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti con l’incarico di rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o se ne potevano ricavare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi ciascuno di nove libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse Novene, sei Enneadi di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi di Plotino, il libro fondamentale della speculazione neoplatonica, e uno dei tesori della letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da FICINO (si veda). Il neo-platonismo è una filosofia essenzialmente religiosa; il motivo da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino, il bisogno dell’ anima di sollevarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di sentirsi una con l’essenza universale di tutte le cose. L’idea fonda- mentale e dominante della filosofia di Plotino è che tutte le cose esistono in Dio, emanano da lui e ritornano a lui; e questo non come una cosa solamente pensata, ma sentita e vissuta in tutte le fibre dell’anima, con uno sforzo persistente del pensiero di penetrare nei misteri di questa vita divina di se stessi e del mondo. Il punto di partenza e il presupposto di questa speculazione è la distinzione platonica tra le cose sensibili e la realtà intelligibile, la realtà delle idee. È una distinzione che può essere pensata in una maniera sobria, senza nulla di mistico. Tutti in fondo viviamo in un mondo ideale, nel mondo delle idee, quando parliamo di verità, di giustizia, di virtù, di bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il mondo naturale, si può considerare come una realizzazione d’idee. Questo insegnava Platone e questo insegnava Aristotile. Ebbene, secondo Plotino, bisogna elevarsi ancora più in su. Le Idee sono una realtà derivata, non sono la prima realtà. Il principio di tutto ciò ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è al di là di ogni molteplicità e di ogni determinazione. Le cose che noi vediamo e che possiamo pensare sono molte, ma tutte queste cose non potrebbero esistere se non avessero la loro radice prima nell’Uno da cui procedono e che le tiene insieme. L’unità è la condizione di ogni molteplicità non solo nei numeri, ma anche nel mondo dell’essere; senza un’unità suprema incondizionata nessuna cosa esisterebbe, e il mondo si risolverebbe in un caos senza consistenza e senz’ordine. Plotino chiama questo primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che esclude ogni molteplicità, e gli nega pure ogni determinazione o attributo, perchè* definirlo in qualche modo sarebbe un limitarlo, farne una cosa piuttosto che un’ altra. Si può dire quello che non è, non quello che è: senza limiti, infinito, senza forma nè qualità. È una realtà assolutamente trascendente, rcàvawv, al di là di tutte le cose : una realtà a cui nessun concetto e nessuna parola è adeguata. Questo lo diceva anche Filone ebreo, il quale però, educato sulla Bibbia, non poteva a meno di concepire Dio come persona. Secondo Plotino, non si può attribuire a Dio, alla realtà prima e assoluta, nessuna delle proprietà della persona: nè il pensiero nè la volontà: il pensiero suppone la dualità di soggetto e oggetto e la molteplicità delle idee pensate; la volontà suppone un’attività rivolta a un fine: saremmo sempre nel campo delle realtà derivate, della molteplicità, della differenziazione. Ogni attributo dunque,) personale o non personale che sia, bisogna negarlo di lui.^ Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di supremamente reale e di supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua trascendenza assoluta al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose pensabili, non è per diminuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza dell’essere non sarebbe compatibile con una limitazione o determinazione qualsiasi. / Si può dire solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e causalità assoluta di tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non come un attributo intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come il fine ultimo a cui tutte le cose tendono. È insomma l’Ineffabile. Un filosofo italiano *) (liceva: * : l’Innominabile Reale. E voleva dire: la vita, il mondo è j un grande mistero: tutte le cose elle noi vediamo e che I pensiamo accennano, sono l’indizio di una realtà suprema che ci supera, ci trascende : possiamo affermarla, non nominarla. Questo è l’Uno di Plotino. Rimane a sapere come procedono gli effetti di questa causalità originaria. Bisogna escludere innanzi tutto ogni idea di divenire nel tempo, come se prima esistesse l’Uno e poi le altre cose ; no, non si tratta di raccontare una storia di eventi che si succedono ; e più specialmente non si può ammettere che le cose procedano dall’ Uno in seguito a un atto di volontà, a una decisione intenzionale, come se l’Uno fosse una persona che pensa e delibera : dunque niente creazione, nel senso ebraico e cristiano. E Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la sostanza divina, come un fuoco sottilissimo, si comunichi alle cose derivate, permeandole come il miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è una sostanza che si possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea Plotino è obbligato a servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua natura che il primo juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad esse. Come ogni essere vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un altro simile a sè, così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili benché inferiori. Dalla pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso delle q Antonio Tari, professore di Estetica nell’ Università di Napoli. esistenze derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice, come dal sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo senso la più chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della luce divina. Non è dunque nè creazione nè spartizione della sostanza divina, ma emanazione, intendendo per emanazione non una diffusione che diminuisca la sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure rimanendo integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui, mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dinamico o emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e continuata dell’Uno, le esistenze, derivate si dileguerebbero. Esse hanno in lui la loro consistenza, ma ogni nuova emanazione, pur partecipando del- l’Uno, è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via meno perfette a misura che s’allontanano dalla causa prima e aumentano i termini intermediari: la luce proiettata dall’ Uno impallidisce via via fino a sembrare come dileguarsi nelle tenebre del non essere, della materia bruta. Si direbbe un’evoluzione a rovescio, non dalle forme meno perfette alle più perfette, ma al contrario, una degradazione progressiva del divino, un allontanarsi sempre più della luce dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di questa emanazione 1 ? Prima e immediata emanazione dell’Uno è l’intelligenza o il vou?, s’intende l’Intelligenza universale,, la Mente divina con le sue idee (il Logos che diceva Filone, e che anche per lui era il primogenito di Dio) : il mondo delle Idee dunque, le quali contengono le ragioni seminali di tutte le cose, terre, mari, fiumi, animali, piante, individui, cosi come possono esistere nella loro essenza, ab eterno: l’Uno, senza cessare di essere l’Uno, si è come enucleato in questa molteplicità delle Idee, che costituiscono il mondo intelligibile insieme con la Mente che le pensa. E come dall’Uno emana l’Intelligenza o il voOg, così da questo emana il principio della Aita cosmica, l’Anima universale, l’Anima del mondo, che da una parte guarda alle Idee, e dall’altra come Natura le attua nello spazio e nel tempo generati da essa, le attua nel mondo sensibile; sicché l’Anima, come il secondo Dio di Numenio, è, si può dire, al confine dei due mondi, del mondo intelligibile di cni essa è l’ultima emanazione, e del mondo dei corpi che emana e eh’è formato da essa; e l’ultimo termine di questa processione è la materia o il sustrato materiale dei corpi, la materia senza forma, in cui la luce divina si estingue in qualche cosa di opaco e di oscuro. Cosicché avremmo come una gerarchia di esistenze che, in ordine inverso a quello che abbiamo detto, andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono la fantasmagoria del mondo sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al- l’Intelligenza o Ragione universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo riceve la luce dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa dall’Uno: così tre sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso stesso invisibile agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare perenne della luce che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima costituiscono insieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo sensibile; e sono dette con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che nominate a una a una sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che sono stati paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza essenziale che nel mistero cristiano le tre persone sono uguali in perfezione e costituiscono tutte insieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un solo Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono persone, ma gradi della realtà: il mondo procede direttamente dall’Anima e mediatamente dall’Intelligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna escludere da questo processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure bisogna escludere ogni idea di spazio, come se si trattasse di un edifizio a tre piani, di cui il mondo PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come il pian terreno. No, sono tutte rappresentazioni in adeguate. Si tratta invece di comprendere V universo, nella sua unità, come la manifestazione di un principio divino unico che si manifesta come Intelligenza e come Anima, come Intelligenza in quanto il mondo lia un contenuto razionale che sono le Idee che vi sono realizzate, come Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza generatrice e formatrice che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose che esistono; e così l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come l’irradiazione o l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e sussistono esse stesse e tutte le cose; e l’ultimo termine di questa produzione, il polo estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva dell’Uno è la materia, che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è materia animata e formata dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra dell’Anima e della Mente di cui porta in sè impresse le tracce. Dopo questa veduta sommaria, fissiamo più particolarmente la nostra attenzione su l’Anima, che, come dicevamo, si trova al confine dei due mondi, del mondo intelligibile e del mondo sensibile: li separa e li unisce partecipando di entrambi. In quanto emanazione o espressione dell’Intelligenza, l’Anima contempla in essa le-Idee, e sono queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo dei corpi. Si potrebbedire che ha una doppia funzione, una rispetto all’Intelligenza da cui riceve o riflette o rispecchia le Idee, l’altra rispetto al mondo dei fenomeni che si genera da essa, e nel quale essa imprime le Idee, che diventano così le forme o ragioni seminali delle cose. Per esprimere questa doppia funzione Plotino ne parla talvolta come fossero due anime, una superiore e l’altra inferiore, 1’Afrodite celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è insomma la filatura (cpuaic;), eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j principio della vita universale, come forza creatrice, la cui \ attività non rimane nella sua semplicità originaria : pur [essendo semplice e indivisibile in se stessa, la sua attività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo corporeo, allo stesso modo come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica in tutte le sue parti. Con questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di estraneo, di diverso essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si potrebbe dire una sua esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica) che con la sua espansione genera lo spazio, e con l’azione successiva delle sue potenze genera il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima, un’emanazione umbratile di essa, ma è essa che lo illumina della sua luce. Di qui quell’espressione così caratteristica in Plotino, che non è l’anima ch’è nel corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento dell’anima, ed è tenuto insieme, animato, unificato dall’anima che lo produce e lo avviva tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto l’universo. Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il mondo dei corpi è un’ombra o riflesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima, ma un prodotto dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui essa è ministra. Per questa, a dir cosi, incidenza del mondo corporeo nelle potenze spirituali da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è penetrato d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è più un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma, nell’acqua che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua fecondità inesauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi celesti, i corpi degli animali e delle piante, fino alla più grossolana materia delle cose terrestri. È una vita infinita diffusa per tutto l’universo: lo spirito animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue specie e nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più perfetto al meno perfetto; e nelle creature inferiori c’è come la traccia o il ricordo e quindi l’aspirazione e il presentimento delle forme superiori; e tutte queste vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unificano pnre nel juincipio unico da cui emanano. Come l’Intelligenza, pure essendo una, contiene in sè tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole anime, tutte le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri realizzano la stessa vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che ricircola rimanendo identica a se stessa in tutte le parti e forme del mondo, Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora, l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi aspira a liberarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espressione nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso del mondo ideale, è una manifestazione dell’Anima, penetrata d’intelligenza e d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un demiurgo cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il mondo sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto di materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza infinita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta dei contrari sono subordinati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e armonia, ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione fìsica o meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità dell’Anima e dell’Intelligenza che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di natura di tutti gli esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe M." - San Pietro Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e l’armonia del mondo, e scrive una Teodicea per difendere il concetto della Provvidenza. Tutto è bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri anche quando si divorano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione del rinnovarsi perpetuo della scena della vita. Sì, è necessario eh’essi si divorino: è come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto morire, va a cangiare di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire che non era morto realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire è cangiare di corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte: che cosa c’è di spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli altri? E così, morire nella guerra, nella battaglia, è anticipare di ben poco i colpi della vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto altra forma. Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste violenze, pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della vita, non è l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore che geme e si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le cose dal punto di vista dell’eternità, si consola facilmente di questo spettacolo, ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo Plotino afferma che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo, e scrive del Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone alcuni dei concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità tutta la concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può dire religiosa e estetica insieme. Data quell’animazione e spiritualizzazione dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sensibile come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale, d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli oggetti belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le Idee produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e questo sentimento non sarebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la bellezza, se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di Plotino, che vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della bellezza, quelle che si sollevano sulle cupidigie e i desiderii inferiori, che sanno guardare con occhi sereni, con una contemplazione disinteressata, le cose belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la bellezza nella tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla sua statua, finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu scolpisci e cesella la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in essa di torbido, perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza è un mistero che non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione solamente, ma amore. plotino: l’anima umana Il che vuol dire che al di là di essa c’è qualche altra cosa. Al di là della forma bella, o per meglio dire a traverso di essa, traluce qualche cosa di cui essa è lo splendore: ed è il Bene a cui l’anima aspira. Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene che l’anima aspira ad unirsi. Come tutte le cose che esistono, anche l’uomo ha la ragione della sua esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne deriva, ma ci vive dentro, non ne è separato, anche durante la sua esistenza terrena. Ogni anima deve considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di quell’Anima che ha prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri divini, il sole e il cielo immenso : è essa che ha dato al cielo la sua forma e che presiede alle sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i viventi, le piante e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare. Tutte le anime individuali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è insomma lo stesso principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi diciamo la nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,, come quella che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua esistenza non comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è un aggregato di atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sottilissimo igneo o etereo, come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo, entelechia o forma di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia risultante dalle relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici. Plotino discute e rifiuta tutte queste ipotesi, per concludere die fiamma non Ita bisogno del corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e separabile dal corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue facoltà, la sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non sarebbero possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato di molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un soggetto semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che sono nelfiuniverso, l’Anima, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche in noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza discorsiva, che procede per via di ragionamenti, ma anche quella forma superiore di essa che intuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza, l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza, siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e sussistiamo in lui l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa specie di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con l’immaginazione, ; come del resto faceva anche Platone, quando parlava di una caduta delle anime che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime celesti che rimangono pure da ogni - contatto corporeo e beate nella contemplazione delle Idee' eterne. Ma ce ne sono delle altre, che siamo noi, le vere anime umane, le quali si sono rivestite di un corpo, e sono discese in un grado di esistenza inferiore. Come l’Anima universale procedendo nelle sue emanazioni avviva il corpo intero dell’universo, così alle anime particolari è devoluta una parte determinata del mondo corporeo ; il che si può anche intendere come una legge provvidenziale, perchè il mondo intelligibile da cui le anime derivano manifesti ed esplichi tutte le potenze eh’esso possiede. L’anima particolare, sviluppando le sue potenze sensitiva e vegetativa, entra in un corpo, o a dir meglio, se ne riveste, se lo forma vivificandolo e governandolo. {Si potrebbe forse rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante quando nel XXV del Purgatorio descrive il formarsi delle ombre: la virtù informativa raggia intorno e suggella di sè la materia corporea che le si condeusa intorno o eh’essa irradia da sè). Ma comunque si voglia immaginare la cosa, e a parte qualunque mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa qui, in questa discesa delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi dell’anima individuale dalla sorgente di ogni vita, la volontà dell’esistenza individuale, che finisce col diventare un’esistenza separata, e dimentica della sua origine e dei legami che la congiungono col tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il principio della V a Enneade) — come accade che le anime dimentichino Dio, il loro padre? Come accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da Dio, esse lo disconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è l’audacia o l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se stesse. Da quando hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente, usando largamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono avanzate nella strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un tale allontanamento da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % vita a cui l’uomo può e deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione, una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più profondo della dottrina della metempsicosi, che anche Piotino accetta come Platone e i Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è di sua natura immortale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha abusato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiventare uomo o animale o anche pianta, secondo i suoi meriti e gli atti che ha compiuti in una vita anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si purifica, espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste da cui è discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche ascetiche o mortificazioni, ma facendo si che l’anima non diventi prigioniera delle passioni del corpo, non s’abbandoni ai fantasmi dell’immaginazione, non si estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre più verso quella realtà intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo punto di vista anche le virtù cardinali o civili acquistano un nuovo significato : diventano virtù purificative, orientano l’anima verso quella realtà superiore, facendo che l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte le sue azioni e i suoi sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e pratiche vale la virtù contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo stesso mondo sensibile può avere valore per il nostro perfezionamento quando sia appunto oggetto dì con- « templazione: qui vengono a confluire quelle due correnti d’idee che dicevamo: l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al mondo ideale, e la perfezione e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in quanto riflesso delle Idee. L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi può pervenire se non mediante la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le apparenze del mondo sensibile possono servire di gradini, di scala per sollevarsi fino a quel mondo superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che sono per Plotino la musica, l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto l’armonia, l’amore ha per oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la verità. Il musicista si lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello ; ma bisogna che delle impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere timido è risvegliato al più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla bellezza delle voci e degli accordi ; egli rifugge da tutto ciò che gli sembra contrario alle leggi dell’armonia, e ricerca il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma bisogna che dopo queste intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente sensibili, egli impari a conoscere le proporzioni e i rapporti intelligibili che sono l’idea e il principio stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira, e ammirando le quali egli possiede come istintivamente delle verità che solo una scienza più alta potrà rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e dicemmo già come l’anima diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il lampeggiare delle Idee nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei gradini da salire, e bisogna che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee alle Idee ch’esse esprimono, e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee, nelle scienze, nei prodotti spirituali dell’attività umana, nella virtù, finché non giunga a quel pelago ampio del Bello di cui parlava Diotima nel Convito platonico. Perché la stessa commozione profonda e trepida che noi proviamo di fronte alle belle forme e a tutte le cose belle, ci dice che al disopra di esse tutte c’ è una bellezza superiore, di natura puramente ideale, quella del Bene che le illumina e le colora della sua luce. Quanto al filosofo, dice Plotino, egli è naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile. Vi si slancia portato da ali leggiere, senza aver bisogno, come i precedenti, d’imparare a liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a intravedere la verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e nella sua essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a turbarne o oscurarne la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e commenta quelle verità che il musicista e ramante intravedono solo confusamente e come per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelligibile, concesso è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che siamo giunti all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al disopra di ogni riflessione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni distinzione di pensante e di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato veramente incitabile, nel quale l’anima individuale si annega e si perde, come illuminata dalla luce divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può chiamare nemmeno visione, ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un abbandono di sè, una perfetta quietudine, infine un confondersi con ciò che si contempla. Come l’amore non si contenta della visione, ma aspira all’unificazione intera delle anime, così l’anima umana aspira a congiungersi con l’Uno, col Bene, col principio di ogni realtà, e vi riesce qualche volta quando nel più profondo raccoglimento dalle cose esterne, al di là di ogni pensiero, nella più profonda pace, aspetta di essere illuminata dalla luce divina, nega la sua finitudine, e come rapita e fuori di sè, essa stessa s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una visione beatifica, ma con l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il tempo che furono insieme, aveva provato questo stato di suprema beatitudine solo quattro volte, ed egli stesso, Porfirio, una sola volta. Cfr. YachehoTj Histoire oritique de l’école d’Alexandrìe. La filosofia di Plotino, per i concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di tutta la speculazione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma da Aristotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha imparato anche dalle filosofie ch’egli combatte; e mentre riassume il passato, contiene idee, intuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro compito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella saggezza pratica, che basta a condurci nella vita ; ma cerca di esprimere e di appagare i bisogni più profondi dello spirito o di alcuni spiriti che non mancano mai in nessun tempo; il bisogno di liberarsi dalle inquietudini e dalle limitazioni di questo oscuro viaggio della vita, di trovare la pace e la beatitudine in una realtà superiore. Di questo slancio, di quest’aspirazione verso il divino, Plotino è rimasto uno degl’interpreti più eloquenti; e la sua efficacia è stata grande a traverso i secoli, in S. Agostino e negli altri Padri della Chiesa, nei mistici del Medio Evo, poi massimamente nei nostri filosofi del Rinascimento, in Malebranche e Spinoza, più tardi nei poeti e filosofi del Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni. Intanto non bisogna dimenticare che questa filosofia neoplatonica si produceva in un’età di fermentazione religiosa, tra spiriti sitibondi del soprannaturale, in un’atmosfera satura di superstizióni, in mezzo a quel sincretismo di tutte le credenze e di tutti i culti del mondo antico, fra cui si preparava la fede dell’avvenire: bisogna tener conto di questo fondo storico, in cui il Neoplatonismo s’è formato, per intendere la sua storia posteriore e le sue trasformazioni. Nel tempo stesso in cui il Neoplatonismo era insegnato e si diffondeva nell’impero romano, la Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a organizzare, cercava essa pure di definire i suoi dogmi, superando i contrasti che si producevano nel suo seno; creava un corpo di dottrine, le quali fissavano, di fronte alle opinioni dichiarate eretiche, il contenuto della nuova coscienza religiosa: nasceva così la teologia cristiana, una filosofìa del Cristianesimo, la quale utilizzava anch’essa a modo suo i concetti della filosofìa greca, specialmente quello del Logos, che finisce con V identificarsi col Messia come il mediatore vivente tra Dio e l’uomo; si assimilava questi concetti modificandoli e incorporandoli nel sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai progressi sempre crescenti del Cristianesimo, clie ai principi del quarto secolo trionfa con Costantino, e finisce col diventare la religione dello Stato, il Neoplatonismo, per gli spiriti non persuasi della nuova religione ft rimasti fedeli alla tradizione pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di una teologia del politeismo : si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di ristaurare, legittimare e ridurre a sistema tutte le divinità e i culti dell’antica religione. Il Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del paganesimo, e non solo come un sistema di dottrine destinate a spiegare o risolvere come che sia i problemi di Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come il puntello dell’antica religione pagana, con tutti i suoi Dei e le sue pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei particolari di quest’ultima parte della nostra storia; basterà ricordare i nomi principali. Fra gli scolari diretti di Plotino il più importante è Porfirio, al quale dobbiamo la redazione e la pubblicazione delle Enneadi, e che continua la dottrina del maestro esponendola con chiarezza e brevità in quelle Sentenze d’introduzione al mondo intelligibile (’Acpoppori Ttp&s Tic vorjTa), che si trovano molto utilmente premesse all 'Enneadi nell’edizione Didot. Scrisse molte altre opere, tra cui una in 15 libri contro i Cristiani, andata naturalmente perduta. È anche studioso e commentatore di Aristotile; e un passo diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle Categorie di Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la differenza, il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle controversie medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito, che vorrebbe riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni più grossolane, predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda anche delle pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella salute dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pratiche e religiose della scuola, e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in lui è vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore immediato della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di Porfirio, avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un sistema di credenze religiose: l’interesse teosofico prevale: la filosofia diventa ancella della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in Calcide nella Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi di Costantino. È riguardato come il fondatore di una nuova scuola, della scuola siria del Neoplatonismo: ebbe molti discepoli, entusiasti di lui, che lo riguardavano •come un uomo straordinario e divino, dotato di potenza occulta e miracolosa. Giamblico intraprende una ricostruzione filosofica del Panteon pagano, nella quale entrano gli Dei greci e romani e le divinità orientali, tutte all’infuori del Dio cristiano. E alla credenza in tutta questa moltitudine di Dei si aggiungono le pratiche del culto : alla virtù e alla contemplazione, ck’erano per Plotino i mezzi con cui l’uomo si solleva al divino, si aggiunge o piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè l’arte di esercitare un’azione sulla volontà degli Dei per renderseli favorevoli, di far discendere in sè il divino per mezzo di pratiche esterne, riti, preghiere, con la virtù di formule simboliche, che ci riedificano nell’unità primitiva da cui siamo usciti. Le formule filosofiche diventano pretesto à stravaganze magiche e spiritiche. Com’è stata possibile la degenerazione di una così nobile filosofìa, concepita con tanta energia speculativa e animata da una così pura fede e aspirazione al divino? Pur troppo il Neoplatonismo portava in se stesso, e già in Plotino, i germi di questa degenerazione: innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la tendenza a trovare, con interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure tradizionali degli Dei il simbolo dei diversi momenti dell’emanazione del divino. Plotino stesso nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del vou* e dell’Anima; e simboleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e quella terrena. Se si prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i termini si moltiplicano, si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale non si contenta delle tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che s’identifica col Bene, ammette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal* quale deriverebbe il secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva semplicemente il vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e poi il mondo intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divisione continua quando si passa all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno di questi termiai poi si tripartisce e si moltiplica in diversi momenti, a ognuno dei quali corrisx>onde una persona divina. Così, abusando del metodo delle ipostasi e dell’interpretazione allegorica, Giamblico trova da collocare una quantità di divinità sopramondane, celesti e terrestri, genii e demoni d’ogni specie, che sarebbero i termini intermediari tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi quell’idea dell’animazione universale, e della simpatia o affinità fra tutte le cose, che contiene una verità profonda, ma che per menti non disciplinate da nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze magiche e alle pratiche teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste esagerazioni superstiziose, non è possibile disconoscere l’antica fede ellenica che tutto è pieno degli Dei, eh’è il motto attribuito a Talete, il primo filosofo. Così il Neoplatonismo uscì dalla scuola e volle agire sulle coscienze, quasi contrastandone il dominio alle nuove credenze. Non fu solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo tentativo dell’Ellenismo per difendersi da quella religione di barbari, che col suo Dio unico negava tutti gli altri Dei. E si fece campione di questa restaurazione dell’antica religione dei padri, in nome della filosofia, Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361 al 363, morto a 32 anni, che, educato da maestri greci, s’era nutrito dell’antica cultura ellenica, e poi aveva dovuto subire la disciplina e l’edu¬ cazione cristiana; e contro il Cristianesimo si ribellò prima secretamente,' poi, diventato imperatore, apertamente, at¬ taccandosi sempre più all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬ laro degli scolari di Giamblico. Giuliano, da vero greco, adorava il sole, principio di Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli vedeva V immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non possono cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei intelligenti. Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli costruiva il mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono. Giuliano è stato dqtto un romantico sul trono dei Cesari, perchè aveva gli occhi rivolti indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione di un passato diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse fare seria¬ mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa differenza: che il Neoplatonismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto con l’anima popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari ; il Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura storica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente, ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso per un processo fìsico o logico o metafìsico, ma come un atto della sua volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa • è la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un altro : la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che risolve il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà, della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1 redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente. Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità, combatterà fino all’ultimo questo concetto dell’Incarnazione, di un Dio fatto uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo concetto di un Dio redentore che ha una virtù di simpatia e di consolazione per milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti solamente, ma a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto, purché credano nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui si ha veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono, ritornare in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa liberazione con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di Plotino, mediante la dialettica e l’amore delle cose belio e l’unione estatica con Dio, si vedrà la differenza. Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava bisogni che non poteva appagare. Agostino nelle Confessioni dice: Ho letto nei libri dei Neoplatonici la dottrina del Verbo, ma non ci ho letto ch’egli è diventato uomo, e ha abitato fra noi, ed è morto pei peccatori, perchè tutti quelli che gemono e soffrono venissero a lui e ne fossero consolati. 3. - Tuttavia il Neoplatonismo, nelle sue parti migliori, rappresentava pure una grande tradizione di scienza e di cultura; e si capisce come spiriti non volgari se ne lascias- sero attrarre. t E una pura, nobilissima e innocente vittima delle lotte religiose, nelle quali la filosofìa antica finirà con l’essere vinta e con l’estinguersi, è una donna : Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad Alessandria da Teone, ch’era celebre matematico e astronomo. Eu educata e istruita dal padre nelle scienze in cui egli era maestro, ma il vivido ingegno della giovinetta cercava altro alimento, e studiò con passione la filosofìa. Dicono anche che andasse a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è certo è che nella sua città essa diventò celebre, ammirata, e rispettata da tutti. La natura le aveva largito tutti i doni, quelli dello spirito e una bellezza non comune. Fu messa a capo della scuola neoplatonica di Alessandria, ed essa v’insegnava Platone e Aristotile, tutte le discipline filosofiche. I titoli di alcune sue opere sono d’argomento scientifico, il che nella penuria di altre notizie ci permette di supporre che con la sua forte cultura essa si tenne lontana dalle stravaganze degli altri Neoplatonici,e che s’erano raccolte in lei le migliori tradizioni dell’ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le strade di Alessandria tutti si voltavano a guardare la bella persona quando passava con semplicità e sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e conversando con quelli che fi accompagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli ascoltatori, non tutti probabilmente per imparare la filosofia. Della sua eloquenza ci è detto eh 7 era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un suo scolaro s 7 innamorò di lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile donna cercò di calmarlo, sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi- derii non degni. Pur troppo noi non la conosciamo altrimenti che da quello che ne dicono i suoi contemporanei. Il vescovo Sili esio, ch’era stato suo scolaro, e le rimase amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che le scrive e che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le manda i suoi libri prima di pubblicarli per averne consigli. E nVN Antologia c’è un epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as, Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua parola; come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa tutta di cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro purissimo di scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce con una tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le discordie fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o governatore della città, Oreste, non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo partito: spesso scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco non avevano altro che'l’abito: erano dei malfattori che venivano a pescare nel torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le domandava consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola, rimaneva estranea a tutte queste contese, e nessuno degli storici nemmeno ecclesiastici formula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul governatore, impedendogli di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione e il suo insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m partito dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun partito. Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre Ipazia tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla furiosa, e, come racconta Io storico Niceforo, la strapparono dal carro, la portarono in una chiesa, e ivi spogliatala delle vesti l’uccisero, la fecero in pezzi e andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron. Col martirio della vergine pagana si estingue la scuola neoplatonica di Alessandria. Ma riapparisce nel quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola. La Filosofia ritorna per morire nella sua patria antica, alla città di Socrate e di Platone; e allo studio di Platone congiunge quello di Aristotile, come già s’è visto in Plotino, in Porfirio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno studio del prof. Faggi nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri .  -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore di questa scuola ateniese è Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui succede Siriano, e poi Proclo, eh’è il più celebre e il più importante. Proclo era nato a Costantinopoli. È un dialettico sottilissimo, ebe al bisogno di sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni, alla potenza degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e insegnando. I suoi discepoli credevano sentire in lui la presenza di un Dio. Un giorno, uno .che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto attorno al suo capo un’aureola divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a Platone e un ’Istituzione teologica } che si può vedere nell’edizione Didot di Plotino. La sua opera consiste essenzialmente nel ridurre a sistema tutta la sapienza anteriore. La filosofia di Aristotile è considerata come l’introduzione a quella di Platone, i piccoli misteri che precedono i grandi; e il fondo della dottrina è quello neoplatonico, Proclo dimostra metodicamente come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno derivano i molti, mediante un processo dialettico che comprende tre momenti : ogni prodotto, da una parte somiglia alla causa che lo produce, e dall’altra se ne distingue, e pure distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o immanenza, TipóoSoc o progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti di questo processo. Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emanazione o sviluppo dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le sfere dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’ introduzione di Loia a eco (Lanciano, Carabba). fino alla materia, triadi che si moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna triade dà luogo a sua volta a triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce una costruzione eh’è insieme un 7 architettonica di concetti e una gerarchia di divinità mitologiche, alla maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente messa in ordine, coi suoi scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure trovato i suoi ammiratori. Vittorio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo, e Giorgio Hegel ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e. sistematizzatore come il suo. Quello che si può dire in generale è che il pensiero greco vive oramai del suo passato: per parlare con Piotino (e col Windelband), lo spirito greco, a traverso le sue emanazioni, finisce col perdersi in questa scolastica. E la morte naturale della filosofìa antica, per esaurimento, è suggellata da un atto di violenza, da un editto dell’imperatore GIUSTINIANO nel quale si ordinache nessuno insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva per ordine superiore quest 7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le rendite, e i filosofi dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo scolaro Simplicio, il celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque neoplatonici, ripararono in Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe, amico della cultura greca. Poi rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per sempre. Una filosofia non cristiana era diventata impossibile nel mondo greco. San Pietro Vernotico, Br. Nome compiuto: Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Memmio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I refer to the Athenian dialectic to contrast – and indeed compare – it with the Oxonian dialectic, I focus mainly on the agora of Socrates, the accademia of Plato, and the lizio di Aristotele – the latter two are gyms – to which we may add the Portico, and a notable NON-gym, to wit: Epicurus’s garden. Cicero found the phrase ‘Epicurus’s garden’ too Hellenistic, and forced Memmio to go and buy the thing. It was henceforward referred to as “Memmio’s Villa,” that Lucrezio (vedasi) visited to find inspiration for one of the greatest poetic gems in Italian metric and versified philosophy!” Filosofo italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden poem to him – L’Orto. M. acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts his Garden, or Orto. Gaio Memmio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Memmio.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Menecrate: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Abstract. Grice: “At Oxford, it is very UN-usual that one would refer to Parmenides as coming from Velia – but indeed one does not think either think much either about Occam coming from Ockham!” Grice: “”Velia” represents a way of thinking – not just a ‘foreign country’ – like the past, in Hartley’s adage. And M. had it!” Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Senocrate. Menecrate. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Menecrate.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Menestore: la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Menestore.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Menone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di Calcide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Menone”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mercuriale: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Abstract. Grice: “At Oxford, you are – as a scholar – either an athlete or an aesthete. I surely fell in the first group, even though I was myself ‘musical’. Oddly, I continued being athletic even as a tutorial fellow. I soon realise that St. John’s lacked a proper cricket team, so I founded the demi-johns!” (At Corpus, I had played both cricket, football – captain of team for a term – and golf, just because my tutor was a Scot!).” Filosofo italiano. Forli, Emilia Romagna. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il primo saggio sulle malattie cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai scritta, di pediatria.  Ritratto raffigurato in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova, dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica.  E professore in entrambe le università dove studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continua a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-in cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,” “De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare, conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. DE ARTE GYMNASTICA Libri Sex, IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM \\cii(hii um scncra.Ioca.modi, facultatcs, &: quidquid dcniqucad corporis humani cxcrcitationcs pcrtinct, diligentcr cxplicarur . ^uru cditione comSIiores 3 4uSItoreJ fæfi. Ojuis 11011 nu\i,) nu\1ki$, vcnim ctiam omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim,^ et v.ilcnidinis coiiUrna;u)ac ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 IMPERATOKE VENrETII.S, ATVD IVNTAS. MAXIMILIANO II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS MERCVRIALIS pcrpctuam FclicitatcitLD. I quando mccum^ diliircTirius confidcro, MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc Impcratorts, /ummique Princi pcs prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam facilcdcfccndo fcnicntiam, mcrito, arquc oprimoiurc omncsfcrc gcntcs, 6C nationcs fccilTc, quodcos dignos cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium numcrum rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro, quac in humanum gcnus innumcracontulcrunt bcncficia,magnajn partcm fibi vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas maximis propofitis pracmijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando iaccntcs, fcd ita ctiam carum dignitatcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum au(5loics,ct inrtauratorcs propcmodum vidcanrur. Jd facilc pcripiccrc quiuisporcft,qui militaris difcipli2 nac. n&c,leg(nTi fcientiævcafitekmrncju^fine qui-' bus ta bæc noil^fi ferc u icalisiipn effe t Jaudandarum artium ortus, &C increriicnta mctnorta velitrepetere : fed ne Imperatorifapientiflimojquæomnibuspaflim notafunt,reccn-r 1 fcndo fim moIelUts, vnum' mcdicæ artis omnium vtiliffimac exemplum proponam, quac proculdubio aut nulla cflct, aut-ccrto cuhl» qucm hoc tempore pracfcfcrt fplcndorcm, 6C cicgantiam non habcrct, nifi Principum benighitasjfinequa omnis plerumque languefcit induftria,famniisviris illius au(fboribus aflulfiflct. Etcnim quantum a primisillis tempOr ribus quafinafcenti medicinæ attulerint auxi Iij Cadmus, Salombn, Alexander, poftcrioribus vero Attalus, Ptolemæus, Nero, Hadrianus, Cortftahtinus luftinus, alij permulti, compluriura Dodorum hominum^ monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1, omittam in præfentia, non cxigui momcnKfc^ ti putandum id cft, quod magnificentiftima, comii atque^ ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt., ttmpJ inquoijsartenL, GymnafticaiTL inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac prifed:os alucrint, qui H,i homincs excrcitationibus, fi^ ad corporis, (DiaJ 6C ad animi fanitatem. confcrcntibus in^biis ftrucntes ad behe, bcatcque viucndum viam opti eommunircnr » Hæc cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL, PerfaruiTL reges, Lacedætarct, monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi torcs, monij, Athenienfcs, Romani icain bcllisgcrendisvalucrunt, vtfæpe non maximamanu incredibiics hoftium vires frcs;crint, mnumcrabiles copias fudcrint, tot dcnique rcgna.totquenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri quidcm numcrando facilc quednr. . Hac eadem inftrudi, non dcfucrunt rrincipes, quiaducrfusqucmlibct Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum, Neroncm, Traianum, Antoninum, 6C Seucrum acccpimus, quos prætcrquanL quod hac fola^ arte fanitatcm conlcruaflc, fortilTimosquc cuafiflcmcmoriæ proditumelt, obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactcrosfuo excmplo ad eafdcm cxercitationcsinuitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratprifcos rcgnorum, 6C prouinciarum gubcrnatores Athlctaruni., (SCgladiatoruuLfpcdaculaadfubditosin oflicio continendos prudcnter cxcogitata iiitroduxiflc ? nc plurima alia commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore floruit, ad humanam fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit . Scd, qtioplurcs fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl, quibus ncfcio quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt, atquc cxftinda prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmilicarcrobur, (SCvcramfanitatcm pcrpauci fint * 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar, tbtquemof" borum gcncra quotidie nos infcftent, quot ob cxcrccndorum corporum confuctudincm non cxpertos efTc vetcrcs rationi confcntaneumcft . IIaccautemctfiitafint,dcfpcrandum. tamen non cft, lapicntiffime Jmperator, quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis atque adumbrata quædam ilhus delincatio remanfit, ab intcritu poffitvindicari, ac iterum in hominum. adfpcdum, luccmquc proferri, fi dC Trincipum ad hanc rem propenfio adfit, 6Chomincs do(fli, &C antiquitatis periti reperiantur, qui in hoc ftudium incumbere, omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Cæterum cur nemo noftris fæculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit, fanc pronunciarc non audcorid unum fcio, rcm ficut maximævtihtatis, ita immenfi cfCe laboris. Etcgo, licetmulta cflcnr, quæabca detcrrere me poflcnt, aliquando tamen fum aggrcflljs, quæque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C pulchrius reditum tuæMaieftatiipfius nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua loles incomparabili animi magnitudine,hoc hcet Maieftati tuæ imparmunus, qualecumque tamen tenuitas noftra oflferre poteft, accipere, meque inter tuosnumerare, protegere, acfouere digneris. nam, quamquam me ijs, qui omni difciplinarumatqueartium genere cxcellentes M.T. inferuiunt, comparandum non effe non ignorem : Ci tamen animus Ipeiletur meus,non dubito,quin,ficutnuIIius ftudia in M. T. funt ardentiora,auf nbfcruantia maior, ita aliquo interahosgratiæ tuæ loconon indignus uidcri pollim. Deus Optimus Max.M.T. pro Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem, 6C fdicem conferuct. Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARÆ BRIXIANI CARMEN. tAuxiUo ftctit Phochtgemtoris^ c^ arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis oltm vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus collcgit, Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam lucc acthcria, iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab vmbnss Et mcmbrtJ lactos, ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn fumpfrunt mcmbra tuucntæ: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo (jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Hæc pars ad ludos fpcflat y pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts rt euadat mtlcs ^ pars tertta narrat, Stnteay quætncolumes fruent morboq. Vacantes Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint homtnes extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja, tcnebrtsq, tAbdtta Ctmmerpjs: quæ nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua fidcra fulgcnt, Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;, avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv, Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic csropcLSlw UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns Alcxandrinus Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles Dton Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus Erottanus Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis HerodianuT Hcfodus D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus D. Inanncs Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus lultus Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Lærtius Laitus Lampridius Ltbanius Lucanus Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius Martiatis Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA Vaufanias Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius T^lutarchus IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT Paterculus ^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd Sex. Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus Sophocles Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius Tertullianus Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus Valertus Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX EORVM QVÆ HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa toflcrio-' ribus l{omanisyC^ Græcis prarfrrtirri nobiiioribus ufi" tatiljimus.j i.z.^. B. jiccumbendi modus llebræorum poft liberationc ab ji egypto.y i.i.D. ^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum in triclinio t\ib is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, et tex.j z. 2. D. ^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de truUnio.jo.^.D* ^tklttæ dtnudabaiAur toticxceptis fubiigacuiis.i-j.B.& C. jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh' :!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfæ accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne, an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres Hebratost&alios genera dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus Diogenes damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra tciram 7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehræc^s ttm^ pore Chnflijuerit ;& ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet. Fraucifci Toiedi Cardinalis, et aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m Qhnftipedif lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticæ iibris fua dc triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wtrcs imitabantur.6j.^*P^' deCtnatione Sinecæ JentcntiaCi^diatorum nos nephandus a principibus q oque abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^ dis :.d^r,if.t,jic l\pmæante '\eroras quoquetewpora \().^.& 29. C. Cymnafia num tcmporibus lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflæ an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n HEhraci num aciuberent potius quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^ }{omJnorum rnjn s JcqucbanturtniJi patrvfs i^^ihus ( ontrar la) entur .j i .Z.C licrophiii medid liat ia cum ii Jii umcntis gy mnafUcat.Sfum origoyrrtusyet cur a ludam ai^c fret tur.-j^. i.t, S£dt ndi ad mer,Ja:s cunjuetudo f{p>7^anorum, et aliorum quando ccefta, et ufurfata fiteHtyi.z.^^ Serni,& tibertiin quibus agonibus conten^ derent^ Siteuis ueneris vfus prohibebatnr ante vigi fimum annuw^ Syharitu ornm jo rdidi mo rcs^y U2^C. THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^ Tridinijcur raræ figuræ in marmoribus inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum Fro^omophrcs: USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^ I N D E X. TricHniapeief aUos iabelmUeofqui aut /ig»rosyaut argcntQS,aut aurcos.-ji .lU. rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7 rictifuum q^tid fucrit non Admodum notum TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C. rrcchusud mliitartm qu^i^^c artmpeni* Wibat.l^?*^* Vlrtutum quæ fit prindpMlifsimi. rngendi morrm antiqi4ura pofl bat^ ncum, &ante c$enam Maria MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit Ji.i.P. Erophagia quid efscU FIN r s ARTIS. GYMNASTICA. V AMDlv Homincs paucirtlmis rebiiscontcnri lauras mcnfas, &: opipara conuiuia non cognoucrunt, propinarionisciuc poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus ignorarunt, (idquod primis illis lacculis cxtitilsc mcmoriac proditum cft ) morbi ncquc apparucrunr, ncquc ctiam corum nomina innorucrunr, fjcurvlquc ad rempora Socratis diftillarioijum,quasGracci Ktcriggovi dicunt,nomcn,c]uonilhodic Ircqucnriuscft, ignoratumc/setradiditPIato.-quadc rctunc temporis mcdicinacaur paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia cxtitif^c cerrum cft: etii Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir Ac^yprum multashcrbas, multaquc mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vcrointcmpcranriæncfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs, dclicatiinma cpularum condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac tcmpcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum limul varia conrinuo gcncra fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos cocCgcrunt : cjua fcmpcr carcrc proH^to licuifsct, nili humana, vcl ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum fobolcs cius ufum omniummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi primo illo orru rudis admodum, inculraquc fucrit, quando priici illi ( ut Hcrodotus, &: Gaknus rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr 'i'" vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat, alrcrumcdoccrcr, poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfculapioKpidauriocognomcnro apud (yrcnæos mcdicomiriricc ex ornara fuir, &: quafi cx rultica urbana, concinna rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc quiVolis morbolJs, ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curandi ftudium habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus contempfir : quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcntC5 adco cxiftioucionc dignam rcputarunc, vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam imiicam, nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus Seiymbrianus, Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinæ cofcruaroriam valerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc adderc uifi funr, arbirrantes non minus præclarum, arque artiificiofum opus cfse fanos homines a morbispræcauerc, quam iJlos ia impliciros Iibcrare : vndc medicina, quæ antca femper quafi virgofuerar,prægnansabillisrcddirafuir, quandoquidem prius foliscurandisægrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispræfeda ert:. An toram cam medicinæ partcm, quæ &:ad fanos, &c ad uiclus rationemperrinct cxrabellulis, ahjsuc donaris, Æfculapij tcmplo dicatis Hippocrates conflauerit: an vero folamincurandis morbis vcrfmrcm clinicem uocaram, quemadmodum Varro, Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi plane compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci, quid auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini imperaroris acrarcm non modoin Græcia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri pracccrcriscxrabella marmorca Romæ itiÆfcuIapijrcmpIoin infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphæos conferuara inrclligcrel^cct, inquagræce hæcleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc:, y^' xpcif rlvj^flpct, K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^^^\uod^, op^ov iui,eM^i, Ji[Smov ^ctpi^Sivc, K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS Ji/2ci KMj i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt JulUno deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx ara caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^ rtuens ptibliccgrattas egit præfente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi /uiAtrz^;, Ko^^^vpiov aujb^fivaf, KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73 JfAi/3"Cf, j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft: qua i]uicum(|ue occupabantur, ll^ domcllicos mui cs dilij^cntcr oblt riiabant, ac profcqucbantur. fic ubui. Cratcri mcdici rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit Jtautcarncs eius ab ollibus abfccdcrcnrrlic tcmporibusnoftriscxfccranda illa gallica pacnc cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado illud, quod ucl podciiorum hominum culpa, uel torruna auc Dco ira uolcnrc contigir, Hippocraci crimcn artcrrc dcbcar, a quo cum duac iam pracdiclac mcdi j;cinacparrcsad lummampcrrcchoncinproucctacfucrint, diuinis cius manibus immorralcs fcmpcr habcndac funt gratiac . Ampliusq. illud actcrnac memoriac mandandum, quod ambac medicinacpaitcslicutidiueifac rc ucra fiint,paritcruarianomina habucrunt, altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH, (iuc vyt^ti^m, altcra S%g^wriKH nuncuparafuit, uocabul.s quidcm his tum abopcrc, rumarccirci quam ucrsdntur,acccpt;s, quac quouiam fapicnrcr, arquc ucrc dcpromptac tucrunt, nullamumquam apud ullos mutarioncmfufccpcrunr: qucmadmodum ctiaui ufquc ail pollcriora tcmporahacc inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos coniucrudo, ur omncs duas niedicinacparres prinuirias cfticianr,a!tcramcurariuam, alreram confcruatiuam nuncupantcs, quas ob id communi incdicinac nominc plci umquc comprehcndunr ; quoniam curatiua, quac primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia fuir, id nomcn adepta ell, quod confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non modo obrmuit, ucrumctiam apud nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint hanc folam medicinam ucram appcllari debere:illam inccrram,falfam,mcramuc hominum alios deciperc itudentiuiu impofluram cxfiilerc, nempc quac nudis coniectuiis, infirmisq. argumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur : dcindc in co f crc omncsfbrtuira remcdia,incogniraquc medicamenra,ur plurimumadhibeant,i^ dcmum ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur, quos raincn in grauillimo crroi c vcrfari faciilimc cognofccnr, quicumq. humanas calamirarcs, morborumq. incommoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix medicina fuccurrcret » acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina rarionc iulianus impcrator hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur. Otfmnasiua, A 3 IHN ^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg vu^gcv roig XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. ' c De confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperitur, exercitationcs, tot atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona præftare, quot et quanta uix vlla alia medicinæ initrumcr i præftant . Quod fi Hippocrates in lib. de Locis in hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam altera permutatione opus habet,altera non de fola ea medicinæ part e fcrmone habmt, quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixcrunc r K I Ai V s. 9 A r. nr cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &: gymnafticani, non ob id, qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdtatorcs> illasfciunxcruncfcd communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui, quoniam pollcrius i:\mnaftica mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla alia rationc diiCti dfiwicbanr.Cctcrum quid fithacc ars cxcrciratoria pymnaftica gracco nominc nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc pcrcrc dcbcmus, quam crli luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus,a nullotamcnaho, quam a(^.aIcno nortro cam 6^ brcuius, &:iucidm^s ^^^.^ dcclaratam crcdo, ubi iradixit:» Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv -^i •TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^ hoccftgymnaiLic a cllquac omnium cxcrcitationumfaculrarcs nouit, aut porius, gymnallicaarscflfcicnria potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco animaducrtcnB dum cft, Galcnum fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut plcrumquc auftorcs folcnt, acccpillc, proptcrca quod gymnaUicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac nullum opusconlidcrcnt, nccclfario a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis alioqui caulfas cxcrcitationis virium facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr animaducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc gymnaflicam a pacdotribicadiltinxiifc, quoniam illa ramquam impcratrix&: cxcrcitationum qualirarcsomncs, &:carum cauflasfpccularur, impcratquc, hacc vcluri minillra ilhus cxliflit, pcrindc ac gymnalla crar, quiomnium cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat, casqiiC, prourfanitaxi,&: bonohabitui cxpcdirc iudicabat, diucrfis homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro, qui cas, quomudv:» fi-^rc dcbcrcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c hoc acni':!maricc cxC plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi roU^J^tJ^iaKovciTretix^ ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt. KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy jc u. cariKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr bac h( c cui ccnt pracuancan (ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc . furari,rapcrc, viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw irorum, &: ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, liquidoconfpicicr ualdcijsaflimilari, quac aPolybo fcripra funr, ficquc gymnaftam, &: pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vcrumramcn, cum intcrdum unus vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas ancsunam, atqr.c candcm cfsc, uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris oflicio pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis quahrarcm ' « L i u E R. litatumnotitiam, quæ opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob aitum ipfum cxcrcendi, vtpote /gnobiliorcm contcndif, haud ahter ac ii dixifscraltcram harum fpeculatiuam, acarbitram,&:iudiccm;altcram pradlicam efse, quæ omnesinterdum vna gymnafticæ appellationc a matcria, circa quam ucrfantur, utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica mcdicinæpartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellantur led quod ucrcficuti dcclarauimus,eymnartica talis efse: gymnaflaq.&pacdotriba difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a "r 'i"'^' P'''^us aliqd' pcrfcdc cxMunt vniuseftconfidcrarcquid cuiq. conuenia: g^ncrSeu e^ cac ^ft '^P^^ omnibus.Etcnim hoc gymnaftitarcs opere ipZdoc^"aricuandae^elSptim co^oo ifM "^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^ '"'f^'^ pcrfeaam, qiltum? . oo tcft "r"".' ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfanI Bfit 2(ifl liOQ iit nimi licoj niin, . II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut in fcqucntihiis fum cicmonftrarurns, quando in iingulis cxcrcitarionum gcneribus cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habucrint fcparatim planuni laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrllncmfingu]arum,quoHncomncs lacultatcs diftingui fcripfit AriftotclcsrNain ludorum hnis crat rcligioquacdam,qua Anri(^ui opinabantur fcfc Di)S rcm gratam illis^Iudis tamquam. promiflam fa^uros -crar quoquc populi uoluptas, cui maximc &c rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u )luptarc dcmul11 in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcmpcr aflurgi, ctiam ab Scnatu, in morc cfl^ct, nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui, atcjuc uacario muncrum omnium ip(is, patribufcjuc &:auis patcrnis, quod tamcn fcruis, quando illi (imilcs ludosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo . I)c his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j PanuiniA croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcomnium facculi noari in hiltorijs longc ucrfatiflimus, hanc matcriam tradau:t . Arhk tica lincm habuit robur, ut illius ui pofifct athlcta aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita confcqui: quamuisctiamapud Graccos,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati funt, tam illi qui in ludis, quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos omncs fub nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus complcxus cftV C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant, id non ob aliud Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm, ac pcritiam compararcnt, quibus pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atqucliarum cxccitarionum difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc-, muncrarcntur annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum cogcrcntur acci^ crc, ncc antc cisin rriticoreddcrcturannona, cjuam fub pracfcntia pracfccti rnbunorum, ucl print ipum cxpcrimcntis datis oftcndiflcnt fc omncs militiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus manilw flu ii cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc,qui cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi. QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics,a quibus tria gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes fn^inumpubIicæfeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe JeclaA rauitSoIonapud Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius oratione,tota hacc fententia noftra haberi rata mcrcrctur,nifi Platonis&alioruminfcriusexplicanda teftimoniaacccderent. Degymnafiicæ fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas picrrini ad cxcitandani lirini quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum fuifsc Budacu puto, quinifuisad Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru,&: palacllracexcrLitamcnris minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl. '^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri foliram^qin iupra Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&: qualia lorcncplanu faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia nuncupata,cx mulris,&: pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi narrat gymnaB llum fuilsc publicum in lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum, in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf Tdifcum iadabant, aut talc quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm cxcrciratorcs ibi, vt pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim antiquifTima vox ctiamdcnudari li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0} iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i /, mdos pjrce videre viros. EtBardcfcncsapud Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Craccos ait no poiuiflc vlla vi fidcru prohibcn, quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf corporibus. Vc ru an ocs,&: toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra cxcrccrcnf no cft ita copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pugilcs^tq. alios qu(jsda potuiflc dcnudari qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula pudcdis tcgcdis ra in publicis, in C priuarisccrtaminibus habuiliccr ufq. ad Homcri tcpora,a quocoru fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi ab Euftarhio, &: Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut indc poft modu indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non magnis,&: impcdictib^ /cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc inorc vfq. ad fua tcpora Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub nomine gymna/i; omncm locu,vbi cxcrcerenf, coprehcnfum fuifserepcritur : lic ut poika hacc vox ad alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc licct,qui in libris dc bcllo ludaicobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc dcm61lrat,vbi dc Hciodc ita loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&: Prolcmaidc publi cas balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras porticus c6di dir.Hacc loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguæ audtonbus palacftras nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rcCymmfi!^ ^ jj peftate in Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te palæftras,/luc D gymnafia,qnquit]cis libroarchitefluræ earumædificationcsfradiruruslralicæ conluetudinis nofuifleprædicit.-Naqui primi gymnafiæxædificaflrc crt dunf,fucrunt Græci,licrcdendum cft SoDaZt ^P Lucianu, et M. ^TuIIio Ciceroni,qui in fecundo dc Oratorcfcribit.gymnafia deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr Cræcosautcmprimi cxftitcrfitLace dæmones,ficur Athenacus ex Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de Iegibusincmoriæprodiderur,quosctiain illa ipfa omniumpræftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro I .intelligcre Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas larmine caiitft,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofæt Ledæas Lacedacmonispalæflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam illai-egiadcfcribit.q^nouc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante floruifle narrat,ibi gy mnafiæxftaOc fci-ibir,qui LacedæmonQinuctuillafacit, cxade di fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiæ narrationefabulosa credam*. PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Cræcos tanto odio,tataqueinfamiaviles,acfpurij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles efscnt,cfi ijs cofuetudinc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr hæctria F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita Herodis Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia, quod hcet extra vrbcm efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxima efsct urbi, m ea fuifse dici potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Græcos habuifsc fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum in AcadcmiaAthem».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio fcpeliuiflefcribit Quæ 1^'' antiqmtatis totius pcritiflin-ius inuenifse fcribit in ue tt.gijs Hadriam impcratoris Tibmtinæ viUæ rcpracfenrara.Athe næu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu, minime gymnafia, vbi corpora exercercnt, tu.fsc puto:fcd loca,in cibus aut difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera dabatur,ucl fefta aliqua celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica. Corinthum quoque gyranafiu habuifse, Craneum vocatiim,auclor cft Lacrrius libro tcrrio. eaadcm nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod gymnafium non habcrct, uf Anachar/is diccrc folebat.Komani poftrcmiomniumgymnafiapalacftras vocata in vrbcad Craccorumacmularioncm Varronc aurtorcacdificarc cocpcrunttquostamcn cacrcros quofcumquc tum magnihccntia opcrum, tum inacftimabih pulchrirudinc in hoc gcncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non finc omnium Ihiporc pcrdurantcs, conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam i!!ud ^ quod dc Ncronis gymnalio fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^ Qitid Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^ atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc Komac gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus, B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc hccr. Nam gvnmafia tora ahquando Thcrmas ob aquæ calidac vfum ibi frcqucntcm nuncu piri,apud audorcs Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamintcrdum Thcrmac fignificantcamgymnalij parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda lauatiolitac crant,ut cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis vcrfibus nupcr ci tarisclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac partc. His omnibu* po:c ft iam vnicuiquc pcrfuafum cflc, (juanrum in criorc vcrfatus fit(inuitus farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo Komac inftaurarac commcnrario rhcrmas folum ad la oandi vfus inftitutas tuiflc lcriplic. Voiio nc quis forfan admirarionc capiarur,quod dixcrim PIatoncm,arquc Ariftorclcm in gymnatijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct in huiufccmodi locis vaC ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia in fcnucnti capircanobis ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiufccmodi locorumcapaciras,tamq. fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ullo impcdimcto diucrfac, ac fcrc iiinumcrac cxcrcitationcs, &: corporum&canim^^rum pcragi pofscnr,qucadmodum cx Vitruuij allaradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis mcdiocrircr Iiac in rcvcrfarus potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim cx Odaui; Panlagathi viri tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima cdirioncrradidcrimus,nur ipfa diligcntiusconlidcrara (vt icmpcrcuracpoftcriorcs cfse mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus Virruuij ucrbis cxaiXQ corrcfpondcnrcm cxhibcmus.ad quod agcndum clariflim is Aloyfius Moccnicus, Prancifci hlius, loanncs Vinccnrius Pincllus, Mclchior Guillandinus, uiri tum ob acrc in cunvtis iudiciu, cum ub lingularcm cruditioncm apud omncs fpcctatiifimi, nccnon B 2 Andreas Palladius prifcæ totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon pa D rum adiumciuo nobisfuerunt.ita utnon vcrear.quin hoc pado do^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobatæucniat,&qucmadmodum ad hanc fcrc diem palæftræ ratio fuit incognita, fic in pofterumclara,afquemanifcfta futurafir,Immo vcro,fi Odlauiusipfcrcuiuifcerct,non dubitarc,uterat homofanfliiftimus^arq. dodilTimus, quin ctiam ipfe huic defcriptioni, Sc Vitruuij contcxtui non mutato.fcd in aliquibus tantum rælius ordinato Jibentiflimefubfcriberet.Placuif autem duaseiusichnographiasproponcre, quiaaudor &: cmadratas,& obJongas ficri pofse docet. De paUeHramm ædifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap. XI Vnc mihi videtur ( ramerfinon fint italicæ confuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&: quemadmodu apud Græcos conftituaturmonftrare.lnpaIæftrispcriftyJia,quadrata.fiue obJogaita funt facicnda,uti duorum ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm, quod Graxi uocnmJ^uuajUv.cx quibustrespor . ^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquæad mendianas regioncs cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Conftituunturauicmintribusporricibus cxhcdræ fpatiofænabentes lcdcs,in quibus pliilofophi, rhctorcs, reJiquique qui ftudijs deJeftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum F colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum, dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam Græci aovW: itafacla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs, &c quac crunt ad columnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc diumq. cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc cxcrccntibiis. Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur,quod athk tacpcrhibcrna tcmpora jn tcdi$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum, et dupliccm porticum deilgncfnrtrhyp^icttirac ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i. /flff^noftri xylb appcHanr,!n quas pcr hicmcm cx xy(h>fcrcno cuclo arhlcrac prodcunrcs cxcrccnti:r.I-ac iunda aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas porticus (iluæ, aui platanoncs, U in his pcriiciantur intcr arborcs ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum laxamcnto arhlctas ccrtantcs Ipcvflarc.Quac in ntocni buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil 21 tigura paJacltræ cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s II a •[? 0• D • • 90 Orrus A Pcriftylium in palæftra quadratum&: oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C Portiaisquartaad meridianas Cacli regiones conuerfa, quæ duplcx eft. D Excdrac in tribus porticibus fpatiofæ,in quibus phiiofophi, rhctorcsdifputabant. E Ephoebeum,ideft cxedra tertia partc longior quam lata. F Coriceum a parte dextcra. G Conifterium. ^ H Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium adfiniftram ephoebci. K Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus. E M Propnigeum. N Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudine duplcx quam latitudinc habens ex vna parte Placo^ . 3 nicum QJxituseperiftylio ^ Exaltcra Ocalidam iauationem R Porticusextra palæftramprima exeuntiLus. S Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem duplcxamplifllma iatitudinc&ftadiata. T Porticus tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines circa parietes. X Marginesadcolumnas. Z Mediuexcauatumuti gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F « Hypethracambulationcs proximcxyftum, &: duplicemporti-' cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D J>iluac ucl platanones intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre fignino. Stadium itafiguratumutpofsethominum copiaccumlaxamcn to athletas cerrantes fpeaarc. % Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in palæftrancccfse ut lignarium,iiquarium, uafarium, latriBtc naimihwum ctil«, &: finailk. . Dt '^itrijs Imninum generibns, quæ itj gymtiaJiA comonebAnt. Cap. VIL 25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfantium crat multituao, vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti ctiam Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cuiufdamphilofophi Cynici in Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc Komnc h)caJii quiin in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx varijs Ga!cni !il ris colibru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct, gymralia publica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (iquis rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata, multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs, 5c aliaincdicinac Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs vocatisfir, qiiandoficfcholam eiufmodi propnos rai>uUrios habuiife, oftcndit marmor cnm hac infcnptionc Romæ ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO. CELSO. TABVLARiO SCHOLÆ. MEDICOKVM M. L1 £ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E ARCHIATROS. OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus crar,Adolcfcentcs,qui vr cxcr. itationu obferuationes,atq. modos addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi a gymnallis ipfisquafcumq. cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres hbcros palæftra cdifcere folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formæunuchi Thaidi oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palæftra,in muficis.q hbcru fcire æquu eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa,, riusmfra demoUrabo.Tertiugenuserat Athleræ qui ibi feexerccbar, vt in publicis Uidis, fcu in facris certaminibuspoflent&populu dele(aarc,nccn6 vidoria ac præmijs potiri.&: qj-hoc fuerit,prererVirruuijauaorirareSueronius clariilime demonftrat du refcit E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt cerrares arhJcras fpectai ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue ignobiJes, qui ue! miliraris difciplinac,&: forrirudinis,veI tuedæfaniratis,&: boni habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr de prionbus elt locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamclio m adnor. ad Tcrrulliani lib. dc fpe«ft. inrelJeau, vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha in bellis,qd in gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n '^' poflumus, cum fcribat -.c. e anno ætatis fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle luxarione fummi humcn,n paJacflra.Quindtum genus erar corum.qui fricabaruX cer n.fndbones ficrcnr a mu Jris ante rcJiquas cxcrcitationes,nihiJo^irr^smnln quoquc fine vJJa excrcitatione feorfum ab aH;, ut dc C.alcnofridione adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^ bihorcs.Hoc tamen intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra et co lymbuhras^prias in cellis alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^ ucrfis tcporibus lauabaru r, mulri crar qui ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius) fecu ferrcr,nc pcdcs nudos cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia rcftranr nonnuJjXh-hnnm Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT& -n^S cX fccifTc cribit Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^ gymnafi;s rcpericbantur, quonu uej cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur. Abhiipoftrcmoonin Cn^ res ( ne nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^ gymnafia conuena banr,qux non ob ^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores tatorcs ut porc otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti aftirimrc auiim,niiiquod Komana maicftatCillud dcdccuilTc vidctur, tacilcq. ficri potcMt impu. rac aliquæ et (peaandi,& ludcdi graria^quod luucnalis.&: Marnalis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in locis lcparatis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la cn"cnt,pcrindc ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam ignobilcs et mcdiocri loco natacqua illuftriorcs, cu dc l>oppaca Domiri j Ncronis uxorc LU.c.4.1. referat Plinius, quod ad au^cndu cutis candorO quingcntas aimas B tctasper omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^ corpus illo la^c macerabat: quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p nguia Poppacana. Saty.^, Spirat et lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corporis nfum ihas mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuæSpartemiramuriurapalæHræ Scdmaj^e vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr luilafjtrs nuda putllas uiros, Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^ Jncrepat et ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina mctas, Et patitur duro vulncrapancratio, 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia br,nhia loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru morequifquam minMi dcbct,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis arj:un.cntKs probaiiir ad flli€cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc conduccrcfi mulicrcs tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris,atquc gymnafijs cxcrceantur, qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad conrincnriam tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcndam,ut Platoni m animo crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi. ^"'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac % nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant, c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gymnafijs .'jsnircs fuiiic probabile cft,ita pai-irer veririiiiilc fit Romanos (, vc /olcf cfse poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo, quai difpedlm ab Auaorilnis tF.uIiras inuenio, quasut rei ipdus rario expoftulare uidcttirio Gruecis,æq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc ■na^ctJ^oiixcyov &i fua actate minimcæftimatum puto, quod enim ab Augufto i.uliis egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit, quandofcilicetin vrbc &extra Hrbemmagnifica ædificia cxftrucbanti!r,quod ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucniatur,practcrqiia in capituni Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir. Ergoprimac symnaliorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus apcrtisplenæ inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici, et omnis dcniq dilciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-bantunatq. has non longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc poflumus tum cxipfa figura,tum cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru crcpirus audicntcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum (rumpebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcntancum cft: quod cfsentillac ucluti icholæ quacda.ubi pofscnt fæillimc poft animoru exercirationcs corpora ad fanirate, uel fortira dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.fflpridi.jauetorrras. AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo fphacnftirio.modo curfni.mocto lemL ludTs dcdiircmoxbalncummtromifse . JntCKhasadnnmerocmJ mcdl corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih. vJdfi^c apparet cos conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs : 29A nes facerc (oVxtos, qiii hiTiLiI cxcrcn-i, ac ccrtare uolcbant : qiiamquamfciam Philandrum cius opinionis fuiOc, quod iu hphcbaco pubcrcs cxcrccrcnf. qua in rc ipfum ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam Guliclmum Chouhim, qui in fuo dc antiquoru cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco iuucncs ftudcndi gratia lcdillc lcriptis madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui cum uiris antc dccununi fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant, hoc ucru tucrit affirmarc noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,GaLi.dc i.c. lcni tcmporc. pucros cxcrccri in palaclba confucuiflc, curs cumfP^^^'damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in palacflraacquiliucrat, mennoncmfaciari Sipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic icribat: oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi fui\}c prtmn cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus ^ntc folcm cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns pocnas pcndcrcs : Idq. vbi obtigcrat, hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et dilcipulus, magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu, luctando, hajia, difco. pugiUtn, pila Salicndo fc exencbant maps, q ^am icorto, aut fauifs, C Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq. cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palæftns ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur. habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui locus(ut mca fcrt fnia),p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Coriceuapud Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcriptas abfq. hac parte omniu maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf^.^^^ tUifsc crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac fuac Laurctinæ ac Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D illoru fcntcrias jpbarc ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legcdu putarfita corycopilæfpecic,quafiibi ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut corycefi tam^in eopueIIe,&: virgines««f«//« Græcis uocatac exerccrentur.Quarta parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc «AujrT/IfMc^aCæcilio Plinio unauarium uocatum, atq. in ifto ludaturi, &c alias exercirationes, uel balneas inituri ungebantur,redungebanrurq. Sed,quoniaopportunirasrci poftulare videtur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi munere ucrba facia, neq. Metrodori Scepiij 'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de ungcndi rationc ciratus ab Arhcnæo Iibcr hodie extar,quatuor cgo dica:primij,quado, et qui ungerenrur: fecundu,quæ cfscr undionis materia:rertiu,cuius finis gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &: a quibus undio adminiftrarerur. llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in gymnafiuucnicbar,maiori exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli, &: præfertim qui uel lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat, (na pugiIatorcs,curforcs5ac alij multi undione no egebant) alipteriu ingredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo loquar mfcrius, trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m cxcrcitationes diucrfas diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnantum Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad undUianiireucrrcnrcs ibi a Mediaftinis,& Reundoribus ftrigilibusferrcis,de quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo difling^mre ferro, T^ontam fæfe toet lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua dererfione olcum, puluis,& fudor, quæ de radcbanrur.fimul mixtain ufum mcdicum adfcruabarur, &:ab At!:h4ci ^'i^ aba!ijsueroWTtffuocabarur, urcxDiofcoridcPliF ii.defim. nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccnme.8..& 4 na libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib"; et quemputofmfscillum, cui nequcoleum,ncqucpuluisincrat ^,o 3 fim. quamuis Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur ad balnci vfum ni jT' c. 17. ^'''S''" Plerumquc fponeiac crant, uel linci, nequccommunitcr fempcradminiltrabantiTr.fcd quifq propriumfecum gerebar,& pracfcrrim quicumquc communii cum alijs mihumenra habcre f ugicbar, vr infinuar Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur corporaforriorarcddcrcntur.De Hcrculc nanu|uc,& Antco fcrauncm faciens ait, ^uxillum mrmbtis calidas infunditarenas, Plurarchus in libcllodcprimofrigido huius fcnrentiæfu ifseuidc tur,quod athlcrac in uni^iionibus puluerc urcren tur ru ad rcfrigera da calcfaifta corpora,rum ad cohibcndum fudorc,nc ranropcre dclafsarcnrur. Egoaut cum Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne olco manus labcrcntur, fcd facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual crcr,neue fudore difflucrcnt, aur ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac dc caufsa a Marrialc puluis ilk icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi qui aducrfariospcructos, &:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria digni habcban^ tur,qualis fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud Paufaniamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Horatirvira,\d Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^, et circum ccmpita pugna x. Magna coroniri conumnat olympia, cui fpes, Cui fit cond tio duli is fire pulucrc pahuæ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I fuis ad Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc> (cu finc ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo inrcrdu aliquos cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr fariusrcmporeconftiruto non comparuifsct, ucl,quod ob robur, &:uinccndi confucrudincm a cuncris uitarcrur, cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias, Diodorus, Hcliodoru#s atqucSuidascommcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos. Alijfunr,quicrcdantoIco Oymn^O^ca^ C cxcrci34 ( dc vii. cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.GaD lenusfentit oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura niitiganda.quam ad pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno opinor,quo oleum aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJicauimus: nuc ccrcras partiin ab codc prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct cxplicaras prorcqucmur. hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas luda,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri apcricndas porrigcbat,qua podcra manib, aftollcbant,6L ua pciiiftcbanr,c}igcnus haltcres uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:( »alcno ucro afscnricns Oribalius Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd &: alias fcxccnras fuifsc palacllrac cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu cft, palacftia apud urriufq. linguac auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis corporib. idonc u, quopaclo locu uscft ( jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ .prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia Arpinatc de (c ribcns,palacftram ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos, Td'S in^^am nns exerctt t ttumbra pulac/ttis^ &c Gcta apud Tcrcriu in Phormioncubi dixir, Ecc fi a iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij paricin qua cxfnia Plauri,Ga!cnr, 6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs pracdiximus,&: cuiusparu tum fordcscollcihas in panno applicatas furunculosmarurarcfcripfcC runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM f!VMi:h\ arionc accc^ifse Catullum puro,ubi dixit. Abero foro, palntsira, flddio, et ^^vm asi^s ^ Mtfer ah rr^ijvr . et Atranius lCi ibcns. Efcam '•epelUs tf i'ri mannw pei pj!j( lincos, idcft, Palacftrac ufum (ut air Nonius) callcntcs. Quod auca Palacftrac nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quacda a pulucrc,&: lucianriu corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in uarios mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &: Gal.q ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira fiiifsc irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c ;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j lfli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2 pro In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p. $ 6. coUc c, 14Dc Berecinchi .a ) li. i.c. ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle glliUS. li. i\c claris Orat. i 3« fto"^?* pi^o Taurcipalænra locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad colIoqucii-T) '^** dum difputanduiTiq.conucniebanr. Ad hæc Plutarchus in /ecudo fympos.palæftra uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &: in quo lolu luda,&: pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur. queadmodu,&: Gal. quandoq. palæftra nuncupauit, ubi athletac f folum,&: craffitudini corporis ftudenres exerccretur, quo padto accipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi Epid.narrat tubercula ijs efse oborta^qui in palæftra,&: gymnafijs exercebanrur.For ml\lp^9 dubirauit aliq uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a loco,ubi puluis crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu pilacludos,ucrum 51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado et in ipfo.Vcfpafianus fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu>• mt rum dcfricabat. C):taua pars fucrunt uiac illac,quæ inrer porcicus,ac muros,ur cgo puio, litac crant,ab omnibus acdificijs nudac, necnontotapcrillybjareaquac&: ad fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc fadac erant,&: ad fpatiandum, aliasvc cxcrcirationcs obcundas, quac ncc in palacllra, ncc in alro pulu^rc, ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri poilcnt.Has locum coculcatum paulloante cx Ga Icno a nobis nominarum fuiflcopinv^r ira uocatas,quod nullis lapidibus, latcnbu.vuc ftratac,fcd rudcs&iaciuato tantumfolo forcnt. In his curlum fach'i cxillimo,atquc ad id :um diauli, tum dolichi, a quibus dolichodromi, 6c diaulodromi lormas, atquc tcrminos ibi conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil aliud lucrir diauIos,quampe r\'ftilioru quadratcrum circunurio duubus lladijs dcfinita. In ipiis ctiam faltus,&: difci cxcrcitarioncs, quas palacllrac ncijauit Galcnus(ut mea fcrt fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant xyfti,&:xyfta,na vrraq.apud L'raccos& Larinosnr) parum difcriminis obrinenr, fi quidcm \yftv>i> hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr hiemem &: acftarc,tcmporc ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta autcmfubdialcs ambulationcs,ubi hicmc tcinpcftatc lcnic porticu prodcunrcs,&: acltatc fcrc fcmpcr cxcrccbantur, ac ambulabanti atquc has wif i/f ofti/tff a draccis n(>minatasfcribir Vjrruuius,quac dupliccscraiit,aiiacnudac, a]iacplatanisalijsucarboribusconlitacad pracftanduamocnirarcm,atq. illis,qi.i a folcoHcndcbanrur,umbram.dchis loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js ArhcM> xx. nisin Acadcmiacambularionccclcbratas fuillc /cribir:i)cijfdcm quoq.Miniusfccunduskrmoncm habuit qiiando in dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics dccantar.Ncc ahum lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm, quandvj ambiilationcminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPlatoncm, ubi cx Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub hi(cc ucrl)islti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&: calidd lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruicbancfu.-runi hypocauftu:n,aquariuai,iSido vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque nonnullos, quod laconicum rorundum,ac ueluti turricula in hcmifphacrium camcrata forct, idcm ctm Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus plane .-ifscntiri ncqueo. qiioniam mihijrrationabile videtur,utin loco calido fudatfonibus D vE ift li atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio "^' • ''ficric6fueuiflctraditPIinius, exerccrct: fuirsctnamq. (uteftinpro^ uerbio)camino oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes in calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita rcftituatun quidquid dixcrintali;: QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat orbem: namraxatquendaqd^inLaconici foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak rcnr.Poft Laconicufequebaturccllacalida labris aquæcotincndacpofitisrcferra. in qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin partcm, nullo modo probarc ualco : cum idc alias ipfum intcr ^vmnafiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi? F fignificafsc totum gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc pubhcorumingymnalijs balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru balnea, quac, &c aliquibus cx pracdidis partibus caruifse,&:alias habuifse uenllmilc cft;;cd dc huiufmodi non cft mftituti noftri ucrba facerc . Quæ autcm loca non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu prædida loca ignis fucccndcbatur, ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id in Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis cxcitabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x prob.li b.ijj.fympof.ædiles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fudcenderrtur neq. in cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs araucdincmcapiris, 6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^ pilarumapud Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^ cctfolumcaldariorumitaftcrnendum cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila cum mitratur non poflit inrro rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad pracfurnium^atq.fic facilius flamma pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs, ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus, et tenuem ^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam graui errore ucrfentur ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm fuiflccrcdidcrunr. Auftor ert Scncca iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no epift.xc}.;tcmpcftatc fua inucntos eflc paricribus imprcflbs tubos, pcr quos circumfundcrcturcalor,qi'iima(imul, &: fummafoucrctacqualitcr: illumucrocalorcm immitri confucuiflc cx Hypocaufto,«d a lurifconfultis mcmo riac mandatum cft,&: ab Aufonio in MofcIIa fic cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a crepidinc fumant Bjlnedyferncnti cum Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s tcctoria prr ca:u fijmmas, Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc tuborum veftigia adhuc quamplurima Romæ confpi ciunrurin DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs . Antchypocauftum via quacda crat propnigcu, quah dixcris pracfurniu a Virruuio uocata.Aquariu cclla crat calidac Iauationi,arq. calidario ad^ ncxa,inquaalucus magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx " aquacduLtibus, autaliundcinucc^am, arq.indcmfrigidamIauatio nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda. Nonlongcabhocfirum fuitva (arium,vbi vafa confcruabantur balncoru fcruitijs ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis calcf^cbat.dc hoc ita rradidir Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum tria copofita fuifTc,u!uim calidarium, alrcrum tcpidarium,tcrtium frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx tcpidarioia calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin tcpidarium ad cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc &: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria Architcftos optimos balncorum domos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita capicbatur, ut in mcdio camerdc forame laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D baturxirca labru eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolæ uocati,in ^. ftatu a Seneca, &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu re} erio, antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in lauacro et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in pretio habiras f uilsc, adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro,flru^ili ve cæmento^ 7iiuucnrusRomanæxercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^ ne longius ad dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit. cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriundandacorporaconftrucrc.Abhoc autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in Itraris du cocnarcnt accumbcndi, ut infcrius copiofc demonftrabo,con{ucrudo inrrodudra fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias, arquc molhricm ufam efleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim tcpidisquibas cxficatas, Sc ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc aracrcscorponspartcsattemperabant.Ncc folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob dchcias yfos homincs tcltatur Galcnus in principio tcrti/ dc medicamcntis localibus.Jialneisaliquosvti confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va. miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ habcbant.cius corroborandi, &:cibos conficicndi cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in medicos inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas balB ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum Li.j.pnefomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs rcddcrcd^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftralfcrcfcrtPlinius lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato calidoi um balncorum vfu, hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in lacus ægros mcrgebat,qua dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r: u')C.ari.s.ptcri";qd ct( vtrclcruntPhC nius,&; Agathinusapud ()ribali&)ad jprogada vita, multaq.alia pftada.fi igida lauationc cofcrre opinati sut; hæc.n. dc (cipfo rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna cuacgrcin foinuu dclabor.pp acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C mirabilc cft qua iuciidam noacm tra^iiligaiu.Qu.i balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc dccimum quartum annum niiiil foluillc.tcftatur luuciuhs., T>{ec pActt criJiu.t,nl's . Sjt », Alij quadrantcmbalncatori dabant.&ol) id baincu rcmquadrautariam uocauit Scnec.i,dc quo riacci; . Dum tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6. Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii. Qucritur tn .Martialis.quod plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio. jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo ficniHmqucpdutitHr, Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel alrerius rei graria, &: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium fuifse:quin et Antoninum Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre, tradit lulius CapitoIinus,& Athenæus viij.dipnos. lcribitapud Phafelitasfuifse legem.utpcrcgrini cariuslauarcnt.ppterea cum ita uili pretio licerct, nulUim genus hominum a publico balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri fenes, decrepiri, nobiIes,&: ignobileslauabantunfed prac cæteris,phonafchos, cytharocdos, '''lrlE-r^T*'I^=e"farebalneafolitosrefert »ed.i.e. (^al.quod noccmoblæfam,&a/Tiduis vocibusexafperatam aquarumduIciumhumedlationecurabanr integramq.feriiabar.HocfimiJiter uidetur Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7. Mcnophilipenemtam grandis fibula veflit, ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis . Hmcego credideram { nam fæpe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuæ . Dum ludii mediapopulofpeaantepalæflra, Delapfa efl miferofibula, verpus erat . Qiii Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, inSll'nT ''k '^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs Lacedæmoniorum in balneis gymna ' ^vnT T^ Perfpedum eft, &: nedum in his, uerum et vna cum v,nsprom,fcue:quod tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^ balnci mulie! orjs mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem uciitum apparetrquod ptcr turptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL " SSmA ''''''•T/'"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii -f 1 'f'' cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm / A faltcm loco ctlam antiquirus lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia fccundo tradit in balnco coniunda fuiifc acdiHcia bina, ununi ubiuiri,altcrum vbi mulicrcs lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus idcm confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim noparicbatur vtruii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi dc(idcrabat. Nifidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl nulla, ucl angullillima, &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc inrclligcn da : qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus jlauacra coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis mulicrcs promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru probatifTimorum auctorum tcftimonijs comprobari porcll, intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit, conchss et caftramoueti T^lBc iubct, m^gno g^uiet fudare tumultu, Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa Caltidas et tnliæ ii':*itos impreffit Aliptcs, ^4cftimm4m dominæ femur excUnure cocgit, cx quibus ncmincm cflc cxiftimo,qui non uidcat mulicrcs tcmporc luucnalispublicas balncas adiuillc, ibiquc ^S: cxcrccndo, &: lauandolinc pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcmpcftatc Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii. B-ilnea dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc ^dmittat intcr bufluariasmoechar, tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus, qui fub Antonino &: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario non modofocminas communcsuiris balncas,atq.publicas in ufu habuiflc tcftarur,fcd omni pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nudas in ipfis fpc(ftandas pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus hacc in libro dc uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas balncas adcunt : quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata corpora proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr, ac uidcntur, non" nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac multa ctiam fi" millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad Lactamdcfiliacinftitutionc " fucrc prodita . Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco icmporccum morcm&: Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D fcminæ atquc uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui intcrdum hanc mulierumimpuramprocaciratem coerccrc tcntarint: qualis fuit Hadrianus princcps, quera fcribitDioCaflius viros difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balæa promifcua fuftulifle, eadcmqucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle, refert CapitoIinus,&: Lampridius.Ob quod item aliquando cenforia lex Jata traditur,ut mu lieres a promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum uiris libidinis caufsa intrarenr, fub repudij,&: dotis amiflionispoena : quod poftea in I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc nuptijsprofancitorcccpttmfuit. Quarationcfieripotcft,utbalneæaIiquæ muliebres in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtæ,quaIes Agrippinæ AuguftacNcronismatns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmoEpift> 87. dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia, &: crura abluebant:tou nundinisfolum lauabantur, Cætcrum poftM.Pompeij ætatcm coepcrunt fingulis diebus toto corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus obfcruata f uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn Galeni tcmpeftate, "fQh ^^ ualetudinis habita ratione lauarentur. ob q^ jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo narrat,quem ætate antiquiorum medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non elseuifumfcnbit, Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms exercebat.deindc baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilæIu F KL*" b'^'"eis lauari confucuifle : quod fimiliter ante illutn Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft. l\eddepilam,jo:iatæs thcrtnarum, luderefergis ? yirgine visjola lotus abire domum, NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo pilælufores.atqucalij exercitatorcsftatim accurrercnt:aIioqui in gclidiflima Virginc, qu am &: tadu iucundilliii.3i.c.3. mam,ficuthauftu Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic diftam quod nullis fordibus pollucrctur traditCafliodorus 7, Var.iam claufis thcrmis lauabatur.fcribit enim Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempora numqua thcrmas ante auroram apcrtas fuifse, &fcmpcr antefolis occafum claudi confucuifse, ipfumq. Imperarorcni publicarum thcrmarumluminibus oleum addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii hai aq : n A qiiodctla fcciflc I yconcm philofophiim imicniri gMCCnc fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl cxrra gymnaiia,ucl in gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItcrius rci ucl confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs dccima jcfius, Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauandi maximc a mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic (aturaiciitur Maiorc\b, nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d circat^dtauam dici hcrampaulloantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit. Suffiiit in ». I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlænris, et j^;^ ^ Octauam pctf'i5 jcutaic ^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc Osftauam horam neminc niii ac^^rum huari voluit, quam horam criam lulium Cacf prioribus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad ArriLf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus apud Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit, rationcs „ opinor cum Balbo ; indc ambulauir in littorc, poll horam ocbuam „ in balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac„ cuhim,\yLvriKU¥ agcbar, iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „ Scd an pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco habcrur ; quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar, atq. obid «A»ff i.finc timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum) uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic locusillc ( iib.d^fai? agcbat) mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic« a C.rac'j'^"-* * cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac rari(>,quac in rcbusad * ' humanum uichim fpcclanribus fira cft^iSL: K^i^^iKn. quac ad cxinanitioncs pcrrinct; haud fccius J-utTixil > clt illa iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si: modis uomitum paranribus collocara cft. Tot iraquc dc balncis ^^ymnafiorum, ac prmaris brcuircr didta fuHiciant, quorum ufus cum apud anriquiorcs rarior cfscr, Afc lcpiadcs Pru(icnlisactatc Pompcij orator habituscx ilfa artc nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc contulifsct, in caquc magnam ^Ioriam, &:au(5toritarcm brcui comparafscr, ob blandimcnta^qulbus acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d Romac lib.i.c^. qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo"a. rCjUt CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat, IJIfio?' D 2 cum fiiii eumfrequcntiorcmreddidit. Vndccima,ac omnium poftrcmain D gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas certantes: fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quoddam, multis gradibus conftru6lum, unde poterant commode fpedatorcs^qui fcmperplurimi eoconflucbant, certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu peridromidasmurus intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum arhletacin arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur, rationitamcnconfcntaneumuidctur, uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod eriam fupracirati Capitolini reftimonio comprobari porcft) muro conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis, triclinijs, atque eius gencris muL tisnonloquor, quodhorumin palacftrarum dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat; ficut nec qiiomodo ambulationesillæ fubftratis carbonibus,atque cloa cis proximisexftruercntur. Quæomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a Vitruuio in defcribendisxyftisprætermilTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio exftrudas fuifTepopinas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacrælfcnt admodumexinaniti, diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum meminit . Hadenus dc antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^ femel dumtaxat in die ceenandtconfuetudims •rigme. LFVON1A M balncorum explicatorum occafio iam fuadet, nosquc fupra polliciti fumus de coenandi fcmel in die,& in coena accumbendi antiquorum confuetudinisorigincfermoncmhabere; fi cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de accubitu nihil explicatum habeamus: haudprætcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam noftramin medium proponamus, alias eam libcntiflime mutaruri, fiquis meliori ludicio,ac eruditionepracdirus, ucriorcm aliquam,&:magisrationi confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim maiorcsnoftrimanccxiguumquid comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue. fpcrc tanrum (arurarcnrur, dum coanarc dicebanrur, (exceptis ijs, quicoituufuri erancquibus amedicis vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle A fulfse fcrlpfic Ariftotcles,& cxccptis SyracufanIs,qiios bis in dic ci^^nlc. bis implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir Plato ) fLuis ab Horatio, Marj;^ j tialc, Plururcho, atquc Galcno ( nc mulcos alios nomincm ) comDioncm. probatum ell: fcd dc bis tulius mclius in uarijs lcdionibus nollris tradarum cft quod fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm flraris accumbcrcnt, pracrcr lapidcs Romanos id clarc ortcndcntcs, doAiflimusPhilandcr infuis in Vitruuium commcnrarijs audorurn antiquorum tcftimonijs clarum fccit, vt id amplius dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir. Cctcium vndc nam hac duac confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo vercaccumbcrcnr, ncmo, qiicm cgo vidc rim, (luc cx anriquis, fiuc cx rcccntiori-bus, ira appolirc &: dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris dubirandi, &:plura dcfidcrandi occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcuB rirarcm,an ob ncglcdum cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas, &:accubirusl(:ihccfAupii^.indic cocnac cofucrudincsa balncorum ufu manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc accubitu fcntiam, pliiribus, ijfquc non fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando nofn adco frcqucnrcr bahicis vrcbarr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio Procorum apparct. tfjft^i^otr^ Kcci^. . -it*. id cft, cyJt proci ingrcJjL /urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt lc^tmms, (5" ordmc throms &: ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao holpitio acccpti poft lotioncmcocnant fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs gratias agcrcHtcnim ei qj' Plurarchus dc lo co c6fulari,nec no dc tnbus triclinioru lccVis diifcruir>iam non obfcurucft,quam mirihcc quadrcr propoiira triclinij Rhamuufrani figura.Simiiitcr,&:qab Horario dc conuiuaru liru varijs inlocisnai^ C rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim quandofcnbir. Sacpe tribiis lc^is videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: ' "is jfpcrf^crc cnm ijs Tfdctcr cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus exponcrct, cur anriquos cofucuiflc in quolibct Icifto niagoa cx partc quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir, f^nc miror, quafj non (ir cuiq. pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lcg^s cxftitiflc quac numcnun conuiuarum nouc cxc cdcrc,ncc pauciorcsrribusclfc vcrabanr,hcut &:adagium illud vulgatiflimum, fcptcm conuiuiu,nouc conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Cap/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:pracrcr cxcmpla maiorum, cupi duodccim folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira vt prionIhis facculis porius fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con uj^asdifcgmbcrc fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' 1) 4 nuptialcs S4 i. i iS h K nuptiaTcs cænas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia conD • uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo, ac Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu, velnuptial^cocnamrepræfentari non eftdubirandum,urob hoc Chacrephon apud Athenæu in vj. vidcatur admitrcrc couiuas rriginra dunraxar innuptijs, in quibus vcriiimilc eftnecefTarium fuine uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib. ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam pr.æbcnrc funt in tcrpretati, cquidcm non i mprobo.at forfan ncc abfurdum hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero cxponarur, qucm tana. omncsfcre mcnfarumfculpruræ antlquacquam poeraru reftim nia conuuujs femper frigidam,& calidapræbuifrc oftendunr,qUeque cundos, ne ab ipfo male rra(Sarenrur, reucriros eifc, et a quo E mordendo abftmuifre vcrifimilc fit. Jam fcfo M.iria Magdalena u t ftansrctropcdcs Chrifti coenantislauerit, atq. loannesfupra ciuf-dcmChnfttpcaus recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j figura,fecus quam pidorcs antiquarum rcru ignari faciat, 6c quam, Gaierarms Gardmahs murilirer commenratus cft,fadlec6iicitur ctenimhebræos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^ dmem.obferua/le practer Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs fæpe vfurpatu etiam id tcftari poteft, quod Læi freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq. Romani L Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"! Marriahsfigt^ificare hoc dV •, ) -.J ; Omi^ia cim retro pueris obfonia tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl ponitur a pedibus i -'Siquidc.n coen anribus alrc iaccnribus fpacia rfetro rcjinquebarur in qu.bus fcru.s uana miniftranribus mulra offcrrc, et ab?ata rcci pcrc faclc crar,feruos namqucad pedcs cænanriunrftareac ob?d a^edibus vcl ad pedes vocari /oluos ex mulrorum fc^Sci r gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc bcncfici;s. Scruus (j cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius dixiit.MarSs Mixta lagænaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r,, . namverovfq.coabundantcm vrrnnl.i V ' "-'"fercoecircumfcrri mbcrcs Lraia n^^ paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^" buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^^"Sed practer alia mox di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum tcporis inreruallu lcdos intrarcntjatq. ibi modo nudi,modo laccrnis,aljjsuc in id paratis uclUbus induti cænarct, atq. inde mox aufta baincorum cofuctudmc vfq. adco accumbcdi morcm crcuifse, ut nobiliores in dclicijs maximis cum habcres,lcd:os nunc marmOreos,nuncargcnteos (quod dcHcliogabaloferunt) inidfcparatim exftrui curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lucio Vcro ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdormire conAieuifse puto) fcd in cubicuiarijs uocatis dormire uolueH rinr.quc morcm accumbendi poftca uiiiorcs, &: paupcres ad diriolib ii.de ^l^^yi^^f^^ifn ^ balncisquaiiiori, itafrcqucnriflimum efTeteruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla praccipcrc coacfrus fit,ne uiilicus nifi facris dicbus accubcns cocnarer;in qua rc no fecus corigir, ac cuenifsc cofpi citur in baincis,arq. piurimis aiijs rcbus,quæ in honcftum ufum, et quafincccftitatc quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia, Uolupratc,aliosq. ufus rradudac fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucrercs in couiuijs ocs propc cxcogitafse uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos animosfaccrcrrfic enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas magno ftudio inuencrut, ad audirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut, ungucra preProb'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr, ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc 6.cr fimp.c6rcxras,quas modo manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de anj. Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda. ^i'^gi'5ria, colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu concap.8. «^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclicatiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcxii.7.c.ir. decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alonginquisrcgiombus Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra, et prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rcdercntur,uixfcmcl comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia fpcdcmus, li 6c cxcrcitationii. et baincorum, . s9 A rum.accubituscj. apparatum c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li ois in dic fiiturari uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum ucntrc plcno adirc, aliosq. multos errorcs, &c in ualctudinc,&: in alia uitac rationc committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,& modum balncorum tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa Galcnointclligcrc, ^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc lauandum ciubitabat,pancm manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc ret,quadoaIijllmili dc caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti non modo Galcnus f ilsus clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non auide ^ quantum intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam horam cænæ dcdicarint,in caufsa fuifsc præcipue uitæ commoditatcm cxiftimo;fiquidem difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &: cibum,agcdis rcbus opcram nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij ftatim fomno capicbaa tur, a!i j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum ibantrcx quo adhaccomnia nuUa opportunior hora quam ucfpcrrina inucnicbatur, quamquam ctiam nonnullos, &: pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc rationcm fpcclafsc opinor, quando in noAc melius, quam intcrdiu, cibi conficiuntur, tuncque pcrfpicuum eft plus cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc accubitus,A:cacnac antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui. 6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt hi,nofccbat.Aclcrant fcriii fricandis corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum gymnaftacautpacdotribac,modo nudis manibus, modo vndis, modo cum lintcis alias duri5,alias molhbus,alias afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo modo,proutopuscrat,corpora fncabant. Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac Cdfo nuncupati,quod corpora ia cxcrcitara vnli.j. c.^y. gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a Paulo Acgineta iirrfOAu7rT«c vocatos:fcd dcccpti funt, cum alium lUiflc ab his iicr^^wTTwoilcndcrimus. McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta cuerrcnrcs,nccnon multa aha pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius intcr alia antiquitatis cius præclarillima monumCta hanc infcriptionchct,mqua Mcdiadmorufit mctio. DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET. PROCV R AT BALNEL T.FLA VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX . ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T. FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs, modo purpura tinctis,vr rcfcrt Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C lintcis cxiiccantcs.hos quoque arbitror cgo confucuiflc flrigihbus corpora cxercitatorum diftringcre, atquc a ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi,qui fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc ignis balncorum cxftingucrctur. quidquid alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu; fcrcspilac, vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn-.tias Matrialis &c Stati j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprctantcs. Alipili,qui(ut rcfcrr Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus corEpift. poris parribus, et pracfcrrim alis pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti uiri ccnfucrunt,pcdicrcpos,& alipcdosapud Scnccamlcgercqualiin gymnafijs cflrcnr,qui a pcdiculishomincs purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a vt Scnccaab huiufccmodi vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod luucnalis ccrro rcflaru faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr, ubi fcruos fuos dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS TcHi^ulos^nK, yelUndas iam præbuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos mo do volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^ vrronim corporibus pilis maximum hoIi.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,ucrumcciam illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrindc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira diftinguanr,nc lcctorcs acqiriC uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc prf>fM>{ucrimus, quac racdiCiJiac pars clfc dchnita iam a nobis tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s gyiniuJiic;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr, nihiloininas tinibas, -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu. m:i;;nopciX', licut ctiarci fupra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num gy.iauuftica JmiplcNj^i: mcdic>nac pars i«l folum ourar, ur bomincs cwpcitawontim modcraraiam ©pc,&:fani* arcmacquiraiu,rucanturuc;&: bonumhabinnn adipifcantur; c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc, (cAA« t^^-rgut^^ll^^ yj(xH'.€i aiS^iTiotz, idcft, 1 arc jr haud r 2 multas, fcd modcratas cxercitationcshominibus bonum habitiim D inkrcrc . Hoc ua eire quoniam Gale nus tu in libclJo ad Thrafvbu-, lum, tumin libris dc tuendauaJctudinc non minus copiofc, quam JucuJenter demonftrauit,&: nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc fpcciem pcrtnicntia dccJarauimus,haud ampJius in ca celebrada vcrbis immcrabor.fed ad BcIIica tranfibo : cuius unu ftudium erat hommcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos muJieres carundem cxercitationumadiumentoita difponere,atqueaptarc,ut et inbello lck fortiter gcrcre, et hoftcs propulfarc, &patrias tucri, et omnem deniquemilitarcmperitiamtenere ualcrent.quamuis cnimhæc quoqueficut &:f«perior bonum corporis habitum con.pararet, &: lanitatem quodammodo tuerctur, quia tamen proprius illiusfi.nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos atque fortcs cfficere,proptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod uero bclli ca gvmE nafticanuIJam aliam naturam habcatprætcra meexpIicatam,locupleti/nmum teftcmPIatoncmin mcdium affcram, quiinfeptimodeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumeducationem maiorcm partcm in rcbus pub.obtinere) dcccrnit publicosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs edoccar, quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca &:/aJtatoria gymnafticæ partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in tertio de rcpub. &aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem Ariftotcleslimiliter gymnafticam belli" cam modauo Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac athlerarum habitudinibus corpora iuuenum deformare, et corum augmentationcm impedire ftudent Ciuitatcs, quam Lacones effe ratos labonbus adolefcentes cfficientes reprehendit, eamq. pueris ^ gymnafticamtradendamconfuht,quæmitioribusJaboribus &: magismanfuetis excrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneaotijs uerc fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non rcpcno, nifi velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere . qu^d et ipfa bono habitui comparandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^ dtafuaftudia dingat; atqucilli qui medicinæ gymnaftkaToperam nauant, etiam dum oportct,beIIica uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^ niilit æ,1iTomodo! LsapudGr^^l"^" huiufcemodi ars apuci oraccas,&: Latinas nationes in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas eft etiam gymnaftica aJia uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quæ hominibus robuftis efficicndis(talis enintf.ft Mi! lo Crotomara, et «hktailk, qucm OJympiodorus quarto m te^ rolog. V ^ \ M V S. aut ludarivaut isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo indigebantcorruptu &:.euaporatu dJthcili,cuiufmodi eftcibusex fuilliscarnibus,quibus foli veri athletæ uefcebantur, atquc tareserant> qui inludis,. in amphithcafris, &:etiaminalijslocisob pracmium,&gloriamcertabanr, in hoc acetcris diuerfi, quod folum uincere,&:coronam affequi ftuderent, cum alij ucl bono habi tui c orporis acquirendo, &: fani tati tuendæ ; uel militari fortit:udini,&: peritiæ acquirendæ intenderent,quos /impliciter gymnafticos,&: exercitatos,vel athlctas bellicos nuncupari inuenio, ex. quo conignuraliumefie: (Tmpliciter athletam^^ alium fimpliciter gymnafticum, necnon tres fuiffe artcs in exercitationibus uerlantcs communinomine gymnafticæ vocatas, quarum medicaomnibus magis proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica (apud mcdicosloquor, quod alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia omnium mini me nimirum, quæ a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit' quacue robori, non fanitatioperam daret : roburenim diuerfum habitum afanitate cxigere, teftis eft Ariftotclcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem habitum robori ^fornitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5| TfcT^itio/a Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-Oftquam dc bellica gymnaftica, atquc etia dc gymna^ fticalimplici,quantuad præfens negotium:fpcdabar, fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone habere;.quæ quonia tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem fibi uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofillimifq. uerbis infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit, exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum, facillime clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm "^**'^^* illius cxercitatores dum fge uidtoriæ, Sc præmij ( quorii gratia qui certa.nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi 1 .7.429 !> . vf IffXyi'^ J^utdh^os r« crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti,, n-flf 'f * J^iOfUKot 6 /fc Kcti KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus inuit robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn,ut non inficior ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum omniumaddidiflcThcfcum tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non uidcocuraroborc qu.)quc cclcriras fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,quibusfoli cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde Jcnr,qulnq. tamcnpi-accipuæranr,in quibusvcl femper.velplcD iimq. ram in facris cerraminib.quain Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim in ftadio,quod fere folis arhietis propnc deftinaru erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus. vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui feparatimin fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,& pugilatu valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus, apud quc ct peiiodon vicifsc diccbatur is, qui Py thia, lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq. n6nullaalia,qucruquoq. certamina athlctæ E obibar,ar in pu blicis ludoru, &: ficroru ccrraminu cclcbratiombus raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Græcosfaccr« dotes æftatis rcpore in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o3.3 ar. 13 didir Galenus.Quamquam monomachos,fiue gladiatorcs apud ve rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod M.Ciceroreftarumfecit Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re athleras pure defidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus qu^^memoriæ prodituhaberura Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios Imffc leuioru,alios gr.iuioru cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9. t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si in colluAarione vel in pacrario,vcl pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu occidcrir,cefllit Aquilia, quia gloriæ caufsa et „ v]rruris,noinuinæ,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud Maiorcs,hac athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd' homincsfempcrillasrcsextollerc .ac honore dign.is cfhcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc ftudenr. ob quod cum arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas voluprarcs publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis exli.i*.c,4. P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos cædercatciue occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges, non modo licuiffcvcrum er.am hononficum fu.fle audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius in v.de Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo fuperliitionis, arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum numerumiefenent. Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft..uhlctlc.im .uu.quitiis magn.ic auiVoritatis fuifrc : et proptcVca non tcmcrc illam Calcnum mfcaatum cfsc.dum an.maducrfe rct.quantudani exca artis athlcticac reputitionc hununo i^cncu acccclcretiliquidcno mo cuchianimi.vcruC-tcorpons bona;ita ccv rupebatur,ut nihilinucniri pofsct.qcK maius hominib.q. gloriac, 6C pmioru rationc lUa vndiq. ambicbant.dctrnncntu afla rcr, quc ulmodu Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O / ^ch^v 0 IxfJv ovcfi utLJviip OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W ^*ip ^ rvxSn T% S^AoCyVfiSvo^ d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . . Msdtuverjati Mortbus y nonfacHe mutantur in mclius. Quibusnihil cftmco iudicio,quod magisatli.ciKMC ftatil prod.if. Ncq. tamcn dctucrut, qui hac pniciofam arcc comcrarijs cckbraC rc mtcrCtur, qualcs tUcruc Tryph6,ac Thcon Alcxandrinus,qui ab athlctica,in qua cxccllcbat, cognita cius prauiratc ad gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca Platonc,quc Scrums,&: Lacrtius ^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa ad philofophiam (c contuhfsc.Scd quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc,arquc vitam millc nccis gcncribus cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco ncqnaqua practcrirc uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um gcncra propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmoriac prodidit,primo fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum conicaio,poftrcmo cc rona. . f,1 ^ citatcm, et ob fcoenos mores delcnbcTs ait Inter catellas cnferum extalambeutet Tmitur aprigkttduks palæ/iritis, Attamen 1« rd le «!• am ith Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii Hij n h bu Ci n ni p B. . 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs tu bubulas, tum mcnto o'^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos nut.u c.itur. (cd f ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u,,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil WiJofcj i.nmodicc «tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta, u, quac ut hc, ct ab ahqu,bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n .llam apud Cachum &c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is, nuccs &nil coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Arrianus in Epiftcto, non frigidum potum, et dc qua Plautus m Moftc'I ma ubi adokfccns quidaita loquitur,(iuo ncquc,ndullr,or dc iuucntutc crat artc symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu armis, cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^ duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum . aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo (cruafsc,m6c ccmpons nullam rationc habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum cfsc potcft.nil, qd: 4/ refcrt Gulenus eos non æqiie mane, ac uefpere cibos ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo rarione.Meruni[ etiæxpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis vigerm" tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob q,ualira^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f H.i^c.r,S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper ij eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin palæftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria gcncrafccitpalacftritarum,pucros,imberbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk rac ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas plumbcasrcnum,&:Iumborum rcgionibus ad arccndas ncdurnas poIIutioncs,&: libidinis imIi.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati funt Plinius, Galcnus,& loanua. c.uic.' '"^^^ CaflianusJib.vj.c.vij.quam rcm ct inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum dixit . Qui in lladio currunt,ab o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^' ooronam,nos vcro utimmortalcm accipiamus. lib adfflar Qil^,^cnaiTfis Tcrtullian^ hacc diccbatrNcpe cu&: Athlc tyrcs. ^^^^ icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut robori acdiiicado vacer,c6 ^ ^ tinctur a Iuxuria,a cibislactioribus,a potu iticundicirc:cogLitur,cruCiatur,fatigantur,^ D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9. atq. Aclianus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan. lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn^ li. is.c.6. tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre ablbncre fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^ HamcrO'Colligi,apud prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut omnifi Olymp. vv.Kcaihum La^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77 ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt a lahorc (tj motu. OSTQVAM dc Gymnaftica, quid fic>cius origincnvicc non vcrac,6aquacq. fingulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum ars(diccbai Ariftotc^.Ethk. lcs,)(it rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir in obcundis cxcrcitatiombus hacc rccla ritio, quomodo iUarum unaquacquc, ucl ad parandumbonum habirum,vcl fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir ( iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ipfumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm,anhclitumalrcranrcm,ub: yvtaict^ K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. laborc in:cr lc diricrrc dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quacdam magis communis,arq. pluribus conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri moucanrur,ncq. cxcrjcri dicantur,cxcrcirario ue ro non fit, niil vchcmcns morus : fnnilircr labor liccr lit vchcmcns motus.ramcn non omnis labor propric uocarur cxcrciratio, fi quidcm fodicntcs, arq. mctcnrcs laborarc,fcd non propric cxcrccri dicutur; tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc labor,cxcrcitAtio uocarur rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocratcuocatumcfsc ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^]^^ dolcrcm &: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira„na,cu7 tioncm fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^. iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Ætij ^ nili nifimomsvehemcns anhelitum alterans, yviivitrm^ Græcisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum paucioribus ucftibus cxercerctur;quemadmodum etiamlociiin,ubi ficbat>'t///^(cW appellatum fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed quoniam poflct ali quisetiamin gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui tamen nullo padio excrcc i i diccicLur,iccirco hæc Galcnica cxercitationis(paccciusdicam)definit:o haud quaquamintegra eft.&: proinde Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum animaduertidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno dcfinitam fuifle,a!iam definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod cxercitatio eftmo tus uoIunrarius,proptcr qucm anhc!iti.s magnus, &:frcquens eft ne ceflarius.Quo m loco eos quoq. mcrito damnar,qui leuem quamli bet ambulationem cxcrcitij nomire compcllant : non enim appofuit(vchcmcns)quod,vbi magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper ^ necefll^riofcqui ur motumiilum vchcmentcmcxfiflere. fed neque hæc definirio Auicennæ mihi plene fatisfacit : quoniam,etfi conueniatomnibus triplicisgymnafticæ excrcitationibus, cas tamcn propricnon complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos etiam loqui inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam compleftitur, cum ncq. materialis explicetur, neque caufla cuius gratia. Accedit item illud, quod multi uoluntarie uehementer,&: cii anhclitu au6to mouentur, qui nullo padio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum celeritate dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi, qui vel inimicoru impetum, uel quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur, 6c frequenter,ac magnopereanhelant : ex quo Auicennæ definitio haud pcr. fcfte totam exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa AuerF rois,qua dixit in libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbrorum motum aliqua uoluntate fadlum. Ideo nos alitcr definictes dicamus,quod exercitatio,de qua medici intereft tradare, jpprie eft moms corporis humani uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu alterato ucl fanitatis tuendæ,uel habitus boni comparandi gratia fa6tus. ita namq. definitio omnes cauflas comprchendit, atq. foli definito conuenit : uerum enimucro poflTet aliquis merito a me fcifcitari, numquid motus equi tando, vel nauigando peraftus exercitaonis nomen mercatur, eo quod non libere a uoluntate hominis, fed ab alio dcpendere uideatur ? cui rcfpondeo, non minus equitantes,&:nauigantes alijs cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm communitcr,dum modo gratiafanitatis,uel etiam militarisftudij illud cfficiant : quandoquidem propric exerccri dicuntur, qui exercitationcm nuper a nobis definitam fufcipiunt.quibus vero aliqua tx comlraohibiu neccflarijs dccft,illi potius communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur,riue i fcipiis, llucab alijs moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &: Flaro, &c Gatexius :fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt, f efe mouerie, agi tarc, ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri faititant, qui tamet/iin hoc brufisimbellioresad fruendum hac uita excant,nihilominus &ip/i, quantum conceditur, fcfc mouere nituntur iiitque exmotibus non parum voluptatis accipiunt. qui motus poflmo^ dum crefcentibus annis dum codicionesfupra defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt, nHi iplilTima facultatisgymnafticæ opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi aon a naturafa£tam,faitem fecun dum naturæ propenfionem efsc Huiufce facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue uniuerfalespartes effecerit;proinde allatani ab ipfo gymnaflicæ diuifionemin medifi proponemus, nou quod fub ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc contineantur, E fed quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc contigcrit.nGque nos quifquam rcprehendere dcbet,quod in pluribusPIatonis,quemmedicumncmofanus reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui no jninusmedici 3,quam Pythagoræ eius difcipuli credere tenentur, fcriptum reliquit, Platonem Hippocratis imitatorem fuifse, nec vfquamabiUius placitis receirifseinam Galenum hoc inlocofe;/>cdtuocauitLucianus; et in gloflario habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi cernuat plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ% eftfphæriftica,(iuepilæludus.naq(fludentes pila faltarent,præterHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeæ dcNauficaahæc tradit: TTiaich Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc iipX^'^ MoAttw^. idcft: Ludebantpilayvittisvcllisque remotis y Utqne his ^auficaa ob niucas Jpe^abilis vlnas TrincipiiHn ludo dabat. tcftaturquoque Athcnæusex auaoritate Demoxeni,ficutiinferius indicabimus . Tertiafpecies eft opx>i(ng fimpliciter dida, nos limphciccrfaltationem diccrc polTumus. Totahacorcheftica quau is maiores noftri ut plurimum ad uoluptates, ac lafciuiam poti us, quam ad aliud utcrcntur,qui mos etiam ufque ad hæc tcpora pcrdurat, nihilominus gymnafticam bellicam,athlcticam, atque mcdicamilla quoque prorfus non caruilTe conftat, /icutnec ccteraf cxcrcitationes abuUa fereharum triumomifli fuifsc dcmonftrabo, ubi in finguHs cxcrcitationum fpeciebus dcclarandis, quo modounaquacque gymnafticæ illis feparatim ufa fit, indicareconabor . Bcllicam cnim abfque faltatoria non fuifle, locuplctiflimumteftemPlatoncmhabemus, quiin feptimodclegibus faltationcm in tres diuifit, militarem, paci aptam, atque mediam; milirarcmque vocauit corum, qui modo exfilitionibus inaltum,mododcprcflSonibus, modoinclinationibus hoftilium incurfuumin uafio A uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris uarijsiaculatorcs, &c pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit, ut uoliicrit in Rcpublicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fimu!,ac mulicrcs hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiumcnti accclVurum ad adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb. i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq. faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia, ab ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs, atq. expiarionib. ficri fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon, rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &: furificioru cc^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.( lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari, et bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vycap.vltim. Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis, pacrarijs,ialtationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd AnOrib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs hominibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit, mcdiamq. intcr chorca, &: umbratilcm pugnam naturam rctincrc, &: ob i d puc ris, mulicribus,atq.fcnibus,quorum corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc cft,conduccrcfcribir. An ucro hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ paci apram nuncupauit,(]uamq. animi in profpcritariC bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir, haud tuto affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum gymnallicacgcnushac laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam cxcrcitationum arrcm a Plaronc dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap. /K Altationem incubifticam, fphacrifiicam, &: orchcfticam,fiuccommuni nomincuocaramfaltationcm diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia da lorct. Scd quoniam dc cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas duas prolcqucmur. Atquc primofphacrillica fcfc oflcrt, quac ramctfiHomcri tcmporibusfimplicior cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3 uaric«4 æratcm acqiiifiuit, m&c ipfa in gyrrKraii/s. t-am locumcSoLfD «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif voaitum haberc mcruerit. I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum arpotfp^i^^Kou. Qiiis vcro primus fphæritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit, fcripcores diiic/a fcntiunt. Plinius inter Larinos Pytho cuidam hunc acccprumrcferc. A^alisCorcyreagrammatica Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd ignoroquararionc,apud Athcnacum facir.-HippafusLacedacmonijs, DicacarchusSicyonijsinuentum iftud artribuerunt . Ex quo fir, vr ccrri quidquam fcntirc nequcamus,-&:co magis quod TimocratisLaconis,aIiorumuc dehocludo commcnraria non habcmus, quibus forrafiis &:ranracuarictatis rarioncm intclligere,&: incognira prope ludcdi pila gcncra ccrtius cognofccrc poffcmus.in quibus cxplicandis cum huc ufq. fcriprorcs non parum confufi fucrinr, arquc intcrdum a ucriratelonge receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm hac clariorcm, minufq. antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.PiLiiraqucludendi gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio, uiyct^w T^pajjpcLV, fjLiTtfKVj^pajpoM, yiivbju o-(poijpcJUf, ^ yicopvKOV, fiue paruam pilam, magnam, atquc pilam inancm, et corycum,rcpono corycum inrcr pilac gcncra,quod licct GaIcnus,Oribafius,&: Paullusab illisfccrcucrint, inftrumcntumillud, ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac lufus fccundum Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila ualdcparua,in quaqui cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&: colludcnrcs manus manibus proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula, qua cuhiros cubiris ludcndo immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr uarios pilæ iaitus huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila adhuc maiorfccunda,in quahomincsintcr fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum itararia, ac motoria pars cflct, qui manebant,pila cmittcbanr cumuchcmcnria,&:concinniratc. inrcr has fpecicsadnumcraridebcregcnusilludiudico, quodpcncs Athcnacum ifc^r^t901/ &: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin libcllo deparuæpilæ ludo fimul cum alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia CleS.facilag. mcns Alcxandrinus, fcripror grauiflimus, ubi dcmonftrarct ludum paruæ pilæ.&: præfcrtnii (puMct, cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc accommodatam,cam paruac pilac fpccicm fuiflc hac oratione clarum facit:oV/ inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r ^f^»x«,K«^? ^xnzo* /.cuf twsitx» rotwirlt^ yy^zy . K.«xw n.ut tAaCt, f/ ^W . X. ;,x*^r.^cr«x-;uoit-'J^«« i^lmptc,&: com;mn.tcr ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac ir.iq. I:.nr p.Iacpar..ac Ipccics dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio. .nqu.bus hp.ccncspli.lofophus.ncc non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo cum muhi cx Anrigoni rcgis ra.mliaribus hukd. yrar..i cxlucbantur.mulrum cxcclluilfc dicuntur. Arqiu follux al.ap.lac parU.1C ludorum £;cncra proponit, Aporraxun \ ra.i.am,..! quo (clicctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu pro.jc.cbant,& a.itcquarcr' G 4 r-im, - ram attingerct, excipicbant. Coctcrum pilam magna duos quoo. D ludcndi modosnon folum exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu hgura a fuperioribus diucrfos cfl"ccifrc,Oribafius cx Antyilo rcftatiir, qucrum unuscratludcntium magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc poflidcbant, vt /icuti in cccteris prædiCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris humiliorcs,ita in hac lcmpcr capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam fummispedibus ambuJabant ut manus altius cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant, cum lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in qua proijcicnda vchemcrcr bra chia agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod tcrtium pilacgenus fecmius,quahs fucnt haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illæ ucl pluma.^uclaliamatcriaihæcfolo venro,/iue E ære plcna forcr,arq. rantac magnirudinis, ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct, quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime exprcfl-erit, e?us orationem huc -duccre ftatui, quæ ita i„ V^aticLo coc^ceT habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy, -Hw^^. ^oyrL., .fo^i-npo., i-.^,.e^,^^oJ.oZv:,,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo a d 2e cor Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin« SXnt it u iS l","!™ ' itcrum rcIrcijcicntcscmit nt.urc rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';''' "/P°" »,,.;„r,;tr ™.r*,r^ot:'ald[&i^re! troccdat. . 17 A troccdat, c\quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim propin„ quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum ^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc, alioqui ii angularc fliifsctin occurfu, &c manus, &: pechis non finc laclio.nc pcrculTifsct . Hacc autcm li uidifsct Fuchfius, (anc inrellixiikt, Valcriolam non finc racionc aducrfus ipfum contcndifsc, follcm,^: corycum paullo minus, quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum lcriprorcm Caclium Aurclianum,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian, atq. coricomachian,nililirin codiccdcprauatilTmo crror,vt puro . Dc hoc intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm intcrprcratam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti probnuir,quas bonus i!lc intcrpr^cs,ucfc^io qno fpiritu, pcrac,aurfaccu!i iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllcxifsc Coclium Aurdianum cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco cifaro propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita «ccorycomachia C ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco dcpraua ' rusfit. Locum vbi ludcbarur,Cor)'ceumapud Vitruuium appcllari,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila inani, &: coryco. quac omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc, non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris nuinik rto conftar, ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum, pilam parua,&: pilam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus Ægincta iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc diucrla cxfti tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac cxcrciratio nes. Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur, parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,& pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcrciratiorcs if citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compaD randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac inftrumcta ct pilam. Admirari aut nemo dcbct, fi nos in fuperioribus fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc multas quoq. bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnupcrrime dc pila dictu ci\. a nobis ; quonia et vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q. exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid efficiant. ludi vcro,quos athlcticæ efTc nos dicimus, ita propric uocabatur, quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis ufitatagencrafatis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm, paganicam, &: harpaftum, quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio Aurcliano medico complexa nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta confcda,(oloq. uentoxeplera, quae /imaior eratjbrachijs impellebatur, &: fimpliciter piJa interdum nuncupaF batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum fcito,quoniam uidebis Romae inforo antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \ &c apud Propertium lib.3. Cum fUa vcloces faltitper Irachia ui^us. illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn, Seute difcus agit* Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij Imp. Rom. nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex quibus conijccrc licct,unumquciuqae iufcxmm nropriam pilam habuifle^atq-ueeum luduminfacriticijs Pytlrij^ apud AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri- ficatorijs uafis colligere non eft difticilc Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq. piigilJarisfoJIis, vt apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm pugiJIatoriu facia ; uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum appellari crcdojlicuti a Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc deletVatum narrat.Quomodo ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi partiris pondtra follisy ' cum ex corio ucnto replcto pila hacc confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini audtorcs uno orc fitcntiir, quidquid alij rcfpondcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca dixiflc.cuius lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr ludcndum vcl nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIartial.alibi fcriptum rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit aetas, Fotlc dtcct puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora imbccilliora cxcrccri ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus lufuilocus nullis lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus ludcntcs,&, fi fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &: proptcrca,cum folum minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcrrac attritu puluis cxcitabatur: quamq, ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili &c cxiguo illud adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur, atq. ludcntiQ pcdes magis firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc cxercitationcm confucuiffe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam cx Thcrmis ob dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e Thcrmis, circa balnea non eft, Menogenen, omni tu licet arte v^lis, p Captabit tcpidum dextra lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi fæpe pilas, Colliget^, et rcferet lapfum de puluere follem, Et ft iam lotus, iam foleatus erit . Numquid autc ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't,in fcxto poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht, quafi corycus, &: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila paruam,&: magna,& cory cu diftinxit . Alij maluerunt corycum Graccorum,foIlc Latinoru fuifsc : atq. hanc opimonc maior pars rcccmiorum fcriptorum habuit, intcr quos fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci, de foilc pugillatorio infcribcud di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\ ki Sicn Doni ierl( !crc A kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s m.ignopcrc hiillucinantur:^ primo,qui crcciidcrut follcj^Sc mænam pilam idc fuiirc,duabus rationibus rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i pilafcmpcr fummas manus capitc ahiorcs tcncbant, quandoq. criam fummis pcdibus ambulabant.ut manus ahiorcs tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu pihic may:nac no modo acgrotis, fcd cti am coualcfccntibus, atqr bcnc ualcntibus inuiile iudicaui t, quorum ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx fupcrioribus iudicarc.Qui ucro iollcm corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc dcprchcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcndcbatur,folhs h bcre emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna implcbacur, follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus ucro no. Fuerur itc qui tollc pila i naB nemfupcriusa nobis cx AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. quibu^ cgo libcnter a(Tcntirc,ni(i MartiaJis dixifict, fbllc mitiori actari couenire, &: Antyllus pilæ inanis cxcrcitarionc non admodu facilc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset. Colligoigicur cx his omnibus, quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru, ncq.magna corundc,neq. corycus fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l, paruampilam follcm rcpuraucrit. Porro Trigonalis pila,qua hidcbatur,parua crar,ita nuncupara uel a loco,ur uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui locus triangularis crar; ucl potius a ludctiu ( qj magis crcdibilc cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando pili £mphci nominc appcllaram inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non foliis^ non tc paganica Tbermis ^ vj Tracparat, aut nndi liipltis icius bcbcs : Vara nec iniiHo crromatc brjcbia tendis, Klonharpalla uagus pulnerulenta rar.is. Si enim fola quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac nomincntur, Trigonalis fub pila fimplici coplciflctundc hac fimihtcr locutum credo Cclfum, quado dixir,ab aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua fupcriorcsparrc s cxcrccnria conucnirc, quoniam in hujufccmodi ludo parrcs infcriores fcrc fcmpcr fimue mancbanr, fupcriorcs perpcruo agirabanrur . Quomodo ucro pcragcrcri:r cxcrcitatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx Martialis ucrbis,in quibus dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura colludcrc foliros,ur manibus urrifque modo fini ftra, modo dcxrra pilam uiciflim cxpcllcrc,&: cxcipcrc ualcrcnr, nc unquam cadcrcr. in quo fumma ludcntiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2 &:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone nudo FnHæ det fauor arbiter coronæ, T^fC laudet Volybi magis finiflras . Captabit tepidum dextra, læuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare ftniflris Sum tua ift nelcis, rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet confiicuifsc trigone liidcntes a fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam, modo finiftris, modo dexteris,eo propemodo, quo nollratespila paruafupra funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus tertium paruac pilæ lufum dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum loco fupra citato,tum lib.4. Seu lentumcefoma teris, tepidimi4C trignna : haud fatis mihi conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dicerem proptcrca trigona tepidum dixifsc, dft quod homines ludcndo^ob uchcmentcm utriufquc manus laborem, &c afliduo rootus pi^ Jæ tenore magis incalefccrent: uel quod locus,vbi ludebatur tepidarioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca ludcntes tamloci, quam pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse, ucrifimile uideri potcft : cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-, tentia demonftraucrimus, poft pilac ludum ftatim confueuifse balnea calida ingrcdi . Nifi malimus di cerc, poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo motu pilac in manibus ipfa tcpida euadebat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in Elcgialanuæ conquercntis, dixit Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu tepcfceret, 7{ulU ne finis erit noflro conce/fa dolori, i^^urpis y in tep^ limint fomnus erit ? Excplum trigonalis pilacmihi uidcturillud,quodin nummis M. Aurclij Antoniniapud Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum in liicrificijs ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi folitu,mcmoriac proditu eft. dc hac pila quæ dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope autfimilepaganicæ pilac lufum dcfcribi cxiftimo a Pctronio arbitro in fatyricis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus (cnem caluum tunica ueftitum rufsca inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc tam pueri nos, quamquamcratopcræprcciumadfpcvflaculum duxcrant, quam ipfc paterfamilias,qui folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea am plius repctebat,q terra cotingcret, fcd foUc plcnu habebat feruus, fufficiebatq. ludctibus.Notauimus ct rcs nouas.Nam duo fpadones in diucrfa parte circuli ftabant,quorum altcr matellam tcncbat ar genteam, altcr numerabat pilas, non quidcm eas,quæ inter manus lufu expcUcntcs uibrabantur, fcd cas,cj[uac in tcrram dccidcbant. Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet vuIgari5acfmocfu,D et in uillis pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum in ufu habe retur. Nam Dionyfius anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor tribus olim partitam fi.iiiTc,quæ &c pagi,ficut earum habitatores Paganijnominabantur. fiuc igitur ab ifi:is pagis, fiue a uiHis paganica pila dcnommata fir,pari]m rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma rcp!cto,trigonali latiorcm,non ita tamen ut cfi:foIIis,laxam, fcd duriorcm ; fiquidcm follis, qui uento replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto laxior,tanto difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia comprobaf,ramcn paganica pila quo ctiam durior elTcr, et pluma rcple batur,&: non i ta rep!ebatur,ut laxa ufquam foret, fed vndequaque dur!flima,&: proprcrca difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro H^ic (iuæ diffii ilis turget paganica plumay Folle minus Laxa efl, ^ minus arcta pila ., Sub nomine enim fimplici pilæ intclligi aliquando foIIc,aIiquando trigonalcm, paullo antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari hoc in loco nolo, ctiam in gymnafijs paganicæ pilæ exerci tatio^ ncm in vfu exftitifl^CjUt idcm Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila, nonfoUis, non te paganica thermis Træparat, aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa nobis indicatum fit,confucuifle fcre omncs» quifefein gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat, inter ceteros pilæ ludos in gymnafijs fe exercentium ad balnca præparatoriospaganicamquoq. adnumeratamcfle. VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilæ genus harpaftum fecimus. quod ob nominis fimil litudincmidcprorfusuidctur quod^V^d^oVGræcorumrcratenint pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius ucromagnitudif nis,^ cx qua materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^ tumhabemus,nifiquod Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum fuiflb. cA^x^ (panvScL 4;eaAf^TD, 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus fibi ualde indccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq. edcndo,& ibi bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignoratus, aut /altcm omiffus, minimeq. coufidcratus, tum quia a piftoribusnumciuamnec fomnioquidcm aut cogitatus, aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud fit verifimilcpotuiflc tato temporc,totq. pcritos artificcs, atqdoftifrmios inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij vcritatcm momcnti.Pe iriis Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq. muitis annis poft nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,proculdubio ad vcricarem accubitus acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras cogirationesillorumfcriptiscompararc vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct,fcrequicquidhac dcre boni dixcrunt,cnoIlrolibro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria, kcus quam fccit cruditiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma ingenuitæ in libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit profitcri fcfc magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum cciam fcgctcm,quam cgo pi imus illius pcne obliteratac artis rcnouaui,ira fingulari fludio, &c vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro tanxo bcmcficio fibi gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis dubitantum exi^ mam fcrupulum, &: aliquid maioris lucis tantac rei obfcurirari affcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo accubendi ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcrandi modo adijcere dcliberaui, ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa melius confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc, arque fimplicibusanimis pidluraueram cius favfli h iftoriam pijs, &: vcritaris amantibus repræfentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Græci,c[uanT Latini,arque Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs receptiffimum facile pcrfuadere poteft, qucmadmodum a paucis dubitatum iaucniojcpin uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo,atAqucbibcndcpairim aliquot fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct triclinium non ita abomnibus confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum crnditiflimas animaducrfioncs haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus monftrairc fi^ bipcrfu.ilir^triclinium inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bifaculc\ubi kzY\ (lcrncbanti r,proptcrca(]uc is^uTciK^wcv,J^iKxrsiK^iJ^jiMxrfy ^i^op inucniri nominara, prout pauciorcs plurc!>uc cw js c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio apud aliquos fuiflc fic appclla' xum, fcd quia in iH j Athcnad conuruio unufquifquc in mcdium 4d proponcrc conabntur, quod infrcqucntius crat, atquc aliqmm Icitu dignam raritatcm habcbat : iccirco cxilbmandum &ianQminAndo inurcndorriclinio cundcm cffc fcnluni fccutos, qrxm&: Kcginaurbium Roma fcqucbatur • Atqucdc Jiocipfo cuni l(;qi.crctur antiquus, &: grjuis icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac Acncidos diwt Vctcrcsftibadia .non habuifscfcd Itratis tribus lciftis cpuIaircCundc triclmiurn Itcrni di'tum ) arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium ipfambalilicam,ucl cocnarioncm . Ncquc minus fatlunrur, qui puiarunt rripodas iilos, dc quibus mcnno cft npud A:1k nacum cx Eubolo comico, a^inquibus duo ucl rrcs cdcntcsrcpracfcntantur inmarmoribusuctulUs fuifsc triclinia, quandoquidcm nulla ibi rruini lciftorum imago, nccucaccubirus confpiciiur, fcdfunt dumta>at fcpulclu-aliiimcocnarum dligies,dc quibus rrafam non rcrro,fcd antc, req. ftantc m,rcd genibus humi procumLcntcm vfquc ad hacc tcmpcra depinx,crunt>& feipfos,& alios (fiita loqrilicct) dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft huiufmodi omnia pcrficiamuIicrcpotuifse,certumcft etiam,ncqueaminiftrantibus illudpcrmi/sumiri dcbuiffcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier fubtus menfam gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus ftrauiffer &, quac omnia incommoda cuni euitenrur triclinio, et accubiiu noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim, eur debcanta quoquam ingcnio guftii prædiro rcpudiari, eo maximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur, quæ debcar ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre, quinimo fi accuratc ingrcifus mylieris expcndarur, miniftros, dc accumdifc bcntcs 2« tcm^s latereponm, haud fccus, atqucubi fcfe iii cxteriorc trichnij partc iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi aliqiiid in illoaceumbcndimodo non ita laudabilcfortc npparcbacquifquc fibi illiid pcrfuadcrc dcbctctiam quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc omncm foeditatcm amittcrc,nam mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc conuiiiij publici loci:madirc,ibiqi:c audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc vngcrc proculdubio rurpc,& indignum caftitatc CHR1ST1 poruiffet vidcri, nill mo5 propc omniumorientalium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc nonpotuir, quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda, qua(i non cntnc lciti-fupcrquos difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius lachrymis lauarc, inrc rprcrans ftarc pro con/iftcre, Scd lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri triclinij ignorantiam,quod pcdcsaltos habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^ Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc Acnca loqucns accumbcntcdixir iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn orfts jtlto. Arqui Tolcdus Cardinalis ob longam, quam Romæ traxir,moram, uidcndi, audicndi rcium vctultarum pcrirosubcreaioccafioncmhabuit, forfanque noftram fcnrcnriam, &:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum do(ftiiriinis lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „ communicalVcm, priufquam publicarem.undc facile confcnC rirtoros triclinioruin ira alros cxtiriflc, utmulicr nullolaborc pofscr ftans rctro pcdcs cpulantis conrrcCtarc, lachrymifquc abiucrc : &:ccrrc liccr uir doctiflimus noncxplicatc docucrit difcumbcndi modum artamcn ex cius vcrbis vcrirarcm libi raaximc omnium inno,ruifsc parct. Jraquc hoc iam conftirutum fir tricliniuni dictumcfsc, quod rrcslccti ftcrncrcnrur, in quibus ira iaccrcnt, ut vcrlus menfam cubitis finiftris innixi dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in cxtcricrcm partcm protcndcrcnr, ubi miniftri cranr, &:ubi ftctit crcchi MAKlA, qucadmodum difcrtc faris, &:copiofc alil)! cx uarijsfciiproribus declarauimus, &: ficur cx imaginc antcpoiita clari/Time cluccr . Supra quid ucro ftcrncrcnrur lccli, non cftiraproditum, arramcn licct conijccrc facpius fupra tabulata alriufcula clsc c.xrcnios, quac nonnumquam criam apud Hc^ J& 3 bracos cx argento, aurouc conflata fiiifsc colligitur ex pri-D mo capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione, quod paritcr a Romanis hivftum teftatur præ cætcris Plinius lILro xxxi i r. capi.vndccimo, fuifsc ucro fa£l:a Icftifternia primum lignca conijcere licct ab co quodnarrat cxSenccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo, nempcSotcrichum lignarium fabrum cxritifsc, qui Icdos tricliniarcs ligncos faciebat, cb idquc data cftoccafio Adagij, vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij, ncc multi artifici; frgnificare Soterichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro fccundumpropofitun^ aggrcdior,fcilicct an apud Hcbræos, quotcniporc CHRISTVS aflTuit cocnæ Pharifaci, mos fucrit djfcumbendiirr triclinijs, quemadmodum Romac, qua de re cum confulucrim Vitalcm Mcdicæum Florentiæ, artemmcdicam fanE (ftac,ac feliciter cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc pcritillimum, ismihiadco dofte,&: diferte rcfpondit, iit in hciiufmodi graui difceptatione uix quicquam doftius,&:eliniatiusdcfidcrari queat : quia tamcn ab fcntcntianoftra noa nihil difccififse vifus cft, pro mca confirmanda ncccfsc putoaliquid in mediumaffcrrc . Etenim dubitare minime oportct, quinapud ucniftilTimos Hebræos uarius conuiuiaagendi mosfuerit, fiquidcm libro Gcncf in cclebri illo conuiuio, quod lofcphus Fratribus, alijfque Magnifice, dcdit, omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc morislibroludith, libroprimo, Rcgum, atque ahbi facpius mcniio clariffima habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante captiuitatcm Babylo^ niæ Iibcr Icgatur, ibi accubirus non obfcuram mentioncm fieri cognofcctur, quamquam fortafsc diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios vixifsc, apudquosinufueratcocnantesaccunibcre. lam vcro dc Troianis,atque Tyrijs fimihtcr exiftimar€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo, &: fccundo Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat, ficuti libro' fcptimo,non dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlæ SacYis SedcsepuUs: hic arteteiæfa Terpetuisfolwpams coufidere maifis. Vbiquamquam inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn Seruius cumlocumintcrprætans dixit 71 A Jixlt Malorft epulari confueuifsc fcdenfcs, .trqrc ilftim habuiffcmorcma Laconibus, &Crcrcnfibus, utVarro docuit infibris dc gcntc Pop. Rom.in quibus dixitquid a quaqncrraxcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud Kulbrhiumduccsconuiuiocxccpif5C,cofquc omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfcciffc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI noncddubium nobiliorcs ialrcmaccumbcrcconfucuifsc, idqucpractcrinnumcroslarinac linguac auctorc^ marmora quoquc tclhntur, ur locuplctiflimc alias B dcmonflraui, arqixalij quoqucdocucrunt. (iraccos parircr conftatcundcm accumbcndi morcm cf^c fcdatos, &:quod turpius cll, narrat Athcnacus raatulas pro cxcipicndo a ucfica rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in triclinia,quas facpc ubi uino incalucraut ad capita frangcbanr, inrrodudo hoc morc a Sybariticis populis fordibus omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc Hcbracis dubirarur an fimilitcr illi ad Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius, quam k\\irc loliri fucrinr, ut Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c CHRISTVM iri fuifsc loca. tum, ac proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius lauarc, cxiccarc, ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat cos a Romanisfuif c muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos fcmpcr cfsc fccuC tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucncxunr, modo non con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum cflcx lacris Iibris anrc captiuiratcm Babyloniaccam gcntcminconuiuijs tam publicisquam priuatisfcmpcrfcdilsc. Vcrupoftquani in Habyloniam duCti fucruntcaptiui vu^oquc modocdcrcconfucucrunr, fcncs fcilicctfcdc; ucs,iuucnes ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri Habbini tradidcrunt,apud quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum, ucl (Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl tapctibusprcciofis«:s: pului naribus, ita utcubitis innixi lirnunn corpus uniucrfum f( ruarcntifacta autcmfuit dcindclcx, vt tcmporc Pafchatisin durac fub Pharaoncfcruitutis, Iibcrntionisq. commcmorationcquifquc accunibcndo cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct unicuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72 2"patct apudludæos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum. Porr6modus,qi!0 Hicrofolymis infecundadomofcilicctpoftlibcrationcm ab Acgypto,atqucpotiflrimumteporc Chrifti conuiuia ficrent, non ita compcrtus eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum Hebreæ,chaldeac,Syiiacæ, Graccæ, et Latinæ.quarum Syriacainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi adoiais,&:in difcipIiniscomparandi.vvfurpæa,{icutiolimRomæ Græca,& nunc paflim Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro dudta,quandodecemtribubusa SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflæfuntinSammariam,partesqueci cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniæ,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui ob id ab Hebræis dcinde fcmper funt Samaritani uocati,atque idco aucrfati,quod Idolatræ eflent, mofaicosquc ri1 tus minimcut par crat,obfcruarcnt, ctiam fi a Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt. Huncergoin modumSyriacalingua apud Hchræos tnduda.propagata, et conleruata cft, qucmadmodum ChaldacamSyriacæ valdc fimilcmipfimctludæiex BabyIonia, ubi i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt. Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis, Rabbini dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc copia,&fuauitate funt deicdtati, ut Hcbraicacipflimacquarcnr. Vndcpariterfucccfljt,utplerique eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam fatiselc-gantcrfcribcrcnt, qualcsfucrunt PaulIus,lofcphus,Philo,afque alijplurimi. KomanipoftrcmocumIudæariifubiugalk'nf,neecffefuit,illc pnpulus ipforum linguam latinam addifccrct, eaque pro ncgocijs agendis utcrcturiquac ctiam fuit ratio,quamo brcmtituluscrucis ChnftiHcbraicc GracccatqucLatincfcriptusfucruilludtamcn dchikelinguis, &:potiflimumdeSyriaca ucic conftat ipfani fuifsc omniuniHierofoIymisufurpatiirimam, atque muhis Graccoruui uocibus pcimixram,fiue id fueritob graccæ dclcdhuioncm, qua ludæi afficiebantur, fiue aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr, ficpc illarum uocabula proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitutis,cumludæi linguam Romanorum Græcorum, &: Afsyriorum,apudquosin ufu crataccubitus,utcrcntur, vcrifimilceft quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs acccpifse.quodforfan .1 pcruicacibus ncgari potuifset,nifi compuircs Euangclij lo ci,ubi c.iicubitr,s,&:uccubitusfir mcntio,aucrre teftarcntur Vtruip autcm accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct, qualis apud Romdnos in triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv ' flratis ucl ligneis ncl arijcnrcis,aut:iurcis qu.ilcshabii . -lUosnarranrPhnius, Arhcnacus,&:alij,hauJ itaclarum clh Scd ut omittam ludæos ucrcrcs, apud quos forfan uox triclinij vfitara in facris libriscubiculumdumta\\it,in quococnabarur, SIGNIFICARE potcft,dcquo Vitruuiuslib.Archircv^turac quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio nomincrur Archirriclinus,ncgari ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Græcos,in quorum conuiiiijs crant lstoc^)(ecl, idclt,conuiuij princi pcs. Cacrcrum dodtifllmi uiri,qui accubirumquidcm inconuiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd morc Hebracorum ftratis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum lignihcer,&quod Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ronunorunviuosquoridic inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris, Quantum ucroad Magdalcnaca lonce difscnrire, (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufitaram. v^^isciiimignorat cam fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri porcft, imitenrur?maximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs cranr Pliarifæi ;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro Imperarore Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummorcs, ut ait Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam faccrcnt,ucrofimiIc cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan minoris momcnri Homanosimitari,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris narionesfaciebant. Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcntur rirus^abfquc multJ laborc indicabo; tumidcju >J imaginanturdcMahahaud qaaquam conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaque noneftnegandum poft redadum aPompeiom Roma*D norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum iu/Tu Augufti in cxilium expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber natan^5 qua occafionc Hicrofolymis^atque in orani ludæa innu^ mcrimilitcs, ciucs, atque cquitcs Romani omni tcmporc h^xhi" tabant,quosacquum cftcxiftimarcfccundum Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudæis,ut contingcre ubiquc foIct,eoscommunicafse,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto magisodiumprincipisfibi adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc Ronunorummoribiisin couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca, PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fccifsc Chrillum in cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo de.gymnaftica Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam menfaeaccuia bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc ungendi ufu polt balncum, pfitpracrcrClcmentcm Alcxandrmum Athcnacus quin^todecirao lib. Dipnofophift. apud qu.emproprium,& odoratum ungucntum finuulis corpori partibus dicatum Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco moi*curcns,uolucrir,6v: caput &: pedesChrifti, tamuiucntisquammortui ungcix, qui quafi incrcpans Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct, ccrtum indiciumacfulicfibi placuifsc Romanorum, &: Graccorum ungcndi confuctudincmuWcruari . Et quod di\itChi'iftus dc illo,qui acccdcnsad conuiuium nuptialc, laccrn.a adhuc indutus ucftcm nup>i.rk'nvnon induifscr, dubio procui cx.ri^bus Romanis torum fuit capium, Dc loc,i nobiliuirc rum m pontificali, tum iu ciuili,rumin confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat jf^iutarchusin Sympofiacis,atq. Macro.bius.,non cxiguum difcrimcn, m inrcrdum mcdiusmcdij Icv^lj, intcrdum imus ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur, cuius rci lUuftrccxcmplum eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos accubitus ambic 2^ 7&: ccruicalibus fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSyriacc EuangcUum fcriplit, ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn libi haud fuppctcrct proprium, quo explicarc pofsct ucrum Romanorum triclinium/naluir ouod habebar uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic trichnit) nofiro iudicandumunicuiquc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangcliftam taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Itarct rcrro,&:fccus pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tanta diligen[iarctulit,quaccumque ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis pofi(|uam iam dixcrat jpfam ftcrifsc. Quarc iamlarismonllratumarbitrorChriftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l A, quac necparuacftaturac crat,potucr?t (lans creftarigarc ipfiiispcdes lac.irymis,nec non manibus cos contrcihirc, 6c c apillis liccarc, d^ r jmquc ungcicQuod toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1 i> r R . Ciin; huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^c^^m fnfflic0 ne accelcrarer, oWata eft occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi prolcgomcna in Sacroflmdam Euangeiicaln hiftoriamfingulari eriiditionc refcrtalcgere:atq,interlcgcndum cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni undecfmi occurrinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo Magdalcne in lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin ciufdcm Chrifti hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam fimiil,& admirationc mihi pcperit, ctenim lactatusfum,quod mcas cogirarioncs,qiKis fcmper nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo &:raradodrinaprædito iraclare confirmaras,quafiquc inconcuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire, ac in nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem exiuit^is adhuc uiuerer, quippequemfæpius concionantem RomæaufcuItauerim,ubi cos libros dum Cardinalis Faræfij medicum agcbam, &c compofui,& in Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco, Ncquc uero credibile eft me ab eius fcriptis, quac diflcrui dc accubitu accepifse,cum ea ha£ienus latuerint,ncq.ipfumeadem dcreita dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc quidcm ualucrim. Vndcqua^foler efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos nos ad ca fcribenda fuiflc impuJfos, &c propterea quicquid ea d^ rc di Antc folcm cxoricnrcm nifi in palacllram ucncras: (jymna-,> fijpracfcclo haud mcdiocrcs pocnas pcndcrcs. Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt, animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut ctiamclarius,> in amatorio Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta Ver„ riuarum : Dcmolicndiim curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC. zionale Cenlrale di F» quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftarD cha. hic ambobus xyftis, ftadio, $c dcnique cundis athlctarum cxcrcitationibuspraccrat, ut kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad martyres.&ut cx infcripcionc conijcitur, quæ Komac in foroTraiani in hafiftatuæ Græcis littcris notata,a,not)isiic lauac r.edditacft. DEMF. TRIVM. HE R MAPOLITAM. ALEXAN I) R1NV M. PANCKATIA STEM. P E R I ODL VICTOKEM. P ALÆST R I F AM . ADMIRABILEM. ALIPTAM. PONTlFICEM. TOTiVS XYSTI. PERPETVVM. .\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl. PKA-EFECTVM. PA.£ T R F M M.^AVREL,. ASCLEPIADES. QVL ET. HER" MODORVS. ALEXANDRINVS. HERMOPOLITA. MAGNI. SERAPIDIS. ÆDITVVSPANCRA riASTES. PERIODJ. VICTOR. ALJPTA. (VS^EM. NEMO. DETRVDERE. POTERAJ. INCVLPATVS. XYSTARCHA. FILIVS. PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER PETVVS XYSTARCHA ET BALNEIS AyGVSTJ. .præfectvs. Alvhoc, fcnfcnria uiea,diucrrus fuit Pracfcaus luftaca Galeno lWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui pcrinde,ac Pacdotrib a quidamliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum xyftarchiisplurium cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in Protagora irafcriptum r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs TTkykTtwcto hcctcc cwijlx mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx r^narisho^ minibuss clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuidetur Scncca cp1il.83.cos uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm fciam)nulli alrcri vlurpato, quamquam MureW.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit in/u sad cumlocumnotis. .AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo Ac-li.3.i5,aItcr medicr dumraxarmandara cxfcquirur,parircrPædoiribæxm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm ignorabar, ^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrcirationum cxpcricntia quadam callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam iniicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbæ dilicrcciam Arifrotclcs quoquc philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum concludir, Adokfccn-.es gymnafiicac atqucpædotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf icircorporis habirnm, al.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir: rrot^ roC tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\ rayrm Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pædotribauerominificr.&: panific:,coquo, acacdificaroriproportionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus quidc, minimc ramen,quid inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho ji ci unon exfiftcre narrat Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\ dumraxararris gymnafticac tunc rcmporisapparcbant, jxquc arsad rcgulas ac formam rcdasfta,&:prui nde nco, arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^ SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ». qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus jmifari ut vel harmoD nia,uel ry thmo, uel nudofermone ; alias diuerfas res, vt vel mclioresjvel fimiles,ucl detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes, vel introducentes, vel narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon mutaros;de faltationehæc concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp, Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim numerofa gefticulationis uarietatc, morcs, palTioneSx& aitioncs imitanuir. Ex qua oratione apparct, og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud fuifse,quam facultatemquandam motibus„ac gcftibus corporis^artificio quodam,numero, &c ratione fadis imitandi hominum mores,affea:us^ &:aciioncs. qui cnim in /.ciuilium dixcrat,nihil cfsc in rerum natL]ra,quodmagisexprimat rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E &:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it, filtatoresin imitandisadionibusnumcro uri . Quomodohacc per numcrofos morus efficeretur imitario,unus omnium clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu Prob^i. tarchus, qui in ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse fcriplir, iatioucm y figui-am, &:indicationem ; eo quia tora ipfa cx motibus,&: habitudinibus >&: quieribus conftarct, perinde ac harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam motionem affcdtus alicuius, vcl adionis, ucl potenriæ repræfenrariuam : figuram uerofuifie habitudinem, difpofirionemque, in quam motio fiue lario rcrminabatur, nempe quando falratores quiefccnres fecundum Apollinis, uel Panis, uel alicuius Bac7>«fcl«& chæ( ureftapud Platonem) figuram difpofiri in corporis fimilibus formis graphice aliquantiilum perfiftebanr, indicationem au^ temfuifse non propric imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe rerrac, cæli,vicinorumnumerofe, arqueordinarismoribusfadam decla'rarionem quemadmodum namque poetæ, dumimiranrur, alias nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum ucro indicant,propria nomina ufurpant ifimiliter faltatores imitantes, figuris, &: habitudinibus; dcGlarantcs aurem, resipfasprædidis indicarionibusutunrur: adeo ut, fecundum Platoncm, Ariftotelem, arque eriam Plutarchum, tora hæc falratoria facultas in imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud aOirarcnt^nifi quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur lationibus, &: figurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus declarabanr, aut omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones hominum rcpræfentabant.unde non abfque fumma rationc Simonidcs r4 toi k DIU dd api m m m k m P7 A dcspoeta faltarioncmpocnm taccnrcm, ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc folcbatiquamquam rcfcrt Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»rcluaucramfalrationcmamufica, cui aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci atqucacacicfti illa dccidcntcm in tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc,idq. poftraodumufquc ad rcmpora noftra pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio corrupta cft,omncs cordari uiri cognofcunr. 'i^uihus aurem prjnnishuiufccmodi falrationcm hominibusdcmonftrauerir, iatis copcr:umnon habcrur, nifi quod Thcophraftus apud Athcnæum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem, dum fonarct, morioncs ar^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc, Sc ob id apud ucrcrcs falrarc uocatum hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus, &: Acfchylus mulras fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc appcllatas Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas Iraliac narioncs Balli nomc adhuc pcrdurar.Fuitporrohaccfaltario rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm faItatorcmuocarcnt,qucmadmodumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^ lic luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire chorOy plaufuq, probatæ icrram tnmulodcfcendat clunc pucllæ, Irritamtntum veneris langtientis, et aird piuitis vrticæ &! huiufcemodi aliæ . Ab inucntorc autcm modo uocarac fucrunr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam Laconcfcu^ur alij maIunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman falrabant cuni canru, &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis lapidibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 A (Pyrrhichias autcm noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.) Atquchac uarianominaobrinucrunt, utOrfitis, et Epichcdios pcncsCrctcnfcs, Carpaca apud Acmancfcs 6c Magncrcs, dc qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro, apochinosliue madrilmos, quam mulicrcs faltabant,&obidMartypiæ uocabanrur quac Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc pracditac crant, ut dartyli,iambici, molnfiica, cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,calabrifmus. Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarmatas falrauir,fic uocara, qua utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm fullalcrunt,aliac rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs falrarcnt . Erorianus,qui Andr.)macho Ncronis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir,has B faltationc5 /ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas, Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccntes, vbi mihi rofic, ubi mihi lilia, ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos,&:fobas,morphafmus,C .laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac lyricacquakspyrrhichia, gymnopacdica hyporchacmarica. quac omncs quomodo ficrcut, non cft præfcntis tradarionis dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc rcrriamlalrarioncm rotatqucplurc^adl.uc diucr (as fpccics, quibus libcllum proprium dicauit Lucianus, habuiflc ficut ctiam diucrlis motibus tam pcdum, quam manuum utcbatur. cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu, arquc 7..Phyr. traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;, &: hoc furium, ucl dcorfuin, ucl prorliim, \cl rerroifum, ucl dcxr C trorfum, ucl fmillrorlum : a quibus poftca motibus componcbatur limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio, ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a faltariopcrficicbarur. De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yilV M antiqui inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt, manibusq.moucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr, ut prius faltatoriapancs intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci adiunctaiic, ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm, confcrtioncm, coinpcdnnationcm, diilcntio— H ncin ico ncm, complexum, altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio ex motibus tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir. quod autem faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit et Ouidius ubi dixit: » . et i de Sivoxefl, canta, fi mollia brachia, falta.arte auia. Brachia faltantis, vocem mirare canentts. HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret, nihilominus alios eriam fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra, &: ad ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in ufu fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Galenus, qui in principio curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmporis homincs inuchitur,, quod faltatoriae nimis opcram darcnt, quafifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent. Qupd p paritcradquacrendam corporisfonitudincm militaremqucpcritiameadem filtatione maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum fuerit, tamen addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob aliud inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri,&:mulicrcs modo hoHcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis neceflarios pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes græcos interrogarunt, numquid mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus fe excellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs delegcrunt. Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfaltationem, et bono habitui comparando, et fanitati conferuandac no p parum conduxiffc. quandoquidem de nianuum gefticulationc, dc^'Ptumicpcritur&ab Hippocra cur.aon^ ^ ab Arctaco, atqueaIijs, procxcrcendis&:lanis,&: inrerdum «ap 1. ægris corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero nofttisfaltationes alias temporc, ordine,&: ccrto modo fadias talcm utilitatcmpræftarc ncmonegaret, qucmadmodum Galenusfe plurimosfanitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio confcruaffeconfitetur: quifimiliter et faltatorum excrcitationes intcr ceteraa medico petita recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvkciis ivttiSK^^ivrxt itlytsx, KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«»> CflecTij IfxvisxvTtu, Kxi nygoofvgtvat, Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKti>A«. idcft faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime fal>>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon genua fleæntes furlum exfurgunt, atcpc crura plurimum atrra* hunt £ . loi A hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat, quln Orclicfticam ingymnalY^ca mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio Xcnophontis fc falratoriam tum ad ualctudi>confcruandamquc, tauTad corporisr)hurcompa randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum fibi amplam domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio. Cinacdosmaximc omniimilaltandi arti opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud qucm Pcriplcdomcnus fcncx lic ait. Tum ad faltandum : non Cinacdus vfquam magis faltat,quamcgo.quamquam Nonius Marccllus Luciiij tcftimonio,atq. ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib. faltatorcsipIos,atqucpanromimos, 6c totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur, ^Sc luxarcntur, quac illis palaclbico quoB dam paclo ab alijs diucrfo fc rcmirrcrc cofucuilsc rcllarur Galcnus . Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco, C^alcnunon modoluchim arhlctica,qua rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir, improbafscuciu&:lanirariftudcri: inrcrduparcc laudafscur porc qua roburquidem auecrur, at luxarioni s, ac fractionis ofliu, nccnon lufTocarionis pcriculumimmincat. fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcmpore Galcni Romac floruit,in iij. Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm habct, lu uolutatoriu nuncupabatur, fpcciesq. lucbc erat, na in luda ccrtantcs fefc dcijccrc ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio humi proltcrncbatur;atq. ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr altcru libi fupponcrc nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic nummi cuiufdam Salulbj Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac principatu Africac rcgno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam cdidir. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit, AriRorelcm vcrha rccifie, lib. S M ubiiiulhim crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto uiccdcrc po^c '^demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr puliic rcmin gcnua fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabiIc uidcrctur,Iocutumcnc Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit, / q'a fnci nmherr fiouit Et didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct «WAiFOTraAw, rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat,ac i(!iuilhus dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca lcdi luclaintcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur AnB tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsnili PancratiQ uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho^ ^j^^: mincs in palacftra humi prolh ati ucl loli, ucl cum alijs circumuolta. ucbantur,&:dc qua Coclius Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio^.Jdiact. ncmin palacftra pro diminucnda carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd folum cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant. undc Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam 'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troianom?\ rum tcmporam uiu tuiilcjtcftati funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam Plurarchus m i.Symp.obProb.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml uCtac,&: curfui iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us iUis origincm accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta manus, yngues.diTitcsquc fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct hæc cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci (quod cgo fciam) diligcntcr cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni intcllcxcruntilli,qui pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc uolucrunt . ex auctorum tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollumus in hac cxcrcitationc homincs nudos conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis, ucl acnca,ucl Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc circumlcpti fcfc inuiccm pcrcutere, modocaput,mododoihim,modobrachiapetcnres,ncque vnqua fcfe mutuo c oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfarium pugnorum idibus in terra profternebar,vcl grauius &: damnoD a. ^ymp. fius fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi puPf«b. gnamfavfliratamtradant,obidq. apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E ncucrbu de hac exercitatione habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc dignusmcdicus exccpto Arctæo, qui in ucrtiginofis pugilatu comeuarus. Qupd fipugilatus mcdicæ gymnafticac excrcitationis gcnus cxftitifset,æquii ccrte crat,non adeo ab oibus filcntio practcriri.Altera ratio eft,quod,fi natura pugilarus exa*5te fpeftemus ^ cii pcuflioncs, &: euitationes bellum gcrentib s necefsarias acmulctur, ut diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem pcritiamagnope re adiuuet,infitiari non pofsumus; at cu iolum brachia,atq. pugnos cxerceatjinterdumq. potius plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor pusofTcndat^quomodo ualctudinis conferuationi,bonique habitus acquifitioni cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica exiguu ufum habuifse, in militari ucro mul^ tum,in athlctica plurimumrcuius principes,&: au(5lorcs fuifsc Amycum,atque Hpcum,prodidcrunt PIaro, &:Galcnusi ncc noninqua adeo Glaucus Caryftius cxcclluit, ut quinta &: vigefima Olympiadecoronatus pi(flæ,i. pugilatoris nominc pcr excellentiammerucrit uocari . Pugilatorcs iftos pinguedini comparadac opcra de\a f"|^c.^^S*^P^'d Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua3, * lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohcri lis filius ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lufacc.i. £tatorcs potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua dc rc ficri por ut Plauri acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i evtriq. tamcn robori, &: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc fuum robuilum, tSc pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu tertiumquoddam cxcitationis gcnus componcbatur, quod pancratium communitcr gynmaflici omncs appcUabanr,in hoc( ut tcllatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui cxcrccbanrur,aducrfa-^^^* rios,&:pugnis rcrirc,&: comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic (hidcbantrnam pugilcs lolis pugnis conrcndcbanr,ncc umquam compli cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas Horatij,qui ^.SaryrJi.x. ucnuitcadmodumphrcniticos, quod pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent pugilesvocauit.luclatorcs comphcabantur,&:comprimcbant,ut dcijccrcnt,fcd pugnis minimc pcrcuriebant, pancratiaflæ ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc aliararionc, ut dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris, dcniquc toto corporc ( ur dixit Paufania5)aduerfarium uincere contcndcbanr,arquc in eo a pugili^^-i clu, libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis llrivftis, hi digirisfohimmodo in flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^ %i A iKXso: TJu: in pancrario protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan'> dis aducrfarij.scui maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo» que lignihcarc uidctur,ualdc accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav uocara cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydcmum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon ambobus ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus atfcdis cxerci tationeni commcndar Hippocrares, fub tali cxcrcitarionc non dcbcre pancratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rarione pcrmotum opinor Plaroncm, dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus approbata fcminas excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm acrarcm pancratio cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur mcafcnrcnria Galcnus,quandoincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri diactadixit,gymnaftas fere,quos impinguarc uolcbant con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis ncfcif,maiorcs noftros intcr alias cxercitationes,utdVputatPIu:archusij. Sympof. v. ad fpcchiculat, ad miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus acquircndos inflirutas curfum quoquc habuifsc? cui locum pcculiarcm in gymnalijs allignatum nullum uiderc licet, quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum communibus, dum ab alijs non occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc in loco, ubi alrus puluis llrarus erar, (i crcdimus ^ Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad curfum,crfino-InHbioga mcn innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras fcimus cx fupcrioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclcbritatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi uimintcrdum acftimabant,ut (quod rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum curali.i i c.57 rcnt,quominus illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr. Huiufcc curfus ccrramcn, (icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriæ cxcplo infli ruifsc audor cft I^aufanias : apud quc fimiliy.&^.Eiu ter legitur,Endymionc filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado et Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationehabcndacenfuit^primu locum curfui dedit, etfi non admodum percipio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc Hieram fecifscquod raro euenit curforibus, aiirnam fi (vt eruditilGrausMurctus putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo curfores cx raro ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies cflre-^ cifse AnrylJum rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofterioras, B riora,altcrain orbcm.quauisitcapud Galcnu,&: (loIichu,&:diauIu i do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui diaulusduplcx, ic ipfc ftadium, fcd rcflcxo curfu.ut ficri poflc cr^da pcryftiljj intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum ftadioru mcnfnrani uocatum tradit Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific . Quaproptcrfalfum illud cflc dcprchcndirur,quod apud Suidamfcgiriir, ftadiodromus longiorcm tradumctiri curfu dolichodromis,cum huius conlrariu manifcfto intclligar cx Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir, nonnunqnam fupra humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn uidcrc cft cx hac ucruftac tabulæ pi^ura, in qua faltanrcs appofiriffimc repracfcnraniur : quamquc ur anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius.. i2t A dccorarcnt. Erar quoq. q, fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pcdib.falrarct;inrcr quos uidores ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcrebar,vt plubricitarc humi no cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq. vcro rcrra narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici auranriquirus obfcruatuinludisiiaccho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Ariftophanis intcrprctc Kcti7r§oarq.iIlos ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis hoftibJaltCu.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata cfscr. Athlcras ucroi cofc cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc (IQ faccrc pot coisaudtorum liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadifcumocsuno orcadnumcrar,&:pracrcr hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam Galcnus,Acrius, Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c bono corporis habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius progrediar, rarioni confenrancum puto admonerCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria fignificafse, na ccftarur Suidas, discum fuifle inftrumcntum quoddam rotundu,quod aliqn adco grauc crar,ut uix ab uno holc elcuari pofTctiucl uri a D. Hicronymo dc fcipfo fcriptu cll. Dc hoc cquidc locurum opinor Solonc apud Lucianum, ubi intcrrogans Anacharfin, nunquid in gymnafio globQ qucndamiaccntcmacncum,atq. tcrctc,in paruifcuti figura formatum,ncq.lorum,neq. balthcum habcntcm uidiflct,qui grauis,&: c6prchcnfu dilficilis crat, cum manu furfum cxtortum in acrc ahquos iaculari confucuiflc,fubiugit:Aliqnct inucnio,inflrumcntLi illud figura foHs corpori fimilcm habuiflc,quod ab Aicxandro in ij. probl. (rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus /loxdj uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra rotunJa,quæpulacin mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci, isif procul pueri, ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo afscntior,credidcr jnt difcum fuifsc laminam quadam trium ud quatuor digitoru cralfitudinc, logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam quoq. ex fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc, du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam, quafi lcnris fpccic rc fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTionc diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la, rorationis inftar illum in acrcm ciaculabantur, ut pcrbellc cxplicauit Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir, practcr Diofcoridcm Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea ftarua, quæ hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftæ Viftorij fcruaiur, in cuius manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet. qj* itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu Lapidcu hodie in mangi Tufciac duc is acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx quib. fimihtcr difcu eiacuhidi modu inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit dodiflimus Peirus Vittorius ætatis noftræ ornamctu,quibrachij figura ad nos miiit. . nj^ H.-irum fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc cfl. qrarumunacxacrc Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano cclcbratam,alii 1 aurifcum pictorc illuftrcm cxccllcntcr 1215 Icnter pinxjflc,refcrt Plinius-Hanc forma difcl una cu prædiO:is te fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi bonus illc vir nomine pilæ qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguæ vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cyprianus in lib.dc fpcftaculis difcu uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniæ lllirij cxcuflTis, quoru cxeplarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6 vnadifcoruformacxftiriflc,qua fiuc in facrificijs,fiuc in gymnafijs vtcrcnf.lllud attamc prætereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari interpres oftcdit,neccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat, quod a Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Græcis appellaru, qd*" in palacftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra nominatis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc aperte declarauit Antylluscuius, verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r%, Koci av yKocyiTrrQ u^oou, h Kgctrovyrxi ^iivov \\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui bus vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet halteres huiufccmodi ex eadcmatcria,atq. eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc poflcnt,nihiIominus ab illis diftcrebat,quod n6 modo ma nibus,ut laIrarores,renerenf; uerum eria uarijs modis emitrerentur, pcrindc ac rcporibusnoftrisapud multosin vfu habef,quifefe excf ccr,aur pila,autlapidc vel fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac brachijs extcfis,&: circumadis in alru mirtcntes, de quibus locurus fuit Aretacus,aua:or no minus probatus,qua antiquusuibi in dolore capitis •f •cAT(/f(i)vi3 tum pro modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres fuifse maffulas quafdam, fiue manipulos ex uari js materijs modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine,utmanu quilibet caperetur. qui mcafenrentianedumfolis manibus, uerum etiam funiculis halteribus ipfis circumfufis,deindeinter-proijcicdum explicatis,emirrebatur,perindeac faciunt hifce rcmporibus mulri, qui fic aut rotulas ferrcas, aur cafeos, aut quid aliudfimilcproijciendo certant An uero ^ATwftsaPlarone interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras cxercitationcsnominenrur,nihil cerre explicatumhaberur: opinor tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>hæc dcmulicrum propri js ^ CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllæ tumlapidibusamanibus, tum a fundis emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, et «Arwftfi aliquando lapides erant, quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc indicauimus ; undc fub nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30 tes,ac primo tendcntcs,deindc remittentcs illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl rofhcci uocahantun vndc uencnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus Acginctamcdic-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo inficcrcnt:laculatio ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue efficicbatur,ue rum etiam grandiorcs fagittas, craffiorcfquc virgas,& plcrumque graucs palos rcquircbatjquinimmo fagittarij folis brachijs fcfc mo ucbanr, dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores iniadu brachia contorquebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedibusimmotis flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus noftris, quos pali iaculatorcs appcllant,fasftirare confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus obcundis no paucis viribus ll.deærcj indigcbant, unde non fine rarionc Hippocratcs, multos ex Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq. arcum intendcrc,ncquctelumcontorqucre poruilfe mcmoriæ mandauit,quiparirer in initio libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn. idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon pugihitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos, quos modo præterirc,modo attingcrc, uiaoriæ gratia quifque conabatur.quod explicauit Horatius hoc ucrfu. Sæpe difco, Lib. i.car. ^^t^pf trans finem iaculo nobilis expedito. ' Ccrerum hoc in loco id prærcrirc nolo,quod balifta fuit tormcnti Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&: fagittac eiaculaiTic^c 1 ^f^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis, &:fcorpionibusanti^ quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc quibu^ tractare ad inftitutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos fagirtationcs, &: iaculationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica ficultas tamquam propriasfibicxcrcitationcs complcctitur, Quod cnimmcdicinæ gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminiculisin vfuhabucrit, (licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) ininfuaf. dciamcn conijccrc poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac &: fagittationis, iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium cffcccrunt. At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in bcllica gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem habcmus,qui mulicrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis cxercendos curauit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat, quas Loco cit. Hippocra,&:pcdibus, &:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari conA confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmidonas Achillis militcs, dum a bcllo uacarcnt, fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi, &:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm roboris laccrris affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft, qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc mulripliccsbclluac,quas in publicisfpcdaculis,acludisathlctæ modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant, clariflimum argumcnrum pracbcnt, ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm quoq. B cxcrcuifsc, ncc modo ignobilcs, ucrum ctiam maximc illuftrcs uiros, arquc ctiam Impcratorcs ipfos, inrcr quos duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr raullinacrij &c prioris Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius; nccnon Domirianus,quorum hunc ccntc«as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu fagirris plcrumquc mulris idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum ictibusin arcnatoiidem fcras Ihauifsc, ram ualidis niribus, urmultasuno conficereri6u,tradir Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr ram n^wnum fbilsc, ur, quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra contingcrer . hrgo iacuIarioncm,& in bcllica,6c in arhlctica, &:iii medicinæ gymnaflica locum habuifse, compcrrum cft; cuius quidcm iaculationcs duo pori llimum mftrumcnra fuifsc, diximus, arcum,&:fagittas, quosalij Scyrhcn louisrihum, alij Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro fagitrarummulraslpccicsfeciPiinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quæ arcubus,^^ balilbs ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc cxiltimamus:quamplurimorum,quin manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc nKdicinacfubiccta,&:non dc ullaalia rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac conucr fando arhlcricorum morum prauitatcm cognofccrc,co£niram dcKftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi humanac huic uirac dcambula* tio pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura dcmonftrl uit,quac mirihco quoda arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud fabricauit,mli ut dcambularc, arquc dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum Pracdo illc circaCoraccfium Pamphiliac animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum incidcbanr,ambularc amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honcftcq. obirc ualcrcnr, pcdcs illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm. quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr, co pracfcrtim, quod fi ullac cxcrcirarioncs corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccilliraurmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum corpori habirumcompararc ualcant, quacq. apud omncs homincs>omncsq. narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una profcdo cxfillir dcambulario > quam non K -f modomedlclpræcipuam corumgymnafticæpartemefleceriinf', D tjerum ctiam antiqui omnes ufque adco acftimarunr,ut intcr cetera priuatis excrcitationibus dcftinata,&: in gymnafijs, et extra loca, nullius maiorcAn curam gcffifrc, nulliq. magis ftuduifse uidcantur. quam utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxæ-, dificarcnt. Nam(vt ccteros audtores fide digniflimosomirtam) Vitruuius quantopcrc in deambulacris fabricandis inuigilandum ccfuerit, unufquifq. cx eius fcriptis facile comprehendct ; cgo ccrtc ante, et poft Vitruuij tcmpora i»numcra in urbibus dcambulationibus loca magnifice extru6l:a lcio. quac omnia apud me tribus generibus compleduntur, quia uel porticus crant, uel fubdialcs loci, ucl fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque tem pIis,^a. liter fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quandoE quefolac&feparatæ exftruebantur,qualcsplurimæ Romae olim fucrunt, quarum ueftigia nunc admirationc Ipcdatoribus pariunt, et qualis tiiit Pumpciana,de qua &c Ouid. Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra. &propcrtiuslibro 2. Scilicet vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus aulaeis nobilis ^ttalicis &lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra, 7^c cum lafciuumllernet arena forum. et Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia kntus fpatiatur in ymbra. Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam porticum ad deambulationes cxaedificatam fuiffe, quemadmodum, &: quampluresalias iwid conftrudasefTe, apudCiceronemtcrtiode F oratore libro difputatur. Quod porro lubdiales quoq. iocos ad de ambulatium tam commoditarcm,quam iucundiratem maiorcs noftri cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo nudosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui cosin gymnafijs, &: extra gymnafia quomodo ficri deberent^copiofifTime edocuit,argumento quoq, sLit xyfta illa a nobis fuperius declarata,&: praecipue deambulatorium illud Arhenicnfium in Acadcmia, quod pulcherrimis plaranis confitum ad id fuilse fcribir Plinius,& ad cuius imitationcmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis rhcrmis,atque infuisaluifse cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula tionibus deftinarosfuifse,quosob id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius uocarint, haud uero dilfimile uidetur rquoniam temporibus,quibus mirum in modum luxus creuerat,ficripoteft, ut una cum cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari finr achiitanda^aent wi caloi is molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc crypro porticus vndiq. paricribus redas, iccirco in eam tormam fabricatas,ne ambuhir.tcs a ucnris,&: a rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^ dic Romac in uiridario Varicano uifirur,^: quales fuii^e illos ucrifimile eft, quos fc i nrer rui nas uillarum LucuUi ram in agro Tufculano, quaminmonrc PaufilippouidifTt', tcftarus cftnobisLigoriusi quosue Plinius (ccundus in uillac fiiac Laurenrini, &c Tu1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis dcpinxit. Dchis Varro apud Nonium,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui cryprasdomi non habcnr,fabulum laccre a parierc,aut Huripis,ubi ambularc poirinr^ Qui cnim ambularionibus fcfc cxcrccbanr, omncs fcrc fag nitatis gratia illucl agcbant,ur neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs uarios locos habcre,quibus cirra ualetudinis oftcnfioncm ambulationcs pcrficcrcnr. Softrarum Gnidium architc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam pcfilem primuin omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbcmus,quod ncquc in ludis, ncquc in amphithcatris, ncquc in facris cerraminibus, quibus omnibus infcruicbanr, vmquani tos ambulandoconrendifle legitur. Quod filocusin gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm Xcnophon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco inferre dcbcmus, arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambuJafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos aVfl^tfflrTrwVuocatamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid autcmapucherapiaforct, infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac ftudentcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato ullam eius mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu dignum pracftarc uidcrnr, nifi Vcgctius cdocuiffct ualdc militibusfururis cx u(u cfscurafliduo cxcrcitati ambulam fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc (^b id uctcrcm confuctudinem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam inciiiiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl cafus pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua cxcrcirationc didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrciratio ratio multas fpecl es lum a narura ilJius, tum a loco, rum a /ine drD fumptas ;a natuia qui Jcm, quoniam, cum ambulationcm dcfinic^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru, ac quiere conftare, motus ilie, &: per vaitmm. confequcns ambulatio, autcrar magna, uel parua ; aut uelox, ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa : a loco autem uariabantur paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo inurbefiebant,&: in gymhafijs,modo cxtra urbcm, qucmadmodum Phædrus,&: In Oeco. ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud Xc* nophontcm, qui dum in agrum pedibus fcruum fuum equum duccntcm fcquereriir>mcIiori fecxcrcitatione uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in iocispIanis,modoafperis,modoareCoclius j^^jj^^ paralyricis Afclcpiadcs, Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo æquahbus,modoinacqualibus, moc.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc quibusomnibus copiolillime difserc amCis 5.probI.parti. A fine dcmum accipicbantur deambulationes, nempe quando velut auxilia (anitatis,ac boni habitUs adhibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm peragebantur.poftquani enim grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad quierem tamquam a contrario ad conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs paucas,&: remiftiores adhibcbanr,ficut et poft medicamenra,ac uo miriones>arq. uniucrfum hoc cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof appcllabantrquamquam ctiam gymnaftæ in mcdijs laboribus, porirtimumq* in ijs,qui graucs uocarascxercitationes obijfscr,apo3.*tu.va. fherapiainrerdum urebantur,quodGaIenus fummoperelaudan' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque, ur mcminit Nonius, habctur> aliquos ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse. nam in lcgc Macnia ira fcriptum crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capacior ad cænam uenirer gUttuK An Erettum fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum naruras Icuiter perfcrutati funt, iiihilambulationi ip quampedibuscredum ftarc iudicaruni. At quoniam profun^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt ^ ereilosj.pedlbuTi^antes fi non ambulSt, fLiltcm aliquo pado moucrijproptcrcaquc ftarum huiufccmodi ab cxercirarionum ccnfu cxcludi minimc dcbcrc i idco eriam dc hoc fcrmoncm faccro dccf cui ; co præfcrtimquod multi faUis rationibus duCt^ hanc opinionem ira animis imbibcrunt> ut pcrtinaciter circdant> ftantes pcdibus nullo modo madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf» uidclicct quod dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita tioncmmotumcxlirtcrc, cui motui (hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&: motumuclutiduo contraria collocar, quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui pcdibus crccli ftanr, licct moucri icnlibilitcr nullo modo uidcantur, attamcn ratio ipfa,quod aliquo pado moucantur, ccttilfimc pcrfuadet . Nam &c multorum uctcrum fcntcntia tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd multa immobilia apparcre unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri ctficaciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam quando modofurfum, modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in acrc locum unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur, quia li auis quac IKirc in acrc immobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur, protinus in tcrramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata, quamniiimortuam in tcrris uidcri, 6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo caufsam. nili quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc faCti auxilio confiftcbat, quo moru poftca priuatum corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn trum dcclinat,licuti dum cotra narurac fuac inclmationcm furfuni fuftmctur, haudquaquam cadit, ncquc itcm pcrfcCtc quicfcit, fed quali duobus motibus contrarijs ai;irarur, alrcro corporis dcorfum a narura a(fti,altcro animac furfum conrra naturam corpus moucnris. Idcm fcrmc cucnit in hominibus crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad rcrram inclinantibus, Sc anima contrafurfumilla fuftincrc obnitcnrc, morus quidam lcnfui immanifbftus fuborirur, cuius indicium illud habcrur, quod li aninui a corporc crcilo ftantc cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia motus illedcficit,cuius bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli narum, furfum clcuatum contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum cfsc dcbcar,cos,qui pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios animac,corporisqucobnixus aliquo pa:tomoueri,arqucipforum mufculos omncscorpusgclhnrcs, &c a ccrra atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi :cuiusinrcnlionis,arouccriam ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut ftarcma^ iorcm laborcm,ac lallitudincm molcltiorcm pariat, quam ambularc,licuti pracclarillimc a Galcno fcriptis mandatumcft. Ncque ri.ætre.. Plato ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin pcrmdc;ac motuicontræt riwm Lrium colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro longaorarione ncn ftatummorui, fcd motum motui contrarium eflTe demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud gcnusmotusacftacus myftice (ut fo!er) inrellexifle, cumex ipfisnaturas quoque diuinas ccnftare aHerar. Siigiturtot rarionibus fatis comprobarur ; eredos ftantes aliquo pztito moueri, atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum uiderur,ut non ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod cxerciratio defi m'aiur cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm mereatur, quinimmo ficuri quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui cofcrre iudicanrur,ct(i uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6munirer ramen efTca nobis fupra abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c ftare eredum communi notione exercirationem cfTc cenfemus. Vnde fapienrijTimus Hippocratcs, qui vlccra curanda quicte indigere alias prædicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica efsc fcripiit : quafi innuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel ftandodetinetur, mufculos magnopcre conrendi, atque etiam motum quendam interanimam &:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod aCoelioinEpilepfiaccurarione rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui gymnaftæ inrcr alias corporu cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint, nil ccrri affirmare audco . Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando haberent, nifi quando Milonis imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco dimoucndos oftcnrandi roboris gratia pracbebanr, vel ftaru non pcr fe, fed ob alium urebanrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi iierifimilereddirur. Qupdquæfo cerrameninftandofolumefre6lum ccrnipotcrar,quod autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs, ucl alio modo amphithcatris, aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs fpe amphithcarris,atq. alijs pu blicis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI nok tili ttiu tc bt fc( H .,4, A cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq. obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam acquircrcnt,tucrcturq. Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum fi^ta confrixio ^ ^j^ B uocata,necnonad diminucndam7roAic/us anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid nosob corum,qui ^> nobifcum cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc vmbratili puena certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con„ . Uiuiahum :«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiæremnoticædcns. lam ucrononminustelJs^quapugniSj ] et brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem ufurpata cfse rationi cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duæ pugnæ fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut nulla gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rcceperit.quod cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi armis incidcntibiis exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu habemus,qui in 5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus monomachiam.f.aut fingulare certamen in Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta AIphacumfluuium,circa quam quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs tcftatur, alternis olympiadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta, cerramina olympica loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru, cadcntiumq. iugulationcm proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum morc retjnuifsc, ut æftatis teporc monomachias uocatas cxercercnt,quas ne quis credat fo li Gracccrri nationi proprias exftitifsc, adcudus cft Athenacus,qui in quarto dipnofophifton auftoritate Nicolai Damafceni Philolophi pcriparetici referr,Romanos monomachoru fpr£>ncula no modo in feftis,arque amphithcarris,ucrum ct in conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc muruaros adhibuiffc; quamuis Romani no monomachosjfed gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cæfaris ærate in foro nouifsimc pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib. NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam arrcplurimisabfurdis 18. et lib. plena excrcebat,ut a ceteris pugnanrium cxcrcitationibus integre 37.C.J. dignofci poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer cxpona, Nam illud primum dcreftandii plane habcbanr, quod ccrtantes qua grauius poterant,fcfe fcrire ftudcbanr,&: non iolum( quod fcripfir Scribonius Largus,qui*'Tibcrij Cacfaris,&: Mcflalinac ætate medicina Romæ cxcrcuir)c6rufioncsin lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad altcrius, ucl eriam amboru pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur: quemadmodu,pracrer Athenacumjarq, Plurarchfi, 3.decr>p. Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr vulneraroscumc.pgcri. rafle, &: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru mcdicum coopratutn Li.7.ca.3. fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori compofiroad pugnadupugnac hanc propoficaforrc fuifse, aur occidcrc fi occupa uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2, Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir,athletas ctia vulncribus confcdos ad dominosmittcrcfoIitoSjqui quærcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo A AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu mutarent.humfmodi ucro ncfandas hominfi cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr optimus Impcraror Anronin», nanar Di6 cu cdu^o cau.flc,ut glad.arores no acutofcrro . fcd obrufis gladijs. et tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant, qui pu.nadi art d ^ fcendæopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^ mor ac prod.d.r glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ' 'r.c... hordco u.d.tabant, ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da, &: nandun .nft.tutum crat, .n ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc aducrfar. j b.bcrc.ra.nquam,;s ad confi. mandf,animu, et uircs cfficaTn A Tl^'s,pracclarc admodum fic a Cvp,ia« nodcclamatucfl Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.natus,n pocna canus pcrcat . Homo occiditur in homin.s LoIupur!s " et ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia cfl.u fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft .nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub. fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra" tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa v.ucnrcsin vhro^eum " funus ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad bcft.as nc, cr " ni.nc fcd ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs, rn^ ^ pracfto cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu largior muncr,s.xppa,-:tusam! " plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&" rcd,m.t,&: .n tom,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu " l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx" fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud,nihi ualdc turpms cx,ft,mare in mcntc ucnit,qd et Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar, fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m. dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc Plinio,gladiatorum quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo adopratus fucrat,dcdcrit,quod ucoymr.jUca. L nales cflent,&: tria illa ncfanda a nobis prædida profirerentunmi1 hi ccrtc perfuadcnte exomniumhominumignobiliflimo fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis exftitiflc.Ex altera parte cu Galede frac nus rcferar,f:icerdotes monomachiamcxerccrc fohtos,cum Atheklhhu nacus fcribar iUuftres uiros, atq. Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus, arq. lulius Capitolinus Commodum hnpcratore Spartiagladiatorcm eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta hnpera7eno" ^& ^ dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc fcribanr,ciim tradant AibmL alij Impcrarorcs ad bellum profedturos munus gIadiatorium,ac ucnationes ederc confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo pugnæ quadam imagine Ncmefis fe,idcfl: Forrunæ uis quædam explcrer, uel ut infuefcerent milires vulnera,atq. cacdcs in/pedare. qua item ra tione SolonapudLucianum narratlcgem Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus fiuc qualeis, ac gallis pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi uolucrcs vfq. ad extremam uiriudcfeaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad fortiterfubcundapcricula,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs apparerent, inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Æfchines c6tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando criam apud Athenæumrepericnonnullos teftamenro cauifle, utr pulcherrimæ eriam puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent impuberes.ScdgratiæDcalmmortahfunthabcndæ quiad abolen dum huiufmodi nephaadum morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc perhiber Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriæ ccclcfiafticac .Atque exhisclare patct, armorumacutorumpugiiam inter athlerarum exercitationesadnumerandamcfle.quos fciamachiamquoqueinterdum,fiue umbrarilempugnamexcrcuifse,inde faris conijcercpoflumus>quod Glaucus Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob pugilatoriam, quaminumbra pugnandi cxceilentiam celcbratus fir, ciqueftatua habiru, formaque in umbra pugnanris erefta, ut Paufanias narrat, tradarur : nifi cerrius comprobarent illud hæc Dionyfij in cap. libro de diuinis nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx. z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^' r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^ d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^ vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS € nv^oc; ^-toi/to^;, axiTOvq aiq (nncLixa.')$iuj» nc;, oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf : ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos uinccndi. athletas imitatur, qui fæpe . Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc fupponentcs, prout Ipfis vidcriir, nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr vmbratili pugna ccrtarcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq. mulicrcs &c uiros claborarc uolucrir. Hanc rudibus armis faCtam milirarc monomachiam illam fui fsc, quam Hcrmippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnæos acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non umbratilcm pugnam, ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus Choulus,&:aIij nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea fcnrcnria uidcrur, quando in Lachcrc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis pugnarc difcanr, quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur, ncc ulla cxcrcitarionc infcriorhæceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam ccrtatorcs,qacmadmodum gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS reljs quafilcfcpctcre iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera fcricnrcs,&:plagarum inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando ramcn cum umbra armis ct pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius audor clhl^im ucro omnium frcquctiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui milirarcm difc ipli nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri ^ fe bir Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr, &rooo-ip ol r£jg7retXai^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir oiiu(poripa>v ?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim enimproccdcntcsin mcdiumamborum ignoranter cecidimus,& nifi aliquo modo nofmctipfos defcndctcs eua mcmoriacproditum cft. 1 m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^ iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^ ri/u.. VILNTER cereros,quos plurimos,atquc neceflTarios in humana vira vfus habcr fpiratio, non infimum locum obrinuirvociferario. quaccum nilaliudfiti quamacrisuehcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&: lormam,ueI a refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcditari,|AriftoteIes, &: Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenrarijs probarunt. &: iccirco non ab re fururum cflc duxi, fi, poftquam defpiritusretentioneuerbafcci, ftarim uocifcrarionis rraftarioncm fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir, quod Galenusmcdicorumprincepsaurnulla, aurquam pauciflfima dc vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrcitarionesnumerari dcbere non cenfucrir: quandoquidcm AnrylOribafium mcdicus cclcbrariflimus non modo camexercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerforum curarioncm,rum ad uocis ipfius culrum ualde æftimatam fuiffcfcripfit. qucmadmodum itcm Ætius Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus facculis comprobai unr. Nunquid ucro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris dilciplinacftudiolihoccxcr cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum audoi cm noratumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuocifcrationcm taniquam propriac ipforum profcflioni aut conucnicntcm aur filtcm rtcccfliiriam cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus, &:milircs in pugnis confcrcndis clamoribusnonfincutilirare vfos, quando Cacfarhaudfruftra anriquirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo fignaundique concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rebus, &: hoftcs rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur: proptcr hoc minimc fcquitur, uocifcrarionis cxcrcimtioncm, dc qua nos agimu^> miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gcncra uocis cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrionicæ uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&: aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^ Anllotclcsinproblcmatum libris,in quibuskgip^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc noncriamantiquionbusrcmporibus tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs ipfas cantu rccitari^:onfucuif fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantæ cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica monftrauimus,pubHcæ uocifcrationiscerraminaaCoc''j^'"^B lio Aurclianofiib modulationis agonillicac nominc intcllcaa, j> " pofuis uidori pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora pcrdurafse,ex eo conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdicamentorum compod. fccundum locoshb. muhamcdicamctarcccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc contcndcrc dcbcbat, tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat, temporefuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragocdiam,ac comocdiam pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur, li quando uuccm contcndcndo oblæfilTcnt, balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti fohtos.Exquibus ucrbis cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicæ profcflbres uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis dram^^"«^maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra uo ^ ce ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&: muraris,ucluriin rra^ocdiaad macroris,calamiratisq. magnitudincmaugcndafav^uniohm,(cribit Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod ^^^Pa«i ^oc aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou rivci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1? 7^ rov vrv/uuoLroc KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv, ocrv/u/SoLfvc-i (t rolc TroLf^iofc ^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc ploratus,quiin Icgibusprohibent,haud rede faciunt, confcrunrcnim ad incrementum, cum fint quodammodo cxercirationes corponmi,lpirirus nanquc cohibirio labcranribus robur parit, quod etiam pueri^ inter plorandum diftenfis . iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus vlirat.i,ac,vt fic di1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita, ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt, i.jennat. lutab au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores, qiios homiiics qiioridic m oblciiris, ac anriquarisrebusadliiccm rciiocandis fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia rcmporis di ururnirarc, afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam lacculorum ncgligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt, hinc fadum cil,ur in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare, dcprauata rcformare, abolira rcficcre, randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc non inranra obfcurirarc coadi, (omniantes quandoquca ucrirarcprocul abcrrarc.iiucr quos cum cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim, qui arrcm gymnafticam elim iii magno prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmorruam ad luccm rcduccrc ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor, quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aquibus inftitutum mcura dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra, quae quod temporibus noftrisdefueucrinr, ucterumq. pcragcndi casrationon habcatur, quomodoficrcnr, quaJesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman dum. Qucmadmodum deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM o'4^?o? o>Vo^o? '^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'^vx»,, idcft, Habcatuero circulus diamctrum hominis longitudine minorcm, ita ut ipfius altitudo ufque ad mammas pcrtingat, neque fccundum longitudinem, fcd in tranfuerfum jmpcllatur,fit aurem impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Nonnulli rcnucs annulos rorae circumpofitos fuperuacaneos efse purarunt : at hoc minimc i ra fe habct, quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque uoluptarem animoparir.Exquibus ucrbis clare patct, in hac excrcirarione homincs circulum quendam magnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi crant,quadamfer^ rca uirga anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere confueuiffc,a quo duda mctaphora M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. feftiuc mihi crede, &: minorc fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft conuerfus.fcd cum hac actate in ufu non habcarur^pofTumus fane aliquid diuinarc, ar cius formam,&: condirioncs pcni tus cognofccre minimc liccr.quod cnim trochus graccus fucrir,de quo Hora tiusiibHuscnt. et Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe vagathr . ibidem. C(dn Jtarg.itit obnii turba trocb^s. et l y tii tJtn /.I.V.' 'I?, C iiiitif quam culus ahen i, jib 1 1. 0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq. primocrat circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit, Inirenat et ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. Curuatis fcYmfpatijs,flupet infcia turba, D Impubisque manus mirata uolubile buxum Dant animos plagae, minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,& excrcitatio ilhviuae hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum ligncis pilis efficitur,& truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud mefimilirudincmparuam gerir.Nam rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis peragcbatur.Secudo is annulufcu annuios habcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines pcrviamambulantcsfonitu audiro longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex aere conflabarur,atque clauem aduncam habebat.quæ omnia nec feparatim,nec fimul in rurbine/eu rrucho noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre debcamus,ab hislonge diucrsuantiquorumtrop chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime repræfenrarhæc figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in vctuftiirimo,atq.'ampIif fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro cxprdrain uia Tiburtina.ppe Romaaccepifreretulir.nifi quodprærer annulos denresquofda circuIoinfixos,&: mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc uero confonar. Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre poerica, Jndoctusq. pilæ ydifciuCy trochiue quicfcit, 'HS ipiff^^ rifum tolLant impune coronæ: Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones rccenfeat: procuiaubio ad gymnafticam aliquam pcrtinuifrcconfcntancu rationiuidctur.&: ob id cum ncquc milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui qucar, fupcrcft nicdicinac ^ymnafticac cxcrcitarioncfuiflc, et illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfcrat Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc motibus in campo, ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis crar compaiiinatus in uanam cxcuds anfamrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida manu ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc ccnfuit ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcitationis illud gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano inucntum,hodicq. in uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Iralos Pilam &: mallcum uocanr.in hoc crcnim primo brachia, &: dorfum cxcrccnf,qn mallcis ligncis pila ligncam longc pcllcrc coguntundcmum cx ambularionc,quac rali cxcrcirarioni pcrpctuo afsociatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs homincs pcrcipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni mcrcarur. quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan contcdat,cum apud Auiccnnam inrcr cercras cxcrlocckxdt cirationcsunumnomincrur,quod uirgis rcrortis divflis alfulcgiaa cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias tacucrit Auiccnna,quod fuo rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs profccud fumus,quas hominesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant. Supc^ ''^•ft modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsquidem fponrc,^ quodam modo libcic moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod cnim Galcnusiftis duo^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis favTtum, minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara, ncpc quac cctc risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir in Lachctc Plaro,ma ximc dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius fciliccr, quæ anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jicllorophontcm exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem ThefsaD li.xc. y^. |j j Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt, q lib.^ acre paullatim ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythæ aquis&io cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus cruciarentur, per uenarum poft aures incifionem ab ilhs curati,ad coitum ualdc impotcntcs cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a Dijsproficifci fufpicaics,quos Hippocrates redarguit, quod diuitcsfcmpcr dijs amici, pauperes uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate mutuatus confirnuuit,) i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam opulentos eouitio corripi, cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis tempora cquitatio fempcr, quemadmodum in Hippia a Phitone traditur,in maxima exiftimatione habita fuit,^ iccirco omnes gymnafti cæfpecicseam inter rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt. Nam quod in circis 6c ludis maiores noftri equitationis cerramina adhiberent,præter01ympicosIudos,inquosuicefima quinta Olympiade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum facerepofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct, Rufsati,Vcneri,&:Prafini,quæ tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctæ,ac Prafinæ fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx illisanimaliuhabirus,atq, tcmpcraruras internofcere,&:cognitisinde mclioribus uti ualcrcnt, fi quidcm harum fadionum conrentioncs potiundi uidoriæ cayfla talcs crant,quæ ncc uUis fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua pcrmittcrcrreo magis qd' totaurbsquafiquadripartita crat,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadionibusaur ftudiofiflime non difccptarctur,autfaltcmfermonon haberetur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft. lib.n. Sæpius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor pracrnia phira nfert, I nunc liuor cdax, dic tu ceffiffe T^crom . ficit nimirum non l^ero, jcd Trafmus, Dc Vrafvio co/iun^a meas, enetoqiic lonuetUY ^ 1S{€V fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanæ ciuitatis partem Prafinacfadio16* B A næfacrionifuifsctcmporcfuo, quando Maitialis quoque flomit, teftari uidcatur hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs capit, et fr-ignr aurem TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am fideficcret, mæftjni,attvnuamrjue vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in fulucre vMiS Confulibus. Has ucro in f aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum acerrunas contcntioncs indc ortas fcmpcr cxiltimaui, quoniam Romanorum quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus tcxcbantur, vclrubco,vclalbo,ucluindi, uclucncto,icdpraccipucrubc()magis fufco, ut Martialis hifcc ucrlibusindicat, dc Canudna lana rubca tufca fcrmoncm habcns, I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs, libM. EtplaccthicpHcris, miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi fimilcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc uidcantureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras,,. je jrte XVf mora,quifiuis etic, cns fauet illa,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum,&:fpcaaculorum,quam et arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam cruditillimus Painiinus luculcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc ludis ^iuos iam cdcre parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam gymiufticam acccdo.quam ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difciplinacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIay.Jdcg. to-ubi non modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r ucrum pucllis quoq. talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collocauit ficuti Xcnophon paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchomachusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o vTt TcxxyiDV ovTt kxtko rm,^rrr.rx £ R Trai-T*,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft . Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te exerces, diumj/quc accumulandis inuigilas, quæ omnia admirarione digna nnhi plancuidcnrur. Exhiscnim, &:Ifchomachi, &:SocratisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbclJicas dilciplinas comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero medicorum gymnalhc cquitarioncs ad nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus habirum ingeneran^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas gymnaftr E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum ncdum corpus fcd etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac. Act«j,&poftremo Auiccnnæ comprobatio acccderct, qui tam n'rrr "''opportunas cxcrcirarioncs rcpoluir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm, cumcrurum renuirate dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc mcmonæ prodidir Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus, cquirarioncm ramquam utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram fuifsc:quamuis et apud ipfos ualdc re.ZllZT,"^ r V"" "^l"^ "chcrcnrur, et iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an fuccufsatarijs,an concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco explanabimus. F DeCumliruefjiatione. CIXIMVS duo cfsc cxcrcitarionum gcnera, alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs, hiic, ut Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio moucnrc fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus, dcalrcroquod geftatir a Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc, ab Antyllo, Herodoto, GaIcno,aIijfqucantiquioribus mcdicis Graccis diiex » de tfie ^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc polhc.ti fumus : atquc iam de ^^:^cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus mixtum motum fccir,fc.-moncmex. • phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus primakfcoircrrin curribus ue^tutio,quam antiquillimam fuifsc, ncmo inficiatur.fi quidem ut 171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs tcftatur,primu5, ciui equos curribus iunxerit fuit Ericluhonius, quem ob id intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum. Porroforma,&: modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus faciundis idoncam abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque vlmum . Vnde elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui prioribus illis facculis duabus tantum rotis conllruebantur.alias duas audtore Plinio addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus conftruxilTc mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quæ rotac Homeri tcporibus ftanno ornabanaqui$ et tur,at porterioribus facculis no modo rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^ ornatafuilVe,legimusapud Plautumin Aulularia,ficuti Plmij tcpcftate tota efTeda atq. uehicula auro,ac argcnto indgnita confpicieB bantur. Varijs practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita lcgitur.Quin Hcliogabajnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa animalia,(cd ctiam fbcminas nuliogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura ucdum c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter mulicrcs in maximis delicijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando pcri!cnif,ut cas ipfa vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci gratia cum muliercs ira percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum concipcrct,ncue parerct, atq. ita uiros ulcifccrcnrur, Romanos muraffc fcntcntiam,a:q. itcrum illis curribus uti permilifsc,fcrip:is mandauit Piurarchus . In quibus dcinccps nc fcdcrcnr, ncuc cquis pcr urC besuchcrentur. M. Aurclius Anroninusphi[ofophus,matronarum confulcns modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus apud gymnafti cos hæc ipfa geftatio acftimaia n pcrirur:quado,fiuc ]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs, fiuemcdicorum librospcrfcrutcris,inomnibus ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo nefcit nona 6c nonagclima Qlympiadc curruum ccrramcn in Olympicos ludos inucCtum. Quis igno ratSynoridas,quibusanimas nollras Platoin Phacdroclcganninmc alfimilauitjncc non bigos, quadrigasuc curruum gcncra in publicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea ftudium ira apud Romanosexcultum,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl nuUafcrcpublicafpcdacula edcrcnrur, quin curruum certaminibus honorifica præmiapropofita (pcctarcnrur . OJb quac rcfcrr Plinius in quadri^'.c.t garumcertamine,quod Larinarum fcrijsin Capirolio cclcbrabarur,pro pracmio uiftorcm abfmchium bibcrcconfucuilfc, quafi fanirafanltatem inpræmium dari ualde honorificum arhitrarenturmaD iores. An vcro gratia bellicæ difciplinæ adjpifccndæ ucaatione in curribus utercntur ueteres, nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ pæd. tamen cum ab Homeri ætate vfque ad Xenophontis tempora, atqueetiapoftenoribusfæcuIisperduraueritmos,utinbeIlisecurribus quoq. dimicarcnt, quemadmodum in equitatione exercebatur,quofierent bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle, ne, cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi currusmodorum expertesfuperarentur. Cctcrumquod medici gymnafticifimilemuedtationem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus ægris curandisinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus, h^Yil ^^q^Auicenna : qui non modo eam inter gymnafticæ uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo et febriciE tantibus (quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam maxime commodamcclebrarunt. huius etenim quaii vafrn^altcru,inquahomincsueai va.cii. fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime per uias, &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcriIn probl.ptum eftaPIutarcho, Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^prohibcre, ne ea die vchiculo uti liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur. Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij in ijfdemuehiculisexercerentur, indicafle mihiuidctur Herodotus apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui manu ducuntur, ' ncc non bigis geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr triginta fta diamoucri, deindeca conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut quadraginta initium duccre, &: ufque ad fpatium altcro tanto P maius progrcdi confucuifle . Sanos ucro omnibus curribus, &: teais, &: apcrtis fine ullo difcrimine ufos cfsc, ucrifimile fit : etfi fortafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere pofsumus, quadorcfcrt Dion hiftoricus, Claudium Cæfare du profpera ualctudine utcrctur,caputq. trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum Romanorfi vehiculo undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob oculoruinfirmitatc fc aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns ad Cornuru fuum: Pareo collcga,,clariflimc, &:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc tct\o,, uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur oibus cuiq. cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccteris gymnafticis probara fiiifs?, quippc quos, &c non aurigas moruu ommum cxhac gcftacionc contingentiufaculcares, &: conditiones probe intcUcxifrcfcribir Galcnu Je//a. Cap. X U ECTiCAM, atq. fcllam ob commoditatem potius eorum, qui vcl fcncviutc, vcl morbo impcditi ambularc pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias, quibus fcmper homincs lluducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui opincntur: ncc forsa finc ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua indudi uctercs huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint, \ quod cquitarc,^ pcdibus ire ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs uagari>iter faccre quam commodc ualcrcnt: nifi dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc in facicndis itineribus a folcui ucnto, pluuia tcmpcrtatc, atq. fimilibus oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollremo mcdici,gymnaftacq. ad vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq. fit,conftat,quosnupcrrimc diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc ualctudinariorum,rarius fanoriim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5 6.ita dc gcllationc loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus farigatus,q, fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac ncfcio, an co maior, quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos ambularemus,ocuIos, vtp cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc dclitiac&quod diu noluimus,poflc dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua cauflii fpiritus delior erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi fcnfi.Quac ucro tam lcdticac,qua fcN læforma fucrit,nil itaccrtuhabcf,quin dubitarccuiuis liccat, at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum ftratum fuiflc,quo &: iaccrc. JL i B £ k iacere,&fcdere,&:prout Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris fucrit noftræ diflimilis, uel potius fimilis jcredo non admodum diflimilem exftiriflc^nifi quod noftras a mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur, illa antiquorum ut plurimum afcruis kx portabatur, atq. ob id Hexaphoros nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum jis tam pauptr quam nec mijerabilis Irus, Tam iuums, qnam nec Varthenopæus erat, Tam fortis, quam nec cum uinceret Artemidorus, Quid te Cappadocum jex onus effe iuuat ? f^deris, multoque magis traduceris ^fer, Quam nudus medio ft fpatiercforo, 2{pn aliter monftratur ^tlas cum compare mulo » Quæque vehit fimilem hellua nigra Lybin, £ Jnuidiofa tibi quam fit ledica requiris ^ T^on debesferri mortuus Hexaphoro : fimilitcr &: ubi Zoilum carpit, quod lc£kicam fandapilac fiue feretro mortuorum fimilem habcrct. tlh,!, Laxior hexaphoris tua fit le^ica licebit, Cum tamen hæc tua ftt T^oile fandapila . Lib.^. Nam exhisliquido intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr rcmfulm!^qucm vlum Cappadoces Marrialis, Gcrmanos TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis lcdicariorum numcrum augcre uoluifset, prorinus fuifse norarum, qucmadmodum idem Marrialis indicauir, ubi Philippum qucnda infanum uocat, quod ab odo fcruis Icdica eius ob quandam diuitiarum inanem oftcntationem pcr urbcm geftaretur, OBaphoro fanus portatur ^uite Vhilippus, F Hunc tu ft fanum credis ^uite,furis . Cumitaquclcdica antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda, uerum ctiam conciliando fomno,dum claudebarur infcruicbar,ur luuenalis reftatur his ucrbis. Tslamque facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq. frequcnsillius crat ufus,ur caftra Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis, ucl criam marronis in eis dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros mcntio, dcftinabanrur, pluribus in locis habcrcnrur,in quibus&:iuraipfisdabanrur,&: aliaincaftris ficrifolitaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica perurbemge ftariuerirum crcdam, Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu Impcrarorcm Harpocratilibcrro ledica per urbcm uchcndi fpefta culaq. publiccedcndiius rribuiflcfcribir. ArquifcIIam duplicem fuiffc . J7$ A finffctradidit Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'i-chro. cicbant,c]uac ucl coopcricbatur, ucl apcrta lincbatur,&: a nonnullis,ucluti a Coclio Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccbaturuilrcram in qua iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris uidcrc licct,cum podagrici,diuitcs, atq. alij principcs dclicijs nimis dcditiillaquotidicuchantur,quaitcm uiros magiftrarum gcrcntcs olim gcftari confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in qua ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€ 17:6 Dc Agitdtione per lcCios fenfdes, Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio Ca^. Xlh VOD agitationcm pcr ciinas, &: Icftulos pcnfilcs, quos d uos fub KhivH^ vocabulo a Græcis complexos fcntio,fo dtam inter gymnadicæ excrcitationes recenfere velim, lorfan aliquis mirabitur^cum hac tempertatc cunæ iolis pueris cblandiendis inferuiant,p aucilTimiq. finc, quibus medici pcnfiieslcftulos parari iubcant rucrumtamcn ismirari definet,{i Galenum,Hcrodotummedicum,Actium, &: Auicennamdiligentcr icgcrc placucnt : qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias corporumhumanorum exercitationcs adnumerarint, cur amefiIcntiopræteriridcbcant,nonuidco. Nam cunas ob pueros potius,quam adultos excogitaras fuiflenon equidcm diffitcor,fcdpu-^ to talem motioncm interdum ui ris cum ad lcnicndos dolores, tum adconciliandumfomnum non parum adiumenti pracftarepofse, Oriba lib. u t pracclarc fcriptum eft ab AntyIlo,&: Ætio, apud quos lc6tus fiil^ h^fte. cramobiliaiuxtaangularcs pedcs habensnilaliud meafemcntix fignificat,quam cuna^s ipfas,quas etiam intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id quidcm eft,uni lcdi pedi certe funiculus fubijcitdus eft, atq. „italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi Oribafij interpresnomen jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit, et iccirco omnes illosprorfus falli crcdo, qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum habere cenfear. Quibus fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in vlnis a nutricibus geftantur, quæ ic a medicis, &: a Platone pro ^ ipforumualetudine miruminmodum probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3. tamlcquiavulgatæ,&:omnibus manifeftæ clsent . Quætemporibus noftris cum a plerisque ignorcntur» opcr^e opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr, qujd fcnrio, in mcdium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab Afclepiadc cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^ ! paruosmodo c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam argcnrcos lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftruftos,qui quatuor angulis runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio Orata,tc(lc plmio^primum inlib.^.c.r^ iicnra,non quac fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd nuIlaa!iat"uin*ecrcdo, qiiani labra illa ucl marmorea, uclacnca>ucl Ifgnca^ad lcc>ulorum imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber manunm impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad LuciIIum fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura inncntacft: nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque cxcrccri mcdici praccipicbanr, huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra Jaborcm, Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcincepscurabanc.nciniexcrcirationc iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain l.alncis rcpcricbatur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum,aquac dclcdiaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic, blandaquc ntillarione quadam (ingula corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcnfilia eafuiflcinrclliganrur, qunc fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non uidco . Dc pcnlili lccto dixir Hcrodorus, gcftarioncm in illo t.imdiu facicndam C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadræinra Itadiorum ircr conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius acquicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile numcro dcriniri non pofsc. quod non rantum in his, fcd &: in omnibus alijs fcnrio obvarias, acdiucrfas acgroranrium affeitioncs, quibus non cadcm vJlo modo conucnirc* pofsc, oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio,quoJ QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappcllarunt. huc licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtusparuus, vcl quidinformam lccti pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs gclbbantur,ur Dion hiftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium in fcimpodijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gcN 2 Itabanrur, 178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus, dumBritanniamobirer,fcimpoD dio undiq.obtcdoferebatur. Ceterum quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud fatis conftat: putandum cft tamen fellam f uffe ita fabricatam, ut ledum plumcum paruum caperet,ita ui nxftum, utpenderc viderctur, inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui ferebantur,iacebant, &c vndique^ ne ab æris iniurijs læderentur, coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu dicio uidctur luuenalis,cum Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit crgo tribus patruis aconita, vehatur Venftlibus plumis, atque iliinc defpiciet nos ? dc eodcminterpretanda efthæc infcriptio quam mihideditAldus Manuiius Paulli dodiffimi, &: eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad Andream Naugcrium olim allatam retulit. E D. M L. ÆMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM. SVVM VICESIMVM. ET. SECVNDVM. PRVNA. I N. PENSILI POSITA. VRGENTE. FATO. SANVM. IPSE. NECAVIT. SE. L.ÆMILIVS. VICTOR. PRINCIPALIS.ET ÆLIA. VENERIA. FILIO. PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 Mcth. neque aliud fignificauit Galcnus, quando balnea ingrediendi mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit: ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci Ko^i^^ai ^iv \ial rov cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou, idelt, ægrotantemuolo portariin fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius Li.j^.c.io rhetorin librodefuaipfiusvitaintellexir, dumdixit:cLidomi fum, F in le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut etiam idem intellexi t GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus grauitcracgrum infcimpodioGræcienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo ob delicias,atque uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs, nccnon fcimpodia ; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda valetudinariorum corpora vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum illud machinamentu li.3.c.^.& raptorium,&: macron fparton a Coelio Aureliano uocatum,quaIii11. y.c. yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica nominata, quibus duobus geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft, cum a nullo alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit. utfupra diximus,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. . NTER gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis corporibus cxftitcrunt, nauigationcm quoq. rcpofuit Antyllus, quem fccurus Ærius, 6i poft cum Auiccnna manifcftccampro cxcrcirationc habitam dcmonftrat; id quod utriqucnon ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr, cjuam ab antiqua diuini Hippocraris fentcntia, qui nauigationcm &: moiicrc corpus, pcrrurbarc dixir. ni(i quod Auiccnna nauiga4.Aph.i4 tioncm inrcr dcbilcs cxcrcitarioncs adnumcrauir, Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc pcrturbarc afscrir, id quod potius uche menris quam rcmilli motus argumcntum vidcrur . Hac nauigationis excrcitarionc duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non admodum B ufasinucnio, mcdicam fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl ad ahquorum fanorum habitus confcruandos, ucl ad nonnullorum acgroranrium fanirarcm comparandam, ad (anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc fcripnim cft) marcob placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm facit,undc nauiganrcs fcmper coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus dcgctes.Ad acgroros ucro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum uomitu,qucm frequentiftinxinfucris præfcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus ficcisex/iccare narum cft.quare dicebar Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i, lepræ,hydrop](i,apoplcxiac, ftomachi frigidiratibus,nec noninflarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius ucro&phrhifi-Jj^P cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc Annaci Gallio * nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab huC iufccmodi affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd proprer nauigandi longinquirarcm ccnfuit ; utcriamcius NcposPlinius fccundus ZofJmum libcrrum fanguincm rciCLtanrcm co fc mi^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a ualerudineredijfsc narrar. quamquam audor illc nomine Plinij falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd. Icnfc-^-*^'^rir phrhilicis utiiius c(sc in faltibus m( rari, ubi pix nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca uifirarc. quod etiam tradirumcfta Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc linipl.mcdic.ubi dc rcrra Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma obid in Libyam profcclos, annis aliquot inculpatos uixifsc, poftca ucro morbum recruduifse, ubi non pari cura uuicbant . Modus in nauigationc ualcrudinarijs obfcruatus /ic ab Hcrodoro dcfcribirur, ^ .^, quod afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum dclincbanr.Porro luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac Oynwtilica^ N J in iso in mari,aHæinfluminibus, aliæinmagnis-, aliac rnpaf uisnaui-a bus,aliæ remis,aliæ remulco, aliæ uento, aut uchementi,aut plain lib. de cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar^^aufliiua» cho, cam minus naufeam producere, quam mare, quod tam odor, quam timor c maris adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,arqucfic uomirumcicnt, quæ resa fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis doloribus cctcris practulit longam pcr marianauigationcm> quoniam (vtipfe inquit) fluminalcs, ucl portuoliic nauigationes, ncc non ftagnorum, incongruac iudicantur, nimirum quæ caput terrcna exhalatione humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcorpus apcriunr,&: falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud gymnafticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos fuifse diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quæ a Romanis in circo,uelaIiquoterræ finuprope Tibcrimmanufa&io tali cxcrcitarioni dcfignato rcpræfentabantur, fuerunt quidcm ad populum obIc(Sandum (ccundum aliquos praccipue infti^ tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in Euripis vi £.Y vrbe ad marc huc prodimus pjbuiituyyt, procxcrcitio Gymna(lico,&: Palacftrico hoc habcmus.quactamcn pifcario cum a Plaronc improbara (ir,quod ncquc animus.neIn fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur, lurcmcriro cam ramquam nulli uriJcm omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod ^jalcnusipfam ini.itu $5. tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc uidcrur, iicut ^P-'« et Auiccnnaingrcdicnrcm pifcaroriasnaucs dcbilircr cxcrccri ccfuir. quorum fcntcntias duabus dc caullls infinnas rcputarc debcmus,rum quia ncurcr corum cxplicatc, quid boni affcrac pifcario, Q declarauir,quali excrcirationcm huiufccmodi non admodum probarcnt > fcd communcm porius quandam fcrmonis confucrudincm fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr Galcnus pifcatorum habitus du^ ros,arquc aridoscflc dixic.cuiusaridiratis rarionc Ariftordc pifcamcd^mL tores marinos pilis ruris pracdiros cfse anrca fcripfcrac.unde mcdi3» p^rtic ci,qui bonum habirumcorpori cxcrcirarionibusacquircrcftudit, quomodo durum, ([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint,non uidco ; pracccrquam quod cunctac propc pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una cxrcpra maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur, pilcationis laborcm mcdicos parui ælhmafsc. Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius cuiufdamgratia inrcrdumpifcarcntur,ccu dc Cacf, Auguftofcriprum cft a^Sucronio,6«: dc Alcxandi o Scucro a Lampridio, dc (luo ira fcribitrVfus uuicadi cidcm hic fuir. piimum, i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non cubuifscr.marurinishorisin hu i'; fuo,in quo N A &:d:uos «2 et diuos pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis et Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum temporum dicir, Chriftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi dcoshabcbar,ad Maiorum effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci qualitarc, vel vcd:abarur,vcl pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Hæc Lampridius.Quid aurem fucrinr pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans Tyberim a prætore urbano pro pifcaroribus Tyberinis,au(5tore Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus fam,ur turo affirma re queam,arhlericam gymnafticam, cuius ludos fui(se,diximus,pifcationis exercitium habuifse. De Natatione. V. AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfempernatationis exiftimario, tanrumque per plura fæcula illius vfus uiguit,utnonminus pucri narandi arrcm, quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum nullamaior ignorantiæ nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare fcire diccbatur, fadum fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos, &: prorfus inerres continuo recc perint, adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di peritia,fi non eofdem honoresobriner,quibus anteadtisfæculis afficiebarur,falrem nec penirus neglefta, nec inurilis iacet. Ratio enim, qua impulfi maiores noftri narandi fcienriam ranti fecerunt, hæcunaiudiciomeoexftirir,quodprimis illis remporibusapud 5c£ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac cæteris,ut fcribit Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandæforrirudiniufque aprimis incunabulis incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus quoque pugnis,quæ runc frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac fluminibus homincs nandi arti confiii pcricula magis euadcre pofsent,minusucformidarcnt, (quando facpcnumero milites mare ingrcdi coadi ob nandi ignoranriam fuffocabanrur, qucmadmodum exerDc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc memoriæ prodidir Xenophon ) ficq. forricres minons jntcraquarum pcricula ficrenr,natarionispcritiam exrulerunr;qua «^pc^i^ctiam rarione Komani uerercs,ut Vegerius fcribit,quos ror bclla,&: continuapericula miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar llb.i dcrc tium Tybcri vicinum dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio. citationcs inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent, acfimul if, A mul natarepcrdifccrent >uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit iudicatu,militarcm gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse. Cctcrumpoflcnori tcmpore non modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum etiamob ualctudinis con fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis gy mnallicisipfiim probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J itcmfcnfillc uidctur Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Liboranribustcrtianafcbrc conccdit,utungantur,&: balncum ingrediantur, ibiq. madcfiant,&: li uclint, ctiam natcnt . Qiiod cnim natatiocxcrcitationisloco habita tucrit,practcr Oribalij ^uidoritatemdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis, &:alauationc,dc: qua libro pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiiiB ucrfum corpus,&: mouctur,uc duobusmodisnatabant, ucl inpifcina,qLiam m frigidario luifsc /upcrius dcmonftrauimus: (tamctfipifcinasapud Varroncm,&:aIios La:inæ C linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis, ^faginandis dicata fignificarc crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc Rouiæ uifuiitur . Qu^od in pilcinis, quac in frigidario tlicrmarum acdificatæ erant,quafquc thafio lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit Scncca,iiatarcnt,omnium clarilfiaic ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui in Epi(t.li.2.viilamiuam cxacliifimc dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc balnci cclla frigidaria fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus duo baptiftcna ucluri cieda linuantur, abunde capacja fi innarc in proximo cogitcs, adiacct undormm, hypocauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac ccliac magis clcganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos luos defcnbcns iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(: hilarc cxcipit cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut tcpidius udis. Ex quibusomnibusfatisapcrtum cft, tdyin gymnafijs fiue balneisueteres nare folitos,atque in higidan} D baptifterio alias pifcina uocata>de qua menrioncm kcit TertuUianus in lib.de baptifmo, et dc qua exiftimo locutum Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi laborantescurandiratione edoces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv rocgHoXviJiHSg^is . ideft, inpifcinisnatando inftitutis,quam h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam pifcinaminterdum in area gymnaliorum acdiricatam credo, ut teftatur Plinius loconunccitat Ojinquopoftdidaucrbaait. In areapifcinæft:&: ante Plinium Maitialis, quili. 5. Liguhnicuiuf* dam infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs fu^io Jonasai aurent > Vifcinam peto, non licet natare . ni uelimus Martialempotius de publica pilcinalocutum cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis, &maximecx Regionum fragmcntofub E porticuCapitoIina intclligcrc poflUmus,vbi Vici publicac pifci* nac clara mentio habetur,de qua ita Feftus Pompeius.Pifcinæ pu blicac hodicq. nomen manet,ipfa non exftat, ad quam &: natatum, cxercitationis alioqui caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro obtufo ore pugilc, pifcinenfis res eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta Dione Maccenatemomniumprimumm urbeaquarum calidarum naratoria inftituiflc . Quod ucro in labris illis fimiliter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio, cQ ex magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauconem,quandoin tcrtianæcuratione natationemin aqua commendat:quoddc pifcinis gymnafiorum nequaquam intelligi dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis, qui in capitis dolorc, atquc etia in p arrhriticis curandis, natationem minimc fub dio fad:am > nec non fcruentcm, atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in locis claufis, &: ctiam apcrtis, qualis crat arca pifcinac, altcru ta in aqua calida,quam frigida natari folitum, unde clicio natatione feruentem folum in labris faditatam.cf fi Plinius in locis paulo ante citatis pifcinæ calidac mcntionc fccit,fub hifcc uerbis,Cohæretpifcinacalida mirificcj exqua narates mare afpiciunt,dc calcfa ^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam de fcruclac>aab igne,ut intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra gymnafia,fiue priuata balnca cfficicbatur natatio, modoin fonfibus latifl]mis> modoinlacubus,modo in fluminibus, modo in ipfo mari agcbatur. dequibusfcrmoncm habens Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, ' quan\influuionitari,diutiusqucibi moramrrahi,quoniam ucluti mare aquæfuæ corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam dulccs aquæ fLliiA fuftinct oncra,ita facilius corpora hominum cleuata tcn'cr,& confe qucntcr minusilla pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!) rcnuirale luam citius,&: lcnius illabatur . Hxrra balnca quoq. apud aliquas nationcs loci pcculiares nando confti ucbantur, et idc(. KoXvitSHd^xL uocabarur,ftcuri legirur npud loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p.. dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam Silocanriquus intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fanifq. corporibus cxcrccndis,&: confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando itc Ariftotcles fcripfit naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn illud animaducrri uolo, plcrumq. ob dclcsflationc,6i: ad ardorcs,&:liccirares rcmpcrandas,h()mincs nararc conlucuilfc,cuiU5 graria in acftarc dumraxat natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RÆCLAR IS SIMA cxrat GaIcnifcnreria,cxomnibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio vtiliffimam vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc ualeac, 6c iccirco fapichtifIn lib. dcludo parluc pilac. iimos illos haberi dcberc, qui in ucnationc cam cxcrccndi corpora formam inucncrunt, in qua mirifico quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira rcmpcrantur, ur tacilc iudicari non podir, maior nc fit corporis, an animi motus . Acccdit huic^ quod natura ipfa, quac animalia cuncta hominis caulla produxit, ueaarioncm quafi praccipcrc, &: acccptam habcre, ut lcripfir Arii. PoJiu Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^ tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur, fcd fimul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&: lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acftimanmr,cuius nimiruftudio antiqui illi mcdicinac parcntcs Ciiiron,Machaon,PodaIirius, AcfcuIapiusufqucadeo,ficut rcfcrtXcnophon, arferunr, ut non minus in ea laboris, quam in arcibus, in qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic purarcnr, Ncq. ucrofolam medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcirationcm,fcd bcllicam quoq. &: achlcticam rcccpifsc,proba(scq. credcndum cfti fi quidcm uel dclcvflationcm, &: gloriamAiuarum gratia arhletac Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&: f(.rrirud:nc,quibuibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^ cumu. n6 cumuhti/Iime omnes in ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD ineopraefertim^cf noninauibus dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie dolo capiundis Jaboriofe uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi dcbcreuolumus. Etncfineilli .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad( ri.in:isproferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcitationc ufafic, iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla bellicacfortitudini affcqucndac maximumadiumcntum pracbcrc putarerur, locuplcf /fime teftarum fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus /cnandi difciplinam in trcs fpccics, aquatilium fcili( et, uoIatiJ «um, Sc terieftrium animalium diftinxiflct, improbaiisaijjsduabusproiLuenumeducationc,detcrret'iuinucnatione in h le 7. dclcgibusita concludir. J^' w -mv ^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^] Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\ ;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t /SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy ^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis noftris rcliqua cft,atque harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo nodurna uocata pcrfequitur, fcgnibus conue5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti ncc iIJa,quae laborum intcrmif„ fioncs habens, rctibus, &: laqueis non laboriofi animi uiftoria fera5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam optimam eflc rclin5, quitur,in quahomincs quadrupedia equis,canibus,&:proprijscor „poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui fortitudinisdiuinae F 5, poifcliilonem curantcs proprijs manibus currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus uerbis clarc pater,quan„ tum 1-Jato in comparanda fortitudine bcllica diuina ab ipfo nuncupata, vcnationem dixcrit cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre. quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc comprchendat, fuperius indicauirnus. Euidentius,quam Plato,locumhunc cxpJicafleuidctur Xonophon, qui dc Cyro in eius pacdia ita fcriprum reliquit: T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav [f^yof, bWtp icryteiv rctZrct fivn yy ;!^ rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw icTTtYKTiy ttoMuixZv ^tvcLf, iW/jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft, Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^ ad ucnacioiiem cduccbat, quos haec cxercere oporterc cxiftimabar,hanc ratus &:omnino bcJlicarum cxercitarionum optimam, ' &: cqucftns ucrifiimam. Quo ia loco nemo non uidct, quaiu apcrcc A apertcucnarioncm ad exercitationcm bcllicamomniiun nuximc conducerc ccnfucrit . undc poftca in lib. dc vcnarionc iuucnc.s ad capclTcndamhanc cxcrcirarioncm duabus praccipuis rationibus adhorrarur;tum cf corporibus bonam ualcrudincm comparat : tum cf cosad bellum maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrcbus agcndis idoncos rcddit . At Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs cxcrcitarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec athlctica profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris ab Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru in modum cclcbratac dcir.ouB ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq. alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcnatores contraminus immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica, quod fcilicct ucnaiioncm ualerudini, Sc bono corporis habitui comparandis, tucndifq. probarc u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris lcnrentiam i Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer cxcrcirationes corporisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin hoc ludo parfoluminfcriorcm fe':ir,quod maiori appararu indigcar,proptcrca " nec arrificibus,nec ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat; practcr iuniorcmPlinium, quiuenationc corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift, ^ nuar, practcr aliorum argumcnra, unum Ra/is Arabis mcdici cruditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui icgirur, contigiflVin quadam pcftc, ut, dum omncs fcrc pcrircnr,foli vcnarorcs, in jo.coa. obfummam ualctudinem airiduisexcrcitationibusparram^incohimeseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios, a quibusolim ad coenam Dionyfius Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde Aari negauir. cui flarim rcfpondir coquus idco illud cucnifsc,quia nec in ucnaru,ncc in curfu laboraucrat, &: idco fiti, &:famc carcbar,quibusLaccdacmoniorum cpulac condicbantur. Itaq. mirari nullopado debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq. adcofanitaiis,&: uitac ftudiofum fujfsc fcimus,vcnationi ita auidc opcram dcdifse lc gimus,ut fcptcm annis, neque vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo nianifeftuna cuiuis iam cfsc potcft, quantum in cxerccndis pro uaicrudinc corporibus ucnatio apud uctcrcs acftimar^i fucrit. cuius cum multac cflent fpecies, quanim aliæ rctibus, aliac laqueis, uifco,& aucupijs, aliæcarniuoris,&:rapacibusauibus,aliæcanibus, fagitfis, uel puris, vel rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^ roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere can.xy.c. y. rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrcftrcs belluas peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror, inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus, &c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere,tumfenfusomncsacucrc, tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam enimuenarioncm, quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus exercetur, an commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his. quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac partc» ' quæ olim Ccdropolis uocabarur, homincs focietarc accipirrum perpaludes aucupari confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud venationis noftræ ualdc diflimilc fuiffe uidetuv; quandoquidem illi iplilignis, quacmanibustcnebant, arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob ftrepitum cxciratas, euolaresq. accipitrcs dcfuper infecLabantur,quorummetu aucspcrculfæ terram repercbanr,ibir. quc pcrcufTæ baculis a vcnaroribus capiebanrur, &c earum parres' accipitribus diftribuebantunnoftrum ueroaccipitribus,atque aftu ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc, et Conftantini Imperatoris actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_ ficutr etiam ignorarunt cam uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis, &: rctibus aduerfus cjualeas,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed dchisfatis. Exflicit Liher Tertinj* .0 m H?9 "De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L VM gymnafticæ origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics ab antiquis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quantum conccditur, cfTcccrimus, ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur, prius U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumomniumrcgulas tradcre,quarum dudlunon modo li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc, &: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct profcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m gratia totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe rcnt iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non ofciranrcr uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle cenfco,quoniam Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in omnibusquidcm artibus,lcd pracfcrrim in mcdicina, uniuerfalcsmcrhodos parurn iuuarc clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs accelTcrint, quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur, tum carum fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio,ut in Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac fcquantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia: &: proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucndum cft,Iocus ubi moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc modus cx nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5 maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo diffcrcntias illas excrcitatione confequentcs dcclarabimusrfecunD do,quæ fint corpora excrcitationibus apta,& quac inepta, dcmonftrabimuiittc rtio, qualis efle dcbcat locus,ubi jJli excrcitationibus operam nauare dcbent, qui uel confirmandac, vel conferuandæ ualetu dmi ftudent: quarto, quodnam tcmpus cxercendis corporibus opportunum habeatur; ficuti namque corpora omnia non omnem excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislocus,nec quodlibct tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfedahæctraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribcretur,ideo qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particularium cxcrcitationum qualitates examinandas dcfcendcns nihil relinqucre conabor,q^ in hac materia iurc dcfiderari qucat,&quod l ædieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit. Scd hoc antequam aggrediar,illud prius hoc in loco præfandum efTc, iudico, ea omnia, quæ in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo exercitationum negotio mojnenti cxfiftercut, ijs uel ignoratis, vel negledis, excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuIlasinferant.-innumeræquandoquidemcxcrcitationes, utpræcla1. J tu.va. re fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratæ,er ^ liSo. ^^^^^ naturæ in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in ui&mac.ruc! procuIdubioefsentilli, quinatura corporis imbccillimi funt, qui cum ab exercitationibus utilitarcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari, &:iccircoillis uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii cundispaffimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef'fe prædicabant: fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehenduntur, Qiioniam cumhominumnaturæ,&:conditioncsufqueadeo pcl^«^lHicrlac fint,ut neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fiE milem prorfus liceat, fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid. profint,quosimmodicuscoitus,fiucAc illos,qui hoc alfcucrarunt,toto caclo abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm commu nitcr acccpram, prourquaflibct ucl minimas corporis agitariones compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur, quando nihil fanitati tam hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale, ^ im:cniri:r, arqcc cuiufli iK-r motus cclsario, confumatumue orium, quibusnon tanrumuniucrius corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus hcberatur,humiditatcsfupcruacuæcrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium torpor connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat (;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida ^cuadunr,& fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhui"'^c-cau, moribus frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm, ucl ndpcrpctuamualctudinis offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum exerceri uolebant. Caf. III ESTAT falfa eorum opinio condcmnanda, qui affuetos folum cxcrceri debcre,inafluctos minimc cxcrcendosefrc iudicabanr. quorum fcnrentiatametfifpecicm ucrirarisquandam præfeferat, cercrisque duabus iure anrcponi mercarur,haud tamen prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini nimium rribucre, quafique fupra narurac condicioncs illam ftatucrc uidcrur. Ccrerum ne honimplacitainiuftcrcfcllerc crcdamur, &rariones, quibusadducliin eam fcntentiam iucrunt,&:crrata,quæ commife runtjin medium proponcmus,vt vcritas facilius cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum legiffcntapud mcdicoium principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos Iaboresfcrrc,etfifucrintimbccilles, et fencs non confuetis, fortibus, &c iuucnibus facilius ferre ; quacq. cxlongo rcmporc confuerafunt,erfidctcriorafinr,inafluetis minus incommodare,affeueranrer pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum cxcrcirationibus,&: laboribus committi dcbcrc,aIioqui ma ximopcre offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs cxcrci tatas robuftiores habere,& proptcrea laboribus finc damno refiftere experientia demonftrat. addcbant his rationcs, primo quod omnes illi,qui cuilibetrci infucfcunt, raagna ex partenaturæfuæcouenientem confuerudincm deligunr;quoniam lædentia expcrri, il la rcpudianr,&: iuuantibus adhacrcnr.unde excrcitationibus vafl^iic ti in illis tamqua fibi familiaribus confcruari debennqui ucro quie fccndi confuctudincm contraxcrunr,ab illanullopadofunrremouendi,quafi tales expcrri fint ab cxcrcirationibus fc ipfos ofrcndi,&: aquierc utilitarcm capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&: mcdicorum placitaconfuerudo in naruram rranfit, &:iccirconon fccusconfuerudincm pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi, quinaturam pcrucrterc, &: aducrfus illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti quicfccrc longo rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc rcliquum uitæ curfum ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm ægritudines diucrfas incurrant; fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c alia ipfi confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari, nccefTarium vid etur . Huiufcemodi crgo rationibus indudi, ifti conftantcr affirmarunt, confuctudincm non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc, &:foIitos quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. Scd,urdixi, liccthiinifuisculpantiam fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us carucrunt,c]uia Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc iudicauir,nc quando ad illa dcfccndcrc coaocratiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi dcbcr,ut uolucrit,qucmad^ modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii cogimur,afluetainfolitis minusturbarc, ncquc proptcrhoc interdixcrit, quin ad infolita quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpraua funt,&: inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum, quoi;iamlicuti multi coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc allcdi, ucl ncghgcntia, aut alijs detcnti ftudijs,ucl prac nimia ftupiditatc fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus, &c naturac ipforum inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d dcdiri,qui quictisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt ; non aurcm quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr, nimirum quam iam antc hominibus cundis inimicam probauimus. Adfccundamucrorationcm dicinius, narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas, idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm pclfimac confuctudincs ab illis in honclliorcs, &: falubriorcs pcrmu tari ncqucant, i gnoro ; co pracfcrtimquodfacilius cxfuuntur,quac confuctudinc fucrunt conrra£ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita. acccdit huc, quod otiandi confuctudo pcrniciofa cll, quia ( vr diccbat CcHus ) I ib. r. poteftincidcrc laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo^^i' ^ nimuseos,qui inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu.cunditatem non aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali lucci uicb* tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm qualibet uel minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod teinpusnonpercipiunr,quoufqiic humores praui orionuiriti, &fupra niodumaudi incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^ claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus,utmalacconfuerudiniinnutritiminimcfe uoluprare, atque damni ignoranria decipi linant,immoquamprimum ab earecedcrc, paullatim tamc, et ut dixit Hippocratcs iKTr^odxyooyHt ftudeanr,illud procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia pcrmurandas cfse pcrniciofa^ confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc pcrfiftendunK Atque hæc pro male de Cikcrcitarionibus fentientium refutationc diifcafufficiant. Tcmpus modo cft, qude corporæxercitationibus accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus, dcmonftrare: fcd antcquam hoc aggre Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus, ipfiusquc tradatioiiis ordo expoftulat, cxercitationum breuitcrpcrcurremus. exercitationHm differentijs. Ca^.V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum facultatem fpecul ari)&: fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias illarum diffcrentias effcccrunt^ quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft ^/TxJ^ mærores infcruiebat; &c proindc hic motus a Galeno cxtrcma fO| A cxcrcicatlonis pMrs nominatus rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm illico tran(gredcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^ trcqucntcm intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &: conlummatam quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g. inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cxtrinfecis,aliasab vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quanritaicrum qualicatibus dcfumptas: quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur,plcrumqucalocononicn f^rticbaiKLr, quando uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in mixta umbra, quam CTroavi^iiyn Gracci uocant, cxercitatio pcragebatur : itcm quando aut locus crac calcns» ^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &: practcrca auc planc ficcus^ aut humidus, auc mcdio modo atcempcracus . Diifcrcntiac ab B uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut continuus erat motus, aut inrermiflus.ct li concinuus, æqualis, ucl inæqualis;fin intcrmifsus,aucccrroordine,aut cirra ordincm,prac^ terea vcl linc puluere ficbat, ucl cum pulucrc, acquc co alias mullo, alias modicoi finuliccr agcbatur ucl linc olco, ucl cum ulco, atqueipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac autcm ab ipliusmotus quantitacibus acccptac inucniunrur dirtcrcntiac, talcs func, quod cxerciracioncsucl mulco ccmporcdurabanr, 6c multac diccbantur,vclbreui, mcdiocri, arqucpaucæ, &: mcdiocrcs uocabantur. Diffcrentiac amocus quancicatibusdcfumpcacillacquoque fueruncquacauimorricc accipiebancur: nam li uismagnacrat, magnacxercicacioilin parua,parua ; lin mcdiocris,mcdiocrisappellabatur. Porro a qualicacibus ica dirtcrctias a Galcno captas in^ g"^" r ucnio, quod aut in breui tcmporc mulcum fpatij mcticbatur cxcr«p.io . cicacione, liuc brcuc (parium lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehæc cxcrcitaciocclcr,acuta, &: vcIoxnuncupab:uur, qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus paruac pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis ai^tirabancur humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio infumebatur, tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nominabatur, ut lcnta ambulatio, ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcmporc mcdiocrc fpatium, iiuc brcuc plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio cuadcbacrprætcreamagnai-umalia præccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam ^QVQh:ixUc2 racelerirer agirari; al/a fine velocirate fiebar, et Ivr^,;^,,!> idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu. lare.quatuor equos habenis llmul coercere, funem manibus apprcheniam fcanderc,haIteres,omnefque Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,& ualens cxercitatio communi nomine magna diaph/"^-^ mtclligcrc liccr, quæ Galcnus fcxto popularium morborumlcnptarciiquir, vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem magnam uocauir . Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar, &:rcmifni,fiucixA«T«f /ocabarur, alia fineullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue Ianguida,aur imbecillis dicebatur,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam habcndam cllc iuGcrunt, ut quod morbofum corpus, quæxerciratIonc, &:qua quiete indigeat,ne ullasperturbaD tiones,motioncsq. fuftinear, optime pernokatur. Quocirca fccundum iftos corpora, quæ immodica intempcrie calida Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur, quod calor, qui diminui debet, ab jllis potius augmentum fufciLp^iu^' pit, quemadmodum Galen.de Primigene fumma caliditate laborante narrat, qui ncdum,a uchcmentioribus cxcrcitationibus, immo,& ab exiguis dcambulationibus in porticu ante balneum fadis magnopcrclædcbatur. undc mcrito condcmnandus eft AfclepiaLK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte Ccl/o;gcftationibus utcbatur, in alijs uero fcbribus, &c raorbis mcdicamcuta, ac uomitioncs tollcns, inedia, fiti, uigilia, luce primis dicbus ægrotantcs inftar tortoris, cxcruciabar,alijs autcm diebus ambulationibus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E ctenim Galeni, &: Antylli fcntentia cxftat, acuta fcbrc laborantes ab omni motu rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis mcdicis aliptarum officio tranfmittenIn prooc. dos, ut rcfcrt Coclius Aurclianus, falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando utilcs cHe inotiones,exercitationcsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror, dum in feptimo cpidemiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus torpeant, a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit AriftotcCi.i6. leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febricitantibus in uniucrfum diætam,atque inediam confcrre, ahcui tamcn forte non ita conducere. Qui præterea corpus aridum,ac infignitercxficcatumhabent, ficxerccantur, aridioreseuadunt, &: F ideo illis quics apprime congruit, quam humcvflandi uim pofndeLoc. cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis conue nircfcribit, necimmodicccalidas imtemperiesintclligit,necjau(ao j c GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic deficcis corporibus intelligimus,quæ geftationibus, &c ueCtationibus aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires permittant,cxcrcitationesq. modcratæfint; alioqui ficur ex modcrato motu calor cxfurgit,cxcitaturq.,nec non huinorcspaularim cuancfcutiparitcr eximmodico calorinfirmus exftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur . Corporaitcm calida, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur,minus quoquc caIida,&:humida,ncmpcquægrauiori quam cctcra morbo fubi jciantur,maioriq. curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca corpora ucl nullis cxcrcitationfbus, ucl minimls, Sc naldc rc^ miiTis cxcrccri clcbcnt»cum fcmpcr practcr morbi pcculiarcm affli-, €lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcnduntur corpora H igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri quoddam rcmcdium /ir,modo tamcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia diCta inrclliganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^ ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis. accommodatacririquippcquac fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confcB qucnria quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus intcinpcrie quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, et ualdc modcrarac auxilium arierant inrcrdum. qualcs ucro cxcrcitariones linrillac, &: qualibus in morbis,arquc corporibus unaquacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi parncu larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus.. Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij impcdicnrcs aflb^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr, ncnipc quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc, et cruribus extcnuaD fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem Germanicum, a tenuitacom.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias diximus . CorpoSecudodc raiubinde, amorhoin numero corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue iTtu vf fit, excrcitationes cx fe rainime recufant, et tunc præfer""tim,.quandofimilismorbushaud eft innatus,ueluti inlapilhsrenum, quiexuehementi motu^concuffioneque ab anguftisrcnum tiijs ad latiores, tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas ægrotis moleftias adimunt. Corpora uero ægritudine in fitu laba fantia,modo nou ab ortu, nullum fereexercitationis genusadmittunt, quod membra dum proprium locum, atque fitum amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede, uerumetiampoftquani repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad optimeconfirmata priftinum habitum repararinr, alioqui fimo*J ueremur, maiori nocumento: afficerentur. quo fit, ut hac infirmitate captimajoriex parte exercitari non debeant. Atque hæcde lecundo morborum genere,mala formatione fcilicet laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora tertio.genere morborumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quæ folutiouel in cute,uel ia carne, uel in oflibus, uel iiineruis,ac huiufcegeneris fimihbuscontingere folet, atque modo>lbla,modofebribusaflociata i ubi corpusaliquam exhis folutionemfebri alTociatahabet, nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro febricitanti* busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi alijsmorbis turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq Jit iaparte nobiU,atqueuitæ maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo, iecore, acfimihhus,proculduhiæxerci~ tationcsquæuis maximeaocent,nempequæ,&:fpirituspartiafreftæ necefl-arios. ualde diftrahaat, &: humoresomncs tuncagiteat, quando firmos,&:quictoscfle conucniret,neob eorum atHuxuni morbus magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis diuifionem,poteruntægri mediofcriterexerceri,.modo ncc infignis lit affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnonnullihac acgritudinc capti, qui noaparnamutilitatemamoderatis, immoderatisque exercitatiombus pcrcipiunt^quales fcabioh,, quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex ma tuuehemeati efficitur, ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam tranfpirationem euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur. (^amobrcmacri iudicio diligeatique aaimadijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo optime cogaofcatur iaqtiibus morbofis corporibus congrua!KCxercirationcs,& in quibus mi nus lubita fempcr prac oculis uniuerfali hac rarionccuiusduvftu rarillimc contingunr errata, pofsuntquc parricularia ira dirigi, ut numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant> n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcorpora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra, iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudinaria Itatucmus, cum quibus comprchcndi uoliimus tum omncs ilB los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu cuafcrunr^ncc dumpcrfctfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc, ncmpe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios, curari dcbcrc Jctue. pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc"nirieme lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam c. uk. viucndi rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr' goualctudinarijsillis,qui moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rccap.4. iwedia pro intcgra ualcrudinc ipfis accomodara praccipua cft corporis cxcrciratio,aquamcmbræorumlninanrur, humorumrcliquiac inaniunrur, calor cxciratur, et dcnique torus corporis habilus reftituirur . Elt ramcn omnc ftudium adhibendum, ut a principio lcncs, brcues, tardi, ac remilfi morus cxfjftant, dcinccps, prout uircs magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo, ac longirudocxcr Ccitationisaugcacur,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^ ranropere abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo, ad cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris ^^P'^inirium,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis (qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum bencficium pracftct, utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo uixrcuiurfccntcm fcrcexftinguar, aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm bonuscftin conualciccniibus,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc unacum ipInartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac folidac ficcio' P 2 rcs, aio^ resj&confcquentcr corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earumD dcm rationc corpus vniucrfum frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi indifpofitioncm neceflaria funt quæcumque probumatquefccurumexhibent alimentumi &c præter hæc moderatimotus,qualcsvehicula, amibulationeslenes ; non uchcmentes raotus,qui ficuii folidaspartes arcfa^ftasficcioresreddunt, ita calorcm diminuunt, &:liircs imbccillas confufnurit. Cetcrum fcncs, quorumactasplurimamob caloris dcfcdum,cxcrcmentorumcopiam coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc gaudent,'tumad exf urganda huiufcemodi rccrcmcnta, tum ctiam ad confcruandum, atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar cxcitandum,acccdendumuecaloirem^ qui fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur . Attamefl, in præfcribcdis fcnum exercitationibus quatuor animaducrti debcnt, uircs, corporisafTedlus, confucrudo, &:iiitia particularia, E quacplcrumquefenumcorpora infeftare folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr imbecilliorcs habent, acutas cxcrcitationcsjuec n^.v.hcmcntes, &: mukas, quæ corpus ftccant, extenuant, &: infirmant,,itu itmaximoperccaucredebent/equi veromitiores,quaIesfuntgcfta;.^.^':,^!trojac intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccntcactatc(ut rcfert PlatoinPhædro)Athenisad Megaræmoenia ibat, indeque domum reuertcbamr . quæ excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct, cum Plato ipfc cum,&:fibi,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampeperide dicat. Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiioginta, quotidie fcrc, ut fcribit Galenus, domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim ad uifendos acgrotos pedibusambulare folcbat.quod fi ci longius ire neceffe crat,fclla,aut uehiculo utebatur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam urrum in uiuen.MUr. do maximeprouidum, quique,aurium, &:oculorum uigore integro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimumannuniattigitjhanc regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledulo continerctur, hora fecuda inducrctur, ambularerque millia paffuum tria, mox lcgcret, ucl colloqueretur, dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq. itafeptem millibuspalfuumiterumambularetmille, iterumrcfideret, uclfccubiculo, autftylo rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret, quæ erat liyeme nona, j)it ni æftate odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet nudus, deinde pi la mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer, Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius corporisafTcflum cxcrciMtioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam corpus optimi rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs idoncum maxime cll, ita in fencdla fc habct ad omncs niediocrcs, quiucrofcnesaut cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod par cft, gracilibus,aut quorum corpus cxiguo clt thoracc, aut admodum angufto, aut valgum cft, uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens, id ad eas omnes excrcitationcs incprum rcddirur, quac uitiofa mcmbra maijis ofTcndcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio crura.dLiimiiitcr. lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd excrcitationisfpccicm dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt laborcs fcrrc, etfi fucrint imbccillcs,uel B fencs, non confuctis, forribus, atquc iuucnibus foliros facilius fcrre. nam (icuti confueta minimc lalTant, quos cxcrccnr, immo criam delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf crunr,tum lafTant . Senes igitur omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr, (c d tamcn uehcmcntia corum rcmifl-i,quia, (i corpora fcnilia vigorcm, calorcm,. robur, et omnia denique diminuta habcnt,iuuentutisrcfpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs rcquirerc, rarioni confcntancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria cxcrcirationum ipiis ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim ex lcui caulfa, a vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus imbccillitate capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft : fimiliter &: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c cuiufq. ætaris homincs ita fc gcreCre dcbcnt, vt ijs cxcrcitationibus fcdulo abftincan t, quac paticntcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc natac funt . Si c itaq. dc valcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis itatucndum crit. T)e corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I CVMQVE corporis cxcrcitationcs fanitati inutilcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac cetcris comcndandascfTcdixcrunt,tamquam nccclTarium propc cx/iftat, /i cxcrciracioncsad bonum habirum comparandum, atqucualcrudincm confcruandam non ignobilc auxilium pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre polfint. Hoc tamcn ucrum cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corporum diffcrcnriascflcci(sc, intcr quasprimum locumobtinct corCymn^ifiica. P 3 pus 2»» X PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,&regul^ tcris pofitum fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue. ^pf^l^^u^niri potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7, regionc inueniri memoriæ prodiderit.De tali namquc corpor^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon fum habiturus, feddeillistantum agam, quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus arrifcxfenfiliumrerumexfi-. llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola cogiratione comprchcnduntur, tradtarc debct . Hæcitaquc corpora fana,quoniam quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcntagcnerant, quacnificontinuoacorporcperexercirationcs educantur,tandcmprauas difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi vraturmcdiocri cxcrcirationc,&beE ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc offerunt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex parte excrcitationum fciri dcbet, nullam exercitationcm, nec vrolentam,neque immodicam cfreideberc, utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen. &:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt, qui profpcra valetudinefruuntur;ccleresmotus,&: vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur, qualis lufta, difcus, pila, &: huiufccmodi, co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet, confuetudini, ætari, habirui vniuerfali corporis, parriculari rationi uiuendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus obfcruari dcbcre, fiquidem quæ confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut nimis vchementes, aut nimis rcmiflæ, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum excrccatur, protinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac ratione ll.decaufconfingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctæ dimittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet, iam diximus, prouercb.cz?^^ (flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes pofccre ; pueri, iuuencs, atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmodum corporibus priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc Polybusinprimodemorbis) fiplusconfucto laborcnr» iti A rcnt jConuuIiionibus fortibus, &: rupruris uarijs carnium, uenarumque ftarim.i?^ magis,quam fcncs tcnranrur ; quod corpusroburtum,t^ liccum habenr,carncmdcnfam,ualidam,onibustcnacitcr adhacientcni,cui circundata cutis uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus inlunr, &c propterca illi rarius huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccnieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat Ari(torcIc$,moru pingucdiiicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na tumadminiftrauir.fccurfum udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in confummara fcrcquictc dctuuri poftuhmt, quia licuri^cQlL corpulcnti cralii contrarias habitudmes cx conrrarij^ortas ha^J,'*" bcntvitdconrraria proipforum falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua. niagoopcrckcdun Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k mdicctur,ij pro^ ^ -lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus Hippocratcs iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diæ faCturi lenns pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf" j^ (efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjgfii,iiuei]uadrati,uel parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr, modo nr^n immodicc cxerccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum ca. lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^ tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum, craflas,fcilicet partcs magis excrccndas, renucs minus, nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu, 6c exerciratio conuenit, 6c gcnus illud ungucnti, ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax uocatum, dc quo MarUalisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace calu^m . ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > et lib.2. Lættts dropjce ta qHoUdmno, Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt, parum cxcrccantur,iuxra Hippocratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm uigilanr,a]j I I cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, multumcxerccri dcbent,quoniam diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab exercitatioi.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum mandu cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi magnis,&:muItisIaboribus diminuatur,in prauas difpofitioncs cofpusdcducunt.qui fimilitcr multum, et profundc dormiunt,multisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in iftispcrfpirationes rctincntur, atque adco fanguinis copia partcs extcriorcs dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue3.5hifto. rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^^ omncsdecolorati cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus aditus parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan daarqucnutrienda rcuocctur. Dcmum ob tcmperaturæ rationcm fic dc cxercitationibusiudicium fercndum credo,ut ficciucl nihil omnino, ucl lcnte fatis, et minimum laboriofe excrceantur. nam cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare conftat,fi in ficcis corporibus adhibcantur, quin intempcricm augcant, ncmo fanæ mcntis dubitarit. CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci calorepræditi exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3 æquoincalefcant,ipfisquc,utfcribit Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co. adionibus obcundis motioncs fattac fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^anic' quacrcns, cur ali j fcdcndo pingucfiant, alij macrefcant, ideo eueProb.i. nirc dicit, quoniam alij frigidi funt, alij calidi, ali j cxcrcmcntofi, p ali j non ; et qui calidi funt, pingucfiunt fcdcndo, cum corum calor fine motu cibi concononimmerito dubitari poflct; co quod Ariftotclcs fcriptum rcliquit, corpora humida a laborc fi]flbcari,qiiia a caliditatc motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox copiori,&: lcruidicflcdi calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcrfuadcrc ui derur, quæ dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis abundare, et propterea iplls laboics ualidos congrucrc, tum ad cxubcrantcm humiditatcm confumcndam,tum ad fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer, ficuri notat Pcrrus Apponcnlis, icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct,inquibusquatuor concurrunr, ut fint humidi, &c calidi, ut humidi tas lir irulra, cuaporabihs,atquc circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: multumexcrccntur,pcriculum cft,ne humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs conucrfa pulmonis,&:cordis rcgioncmoccupan^ dofuffocarioncminducat . Quiab his humidam corporisrcmpcricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum,quinimmo cgrcgiamurilitatcmabcxercitationibus,&: laboribus percipiunt;arq.hacratione cx mulieribus humida tempcric in uniucrfum pracdiris illac faniorem, &: minus molcftam uitam dcgun r, quac diurius, 6c ualcntius elaborant, &c cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas gcntcs,&: in quibus locis laborarc confucuerunt,facilius pariunt, ut kribit Ariftotclcs ; neque utcrum ditHcuItcr gcrunt, cum labor ca rccrcmcnta confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quæ calida,&: humida, cxcrcitationcm admittunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/icca rationc frigiditatis cxcrccnda lunt, rationc autcm ficcitatis neC quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:potius lcntos: fngida atquc humida omnium maximc ab cxcrcitationibus uchemcntibus, &c uclocibus iuuaniur, quippc quac fupa -a.cancam humidiratcmabfumunt,&:calorcm natiuum cxcir.inc.augcntquc. Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui dctciminatum lit. Dc locfj In quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap. ^y^.ffK A N T A cft locorum uis,atquc proprictas,quibus rcs ia iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon modoplan tarumnaturac,ficuri Thcophraftusfcribit,non modo ^^c.brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftAriftotclcs,ucrum et ipforum hominum corpora,atquc animi, fccunduin Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout indiucrlislocisucl nafcuntur, 2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr, quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni mcdici, cuius ctiam a Xcnophoncc cclcbris hc mcntio, dcambulationcm, cx[l^ ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in ciuiraribus ctH. i iir, pracrulit hifce tt^VCrbis '.ti \,yu£ mI cSTruiiyiW^ AKOVtAivui KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi yxg iKOTroort^STotiv Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm, 6c tuo obcdicnslodali Acumcno, m vi)s ambulationcs facio : has cnim dixic minorcm lafruudmcm parc rc, quam illas quæ hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms loCo cum luprapromifcrimus, nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira fcruandi opporru na fclcurtcrr, cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui doctilliB mus,dum Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit, uc hiciiiorcs linrambulacioncs, quamcurfus, dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis (Sracci lirceram,ai]t non inrcllcxir, aur linc ncccflicatc cranlnuitauic, dum loco t»v IvToi^J^^iyiOi^, pcrindc cranrtulit, ac(i ccxcus habuilVcc TivJ^^itmy ciim quia Phædro Acumcno ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc nonanimaducnit :quis cfuæloadcomruHus,(&:ignarus cll, quin cognofcac ambularcfacibus clVc, quam currcrc ? Mchus igicur lanus Cornarius, qui nupcrPlatoncm Latinum iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft, cum Phacdrum tcccrit diccntcm falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in curlibusfactas. quod uc accipicndum,atqucintclligcndum (ir,uarias inucni doclorum hominum opinioncs; alij namqucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii apud vetcrcsGraccos fuific Qin urbib. uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas, &:brcucs ita appellatas ob frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co padito, quoctiam hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac Curfusnuncupanrur. cui fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi mcntioncm ciiiufdam facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov J^giiJLov opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum habitans nocte languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc uiascxrra ciuitatcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd inacqualcs,mini mc planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac rcpcriutur : atque ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs, quam in curfibus probaffe : quoniam ficuri fccundum Cclfum, 6c ipfo anrilib.i.ca quiorcm Ariftotclcm forraffc Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^ TF^iTriroovoi KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. Idclt ambulationum lllacminusdelafsant, quæ fiunt inuijsinæquali. bus, quam re(ftis, cum ambulantes pcr loca plana, &c æqualia fempcr ijfdem membris laborcnt, ambulanres u cro per inæqualia roticorpori laboremmagis diftribuant, &:iccircominusdefatigcntunitaambulationcsper uias fadac, ut potc inæquales fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus facilioreseadcmratione cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc r^xftitilTelocaquædam tra£l:u brcui ambulationibus dicara, limilia ijs, quæ in palneftra anti-» qui ob ambulandi commodita.em acdificabar, quacquc IniJ^goiAic^ajuocatas rradit Virruuius, &c quorum clarifrinam menri ;ncm fecit Eupolis, apud Lærtium m Platon Iv IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H'' lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom. uiasuero exftuif e dlas, quas paullo anre ex prædi(5l:)rum opinione indicauimus, et ob id Acumcniim rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus, quam incurlibus defatigarc ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum rcliquit, eos ambulando magis defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs fæpe, ac facpius repeccre coguncur, quam illi, qui longas uias pcrambulantes numquam repetuat, cum illi priorcs modo quiefcentes, modo euntes ab inæquali mo' tione pcrturbentur, quod minus iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius cctcris fenfifse, femper ego putaui, non tam quod ambulano in uijs perada eligibiliorfit, quam in curfibus, tum ob rationcs prædidas,tum ob liberiorem, et puriorem ærem, qui non in locis breuibus,&: occlufis, fed in vijs apertis crebrius infunditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phædro intclligere,uerifimihus cft, quando &: in principio Thcæteti fimili uoce in cadem prorfus fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf rS^ooJ^gcfieo HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca fccundum mare ad mcridicm,aut occidcntc fpc^ftantia tiigicnda crunr, c]uoniam, Virriiuio auctorc, caclum mcridia^num pcr acftarem folc cxoricnrc calcfcir, mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft. Quodfi fupcrbilfi mac,arqueinnumcræ illæ porticus ob dcambularioncs, &: alias cxercitationes, ut fupra rctulimus, crcftac, fi ampliirima illa gymnafiaad hoc a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcntur,nuIlusprofcdo locus aptiorinucniri polTct, qui omnibus fcrcexercirarionum gcneribus magis futficcrct :fcd,quoniam illorum ruinas uix nobis intucri liccr, danda opcra crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam cxplicaras cligar, illud icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multæ fint exercitationes, quac loca angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn haudparuni B delc(ftum quoquc habcri dcbcre : ut, fi non omncs qualitatcs, aliquasfaltcmcarum, Sc mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofuimus, habcant . Quamobrcm fcitiflimc confuhiit Galcnus, ut do^i^mus, in qua cxcrcirandi funr homincs, h\ cme calida, acftate frigi"^'"P-^da, uel fcmpcr tcmpcrara cligarur ; fin mmus, procurctur, ne ipfo pracfcrtim die calidior,frigjdiorucfir, quampublicus totuisurbisær. Quasomncs pracdidas condirioncs unoucrbo complcxuseffc uidcrur Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigariolib. j.c.7. nem,&: omncm dcnique cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro acreficridcberefcriplit . Aliac fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones,ncmpe inæqualjras litus, planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda, meatufquc pcrfudationcm patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit,iraquc fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-. tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcxcrccri uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmnatiuum, et vniucrfum corpus immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat. Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro nubilum, obfcurum, craflum; quando licær dcprauatus ctiamabfquc cxcrcitationc apcrtos corporis mcatusfacilc,fubit, humorcfqucfccum inuchcns mcmbris non finenoxa afligir, et pcr confcqucns grauiora non Imc rationc corpora rcddit, animumquc deinceps gnuat ;qiiodinfcfcno nufquamanimaducrtitur,quln potius al> illo corpora ad morum adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura luciditati amicosconfirmari',&: animum rccrcari pci fpicuum cft. id quod Hippocr:itcm (ignifi^ alfe puto,ubi dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre cxcremcnra paucif(imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft, ncquc cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum habetine fcilicet ær hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns nvignopcrc lædat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni temporc caucrcr, ^utdcambulationibus marurinis corpus exercercnr, urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c nteacrc faris exficcata,fqualcntiaquc rcddita haud amplius pcr motumarcficri dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui languidum,&:imbccillem magis rctundcndum minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^ ^^-^ rumrcrum, quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus ccnfuifTcuidetur, ual.ca.zquod ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in calido, calida inc frigido,humidain (icco,(icca inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcmper illud obfcruari dcbeat, utcorporibus adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5 coiurariaiucxerccndo chgati^ tttu R .9. epm. tur.Neque hoc in locoprætermitrendum ccnfeo.quod PIin?us iuT> S Fulcc: 'exercitatione æftaris tempore a fc ficri fc>!ita, ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in Tufcis difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda, Paullum rcdormio,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iræcam,! atinamue clarc,&: intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo, paricer tamcn &: illa firmaturitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnumqiiam cx hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambulaui, poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbreums,quod velocius,equo gcftor, ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis dcfcribendo Ariftotdcs aliquando moPk,..nhb.,um cum(vt ipfi ctiam imputat Plutarclius) quipoftfumptum cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu auduscibum mox inot ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quando pcr motum calor a uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm .quinimmoimpelocclt '^i'«; r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes, Et bomts MCthcrio Uxatur ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu, Tunc admitte iocos ^^rcjju timct ire licenti, w/f aut fphacrillirio, aur curfui,aur hidarioni„ busmoHioribus incumbcbar, arqucindc undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr utcrctur, in caq. „ ^ una horapropc mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam iciunus „ ad unum propcfcNrariii. Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu„ mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus cft ramcn facpius. Horariusquoq.paullodiucrfius, &:fcipfum, Sc ahos hbcrc Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus cfficcrcfohros> arrcftari uidctur, ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo, v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet, ungor oliuo, 'hlon quo fraudatis immundus V^atta lnccrnis, ^sl vbi me fcffum Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude, quantum interpcllet inani, P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita jolutorum mijcra ambitione,grauiq. His mt confolor uitlurum fuauius,ac ji QuæHor auusypatcr atque meus ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco ncquaquam pracrercundum exiftimo, quod maiorcsnoftri, quorum maiorparsucl cxiguumquid>uel nihii omnino manc manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farurabanrur, horaodtiuadici, ucl nona commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc (olc. Cctcrum ærarc no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir in morc pofirum, 8c vcfpere,&manecibisfarurari ; nulla inomni rcmporcopporrunior apparct horii, quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ; nimirum cum corpora lciwora ySc ub cxcrcmcncis magfshbcra, niagis ob i26 I B R obpræuiiimfomnumualida, magis dcniquc a quibufuisimpcdi-D mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct pcriculum, quin extcrnuscibus probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum nondum cibus concoftiontm affccutuseftjcorpufquc fupcrfluitatibus magis redundat,magisq. grauatur, potius quicfcendum, qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti quoquc animadutrtifle AuiJoc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc vcro ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus auftorinucnictur, quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo. do prudentcr confulat, non gratia fanitatis, aut habitus boni comparandi illud faccrc, fcd potius gratia alicuius particularis aficjlionis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco magnopere E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrnpcrdics, atquenoftes fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici maximias,ut in acftatc, alias minimas, ut in hycme, Udecitaliasacquinovflialesuocafl^c: numerumautcmhunc fcribit Galemfpcc.no ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^* usincredibilia crrata jjT A ta committi folenr,&: plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi^M.n talis cuadit. cumquc nos cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profitcamur, iamquantum vnufquifq. cxcrccri debcat, monftrarcconabimur . Et nc lingula cxplicantibus nimis diuagctur oratio,uniucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx hisconftabit, Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum fortcs, quantum dcbilcs, quantumlcncs,quantum uiri,quantum pucri,excrccri debcant;quantum hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quanlum tcmpcratc uiucntcs, quantum humidi, caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum non alfueti . his ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct, dciidcrarciurcpotcrir. Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco, dc corporibus acgris non hiturum lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B rcquirunt; tum quia fccundum morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum lpccics,atquc mcnfurac;&: iccirco ccrta rationc dcfiniri nequcuiK. Tcrminusigitur cxcrcitationum communis,qucm Galcnus,Oribalius, Auiccnna,&: Actius Hippocrarcm fccuti docucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori aliquantir.dcloclf fperpcrmixtusfcntitur, vcnæ intumcfcunt, atquc anhchtuspcrmutatur:cum cnimab cxcrcitaiionc duorcquirantur, mcmbro^ Ji.i.fcn.ij rum robur, &: caloris au(ftio, qui fuccos concoquat, concodos nutricndis mcmbris diflribuat, atquc dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio tanta fit, &: ad limilem tcrminum pcrucniat: ncque^« bcnc,ncquc pcrfcdc illaomniaobtincripoifunt, altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc, quamdiu color floridus ciusfaciei,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr, acquabiliC ter, &: concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm percipit . quod li calor cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior vidcatur,vcl lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius progrediatur, corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruantur, (imilitcr ubi motuum alacritas,acquabiliras ; ud concinniras rcmitri quippiam, collabiq. ccrnitur; utiquc llatim delincrc opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio, quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr, &: fcruuiiorcm cdi parcft,prout motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris autminor, aut frigidior rcdditur : tum fcito corpus cxhaunri, rcfrigcrariquc, &:ficcari plus iufto. &:proindc corpori cxcrcitando diligcnrcrattendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni lignorum aliquod apCyn.n.iiiica* 3 parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio dimittatur. Atque hi !> funt communcs quidum tcrmini, quos magna fc/e cxerccntium pars continerc dcbct . Succcdunt poftca particularcs, pro quibus ita dccrctum uolo, quod ualidi diutius ccteris (nifi quid aliud obftct) cxcrccripolTunt, quamuisctiamuircs aliquantifpcr fatifcercnt ; nimirum quæ facillime rcfurgcre poffunt. dcbilcs parum ccrte cxerccri oportct, alioqui i\ in his uircs ucl tanrillum pariantur,difficulter, et longo tcmporereparantur ; et iccirco fatipfis crit incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe cxcrcent omni cura fudorcm ctfugere dcbent; ncmpe iicci,&:aridiexfiftcntes, ita maiorem ficcitarem conrrahunt; pracrcrea c um iam dixcrimus, exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute congrucrc, hoc in loco fciendum cft, fcmper fcncs minus quam iuucnes (oIcbant> excrcendos cffc, omninoque lalfirudinis fcnfum cflugicndum, terE minumq. excrcitationis eorumfamisexcirarioncmponcndum, ficuti Socrarem iam fcnem fe exercirare, donec cfurirer, folirum legimus. Viri, fub quibus comprehcndunrur omnc^ inrra adolefccntiam, et fencfturem exfiftentes, moderatas exercitationes poftulanr: uel enim ofFendunrur, fi plusiuftocxcrceantur, uclpaucum omnino frudum capiunt, fiminus, uel utroque modoprauum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus communisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad tcrrium æraris feptenarium mulris laboribusprobefufficcre poflUnr . quocirca &: incalcfcere, &c anhclarc, &: ludare &: aliquantifpcr defarigari ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi imprudentiam cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus autem ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud ramcn raoduminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto minus, quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem inicmpeftiuæxcrcitationisduritiecorporis pueri,ad auftum, anatura quam maximc comparari inhibcrur auclio, ob quod pæi.Jtu.fa. dorribas nonnullos fui temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. equo pucrosexcrcerent .fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit Laconas,quinimijsIaboribus, &: exercitationibuspueros cfTcratos rcddebant, ficut &: illas nationcs, quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris gencrare ftudentes corumcorpora deformabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter eos,qui Olym* piavicerunt,duo, uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcentes> fi^ uiri fint ui inaniuntur, calor naturalis excitarur,&: pcrbclle conco^liones omnes pcrficiuntur. Dcmum uaIctudinarios,qui mox a morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione utidebcrc, ncmoignorat; quoniamhorumuircsinfirmæ ualde exfiftcntcs,caIorquc debilis, &: membracxficcata,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non fummum dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus muationcm,intra caloris aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^ quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq. crefcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes. Poftrcmo qui exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa confuctudincm dcponi deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie ortis fecundum Galeni confilium dcbent,alioqui periculum imminet, ne a fluxionum perniciofis morbis protinus tcntcntundcinccps primo parciflTimc exercendi funt pcr aliquot dics, poftea cxcrcitationis modus paullatim augendus, quoufque ad tcrminum illum pcrucntum fit, qucm inafl"uetis fufficcre,&: citra ullam molcftiam calefacere experientia docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) animaduerfo, omnibus immodicam excrcitationcm noccre, nempe quæ pucris incrcmcntum adimit,&: mcmbra colliquat, uiris inæp qualcs intempcrics gignit, atque febrem interdum, ficuti de illo Calc.^.dcimmodice excrccricoaclo narrat Galenus in libro de cauifis præ i/mp.cau. inchoantrbusjfenibusimmodicabiles Iaflitudines,atq. ficcitatcs pa rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni cffluere lacit. Quamquam Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro, vbi virtute medium eflc probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in cibo cont rariu mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy i VTns^lA^u^liQnsKcci iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2 vTnsSo^HQ &c quac lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis hæc fignafunto,dumarticuIicaIidiore cff"ecli fentiutun dumuniuerfum corpusaridum,&: inacqualeapparct ;dumin motu/enfus doloris cuiufdamulcerofifuboritundum labor coade,&:nonfpontc dimit titur;dum poftfudorcm pallor fuccedit,ficut in athletisimmodice cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor eftAriftoteles;duminfolita denique, prob. Si . f ji A clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota itaquc quantitatis cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta fit.Quod limulta particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no rata,aut prætcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod ad un ucriamartcmncccflariopcrrincat, circ,quia uclcxplicitcuclimplicitc a nobis comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum quanritaris tcrminum non cxprcllimus, quod a tcrmino illo communi pracfcripto corum mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. •PRÆTER locum, tcmpus,&:quan:ita:cm, quæ inobcundiscxcrcitationibusfununa curaobfcruari ^ d^t)crcdcmonllrauimus, adcft& modus,qui urin illisipfis, fic in plcrifquc alijs rcbus rc(ftc pcragcndis tantum potcft, ur, nili is adhibcarur, cctcra omniafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc crroiibusiam uia latilfimcpatcat . Qua dc rcmaximead huiustraftationis abfolutionem pcrtinct, ut modum,qucm anriqui in cxcrccndis corporibus tcnucrunt, quoquc tcmponbus noftris unus quifque fanitatis ftudiofus uti non linc fru(ttu potcft, &: dcbct, apcrtum brcui fcrmonc faciamus. Modus igiriir,quo uctcrcs ad fanitatcmufoslcgimus, fuitis, qucm Oribalius Pcrgamcnus lulia^.coiic. ni Impcra. mcdicus, Actius Ainidcnus, &: Arabum doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt. Virinamque,&:iuuencsexercenLi.i.for.j di ubi Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum cxoncraucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr, ^'ufqucquofloribuscolorin fumma cutc refidcns, &c arruumflexibilitas, arquc ad omncm motum agiliras pcrfuadc bant ; pcrfiicati olco dulci mungcbantur ;quod urmagis ariusquoslibcr pcnctrarct,manibus undccjuaquc prcmcnribus,&:cxplananribus apponcbatur; abundtioncqui luctatione cxcrceri uolcbant,autpancratio, pulucre conlpcrgcbantur, alij protinus in cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri uiilior,atquc grariorapparcbac,dcfccndcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum quicfccbant,dcindc fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore cradcbant,quo fado aliquando rurfum fricabantur, iTroi^gctnwTiKH didta fridionc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc-liU5 Cclfus tcfUtum facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicbantur Lib i.Sci bis bon.& ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto, lucido, et fpatiofo, rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque hic totus erat modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars liberorum hominum,&: eorum qui valetudini curandæ, et bono habitui comparando folemniter incumbebant, frequentcr utcbaturNecquifquammiretur,quomodo liberi hominesfingulis diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs, ncdumclarioresquotidie defricarifolitos, multi audores,& pracfertimCoIumella memoriæmandarunt.de quo defricandi morc,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando tradationem huic adijciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos ahosexftitifTcqui uel negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs uariarumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa€ci hoc pa£lo minime excrcerentur, fed fridionibuSj&undlionibus ^ dimiffis^quafcumquc poterant exercitationes ample£lerentur;ficuti &: multi reperiebantur,qui pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo exercitationibus uacandi otium habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^: fanismedicamentis opus cflb tradit Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra gymnafia illa ob exerccndi com moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint cflc%neque gymnaftas,&: pædotribas,ncque aliptas,&: reundores habcamus,a quibus fricandi, ungendi, tandemque quomodouiscxercendi modos,atque commoditates quæramus, fat erit illis,qui aliqua neceflaria oc cafionc impediti Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam habcnt, ut potius quomodocumque poflunt, excrc eantur, quam fcmper in confummataquietedegant; modo tamen hoc unumobferuent,ne ftatim a cibo excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc uolunt, ^ folicitcnimis adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam minimum ficri potcft nocumentum inde fcquatur . Porro quifuæfpontisfunt,&:maioriocio propriorum corporum curæ Iibere uacare queunt,hæc omnia diligenter obfcruarc dcbcnt.pri mo u t corpus tum a fæcibus,&: urinis, tum a mucis, &: fpuris accurateemundarc,caputpcærc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne excrementa in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu cxcitata uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus nonunquam infarclxi,aut exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis obtcgant,quælaborcm ipfi fupcraddcrc nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc tucantunautctiam fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam indumcnramfi cxercrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl laboraruris in motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc, &ut motusdchita mcnfura ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita indutoru finc motu multo cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb. dirpurat,dctcrior cft co,qui a laborc cmanat. &huiusargumcntum p°t?o pl eft,quod ita fudatcs dccoloratiorcscuadunt, cu humor pcr fumma blc.j. ' corporis pairus,arq. incalcfccns ab cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,& indc pallorcm tacilc contrahat,(i mulquc corporis pcrfpiratio» a qua graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri incipiat,dcinccpsciusintcntionc augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar, atq. vchcmcntia rurfum pcdctcntim rcmittcrc catcnus conctur, quatcnus fibi iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia fcntict: na fiibito ab intcnfis cxcr citationibus incipcrc,non folum imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus . Quarto ijs,qui inpu!cp"iicpl ter excrccndum fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc madcfaclas cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potcrit in loco tcpido, aut tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido, ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla indumcntarctincantur,facile cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs imbibi, ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus) poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc: valdc remiflo potius aliC quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis abftincat,quoad perturbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab cxercitarione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &: icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocorpusa fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc, caputpcctcrc,manus &:facicm ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos motusincipcrc,ad cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc, madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara cxcrcitationis pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum cxercitationum naruras, arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquenlibus libris, quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~ rDeordine agendorum\(^ den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab excrcitationii particularium cognitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda arq. vniucrfalis methodiis, quafupcriori Iibro abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpoffidcreturi Ita proR do illa infruduofa,ac prope modu uana cuadcret, nifi hæc parricularium fcreomnium exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur ; fiquidcm incerta, ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio vniucrfali quodam padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis cxercitatio,quod nocumetum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,proculdubio nihil amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis animum expJere iure debeat . £ t iccirconcinchoataanobis gymnafticæ tradtatio impcrfc(flarelinquatur,infcquentibusfingulos exercitationum iamenarratarum effcftus profequcmur; atq. hos cum ex antiquoru audoru comprobatis experictia rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth. ef e ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dicere conabimur. Et ne citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain F corpora humana cx unaquaq. exercitationisfpecie emanatia,deindc mcomoda figillarim explicctunna illud, quod quaplurnnis mcdicametis eucnirc ufu c6probatur,ut fi alicui corporis parti,&: affeftui profunt,alijs noccar, in cxercitationib. item contingere, nemo ignorat.lnexplicadis præterca utiliratibus,atq. danisamcbrisfupcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in ultima,atq. infimaferiatim terminabimus,prius tn iHis enarratis, quæ nullum corporis particularc mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertradatis,duo me faltcm pcradurum cfsc fpcro:Altcrum cp maiori facilitatc,firmioreq.cognitione quicumq. hacclcgent,animiscorum infidcbunt : Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis excrcitationum alfiduo dclcau, uel nulli crrores, ucl quam pauciffimi committcntur,ficquedemummulticorum pcrnicioforummorborum euitabuntur,c[uos dcCdia, laborum abftinenria,ac cxercitarionis ignora tio non conrcmnendos, quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus continuoparcrc foletiillud namquca narura compararum cffc norunt omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr conduccrcanimaducnunrur, cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo paclo,ucl prauo ordinc, arq. omnino importunc adhibcanrur . quod ctiam m cxcrcirarionibus iplis fcrc conringcrc, iudicauit Galcmis,ubi lcriprum rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop ^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^ quin inrcrdum Naturac in ualcrudine commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum cxaducrlo iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc natiuamfanirarcm corrumpcrc, qui ncquc ante cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac tcmporc fcrB uariscxcrcitarioncsadcunt. Cumiraquc taliordincquacad nniucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr, pracdfclrs adiungcrepropoLtum mihifit, id anrccetcrapracfariopcræprcriumcllc duco, nos in fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincuratiua,fcd in confcruariua mcdicinac parte collocafsc. Hr tauK"omncs uctcrummcdicorum(cs.^tas, acpracfcrrim Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas, Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in multis fecurus tuit, nccnon Coclij Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^roclarillimc iQrclhgcrc liccr.quod fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum fcetafuntimirati,magnacx parrc confirmarunr. cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs cTrahc quis putct, ira fcnrcntias noC ftras accfpi dcbcit uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter circa fanitarisconfcruarioncm ucrlari, ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa ctenim cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir, u(l]uam rcpcrics,quin iii /aniscorporibus abfqucnoxaadminifti\ uiqucar,atpaucisquibuf. damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac limilibus, ulx uha, aiiraltcra inuehihir, quc ægroratibus impune conccdi qucatiimmo illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs commcndantur,cum in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani ualcrudincm rucanrur, optimumquc corporishabirum inducanr: macgrotis vcroiccircocacdcnuidminiftrenrur, ur morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum inftar coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^ tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq. icprchcndar,ra(|tiam' gymnafticam foli conferuaroriæ inferuire ftatuerimu5, quoniam,D &:nosrei ipfiusnaturampræ oculishabentcs,ita dcterminandum cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti js alliduis,alias morborum coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm uirifunt,fedreucra afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfuperhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo, quod licetinmulcis excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo, qui hodiein ufucftfere apud omnes, ucluti pilæ exercitatio, luda, difcus, pugnæ, atque fimilia ; nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua recedat,folifq. accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc eofdem eflfcdus, quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu, aut altcrum obferucmus, antiquos undiones, ac pulucrcs in multis excrcitationibusadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifæ ciunt; aique hoc multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua2. S dtælitates,quando dc his Hippocrates verba faciens fcripfrt, cxercitata. iuxta tioncs in pulucrc, atque oleomagnas diflcrentias fufcipere, cum puluis frigidus fit, olcum ucro calidum, atquc inde oriatur, 9 hyeme oleum corpus magis augct frigus prohibens, ne quid a corporc demat : Æftate uer.o caliditatis exceflum facicns, carnem liquar, cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus calefiat;qucmadmodu exaduerfopuluisinæftatemagis augct feruoremæris,&:corpo^ ris rcmittens,in hyeme autem f rigus,&: algorcm inducit.præterea maiorparshominumfcmel duntaxat in vcfperefaturabatur, noftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum refcrradiuariandas cxerci tationum condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis exercrrationibus æquum iudicium fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones,& quid uiia dici faturatio importent^exaæ penfitare >ro^ tumque illud noftris adimcntes,in reliquis eofdcm,ucl parum diuerfoseffcdusexiftimare. De Jingulomm exercttationis diff^eremiArum eff^e^ihus. IL RES præcipuas cxcrcitationum difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat, quarum prima excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium, altcra (ic7ro6i§ctmvriKh y icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupata . Excrc itationcm pracparatoriam, fiKultatem cogendi, meatus corporis denfandi, eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcriptit pfit Galcnus. quadc caufla;ulilctæ,qui Jcfirarc corporumfudo3 ^ta.va, ics impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc fludcbanr,antc "^jetuc. jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia utcbantur.quam ircm ufurpaual.c.3. * bant quaplurcs homincs poil coitum,ut laxirarcm corporis in motu ucncrco gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras /aris a fomno curarctur. cuius rci yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum mcdicum grapf^^-^uilllmc difpurar.ficuri quoquc Paulli fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc confucui,dum is conrra ipforum placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum cibum inucfpcrc antcquamfo mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod lalTitudo cxcoitu contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. ExcrcirationcmapoB thcrapcuruam ram pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab iramodicis laboribuscxfuita cmollircmcatusq. corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta Galcno: un j.detuc. dciure mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll uigilias,poft nucrorcs, a quibus corporum mcatus clauduntur, uircsq. non parumdcprimunrur,urplurnnum adhibcbarunin ijs quoquc commcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob uirac negotia cogcbantur illos dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac diffcrcnriac,quac ab cxtiinfccis dcfumcbantur, cos ctic(ftus pariunr, quos locorumipforum,aquibus fumunrur, condicionesproduccrc pofl*un::& idco,qui in calidis locis cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm conrrahunr,ficque dc fingulis. corpo^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta facillimc difponuntur ad im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs . De diffcrcntijs ab utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj) cxcrcirariones pcrpctuac, fiuc continuatac, &: acquabilcs magis dclaffanr,quam inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft,ac acquabilis.inacquabiicTTi ucrononidco fic dclaflarc,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus partibus dillriburus a lingulis minus fcntitur : quairidcin rarioncmotus inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururamprohibcnr,ficcitatcmq. arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia23« 1. extrinfccusadhibito acceptam rcferebcit, QuæcumpuIucrefiLirit D excrcitationespracterquamquod frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque,ne ludor itafacilitercff?uat j neucilla tantopcre i^tuva ma apud antiquos fuerunt gencra, quæ fere omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata efle cum conftet, fuperuacancum foretfingulorum eflfedlus percenfcre.proinde fateritillaadnotafTcin quibus a,dc difta pracftandis,&: cun£la illa conueniffe, atque etiam noftram conueni propter ii rc ucriftmile uidetun;^tifow/4/flf(/ etcnim fiue manuum gefticulatione attcnuare humores,atque furfum carnes trahcre,placuit Hippocrati fiuc Poly bo.quam fimilitcr in inuetcrato capitis dolore,ubi P^ulLiba.cun latim malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti, &:in uertigi^^''^' nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quæ motu uniucrfum corpus calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoCribus ualde accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat, crudosuc humorcs aggrcgat, utile remcdium exfiftit . prætcrca labantcscoxas,infirma crura,malc tutospedcs,vfq. adeo confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc auxilium pracftare queant. nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcitatio in cxtrudcndis a rcnibus,fiue ucfica lapillis. Cæterum quod p-gnatibus mirum in modum noceat, tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici mulicri,quacne calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut faltarer,pollicitus ea faltationc concepjtum corruprum iri,vcluti poftea contigit. Quicunque vcro caput debile, ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium habcnt, proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis ofTenduntunfimilitcr oblæduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui eucnir, acinrotationibus,in quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil omnino vidcant,atquc interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados habcntes,fcminisq. Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc cauflaincurrcntcs afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum affca:ionescxmotu calcfacicnte magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta intclligantur de ea faltationis fpccie, quam antiqui fine armis obibanr.quod h quis armatæ,quarn vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc modumucrcarq. brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quæ ab iUa gignuntur ucl bona, ucl mala, cadem ab hac eftici, nifi quod armara uchcmenrius membra cxcrcct, magisque illa in%.itvi.u. calefccrc,&:fudarc facit. ob quod Galcnus intcr uchcmcntcs cxer* ' citationcs non in poftrcmo loco pofuit,dum quis graui armatura te ausceleritcragitatur.. J41 DtluJorum ptUe effe&ibus^ Cap. IV* Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum npud Latinos, tu apud Græcos cxilitiflc fpccics, abundc in fccundo li Ca.4. et i ^ bro indicaui mustcx quo nullum opcrac pretium cu hoc in loco,vbi folas cxcrcitationu qualirarcs cxplicarc pro pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud duntaxatanimaducrti volo,quod &: li noftra hidorumpilac gcncra vctcram gcncribus undcquaque non rcfpondcant: funt tamcn magna ex partc ualdc (imilia : &: ideo corum commoditatcs,atq. nocumcnta lingulatim cnan arc ftudcbi mus,ut fada noIlrorun\ cu illis coparationc, quid confcrant, quiduc noceant, utraquc fimul cognofci poillr.fcd nc tratfiatio ifta confundatur, iicut alias fccimus, primo graccos ludos, dcindc larinos 3 profequcmur codcm ordincquo (upra ufifuimus.In co ctcnim c6ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q» Li.r.rcn.ifortcscxliftut. Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ludis comodum pcrcipi*ur, quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc cxcrccnt,promptiorcs ad motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs roborctunpcculiariter ucro paruac pilac cxcrcitatio intcr ucloccs citra uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq. i^aulhis,cuius me ^^: ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum fuit,atre nuat. ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu» dio in gymnalio duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruæ graccorum pilac fpccics,fccundum Antylh fcnrcntiam, carncfoli^^iidl!" damrcddit,brachijs,dorfoatq pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j». pracftat, cumquc in ca cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon parum proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilæ fpccics pracftantiliima rcputabatur olim, q> corpus fanum, &c promptum ad motus cum roborc coiundo pracftat, adfpcchim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia vcrofpecicsoculos, atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac currcndo fiunt, comodum aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat . His poro omnibus paruac pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co, quac (jalcnus in libcllo fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp tumanimoruin virtutcm pariant, tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo bonam corporis ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac fpecics prima fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra matcriam uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus partibus, non ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc luR 2 do 242 Llb.^. dofermonettthabuineputo Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti. curationc priapifmi fphæræ exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum retrahatur,& fpirirus flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quæ plus iufto magna pila pcragitur dum proi jcirur,&: urraq. manu proprer magnirudinc cmitritur,brachia firmar,fccl nimis duras plagas infert, ob idq. non modoægroris, aut conualcfcenribus eftinutilis,ucrum eriabcneualenresimmodicadefatigarione afficit. Inanis pila,quam rerria effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua curritur,atramcn non admodum facilis cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt. omirrendæameffcconfuhr Oribafius ex Anryllifcntcnria. Pilæ, &magnæ&: paruæ cxcrcirationcm vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areræus,quonia capiris,&: oculorum circumuolurioncs, arq. inte' tioncs uerrigincs afferunt.Coryci excrcirarioncm inrcr vcloccs adnumcrauitPauIIus, quascum didum anobisfit corporacrafliora E lib. V chr. aricnuarc,fumma rarione Cochus Aurehanus ad diminuenda po•culf. lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis corycomachia uocari i.dediæ. fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor) Hippocratc,qui corvcomachia,&: chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir. Hoc excrcirationisgenus iudicauit Antyllus mufculofum corpus rcddere, roburq. afferre, et prætcrca uniucrfo corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit, omnibus vifccribusidoncum cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm laudauit. firamen quis plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr, facilc fcnriet,eos, qui pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc periclicari,& quan doq. contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq. rot,siir q dc pilac Graccorum ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut lufus Larinorum gcnera,quæ &c ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia in ufum fanitatis rcccpta fupcrius dcmonftrauimus . Horum primum locum obtinct cxcrciratio f ollc acla, quac uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs impcllitur, dorlum in primis atq. li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^* ucrbafecifscexiftimo, quadoin cpilcpticishumcros fphacrac lufu excrccri mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior utilitas contingit: ambo tamcn uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica cxrrudcndis mi rificc confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui confirmant . Nam Auguftum, qui huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.& fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius) adamafse opinonqcf cum præcipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam aluum habcnt,(Smqucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclesproy. partlc bauit, vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e P^^^b38pcrfuadcrc conatur, quoniam elatus, atquc pendcns corpu.^ fupra lc totum fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc paricti admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs poti us qua ambulantcs cadamus.Curfus præ- P^"i autcni, licct humorcs ad infima la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n pila fuper pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium fpiii :um anhdum, arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis, qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus. Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih. fcr, dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re. fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd. cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele, eos, qui non concitate admodum currunt, D numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur, modumq, refpirandi fenfibilcm præftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel in bubonibus, ucl alibi rupturas patientur, curfum cauendum præcipit PaulIus.Ad hæc ardorem urinæ ex curfu au-, &c hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum vf- que adeo huiufccmodi ardorc ftimulantur, ut, nifi mingant, facilc capiantun quam rem animaduertentes fagaces uenatores,eos pro- fequuntur, necmingendi iplisporeftatem faciunt. Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon renibusmale afledisinimicum efte, lib»4.c.«* tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio Rufo.Atque hæcom- niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro }bidcm qu^'^ idfilentionoefTeprætereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf. ptumnobis reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus maxime corripi, ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea potiflimum conuelluntur, quæ in par- tem contrariam vehementer trahimus, atquemouemus . unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti quisob uiamfactusobftirerit, accidicut in partcm contrariam earetor- queantur, quæ adhuc ante pertendunt, atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto vehementior incidit, quanro curfus conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila ad anreriorafadtus, atquelongus i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum eius fenrcntiam fi fenfim fiatjcalefacit, &c carnem dirfundit, ucrum corpora rardiora, arquc craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem præftar. At re- Onb^Ciui curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer mitus,capi- Lococita. ti^ocuIis,tendinibus,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus, arque p utiliseft; iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun- i.dcdiæ. dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit carnem, 6c ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare in fe iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur, qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq. utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq. thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia ucro caput uchcmcntius afticiunt, uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles pcrrurbant ; perplanacur- fus illa omnia præftanr,quæ iam dcclarauimus . Ccrcrum qui rc- tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant,. 25J tc carncm calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis dolore la borantcs,utuc{litos currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum Thcodorus Prifcianus lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis pcrao: um althmaticis prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora cfticcrc ; quoniam finccrus fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm fpiritucxcrcentur;audorcftHip- pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui ftcUas dcficicntcs \^;'' in infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore humidam ac pi- tuitofam factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc figni ficctur.Qui pono nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum copiam clicmnt,ira gcncrofc pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq. magis deurut.quocirca Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti prodicrit, criam fi mmorlit,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc prompfcrir,argumcnro illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq. colorariorcs rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui locahbcra, &:adfpiratiora incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn tiatencnr,fic ctiam fcipfo quilque colorariarcft, cum uclurifpirituiafflanti placide patcr,quam cum pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod certe ijs accidit magis,qui vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc qui vcluti adftridi, 6^ propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico fomno rccrcaniibus colore florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam æftare ex vfu cflc crcdidir Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta libro.cx aduerfo Oribafius tnm hycme, tum acftarc mcdia conucnire fcnfir. cuius forfan fcntcntia ucrior mdicabitur, ii fudorcm quis " æftate magis, hycme minus procurandum cum Ariftotele arbitratusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc difpurauimus,ncc quidquamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus tradtationempcrcincat, ^icipræfit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr vchcmcntcscxcrcitationes, quacexrobuftaatquc cdcri componuntur,collocandum iudicauit Galcnus,&: pracfcrtim illum, qui (inc ulla intcrmiffionc iugitcrcontinuatur; qua dc rcipfum calorcm natiuumaugcrc,&: cocoqucndiscibis, crudisuc humoribusconferre apud omnes pcfpcctum cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori noccre 2^4 re cx eo conftet;quod in huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D hemenrcrconcuatur, alierumin inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus comprimitur, et ex comprcfflonibus mox uafa ram pedoris, quam pulmonis franguntur: ut eueniffe interdum nairat rMeth.a Gaknus, Hocprætcn afalrui communeincft,utgrauidasmulieIn prin.dc rcs abortiri facillime faciatrncqiic iftud ab Hippocratc folum,cetc '"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime edocuit, nimirum quac capreas,& cctcra brutorum gencra faJtantia firma'^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta, partium. quibusfoctus in utcro condnctur, d iim illafaltarccoguntur,faciliter difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foeminis ncquaquam conceHbrit, opinor cam co confilio id efTccifle,ut cognolcGrenthomines,dum nmlicrcsin uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc. Multac funt faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit, exfilitionem uidelicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quæ quodammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diuturnis capiris raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxionibus ualcntibus careat \ materiam,quæ ad partes fupcriores rapi-tur,ad inferiorareclinare, cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque trcmulispræfidiuraafrerre.hanc eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium,ubi Auguftum ambularefolitum, "^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim decurreret,fcribit, quafi fic infirmitati coxendicum femoris, et cruris /iniftri, necnon ucficæ calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu ucroproprie (kappcllato dixit,cummatcriaminfræxa(fliusdeduccrc,fed F quia thoraccm nimis, et uiolcntia motus, et magnis inflexionibus coneutit, ciusafrcdionibusminime conucnire; ucrumtamcn, &: nd motum, et ad adlrioncs promptum corpus ualdc rcddcre ; quod Li.i.c.ii. fi ad natcs ( thciatiir faltus,qualem Lacænarum mulicrum fuifle iam diximubvcaputjCxeiuCdem Antyllifcntcnria,peculiariterpurIi. T.cur. aat,&: pur2,andb ficcat. atquc dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I. o r 1 puto, ubimuctcrccapins dolorclaltum, et fimTrcttAvTou cc;wA«riy laudauit, licut, &: asomncs,atq. ncruos,uaIidillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione cfHcitur ^utafTatin; corOymna/lica. S pus 2j6 L pus calcfliccrchacc excrcitatio iclonca/ir,&: pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis haircribiisfarisfaccre uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs parrcsab ilia cxcrceri mc^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius rarioncantc ipfum Areræushucap.14. iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo capiris dolorc,qui paullatim finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin cocliacis&: ucrriginofis . Sccl Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam cxercirarc,fl:omachoquc,qucm diffluxio infcrtar, quiq. imbccillus cft, &: in quo cibus acclcit,fiuc cumhiborc concoquirur,accommodari fcribit^Iau Li.j.chr. darin arthriricis Cochus Aurchanus,urprimo manibus ccra cmol licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos palacttriræhalrcrasappclianr,tum primo ccrci,fiuciignci cum paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc grauiorcspro modo profcdus: Ga^.^tnen. lcnus cuidam, qui mordax, praccalidumquc fcmcn inrcr cmirtenva.c.14. dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat, inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus excrcerct,fuaK.p. cult. fir: quem poftca fccutus Aicxandcr Trallianusin priapifmo curando huiulcemodi cxcrcirationcm commcndauit,quod animaducrterct ipfam non modo ad rcrundcndum, infirmandum.quc fcirxn, ucrumctiam ad matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatudc comp. I^ntos digcrcndos conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum curarionc,nili quid aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x. cxcrcitationcmprobauit,proptercaquod fic impcditur, quo miepi. cg. humores viccribus noxijs ad parrcs infcriorcs delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur phicbotomia rcquirirur, ncc eas æras, aut ægrotantis uoiunras pcrmirtir jlocoipfarum fupplcrc iudicauir . Verum enim uero,ncq. capiri,ncq. thoraci fimiicin cxercitirioncm congrucrc uilus affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq. inacqualiter agitatur,aircrius autem uafi,nc ob maximam,qua brachia urunrur,uimaIiquo pado labcla(ftcntur, pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans Marriaiis,fo{rionem,quam Galenus,&:exercirarioncm iimul,&: opus fccit,ficur fupra oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus. lib. X4. Qlfi^ percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca foffa vros, Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera,Primum caomnia pracftarc crcditur, quæ iam cnarrauimus : Aitcrum ucro parttculari quadam facultarc crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac plunv bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c i;raucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus,ctficicdumuc, nc cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n, omiu fq. fupcriorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru excrjitarorcs. ur hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s criam cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts cjfcciil us. C^p. X. ^yr^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \ P^u^Ji^ omnino mcntioncm tac^tmi inucniam,ob idq. W fl forralTch^cusiftc dimirti pollularct i quoniam tau:cna (ialcnoprodirumfuir, diici iachim, ncdum cxcrcitationcm apud anriquos cxftirilfc, in jymnafijfquc ric ri T(;]iram, ucrumcriam inrcr uchcmcntcs cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo* cumobrinuillc, arquc hodic quoq. apud mulras narioncs in iifum excrccndorum corporum ucnirc, proindc ilccis ( utaiunr) pcdi* bus practcrirc iUum omnino nolui . Quo circa in priinis fcicnduni erit, hanc cxcrcitationcm, modoin ccrcrisnon dclinquarur,accomraodacccalclhccre, &:proptcrcah-igidis corponbus,arquc illis, quibus ucloccs excrcitationcs ncganrur, pcrfci^tc conucnirc, C nccnonimbccillos, ^ infcrioribus mcmbrisinualidos modcrntc corroborarc. cum ctcnim magni, atquc vchcmcnrcs obnixus in 16gius difcum proijcicndo rcquiranrur, fir ur uch.cmcnria motus, ac mufculoruminrcnfioncartus ma^is folidcfcant, 6c abcxcrcmcntis purgcnrur . cuius purgarionis mcriro confuluir quandoquc Ga^'^P' lcnus,uf, ii quando purgario, Sc phlcbotoniia rcqui rcrcrur, ncc ipiph! facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr, earumuiccpcr difcum IdCtj, cxcrcirario admittcrcrur, quac nimirum id pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c mcdicamcnrorum purgationc, cxoptarcrur: pcculiarircr autcmcxcrciratio iila brachia, lumbos,ac dcniquc uniucrfum dorfum corroborarc idonca cll, quac fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium agiranrur; in vcrriginofis quoqucab Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc cuirari dcbcr, quicuinqucautrcncs, aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil2 li liferuidiores, atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam difD lolutionemcontrahunt; huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfecitGalenus, nonraro difiumpuntur . Etnequiscredat,candcm cxercitationcm cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumprætcr li.i.c. t i. u^riam utriulque figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla' ' ratam, hoc quoque difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs contordonibusaltiusagcbantur, difcusuero, etfiinaltum proijcerctur, tamenlongitudofpatijiadationeperadti potiusmetiebatureo fcrmc pado, quo hac tcmpcftatc faciunt, qui fcfc in latcribus oblongis proijcicndis cxerccnt, in quibus ijdem effcaus uidentur, qui ohm in difcobolis uifcbatur . laculatio porro ficuti a difci iadlu par rum in ipfa proicdtione difTerrc uidetur, ita quoque uires fimilcs,&: adnocendum, &adiuuandumobtincrecredendum eft. quofit,ut pauca dc hac cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud miE nimefilcntio obuolui debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmyftcrio Acfculapium,atque Apollincm, ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros arti iacujadi tamquam Deos præfecifse; nimirum hac fcntcntia innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo næ ualctudinis confcruationi, bonique habitus acquifitioni ftrenuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs fpecies cffccimus, alias a iaculorum, fiue fagittarum uarietate defumptas, alias ab arcubus fcu baliftis,quibus illæ emittuntur, acccptas, omncscandcm planc facultatem polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis iaciendis cxercentur,hoc admonitos uchm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam fæpe numcro peritonacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confequcnshcrniasin fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft: cumquein emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori adftrido, atqueinfirmo huiufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq. illud igno. M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriæprodidit,PhiIoætem, lo ScS. dum cruciarctur, non fercndis doloribus propagafse tamen uitam aucupiofagittarumiaculationefaiiOt Dc Df deanjhuUtiomim qualitatiLus. [^ap. X L I vHumcft cxcrcirarionisgcniis, quod illis, e]ui fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum, arquc cognofccndum (it,quodq. ceccris quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc hominihus, omniq. rcmpoi e cxcrccarur, un-im proculdubio dcambulationcm cfsc ncmo ncgabir : fiquidc nulluscll,iiuc pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non modocam pracftantiirimam, fcd folam cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ramcn rcpcnunrur, qui ucl rarionc,ucl longo vfu, quibusqiiacquc corpons parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc animaducrttrint :id quod cucnifsc cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs, rum ob poftcriorum hominumincuriam, qui &c in huiufccmodi rcbus, &: in B quampluribusahjs anriquioribus ncghgcntius, atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt . Quamobrcm opcracprctium faclurum mc cfsc fpero, ii, dcambulationum fpccics praccipu as rcccnfcns, confcqucntcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i cfticcrc valcar,dcnionItraucro. fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari cupio. Primumciuodfacpcmucnirccft apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &: Latinos, praccipi fimul ambulationcs, &c cxcrcitationcs ; quafi illac ab his fcpararacncc cxcrcitationcs linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut lempcr,dum iplas lciungunt, fub nominccxcrcitationum, cas, quac propric ita appcllantur, fignificcnr; cum ambulationes.communitcr, dc non propric c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc. primo tarda, dchinc mcdio tcmporc fortiori, arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct ^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs non raifchiadicosdolorcs 6c podagram gcncrari, fcribir Galcnus ;Hcii:i cx adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p ^d.^t^n^^S &: ulccribus ini> 4 ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj et Celfus, ubi deambulatio] nc molli rtramine,coæquato folo pera£tam iplis commendauit.debcnt cnim(vt fcriptu cft a Tralliano)qui podagra, et articuloru affedionibusturbantur^fitTf/fiyc, kottov Trohhoti moueri, potilfimumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo hismaximcaduerfatur,utquac articulosplusiufto calcfaciat,&:inflammct,ipfiq. aliam rurfus matcriam cx longinquioribus particulis ad fe attrahe tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr caufllim fuggcrant. Multa deambulario lccundum Antylli fcntcntiani iuuat cos,qui caput,ucl thoracem male afTe^ttum habcnt, &: a quibus infcrnac corporis partcs non nutriuntur,quiue in excrcirationibus uehcmctiori motu egct; pauca ucro prodcll ijs, qui poll exercitationcs non lauantur, quibusacibo dcambuIationibusopuscfl^jUt isin fundum ftomachi dekendatj&quibus grauicasin corporcfcntitur. Longa,&:reda ambuIatiominorcm,quambrcuis, molcftiam parit, capiti prodcft :ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc Cornclius Celfus cpilcpticis curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc' uidicauenntiat nmiiscxlugit humiditates,atquc exCeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito accufandus cft Thcmifon, qui atrophia labochronic/7 rantes duodecim ftadiorum fpatiu grcflfu conficerc fuadcbat. Longa,5d concitata fingultui comprimendo,fccundum Actij fcntcntia, rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis fatigar, cum ( vt diccbat Ariftoteles ) cx motu, &: quictc intcr rcflectcndum orra conftans diucrfitatis illius opcra laborem inferat,ita quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput labcfadbt : &: proptcrca ab codem Coelio non fine rationc cpilcpticis damnatur;cuiusrci cauflliambulatio quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt pote quæ caput ucrtiginofum redProbl.38. dar,&: oculis uehemctcr noccat.Nam CafTuis mcdicus antiquus in liDelloproblcmatri,qucm graccalingua confcripfit, caulfam indagans, ob qua motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non generent, fcd folum circuIarcs,ob id accidcrc dicit,quia motus rccti minimc difllationem matcriæ impediunt, circularcsucroea ficri nonfinunt, quod ær vchcmctius illifus prohibcat;ad hacc matcriac intus agiiantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatæ,neque forasprodire ualcntcs motu in capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc iilerici omncs externos fapores amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in ocu lis patiuntur,quofcumquc colorcs rubcus iudicanr,fimilitcr in circularibus motibus,cu in oculis humorcs in orbcm aganrur, omma cxtcrna circumfcrri uidentur,ficque vcrriginofa paflio oboritur.Ex ambulationibus,quac cum intcnfionc crurum calcibus incumbcndofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab Antyllo, capiti malc aftecto conucniunt,itcmquc thoraci humidiori,utf ro conuuIfo,purgalioni lupprcflac, parribus infcrnis ab aHmcnto fruclum non capicn tibus,6c oninino quibusmatcria furfum rcpit. Quac ucrocxtrcmis digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric lippicntibus, &:aluo fupprcflac utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt, cum fub aliqua fcmpcr pracdivitarum diffcrentiarum comprchcndanrur, ipfarum cciamfaculrarcsobtincrcrationi confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo motu dcfumptis. Iterum dc deambuUtiomm qUAlitdtihus.. * NTER dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun tur,illac,quæ fiunt in montibus, aur adfccndcndo,aut dcfccndcndo excrccnt.li fianr adfccndcndo,ualdc profccto uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam fufiinenrur ab i)s,quacprnnum moucntur inftrumcnris,rcliquacorporismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl. ambulationcs pcr accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^ pcrdccliuia,ncc non fpiritum pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri fccundum naturam cll, fic fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris narura,quac nollra prouchit corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr accliucprcfsaoncrc nirirur,acriusq. ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm mouct, &: fpiritum proliltit, cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil atfcrrc caullacpofTit, Q utdircda fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc fccundum Antylli fentcnriam ralis ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi- guum ducar,&: pracfcrtim antc cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum uice nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo dcambularcarqucintcrambuhldum orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus c(MUcntioni,qua oratorcs in diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro i:c nibusinfirmis eadcm ualdc aducrfatur;proptcrca quod diccbat Ariflotclcs,duadfccndimus,non corpus lurfum iaCtarc, diltcntio- ncmquc corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa, quac fc- cundum naturam in antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra narura f kfti rctro,ob idq. magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil,*nimirum c^uac, ex ciuldcm Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac inclinationcm ante aguntur, quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi- tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus acqualitcr conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sæ in acqualibus . Ar dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam utiles ijs funr, qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus inrclhgcbat, cum ambtilationcs,quæ in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri fcri^ ^ Oribaflus P^cas,quasin locis deambularionibus dicatisobimus.Hoc Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud Platoncmin Phæ- dro,ubi ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus præpo- fuir, dcquofupra larius difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo. ixiachusapud Xcnophonrem,quandoambularionem, qua ipfe ia agrumferuum cum equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadæ: præruiir. in his ramcn difterniinandis Ualde rcfcrr, numquid in praris, inlocisafpchs, an in arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc, tum proptcr odoriy luauitarem, rum proprcr humiditatcm, quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis afpcris caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus cft vchemcnrilTimæ ^ t^crciratioiu*s ) aguntur, magna cfficacia pollent ad omnes corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia Auguftus dum guih.c 80 coxendice,&:femore, &:crurefinilh"o, non fatis bcne ualcrct,im moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione confirmabarur. fic enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are- narum,&: arundinum rcmcdio ufum rradir,arcnarum quidcm runi ad deficcandasfluxionesjtum ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad contincndum,&: claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr, cdocuir Cato lib.dc rcruft. cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas parrcs dcduccndum, camque difTipandam potcnrilfimæ cxliftunt, &: idco malc fcrfiin a li.i.chro. Coelioraxatur Erafiftratus,quod dcambulatiohcin arcnofis locis wp.t. paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac ambulationcs, aut. 2. s.c^ fcrrim fi uiridia adiint, quod ralcs magnam fakibritarcm habcant : &:primum oculorum, quod cx uiridibusfubrihs, i^nc cxrcnuatus acr, proprcr morioncm corporis mflucns, pcrhmar Ipccicm, ^ ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm tcnucm, &: acutam fpccicm ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc calcfcar, humorcmcx mcmbris acr cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtcnuatquc dillipando, quod plus incll, quam corpus porc(Hullincrccxquo, ut inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus cxugcrcnrur molc(iiorcs,qucmadmodumcx rcrra pcrnchulas vidcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima, &:ornariflima fub dio, hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus acdihcia. Vcrumcnim ucro apud mcdicos fubdialcs hac dcambuC lationcs plunmas diflcrcntias obrinucrunr. nam quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc craifos liumorcs attcnuandi uim haOrihaflus bcnt; quandocirca flumina, et ftagna, humcdarc poffunt: fcd utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc has omncsin Hpilcpricis damnauir Arciæus,quando in mcditcrrancis partihus a^untur, qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc ccdunt. quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum, adlcuandum, haud fccus,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dcindcfub Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,valcrfccundum Anrylli fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum, 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda :itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Actiusincohcisdoloribus a trigida caufla ortiscommcndauir, fcd quac 2^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc lo€ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum inflrumenta hcberar,a!uum moJlir,atque addifloJuendum ualctrfi 7Gphyrisfpirantibus,talisambuIarioccrcris omnibus, quac in uento funr,prærtar: non enim habctinfuauirares boreac, quin potius manfucrudo fimul, arque iucunditasfunt coniundæ. Quac in Apeliote fir, mala cft, &: fciir, atque irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi 1^>"el inumbrarquainre audoresdiucrfafcntire repcrio.Cornclius Cclfus, fi capur fcrar, meliorcm ambulationem in fole, quam in vmbra cfsc dixir, &: mcliorcm in umbra, qua E parietes,aur uiridariacfficiunr,quamquærea:ofubcft. Exalrera parre Oribafius au^florirare Anryili dudusimprobat illam, ueluri quæ cffundar, capur implear, arquc inæqualirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri pracponere, nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis, &: Galeni audorirates tcftatum fecifscnr, folis radios humanis capitibus maximas noxas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant &c cliquenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quæcumque fint, femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere afsuemorb'^Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad euiranda capiris dcrrimenra non quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore, aur in fole peradam uerat. Atqui nonillud tacendumefseduco,fempcrcligi porius debere infolc ambulare, F quam ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter, ficuri præceprumfuirabHippocrateinlibro defalubri diæra. cuiusreihac Prob" quod cumftamus, calor pcrmanet, ficquc ampliuscalefacir. corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe conrinuo mirtit, qui proximum,&: ambientemæremtcpefacit, undc ær pofteaillc corpus calidius rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur, flatus excirarur, qui refrigerare nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Ambulandum potius in vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur uiridaria cfficiunr, quam quæ rcdo fubcft : quoniam ær aflidua quadam,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur. qui ær quoniam interdum ab arboribus noxijs infici, &: corpora deinde coraminare confueuir,ut dc nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriæ prodidit A PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr, vtarb()rcsrorcfui]u(;ic vitcntiir,qiioniam, fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib ambiilct,mcmbra tacilitcr lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum in nat. quacft. attuh t rationcm, quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar, arquc cxcorict, ucl potius^quod arorc colliquatis arborum iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs cxtimas ipforum mor dcat, arquc difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam (mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus lcgcndum puto) incilc pcrfpcctum faris illud tacir, quod ros bibuus gracilitatcminducit, ut mulicrcscac manifefto dcclarant, quacalioquin obcfac dum tcnuibusucftimcntis,autlancis rori collii^cndo opcB ram nauanr, co in cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus aurcm fcrcprodcritfubijsumbris ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus vertiginofis, ncmpc /ub arboribus myrro, aur lauro, aut intcracrcsC^ bcnc olcntcs hcrbas calamcnrum,pulcizium,thymum, mentam, maximc quidcm agrcftcs, 6c (pontc nafc cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin hac quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod, dum fcrc* num cft, tunc ambulatio lcuar, pcr halirum cuocar, arrcnuar, bo— namrcfpirationem,i^moucndi faciliratcm parat : dum ucronubibusobtcgitur, grauiratcmaflcTt, pcr halitumnon euocat, tandcmquc caput implct.Dc ambulationibus facicdis,ucl hycmc,ucl acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro quarto, ubi tcn^^pus cxcrCjp.n. citationibus accommodarum dc/iniuimus : fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc, ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri dcbcrc, ruin manc, rum ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrcdimus Antyllo/cgniticm afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat, caiorem augcr, &c appcti tum excitar : quinimmo Hippoi.dcdiac crates hanc candcm humidioribus tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc animac mca*tus occludantur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca captitlcucs,agilcs,ac promptas reddcrc, 6c aluum tolucre conlirmat, ucfpcrtina ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir, caput ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio,quod cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc, ac jjj, ^ ^^^^ rurfum conquiefccrc, &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus cxiguam ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc in fundum ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer, quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhuD cV.l*! dc ^commcnaauit, Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc«op.mcel. tacum, qui in uctufto capitis dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo dccomp.mcd.ubi dc dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum comcdcndum,ncqucftatim a cibo dcambulandum . In rchquis quo modo conucniar,non uidco, 6c proptcrea Dioclcm medicum anriquiflimum, &: cLiriflimumfatismirari n6pofsum,quod phthificos dcambularionc pofl Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti concoAionem ciboruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in humidirarcm conucrfos ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir, quonihiJphthilicis conringcrcpcrniciofiusporcft: comagis,quod i.dcdiaf.Iicct I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct : aluum ramcn, corpus, &c ucntrcm liccarc E confitctur: nciIlaomniainmcdiumadducam, quacdchuiulccgcncrisambuJatione fcripta funt in Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi conrincar, forfan aliquis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in pJuribus commendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^ tionc, iam cetcra aggrediamur. ^uos ereClum slare ejfefius partat. 'i^O S, qui pcdibus crcvfti permancnt, cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis dcmonftraui mu5,hanc rcm amplius in dilputarioncm rcuocarc prorfus ridiculum forcr. proinde, quot modis luicc cxcrcitatio uarictur,quosq,quacquc pariat ctfcdus, dcclarabo . Quod ctcnim ' hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat, Aucrrocs, intcr Arabas non inhmuSjfarisapcr6 collca. rcdixit . Qiii igirurtllud dcbilca narura, ucl cafulbrriori funt,"P-*fummo ftudio id cxcrcitationis jzcnus cuirarc dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis ) maiorcm, ciuam ipfa ambulatio^dcf-uigarioncm pariat : quibus etiam in rcnibus inflammatio, ud ulccra orta funr, ncftcnt, magnopcrc caucndum cflc, ccnfuit Rufus Ephcfius. Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos ucl hcrniac labor lolIicitat,uel i n cruri bus, aut fcroto, uarices dilatantur, ucl ulccra in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de cauffaoriunrur,quam fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaffetiucram tamcn cHc ipfa ratio pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs humorcs citra difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo ulccra gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam luucnalis pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici victoria furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs haru(piccm,ficunctis !nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat I)cu)non parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^ omncs,laboriofum uirucxftirillc,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat, ei uari ces, quibus afilis.'tabaf ur, in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios in llando laborcs, cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in hac cxcrcitationc non paucac diucrfirates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus, Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco tcporc, ucl multo cxcrcctur. A locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o folc,uel In uml)ra,&: hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur ftandigencra,quando uelunopede,uel ambobus,& uelijs totis,&:planis,uelextremitatibuseorum, calcibusfcilicet,&: fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi cxcrementis inaniendisauxiliatur,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat, ucntrem cmollicurinam prouocat, crura, &c pedes corroborat, &: fiquando deambulationi uacare non concedatur, illius uices fupplerepoteft. Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores, nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A fi^^il^^i^i^habct,utnonnulIi boues,&:cætcra animantia poncnfis (quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc, minusquccatary.partic. rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo, qui,fi alto capite dormiant,minus a catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui humiliori,&: fcre cctcris me bris æquali capitis fitu dormiunt, uel aliter iacent, minus a uaporibus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo cibum dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium magnopcre ftudendum efte iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco tcmporc cxiguumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro communi illo effato,Prandia poft flabis, indufti poft fumptos cibos ftaF r dclc61:antur,ij fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci borum in uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&: confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc, nec alioqui ullam cffatu dignam iæfionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita qui5pcrmanfcrit,prætermolcftiam,quaob ciborum intcrdupondus,prætcrla(fitudinem,qua exlaborc afficitur,variasitcm offcnfioncs fubirc cogitur.Primo namque maior vaporum copia fuperio rem corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad infcriora praccipitat, atq. indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras gcncrat,cicindc thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non parum Iabcfa&: totam mingendi athoncm uitiant, quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti ad . J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi uchcmenterincalcfcunr>dcbilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflcRufus Ephcfius, ne quis vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr, ftarct. Statio in vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad ncctitur,ut fit multa,vcl pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, et proindc qualicumquc adncxa rcpciiccjllius cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac ratione aliquid fccus non acccdar.hoc autcm dico, quia facpcnumcro umbra, vd cft locorum concluforum frigido^ rum, atq. humidorum; ucl noxiarum arboram, ucl alrcrius p"erniciofæ rei,quas omncs corpiis macularc, &: faniratcm dcftrucrc nemo ncgabit.c:actcrum de llantibus fub folc in hunc modum dcter minandum eflc, iudico, quod fcilicet Itare fub folc in æltarc fumg moperc calcfacir.immo fcnrcntia eft Ariftotelis, cum llamusin fo^f^ lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo^quc calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi confentancum crticitur,iuuamcnrum infigncualdcfrigcfadis corporibus indc accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac apud Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo fcdcndo,modo iaccn do, modo Itando, inrcrdum ambulando, inrcrdum currcndo : dc ^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio * adminiftrcrurnonpurgatoprius corporc,max:inum capirinocuC menrumaftcrr: undcfacpcnumcro mirari mihi conringit,quogcnio ductus Plinius maior,non modo purgato corporc,ucrum ctiam polUibuminacltarcfubfoIcmancrct, acdcindcinfngidalauare-rcpift tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs arbirror,quan dodixcrunt,ab illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,atquc capitisdolorcsgignir Namliantcaquam corporafolicxponatur, opporrunc cxinanianrur, aut /inc unctionc, aut cum unctionc ricripotclt:hatcura unctioncm,capiri diuturna frigidirarclaboranti fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius reddar, Sc ob idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcnCcciu.x. datur, modofit inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum ducir:pracrcrca occultas difflarioncs augct, ludorrs clicit, carncm confcruat^pingucdincm tollir, ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin hydropicadcprimit:ncquc tamcn iplu noxis fuiscarct, quandoquidcm mr)ra Cymn^flica. X quacuis 272 quæuis fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs, quibus calornacc^^apk. ^^^^ mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum cft,/pirilo. tumque crafliorcmjdenlioremue efficicns, afthma, &: orrhopncam i.^tu.va. exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem efredtusparit,nifi quod corpusexficcat magis.tanquampingui illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm totaminficit, nccnon carncm inftar caurcrij cuiufdam dcnfasminuspcr infenfibilem rranfpirarioncm cxcrcmcnra diuaporari facit. Li I fcr i*arionc huiufcemodi infolationcm ad minucndam polyfarcap!^*^^ chiam ab Ærio laudaram ccnfco, Vcrumramcn duo hic animaducrfionc digna cfle cxiftimo, alrcrum, quod medicos, ubi fub fole moram probarunt, prærcgi pannis capira uoluifle opinor,quoniam,practcr Coelij audorirarcm,& ratio,&:cxpcricnriademonftranr,capita derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc ofTcndi, ncmpe quæ fupra modum calefa£la vaporcs a toro corporis ambitu ad fcfe attrahuntjficqiic omncm malorumiliadem, &:præ cæreris cararrhosibi gcncranr : quod minimc,ubicapira teguntur, euenire fua.partlc. fpicandum cft, proptcrca quod,utfcripfit Ariftotclcs, indura corrdccauf' Pf^l^4"nuda,cum ab illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc hoc torum a Galcno fignificatum crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr ^uniucrfum corpus calcfaccre, qui uero induti, caput folum • nam dcmonftratum cft a nobis libro tcrtiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum,dumindutosfcripfit fub folc, capitctantumualde incalcfccrc dixit. Alrcrumanimaducrfionc dignum cft,quod, ficuri fedenres, &:ftanrcs fub folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiueporius deuri expeiientia conftat,quam ambulantcs,&: currcntesiparirer,& cæteras pracdiftas affcdiones, tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque hæc vniucrfa a nobis dida dc ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc namque calcibus innixos non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam nuUumiuuamcnrO cfTaru dignum pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui fummis digiris ftarcconantur, practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs illas callis molcftiflimis aflicerc compertum eft, &c pracfcrtimquandoquis co frcqucntcr vratur j hi fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre uidcntur, ut longins multis alijs profpciaare ualcanr, cuius gratiaab antiquis fpcculator, fiuc Apho.^ nia dcillis,qui non armari ccrtant accipicnda purcquandoarmatum ccrrarc inrcrcxcrcirariones limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpofuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus u nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci,) cclcrcm cirra robur cxercirationem cilc ludicauit, |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum ccnfcrc uili funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum rim aduc rfusliomincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope rc calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit proindca Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; dcinceps brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat .rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcitat»oneinfugcrcpracccpir Galcnus. magis cxcrccrc, l 2 &:unn 274 1 et uim maioi em corporibus infcrrcquam iftam: quonia,nt ab Alc D Prcb pcrbcllc fignificaium cft,athlera, fi obnitatur antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ; Un ccdat, ncquc rcJudctur, robur ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac corporibuspugnanrium armatis cxcrcctur, inrcr vchcmcntcs cxercitationcs collocada eft,quac cu robufta, &c uahda corpora cfficcrc dcbcant, iurc meritoNicias apudPlatoncmin eodialogo, qui Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv STTMi^yi^^wi&r,fiue armatum pugnarc corpora robuftiora, li quod ahud cxcrcitationis genus, rcd^dit, ncq. vllo aho minorem Loco cit. laborcmparit. Dehac quoque exercitationeab Antylloproditu ^ rcperitur,corpus ab ipfo ad morum aptius, et ad carnem fufcipicndam rcddi, uerumramen propriam atquc maximam cius pollicirationcmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm gignat, cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam £fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam, &: mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,præfcrrim quando galca plusæquo obtcgitur, cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon ignorari uolo: cTrhoyxtxlav, fiue armarac pugnac exercirationem, nc quis dccipiatur eandem effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo vo- cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur, ficque armati inuicem ludabanrur, cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram, fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac armata pugnæ fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „ hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, et fino- menGraccum hanc ipfam lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio, &c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quæ nu- dato ab armis corporc excrcetur,quæq. ad diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem, fed mollcm, SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis incidctibus,ac pungcnribus anriquirus agcrctur, uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror qiiantnm ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns, tucndacuc fanitati opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quæ liodic apud miiltas Chriftianorum nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc cxcrcctur, quamq. &:anti- quis, Su noftris tcmporibus ab uno hominum inimicilTimo Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod naquc non monachiam antiquorum, ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat, pracrcr multa in qnarro libroa nobis dc- clarata,hoc itcm at cftari vidctur, fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac cuiufdam inanis gratia, tum præmiorum fpc, fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn duccbantur : ifti ucro fpontc,&: nuUisco- gcnribus,nifi folius honoris uana quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus cxcufationc digni habcan- tur,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc inrcftinis, &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur, ad mc- Irorcm ftatum rcuocarcnrur, &: mulrorum anim.iSus,corporibusq. mcliusconfulcrcrur. At nc longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc fufficicnt, fi illud addidcro, quod Cclfus, Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius, Arcracus,atquc alij plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum fuiffc,gIadiatoris iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos. quam rcm poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm, quam ut ullam fidcm adhibcndam ccnfcam, li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum exercitatiomm qualitatihus* l II. VLTA apud antiquos cxftltcrunt excrcitati onum gcne- 1 a, quac quoniam non ita frcqucntcr vfurpabantur,ab aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo fcfc offc rt ri iK^6)^u^il%:ccci, ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue hituc jpccics aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam cxcrciratio, urCalcnus ^^^jl^gp^ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias quafdam cxcrcitarioncs ad- OymnaHica, T 3 numcrans nummn^acrochinTmum nominaf, facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum, Actium, Paulum, et Aui-. l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum obrinuifle, lill.fen 3*cicndijcorpora tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i hcndifacultatcmpolHderc, ut appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&: carnes /ur-. cap.Ti^^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale- Lib.4.c.4 num in ipfæxercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas- locQcitac, parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi- nigra,uel aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu e(Tc CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi exagitanrur, exercirarioriesmanibu speradasprobar. PorroUTrA^- ^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno inrercxercirarionescitraro- *oco cit. bur,6^crccntium,quamCraccihatcro. copiam, vcltrachc! ilmumuocanr,cxcrccri, vcrumramcniIlisma\imc vcrcnda clUalis cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capitcnoadmodum valcnt.Parictiam paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc loco volcnti pcrmirtar,cnira maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus maximopcrccxcrccbir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl malum punicum, aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcndbmpracbcar:quod ramcn arthriridi,aur chirajiracobnoxijsminimccongruct.Roburaurcm partium rum cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur abfolucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc riculum immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhibcntur,dum dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcrfus ipfum lc inclinct t larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs dcbilcs habcribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno fc conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu trahunr,vchcmcnrcrquidcm cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori vniucrfo comparanr:at pcriculum fubcunr, nc thoracis vafa aliqua rumpanrur iplis,ncuc aur capur,aiit collum malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud vcrcrcs inrcr ccrcrascxcrcirarioncs habcrcnrur, nihilominus haud ira in frcqiicnri vfu fucrunr, 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non fincluauirarcquadam fanirati opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr, qui ipfis vranlur,qn )v.jn')d' ' rario,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De D Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^(df. I V* I #n K-K^ ETENTIONEM fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio' * nisefTccumabundc inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii C gamnonfacilerepcriri,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi quod animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcitationemufculosabdominis, aque thoracis ualentcrintcndi, &:fu^.partic. binde inpartibus interioribus calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriæ prodidcrunt,eam non riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^icare poflTumus : &: propter hoc iure ab Hippocrate didum fuit, ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus mcmbrafpirituamcd.c. 87 lia calefaccre,corroborarc,&: cmundare,necnon anguftas cauitadoc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod etenimfpirituscohibituscxpurgarc thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui in.ipHi rctcntione undiquccompulfus inanguftosfe rccipcre meatus cogitur, cosq.li ampliustrufus, propulfusq. fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque extcnuati iam agitationc cxcrcmenti nonnihil fccum arripcre, eo propemodo,quo intucmur opificcs angufta inftrumentorum foraminauchcmcntiore fpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis quanto ulterius pcr uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quæda impelluntur, qiiacdam trahuntur, nam truduntur quac antc occurrunr,attrahuntur quac ad latus funt pofita, impetu ipfo motus vtraquc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru cauitatcs cuadant latiores,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc locatur, fanc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, et dcipccps fuprcmo laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race prcllo,necclium cft ærcm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^ infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc,modoinfcriorcs dum iUuc impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis amplificantur,pedoris partes cmundantur, ipfæq. atque etiam aliac intcriorcs calorem ici O^nip. ^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs, &:prac{crcim inflaPr^? tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato fubpcrfona Eryfimachi li.d mcd. ixicdici,nccnon Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohiifbroT.d^birumafmgultulibcrarc. quorum placira fccutusGalcnusabco^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain tuffim afrigida inftrumcntorum rcfpirationis intcmpcric conrraiftam cxftlngui tcftatumrcliquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx tali cohibitionc anguftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun &: ab auribus cxpcllunt : limilircr obftcrriccsiftud rcftantur,quacad parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIcriorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata,liucartcriarumincui[Lli\c. ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus, nccnon pupillarumin prob. 48. oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar Ariftotclcs fpiritu rcicnto mdiusaudirc nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum qiiCndain moucr, quocum careanrrctmcnxcsiUam, mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i C quanuiis CalTius Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur. Exftar ircm Plinij aucronras,quod cucrfos,fc anclcnrcsq. ac iaccnrcs, fi quid ingruar, conrraq. i(ftus,fpiritum cohibcrc fingularispracfidij cft. Si igirur afpiritusrcrcntione rot commoda xjriri conftat, prudcnrcrfanc Coclius Anrclianus ipfam allhmaticis, ftomachicis,arquc licis'^|^^J"^*y curandis cgrcgum opcm pracftarc lcriprum rcliquir.Ncquc ramcn ub. ^.c. huic ranrum tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam ipfam aliquacx parrc obcflc credamus,quandoquidcm Afclcpiadcs capur opplcrc rcfta lus cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa fuit . Ego vcro illam prorfus non cfTc rcpcllcndam puto, quoniam manifcftoconfpicimus, dum fpiritus rcrinctur, ucnas,atquc artcrias colli intumcfccre, oculos ampliiicari, gcnas ac uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm ruborcjn, tandcinq. caput totum compati : quacomniailJius rcpktionijs cUra inditu clTc, ncmodubiiat . txquohr,ul Dioclcin Dioclcm tota uia abcraflTc pro ccrto tcncam, dum fpiritum rctcnD tk.i.«a.4. tumin epilcpfia curanda praclidium afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem aflfcdus curationc fpiritus rctcntioncm uitari debcrcuoluitjCumccrrum pcriculumimmincar,nctuncfanguincad caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In fanguinis CgcUi.a. quoq. rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram inucnio,quibus aiTcntiri cogor^propterca quod rum a calore in pe(floris cauea gcnito,tum cx uaforum inflationc,diftenfioncq. facilii mc debilia,&:rclaxata vafafranguntur, frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui veliierniasjvel crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum, atquemteftmæxrilia,&:fragilia ab ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo fpiritu cxcrccri debcnr, quoniam hæ partcs in aclioneifta uchcmcntcr contenduniur,& pcr confcquens, nifirobuftæ fint,citra mulrum laborem diuellunrur,qucniadmodum apcrtifii^ mam fidcm pucri faccre poflunr,qui fi interdum nimis quam par iit flcndOi aut aliquomodofpiritum contineanr, protinus ijsperitonæum, fcrotumuc difrumpicur, 6c dcinccps intcftina dclabcntia, aut flatus intercluii,uix fLUiabiieshcrnias pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus, &c cantoribus, dum nimis fpirirum retinerc conanrur, facpenumcrofolet cucnirc,&: præfcrtim quando illi wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de mot. mufc. fccundo in finc, ac 6. h\nd. com* 4, tex.24.&:dcquonosin varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus, cum itcrum librum cum rccognitum, atque auclum propediem dabimus) fiue edidum ficere uolunt . Vna feruata ratio ab huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi modcratc, aur potius infra mediocritatem (imilisrctentio peragatur, ubiagcnda crir: alioqui pcrfici nequaquam poterit,quin prædida incommoda fc^ quantun De ^octs exercitAtiomm fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS multas,fcd unam præcipuam excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci t«i^ (cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcmarc mancbif,quod luiiufcc cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^ go prima uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| 6'. tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, et Auiccnna codiciocft,quod thoUn, raccm,arquc uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr\-^V'c.s rocs pulmoncm propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d. calorcm augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar* "J,';j^* tcs, robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, ' Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus, quam cxfufflatus collidirur, artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs uctullioruhumoruunicuiqucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin pracdi£tis uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro firmarur calor, 6c artcnuacur, quv)niam uafa abftcr^^uncur, nuilti humorcSjUt fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcacalorcmobfcurabant,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr, iracduda cundcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc linquunr, &c hinc pollca lolidis partibus maius robur,maiorq. impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc habcnt, racioni confciuancum clt, ijs, qui humidirarc occupatas inrcriorcs parres,quiq. uniucrfum corporis habicum frigcfa^tum habcnr,uociicraciorH*ni gcncrofum praclidium cxliftcrc.qucadmodum.illisprcdictis racionibus cam ab Anc) llo, CoclioAurc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis, uomcncibus, acidum ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus, atrophia Iaboranrjbus.languidis,cachccticis. hydrC'picis,althmaricis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti dolorc uexa tis.apoftemara in choracc rupra habcntibus, mulicribus pracgnantibus,picaobfcllis, autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci^/j^^g^'^ busad parcum tacihus cduccndum,non minus n,.chro, affi.iunt,quamcorporis immodicacgcftationes, luuatmfupcr clacap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc cxcrccrc uolcntcs alas fibi ipiis litillari facicnt ; probi^ «!' ptcrcaqnod magnusinillispartibns ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat, quac tuillatac concalcfiunt,^: fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud Graccos hicfcnarins. j t Ato; HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv, i d c ft Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmtalis,practcr immodcraram fpiriruum ctiulioncm,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc, nonraro,fccunduiii Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm rcfolurioncm indncir:qno. p|^^*|; niam uiralis uis,&:inlitus calorimmodicc foras prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac rubcantfangninis adncntu : calorcm crciiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr loci appctitioncmfurGymnajiica. V fuiu fum cffcrri, fic pcr alimcnti dcfidcrium ima patcrc ncccfTc cftjgiD turutralibctmoucndi rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori, Arcrf ixmSges dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou, idcft, tum Troci illuflrts Mams extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"moucntcs ^ncquccorporibusjncque animis prodeffc. Porro caput,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla, dorfumq.oblæfum animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit, quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:conE a.Tufcul tenfa robuftioracuadant,Ciccroq. fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur, ingcmifccrc confucuiffc, ut fc intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona ualctudine habe rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur, quoniam ci a primo ortu infucfcunt, quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in luccm uencrunt, plorarc incipiant: cuius caufTam SoInlfa og fimusephcfius cxplicauit cfle ; tum quiatenuis fpiritusaluce concap.17. cutitur :tum quia infuctam tcrram attingant,quandomulieresin Prob. 61. nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexandcrmcdicus addidit,iIIos minime audiendos cfse,qui animum dicant, quod amifso caclcfli domicilio corpus inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre doIere,atque plorare.Cæterum adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum qucant, nufquam ui^ deo. quod cnim is corpora frigidiora intenta, ac debilia rcddat, \qco citat. pr^ictcr Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs acutiorcm uoccm rcddej.Aph.y4 re narrantcm, Galcnusquoque atteftari uidctur,ubipucros,dum plorant, intcrruptofpiritu ob uircsdcfatigaras refpirarcfentit.qui * itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi pcrfpicuctcftatuscft. quatumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc conijccrc faciInprok. literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum (fiCalfio medico credimus) dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^ fummacumratione eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscontfcur.ocu. tinuos fletus oculos imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox recipiat, dum fauccs,ac uocalia inftrumenta intcr flendum madefadla, exa fperataue, cam raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr concipiunt.nam, &c apud Coclium Aurclianumlrgitur, ploratum poft cibumuaMcftomciclium labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut cxiguficmolumcntum a llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris humorcs ad infima dclabentcs eos morbosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde eft,quod Aretacusin curatione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm,quamfacit inftrumentumillud, quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus locuti epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc^bro^ I nusintcllcxit Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor€3^*2^** tis didtisalfulcgiam cum pila magna,autparua lignca, nifi quod illud intcrfortcs excrcitationcsrcponcns, 6c pilam magnam nominansanoftrodiffcrrcdcmonftrat, ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus corporis gcnus, quod piHs ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu fcrreum humi dcfixum manibus impcllcndo, ucl cubo lignco cas approximando, quod quidc genus dorfum ob inclinationcs cotinuas E exercct, attamen caput ofFcndit, atque rencs; in quorum ulceribus Inlib. æ IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari mandauit Rufusmcdicus,nequeadmoMetue! dum pro ualctudinc probatur. legitur cnim apud Gal.cxcrcitatioual.cap.5 ncsinchnato capite, dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine, cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis, &: colli inflammationibus occupantur . Prædidis omnibus tum notior,tum trcquctior cft pilamallci uocati cxcrcitatio, qua uetcrcs gymnaftas caruiflc nemo nd fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs ipfa inolcuit, tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs declarare. Nam quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc, quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo,ucl mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum uircslcui dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari: tantomiftus illis, quibus capita ma!c aticda funt,aut aliquo padlo imbccilIia. nam,&: qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs habcnt, cx talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario bacc,vbi parfcsinfcri( rcsinflammationcm,aut abum tumorcm pati folcnr . Summarim poflimt, qui fanitarc fruunrur, ad cam rucndam,oprimumq. habirumgcncrandu pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab acgritudine occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tcB ncrc opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur, ucrarcpcriri,modocaratio tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc corporumfcructur,quam in ^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi ncgligatur, mirum non fitjoco bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc : qucmadmodum lacpcnumcro in propolita cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum fcrc polt pran dium a plurimis agarur, nullo falubritatis loci, ac rcmporis habito dclcctu, no fua culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtioncs,ac prauos habirus inducit. quo magis omncs admonco,ut diligcntiam, a Maioribus nollris in cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum conccdifur,imitantcs,mcIius valcrudini, atquc mcmbrorum robori confulant, ncquc commitrant, u t proprij.s ci roribus, &c fanitatcm /imul dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro mar.dctac C pnum dcdccus illis aXc, qui a narura fanam corporis conftitutionc lortiti cam ob cxcrcitationum,ac rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc morhofam rcddunt. Erquoniam hoc in capitcduo diximus,altcrumquod pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis cuitandum crt, quibus dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir, Galcnum voluilfc^inlcnibus dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr dcbcrc.rarioncm, qua indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft, cumcx uirtutismotricisdcfcctu proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata, ac incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi uoluBU]s:nca Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I T)e equitationibHTfacuttdtibus. CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer ca,quæ exercirationcs fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf dcfcntcnriamagnam cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx fc, potcrit natiuu calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni opitulari.Efl: aurnoparuadiflrcrcritia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&: aliud qif uisporrandishomi nibusaccomodatum animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra equiÆt^iib* ratione fcriptLi inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis, qua lafTitudinc, &:pracfcrtiminguinibusaffcrrc.dc hac inqua ucrba facics Hippoc.mcmoriac prodidir,continua cquitationc laflitudinc magna parerc, homincsq. infoccundos E &: cocundi impotcrcs rcddcrc,n€C no dolorcs diuturnos,&: claudiProb. ij. carioncs gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc! Ariftorclcs cotrario plane fenfu fcripru reliquerit, cquiranres afficap 1 1. Jjje libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatioprobifii ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuccuflTanrc^fcd noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde particula(afliduc)qua larini intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc erir.Hacc erenim equirando faU69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns illcfapictiirunus Gracciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite, ^ lcddto vijh nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum fuccufllmtcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri, tariiq, c tballt .Ad hacc fuccuirationcuchcmcntcr caputoflrcndcrc,coI!um,&: dor fum,&: narcSjCxpcriunturilli, qui aliquadoin hunc modu cquitarc cbguntur. Dcniqucli vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur Ga!c.)agirarc apra iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua nofolu intcriora omnia concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi uidcntur.illud unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus concoqucndis,aIuoq. cicndac,ac vrinac prolicic4idacnccno a rcnu(q J Auiccnnac placuit)loco lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc qucat.Scd,quonja maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab cxcrcirationclimili ablli cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n lic appcIIo,quam uulgari nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s ) qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno cruru cxplicaru glomcrario minimum larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud Arift.icgatur, ita cquitantcs, quod magis caueant,mlnus caD In hb. dc dercjtamen eam improbarc uidctur Galcnus hac rationcquia fæl«c indo . pe contingit cquitantes in terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed præter hanc multæ exftant caudæ aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis huiufmodi cquiratio omni diligentia euitaridea ^dixta corpus(vtfcribit Hippo.)nimium calcfacir^exficcat^atquc * extenuat,ob id ad minuendam carnis multitudincm a Coelio Auli. T.c.vir. reliano probara, caput male afficit, fcnfus hebctat, oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor. cauflam indagans, cur, qui cquo uehunrur, quo longius equus dccurrcrit, co magis cmitrcrc lacrymasfolcnr, fignificaridco illud eucnirc,ucl quoniam morus calcfacics valde humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl quiaficutiuentiaducrfi oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans tanromagisfcrircporcft,quanro cquus uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc equiratiotam thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs maximo dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctioni bus mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra^T:urac,quor mcmbrorum diftorfioncs facpcnumcro indcnafcanrur,dum brachia,dorfum,coxac, et crura fupra modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris cquisitinera fua obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum ualcrudine, ucium eriam falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non ingenuorum,autfanirarcm curanriumac uiram,(cdpotiuspcrditorum hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut optatius nil rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cquilaiionis fpccicbus, quarum nullam ægrotanribus admodum confcrrcfcripfcrunr Antyllus, arquc Ærius, quasq.necijs, quimcdicinam fumpfcrunr, uUo padto congrucrc mcmoriac tradidit Solodscltat. i-;inus Ephefius, ncquc illis, qui rcnum morbis malc afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit Galcnus. 6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio paTlll rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft, nam,utmolliflimc ucharis, tamcn laflfirudo inguinum, Iumborumq.&: durafufpcnfio,cxpIicarioq. percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam nnpoflibilc. acccclit &:mala,ac dolorificailla concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Vaknabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft, corpus, animum, &c ftomachu^i S S. 2«5 A chum hrmandorfenfus cxpurgando,acucndoq. fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. DegeSldtiontim inHnitierJimnjinbus. Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur, illud prius adnotandu lcvfloribus uolumus, nos minimc ignorarc, multos cquitationcm inrcr gcftarionis fpccics rc-, intcr quos fuit Actius Amidcnus ; fcd ncqualiu.j.c. ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus CcL antiquus fimul, &: cclebris au(flor, ubi gcftarionis fpccics adima^crauit, nc ucrbum quidcm dc cquitationc faccrc uoluit, qua(i alica gcllationc iudicaucrit, id quod nmltos ahos opinaros fuifle conijcitur cx Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui tationc diucrfas cflc dcclarauit in 2.de tu.val.ubi ahas cxcrcitationcsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco, ut gcftationcs:ahas mixtasclfc, quahs cquiratio cfl ; tum quia, (i gc(titio, ur dcfiniunt omncsauLlorcs,mixta cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis partibusnonmoucri^ apparcntibus^uniucrfo autcm corporc alalionc moto, hacc condicio ab cquirationc longc abcftjn qua fcihcctmanifclhrtimcomncs fcrc corporis partcs moucri confpiciuntur.fcd ifla parum rcfcrunt, quando criam Antyhus, atquc Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam gcftationcm ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uocatam, mulras quid-jm habuiiic fpccics, in fupcrioribus dcclarauiQ mus: at quacomnibusuniucrfah gcftarionisnominc comprehcnfis facuharcs attribuunrur, pr.us cxplicabuntur, dcmum parricularcscftcsftus finguhi adlcripros pcrfcqucmur, fcd prius id ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri gcflationcs, &: cxcrcitationcslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc difrcranr,quorufcatctiæ dc cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs morus gcftationibus cxiifhmt, non autcm dc communircr acccptis inrcrprcrandæ fcmpcr crunt. hlt igirur geftario fccundum Antyhi, Actij, atquc Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc dcbilcs cxcrciralocrsciti. tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c ualcrudinaijs, ucrum criam 16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs, quibus lenrac morboruin rchquiæ rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac funr. In acu toru nonnuUiSjUt ab Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur. quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc >praccipucq. ardcntc ad difcuticndam cam gcftationis ufum comprobaflc. qiiod prof cclo pcriciilofc cfficitur, mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur. Infanisctcnim,ac ualctudinariisgcftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus ingcncrct,immo caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat, poreft calorcmnaturalcm augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis turbationcm fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt, fomnum conciliarc,& contra ctia vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat, cxcremcnta, quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca inducit corporis tcnorcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam ambulationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui ualctudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^ ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita. Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor,nulla duritics,nuU tolus dolor uifccribus, aut capiti, aurpraccordijs fubcrit,&:cx toto numquam geftari corpus dolcns uoluit, fiuc id in toto,(iuc in partecftjnifi tamcn lolis ncruis dolcntibus; ncquc umquam in rcccnti fcbrcfcd in rcmillionc eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris, quos dc morbis diururnis infcri pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx cotagio nc quadam aliquando pcrijirc, rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor) commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quoquc, &:antcipfum ArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinmeanchoIia,inatrophia, infplcncricis,necnon in ftomachi doloribus.lifdcm cxcrcitationibus in illis,qui valdc cxficcati funt,arq. re7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur randum>magnopcrc rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7 tur. quod Arctacus cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim cætcritpractulit, quac inrcr Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc gejiationum inn/thiadoi USlicA^dtqut fellapaYtt^ cularibusymbus. X. Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus dc gcftationu flic^ltati* businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs dcfccndcrc opportunu cll,iiprius illud in mcmoriarc=w^ uocaucrimus, fcriptorcs.f.mcdicinac,qn finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur,quac ipfis utilitcr accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in rcmiilionibus morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc apud maiorcs nollros gcncra, quoru luxuria vfq.adco intcrdii Romac crcuit,ut,rcf'crcntc Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc nolintucriti.fcd hoc practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris in ufu habi ta funt a mcdicis uchicula,alia ab anmialibus, mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis cctcris acriorc clTc dixcrit Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c.i tcntia,intcr dcbilcs cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa^^^j" nis,ni(ialitcrcxcrccri impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis, qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuiffc,&: Cacciiiu Pliniuacccpimus: maximcucroægrotatibus, dcquibus fcrmonc facicns Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam uimquandaamolicdi,c6moucndiq. morbosftabiIcs,&: pcrmancntcs habcrc.Qua proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc C fcribir,qui, fi aliqui fimplici permanenti, &: diuturna fcbre iadentur, tu i.cht. modo uircs fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co of/bSus fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. febrcm magis cxcitat, Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcrueniunt, uel quorum longa admodum remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi non magna intcrualla habeant, conuenit hæc gcftatio.quam fimiliter in multis alijs aficftibus, nempe in dolore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in mania, in paralyfi a Coelio Aurel. commcndari, ex eius dc chronicispaOionibus inkriptislibris clare habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus geftationibus acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam inclinantc illud agarunalioqui, fi,adhuc fæuicn te,aut incipicnrc affc6tionc,gcftatio adminiftrcrur,accidentia acer biora, &: pcriculofiora confcquunrur, quoniam morus, ut diftiparc urilircr concodos humores,ac cxcrcmcnrorum rcliquias potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs nondum quieros, &: rcpurgarosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium adhibendum cft,ne crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut aliaquæuiscxcrcirarioadminiftrerur, fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc illis, qui manfcfte inclinarc animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm, ac Hauis gefiationumfx^ cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit Afclepiadcs,duabus rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum ut blado eorum iadatu fomnos alliccrct : tum eria, urmorbosextenuarer.quibusrarionibus addudipofteriorcsin curandis acgris corum ufum frcqucnriorem reddidcrunti totfo cic. quamqua grauis auAor Cornclius Cel.cxcrcitationc hanc tantum modo adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq. nauis,ncq. ledicac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuægcrrefurgit,ipfum Icai moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur Vcrum.n. ucro AnryIlus,Actius,atq. Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p multis afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uoluerunt,quinimmo(quod paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo prodcfsc dixit Anryllus.na pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs, in quo corp.ora columpta fefe crigere non ira valct, autEllcborufumcrcsatali gcftationcutilitatcrccipe Ætms U. reiudicaru eft:dcindc in his,qui vircsa lcbrili aflrcdlioncrccolligere incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in appctctia ciboru dcicda candc prodcflc cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc dcfucrut,q ipfam in furiolis,ac phthificis laudaucrint . Qucmadmodu,&: Actius,&: Prifcia nus Thcodorus phrcniticisadhibcdaccfucrunt, quo blada illaagi locomat, rationc fpirituu pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus alliccrctur. Ex gcYmQ^i:^^^ nerepcfilislcclilcympodiu quoq. circ,m6lbauimus:&:iccircoubi a Coelio,arquc alijs gcibtioncs I pcfili lcdo ^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac i ntclligcrc poterimus.Lcdtulo pclili non diflimilc alia 1 cilofaCta gcilationis (pccic inucnio,quam primus(quod cgofciam) intcr mcdicos Cclfus monftrauir,vbi dcficicnribus cacrcris gcihrio ni dicatisinllruincris, voluir vni pcdi lcdi funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita Icdu huc, &: illuc manu impcllcndu.id quod criam Amydacnu Actium fignihcarc uoluiircarbitror,quand(j fcriplir,duascfl^cocitac. fc lccti gcftationes, aut pendlcs, aut fulcra mobi lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud cxcrcitationis gcnus cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru fuit,arquc idc nomcn uf li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab ipfo inrcr dcbilcs cxcrcirationes rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni fnla,n6 fanis, aut infirmis cxcrcitadis aptu viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre dirur,quos febrcs dcbilirarunr, licur ct illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc valcr,quiq.ab hcllcbori potionc valde^pflrarifuerut, aut fccundu Cclfum alicuius mcbri rcfolutionc patiutur.quin,fi talisgcfbtiofuauircr adminiilrcrur,prcr fomni iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq. difl"oluit,rcliquijsmorboru capiris,vcluri (hipori,&: obliuioni prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri mouct,&: naruram fopi tæxfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum niiniij iudorcpci pit,ut acgri ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl iuucncs foict in acrc cocuti, atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro eflc genusillud inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc. Inrcr gcftarionum fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj; cacrcraru omniu Icni/lima fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^ huius quaplurimainucniuntur difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin flumincan in mari nauc gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in alto,an turbato,an tranquillo . Nauigatio fadtain ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in falubritatc poftponiturquonia ut plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint maris alicuius inlhir,purridi vaporcs clcuarur,qui acrc inficicrcs nauigationc magis fufpcdam rcddunt, Tt non immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi ;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs fubpallidos, ac fomnolcntiom cua D probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io fluminibus nauigatio, nempe q au^torc in probh PJ^^i^^ho timoribus carcns naufcam ullo pafto non commoueat. wt. uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I, le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu dicatur, g> humcdantcs caput tcrrcnæxhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis maritimanaui gatio valde pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci, Sc calidi educuntur,qui Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora rccludunt,necn6falfæproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc ho minu habitus quada facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di excrcitatioincun6tisferc morbishumidis,ac frigidisamedicis probaf,&:priuatim a Celfoin tufliomni,aCoelioac Arctæoindo lorc capitis,! cpilcpfia,fi ferri quc it,in fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in hydropifi a Tralliano in frigida vctriculi intcmpcrie coE medatur.Inphthifinamquc praoftantifiimuremcdiumnauigatione Ii.28.c.4 fcmperaMaioribus habita tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratiolib.3i.c.6 nc phthificos Acgyptupctcre cofucuiffercfcrt, quo cuni Annæus crplV/.'^' Gallio poft cofulatu lam fcre phthificus, &: ZofimusPIini js nepotis libcrtusfiuiguinis rcicftatione laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc rc mcdica lib. dicatphthilicismagis cofcrreinfal tibus,vbi pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx maritimisnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quæinportu efficitur ^q tamcnin capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali improbauit Aurclianus. Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlui.Sympo. tar, 7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas, atq. maximasfacit,nimirum, cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&: /pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouirjngentcs uomirusconciMndi,ac confcquenteromnc vetcrcm morbum prof ligidi : &: proindc iurc dixit Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas acgritudincs cfficaciorcm cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis, quapracdita cft,fiquid aliud, probc corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo mari pcragiturin nauigcftatio nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm atTcrtrcx quo Kr,urt*crmcacc6modata (it ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in cui ri bus c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd ficci,6 halitii euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriæ minus obnoxiu faccrc p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi^ nucorpora,& quadrupedunatado in cuiuflibctgencris aquafaciU rmciL«sredux^NatatiocaUdæmoiIircindurata,c;to^^ ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo Aur.in curadis arrhrlricisconicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui cutcm corporis dcnfLita liabcnt^at abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo ncgarct : alio ctia non carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs lundcrcncc ipfos rcfolucrc. Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm ualidiorcm cfli iatciborumoprimam,iS^cita cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs humorcsdilHp.it, et intus rcfrigcratas parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in arthritici.slandauit Aure- lianus car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium cfTc rcgio morbo labo- rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad euitandumacftu frigidam natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i quis ca frcqucntcr utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi, quod Agarhinus apud Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida accipianrur dc illis narationibus,quac ad gym nallicam quidcm mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro, quas in gymnalijs iplis ficri confuc- uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in pifcinis, (iucin ampIilHmislabris agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum ut motuillo blando^quo narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr, licq. mcmbra copiolius huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando- quidcm aqua mota, pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc, &: proindc ab illo optari, nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam, tum quia fcrc fub nauigationcm rcducirur, ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a mcdicis propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir, quando quis in nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q» coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear,protinus cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru habirus duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata cotinuo apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi caufa, qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc De yenaiiomr conditionibus. Cap. xni. D libro i.dc paruæ pi tæ ludo. .ENATIONIS cxercitationcm comparansludopariiæ pilac Gal. illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui- dctur,9 altcr modico apparatu indigerct, et ob id cuius ^ excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis opus haberer,neq. ab omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri poffct.hoc aiit hcct Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic tcporib» noftris ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc habcrc compcrru cft, qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib. inftrumcntisrufti- cos, atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut hac rarionc ipfa minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^' eicrib.ucrbis cius facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' ' ucnationcintcrca,quæipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit, rcccnfucritxumq. illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque uchcmcntia,magnitudine,arquc celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahæ cxercitationes,curfus uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,& aliæ ncccflario rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira cflc, g> corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&: fuccos exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^* cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de duabusfoluucrbafaciam,tam- quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut acgritudinc pertmens faculras confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam fciut omncs, qualibct ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue arcubus, fiiic ali js inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib. proprijs cant,aut cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU irc)vcnarionecxcrcctcs,cum modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo uocifcrarc,modo quiefcere cogantur^omnib. cpil njb. partlb.labonre uidcrur,&: iccirco multi hac exerciratione crc didcruntcorroboraripeftiis, ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue crura: cgo vcro ca cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur : quibus fradionis ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in rcnibus aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id tc frcna iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere, quam Uporem. Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda, 3i: incomoda in cqueftri repcrra contincr, nifi s», dum curfibus, ac faltib. fcras inicdatur uenator,per montes,per uallcs, pcr deuia, pcr filuas, pcr filtus, minori cerrc pcriculo, quam in cqucftri, fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis incalclcir, magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis ftimuIos,cocrcct, quando Hippo!\ tum ftudiouirgiSencca m nitatis hoc ucnarionis gcnus cxercuiflcfcrunr.Excirar quoq. ucna"^S^* tio appetirum,(icur coquus illc Dionj lio dapcsaucrfanti rcfpodir, ipfidcfuinl' laborcmin iicnatu, qui appctirum gcncraficr. Ncurra tamen,g» uchcmcnrior cxfiftar,lcnibus,aur dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis ranrum,qui robuftasomncscorporispartcsfortiti finr,quiq.oprimc ualcar.urnon abfquc iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic bcncualcnrc modo nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius ncpos fanitarcfuam uenarioni, qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani rcruiifsc uidcrur,iudicandum eft, aur iJla modcraiilTimc ufumfujfsc,autporiuscorporc robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti laboris uchcmcntialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicntibus tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,& iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris, temporis, quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao corum malorum uitarc poffunt, quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur : eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra ?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat. vnde aut vcnatorcs mter excrcendum cibum capcre, &c a cibo magnos laborcs aggrcd. coguntur, quo ualctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut tota d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum noxapenitus b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca ufquc adco prac fo.nccxfaturantur, ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum fatigcnt, f.cquc &c cruditates, &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticæ finis. fcx artis Gymnaftica:Jibroriim clcnchus, cjuorum primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t Ofi/eruatiua Vartihus, et (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X. ^t}dfitgyr)ifia§U(a (^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o, et tius laHdibi*s cap 4, SiHr ttmpore,et quo pa^o caperit CymnaHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S annqui rum cap. 6. Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J* De^yfnnalioTHdiucrfis partlbus. f.8. DepuU^ra, et alVjS gymnasi» part.bus cjp.^. Dc h^b eis ^ymnafiorum, atque etiam dejiadto cap. 10. De accuf iius in ccma antiquori m, CT Itmd dimtnxjt in die cpundi cor^ fuc'udinii origine De au^oribus gymnaflicjt, fjr ^ymna" ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium ^^yvihuflicdt ffefie*urn d.jfi' tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa feu athlt tica cap. 1 3 Dc vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctnacaf.l^. Dc riuendi ^thlctarum ratione Qf^id fit excrcitatiQ,Cf q^o differat ^ a Ubore,& r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^ mcdi^je dhificne cap.i. Defaltatoria car.]. Defphxnflica c^p.^. De piU ludo fccundum l^thos dp.y GymnafticA, De orchifiica, fiue ttrtia faltatottapar te cap,6. Dt finefaltationisy C^ de loco cap.j. DeluSatoria cap.9. De pugilatu,& Tancratio, et Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu cap.11. Dc difcOy& halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^, {TirS. Dt agendis, et dc rationc prufentis trati^tionis cap.i. De drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate fit exercitatio cap, ^, Dc pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs e.xtrcitationum ipe^ citbits cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De vociftratiot.c, et alijs vocis cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a, Trocljo, et Vilamailco cap.S. Dc eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap, i o# Dcgffiatio^'C in ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos ptnfilcs, C^ per cunxs facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,& pifcationc. cap. i j . Dc natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{ Qr^riTffs. E rationc agrndorum, et deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on* Confutatio opiniows eoritm, qui exeni^ tationem in fanis damnabant; et de exercendi necelfitate^ atquc commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes homines cxerceri debere ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum exerceri voUbant cap.^ De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum morborum, et fanuatis generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co ueniat cap.j. Decorporibus valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S. T>e corporibus fanisexercendis cap.c). De locis in quibus excrcitationes fieri debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio, cap. 11 Qumta fieri debet excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de nonnullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx cjfeBibus cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^. Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl' Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta Abrnhi vt Dc* jb Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S > et dcmccps Accombcnimm numcrus quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhcbaniurA qiia dc cauf» I c Ac^yptus, Homcro aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit » b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri .iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit c6;idcradj i ' i.t. Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim" prodcfTc. i.b.i«8 d AKoniiTjrib-. Ab-ti crant vna faCtto Rcmana i6d c Aldus M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us Impcrat. cxcrcitjtionis Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1 iii d ad maiorum cmgics facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port lcctio ncsquxfucrint . 1 ^ (>Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d Alcxan.Sci«cri.s Impcr fcrc fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus Impnoluit mijcnuos cur(ucxcrccri AlcxandtrScucrusImpcrat. ncmora pub. ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1. jfDpndio auihorc, vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi (un^pticncm agcrct . C A k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari txpc»mionc vtcbatut 197-^ Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt io fjtta, anibulationi m portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo lubdiahsinuitas habcc fpccies ibidcm Anibul..tio fub Solc, vcl in vmbra faAa ab authoribus Jiucrh^ diucrnmodc acccipitur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit, quam fta tio,& qua dc cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo m vmbrj Tafta, quxnam fitboaa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta Icprjti* fjciic inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,& vcrtiginofis conuc nicnsquarfit ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, et qua dc cjufa ibid. Ambuljtio pcft n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis matutina;,& vcrpcrtinac cifc Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx ccftu claruit, 8C fuit a Polliicc intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius vir multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^ corporis aux ijo nihil laiidc di pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio fanguincm cxpucns nauigatKJHC fanus f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm fuit lu^Jtionisarusauftor ioj.a V X Antiol AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f Aiitioch^ mcdic* vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f iturarent. 5 2.f Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs coenab:inc 53. a Antiquiomnes voluptates in couiuijscxcogitarunt ^g.e Antiquoru ftudiu in cibis ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni fuit. 58.6 Antiquorum fcripta quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior pars raane vel nihiJ,cxt guum quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin vefperc folum faturabatur ij^.e Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra quid fucrit. 291.C Apodyterium in balrieo quid elTet 40. f Apollini cur Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt g.d Apollo iacubtionis, et medicinæ Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo iaculationiab antiquis eft pr.^poG • tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab Alcx.Seue. colcbatur iSid Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pofrunt,& qua dc caufa 229 Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes vocifcrationc iuuantur 281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in Sicilia qucndam a canc rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte, primo fe nobis manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in lauatione ad voluptdtem Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc nafcentes caJidæ funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs fuit Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in corporc vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc p.Tdotribica, 10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc motupoftcibG. 2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s confcru;itrici$ y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica quouiodo fcicntia aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa corpus humanuoa operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a cquirendura, ac finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars gymnattica homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i r* b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur putilbtu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam gcftationc curabant Thcodorus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs fcribc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs in acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia dci;squi cxcrciiationc dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui ccnfuitmorbofa corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug Imp.lci;cfjnciuit,Tr militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp. fimpodl" qnq; vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, et qua dccaufa .^y^ Au^.Imp. in finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur et qua dc caufj.i W c Aup Imp. coxcndicc,fcmorc,&crurcfini/tro bboras ambubtionc in li.ircnama «invc pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA, Aup.Impc. poft coenamlcaica lucubratoria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat. thcrmas hycmalcs in tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs lufta Ixdit.a^^.C Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. et Actiui curabant i.b Bjlucoru fitus fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr cxtrinfccus et intrinfccus.ibi. Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dcfuctndincm abicrunt 44»C Balncorum magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca non cundcm fincm habcnt. 4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis,& fngidis antiqui diucr fa rJtionc vtcbantur 47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B jlnco-um hora qux fucrit y o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc vnqujm anrc.iurora apcricbantur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis ;'cnfi]ibus Afclcpudcs in xgris curandis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt inucnta 177.* Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct, 33?. C Bcll'iro; hron fuit cqtatiouis inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit Bi^ix in pub facris frcqucntilli ncccriaucrunt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis ly.b Botubrij I gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua,dum quis manibus vjcuis currit, quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris laborcs magnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo primus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc H.npt>cii lil cjio fuo conccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt ftjculatic nc cur;bat Arxictus 24C.d et \t cifcr; iicnc. 281. c et cxcrciiatK i:c jmcr n ) rios,Iaiiros, et ih)nun>f-6a Coitu VI tri vcfpcic rcn bi nam cr-i io.f C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Frafiflraiifcnftrtia J5>i b.c Conct Aio^ a ijuictc, et ab cxcrciiaiicnc mtdcratt f-^a multum iuuitur. 192. f Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iuu:;niur 281.C Cf niflcriu i pal^flra vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ aqbufda lola digna tidttjVt ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap pais a cjuibufJam in trcs paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor nominibus a n cdicis cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi irtscdo ccric^pciiint ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit nalur.T txcrcitati corpc ris i>8 c f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d. Ccnluciudo n .2d Coipori» hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipruaiur ^ i^ic Corpcris virtuic* pcr cxcrcitaiioncm forticrcj fitri et opcdititrcs i^2.f C( rporis n ( n l la pcr cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt. ibid.ii^^.cl Ccipons hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria gcncra a mcdicis confidcrantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto dcbcat cxcr ccri 105-^ Cotpora Gcc2 motibus lcuibus et raodcrans vti pt flunt io6'( Corporib. c-hdiN et ficcis null.T imodcratat (xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C Corf oribus fripidis et ficcis cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C x^od Corpora, t]uoru vnu mcmbi u intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda. 207 a Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri. 207.b Corpcracb malam formationcni morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^* Ccrpcra in nun cro n.oibofa cxcrcitationibus vti pofluut 208. d Corpcra zpriiudinc in fitu laborantia nulIt. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua (ic caufa /^'^' Corpoia valctudinaria ^ n3 fub fc/m huV 4 itts t. Hi> au^oris fnhm pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita gencrcnc iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e corporum f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c corpus perfeda fanitate prxditum potius mente confiderari poceft,> quam re ipla inueniri ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione inueniri dixit Gal. ibid. corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob id excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida, vehcmenter, &multum exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc, et ob hoc mulca cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^hæc AriItocel. fencentia quomodo ficincelligendaconciliator exponit ibid. corpora in æftatc potms, quam in hyeme funcexercendæx Anft.fententia.izo.f corpora quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida et humida moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida et humida mulcis, et vchementibus exercitationibus mdigcnt ibid. et zjo.d corporaabijrde,c]uadoq, lacdutur, qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj 5.a corporis carno/itas mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto minusa fole calefiuntfccu duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora luxara tum hominum tum quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur 3^54^ coriceum in paL^ftra vhiham crdc.zo. f. et quidclicc zp.c.87.b corycus quid cfTct cx Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc follcm intcrprctatus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu. 1/ 8.& i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx Hippocfenccntia equicacio eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios. 1 8.f craffi luando cibu dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^ uioibi genCre captusfiiit,quo carncs ab oftlbuscadcbant J.a cracin*' poeca cur faJtator fic vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a &dircun. Z5:8.c. et /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f criptoportids antiqui ad deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a crifijafii forma ex Oribafio, quasnata fuerit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h crico mcdicus Komar fub Traiano floruit • Z4f.c crudos piJæ Jufus Jardit 243. b crura infirma fdtatio corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5 ^.e cruftuJari; in gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in ægris curandis anciqui mcdici vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinæ pars ob neceftitate prius eft inuenta, et a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c curz fjnnm corpus conferuanc ^.f currendifaculcas a natura daca cft aninvalibns ijya curfus ccrcamcn Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo diftcrac. z y i. a currcntcs hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura zzo.f currentium fpiritus anheJat zjz.d curribus faciedis marcria apta e abies.iyi.a curribus manu dudis rebricitantes, vt inquit Herodotus, vtebantur et quancuni fpaci; pci ficerenc 171. e curribus ois gcneris fani vtebantur. ibidi" curribus tcais principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus ibid, curru tcfio Plinius iunior propter oculorum infirmitatem vtcbatur ibid. currus niulta apud antiquos crant gcncra, et q et quo rimilia,& djftimiha erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab Eiichthonio cft inuen. i7i-a currulis vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi. cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata erat 171.^ currus duarum rocarmn antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi: rourum Phryges muene(uat ibid; Curcus. Currus fcx rotjrG Scythac inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamCm ludos oly mnios quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l. rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita',& i4y.c.&infra. Curlus trcs funt fpccics cx Antylli fcntcnIi6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. .b Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis atqi cpiIcpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus cjuifint& omnino rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt, et qui a rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,& luucc. ibiJ. Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run: cxulccratiocuratu. ibid. Curluspcdcs et crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula cx Anfto.fcntcntia ca putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus inpoltcriorafjclus quarnain auxilia cx Aniylli lcntcntia corporis partibusprxUcc iji.c Dutius pcracdiuia, et dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc nudo faftus quid c/Hciac . Curlus nuo tpc magis Gtfacicndus. D DArcs apuJ Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. c.i^y. pcr totum capur. Dcambulationib.loci apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit (pcs c et infra. Mi^.c Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis ctfc ftiis qui fint. ibi. Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic Jbid. Di amtiu!ationc pro inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur itfo.f Dcambulationc proidcricis curandis Archigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio pauca quibus nam conucniat Ui d Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin dificrcntir, a loco liiin- pt.r qux fint z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s aducrfarium vn^uni et finc pulue rc lupcrJUit 33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura, et finc puliicrc fuj)pcrjuit ibid. Dilius quot ngn:ficjt.& quæ 123. a Difci cxcrciuciu fuit antiqua. cius vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125. c Difcus tobuftjs corporibus conucnit. f Dilci cxcrcitationc loco pcrg itioni.s,& plilc botomii, fi quid impcdut, vti pofrtimus cx Gal auihoritatc 257.C Difcobjli I2Z Dilcus a ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum diftcrt ibid. Difcus ab haltcrc dirtcrt D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us quis fit ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp. locum pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n 25 7 0 Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b Dracunculi cu ca ci tira et br.uhia multis cir ca marc rubium Jpparucrunc,& quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I. Dropax qind fit 213.C Dubiiaricncs duac circa cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo (itinuentf:,& cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in palcftra vbi nam eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle ftica fada iuuantur. 2^^.a et in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs Acgypto famiharis quo tcm- porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci Argtcuscurabat. C.& vociferationc.282 c. Cclfus de ambulationc.26 j.c. Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima iuuat. ^o4.d Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem pufillum, et Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to recDiicirm quofdani curaiur b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. et Æt.cu- rabant ibid. epilepti.curfus vchcmcns ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e et loga et rcdaam- buiatio tx Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat et ciu.s inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. et 170, d cius vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi- ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid. cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi. erafiftratus mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem cxcrcitatione inutilem ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor qLus cxcrcitatio- ncm inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per inedia trium aut quatuor dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius eft damnandus,qui multos gro tos dcambulationibus poft cibum cxcrcebat crafiftrati loncs foluuntur. bid. et infra. c erafiftratus malc a C^Iio reprchcditur . paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs ludicabat. 26^ £ Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f. vtih- tas et nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. .C ercftumftare antecibi fumptjoncm quo- modoiuuat ^. c crcdum ft:arc multas habctdiffercntias, et vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos quid fa- ciat crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia cryfimachus mcdicusad fingultnm curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j ^.e cfculcnta lu cibi tum rcmcdij caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas regis medicus,& Antonius Mufa fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida nionftrarunc 47 b curipidis fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis modis e corporibus au fcruntur ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca multas morborum fpccics gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc m.igis incaLlcunt ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin cxcrcmcnca in Iiycmc cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum fcucntia fcm- pcr ancc cibu n a lanis fic-ri dcbjc. cxcrcitjtioancc cibum dupliccm vtihracc aftcrt 2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt obfcruarc 1 cxcrciiationis fadx poll cibum nncnmcn- ta,qu.t fint .ii excrcitacio non dcbct ficri vbi Itomachns cil valdc vacuus,ir(ium hoaunu n quant.i clfc dcbcat,& dcoilium ibid. Excrcitatio fcnum minc^r cfTc dcnct quim, cum luucncs clfcnc ibidcni Excrciiatio hycmc fada'citra fudorcm ficri dcbct Excrcitario ucre fafta vfque ad fudorcm fic.idcbct ibid. Excrcit.it o Autumno fafta minor cffc de- bct ra.quar xlbic fit ibid. ExcrcitJtio iiulfuccorum qu.T, et quanta c(fc dcbct 2jo.e txcrcitatio immodicj oibns nocct. 2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i. ibid. ExcrcitJtioncm luucncJ quando dcbcant incipcrc ExcrcicJtioni pcragcndx qui modus cft adlitbcndus ibid. Excrcicationcm viri quandodcbcant inci- pcrc ibid. Excrci- Excrcitationem antequam incipercnt anti- quiquidnam fjceient ibid. Exercitationem Ifatim poft cibum nemo dcbetmfjpcrc f Excrcitatio prius remiflTe ac debiliterincipi dcbet,dtmde paulatim jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis cognitio, fiue vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira a34.e BxercitJti ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere, &in loco tcpido et temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis [incjpiat, quid nam faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft cxercitationcm debenc quiefccre, ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c Excrcitationis modus Sc ordo totus .itK)nc incjuibus morbis cunndis A • (clcpiadcs vicrciur 295 c.& infra Gclbtio ui nuripcrcurbato ofTinino fu- gicnda,bid. GclUito ia iTiari traquillo fada quid cifi • ciJt ibide.n Gclhtiofine additionc acccpta quomodo ab authonbui capinur i^T-a GclhtK) vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut, 5c quibusnon conucniat ibi. Gclhdone in qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297 c et infra GclUtio morbif diuturnis prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c lci5^ica fj {gfli yti pof (unt morbu iam inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto auri fadar cflfcctus . Gymnafta nuHut antiqucrum fcriptorum fulficicntcr tradiuit 7.a GymnaGa qur njiii fucris : Gymnafia quare » et a quibus pnmum fint inucota ibid c GymnaliJ dicbus feftiuis magis frequcntata crant,& quarc a Gymn:r:iim cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt 4oC.ri.nLcntia dc houmie co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i cemperata fuit Hippo.iudicat, Ibhs r.idios capitibus humants m i^nasnoxjsalFcrrc 26 6 e Hippo.Hcrodici Scly^nb: lani difcipulus aricm mcdicjm illultrauic 2.d.4'i.c Lsboribiis ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu i^^-^-^yO.S Laborc^ mcdcrati quibus nmcorponbus conucniant 21 5.b laborcs vchcmentescjuibus nam corporibu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc cxcrcebat . c Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod pucros niirijs liboribus affligtbant. 2 28.f Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu Ijbor.intibus ohlic d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra mobilia habcns quiJ fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip antiijui mcdici vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f LcdispcnniibusjCelfoauLhoie, quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\ inucnia. ^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c et inf cius vfus. lyS.f et 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vctitum LcOica noftra cui anticjuorum fcllccorrcfpondcat I7y.3 Lci^ica in languciibus aniiqui mcdici vichjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat i7J.c.& 2yp.b LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj (cdttcs.cjn.i vii polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dcbcat I77.b Ledionis fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio quomodo ficri dcbeat 2 8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti poifiiirtis ibid et inf. Lcnti laborcs quibuldam corporibus ronucniant 2if.b Lcilurgica fcbrc I horjnies in Ic(flica dccuml cntcs vchcbjniur 2^p.a Lcucophlcgmaiia corpus totum dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo, ijuid /ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d Libarij in Gy mnafijs liba vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus pcr vrbcU' ItftJCj vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna, et huiuiuiodi .nlia funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden tcm fpcftantia lunt mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres conditionc.s& (\i\x ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus, Tbi uocis cxcrcitatio ficb:^t, Luduii) cur intcr nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d Ludi B.iCiho dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, et qui magui 64. c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c Ludajpræfcdus,& eiusonus ^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis fieri potcU ^ 24*.e f Lud^fjriæarcis au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im G.ilcn.artis gymnafticæ minimam partcm c^ic ludicauit f.cius jpud antii)U()s matnus vlus fuit 244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici, quoinodo apud auticjuos aihktx excrtcbant i44.c Lufta vchemcnter, et corporc crcdo fafta quid corpori pr«lK t 244. f Liida habentib.crura d( bilianoccc i4^.c LuCta cjui rationc pefton uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,& quomodo 8.e Medicina! cjuando opus non cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt duicrfap,diucrfa cti.Mn nomina fcrtii.T lunt j b Mcdicus quomodocorpus hununum co«fidcicc li.C Mcdicus I « M I w w Mi M W u I McdioKcft artifcx trcs fcnfaias iraftans 2X1 d Mcdtcumcnta «luofdani luuant, quofiljm Kxdunc iif6.c >1cdi.jltini in balncis c^d faccrct 30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1 hcodorus Pulcianus curabjt i45'3 ^lclaniholici, dtim lcgcrcincipiunt, ^ur lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I» odcrui Piifciai.us, et Arccjtu^ gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe baincu cr^nt lici%& i]ua rjiK iic j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos parabaniur 56. ( Menlhua ranicatcm corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2 M* ^ dcambuUcto * 26or.t^3.a Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mnotuit 4f Mctforcs ciuayccaufaa uiAu iaordinato 5: prauonon la.djncur Mcthodi vniucrfalcs cx Gai. fcntcncia nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant i8y b Militaris diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrcdicbaoiur 2tf.c Milo Crotoniata f ir robu(li(Iimus. 67 2 NatJtionis locui c^uid fit i^i^c et 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio ijuibu-da argritudinibus cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C Nataiuri i)uid agcrc dtbcot,antC4uam natcnc Nacatio inicr cxcriitationcs numcrai 18 j.a Nacationcm cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i l^uuio f-^a fomnu inducit So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani Aniyilus iipprobac 3®3«c Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio fjCta cjuid c pcictur C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic Aniijuihorc ibidcin Nacacio cahda indurata cmoiht, et frit,cfaaa calcf-CiC &: tius nocuincnca 304 f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum (Hlicir,& conicdiou( n) adiuu.t ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti, ii ^uis viatur, ncrui ixduntur .3?^»* Naiuiar caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt i96.( Naturar hon.inum adco diuci fx funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis ly^.e Narura coijoribus lioliiis mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis cjuics cmucnit 206. t N. u luatio an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus nioibis autliorc Auiccu* X fiotit. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis modus valctudinanjs conucnieris qui fic cx Herodoti lentetia 179 c N.iuigitionis fpcciesliinc mulcæ, et qune& 175? C.301.C Nauigacio pc^ flu nen fact i minns perturbacquam qu^ per ni ire, Sc quare, quibufdam murbis conueriiac i8o.d Nauigjtio incer cxercitationcs ab Antyllo numeratur I7y.a Nauigacio corpus raouct,& pcrturbac ibi. et quare i8o.d Nauigjtioncquinam vtintur jbid. Njuigantes Ciwn mjgiscolorati ijs, qui m paludibus dcgunr,& qua de caula 1 8 i.e Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl Anneu Gallio fangainem exoucns 17^ b et ^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint inftitut e. 180eNe)iei ludiapud Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia icdtica vii pollunt,& qua de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima prodeit . 303,3 Ncrolmp. gymnafiaquindo; ingrediebitur,vtathierasccrtantes videret 26 c Nero Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum macrc quandoq'^ vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea caniicacxclamabjc ^60. d Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Æiculapio fic curacus a mmii illa crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3 4.C Numa fccudum Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit rcru fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur faltationc i4o.e Ocuii lippictcs, et lachr-ymofi d quantumuis mimmo motu l£duncur,quiete vero rccreantur. a.b Oculorum circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d Pcrljp v;rtu\ rationcm, cxcrcitationc.n il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis bborct lOr^Hiris Cyrus inditUiUnrc abi luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu 1x4 PotuLiicj (u ciui tu ii rciucJij CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ V vnJc diratur S^-f Phcrous d lco Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus nudicus pofluuium lcininis cicrcit .iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c curluk Aiuyllus 190 f PhiUiiiv)ua Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e nam cffct. ^4 d tudjtlt nauigations fpccics,«ia Pilcjiorcsroanrini cur pilos rutfos habcac Pilcina pub.Romr vbi mm fucnt 1S4.C Py.h.igoras c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f Pythagoras voluit aj jratiuncs fcJcnJo ticri i b Pyrh"Chiacfjltat'oi t im»,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d uc 5c p.r-r.uij'tc cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit. 1 o.d Py hici InJi Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur 181 c I'1'roni lcnt. ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt mujicrcs nuJx cnm vins in pjl^lha cxcrccantur C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta fuiC 7 1 .c l'lato uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc et pucri et virgincs,& niu lic cs, et ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur . 116. d P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll H d Pijco diCic njcurjs diuinjs cx motu et ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti vcrlus dc ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt aihlctas alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d Pilinms miior diim vocc ik it >m^clio Uboraret,lc«ftione chra liberjciis cft zSf.b Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla vtebatur, vt intcr cundum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis (anicatem ven.itioni rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc deleft.ibatur i Sj.a Podji»nci faltum dv^benr fugere. i n»3 trochum 289.C Pidagrico. Icnes et rcmifT* iuuat deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c PodjgriciTral. fentcntia Icdtica vti poflfunt et tiu.i de caufa ^99.\ Pofis fecundum Simonidcm eft faltatio loqucns 96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c Ponb nau.nachiarius quarc fic vocatus flt . Poppca Domitij Nero. vxor, quid faccrer, vt cutis candorem acquircret 1 7 . A Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit lyj.c Porticus tres extra palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant partes gymnafiorum piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus Pompeiana ad deambulationem ædificata Porticus in viridario Vaticano qualis fit . 135. A Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in Pamphilia homincs pcdi bus priuabat c Prandium apnd antiquos quij c^fet r i-f Prafinæ fa£tioni maxima ciuitatispars fauebat i68e Prafini crant una faftio Romana ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras rcprchnditur, qui cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus curare nitcbatur 26 i c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A PriapifiTJum p'\\x magnr Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc |i5^.e Prodicusacgra corpora cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e Propn^geulpalæftra vbina crat. xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum', m cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud difcum ( fljuani philofophu audirc malunt) vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium trjnfiremeram ii^.b Prouerbium contra eo$,qui nec litcras, nec natarc fcicbant idz.c Proucrbiu a mari et terra fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b Pueroru geftatio in vlnis nutricutn eft qiix dam ipforuin cxcrcitatio Pucn poft H;ppocr. æcatcm podraga labor.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4 e Pucri frcqucntifli.nc faltationi opera dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis, et Ariftot. fcntentia dcbcntaddjfccfe 1^0. d Pucri a ploratu ex Ariftot. fcnrcntia proht beri no deber,& qiia dc ca. i/^o.f .6 Pucri Gal tempore in aquispueriles ludos exerceb-int 183 b Pueri vfque ad vigefimum primum ætaiis annum labores muJtoi indiffercntcr fer^ repolfunt 228. c Pucris perironf um aut fcrotum fpiritu rctento rumpitur 28o.e Puellaj funt ex Piatonis fentcntia gymnaftica bcUica cxercendæ 66.£ VucWx pulcherrim^ fingulari ccrtamine cer tabant 144.C Pulmonc vlcerati,inculpati viucbantin Ly bia i73,,c Pugil quifitcx Arift.fententia 70. d Pugilatusante bellum Troianum fuit in vfii iu7 b.fanitati parum confert. 247 A pugilatorcs quomodo certabant 1 07 c pugilatusin gymnaftica mcdica exi?uuin vfum habet "loS.e pugilcs vocabac veri nthlc f fm Gal. loS.f pugilcs,& athlctT aliquand j in Deoru numcrum relati 7 1 /\ pugihuu imago i02.b pulueribusin multis cxcitationibus antiqui vtebantur,& qua de caufa 236^4 puluis uim habet cmplafticam cx Galeni fententia 23 8. d ^u^ilatus nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit paruui LulUs in gymnaftica mcdica d pugn.B nomcn plura fi.^nificat i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit, quidcflcj et quoc Qot eiuj fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a Fuona > mbracilu cjuomodo ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo ficret ibid. Pugna firgului is tjm n t d«ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni ^uinam >tcicniur. 14 >.c.X7J.a Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur . i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc quid prapftarct j.a et 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^ annquitatis pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^ laucntx QVatUans crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora abcxcrcitationc quomoiio iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc ccitaucrunr. c Qii:^rtana bborantcs, vocifcratio iuuat Qumqucrtio qui fit cx Ariflo. fcnicntia. 7o.d.c Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadccumbcntcs vchcbjntur a^y a R RAucnnj Strabonis authoritate acrem fjlubrcm habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc vcnationc C Rcncsdcbilcs I.Tdii faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium njtura eft, vt profint,& abquid cnam c^ftcndant 1 51 a Rcnibus malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc Rcnum lapiili optimcialiatione otrudunrur 240 Ci54f Rcru imbefillitate, vcl feruore, vcl \Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J et dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni tionc laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b Rhjmnufi nu^ lapis, in quo fculpta cl\ fbrm.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56 Khcforcs in palacitras ad difputandum con ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis raria noU Cirrire funt a Rcfoluti Tral. fentcntia lcAica vti pofujir, et qua de caula 19^ a Rdpirjtio ctcbraium ofcitationuin cft rcmcd.um a7P.a Ilcurdurcs in balncis qui clTent 50.^.63.« Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^ qCo fiji,& quid cfificiat 16 i.a .6 Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt 18. £ Kcmjni in bulncis mulio græcis lafciuiorct Romani fuos miliies et mari et tcrra cxcrccbant iSo.f Konunorum n^uliercs Varronis tcnimonio in cc dcni loco cum viris lauabaniur. 48 f oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct colliquatiuam, et idco bibitus gracilitJtcm inducit 2^7 a Rot^ curruum Homcri icmporc ftanno or^ njbantur i7i.a RuHus tphcfius Romac fub Traiano floruit 145. c Ru.tati eraot voa fj^io Romana l^S e S SAItantes pondera aliqua habcbant quorluiii 1x8.4 bjita^oria: cxcicitationis fpecicS|& cius diuiiio 81 Saltatoria facultas in imitatione foio mrtu fjda confiliit fi6,£ Saltatio fccundum Simonidcm eli pf>efis tjccns 96 f et inf, Saltatio vcra i mufica fccunduui Plutarchum dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis inucntor quis fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa nomina vndc fitoria» 97.C Sjltationis finis 100 d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt loi.b Saltationcm antiqui in conuiuijs exerccbic 10 I c SaltJtio qurqi antiqiiorum ordine, ronc, et proportn nc indigcbjt ijy.b Saltaiio opportunc fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm inoppoitunc jdminifirat^ multa dctrimcnta iionum prriiat . c SjIius viilitjs,»ntingunt, (]Ui Ic cxc:cucrunt,5c ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi concodioncn» mcliorcm efficiunr.S: quj dc ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc fpcculatcs. Somnolciiii ciir fiiu dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo »'jciat • } • a. cius rpcc:cs.i5} b.cim vtiliiJS.X78 d suibus conucniat cius nocumcnia.ib d b Spiriius cc hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis vicba t«r, Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis no.d.f Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcunus,& Arctruscurabant Spuni apud antujuos m.igna infamia nocabantur et a nobiLum commcrno cxtrudcbantur, Spurma qua vi^us rationc Spurini nnJiOi fanitnrc cofcruaJa.Spura corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*. Stanscxcfcttium ' Starc maio: ci. corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,& quarc Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do nihitn.li molcitumattcrt »71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo „.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i StcVcoracorpascxInaaiunt Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i f.iCta cik ^-^ Stomachusin coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur Sio.nachu n frigidis morbis opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB rctcnto Cxl. A'»r. cu- rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij gcftaiionc Stomach 1 dulorc Thcodnrus Pr .fcianus, « ArctJTUs gcduionc curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C Scomacho l.>borancibus vnftiones cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat Oa lcnus . . »8'' Stomachicos n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum quid cUcnt, et cx qua inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7 A Sudorcs corpus cx luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor finc motu proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc caufa manus cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus qnisfucrit Suc omjlocusdcrcincdioh.ncnaru et aru dinii.Aiigu :ti,qu.j fit mtciligcdus. 264 t Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius gciU- tionc curabant ^ a Theon Alcxan deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv /Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit . is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr. fcimpodio quandoq; re- hcbatur Timonis a v.\i Juobus nicnfibus, finouiis annis in cufC-nis IiticabJt " y.a Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd tibiam pugnis certabant 107. c Titus Imp.hujbatur,vbi et plcbs 16 f Titus In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus. Thorax humidus ambuKirione fada cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax difficultcr fpiras deamhulati' ne p accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5 Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b Tricliniuin marm orcum vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6 Tryphon dc atbleiica fcripfic Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor- rcfp6det& in quo .ib illisd fferar 239. b Trochus græcus (|uomodo fiftus cflct no- bis cft ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat 2op.c Tubi perquos circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3 Tubicinibus ipiricu rctcnro pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos gcftatione Actius curabat 298.e Tuflfis (icca, fpiritu reteto,curfu no in pul uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia 2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs cæcus quo rcmc- dio, oraculo pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob rc^cpniar contra Fuchfiuin, fol- Icm et Corycum diffcrre Valcrudin.jnj quomodo Cwt C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lufus Vcrtiginofi luftam vitarc dcbent 1^6. c et curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2 f& trochum. 201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c. cuiabat c:iam difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora p.ifllo vndc omtur i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant ^ ^ VcrcJuN cr.u vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni conuiuio .iccubuic 54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur VixapuH vctcrcs grarcos qux hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt 7 or.inccs lcdica vti potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli pro- lunt.vt Gtllius rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons ladu crat iucundtlTima y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym- n^ifticabcllica t xcrccnJx 66S Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non muhcTcs y?c Viri apudantiquosquoium niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid intcliigat hic auftor. iiS.c Viri funt tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i i.r Vilus dcbdicati . Jt oOicuritjti gelbtiorc- tio icrla facic tjcla, Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d Vitruuiosfl iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius auihorituv apud jntiquos parua luir.iKid. VlccribuN quictc curandis llarc et lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus intc. nisjCf 1 et Cel. auihonbus, dcambulauo rcnv^a, et molLtcr f-^da prodcft i6\.c Vnftione qui nam vtcrentur 30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis finif 3 3 c Vndio poft balnca quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo ticrct, cii !n- ccnum ^d VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui vtcb.«nrur,& qua dc caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64 f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum,& crroncum ligniticat 1 i8 d f ^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the Bibli REGISTRVM * ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX. Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X qui funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu. VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i. Grice: “Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” – Nome compiuto: Geronimo Mercuriale. Mercuriali. Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. Mercuriale.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Meriggi – il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Abstract: “When I was at Brighton – Anna McCormack responded, but few quote her! – I played with ‘Deutero-Esperanto.’ Earlier in my William James set on logic and conversation, I had played with myself, ‘lying in the tub’ and coming up with a new highway code – ‘that nobody uses’ – This is my more specific reflection on what I mean by a ‘procedure’ which springs from the idiosyncratic utterer and may project or not into an intended population. At Brighton, I was more direct, if more controversial, although McCormack never picked up the irony. I stated that I could invent a new language, call it ‘Deutero-Esperanto’ that nobody ever speaks! Of course, for Witters and his followers – at the time, some of my former colleagues, such as D. F. Pears – that would be nonsensical! Now, we don’t think Italian philosophers as being per se Gricieans – as Katz and Fodor spell my surname in adjectival dress – but there were possibly more inventors of new languages in Italy than in the rest of the world. Compared to Meriggi, Bishop Wilkins should have continued preaching!” Filosofo italiano. Como, Lombardia. Citato da VAILATI (vedasi), “SCRITTI” – “un appasionato”. Progetto di lingua a priori, il blaia zimondal è elaborato da M., professore dell'istituto tecnico di Como. Il blaia zimondal parte da un principio fono-simbolico. Ciascun *suono* possede un significato naturale (Grice) o *senso* generale corrispondente al suo modo naturale di formazione fisiologico – fisi, NATURA -- luogo e modo di articolazione dei foni. Così ad esempio -- a, vocale aperta, esprime ciò che è grande, alto, forte, bianco, evidente. -- i, vocale ANTERIORE alta, per il fatto che è prodotta serrando quasi completamente la bocca, esprime ciò che è piccolo, basso, leggero, interiore -- u, vocale POSTERIORE alta, esprime ciò che è basso, scuro, pesante, lontano, futuro -- p, consonante occlusiva bi-labiale sorda, suggerisce idee di forza, pressione, pesantezza, caduta, blocco repentino -- k, consonante occlusiva velare sorda, simboleggia l'idea di solidità, di siccità -- l, consonante laterale, esprime le idee di fluidità, di morbidezza, d'elasticità -- r, consonante vibrante, esprime le idee di rotazione, rapidità, rumore. L'udito dei vertebrati si è evoluto principalmente con questo scopo: identificare la natura degl’eventi a partire dal suono che emettono. Solo più tardi l'udito è stato ri-ciclato dalla nostra specie per servire all'apprezzamento di parole o musica. Ma il ri-ciclaggio è stato solo parziale. NOBILE (vedasi), VALLAURI (vedasi), Onomatopea e fono-simbolismo, Roma, Carocci, Bussole. La capacità di associare dei suoni della propria lingua a suoni naturali è, a detta di VALLAURI (vedasi), professore a Roma, propria degl’esseri vertebrati. In sostanza, cioè l'uomo è in grado di produrre suoni che ri-producono avvenimenti della realtà e di associare a questi - più o meno consciamente - determinate idee. Così,malgrado l'alto grado di formalizzazione che i suoni del latino deve possedere per funzionare da supporto del sistema morfo-sintattico e lessicale, esso conserva dunque una prossimità sufficiente ai suoni naturali – nel senso da H. P. Grice, ‘fisiologia razionale’ – natura -- per surrogarne l'originaria funzione biologica di indizi percettivi degl’eventi rumorosi. Sul fenomeno del fono-simbolismo è comunque consigliabile una certa cautela. Ad esempio, sebbene il suono vocalico [i] puo ri-condurre alle idee di piccolo, carino, soave (cfr. it. 'gattino', 'micio'), e il suono vocalico [o] a idee di grandezza, mascolinità, robustezza (cfr. it. 'colosso'), non possiamo ignorare i numerosissimi alegati contro-esempi, sia latini o italiani (cfr. it. 'massiccio') che non (cfr. ing. big 'grande' e small 'piccolo'). «fl» esprime il senso di fluidità e liquidità insieme (cfr. lat. FLUMEN, it. 'fiume'. L'associazione di significati – SEGNATI -- a singoli fonemi e nessi consonantici è un tema ricorrente nella filosofia a partire dal Cratilo di Platone, che riconosce ad esempio alla lettera greca lábda |! un valore di scivolamento, come dimostrano le parole greche léia 'cose lisce', olisthánein 'scivolare' o liparón 'unto'. Anche il matematico e crittografo inglese Wallis nel De etymologia sostiene che il nesso consonantico [sl] veicola l'idea di scivolamento -- cfr. ing. slide, slip, slime, slow. Ne discorre ampiamente, in tempi più vicini al filosofo, anche Brosses nel suo Traité de la formation mécanique des langues et des principes PHYSIQUES [fisi: natura] de l'étymologie, in cui sostiene che il nesso [fl] evochi l'idea di fluidità - cfr. lat. fluere 'fluire', fr. souffler 'soffio', ing. to fly 'volare') e l'italiano CESAROTTI (vedasi) nel suo Saggio sulla filosofia delle lingue nel quale, trændo proprio da Brosses la maggior parte degli esempi, riporta proprio il caso del nesso [fl] della parola latina FLUMEN come espressione di liquidità -- Per approfondimenti sull'ideologia linguistica di CESAROTTI (vedasi) vedasi BAGLIONI, L'etimologia nel pensiero linguistico di Cesarotti, in Cesarotti. Linguistica e antropologia nell'età dei Lumi, cur. Roggia, Bari, Carocci] «bl» esprime il senso della parola; «kr» ricorda le armi e le macchine;  e così di seguito, con l'abbinamento di ogni suono a una determinata capacità espressiva. Se il singolo suono contiene gia da sé un significato [NATURALE, o megliore, FISICO, O FISIOLOGICO], combinando i suoni a due a due è possibile costruire dei significati più complessi, risultati dalla somma dei singoli significati. A questo modo :«pr» la pressione rumorosa. Con questi elementi è possibile formare delle radici monosillabiche corrispondenti a delle idee precise. Ad esempio congiungendo le sillabe «kl» (composizione delle idee di solidità e fluidità insieme che corrisponde praticamente all'idea della costruzione, artificiale e naturale -- e «am», che esprime l'idea dell'amore. La sequenza «klam» INDICA il concetto di 'casa'. Ma «klim», che rende l'idea del piccolo e della costruzione, significa 'stanza da bagno'. È evidente che tutte le radici di sensi vicini si formano tramite la combinazione e la variazione delle vocali e delle  consonanti. Sebbene si tratti di una lingua a priori, cioè non derivata da altre lingue storico naturali, vi è un caso in questi due sistemi linguistici si incontrano, ed è, ovviamente, nelle onomatopee. Essendo il blaia zimondal una lingua di tipo filosofico – alla J. L. Austin, “Sound Symbolism,” Bodlein, consultato da H. P. Grice -- che vuole dimostrare la vicinanza dei suoni della lingua ai REFERENTI extra-linguistici, le espressioni linguistiche di suoni già presenti in NATURA non possono che essere modellate su questi stessi. Così ad esempio si ha «uul» per 'ululare', «meua»  per 'miagolare, ecc.  Non mancano comunque casi di somiglianze con altre lingue realmente parlate, e in particolare con le lingue romanze e germaniche, forse retaggio della provenienza linguistica e della formazione dell'autore: «bank» per 'banca', «ordo» per 'ordine’. Nome compiuto: Cesare Meriggi. Meriggi. Keywords: deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Meriggi”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Merker: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – l’etologia filosofica – o tempora o mores -- il filo d’Arianna – Arianna abbandonata a Nasso – la scuola di Trento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Abstract: Grice: “I like to consider myself a philosophical ethologist. As Merker reminds us, ethos is possibly related to ‘ethnos,’ but possibly not!” Grice: “In fact, I while I sort of detest etymologies, which usually refute my theories – cf. ‘mean’ – I must say that ‘ethnic’ and ‘ethos’ are etymologically relate – both originating from the same proto-indo-european root s(w)we- a reflexive pronoun referring to one’s own, or a social group. While ‘ethnic’ focuses on shared origins and group identity, ‘ethos’ emphasizes the characteristic customs, values, and morality of a person, group, or culture. Therefore, while they have distinct meanings in modern English, they share a common etymological thread in ancient Greek, reflecting concepts of community and shared cultural identity!” Grice: “At Oxford, we wouldn’t consider Merker an Italian philosopher, as we don’t consider Ayer an English philosopher – Anglo-Jewish at most. Merker is different, though!” Filosofo italiano. Trento, Trentino. Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania. Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma. Cura edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora della luce della ragione ;  Lessing e il suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti,  Storia della filosofia, La filosofia moderna. Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti); STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti,  Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza,  Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi,  Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza,  Herder, James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le stelle, Roma, Riuniti,  Maj, Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti,  Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma, Riuniti, Marx,  Engels, La concezione materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza,  Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.  La discreta classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista  Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di  M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di  la scuola materna e le  elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la prima classe ginnasiale. Trasferitosi a  Trento, continua ivi la scuola media e il ginnasio-liceo  fino alla maturità classica conseguita al Liceo "Prati" di Trento.  Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Messina, si laurea ivi  con 110 e lode in filosofia e una tesi su "Hegel e lo scetticismo". Con una borsa di studio è a Napoli all'Istituto italiano per gli studi storici ("Istituto Croce"), e poi in Germania un periodo di ricerche.  Alla Facoltà di Magistero di Messina è presso la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente volontario, poi straordinario, incaricato e infine ordinario. Nella medesima Facoltà, conseguita la libera docenza in Storia della filosofia, è stato professore incaricato di Storia delle dottrine politiche,  temporaneamente anche di Estetica, e, a concorso vinto, professore straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha diretto l'Istituto di filosofia e per incarico temporaneo anche quello di Letteratura francese.  Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea della Facoltà di Lettcre e Filosofia dell'università di Roma  "La Sapienza", vi ha conseguito l'ordinariato ed ha poi continuato la sua attività  Facoltà di Filosofia di quell'ateneo  seguito per  l'insegnamento di Storia della filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è professore emerito dell'università "La Sapienza" con decreto ministeriale.  Nella Facoltà di Lettere e Filosofia ha presieduto per un paio di anni la  Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione scientifica del  "Centro di servizi interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia, nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  Per formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese, francese e spagnolo,  familiarità con il francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non ha capacità e competenze artistiche.  Studi e ricerche  Iniziali attenzioni per la logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella monografia Le origini della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi per periodi fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma (ad es. con un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore  - intramezzato in  Dialettica e storia da un tentativo di bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar.  Studi specifici sono stati dedicati al pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.  Con un'appendice di  testi e documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels.  L'interesse per i problemi rimasti aperti nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà; Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere. Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti con le ricerche precedenti sul populismo.  L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia  Complessivamente le pubblicazioni  - tra monografie, articoli vari, saggi,  recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a convegni, testi in opere collettive -  ammontano finora a molti.  Di cui sono monografie:  Il nazionalsocialismo, Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato.  Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing, ediz. rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia tedesca.  Rivoluzione e utopia nel giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco. L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano. Nome compiuto: Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Messalla: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “I refer to the Athenian dialectic rather broadly, and just to compare it to the Oxonian dialectic – and I concentrate only in three philosophers: Socrates, of the Agora, Plato, of the Academy, and Aristotele, of the Academy and his own Lycaeum – but there were at least two further sects which I should have taken into account. One is referred to by the Italians as ‘Il Portico,’ since that is what ‘stoa’ means – The other is referred to by Italians as ‘L’Orto’ since its founder, Epicurus, had a thing for ‘gardening’! The topic quite overlaps with the Oxonian dialectic, seeing that for most of the late nineteenth-century, Oxonian dialetic was of the very gardening type – as a cursory glimpse of Pater’s Marcus the Epicurean will testify!” -- Filosofo italiano. Garden. Friend of Orazio. They study philosophy together. He opposea GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes his peace with Ottaviano. He writes philosophical treatises. Allow me to address briefly the L’ORTO philosophy within the context of the difficult tines covering the years which witness the downfall of the republic and the birth of the principate. In  'L’ORTO in Revolt' (J.R.S.) Momigliano takes as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO who rapidly comes to the conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated because of what appear to be his tyrannical tendencies. The author emphasises that during this crucial period the adherents of the L’ORTO philosophy did not maintain a passive political aloofness. While some followers of L’ORTO actively support GIULIO in a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio Torquato, Trebiano, L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence suggests, L. Saufeio and Statilio. Monigliano concludes with the statement that on the whole, the events prove that Cassio is not an exceptional case among the contemporary L’ORTO. The majority stand for the Republic against Caosarisa." Horace seens to have felt an antipathy tovarda Mbullus and his patron M. which may be explained to sone extent by political factors, in particular the strong republican sympathies which the latter still professs under the principate. Of M., Monigliano notes that ORAZIO writes of him, 'quanquan Socraticis madet sermonibus', a dubious expression, but the Ciris (whatever its date and author) shows him well acquainted with the L’ORTO circle, and his leader is, as he proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.). I suspect then that he is a definite member of L’ORTO. It is, then, I think possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract, though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M. and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which would contribute to the welfare and strength of the state which the poet manifests. Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. GensValeria PadreMarco Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolatoin Gallia Comata. Militare e filosofo romano, patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia romana, avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater patriae. M., letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna l'interesse per la filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo di M.. Tra gli altri comprende Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO (si veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre, console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la Valeria, sposa di Quinto Pedio, console  insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex Pedia contro i Cesaricidi.  Syme Wilkes Velleio Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales: quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus. Fonti antiche, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio, Storia romana. (testo greco  e traduzione inglese). Svetonio, De vita Caesarum libri VIII. (testo latino  e traduzione italiana). Tacito, Annales. (testo latino, traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo, Corpus Tibullianum. Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. Fonti storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il circolo dei poeti», Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, Wilkes, Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra, Routledge Voci correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Olivetti e Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini. Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus Valerius  Messalla Corvinus FigliMarco Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M.  Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus o anche Marcus Valerius  M. Niger; filosofo romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica, tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II, New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina.  A member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War  Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War  Shotter, Nero  Der Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D. Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley e Barrett, The Roman History, Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike, Gruyter, Political offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as Suffect consulsConsul of the Roman Empire with Nero III, followed by Gaius Fonteius Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius Sabinus as Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius Messalla Corvinus  Article Talk Read Edit View history. Not to be confused with Marcus Valerius M. Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A  Roman general, author, and patron of literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw  Print of the Roman General, made by Hendrick Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer.  Corvinus marries twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo. Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M. Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly.  He is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO. After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS – ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek; translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much later production.  Places associated with Corvinus  The so-called Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani) located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.  The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in Rome.  In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt down. Since its original excavation it was believed to belong to his family since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave of Marcus Valerius.  Legendary ancestor of Hungarian royalty  The triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants – for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was well-versed with the classical Latin authors.  Bonfini also provided the Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which the tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event, Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as derived from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus" and had their coins minted displaying a "raven with a ring". This was later taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected with the Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph over the Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw.  See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms References  Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R., Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan, Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina, deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera Buranelli et Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool – Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.  "Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph. London.  Lorenzi, "Excavating an Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen, Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto” – The Swimming-Pool Library. Nome compiuto: Marco Valerio Messalla Corvino. Keywords: portico, l’orto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mesalla.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mesarco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del figlio di Pitagora  – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Abstract: Grice: “It is often said that Pythagoras was not an Italian, but an Italianate – since he had been born in Samo – the same cannot be said of his son! In fact, may Italian historians of philosophy consider M. as the first truly Italian philosopher! At Oxford, the comparison is always made with two Scot philosophers, James Mill and John Stuart Mill, who like Pythagoras and Mesarco, were father and son – in that order!” Filosofo italiano. Crotone, Calabria The son of Pythagoras. M. leads the sect after the death of Aristeo. Mesarco. Refs.: “Grice e Mesarco.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mesibolo: la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria, Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mesibolo.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Messere: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale  – l’implicatura di Sileno – la scuola di Torre Santa Susanna -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre Santa Susanna). Abstract: “While I claim that most of what I refer to as the Athenian dialectic is due to Aristotle, it may well be thought to originate with Socrates. The Italians know this well – as when they call M. ‘our Socrates’!” -- Filosofo italiano. Torre Santa Sussana, Brindisi, Puglia. Ricevuti i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi, procuratosi alcuni libri, M. si applicò allo studio della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che M. partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli. Tale cattedra  era stata nuovamente istituita  a spese di Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico di M.. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo culturale napoletano fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di Medinaceli. Che sia stato memM. bro autorevole di entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui il M. e tra i primi iscritti.  L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al M. non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di M. fu anche l'amicizia con Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha della filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.  Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti varij componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri  Tra le tante collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti.  Le lezioni accademiche di cui si dispone sono quelle che  tenne nell'Accademia istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia, dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e, nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia napoletana “Sebezia”.  Storia della litteratura italiana  Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli  Le vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine delle generale adunanza da  Crescimbeni, pRoma,  (biografia scritta da Lombardo). Cantillo, Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei documenti,  Edizioni scientifiche italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO, in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli: Napoli,  Rak, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici.  (regio esim liepiera preso Niccola Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá iTera d Ohrante nel mio Mori in Napoli. Ebbe per convincenti indizj, co di Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio non conosceva neppur lo avanti, che inbreve con tanta sollecitudine però,e sn tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli seçe meritamente occupare. la catte be  i suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto, detto la Torre di S. Susanna, discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno, e colla sua mente, velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della filosofia delle mattemati che in buona parte, della Teologia, della Storia Ecclesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto della poesia e della musica, e tanto in questa ando avanti, che giunse a cantar con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato al Sacerdozio, gl'intervenne una disgrazia, la quale fieramente l o travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei, avutone sentore, lo fece assalir da due sgherri, I quali si accompagnavano con M., ilquale go dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo Caraconessin,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude. Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura, dra di greco linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre a folla alle sue lezioni, e zione,che non solamente I giovanetti,ma puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di letteraria coltura, a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza congiungeva M. quello delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa, Francesco d'Andrea, Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali e il suo nome in somma estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare, e sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani. Il suo modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale. Molto però egli valse nel verseggiare giocoso, ed in quella spezie di poesia, già inventata da Folengio, il quale si dice Coccai, che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore, seco portate avesse, con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e che Gregorio non ne avesse gl’originali serbati, e non ne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona letteratura, poco cura le sue cose, e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell  و, e più d'istruire la gioventù S!11 renza della dottrina erudizione. diosa, che di far pompa di lussureggiante арра Le virtù cristiane e socievoli di M.  pareg giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche erasi acquistato, uimase in una fredda in differenza, motteggiando giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli, giovinetti di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella legalfacoltà, da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto, dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza, talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine dell'uomo, e narrasi, che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno aperto, per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano, ritrovan dosi ogli con un amico, lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti discesovi, sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti, e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è il luogo che dee a me toccare? Somme lodi son queste certamente per M., il quale nato essendo nel mezzo della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi, degl’Aristosseni,degl’Ennj, de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea, della latina e della Italiana poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale insegna non pur colle parole, ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di tutti gliamatori delle buone lettere, preso di ac cidente apopletico passò a miglior vita,e fu sepellito nella detta Cappella del Pontano, siccome in vita avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI. Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate de’suoi tempi, e datuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli furono i Biscardi, Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli, i Capassi, gl’Egizi, e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo tegnaggio, insigne per lettere e per la scienza della pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti.  pe di M. Torre di S. Susanna, luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli in Gregorio Messo nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio, lo determinò Greca, e così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli, e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido, che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepoli non poche persone per coltura e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea, il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito, il Gravina, il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare, e conobbe le altre scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta ordine di persone il compianse . ogni funerali i Professori ai suoi, ed, ed ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù, m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta. personaggi della Greca e r u Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio. Biografia degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per la cattedra di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Nome compiuto: Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates, Socrate Sileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Messimeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Seminara -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Abstract. Grice: “At Oxford, we rarely study philosophical aeconomics, but they do so at Cambridge – witness Keynes!” Filosofo italiano. Seminara, Reggio Calabria, Calabria. Grice: “He was of a noble family – he was into the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano.  Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana M. fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.  Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra  François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso M. si impegna a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera  edita con una dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla produzione della seta. M., che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle manifatture e del commercio.  Il politico  Sir John Acton La riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia. Una delle proposte più importanti di M. fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.   Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu nominato dal primo ministro Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola, diretta da M., ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi: “Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla” (Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia” (Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani,  V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi, Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza: LPE,  Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli da M. patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese di Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli); “Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto da M.,  patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M. da Melzi, Note bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre notizie,  H-R, Milano: Bernardoni) Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M. e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,  Reggio Cal., Morello,  Romeo, Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica", Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M. la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli:  «Papa Clemente IV, il quale investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice, Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo successero che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono, chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi, ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno sic avuto il dominio d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia.»  La stessa tesi è sostenuta da Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli, in cui si citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana». In un altro passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi. Nome compiuto: Marchese Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!: ossia, Grice e Metello: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “At Oxford, we follow Cicero’s statement that philosophy in western Europe started when the Greeks sent an embassy led by Carneade to Rome. Greece is not considered part of Western Europe – and that’s why we keep the frieses of the Parthenon! Now M. knew Carneade, so he may well be regarded as the first Roman, and thus Western European philosopher!” -- Filosofo italiano. A Roman general and politician. A pupil of Carneade. Grice: “Fortunately, we have enough material to be able to reconstruct what M. found appealing in Carneade. In the first speech, Carneade PRAISED Roman justice – dike --; in his second speech, the next day, he condemned it. This left an enduring mark in M. who dedicated the rest of his life to abuse Carneade!” – Grice: “I deal with M.’s and Carneade’s alternate concepts of ‘dike’ or the ‘ius’ in my ‘Philosophical eschatology and Plato’s Republic – Thrasymachus and neo-Thrasymachus defend what I see as a politico-legal concept of the ius, not a moral one. It may be argued that the legal or politico-legal concept, is PRIOR to the moral – and it takes a special kind of metaphysical construction routine to prove otherwise!” Nome compiuto. Quinto Cecilio Metello Numidico. Metello.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Metopo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Abstract. Grice: “Oddly, I kept in my files a copy of Bosanquet’s Virtues and Vices, with the purpose of criticizing it. At Oxford, it’s very rare – but not at Corpus, my alma mater – that ‘virtus’ is directly associated with ‘andreia,’ as it should. Cicero knew this: Aristotle’s ‘aner’ becomes the Roman ‘vir’ – and the ‘virtue’ is anything that a ‘vir’ displays. Note that virtue is not innate, nor is virility – in fact, the Romans made such a fuss about coming of age that they involved the poor boy into having to wear a special dress to prove it!” Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. Cited by Stobeo – M. writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Metrodoro: la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean and son of Epicharmo, cited by Giamblico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Metrodoro.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Metronace: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di Napoli – Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Abstract. Grice: “When I refer to the Athenian dialectic and the Oxonian dialectic, Minnio-Paulello criticized me for obliterating the Roman dialectic. I said: ‘And what about the Neapolitan dialectic?’” -- Filosofo italiano. Napoli, Campania. Metronace. Porch.A popular teacher of philosophy at Napoli, where Seneca attends some of his lectures.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Micalori: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Ganimede e l’implicatura sferica di Giove – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “In Italy, like Oxford, we take mythology seriously! And so did Schelling!” Filosofo italiano.  Roma, Lazio. Grice: “I took my ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it ‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans were wrong.” Professore a Urbino.  Opere: “Della sfera mondiale” In Urbino, Mazzantini, M., Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli.  Zeus features heavily in a lot of starlore, and the Eagle constellation is no exception.  The predominantly accepted mythos for this constellation is the abduction of Ganymede. Zeus had facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his personal cup-bearer.  In the constellation, which is situated south of Cygnus on the equator, making it visible from both the Northern and Southern hemispheres, poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as he is swiftly taken to the heavens.  The constellation appears alongside several other bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the appearance of gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is separated from the body by a milky circle. It was also said to set “at the rising of the Lion and rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15)  Greek astronomy  Humans have a natural urge to identify familiar things amongst the twinkling stars of the mysterious abyss above us. These narratives came out of astronomical observations and ancient time tracking. The study of the sky began long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss them, Homer and Hesiod. They likely developed during the transition from oral to written transmission, but to what is extent is unknown.  Even though the Greeks were late to the constellation conversation, they received a lot of their knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced the word katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being set in the heavens. Constellations were used for navigation and an indication of seasonal change; many extravagant mythic connections were added later.  Today, there are 88 constellations officially defined by the International Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The Almagest.  Constellations created by the Mesopotamians between 1300-1000 BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was solidified by Eratosthenes, in a work now lost to us.  Zeus and his trusted companion  The myth of Ganymede is very ancient lore, being told in the tale of Troy by Homer (Illiad) – albeit with no mention of an eagle escort. In the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be whisked off to Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’.  The eagle was not connected to this tale until the 4th century BC. The constellation was accepted as an eagle prior to this, so it is presumed that this addition was made to make the story fit the stars, probably because Ganymede is said to feature in his own nearby constellation, the water-pourer (Aquarius). Nome compiuto. Micalori. Keywords: implicatura sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Micalori” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Miccoli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’ANTONINO -- homo loqvens filosofia lazia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “When I gave my serminars on ‘saying’ at Oxford, I always had Cicerone’s dictum at heart, and indeed would often replace ‘what is said’ by ‘dictiveness.’ Now ‘dicee’ is cognate with ‘in-dicative’ – but the area is fuzzy. If we attempt to analyse it conceptually in terms of the relation of ‘segnare’ or ‘significare’ – we may perceive two areas: one of EXPLICIT content – the dictum – and one of IMPLICIT content – what Hare wittily called the DICTOR. So “Close the window” has a dictor with a direction of fit opposite to ‘the window is closed” but it may well be argued that in terms of the implicit content that is signified, ‘The window is closed’ may well implicitly convey the imperative, ‘Open it!’ How clever language is!” -- Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon – My favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it means to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell' Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna, in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto.  Citazioni Come umanista Erasmo si sente apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo, bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita quotidiana della gente, fosse anche d’ANTONINO che sul letto di morte, lui filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La sapienza dei dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon senso che cambia in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa dei conti. L' Elogio della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società economicistiche che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino «minorenne» sempre bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono, tra l'altro, spiriti lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani Blake, con spirito erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La divertente commedia umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, TEN, Introduzione a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione storico-critica delle Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle discussioni e congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura hegeliana a proposito dei cosiddetti Scritti teologici giovanili, la cui indole cronologica vengono ora sancite su base filologica e critica più accorta. Più che ai titoli apposti da Nohl ai vari frammenti e più che alle congetture sulla data probabile di tali scritti, è più fruttuoso rifarsi agli anni di formazione filosofica e teologica di Hegel nello Stift di Tubinga e reperire nel curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno influenzato maggiormente l'autore in una speculiare lettura dei quattro Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di Hegel, negli anni tubinghesi, sono prevalentemente filosofici, incentivati dalla lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici ed etico-religiosi. (Hegel, studioso di filosofia, si sente chiamato a lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo tempo e a porre le premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli spiriti». Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a una forma di scrittura audace, che desacralizza e sdivinizza la persona di Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime. M., introduzione a Hegel, Vita di Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi dicibili”, “Homo louqens”. Nome compiuto: Paolo Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens, corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Miccolis: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – BRVNO – filosofi italiani al rogo – la scuola di Corato -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Corato). Abstract: “At Oxford, we don’t consider Bruno too seriously, even if Oxford once did – indeed, it was at Oxford, that Bruno felt for the first time like a true philosopher, with pupils and all. But back in Italy, he refused to realise that if England has a king that defends the faith, so does Italy, and that king is called the “Daddy” (Papa)!” -- Filosofo italiano. Corato, Bari, Puglia. Grice: “Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters! Miccolis to Labriola.” Considerato uno dei massimi studiosi di Labriola.  Si trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia, professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di estetica all'Accademia di belle arti Vannucci. Divenne responsabile del settore culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso dagli studî e dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le vicende politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione liberale: considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce, Gobetti. Dalla fine degli anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese Labriola, da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia». Nascerà quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa all'Accademia dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano per gli studi storici e dell'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva della spezzettata, dispersa e contorta  labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in base a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario" dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe». Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor, Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e notevoli gli ulteriori apporti documentari alla  labrioliana. Collabora intensamente con l'Istituto italiano per gli studi storici e la Fondazione Biblioteca Croce: aveva il compito di revisionare i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi dell'Edizione nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali animatori dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva contribuito a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il problema del rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società napoletana di storia patria.  Adnkronos, Filosofi, E' morto M., massimo studioso di Labriola, Bari, SAVORELLI, Rivista di storia della filosofia, Opere: “ Il carteggio di Labriola conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio storico per le provincie napoletane»,  «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con Pistelli e Lodi, a c. di M. e Savorelli, in Gli archivi della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, (rist. in Gli archivi della memoria e il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca Medicea Lauenziana, Polistampa, Labriola, La politica italiana Corrispondenze alle « Basler Nachrichten », M., Napoli, Bibliopolis, Labriola, Carteggio, M., Napoli, Bibliopolis, M., Labriola, Dizionario biografico degli italiani, A. Labriola, L'università e la libertà della scienza, M., Torino, Aragno, Labriola, Bruno. Scritti editi ed inediti M. e Savorelli, Napoli, Bibliopolis, M., Labriola. Saggi per una biografia politica, A. Savorelli e M., Milano, UNICOPLI,  M., Gli scritti politici di Labriola editi da M., A. Savorelli e M., Napoli, Bibliopolis,   G. Bucci, M., il ricordo a un anno dalla morte, "Corato live", W. Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf cent", Savorelli, M., «Rivista di storia della filosofia», fa A. Meschiari, M. studioso di  Labriola, Rivista di storia della filosofia. Nome compiuto: Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords: filosofi italiani al rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Michelstädter: l’ebreo italiano e lla ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il giovane divino -- l’implicatura persuasiva di Platone – filosofia giudea – filosofia nel ventennio fascista – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Gorizia). Abstract. Grice: “At Oxford, Witters was seen as an outsider. Like Ayer, Witters was a Jew, but unlike Aye, Witters was crytptic. The same could be said in Italy about Michaelstaedeter. Italy indeed went further down the line than Oxford, when, apres Mussolini, the Hebrews were expelled from the philosophy faculties!” Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult to grasp Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant – he was a close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane divino.’ My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice: “Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with ‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will be influenced by a sweeter co-emissor.”  essential Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre, Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico rappresentante della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi incidere molto sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e con non poca meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le traduzioni dal greco e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A iniziarlo sono Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli, oltre a Schopenhauer, legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi, Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen.  Conclusde gli studi ginnasiali e progetta di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà, fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz, noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte, per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea, assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi».  Amici raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di M. scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica, viene fatta risalire da M. a un parricidio: quello di Aristotele nei confronti di Platone. Questi, nella metafora costruita da M., escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il peso del mondo e giungere all'assoluto. Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri, Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo così a tutti la gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia del mondo intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di Schopenhauer, più che di Nietzsche.  La costituzione della metafisica è per lui una storia di rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi persuasi tanto proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata. Quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole. Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4 sistemi... lo disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la visione propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol tener fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli «ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci, ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche, sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita, soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra sorte / filammo a questa morte».  Il pensiero di M. procede di conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte, piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. M. respinge, con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica della persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile, irriducibile, concentrata in sé.  Il solipsismo di M. è perciò radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel deserto dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della propria sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la conoscenza conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta di una sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la figura dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente».  Produzione artistica La produzione poetica e quella pittorica di M. possono essere considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento tragico e mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere l'inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente, così nel segno pittorico, nello schizzo rapido e scherzoso come nel ritratto composto e meditato, traluce l'impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava la ben rotonda verità. Non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro immediatezza e alterità, «come chi vuol veder sul muro l'ombra del proprio profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche l'arte e la poesia, come la retorica filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni linguaggio escogitato dall'uomo sarà sempre impotente a esprimere.  Saggi: Saggi Chiavacci, Sansoni, Firenze); “Scritti scolastici, Campailla, Gorizia, Opera grafica e pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della salute e altri dialoghi, Campailla, Adelphi, Milano Poesie, Campailla, Adelphi, Milano, La Persuasione e la Rettorica, Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova, edizione critica Campailla, Adelphi, Milano poi, con le Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla, Adelphi, Milano nuova edizione riveduta e ampliata, ivi,  Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano, L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia,  Dialogo della salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano, La melodia del giovane divino, S.  Campailla, Adelphi, Milano  La persuasione e la rettorica, edizione critica, A. Comincini, Joker. M.-Winteler, Appunti per una biografia di M.. M. si riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele Reggio, confondendolo con il padre di questo, Abram Vita Reggio Campailla, Il segreto di Nadia B., Marsilio,. Da articoli di cronaca americani dell'epoca, si apprende che il suicidio avvenne con un colpo di pistola alla tempia destra.  La persuasione e la rettorica  La persuasione e la rettorica  Poesie La persuasione e la rettorica Magris, Un altro mare Il dialogo della salute, Biografie e studi critici Acciani Antonia, Il maestro del deserto. M., Progedit, Bari Arbo Alessandro, Carlo M., Studio Tesi, Pordenone (Civiltà della memoria). Arbo Alessandro, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Arbo Alessandro, Il suono instabile. Saggi sulla filosofia della musica nel Novecento, Neo Classica, Roma, Giuseppe Auteri, Metafisica dell'inganno, Università degli Studi, Catania, Benevento, Scrittori giuliani. M., Slataper, Stuparich, Otto/Novecento, Azzate, Brianese, L'arco e il destino. Interpretazione di M., Abano Terme (PD), Francisci); Camerino, La persuasione e i simboli. M. e Slataper, Liguori, Napoli Sergio Campailla, Pensiero e poesia di M., Patron, Bologna. Sergio Campailla, A ferri corti con la vita, Comune di Gorizia Sergio Campailla, Controcodice, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Valerio Cappozzo, La passione, Les Cahiers d'Histoire de l'Art nº2, Parigi Valerio Cappozzo, Il percorso universitario di  dall'archivio dell'Istituto di Studi Superiori, in  Un'altra società. 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Note alla triste istoria che viene  narrata a Abbandono della vita socratica Il Macrocosmo Il riflesso del sole La decadenza Il discepolo Proiezione della mente d’Aristotele sui modi della significazione Della composizione della Rettorica d’Aristotele La Rettorica d’Aristotele c il   Fedro di Platone Della dialettica e della rettorica IL DIALOGO DELLA SALUTE POESIE    II canto delle crisalidi. Dicembre.   Nostalgia.   Marzo.   Aprile.   Giugno .   Risveglio.   Alla sorella Paula.   Onda per onda batte sullo scoglio.   Ognuno vede quanto l’altro falla.   Aon è la patria — il comodo giaciglio.   Per ora a bordo — non è lavorare. I figli del mare. A Seni a   - Le cose ch’io vidi nel fondo del mare Da le lontano nelle notti insonni.   Ili - Non sorridente sotto il sole estivo .Dato ho la vela al vento e in mezzo all’onde   V - Se mi trovo fra gli uomini talvolta Ti son vicino e tu mi sei lontana ....   VI — Parlarti? e pria che tolta per la vita All’Isonzo.   EPISTOLARIO SCELTO   Alla Famiglia . . .   Gorizia-Venezia Venezia   Ferrara    Bologna-Firenze   Firenze   Firenze  Firenze Alla Famiglia Firenze Al Padre Firenze Alla Famiglia Firenze Firenze Alla Paula Firenze Alla Madre Firenze   Alla Famiglia Firenze   Firenze   Firenze Firenze Alla Paula.Firenze Alla Famiglia Firenze Firenze Alla Paula Firenze Alla Famiglia Firenze Firenze Firenze Firenze Firenze   Firenze Firenze   Al Padre Venezia   Alla Famiglia Firenze Firenze Firenze Al Padre Firenze Alla Paula Firenze Alla Famiglia Firenze Al Padre Firenze Grado A Chiavacci Gorizia  Firenze   Alla Famiglia Firenze  Firenze   Firenze   Alla Madre Firenze   Alla Famiglia Firenze Firenze Gorizia   A Chiavacci Gorizia   Alla Famiglia Vicenza   Firenze  Firenze Firenze  Alla Madre Firenze  Alla Paula. » rie   Firenze Alla Madre Firenze   Alla Paula Firenze   A Chiavacci Firenze Gorizia   Al Padre Firenze  Alla Famiglia. Firenze   Al Padre Firenze Alla Famiglia Firenze A Chiavacci Gorizia Gorizia Alla Madre Firenze Alla Paula Firenze Alla Famiglia Firenze  A Chiavacci. » Gorizia Gorizia   A Chiavacci Gorizia Firenze Alla Famiglia Firenze   A Mreule Bologna   Alla Paula Firenze   Alla Famiglia Firenze   A Patcrnolli Firenze   Alla Paula Firenze   A Paternolli Firenze   Alla Famiglia Firenze   Alla Paula .Firenze   Alla Famiglia Firenze   Alla Paula .Firenze   A Mreule Gorizia   A Chiavacci S. Lucia   A Mreule S. Lucia   A Marino Caliterna S. Lucia   A Mreule S. Lucia   Allo zio Giovanni Luzzatto S. Lucia   A Marino Caliterna.  igog  Gorizia   A Chiavacci Gorizia   A Paternolli .Gorizia Gorizia   A Marino Caliterna Gorizia  A Mreule A Chiavacci ....  Gorizia  Gorizia   A un amico Gorizia   A Mreule S. Valentin   Gorizia Gorizia   A Paternolli Gorizia    igio  Gorizia  III. igio  Gorizia    igio  Gorizia   igio  Gorizia   A Chiavacci Gorizia   A Paternolli Gorizia   A MreuleGorizia   Al Padre Gorizia A Paternolli Vili, igio   Pirano   Pirano Gorizia  Gorizia    A Paternolli A Emilio Alla Madre Al Sig. Gelati, Segretario dell’Ist. Studi Sup. di Firenze   SCRITTI VARI   A. APPUNTI - NOTE - CRITICHE LETTERARIE - DIALOGHI - BOZZETTI   Una messa.   Da un notes.  Da un notes.   Commento a un brano di Stirncr.   Su Wenn wir Toten erwachen di Ibsen Sull educazione del fanciullo (a proposito di una   conferenza di S. Sighele).   7 - Salvini c gli Spettri .' Più che l'amore Tolstoi.  La bora.  Nota su Ortis Poesia d’occasione.   A Benedetto Croce.   D* fuori la vita rumoreggia.    II (igog-io)   Discorso al popolo. w   16 - H&r) xéxQnai ó v/J ~ Con cert’aria eroica.   I utta la natura non è che volontà dell’Uomo   Bacio le mani ai rozzi materialisti   Voi vivete perché siete nati.  Non sei né il primo né l’ultimo »...   L’individualità illusoria.    ’ASiaipogla .   Insulta novantanovc su cento. Aiace non dice a Eurisace « tu non intendi » Quando si guasti il filo al mio coltello Conoscere è dolce a chi conosce per vivere.  La donna che ama.   Diritto di possesso.   La rct lorica crede di fornir le chiavi .Achille insensibile alle parlate.  Sicurezza di fronte al freddo  Della vanità.  L’individualità piccola vive con 1 ’insouciance   Anche le conoscenze credute speciali .... ! Huss a un contadino.  ’Evlxi](JE &iì/iòv éxdarov. Frammento sull’amore.   La ferma connessione dei tegoli  ~ Tò gwóv . La morte è detta solo in riguardo alla vita Prima forma della fine del Dialogo della salute APPUNTI PER TRATTAZIONI SISTEMATICHE Ardan va nella luna per un tratto di   spirito. La catarsi tragica. FI eoi aotpiaq xai evdaijuovlaq (In ogni punto   della vita...Aia tcov òia25 - Questione centrale. Aristotele vuol organizzare e sistemare .  Le virtù.  La dialettica.  Platone ha bisogno dello Stato (negl dtxaioadvtjq  Chi cerca il giusto.   Giusto è chi giudica sempre ogni cosa trasfe   rendosi nella necessità causale di questa. Chi è debole ha tutto lo stesso (xc.Montanara  ÒQfviii).  Il prediletto punto d appoggio della dialettica  socratica.  Premessa metodologica. .. vorrei comunicar la ribellione / all'universo. Carlo M. Carlo M. è un pensatore che disarma e, per usare un suo lemma, "coinvortica": disarma l'interprete, nel senso che lo coglie alla sprovvista, immettendolo all'interno di una teoria di riferimenti e di allusioni, così ben congegnata nel tessuto connettivo della Persuasione, da scoraggiare ogni pretesa od ogni buon proposito di "esatta" acribia filologica'. Allo stesso tempo, addentrandosi nella lettura, l'interprete non solo rinuncia alla sua perizia di glossatore, alla sua pazienza di risolutore di trame, ma si trova costretto a tralasciare ogni impegno asettico, scientifico, oggettivo di compilazione. M., infatti, impone di non essere neutrali, il suo pensiero è soprattutto, e consapevolmente, provocazione: chi lo affronta, vi si scontra, ed è chiamato direttamente in causa, ne viene ammonito innanzitutto come uomo. Questa violenza (e leggendo il nostro lavoro s'intenderà tutto il peso di questo termine usato qui), cui il Goriziano sottopone il suo lettore, e dunque anche noi, può indurre due e solo due effetti: o suscita riluttanza e irritazione, più o meno ironica, più o meno seria, oppure reclama una disperata devozione**. Comunque, non permette accomodamenti o sufficienze o imparzialità. Noi apparteniamo alla schiera dei devoti, e la nostra tesi ha in ciò molti dei suoi innumerevoli difetti, ma anche - ce lo si lasci dire - tutti i suoi pregi. Se ci è lecito, a questi ne aggiungiamo uno ulteriore, di natura metodologica, per quanto la cosa possa sorprendere, vista la particolare curvatura che prenderà la nostra impostazione: frequentando M., infatti, nelle nostre assidue riletture, ci siamo alfine persuasi che il Goriziano richiede una personalissima metodologia, ritagliata su misura, che egli stesso ci ha suggerito. M. aborre la filologia fine a se stessa, dichiara a chiare lettere che non gl'interessa, che anzi lo infastidisce, e a chiare lettere confessa piuttosto l'interesse per la viva espressione dell'intelligenza e del pensiero, per opere da cui spremere "succo vitale"?; com'egli stesso ammonisce (seppur di passaggio, in una nota), 1 Ci trova poenamente concordi la posizione del Piovani, secondo il quale «non c'è scienza storica [e dunque anche filosofica] là dove il metodo filologico, che è il metodo della storiografia, non è seguìto»: «onestà d'indagine, che è pazienza e sacrificio, attenzione di analisi, che è amore dell'altro, dicono la moralità della filologia, anzi dicono della filologia come moralità». Puntualizza il filosofo, tuttavia, che quello filologico «ovviamente, è un metodo che ogni ricercatore segue a suo modo, con maniere personali e personalissime». Questa sottolineatura ci rinfranca e c'incoraggia in questa rostra nostra difficile ermeneutica d'approccio a Carlo M., pensatore che - a nostro giudizio - richiede, forse più che altri, una scepsi filologica ed un taglio di ricerca molto peculiari, diremmo addirittura ad personam (ma cfr. nel seguito della nostra analisi). [Le citazioni da Piovani sono tratte da P. Piovani, Conoscenza storica e coscienza morale, ed. Morano, Napoli, 19722, pagg. 48-51 passim]. 2 Espressione-concetto di M.. Altre espressioni tipiche del pensatore goriziano, riscontrabili in questa Premessa, verranno asteriscate [*]. 3 Indicativo, a tal proposito, questo stralcio di una lettera al padre Alberto, scritta da Firenze il 31maggio 1908: 1 chi si avvicina al suo pensiero deve «far forza alla propria erudizione» [PR 14], perché - aggiungiamo noi - la voce della Persuasione non è apofantica e, come tale, è insofferente ad ogni approccio razionalizzato o erudito o categorizzante o puramente storiografico. M., "profeta" di Persuasione, non può essere soltanto letto, né può essere decisamente soltanto "studiato", ma semplicemente accostato, in maniera inesorabile, e condiviso o combattuto. Diventare, come lui, «povero pedone che misura coi suoi passi il terreno» [PR 4], diventare compagno di viaggio, e con lui - durante il cammino - conversare, come i discepoli amati e amanti amavano fare con Socrate. Oppure, divenire intralcio al viaggio e cercare occasioni di sosta forzata. Così, se s'intende per filologia la puntigliosa computazione del dettato, la sua scolastica e la sua patristica, la mera analisi testuale, la collazione, l'idolatria della parola e dei suoi rimandi eruditi, il gusto per la citazione affine e raffinata, allora La persuasione e la rettorica non è un'opera filologica. Se invece per filologia s'intende, com'era per Vico, il rispetto e l'amore della parola come espressione del pensiero e della sensibilità umana, come risonanza intellettuale ma soprattutto morale, come pretesto per far filosofia "civile", allora essa è anche un'opera filologica. Parimenti, se s'intende per ricerca la compilazione archivistica, l'interesse esclusivo per l'inedito, la serietà sterile e compassata di chi affronta un'opera coi ferri del mestiere, tacendo la propria umanità in favore dell'esattezza scientifica, allora la tesi di laurea del Goriziano non è una tesi di ricerca. Se invece per ricerca s'intende l'ascolto della voce interiore, lo scandaglio dell'umano, l'elezione degli autori che si leggono come istigazione dirompente a rimeditare la propria contemporaneità e la propria condizione, se insomma è ricerca di se stessi attraverso il testo che ci è di fronte, laddove la voce dell'autore, seppur muta nel foglio, ci parla nel profondo prendendo a prestito le nostre parole, allora il suo lavoro è anche ricerca, e ricerca sofferta. Se infine s'intende per critica l'individuazione e la risoluzione di problemi testuali fini a se stessi, la ricognizione delle contraddizioni dell'autore, la destrutturazione e la ricomposizione dell'opera al fine di svelarne soltanto i punti deboli o quelli forti, nel raffronto con la tradizione, ancora una volta l'opera di M. non è critica; lo è invece se la critica è un'operazione di pensiero, che non chiama in causa il concetto, ma il giudizio, se porta ad un punto di discernimento e di crisi il pensiero di entrambi (dell'interprete e dell'autore), laddove la crisi segna non soltanto il vacillare delle «lo in queste 2 settimane ho lavorato. La prima settimana in casa, la seconda in biblioteca dove stavo dalle 8 alla una o le 2 a far lo 'studioso' [virgolettato ironico di M.] a uso e consumo dei forestieri che venivano a visitare la meravigliosa sala della Laurenziana. Il semplice studio d'analisi d'una traduzione di Brunetto Latini d'un'orazione di Cicerone m'impigliò nella questione del testo che Br. Latini poteva aver avuto sott'occhio; dovetti occuparmi della storia dei manoscritti di Cicerone, ed esaminare quanti ho potuto trovare qui anteriori a Br. Lat. per confrontarli colla sua trad.[uzione]. Poi studiai pure i manoscritti fiorentini della traduzione per correggere in parte l'edizione. Non sono lavori fatti per L'unica cosa che mi interessò sono le osservazioni che ho potuto fare sull'eloquenza e sulla "persuasione" in genere». [E 320-321] convinzioni e delle convenzioni, ma anche un elemento di svolta, un nuovo inizio di sensibilità e di riflessione. Queste distinzioni non cavillose ma sostanziali, che abbiamo addotto per render ragione dell'atipicità del lavoro accademico di Carlo M., possono comodamente adottarsi anche per ciò che riguarda il nostro lavoro accademico, il cui intento, o pretesa, non è far la pantomima o la fotocopia di quello: in M., abbiamo trovato confermati convincimenti che, da sempre, sono stati radicati in noi. In realtà, il Goriziano è un autore che - data la stratificazione complessa del suo dettato e l'estrema eterogeneità dei suoi referenti speculativi e letterari - si presta volentieri anche ad accostamenti arditi e più o meno raffinati: la fantasia dell'interprete corre a briglia sciolta e viene incoraggiata nel far aderire M. ad una propria, personalissima Weltanschauung. Quasi sempre, il risultato che se ne ricava è quello di un sostanziale tradimento della parola genuina del Goriziano, che diventa il viatico - e spesso, il "megafono" - di convinzioni e "persuasioni" esistenziali, speculative e politiche che in realtà, nella maggior parte dei casi, appartengono esclusivamente all'interprete: basti pensare (e speriamo che questi esempi-limite esauriscano la portata della questione) a come il nome di M. ricorra, e sempre con pretesto corroborante alle proprie posizioni, in opere tanto diverse quali possono essere quelle di un Massimo Cacciari (dove il Goriziano diventa un'ulteriore epifania della Krisis), di un Aldo Capitini (laddove la Persuasione diviene religiosità autentica e umana) e addirittura di un Julius Evola (dove M. vien chiamato a testimonianza del valore metafisico della "purità")‘. Il nostro accostamento, dunque, è stato progressivo, talora blando, talora, e più spesso, esasperato: come dire, volentieri il gioco ci ha preso la mano e, rileggendo quanto abbiamo scritto su M., ci accorgiamo d'aver spesso confuso, anche noi, la nostra prospettiva con la sua, o meglio, d'aver reso trasparente la nostra "persuasione" attraverso la sua, utilizzando anche noi il suo dettato come viatico di una ricerca ed urgenza esistenziale che, in primo luogo, ci appartiene. Un qualcosa di analogo accadde del resto anche al Goriziano, tal che la sua tesi, nata come uno studio scientifico sui concetti di persuasione e retorica in Platone ed Aristotele (il cui nucleo originario si conserva nella sezione "maledetta", come qualcuno l'ha definita, delle Appendici critiche), si tradusse ben presto in un'apologia della Persuasione. La sua tesi scientifica si era risolta in una ipotesi esistenziale, e M. non ebbe scrupoli a ritenerla "ufficiale", a "sottoporla in commissione di laurea", perché se è vero che una tesi di laurea è 4 Per una motivazione che non ci vergogniamo di confessare esclusivamente politica (una salutare posizione antidemocratica, una tantum), abbiamo ignorato del tutto l'odiosa interpretazione evoliana; quella di Cacciari la abbiamo assorbita nel corso della nostra trattazione, senza palesarla più di tanto; riguardo a Capitini, invece, cui va tutta la nostra simpatia, ci riserveremo di approfondirla nelle nostre Conclusioni. un'opera di ricerca, è altrettanto vero che la vera ricerca è quella umana, socratica, soprattutto se poi - e qui facciamo riferimento alla nostra - è una tesi di filosofia morale. Nel suo scritto accademico, M. si disincagliò dalla "scientificità", per porsi in diretta sintonia con la voce della Persuasione. Ma non fu assunzione di sregolatezza o di a-criticismo, frutto esclusivo di un'operazione di gusto o di genio; bensì, semplicemente, l'escussione di una strategia ermeneutica altra (ogni strategia di scrittura comporta, del resto, una specifica strategia di lettura), una tecnica d'interpretazione dialogica che collabora col testo e che trova nel divino Platone * il suo teorico più convinto ed esemplare: leggere non glossando, ma filosofando, e intender la filosofia non (soltanto) come scienza del pensiero, ma come sapere a vantaggio dell'uomo’ [cfr. Eutidemo, 288e - 290d], e quindi etica e politica: pensiero che si svolge tra, e non sugli, uomini, con le parole degli uomini, anche se il suo linguaggio è talora più suggestivo che rigoroso. In tal senso, assumendo in pieno anche noi questo profilo euristico, abbiamo tentato un "romanzo storico-filosofico" della persuasione in M. e abbiamo accompagnato l'autore nella ricostruzione eccentrica, ma fedelissima (fedele alla sua eccentricità), del suo pensiero. Proprio a questa oculata scelta metodologica rispondono sia l'andamento narrativo della nostra esposizione, e qualche confidenza che ci siam presi durante il suo corso, sia l'accostamento del pensiero del Goriziano a pensieri "alternativi" (il Buddismo, ad esempio), laddove l'accostamento non è arbitrario, ma confortato da effettivi riscontri biografici e testuali; sia le forzature cui sottoponiamo i testi dell'antichità classica filosofica e tragica (forzature, ancora, non nostre, ma dello stesso M., filologo "patologicamente" originale: ci siamo limitati a seguirlo e, in certi punti, ad assecondarlo), sia infine il privilegiare testi ed autori in apparenza estranei alla storiografia filosofica "ufficiale" (Ibsen e Tolstoj, sopra tutti), solo perché è quasi esclusivamente su tali testi ed autori che si innesta e si forgia l'immaginario persuaso di M.. Di contro, abbiamo adottato anche noi un opportuno (o per noi tale) armamentario euristico per avvicinare il Goriziano. Innanzitutto, l'orizzonte - morale, ma appunto anche euristico - entro il quale si muove la nostra tesi è quello delineato dalla ragion pratica kantiana, non solo qui assunta come la prospettiva etica, per noi, più alta mai raggiunta dal pensiero in assoluto, ma anche - nell'economia del nostro discorso - come valido modello per indagare e segnare "i limiti e le possibilità" della condizione persuasa in M.. Il punto più importante di contatto tra il cosiddetto imperativo iperbolico del goriziano e l'imperativo categorico kantiano è da riscontrarsi, a nostro avviso, nella forte esigenza - 5 Definizione, questa, tra l'altro cara ad uno dei nostri maestri putativi, Nicola Abbagnano. 6 In questo, è possibile accostarlo al Nietzsche de La nascita della tragedia e de La filosofia nell'età tragica dei greci. necessaria, ma non sufficiente - di autonomia, che le suddette posizioni presuppongono: il regno della Rettorica viene, di contro, a palesarsi per antonomasia come regno della eteronomia, in tutte le manifestazioni, dalle più subliminali alle più sublimi, dalla sua componente prima e fisiologica (la deficienza *) alla sua realizzazione più completa (la tecnica politica e panoptica del corpo, tanto per esprimerci con una fraseologia foucaultiana). Alla luce di quanto detto, cercheremo di assimilare il vir” persuaso alla volontà santa, così come descritta da Kant. Quando, invece, la nostra analisi s'appunterà nella de-costruzione del dispositivo rettorico, ci avvarremo proprio dell'aiuto di quella lezione di "smascheramento" retorico (lezione profonda e pervicace, intelligente ed irriverente), ch'è il grande lascito di Foucault, inteso da noi come apice della cosiddetta "scuola del sospetto". La difficoltà del concetto di Persuasione, difficoltà quindi prima di concettualizzazione che di realizzazione, acquisterà - a nostro giudizio - nuova chiarezza e nuovo valore in questo tentativo di approccio critico che, a quanto ci consta, appare inedito nelle letteratura critica sul Goriziano. Gli ulteriori elementi sinergici, di cui si terrà conto, sono quegli stessi retaggi esistenziali che M. rielabora ed "attualizza", ritenendoli egli stesso le cifre più essenziali di una vita sana*, ovvero il messaggio e la simbologia cristologica e (nella sua variante laica, se ci è permesso di esprimerci così) il messaggio e la simbologia socratica. Secondo un taglio, invece, chiaroscurale, si evidenzieranno distanze/vicinanze con i mostri sacri della Rettorica, ovvero Hegel e ancor più Aristotele. A tal proposito, si utilizzerà l'opera dello Stagirita - paradossalmente? - come una delle chiavi più adatte per penetrare l'assunto M.iano, e da essa si ricaverà la formula euristica di entelechia etica per designare appunto l'atto autentico della Persuasione. Persuasione che acquisterà, per quanto possibile, contorni ancor più definiti nel confronto con la fede (si tenterà una correlazione tra il Persuaso e il "cavaliere della fede", figura kierkegaardiana), tal che, ancora una volta, la Persuasione apparirà coi crismi di una esperienza e di un esercizio l'è vero religioso, ma di una religiosità "laica", che si slaccia dall'eteronomia del rapporto con Dio, per vestirsi di una propria spiritualità umana tutta particolare, democratica e libertaria, ovvero fondatrice di democrazia e di libertà (in questo contesto si accennerà all'opera di Aldo Capitini, che proprio in tal senso intese il monito M.iano). Insomma, l'approccio che tenteremo al "concetto" di Persuasione mirerà anzitutto a far terra bruciata intorno ad esso: giocoforza, l'avvio a tale approccio verrà inaugurato in 7 Utilizzeremo, d'ora in poi, con preferenza questa dizione per indicare l' "essere persuaso", sia per evidenti ragioni di brevità, sia innanzitutto a ragione della forte valenza semantica- morale-storica che i latini assegnavano a questo termine [cfr. almeno C. Nepote, De viris illustribus]; vi contrapporremo homo per designare l' "uomo della Rettorica" legato alla terra [homo > humus]; e soprattutto dominus, colui che detiene i fili del potere all'interno della "comunella dei malvagi" [per il significato di quest'ultima espressione, cfr. il prosieguo del nostro lavoro]. media re, ovvero con riferimenti diretti agli scritti ultimi del giovane filosofo goriziano e con iniziale preferenza per le lettere e le poesie, rispetto alla stessa tesi di laurea, ch'è il suo lavoro più conosciuto: ciò nella convinzione, nostra personale, che in quelli il concetto di Persuasione abbia acquistato una dimensione, come dire, più consapevole e vitale, urbanizzata e "politica" (insisteremo su questo punto), quanto mai avesse nello scritto accademico, laddove ogni definizione a riguardo - soprattutto nelle prime battute - si risolve volentieri in forme ermetiche e tautologiche, talora francamente impenetrabili. Il tutto, nel tentativo - che è paritempo pretesa - (autocitandoci) «di individuare il nocciolo etico di quel suo [di M.] stesso pensiero, e di finalizzario ad una sana eudemonia (quella che il Goriziano assimila alla vera 'salute') a vantaggio del nostro tempo, cercando d'intravedere - non potendone visualizzarne in modo corretto e 'coerente' la consistenza e la realtà - la possibilità di quel porto di pace *, da lui stesso vagheggiato», convinti che «la cifra autentica del suo pensiero sia riposta in un'esigenza davvero semplice e umana: la ricerca, ch'è l'esigenza appunto, della felicità possibile per l'uomo». In questa ricerca e in questa esigenza convergono significativamente, per l'appunto, anche la prospettiva socratica, quella cristiana e - non ultima - quella kantiana: e su una cattiva (in senso proprio e lato) deflessione di tale ricerca e di tale esigenza si è fondato, e si fonda tuttora, il mondo della Rettorica. Postille metodologiche. a) Nella stesura del nostro lavoro, abbiamo preferito riprodurre la falsariga M.iana: strutturare il discorso sulla Persuasione e sulla Rettorica in due grandi blocchi, "monotematici", opportunamente articolati in paragrafi atti a focalizzare i singoli progressi dell'analisi. Ovviamente, i due capitoli non conducono esistenza autonoma, ma presuppongono una serie indefinita di rimandi reciproci, evidenziati - nel nostro caso - dall'Intermezzo (ma non solo), ponte di passaggio dall'uno all'altro e frapposto ad essi. b) Sempre seguendo suggestioni M.iane, accordiamo grande valore alle epigrafi: queste abbonderanno in riferimento a paragrafi di estrema importanza e complessità. L'epigrafe, infatti, per M. riassume, e in certo modo "scolpisce", il senso e la prospettiva di un discorso, e, allo stesso tempo, lo arricchiscono di sottointesi atti a favorire una "complicità etico-ermeneutica" tra lo scrittore e il lettore. c) Durante il nostro lavoro, indicheremo generalmente (ovvero, a meno che non si avverta il bisogno di approfondire l'appunto) con le seguenti sigle i testi di M. più citati, facendole seguire dal numero delle pagine cui le citazioni fanno riferimento, e apponendo il tutto, in parentesi quadre, a fianco del brano citato: 8 Paradossalmene, perché M. individua proprio in Aristotele il suo nemico dichiarato [cfr. oltre]. - Opere, a cura di G. Chiavacci, Firenze, Sansoni. 1958: 0; - La persuasione e la rettorica, con Appendici critiche, a cura di S. Campailla, Milano, Adelphi, 1995: PR; - Epistolario, a cura di S. Campailla, Milano, Adelphi, 1983: E; - Poesie, a cura di S. Campailla, Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 19945: PP; - Il dialogo della salute e altri dialoghi, a cura di S. Campailla, Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 19952: D. Quest'espediente ha una doppia utilità metodologica: 1) evitare un continuo e fastidioso affastellarsi di note e di rimandi spiccioli a pie' di pagina, elemento di distrazione durante la lettura; 2) (e più importante) mostrare la ferrata logica di rimandi e di allusioni che informa tutta l'opera di Carlo M., secondo l'intima consapevolezza, che è propria al filosofo goriziano, del fatto che ciò che si sta comunicando è in fondo un unico, anche se articolato, pensiero [cfr. nota 161]. d) Trascriveremo, con spaziatura e formattazione di paragrafo e carattere diversi da quelli comunemente assunti dalla nostra scrittura, periodi o espressioni di M. o di altri autori, o che comunque non ci appartengono. e) Riguardo espressioni e citazioni in greco, fatta eccezione per talune ricorrenti nel dettato di M., si preferirà la translitterazione latina (ad es. gui --- philia); le citazioni, tratte da filosofi o scrittori non italiani, in linea generale si riporteranno direttamente in traduzione. f) Infine, invitiamo - si licet - a non trascurare, durante la lettura, le note a pie' di pagina, alcune particolarmente strutturate e complesse: molte note, infatti, rappresentano vere e proprie "appendici critiche" al paragrafo in questione, e articolano un discorso tangenziale e approfondito di taluni aspetti del pensiero M.iano che, di non minore importanza, tuttavia avrebbero appesantito, in prolissità, il corpus del paragrafo stesso. Capitolo | La persuasione more geometrico demonstrata. Persuadere: 1 - indurre qlc. in una convinzione o spingerlo a compiere determinate azioni; 2 - ottenere approvazione, ispirare fiducia. Definizioni (rettoriche) del dizionario Garzanti [...] guardar in faccia la morte e sopportar con gli occhi aperti l'oscurità e scender nell'abisso della propria insufficienza: venir a ferri corti colla propria vita. "Definizione" di M., nel Dialogo. 1. Introduzione metabiografica. Mi pardi non aver voce, così m'opprime questo triste incubo d'inerzia faticosa dal quale non ho saputo ancora riscuotermi. Quella voce che viene dalla libera vita, quella m'era necessaria per fare il mio lavoro come io lo volevo; m'ero illuso di poterla avere: e mi son trovato invece a desiderar solo di non parlare, a non aver nessun interesse per ciò che pur m'ero proposto di dire quasi con entusiasmo. E d'altronde finir la tesi era la necessità per me per uscir da questo abbominio, almeno per poter sperar d'uscirne, per aver almeno una via. Ma scrivere senza convinzione parole vuote tanto per poter presentar carta scritta, questo ancora m'era impossibile... E in questo triste giro mi son dibattuto questi mesi malato nell'anima e impigrito nel corpo, a volte giungendo a raccogliermi e a riaver in me vive e concrete le cose che altrimenti mi danno solo un tormento oscuro; altre volte e per lo più vinto dall'inerzia disperdendo le mie forze in questo e in quello che sembrava distrarmi dalla noia e tanto più fortemente mi stringeva nella brutta necessità [E 440-441], Queste parole - scritte da M. all'amico Enrico Mreule, quasi ad un anno dalla partenza di quello per l'Argentina - rappresentano, nella loro disperata sincerità, come un'epitome esistenziale dell'impasse (almeno per poter sperar d'uscime, per aver almeno una via...) in cui grava il nostro giovane autore, a pochi giorni oramai dalla sua morte. L'onere della tesi di laurea, questo «mostro informe qui crescit eundo et quod crescit non it» [E 417], viene affrontato in ultimo con la pedanteria (anzi, ci vien d'usare un ossimoro: con la dotta sciatteria°) di chi è già consapevole dell'inutilità, travestita da illusione, di poter fare «con le parole guerra alle parole» [PR 134]'°; di chi - forte di questa consapevolezza - si presta tuttavia al gioco della Rettorica, fatto di scadenze e note filologiche (fumo negli occhi per un "messaggio" che tanto i professori non capiranno, ironizza altrove M.)'', di vita consegnata alla carta, e per questo non più vita. Una consapevolezza, infine, affidata in forma definitiva e paritempo programmatica alla famosa prefazione all'opera maggiore: «o lo so che parlo perché parlo, ma che non persuaderò 9 «L'interesse d'aver fatta una cosa non è l'interesse di farla» [E 441]. 10 Tratto dall'epigrafe alle Appendici critiche. 11 «Il mio lavoro procede a lenti passi, anzi non c'è un progresso materialmente sensibile. Ma non me ne impensierisco, perché ormai è questione di tempo e difficoltà grosse non ne troverò più. - Tanto poi per quei professori è tutto buono; per loro è come arabo, non hanno vie e criteri per dire se va bene o male; tutt'al più potrebbero rifiutarlo e perciò è stato prudente aspettare fino a Ottobre, che così potrò buttar loro negli occhi tutta la polvere necessaria e che andrò raccogliendo in questo tempo. -» [E 392]. Antimo Negri, giustamente, fa notare che «solo le Appendici, del resto esse stesse non fino in fondo, sembrano, vertendo su autori classici, soprattutto Platone e Aristotele, obbedire alle regole del gioco dello "studio scientifico" accademico» [A. Negri, Il Lavoro e la città, Roma, Ed. Lavoro, 1996, pag. 45]. In un notevole passo della sua tesi, M. destruttura i "meccanismi di potere" sottesi alla dinamica succitata: «"[...]Tu devi far uno studio su Platone o sul vangelo" gli [al giovane studioso] diranno "è perché cosi ti fai un nome, ma guardati bene dall'agire secondo il vangelo. Devi esser oggettivo, guardare da chi Cristo ha preso quelle parole o se omnino Cristo le abbia dette e se non meglio le abbiano prese gli Evangelisti o dagli Arabi o dagli Ebrei o dagli Eschimesi, chi lo sa... Naturalmente parole che valevano in riguardo all'epoca, adesso la scienza sa come stanno le cose, e tu non te ne devi incaricare. Quando tu hai messo insieme il tuo libro sul vangelo - allora puoi andar a giuocare". [...] Così si conforta il giovane a perseguire nel suo studio scientifico senza che si chieda che senso abbia, dicendogli: "tu cooperi all'immortale edificio della futura armonia delle scienze e sarà un po' anche merito tuo se gli uomini quando saranno grandi, un giorno sapranno "». [PR 131; corsivi di M.]. Abbiamo preferito anticipare già qui espressioni- conclusioni del Goriziano, al fine di proiettare da subito chi legge nel vivo della polemica M.iana. nessuno: e questa è disonestà - ma la retorica "mi costringe a forza a far ciò"? - o in altre parole "è pur necessario che se uno ha addentato una perfida sorba la risputi"» [PR 3]. Una citazione, questa, che è a la page, tra coloro che affrontano il filosofo goriziano, anche se talora mal intesa o superficialmente valutata. Tuttavia, a ben vedere, è già qui che si delinea, si dibatte, e implode, il problema (l'aenigma) della persuasione e della rettorica. Ed è questa (ci si perdoni quest'ulteriore incursione metodologica), anche, una delle peculiarità che caratterizza il nostro M.: ovvero, il fatto che da qualunque prospettiva si prenda la sua opera, qualunque suo scritto si abbia sottomano, ci si trova già subito e prepotentemente proiettati nel cuore dello scontro millennario, umano e storico, tra persuasione e retorica appunto. E' altresì anticipato, in forma lata ma altrettanto perentoria, un assunto che informa e struttura e, in un certo modo, pregiudica ogni assoluto tentativo di discorso su "che cosa sia" la Persuasione: la Persuasione è dopo tutto l'indicibile, l'impensabile: una "condizione" senza pensiero, che non possiamo visualizzare e nemmeno interpretare concettualmente, né tantomeno comunicare, secondo le leggi della logica della cosiddetta "ragione occidentale". Ogni "parola sulla", ogni "pensiero sulla" Persuasione, già solo per essere concepito, deve prima essere elaborato, sottoposto ad artificio, manipolato, interpretato, per separarlo dalla sua primigenia e consustanziale assurdità: ogni pensiero sulla Persuasione si profilerebbe, così, già di per se stesso come Rettorica. Appare chiaro, inoltre, ma non è male ribadirlo da subito, che il progetto originario - di trattare, nella sua tesi di laurea, | concetti di persuasione e rettorica in Platone ed Aristotele - si allarga e sviluppa, inevitabilmente per M., nella considerazione dell'intera vita umana, culturale e sociale. Non solo. In effetti, l'applicazione di questi due principi o categorie (per ora definiamoli in questo modo) investe una dimensione ancora più ampia, assurgendo a cifra dell'intero esistente. Ovvero, tutto il mondo, inteso sia come "totalità dei fatti" (tutto ciò che accade) sia come "totalità delle cose" (tanto per parafrasare Wittgenstein), risulta permeato, intriso, e quindi - dalla prospettiva del Nostro - rimeditato alla luce di questi due principi. Questo è un punto nodale. La persuasione e la rettorica, nell'accezione del giovane filosofo, subiscono così non soltanto uno slittamento concettuale rispetto alla concezione che di questi due principi, che di queste due parole, il "senso comune" ha. La rettorica - ad esempio - non è più un'ars, una téchne, con una sua patente di nascita, storicamente contestualizzata e con un'applicazione "pratica": ovvero, non è larte del parlare e dello scrivere in modo da convincere, o persuadere” un uditorio, non è una professione di eloquenza e non denota 12 in greco nel testo 13 E' interessante come la denotazione povera di questi due termini s'incontri in questa definizione, tratta dal dizionario Garzanti, quasi a testimoniarne un significativo appiattimento. altresì, per estensione, un atteggiamento o comportamento che mira solo all'effetto esteriore e non è determinato da un'autentica esigenza spirituale (la retorica del bel gesto, ad esempio). Tutti questi aspetti non sono altro che i "modi" e gli "attributi" in cui si manifesta la Rettorica originaria: ne sono la mera fenomenologia, e anche la più povera. Le parole-chiavi di questo pensiero, dunque, sono da M. essenzialmente intese «in un senso diverso da quello corrente, che rivela influenze ebraiche, greche e proto-cristiane. Come osserva Mario Perniola, persuadere si dice in greco peitho, e l'uso transitivo del verbo, persuadere qualcuno, non appartiene al greco arcaico ma ne rappresenta una successiva trasformazione. Dunque la prima accezione di persuasione era essere persuasi, aver fiducia. Anche nella Bibbia dei Settanta [...] la radice greca peith- traduce la radice ebraica bth-, usata nei libri sapienziali dell'Antico Testamento per indicare la disposizione d'animo del giusto: la fiducia. Mentre la fede, pistis, nel Nuovo Testamento implica il rinvio al futuro, l'attesa di una salvezza a venire, la fiducia-persuasione è, nell'Antico, qualcosa di presente, un possesso attuale. Il senso della persuasione M.iana è molto simile»'*, come avremo modo di approfondire. Giusticato appare, dunque, il nostro confessato imbarazzo nell'approntare la presente tesi, e ci figuriamo l'espressione ironica di M., se potesse leggere le nostre pagine, e le altrui, sulla sua opera e sul suo pensiero. Ma ancora una volta, la rettorica ci spinge a far ciò: un dispositivo machiavellico così diabolicamente ben congegnato da riuscire a rendere la voce della verità la propria pubblicità, ammantandola casomai di simbolismo o conferendole una sistemazione ch'essa, invece, disdegna; e da riuscire a rendere, altresì, i contestatori del sistema i propri martiri, o - alla men peggio - «naturalisti inesperti», o meri facitori di bei versi, di bei drammi e di belle musiche. E M. stesso un nichilista, un mistico, un cristiano devoto, un ebreo autentico, un filosofo mancato, soltanto uno scrittore, una promessa non mantenuta, un teorico dell'arte, un teorizzatore del dominio, un filosofo del linguaggio, un imperfetto pessimista, un filosofo col martello, un pensatore morale, un precursore dell'esistenzialismo, un povero anonimo giovane goriziano suicida, l'ultimo allievo di Socrate, uno spirito della vigilia; e l'elenco, credeteci, potrebbe stendersi all'infinito, perché infiniti sono gli uomini ed, ergo, infiniti sono i modi di porsi della rettorica. Il che vale a dire che il "sistema" (ed è questo il suo raffinamento, come vedremo) è divenuto capace di tollerare, al proprio interno, riassorbendole, anche le contraddizioni e le contestazioni più sottili e acute, apparendo per molti aspetti davvero come un Moloch o un Leviatano invincibile. 14 Cfr. Michelis Angela, Carlo M.: il coraggio dell'impossibile, Roma, ed. Città Nuova, 1997, pagg. 124-125 [la stessa autrice rimanda a M. Perniola, La conquista del presente, in Mondo Operaio, n. 4, aprile 1987, pagg. 108-109]. Questa che ci accingiamo a scrivere, tuttavia, non vuole essere una riflessione su M. e sulla sua opera e il suo tempo, non pretende cioè di coltivare (soltanto) una critica filologica e filosofica del suo pensiero. La sua pretesa è addirittura più grande: ovvero, quella di individuare il nocciolo etico di quel suo stesso pensiero, e di finalizzarlo ad una sana eudemonia (quella che il Goriziano assimila alla vera «salute») a vantaggio del nostro tempo, cercando d'intravedere - non potendone visualizzarne in modo corretto e "coerente" la consistenza e la realtà - la possibilità di quel «porto di pace», da lui stesso vagheggiato. Per quanto possa sembrare riduttivo, soprattutto in confronto alle vertiginose elucubrazioni che si sono tessute intorno all'opera del nostro giovane autore, siamo infatti convinti che il tratto autentico del suo pensiero sia riposto in un'esigenza davvero semplice e umana (esigenza che non è soltanto letteraria o speculativa, ma che nasce soprattutto da un'amara esperienza di vita, così com'è esperita da un giovane intelligente e molto, molto sensibile): la ricerca, ch'è insieme l'esigenza, di una felicità possibile per l'uomo. «Gli uomini non sono infelici perché muoiono; muoiono perché sono infelici», afferma Michelstaeater, e questa antimetabole non vuol essere una frase ad effetto giocata sul capovolgimento di un luogo comune, bensì in essa è compendiata la grande utopia etica (ma quanto utopica, poi?) che il Nostro ci propone. M., redivivo Socrate, si assume un difficile compito esistenziale prima che speculativo (condividendolo col suo "maestro" e con tutta la temperie greca), e lo affronta con tutta l'esuberanza e la fiducia della sua giovane età, esuberanza e fiducia temprate tuttavia dal rigore della sua mente eletta: quel compito è insegnare agli uomini ad essere veramente felici. Glissando per ora considerazioni che approfondiremo durante tutto il nostro discorso, possiamo anticipare già qui, dunque, la pregnanza socratica ed, insieme, evangelica (nonché, aggiungiamo noi, kantiana) di suddetta utopia. Detto in parole molto semplici: se l'infelicità è frutto di "ignoranza esistenziale" (come c'insegna Socrate, appunto, e - in certo modo - tutta la schiera di Persuasi che M. annovera nella prefazione alla sua tesi), ebbene bisogna fugare le tenebre di questa ignoranza (ovvero, di questa rettorica), bisogna «uscir della tranquilla e serena minore età» [PR 131]'°, ed indagarla secondo una prospettiva "archeologica" - ovvero, "eziologica" - che la conduca appunto allo scoperto. M. scoprirà (come già notava a suo tempo il Piovani’) le radici di 15 Sono le parole con le quali, significativamente, si conclude la tesi di laurea. Ma cfr. il seguito del nostro lavoro. 16 Piovani Pietro, M.: filosofia e persuasione, un inedito di P. Piovani a cura di Fulvio Tessitore, Nuova Anologia, fasc. 2141, vol. 548°, gennaio- marzo 1982, p. 214. Piovani, innanzitutto, ci avverte che «(...) occorre molta prudenza critica nell'avvicinarsi a M. con la piena fiducia che il suo discorso abbia una tratteggiata autonomia di linee ricostruibili al di là del loro frammentarismo sostanziale."; quindi, poco dopo, quasi a proporci un possibile approccio metdologicamente corretto: "A tal fine giova, secondo noi, individuare come determinante il tema della deficienza». quella Rettorica nella stessa struttura - fisiologica, prima che ontologica - dell'uomo, penalizzato da quel «deficere» ch'è l'alfa e l'omega di ogni sofferenza, di ogni illusoria(«lusinghiera», «adulatrice») soddisfazione, e - insieme - di ogni possibilità di riscattoautentico. Quella "deficienza" che la critica, unanimemente, ascrive ad un retaggio schopenhaueriano del nostro autore, e che noi, invece, preferiamo assimilare al concetto di privazione (steresis), contenuto nella Fisica di Aristotele. Il che non vuol essere un cavillo ermeneutico, ma vuol rendere chiara - da subito, senza indugi - quella ch'è la nostra prospettiva di approccio a M.: siamo convinti, infatti, che l'aenigma della Persuasione (e di tutte le ardue, tautologiche "definizioni" che ad essa il Goriziano associa) si risolva in quella che potremo chiamare, con una formula che diamo già qui per definitiva, entelechia etica, laddove per entelechia intendiamo proprio ciò che intendeva lo Stagirita'”, ovvero l'atto finale o perfetto, cioè la compiuta realizzazione di una potenza. Ebbene, a nostro parere, il dilemma Persuasione-Rettorica si gioca appunto sul trinomio privazione-potenza-atto (e ci sentiamo autorizzati a ciò da alcune "tracce" che M. stesso lascia nei suoi scritti), tale che la Persuasione si evincerà come la piena, perfetta attuazione, realizzazione dell'uomo, secondo la sua (vera) natura. Si converrà che una tale impostazione ribalta, in modo deciso, ogni evenienza critica - per quanto legittima, perché giustificata, in un certo senso, da talune affermazioni "forti" dello stesso Goriziano - circa l'impossibilità (per l'uomo) della Persuasione. In effetti, proprio M., se non nell'opera maggiore, soprattutto nell'Epistolario e nelle Poesie? sconfessa - e ci sentiamo di dire che lo fa con una certa gioia che sa di liberazione - quella presunta impossibilità della Persuasione, individuando nell'amico Mreule l'acme, cronologico ed etico, della Persuasione realizzata: l'atto di coraggio del compagno Enrico dimostrò al giovane filosofo (e dimostra a noi) che la Persuasione non ha soltanto una sua storia (né tantomeno soltanto una sua storia letteraria e filosofica), ma anche una sua attualità viva e concreta, che ci può essere accanto e ci può guidare '°, pur nella consapevolezza che una cosa è conoscere la «via della Persuasione», altra cosa è avere la forza e il coraggio di imboccarla. Volendo, il dramma del suicidio del giovane goriziano si consuma tutto qui (ma lungi da noi ogni riduzionismo e ogni retorica a tal proposito). 17 Cfr. almeno Metafisica, IX, 8, 1050a 23. 18 Nel confronto (soprattutto) con le ultime lettere e poesie (intendiamo quelle del 1909-1910), ci azzardiamo a considerare la tesi di laurea già "datata", per quanto concerne la dimensione persuasa dell'uomo; o quantomeno, a considerare le suddette lettere e poesie l' "urbanizzazione" più completa e più efficace del messaggio della Persuasione stessa. Ragion per cui, ad esse va tutta la nostra predilezione. 19 Sul valore e sul senso di questa "guida" della Persuasione - che non ne pregiudica l'assunto autonomo, cioè di esperienza che si realizza nello spazio di autonoma sacralità di ogni uomo - si articola un difficile e intricato equilibrio (tra autonomia ed eteronomia), sullo "scioglimento" del quale s'impernia tutto il nostro lavoro. Già da quanto detto finora, appare chiaro che M. si presenta subito come un autore "difficile": questa sua difficoltà deriva non solo (com'è ovvio) dal carattere decisamente e consapevolmente anti-sistematico, se non ermetico, del suo linguaggio e del suo "messaggio"? - per quanto quello stesso messaggio contenga una sua certa "banalità" (la "banalità del bene", per alcuni sintomo di "pensiero adolescenziale" [sic]) paradossalmente non accolta, inascoltata™ o, peggio, mal interpretata; non deriva soltanto dalla vastità (davvero impressionante, per un giovane) dei suoi referenti culturali; né soltanto dalla "irritabilità" cui può indurre chiunque ad esso si avvicini (un'irritabilità che egli condivide appieno con la torpedine-Socrate); bensì essa deriva, forse soprattutto, dalla collocazione "liminare" della vita stessa e dello stesso pensiero del Goriziano: storicamente sospeso in un'età per definizione di transizione e di decadenza (quella tra Ottocento e Novecento), con tutte le inquietudini "millennaristiche" annesse e connesse, ampiamente testimoniate, del resto, dalla cultura coeva’; geograficamente (e dunque culturalmente, linguisticamente...) oscillante tra Austria e Italia (e non solo; non si approfondirà mai abbastanza l'impronta mitteleuropea di questo autore”), situazione - questa - complicata, e di molto, dall'appartenenza ebraica dell'autore stesso (altro nodo abissale); attratto e disperso in una molteplicità passionale di ispirazioni (il teatro, la musica, la letteratura, la poesia, la pittura), sia per quanto concerne le "fonti", sia per quanto concerne le sue stesse realizzazioni; calato in una Weltanschauung tragica - filosofica e religiosa - di amplissimo respiro storico-geografico, di cui si propone originalmente e appassionatamente di riannodare le fila; dibattuto tra un lacerante bisogno di indipendenza (non solo "culturale" e affettiva, ma anche economica) e un altrettanto forte bisogno di rifugio nell'alcova della sua Gorizia e della sua famiglia. 20 Riguardo a ciò, solo per la chiarezza con cui è svolta l'argomentazione, riportiamo l'equilibrata valutazione di G. Cavallero, nella prefazione alla sua tesi di laurea, valutazione praticamente condivisa da tutta la critica: «Alla filosofia del M. (caso singolare nella storia dei pensiero) va riconosciuta subito una dote rara: quella di non porsi mai come tale, almeno nel significato ormai consacrato del termine. Di diritto essa rientra piuttosto nella storia della cultura che, non propriamente, in quella della filosofia o della letteratura occidentale. La sua peculiare forma espressiva è strutturata in un originale amalgama linguistico, da cui affiorano, armonizzati su di un antico ritmo greco, stilemi biblicoplatonici, modi di prosare "vociano" oltre, naturalmente, ad una congerie varia di altri influssi - tra i più disparati - della cultura contemporanea. Questo complesso problema linguistico, lasciato tuttora irrisolto dai numerosi critici del M. ad oltre sessant'anni [la tesi di Cavallero è del 1972] dalla morte, ha così indirettamente favorito le più arbitrarie interpretazioni della Persuasione, nel tentativo di ricondurla, di volta in volta, al denominatore delle più svariate ideologie del Novecento europeo». [G. Cavallero, Itinerario di M., Tesi di laurea, Anno accademico 1971-1972, presso Biblioteca di Gorizia, Fondo Carlo M., Prefazione p. VI. ] 21 «Eppure quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo abbia ancora continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole» [PR 3]. 22 Ma cfr., per quanto or ora diremo, il nostro profilo biografico, più dettagliato, contenuto nel paragrafo 6 del Il capitolo (sulla Rettorica): Il pretesto cronologico della proposta persuasa di M. 23 Lo studio di L. Furlan, L'essere straniero di un intellettuale moderno, ed. Lint- lavoro dettagliato, composito, anche se discutibile per certe sue conclusioni - si propone di adempiere appieno a questo gravoso compito. Tutto questo risulta poi complicato da una tempra caratteriale certamente particolare, diremmo per certi aspetti umorale, tanto da rasentare a volte manifestazioni depressive- reattive (in specie, ad esempio, nelle ultime lettere), altre volte lampi di vitalistico, ottimistico entusiasmo. Delicato, suo malgrado, come un fiore di serra (psicologicamente, beninteso non fisicamente), sarebbe forse più opportuno dire che la severità, o meglio il forte rigore morale, che egli usò con se stesso dovette applicarlo anche agli altri uomini, ricavandone sovente sonore smentite: da ciò, negli ultimi anni della sua vita, una sorta di involuzione caratteriale: un animo, col tempo, sempre più appartato e deluso, che tuttavia non perde la sua essenziale forza, energia e consapevolezza. Alla luce di tutto ciò, se volessimo compendiare, in una sorta di prosopopea, il dramma esistenziale del nostro giovane autore (che è, in definitiva, quello di un "aspirante alla Persuasione" che si trova invischiato giocoforza nello strame rettorico), proporremmo - in alternativa alla chiave di lettura legata alla ben nota "coscienza infelice" hegeliana, avanzata dal Garin% - la figura di Qohélet, il saggio ebreo autore di quell'operetta biblica (tanto cara al Goriziano) che vien chiamata Ecclesiaste. Nel corso della sua esistenza, Qohélet ha vissuto sulla propria pelle - giungendo ad una consapevolezza tanto profonda quanto disincantata - la sconcertante (per quanto "banale") verità che «tutto è vanità», come recita l'inizio [1,2] e la fine [12,8] del libro biblico, a confermare che tutta la riflessione in esso contenuta non è altro che un dipanare la trama e l'ordito di quell'assunto unico, dominante e paradossale. Orbene, Qohélet - per quanto saggio, di una saggezza che lo discrimina rispetto all'umanità intera - è tuttavia e comunque, come tradisce l'etimologia stessa del suo nome, "l'uomo che partecipa all'assemblea (degli uomini)". Proprio come M.. Questo, insomma, il complesso intrico di fattori che si trova costretto ad affrontare chiunque si avvicini al filosofo. Lo stesso autore della Persuasione, quasi a pregustare questa difficoltà, afferma che «ci sono degli uomini che sono dei mostri, che si sono liberati del tutto dal loro tempo e dagli altri tempi e fanno la disperazione degli storici» [O 810]. Difficoltà che, tuttavia, a 24 Ma, per dirlo in parole molto semplici, se il dramma della "coscienza infelice" è quello di non poter identificarsi con Coscienza Immutabile, ch'è Dio e l'Assoluto, l'infelicità di M. ha un fondamento quantomeno opposto: propri quello di essere costretto all'identificazione, con qualsivoglia "struttura" o "identità". M. illustra questa inconciliabile dicotomia, ascrivendola anzi ad una delle più pericolose e "lusingatrici" illusioni dell'uomo, di ascendenza platonico-hegeliana, in un passo sotto questo punto di vista memorabile: «Egli [l'uomo] vive di ciò che gli è dato, di cui non ha in sé la ragione, ma nella sua conoscenza assoluta egli ha la Ragione; se il fine delle sue affermazioni vitali è in ogni punto paura della morte, ma nel suo Assoluto egli ha il Fine; se egli è in balia delle cose e non ha niente, e se pur questo niente difende come valevole con ingiustizia verso tutte le altre cose, ma nell'Assoluto egli ha la Libertà, il Possesso, la Giustizia. Così egli porta intorno l'Assoluto per le vie della città. Egli non è più uno ma sono due: c'è un corpo, o una materia, o un fenomeno o non so cosa, e c'è un'anima, o una forma, o un'idea. E mentre il corpo vive nel basso mondo della materia, nel tempo, nello spazio, nella necessità: schiavo; l'anima vive libera nell'assoluto». [PR 54-55] o ov ben vedere, ci tocca fino ad un certo punto, se è vero - come ribadiamo - che la presente tesi non vuol essere tanto un lavoro di critica e storiografia filosofica, né vuol essere una meditazione su M., bensì riflessione attraverso M., ovvero vuol rintracciare (vuol recuperare) in certo modo l'attualità della sua ingiunzione morale, e non al fine di espungere «ciò che è morto» e di decantare «ciò che è vivo» del nostro autore (operazione che, per noi, nasconde sempre presunzione ed ingratitudine), bensì di riguadagnare una voce autentica - che nasce da un'esperienza esistenziale altrettanto autentica - che possa aiutarci nella difficoltà del tempo presente, diventando nostra ingiunzione, al di là di ogni categoria storica e filosofica stabilita. Del resto, coerente alla sua formazione eminentemente "letteraria", e non specificamente filosofica (gli autori da lui citati, a rigore, sono più "profeti" che filosofi, ed è indicativo: la verità non si esprime per sistemi, ma si veicola nelle forme originali ed autentiche della creazione umana); e, soprattutto, consapevole che la verità stessa è una «sorba amara e perfida», «povera e nuda», che si vive e non si dice (com'egli afferma della Persuasione), lo stesso M. non intende pagare «l'entrata in nessuna delle categorie stabilite» né fare da «precedente a nessuna nuova categoria»; ma procede, a suo dire, nel rilevare il testimone della verità, «né con dignità filosofica né con dignità artistica»?°. Il nostro filosofo si pone, dunque, quale «povero pedone che misura coi suoi passi il terreno»? e da subito fa professione di non-originalità””, laddove però questa non-originalità non è pedissequa ripetizione scolastica di istanze e di imperativi morali, non è il disdegno intellettuale (anch'esso "borghese") di chi rifiuta per principio il mondo degli altri (sentenziando «pereat mundus sed fiat iustitia») e gli contrappone una realtà sua propria tanto edenica, quanto astratta e utopica: è, invece, il rinnovellarsi e il ribadirsi di un appello all'esistenza vera ed originale, vissuto veramente e profondamente sulla pelle di coloro che l'hanno professato: Parmenide, Eraclito, Empedocle, Qohèlet, Cristo, Eschilo, Sofocle, Simonide, Socrate, Petrarca su su fino a Leopardi, Ibsen e Beethoven. Il carattere "viatorio" di queste espressioni ci rimanda a quella che ci pare essere la chiave di volta della loro testimonianza: una testimonianza che matura, si muove e soffre tra e con gli uomini, un'ingiunzione morale che decade dal piedistallo del mal inteso imperativo categorico kantiano, divenendo - in questa deformazione - astratto e universale (i due termini, da un punto di vista esistenziale, si combinano), e rapprendendosi, In una lettera a Enrico, in un contesto ironico, M. butta giù, en passant, un «si duo idem faciunt non est idem» [E 423; ma il modo di dire ricorre anche altrove: cfr, ad es., PR 62]Questa notazione, evidentemente, meriterebbe molto di più che una semplice nota. 25 Per quanto questo poi sia vero: si veda comunque come appaiano scontate ed inopportune, alla luce di ciò, le accuse di coloro i quali tacciano M. di scarso rigore filosofico: Gentile fra i primi. 26Per le espressioni citate in questo contesto, rimando - ancora una volta - alla prefazione di C. M., La Persuasione..., op. cit. storicamente, nell' "uomo e nello Stato hegeliano", avviluppato nella matassa del dovere, della responsabilità e della sicurezza”; un'ingiunzione morale, infine, che si fa veramente "urbana" e concreta, in una parola: etico-politica. Ovvero, M. cala - incarna - lo sforzo etico-speculativo teso alla ricerca di soluzioni (scelte) esistenziali, volte al vero vantaggio degli uomini? - o meglio, della sola autentica scelta esistenziale, ch'è la Persuasione - nella magmatica, pragmatica ed altrettanto paradossale quotidianità che ognuno vive. L'unica valida alternativa - rispetto alla nostra decadenza - per una felicità possibile per gli uomini, per una xya9wv gui (il corrispettivo speculare, persuaso, della rettorica xowwwx xxxwv?9) veramente realizzabile. 27 Cfr. nota 21. 28 L'etica kantiana, nella sua interpretazione distorta, va a rappresentare proprio la forma più moderna e palese e dinamica di "etica borghese della sicurezza", ch'è il cavallo di battaglia della Rettorica. 29 Preferiamo utilizzare sempre il plurale. 30 Per il senso di queste espressioni, rinviamo al seguito del nostro lavoro. 2. Il demone Enrico. In un noto passo dell'Apologia [31, D; ma cfr. anche Fedro 242 C, 551], il persuaso Socrate afferma: «[...] questo che si manifesta in me fin da fanciullo è come una voce che, allorché si manifesta, mi dissuade sempre dal fare quello che sono sul punto di fare, e invece non mi incita mai a fare qualcosa»?! [corsivo nostro]. Poco prima, Socrate aveva definito quella voce «alcunché di divino». E' il famoso, controverso, "demone" socratico”, una delle voci più antiche ed autentiche della Persuasione, la cui caratteristica singolare è quella di essere, piuttosto, una voce della dissuasione”. Compendia e glossa G. Bastide®*, considerando tutti i passi in cui questa "figura" ritorna: «nnanzitutto Socrate spiega il suo comportamento ricorrendo a un dio interiore, ad un avvertimento intimo, ad una voce demoniaca che non l'abbandona mai. Poi, tranne una o due eccezioni, questa voce interiore prende forma di divieto, quando si tratta di distogliere Socrate da questo o quell'atto o da questo o quel coinvolgimento preciso. Infine, il dio è una forza imperiosa che determina in modo totale la vocazione spirituale di Socrate »”. In Teagete [129 E - 130 A], la potenza del demone socratico si "politicizza": «[...]la potenza di questo demone è determinante, anche nei rapporti con coloro che mi frequentano: a molti, infatti, è ostile ed essi non traggono profitto alcuno dalla mia compagnia, tanto che anche a me non è possibile stare con loro; a molti non impedisce di frequentarmi, ma, dalla mia vicinanza, non ricevono vantaggio alcuno; quelli, invece, che la potenza del demone assiste, perché godano della mia compagnia, sono coloro dei quali anche tu [Teagete36] ti sei accorto; infatti ne ricevono un profitto immediato; ma anche tra questi, alcuni godono di un 31 Le citazioni tratte dalle opere di Platone, qui e altrove, sono riportate secondo la traduzione offerta in Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Milano, Rusconi, 19912. 32 Cfr. la diapositiva C [Demone] nel supporto iconografico. 33 Si tenga altresì presente ciò che Nietzsche afferma nella Nascita della tragedia, sempre a proposito del demone socratico: «Una chiave per comprendere la natura di Socrate ci viene offerta da quel meraviglioso fenomeno che viene designato come "demone di Socrate". In particolari situazioni in cui il suo portentoso intelletto vacillava, egli ritrovava l'equilibrio in virtù di una voce divina, che si faceva udire in tali momenti. Questa voce, quando viene, dissuade sempre. La saggezza istintiva si mostra in questa natura interamente abnorme soltanto per contrastare qua e là, ostacolandolo, il conoscere cosciente. Mentre in tutti gli uomini produttivi l'istinto è proprio la forza creativo-affermativa, e la coscienza si rivela critica e dissuadente, in Socrate l'istinto diventa critico, la coscienza si trasforma in creatrice - una vera mostruosità per defectum!" [Nietzsche, La Nascita della Tragedia; in Opere 1870/1881, Roma, Newton, 1993, pag. 153]. L'acrimonia con cui Nietzsche offende e offenderà Socrate è la stessa con cui M. affronterà Aristotele; se il motivo propulsore di questa acrimonia è, praticamente, identico (la critica alla pretesa del sapere, nella fattispecie quello teoretico-scientifico-tecnico), i differenti bersagli critici sono - a nostro parere - non solo mera testimonianza di una dissimile "inclinazione di gusto" dei nostri due autori, ma tradiscono - e profondamente - anche la diversità delle alternative possibili e plausibili ch'essi propongono alla decadenza (l'oltre-uomo e il persuaso), come vedremo in seguito. 34 G, Bastide, Le moment historique de Socrate, Parigi 1939, pag. 236; riferimento contenuto in J . Brun, Socrate, Milano, Xenia 1995, pag. 71 35 Ma si tenga anche presente, anzi soprattutto presente, l'istruttivo capitolo IX [La dimensione del religioso in Socrate] del lavoro di G. Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, Milano, BUR 2001, pagg. 265-294, capitolo sottinteso al nostro discorso. 36 E' ovviamente Socrate che parla. vantaggio sicuro e duraturo, molti, al contrario, fin tanto che stanno con me, progrediscono in modo soddisfacente, ma, una volta lontani, ridiventano come tutti gli altri» [corsivi nostri]. Orbene, crediamo che, in questo passo esemplare, sia contenuta una chiara parafrasi delle differenti e possibili modalità di relazione che il Persuaso intrattiene con gli altri uomini: M. "aggiorna" il topos affermando, in modo pregnante, che «ognuno deve trovarsi la via da sé - e da sé batterla passo per passo - ché non ci sono né carte né mezzi di trasporto; chi non sente di doverla, di saperla, di volerla fare, non è buono a farla e invano spera l'aiuto altrui, invano altri vorrebbe aiutarlo - la può batter colui che già è sano - e la salute è un dono di Dio. -»° [D 93-94; corsivi nostri], che fa da eco a quella, più famosa, contenuta nella tesi di laurea: «La via della persuasione non è corsa da "omnibus", non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato. | pochi che l'hanno percorsa con onestà, si sono poi ritrovati allo stesso punto, e a chi li intende appaiono per diverse vie sulla stessa via luminosa. La via della salute non si vede che con gli occhi sani» [PR 62-63; corsivi nostri]. Ora, ritornando al passo socratico del Teagete, approntiamone un'utile schematizzazione. Socrate distingue: a) individui a cui il demone è ostile, e che non traggono vantaggio dalla compagnia con Socrate; b) individui «che la potenza del demone assiste» [parafrasi quasi M.: «a salute è un dono di Dio»], e che traggono vantaggio dalla compagnia con Socrate: b,) quelli - e son soltanto alcuni - che «godono di un vantaggio sicuro e duraturo»; bə) quelli - e sono invece molti - che  [PR 169]?°. Nel penultimo passo, del resto, affiora (anche) la differente posizione, sempre nella prospettiva persuasa, che M. ha consapevolezza di occupare rispetto all'amico: mentre lo Mreule - agli occhi del Goriziano - ha raggiunto la Persuasione e vi permane, egli invece è ancora sulla difficile e tormentata via che porta alla Persuasione stessa. La «consistenza» di Enrico è indipendente, in senso assoluto, come indipendente e assoluto è il monito persuasivo del suo esempio; al contrario, M. avverte la necessità - per la propria consistenza - che il suo amico «ancora lo pensi e si curi di lui». E' più del bisogno di una tangibile comunione fraterna, è più del desiderio di essere nei pensieri dell'amico; è l'esigenza, bensì, di fondare la propria consistenza di uomo, di legittimare - attraverso quasi il giudizio del demone-Enrico - la propria aspirazione alla permanenza?*: 40 In base al nostro schema, è il rapporto delineato in bi. 41 E «il coraggio non vuol la prudenza ma l'atto» [PR 63]. 42 Ma riguardo la dialettica lontananza-vicinanza, cfr. la parte finale del presente capitolo. 43 Ma - edè significativo - è lo stesso M. a condannare in modo risoluto - in alcuni passaggi fondamentale della sua tesi e del Dialogo - questo illusorio "meccanismo di reciproca compiacenza": «[...] ognuno, se racconta la sua «Quella voce che viene dalla libera vita [quella voce che Enrico aveva accolta e fatta sua], quella m'era necessaria per fare il mio lavoro [la tesi] come io lo volevo; m'ero illuso di poterla avere [...]> [E 441]. Mentre Enrico ha affrontato il mare e «s'è conquistato il suo posto di lotta e di lavoro» [E 435], M. si trova ancora impelagato nelle pastoie della Rettorica, sociale familiare culturale accademica. Il Nostro non nasconde una punta di benevola invidia, e di dispetto per quegli oneri (alibi facilmente smontabile, tuttavia) che lo costringono alla falsa permanenza, al soggiorno "forzato" in Gorizia, al soggiorno forzato nella vita retorica: «La lettera di Rico [...] mi mise il fuoco addosso per quanto penso a noi, che, invidiandolo, siamo impediti nel volerlo raggiungere dalle cose stesse che c'impedirono di partir con lui [... > [E 436; corsivo nostro]. E' altresì interessante notare come, invece, dalla prospettiva stavolta di Enrico (testimoniata da C. Magris, nella bella e suo malgrado dissacrante biografia romanzata che gli dedica‘*), le posizioni risultino addirittura ribaltate: se Enrico «tanto per cominciare, è andato via per non fare il militare» [Magris 15], di contro - per lui - è M. ad essere «un santo» [ib. 83]; insieme con Buddha (vedremo successivamente il rilievo di questa affermazione), che lo è per l'Oriente, Carlo per Enrico è il «grande risvegliato» [ib. 94]: solo Carlo può essere sicuro [ib. 45]. Non si tratta soltanto, qui, di una reciproca attestazione di stima profonda e sincera; è una testimonianza - questa - che tradisce il fatto che la delineazione dell' "essere persuasi" era ancora in fieri, chiara ed evidente, certo, nella intima consapevolezza dei due, ma ancora insufficientemente attingibile nella concretezza della vita reale o anche della pura elaborazione concettuale. Riteniamo opportuno, allora, soffermarci sul gesto assoluto di Enrico Mreule. Così, il 28 novembre 1909 - in gran segreto, la famiglia completamente ignara di tutto - questa sorta di Neal Cassady carsico, giovane, bello, geniale, disperato, "maledetto"* - s'imbarcava a Trieste per l'Argentina, sulla Columbia; accanto a motivi di ordine eminentemente "pratico", a spingerlo era la decisione di dare una possibilità di nuovo inizio alla propria vita, di rescindere ogni legame con la passata, di fondare - non solo con le parole, ma con i fatti - un proprio mondo autonomo e libero, una propria «consistenza indipendente ». Perché (avrebbe detto non molti anni dopo un altro giovane "maledetto", Paul Nizan‘9) «a libertà è un potere reale». Si trattava di mettere in pratica, di esercitare vita sciagurata e i fatti dolorosi di cui porta la colpa e le conseguenze, trova nella compiacenza dei compagni integra almeno l'illusione della sua individualità. -», «[...] la dolce illusione d'esser qualcuno»; in questo meccanismo, gli uomini retorici «considerano i loro simili come specchi compiacenti, - che raddoppino la vita. Ma il nulla che non si raddoppia...» [D 55-56] 44 C. Magris, Un altro mare, Garzanti, 1998. 45 Cfr. la diapositiva B [Ritratto di Enrico Mreule (2)] nel supporto iconografico. 46 Paul Nizan: Aden Arabia (con saggio-prefa zione di J.P. Sartre), Mondadori, 1996. Sarebbe suggestivo mettere a confronto gli esiti, nonché le motivazioni e le "ideologie" sottese alla "compulsione del viaggio" che spinse questi due questo potere. Dunque, un gesto improvviso, ma non improvvisato, evidentemente; azzardato, se vogliamo, ma non gratuito; frutto concreto di una decisa e persuasa visione del mondo e della propria esistenza; risultato coerente, ancora, dei discorsi e degli "ammaestramenti", riguardo le proprie convinzioni, che il giovane Mreule elargiva ai suoi altrettanto giovani amici. Un gesto che acquista ancor più valore, e lo stesso M. ne è consapevole, di fronte al puro astratto gesto di ribellione e di fuga (se non "fisica", almeno intellettuale) che il Goriziano insieme persegue e, sotto sotto, paventa. L'inquietudine (complicata dalla giovane età), l'infelicità, derivante dall'intuizione amara dell'impasse retorica, è la stessa; ma Enrico è riuscito a rimettere in gioco se stesso e la propria esistenza, è riuscito a passare dalla mera rivendicazione verbale all'atto, dalla potenza all'entelechia. In Enrico Mreule, la parola persuasa - come risuonava nei discorsi (nei simposi) "in soffitta" dei tre giovani - si è tradotta, senza tradirsi, in attualità pura, assoluta, permanente, eterna; la parola si è fatta carne e sangue, si è esposta al rischio dell'imprevedibilità, alla possibilità aperta e pericolosa che ogni scelta autentica implica e prepara. Alla stregua di Cristo, Enrico è il Verbo (della Persuasione) Incarnato. E' in lui, cioè, che la Persuasione scende dal piedistallo dell'astrattezza, dell'utopia, dell'atopia, della letterarietà e del passato, per farsi vivo, concreto, persuaso presente. Perché la «salute» non è soltanto un'idea, la sua sede non è l'iperuranio separato dal mondo della vita sublunare: la salute - ancora "sostanza seconda" nelle stesse pagine che M. le dedica nel lavoro accademico - assurge a "sostanza prima" - e quindi veramente reale - nel synolon dell'essere persuaso, che è Enrico. Un esempio, quello dell'amico, infine, che disattende e confuta, come detto, quelle affermazioni, frequenti ancora nella tesi, per le quali la Persuasione era attestata come una possibilità... impossibile: lo Mreule è l'esempio vivente, così, che la Persuasione non è un luogo ideale, inattuale ed inattuabile; che non è una mera idea regolativa nella prospettiva non solo etica, ma ontologica; che non è un "mito", (soltanto) una stella polare che indichi e guidi il nostro cammino; che non appartiene, ancora, soltanto ad eletti del mondo delle arti e del passato filosofico, letterario ed artistico; che non è, infine, una condizione edenica, improponibile nel mondo della Rettorica. Al contrario, nello Mreule, la Persuasione irrompe come l'eternità nel tempo, squarcia la verbosità delle concettualizzazioni, lega il passato e il futuro nella decisione (nella scelta) dell'eterno presente, si indica come possibilità sempre aperta - per quanto latente - all'uomo, ad ogni uomo che mostri il coraggio di accoglierla e di farla sua. giovani intellettuali - Mreule e Nizan (divisi da poco più di un ventennio) - a cercare in un lontano altrove scampo alla congerie rettorica. 47 La famosa soffitta del P aternolli, di cui abbiamo anche un bozzetto autografato di M.. Scrive M. ad Enrico: «Col tuo atto e con questo fatto già in parte avvenuto, quasi con argomenti sopportando solo la mole degli argomenti teorici, coi quali tu nelle nostre conversazioni ci aprivi la via alla giusta valutazione delle cose, hai compiuto per noi l'unico beneficio che si possa fare da un amico agli amici» [E 421]; e ancor più esplicitamente «[...] come le tue parole si son fatte azione! lo mi nutro invece ancora di parole e mi faccio vergogna» [E 442; il corsivo è dello stesso M., a sottolineare l'importanza dell'espressione]; fino a rendere testimonianza e omaggio al vero persuaso Enrico, nella bellissima lettera datata 29 giugno 1910: Ti vedo sempre cosi come t'ho visto l'ultima volta a Trieste, determinato in tutte le tue possibilità, vivo così, che nessuna cosa della vita, mi sembra, possa trovarti insufficiente, ma che anzi tutta attraverso tutti i perigli debba volgersi a te spontaneamente. Perché tu non chiedi niente. E come non t'accorgi del tempo perché nell'atto in ogni attimo sei intero, così in ogni tua parola si ha l'imagine [sic] concreta della tua vita [E 440; i corsivi sono nostri] In questo denso passo, affidato significativamente ad una lettera (e dunque ad un testo privato), tuttavia la Persuasione trova una delle sue espressioni più limpide e convincenti, in assoluto. Visto il particolare andamento di questo capitolo, e alla luce di quanto detto finora, riteniamo opportuno analizzare il succitato brano abbastanza a fondo, allo scopo di rintracciare alcuni notevoli punti fermi che ci consentano di anticipare, per maggiore chiarezza di visione, importanti conclusioni riguardo l'idea che ci siam fatti dell' "essere persuasi". Innanzitutto, ancora una volta ribadiamo questa considerazione: Enrico Mreule è exemplum storico della salute: egli è «determinato in tutte le [sue] possibilità». Soffermiamoci sull'attributo "determinato" e sul sostantivo "possibilità", entrambi pregni di straordinarie significanze etico-filosofiche. Qui, "possibilità" - a differenza di quanto tanto "esistenzialismo negativo" ci ha insegnato (da Kierkegaard, ad Heidegger a Jaspers a Sartre) - ha una forte valenza positiva: se per i suddetti la possibilità esistenziale si risolve, in fondo (chi in più, chi in meno), in impossibilità, nello scacco di quell'«essere che progetta di essere Dio», nell'improponibilità della scelta esistenziale ed autentica, che determina angoscia e disperazione; in M. sta ad indicare, invece, il dispiegarsi delle energie vigorose e positive, originarie ed originali, autentiche ed incorrotte dell'uomo stesso. Qui, piuttosto, il termine e il comprensivo "possibilità" trova il suo affine nella "potenzialità", nella già richiamata dynamis, in tutta la sua portata di «preformazione e predeterminazione [rispetto all'atto]», «modo d'essere diminuito o preparatorio all'atto »*°: la possibilità esistenziale autentica trova il suo telos nell'entelechia etica. Le parole di Enrico si son fatte azione, la sua dynamis appunto si è dispiegata e realizzata, giungendo alla sua "perfezione". Non può non emergere la forte componente 48 Ovviamente utilizziamo come sinonimi Persuasione e Salute, sentendoci autorizzati a tale uso dall'uso stesso che ne fa M..dinamica che permea tale condizione esistenziale. Difatti, l' "essere persuaso" non è un monòlito, per quanto il suo sia un permanere nella Persuasione; ma il permanere - dice Michelstedter - non è uno stare: «non c'è sosta per chi porta un peso su un'erta, ma quando lo deponga dovrà andarlo a riprender sotto ove sarà ripiombato: ogni sosta è una perdita; tanto sosti e tanta strada devi rifare» [PR 35; corsivo nostro]. E poco più avanti, raccoglie e ripropone il monito contenuto nell'E/ettra di Sofocle (monito che, a nostro parere, è l'elemento veramente drammatico della tragedia sofoclea e della vita stessa del Goriziano): «non è più il caso di indugiare, ma di agire» [ib.; in greco nel testo]. Ancora più avanti, le parole di M. in proposito si fanno adamantine, raccogliendo le estreme conseguenze di quanto finora affermato: «il diritto di vivere non si paga con un lavoro finito, ma con un'infinita attività» [PR 41; corsivo nostro]. E' svelato, così, l'alone misterioso che avvolge la premessa del giovane studioso: «Nell'eBroc BoA potenza e l'atto sono la stessa cosa!, poiché l'Atto trascendente, "l'eternità raccolta e intera", la persuasione, nega il tempo e la volontà in ogni tempo deficiente» [PR 12]. Come per quest'altro capoverso, che è forse la "definizione" più completa - presente nella tesi -dell'essere persuaso, pur nella sua sinteticità: «Colui che è per sé stesso (ever) non ha bisogno d'altra cosa che sia per lui (evot «vtov) nel futuro, ma possiede tutto in sé» [PR 9]. La determinazione che il vir mostra nella gestione delle proprie possibilità è - insieme, dunque - risolutezza e consapevolezza. Il vir è "risoluto", sciolto (come c'insegna l'etimologia) dai lacci della Rettorica, e in questo è veramente libero e assoluto; è altresì consapevole delle sue potenzialità volte alla realizzazione della vita vera. Per gli Stoici, la chiusura della mano nel pugno rappresentava la "comprensione": immagine felice: il virha in pugno tutte le proprie possibilità e comprende la possibilità di dispiegarle in modo pieno e compiuto. Nel punto appena successivo del passo che stiamo esaminando («[...]nessuna cosa della vita, mi sembra, possa trovarti insufficiente, ma che anzi tutta attraverso tutti i perigli debba volgersi a te spontaneamente [... ]}»), M. ritorna su uno dei fulcri inossidabili della sua posizione teoretica-etica-ontologica, cui abbiamo già accennato: l'insufficienza; c'è da rilevare, qui, il ribaltamento, anzi la vera e propria "rivoluzione copernicana" che viene ad operarsi tra il 49 cfr. Aristotele, Metafisica, X, 8, 1049 b4 50 Vita che non è vita. Tuttavia, come chiosa puntualmente Campailla, «non nel senso in genere dispregiativo che è proprio dell'aggettivo greco, ma in quello di "vita che è fuori della vita", "vita impossibile": la vita, insomma, della Persuasione», 51 Qui, M. sembra parafrasare proprio Aristotele. Troviamo, altresì, molto interessante notare l'analogia, sotto questo punto di vista, tra il Persuaso e il dio (sparse nel capitolo specifico sulla Persuasione, nel lavoro accademico), che nella fattispecie - a nostro parere - corrisponde al dio aristotelico, così come tratteggiato nei libri VIII e XII della Metafisica (un'opera che Carlo tenne sicuramente presente, oggetto di studio e di riflessione continui): il dio di Aristotele non ha in sé nulla in potenza, è Atto e Forma puri, è un essere perfetto, il quale non manca di nulla, non ha nulla da realizzare (se possiamo esprimerci così), e in esso tutto è pienamente attuato; da qui, la sua "immobilità" e la sua eternità. Esso - proprio come il Persuaso - non protende verso alcunché, avendo già in se stesso la sua completezza e la sua perfezione. Questo dio è in pace con se stesso. vir e il mondo delle cose: nessuna «cosa della vita» trova insufficiente il vir, perché egli «non chiede niente », perché ha sciolto i lacci della dipendenza. L' "autarchia" dell'essere persuaso è diretta espressione e conseguenza della sua consapevolezza: egli non chiede niente perché è consapevole che la vita, che la Rettorica niente può veramente dargli, e che ogni elargizione che dal mondo retorico proviene è, parimenti, ottriata, falsa, illusoria, inadeguata. Questa posizione, in tutta la sua profondità, è limpida nella coscienza di M.: «Ma chi vuole la vita veramente, rifiuta di vivere in rapporto a quelle cose che fanno la vana gioia e il vano dolore degli altri - e non accontentandosi d'alcun possesso illusorio chiede il vero possesso, così che in lui prende forma e si rivela il muto e oscuro dolorare di tutte le cose» [O 705]; «[...] se c'è via che possa in qualche modo liberarci dalla nebbia, è quella che insegna a non chiedere ciò che non può esser dato» [D 73]; «...]- non c'è niente da aspettare, niente da temere - né dagli uomini né dalle cose. Questa è la via. - » [D 81, ribadito pari pari in D 85; corsivo di M.] et similia. L'autarchia del vir non è tuttavia l'egoistico ripiegamento su se stesso dell'Unico di Stirner”, frutto della disperazione del nulla che si dispiega in violenta autoaffermazione di dominio solipsitico; essa è piuttosto - se vogliamo - affine? (ma con i dovuti distinguo) all'ideale del saggio stoico, affine quantomeno nella matrice etica che presuppone e prepara quell'esito: ovvero, l'accettazione del dolore e della morte e l'indifferenza rispetto ai più comuni beni della vita (salute, ricchezza, bellezza...) e ai loro contrari”*. Secondo gli Stoici, "vivere secondo natura" significa, da un lato, mantenersi in accordo con gli eventi, accettandone il carattere di necessità-provvidenza; dall'altro, favorire la propria natura realizzando e conservando il proprio essere razionale. Orbene, detergendo tale prospettiva dalle connotazioni di necessità, provvidenza e razionalità (o almeno non ritenendole esclusive), essa viene a convergere proprio con la dimensione persuasa del vir. Di poi, il "bastare a se stesso" non si risolve in una posizione ascetica (come da 52 «il triste filosofo dell'anarchia», lo definisce M.. 53 Un'affinità cui ci autorizza lo stesso M.; cfr. Dialogo tra Napoleone e Diogene, in D 101-110. 54 «Poiché in quanto virtus essa è disposizione a una cosa (possibilità), in quanto tua virtus è bisogno di questa cosa (anche in rapplorto] alle virtutes negative degli stoici che sono neglative] inrigluardo] ai bisogni ma positive riguardo alla vita, cioè esser felici senza quei bisogni: gli stoici avevano d'accorgersi che esistevano anche senza quei bisogni, essi esistevano e cred[evano] d'essere solo in quanto negavano l'una cosa e l'altra e affermavano così in rapporto a queste cose della vita la loro individualità. Dunque gli Stoici hanno possibilità di vivere senza bisogni ma bisogno di viver come tali. - Si ergo virtus se ipsa contenta est - homo virtuosus plane adnihilatus est... in quanto tua virtus - è bisogno d'esplicarla, di viverla nel tempo, tutta. E come l'esplicarla non è mai in un punto, così tu non puoi possederti in nessun punto» [ib. 107; è Diogene che parla a Napoleone; i corsivi sono di M.]. Invitiamo a leggere questo passo anche alla luce di quanto detto sulla dinamica potenza-atto nell'ottica persuasa. 55 La virtù stoica, ancora, così come la Persuasione è tale da non ammettere gradi intermedi (essa è o non è), come descrive efficacemente Cicerone: «Come infatti chi è sommerso nell'acqua, sebbene poco distante dalla superficie, sì da poterne quasi emergere, non può respirare affatto più che se fosse nella profondità [...] così chi si sia avanzato alquanto verso l'abito della virtù non è affatto meno in miseria di chi non vi si sia avanzato per nulla» [De finibus, III, 48]. L'ideale di saggio stoico, quindi, anche qui si mostra come valido strumento euristico per indagare il carattere peculiare della Persuasione: ma, come visto, le differenze sono importanti almeno quanto le somiglianze. In effetti, il tentativo chetaluni è stato rimproverato); tutt'altro: il vir non si allontana sdegnosamente dal mondo, ma si fonda il mondo: l'entelechia etica è un atto di fondazione, è la possibilità di un nuovo, autentico inizio, e in ciò consiste la sua vera libertà. Libertà, dunque, che non è solo apatheia, non è solo "libertà da", ma anche soprattutto "libertà di": libertà di permanere nell'esistenza persuasa e di fondare il mondo della propria autenticità: il vir «deve creare sé e il mondo, che prima di lui non esiste » [PR 34]. Ci piace, allora, richiamare le parole del già citato Paul Nizan, che descrive in modo prezioso e vibrante tale condizione: «La libertà è un potere reale e una reale volontà di essere se stessi: è capacità di costruire, inventare, agire, soddisfare tutte le possibilità umane il cui dispendio dà gioia» [Nizan 82] (vedremo tra non molto questo peculiare legame tra attività e gioia, che ritorna anche nel Goriziano). Poco più avanti, è lo stesso scrittore francese che segna con nitidezza e con un certo sdegno i distinguo tra questa reale libertà e saggezza da quella dei saggi "stoici"; la libertà che egli auspica e pretende non è quella dei «...] saggi che paralizzano a una a una le parti dell'umanità e chiamano saggezza questa mutilazione. E' certo il tempo di non essere più stoici, non avrete più un cielo dove recuperare iltempo» [ib. 83]. Nel concludere questo paragrafo, proponiamo un lungo brano, tratto dal romanzo / cosacchi, di un (allora; siamo nel 1863-64) giovane autore russo, Lev N. Tolstoj, un autore che il nostro M. amò a dismisura, traendone profitto e sostanza morale. Questo romanzo è, indubbiamente, un'opera giovanile, eppure - pur nell'acerbità a suo modo perfetta - già contiene in nuce lo slancio etico-esistenziale appassionato, ed i motivi ad esso connessi, che informeranno tutta l'opera del grande scrittore, e che confluiranno nella speculazione del Goriziano, assorbiti in modo originale, ma fedele. Il brano che proponiamo è cruciale sia nell'economia del romanzo, sia nella vita del suo protagonista, il giovane nobile Olenin, il quale - pieno di entusiasmo e spinto, da un'oscura sensazione di estraneità al mondo a cui appartiene per nascita, alla ricerca della felicità [Olenin- M.-Mreule] - intraprende un lungo viaggio che da Mosca lo porta in un lontano villaggio del Caucaso (inutile dire che ogni tentativo di Olenin di adattarsi alla nuova realtà, soprattutto per quanto riguarda i "rapporti umani", sarà destinato allo scacco). Ebbene, questo brano contiene - in modo davvero disarmante, a nostro parere - parecchi punti di contatto (non solo "ideologico", ma addirittura espressivo) con talune pagine M.iane; esso, inoltre, riassume in maniera opportuna tutto il discorso da noi fin qui tenuto e, in maniera altrettanto opportuna, soprattutto nell'interrogativo che lo conclude, ci offre il destro per proseguire questo nostro difficile cammino ermeneutico. stiamo facendo - e in questo campo è giocoforza procedere per tentativi - è quello di setacciare il concetto di Persuasione: circoscriverlo, per quanto possibile, per meglio individuarne vigore e valore. «Egli [Olenin] si sentiva fresco e a suo agio; non pensava a nulla, non desiderava nulla. E a un tratto fu assalito da un così strano senso di felicità senza motivo e di amore per ogni cosa che, seguendo una vecchia abitudine infantile, si mise a farsi il segno della croce e a ringraziare non so chi. Gli venne a un tratto in mente con particolare chiarezza che lui, Dmitri Olenin, un essere così diverso da tutti gli altri, se ne stava ora disteso solo, Dio sa dove, in un luogo dove viveva un cervo, un vecchio cervo e bello, che forse non aveva mai visto un uomo, e in un posto dove nessun uomo mai s'era posto a sedere, né aveva avuto quel suo pensiero. "Sono seduto, e attorno a me stanno degli alberi giovani e vecchi, uno di essi è tutto avvolto dai tralci della vite selvatica; vicino a me brulicano i fagiani, inseguendosi l'un l'altro, e fiutano forse i loro fratelli uccisi". Egli tastò i suoi fagiani, li esaminò e asciugò la mano lorda di sangue ancor tiepido nella sopravveste circassa. Forse li fiutano anche gli sciacalli e coi musi scontenti vanno a cacciarsi altrove; vicino a me, volando tra le foglie, che sembrano loro isole immense, stanno nell'aria e ronzano le zanzare: una, due, tre, quattro, cento, mille, un milione di zanzare, e tutte ronzano attorno a me per qualche ragione e dicono qualche cosa, e ciascuna di esse è un Dmitri Olenin, distinto da tutti gli altri come sono io stesso". E s'immaginò chiaramente quello che pensano e dicono ronzando le zanzare. "Qui, qui, ragazzi! Ecco chi si può mangiare", dicono ronzando e lo ricoprono tutto. E gli si fece evidente che egli non era punto un nobile russo, un membro della società moscovita, amico e parente del tale e del tal altro, ma semplicemente una zanzara, o un fagiano o un cervo, come quelli che ora vivevano attorno a lui. "Come loro e come zio J eroska, vivrò e morirò. Egli dice la verità: soltanto l'erba mi crescerà sopra". "Ma che importa se l'erba mi crescerà sopra?", continuava a pensare, bisogna tuttavia vivere, bisogna essere felici; perché io una cosa sola desidero: la felicità. Qualunque cosa io sia: una bestia come tutte, sulla quale crescerà poi l'erba, e niente più, o una cornice in cui si è inserita una particella dell'unica Divinità, è pur tuttavia necessario vivere nel modo migliore. Ma come dunque bisogna vivere per essere felice, e perché prima non ero felice?", E prese a ricordare la sua vita passata; e gli venne schifo di se stesso. Apparve a se medesimo come un esigente egoista, mentre, in realtà, per sé non aveva bisogno di nulla. E continuava a guardare attorno a sé: la verzura trasparente, il sole che declinava e il cielo sereno, e si sentiva felice come dianzi. "Perché sono felice e a che scopo vivevo prima?", pensò. Quanto ero esigente, quante cose escogitavo, e non mi son procurato altro che vergogna e dolore! Ed ecco che non ho bisogno di nulla per essere felice!" E a un tratto gli parve che gli si fosse dischiuso un nuovo mondo. "La felicità, ecco quello che è", disse a se stesso: la felicità consiste nel vivere per gli altri. E questo è chiaro. Nell'uomo è stato posto il bisogno della felicità; esso quindi è legittimo. Appagandolo in modo egoistico, cioè cercando per sé la ricchezza, la gloria, le comodità della vita, l'amore, può accadere che le circostanze si combinino in modo che appagare questi desideri sia impossibile. Di conseguenza, questi desideri sono illegittimi, ma non è illegittimo il bisogno di felicità. Quali desideri però possono essere sempre appagati indipendentemente dalle circostanze esteriori? Quali? L'amore, l'abnegazione!". E tanto fu contento e tanto si agitò, scoprendo questa verità, che a lui pareva nuova, che balzò in piedi e si mise con impazienza a cercare per chi potesse al più presto sacrificarsi, a chi far del bene, chi amare. "A me infatti non occorre nulla", seguitava a pensare, "perché dunque non viver per gli altri? "»5°. 56 Tolstoj, | cosacchi (a cura di G. Faccioli), BUR, 1952, pagg. 98-99-100. 3. Il porto della pace. Essendo [Gesù] poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva. Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Salvaci, Signore, siamo perduti!". Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?». Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia. | presenti furono presi da stupore e dicevano: "Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono? ". Questo passo è tratto dal Vangelo secondo Matteo”, Vangelo - questo in particolare, tra i quattro - che dovette colpire particolarmente M.®, per la forza e la nitidezza - e insomma per la "fisicità"°° - etiche e storiche, con le quali viene delineata la figura del 57 Si tratta di Mt. 8, 23-27; ma cfr. anche Mc 4, 35-41 e Lc 8, 22-25. 58 In una lettera del maggio 1909 alla sorella Paula: «Se sapessi scriver note e se tu le comprendessi ti scriverei il tema dell'andante della IX sinfonia; sarebbe più eloquente di me per dire quello che voglio dire; oppure - non ridere! - leggi il Vangelo di S. Matteo», [E 383]. Del resto, pochi giorni dopo, in una lettera allo Mreule, M. confessa che «in questo tempo, invece di far la tesi ho imparato a conoscer Cristo e Beethoven - e le altre cose mi si sono impallidite» [E 398; corsivo nostro]; nella lettura del Vangelo, egli «ci trova con gioia la grandezza e la profondità che si aspettava - tanto superiore alle filosofie e alla scienza moderne» [adattato da E 381] 59 Il Cristo di M. possiede connotati straordinariamente umani: è questo, infatti, «un Cristo monofisita che possiede soltanto la natura umana [...]. Un Cristo monofisita e pelagiano, che non conosce pertanto il peccato originale e il mistero del Riscatto e vive in un cosmo tragico senza possibilità finali di composizione» [cfr. S. Campailla, Carlo M. tra esistenzialismo ateo e esistenzialismo religioso, "Iniziativa Isontina", gennaio-aprile 1974, 60, Pag. 23]. E anche interessante notare come proprio il Cristo di S. Matteo abbia influenzato (ma sarebbe meglio dire: inquietato) sensibilità che poco o nulla hanno a che fare col cattolicesimo: ci riferiamo, tra gli altri, oltre che a M., a Tolstoj [per cui vd. oltre], (perché no?) a Nietzsche, nonché a Pasolini, che proprio sulla falsariga del Vangelo di Matteo scrisse una delle sue sceneggiature più belle ed importanti, da cui ricavò un film. Vale la pena riportare uno stralcio di una giovanile poesia pasoliniana - La domenica uliva - dove lo scrittore-regista, tormentato come sempre, liricizza questo suo particolare rapporto col Cristo: «Piove un fuoco scuro nel mio petto: non è sole e non è luce. Giorni dolci è chiari volano via, io sono di carne, carne di fanciullo. Se piove un fuoco scuro nel mio petto, Cristo mi chiama, ma senza luce» [lirica contenuta in Pasolini, II Vangelo secondo Matteo - Edipo Re - Medea, a cura di M. Morandini, Garzanti 19982, pagg. 280-286]. Sempre per meglio rifinire la suggestione cristologica in M., riteniamo opportuno riportare anche questa critica, ma attenta, esatta valutazione di Dilthey, che ben ci sembra enucleare la forza dirompente che scaturisce dalla figura etica del Cristo di san Matteo: «Indubbiamente i logia contenuti nel vangelo di Matteo sono quanto di più originario ci è pervenuto di Cristo, e contengono solo una potente e illimitata profonda coscienza etica, in cui il mondo trascendente si riflette, per così dire, come le stelle in un fiume. Il nucleo di questa coscienza costituisce il vero e proprio legame del sentimento etico attivo della vita, cioè della dottrina del regno di Dio, con il riconoscimento che nella connessione di questa vita dolore, bassezza, sacrificio producono tanto la perfezione quanto l'elevazione del Sé nello spiegamento della forza» [W. Dilthey, Sistema di etica, a cura di G. Ciriello, Napoli, Guida editori, 1993, pag. 126; corsivi nostri]. E' altrettanto interessante quanto il filosofo tedesco aveva affermato poco prima, ascrivendo a Ibsen e Tolstoj (tra gli altri) un tentativo «antiquato» [ib. pag. 122] di riferirsi al messaggio cristiano, contribuendo - col loro «individualismo» [ib.], o anzi «animalismo» [ib. pag. 121] - all' «inefficacia» [ib. pag. 122] contemporanea del cristianesimo. Questo, in effetti, secondo Dilthey, «agisce su singole anime semplici, che oppongono la loro esperienza interna alla tendenza della scienza moderna. Non vi è ancora nessuno che abbia compreso la verità cristiana in maniera così nuova e profonda, da permettere che essa possa determinare seriamente l'epoca. Anche in questo campo vi sono soltanto tentativi e inizi» [ib.; corsivi nostri]. Questo giudizio, equilibrato e corretto, per quanto polemico, copre di riflesso anche M., se è vero che il Goriziano privilegiò proprio Ibsen e Tolstoj come epifanie concrete di persuasione. Tuttavia, M. ci sembra comprendere e approfondire (e cercheremo di dimostrarlo nel corso del nostro lavoro) in «maniera nuova e profonda» il monito persuaso di Cristo e arrovellarsi nel tentativo di valorizzarlo come un'euristica etica atta a «determinare seriamente l'epoca» in cui visse. Certo, anche l'impresa M.iana appartiene alla congerie dei «tentativi ed inizi», e la sua ricerca esistenziale conobbe una cocente sconfitta. E' altrettanto vero, però, che Carlo Cristo, uno dei Persuasi della storia dell'umanità, anzi - per il Goriziano - il Persuaso per eccellenza. Ciò che ci colpisce del passo evangelico è innanzitutto l'efficacissimo contrasto tra l'infuriare della tempesta e la serenità (la "pace") del Cristo: mentre la barca è pericolosamente sballottata dalle onde, rischiando di ribaltarsi, Gesù dorme. In mezzo alla tempesta, Cristo è nel porto della pace, ha in sé (è) il porto della pace. Quella serenità non Gli proviene dalla Verità di essere Figlio di Dio, per il qual motivo niente di questo nostro mondo potrà toccarLo o nuocerGli; non Gli proviene da un'indifferenza per le cose terrene (parlando del Cristo, sarebbe davvero un controsenso); Gli proviene, bensì, dalla consapevolezza di avere un destino da compiere (il sacrificio sulla Croce) e che nulla può impedire il compiersi di questo destino. E' la pura consapevolezza dell'essere persuasi, che permette di conquistare quel "porto", quella «permanenza in un punto», anche nella furia del mare (il miracolo che ne succederà, l'aver calmato le acque e i venti, appare davvero accessorio, rispetto a quel riposo). L'infuriare della tempesta, di contro, si riflette nel baratro di paura che infuria nell'intimo dei discepoli che L'hanno accompagnato, e il loro tormento è un ulteriore, efficace scarto contraddittorio se paragonato al riposo di Gesù. Gesù li aveva invitati a passare all'altra riva®, all' "oltre" della riva, ad «imbarcarsi sul mare di questo mondo »5': l'invito era piaciuto, ma tra l'invito e la meta c'era un tragitto; la folla lasciata sulla riva non restò rassegnata a veder partire la brigata: si inoltrò nel mare, turbò le onde, agitò una tempesta mortale, e Gesù - quello stesso nocchiero che, rivolgendo loro l'invito aveva messo loro in cuore il desiderio di partire - salito con essi sulla barca si addormenta, ed essi sembriamo davvero abbandonati. Uno sconforto pesa sul cuore dei discepoli e forse il pentimento di essersi incautamente affidati a uno che non li soccorrerà nel bisogno, ad uno che non garantirà loro la sicurezza. Allora, quando tutte le risorse dell'arte e tutte le speranze sembrano crollare di fronte alle minacce della tempesta, quando l'uomo dispera di sé stesso, non fidando più delle sue forze mortali, allora comincia a chiedere, sperando, l'aiuto del Figlio di Dio e in virtù di tale speranza egli sveglia imperiosamente il Signore che dorme: «Come, Tu dormi? non Ti importa niente che moriamo ?». Non c'è giaculatoria più efficace M. caldeggiò una «posizione del tutto nuova dell'etica», un'etica che doveva «agire sui grandi problemi della società [per lui, della Rettorica] a partire prevalentemente dai suoi principi», qual è appunto l'auspicio di Dilthey [ib. 122]. Concludiamo questa importante noi - importante innanzitutto perché contiene in nuce la valenza della "strategia persuasa", così com'essa ci appare - con un inciso: non abbiamo fatto riferimento alla Vita di Gesù di Hegel, perché essa ci sembra più che altro forgiata sulla lezione evangelica giovannea, con tutte le profondissime, e sottintese, differenze che questa diversa prospettiva comporta. 60 Mt, 8, 18; ma anche Lc 8, 22 e 9, 57-60 61 Invitiamo, altresì, a confrontare quest'apologo evangelico con l' "esempio storico" dell'aerostato di Platone [PR 66-73]: entrambi tentativi di allontanarsi dalla solida terra (l'uno attraverso il mare, l'altro attraverso il cielo), ma con motivazioni, prospettive, significati, ma soprattutto esiti diversi. di questa per scuotere Dio dal suo letargo e comandargli di venire in nostro soccorso: abbiamo lasciato tutto e Ti abbiamo seguito, Tu sei nostro padre, nostro amico e Maestro, non Ti importa nulla che noi moriamo? Perché ci hai messo in mare e posti nella barca se i nostri piedi stavano più sicuri piantati sulla solida riva? L'ammonimento che il Cristo - una volta ridestatosi - rivolge ai suoi discepoli («Perché avete paura, uomini di poca fede?»)?° riecheggia, spogliato ovviamente della sua componente "religiosa", in tutta l'opera di M., rivolto agli uomini rettorici: potremmo anzi dire che quell'opera rappresenta - nella sua interezza - il tentativo sofferto, ma a suo modo compiuto, di offrire una risposta etica a quella lacerante domanda. Il timore vanifica la Croce. Il monito ad aver fede - e a dipanare quel timore - si traduce, nell'autore della Persuasione, nel monito che «[...] non fai niente, non sai niente, non dici niente, fosse anche la via dove credi di trovarti la via del più saggio uomo sulla terra. Che se a lui t'affidi e lo incarichi di ciò che pesa a te, resti invalido sempre. [corsivi nostri] Le sue parole in cui ti fingi un valore assoluto sono perte un arbitrio che tanto ne comprendi quanto ne puoi prendere. - Non c'è cosa fatta, non c'è via preparata, non c'è modo o lavoro finito pel quale tu possa giungere alla vita, non ci sono parole che ti possano dare la vita: perché la vita è proprio nel crear tutto da sé, nel non adattarsi a nessuna via: la lingua non c'è ma devi crearla, devi crear il modo, devi crear ogni cosa: per aver tua la tua vita» [PR 61]. Quella fede a cui Cristo richiama non è, dunque, per il giovane filosofo, un invito a "credere in Lui", bensì piuttosto - detto con espressione semplice - un invito ad "aver fede in noi", nelle nostre possibilità, nelle nostre proprie responsabilità sulla via della Persuasione. M. infatti prosegue, proprio in riferimento al Cristo e ai suoi credenti: «- | primi Cristiani facevano il segno del pesce e si credevano salvi; avessero fatto più pesci e sarebbero stati salvi davvero, ché in ciò avrebbero riconosciuto che Cristo ha salvato sé stesso poiché dalla sua vita mortale ha saputo creare il dio: l'individuo; ma che nessuno è salvato da lui che non segua la sua vita: ma seguire non è imitare, mettersi col 62 E' ancora interessante, a questo proposito (anche al fine d'individuare assonanze-dissonanze con la nostra lettura), riportare le considerazioni "tropologiche" di S. Agostino (contenute nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni) su questo stesso episodio [cfr. omelia 49]: «Lo dice l'Apostolo: Per mezzo della fede, Cristo abita nei vostri cuori (Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata alla fede che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che egli dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul punto di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si levò, comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt 8, 24-26). E' quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei adirato; l'insulto è il vento, l'ira è il flutto; sei in pericolo perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme, E' per questo che sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore della fede. Se svegli Cristo, se cioè la ua fede si riscuote, che ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: lo mi son sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è, dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore dell'uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel cuore dell'uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo frema, cioè l'uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha pianto, l'uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha pianto se non perché l'uomo impari a piangere? Per qual motivo fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell'uomo, giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca l'abitudine al peccato?». proprio qualunque valore nei modi nelle parole della via della persuasione, colla speranza d'aver in quello la verità. Si duo idem faciunt non estidem» [PR 61-62]. La condizione inautentica, eteronoma e dunque non libera (come spiega M. in un capoverso che sembra parafrasare proprio il senso del brano evangelico proposto), è propria di coloro ai quali «fragili imbarcazioni in mezzo all'uragano, la grande nave» appare ingannevolmente «come un porto sicuro» [PR 42], mentre di converso «[...] ognuno è il primo e l'ultimo, e non trova niente che sia fatto prima di lui, né gli giova confidar che sarà fatto dopo di lui, egli deve prender su di sé la responsabilità della sua vita, come l'abbia a vivere per giungere alla vita, che su altri non può ricadere [questi ultimi due corsivi sono nostri]; deve aver egli stesso in sé la sicurezza della sua vita, che altri non gli può dare; deve creare sé ed il mondo, che prima di lui non esiste: deve esser padrone e non schiavo nella sua casa» [PR 36]. La grande nave. Non può non venire in mente un passo del Fedone [85 C-D-E] - divenuto cruciale per i più attenti studiosi di Platone - in cui Simmia, uno degli interlocutori privilegiati di Socrate nel dialogo, esprimendo le sue perplessità a proposito di talune "dimostrazioni" socratiche sull'immortalità e la reincarnazione delle anime, ci suggerisce un aut-aut che è allo stesso tempo metodologico ed esistenziale: «attraversare con una zattera [quella del ragionamento umano], a proprio rischio, il mare della vita» o «fare il tragitto più sicuramente e meno pericolosamente su più solida barca, cioè affidandosi a una divina rivelazione [logos theios}»®. Il dilemma - di cui conosciamo la risposta socratica e, indirettamente, quella agostiniana - si risolve in M., come abbiamo anticipato, in una posizione netta di autonomia del vir, e ci rende conto anche della collocazione (estremamente personale ed originale) che il giovane studioso assume nei confronti di quelli che pur sono i principali riferimenti speculativi ed etici della sua formazione: Cristo e Socrate si richiamano fin quasi a confondersi, superando barriere storiche e religiose, nell'individuazione di un 63 Le espressioni che utilizza M. richiamano ancora, ma in via negativa e in modo davvero singolare, analoghe considerazioni che riscontriamo di nuovo in Agostino, sempre nel suo Commento al Vangelo di Giovanni [cfr. omelia 2]: «[i discepoli, i.e. gli uomini] non vollero aggrapparsi all'umiltà di Cristo, cioè a quella nave che poteva condurli sicuri al porto intravisto. La croce apparve ai loro occhi spregevole. Devi attraversare il mare e disprezzi la nave? Superba sapienza! Irridi al Cristo crocifisso, ed è lui che hai visto da lontano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Ma perché è stato crocifisso? Perché ti era necessario il legno della sua umiltà. Infatti ti eri gonfiato di superbia, ed eri stato cacciato lontano dalla patria; la via era stata interrotta dai flutti di questo secolo, e non c'è altro modo di compiere la traversata e raggiungere la patria che nel lasciarti portare dal legno. Ingrato! Irridi a colui che è venuto per riportarti di là. Egli stesso si è fatto via, una via attraverso il mare. E' per questo che ha voluto camminare sul mare (cf. Mt 14, 25), per mostrarti che la via è attraverso il mare. Ma tu, che non puoi camminare sul mare come lui, lasciati trasportare da questo vascello, lasciati portare dal legno: credi nel Crocifisso e potrai arrivare». 64 Da notare, ancora, il ricorso ad una terminologia peculiarmente evangelica. Ci si perdonerà, tra l'altro, la riproposizione fedele di interi passi del Goriziano; ci sentiamo, tuttavia, autorizzati a far ciò dall'importanza che essi assumono nell'economia del nostro discorso e dal fatto che essi stessi rappresentano, a nostro giudizio, passaggi fondamentali (anche per la loro chiarezza, che non necessita scolii, caso quasi raro nella scrittura di M.) nella determinazione/enucleazione di quell'esigenza di autonomia che leggiamo come cifra essenziale della Persuasione, e che ci offrirà l'aggancio per rivisitarla sotto la prospettiva dell'etica kantiana, per una sinergia feconda di sviluppi. 65 Cfr. la diapositiva D [Barca] nel supporto iconografico.comune assunto morale: /a forza autentica degli uomini come unica bussola nel paradossale viaggio. Sullo sfondo, il mare. Dunque, il mare come luogo privilegiato del vir. Ma perché proprio il mare? Qual è il senso di questa complessa simbologia o presunta mitologia? Ed è davvero e soltanto una simbologia/mitologia atta a rendere la condizione persuasa? Anticipiamo la nostra risposta negativa. Certo, il topos del mare ha anche un fascino ed una suggestione prettamente letteraria e filosofica. Non dimentichiamoci che le immagini del mare e dei flutti ricorrono nelle opere di alcuni filosofi del primo e del secondo Ottocento, per esprimere, metaforicamente, la natura reale, libera e vitale del mondo: con tale immagine, questi filosofi segnalavano la propria opposizione alla dimensione necessaria, ordinata e razionale, puramente teoretica del mondo ("il mare dell'essere") descritto da Hegel e richiamavano la riflessione filosofica alla realtà concreta, alla possibilità, alla libertà. Di contro, l'immagine del mare è una significativa costante che lega, ad esempio, direttamente o indirettamente, molte delle "eroine fuggitive" del teatro ibseniano (altra componente di ispirazione prima per i nostri giovani intellettuali della "soffitta del Paternolli", come sappiamo) nell'aspirazione ad una svolta autentica della propria vita: la Dina dei Pilastri della società, la Nora di Casa di bambola, la Bolette della Donna del mare, la Asta del Piccolo Eyolf, la Frida di John Gabriel Borkman. Una particolare suggestione, a tal proposito, emana proprio il dramma La donna del mare, uno dei capolavori ibseniani più ermetici e, a suo modo, inquietanti, dove l'ambientazione prevalentemente in luogo aperto e il «luminoso lirismo» [M.P. Muscarello]?” che caratterizza molte scene e molti dialoghi stride con la complessa simbologia sottesa a tutta l'opera: quel contrasto vive soprattutto nella figura combattuta (tanto per usare un eufemismo) di Ellida, nell'enigmatica presenza-assenza dello "straniero del mare", nell'attrazione paritempo magica e terribile di cui è causa il mare stesso. Ellida soffre fino in fondo l'ambiguità di questo torbido rapporto d'attrazione: da una parte si reca spesso, durante le sue giornate, a contemplare quel mare e si bagna nelle sue acque quasi per ritemprare la proprie forze vitali; dall'altra, avverte tutta la potenza e la forza misteriosa ed ammaliatrice del suo richiamo, che si incarna nello Straniero e nella promessa matrimoniale che, un giorno, li legò. Quel legame ha ancora, per Ellida, nella sua vita tutta borghese, un sapore e una speranza di autenticità e di vita: eppure, ella avverte una sua propria incompiutezza, una condizione d'insofferente eteronomia in quel legame, che allo 66 L.A. Feuerbach - solo per citare uno tra i tanti - nei suoi Principi della filosofia dell'avvenire definisce l'uomo «come un ente reale, vivente, che, in quanto tale, è calato nelle onde vivificanti e refrigeranti del gran mare del mondo». 67 Utet, Dizionario dei Capolavori, 1987, vol. I, pag. 485. stesso tempo ne falsa la portata vitale: ella non aveva potuto scegliere liberamente, neanche allora, come confessa all'esterrefatto marito Wangler. Ellida, dunque, si propone una condizione di assoluta autonomia di scelta: dev'essere libera da ogni vincolo sociale ed affettivo, da ogni istigazione o subordinazione emotiva, per poter valutare con neutralità (e quindi con giustizia) le alternative’: divenire finalmente «sirena del mare» o «acclimatarsi»®° alla vita di terra. La sorpresa - ammettiamolo, che un po' ci delude - è che Ellida decide per la vita di terra: Ellida fon una scherzosa espressione di gravità): «Vede, professore... Ricorda l'oggetto della nostra conversazione di ieri? Una volta diventati creature terrestri... non si riesce a riprendere la via del mare». Ballested: «Lo stesso è successo alla mia sirena! Con una differenza però! La sirena può morire mentre gli uomini sanno acclo... accla... acclimatarsi, signora Wangel!». Ellida: «Possono farlo se sono liberi». [Ibsen 64] Il dramma di M. è che egli non riesce ad "acclimatarsi" al mondo rettorico: nel suo anelare il mare c'è come un respiro nostalgico, c'è quasi la volontà di un ritorno a casa: noi siamo fondamentalmente esseri marini, e l'aver abitato la terra è un tradimento della nostra condizione primigenia. E' ciò che afferma, tra il serio e il faceto, proprio Ellida”° (che condivide col Nostro quella nostalgia), e lo si evince ancor più chiaramente, e più a proposito, dall'epopea di Itti e Senia, le due creature del mare che popolano l'ultima produzione poetica M.iana. E' triste il destino di Itti e Senia, che nel doloroso risveglio si ritrovano a vivere la morte dei mortali, provenienti - essi, invece - «dalla pace del mare lontano», catapultati - ora, invece - nel mondo della «falsa permanenza», nel gioco retorico della vita quotidiana, nelle sue espressioni più comuni, e anche più apprezzate: il mondo della famiglia, le passioni, i sentimenti, il linguaggio e, in ultimo, l'illusione in alto grado sublime, l'amore. 68 Ellida: «Voglio essere libera quando gli sarò di fronte. Non voglio che pesi tra noi il fatto che sono la moglie di un altro; non voglio trincerarmi dietro il pretesto che non m'è possibile scegliere. Se così fosse, che valore avrebbe una mia decisione?» [Ibsen, La donna del Mare, in Ibsen, Tutto il teatro, Newton, IV vol. pag. 511. 69 E' la "battuta" ricorrente (ed emblematica) di un altro personaggio, il sedicente pittore Ballested, alla quale vengono consegnati il congedo e il compendio del dramma. 70 Bolette (con un sospiro): «Noi dobbiamo contentarci della terra ferma». Amholm: «Dopo tutto, è la nostra sede naturale». Ellida: «Non sono d'accordo. lo ritengo che se gli uomini si fossero abituati a vivere sul mare, o addirittura nel mare, adesso saremmo più perfetti di come siamo. Più buoni e più felici».Arnholm (scherzando): «Ora però quel che è stato è stato. Abbiamo preso la decisione sbagliata e siamo animali terrestri anziché felici creature marine, Mi sembra sia troppo tardi per poter riparare quello sbaglio». Ellida: «Sta dicendo una crudele verità. lo penso che tutta l'umanità lo intuisca e ne provi un segreto rammarico. Creda a me: questo, proprio questo è il motivo più segreto della tristezza degli uomini». Arnholm: «Per esser sinceri, cara signora, non m'era sembrato che gli uomini fossero così tristi come dice lei. Direi, anzi, che prendono la vita sin troppo alla leggera... a volte anche allegramente... ». Ellida: «Invece non è così, purtroppo! La gioia di cui parla lei è la stessa che ci danno alcune serate estive, quando si ha appena il presentimento della notte e del buio. E' questo presentimento che appanna tutta la gioia dell'umanità, come una nuvola passeggera che lascia la sua ombra in permanenza sul fiordo [...]» [Ibsen 36]. Ebbero padre ed ebbero madre e fratelli ed amici e parenti e conobbero i dolci sentimenti la pietà e gli affetti e il pudore e conobbero le pa role che conviene venerare Itti e Senia i figli del mare E credettero d'amare. [PP 79-80] M. - ebreo che rinnega la "terra promessa", filosofo che rinnega il "regno dell'aria" (l'aerostato platonico è la vana speculazione ebbra di sé, e altrettanto vuota) - elegge a dimora persuasa un «terzo regno»”, quello appunto del mare: egli si sente un «perduto figlio del mare» (è inevitabile sottolineare l'iterazione davvero ossessiva con cui il significante "mare" ricorre nelle ultime liriche, con tutte le implicazioni e le sfumature di senso ch'esso assume in un contesto simile); eppure trova la forza di consolare la sua Senia, in un intreccio di poesia, saggezza, speculazione, amore, che prova disperatamente a scongiurare il pericolo (l'angoscia) della morte e della vita ed esprime, nel finale, la speranza di «giungere al nostro mare», di giungere a quel porto, che non è il porto della sicurezza degli uomini, ma paradossalmente proprio «la furia del mare». Il ritorno al mare, col suo richiamo, è infatti vicino: il mare si staglia in tutta la sua forza vitale, il frutto di una conquista sofferta che alla fine conduce alla pace: si staglia, oltre le sponde che lo serrano, oltre le «case ammucchiate/dalle trepide cure avare», oltre il «commercio degli uomini» che il poeta-filosofo disprezza e combatte”: Altra voce dal profondo ho sentito risonare altra luce e più giocondo ho veduto un altro mare. Vedo il mar senza confini senza sponde faticate' vedo l'onde illuminate che carena non varcò. Vedo il sole che non cala lento e stanco a sera in mare ma la luce sfolgorare vedo sopra il vasto mar. Senia, il porto non è la terra dove a ogni brivido del mare corre pavido a riparare la stanca vita il pescator. Senia, il porto è la furia del mare, è la furia del nembo più forte, quando libera ride la morte 71 cfr, S. Campailla: Il terzo regno, introduzione alle PP. 72 Ovviamente, M. non è un misantropo. Il "commercio" ch'egli combatte è in modo esclusivo, quello rettorico. a chi libero la sfidò» [PP 81-82] Ma il ritorno al mare non è il risultato conseguente e gratuito di una scoperta: esso comporta una perdita di innocenza e un duro esercizio di persuasione: "No, la morte non è abbandono" disse Itti con voce più forte ma è il coraggio della morte onde la luce sorgerà. Il coraggio di sopportare tutto il peso del dolore, il coraggio di navigare verso il nostro libero mare, il coraggio di non sostare nella cura dell'avvenire, il coraggio di non languire per godere le cose care. Nel tuo occhio sotto la pena arde ancora la fiamma selvaggia, abbandona la triste spiaggia e nel mare sarai la sirena. Se t'affidi senza timore ben più forte saprò navigare, se non copri la faccia al dolore giungeremo al nostro mare. Senia, il porto è la furia del mare, è la furia del nembo più forte, quando libera ride la morte a chi libero la sfidò» [PP 83-84] Questo stralcio di lirica, non a caso emblematica per tutta la critica M.iana, è il luogo dove la dimensione persuasa si definisce in tutta la sua possibile esattezza e si scioglie definitivamente da ogni difficoltà o ambiguità interpretativa: l'assunto, consegnato a quello ch'è un vero e proprio "pentalogo", è davvero chiarissimo: la persuasione è coraggio, il coraggio di una vita libera ed autonoma, in una parola assoluta. Una vita che non fugge la vita, il suo dolore e le sue contraddizioni insensate (l'insensatezza per eccellenza: la morte), ma che vi s'immerge con un agonismo feroce e mai domo, perché, insieme, consapevole e senza compromessi o deroghe. La Persuasione, infatti, come avremo modo di vedere meglio in seguito, ma come può già qui apparire abbastanza chiaro, non è una categoria astratta e monolitica, che si oppone alla Rettorica n una mitica gigantomachia, così come il Bene al Male nell'immaginario comune e religioso, o la Verità alla Menzogna nella speculazione filosofica e morale: la Persuasione si puntualizza, si concretizza, in una rete di "rapporti di forza" agonistici disseminati in un vasto orizzonte che va dalla famiglia alle istituzioni, dall'interiorità dell'uomo alla sua esteriorità, dall'esistenza privata alla vita pubblica, dalla solitudine al contatto con gli altri: in una sola espressione, è interamente calata nella congerie politica e quotidiana. E' un «Venire a ferri corti» con un avversario così apparentemente invincibile (Davide contro Golia) e così vicino, che è possibile avvertirne il fiato sul collo, una continua incombente minaccia, la forza di una presa terribile che non molla mai. Di fronte alle istanze di dominio dell'apparato (del dispositivo) rettorico, che avvolge gli uomini nelle lusinghiere maglie della eteronomia, il vir oppone un'identica, strenua, determinazione di autonomia, al costo del sacrificio di sé stesso, che è un sacrificio libero, e non vincolato o ingannato, come quello che ci chiede la Persuasione Inadeguata. Non bisogna credere, dunque, che la Rettorica sia un universale che subirebbe, nel tempo, una progressiva realizzazione o delle variazioni quantitative o delle risultanze più o meno gravi, delle occultazioni più o meno rilevanti, atte esse stesse al suo scopo di dominio. Essa, come sistema, non è un universale che si specificherebbe nel tempo storico e nello spazio geografico: non è insomma lo Spirito o l'idea hegeliana, bensì non è mai altro che un rapporto attuale tra uomini, che si concreta in una tensione infinita, dinamica e fisica di poteri, di «relazioni sufficienti». AI "campo" dei poteri (laddove il campo è l'insieme di quelle dinamiche e di quelle forze) si contrappone il campo delle possibilità: /a libertà è appunto lo spazio aperto di tali possibilità, in cui l'esistenza si slancia nelle sue aspirazioni e realizza i suoi progetti. La consapevolezza della Rettorica nel mondo, infatti, non deve chiudere l'uomo nell'amarezza e nel disfattismo di una scepsi e di una prassi nichilistiche, bensì deve richiamarlo alla sua responsabilità di "potere" e di "essere", deve aprirgli e trasmettergli la fiducia nelle proprie capacità umane, nella propria possibile apertura alla Persuasione. E' questo il messaggio di M., che abbiamo fatto nostro. Ebbene, non c'è immagine migliore che rappresentare poeticamente questa lotta e questa conquista come la «furia del mare». A tal proposito, scrive efficacemente P. Amato”: «Per rendere la persuasione un'alternativa vivibile non solo nella scrittura, M. indica all'uomo persuaso il suo luogo: il mare. Nella catastrofe - nel pericolo dell'attimo irripetibile - dobbiamo liberare l'a gire, rifiutando l'angoscia senza scampo del deserto. Il mare è lo spazio del persuaso. Il mare è l'ou-topia, il suo mai luogo privo di confini dove sempre si è stranieri, presenti solo a se stessi, è il luogo dove sentirsi, ovunque - come mai - nella propria casa. Il mare - prima delle due guerre mondiali - è la terra senza leggi, dove padroni non sono gli stati, piuttosto i pirati, dove ogni individuo può affermarsi e non cedere, non più osservato dalla violenza di un'organizzazione che lo trascende. È il territorio del persuaso ormai libero dal se stesso sofferente, unico amministratore della vita donatagli. Per lui ogni azione è la risolutiva, l'ultima, ogni gesto può essere quello estremo. [...] Il mare è il luogo della libertà che M. sogna per la sua vita dispensata dall'agire soffocante che la società pretende ». 73 cfr. P. Amato, L'attimo persuaso, filosofia e letteratura in Carlo M., in Studi Goriziani n. 89-90, pag. 190. Appare dunque chiaro che, con M., ci troviamo di fronte - più che ad una simbologia - ad una vera e propria "fenomenologia esistenziale" del mare”. AI di là del riferimento evangelico, un qualcosa di simile, forse, possiamo riscontrarlo soltanto nella dottrina buddista. Ora, nel proporre i passi che seguono (quasi nella loro interezza, datane l'importanza), non intendiamo certo forzare l'ispirazione o l'influenza che la lettura buddista ha esercitato sulla formazione del pensiero M.iano, specificamente in riguardo al pensiero dell' "ultimo" M.”°. Né vogliamo assumerlo come dato acquisito. Del resto, in base alla documentazione in nostro possesso (e dai pochissimi accenni che si riscontrano nelle opere del Nostro), non saremmo in grado di sincerare se quella lettura (e quindi, quell'influenza) fu diretta ovvero mutuata da fonti di seconda mano”. Resta il fatto, tuttavia, che molte espressioni (e non solo nel loro senso meramente letterale, ci pare) riscontrabili nei testi seguenti (e in special modo, quelle che abbiamo evidenziato in corsivo), possono rinvenirsi - ovviamente riadattate all'atmosfera della speculazione M.iana - quasi pari pari in passaggi fondamentali dell'autore goriziano: invitiamo, anzi, ad un suggestivo raffronto. Troviamo altresì significativa la continua serie di rimandi che l'autore intreccia tra la "dottrina della Persuasione" e il mare appunto, parallelismo ch'è lo stesso adottato dai due saggi buddisti. Dunque, in un passo del Milindapahna”, il Reverendo Nagasena afferma che il Nirvana «ha alcune qualità in comune con cose a noi note»: quattro ne ha in comune proprio con il mare: «Come il mare si libera dai cadaveri, œsì il Nirvana si libera dalle cose cattive. Come il mare è vasto, immenso, non colmato dai fiumi: così il Nirvàna è vasto, immenso, non colmato dagli esseri. Come il mare è la sede di esseri grandi e portentosi; così il Nirvana è la sede di esseri grandi e portentosi, quali sono i santi, che hanno raggiunto l'estinzione. Come il mare è, per così dire, tutto fiorito con i fiori delle sue onde, varie, possenti, innumerevoli: cosi il Nirvana è tutto fiorito con i fiori della purità, della conoscenza, della redenzione, varii, possenti, innumerevoli» [corsivo nostro]. Ma forse ancora più interessante quest'altro riferimento, tratto stavolta da Anguttara”, e che s'intitola - manco a dirlo - La dottrina è come il mare: 74 Una riprova di ciò può fornirci la testimonianza della aspirazione ultima del Goriziano - che può far anche sorridere, ma che è evidentemente frutto di una forte esigenza personale e "filosofica" insieme - di fare il marinaio, una volta terminata la tesi cui stava lavorando. 75 Cfr. la diapositiva F [Autoritratto del 1908] nel supporto iconografico. 76 Sappiamo, ad esempio, che M. si avvicinò al Buddismo per intercessione di Enrico Mreule. Ma cfr. il profilo biografico nel par. 6 del nostro capitolo sulla Rettorica. 77 Parabole Buddhiste, a cura di Burlingame, Roma-Bari, Laterza, 1995, pag. 158. 78 Ib, pagg. 137-138. Così come il mare si abbassa gradatamente, s'inclina gradatamente, si affonda gradatamente: così appunto la Dottrina si apprende gradatamente, si comprende gradatamente, si pratica gradatamente. Questa è la prima mirabile proprietà, che la Dottrina ha comune col mare. Cosi come il mare è chiuso nel suo bacino, senza sorpassare i limiti: così appunto i seguaci della Dottrina sono fermati dalle sue regole, senza trasgredirne i limiti. Questa è la seconda proprietà. Cosi come il mare non soffre un cadavere, ma lo respinge sulla spiaggia, sulla terra, cosi l'Ordine della Dottrina non soffre un monaco, che venga meno ai suoi voti, e lo respinge via da sé. Questa è la terza proprietà. Così come i grandi fiumi, la Ganga, la Yamuna, I 'Aciravati, la Mahi, raggiungendo il mare, perdono il nome e la forma e si fondono in esso: così appunto le quattro caste, i guerrieri, i sacerdoti, i borghesi, i servi, quando rinunziano alla casa per la mendicità, ed entrano nella Dottrina e nell'Ordine del Compiuto, perdono i loro nomi e le loro distinzioni e diventano figli dell'asceta Sakya. Questa è la quarta proprietà. Cosi come tutti | fiumi della terra fluiscono nel mare e le acque dell'aria cadono in esso, senza che il mare aumenti o diminuisca: così appunto molti asceti raggiungono nella Dottrina il Nirvana, senza che questo aumenti o diminuisca. Questa è la quinta proprietà. Cosi come il mare ha un solo sapore, il sapore del sale: così appunto la Dottrina ha un solo sapore, il sapore della redenzione. Questa è la sesta proprietà. Così come il mare contiene molte gemme: cosi appunto la Dottrina contiene molte gemme, quali le quattro contemplazioni, le quattro esercitazioni, le quattro potenze, i cinque poteri, i sette risvegli, il santo ottuplice sentiero. Questa è la settima proprietà. Cosi come il mare è la sede di grandi esseri: cosi appunto la Dottrina è la sede di grandi esseri, quali colui che è entrato nella corrente, colui che raggiunge il frutto della conversione, colui che rinasce solo una volta ancora e il santo che ha raggiunto la santità. Questa è l'ottava proprietà. Queste sono le otto mirabili proprietà, che la Dottrina ha comuni col mare. [tutti i corsivi sono nostri] La bellezza di quest'ultimo passo è coinvolgente, e le stesse affermazioni di M. ci sembrano acquistarne nuova luce, soprattutto se spogliamo la metafora e le conferiamo concretezza umana: ci sembra, anche, che aiuti a discriminare la proposta M.iana da quelle varianti titanisiche e  vitalisiche che pericolosamente le si avvicinano, tradendone lo spirito originario. Verrebbe la tentazione, ad esempio, di assimilare il tuffo di Itti in A Senia ad un più celebre tuffo, quello di Esterina, in Falsetto”, di Montale, poeta di cui certa critica, forse non a torto, si affanna a trovare consonanze col Nostro. Esterina, minacciata dalla «grigiorosea nube» dei suoi vent'anni e dalla «dubbia dimane», pur appare impavida, addirittura sorridente: con «un crollar di spalle» liquida ogni minaccia, del tempo e della vita (abbattendo addirittura i «fortilizi» del destino), e si tuffa nel mare, il suo «divino amico» che l'accoglie come una sirena: Esterina è il simbolo della vita che si realizza, della giovinezza che prorompe e tutto travolge, scrigno di una forza tanto esuberante quanto spontanea e naturale, a cui naturalmente sorridono quella vita e quella felicità tanto agognata da chi appartiene alla «razza/ di chi rimane a terra»5°. Tornando alla felice battuta di Ballested, Montale si sente consapevolmente, e colpevolmente, acclimatato: per lui, l'alternativa alla Rettorica, al «male di vivere», sono la «statua», la 79 Montale, Falsetto, in Ossi di seppia, raccolta contenuta nell'ed. Mondadori Grandi Classici (Milano, 1990) Tutte le poesie (a cura di G. Zampa), pagg. 14-15. 80 «Esterina è creatura che attinge una divina, pagana felicità nell'immedesimazione stessa con la natura, nell'adesione totale e irriflessa alla vita e alla realtà» [Guglielmino]. «nuvola» o il «falco»8', simboli di uno stanco, inappagabile stoicismo, come appare nella sua lirica più famosa”. In Falsetto, invece, si affaccia questa Esterina, alter-ego desiderato e perduto, non attingibile nella sua freschezza, nella sua scorciatoia verso la felicità, attraverso quella «maglia rotta nella rete» dell'esistenza ch'ella ha trovato, ha anzi indovinato, e attraversato con una ingenuità spensierata, vigorosa e disarmante. Ma quanto Esterina è diversa da tti! Rimanendo nella metafora poetica, se ella con una scrollata di spalle si lascia tutto indietro, il mondo e la vita, Itti - novello Atlante - si carica sulle spalle quel mondo e quella vita. Non c'è traccia di spensieratezza in Itti, verrebbe da dire che quasi non c'è traccia di giovinezza, tanto è consumata la sua adesione all'esistenza, tanto è profonda la disperata consapevolezza che lo caratterizza: egli si tuffa (anzi, si rituffa «con più forte lena») nel mare a dare or la patria all' esule sirena, la patria a me stesso e all'uomo abbattuto svelare la via del suo regno perduto,ché ogni uom manifeste le tenebre arcane conosca e vicine le cose lontane. [PP 85] Di una siffatta dolorosa conoscenza («quel che già vidi nel fondo del mare/ i baratri oscuri, le luci lontane e grovigli d'alghe e creature strane»), Itti vuol far dono esclusivo alla sua sirena («Senia, a te sola lo voglio narrare»). La gioia e la naturalezza di Esterina appaiono un miraggio: eppure Itti rassicura: [...]se freddo e ruvido io ti sembri, ma tu lo sai: è per vieppiù andare, è per nutrir più vivida la fiamma, perché un giorno risplenda nella notte, perché possiamo un giorno fiammeggiar liberi e uniti al porto della pace. [PP 86] 81 Facciamo notare che la figura del falco ritorna in M. (ma con tutta un'altra simbologia e significato) e, come osserva giustamente Campailla, sempre più frequente: il critico chiama a testimone una lettera di Carlo a Mreule (quella del 14 aprile 1909) e, ancor più, un esplicito passo della tesi di laurea, dove il Goriziano asserisce che il vir, come appunto il falco e a differenza delle cornacchie, «mantiene in ogni punto l'equilibrio della sua persona». Per Campailla, l'immagine michelstedteriana del falco sta a significare «la libera affermazione della volontà». [cfr. S. Campailla, Pensiero e poesia di Carlo M., Patron, 1973, pagg. 68-69] 82 Alludiamo appunto al Male di vivere [in Ossi di Seppia, cit., pag. 35]. Commentano giustamente Barberi Squarotti - J acomuzzi: «AI male, alla sofferenza senza ragione, cieca, presente sempre nella natura, alla condizione negativa delle cose e dell'esistenza che si rivela nei fenomeni più usuali, non si può opporre, per Montale, che una posizione stoica, di indifferenza, di insensibilità, di rifiuto a lasciarsi coinvolgere nel lamento, nella pena, nella partecipazione sentimentale: essere statua, pietra, roccia di fronte al dolore o nuvola o falco alti nell'aria, del tutto staccati dalla terra e dal suo male». [cfr. Barberi Squarotti - J acomuzzi, La poesia italiana contemporanea, D'Anna, Messina-Firenze, 1963, pag. 257] 83 Cfr. la diapositiva L [Carlo da vecchio] nel supporto iconografico. La senilità è scongiurata: ritorna la gioia e il sogno propri della florida giovinezza, ritorna quella naturalezza, ancor più vigorosa e sublime, perché non ingenuo e impavido punto di partenza, ma coraggioso, consapevole, sofferto punto di approdo. La naturalezza è recuperata, ma come termine di un faticoso lavoro di ricerca esistenziale, che non disdegna di "sporcarsi" col mondo: giunti al «porto della pace», la persuasione proseguirà ultro, e altrettanto spontaneamente le cose si volgeranno al vir®*. Il porto della pace, ch'è la furia stessa del mare, è il frutto dell'esperienza del dolore e della consapevolezza, di una consapevolezza che si conquista attraverso - direbbe l'autore della Bhagavadgita - lo «Yoga dell'azione»: «attraverso l'attività verso la pace», è appunto il motto del Goriziano: la Persuasione conduce al riposo, il riposo di Gesù sulla barca nel mare in tempesta. E proprio ritornando, ad anello, all'episodio evangelico che ha introdotto questo capitolo, vogliamo trarre le provvisorie conclusioni di quest'ulteriore tappa del nostro lavoro, altro tassello di quell'intricato mosaico ch'è M.. Ci avvaloriamo, così, della notazione dell'ottimo Campailla, il quale ci avverte che il riferimento al brano evangelico su riportato si complica di un doppio registro di rimandi, non solo testuali: «l'ideale M.iano del "persuaso" espresso nella conclusione di "Onda per onda" con un'immagine giovannea ("di sé stessa in un punto faccia fiamma") conferma nel lavoro poetico il suo spessore religioso nelle due figure di Itti, il Pesce ( ’IySuc) e Senia (eva): il rinnovato simbolo cristiano del "Salvatore di se stesso" in un'epoca di diffuso quovadismo, e la "Straniera"»®®. Di queste considerazioni, condividiamo tutto: suggeriamo, tuttavia, di non lasciarsi fuorviare dallo «spessore religioso» che il Campailla finisce con l'attribuire al senso delle parole di M.; come lo stesso critico chiarisce altrove, e come si evincerà nel seguito del nostro lavoro, questa non è un'attribuzione o un'illazione ad un'eteronomia che 84 Abbiamo già trovato l'avverbio ultro in una lettera scritta allo Mreule a proposito del "nuovo comportamento" del Paternolli; l'avverbio ritorna altrove, nella sua dizione latina e nella sua traduzione, con una cadenza se non frequente, però significativa: cfr. D 90 «[...] ma la via è nel nulla chiedere giusto per sé e tutto dare ultro [... J»; in un'altra lettera, anch'essa già riportata, M. scrive, riguardo sempre Enrico, che «[...] nessuna cosa della vita, mi sembra, possa trovarti insufficiente, ma che anzi tutta attraverso tutti i perigli debba volgersi a te spontaneamente [... J». Sarà un caso, ma il termine ricorre ossessivamente anche nella Donna del mare ibseniana: Wangel [allo Straniero che è giunto alla loro casa per riscuotere il pegno d'amore di Ellida]: «E allora che vuole? Pensa di portarmela via con la forza? Contro la sua volontà?» Lo Straniero: «No, questo no. Non servirebbe a niente. Se vorrà venire con me, deve farlo spontaneamente». Ellida (trasalendo): «Spontaneamente... » [sl Ellida (fra sé): «Spontaneamente...» [[Ibsen, La donna del Mare, cit. pag. 39 e, per es., anche pag. 40 e oltre] E questa eco accompagna la protagonista, in pratica, fino alla fine del dramma. 85 cfr. S. Campailla: Il terzo regno, cit., pag. 22. 86 Campailla, aggiunge, in una nota istruttiva, che «per la situazione figurativa si pensi ai meravigliosi mosaici della basilica paleocristiana di Aquileia, sicuramente non ignota a M., dove in vaste allegorie Cristo è rappresentato come il mare, e i cristiani come i figli del mare» [ib.]. pregiudicherebbe, anzi pregiudica in toto, la "purezza" dell'atto e dell'essere persuaso, così come lo stiamo portando a definizione. Cristo è esempio di salvezza, ma non è la salvezza: la salvezza è in noi, noi siamo la salvezza a noi stessi. noi, attraverso la lotta, verso la pace, verso il riposo. Riposo che non è un abbandonarsi al «riposo in Dio», come invece affiora, in modo estasiato ed esasperato, in questa pur bella pagina di Edith Stein, che assumiamo ad emblematica - in questo contesto - più come termine di opposizione, che di confronto, con l'assunto del Goriziano, e che riportiamo in larga parte, convinti che, alla luce di quanto detto, una lettura franca e critica del passo possa valere più di qualsiasi commento: Esiste uno stato di riposo in Dio, di totale sospensione di ogni attività della mente, nel quale non si possono più tracciare piani, né prendere decisioni, e nemmeno far nulla, ma in cui, consegnato tutto il proprio avvenire alla volontà divina, ci si abbandona al proprio destino. Questo stato un poco io l'ho provato, in seguito a un'esperienza che, oltrepassando le mie forze, consumò totalmente le mie energie spirituali e mi tolse ogni possibilità di azione. Paragonato all'arresto di attività per mancanza di slancio vitale, il riposo in Dio è qualcosa di completamente nuovo e irriducibile. Prima, era il silenzio della morte. Al suo posto subentra un senso di intima sicurezza, di liberazione da tutto ciò che è preoccupazione, obbligo, responsabilità riguardo all'agire. E mentre mi abbandono a questo sentimento, a poco a poco una vita nuova comincia a colmarmi e - senza alcuna tensione della mia volontà - a spingermi verso nuove realizzazioni. Questo afflusso vitale sembra sgorgare da un'attività e da una forza che non è la mia e che, senza fare alla mia alcuna violenza, diventa attiva in me. Il solo presupposto necessario a una tale rinascita spirituale sembra essere quella capacità passiva di accoglienza che si trova al fondo della struttura della persona [tutti i corsivi sono nostri”. 87 Come ci scrive Fr. Egidio Ridolfo s.j. (curatore della rivista Il Gesù Nuovo di Napoli), con cui siamo entrati in contatto e che ci ha fatto conoscere ilbrano di cui sopra, esso «fa parte del saggio Causalità psichica, che è stato pubblicato negli Annali di Edmund Husserl nel 1922, ma che è anteriore alla conversione [della Stein]. Non abbiamo questo testo, quindi non posso specificare la citazione delle pagine». 4. La Persuasione more geometrico demonstrata. 4a) La felicità difficile. 4b) La differente prospettiva: la premessa maggiore del sillogisma M.iano. 4c) L'uomo bandito da Dio e il filo d'Arianna della Persuasione come Armonia: la lezione di Empedocle. 4d) La Persuasione "al bivio": l'incontro di Parmenide e Cristo. 4a) La felicità difficile. "La morte non mi avrà vivo", diceva. E rideva, lo scemo del paese, battendosi i pugni in viso. Giorgio Caproni Nell'approccio che abbiamo tentato finora, la Persuasione ci si è rivelata in tutta la sua portata reale: non tanto come una dottrina, un ammaestramento, quanto piuttosto come un'esistenza, una testimonianza, che si conquista strenuamente il suo diritto di parola e di realizzazione nel mondo degli uomini: persuasi lo si è soltanto nel concreto esercizio della Persuasione, esercizio che ci costituisce a sua volta come persuasi, in una tautologia non del pensiero, ma della vita, e dunque non vana o eristica, ma veritiera e concreta. La «consistenza» dell'essere persuasi, dunque, la sua "autarchia", si è dispiegata come forte esigenza di autonomia, che non è ripiegamento autosufficiente, non è esplosione (vitalistica, più che vitale) di forze "anarchiche", violente - ovvero, spinte al dominio - e sedicenti superiori, ovvero volte alla conquista di un non meglio precisato oltre dell'uomo (chi si dichiara al di sopra degli uomini spesso vi si ritrova al di sotto...). La consistenza, dunque, anche e soprattutto come coesistenza, come rivela l'etimologia identica dei due termini. E il suo dispiegarsi (abbiamo accennato) dà gioia, una gioia difficile da comprendersi secondo i comuni parametri del buon senso, che confonde la felicità con l'appagamento del bisogno, la realizzazione con la conquista di una dignitosa posizione sociale. Anche Kant provò a destreggiarsi con questo concetto difficile di felicità (o concetto di felicità difficile), nel tentativo di espungerne ogni pericolosa concessione all'istanza eteronoma, ogni elemento spurio che ne contraddicesse o pregiudicasse l'autenticità. Questo riferimento all'autore delle Critiche non è un rilievo marginale, ma si incastona perfettamente - diremmo in modo conseguente - nel nostro tentativo di un'esatta definizione del concetto felicità e di autonomia, all'interno dell'ottica persuasa. Infatti, forse senza neanche che l'autore se ne rendesse ben conto fino in fondo8*, quel concetto rappresenta - a nostro giudizio - il movente segreto e il perno intorno al quale 88 In effetti, Kant sembra affrontare malvolentieri, almeno nella suddetta critica (ma questa è evidentemente solo una nostra impressione), un discorso sulla felicità, condizione ch'egli ritiene sempre in certo modo "sospetta" di eteronomia e che, di conseguenza, "subordina", se possiamo dir così, al dovere, al rispetto, in una parola alla virtù (troviamo significativo, altresì, che Kant consegni tale discorso praticamente soltanto alle pagine che aprono il capitolo Il Della ruota tutta la sua Critica della Ragion Pratica. Il filosofo tedesco parla, più precisamente, di «contentezza di sé» [Selbstzufriedenheit], la quale «nel suo significato proprio, denota sempre soltanto un compiacimento negativo della propria esistenza, per cui si è coscienti di non aver bisogno di nulla»®®. Questa contentezza di sé è il "brivido" dell'intelletto di fronte al mistero della libertà; prosegue, infatti, Kant: «a libertà, e la coscienza di essa come di una capacità di seguire con intenzione preponderante la legge morale, è indipendenza dalle inclinazioni, per lo meno in quanto motivi determinanti (anche se non in quanto influenti) del nostro appetito; e, avendone io coscienza nell'osservare le mie massime morali, essa è l'unica fonte di una contentezza immutabile, ad essa necessariamente connessa, la quale non riposa su alcun sentimento particolare. Tale contentezza si può chiamare intellettuale ». Poco più avanti, la prospettiva kantiana si fa scoperta e definitiva: «...] un compiacimento negativo per il proprio stato [...]è contentezza della propria persona. In questa guisa (e cioè indirettamente) la libertà stessa diviene capace di un godimento che non si può chiamare felicità, perché non dipende dalla positiva presenza di un sentimento e neppure, parlando esattamente, beatitudine Beligkeit], perché non implica una indipendenza completa da inclinazioni e bisogni; ma che, tuttavia, è simile a quest'ultima, in quanto, cioè, per lo meno la determinazione della propria volontà può mantenersi libera dal loro influsso, e quindi, almeno per la sua origine, è analoga all'autosufficienza che si può attribuire soltanto all'Essere supremo». La vera felicità, dunque, sembra essere appannaggio esclusivo di Dio, o comunque di una volontà santa: quella, per intenderci, in cui si realizza la «perfetta adeguatezza [vollige Angemessenheit] dell'intenzione alla legge morale». Nell'individuo santo, questa perfetta adeguatezza avviene per una sorta di «nclinazione spontanea» (e si ricordi il valore che abbiamo accordato al concetto di spontaneità in M.) alla «totale purezza delle intenzioni del volere»; di contro, «il gradino morale su cui si trova l'uomo» è quello di una virtù ch'è piuttosto (bellissima espressione) «un'intenzione morale in lotta» [moralische Gesinnung im Kampfe]. Appare ovvio, dunque, che, per definizione, la santità è una condizione irrealizzabile nell'uomo: essa si profila piuttosto come concetto-limite, o idea regolativa, e comunque esula dal mondo fenomenico, dal mondo «dei costumi». dialettica della ragion pura nella determinazione del concetto di sommo bene, dedicate in particolare alla posizione ed alla risoluzione dell'antinomia della ragione pratica, vertente sul sommo bene). Se, infatti, la virtù è «il meritar di essere felici», tuttavia essa virtù «come condizione, è sempre il bene supremo, non avendo altre condizioni al di sopra di sé», mentre«la felicità è sempre qualcosa che, a chi lo possiede, riesce gradito, però non è buono per sé solo assolutamente e sotto tutti i rispetti, ma presuppone sempre, come condizione [una condizione che Kant si ostina a sottolineare in modo continuo e vigoroso in tutto il corso della trattazione], il comportamento morale conforme alla legge». Poco più avanti, si spinge a dire, nella foga polemica contro l'eudemonia classica (nelle forme dell'edonismo o dell'atarassia, soprattutto), che quelli di virtù e felicità sono due concetti «radicalmente eterogenei». E' ovvio che bisognerebbe, a questo punto, procedere con metodo analitico, e individuare e correggere tutte le ambigue oscillazioni di senso che, nel discorso kantiano, assume il termine felicità [Gluckseligkeit]. Per le presenti citazioni, e per le altre contenute nel corpo del paragrafo, in riferimento a Kant e non "annotate", rimandiamo a Kant, Critica della ragione pratica, (a cura di V. Mathieu), Rusconi, 1993, pagg. 228-245, passim, ovvero - dell'opera - il corrispondente a Parte |, Libro Il, Capitolo Il, Pargg. ill: Della dialettica della ragion pura nella determinazione del concetto di sommo bene).E' lo stesso destino di esilio cui sembra condannata la Persuasione, che ci si mostra anch'essa come una condizione innanzitutto inafferrabile, quindi irrealizzabile, per l'uomo. E quella stessa gioia, tratto distintivo della condizione non-rettorica, appare sempre più come una chimera azzardata, come un complicato esercizio della ragione, nella sua aspirazione di libertà. Non può non colpire, di fatto (ed è questa la più ferrata, nonché la più scontata smentita), come la Persuasione sia sempre destinata allo scacco, quasi fosse perseguitata dalla malasorte. La schiera di Persuasi, che M. elegge; questa schiera di individui «eroico-cosmici» (per dirla con Hegel), questa genealogia della Persuasione (per dirla con la Bibbia), questa «ghirlanda di reincarnazioni», quasi, in cui si realizza BA Persuasione (per dirla infine con Arya Sura, l'autore degli vataka), sembra portare con sé, insita nei propri atti, il segno di una colpa che la condanna ad una sconfitta (la sua voce non viene accolta o compresa), o peggio a una pulsione di morte, per giunta autoinferta, col sacrificio o col suicidio. Questi individui hanno in sé il demone, eppure sembrano lontani dalla felicità: il loro sembra non essere un "demone propizio". Socrate accettò il verdetto di morte, in coerenza col suo dettato; Cristo accettò la Croce, nel suo sacrificio di redenzione; Enrico Mreule non riuscirà a sopportare l'enorme ingiunzione morale che gli assegnò l'amico, e la sua vita si risolse infine in un fallimento”; M. stesso si uccise... Del resto, «gli uomini si stancano su questa via [la via che conduce alla Persuasione], si sentono mancare nella solitudine: la voce del dolore è troppo forte » [PR 53]. La piena attualità della propria autentica natura, che abbiamo designato come entelechia etica, a conti fatti o conduce all'annichilimento, oppure è esposta al forfait. è in gioco la "sostenibilità" della Persuasione. Possibile che gli uomini si stanchino della vera felicità e si accontentino della falsa felicità che la Rettorica propina loro, come falsa sicurezza e falso appagamento? 90 Si tenga presente l'etimologia di felicità, nell'accezione greca di "eudemonia", ovvero - appunto - "eu" (bene) e "dàimon - onos" ("demone, sorte"), ovvero "che ha un demone propizio", quindi "felice, fortunato". Per la questione del dèmone, nella fattispecie in Socrate ed in Enrico Mreule, si ricordi quanto detto supra. 91 Claudio Magris, intervistato sul Corriere del Ticino, riguardo la stesura e il significato del suo romanzo Un altro mare, così riassume - in modo davvero efficace - la dialettica Carlo-Enrico sulla via della persuasione: Intervistatore: «La personalità di M. "bruciata" dal suicidio rappresenta in un certo qual modo il fallimento esistenziale di Enrico?», Magris: «Il suicidio di M. è un problema fondamentale. Certo, sul suicidio in sé non si può dire nulla mai, perché, per capire veramente cosa è successo nel cuore e nella mente di uno che si uccide, bisognerebbe averlo accompagnato fino al passo estremo. Si può dire che i due amici, senza volerlo, si giocano uno scherzo terribile. Da una parte Carlo mostra a Enrico un assoluto, senza il quale Enrico non potrà vivere ma che non riuscirà a raggiungere. Così, in un certo modo, Carlo arricchisce ma anche distrugge la vita di Enrico. Inoltre, forse, il suicidio di Carlo lo lascia solo, toglie a Enrico il sole della sua esistenza. Dall'altra parte, Carlo forse aveva capito che la persuasione che egli insegue, ossia il possesso vero e presente della vita, non può essere teorizzata o predicata (come non si può teorizzare la felicità), ma può essere solo vissuta, e per questo aveva visto in qualche modo in Enrico il suo vero erede, una specie di san Giovanni, colui che doveva realizzare nella vita la persuasione. Ed Enrico, col suo struggente fallimento, dà un colpo mortale a tutto questo». [Sul Corriere del Ticino del 5 maggio 1998, pag. 49]. Questa impossibilità della persuasione è da noi fortemente contestata. Kant aveva escluso la realizzazione di una volontà santa tra gli uomini: M., di contro, individua i protagonisti di questa volontà santa, che da "statica", noumenica, diviene storica e politica: Socrate, Cristo e via dicendo sono la realizzazione terrena di quella volontà, di quella Persuasione; essi rappresentano l'eccezione che smentisce la regola: quel postulato che, appunto, sancirebbe il carattere esclusivamente divino della santità. Eppure, la Persuasione, quand'anche realizzata, sembra tingersi di toni lugubri, di una gioia "masochista", di una condotta schizofrenica che la divide tra una gioia che è dolore e un dolore che è gioia: scrive M., in un noto passo del Dialogo della salute che «finché la morte togliendoci da questo gioco crudele, non so cosa ci tolga - se nulla abbiamo. - Per noi la morte è come un ladro che spogli un uomo ignudo-» [D 39]. Eppure, sotto lo sguardo della Rettorica, il vir sembra davvero passare come do scemo del paese» del frammento di Caproni: lo scemo che - ridendo e «battendosi i pugni in viso» - gridava: «a morte non mi avrà vivo». 4b) La differente prospettiva: la premessa maggiore. I... J foschia d'oro, l'occidente illumina la finestra. L'assiduo manoscritto aspetta già carico di infinito. Qualcuno costruisce Dio nella penombra. Un uomo genera Dio. E'un ebreo dai tristi occhi e dalla pelle citrina; lo porta il tempo come porta il fiume una foglia nell'acqua che declina. Non importa. Il mago insiste e scolpisce Dio con geometria delicata; dalla sua malattia dal suo nulla, continua ad erigere Dio con la parola. Il più prodigo amore gli fu concesso, l'amore che non aspetta di essere amato. [Borges, B.Spinoza Dalla raccolta La moneta de Hierro, 1976.) Eppure, a dispetto della sua complessità, M. sembra liquidare il discorso sul concetto di Persuasione in quel breve capitolo, fatto davvero di pochissime pagine”, che inaugura, dopo la prefazione, il suo lavoro e che si intitola, appunto, in modo perentorio La persuasione. Una sorta di epitome, dove ogni parola - in uno sforzo di sintesi che rasenta l'esoterico - assume un peso ed una portata grandiosi. Tutto ciò che segue - l'affastellarsi di analisi "scientifiche", "ontologiche" o personali sulla Rettorica, l'annoverare gli equivoci ed i pericoli di una falsa Persuasione [«Persuasione Inadeguata »], la critica al sistema in se stesso come «comunella di malvagi» sempre e comunque... - sembra essere, di quel denso capitolo, uno scolio complesso. E' un procedimento, e una capacità di (ardua) sintesi, che - forse, non a caso - possiamo riscontrare in un altro ebreo eretico, che si cimentò in una "geometria" dell'etica: Spinoza. 92 Nella citata edizione maior adelphiana della tesi sono quattro: da pag. 7 a pag. 10, incluse. Avvisiamo che sono queste le pagine da cui traiamo i "virgolettati" relativi alle espressioni autoctone di M.. Ci dispensiamo, così, dal riferirli ogni volta. L'autore dell'Ethica esordisce, parlando di Dio: «Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l'esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non come esistente»°°. Dio non ha bisogno di null'altro, che non di sé stesso, per esistere: a suo modo, questa è un'ammissione - permettendoci di renderla con termini M.iani - di una condizione persuasa di Dio. E M., nella sua definizione di persuasione (la "premessa maggiore" ch'egli ci fornisce) - definizione che spicca, sottolineata dalla citazione petrarchesca - sembra rispondere con una eco: «Colui che è per sé stesso (pever) non ha bisogno d'altra cosa che sia per lui (evo vtov) nel futuro, ma possiede tutto in sé». Dunque, il vira suo modo è egli stesso causa suit Nel presupposto, entrambi i pensatori, come dire, si muovono nell'ambito dell'ortodossia: negli esiti, cadono entrambi in una comune eresia fondamentalmente antiebraica: per Spinoza, si tratterà di sconfessarne la Trascendenza: la causalità di Dio si dispiegherà in causalità immanente al mondo, realizzandosi in quel noto "panteismo" che il pensatore di Amsterdam svolgerà con grande rigore (anche "geometrico") e consapevolezza durante tutta la sua vita; per M. si tratterà di sconfessarne non solo la trascendenza (l'uomo, come persuaso, è il dio), ma soprattutto il monoteismo: sosterrà quello che potremmo chiamare un "politeismo della Persuasione", essendo ogni vir dio a se stesso, causa sui, singola (e singolare) natura naturata della Persuasione. Il confronto tra i due pensatori potrebbe trovare sbocchi inauditi (ci siamo limitati alle frasi iniziali delle loro opere); tuttavia ci troviamo costretti a troncare di netto una simile tangenziale al nostro discorso, innanzitutto perché potrebbe essere (data la vastità del raffronto) argomento di un'altra tesi, e poi per non compromettere la fluidità del nostro ragionamento. Che verte, ricordiamolo, sul concetto di Persuasione, così come affrontato da M. nel breve, fondamentale capitolo cui abbiamo accennato. Il concetto di Persuasione: ben detto. Mai come qui, infatti, l'uso del termine "concetto" non si presenta inadeguato. | viri sono scomparsi dall'orizzonte, nella loro pluralità: la Persuasione perde la sua composizione politica, si staglia come un' "entità" perfetta, come la perfettissima sfera di Parmenide, come una monade che abbia chiuso porte e finestre, come l'aleph del noto racconto di Borges. Il Persuaso si disincarna: diviene simbolo senza antropologia o antropomorfismo, segno di una condizione che accomuna l'uomo ad ogni altro essere del mondo sublunare: non a caso, quasi un terzo dell'intero capitolo è occupato da un esempio tratto dall'osservazione fisica: il peso, ch'è tale perché la forza di gravità lo spinge verso una ricerca inappagata 93cf, Spinoza, Etica (a cura di E. Giancotti), Editori Riuniti, 1993, pag. 87. 9% Ci si permetta un rilievo passeggero: questo "bastare a sé stesso" è una connotazione che, in modo singolare, attraversa - come presupposto di estrema qualificazione - gli esiti più alti della speculazione filosofica e religiosa umana di tutti i tempi e di tutti i popoli: il dio degli Ebrei, il Buddha, il dio di Aristotele, il dio di Tommaso, la monade di Leibniz, il dio di Spinoza, la volontà santa di Kante via dicendo sono tutte "entità" che "bastano a se stesse". del suo "luogo naturale" («la fame del più basso»), la cui vita corrisponde proprio in quella discesa, perché - una volta raggiunto il punto della sua soddisfazione - in quel punto la sua vita «cesserebbe d'esser vita», perché « in quel punto esso non sarebbe più quello che è: un peso». Dunque: «Il peso non può mai esser persuaso»®9. La Rettorica si rivela quale condizione condivisa da ogni ente terreno, costretto dalla forza di gravità che lo lega necessariamente alla terra; di contro, la Persuasione non è una aspirazione o prerogativa esclusivamente umana: anche il peso vuol conquistarla. La forza di gravità si delinea come la più patente espressione fisica della Rettorica, e ci testimonia come la Rettorica stessa non sia soltanto una "costruzione" umana, ma al contrario appartenga alla matrice bio-fisica o bio-fisiologica, prima che ontologica, dell'intero universo. Nel capitolo che stiamo esaminando, dunque, si può avvertire quel cambio di prospettiva che annunciammo nell'esordio della nostra analisi: a differenza che nelle lettere e nelle poesie, dove si respira il pullulare della vita persuasa, nel lavoro accademico il Goriziano è più attento a quella che potremmo definire (con qualche concessione agli heideggeriani) un' "ermeneutica esistenziale della Persuasione". O, più esattamente, si propone di ricavare quell'apriori della Persuasione, che ne fondi /a possibilità e i limiti di realizzazione nel mondo fenomenico. E' una prospettiva più povera dal punto di vista esistenziale, rispetto a quella delle lettere e delle poesie, perché più astratta, e dunque più aliena dai nostri interessi, e da quelli dello stesso M., evidentemente. Eppure, una prospettiva più imponente dal punto di vista speculativo, che s'impone nella sua necessità di analisi, se è vero che ogni Weltanschauung, come visione o "intuizione" del mondo, presuppone di necessità un fondamento ontologico, un'immagine concettuale, in cui si rapprenda visivamente il senso di quel mondo. Sotto questo rispetto, M. appartiene ancora al declino di quella "storia dell'essere" denunciato dal filosofo di Baden. In M., nella sua tesi, l'Essere si pone come Persuasione, ed è a partire da questa posizione che si sviluppa, nel corso del suo studio, l'analitica esistenziale, ovvero la diagnostica e la prognostica, apparentemente aliena qui da ogni considerazione 95 Ma cfr. anche la nostra integrazione sul "peso che dipende" e la diapositiva G ĮI peso al gancio] nel supporto iconografico. % Questo stralcio heideggeriano può sancire ed illuminare il senso di questi nostri ultimi passaggi: «La comprensione dell'essere, definita così, in pochi tratti, si mantiene sul piano senza scosse e senza pericoli della più pura evidenza. E tuttavia, se la comprensione dell'essere non avesse luogo, l'uomo non sarebbe mai in grado di essere l'ente che è, anche qualora fosse dotato delle più straordinarie facoltà. L'uomo è un ente che si trova in mezzo all'ente, e vi si trova in modo tale, per cui l'ente che egli non è e l'ente che egli stesso è gli sono sempre già manifestati. A questo modo d'essere dell'uomo diamo il nome di esistenza. L'esistenza è possibile solo sul fondamento della comprensione dell'essere. Nel rapportarsi all'ente che egli non è, l'uomo si trova già davanti l'ente come ciò che lo sostiene, ciò cui si trova assegnato, ciò che, con tutta la sua cultura e la sua tecnica, egli non potrà mai, in fondo, signoreggiare. Assegnato all'ente diverso da lui, l'uomo non è in fondo, padrone nemmeno dell'ente che egli stesso è» [M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, introduzione di V. Verra, Laterza, Bar-Roma, 1989, pagg. 195-196]. morale, della società umana, nei suoi singoli e nel suo complesso, come condizione depotenziata di quello stato edenico annunciato come proprio di «colui che è per sé stesso». Così, dell'energia autentica del vir, in queste pagine, sopravvive solo un opaco barlume, nel tentativo di concettualizzazione, nel titanico sforzo del pensiero, che si districa nel novero di citazioni di cui il breve capitolo in esame è infarcito: citazioni che - almeno nell'intenzione - non appesantiscono, ma che si dispongono quali ausiliari "puntelli di persuasione", nello sforzo di delucidare il senso del peve”. Essi tracciano un confine intorno alla Persuasione stessa: ci muoviamo in un mondo i cui due poli sono rappresentati, rispettivamente, dalla grecità (dalla Grecia di Empedocle e di Platone, e chi fra essi) e la dimensione biblica (l'Ecclesiaste, S. Luca, S. Matteo): è dalla sinergia di questi due poli che, evidentemente, si forgerà e si dovrà evincere il concetto di Persuasione. 4c) L'uomo bandito da Dio e il filo d'Arianna della Persuasione come Armonia: la lezione di Empedocle. Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa. Empedocle, fr. 31 B 115, 13-1498 Ahimé, o infelice stirpe dei mortali, o sventurata, da quali contese e gemiti nasceste. Empedocle, fr. B 124 Piansi e mi lamentai, vedendo un luogo a cui non ero abituato. Empedocle, fr. B 118 Un'epigrafe informa e precisa il senso e la direzione di tutta un'opera, riassume e anticipa il pensiero dell'autore, dà limprimatur. La Persuasione e la Rettorica si apre®° con una citazione di Empedocle, una citazione da rivalutare, anche in riferimento alla sua amenità: M. chiama subito in causa un personaggio la cui vita e il cui pensiero sono avvolti da un'aura rarefatta di leggenda, un filosofo che si muove in una dimensione di inappartenenza a categorie ben definite (addirittura, più che gli stessi altri presocratici), in un'apparente contraddizione tra il fisico e lo scienziato e il medico, e il sacerdote e il poeta 97 Campailla fa notare che «M. ricorre al greco per sviluppare la contrapposizione tra la forma transitiva di pever (aspettare qualcuno o qualcosa) e quella intransitiva (stare, permanere, consistere)» [nota 7 alla Persuasione, PR 309] 98 La presente citazione, e le altre che seguono nel paragrafo e nel prosieguo della nostra tesi, relative ad Empedocle ed agli altri presocratici, sono adottate secondo la traduzione presente in | Presocratici. Testimonianze e frammenti (a cura di G. Giannantoni), 2 voll., ed. Laterza (4a), 1990. 99 La famosa Prefazione, presente nelle stesura A della tesi (ovvero, quella primitiva, completamente autografa), risulta poi omessa in quella che Campailla chiama redazione C, quella destinata alla lettura del relatore e della commissione dei professori, e che, dunque, «rappresenterebbe la volontà ultima dell'autore». [cfr. nota introduttiva alla Persuasione, PR 304; in particolare, si rimanda proprio alle pagg. 303-304 per un opportuno approfondimento della questione], e il profeta taumaturgo e il dio. Evidentemente, il filosofo goriziano, con questa personalità ibrida, ravvisa una certa affinità di atmosfere e di metodologia non proprio ortodosse. Dunque, inoltriamoci nel sottobosco empedocleo che si dirama in queste e altre pagine del nostro autore. Innanzitutto, una premessa scontata, ma opportuna: M. anche con Empedocle, come con tutti gli autori ch'egli utilizza per supportare le proprie analisi, affila le armi di una propria, personalissima filologia, di un'interpretazione che "pecca" di estrema originalità °: ci troviamo al di fuori di una certa canonica, e sbrigativa, storiografia filosofica (inaugurata da Aristotele, che definì Empedocle, tra gli altri, un «naturalista inesperto »'°'), storiografia che comodamente classifica l'agrigentino in posizione intermedia e mediatrice tra l'essere parmenideo e il divenire eracliteo (al contrario, come sappiamo, M. assegna a pari merito, sia ad Empedocle che a Parmenide ed Eraclito, la conquista della "palma" della Persuasione). Ma analizziamo il frammento empedocleo: L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole infaticabile!92, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. | versi sono attestati da Plutarco!, Il quale commenta: «Empedocle dice che le anime pagano la pena dei loro errori e dei loro peccati [segue il frammento], finché così punite e purificate non raggiungono nuovamente il loro posto e il loro ordine naturale»..'°4 Ci preme innanzitutto far notare (quand'anche fosse solo una nostra impressione: la critica non ne fa parola) la sfumatura che avvertiamo nella scelta fatta da M. di questo frammento: nella "diaspora" delle anime, che espiano una terribile hybris alla ricerca inesausta del «loro posto e del loro ordine naturale», ci sembra adombrarsi quell'ulissismo giudaico (che possiamo integrare a proposito delle nostre analisi sul mare), ci sembra affiorare quell'inquietudine ancestrale di colpa-espiazione, che appartiene alla 100 Emanuele Severino, ad es., che allo studio di Parmenide ha dedicato tutta la sua vita, bolla l'interpretazione michelstedteriana del filosofo eleate come un "colossale equivoco EQUIVOCO GRICE": ma ravvisa proprio in quell'equivoco uno dei picchi di feconda originalità del Nostro. Ci trova d'accordo. 101 Cfr. la già cit. Prefazione. Per il giudizio di Aristotele, cfr. Fisica, 191a - 25: «[...] quelli che primamente filosofarono, indagando sulla verità e sulla natura degli enti, furono tratti, per così dire, verso una via sbagliata, spinti dalla loro inesperienza» [tad. A. Russo, in Aristotele, Fisica, 3° vol. delle Opere, a cura di G. Giannantoni, Laterza, 2001 (VI ed.), pag. 21]. 102 Sono i vv. 9-12 del frammento B 115 [i versi della nostra epigrafe sono immediatamente successivi]. Come nota anche il Campailla, nell'edizione del Diels si legge waedovtoc (splendente), anziché axauavtoc (infaticabile). Abbiamo utilizzato la traduzione contenuta in | P resocratici, cit., pag. 411 [cfr. la nostra nota 9], sostituendo però opportunamente i due termini, 103 De Iside, 361 c matrice profondamente ebraica di M., per quanto egli stesso cercasse con forza di separarsene'. Il popolo ebreo, nella sua tormentata storia, questo condivide con le anime di Empedocle: «ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano». Ma ovviamente, questa condizione di esilio eterno, così specifico per l' "ebreo errante", si amplifica subito a cifra dell'intera condizione umana: lo nota a suo tempo già Plutarco, il quale in un'altra sua opera afferma: «Empedocle [...] mostra che non soltanto egli stesso ma tutti noi siamo qui come emigrati, stranieri ed esuli... Va in esilio [scil. l'anima] ed è errabonda spinta dal volere e dalle leggi degli dei».'°9 Eppure, queste anime espiano un delitto di cui non hanno in fondo colpa, essendo vittime addirittura innocenti di un polemos che le trascende: quello, universale e perenne, tra l'Amicizia [Phila] e la Contesa [Neikos], le due forze divine che, a questo punto, data la curvatura della nostra interpretazione, ci arrischiamo d'assimilare alla Persuasione e alla Rettorica, così come delineate - nella loro impersonalità e quasi-trascendenza - nella tesi 104 contenuto in | Presocratici, cit., pag. 440 105 In più passi di lettere, M. mostra insofferenza nei confronti della coeva gioventù ebraica, che pullulava a Gorizia (città da tempo immemorabile, data la sua vocazione commerciale, sede di una nutrita comunità ebrea [ma, per ciò, cfr., tra gli altri, A. Arbo, Carlo M., ed. EST, pagg. 4-5 e oltre): anzi, i coetanei ebrei diventano bersaglio di feroce ironia, quella medesima ironia che il giovane filosofo ostenta nei confronti dello stesso apparato religioso ebraico, soprattutto nelle sue forme più esteriori, retrive e "teopompe". Si prenda ad es. la lettera del 29 febbraio 1908 alla famiglia: «Molto piacere mi fece il furto delle corone - era un principio di dissolvimento quale si doveva alla memoria di zio Samuel [probabilmente, Samuele Luzzato]. Rabbia mi fa la reazione degli altri che fanno subito la sottoscrizione - porci - neocattolici! - faranno di nuovo Hanukà [la "festa dei Tabernacoli", nella religione ebraica, appunto] per purificar i tempio? E se la prendono con te questi imbecilli perché non dai il sacro obolo; ma che cosa pretendono? -». [E 295; le esplicazioni in parentesi quadre, riportate all'interno del brano, anche del seguente, appartengono al Campailla, leggermente ritoccate da noi] AI contrario, il Goriziano si mostra interessato al misticismo cabalistico (si legga con attenzione il passo che riportiamo, dato che, tra i tanti importantissimi rilievi, in esso si scorgerà anche l'embrione della filogenesi speculativa del Nostro): «A proposito di misticismo ho in mente una cosa graziosa. Tu sai [M. si sta rivolgendo a "Gaetanino" Chiavacci] che la ragione dell'antisemitismo filosofico (Schopenhauer e Nietzsche) è il razionalismo della religione ebraica (pensa al Pentateuco e a Spinoza!!!) e la mancanza dell'elemento mistico nelle menti ebraiche (Nietzsche dice ‘elemento dionisiaco'; quello che è distrutto da Socrate; osserva le parallele: da Socrate attraverso Platone al misticismo neo-platonico - da l'ebraismo a Cristo). - Ora io sono convinto [...] che l'appunto è giusto [...]; tanto più mi meraviglia l'esistenza di un'intera letteratura cabbalistica [sic, anche oltre], e una diadoché di taumaturghi che finisce [...] col mio bisnonno, il rabbino Reggio, detto il Santo [è Isacco Samuele Reggio, uno dei fondatori del Collegio Rabbinico Italiano; nota di Campailla]. lo voglio sapere qualcosa di più preciso su quella letteratura cabbalistica, specialmente sulle sue origini, poi voglio farmi consegnare dall'archivio i resoconti protocollati di tutte le sedute in cui quel mio bisnonno compì atti solenni di purificazione con mezzi cabbalistici [... ]; peccato siano scritti in ebraico, ci dovrò faticare per capirli bene [... |» [lettera al Chiavacci, del 22 dicembre 1907, E 267-268; le parentesi tonde e i corsivi all'interno del brano sono di M.]. Notiamo, en passant, che Michelstedter (parafrasando Canetti) dell'ebraismo non ha "salvato" la lingua («... peccato siano scritti in ebraico...»); che l'accusa di "razionalismo" ch'egli rivolge al Pentateuco e a Spinoza noi l'abbiam fatta ricadere anche su lui medesimo; e infine il significativo accenno all' «elemento dionisiaco» nicciano, su cui avremo modo di tornare largamente nelle integrazioni sulle varianti deboli della Persuasione. Per tutto questo, ci rammarica aver relegato in una nota un aspetto così importante e complesso della formazione M.iana, spinti da una certa selezione argomentativa (se si volessero approfondire tutti gli aspetti di quella formazione si stilerebbe una tesi mastodontica). Un'ultima cosa: per la cronaca, la famiglia di Carlo apparteneva al ceppo occidentale prevalente nella comunità goriziana, quello ashkenazita [cfr. A. Arbo, Carlo M., cit. pag. 5]. 106 Plutarch. de exil. 17 pag. 607, come recita l'edizione | P resocratici, cit., pag. 410, in cui è contenuto il riferimento. accademica del Goriziano [cfr. supra]. E, sotto questo rispetto, le analogie sono davvero sorprendenti ed istruttive. Vediamole. | due princìpi empedoclei si contendono il mondo, in una lotta infinita che si realizza in una successione alterna di fasi diverse, col ritorno periodico di ciascuna: quando predomina la Philìa, tutte le cose (anzi, le loro radici: il fuoco, la terra, l'aria e l'acqua; in se stesse immutabili, l'una inconfondibile con l'altra, irriducibile all'altra) sono ricondotte all'unità, allo Sfero, l'universo omogeneo, il dio [cfr. fr. B 31]: «d'ogni parte» uguale a se stesso. [fr. B 29; da notare l'affinità di linguaggio col Goriziano] [... ]nei compatti recessi di Armonia sta saldo lo Sfero circolare, che gode della solitudine che tutto l'avvolge. [fr. B 27] Quando invece predomina l'Odio, si ha la disgregazione assoluta, la disarmonia e il conflitto, il «vortice». «Nell'Odio [tutte le cose, le loro radici] sono tutte diverse di forma e separate» [B 21, v.7]: all'inizio del prevalere della Contesa sull'Armonia, «alla terra spuntarono molte tempie senza collo, e prive di braccia erravano braccia nude, e occhi solitari vagavano senza fronte». Questa "anarchia" delle membra, che suscitò parecchie ilarità anche tra i contemporanei di Empedocle, vien quasi riprodotta da M., in forma aneddotica, nel bizzarro dialogo tra l'io e il piede [PR 160-163]. Ma altre simili situazioni si riscontrano in pagine, altrettanto importanti, del lavoro accademico [almeno PR 16] e del Dialogo della salute. In particolare in quest'ultimo: Rico: Ora la bocca non lavora più per il corpo ma lavora per sé, l'occhio non considera più le cose vicine e distanti a difesa del corpo ma si dà alla pazza gioia per il proprio gusto, così l'orecchio, così il tatto, le membra a lor volta rifiutano la fatica, e ognuna per quanto sa e può ricerca e moltiplica quelle cose che le facevano piacere prima nel servizio del corpo - ora che hanno fatto sciopero - e ognuna le ricerca per sé. - [D 49]. Nella situazione contemporanea, caratterizzata dal predominio assoluto della Rettorica/Contesa, «la mala cupidine della vita [...] ha fatto perdere ogni consistenza» a quel «nucleo di disposizioni organizzate» ch'è il nostro corpo: «il corpo se consiste per la coesione delle molecole, perduta la solidità si versa liquido sulla superficie del suolo e fitra in ogni fessura [...]. Noi diciamo del gaudente che è un uomo senza solidità; i nostri padri dicevano che liquescit voluptate » [D 50-51; corsivi di M.]. In questa condizione, «la fame insaziata perdura pur sempre: e la sua legge è il godimento: e ancora le singole parti si disgregano nei loro elementi chimici più piccoli più piccoli [sic]: che ognuno vuol vivere per sé. L'individualità si dissolve infinitamente: e infinitamente fugge il piacere. -» [ib.]. «Ma avviene uno strano fatto: quella dolcezza che c'era prima non c'è più poiché apparteneva al corpo e alla sua continuazione: ognuna delle parti prova delle amare delusioni che minacciano di guastarle la festa » [ib.]; e «chi ha perduto il sapore delle cose è malato » [D 46]. Eppure, in questa confusione disordinata, il «dio pudico» del piacere assicura una certa consistenza: Rico: lo credo che egli [il dio] abbia a mano ogni disposizione del corpo e tutta la varietà delle cose. E benevolo al corpo, egli metta nelle cose che gli sono utili una luce, e la faccia brillare fin quando la cosa è utile - e poi la spenga così che la cosa resti oscura all'animale che ne è sazio. [D 42-43] Questo «dio sapiente spegne la luce quando l'abuso toglierebbe l'uso», assicura una sorta di omeostasi all'organismo, ne scongiura la dispersione, lo fa continuare a vivere come individualità: da questo principio di equilibrio (accenno di Armonia), che ci assicura una consistenza per quanto falsa ed illusoria, si spiega il filo d'Arianna che può condurci alla vera consistenza, quella della Persuasione, Armonia eccellente. Il meccanismo sarà, almeno nelle modalità, il medesimo: «togliere l'uso» delle cose attraverso il piacere, vanificare la forza rettorica del desiderio, perché «più il vano chiede e più bisognoso si rende» [D 58]. AI contrario, il vero piacere giungerà al Persuaso «dalla sicurezza interna della pace» [D 66], quando le cose più non «ci avranno» [cfr. D 38-39]. Questo filo di Arianna, che abbiamo ipotizzato nel Dialogo, si fa decisamente manifesto nelle parole di M. nel suo piccolo ma densissimo saggio sul Prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica del 1910, anno della sua morte, e dunque espressione ultima del suo pensiero.” Riportiamo per intero il passo, data la sua estrema importanza, a questo punto: L'unica via di chi permane è la sua forza. La sua forza di non esser schiavo nel futuro, di tener raccolta nel presente la propria vita. Socrate non può che appellarsi a quello che ognuno può aver sperimentato della propria forza, o che almeno conosce indubitatamente necessario, della quale a ognuno son noti gli effetti, e della cui mancanza a ognuno noti i danni. Ed è quella che in rapporto al giro finito dei bisogni elementari, concreti e vicini al nostro corpo, si manifesta cminarli e tenerli nascosti, ognuno col criterio della salute del tutto. La forza colla quale uno insegna alla sua bocca a starsi contenta a quello che è conveniente al bisogno del corpo, e a non correre nel tempo sempre nuove cose mangiando, perciò che la gola ribelle le finga l'ultima felicità sempre via nel prossimo boccone. Per questa forza che la maggioranza degli uomini ha, il loro corpo è un corpo. E quello e questo vicini a ognuno!®, «'Enucleando' il senso e i modi di questa vita elementare, Socrate ha modo di portar vicina la vita lontana [...}>: «egli dà valore alla salute dei bisogni elementari solo come analogia del bisogno della persuasione »'°9 [significativo corsivo di M.]. Alla luce di quanto detto, troviamo incredibile come anche la critica più attenta - alludiamo soprattutto al Campailla e alla Raschini - non abbia sviluppato a sufficienza questa "dritta" che il filosofo goriziano ci consegna in questo importante scritto; noi siamo invece d'altro107 La redazione cui si fa riferimento nella nostra analisi e nelle nostre citazioni è quella contenuta nell'edizione curata da Gian Andrea Franchi, per i tipi dell'Agalev, 1988; ovvero, le pagg. 95-100. 108 Ib. pag. 97, come quella appena successiva. 109 Ib, pagg. 97-98-99 passim. avviso, e cerchiamo di trarne coerente sviluppo, approfondendo ancora il parallelismo con Empedocle. Dunque, c'è analogia tra il bisogno elementare e il bisogno della Persuasione: è come se, in tempi magri, un'immagine sbiadita della Persuasione sopravvivesse nella forza che sottende all'equilibrio omeostatico (chimico-fisiologico) del nostro corpo. Ancora Plutarco, che si sta rivelando anche agli esegeti moderni come uno dei più validi interpreti di Empedocle, ammette che i due principi cosmici dell'Armonia e della Contesa si riflettono in certo modo, secondo il filosofo agrigentino, in ciascuno di noi: «ciascuno di noi, nascendo, è preso e guidato da due destini e demoni [... ]10: cosicché, accogliendo la nostra nascita i semi di ciascuna di queste affezioni e per ciò stesso avendo molteplici anomalie l'uomo assennato si augura bensì le cose migliori, ma si aspetta le altre, e di entrambe si serve evitando l'eccesso»!!!. Certo, evitando l'eccesso. Perché un eccesso di Armonia è foriera di morte almeno quanto un eccesso di Contesa. Nota Aristotele: «...] la Contesa è causa della corruzione non meno che della realtà delle cose; similmente neppure l'Amicizia è la causa della realtà delle altre cose, poiché le distrugge raccogliendole nell'uno»'!7. L'Armonia porta vita, attraverso un processo prima di "distinzione", quindi di "ri- compattazione" degli elementi dalla dispersione discorde; ma porta morte, perché un suo eccesso fa ricadere a sua volta gli elementi in un'omogeneità letale''° ch'è propria dello Sfero (proseguendo nel parallelismo, la Persuasione conduce alla vera consistenza, alla vera vita; ma, a sua volta, raggiunto il suo apogeo, il suo appagamento, coincide con la morte, perché - in quel punto - la vita perde "il suo esser vita", che coincide proprio col conatus, con la deficienza). Di contro, la Contesa conduce alla morte, perché distrugge la consistenza assicurata dall'Armonia; ma porta anche vita, dato che promuove la distinzione degli elementi (delle radici) dall'indistinzione dello Sfero, del dio (la Rettorica, al suo apogeo, per M. fa /iquefare il nostro corpo, nella dispersione puntuale del piacere; eppure essa assicura la vita, che consiste nel retto conatus verso la Persuasione: come detto, c'è analogia tra il bisogno elementare e il bisogno della Persuasione). 10 "{...]la dea Ctonia e la dea Solare dall'acuto sguardo a Discorde sanguinosa e l'Armoniosa dal grave sguardo, a Bella, la Brutta, la Veloce e la Lenta a Vera Amabile e l'Oscura dai neri capelli" [fr. 122] 11 Plutarch. de trang. an. 15 pag. 474 B, come recita l'edizione | Presocratici, cit., pag. 413, in cui è contenuto il riferimento. 12 L'appunto è volto criticamente all' "incoerenza" di Empedocle, ma non per questo motivo c'interessa. Inoltre, perché a nostro parere più consona all'atmosfera del nostro discorso, preferiamo questa traduzione di Metafisica B 4 1000b 10 sgg., contenuta in | Presocratici, cit, pag. 344, alla corrispondente traduzione di G. Reale, nell'edizione della Metafisica da lui curata per i tipi della Rusconi [1993, pag. 113], che è pure l'edizione che teniamo presente nella nostra tesi. 113 Letale, perché compromette il principium individuationis. Quindi, sia per il filosofo goriziano che per quello agrigentino Duplice è la genesi dei mortali, duplice è la morte: l'una è generata e distrutta dalle unioni di tutte le cose, l'altra, prodottasi, si dissipa quando di nuovo esse si separano. [fr. B 17, vv. 3-5] Entrambi, quando parlano di vita e di morte, si rendono ben conto che « è giusto chiamarle [così], ma anche io parlo secondo il costume» [fr. 9, v. 5]. Per entrambi si tratta di definire esattamente il senso opportuno delle parole, e di adagiarsi solo per comodità sul loro senso comune. Per entrambi, ancora, si tratta di tracciare un difficile equilibrio (l'equilibrio del falco) tra le due facce bifronti dell'Armonia e della Contesa, della Persuasione e della Rettorica: per entrambi, nel «retto discorso» [fr. 131, v. 4] sono unificate e armonizzate nell'unità, ad opera dell'Amicizia, le cose divise dalla Contesa." Il difficile equilibrio si gioca tra Phila e Neikos, ed in questo equilibrio consiste il principium individuationis che concretizza la sostanza informe nell'attualità dell'individuo, altrimenti irrealizzabile nell'incongruenza discorde o nell'omogeneità armonica «avvolta dalla solitudine». Empedocle, tuttavia, avverte per quest'ultima condizione una sorta di nostalgia (e si rammenti la nostalgia di Itti per il mare): come visto, l'uomo per lui è come un esule cacciato da un mondo perfettamente armonico ed omogeneo (alla stregua di un'età dell'oro), e deve perciò rassegnarsi a vivere nella realtà dei fenomeni che nascono e muoiono: similmente, nell'individuo rettorico (anch'esso «bandito da dio») sopravvive una non ben definita aspirazione per una condizione edenica di completezza, che non si rassegna, ma che si svia in un desiderio inautentico di appagamento, sbiadito ricordo di quella completezza, come l'amore è sbiadito ricordo della condizione androgina nel noto dialogo platonico. Empedocle, inoltre, condivide con Eraclito e Parmenide (e M. con tutt'e tre) la polemica contro il sapere comune e superficiale, che disdegna la verità dello Sero, si accontenta delle multiformi apparenze delle cose e non perviene ai fondamenti dell'Autentico: gli uomini (che si mettono in «posizione conoscitiva», direbbe il Goriziano) sono come bambini cui sfugge il significato ultimo delle cose. Ed una delle espressioni più alte di questo Autentico è la consapevolezza, che dovrebbe essere una delle fondamentali conquiste umane, di una consustanzialità che attraversa, senza soluzione di continuità, tutti gli enti: proprio l'identità delle cause che regolano le trasformazioni naturali fa dell'universo un'unica comunità dove tutti gli enti, viventi e no, coesistono allo stesso titolo, e dove tutti gli enti partecipano sia degli aspetti divini o eterni (le radici, Amicizia e Contesa) sia degli aspetti (apparentemente) transeunti (i fenomeni): 114 Cfr. Ippolito, ref. VII 31 pag. 261, come recita l'edizione | P resocratici, cit, pag. 415, in cui è contenuto il riferimento. similmente, nella prospettiva che abbiamo adottato, M. - nella sua tesi - allarga la sua dicotomia Persuasione-Rettorica a tutto il mondo delle cose che esistono: il sasso, l'idrogeno e il cloro'', etc., vivono in una condizione rettorica ed aspirano ad una condizione persuasa non meno che l'uomo. Ora, avviandoci alla conclusione di questo complesso confronto, assicuriamo che, ovviamente, non c'è in noi l'intenzione di adagiare la prospettiva M.iana su una matrice di ingenuo "naturalismo dinamico": tuttavia, ribadiamo che questa è altresì una sfaccettatura non secondaria, per quanto interpolata, della sua Weltanschauung, almeno stando al suo lavoro accademico (già meno nel Dialogo, praticamente assente nelle Poesie e nelle lettere). E con Empedocle egli ha più che punti di contatto: ha punti di incontro. Nei presupposti: il filosofo d'Agrigento, al pari del Goriziano, è ben conscio che le cose che si appresta a dire «non sono vedute né udite dagli uomini né abbracciate con la mente» [fr. 1, vv. 6-8; si tenga a mente l'esordio della Persuasione]. E punti d'incontro non meno, anzi soprattutto, nell'aspirazione finale: ch'è quella, in Empedocle, di uomini che tra gli immortali abitando e mangiando delle angosce umane non [saranno] più partecipi, [bensì] indistruttibili [fr. 147]; di uomini «digiuni di colpa » [fr. 144], che aborriranno infine «l'intollerabile Ananke» [cfr. fr. 116] e che infine abiteranno di nuovo un mondo in cui: [... ]erano tutti mansueti e benigni nei confronti degli uomini fiere ed uccelli, e la benevolenza brillava [fr. 130] Ovvero, tradotto in linguaggio M.iano, di uomini che abbiano raggiunto la vera consistenza, assisi allo stesso banchetto al pari degli immortali [gli uomini che si danno da sé la salvezza = gli dèi], in un mondo in cui il rapporto tra gli enti sia quello di un reciproco donarsi, spontaneamente (e si ricordi il valore dell'u/tro). Volendo davvero concludere, un appunto che giunge /ast but not least è singolare come, a fronte di tutto questo, in Empedocle sia individuata, già dai suoi contemporanei, la nascita, anche se non ufficiale, della téchne retorica: suo allievo sarebbe stato addirittura uno dei sofisti più ferrati e temuti, Gorgia. Allo stesso modo, nota già da subito M., la lezione persuasa di Socrate produrrà cattivi discepoli: Platone e soprattutto Aristotele. Ma la questione del "cattivo apostolato" - strano e triste destino della Persuasione - sarà affrontata in modo più opportuno e approfondito nel paragrafo dedicato all' «educazione corruttrice» nella nostra analisi del sistema rettorico. 4d) La Persuasione "al bivio": l'incontro di Parmenide e Cristo. La dottrina assomiglia a due strade. Una attraversa un grande fuoco, l'altra attraversa un grande gelo. Come comportarsi? Si scelga la via di mezzo se si vuole sopravvivere. Proverbio cinese. La Persuasione, negli uomini''5, è una verità, una testimonianza trasversale: attraversa la storia dell'umanità, rapprendendosi in individui non incasellabili in specifiche categorie storiografiche, la cui discriminante non è il tempo, la collocazione geografica o il credo religioso e filosofico e politico. La Persuasione, pur nella sua saldezza e nell'espressione cristallina e insieme inafferrabile del suo contenuto, pur nell'attimo ineffabile che la "17 Il vir è sostanzia, percorre il tempo e il mondo degli uomini, ad esso "si adatta Qohelet: vive, o sopravvive, nella comunità rettorica in un drammatico (ma il dramma è l'agire, c'insegna l'etimologia greca) stato di emulsione!', mentre aspira alla comunità vera, alla agathon philia. Quest'ultima si realizza con la rottura dei labili, ovvero falsamente saldi e sicuri, legami della Rettorica, nella costruzione di legami nuovi, più profondi ed autentici: il vir è venuto infatti a «separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera» [Matteo 10, 35]!!°. Il suo "adattamento", dunque, non è compromesso: la Persuasione è intransigente, severa, anche se talora più con se stessa, che con gli altri uomini. Essa dice al suo vir (il vir dice a se stesso): «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» [Matteo 12, 30]. Non ammette repliche, non ammette cedimenti o dialettiche. Non concede appelli o ripensamenti. Il Persuaso non tentenna: è forte come la roccia, risoluto come un dio. La sua forza non è violenza, il suo coraggio non è temerarietà: il suo messaggio è di amore, ma il suo amore non è rassegnazione o condiscendenza al male; il suo amore conosce lo sdegno, è capace di ira, perché è sentimento dirompente, è un sentimento che spezza: il 115 Cfr. PR 13-14; l'idrogeno e il cloro "si suicidano" nell'acido cloridrico, scorgendo nella valenza l'immagine (inautentica) della loro reciproca persuasione. 116 La specificazione, a questo punto, è d'obbligo: infatti finora, nel capitolo, abbiamo inteso la Persuasione (e la Rettorica) come matrice strutturale dell'intero universo: in questo paragrafo, il discorso s'incentra nuovamente sugli uomini, ovvero, sul problema dell'uomo, nella misura in cui l'uomo è (o quantomeno, dovrebbe essere) quell'ente che - dato il suo orizzonte di consapevolezza e comprensione - si "apre" già sempre (o meglio, dovrebbe guadagnarsi già sempre), per una via privilegiata, l'accesso all' "essere persuaso". 17 Ma sul senso di questo adattamento, che non consente malleabilità ma che invoca la "durezza", cfr. la nostra integrazione sulla "variante flessibile" (leopardiana) della Persuasione. 18 Un termine "tecnico", mutuato dall'ambito chimico-fisico, ci aiuta a rendere più chiaro il concetto: come è noto, ‘emulsione indica la mescolanza di due liquidi non solubili tra loro, uno dei quali è disperso nell'altro sottoforma di minutissime gocce [definizione del diz. Garzanti] 19 Nel'affrontare questo punto, assumiamo ad esempio assoluto di Persuasione il Cristo, il vir per antonomasia, secondo le conclusioni dello stesso M.. Per le citazioni che seguono, privilegiamo la fonte del Vangelo di Matteo, data l'importanza che tale Vangelo assunse, come visto, nell' "îÎmmaginario persuaso" del Goriziano. vir scaccia i mercanti dal tempio, perché il tempio è divenuto una «spelonca di ladri» [Matteo 21,13]. Egli dimostra zelo per il tempio, per la propria casa: quello zelo lo divora [Giovanni 2,17]. «Ma egli parlava del tempio del suo corpo» [Giovanni 2,21]. Il vir si mantiene puro per il sacrificio di se stesso, perché il sacrificio acquisti più forza e significato. Fino a quel momento, la sua è «un'intenzione morale in lotta». Infatti, il suo grido, seppur non di vendetta, è tuttavia un appello alla lotta, a non cedere: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada» [Matteo 10, 34], dice il vir. Il Cristo - il Persuaso'” - dunque, ci pone dinanzi ad una perentoria dicotomia esistenziale: una ed una sola è la via della Persuasione; tutto il resto appartiene alla Rettorica. Tertium non datur. La soluzione che ci suggerisce il proverbio cinese di cui sopra (di «Scegliere la via di mezzo se si vuole sopravvivere») non è messa in minimo conto: è valutata come situazione di compromesso, di malafede. C'è una sorta di ostinata coerenza che accompagna la Persuasione, dall'inizio alla fine della sua testimonianza. Ora, è proprio su questa comune terra di confine che M. allestisce l'originale incontro di Cristo con Parmenide: in modo significativo, il vertice (o uno dei vertici) della genuina speculazione greca si sposa col vertice della più grande testimonianza della Persuasione in assoluto, nella comune forza e perentorietà del loro autaut'’’. E' solo il caso di accennare che, anche qui, come sempre, siamo in presenza di una "lettura forzata" condotta dal Goriziano sul filosofo di Elea: per la sua comprensione, noi siamo costretti a seguire questa eterodossia. L'impressione che ne ricaviamo è che M. "corregga" (se ci è lecito esprimerci così) l'assunto parmenideo in direzione cristiana, anzi cristologica, ovvero etico-esistenziale; e che, viceversa, corrobori l'ipostasi cristologica con apporti del "metodo" parmenideo, ovvero assicurando a quell'ipostasi una "piattaforma" logico-ontologica. Il testo parmenideo (dunque particolarmente caro a M., come testimoniano le citazioni che ne trae, non solo numerose, ma anche cruciali) esordisce con la narrazione di un viaggio compiuto attraverso la «via del dio»: ogni contorno fisico sfuma però subito nell'allegoria: l'Eleate è scortato dalle figlie del Sole e condotto al cospetto della dea Giustizia, l'Immutabile Legge del cosmo, la verità che si svela. E' proprio la Giustizia che, «benevolmente », rivolge la parola a Parmenide: O giovane, [...] 120 Cfr. la diapositiva E [Volto di Cristo e Schizzi di alberi] nel supporto iconografico. 121 Per una sorta di automatismo mentale, si tende ad associare l'aut-aut M.iano all'omologo conio kierkegaardiano: ma è solo una questione, come dire, "sinonimica": l'aut-aut del filosofo danese non è indicativo di una scelta (essendo la vera scelta quella della fede), non è neanche, a ben vedere, un "o-o": a rigore è un "né-né": né vita estetica, né vita etica. In Kierkegaard, tertium datur. Il terzo termine è, appunto, la vita nella fede. salute a te! Non è un potere maligno quello che ti ha condotto per questa via (perché in verità è fuori del cammino degli uomini) ma un divino comando e la giustizia. Bisogni che tu impari a conoscere ogni cosa sia l'animo inconcusso della ben rotonda Verità [alethéie] sia le opinioni [dóxai] dei mortali, nelle quali non risiede legittima credibilità. [B 1 v 24 e vv. 26-30]. Dunque, in modo rigoroso, ci sono due e solo due "vie", ovvero possibilità, aperte all'esistenza e al pensiero; il filosofo "venerando e terribile" le presenta come rivelazione di una dea, da ritenersi quindi espressione adamantina e necessaria della verità: l'una consistente nel pensare ciò «che è [estin] e che non è possibile che non sia», l'altra consistente nel pensare ciò «che non è [ouk estin] e che è necessario che non sia»; e appena dopo aggiunge, sempre per bocca della dea, che la prima via è quella conforme a verità, della quale dunque si deve essere persuasi [«è il sentiero della Persuasione»], mentre la seconda è impercorribile, perché «il non essere» [to me eon] non può essere né pensato né detto [cfr. frammento B 2 passim]. Quest'ultima è «impensabile e inesprimibile (infatti non è la via vera)», «l'altra invece esiste ed è la via reale» [cfr. frammento B 8 vv. 21-22]. Ora, quello che c'interessa non è tanto indagare l'ontologia rigorosa che segue simili affermazioni: ovvero, le caratteristiche del "ciò che è" (l'eternità, la finitezza come perfezione, l'omogeneità, il vincolo cui è costretto dalla Necessità...) sussunte nella nota immagine della Sfera; anche se sarebbe istruttivo individuare - ma non è neanche molto difficile farlo - certune ispirazioni che il filosofo goriziano mutua dall'essere parmenideo per la definizione del suo "solido" peve’. Quel che ci interessa, piuttosto, è vedere il legame che viene ad intrecciarsi tra Persuasione e Verità, nel senso genuinamente greco del termine, tradito nella traduzione posteriore (ad esempio, già in Cicerone). Heidegger (e forse prima di lui Ortega y Gasset nelle Meditaciones del Quijote) ci ha insegnato che, in proposito, bisogna far ricorso ancora una volta all'etimologia per giungere al cuore della questione: infatti, il termine greco sembra derivare da /anthano che vuol dire "coprire". Da /anthano proviene Lete, che è il fiume della dimenticanza, il fiume che copre. Alètheia, con l'alpha privativo, è il contrario di ciò che si copre: il "non-nascondimento", il "dis-velamento"'8. Ma in cosa consiste quel "velamento", che cos'è quell'oblio? Per M. - ed è qui il senso della lettura forzata ch'egli fa di Parmenide - esso coincide col mondo della Rettorica. La seconda parte della sua tesi di laurea - la pars destruens - è interamente dedicata appunto alla "de-costruzione" dell'inganno rettorico, allo smascheramento del suo dispositivo: la Persuasione si porrà, in quelle pagine, innanzitutto come "dissuasione" 122 Da confrontare, ad esempio, le affinità tra espressioni che connotano il dio-Persuaso di M. e i sémata dell'Essere di Parmenide nel frammento B 7 vv. 7-10 soprattutto. 123 In questo senso, è anche possibile che, ad un orecchio greco, oltre che al "nascondimento", la verità si opponesse all' "oblio": così, si spiegherebbe il legame della Verità con il carattere rivelativo della memoria Imnemosyne], tipico del pensiero arcaico greco, faro principe d'illuminazione per il Nostro. (il valore dell'alpha privativo), come verità negativa, o meglio, che si evince dalla negazione dialettica e puntuale della Rettorica, negazione giocata nel concreto della vita e del mondo‘. Eppure, l'interpretazione M.iana di Parmenide non è, poi, del tutto gratuita o fuori luogo: a ben vedere, lo stesso Eleate autorizza lo slittamento del discorso in prospettiva etica: in lui, l'opposizione tra "essere" e "non essere" (ovvero tra ragione e sensibilità) è così radicale che su di essa egli fonda la distinzione tra due tipi di uomini - appunto, quelli che seguono la ragione e quelli che si fermano ai sensi: il frammento B 6 ne è prova palese; gli uomini rettorici - ci dice M. - assomigliano molto da vicino alla «gente dalla doppia testa» stigmatizzata da Parmenide: uomini che [... ] vengono trascinati insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi, da cui l'essere e il non essere sono ritenuti identici e non identici, per cui di tutte le cose reversibile è il cammino. [B 6, vv. 7-10 J15. Lo slittamento di cui sopra viene sostanziato con l'opportuno innesto della lezione evangelica: la dicotomia essere/non-essere si svincola dalla strettoia ontologica per ampliarsi nell'apertura etica, secondo la testimonianza del Cristo: le due vie annunciate da Parmenide divengono esclusivamente, o prima di tutto, alternative esistenziali: l'accesso ad esse si avrà attraverso le due porte indicate dal vir: 124 Questo aspetto è stato colto solo in parte da buona parte della critica, e qualora lo sia stato, è stato a nostro parere non esattamente interpretato: Maria Adelaide Raschini, che rappresenta l'approccio della critica cattolica al Nostro, ne desume ad esempio una sorta di «antropologia teologica negativa» (o addirittura «teologia antropologica», per cui vd. oltre) bic, in M. A. M., La disperata devozione, ed. Cappelli, 1988, pag. 138], facendo del Goriziano un redivivo Pseudo-Dionigi. L'appunto, dicevamo, per noi non è corretto: M., come stiamo tentando di dimostrare nella nostra analisi, non appronta una "definizione" per viam negationis della Persuasione: tutt'altro, ed è qui proprio la sua (e la nostra) difficoltà. E' altrettanto vero, comunque, che la "monadologia persuasa" del filosofo goriziano acquista più senso e più nitidezza nello scontro, nell'agonismo con la Rettorica, perché si cala dal piano astratto a quello esistenziale. E' bene ribadire, anche se in nota, questa nostra posizione, e proprio in contrasto con le conclusioni della studiosa su citata: la Raschini, infatti, coerentemente alla sua impostazione, compendia e sottolinea che «l'uomo della persuasione si afferma del tutto negativamente, attraverso la pura negazione di tutto ciò che è finito. Rifiutato il mondo, nessuna categoria mondana gli vale più, vuole per sé la dimensione teologica; tuttavia, avendo respinto, di questa, il contenuto di verità, la dimensione teologica si trasforma per lui nell'atto assoluto del negare: teologia antropologica costruita per negazioni, nella quale l'esigenza mistico-panteistica viene soddisfatta dal puro e assoluto atto del negare». [ib. pag. 125; corsivi dell'autrice]. Come si può vedere, ci troviamo agli antipodi: per noi, il momento della negazione in M. non è assoluto, ma funzionale (ovvero, condizione mediatrice, e non conclusiva) all'affermazione positiva dell'ipostasi persuasa; un'ipostasi che non nega, pregiudizialmente, ogni "finito", ogni "categoria mondana" in toto, ma solo quelle attinenti alla falsità ed al dominio rettorici: in questo non c'è alcuna aspirazione teologica, ultramondana, o peggio anti-mondana, come sembra trasparire dai giudizi della studiosa cattolica; tutt'altro: se il vir nega il mondo rettorico (la precisazione è sempre d'obbligo), lo fa in funzione di un'apocatastasi del mondo umano stesso in una società "globale" (diremmo oggi) persuasa, di cui l'amore e l'armonia riusciranno ad essere le sole leggi. E' questa la potenza, e l'utopia positiva e "programmatica", del messaggio M.iano, come stiamo affermando - sempre, e con insistenza - nel corso del nostro lavoro. 125 Versi importanti che il Goriziano, non a caso, pone ad epigrafe del Il capitolo del suo lavoro accademico: L'illusione della Persuasione [PR 11]. Chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto... Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano [Gesù, nel Vangelo di Matteo 7,1-14]. L'inclusione degli uomini nella agathon philia, nella ekklesìa persuasa, avverrà attraverso l'accesso non privilegiato della «porta stretta», il che vuol dire che comporterà una tempra ed un sacrificio "sovraumani", cioè al limite delle possibilità dell'uomo: l'uomo nuovo dovrà rinunciare alla sua condizione sicura, dovrà rimettere in discussione ed esporre al rischio la propria "stabilità" quotidiana, per aprirsi alla dimensione autentica, all' "attimo carismatico" della Persuasione. Come vir, l'uomo nuovo vive la sua vita in profonda relazione con la Persuasione, già immerso nell’eternità che trascende il tempo nell'attimo della «vita che non si nega», eppure accetta contemporaneamente di indugiare nel tempo del mondo, nella storia, nella carne, per condividere la vita degli uomini, per soffrire e "risorgere" con loro, per essere testimonianza. Nel momento in cui il Persuaso si emancipa dalla sua condizione umana (rettorica), egli realizza la sua condizione umana autentica, la sua entelechia come uomo: la Persuasione è, a dispetto di quanto si sia disposti a credere, la condizione totale dell'uomo, la realizzazione completa e assoluta delle sue possibilità in atto. «Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete nascere di nuovo. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» [Gv 3,7-8]. Il fatto paradossale è che per conquistare questa sua autenticità in atto, espressione piena ed estrema delle proprie potenzialità, l'uomo deve attraversare il golgota che conduce sulla, o che coincide nella, via della Persuasione '?9. Già solo da questo punto di vista, dunque, già solo nel suo accostamento a Parmenide, la proposta di M. dovrebbe essere costantemente ammirata come esempio di un pensiero così rigoroso e coraggioso da non fermarsi neanche di fronte alle affermazioni più "assurde" e contrarie all'esperienza, neanche di fronte al confronto con i "grandi". In effetti, l'apporto parmenideo, nella prospettiva del Nostro, non si fermerà alla considerazione di una possibilità esistenziale vera, e non filistea, o rettorica; le intuizioni del filosofo di Elea, svolte con lucida logica deduttiva a partire dal paradosso dell'Essere che soltanto ha diritto di essere, coinvolgeranno anche la componente linguistica e "scientifica" che pregiudica un corretto accesso alla Verità: per Parmenide il linguaggio e la scienza (entrambi strumenti della doxa) degli uomini «dalla doppia testa» ne 126 L'eccessivo ricorso al dettato neotestamentario e il tono "ispirato" di certe nostre espressioni rischierebbero di denunciare un appiattimento della Persuasione sull'esperienza cristiana: per scongiurare un simile equivoco EQUIVOCO GRICE, e per ristabilire un certo equilibrio, riteniamo opportuno ricordare che per M. il vir mantiene una sua forte, assoluta valenza autonoma, non riconducibile affatto alla testimonianza del Cristo come figlio di Dio: certo, utilizzare la vita e la parola di Gesù, ci aiuta - a mo' di scorciatoia e secondo indicazioni dello stesso filosofo - a diradare la complessità della dimensione persuasa; ma si tenga sempre a mente il ribaltamento di prospettiva (laica, o - azzardiamo - ebraica) con cui egli si pone di fronte alla sua preferita prosopopea del vir: per dirla in parole davvero semplici, il Cristo - quel Cristo "monofisita" che ricordava Campailla - è soltanto uno della schiera dei Persuasi. E, non per nulla, condivide la sua condizione con un Parmenide o un Empedocle, giusto per accennare ai filosofi appena trattati.rappresentano la via artefatta e deleteria, «il sentiero della notte», la scorciatoia che pretende di assegnare valore alle cose e agli uomini con la vana sostanza dei nomi, delle convenzionali parole poste dagli uomini stessi, immagini di concetti, e dunque copia di copia. La scorciatoia che prende in prestito la genuina aspirazione della Persuasione: quella di vedere le cose, benché lontane, [...] col pensiero saldamente presenti [cfr. fr. B 4, v.1] e la vanifica, perché la risolve in un presente che non è l'attimo del vir, ma l'hic et nunc della storia, dove le cose - sottratte con la violenza al loro "luogo naturale", alla loro condizione persuasa - sopravvivono nelle ipostasi rettoriche di ma falsa consistenza, nelle maglie di relazioni logiche e linguistiche che garantiscono solo una corrotta permanenza, un'illusione di permanenza e autonomia. Le cose, e gli stessi uomini, divengono - direbbe Heidegger - semplice-presenza, oggetti a portata di mano [vorhanden]. Una situazione di hybris, determinata da una sacrilega immissione della temporalità e della alterità nella perfezione sferica dell'Essere, hybris per la quale l'essere [è distaccato] dalla sua connessione con l'essere [cfr. fr. B 4, v. 2] che per Parmenide è peggio di una bestemmia. M. svilupperà con fedeltà e coerenza queste indicazioni dell'Eleate: anche per lui il linguaggio e la scienza (col suo braccio armato, la tecnica) rappresenteranno le estreme conseguenze del feticismo rettorico per la falsa permanenza della "cosa" e del "fatto", in un'oggettività che esercita violenza, perché strumentale e appunto "tecnica". La loro [i.e. degli uomini rettorici] memoria è fatta di [...] cumuli di disposizioni che aspettano le forme consuete per riconoscerle; ed essi riferendovisi con parole non le comunicano, non le esprimono ma le significano agli altri così da bastare agli usi della vita. Come uno muove una leva o preme un bottone d'un meccanismo per aver date reazioni, che le conosce per le loro manifestazioni, per ciò che d'indispensabile gli offrono, ma non sa come procedono, ma non le sa creare - egli vi si riferisce soltanto con quel segno convenuto. Così fa l'uomo nella società: il segno convenuto egli lo trova nella tastiera preparata come una nota sul piano. E i segni convenuti si congiungono in modi convenuti, in complessi fatti. Sul piano egli suona non la sua melodia - ma le frasi prescritte dagli altri. - [PR 112; corsivi di M.] Ma la vera funzione organica della società è l'officina dei valori assoluti, la fornitrice dei 'luoghi speciali' e ‘comuni’: la scienza. Che con l' 'oggettività' che implica la rinuncia totale dell'individualità, prende i valori dei sensi, o i dati statistici dei bisogni materiali come ultimi valori, e fornisce alla società col suggello della saggezza assoluta ciò che per la sua vita le è utile: macchine, e teorie d'ogni genere e per ogni uso - d'acciaio, di carta, di parole. [PR 125; corsivi di M.] Ma approfondiremo la questione a tempo debito, nel capitolo dedicato alla Rettorica. Qui, quel che ci preme evidenziare è che è proprio il suddetto nesso vicinanza-lontananza [quello del frammento B 4] a contessere la trama e l'ordito del lavoro accademico del Goriziano: quel nesso sembra davvero assurgere a pietra limite del corretto rapporto delvir con se stesso e con il mondo e il filosofo individua in esso il perno intorno al quale ruota tutta la sua visione persuasa. L'homo, infatti, sfalsa la giusta prospettiva tra vicinanza e lontananza del/dal vero, alla stregua di un binocolo rovesciato: ritiene di allontanare la morte, che sempre gli è vicina; ritiene di avvicinare le cose, di averle a portata di mano, dando loro una valenza, una strumentalità che invece è lontana dal loro giusto valore. La prospettiva distorta dell'ilusoria persuasione ci crea un presente che è un gigante coi piedi di argilla, dato che si frantuma sotto l'incessante, sempre incombente premere della deficienza, la quale ci differisce puntualmente il riposo della (falsa) persuasione, finta nell'appagamento del desiderio di continuare la vita. Perché non possediamo mai la nostra vita, l'aspettiamo dal futuro, la cerchiamo dalle cose che ci sono care perché ‘contengono per noi il futuro', per essere anche in futuro vuoti in ogni presente e volgerci ancora avidamente alle cose care per soddisfar la fame insaziabile e mancare sempre di tutto. [D 39] L'uomo rettorico, così facendo, ovvero [...] mancando di sé stesso nel presente egli si vuole nel futuro - questo egli non può che per la via delle singole determinazioni organizzate a farlo continuar a voler così anche nel futuro. Egli si gira per la via dei singoli bisogni e sfugge sempre a sé stesso. Egli non può possedere sé stesso, aver la ragione di sé, quanto è necessitato ad attribuir valore alla propria persona determinata nelle cose, e alle cose delle quali abbisogna per continuare. Ché da queste è via via distratto nel tempo. - Il suo avvenire alla vita mortale: il suo nascere è nella altrui volontà; il pernio [sic]intorno cui si gira gli è dato, e date gli sono le cose ch'ei dice sue. [PR 20] Questa condizione differita il dominus se la fa scivolare addosso, mentre essa coglie drammaticamente di sorpresa l'homo. La tecnica retorica preferita dal dominus è la preterizione, perché egli simula una persuasione che non ha, una lontananza che non ha attinto: in questo, egli dimostra di avere una «previsione più organizzata a una più vasta vita», ed è in ciò la sua forza; la debolezza dell'homo è invece nella sua disperata, vulnerabile, contingente "inesperienza" esistenziale. Ragion per cui, l'homo si adatterà a strumento passivo di violenza, mentre il dominus si arrogherà il ruolo di strumento attivo. L'homo, l'«uomo ammaestrato », «è ridotto a non uscir dal punto colla sua realtà, il suo modo diretto è il segno d'una data vicina relazione: simile all'uomo che sogna [...] s'avvicina alle cose lontane per vedere» [PR 113]. Ma egli viene a trovarsi «come il tiratore inesperto accanto al cacciatore [nella metafora, il dominus]»: [...] è il debole che vuole affermarsi là dove il forte s'afferma. Ché questi ha la vicinanza dell'animale lontano nella sua mano e nel suo occhio sicuro; quello vede l'animale in una lontananza che come non è finita pel suo occhio è xrtopocperla sua mano: egli ha negli occhi un'incertezza di punti, nella mano... l'arma. Nella coscienza più vasta la stessa cosa è più reale, poiché riflette quella vita più vasta. Questa lha di più poiché nella sua affermazione ci sono i modi della previsione più organizzata a una più vasta vita, sufficiente a eliminare maggior vastità di contingenze, che ha certa, finita, vicina nell'attimo una maggior lontananza. [PR 20-21] La stessa filosofia, o ideologia (nell'accezione davvero larga del termine), sembra offrire il destro al dominus, escogitare il pretesto di dominio, lo autorizza sostanziandolo di sapere. La filosofia è la versione umanistica della scienza, è la sua giustificazione "ideale": questa ci avvicina (falsamente) le cose attraverso l'esperimento, ci fornisce l'illusione di possederle entro i dettami razionali della formula; quella ci avvicina (altrettanto falsamente) le cose "sublimandone" il valore in concetto, il concetto in idea, l'idea in parola. In questo senso, per M., Platone (il Platone oramai sganciato da Socrate, il Platone del Fedro, della Repubblica e delle Leggi) è davvero il padre di tutti i domini, per giunta scalzato da uno ancor più forte, Aristotele. Quanto il Goriziano scrive a proposito ha una sua innegabile forza di contestazione e di "smascheramento": Ma la necessità per gli uomini è appunto il muoversi: non bianco, non nero [come suggerisce l'aut-aut parmenideo della Persuasione], ma grigio: sono e non sono, conoscono e non conoscono: il pensiero diviene [la temporalità e la differenza irrompono e trasgrediscono l'omousia dell'essere]. | dati per sé non sono niente, dicono gli uomini: noi dobbiamo ora prenderli, considerarli sub specie aeterni, contemplarli, e pensando andare verso la conoscenza. Il valore, la realtà è la via: la macchina che muove i concetti: l'attività filosofica [PR 60-61]. Nella Appendici critiche, l'attacco diviene ad personam, ovvero condotto - volendo continuare l'espressione del Goriziano - contro il deus ex machina dell'attività filosofica: Ma Platone ha bisogno d'aver dagli altri il segno della propria persona, vuol esser per loro il sapiente sufficiente a ogni cosa, e, se non può dare vicine le cose lontane, ma le cose vicine dice e le chiama lontane - perché esse pur siano accette alla corta vista del comune degli uomini, e insieme conservino il nome di cose lontane: di sapienza assoluta. E perciò i nomi che questa sapienza costituiscono, e che rifulsero di tutta la loro luce nella bocca del vero Socrate e del vero Parmenide, devono ora per la loro stessa bocca scendere nel fango a dar bella apparenza all'oscurità [PR 176]. 1277 commesso da Platone. Sarà il vira Sarà il vir a riscattare il «parricidio» di Parmenide ristabilire il giusto equilibrio con le cose, a "riaggiustare" la prospettiva dialettica di vicinanza-lontananza, a reintegrare l'omousia, operando quella che già definimmo la sua personalissima "rivoluzione copernicana" nei rapporti con le «altrui vite» delle cose e degli uomini. Le cose saranno davvero vicine al vir, vicina la stessa morte, nella loro accezione autentica, nel loro valore in atto: il Persuaso ridona valore al mondo, sospende la «relazione sufficiente» con le cose e le sostituisce un rapporto di comunione in atto, che si realizzerà in un reciproco donarsi ultro: le cose, potremmo dire, si "ammansiscono"; avendo riconquistato il luogo naturale che loro compete, acquisteranno nuovo, vero "sapore". Esse «non ci avranno» più, noi non c'illuderemo più di averle, l'avere stesso sarà bandito, perché espressione di coartazione: gli uomini e le cose coopereranno al senso persuaso del nuovo mondo, e la legge sarà quella che gli uomini, anche oggi, chiamano 127 Cfr. Sofista, 241 d3. C. Mazzarelli - curatore del dialogo in Platone, tutte le opere, cit. - fa notare che «la ferita mortale al Parmenidismo è inferta dallo straniero di Elea, uno dei figli spirituali di Parmenide». Notiamo noi che Platone si è riservato il pudore di non metterla in bocca a se stesso o a Socrate. («illudendosi d'averli») amore, o armonia. E così l'essere, per riprendere le espressioni di Parmenide e di Empedocle, si «ricucirà» all'essere, «il simile col simile», «con legami d'amore connettendoli Afrodite » [Empedocle, fr. 87]'”. Scrive M.: Ma (ancora una volta e mille volte!) soltanto se questa vastità di vita viva tutta attualmente, saranno vicine le cose lontane. Soltanto se essa chieda nel presente la persuasione, essa potrà reagire in ogni presente con una sapienza così squisita, ed enunciando il sapore che le cose hanno per lei, costituire la presenza d'un mondo che poi gli uomini dicano sapere o arte o sogno o profezia o pazzia a piacer loro [PR 169]. Così, «l'uomo libero gode dell'altrui vita - poiché tutte [le cose, le vite] egli vede e conosce e ama non per quanto gli siano utili ma per loro stesse» [D 90]. Il Persuaso avrà «la gioia dell'esistenza in mezzo a 128 Non a caso abbiamo indugiato sull'analisi di Empedocle e Parmenide, secondo l'ottica del filosofo goriziano (ci dispenseremo dall'accordare analoga attenzione ad Eraclito, dato che egli sostanzialmente condivide con gli altri due, da questo punto di vista, il senso fondamentale del suo messaggio, che M. fa proprio). Molta critica, infatti, si ostina a semplificare l'assunto del giovane tesista su posizioni schopenhaueriane o leopardiane: le pagine di M. si presenterebbero come una parafrasi, per quanto originale, di motivi analoghi riscontrabili nell'autore del Mondo come volontà e rappresentazione e del poeta-filosofo recanatese (soprattutto per quanto riguarda i Pensieri e lo Zibaldone). Ora, non vogliamo certamente negare l'evidente influenza di queste due ispirazioni (M. lesse di sicuro Schopenhauer e rilesse e annotò più volte i Canti di Leopardi), come non vogliamo negare il ripetersi dei motivi conduttori tra i tre autori: la deficienza con la Volontà (a partire dall'esempio del peso che troverebbe un esempio "siamese" nel Mondo); la polemica antirettorica con la polemica antilluministica e antiborghese di Leopardi nelle Operette o nella Ginestra, tanto per far citazioni ovvie; le medesime riflessioni sulla natura illusoria de piacere, così tipicamente umana; la conseguente (analoga) concezione della vita come «pendolo che oscilla tra dolore e noia»; una certa, affine, disperazione esistenziale in concreto (soprattutto col giovane Leopardi); e via dicendo. E' de tutto palese che M. provi "simpatia" per questi due filosofi; altrettanto palesi ne sono i motivi. Tuttavia, per noi, la questione è più complessa. Cerchiamo di spiegarci: l'orizzonte entro il quale si muove la riflessione di M. è innanzitutto l'orizzonte greco: la sua riflessione nasce dalla lettura e dalla intensa meditazione degli autori tragici e presocratici, e anche di Platone e di Aristotele. M. non solo scrive, ma pensa grecamente. | punto di partenza è la grecità: in Leopardi e Schopenhauer (nel loro "pessimismo") egli avrebbe trovato piuttosto un confortante e corroborante riscontro contemporaneo di una verità che appartiene agli albori della civiltà tragica, verità consegnata già alle beffarde e ammutolenti parole del Sileno: «Stirpe misera e caduca, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che è per te il meno profittevole a udire? Ciò che è per te la cosa migliore di tutte, ti è affatto irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma, dopo questa, la cosa migliore per te è morir subito». Ora, il senso del nostro appunto è il seguente: M. non parte dalle riflessioni di Schopenhauer e di Leopardi, ma arriva ad esse attraverso la sua consapevolezza greca (ovvero, tragica), si riscopre in esse - si incontra con esse - sul comune terreno della grecità. E la grecità, nel nostro autore, come nel Nietzsche della Nascita della tragedia, non è un referente culturale e storiografico, non è un passato lontano e irrecuperabile: è un modus vivendi sempre attuale e sempre attingibile. Il Greco, come il Cristo, è l'Uomo par eccellence, il vir; il popolo greco non è (soltanto) il progenitore, ma l'auspicabile rendez-vous dell'umanità occidentale, dell'umanità tutta: Nietzsche conclude il suo capolavoro giovanile con parole di straordinaria bellezza: « Beato popolo degli Elleni! Come deve essere grande tra voi Dioniso, se il Dio di Delo reputa necessari tali incantesimi per guarirvi dalla vostra follia ditirambica!' [...] - Ma un vecchio ateniese, guardando col sublime occhio di Eschilo colui che così parlasse, potrebbe ribattere: 'Aggiungi però anche questo tu, singolare straniero: quanto dovette soffrire questo popolo per diventar così bello! Ora però seguimi alla tragedia e sacrifica con me nel tempio delle due divinità' » [Nietzsche, Nascita della Tragedia, in Opere, cit., pag. 187]. L'occhio di Eschilo diviene lo sguardo di M.: attraverso quello sguardo il Goriziano valutò il mondo, ed accolse chiunque lo accompagnasse sulla via della Persuasione. Anche Leopardi e Schopenhauer. 129 Facciamo notare che, secondo M.r, il ristabilimento della corretta prospettiva lontananza-vicinanza è a suo modo anticipata, ma solo in modo molto vago e inguenuo (come dire: solo per analogia), nell'esperienza artistica: «Una facoltà potente di sogno è quella dell'artista che vede le cose lontane come levicine, e perciò le può dare così ch'esse tutte le cose. Gli sono care non solo le cose vicine e come possano soddisfare un bisogno ma tutte - egli sa godere della luce del sole» [D 89-90]. Se l'uomo rettorico è «malato », perché «ha perduto il sapore d'ogni cosa» [D 46], la salus del vir - la sua salute, la sua... salvezza - al contrario, consisterà nel riassaporare una nuova dolcezza. Perché la Persuasione, come rivela la sua variante etimologica latina, la più bella e forse la più vera, è uno stato di dolcezza. Tuttavia, quella dolcezza appare (apparve a Cristo, apparve a M., appare ad ogni vir) un miraggio, essa stessa una condizione differita. Oggi la Rettorica domina, e il suo dominio è sempre più forte e serrato, è sempre più nascosto e plausibile. Siamo ancora in un periodo di esodo. La "pasqua" della liberazione è rimandata. Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me perché io testimonio di lui, che le sue opere sono malvagie. Salite voi a questa festa, io non vi salgo ancora, perché il mio tempo non è ancora compiuto. [Giov. 7, 6-8] Nel capitolo sulla Rettorica, analizzeremo le radici di questo odio e l'incompiutezza di questo nostro tempo, così come apparvero allo "sguardo eschileo"'*' del Goriziano. appaiono nella loro reciproca relazione di vicine e di lontane» [PR 113]. Ma, appunto, quello artistico è un sogno non meno illusorio e fallace del "sogno" rettorico. 130 Persuasione > per + suav(itattem: condurre (attra)verso la dolcezza. Già Aristotele, però, intese quella dolcezza come escamotage retorico, come dolcezza di parole, per attrarre a sé l'uditorio, per lusingarlo, ed assicurare una posizione vincente all'oratore. Siamo nel cuore della Retorica aristotelica, per l'analisi della quale rimandiamo al seguito del nostro lavoro. 131 Cfr. quanto da noi detto supra, in nota 120. Intermezzo. Notò che essi collegavano le questioni scientifiche con quelle che riguardavano l'anima, e a momenti pareva che toccassero il punto essenziale, cioè quello che a lui pareva tale, ma subito se ne allontanavano e s'immergevano nel campo delle distinzioni sottili, delle riserve, delle allusioni, delle citazioni, dei richiami alle autorità, e allora gli riusciva a stento di capire il senso del loro discorso. Considerazioni di Levin, in Anna Karenina La Persuasione non soggiace ad alcun atto apprensivo, sfugge ad ogni concettualizzazione: è alla disperata ricerca di una propria, peculiare, semantica, di un «linguaggio rappresentativo» [Piovani] che ne dipani il velo di Maia. Condividiamo con M. questa difficoltà, e con M. siamo giocoforza spinti ad una serie di riferimenti prismatici ed aleatori, che chiamano in causa autori e dottrine, espressioni artistiche e risonanze filosofiche, anche "alternative", che corrono il pericolo di franare in pastiche, o quantomeno di mostrarsi quali fili sospesi ed equivoci, difficilmente riassettabili in un nodo stretto e sicuro. La cosa sconcertante è che questa situazione di stallo ha insita una sua ineluttabilità. Socrate medesimo, uno dei vertici assoluti della Persuasione, in fondo, non trovava risposta al suo ti estì, sciogliendola in un'aporia esistenziale che trovava esclusivamente nella sacra finitudine dell'uomo la propria soluzione. Allo stesso modo che per Socrate, tentare d'evincere dalla scrittura magmatica di M. la definizione "esatta" della valenza del suo essere persuasi varrebbe press'a poco quanto chiedere ad un credente di rendere ragione della propria fede. Montale avrebbe risposto: «Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco / lo dichiari e risplenda come un croco / perduto in mezzo a un polveroso prato ». Eppure, proprio il riferimento alla fede (riferimento da assumere però con molta cautela, ché può dar adito a pericolosi equivoci) può contribuire a sostenere, almeno un poco, e seppure in un chiaroscuro di affinità e divergenze, lo scandaglio ermeneutico che stiamo tentando; sotto questo rispetto, ci appelliamo alla testimonianza di uno dei cristiani veramente onesti che siano mai vissuti, Soren Kierkegaard!'*?. In effetti, non sarebbe difficile riscontrare suggestivi punti di contatto tra il «cavaliere della fede» e il vir innanzitutto, i due filosofi condividono la polemica contro l'«individuo sognato da 132 E' assodato che M. non conobbe l'opera di Kierkegaard, anche in virtù della tardiva diffusione e fortuna che essa ebbe in Italia (e non solo), data la difficoltà della lingua. Non è improbabile, tuttavia, che il giovane studioso abbia assimilat elementi o atmosfere kierkegaardiane attraverso la mediazione e il filtro dell'opera teatrale di Ibsen. [Ma cfr. anche S. Campailla, Pensiero e poesia..., cit., pagg. 30-31] Inoltre, si noterà, nel seguito della nostra trattazione, in particolare nel capitlo riguardante la Rettorica come specifiche "categorie" kierkegaardiane - l'angoscia, la disperazione, la scelta, il salto e via dicendo - risulteranno efficaci strumenti euristici nell'affrontare il complesso discorso della Rettorica connaturata all'uomo. 133. imbastita in un noto Hegel» - tanto per intenderci, quello della gustosa scenetta a tavola passaggio della Persuasione [PR 89-91]: borghese che (notiamo en passant), forte della sua logica ferrea della sicurezza e dello stato («la botte di ferro», dice il Goriziano), riesce a controbattere punto per punto, da consumato sofista, le obiezioni, che M. gli propina cercando invano di farne vacillare la speciosa logica rettorica (invincibile se affrontata sul suo stesso campo d'azione). Ora, è risaputo l'astio del filosofo danese contro il sistema hegeliano, tanto che non è opportuno neanche soffermarcisi; analogamente, M. diagnostica la «copertura ideologico-teoretica»'°* della società rettorico-borghese proprio nella hegeliana dottrina dello Stato etico, che trova il suo corrispondente nella copertura ideologico-giuridica, rappresentata dal Codice austriaco'*. Contro la pretesa razionale, necessaria e totalizzante di Hegel, che risolveva l'individuo nei vari momenti dello spirito oggettivo (l'eticità, la vita politica, lo Stato), Kierkegaard fa valere la dialettica (che non è dialettica) del paradosso, del singolo, dell'autaut che sfocia nello scandalo della fede; similmente, all'«individuo cacanico»'°, M. oppone le ragioni del vir, altrettanto "scandalose", agli occhi della comune ragione. Entrambi - il cavaliere della fede e il vir - cercano la gioia della propria realizzazione esistenziale, gioia che, ancora entrambi, sperimentano come paradosso, perché l'assurdo è che «a felicità eterna di un uomo sia commensurabile con una decisione presa nel tempo», come scrive Kierkegaard in un bel passaggio del suo Diario. Costui, analogamente a M.,ascrive la possibilità di attingere quella gioia ad un atto di coraggio, anche se per lui - ed è qui il discrimine essenziale - quel coraggio è piuttosto il «coraggio della fede»: «Occorre [...] un coraggio umile e paradossale per poter ora affermare tutta la realtà temporale in virtù dell'assurdo e questo è il coraggio della fede», come asserisce in Timore e tremore. Frase sottoscrivibile da M., anche se l'accenno pregnante alla fede si mutuerebbe, senza ombra di dubbio, nell'asserzione di autonomia persuasa, creando un piano parallelo e inconciliabile di valutazione dell'esistenza umana, seppur accomunato dalla forte esigenza "realizzativa" del singolo o del vir che sia. 133 Cfr. la diapositiva N [La botte di ferro] nel supporto iconografico. 134 Cfr. A. Negri, Il lavoro..., cit, pag. 26 135 In pagine importanti della sua tesi di laurea, nella sezione dedicata alla Rettorica nella vita, il giovane filosofo fa esplicito riferimento, in nota, alla Philosophie der Geschichte di Hegel, di cui - ci avvisa - non tradurrà le citazioni, poiché dispera «di poter riprodurre in italiano il loro ineffabile callopismatismo » [PR 92-93]; poche pagine più avanti [cfr. 99], un altro riferimento esplicito, stavolta al codice austriaco, che sancisce/garantisce (ma il condizionale sarebbe d'obbligo) che «ogni uomo ha per natura diritti già da sé stessi evidenti alla ragione». Il riferimento è, ovviamente, polemico, di una polemica che si sostanzia anche e soprattutto nel richiamo reciproco, e non nascosto, tra il codice e i passi hegeliani appunto citati nelle pagine appena precedenti. [ma per un'analisi più approfondita, cfr. il nostro capitolo sulla Rettorica] 136 Cfr. A. Negri, Il lavoro..., cit., pag. 16. 68 Ancora, il cavaliere della fede (Abramo) soffre l'incomprensione della massa, perché vive un rapporto speciale con l'Assoluto: appare come un assassino, mentre invece - a suo dire - egli compie soltanto un sacrificio che gli viene richiesto da Dio. Il suo è, dunque, un dramma di incomunicabilità, che condivide - ma solo apparentemente - col vir: infatti, per entrambi, l'istanza realizzativa si risolve in una ricerca solitaria, l'uno di Dio, l'altro della condizione persuasa. Tuttavia: analogia di presupposti, ma differenza totale di esiti: al dialogo "monogamico" che apre il singolo a Dio (gli fa dare a Dio del "Tu") ma che gli preclude l'orizzonte "politico" («il segreto della vita è che ciascuno deve cucire la sua propria camicia», recita una massima kierkegaardiana), l'individuo persuaso - all'apice del suo percorso difficile sulla via della Persuasione, ch'è l'entelechia etica - preferisce la relazione plurale. Il che è come dire che lorizzonte etico e politico, la cui liceità vien prima messa in discussione e quindi definitivamente annichilita dall'atto di fede, è invece il presupposto essenziale dell'agire persuaso: l'eteronomia dell'assurdo comando divino di uccidere Isacco viene condannato dal vir sia in quanto eteronomo, sia in quanto (e soprattutto) lesivo della dignità, prima che della persona, dell'altro. Certo, quando Kierkegaard scrive "morale" vuol far intendere l'universale (il Generale) hegeliano: eppure, il sacrificio dell'altro non ha attenuanti, per quanto l'amore che ci lega a quell'altro possa superare noi stessi, e quindi valorizzare in maniera estrema quel sacrificio. Insomma, a fronte della visione "veterotestamentaria" che ancora avvolge l'assunto kierkegaardiano, e che lega il credente ad un Dio-che-mette-alla-prova e pretende assoluta dedizione (il sacrificio di Isacco) in un rapporto di insostenibile disperazione, M. aggiorna la propria prospettiva - rendendola ancora più personale - in direzione neotestamentaria, di un (Dio)Cristo incarnato che non chiede l'altrui sacrificio, ma sacrifica se stesso, in un progetto di redenzione e perdono. Lo stato di grazia divina raggiunta da Abramo, allora, perde di senso a confronto dello stato di "grazia umana" di cui il vir è scrigno e portavoce. O, quantomeno, si pone su un altro livello di senso: di qui la cautela annunciata. Incomunicabilità, dunque. E' questa vicendevole «impenetrabilità degli spiriti», come la chiamava Croce, questa impossibilità di completa osmosi o "simpatia" razionale ed emotiva che sembra compromettere ogni possibile ricerca (in senso ampio) condivisa, ogni comunicazione autentica ed integrale con gli altri a riguardo delle proprie esperienze fondanti: un'impenetrabilità che potrebbe facilmente degenerare in un'anarchia pericolosa del pensiero e delle verità, ma che allo stesso tempo ci protegge, non ci rende completamente esposti all'altro, e dunque vulnerabili. Una comoda corazza rettorica, così avvolgente, così sicura, così esclusivamente nostra. Il Persuaso avverte il bisogno di svincolarsi da quell'ingannevole egida, di tentare un punto di incontro, di recuperare un orizzonte condivisibile, di senso e di esistenza, perchsolo nella comunione con gli altri si realizza la vera felicità, e non nelle zone di franchigia della Rettorica. La posta in gioco è immensa: la scommessa è la trasposizione "urbana" e umana della scommessa di Pascal, e addirittura più avvincente, perché più pericolosa, essendo in gioco non la felicità in un'altra vita, presunta o vera che sia, bensì la felicità nel mondo che abitiamo e nell'esistenza che conduciamo, ché solo essa, qui e ora, ci appartiene '?”. La schiera dei Persuasi è tale perché ha attinto questa verità: la loro forza è nell'aver mosso il primo passo verso quell'incontro con gli altri, fondando quel loro atto nel sacrificio di sé, che è più un donarsi che un sacrificarsi, un atto gratuito - presupposto ineludibile - che non pretende di essere contraccambiato, perché conosce e perdona la debolezza e la miseria degli uomini, e pur accorda loro la fiducia, la persuasione appunto: «l'attività che non chiede è il beneficio, che fa non per avere, ma facendo dà» [PR 42]. Scrive bene Eugenio Garin", a questo proposito: «Il consistere [ovvero, la Persuasione] è veramente il salto oltre il mondo della violenza, dell'asservimento, verso la vita vissuta non contro, ma con gli altri e con le cose». 137 Forse questa allusione, velatamente critica, al pari non rende giustizia alla portata autentica del tentativo di P ascal: che è proprio quello di conquistare profondità e felicità all'esistenza umana, nel mondo, seppur fondandola nell' "azzardo" trascendente (cfr. il famoso pensiero 377, su quell'essere "nobile" ch'è l'uomo, "canna che pensa" [P ascal, Pensieri a cura di P. Serini, Mondadori], e lo si integri appunto con l'argomento della "scelta di Dio" [cfr. pensiero 164 "Infinito, nulla", ib. pagg. 123 - 129]). «170. Obiezione. Coloro che sperano nella loro salvezza sono per quest'aspetto felici, ma, in cambio, soffrono per la paura dell'inferno. Risposta. Chi ha maggior motivo di temere l'inferno: chi ignora se ci sia un inferno e vive nella certezza della dannazione, se c'è, oppure chi vive nella sicura convinzione che c'è un inferno e, se questo esiste, nella speranza di salvarsi? » [ib. pagg. 130-131] Diversamente, la Rettorica della fede (nelle posizioni e nelle istituzioni che ha assunto) ha sempre e volentieri strumentalizzato l'argomento della "scommessa" come alibi di una promessa o di una dannazione eterna; alibi volto - in questo gioco angoscioso - a svalutare la componente "terrena" ed autonoma del credente, e funzionale ad una migliore "gestibilità" dello stesso, in coerenza con la propria logica di dominio delle coscienze e soprattutto dei corpi. 138 E, Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Ed. Riuniti, 1974, pag. 98. 139 Due spettri si aggirano nella critica M.iana, e rispondono ai nomi di Giorgio Brianese ed Emanue Severino; quest'ultimo elogia la tesi del primo come «lo studio migliore oggi esistente in Italia sulla filosofia di Carl M.». Brianese, in un passaggio tanto preliminare quanto fondamentale della sua tesi, scrive: «M. pensa una sola cosa: l'autenticità dell'esistenza, che egli connota come esistenza "persuasa"; oltre la quale è la "rettorica", la valenza inautentica dell'esistere, la quale va smascherata come una situazione che bisogna oltrepassare. Nell'oltrepassamento della rettorica va rintracciato l'unico dovere al quale l'uomo è indubbiamente chiamato. E tuttavia M. resta, suo malgrado, prigioniero di quella che egli crede sia l'inoltrepassabile polarità di persuasione e rettorica. Prigionia che discende, primariamente, dal permanere tanto della persuasione come della rettorica all'interno della logica del dominio e della violenza. Con l'unica differenza che la rettorica è inesa da M. come quella modalità depotenziata della volontà che non sa conseguire quello che vuole (sì che il suo possesso è, dal punto di vista della persuasione, una mera illusione di possesso), mentre la persuasione è quell'atto della volontà che mette in opera il massimo del dominio concreto (anche se va chiarito sin d'ora che, nell'atto stesso in cui tenta questa realizzazione, la persuasione attua pure l'annientamento dell'esistenza). Anche se, esplicitamente, la persuasione intende porsi come toglimento radicale della rettorica, tuttavia l'atto decisivo del persuaso non esce dalla logica volontaristica che caratterizza la rettorica (perché è l'atto con il quale il persuaso vuole il dominio più vasto); e dunque anche la sopraffazione non può che ripresentarsi come figura del dominio, della separazione, della violenza, la sua differenza con la rettorica consistendo unicamente in questo: che essa ottiene ciò che quella meramente si illude di o D La morte di Cristo e di Socrate vale, così, più di mille risposte all'interrogativo "che cos'è" il bene. Itti, l'ipostasi autobiografica di M.'‘°, che si rituffa nel mare, è lo schiavo platonico che torna nella caverna, sapendo di rischiare il linciaggio, eppure desideroso, più di ogni altra cosa, di comunicare la verità ai suoi sfortunati compagni e condividere con loro la gioia di quella conquista, foriera di liberazione. Il dramma, allora, della fiducia disattesa? Nient'affatto: la sofferenza è nel cammino di rinuncia di sé che porta all'atto del donarsi, non nell'atto stesso, o ad esso posteriore: il Persuaso, giunto all'apogeo della sua consapevolezza, non si aspetta alcuna risposta dagli uomini, non si attende adesioni, né apprezzamento: è una possibilità che non pone neanche in conto. La sua gioia non è conseguente al sacrificio, è nel sacrificio: una gioia paradossale e insensata ad uno spettatore retorico, pago e cinico, e che invece, nell'ottica persuasa, rappresenta la discesa dall'Iperuranio di quell'idea di bene, vero e bello che si fa carne e sangue, consiste, permane in eterno presente, in un attimo che trascende il tempo, nelle persone che la vivono fino in fondo. Gli dei, e le idee, finalmente, scendono e vivono tra gli uomini. Attraverso l'attività verso la pace. L'«acerbità» di M., dunque, non è la mancata refrattarietà filosofica che lamenta il Piovani''; se proprio di acerbità della Persuasione si deve parlare nel ottenere. Il persuaso, non meno del rettorico (ed anzi: molto di più di lui) permane saldamente nell'ambito della volontà di potenza, proprio perché "persuaso" è colui che si propone la messa in atto della maggior violenza al fine di ottenere il massimo del dominio: il dominio della totalità. Ed è tuttavia, il persuaso, un trionfatore che non si avvede dell'essenziale incongruenza esistente tra ciò che ci si propone di ottenere (il dominio del tutto) e i mezzi messi in opera per il conseguimento del voluto (il raggiungimento di una unità-identità del tutto che blocca definitivamente la pretesa stessa del dominio). Donde l'inevitabile dello scacco e il suicidio». [G. Brianese, L'arco e il destino. Interpretazione di M.., Abano Terme, Fravisci editore, 1985, pagg. 10-11; | corsivi sono dell'autore del brano, che ce li ha assecondati] Il nostro dissenso, rispetto tali conclusioni, è totale: il critico e il suo mentore, evidentemente, confondono il vir col superuomo nicciano, e addirittura nell'accezione più becera, quella della vulgata nazionalsocialista. Per una lettura opposta, e a questo punto salutare, del messaggio M.iano consigliamo il bellissimo testo di Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa (ora disponibile nell'ed. Cappelli, 1990). Ma consigliamo anche di cfr. il nostro appunto sulla "variante" nicciana e le conclusioni alla nostra tesi. 140 cfr, S, Campailla, Pensiero e poesia..., cit., pag. 85. 141 «Il fatto è che il ‘caso M.', nella dimensione in cui è veramente tale, non riguarda tanto la cronaca di una vita interrotta o di una fortuna critica mancata, quanto una storia da cui ogni storiografia rifugge: la storia dell'acerbo come tale. Per ogni storia, l'acerbo è il momento germinale di una maturazione che si annuncia e si attua. Di fronte a vite eccezionali, che si realizzano nell'acerbità scegliendola o accettandola come unico spazio temporale, bruciando nella brevità l'interezza vitale, la storia è disorientata. Da un lato deve registrare una maturità precoce, dall'altro deve costatare i limiti insuperabili, biologici, psicologici, intellettuali, di quell'acerbità culturale e biografica. La filosofia di M. è stata poco ‘storicizzata' proprio per questo: la storia dell'acerbo è poco storicizzabile. [...] Ma non bisogna farsi troppe illusioni: l'acerbità rimarrà un ostacolo spesso invincibile alla coerente storicizzazione e continuerà ad invitare, con seduzione tentatrice, a un'esegesi che trovi sistematica coerenza unitaria anche dove essa non può esserci» [P. Piovani, M.: filosofia e persuasione, cit., pp. 212-213]. L'autorevole giudizio del Piovani, condivisibile o meno nella sua sostanza, ma che ammette concessioni anche a dispetto della matrice filosofica che lo fonda, si riflette purtroppo (ovviamente volgarizzato) nella cattiva "Storia della fortuna" M.iana. Volendo, solo a facile riprova, dare una scorsa ai famigerati manuali scolastici, si potrebbe notare come il giovane goriziano risulti malamente emarginato sia dalla storia ufficiale della filosofia - evidentemente perché ritenuto "acerbo" come filosofo, e come tale delegato ai colleghi di lettere - sia dalla storia ufficiale della letteratura - Goriziano, essa consiste piuttosto nel fatto che egli si lascia prendere dallo sconforto, da un'amara perplessità che lo combatte e lo sfianca'*: il Persuaso, di contro, non si sconforta, anzi conforta (il verbo da riflessivo si traduce in transitivo), oltre e dopo tutto, sempre e comunque. Quell'equilibrio di falco [PR 68], che è una delle immagini più belle e ardite del vir, M. lo presentì, lo intravvide, talora gli fu tanto vicino da sfiorarlo, ma alla fine non seppe attingerlo, o almeno non seppe assumerlo fino in fondo, in tutte le sue lancinanti e complicate conseguenze! . Quell'equilibrio di falco, ancora, che è possibile rendere - anche noi un escamotage matematico, come per il giovane tesista - con un'immagine tratta dalla chimica fisica: quella di equilibrio dinamico, un equilibrio che si realizza nel trapassare nascosto (non evidente all'occhio umano), ma reale, di una sostanza entro i confini dell'altra, e viceversa. E' l'impercettibile, ma costante, trapassare della vita nella morte e della morte nella vita, come recita il celebre Canto delle crisalidi [PP 54-55], un'amena litania dai labili contorni orfici'‘*, quasi a richiamare quell'identico equilibrio dinamico, e perciò tragico nel suo evidentemente perché ritenuto "acerbo" come scrittore, e come tale delegato ai colleghi di filosofia. Un rimbalzo di competenze davvero esilarante. 142 Un esempio per tutti: M. immagina (auspica?) un ritorno di Gesù tra gli uomini: eppure, si dimostra convinto che, al punto in cui è giunta la Rettorica, «se Cristo tornasse oggi, non troverebbe la croce ma il ben peggiore calvario d'un'indifferenza inerte e curiosa da parte della folla ora tutta sufficiente e borghese e sapiente - e avrebbe la soddisfazione di essere un bel caso pei frenologi e un gradito ospite dei manicomi -» [PR 126, in nota]. 143 Ci siamo già ripromessi di non esprimere, per una sorta di rispetto e di affetto, e per una palese difficoltà oggettiva, alcuna valutazione sul suicidio di M.. Campailla fa altrettanto; ma come lui, se proprio dobbiamo cedere alla tentazione di esprimere un giudizio, al di là delle interpretazioni psicoanalitiche o metafisiche che di quel suicidio si sono date, e che ne impoveriscono sicuramente la portata, ci sentiamo di condividere le conclusioni del Ranke, il quale ascriveva quell'atto «"non ad un compimento, ma ad un cedimento" rispetto alla sua [di M.] posizione teorica, ormai vittoriosa di quell'estrema "rettorica della morte" riconosciuta nel suicidio» [cfr. S. Campailla, Pensiero e poesia..., cit, pagg. 136-137], Detto per inciso, «l'avvincene lettura dello studioso tedesco, innestando con energia la meditazione di M. sul ceppo comune della filosofia dell'esistenza [...], traeva forza singolare per procurare alla figura del Goriziano quella cittadinanza internazionale il cui tributo tarda ancora e che tuttavia sembra spettargli di diritto». [ib.; la lettura cui fa riferimento Campailla è contenuta in J. Ranke, Il pensiero di Carlo M.. Un contributo allo studio dell'esistenzialismo italiano, in Giornale critico della filosofia italiana, XLI, 1962, IV, pagg. 518-519] 144 Piero Pieri appronta una bella e dotta analisi di questo testo cruciale nel capitolo "Il canto delle crisalidi: il ‘pensiero poetante' e le crucialità dell'ipertesto" [cfr. P. Pieri La scienza del tragico. Saggio su Carlo M.. Cappelli, Bologna 1989]. L'approccio del critico, che condividiamo appieno, «intende sottolineare la posizione tematica del testo, rispetto alle prove del pensiero maturo (La Persuasione e il Dialogo della salute) e rispetto ad una lirica del 1910 (Risveglio)»: nella lirica, «'la morte nella vita' e 'la vita nella morte' indicano uno stadio binario dell'esserci dentro il quale l'uomo vive una preagonica condizione, irrisolta e malinconicamente rassegnata; uno 'stadio binario' che "mostra i segni di una condizione generale spossessata di una identità sicura che non sia quella arida ed elementare della vita depressa dalla inerte polarizzazione della morte che filtra nella vita, ma non l'affranca, e della vita che si avvolge nel manto della morte senza che ciò porti al martirio o alla illuminazione » [come invece, aggiungiamo, avverrà nelle opere e nella vita dell' "ultimo" M.]. «Nel testo appare invece preponderante il concetto indeterminato della vita il cui palpito di morte non produce tuttavia istanze liberatorie», continua Pieri, tale che «[...] l'uomo-crisalide indica lo stadio bilicato dell'esistenza non più larva, ma neppure farfalla di persuasione ». E conclude richiamando l'immagine "speculare" dell' "uomo-insetto" ontenuta in Risveglio [PP 69-70] e istituendo una suggestiva comparazione con testi similari di D'Annunzio, Tennyson, Coleridge, dai quali - presumibilmente - il sintagma "la morte nella vita" ha avuto la genitura agonismo, che sussiste tra apollineo e dionisiaco nella visione nicciana della Nascita della Tragedia. Ma la crisalide nicciana eromperà in una metamorfosi dell' "uomo nuovo", l'oltreuomo, figlio di una «superfetazione» del dionisiaco; tentativo di recuperare quel dionisiaco inutilmente perseguito, perché oramai irrimediabilmente contaminato e dunque privo della forza e della genuinità (della "bontà') originarie“. Di contro, l'individuo persuaso romperà il bozzolo della Rettorica, in un'effusione di vita autentica che, a quelle analoghe, ma deliranti, tessute dal filosofo tedesco, assomiglia evidentemente (e neanche troppo) solo per la terminologia. Se l'oltreuomo nicciano si brucia nella rottura di un equilibrio, trtasbordando nel polo dionisiaco, il vir aspira - come sua completezza - al restaurarsi di un nuovo equilibrio, tra sé e il mondo. Detto questo, si tratta ora di contemperare una certa sregolatezza espositiva con una sana iniezione di metodo, in un'amena oscillazione tra i due livelli che condividiamo volentieri col nostro autore. Due conclusioni provvisorie: gli esiti possibili del Persuaso autarchico e del vir politico. Il momento di passaggio tra le due ipostasi. Cominciamo allora col tirare dei bilanci, anche se provvisori, e cerchiamo d'approntare delle definizioni icastiche di Persuasione. L'operazione, che può apparire azzardata e che in certo modo sconfessa quanto pronunciato finora riguardo l'ineffabilità della Persuasione stessa, ci permetterà di uscire dal vizioso e irritante diallele persuaso: e le conclusioni stesse si prestano a nuove aperture. Abbiamo marcato stretto, durante la nostra indagine, il vir, abbiamo preferito accostare la condizione persuasa partendo dagli esiti ultimi della sua fenomenologia: nell'epistolario e nelle poesie di M. abbiamo, dapprima, scoperto la Persuasione nella sua già ri-stabilita armonia con il mondo, nella sua realizzazione "politica" in Enrico Mreule; una realizzazione, come ci è parso, non del tutto pacifica, non senza rischio, eppure compiuta: la monade persuasa che vive la relazione con le "altrui vite" (degli uomini e delle cose), e viceversa - in un reciproco, spontaneo, donarsi. Con un passo indietro, poi, abbiamo cercato d'individuare l'apriori di tale condizione: considerando le prime pagine de La Persuasione e la Rettorica, abbiamo concentrato la nostra attenzione piuttosto sulla Persuasione prima della sua Incarnazione, more ispiratrice. Ci piace soprattutto il riferimento a La ballata del vecchio marinaio di Coleridge, laddove l'ossimoro morte-vita si innesta sul motivo del mare. 145 Rivolgiamo, contro Nietzsche, ribaltandola, l'accusa ch'egli stesso rivolge a Socrate, l' «individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata così eccessivamente quanto lo è la sapienza istintiva del mistico» [cfr. Nietzsche, La nascita della tragedia, in Opere Complete, vol. I, ed. Newton, a cura di F. J esi, pag. 153]. Per un approfondimento della questione, rimandiamo - ancora una volta - all'integrazione sulla variante nicciana della Persuasione. geometrico demonstrata. Ovvero, potremmo dire che abbiamo tracciato dapprima un "nuovo testamento" della Persuasione (il vir come Cristo) e quindi un "vecchio testamento": il Persuaso come nel tetragramma YHVH, «lo Sono colui che E'» - nella ‘consistenza’ - o meglio «lo Sono Colui che fa essere», «lo Sarò colui che Sarò»!#9. Abbiamo visto, altresì, che alla scandalosa domanda della Rettorica - «Che cos'è la Persuasione?» - la Persuasione risponde come Dio alla domanda di Mosè: «Eiè asher Eiè». L'Identità, la tautologia della Persuasione. Il Nome della Persuasione. Il Nome, l'Identità: il nome è identità: nell'ebraismo il nome identifica tutte le caratteristiche di un individuo o di un oggetto: la storia dell'uomo nella Bibbia comincia con Adamo che dà i nomi a tutte le cose che lo circondano. Ma l'identità deve uscire dalla sua solitudine, deve calarsi nell'esistenza degli uomini: deve legarsi, in un certo modo, alla libertà. Il vir nuovo Adamo, darà nuovi nomi alle cose, ovvero reciderà i legami della «valenza» (il falso valore che le cose e gli uomini detengono nel falso, reciproco legame dell'eteronomia) e riscoprirà - per sé e per esse - un nuovo "valore", una nuova dolcezza: le valuterà per ciò che esse stesse veramente sono, le rispetterà ricollocandole nel loro luogo naturale: un'armonia di rispetto e comunione si ristabilisce nel mondo, durante e per mezzo di questo rinominare le cose. L'esodo può condurre ad una festa. Non a caso, ci sembra a questo punto, il libro della Torah, che si occupa della "identità" legata alla libertà, non si chiama Esodo, ma appunto Shemot, Nomi. a) Il Persuaso come «id, in quo plenitudo inhabitat corporaliter» (risvolto autarchico: la Persuasione acerba). Chi vede J ehovah, muore! Agnes, nel Brand, citando le Scritture Scrive M. che la Persuasione non può essere vissuta: essa è «impossibile», è l'Impossibile (c'è chi direbbe il Mistico), di un'impossibilità che l'uomo condivide con «la vita inorganica delle cose». Solo il dio è persuaso («ev ouvveyeg il persuaso: il dio»). E, di contro, «se non è il dio, è il sasso», ovvero l'alternativa esclusiva alla Persuasione è nient'altro che la Rettorica, e nella prospettiva "inadeguata" c'è consustanzialità tra sasso e uomo, entrambi «infinitesimale coscienza della relazione infinitesimale ». Già in questi accenni fugaci, precedentemente riferiti, M. scolpisce un assunto che abbiamo ritenuto assiomatico nell'economia della nostra linea interpretativa: il regno della Rettorica coincide con tutto il regno del reale, del sublunare: esso coincide col manifestarsi di ogni realtà, e pertiene ad ogni realtà, animata ed inanimata, consapevole 146 | Maestri ci fanno notare che in ebraico non esiste il presente del verbo 'essere' perché solo Dio è nel presente. Per M. il vero, unico presente è quello della Persuasione: gli uomini rettorici vivono sfilacciandosi nel futuro, o nel passato. ed inconsapevole, razionale ed irrazionale (con la differenza - come vedremo - che nell'uomo la Rettorica si complica e si rinvigorisce, diviene "sapida" col "sale della ragione"). In modo identico, ogni ente sublunare aspira alla Persuasione. La Persuasione, dal canto suo, è possesso presente e stabile e assoluto della propria vita; ma «se si possedesse ora qui tutta e di niente mancasse, se niente l'aspettasse nel futuro, non si continuerebbe: cesserebbe d'esser vita»: «la vita sarebbe una, immobile, informe, se potesse consistere in un punto». La vita stessa della Persuasione sarebbe, dunque, non-vita, «xfioc Biog», vita che non è vita. Se la vita è mancanza («deficienza») e insieme volontà di compensare tale mancanza; se questa volontà «è in ogni punto volontà di cose determinate», e come tale si proietta nel tempo (nel futuro), poiché «la soddisfazione della determinata deficienza dà modo al complesso delle determinazioni di deficere ancora»; se la vita è tutto questo, appare chiaro come la Persuasione («una, immobile, informe ») in questo senso non è vita. Alla luce di tutto ciò, proponiamo di definire la Persuasione, o meglio il "Persuaso", come «id, in quo plenitudo inhabitat corporaliter». Adottiamo questa circonlocuzione latina, mutuandola, e opportunamente flettendola, da Rabano Mauro a proposito del «caelum caeli»: «Caelum autem iuxta allegoriam aliquando ipsum Dominum salvatorem significat, ut est illud Caelum caeli domino (Ps. 113, 16), quia Sanctus sanctorum et Deus deorum; ita et iam caelum caeli recte ipse dicitur, in quo plenitudo divinitatis inhabitat»; e soprattutto, da Agostino: «Videte, ne quis vos decipiat per philosophiam et inanum seductionem secundum traditionem hominum, secundum elementa huius mundi et non secundum Christum, quia in ipso inhabitat omnis plenitudo divinitatis corporaliter», [Confessioni 111, 4]; e Ambrogio e altri. Da notare che gli autori suddetti utilizzano tale espressione per tentare una perifrasi di Cristo (e per M., per l'appunto, Cristo è un Persuaso). Analizziamo il senso dell'espressione: - id, in quo: preferiamo utilizzare il neutro, perché, secondo la nostra ipotesi di lavoro, la Persuasione "non è maschile né femminile" [neu+uter, nessuno dei due], ovvero non è prerogativa esclusiva dell'essere umano, ma appartiene ad ogni ente sublunare; - plenitudo: il termine oscilla tra "pienezza" e (nel senso della Vulgata) "perfezione" [temporis, potestatis vel divinitatis: temporis atque potestatis, la "plenitudo" secondo le coordinate del tempo e dello spazio, vel divinitatis]; - inhabitat. intensivo di "habito", a sua volta frequentativo di "habeo": rende bene, a nostro avviso, la "permanenza pregnante", l' "eterno presente" che è nel (che è il) Persuaso, tutt'altro che il semplice presente, ch'è l'attimo esistentivo del nunc. Ora, il risvolto politico (che poi risvolto politico non è) del Persuaso autarchico ci sembra essere costituito dall'ibseniano Brand, la traduzione drammaturgica del "cavaliere della fede" kierkegaardiano (di cui sopra). Ibsen descrive la vita del suo personaggio come un inferno, seppur la sua aspirazione è la salvezza. In ciò ci appare chiara la posizione polemica dello scrittore norvegese di fronte a questo esito estremo (alla turris eburnea) della Persuasione "autarchica", anche se - in fondo - egli ricopre la sua creatura di un'aura di sacro, perplesso rispetto (come non associargli, in questo senso, un'altra figura emblematica, l'insigne sinologo Peter Kien, dell'Auto da fè di Canetti?). Brand significa "incendio", e «far di se stesso fiamma» è, per M., l'imperativo poetico dell'agire persuaso. Il fuoco della predicazione, ma anche il senso di un destino (il nome e l'identità). Brand è un pastore di anime, una persona che intende riformare l'umanità attraverso un rigore religioso totale e una volontà inflessibile, che applica a se stesso e agli altri; è un uomo di fede estrema, di una religiosità tutta sua, in cui la compassione e il perdono cedono il passo per raggiungere una meta prefissata: redimere il mondo alla luce del monito manicheo «o tutto o nulla» (è il monito della Persuasione): «La vittoria suprema sta nel perdere ogni cosa. La sconfitta, la perdita di tutto, è la vera grande vittoria. Solo ciò che si perde, si possederà in etemo»'*; o ancora: «Quanto durerà la lotta, volete sapere? Ebbene: tutta la vita! Fin quando avrete sacrificato tutto, fin tanto che avrete rotto ogni compromesso... E quanto costa la lotta? Tutto: tutti quanti i beni della festa, del dì di festa... E i vantaggi? Purezza di spirito, fermezza di fede, un'anima sublime! Una corona di spine sulla vostra fronte: questo è il vostro premio!» [B 76]. Brand è pronto a sacrificare allo spietato Dio biblico che si è raffigurato tutto ciò che ha di più caro, anche i sentimenti più semplici e più naturali: il suo unico figlio (quasi a ripetere l'orrendo sacrificio di Isacco), la moglie, la madre. Il pastore sa a cosa va incontro, ne è consapevole: ma è altresì convinto che mancare la propria missione significherebbe una viltà o un atto di diserzione davanti al proprio, irrinunciabile dovere. Per lui tutto, tutto il resto non è che feticismo ed idolatria. Dopo la morte della moglie, Brand decide di innalzare un nuovo tempio, più grande e più degno, a Dio. Ma quando infine la chiesa è stata costruita e sta per essere consacrata, egli getta via la chiave, perché sente che quella non è la vera casa di Dio e che lui stesso non può accettare il compromesso di sottomettersi all'autorità della Chiesa di Stato. Alla guida di tutto il popolo, il pastore allora si avvia verso la montagna e verso la Chiesa di Ghiaccio situata tra le nevi eterne, promettendo, a chi vorrà seguirlo, di condurlo sulla vera via del cielo. La folla dapprima lo segue, con entusiasmo ed esaltazione; poi, spaventata dai disagi cui va incontro, lo abbandona e lo lapida quale falso profeta. Egli rimane così, solo ed indomito, impassibile anche di fronte alla visione celeste della moglie che lo invita a recedere dalla sua durezza e ad accettare la più umana via del compromesso. Nell'ultima scena, tuttavia, di ambigua interpretazione e piena di chiaroscuri, prima di essere travolto da una valanga, il pastore si chiede, riuscendo finalmente a piangere dopo tanta rigidezza, se non abbia sbagliato tutto. E una voce, che sovrasta il fragore della valanga, inneggia al Deus Charitatis e denuncia il fallimento della sua vita. Il fallimento della Persuasione autarchica. Ora, a nostro parere, la Persuasione e la Rettorica deve moltissimo al Brand: del resto, la sorella di M., Paula, insiste sull'enorme impressione che il dramma fece sul nostro autore’. 147 Cfr. Ibsen, Brand, in Ibsen, Tutto il teatro, cit., IV vol. pag 61. Le citazioni tratte dall'opera saranno segnalate, nel corpo del testo, con la notazione B cui segue il numero di pagina relativa. 148 E' quanto ci rivela Paula M. Winteler in un passo importante dei suoi Appunti per una biografia di Carlo M., contenuti in appendice al volume di Campailla Pensiero e poesia..., cit, ovvero alle pagg. 147-164. Riteniamo opportuno riportare per intero lo stralcio in questione [pagg. 161-162, corsivi dell'autrice], anche per rendere un'idea di quanto "brandiano" stesse rischiando di diventare lo stesso Goriziano: «Non leggeva più molto [la Winteler sta parlando dell'ultima fase della vita del fratello]: rilesse in quell'anno Ibsen che conosceva già e di cui era sempre più appassionato. Di tutti i drammi quello che l'aveva fatto più pensare era Brand e nel suo volume ci sono nel margine delle pagine molti commenti. A poco a poco, come semplificava il suo genere di vita, il suo modo di sentire, [Carlo] si limitava nei bisogni, nel nutrimento che era diventato sempre più sobrio, così si liberava da tutta l'inverniciatura venuta dal di fuori, da tutta la scienza infusa, da tutte le influenze ataviche, era come se si stesse riformando da sé un'altra volta. Così pure andava man mano eliminando dal suo repertorio gli autori riducendoli a pochi scelti. In una delle sue carte che si trovò sul suo tavolo fra gli appunti della tesi c'era scritto a matita: Bibliografia oppure: Dio ama gli analfabeti: 'Invece di leggere suonate o fatevi suonare della musica di Beethoven, perché gli orecchi non vi potrebbero far altro miglior servizio. - Gli occhi non sono fatti per legger libri. Ma se li volete ad ogni costo abbassare a questo servizio, leggete: Parmenide, Eraclito, Empedocle, Simonide, Socrate (nei primi dialoghi di Platone), Eschilo e Sofocle. - L'Ecclesiaste, e i Vangeli di Matteo, Marco e Luca - Lucrezio - De rerum natura -, i Trionfi del Petrarca e i Canti di Leopardi, Le avventure di Pinocchio del Collodi - i drammi di Enrico Ibsen. E non leggete mai altro, soprattutto nessun Tedesco, se avete cara la vostra salute, ché quelli sono contagiosi in vista (come i giornali, le riviste, i libri di scienze)”. Questo passo è importante, tra le altre cose, perché ci indica (insieme con la prefazione alla tesi) la "bibliografia ideale" con cui è possibile tentare l'accosto a M. (interessante il riferimento al Finocchio di Collodi). E perché ci testimonia, in certo modo, il disfattismo che pare attanagliare l' "ultimo" Michlestaedter, che pare far sue le parole del suo amato Brand: «Sono stanco: si combatte, si combatte, e sempre senza speranza» [B 67]. A parte questo, M. stesso esprime, più volte e a chiare lettere, il suo enorme debito di riconoscenza nei confronti di Ibsen: in una lettera alla madre, dell'aprile 1908, ad esempio scrive: «[...] ho letto quasi tutto Ibsen. Quello è un uomo, perdio! m'ha fatto pensare e mi fa pensare ancora. Certo dopo Sofocle, è l'artista che più m'è penetrato e m'ha assorbito. E' un grand'uomo [... J»; altrove scrive che il Norvegese lo «fa fremere e vibrare come una corda al minimo soffio». Infine, in un importante articolo per Il corriere friulano [contenuto in O pagg. 652-654 passim], scritto per celebrare l'ottantesimo compleanno di Tolstoj, M. costruisce un intenso ed originale parallelo tra Ibsen e lo scrittore russo: «Ibsen vuole dall'uomo che egli sappia rompere la cerchia di menzogna che lo stringe, che sappia volere la sua verità,che sappia farla trionfare; egli deve combattere la menzogna che è in lui ed educare la volontà alla lotta. Il processo psicologico può isolversi così con pochi individui rappresentativi o simbolici quali li vediamo negli ultimi drammi ibseniani. Tolstoi non chiede all'uomo la lotta, ma la devozione; egli deve saper resistere alle seduzioni della società che egli giudica basata sul falso e sulla prepotenza; egli deve uscirne e abbandonarne del tutto il sistema di vita; la sua maggiore attività egli non la deve spendere a preparare se stesso a far trionfare sugli altri le proprie idee e a trasformare la macchina sociale, ma deve devolverla a riparare i mali che la società produce sulle classi povere facendo del bene, aiutando, consigliando. - E' quindi necessaria la rappresentazione viva della società nel suo complesso». Questi due autori «non s'accontentarono di esprimere le sensazioni superficiali della loro anima, ma ne scrutarono le profondità per cavarne la nota più alta. - Entrambi presero pel petto questa società soffocata dalle menzogne e le Infatti, le parole di Brand risuonano con tutta la loro forza nelle parole di M.: pur non intendendo istruire parallelismi "alla lettera", ci sembra opportuno, a tal proposito, richiamare alla memoria talune affermazioni "forti" di Brand: «Il mio canto festivo tace; bisogna scender dal cavallo alato; ma io vedo una meta più alta, che non sia una giostra di cavalieri, - un duro lavoro quotidiano, il dovere di una vita attiva, verrà nobilitata con un'opera santa» [B 30]. Oppure: «Dove non c'è forza non c'è missione. [...] Se non puoi essere ciò che devi, sii almeno ciò che puoi [...}» [B 24]; «se darai tutto, tranne la vita, sappi che non avrai dato nulla» [B 23]. O ancora: «Quali sono i peggiori, i più ribelli? Chi si svia più lontano dalla pace?.. Lo spirito leggero incoronato di fronde che danza sull'orlo del precipizio... lo spirito fiacco che segue la strana monotona perché così vuole l'usanza... lo spirito selvaggio che possiede tanto vigore da far apparire bello ciò che ha tutte le apparenze del male? Lottiamo, lottiamo senza tregua contro questi tre nemici tra loro alleati. lo vedo con chiarezza la mia missione; brilla come un raggio di sole attraverso uno spiraglio socchiuso» [B 17]; o infine: «No, sono sano e forte, come il pino e il ginepro dei monti; ma è la razza malata di questi tempi che ha bisogno di essere curata. Voi volete amoreggiare, scherzare, ridere, volete credere un poco, ma non vedete... volete caricare tutto il peso del fardello su di uno, che vi è detto sia venuto per prendere su di sé la grande espiazione. Per voi prese la corona di spine, e perciò vi è permesso danzare... danzate... ma dove la danza conduca è un'altra cosa, amico mio!»; «abbiamo perduto ogni traccia del nostro sentiero»; «E' la ‘volontà' che conta! La volontà o redime o uccide, la volontà, intera, disseminata dappertutto, nella vita facile e nella vita dura» [B 13, 8, 30]. Già nel dramma di Ibsen, dunque, M. trovava tracciata la linea discriminante tra il Persuaso e il Rettorico, e - soprattutto- ritrovava la rigorosa e paradossale etica che segnava quella discriminante (anche, ad esempio, nelle antitetiche figure del falco e dell'avvoltoio, che presenziano già in Ibsen all'autentico e all'inautentico!'‘). Ma se anche Brand parla di amore, di sacrificio, si tratta tuttavia di un amore e di un sacrificio eteronomi, perché vincolati alla terribile ingiunzione di Dio, destinati ad esiti altrettanto terribili: nell'attuare il suo personale piano di redenzione, il pastore di anime sacrifica i suoi cari, attraverso la parvenza del sacrificio di se stesso. Brand non rispetta la gridarono in faccia: verità! verità!» [e, secondo M., ciò in modo diametralmente opposto di quanto facessero invece i maestri del Decadentismo, Oscar Wilde e D'Annunzio, sopra tutti]. 149 Cfr. ad esempio: Gerd: «[...] l'avvoltoio non entra là dentro [scil. nella chiesa]; si posa sul Picco Nero e là sta, la brutta bestia, come una banderuola... [... |» [B17]; vita delle persone che gli sono accanto. Le sue intenzioni, invero, sono sincere, coerenti alla sua fede: egli lotta sinceramente per la salvezza. Ma la sincerità e la coerenza si volgono in distruzione e fallimento, perché il suo amore non è l'amore caritatevole, come gli rivela la voce di Dio, nel finale: il suo amore è severo, esclude e castiga. Il vero amore è perdono e conciliazione; vuole casomai il sacrificio di se stessi, non mai dell'altro uomo. Il Persuaso deve aprirsi agli altri, non può vivere nell'esclusività della sua Persuasione, tanto "masochista", quanto "sadica". II suo consistere dev'essere un coesistere. Nello stesso dramma ibseniano, in una delle scene più intense ed enigmatiche (siamo nell'Atto II), l' "Uomo delle Apparizioni" si rivolge a Brand con parole come di rimprovero, volte a richiamarlo alla comunità: L'Uomo: «Mille parole non valgono la traccia dell'azione. Noi ti cerchiamo in nome della comunità; lo vediamo, ci manca proprio un uomo». Brand (agitato): «Cosa volete da me?» L'Uomo: «Sii il nostro prete» [B 23]. L'Uomo delle Apparizioni è la persuasione matura che parla alla persuasione acerba, il demone che chiama alla "conversione politica" e alla realizzazione del Verbo nella comunione con le altrui vite, che è la vera Persuasione. L'acerbità della persuasione permea il lavoro accademico di M.. Egli stesso ne fu a suo modo consapevole, come visto. Chi ha ingoiato una sorba amara convien che la risputi, scrive, sin dall'inizio. Il giovane filosofo non vide l'ora di terminare la sua tesi (l'ultimo compito rettorico che gli era rimasto), per far le sue parole azione, per donarsi definitivamente al mare. b) La Persuasione come francescanesimo laico (risvolto politico: la Persuasione matura). Il loco della Persuasione, «il qualunque punto dove uno è, purché vi permanga», diviene alfine il luogo politico del mondo, rappresenta il risultato di una vera e propria rivoluzione copernicana del rapporto dell'uomo con le altrui vite. Se prima l'homo gravitava, necessariamente, intorno alle cose, laddove quella necessità era dettata dalla (strutturale) deficienza, incompletezza fin già (se non soprattutto) del suo stesso organismo; ora invece, sono le cose, è il mondo a gravitare intorno al vir, al Persuaso, a donarsi a lui ultro, senza che quello «nulla chieda secondo la voce del suo bisogno». Tutto questo l'abbiamo già ripetuto più volte. Ora, il vir domina il mondo. Ma questo suo dominio non implica in sé violenza, non vuol essere sopraffazione. E' il dominio, per renderlo con un'immagine, dello Brand: «[...] Vedere, Iddio vuol trarvi dal fango; un popolo che vive [...] attinge dalle avversità forza e potenza; l'occhio smorto acquista vista di falco, e vede lontano e vede bene, la fiacca volontà si riscuote e vede certa la vittoria dopo la lotta [...]» [B 19]. sguardo che dalla vetta domina la vallata, e si compiace e gode dello spettacolo, sentendosi esso stesso parte di quel miracolo, di quel tutto. E lo protegge ™. Dopo la rottura delle catene del "peccato" rettorico, nel vir si eventualizza il ristabilimento della condizione edenica, descritta nei primi passi della Genesi: il mondo è creato per l'uomo e a lui offerto, come dono: Adamo dà nome alle cose, ostentando la sua fraterna supremazia, ridonando alle cose ed agli animali il loro giusto valore: e quelli a lui si sottomettono, ultro, secondo il comando del Signore, secondo lo scopo per il quale essi furono creati. Il vir si riappropria del mondo, scioglie i vincoli dell'alienazione, riconferma il suo primato e il mandato "divino" della Persuasione, scacciando per sempre il dio luciferino della puopuyix, giungendo altresì al vero Piacere, ch'è la Pace. L'uomo finalmente libero - dal bisogno, dalla deficienza, dalle cose; l'uomo che é riuscito nella dolorosa e faticosa pratica - ch'è la via alla Persuasione - a ribaltare a proprio favore il rapporto di dipendenza con il mondo; ebbene, quest'uomo - ricordando il già citato passo del Dialogo della Salute - «ha la gioia dell'esistenza in mezzo a tutte le cose. Gli sono care non solo le cose vicine e come possano soddisfare un bisogno, ma tutte - egli sa godere della luce del sole». Anche la morte gli è cara, il «[...]il coraggio della morte / onde la luce risorgerà».. Non può non tornare in mente, a questo proposito, il meraviglioso Cantico delle creature di San Francesco, il suo lodare il Signore per tutte le creature della terra, e anche «per sora nostra morte corporale»'!. Per quanto la distanza tra la posizione M.iana e quella francescana sia dettata dalla diversa prospettiva esistenziale (quella di uno strano ebraismo laico, per l'uno; quella di una prisca religiosità cristiana, per l'altro), il messaggio ci pare aprirsi un senso d'identica, intima convinzione: la comunione col mondo, l'accettazione - non rassegnata, ma coraggiosa, e in questo suo coraggio, serena - della nostra condizione umana, nella sua perfezione assoluta, per l'uno intesa nell'adeguamento (solitario, intimo, drammatico, ma alla fine gioioso) al pentalogo della Persuasione, per l'altro intesa 150 Lo spunto per quanto or ora affermato ci viene da una lettera ad Enrico Mreule dell'aprile 1909 [E 359-360]. M. sta raccontando all'amico di aver intrapreso la lettura della Metafisica di Aristotele, con «la pazienza d'andargli a corpo, di seguirlo di citazione in citazione » fin che non giunse «al capitolo I° e 2° del Ill libro, dove assistetti al mirabile capitombolo della povera bestia». Rispetto ad Aristotele, M. confessa di sentirsi come «[...] un falco che difendesse la purezza dei sassi e dell'aria sulla cima del S. Valentin contro un volo di cornacchie [aristoteliche, evidentemente)». 151 La suggestione "francescana" dovette provenire a M. da Tolstoj, soprattutto a riguardo - come vedremo - delle ultime opere dello scrittore russo, ovvero La sonata a Kreutzer [che leggiamo nell'ed. BUR, 2000, a cura di E. Bazzarelli] e Resurrezione [ed. Newton, 1995, a cura di E. Affinati]. Come si ricorderà, ipotizzammo anche un'ispirazione da | cosacchi. Similmente a Tolstoj, M. "riscrive" il Vangelo (sulla falsariga di quello di Matteo) censurandovi tutti i dati sovrannaturali, sopprimendovi l'avvenimento ontologico della redenzione, e specialmente eliminando la realtà della divinità trascendente d Cristo e della sua resurrezione. Per il Goriziano, come detto, Cristo è il vir. E proprio questa riscrittura permise al nostro giovane filosofo d'individuare il nucleo etico-laico del messaggio evangelico: farsi salvatori dinell'adeguamento (anche qui solitario, intimo, drammatico, ma alla fine gioioso) alla volontà di Dio. E la dicotomia fra gli empi e i giusti (ai quali «la morte secunda no'I farrà male»), che si delinea nella seconda parte del Cantico, si ripropone pari nella laica dicotomia, altrettanto insanabile, fra gli homines rettorici e i viri persuasi: per entrambi i casi, la discriminante in fondo è la stessa, e coincide sostanzialmente - con la trasgressione dell'ordine universale, di una cattiva prospettiva di vicinanza-lontananza con le cose e con gli altri 5°. Francesco (come rivela anche il suo nome: ancora: nome e identità), come il vir, è "franco", libero, assoluto: si è liberato dai lacci mondani, si è sottomesso di buon cuore al giogo della croce: tuttavia rimane per lui il vincolo più potente, quello del Dominus divino, che si riflette nel «messor lo frate sole» e che permea tutta la vita e la speranza del santo, in una fede forte, vincente, quanto semplice (cfr. l'ultima parte del cantico, quella più drammatica e "manichea"). In questo senso, la condizione di Francesco è decisamente eteronoma, e solo per un'analogia topica (di condizioni, e non di esiti estremi) può essere avvicinata a quella del vir. Eppure, la "vita nuova", il senso di comunione fraterna col mondo, la presenza di una dimensione esistenziale votata alla consapevolezza della verità, dell'armonia e dell'amore - seppur nelle due diverse prospettive - ci suggeriscono, ci costringono quasi, a pensare la dimensione persuasa quale quella di un /aico francescanesimo. Il momento del passaggio: la forma retorica dell'anti-Rettorica: tecnica persuasa della retorica, ovvero tattica persuasa. L'atipicità della tesi di laurea di Carlo M. traspare già da una semplice lettura del testo. Ma qual è il vero senso, la vera ragione di questa atipicità? In cosa essa consiste? Soltanto nella "stravaganza" filosofico-narrativa del suo autore? O forse nell'enorme ingiunzione morale ch'egli affida ad un mero scritto accademico? La questione si presenta complessa e feconda, soprattutto se analizziamo la dispositio e l'actio che il Goriziano adotta nel prometeico tentativo di un'esaustiva esposizione del proprio pensiero.se stessi, «eliminare la violenza alle radici», aprire il mondo ad una rinnovata armonia. In questi senso, la linea ideale, che tracceremo, è per l'appunto Tolsto-M.-Capitini. 152 E' indicativo quanto ci tramandano gli apologhi popolari dei Fioretti: Francesco parlava alla natura, riuscì ad ammansire e a convertire il ferocissimo lupo. Come spesso avviene, l'ingenuità popolare anche qui coglie nel segno, disperando di sciogliere nella semplicità del racconto la profondità della verità francescana: ovvero, la comunione con quanto ci circonda e la possibilità di rivolgerci alle cose con un linguaggio che non è più il tecnicismo retorico del dominio, bensì una persuasione che conduce alla mansuetudine, all'armonia, alla dolcezza, che non ha bisogno per esprimersi, a ben vedere, neanche più delle parole. «La parola eloquente è il premio di chi cerca la persuasione, di chi ha il coraggio del dolore per non averla - chi nella parola finge già finita la persuasione e del cercar parole si fa una persona per chiedere i premi delle vie degli uomini - obbedisce alla sua prAopuvyta: è un vile o un retore a piacere», scrive M.. Si pone dunque la necessità di un'aerea digressione sugli aspetti "formali" della sua opera: ciò non esula dalla sostanza morale del nostroapproccio, poiché l'etica non si realizza soltanto nell'atto, ma anche nel linguaggio, preparazione all'atto, esso stesso atto, atto linguistico. L'indagine non è inappropriata, e il suo risultato ne varrà da riprova. Il valore persuasivo della parola, dunque. La ricerca di Aristotele ci ha insegnato che la scienza e la filosofia coincidono nella "formalizzazione" del loro linguaggio, nella sua struttura sillogistica, razionale. Il linguaggio riproduce, per lo Stagirita, la razionalità dell'Essere: l'essere, l'è vero, si dice in molti modi, ma i suoi modi sono sempre razionali. Che vuol dire, ciò? Che cos'è la razionalità per Aristotele? Problema inaudito '®. La nostra ipotesi di lavoro, semplice e funzionale, asseconda quella di Carlo M.: secondo il Goriziano, la razionalità aristotelica coincideva con ciò che Aristotele vedeva, la sua theoria trovava senso compiuto nella vista, anzi nella pura visione: Ma il punto teoretico è l'atto del mio guardare, e può girare dove anche io voglia fra la varietà delle cose: sempre sarà in lui l'entelecheia delle cose guardate, poiché il mio guardare è attribuzione di fine: la stessa permanenza del movimento nel tempo, poiché il mio guardare commosso con le cose è attribuzione di stabilità; altro fine, altra natura, altra forma, altra ragione, e in altro riguardo supposta la materia inconoscibile [PR 208]. Il retore si muove su punti controversi non per tutti, ma per quelli ai quali parla. Il vero è detto per Aristotele secondo l'attualità fenomenica [c.n.], e l'attualità fenomenica nel campo del retore più vicina, così che il più delle volte è noto a tutti che il retore dimostra contro questa stessa attualità. Ma non per questo egli è disprezzato e con nuovo nome quasi a insulto chiamato, ma anzi tenuto in gran stima e col nome di retore ad onore significato appunto in quanto egli lo sappia fare né per alcuno scrupolo si trattenga dal farlo [PR 268]. La conclusione errata di un sillogismo, dunque, sarebbe tale non per un principio logico, ma per un errore, come dire, di prospettiva ottica; lo sguardo razionale è l'occhio dello scienziato Aristotele o di Aristotele scienziato: lo sforzo del pensiero è di riprodurre nella vista intellettuale, nella sua "intelligenza", l'atto del vedere garantito dall'organo di senso (l'attualità visiva - fenomenica - coincide con quella intellettiva - noumenica), purificandolo. Il sogno del filosofo Aristotele (che coincideva con quello del suo maestro, Platone) era poter scorgere l'Essere nella sua "nudità" ontologica (l'idea come vista nuda, pura, dell'Essere). Il sogno dell'Aristotele scienziato era quello di compilare l'enciclopedia delle 153 Quanto ci apprestiamo a dire si propone, consapevolmente, su un livello di lettura e d'interpretazione dell'opera aristotelica - nella fattispecie la Metafisica [che abbiamo letta nell'ed. Rusconi, 1993, a cura di G. Reale], l'Etica Nicomachea [Rusconi, 1993, a cura di C. Mazzarelli], la Retorica [Mondadori, 1996, a cura di M. Donati] e la Politica [Laterza, 1993, a cura di R, Laurenti) - "viziato" dalla prospettiva M.iana. Tuttavia chiediamo di accettare quanto segue almeno in vista della sua funzionalità all'analisi che stiamo conducendo. Per tal motivo, non surroghiamo il nostro discorso con pedisseque corrispondenze "alla lettera" degli  p 4v pe, > Commenta M., in calce alla sua figura: «Questo [qualcosa è - qualcosa è per me - mi è possibile la speranza - sono sufficiente] è il cerchio senza uscita? dell'individualità illusoria, che afferma una persona, un fine, una ragione: la persuasione inadeguata, in ciò ch'è adeguata solo al mondo ch'essa si finge» [PR 19]. Le parole del Goriziano, in apparenza involute, trovano comunque ampia "dimostrazione" nel corso della sua tesi. Anzi, non è difficile ricavare il filo di un argomentare lineare e lucido, che palesa una logica ferrea di concatenazioni assiomatiche, che possiamo definire decisamente spinoziana, senza timore di sbagliarci: se la Persuasione, la Salute, è il «possesso presente della [propria] vita» [36]!9', ossia (in forma negativa) se essa «non vive in chi non vive solo di sé stesso» [9], l'uomo al contrario si rivela, già nella sua conformazione fisiologica, come segnato dalla deficienza. Questa è senza dubbio il corrispettivo del Wille schopenhaueriano: la vita è a tutti gli effetti volontà di vivere e la volontà «è in ogni punto volontà di cose determinate» [12]: ne consegue che l'uomo è «schiavo della contingenza di questa correlazione» [31]. In questo senso, la correlazione tradisce una sua "puntualità", perché «noi isoliamo una sola determinazione della volontà [per volta» [13] e ogni determinazione è «attribuzione [puntuale] di valore: coscienza » [12]. 60 Aggiungiamo noi: anche senza fine e senza inizio: Nietzsche, grecamente, avrebbe detto l'«eterno ritorno». 61 Nei periodi che seguiranno, accompagniamo M. nella sua dimostrazione: preferiamo aderire molto al testo, per non pregiudicare l'amenità delle sue espressioni, anche se ricomponiamo l'argomentare in una successione più, come dire, didascalica, ricostruendo la logica che in apparenza smarrisce nell'enfasi della scrittura. | numeri assoluti, in parentesi quadre, si riferiscono alle pagine della Persuasione da cui sono tratte le citazioni. Il riferimento alle altre opere seguirà l'espediente utilizzato nel resto del nostro lavoro. Espediente che, mai come ora, rivelerà anche la sua importanza metodologica, lasciando trasparire come l'opera del Goriziano si strutturi tutta secondo una stretta logica di rimandi interni, fatta di ripetizioni e richiami di concetti, che non è il mero saltabeccare della retorica della metabasi che punta all'attenzione del lettore, ma risponde all'intima consapevolezza del fatto che ciò che si sta comunicando è in fondo un unico, anche se articolato, pensiero. E' altresì vero, tuttavia, che «...]la volontà non sopporta la noia, e da questa attesa inerte della vicinanza si muove, allargandosi la coscienza dalla determinazione puntuale attraverso l'infinita varietà delle forme: le determinazioni si collegano così a complessi, da procurarsi previdenti ogni volta la vicinanza per la quale via via ogni determinazione s'affermi e non resti morta, ma per la forza del complesso si continui per poter altra volta affermarsi. [...] [Così] la soddisfazione della determinata deficienza dà modo al complesso delle determinazioni di deficere ancora [...]: nel complesso di quella determinazione c'è come criterio la previsione delle altre: il complesso delle determinazioni non è un caos ma un organismo» [16]. Detto in altre parole, «Ia [...] volontà di essere è così volta a continuare, in ciò che nell'affermarsi presente essa crea la prossima vicinanza per l'affermarsi d'un'altra determinazione: in ognuna c'è la previsione delle altre». [17]. Da una parte, dunque, l'organismo umano si profila come un «complesso delle determinazioni» [16]; dall'altra, in modo speculare, «i valore [del] mondo [appare come] il correlativo della sua valenza» [20] - ossia «la stessa cosa è il mio vivere e il mondo che io vivo» [20], dato che «nessuna cosa è per sé, ma in riguardo a una coscienza» [13]: e, amplificando questo dato, la stessa «vita [si rivela quale] un'infinita correlatività di coscienze». Questa correlatività - che abbiamo scoperto puntuale nella sua manifestazione più immediata, complessa in quella mediata - si delinea «sempre ugualmente intera e infinita nell'attualità che corre nel tempo; il passato e il futuro sono in lei, l'avvenire e il non avvenire sono indifferenti» [14-15]. E' proprio in seno a questa correlatività che si struttura, poi, la piopuyix, «amore alla vita, viltà» [17], owero la Rettorica, la «determinazione» della vita, la «persuasione inadeguata » [19]. Se infatti la persuasione è l' agathon (postulato socratico-platonico), il bene, la Salute, e gli uomini ad essa naturalmente tendono (anch'esso postulato socratico-platonico, formalizzato da Aristotele'9) - è il nostro stesso deficere che aspira alla sua più completa soddisfazione - è altrettanto vero che, dati i presupposti "volontaristici", essa risulta inattingibile, poiché, qualora fosse conquistata, la vita «cesserebbe d'esser vita» [8], cioè la volontà cesserebbe d'esser volontà, il che è già una contraddizionein termini: infatti, la persuasione implica il possesso presente, attuale, mentre la volontà è «volontà di se stesso nel futuro» [20], è «distratta nel tempo » (e così l'uomo). La vita nega, in modo paradossale, se stessa: l'uomo sembra, senza soluzione, essere votato al dolore ed alla sofferenza e la sua condizione risulta insostenibile: «il principio della deficienza [viene a costituirsi] come principio sostanziale» [146]. E' proprio in questo punto, dunque, che s'inserisce l'azione quotidiana, ostinata, del «dio pudico»'9° della popuyia, che in modo nascosto (in ciò è la sua pudicizia), ma efficace (in 162 cfr. Etica nicomachea |, 1, 1094, a3 163 È il piacere un dio pudico, fugge da chi l'invocò; ai piaceri egli è nemico, fugge da chi lo cercò. ciò sta la sua divinità), tesse la trama di una consistenza altrimenti compromessa. Il dio della priopuyia è un lare (un «dio famigliare» [21]) che ci è accanto come un malefico angelo luciferino («la luce è il piacere» [17]), che ci accompagna in ogni nostra attività, la veicola, la custodisce. Il lare crea il "velo di Maya" attraverso l'adulazione del «tu sei» [18]: presiede all'integrità del nostro organismo (ovvero, scongiura l'anarchia delle membra, strutturando ogni puntuale determinazione in una rete di correlazioni organiche, spegnendo da luce quando l'abuso toglierebbe l'uso»'** [16]) e spaccia la mera continuità dell'organismo stesso per la permanenza persuasa: «il saggio dio lo [l'uomo, l'animale] conduce attraverso l'oscurità delle cose con la sua scia luminosa perché egli possa continuare e non esser persuaso mai» [16-17]. L'uomo, in questo abbaglio, in questo "stordimento", irretito nel gioco del dio [21], si finge un mondo posticcio [19], credendo che le «sue cose che lo attorniano e aspettano il suo futuro, sono l'unica realtà assoluta indiscutibile» [18], ossia per lui «a realtà è [...] le cose che attendono il suo futuro»; e, ciò facendo, scambia la Persuasione per l'«attualità della sua affermazione» [18]. L'illusione raggiunge il suo ultimo scopo: «ciò che vive si persuade esser vita la qualunque vita che vive» [19], «l'esser vivi si fa un'abitudine » [28], l'uomo «si dice contento e sufficiente e soddisfatto di sé» [24-25]: «d'uomo si gira sul pernio che dal dio gli è dato [...] e cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il futuro per lui» [18]. La voce del dolore - il «sordo continuo misurato dolore che stilla sotto a tutte le cose» [23], la voce «che dice: tu non sei» [27] - è apparentemente messa a tacere. L'uomo si bea della nuova, insperata sicurezza, guidato dal piacere [17]: «nel sapore [della momentanea, puntuale affermazione si risolve] la presenza di tutta la sua persona. Questo sapore accompagna ogni atto della sua vita organica [e, come vedremo, sociale]» [18]. L'uomo insomma «non vede [integriamo noi: non vuole vedere] l'opera che il dio ha fatto» [17]. Tuttavia l'illusione della permanenza - ch'è la Persuasione inadeguata - non tarda a rivelarsi per quella che appunto è: illusione. "«[...] L'uomo, pur mentre gioisce dell'affermazione, sente che questa persona non è sua, ch'egli non la possiede» [21], sospetta che «la sua potenza nelle cose in ogni punto è [sempre e comunque] limitata alla limitata previsione». «[...] AI disotto della superficialità del suo sapere egli sente il fluire di ciò che è fuori della sua potenza e che trascende la sua coscienza »: così, ilÈ il piacere l'Iddio pudico ch'ama quello che non lo sa: se lo cerchi se' già mendico, t'ha già vinto l'oscurità. - Sono la prima e l'ultima delle quattro quartine del famoso peana, che M. intona al dio della grAdopuyia in D 43. 164 Cfr. il paragrafo 4c del | capitolo. «suo piacere è contaminato» [21] irrimediabilmente e suo malgrado, perché da sorda voce dell'oscuro dolore non però tace, e più volte essa domina sola e terribile nel pavido cuore degli uomini» [22]. Nella prospettiva della persuasione inadeguata, la voce del Tragico si rivela (si fa fenomenologia) attraverso la paura della morte: difatti, se «il senso delle cose, il sapore del mondo è solo pel continuare», se «esser nati non è che voler continuare », ciò allora vuol dire che «gli uomini vivono per vivere: per non morire. La loro persuasione è la paura della morte, esser nati non è che temere la morte » [32]. La voce del dolore, dunque, fa breccia nella trama dell'illusione: «quando per ragioni che non stanno in loro, il lembo della trama si solleva, anche gli uomini conoscono le spaventevoli soste» [23], ovvero «quando la trama dell'illusione s'affina, si disorganizza, si squarcia, gli uomini, fatti impotenti, si sentono in balìa di ciò che è fuori della loro potenza, di ciò che non sanno [...]; si trovano a voler fuggire la morte senza aver più la via consueta che finge cose finite da fuggire, cose finite cercando». [22] La persuasione inadeguata ha un colpo di coda: se nei bambini il dolore esistenziale è più forte - perché ancora incontaminati dalla finzione del dio luciferino - e se in loro la rivelazione del Tragico prende la forma dei piccoli terrori e delle piccole superstizioni da esorcizzare (la paura del baubau, ad esempio) [22-23], negli uomini esso fa capolino nelle forme delle nevrosi e dei grandi dispiaceri della quotidianità: il Tragico ha le sue manifestazioni "esistentive" (existenziell, direbbe Heidegger) nel rimorso, nella malinconia, nella noia, nell'ira, nel dolore, nella paura, nella «gioia "troppo" forte» [25-26]: in questi sentimenti, l' [A. Piromalli, in Sotto il segno di M., ed Periferia, Cosenza, 1994, pag. 22; ci appoggiamo all'analisi e alle parole di Piromalli anche per quanto stiamo per dire]. La retorica di Aristotele rappresenta, così, l'apice estremo della degenerazione cui Platone conduce l'originaria, autentica, dialettica socratica. Socrate si chiedeva, ad esempio, se la giustizia fosse un bene, Platone che cosa fosse la giustizia. Entrambi (dunque, tutto sommato, anche Platone) conservano una relazione col «valore individuale» dell'oggetto. L'approccio di Aristotele diviene invece «una raccolta di fenomeni», «delle questioni particolari giudiziarie o politiche e la ricerca dei trucchi rettorici» conduce Aristotele a perdere di vista il vero ed a «teorizzare sui discorsi che dimostrano» in modo che «lo scopo e la potenza di chi analizza e teorizza i discorsi è sovrapposta allo scopo e la potenza dell'oratore». «Questo - scrive ancora M. - è l'errore di ogni metodistica, che caratterizza utta la filosofia aristotelica, o meglio ogni forma aristotelica della filosofia sotto qualunque nome, in qualsiasi tempo o paese, ed è di fronte alla Persuasione la Rettorica» [per le citazioni virgolettate di questo periodo cfr. Appendici critiche, PR 151- 263-278-282]. Di conseguenza, arguisce M., la Rettorica non è per Aristotele - proprio in quanto «metodica», «metodologismo classificatorio» - solo una téchne specifica, ma una sorta di criterio che informa tutte le scienze e tutta la conoscenza. Potremmo azzardare che essa, come la virtù, diviene un habitus. —_ La valenza politica della retorica aristotelica viene evidenziata molto bene da Roland Barthes: il quale - in un volumetto esemplare sulla Retorica antica (trad. it. Bompiani, 1998) - trova molto «allettante mettere in rapporto questa retorica di massa [quella appunto aristotelica, di massa poiché verte su un "verisimile" che nient'altro è, secondo lo studioso, se non «quel che il pubblico crede possibile»] con la politica di Aristotele; era, com'è noto, una politica del giusto mezzo, favorevole ad una democrazia equilibrata, incentrata sulle classi medie e incaricata di ridurre gli antagonismi tra i ricchi ed i poveri, tra la maggioranza e la minoranza; donde una retorica del buon senso, volontariamente sottomessa alla 'psicologia' del pubblico» [pagg. 21-22; corsivo nostro], Tutto questo non è in contraddizione con quanto abbiamo affermato nel corso del nostro lavoro: è vero, la "costituzione della Rettorica" - almeno nella sua accezione comune e quotidiana - ha un inizio storico, e ha un autore storico; eppure Aristotele non ha "inventato" la Rettorica; le ha dato soltanto una patente di legittimità, se vogliamo dirla così, ontologica e (soprattutto) pratica. 184 Etica Nicomachea 1103b 1-5 passim. microcosmo umano: come nell'anima la condizione ottima è quella d'un equilibrio tra la parte appetitiva (epithymetikon), irascibile (thymoeidés) e razionale (/loghistikon), nello Stato ideale (lo Stato giusto) - laddove i tre aspetti dell'anima si incarnano nelle tre classi sociali dei "produttori", dei "guardiani" e dei "governanti-filosofi" - il singolo svolge la sua funzione nell'armonia del tutto, "temperando" il proprio egoismo privato. La virtù civile per eccellenza sarà proprio la sophrosyne, ovvero quella saggezza che permette di stare "entro i limiti", cioè di lasciarsi guidare docilmente dai sapienti'®. Lo Stato - nato dalla necessità che gli uomini hanno di soddisfare i propri bisogni vitali - diviene insomma la condizione (insieme etica e logica) dell'individuo, «secondo una relazione di reciprocità in cui individuo e Stato, virtù e legge, anima e classi sociali vengono a coincidere» [Francesco Adorno]. Per quanto Platone allegorizzi il destino di appartenenza dell'individuo ad una determinata "classe sociale" attraverso il famoso mito di Er - secondo il quale quel destino è in effetti frutto di una scelta libera e responsabile dell'anima prima dell'incarnazione '°8; per quanto - almeno nei presupposti e negli intenti - la superiorità di una classe rispetto alle altre non significhi supremazia ed oppressione, ma risponde semplicemente alle esigenze di una suddivisione di compiti e di funzioni necessaria in ogni vita organizzata (nella quale gl'interessi dell'individuo debbono essere subordinati ai superiori interessi della collettività); nonostante tutto ciò, Platone - in apparente contraddizione, ma in effetti seguendo un'estrema logica di coerenza - struttura la sua utopia politica secondo le linee di un rigoroso, oculato, analitico progetto educativo '®. Dalla moltiplicazione dei bisogni nasce dunque la differenziazione dei ruoli, secondo le attitudini di ciascuno: l'educazione confermerà (nel senso del confirmare latino) quell'attitudine. Ma M., come suo solito, adotta il suo drastico smascheramento e individua proprio nella formazione dello Stato platonico il paradigma ontogenetico di qualsivoglia sistema sociale rettorico: [... ] accettato come base della città della giustizia il fatto della convenzione dei violenti che è a base d'ogni città - [è nostro compito] fingere nuovamente con presunzione di giustizia tutte le forme della vita che gli uomini chiedono a chi voglia far loro da maestro. Accettata come vita libera quella che è fatta dei bisogni elementari, fondiamo nella città la libertà d'esser schiavi; accettato come giusto il principio della violenza che afferma la necessità del continuare, è giusta a ogni bisogno la sua affermazione. E se troviamo [un qualche espediente]perché ogni bisogno giunga alla sua 185 Cfr. il II libro della Repubblica e anche 441c-445e (IV libro), dove la questione viene ricapitolata in modo sintetico e definitivo; sono questi, più o meno, anche i passaggi del testo (e altri affini nella sostanza) che tiene docchio M. nella sua analisi davvero spietata dello Stato platonico, cui dedica l'intera, complessa, splendida Appendice II, quasi un'opera a sé stante. 186 cfr. id. libro X 614a ss. . La divinità è fuori causa: Aitia eloménou, theos anaîtios. 187 cfr. id. libro Ill 386a - 417b; IV 419a - 427b 105 giusta affermazione senza scapito della giusta affermazione degli altrui bisogni, abbiamo fondato la città giusta. Che gli uomini siano ognuno schiavo della propria miseria e per questa sottomesso ai modi a lui oscuri della comune convenienza, ognuno inteso al proprio utile e per sua natura nemico e ingiusto a ogni utile altrui, ognuno nell'oscurità del suo travaglio ignaro di tutto nella vita fuorché del suo bisogno, non importa; egli sarà saggio e giusto e libero, avrà la persona della libertà, della giustizia, della saggezza, poiché egli sarà detto secondo la città libera e giusta e saggia. - La città isola le singole necessità [... e] così costituisce la produzione della vita elementare: l'agricoltura, le arti, i mestieri, il trasporto; costituisce gli organi dello scambio: il piccoloegrandecommercio; costituisce tutte le altre forme della vita; costituisce la necessità della guerra; e del difender la giustizia di quelle necessità con la violenza finge persona sufficiente ai puAxxec [sono appunto i "guardiani" platonici]; dell'affermare, sorvegliare, correggere la giusta affermazione di quelle necessità finge persona sufficiente ai capi dello stato [PR 147] !88. Se l'educazione di Socrate era dunque «creatrice di uomini» [PR 150], il suo discepolo infedele si mostra piuttosto attento a formare cittadini: [...] Platone non ha da fare uomini, egli ha da fare agricoltori, calzolai, fabbri, mercanti, banchieri, guerrieri, politici, che compiano ognuno la sua funzione necessaria ai singoli bisogni della città, perché questa pur si continui. Platone ha bisogno che ognuno s'adatti alla sufficienza di quell'astrazione di vita che egli a ognunoha macchinato [PR 151]. La "giustizia" platonica si rivela, dunque, per quella che è: "Ma intanto la città è costituita, e colla città sono costituite la giustizia, la saggezza, il coraggio, la padronanza di sé. La città è saggia per la saggezza dei suoi moderatori. La città è coraggiosa pel coraggio dei suoi puiarnec. E i guàxxes sono coraggiosi se vestono la persona della legge così che, la salvezza di quella come la loro essendo, da nessuna cosa possano esser trattenuti che non la difendano fino alla morte. - [...] E se ognuno di loro si sappia costringere a quel determinato ufficio e all'obbedienza alle leggi costituite, ognuno sarà padrone (!!) di sé stesso, e la città anch'essa sarà padrona di sé, in cui l'idea del bene, per consiglio dei saggi moderatori e per virtù dei difensori e per l'ossequio del popolo, si imporrà alle necessità della vita così ch'esse abbiano armoniosamente a cospirare alla continuazione del tutto [PR 156-157; corsivi ed esclamativi di M.]. Nel far ciò, completa M., Platone - diversamente da quanto ci tramandi la storiografia filosofica e da quanto Platone stesso affermi - non si discosta molto dall'orizzonte di dominio e di violenza perpetrato dai sofisti, anzi: «Altro che i sofisti! Se i sofisti erano ladruncoli, ma Platone - absit iniuria verbo - è il ladro in guanti gialli, che ha il suo sistema per rubare non più, come quelli facevano, questo o quello a caso, dicendo a ognuno: 'io sono un ladro'; ma con metodo e seriamente, per poter rubare tutto, e dicendo agli uomini: 'io son quello che ti salva per sempre dai ladri. Infatti è il modo più sicuro. Infatti, legittimando i compromessi dell'umana debolezza, egli toglie [...] all'uomo ogni possibilità di sentirsi in quella insufficiente, ogni bisogno d'affrancarsi da quella -» [PR 190; corsivi di M.]. 188 || periodo è preso della sezione II (Il Macrocosmo) della Il Appendice critica, dedicata nello specifico a Platone, in qualità di «note alla triste istoria» dell'aerostato; come appare chiaro, ci stiamo appoggiando alle polemiche citazioni di M. (sottintendendole), tratte appunto dalla Repubblica, per puntellare anche il nostro discorso. Queste parole, che si impongono per lucidità e forza al lettore, bastano a se stesse'®. Rimane solo da rilevare che la ri-proposizione di una simile istanza totalitaria di dominio e di violenza (stavolta sublimata nella rete necessaria e compiacente - «callopismatica» dice 189 In effetti, La critica di M. può, ad orecchio, richiamare Popper. Il primo volume del capolavoro di quest'ultimo, La società aperta e i suoi nemici [che noi leggiamo nella traduzione proposta dall'ed. Armando, 1973], infatti, è in pratica interamente dedicato a una critica acerrima contro il platonismo politico (il titolo la dice lunga: Platone totalitario). Volendo davvero ridurre all'osso l'argomentazione popperiana, possiamo dire che tutto il pensiero politico di Platone, secondo il filosofo austriaco, può essere ricondotto a un progetto totalitario di restaurazione della società chiusa (ovvero, della società tribale, che interpreta se stessa come naturale, sacra e immutabile, ed è collettivista, gerarchica, organica, fondata sulle relazioni faccia a faccia). A questo scopo, Platone si varrebbe di strumenti euristici,concettuali e politici, che s'innestano l'uno con l'altro e che riassumiamo così: essenzialismo metodologico (la teoria delle idee); collettivismo (come visto, gli individui hanno valore solo come parti della totalità più ampia ch'è lo stato); teoria organica o biologica dello stato (cfr. quanto detto sopra); tecnocrazia (il governo va affidato ai competenti); "storicismo" (sotto questo termine Popper accomuna tutte le dottrine che s'illudono di enunciare le leggi dello sviluppo storico nel suo insieme). [Com'è noto, a Platone Popper contrappone la propria prospettiva - che definisce "umanitaria" - di "società aperta", modellata/articolata secondo i criteri degli Stati di diritto e delle democrazie dei paesi occidentali, le cui istituzioni sarebbero (preferiamo utilizzare il condizionale) modificabili/riformabili secondo il metodo della libera discussione]. Ma più che alle risapute affermazioni di Popper, siamo interessati ad una pagina, lasciata nella forma di intuizione, di Althusser; pagina evidentemente meno conosciuta, ma che si avvicina più di Popper al discorso di M.. Althusser inserisce quest'appunto su Platone in un discorso generale sull'ideologia e ovviamente legge la Repubblica (e ne smonta il progetto educativo) alla luce del "sapere scientifico liberatore" - ovvero "rivoluzionario" - marxista-leninista, com'egli stesso confessa. E questo segna la sua profonda differenza col Goriziano. Eppure, quanto scrive Althusser converge in modo indiscutibile e impressionante con le valutazioni di M. (anche se, come detto, l'accostamento è soltanto "topico"): entrambi individuano nell'educazione il nocciolo/presupposto rettorico della struttura statale. Scrive il filosofo francese, col suo caratteristico stile senza reticenze: «Questo [ovvero che «gli individui concreti 'agiscono', e che è l'ideologia che li fa agire'»], Platone lo sapeva già. Egli aveva previsto che occorrevano dei poliziotti (i 'Guardiani') per sorvegliare e reprimere gli schiavi e gli 'artigiani. Ma sapeva che non si può mai mettere un 'poliz iotto' nella testa di ogni schiavo o artigiano, e nemmeno mettere un poliziotto personale al culo di ogni individuo (altrimenti occorrerebbe anche un secondo poliziotto per sorvegliare il primo e così di seguito... e alla fine non ci sarebbero altri che poliziotti nella società, senza nessun produttore, e di che cosa vivrebbero allora gli stessi poliziotti?). Platone sapeva che occorreva insegnare al ‘popolo", sin dall'infanzia, le 'belle menzogne' che lo ‘fanno agire' da solo, e insegnare al ‘popolo' queste Belle Menzogne in maniera che esso ci creda, al fine di ‘agire’. [l'insistere di Althusser sulle 'belle menzogne! ordite dall'educazione platonica è il punto di maggiore convergenza con le riflessionidel Goriziano, ma cfr. la citazione in seguito]. Platone non era certo un ‘rivoluzionario’, benché intellettuale... egli era un sacrosanto reazionario. Ma aveva abbastanza esperienza politica per non raccontare storie e credere che, in una società di classe, la semplice repressione può assicurare da sola la riproduzione dei rapporti di produzione. Egli sapeva già (senza averne il concetto) che sono le Belle Menzogne, cioè l'ideologia, che assicura per eccellenza la riproduzione dei rapporti di produzione. | nostri moderni ‘dirigenti’ ‘anarchici rivoluzionari" non lo sanno. Essi farebbero bene a leggere Platone, senza lasciarsi intimidire dall' ‘autorità del sapere' che vi troveranno, poiché, benché puramente ideologici, possono trovarvi, diciamo, 'insegnamenti' di base sul funzionamento di una società di classe» [L. Althusser, Lo stato e i suoi apparati, trad. it. Editori Riuniti, 1997, pag. 182], M., più di mezzo secolo prima, aveva scritto (e si tenga presente quanto or ora citeremo, dato che proprio qui si trova il perno dell'argomentazione critica-filosofica del Goriziano, non solo in riferimento a Platone, bensì a tutto l'apparato rettorico): «[Nello Stato platonico] la violenza cacciata per la porta è già rientrata per ogni fessura [..., infatti] perché ogni singolo a uno di questi scopi bcil. gli scopi sufficienti alla vita, astrazioni dei bisogni materiali] di indirizzar la sua vita e pei begli occhi della felicità e della giustizia astratta accetti di tenervela sempre diritta - bisogna che ognuno al suo posto sia colla violenza ammaestrato» [corsivo nostro].M. - dello Spirito) il Goriziano la riscontrò, a distanza di millenni, nella Filosofia dello Spirito di Hegel'°° [PR 92-93]. L'ou-topia platonica, trovava purtroppo - attraverso Hegel - la sua reificazione concreta e storica nel codice morale-penale austriaco [cfr. soprattutto PR 99-101]. Col filosofo tedesco l'umanità realizzata (ovvero, l'umanità politica) consisteva - proprio come insegnava Platone - nella spontanea consonanza fra quel che vuole l'individuo e quel ch'è richiesto dalla famiglia, dalla società civile e dallo stato. Per Hegel, questo è lo stato normale - fisiologico - della vita pratica, che può riscontrarsi nei periodi di equilibrio e di "sanità" dei popoli (Hegel credeva d'individuarlo, realizzato in tutta la sua pienezza e fulgore, nella grecità classica: basterebbe, in questo senso, analizzare il diverso rapporto del Tedesco e del Goriziano proprio nei confronti della grecità per scorgere l'enorme divario che li allontana). Il «momento etico», nella dialettica dello Spirito Oggettivo, supera l'astrattismo morale, che si arrovellava nell'antagonismo fra intenzione individuale e legge. Lo spirito oggettivo - in cui 190 In particolare, aggiungiamo noi, nei Lineamenti di filosofia del diritto. In effetti, M. trae le sue citazioni dalla Enciclopedia delle scienze filosofiche, dalle pagine in cui Hegel parla dello Spirito Oggettivo, il moment della realizzazione della volontà dello spirito libero, nella fattispecie il momento del concreto attuarsi della storicità sociale attraverso la famiglia, la società civile e lo stato. Come si sa, Hegel approfondì e delucidò tali presupposti nei Lineamenti; riteniamo allora opportuno richiamarne almeno alcuni paragrafi (tra l'altro famosi) per integrare le polemiche citazioni M.iane con i luoghi dove più evidente si mostra la cosiddetta "statolatria" del filosofo di Stoccarda: $ 257. Lo stato è la realtà dell'idea etica, - lo spirito etico, inteso come la volontà sostanziale, manifesta, evidente a se stessa, che pensa e sa sé e porta a compimento ciò che sa e in quanto lo sa. Nel costume lo stato ha la sua esistenza immediata, e nell'autocoscienza dell'individuo, nel sapere e nell'attività del medesimo, la sua esistenza mediata, casi come l'autocoscienza attraverso la disposizione d'animo ha nello stato, come in sua essenza, in fine e prodotto della sua attività, la sua libertà sostanziale. [...] § 258. Lo stato inteso come la realtà della volontà sostanziale, realtà ch'esso ha nell'autocoscienza particolare innalzata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé.Questa unità sostanziale è assoluto immobile fine in se stesso, nel quale la libertà perviene al suo supremo diritto, così come questo scopo finale ha il supremo diritto di fronte agli individui, il cui supremo dovere è d'esser membri dello stato. [...] $ 260. Lo stato è la realtà della libertà concreta; ma la libertà concreta consiste nel fatto che l'individualità personale e i di lei particolari interessi tanto hanno il loro completo sviluppo e il riconoscimento del loro diritto per sé (nel sistema della famiglia e della società civile), quanto che essi, o trapassano per se stessi nell'interesse dell'universale, o con sapere e volontà riconoscono il medesimo e anzi come loro proprio spirito sostanziale e sono attivi per il medesimo come per loro scopo finale, così che né l'universale valga e venga portato a compimento senza il particolare interesse, sapere e volere, né gli individui vivano come persone private meramente per l'ultimo, e non in pari tempo vogliano nell'universale e per l'universale e abbiano un'attività cosciente di questo fine. Il principio degli stati moderni ha questa enorme forza e profondità, di lasciare il principio della soggettività compiersi fino all'estremo autonomo della particolarità personale, e in pari tempo di ricondurre esso nell'unità sostanziale e così di mantener questa in esso medesimo. $ 261. Di fronte alle sfere del diritto privato e del benessere privato, della famiglia e della società civile, lo stato è da un lato una necessità esteriore e la loro superiore potenza, alla cui natura le loro leggi, così come i loro interessi sono subordinati e da cui sono dipendenti; ma dall'altro lato esso è il loro fine immanente ed ha la sua forza nell'unità del suo universale fine ultimo e del particolare interesse degli individui, nel fatto ch'essi in tanto hanno doveri di fronte ad esso, in quanto hanno in pari tempo diritti [...] § 265. Queste istituzioni costituiscono la costituzione, cioè la razionalità sviluppata e realizzata, nell'ambito del particolare, e sono perciò la base stabile dello stato, casi come della fiducia e della disposizione d'animo degli individui per il medesimo, e i pilastri della libertà pubblica, poiché in esse la libertà particolare è realizzata e razionale, quindi in esse stesse sussiste in sé l'unione della libertà e della necessità. [Siamo nella parte terza - L'eticità; Terza sezione - Lo stato; le citazioni sono desunte dalla trad. it. dei Lineamenti peri tipi della Laterza, 2000, a cura di G. Marini, e corrispondono, rispettivamente, alle pagg. 195, 201 e 204; i corsivi sono di Hegel]. finalità individuale e finalità collettiva coincidono - si realizza pienamente nello Stato, «a sostanza etica consapevole di sé». La sua essenza è costituita da quello stesso amore che sta a fondamento della famiglia, innalzato però a «universalità saputa», a consapevolezza cioè del proprio valore universale. In questo senso, lo Stato non conosce altri poteri al di sopra di sé. Ovvero, tradotto il tutto in termini M.iani, i rapporti sufficienti che l'uomo intrattiene con la propria vita) e con le altrui vite assurgono all'ordito - ovvero si camuffano - di rapporti razionali e dunque razionalmente necessari, e la Rettorica sociale (statale) prende vita, e acquista diritto e giustificazione del proprio esistere, nella forma pudica e "benevola" dell'Astuzia della Ragione [List der Vernunft], la parca che tesse nel segreto le ragioni e le finalità degli uomini. 4. La Rettorica come tecnica della violenza e violenza della tecnica. Non c'è maggior potenza di quella che si fa una forza della propria debolezza. Carlo M. La Rettorica, dunque, è es-propriazione: in ciò consiste la sua violenza. L'unico modo per sconfiggere la Rettorica sarebbe - afferma M., nelle ultime, sconcertanti pagine della sua tesi - scongiurare appunto ogni educazione: questa, in sintesi, la pretesa davvero rivoluzionaria (e quanto veramente rivoluzionaria rispetto a tante altre sedicenti tali) del Goriziano: «togliere la violenza dalle radici» è il suo motto, nella forma del conosci te stesso: Reagisci al bisogno d'affermare l'individualità illusoria, abbi l'onestà di negare la tua stessa violenza, il coraggio di vivere tutto il dolore della tua insufficienza in ogni punto [PR 45-46]. Utopia, è vero. Perché la Rettorica si impone, è onnipresente, è tutto ciò che accade: e lo è in modo irrimediabile. Perché, oltre che una sua forza, ha una sua intelligenza (conosce paure e debolezze degli uomini, degli esseri, e le sfrutta), una sua estrema capacità di adattamento. La sua storia universale è anzi la storia del suo adattamento: il dispositivo rettorico - quasi entità a sé stante, quasi entità pensante - ha inteso la grande forza del "segreto", la strategia vincente della "dissimulazione": ha inteso che «sarebbe povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti, monotono nelle tattiche che usa, incapace d'invenzione ed in un certo senso condannato a ripetersi sempre» * '°": avendo nient'altro «che la potenza del 'no', del divieto, dell'ingiunzione, della coartazione, esso «sarebbe essenzialmente anti-energia» *: «tutti i modi di dominio, di sottomissione, di assoggettamento si ridurrebbero in fin dei conti all'effetto di obbedienza » * «C'è una ragione generale e tattica che sembra autoevidente: il potere [nella nostra prospettiva: il dispositivo rettorico, ma nel taglio ermeneutico che stiamo dando è lo stesso] è tollerabile a condizione di dissimulare una parte importante di sé. La sua riuscita è proporzionale alla quantità di meccanismi che riesce a nascondere. Il potere sarebbe accettato se fosse interamente cinico? Il segreto non è per lui un abuso; è indispensabile al suo funzionamento » *. Il sistema della violenza, alle proprie manifestazioni esterne, ai risultati di azioni cogenti di istituzioni deputate al "sorvegliare e punire" (che tuttavia sopravvivono, propaganda della ventilata sicurezza), al suo porsi come "stato di diritto", preferisce le forme dell'interiorità (le forme della morale farisaica che si oggettivano, nei codicilli del diritto morale-penale), preferisce assumere le ammalianti sembianze di giustizia sociale e di razionalità sociale: si è fatto carne e sangue forgiando i tipi del "soggetto" in filosofia, dello "scienziato" nella conoscenza e in ultimo - figura in cui le prime due si compendiano - del "cittadino 191 Cfr. la nostra nota 167. modello" nella società cosiddetta civile, come denuncia il Goriziano, in pagine davvero forti e risentite. Sono queste le forme, insomma, in cui - secondo M. - la violenza rettorica si è sublimata (nel senso davvero freudiano del termine), sono questi i meccanismi attraverso i quali l'ideologia si è fatta idealità, e il Leviatano si è fatto società ideale e addirittura vagheggiata. Ironia del dispositivo rettorico: «ci fa credere che ne va della nostra liberazione » *. Ma seguiamo più da vicino il dettato del nostro giovane filosofo, riprendendo opportunamente la dimostrazione del "teorema-M." là dove l'abbiamo interrotta nel paragrafo precedente, amplificandola qui proprio al contesto sociale'””. Abbiamo lasciato l'uomo nella condizione sospesa tra l'illusione della permanenza e la consapevolezza, che nella trama dell'illusione s'insinua, della effettiva condizione tragica della propria esistenza: l'uomo «sente d'esser già morto da tempo e pur vive e teme di morire» [24]: perché «chi teme la morte è già morto» [33]. A questa condizione insostenibile, il dio luciferino della yopoyw trova - o pretende di trovare - un più collaudato ed efficace «schermo [o empiastro] al dolore» [34 e 58]: il dispositivo sociale, appunto. L'uomo chiede «ad altri appoggio alla sua vita» [34], «dà e chiede, entra nel giro delle relazioni» [43]. Se prima il compromesso della consistenza si consumava, come dire, nella percezione "onanista" del proprio corpo, ora gli uomini - con maggior insistenza - «chiedono di esser per qualcuno e per qualcosa persona sufficiente con la loro qualunque attività, perché la relazione si possa ripetere nel futuro; perché il correlato sia per loro sicuro nel futuro» [53]: «egli [l'uomo] si vuol ‘costruire una persona' con l'affermazione della persona assoluta che egli non ha: è l'inadeguata affermazioned'individualità: la rettorica» [57]. Ma nel volgersi «a ricercare quelle posizioni dove il senso attuale della sua persona lo aveva altra volta adulato colla voce del piacere: ' tu sei' [ovvero, appunto, nella rettorica sociale], [..., egli] già è fuori del giro sano della sua potenza» [64], in modo definitivo e irrimediabile. Insomma, gli uomini decidono di «adattarsi ragionevolmente» [89] l'uno all'altro: cosa davvero singolare, ammette M., la contraddizione che si viene a creare: nella società «tutti hanno ragione» quando invece «nessuno ha la ragione» [39, ma anche 54] della propria esistenza. Difatti, e qui le parole del nostro filosofo sono chiarissime, nello stipulare la «cambiale della società » [102] gli uomini si comportano «non però, come ci aspetteremmo, vittime della loro debolezza - in balia del caso, ma 'sufficienti' e sicuri come divinità » [95]. E' dunque il punto più alto dell'illusione del dio del piacere, il punto in cui la sua "arte tessile" assurge a livelli di "regale" maestria'”. 192 Cfr. nota 161. 193 Le nostre espressioni vengono ispirate da un passo del Politico di Platone, che ci restituisce la valenza della sua rettorica politica in forma pressoché conclusiva. La nostra citazione, dunque, si allinea a quelle (davvero numerose) di Michelstadter, e inende compendiarle, condividendone il contesto polemico:Nella stipulazione del "contratto sociale" gli uomini «si son fatti una forza della loro debolezza, poiché in questa comune debolezza speculando hanno creato una sicurezza fatta di reciproca convenzione» [95, ma anche D 66]: essi, cioè, hanno trovato definitivamente «il modo di poter continuare con sicurezza ad aver fame in tutto il futuro» [94]. Così, da una parte, la società «largisce loro sine cura tutto quanto gli è necessario» [adattato da 96]; dall'altra, essi fingono di ignorare che «a loro degenerazione è detta educazione civile, la loro fame è attività di progresso, la loro paura è la morale, la loro violenza, il loro odio egoistico - la spada della giustizia» [95]. Questo perché, in effetti, la sicurezza - per quanto graditi siano i suoi servigi e privilegi - si paga comunque con un grandissimo scotto: essa «è facile ma è tanto più dura: la società ha modi ben determinati, essa lega, limita, minaccia: la sua forza diffusa è concreta in quel capolavoro di persuasione che è il codice penale. La cura di questa sicurezza asservisce l'uomo in ogni atto » [100-101]. E dunque, l'uomo da un lato si trova costretto ad accettare la propria «libertà d'esser schiavo » («cercando la sicurezza nell'adattamento a un codice di diritti e doveri») [94], e così pratica violenza contro se stesso; dall'altro, «impone al resto della materia [alle cose] la stessa forma» [96] che a lui risulta utile («violenza sulla natura: lavoro» [97]) e, cosa ancor più grave, «subordina il suo simile alla propria sicurezza » [97] («violenza verso l'uomo: proprietà » [97]). Questo meccanismo, leggermente complicato nell'esposizione ma semplice nel suo funzionamento, ha la forza di un potentissimo abbrivo: date queste premesse, la Rettorica ha facile gioco nel «coinvorticare» («come la corrente d'un fiume ingrossato ») [59] tutta la congerie umana e tutti gli aspetti dell'esistenza del singolo individuo, riuscendo a contaminare ogni sana e onesta persuasione in "disonestà". Il procedimento si reduplica e si estende, possiamo dire, per inerzia di moto e per sineddoche di comportamento (la Rettorica, come la Fama virgiliana, eundo crescit), seguendo una parabola che M. spiega e sintetizza, mirabilmente, nel suo Dialogo: [...] la preoccupazione della vita spingerà pur sempre gli uomini a curare e a cercare le posizioni dove videro vivere altrui, dove forse anche parve a loro stessi per qualche tempo vivere. Nasce per questa preoccupazione, dalla vita sana del corpo, la degenerazione sensuale e la rettorica dei piaceri; dalla diritta attività d'un uomo che ha una sua missione da compiere, l'ambizione della potenza - e la rettorica dell'autorità; dall'opera d'un uomo che aveva qualche cosa da dire - la posa dei creatori e la rettorica artistica; dalle parole degli uomini che mostrarono agli altri la retta via - la presunzione dei pensatori - e la rettorica filosofica con la sua sorella minore: la rettorica scientifica [D 64]. La prima cambiale per l'uomo è il suo corpo, poi viene la camicia con la quale è nato - e la camicia è contesta di posizione, diritti acquisiti, affetti acquisiti come i diritti, non solo, ma anche di ciò che il socialmente povero «Ecco tutta la funzione regale di tessitura: non lasciare mai che entri in azione una separazione fra il carattere temperato e il carattere energico, che devono invece essere orditi insieme, in una comunità di intenti e di opinioni, in una condivisione di onori e di gloria, e in una sorta di giuramento comune, per farne un tessuto armonioso e, come si dice, ben serrato, e confidare a questi due elementi le magistrature della città [...] Ecco pronta la buona stoffa prodotta dall'ordito dell'azione politica, allorché, partendo dai caratteri umani di energia e di temperanza, la scienza regale assembla e unisce le loro due vie per mezzo della concordia e dell'amicizia, e realizzando così il più magnifico e il più eccellente di tutti i tessuti, vi avvolge, in ciascuna città, tutto il popolo, schiavi e uomini liberi, serrandoli insieme nella sua trama e assicurando alla città, senza pericolo di insuccesso, tutta la prosperità di cui può godere quando è ben governata» (Politico, 310e - 311c).trova già nell'atmosfera: le vie, i modi, tutto il lavoro accumulato dai secoli e di cui i posteri godono i frutti nella vicendevole sicurezza e nella sicurezza di fronte alla natura [D 67-68]. Questa sicurezza dissimula e copre con un velo di «prudente ipocrisia» [D 68] una reale situazione di conflitto, quella sociale, dove in realtà l'homo è homini lupus, dato che «invidia ambiziosa, prepotenza e timor degli uomini» («le virtù consacrate» della rettorica sociale) [D 68] la fanno da padrona. Tuttavia, come nella singola individualità la voce del dolore si fenomenologizza nelle nevrosi quotidiane o esplode nelle situazioni-limite della perplessità esistenziale, nel contesto sociale essa prende fiato attraverso la rabbia dei popoli: «la rabbia è il Leitmotiv della vita sociale», il «cigolio continuo della macchina sociale»; attraverso di essi, gli uomini sfogano la loro «impazienza e l'insopportabile senso della dipendenza » [D 69, ma anche PR 120-121]. Ma quali sono gli strumenti attraverso i quali la Rettorica assicura la «sicurezza fatta di reciproca convenzione», ovvero, quali sono le reificazioni del /avorio di (falsa) persuasione ch'è proprio della Rettorica? Possiamo utilmente schematizzare le indicazioni del Goriziano (del resto, ne abbiamo parlato a sufficienza nel paragrafo su Parmenide): a) il denaro, «concentrato di lavoro»'*, destinato a diventare «del tutto nominale, un'astrazione, quando le ruote saranno così ben congegnate che ognuna entrerà nei denti dell'altra senza bisogno di trasmissione» [118]'®; 194 In questa definizione del denaro si può scorgere, netta, l'influenza della lettura di testi di Marx, a M. non alieni. Un importante appunto autografo, riportato dal Cerruti [cfr. in appendice alla sua monografia cit. alle pagg. 167- 168], mostra ad esempio che M. lesse, annotò e schematizzò, in brevi linee e concetti-chiave, Il capitale. Questo non deve far pensare, secondo noi, a velleità rivoluzionarie-proletarie (nel senso marxiano del termine) nel nostro giovane filosofo - che comunque pur scrisse, in gioventù, un Discorso al popolo -; o addirittura ad un inserimento della sua Persuasione "contestatrice" all'interno di una temperie marxista, come da alcuni pur è stato tentato. In realtà, M. ci si mostra lontano da ogni engagement politico, e questa sua posizione la valutiamo più che come sintomo di un' "ignoranza" o indifferenza politica, come conseguenza di una ben ponderata presa di posizione. Evidentemente, il gioco politico (nella fattispecie, quello dei partiti) dovette apparire al Goriziano come una delle forme più lampanti e più "scanzonate" del compromesso rettorico: all'interno della "comunella di malvagi" esiste solo un apparente fronteggiarsi, su posizioni solo in apparenza contrarie, che mirano esclusivamente al potere (oggi si chiamerebbe partitocrazia). La politica del tempo gli si doveva rivelare come conferma di ciò; vale la pena, allora, riportare l'unico appunto politico (nel senso gretto del termine) che abbiamo ris contrato nella nostra lettura dei suoi testi, anche a testimonianza della lucidità della sua analisi in proposito: «[...] Il socialismo [M. sta parlando delle manipolazioni che la Rettorica ha prodotto a scapito dei "sinceri" moniti della Persuasione] - mantenendo le forme, il nome, gli schemi delle argomentazioni, tutto il frasario di Marx - ha ridotta la sua negazione della società borghese a un elemento di riforma nella società borghese, volto a scopi più o meno particolari e materiali: più o meno mite, a seconda che più o meno i capi del partito avevano bisogno della società borghese e, approfittando della forza che loro concedeva il partito, ambivano a un posto in quella. Così che in Francia il socialismo è giunto al governo, in Germania ha creato una classe benestante più borghese dei borghesi, in Itali... dell'Italia è pietoso tacere. -» [PR 124-125 in nota; corsivi dell'autore], Possiamo con comodità riassumere la questione, e segnare i distinguo, dicendo che, a differenza di Marx, M. non approntò una critica/analisi della Rettorica a partire da strutture economiche, bensì a partire da strutture ontologiche (la deficienza). b) il linguaggio, che «arriverà al limite della persuasività » [118], tale che «gli uomini si suoneranno vicendevolmente come tastiera» [119] "°° e il linguaggio giungerà alla sua «cristallizzazione» [112] definitiva”; niente paura, tuttavia: seppure un giorno «gli uomini non riusciranno ad intendersi certo giungeranno [comunque...] ad intendersela » [88]/®8; c) la scienza, esasperazione della pretesa conoscitiva, «officina dei valori assoluti» [125], il baluardo dell'oggettività, che ri-formula a suo arbitrio la consistenza dell'esistere ricavando «dalla contemporaneità o dal susseguirsi d'una data serie di relazioni una presunzione di causalità» [84; corsivo nostro]; in questo rivelandosi lo strumento preferito della yiaopuyia [84]. 95 Si pensi alle transazioni "virtuali" che oggi avvengono mediante bancomat e carte di credito, o anche attraverso internet. %6 Si pensi alle... tastiere dei nostri PC che permettono di chattare (come si dice in gergo) attraverso internet. 97 «[...] Date parole sulle quali gli uomini senza conoscerle s'appoggiano per gli usi della vita e senza conoscerle come ricevute le danno» [87, corsivi di M.]. 98 Come visto più volte, per M. lo strumento del linguaggio nasce innanzitutto da un bisogno di "consistenza"; vale a dire che la "solidità" della parola, e soprattutto dei luoghi comuni e dei "te cnicismi", serve da una parte a creare sostanza (illusoria) alla propria deficienza attraverso il rapporto con gli altri (nel circuito linguistico) [La utilità, quella originaria], dall'altra ad economizzare la transazione rettorica, se possiamo esprimerci così [2a utilità, quella definitivamente artefatta]. Questa situazione di "stordimento" (in riferimento soprattutto alla prima utilità), il vano tentativo di stornare la voce del dolore/deficere attraverso il frinire "innaturale" del linguaggio, denunciata più volte da M., e con insistenza, viene allegorizzata in questa breve, bellissima favola di Rilke, che ci piace riportare, convinti che se il Goriziano l'avesse letta l'avrebbe di sicuro, a sua volta, citata (si leggano con attenzione soprattutto gli ultimi capoversi):«C'erano due creature, un uomo e una donna, che si amavano. Amarsi vuol dire non accettare nulla, da nessuna parte, dimenticare tutto e volere ricevere tutto da una sola persona, quello che già si possedeva ed il resto: e questo è quanto desideravano reciprocamente le due creature. Ma nel tempo, nei giorni, nel flusso di tutto quello che va e viene, spesso, prima ancora di avere stabilito un rapporto, un simile modo di amare non può essere mandato ad effetto: gli avvenimenti incalzano da ogni lato ed il caso apre loro ogni porta. Per questo i due risolsero di passare dal tempo alla solitudine lontano dal suono delle ore e dai rumori della città. Si costruirono dunque una casa dentro un giardino; e la casa aveva due porte, una sul lato destro e una sul lato sinistro. La porta di destra era la porta dell'uomo, e di qui doveva entrare tutto quanto era dell'uomo. Ma quella di sinistra era la porta della donna; e sotto questo arco doveva passare tutto quello che apparteneva alla donna. Così avvenne. Chi primo si destava il mattino scendeva ad aprire la sua porta, e fino a tarda ora della notte entravano molte cose, anche se la casa non era posta lungo una strada. Per chi sappia come riceverli, arrivano fino in casa paesaggio luce e una brezza dalle spalle cariche di odore e molte altre cose ancora. Ma anche giorni trascorsi, figure, destini, entravano per quelle due porte, e a tutti era riservata la stessa accoglienza, tanto semplice che ognuno credeva di avere sempre abitato in quella casa solitaria. Così procedettero le cose per un lungo periodo di tempo, e le due creature erano molto felici. La porta di sinistra veniva aperta un poco più spesso, ma per quella di destra entravano ospiti più vari. Dinanzi a questa, un mattino era ad attendere la Morte. L'uomo, non appena la ebbe veduta, chiuse in fretta la porta e la tenne ben serrata per tutto il giorno. Poco dopo la Morte apparve dinanzi all'ingresso di sinistra. La donna chiuse tremando la porta elasbarrò con un robusto chiavis tello. Essi non si dissero nulla dell'accaduto; ma aprirono più di rado le due porte e cercarono di accomodarsi con quanto avevano in casa. La loro vita divenne così molto più povera di prima. Le loro riserve si fecero scarse, sorsero le prime preoccupazioni. Cominciarono a dormire male; e durante una di quelle lunghe notti insonni, entrambi udirono improvvisamente uno strano rumore, quasi uno scalpicciare e un picchiare insieme. Veniva di là dal muro di casa, a eguale distanza dalle due porte, ed era come se qualcuno cominciasse a scalzare pietre per aprire una nuova porta al centro di quel muro. Nel terrore improvviso che li colse, i due si comportarono come se non udissero nulla di strano; cominciarono a parlare, a ridere in modo innaturale; e quando si furono stancati, il rumore alla parete era cessato. Da quella notte in avanti le due porte rimangono definitivamente chiuse. | due vivono come prigionieri; sono malati, soffrono di strane fantasie. Il rumore si ripete di tempo in tempo. Allora essi ridono con le labbra, ma i loro cuori sono sul punto di mancare dallo spavento. Ed entrambi sanno che il rumore diventa sempre più forte e distinto, e debbono parlare e ridere sempre più forte con le loro voci sempre più fioche». [cfr. R. M. Rilke, Le storie del buon Dio, trad. it., Milano, Rizzoli, 1978, pp. 119-122].La società, soprattutto attraverso la scienza, non soltanto assicura "oggettività esistenziale" ma scongiura agli uomini ogni «tovog - ogni pericolo che esiga tutta la fatica intelligente e tenace per esser superato » [105] (ma, in effetti, i due "pregi" s'identificano). Nel far questo, essa si autopromuove, come si dice oggi, a "scienza con fini operativi", ovvero a tecnica. La vita si tecnicizza, il che wol dire, secondo M. (il quale non fa differenza fra tecnica e tecnologia), che la vita si de-potenzia'’. La tecnica, cioè, viene a 199 La critica di ispirazione heideggeriana può, a buon ragione, individuare soprattutto in questo punto uno dei più espliciti "precorrimenti" di M. rispetto al filosofo tedesco. Tuttavia, a prescindere da una certa, effettiva consonanza di diagnosi che pare accomunarli, ribadiamo quello che, a nostro parere, è l'irriducibile "cavillo" che li contraddistingue e che rende vana, per noi, ogni operazione di accostamento: per Heidegger, l'oblio dell'Essere e il richiamo all'esistenza autentica (come riappropriazione dell'orizzonte ontologico del Dasein) si giocano sul piano appunto dell'ontologia; per M. la Rettorica ha una natalità fisiologica, se possiamo esprimerci così, e il richiamo all'esistenza autentica si consuma sul piano del socratismo, ovvero di una forte istanza etica (etica che, come si sa,Heidegger ci tenne ad escludere dalla sua "analitica esistenziale"). E' comunque indicativo come, seppur partendo da differenti presupposti, i due filosofi si fanno interpreti di una comune "perplessità" del pensiero di fronte ai risvolti "violenti", neanche tanto nascosti, che la tecnica porta con sé. Evidentemente, la traduzione politica del dominio tecnico veniva presentita come pericolo in un'età incerta per eccellenza, che - volendo - M. apre e Heidegger chiuderà, con gli esiti contraddittorii che tutti conosciamo. E' altrettanto ovvio che M. non fu il primo ad individuare, e a denunciare, l'essenza tecnica, diciamo il "tecnocratismo", del suo tempo: a partire dalla rivoluzione industriale, almeno, la polemica - moralistica e/o scientifica (intendiamo, per quest'ultimo punto, marxista) - contro la riduzione dell'uomo a ingranaggio era addirittura un fatto alla moda. E prima di M., già un Carlyle, ad esempio, ci dava un ottimo resoconto di prospettiva: «Se ci si chiedesse di caratterizzare questa età, che è la nostra, con qualche epiteto unico, saremmo tentati di chiamarla non Età Eroica, Religiosa, Filosofica o Morale, ma l'Età Meccanica, sopra ogni altra. E' l'Età del Macchinismo in tutti i significati della parola, esterno e interno; l'Età che con tutto il suo potere indiviso, fa progredire, insegna e pratica la grande arte di adattare i mezzi allo scopo. Nulla si fa ora direttamente, o a mano; tutto colla regola e colla combinazione calcolata. [...] Da ogni parte l'artigiano vivente è cacciato dalla sua officina per lasciare il posto ad un altro più rapido ed inanimato. La spola sfugge alle dita del tessitore e cade in dita di ferro che la maneggiano con maggiore velocità. [...] Per tutti gli scopi terrestri e per alcuni scopi non terrestri ci sono macchine e aiuti meccanici; per tritare i nostri cavoli, per immergerci in un sonno magnetico. [...] Che meravigliosi incrementi furono cosi portati e sono ancora apportati alla potenza fisica dell'umanità; quanto meglio nutriti, vestiti, alloggiati, e sotto i rapporti esteriori, quanto meglio accomodati sono ora, o potrebbero essere, gli uomini con una certa misura di fatica; ecco una riflessione piacevole che si impone ad ognuno. Quali cambiamenti, inoltre stia apportando nel sistema sociale questo accrescimento di potenza; come sia sempre più cresciuta la ricchezza e nello stesso tempo si sia sempre più accumulata in masse, alterando stranamente le vecchie relazioni e aumentando la distanza fra il ricco e il povero, sarà un problema per gli economisti politici. [...] Ma lasciando per ora queste materie, osserviamo come il genio meccanico del nostro empo si sia esteso in campi affatto estranei. Non è soltanto l'esteriore e il fisico che sono retti dal meccanismo, ma anche l'interiore e lo spirituale. Anche qui nulla segue il suo corso spontaneo, nulla è lasciato in balia degli antichi metodi naturali [...}». A tal proposito, troviamo interessante riscontrare anche un'indiscutibile analogia descrittiva all'interno della comune polemica (di Carlyle e di M.) contro l'età del Macchinismo: entrambi fanno riferimento a esempi concreti, minimi, 'tecnici"; entrambi denunciano una meccanizzazione non solo dell'aspetto "esteriore e fisico", ma anche dell' "interiore e spirituale". E'anche interessante valutare l'alternativa che Carlyle propone all'età della tecnica; poco dopo il passo citato, egli scrive:«Il Filosofo di quest'epoca non è un Socrate, un Platone, [...] che inculca agli uomini la necessità e il valore infinito della bontà morale, e questa grande verità, che la nostra felicità dipende dallo spirito che è in noi e non dalle circostanze che sono fuori di noi; ma uno Smith, [...] un Bentham, che inculcano precisamente il contrario, - cioè che la nostra felicità dipende intieramente dalle circostanze esteriori; e che anche la forza e la dignità dello spirito che è in noi sono esse pure la creazione e la conseguenza di quelle circostanze. Se le leggi e il governo fossero bene ordinati, tutto andrebbe bene per noi; il resto si accomoderebbe a suo piacere!», Un resoconto che M. avrebbe controfirmato (a meno che da esso non sia stab anche ispirato, ma sinceramente non ce la sentiamo di avanzare l'ipotesi). Quest'ultima citazione da Carlyle non vuole certo appiattire l'originalità della proposta persuasa di M., né il suo riferimento alla lezione genuina del socratismo come sostanza etica della Persuasione (ci mancherebbe altro); vuol soltanto far intendere come la ricerca esistenziale dicoincidere con la razionalizzazione estrema della relazione sufficiente poiché essa, in sostanza, s'impegna - potremmo dire, in base al nostro assunto interpretativo - a sufficere homines [cfr. supra], meccanizzandone quella che la Arendt chiamava, in senso pregnante, vita activa. In base a questa diagnosi, che M. snocciola non tanto a livello teoretico 200, il Goriziano conclude che «ogni quanto piuttosto indugiando su esempi di vita concreta progresso della tecnica istupidice per quella parte [ch'essa intende sufficere] il corpo dell'uomo» [104]: «le vesti, la casa, la produzione artificiale del calore rendono inutile la facoltà di reazione dell'organismo», tale che «l'individuo per sé non è più una forza pericolosa in mezzo agli animali». Siamo convinti che queste affermazioni di M., che corrono il rischio di esser lette come un grossolano parossismo anti-tecnologico, trovino il motivo della loro esagerazione soprattutto in una velata polemica "ideologica" individuabile tra le righe: esse, cioè, ci appaiono non solo come ammissioni, ma anche come contestazioni, se si tien conto (e invitiamo a farlo) delle contemporanee tecno-apologie del futurismo, altrettanto parossistiche?°'. Inoltre, le conclusioni del Goriziano confortano anche la nostra linea interpretativa, che legge "foucaultianamente" la Rettorica, nella sua espressione più pura, come tecnica politica del corpo: difatti, proprio attraverso la tecnica, secondo M. essa sollecita un processo (diremmo, danwiniano) di atrofia progressiva delle potenzialità organiche dell'individuo, condizione sufficiente all'asservimento totale (e in questo contesto, invitiamo anche a tener conto delle "ragioni" della servitù secondo Aristotele, nelle prime pagine della Politica). M., oltre che essere frutto di un impegno, di una esigenza e di una sofferenza personali, evidentemente s'inseriva anche all'interno di una temperie culturale - che accomunava le voci più alte non solo del socialismo e del radicalismo, ma anche del liberalismo, dell'anarchismo e addirittura del fronte reazionario - che auspicava all'unisono un ritorno dell'uomo alle autentiche radici della sua umanità. [Per le citazioni dei passi di T. Carlyle, cfr. dell'autore: Segni dei tempi, contenuto in Ideologie nella rivoluzione industriale,a cura di F. Papi, Zanichelli, 1976, pagg. 121-124 passim] 200 O meglio, lascia al lettore la facoltà di evincere il livello teoretico dai riferimenti "empirici". Per gli esempi polemici adottati da M. cfr. ib. pagg. 106-107. Ma cfr. anche la nostra nota precedente. 201 Anzi, la posizione di M. (tecnologia come atrofia dell'organo per delega della funzione, se possiamo dir così) pare offrirsi come il ribaltamento speculare di quella futurista (tecnologia come potenziamento dell'organo per ausilio nella funzione). E, in questo senso, c'è forse anche un intento ironico nel sottolineare l'effetto d' "evirazione" che la tecnica produce. L'esaltazione del meccanismo e della velocità, già esplicita nel Manifesto del 1909 (l'anno in cui M. cominciò a scrivere la sua tesi), diviene in Marinetti addirittura utopia di un nuovo uomo meccanico e "moltiplicato": «Il giorno in cui sarà possibile all'uomo di esteriorizzare la sua volontà in modo che essa si prolunghi fuori di lui come un immenso braccio invisibile il Sogno e il Desiderio, che oggi sono vane parole, regneranno sovrani sullo Spazio e sul tempo domati. Il tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente, sarà naturalmente crudele, onnisciente e combattivo. Sarà dotato di organi inaspettati: organi adattati alle esigenze di un ambiente fattodiurti continui. Possiamo prevedere fin d'ora uno sviluppo a guisa di prua della sporgenza esterna dello sterno, che sarà tanto più considerevole, inquantoché l'uomo futuro diventerà un sempre migliore aviatore».La tecnica dunque è il punto più alto e più subdolo della violenza verso l'uomo e verso la natura [97-98], poiché l'organizzazione tecnica della vita - ossia l'orizzonte tecnico di dominio - presuppone e valuta tutti gli enti del mondo sublunare alla stregua di risorse- corpi a disposizione, momenti-corpi di un ingranaggio, materiali-corpi impiegati/impiegabili secondo piani prestabiliti?°?, Il danaro, il linguaggio, la scienza, e la sua escrescenza tecnica, rappresentano così la cementazione dell'intreccio delle relazioni sufficienti, e - garantendosi fondamenta così salde - la Rettorica ha facile gioco nell'edificare il suo sistema sociale, la sua geniale architettura di dominio. «Questa camicia di forza o camicia rettorica - scrive M. - è contesta di tutte le cose nate dalla vita sociale: 1°, i mestieri; 2°, il commercio; 3°, il diritto; 4°, la morale; 5°, la convenienza; 6°, la scienza; 7°, la storia» [120]. Ed ha per giunta una sua deontologia, un suo pentalogo”° a uso e consumo della sua violenza: 1 non impegnarti con tutta la tua persona 2 distingui tra teoria e pratica 3 prendi la persona della sufficienza che t'è data 4 misura i doveri coi diritti 5 informati a ciò che è convenuto [108] In definitiva, la genialità della Rettorica è nel far calzare ai propri "sudditi", coi modi della lusinga, una convenienza che più che un abito sociale è divenuta una vera e propria nuova pelle [156; vedremo più avanti come ci riesca]; tal che essi, beati per l'azione dell'oppiaceo rettorico, «galleggiano alla superficie della società come un ago asciutto alla superficie dell'acqua per l'equilibrio delle forze delle forze molecolari» [120; corsivo di M.], senza sforzo e, soprattutto, cosa più grave, senza responsabilità [108]. Gli uomini si adattano volentieri ad essere partes materiales dell'organismo sociale [148, ma anche 114], scambiano la Salute per la felicità e | benessere, che la Rettorica propina loro nelle sembianze dell'«armoniosa soddisfazione delle singole necessità» [154] e dell'«ottimismo sociale» [117]. La Rettorica sociale è il paese dei balocchi” e l'uomo, come Pinocchio, «non è un E così via. E' altresì interessante notare che Marinetti, pochi capoversi prima, aveva dileggiato i Lavoratori del Mare di Victor Hugo come opera emblema di «un leitmotiv dominante tedioso e sciupato [quello della «divina Bellezza- Donna»]», opera invece adorata da M.. [per le citazioni da Marinetti, cfr. dell'autore L'uomo moltiplicato e il Regno della Macchina, contenuto in Filippo Tommaso Marinetti e il Futurismo, Oscar Mondadori, 2000, a cura di Luciano de Maria, pagg. 38-42]. 202 Per Heidegger, l'essenza della tecnica - il punto estremo dell' "oblio dell'Essere" - si rivela come Gestell, "impianto", ossia unione di tutti i modi dell'impiegare. Gli heideggeriani, giocando sull'etimologia, fanno notare che Gestell vuol dire anche "scaffale", dove il Ge (che traduce il cum latino), sta per il modo della raccolta. E che il Ge lo ritroviamo nel Gefahr, nel "pericolo" della tecnica come orizzonte planetario in cui il "pensiero calcolante" oblitera definitivamente l'essenza dell'Essere. 203 Si confronti col già citato Pentalogo della persuasione; per cui cfr. anche oltre, in relazione ad un altro pentalogo, quello tolstoiano. Mittwisser, ovverdwc, conscius, ma complice in buona fede» [108] del lucignolo dio della popoya, nel disporre e nel gioire del suo "svago" e delle sue comodità. 204 Leggiamo in questo senso la simpatia di M. per l'opera di Collodi (come ricordato in precedenza, secondo la testimonianza della sorella Paula) e abbiamo inserito apposta qui il riferimento, anche per esigenze di variatio. 118 5. L'insoluto scontro universale di Rettorica e Persuasione. Le proposte di M. per un definitivo affermarsi della Persuasione. Lo scontro coni fatti. Di fronte alla Rettorica, in un assetto dunque non monolitico, ma dinamico, plurale, sta la forza della Persuasione, la forza della resistenza, l'autonomia "politica" (autonomia, ma politica) del vir: quest'ultimo, come dicemmo, vive in uno stato di emulsione. «Questi punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama del potere. Non c'è [...] rispetto al potere un luogo del grande Rifiuto - anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del rivoluzionario. Ma delle resistenze che sono degli esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali»* “°°. La forza del vir sta nel distinguersi in questo coacervo di opposizioni più o meno consapevoli, più o meno sincere, più o meno innervate nella (o esposte alla) malafede: l'opposizione alla Rettorica rischia a sua volta di farsi rettorica, talora è lo stesso dispositivo che maschera se stesso nelle forme della sua opposizione”. 205 Cfr. nostra nota 167. 206 Troviamo interessante, a tal proposito, il tentativo già di Quintiliano di confutare questo carattere ancipite della retorica: ovviamente, lo scrittore latino fa riferimento alla retorica intesa nella sua fenomenologia più povera, ovvero come "arte del dire"; eppure, già qui, Quintiliano si mostra consapevole della potenza del dispositivo, tale da riuscire a rovesciare una posizione nel suo contrario; si mostra altresì persuaso che una retorica che rinnega se stessa è piuttosto un'eristica; e che, di converso, il vero retore segue una morale (quella del credibile, del verosimile) che non può essere confutata, perché mira al bene della comunità. C'è una lunga tradizione latina dietro alle parole del pedagogista, che risale almeno a Catone: l'oratore è il vir bonus dicendi peritus. Tuttavia, l'autore del brano, verso la fine, quasi sconfessa se stesso: la retorica si scopre come mero strumento di dominio (seppure volto al bene della comunità), strumento eminentemente politico che, in un certo momento, si dissocia volentieri da quella stessa moralità che dovrebbe invece permearla e che lo scrittore appassionatamente pur le ascrive. E' altresì interessante, secondo noi, valutare le arti "gemelle" che Quintiliano associa alla retorica nel corso della sua confutazione: la scherma, il pilotaggio, la strategia condividono - con la stessa "arte del dire" - il medesimo sfondo polemico, la medesima finalità di sconfiggere l'avversario. Ovvero, il meccanismo retorico ad un certo punto si astrae dal suo luogo di origine e diviene elemento strutturale e caratterizzante di tutto l'agire umano. Dunque, anche la confutazione di Quintiliano finisce col ritorcersi contro se stessa. [Del testo, abbiamo evidenziato in corsivo i passaggi che riteniamo cruciali]. «Assai spesso si fa quest'altra cavillosa accusa alla retorica, che la discussione abbia luogo da una parte e dall'altra; ne segue che, mentre nessun'arte è opposta a sé stessa, per la retorica avviene il contrario; mentre nessun'arte distrugge quello che ha fatto, ciò tocca alla retorica; parimenti, essa insegna o quanto è da dire o quanto non è da dire, quindi essa non è arte o in quanto insegna quel che non si deve dire o in quanto, dopo aver insegnato quel che si deve dire, insegna pure il contrario. Evidentemente queste considerazioni riguardano solo quella retorica che è aliena dalla moralità dell'oratore e dal concetto stesso di virtù: del resto, dove la causa è ingiusta, ivi non ha luogo la retorica, per cui è quasi inverosimile che sia un buon oratore, cioè un uomo onesto, a difendere l'una e l'altra parte in causa. Tuttavia, essendo nell'ordine naturale delle cose che due giuste cause dividano in campi opposti due saggi, dal momento che essi pensano di dover venire a scontrarsi tra loro, se la ragione cosi comanderà, risponderò a tali argomenti e certamente in modo da dimostrare che tali idee sono state vanamente escogitate anche contro quanti concedono il titolo di oratore pure alle persone dai cattivi costumi. Intanto la retorica non è in contrasto con se stessa: perché si mette a confronto una causa con un'altra causa, non la retorica con sestessa. E se tra loro contendono due oratori che hanno imparato la stessa cosa, sarà sempre arte quella che è stata insegnata sia all'uno che all'altro; d'altro canto, ciò si verifica nella scherma, perché sovente gladiatori allenati dallo stesso maestro vengono messi l'uno di fronte all'altro; nel pilotaggio, perché nelle battaglie navali un pilota fronteggia l'altro; nella strategia, perché un generale combatte contro l'altro. Allo stesso modo la retorica non sovverte quel che ha creato. Infatti, l'oratore non distrugge le argomentazioni da lui proposte e neppure fa questo la retorica, perché tra quanti pongono come finalità di quest'arte il persuadere o tra due galantuomini che, come ho detto, qualche caso abbia posto di fronte, oggetto della ricerca è ciò che più si avvicina alla verità: e se una cosa è più attendibile di un'altra, essa non sarà opposta a quella che pure apparve attendibile. In sostanza, come non c'è Di contro, la Persuasione deve trovare una sua coerenza, una sua consapevolezza, una sua "bontà gratuita", che la distolga dalla tentazione di invischiarsi anch'essa nella trama di potere, o di essere inglobata (e dunque di divenire inoffensiva) in una delle tante "sacche di tolleranza" che la Rettorica ha a sua disposizione. La voce della Persuasione (soprattutto attraverso l'insegnamento socratico, che ne rappresenta la trasposizione umana più fedele) [... ]risveglia nell'uomo la richiesta del bene attuale e lo affranca dal pericolo di dar valori a nomi così da esser per questi tratto a adattarsi all'irrazionalità di una qualsiasi vita sufficiente; lo libera dalla vana attesa d'un futuro che porti ciò di cui nel presente non abbia in sé la potenza, lo libera dalla soggezione dell'ambiente in ciò che gli nega il possesso di quanto dalle cose e dagli uomini gli possa esser dato diverso da lui, additandogli come unico possesso da seguire la propria anima [PR 150]. Ecco perché, a nostro parere, la forza rivoluzionaria di M. non può essere assimilata alla contestazione, filosofica e politica, della scuola di Francoforte (strascico dell'istanza marxista), come pure qualche critico" ha proposto. Certo, vien quasi naturale conchiudere l'analisi M.iana sul dispositivo rettorico nelle parole programmatiche che un Marcuse appone al suo capolavoro: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata »°°8, Altrettanto spontaneo nascerebbe l'accostamento tra gli uomini rettorici e i «salauds» di Sartre (o i «fieri benpensanti», ma per il Francese è lo stesso), «quelli che passeggiano in riva al mare nei loro abiti primaverili», credendo (o fingendo di credere) a quell'edificio ordinato di valori, diritti, abitudini che si sono costruiti per dare un ruolo, un senso a sé e alle cose, occultando l'abisso della gratuità e assurdità del mondo e dell'esistenza?°’. opposizione tra ciò che è bianco e ciò che è più bianco, tra ciò che è dolce e ciò che è più dolce, così opposizione non c'è tra quanto è credibile e quanto è più credibile. La retorica non insegna mai quello che non dev'essere detto, né il contrario di quello che dev'essere detto, ma quel che in ciascun processo dev'essere detto. E non sempre, anche se molto spesso, la verità va difesa a tutti i costi, perché in certi casi l'interesse generale impone la difesa di ciò che è falso» [Quintiliano, Institutio oratoria, II, 17, 30-36, trad. P. Pecchiura]. 207 Ad esempio, il Cerruti: ma l'opinione è divenuta oramai quasi un luogo comune. Il critico, comunque, fa un rilievo che possiamo accettare, e preporre anche alla nostra analisi: M. quando attacca il "sistema rettorico" - o la Rettorica fatta sistema, com'egli dice - rivolge invero le sue critiche ad un paradigma assoluto di "comunella di malvagi" (ogni comunella è, sempre e dovunque, malvagia); tuttavia la sua spietata disanima ha buon gioco nel prender di mira l'epifania storica di quella comunella a lui contemporanea, cioè la società borghese di fine ottocento - inizio novecento, come risultante ultima, almeno in ordine di tempo, della degenerazione "politica" dell'uomo (e ciò, nota il Cerruti, si esplicita soprattutto nel Discorso al popolo; ma cfr. la sua monografia su Carlo M., Mursia - Civiltà Letteraria del Novecento, 1987 2ed, pag. 48] 208 Cfr. Marcuse, L'uomo a una dimensione, Einaudi, 1999, pag. 15. 209 Cfr. J .P.Sartre, La Nausea, Einaudi, 1989 nella fattispecie le pagg. 165-178. L'ipocrita rettorica dei salauds trova il proprio corrispettivo, amabile e ingenuo, nell'ostinazione di Anny nel creare «momenti perftti», sforzi tanto minuziosi quanto vani per ricomporre il mondo intorno a lei. Per Sartre, l'esistenza che si svela (la vera esistenza) è appunto la Nausea, una pozza tiepida di terribile consapevolezza del putridume che intride l'aria, la luce, i gesti della gente. Se M. avesse potuto leggere Sartre, avrebbe chiamato certamente anch'egli Nausea la disgustosa "condizione onirica" che attanaglia l'uomo nelle situazioni limite della propria esistenza [per cui cfr. supra]. Ma nondimeno l'avrebbe combattuta. Eppure, la distanza tra le due posizioni - quella di M. e quella francofortese- sartriana - non è solo di prospettiva storica, ma innanzitutto di prospettiva etica’: un Adorno, un Marcuse, un Horkheimer, un Sartre (il loro stesso progenitore: Marx) si muovono ancora nella rete dei poteri, traggono ancora ispirazione dalla spirale di violenza: la trasformazione ch'essi prospettano, la contestazione di cui essi si fanno portavoci mira, l'è vero, ad essere destabilizzante, a minare dalle fondamenta le forme costituite della Rettorica (ovvero, com'essi la chiamano, dell'amministrazione”'') ; eppure la loro contestazione alla violenza avviene attraverso la violenza per l'instaurazione di una nuova violenza, ch'è la stessa Rettorica con nome solo mutato: i giacobini della rivoluzione si affannano a riscrivere una nuova "enciclopedia" della mappa del potere, contraddittoria ma non contraria a quella che già esiste. Se proprio vogliamo trovare un riferimento, più o meno attuale, alla soluzione M.iana, potremmo casomai chiamare in causa l'utopia di un Bloch. Ma anche qui il paragone non tiene. Perché M. si pone su un piano decisamente "altro": la sua Persuasione non consiste in una riorganizzazione del potere, neanche nelle parvenze di una sua "castrazione". La Persuasione del Goriziano mira piuttosto a scardinare ogni sufficiente relazione, ovvero - lo ripetiamo ancora una volta - a svellere la violenza dalle sue radici, in maniera definitiva. L'atto di accusa contro le "scuse" della Rettorica è in lui totale, esasperato, e in questo potrebbe dirsi utopico: eppure contiene una sincerità che non ci sentiamo di attribuire ai teorici della violenza contro la violenza. Il nostro giovane filosofo avviò una disperata ricerca di "punti di appoggio" a questa sua proposta di Persuasione, e - come visto - la individuò in un /eitmotiv che legava esperienze storiche e culturali eterogenee, da Sofocle, Socrate, Cristo, Buddha, a Ibsen a Beethoven e Leopardi: voci - quasi confuse (intendiamo: eccentriche, molto diverse tra loro) - che il tesista riassettò, compilando una propria, personalissima storia dell'umanità persuasa decisamente alternativa ad ogni ufficiale, pacifica, compassata storia della razionalità occidentale (che è poi la storia del potere occidentale). Quei punti di appoggio dovevano corroborare una sua intima persuasione, ovvero dovevano garantirle (anche) una dignitosa piattaforma speculativa, che ne scongiurasse il pericolo di essere mal intesa (come ancor oggi purtroppo avviene) quale mera, epidermica, gratuita pulsione eversiva e contestatrice rispetto a quanto la circondava. 210 Come giustamente lamenta il Campailla. Scrive molto bene lo studioso: «[da un simile accostamento] vien fuori un travisamento del pensiero di M.; il quale ha lottato non per avviare una rivoluzione sociale, ma per ricostruire il valore etico dell'esistere sul non senso dell'essere» [cfr. Campailla, Pensiero e Poesia..., cit, pagg. 142-143; corsivi nostri]. 211 Facciamo notare che M. vede negli «impiegati [... ] le anime 'implicate' per eccellenza» [PR 110],Una storia della Persuasione, infine, che sembra scandirsi, anzi che effettivamente s'identifica, con una storia del Tragico. La Persuasione, dallo scontro «a ferri corti con la vita», esce perdente. Certo, è così, ribadisce M.: è un fatto innegabile, un esito che "le accade" comunque, suo malgrado. Come è ‘anche vero che la Rettorica ha assorbito, metabolizzato le testimonianze persuase e le ha fatte diventare le proprie testimonianze, esplicito ribaltamento effettuato con malafede: la Rettorica «mangia e beve e prolifica in nome di Buddha, in nome di Cristo» [adattato da PR 123]; ripetiamo: «Ironia del dispositivo: ci fa credere che ne va della nostra liberazione». Eppure la voce della Persuasione, seppur agonizzante, resiste con tenacia, sorvola anche ogni sua strumentalizzazione, s'insinua nelle falle del "divertimento" rettorico, approfitta dei suoi cedimenti (ogni pletorica ha i suoi punti deboli, per quanto minimi): la sua voce di disincanto, per taluni irritabile, "sgomita" insomma per arrivare fino a noi, ad inquietarci. E a volte ci riesce, neanche questo si può negare. E' la "profezia" di Socrate, l'anatema del Persuaso rivolto contro i suoi accusatori ed assassini: [... ]lo dico, o cittadini che mi avete ucciso, che una vendetta ricadrà su di voi, subito dopo la mia morte, assai più grave di quella onde vi siete vendicati di me uccidendomi. Oggi voi avete fatto questo nella speranza che vi sareste pur liberati dal dover rendere conto della vostra vita; e invece vi succederà tutto il contrario: io ve lo predìco. Non più io solo, ma molti saranno a domandarvene conto: tutti coloro che fino ad oggi trattenevo io, e voi non ve ne accorgevate. E saranno tanto più ostinati quanto più sono giovani; e tanto più voi ve ne sdegnerete. Ché se pensate, uccidendo uomini, di impedire a qualcuno che vi faccia onta del vostro vivere non retto, voi non pensate bene. No, non è questo il modo di liberarsi da costoro; e non è affatto possibile né bello; bensì c'è un altro modo bellissimo e facilissimo, non togliere altrui la parola, ma piuttosto adoperarsi per essere sempre più virtuosi e migliori?!?.6 Il pretesto cronologico della proposta persuasa di M.. La violenza a lui contemporanea. Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità. | diritti da lui concessi ai cittadini erano garantiti dal parlamento, dalla rappresentanza del popolo liberamente eletta, e ogni dovere aveva i suoi precisi limiti. La nostra moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d'oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi. Chi possedeva un capitale era in grado di calcolare con esattezza il reddito annuo corrispondente; il funzionario, l'ufficiale potevano con certezza cercare nel calendario l'anno dell'avanzamento o quello della pensione. Ogni famiglia aveva un bilancio preciso, sapeva quanto potesse spendere per l'affitto e il vitto, per le vacanze o per gli obblighi sociali, e vi era anche sempre una piccola riserva per gli imprevisti, per le malattie e il medico. Chi possedeva una casa la considerava asilo sicuro dei figli e dei nipoti; fattorie e aziende passavano per eredità di generazione in generazione; appena un neonato era in culla, si metteva nel salvadanaio o si deponeva alla cassa di risparmio il primo obolo per il suo avvenire, una piccola riserva per il suo cammino. Tutto nel vasto impero appariva saldo e inamovibile e al posto più alto stava il sovrano vegliardo, ma in caso di sua morte si sapeva (o si credeva di sapere) che un altro gli sarebbe succeduto senza che nulla si mutasse nell'ordine prestabilito. Nessuno credeva a guerre, a rivoluzioni e sconvolgimenti. Ogni atto radicale, ogni violenza apparivano ormai impossibili nell'età della ragione. Questo senso di sicurezza era il possesso più ambito, l'ideale comune di milioni e milioni. La vita pareva degna di esser vissuta soltanto con tale sicurezza e si faceva sempre più ampia la cerchia dei desiderosi di partecipare a quel bene prezioso. Dapprima furon solo i possidenti a compiacersi del privilegio, ma a poco a poco accorsero le masse; il secolo della sicurezza divenne anche l'età d'oro per tutte le forme di assicurazione. Si assicurava la casa contro l'incendio e il furto, la campagna contro la grandine e i temporali, il proprio corpo contro gli infortuni e le malattie, si acquistavano pensioni per la vecchiaia e si offriva alle neonate una polizza per la dote futura. Alla fine si organizzarono anche gli operai, conquistandosi paghe regolate e le casse malattia, mentre i domestici si preparavano coi risparmi un'assicurazione sulla vecchiaia e pagavano in anticipo un obolo per i propri funerali. Solo chi poteva guardare l'avvenire senza preoccupazioni, godeva il presente in tutta tranquillità. In questa commovente fiducia, di poter chiudere anche l'ultima falla all'irrompere della sorte, c'era, malgrado l'apparente austerità e modestia nel concepire la vita, una presunzione pericolosa. L'Ottocento, col suo idealismo liberale, era convinto di trovarsi sulla via diritta ed infallibile verso 'il migliore dei mondi possibili' Guardava con dispregio le epoche anteriori con le loro guerre, carestie, rivoluzioni, come fossero state tempi in cui l'umanità era ancora minorenne e insufficientemente illuminata. Ora invece non era più che un problema di decenni, poi le ultime violenze del male sarebbero state del tutto superate. Tale fede in un 'progresso' ininterrotto ed incoercibile ebbe per quell'età la forza di una religione; si credeva in quel progresso già più che nella Bibbia ed il suo vangelo sembrava inoppugnabilmente dimostrato dai sempre nuovi miracoli della scienza e della tecnica. In realtà, sulla fine di questo secolo di pace l'ascesa generale si fece sempre più rapida e molteplice. Nelle strade splendevano di notte al posto delle tremolanti lanterne le lampade elettriche, i negozi portavano dalle vie centrali sino alla periferia il loro splendore seducente; già in grazia del telefono si poteva comunicare da lontano, già si poteva correre nei carri senza cavalli con velocità impensate, già l'uomo si lanciava nell'aria attuando il sogno di Icaro. Le comodità della vita passarono dalle dimore signorili a quelle borghesi; non si dovette più attingere l'acqua dal pozzo o dal ballatoio, non più accendere con pena il fornello. Si diffondeva l'igiene, spariva la sporcizia. Gli uomini diventavano più belli, più sani, più forti da quando lo sport ne irrobustiva il corpo e sempre più raramente si vedevano deformi, gozzuti, mutilati: tutti questi miracoli erano stati compiuti dalla scienza, arcangelo del progresso. Anche nel campo sociale si andava avanti; di anno in anno venivano concessi nuovi diritti all'individuo, la giustizia veniva amministrata con maggiore senso umanitario e persino il problema dei problemi, la povertà delle masse, non appariva più insuperabile. Il diritto di voto venne concesso ad una cerchia sempre più vasta e con ciò anche la possibilità di difendere legalmente i propri interessi; sociologi e professori andavano a gara nello sforzo di rendere più sana e persino più felice l'esistenza del proletariato... Come stupirsi che il secolo si compiacesse dell'opera propria e vedesse in ogni nuovo decennio solo un gradino verso un decennio migliore? Non si 212 Apologia 39 c-d [qui nella bella traduzione di G. Reale].temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede nella irresistibile forza conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi in un comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la sicurezza, i beni supremi. [...]?!3. Abbiamo trascritto per intero le pagine con cui Stephan Zweig apre la sua splendida autobiografia (ma il termine le va stretto), perché sono un ritratto fedele e commosso - una riconoscente biografia - dell'Austria Felix che rappresentò l'humus vitale, politico, culturale, sociale in cui visse il celebre scrittore ebreo, e in cui visse anche il nostro Goriziano. Gorizia, infatti, al tempo di M., era ancora austriaca (passò all'Italia, come si sa, solo alla fine del primo conflitto mondiale): rappresentava, del mastodontico impero, una delle estreme propaggini (la sua provincia) e di quello stesso impero, come per ogni provincia avviene, riproduceva - nel suo piccolo benessere?'* - lo splendore, ma anche le contraddizioni, complicate dalla sua collocazione liminare. "Città giardino", "Nizza d'Austria", luogo privilegiato per le vacanze della nobiltà asburgica, attratta dal clima mite (l'Adriatico dista non molti chilometri), dalla dolce vita cittadina, dagli ottimi vini già allora rinomati, da un'architettonica aristocratica e gradevole che ancora oggi la caratterizza. Questa sua geografia di confine inevitabilmente si rifletteva (e ancor oggi si riflette) in una multiforme, in sempre fermento, geografia culturale: un ibridismo, eclettico e non meramente sincretico, che si giovava delle fecondanti suggestioni d'incontro tra la cultura italiana, slava e germanica, e che da esse ricavava una sua pur autonoma, originale risultante. A buon diritto, Gorizia acquisiva dignitosa posizione tra le compagini di quel multiforme mondo per cui è stato coniato il termine Mitteleuropa, termine che da geografico è giocoforza slittato ad indicare una particolare connotazione, appartenenza culturale, anzi addirittura una categoria esistenziale. I M. erano una delle famiglie più stimate della piccolo-media borghesia benestante della città: e un ulteriore elemento esasperava la loro posizione sociale: erano ebrei. Alberto M., il padre di Carlo, era in effetti il ritratto vivente dell'ebreo assimilato: cercava quasi di velare quella sua discendenza, dandosi da fare alacremente per ottenere il consenso e il decoro sociale. Era un instancabile lavoratore: aveva messo su un negozio di cambiavalute, che si era da subito rivelato redditizio; nei ritagli di tempo, si dedicava alla letteratura: «Fu un autodidatta - ricorda la figlia Paula, nei già citati Appuntf "° - Era quasi un bibliomane. Comperava libri, soprattutto d'occasione, e presto si formò una grande biblioteca di 213 S, Zweig, Il mondo di ieri, Oscar Mondadori, 1994, pagg. 9-11 214 | volti soddisfatti di una borghesia in ascesa ci sono tramandati dai ritratti del pittore autoctono Giuseppe Tominz. opere eterogenee che a noi bambini quasi incuteva rispetto. [...] La nostra casa fu il centro di riunioni intellettuali e anche di allegri convegni famigliari». Di animo buono e pronto allo spirito, tuttavia «era conservativo per le usanze tradizionali ebraiche, ma non era osservante dei riti né possedeva uno spirito religioso. Anzi era il tipico rappresentante della mentalità materialistica dell'Ottocento». Politicamente è un liberale, attivo sostenitore della causa irredentista. Raggiunta una certa sicurezza economica, Alberto può "permettersi" anche un quarto figlio: il nostro Carlo Raimondo M. (il doppio nome è già un compromesso di italianità ed ebraicità, così tipico del padre) nasce il 3 giugno 1887. Abbiamo indugiato sul ritratto della figura paterna del filosofo goriziano non per incoraggiare una lettura psicoanalitica, ma perché - semplicemente - Alberto M., com'era di sua natura, insistette sempre nel veicolare la formazione del figlio (forse più che per gli altri tre, nell'ordine Gino, Elda e Paola: Carlo era quartogenito): una presenza costante, schiva ma opprimente, che alla dimostrazione diretta dell'affetto e del consiglio preferiva la stesura di veri e propri sermoni scritti: il più famoso tra essi è quello che appunto si ricorda come Sermone paterno, consegnato a Carlo all'atto della sua partenza per Firenze”'°. Alberto riponeva nell'ultimo figlio quella speranza disattesa dal primo, Gino, partito a cercar fortuna in America (dove invece troverà la morte), non in grado di soddisfare le paterne velleità culturali. Il nostro Carlo, da parte sua, vide il padre sempre come una figura, seppur lontana nel senso "fisico" dell'affetto, comunque degna di ogni rispetto, elogio, e soprattutto riconoscenza: una figura enigmatica (in un bozzetto lo 215 Sono gli Appunti per una biografia di Carlo M., contenuti in appendice al volume di Campailla Pensiero e poesia..., cit, alle pagine 147-164. Gli stralci che riprendiamo dalla biografia, nel corso del nostro discorso, s'intendano passim. 216 Vale la pena riportare alcuni passaggi nodali del Sermone, per render conto della pressione cui la "rettorica familiare" sottoponeva il nostro giovane e per fornire testimonianza indiretta della patina moralistica (impregnata di "senso del dovere") che doveva aver informato tutta la sua educazione in famiglia. Invitiamo anche il lettore ad un raffronto col Sentir e meditar (presente nel Carme in morte di Carlo Imbonati, vv. 207-215) di manzoniana memoria, che a nostro parere presenta considerevoli punti di contatto con quanto segue. «Mio caro Carlo questo ritratto non ti dà l'imagine del papà "bello" e scherzoso, è il papà serio, | 'hai detto tu; del resto il papà è serio anche quando scherza ed è poi giusto che oggi io mi ti presenti con fisonomia pensosa, perché vengo a farti gli ammonimenti della vigilia della partenza. [...] Hai fatto qui i tuoi studi con onore ed ora vai in un ambiente gajo ed artistico a nutrirti la mente di discipline piacevoli e utili. Ma spero che la tua coscienza t'avvertirà sempre che non vai a godere soltanto, che hai doveri da compiere. - La coscienza deve aver sempre la parola e dev'essere sempre ascoltata in ogni nostro passo - ogni nostra azione dev'essere retta dal criterio che prima d'ogni altra cosa dobbiamo compiere il nostro dovere. - Il dovere è il faro [...] Guardati Carlo da ogni eccesso, ricordati che nella misura sta il segreto d'ogni benessere, d'ogni buona riuscita.- Misura nei godimenti e nello studio, negli attaccamenti e nelle predilezione oggettive e soggettive.- Il senso della misura rende tutto efficace, spreme da tutto il giusto diletto e l'utilità, l'eccesso sforma e guasta tutto, ritorce a male le cose migliori.- Pensa sempre, Carlo, specialmente nei momenti di perplessità nella tua condotta al papà e alla mamma: Cosa mi direbbero essi? interrogati e tu conosci il nostro cuore e i nostri principi troverai il giusto responso. [...] Pensa sempre che una tua mancanza all'onore anche inorpellata da sociali mitiganti, sarebbe la condanna di morte di tuo padre che non ammette scuse per quelle prevaricazioni, che ha fatto base della propria esistenza l'onore, sua legge suprema l'onesto lavoro, sua religione il dovere». [il testo del Sermone paterno è contenuto nei Dialoghi intorno a M., Gorizia, Biblioteca Statale Isontina, 1988, pagg. 10-13; le nostre citazioni sono passim], raffigura alla stregua di una Sfinge!), cui voler bene, perché - M. ne era consapevole - anch'egli evidentemente nascondeva una sua certa, sincera Persuasione che non riusciva però a palesare. Col tempo, il sermone paterno dovette apparire al giovane filosofo una delle espressioni più eclatanti della Rettorica familiare, ma egli non ne fece mai parola al padre, per non ferirlo: per lo stesso motivo, lodava le mediocri prove letterarie di quello con affettuosa, filiale ipocrisia. Ma, tutto sommato, l'infanzia del nostro filosofo trascorre in maniera più che serena: l'armonia e il benessere che regna in famiglia è il riflesso fedele dell'«elogio della sicurezza felice» di Zweig. Carlo - ci rivela ancora Paula M. - «nei primi anni [tra i quattro figli] era il più mite, dolce, ubbidiente. Si ribellava [...] soltanto ad una sola cosa: a chieder scusa di una disubbidienza o di un fallo commesso, anche se sapeva di aver avuto torto [...}». Da piccolo, piuttosto pauroso e introverso e "speculativo" (a tre anni, a commento di un fatto luttuoso, dice alla sorella «Ma sai, anche tu, anche io, tutti un giorno dovremo morire»), riuscì col tempo a superare quegl' "inceppi": fonda, allora, con la sorella un Periculum club, la sua esuberanza Ad esse ben presto si associa la sua passione assoluta: i ballo. Divenuto davvero estroverso, è l'idolo di coetanei e colleghi: considera tutti i suoi amici con lo stesso affetto e considerazione, non privilegia nessuno: si perdonano volentieri a vicenda ogni tipo di monellerie, le più e le meno gravi. Pieno anche di sana autoironia, porta ovunque vada una fresca ventata di gioia e giovinezza (ad una festa si traveste da donna, facendo furore): gli piace corteggiare le ragazze, ma non è importuno o maleducato, anzi le tratta tutte con grande rispetto. Gli piace vestir bene, ma non è oltremisura vezzoso, o affettato. Comincia altresì a disegnare (anzi, si scopre un vero genio nella ritrattistica caricaturale?'*) e ad interessarsi di musica. Il suo si rivela un carattere buono, comprensivo, portato alla pietà: è celebre l'episodio con un cane randagio (episodio che Carlo avrebbe in seguito raccontato in greco e lo Mreule tradotto in latino), sfamato e curato dal giovane: alle lamentele dei genitori, per quell'estranea presenza in casa, M. risponde con una notte "randagia" passata all'addiaccio. A scuola, e la cosa può un po' stupirci, tutto procede senza infamia e senza lode: studia volentieri, ma non con esagerata diligenza (le sue materie preferite sono, manco a dirlo, disegno, italiano e matematica) e si segnala piuttosto per motivi disciplinari (dannazione dei professori le schermaglie col compagno di banco Ruggero Bressan)"®; quindi, 217 Cfr. la diapositiva | [Ritratto del padre-sfinge] nel supporto iconografico. 218 Cfr. M. caricaturista, nelle nostre Integrazioni. 219 E' d'uopo, a questo punto, a compendio di quanto finora detto, riportare la testimonianza di un collega ginnasiale più giovane, nientepopodimeno che il futuro poeta Biagio Marin. L'episodio ricordato dal Marin [che noi leggiamo riprodotto in Cerruti, Carlo M., cit., pagg. 7-8] è piuttosto famoso nella cerchia degli estimatori del Goriziano e ci testimonia di come già allora un ancor giovanissimo Carlo apparisse ai suoi colleghi, come dire, circonfuso di un alone di soprattutto per assecondare le aspirazioni paterne, si mostra propenso ad iscriversi alla severa università di Vienna. Effettivamente vi si iscrisse, alla facoltà di matematica e fisica, «ma poi spinto dal suo amore per l'arte [e per l'ambiente italiano e la lingua] pregò il babbo di lasciarlo andare almeno un anno a Firenze, che non conosceva, ma poi vi rimase per tutto il corso degli studi». Come si immaginerà, per Alberto M. fu una mezza delusione, che non mancherà di far pesare al figlio. Ma che cosa era successo, nel frattempo? Come mai, forse la prima volta (eccezion fatta per poche, irrilevanti schermaglie), il giovane goriziano si assunse, tutt'ad un tratto, il rischio di una scelta così decisiva, definitiva, così... autonoma? L'inflessibile mente del padre non poteva comprenderla fino in fondo (seppur comunque la rispettasse): più disponibile e comprensiva et madre Emma, come sempre. Che cosa era successo, quindi? In effetti, M. già da tempo conduceva - in parallelo alla canonica educazione scolastica - una propria Bildung culturale e umana: ad esempio, «s'interessò moltissimo per la letteratura ussa e lesse quasi sempre in traduzioni tedesche Tolstoi, Puskin, DostojJewsky, ecc...». Ma soprattutto un evento doveva aver scosso il giovane, un incontro evidentemente non occasionale, ma fatale - diremmo "congiunturale" - nella storia della Persuasione: l'incontro appunto con Enrico Mreule, con il dèmone Enrico. «Si avvicinarono, mi pare - scrive ancora Paula M. - nell'ultimo anno di scuola. Mreule era una natura chiusa, aveva avuto un'infanzia triste, si trovava male in famiglia, s'era isolato e aveva già da giovinetto tendenze filosofiche precoci. Fu lui a far conoscere a Carlo Schopenhauer e a iniziarlo alla ricerca dei valori della vita. Con Mreule e con un altro compagno, Nino Paternolli, si trovava spesso in una grande soffitta in casa di quest'ultimo, dovepassavano delle lunghe sere a discutere problemi seri». L'incontro cruciale con Enrico, dunque, rivela a M. un'impressione che già lui stesso, per profondità e riflessione innate, fiutava nell'aria («sotto la cenere ardeva il fuoco», sana Persuasione, E' quasi superfluo dire che dalle parole del poeta (non poteva essere diversamente) ci viene consegnato uno dei più bei ritratti del giovane M.. «Ero in quarta ginnasiale quando lui era in ottava. Tutti lo conoscevano. Come avviene sempre, noi più giovani guardavamo a quelli degli ultimi corsi con rispetto. Non parliamo poi di quelli dell'ottava. Tra essi il più notato, per la sua bellezza, per la sua eleganza, e soprattutto per un cappello grigio che portava tondo alla spagnola, a tese pari, era Carlo M.. Era uno dei "bravi" un "erninentista" come si diceva allora. Accanto a lui, i suoi amici Rico Mreule e Nino Paternolli, e uno, che poi non ho più visto, bello alto, che credo si chiamasse Simsig. Un giorno, deve essere stato di maggio, perché faceva già caldo, ero alla fontana nel cortile di tramontana, durante la pausa delle dieci. Ed ecco, sopravviene il gruppo degli splendidi amici. lo, che avevo appena accostata la bocca alla cannella, mi ritirai per far posto ai signori dell' "ottava". E Carlo, che era il primo, vedendo nei miei occhi e nel mio gesto quel rispetto che mi aveva fatto dimenticare la mia sete, mi sorrise con quel suo sorriso bianchissimo tra le belle labbra violacee, e mi disse: "bevi". Ma io non volli bere sotto i suoi occhi così vivi e neri, quasi fossi preso da pudore, e, "bevi prima tu", gli dissi. Allora si tolse il cappello grigio orlato, che era il tocco in lui più originale e me lo porse dicendomi: "allora tienmi per favore il cappello". E si mise sotto la cannella con la bocca ridente e i capelli, che aveva lunghi e neri e riccioluti, gli fecero nimbo intorno pallido, nobilissimo. Vedendomi, come aveva smesso di bere, allocchito, mi diede un buffetto e mi disse: "ora tocca a te, bevi"»ammonisce Paula): l'età della sicurezza celava, al di sotto della sua patina dorata, un'oscura, sottile malattia: una decadenza. Questa lancinante consapevolezza, questa verità presentita ma fin allora "rimossa", squarcia in modo così violento al giovane l'alcova che premurosamente la famiglia gli aveva costruito intorno, che a un certo punto M. comincia addirittura a somatizzare il morbo del suo tempo. Il suo corpo si rivela più debole e cedevole di quanto mai avesse sospettato: soffre continui mal di stomaco, ogni volta che cerca di ripetere le sfuriate della prima giovinezza, incappa in una slogatura, in una frattura, in una rovinosa caduta. Il celebre passo di una lettera, scritta alla sorella in un momento diparticolare sconforto, può darci conto dell'angoscia del nostro filosofo: [... ] soffro perché mi sento vile, debole, perché vedo che non so dominar le cose e le persone come non so dominar le idee che m'attraversano il capo vaghe indistinte, come non so dominar le mie passioni; che mi manca l'equilibrio morale, e non ho quindi quell'impulso poderoso che fa andar qualcuno sicuro a testa alta attraverso la vita, che mi manca l'equilibrio intellettuale, per cui il pensiero va diritto al suo scopo; perché m'accorgo di vivere quasi n un sogno dove tutto è incompleto ed oscuro, e quando voglio rendermi conto, fissare ciò che mi aleggia intorno, tutto sfugge dalle mani, e provo la pena come quando nei sogni si prova il senso dell'impotenza di tutti gli organi, e mi sembra che ci sia sempre un fitto velo fra me e la realtà; e mi convinco sempre più che non sono che un degenerato. Lo so che tu griderai all'esagerazione, forse anche m'accuserai d'affettazione, e di posa e che so io. Ma t'assicuro, non poso e sono con tutti sempre allegro, e nemmeno ciò per partito preso ma perché naturalmente al contatto con gli altri quella superficie di infantilità che ho sempre avuto e che avrò sempre si vivifica, e assorbe, o sembra assorbire tutto il resto. E non esagero, purtroppo. Un po' è individuale, un po' è la malattia dell'epoca per quanto riguarda l'equilibrio morale, perché ci troviamo appunto in un'epoca di transazione della società. Quando tutti i legami sembrano sciogliersi, e l'ingranaggio degli interessi si disperde, e le vie dell'esistenza non sono più nettamente tracciate in ogni ambiente verso un punto culminante, ma tutte si confondono, e scompaiono, e sta all'iniziativa individuale crearsi fra il chaos universale la via luminosa [...][E 158; corsivi nostri]. | sudditi sereni e sicuri dell'Austria Felix, gli uomini "cacanici", si rivelavano, alla men peggio, «uomini senza qualità», come avrebbe scritto Musil di lì a poco: la stessa paternalistica egida dell'impero presentava una doppia faccia da Sileno rovesciato, nascondendo la più potente, ma anche la più decrepita (allora), macchina della Rettorica statale. Ovviamente, si trattava del male di tutto un'epoca, che s'illudeva di vivere un periodo di pace, che anzi si imponeva un'estemporanea garanzia di pace bellica tessendo un accomodante ordito di sicurezza, legittimata dalle "rassicurazioni" dell'idealismo hegeliano. Gli spiriti più attenti erano all'erta. Gli scrittori russi, con leggero anticipo, avevano già vissuto e denunciato una situazione molto simile: la Rettorica zarista era da tempo sull'orlo del baratro, e stava cedendo il passo ad una nuova, non ancora precisata, Rettorica. In questo manifesto (apparente) vuoto di potere, l'inquietudine segnava profonde ferite. Dostoevskij, col caratteristico cipiglio polemico, parlava dal suo personalissimo "sottosuolo", descriveva le più alte aspirazioni umane come "umiliate e offese" fino all' "idiozia", esasperava/semplificava la strategia del potere nella dialettica "delitto-castigo"; Tolstoi conduceva (soprattutto) la sua soggettiva polemica contro la menzogna e il sopruso che si maschera da ipocrisia, e cercava risposte positive in unnuovo "umanesimo evangelico"; Goncarov tacciava lo spirito russo di "oblomovismo", senza riuscire del tutto ad evitarne il fascino; Saltykov-Scedrin accompagnava la nobiltà russa al più basso livello di cupo, allucinante disfacimento, economico ma soprattutto morale-esistenziale, come l'antesignano Gogol. Checov si adoperava nell'elevare i motivi contingenti del ristagno spirituale a emblemi universali. Ma anche nella "nostra" Europa, già si erano preannunciati i sintomi della malattia post- hegeliana: Stirner già da tempo aveva ripudiato tutto e tutti; Schopenhauer aveva trovato rifugio nel suo narcotico Nirvana; il "folle" Nietzsche profetizzava la palingenesi universale e indicava la sua Germania come la possibilità di una nuova Grecia, di un nuovo inizio, drammaticamente esaudito. Il "veggente" Rimbaud, e con lui la schiera dei "maledetti", sanciva nei suoi versi disturbanti e conturbanti tutto il proprio livore per l'Europa. Freud proponeva interpretazioni oniriche al disagio della civiltà, che dispiegava nella dicotomia cosmico-umana di Amore e Morte, e invitava la malattia a confessarsi. Confessioni tormentate di Gide, che accusava se stesso della malattia di tutta un'età. Oscar Wilde, da parte sua, pareva avvoltolarsi compiaciuto tra le lenzuola della decadenza, causticamente stigmatizzata - ma anche qui, non senza una certa compiacenza - da Huysmans. D'Annunzio si faceva araldo di una rivolta tanto magniloquente quanto effimera e povera di contenuti, tradendo senza pudore l'insegnamento giacobino del suo mentore, Carduccf?°, divenuto anch'egli, nel frattempo, accomodante. Pascoli (tanto per restare in Italia) trovava conforto nel suo ego e auspicava l'avvento di un socialismo altrettanto "fanciullesco". Una voce considerata purtroppo minore, Federigo Tozzi, suggeriva di chiudere gli occhi. Gl' "idealisti" Croce e Gentile, ognuno a suo modo, invitavano al contrario a tenerli ben aperti, ma a correggerne la miopia e la presbiopia attraverso la lente (astigmatica) dello Spirito. Ma ci vorrebbero pagine e pagine ad elencare tutti, e non è il caso: ci siamo limitati a libere associazioni che si sono generate nella nostra mente. Fatto sta, che la voce della denuncia e casomai della rivolta (il disincanto) non riesce a coagularsi, suo malgrado non riesce neanche a chiarificarsi, disperdendosi nei mille rivoli delle avanguardie e delle sperimentazioni (letterarie, ma anche pittoriche e musicali: già, non dimentichiamoci almeno della pittura cruda e filosofica di Klimt, Kokoschka, Schiele”: e della musica rivoluzionaria di Schoenberg) o nelle voci isolate delle riviste (soprattutto in Italia)”. 220 Ammiratissimo da M.. 221 Ma si tenga conto anche dei riferimenti fatti dal Monai, nell'integrazione su M. caricaturista. 222 Vien da chiedersi come si ponesse M. di fronte a tale fermento, tenendo conto a maggior ragione dei suoi studi proprio a Firenze, ch'era, allora, davvero la capitale culturale d'Italia. In linea generale, la critica letteraria tende ad inserire il Goriziano all'interno dell'area (a dir la verità, molto sfumata) del frammentismo vociano. Ma in effetti - come puntualizza Pierandrea Amato, nel suo bel saggio che già abbiamo avuto modo di citare - «M. è 'spontaneamente' escluso da Firenze; [...] la [sua] solitudine [...] è incondizionata"; ciò a differenza di In modo speculare, rispetto a quanto detto sopra, la filosofia filo-hegeliana e la scienza positivistica-darwiniana "pompavano" - anche se su opposti versanti - continue, quotidiane iniezioni di fiducia ad una borghesia che cavalcava il miracolo economico dell'industria al suo massimo rigoglio: una borghesia che si dilettava tanto in dettagliate analisi economiche quanto nella lettura dei romanzi di Verne; tanto in cervellotiche soluzioni politiche di compromesso (l' "Italietta" giolittiana ne è il più fulgido esempio) quanto nei salotti a lodare il cuore di De Amicis, a biasmare l'impertinenza di Mann coi suoi Buddenbrook o a commentare lo strano suicidio di un giovane maledetto, tale Otto Weininger; tanto in spericolati investimenti quanto in oculati dietrofront assicurativi (ironia della sorte: l'epoca della sicurezza vede il pullulare delle Assicurazioni Generali, quasi inconsapevole presentimento dell'imminente catastrofe). Una borghesia, ancora (stavolta generalmente medio-piccola), che si dava da fare nell'arginare certe velleità socialiste- comuniste, collaborando alla creazione dei preziosi alleati sindacali, oppure - laddove non riusciva - sfrenando la propria piccineria in violenze gratuite e pseudo-intellettualistiche (leggi: futurismo, ad esempio). Una cordata borghese-imprenditoriale, infine, che trovava nei governi avallo, protezione, incitamento. quanto avviene per "altri giovani intellettuali (Ara e Magris parlano di una vera e propria ‘pattuglia triestina' che nei primi anni del secolo studia a Firenze: Slataper, Carlo e Giani Stuparich, Spaini, Devescovi, Marin e altri) [che] trovano a Firenze e nelle sue 'imprese' una seconda patria». Il critico sottolinea anche l'estraneità di M. nei confronti dei coevi, roboanti e battaglieri, programmi delle Riviste (nella fattispecie, fa riferimento al Leonardo) e azzarda che «tutta l'opera M.iana potrebbe essere letta [...] anche come il rifiuto dell'impegno violento» che promettevano appunto quelle riviste. Il critico riporta infine l'episodio (apparentemente periferico) di un'estemporanea relazione epistolare tra il Goriziano e Benedetto Croce, che allora già era nel pieno della sua carismatica egemonia culturale. L'episodio - testimonianza lampante dell' «inserimento frustrato di M. nella cultura italiana» - si riferisce alla proposta («irriverente, probabilmente solo ingenua») del nostro giovane filosofo di attendere alla traduzione del capolavoro di Schopenhauer per i tipi della Laterza, la cui sezione di filosofia moderna era diretta proprio da Croce. Quest'ultimo «mi rispose subito - scrive M. alla famiglia - che Schop[enhauer] pel momento non rientrava nei suoi progetti- ma che prendeva nota del mio nome e ‘avrebbe occasione di scrivermi in seguito per traduzioni dal tedesco'» [l'episodio infatti viene ricordato in E 262-263; le citazioni da Pierandrea Amato fanno riferimento alle pagg. 168-169-170 passim del suo Attimo persuaso, cit.]. L'ingenuità di M. stava proprio nel porgere una simile proposta di collaborazione all'araldo dell'hegelismo italiano. Col tempo, dovette rendersi conto che le parole in apparenza "attendiste" del Croce nascondevano in realtà un netto rifiuto. Anche in seguito a questa presa di coscienza, nonché evidentemente in seguito ad una lettura più attenta e critica dell'opera crociana, M., in un appunto famoso, riversò tutto il suo sarcastico livore e segnò in maniera netta tutta la sua sdegnosa distanza dal modo di "far filosofia" del pensatore italiano. Riteniamo utile riportare il breve appunto nella sua interezza, anche perché, indirettamente, ci rende testimonianza della consapevole "asistematicità" del nostro filosofo goriziano e, insieme, del suo porsi polemico nei confront della filosofia "ufficiale" del suo tempo: «A B. C. [Benedetto Croce, e così anche per il seguito] non per insultarlo e non per combatterlo, ma per dirgli la mia ammirazione. Ammirazione per ogni onesta fatica. 'Ho un'ammirazione per questo giovane - diceva un vecchio commerciante, di un giovane poeta - ho un ‘ammirazione per lui: ché se io fossi come lui cretino e ignorante non saprei né leggere né scrivere, e lui fa tragedie'. Così io che sono un vecchio uomo incallito nel lavoro ho un'ammirazione per Benedetto Croce, ché se io avessi come lui una mente acuta e astratta, di filosofia non me ne sarei mai curato e avrei fatto il giureconsulto - lui fa sistemi [corsivi nostri]. Ma i sistemi non si fanno, e B. C. dopo aver assorbito tutti i libri di filosofia si spreme e dice: Vedete quest'acqua di indicibile colore è il prodotto di tutte le altre acque, se ne mancasse una non potrebbe essere quale è; di qui di mio c'è soltanto l'aggiunta del mio proprio umore, e la mia angoscia è la sete degli umori che mancano e che ci verranno soltanto dagli stracci del futuro. Così io mi spremo disperatamente perché è dovere di ogni straccio di filosofo di spremersi fino all 'ultima goccia dell'acqua propria e altrui, perché altri poi assorba e risprema con l'aggiunta del suo umore, e altri ancora assorba e sprema, e riassorbendone rispremendo vivrà l'umanità E' questo, grosso modo, il quadro - storico, politico, culturale, morale - in cui viene ad inserirsi la singolare, a suo modo astorica, "intempestiva", valutazione e proposta di M.. AI Goriziano bastò guardarsi intorno con occhi nuovi per valutare sempre più e più a fondo lo scheletro rettorico che sosteneva la polpa dell'«esistenza soddisfatta di sé», e per intuire che la ventilata sicurezza non era altro che una «gaia apocalisse», per dirla con Broch: ovviamente, a cadere per prime - sotto gli strali del disincanto - furono le costruzioni rettoriche ch'egli toccava con mano, quelle nelle quali era immediatamente inserito, le strutture che lui stesso viveva: la famiglia, la vita cittadina (e solo per riflesso quella nazionale), l'istituzione accademica. Nelle letture che nel frattempo conduceva trovava casomai un riscontro di quanto già avvertisse "a pelle". Scrive la preziosa Paula: «Presto [... ] l'ambiente di cui si era fatto tante illusioni lo deluse, specialmente quello universitario. Meno alcuni professori ai quali era affezionato, fra cui Villari e Vitelli, gli altri lo urtavano per la loro rettorica e la loro vanità [testimonianze esplicite, al limite del blasfemo, fioccano in molte lettere di quegli anni]. Gli davano ai nervi quelle aule zeppe di uditori del bel mondo di Firenze che assistevano alle lezioni per posa, per darsi delle arie». Parziale conforto a queste amare disillusioni sono le nuove amicizie che stringe tuttavia in quell'ambiente: il Chiavacci (che poi curerà la sua opera postuma), Arangio-Ruiz e Giannotto Bastianelli, musicista "wagneriano" (anch'egli tormentato e destinato al suicidio), che M. riuscirà a convertire a Beethoven, in serate per lui indimenticabili di "musica persuasa". Ma totale conferma delle stesse amare disillusioni M. doveva trovare (appunto) non solo nella lettura rivelatrice di Ibsen, ma anche in quella "compulsiva" di Tolstoj. Molti si sono meravigliati del fatto che il Goriziano di costui ammirasse soprattutto La sonata a Kreutzer o Resurrezione, macchinosi e quasi pedanti rispetto ai più appassionati, e appassionanti, Anna Karenina o Guerra e pace. La ragione, per noi, invece è semplice e istruttiva: M. dovette apprezzare la "geometria" che la polarità Persuasione-Rettorica acquistava nei due ultimi capolavori dello scrittore russo: lì l'ingiunzione e la critica di Tolstoj alla Rettorica si faceva scoperta, analitica, "scientifica", e in uno stile risentito, scarno e didascalico (così lontano da quello avvolgente del più giovane Tolstoj) che sacrificava del tutto l'intreccio romanzato, lo rendeva addirittura pretestuoso: anche Tolstoj pervenne, a suo modo, ad una chiarezza di Persuasione more geometrico demonstrata. Basterebbe dare una rapida scorsa alle parole di quel folle, ma lucido, uxoricida che è Pozdnysev: parole che, dietro la parvenza della più meschina misoginia, palesano una nei secoli all'infinito, il prodotto non sarà mai quello, ma sarà sempre perfetto e non risciacquatura come dicono i maligni ma quasi - spirito assoluto» [O 661-662]. valutazione attenta e perspicace della Rettorica dell'amore. O basterebbe fermarsi già alla prima pagina di Resurrezione: Allegri erano tutti: piante, e uccelli, e insetti, e bambini. Ma gli uomini - gli uomini grandi, gli uomini adulti °° non smettevano d'ingannare e di tormentare se stessi e gli altri. Credevano, gli uomini, che la cosa più sacra e più importante non fosse quella mattinata di primavera, non fosse quella bellezza del mondo, concessa per il bene di tutte le creature, giacché era una bellezza che disponeva alla pace, all'accordo e all'amore: ma fosse, la cosa più sacra e più importante, ciò che essi stessi avevano escogitato per poter dominare gli uni sugli altri per poter leggere in pratica la seconda parte della tesi di laurea del Goriziano anche (saremmo tentati di dire: soprattutto) come uno scolio (complesso, filosofico) a questa profonda, sincera intuizione "francescana" del mondo. O infine, basterebbe accompagnare il principe Nechljudov attraverso i contorti meandri della Rettorica della giustizia, fino al ribaltamento (persuaso) di essa in vera e propria pratica della violenza e dell'ingiustizia; ovvero, accompagnarlo nella ri-scoperta della genuina lezione evangelica (Nechljudov-Tolstoj, alla fine del romanzo, ri-legge e ri- compone - alla luce della propria esperienza - la morale persuasa di S. Matteo); basterebbe ciò, dicevamo, per capire l'enorme portata dell'anti-dispositivo che M. riceveva dalle mani dello scrittore russo”. 223 Questa sottolineatura tolstojana della differenza tra l'individuo bambino e l'individuo adulto non è una semplice sfumatura, come può apparire ad una lettura superficiale: ci sembra che M. colga in pieno l'allusione: nel corso della sua tesi di laurea (volendo limitarci a questa) egli dimostra a chiare lettere la sua preferenza per l'animo femminile e per i bambini. Da una parte, «le donne sono senza rettorica», afferma, tendendo in evidente conto non solo le figure femminili che si stagliano nei drammi di Sofocle e Ibsen o di Tolstoj appunto, ma soprattutto le donne ch'ebbe modo di conoscere durante la sua vita: in primis la madre Emma e la sorella Paula, quindi la sfortunata Nadia Baraden - donna russa che riceveva da Carlo lezioni di italiano e che si uccise prima che quel "rapporto professionale" sbocciasse in amore; la scrittrice Iolanda de Blasi - che visse un intenso, quanto effimero, rapporto d'amore col Nostro, ostacolato, manco a dirlo, dalla famiglia; e Argia Cassini, l'ultima, avvolgente fiamma di Michlestaedter: Argia, traslitterato in greco, era per Carlo l'incarnazione fisica del vagheggiato «porto della pace»). Dall'altra parte, il Goriziano si schiera a difesa della fanciullezza: i bambini, «quasi vite in provvisorio», come lui li chiama. Anzi, le ultimissime pagine della tesi M.iana - e il loro progetto educativo [ma vd. quanto diremo oltre] - sono dedicate proprio ai bambini, ovvero al tentativo di scongiurarne l'entrata nella congerie rettorica, che ne mina - in modo definitivo e irrimediabile - l'innocenza e ne frustra, altrettanto, il dono di ingenua, sincera persuasione, ch'essi hanno per loro stessa natura. 224 In Tolstoj, M. doveva trovare comprovata anche la Rettorica sociale della morte, ad esempio nella Morte di Ivan Il'ic, una delle opere più allucinanti e "cattive" dello scrittore russo. Di quelle pagine, pur nella sincera espressione del profondo dolore per la scomparsa (suicidio?) del fratello Gino, molto vediamo trapelare in una lettera che il Goriziano scrive all'amico Chiavacci, in cui annuncia la luttuosa notizia e dà una amara e dettagliata descrizione della condizione "esposta", indifesa della propria famiglia agli attacchi della ipocrita retorica sociale della "condoglianza": «Noi non ricordiamo di lui [Gino] né un gesto ingeneroso né una sola malattia. Era fatto per la vita e la viveva con gioia. Mai il sarcasmo della vita non mi s'è fatto sentire materialmente, in un caso concreto, con maggior forza. - Tiriamo innanzi. Qui intanto siamo soffocati dalla marea della condoglianza volgare delle infinite persone che conosciamo, e che in iscritto e a voce si credono in dovere di debitarci le stesse convenzionalità. In casa una corrente continua di visite, e il gridio ininterrotto delle stesse frasi. - E i miei ogni giorno come cavalli stanchi riprendono il cammino, e parlano e si ripetono e si commuovono. lo soffro anche per questo. Sento l'umiliazione della nostra famiglia mutilata come d'una piaga aperta - e penso che mentre le piaghe si fa sciano, il 'lutto' non serve che a étaler il dolore a tutto il mondo. Penso alla nostra casa chiusa per solito agli indifferenti, raccolta, gelosa della sua intimità - e invasa ora da tutta la volgarità perché una forza indipendente da noi ha aperto la porta. E tutti i corvi vengono all'odore della morte; tutti si precipitano Come Tolstoj, attraverso Tolstoj, M. preferì da subito il Vangelo "monofisita" di Matteo, come uno dei più autentici luoghi di Persuasione. Come Resurrezione, anche La Persuasione e la Rettorica termina con un progetto educativo. E il "pentalogo" stilato (rielaborato) da Nechljudov-Tolstoj trova infine esatta corrispondenza in quello della Persuasione M.iana?°°. perché siamo colpiti, indeboliti; il nostro dolore, la parte più intima di noi esposta in strada, profanata dagli occhi curiosi e dalla simpatia della sensiblerie dei deboli. - Ed io non posso addolorare di più i miei, non posso voler liberarmi - e di tante altre cose non posso liberarmi ora meno che mai [... J» [E 353]. Questo stralcio di lettera ha una sua importanza non soltanto contingente. Essa ci testimonia, innanzitutto, del rovinoso velocizzarsi della sfortuna che perseguita il nostro autore: gli eventi precipitano: alle disillusioni che emergono per l'estrema sensibilità del suo animo, ai dispiaceri che hanno puntualmente costellato la sua vita (non ultima la partenza di Enrico, per quanto salutata con orgoglio), si associa l'evento ferale, per lui più drammatico di quanto M. stesso non voglia manifestare, e il definitivo crollo dell'alcova familiare, già da tempo vacillante. Il «sarcasmo della vita» è davvero spietato, e coglie all'improvviso i suoi elementi più validi e più forti, inspiegabilmente. Questa constatazione fa nascere nel giovane filosofo collera e indignazione, che riversa acidamente, ancora una volta, sull'istituto retorico. Qui viene enunciato, in forma "ufficiosa", anche l'anatema definitivo rivolto contro la macchina sociale, la cui doppia faccia viene smascherata anche nelle sue manifestazioni di compassione e di solidarietà al dolore, e dunque, in apparenza, più fraterne e "umane". Qui si avverte il punto di crisi di quella "paranoia rettorica" che, secondo noi, attanagliò M. già dal momento della "scoperta persuasa" e che si esacerbò soprattutto nei suoi ultimi mesi di vita. Una Rettorica qui definita forza oramai «indipendente», cioè totalmente svincolata dallo stesso controllo umano, e vestita di abiti corvini che sfoggia (ironia della sorte) soprattutto in occasioni di dolore. Una Rettorica sanguisuga, famelica, dotata di occhi che profanano, che approfitta dei punti deboli dell'uomo, allettata dall'odore della morte, che è il suo stesso odore, simile col simile. M., per ora, non «può volersi liberare» e deve accettare il gioco del dolore e del dovere (la stesura della tesi) per non aggravare l'atmosfera pesante ed affranta della famiglia. Accetta quest'ultima retorica per amore. Ma non vi leggiamo (non vogliamo leggervi) rassegnazione. Certo, c'è la consapevolezza di un doppio dolore, di una infelicità reduplicata dalla stessa consapevolezza della Persuasione: «Noi viviamo oscuri, mal delineati, confusi, doppiamente infelici; gli altri vivono una vita luminosa anche nel dolore, e non hanno mai il senso ch'essi personalmente sono nel mondo cosi sportivamente, o lo hanno soltanto quando anche tutto il mondo è ormai per loro una cosa sportiva» scrive Carlo al Chiavacci, in una delle lettere successive [E 401], e non può non leggersi l'aspirazione stanca ad una felicità che, per un triste destino, sfugge sempre di mano: la Persuasione pare quasi una maledizione che si tira addosso solo malanni: dov'è quella gioia che essa prometteva? Non sono più felici coloro che vivono «sportivamente» la propria vita, luminosi anche nel dolore? Ma è solo il nero che riflette, e alla vita che nasconde la morte bisogna opporre un'esistenza che tende alla vera vita. E allora, ad un anno esatto dalla morte del fratello, M. gli rende l'ultimo omaggio disegnando di sua mano la pietra tombale e realizzando «con le mie mani quello che gli altri dicevano di non saper fare»: «Per tre giorni lavorai da un fabbro per scolpire due maniglie di ferro, che fuse in ghisa sarebbero state deboli. E allora mentre il lavoro procedeva bene, e mi gettavo stanco alla sera sul mio letto, mi pareva d'esser ricco di non so che ricchezza, mi pareva di fare qualcosa, di lavorare per mio fratello come se dovessi vincer la morte». «Vincer la morte» diviene l'imperativo esistenziale che traduce l'aspirazione di «togliere la violenza dalle radici»: bisogna fare [il corsivo sopra è dello stesso Goriziano] qualcosa, re-agire; M. riscopre il piacere del contatto con le cose, come Serafino Gubbio nel noto romanzo di Pirandello; il piacere della fatica, dell'impegno, della poiesi bistrattata sin dai tempi di Platone e Aristotele. Fare è anche poesia, e la Persuasione è anche fare. Pur se non è possibile eliminare l'atroce dubbio che, sempre e comunque, ci si trova ad aver «lavorato per la morte», sensazione di sconforto che riduce ad uno stato di «vuoto, miseria e impotenza». [per queste ultime citazioni, da noi adattate, cfr. la lettera di M. ad Enrico Mreule, 14 febbraio 1910, E 432] 225 La perfetta consonanza (addirittura numerica!) dei "comandamenti" tolstojani e M.iani è un rilievo che è sfuggito purtroppo alla critica (o almeno, nei contributi critici che abbiamo visionato non se ne fa parola). La lettura di Tolstoj è, a nostro parere, un inestimabile supporto ermeneutico per tentare di "capire" M., e ci teniamo a sponsorizzarla. Ora, per dar sostanza al nostro discorso, iportiamo di seguito il pentalogo di Tolstoj e riproponiamo quello della Persuasione per poter apprezzare, in modo sinottico, quanto della lezione di Tolstoj fosse trapelato nel dettato ultimo del filosofo goriziano e trasposto sul piano "filosofico" (questo senza voler porre in minimo dubbio l'originalità del Nostro). Ancora, la prospettiva tolstojana (come si ricaverà dalla lettura), il suo insistere sugli uomini, conferma in modo definitivo, seppure ce ne fosse a questo punto bisogno, la correttezza della nostra valutazione "politica" della proposta persuasa. «Con la speranza di trovare lì nel Vangelo una conferma a questo suo pensiero, Nechljudov si mise a leggerlo dal principio. Leggendo il discorso della montagna, che sempre lo aveva commosso, adesso per la prima volta vi scorse non già dei be semplici, chiari precetti ben eseguibili ne lissimi pensieri astratti, che in massima parte esprimessero esigenze eccessive e impossibili da eseguire, ma a pratica, precetti che, se fossero stati eseguiti, come era pienamente possibile, avrebbero dato una sistemazione assolutamente nuova alla società umana, tale che in questa non solo si sarebbe d istrutta da sé tutta quella violenza che aveva tanto indignato Nechljudov, bene accessibile all'uomo: il regno di Dio sulla terra [corsivi nostri]. Tali precetti erano cinque. primo precetto (Matteo, v, 21-26) l'uomo non solo non deve uccidere, ma non adirarsi contro il fratello, non a, un raca, e, se viene a lite con qualcuno, deve rappacificarsi con lui prima Secondo i deve cons di fare l'off Secondo i piacere de Secondo i Secondo i colpiscono iderare nessuno un essere da nu erta all'altare, cioè prima di pregare. secondo precetto (Matteo, v, 27-32), l'uomo non solo non deve cedere al nessuno rifiutare ciò che si possa volere da lui. Secondo i amare, aiu quinto precetto (Matteo, v, 43-48), l'uomo non solo non deve odiare i suo tare, servire. ma si sarebbe raggiunto il più alto a sensualità, ma deve rifuggire dal la bellezza della donna, e deve - una volta che s'è unito con una donna - non tradirla mai. terzo precetto (Matteo, v, 33-37), l'uomo non deve promettere nulla con giuramento. quarto precetto (Matteo, v, 38-42), l'uomo non solo non deve vendicarsi su una guancia, deve presentare l'altra, deve perdonare le offese e sopportarle con rassegnazione, e a occhio per occhio, ma quando lo i nemici, né combatterli, ma li deve Nechljudov aveva fissato lo sguardo sulla luce della lampada, e così rimaneva assorto. A contrasto di tutto il mostruoso disordine della nostra vita, che aveva ben presente, si prospettò con chiarezza che cosa questa vita avrebbe potuto essere, se gli uomini fossero stati educati secondo quei principi [corsivi nostri]: e un'esultanza come da gran tempo non provava gl ‘invase l'anima». M. fa da contrappunto e munisce i precetti tolstojani di una salda connessione filosofico-esistenziale: "No, la mo rte non è abbandono" disse Itti con voce più forte [1] ma è il coraggio della morte onde la luce sorgerà. [2] Il corag gio di sopportare tutto il peso del dolore, [3] il corag gio di navigare verso il nostro libero mare, [4] il corag nella cura [5] il corag gio di non sostare dell'avvenire, gio di non languireper godere le cose care. La persuasione poetica si cesella, puntualmente, nelle "definizioni" assolute che troviamo nella tesi di laurea: [1] Il dolore parla. [PR 46] [2] Il dolore è gioia [49] [3] Dare non è per aver dato ma per dare (Souvax !) Non può fare chi non è, non può dare chi non ha, non può beneficare chi non sa il bene Dare è fare l'impossibile: dare è avere. [43] 7. Come la violenza perpetua se stessa (I). Dall'atomo alla molecola sociale. Regalasi gattini in cerca di padrone. Annuncio esposto nella bacheca degli studenti della facoltà di filosofia, Università Federico II, Napoli Come abbiamo visto in abbondanza, l'organismo "atomico", il «complesso delle determinazioni», si esprime e si realizza anzitutto come appetito (volontà determinata, o conatus, se vogliamo utilizzare il termine spinoziano), cioè nel desiderio di possedere la natura, ovvero di fare del mondo un polo di sfruttamento esistentivo: il mondo è insomma il ricettacolo in cui l'organismo atomico reperisce gli elementi atti alla soddisfazione dei propri bisogni, elementari e/o complessi (questa, in soldoni, la «violenza contro la natura»). L'appetito segna una diversificazione tra i vari organismi appetenti: tra gli individui, alcuni si conquistano una posizione di dominio, altri accettano giocoforza la subordinazione, in un meccanismo in cui ciascuno comunque pretende di essere riconosciuto dall'altro come a lui superiore, come unico, assoluto usufruttuario del mondo. Nell'impossibilità dell'assolutezza, gli uni e gli altri depongono volentieri le armi e si adagiano su una comoda convivenza. Questo rapporto (chiamiamolo per ora "dialettico", ma cfr. oltre), che lega le "coscienze empiriche" nel conflitto per la supremazia, presenta indiscutibili affinità con la «otta per il riconoscimento», così come viene postulata/descritta nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel (la famosa dialettica servo-padrone). Questo rilievo, avanzato con intelligenza dal Garin, è stato applaudito da tutta la critica. Ora, noi non vogliamo certo metterlo in discussione, come non vogliamo mettere in dubbio le letture hegeliane che M. fece. Tuttavia, ci sia concesso almeno d non esserne del tutto convinti: siamo invece convinti che le analisi di M. partano piuttosto, ancora una volta, dalle pagine di Aristotele, in particolare dalle prime pagine della Politica. Lo Stagirita scrive: [per la formazione della società o dello Stato] è necessario in primo luogo che si uniscano gli esseri che non sono in grado di esistere separati l'uno dall'altro, per es. la femmina e il maschio in vista della riproduzione [..]e chi per natura comanda e chi è comandato al fine della conservazione. In realtà, l'essere che può prevedere con l'intelligenza è capo per natura, mentre quello che può col corpo faticare, è soggetto e quindi per natura schiavo: perciò padrone e schiavo hanno gli stessi interessi.226 Proprio come per Aristotele, per M. colui che, in tale lotta, non teme di perdere la propria vita, si impone su colui che, invece, ha paura della morte”: di conseguenza il primo diviene dominus e il secondo servo (homo, secondo il nostro [i corsivi sono dello stesso M.: abbiamo altresì ribaltato consapevolmente la disposizione dei precetti del Goriziano, che nell'ordine appaiono 3-4-5-1-2, per dar più filo al nostro discorso] 226 Aristotele, Politica, 1252a 25-30 [che noi leggiamo nella trad. it. dell'ed. Laterza, 2000]; i corsivi sono nostri, funzionali a quanto ci apprestiamo a dire. 227 Ma cfr. quanto noi detto nella parte finale del paragrafo 4d del nostro | capitolo, paragrafo che s'intitola La Persuasione al bivio. pediente ermeneutico). La temerarietà del padrone non è il coraggio esistenziale del Persuaso, non è fine consapevole ed adeguato, che sfocia nell'autentica epoché della morte, frutto della consapevolezza della malattia mortale: il dominus ha una superiorità che potremmo a buon ragione cefinire, anche qui, darwiniana: a comandare sono gli individui più adatti, ovvero più forti e più risoluti e più intelligenti, come dice Aristotele gli «esseri che possono prevedere con l'intelligenza» o - come parafrasa M. - gli esseri che possiedono una «previsione più organizzata a una più vasta vita » [PR 29]7”. Il padrone non lavora la terra, non è artifex, ma costringe il servo a lavorare in sua vece e per il suo guadagno: «Il padrone si serve dello schiavo attraverso la di lui forma: attraverso la potenza di lavoro», scrive il Goriziano. Di contro, lo schiavo accetta le «catene dure ma sicure» del padrone. Il padrone ha delegato allo schiavo il «violentamento della natura», tenendo per sé - anzi utilizzando per sé - il «violentamento dell'uomo». Di per sé, così, la condizione servile dello schiavo «non è assoluta, ma relativa al suo bisogno di vivere». Tra servo e padrone, dunque, s'instaura un vero e proprio, benché primitivo (atomico), patto sociale, fondato - e non si perda di vista questo fondamento - su un principio biologico simbiotico e "compensativo" (lo chiamiamo principio di economia sociale): entrambi violenti, entrambi "carenti", entrambi ansiosi di «conquistarsi il futuro» (ovvero, entrambi rettorici), essi pongono una convenienza simbiotica che - in definitiva, come in una perfetta equazione matematica - annulla (semplifica) le relative "potenze" e "debolezze", tende a superare la primitiva diseguaglianza fisiologica, pervenendo ad uno status quo per il quale «uniti: sono entrambi sicuri - staccati: muoiono entrambi». Suddetta simbiosi si fonda, in definitiva, e si struttura, sulla malafede e sul ricatto, perpetrati da entrambi, ma da entrambi edulcorati nella reciproca convenienza: se tu non lavori - dice il padrone - non ti do «il mezzo di vivere»: così morirai; se non mi assicuri «I mezzo di vivere» - replica lo schiavo - io non lavoro, e non ricaverò per te «la sicurezza di fronte alla natura»: così morirai. In tutto questo, ci sembra che M. parafrasi ancora Aristotele, che a sua volta scrive: Il padrone non è tale in quanto acquista gli schiavi, ma in quanto si serve degli schiavi. Tale conoscenza non ha niente di grande né di straordinario: quel che lo schiavo deve [per natura] saper fare, lui [sempre per natura]deve saperlo comandare. [...] Agli uni giova l'esser schiavi, agli altri l'esser padroni e gli uni devono obbedire, gli altri esercitare quella forma di autorità a cui da natura sono stati disposti e quindi essere effettivamente padroni.[... ] Per ciò esiste un interesse, un'amicizia reciproca tra schiavo e padrone nel caso che hanno meritato di essere tali da natura ?°° 228 Le citazioni che seguono nel nostro discorso, tratte dal Goriziano, sono ricavate dalle pagine della sua tesi che appunto indugiano sulla dialettica servo-padrone, ovvero le pagg. 96-105 soprattutto; ragion per cui, in nostri richiami s'intendano proprio da lì ricavati passim, salvo diverse indicazioni. 229 Aristotele, Politica, cit, 1255b passim; i corsivi sono nostri; abbiamo altresì invertito taluni passaggi per render più didascalica l'esposizione. Tuttavia questa dialettica, negativa ancorché conciliata (ma che non è la conciliazione hegeliana nello Spirito), del servo e del padrone "supera" il suo fondamento negativo nella stipulazione del patto sociale molecolare?°°: l'entalpia”', che tale dialettica assicura, e che 230 Le analisi di M. sulle motivazioni che inducono gli uomini a fondare la società nascono in un contesto politico che potremmo, a questo punto, senza sbagliarci, definire "contrattualistico" (ma trovano importanti agganci - come stiamo or ora dimostrando - anche nella Politica aristotelica): a differenza dei teorici del contrattualismo, tuttavia - decisamente più "pragmatici" - il filosofo goriziano adduce, come visto, una causa "ontologica" al fatto che gli uomini stringano il "patto sociale" (o, come lui la definisce, la «cambiale sociale»): il deficere troverebbe cioè una sua compensazione nella creazione di relazioni sufficienti tra gli uomini, in un principio di realizzazione/permanenza sociale che surrogherebbe l'innata impermanenza dell'individuo. L'individuo sociale insomma, nello stringere il patto, si vede garantite quella sicurezza e quel benessere - quella stabilità - che l'individuo "naturale" non possiede. Ovviamente, M. - se del contrattualismo mostra indirettamente di accettare le analisi di filogenesi sociale (il meccanismo praticamente è lo stesso: compensare il deficere) - tuttavia non aderisce alle sue conclusioni, soprattutto nella sua curvatura liberale (Locke o Stuart Mill, ad esempio): il Goriziano, come dire, per principio valuta l'organismo sociale - qualunque forma esso assuma, e per qualunque motivazione esso la assuma - come regno dell'eteronomia e della violenza. Anzi, leggendo tra le righe, mostra di attaccare con maggior virulenza proprio le società sedicenti liberali o liberal-democratiche, perché esse (a differenza di un regime dispotico conclamato) occultano la matrice profondamente antilibertaria che le connota, aggiungendo al danno la beffa dell'ipocrisia e del paternalismo. Pur consapevoli dell'eterogeneità delle proposte contrattualistiche (sia nelle prospettive di analisi che nelle individuazioni o giustificazioni degli esiti, a seconda dei periodi storici o delle appartenenze geografiche e politiche che le hanno fomentate), tuttavia riportiamo alcune righe di due "classici", per renderci conto - mediante un raffronto anche veloce - di dove la critica di M. effettivamente attecchisca. Con questo, ovviamente, non vogliamo dire che il filosofo goriziano avesse costruito la sua critica sociale a partire dalla meditazione dei testi che proponiamo, anche se mostra di aver letto il Saggio sulla libertà di Stuart Mill [PR 93]; la critica di M. nasce infatti essenzialmente da una diagnosi dello status quo - valutato attraverso lo "spettro" della Persuasione - status quo che però era anche, appunto, la risultante della lunga tradizione liberale, che assume nei brani che seguono la forma più esplicita e, in pratica, conclusiva. «Se l'uomo nello stato di natura è [...] libero [...]- scrive Locke - se è padrone assoluto della propria persona e dei propri beni, pari al più grande fra tutti e a nessuno soggetto, perché mai rinuncia alla sua libertà? Perché cede il suo imperio e si assoggetta al dominio e al controllo d'un altro potere? La risposta ovvia è che, per quanto nello stato di natura egli possieda il diritto connesso con quello stato, la fruizione di esso è assai incerta e continuamente esposta alle altrui interferenze. Infatti, tutti essendo re alla stessa stregua di lui, tutti essendo suoi pari, ed essendo per lo più poco rispettosi dell'equità e della giustizia, il godimento della proprietà in questo stato è per lui assai incerto, molto insicuro. Ciò lo induce a desiderare di abbandonare una condizione che, per quanto libera, è piena di rischi e di continui pericoli: e non è senza ragione ch'egli desidera e ambisce unirsi a una società che già altri abbiano costituito o abbiano in mente di costituire per la reciproca salvaguardia della loro vita, libertà e beni, cioè con quello che definisco con il termine generale di proprietà. [...] Al primo potere - quello cioè di fare tutto ciò che ritiene opportuno per la conservazione di sé e di tutto il resto dell'umanità - egli abdica lasciando che sia regolato da leggi fatte dalla società, secondo che lo richieda la conservazione sua e degli altri membri di quella società: leggi dellasocietà che in molte cose limitano la libertà ch'egli possiede per legge di natura. Inoltre egli abdica completamente al potere punitivo [il secondo potere, per Locke] e consacra la sua forza naturale (che in precedenza poteva usare nell'esecuzione della legge di natura, per autorità propria, come gli sembrava opportuno) al potere esecutivo della società, a seconda che lo esiga la legge di questa. Trovandosi ora in un nuovo stato, in cui gode di molti vantaggi provenienti dal lavoro, dall'assistenza e dalla società degli altri membri della comunità, oltre che della protezione che gli deriva dalla forza complessiva della comunità stessa, egli deve rinunciare anche alla propria naturale libertà di provvedere a se stesso, nella misura in cui lo richiedono il bene, la prosperità e la sicurezza della società. E questo non è solo necessario, ma anche giusto, perché gli altri membri della società fanno altrettanto.[corsivo nostro] Entrando in società gli uomini rinunciano all'eguaglianza, alla libertà e al potere esecutivo di cui godevano nello stato di natura, affidandolo alla società perché il legislativo ne disponga come richiede il bene della società stessa. Ma poiché ciascuno fa questo con l'intenzione di meglio salvaguardare la propria libertà e proprietà (ché non è mai pensabile che una creatura razionale muti condizione nell'intento di star peggio), è lecito aspettarsi che il potere della società, o il legislativo costituito, non oltrepassi mai i limiti del bene comune, ma sia tenuto ad assicurare la proprietà di ciascuno prendendo misure contro i tre difetti sopra menzionati, che avevano reso lo stato di natura tanto incerto e difficile. [... ] E è la condizione necessaria e sufficiente per la sicurezza reciproca, si istituzionalizza nel fenomeno sociale (lo chiamiamo principio di entalpia sociale). Tale istituzionalizzazione è un escamotage funzionale: è il banale, ma evidentemente valido, motivo che recita un adagio: l'unione rende forti. Dice M.: «La piccola volontà non può difendere quello che ha preso colla sua violenza - e ne affida la difesa alla violenza sociale». Ora, la piccola volontà [potremmo anche dire: l'io empirico] è sia quella del padrone che quella del servo. Entrambi accettano «la cambiale dela società», sopportando anche una spersonalizzazione/atrofia del proprio potere («egli è sotto tutela - non ha voce») e un (apparente) livellamento "democratico", nel nome della «sicurezza comune». Per raggiungere altresì questo obbiettivo, è necessario che la violenza contro la natura e contro l'uomo sublimi nella "violenza sociale". Dunque, la cifra esistenziale della Rettorica rimane sempre e comunque la violenza. In questo senso, ci sentiamo di dire che l'appunto del Garin - il suo riferimento alla famosa figura hegeliana - più che illuminante rischia di rivelarsi addirittura fuorviante. Hegel parladi autocoscienze”””, M. - più modestamente - di organismi. tutto ciò non dev'essere ispirato ad altro fine che la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo» [J ohn Locke, Due trattati sul governo, Torino, Utet, 1948 (volume II, $8123-131 passim)]. «Il diritto di una persona - scrive invece Mill - è la tutela che questa può pretendere dalla società o in forza della legge, o in forza dell'educazione e dell'opinione [corsivi nostri]. Se essa possiede ciò che consideriamo una ragione sufficiente per avere, per un qualsiasi motivo, una garanzia da parte della società, vi ha diritto: se vogliamo dimostrare che qualcosa non le appartiene per diritto, pensiamo che ciò sia fatto non appena si ammette che la società dovrebbe abbandonarla alla sua sorte o ai suoi soli sforzi, senza prendere alcuna misura per proteggerla. [...] Avere un diritto significa, allora, avere qualcosa il cui possesso va difeso dalla società. Se mi chiedessero, poi, perché la società dovrebbe difendere questo interesse, non potrei addurre nessun altro motivo se non quello della utilità generale. Se questa espressione non sembra convogliare un sentimento adeguato della forza dell'obbligazione né spiegare la peculiare energia di tale sentimento, è perché nella composizione del sentimento entra non solo un elemento razionale, ma anche uno animale, la sete della vendetta; la quale deriva la sua intensità, come pure la sua giustificazione morale, da quel tipo di utilità straordinariamente importante e incisiva che è in gioco. L'interesse coinvolto è quello della sicurezza che è, per ogni individuo, di vitale importanza. Tutti gli altri benefici terreni possono essere necessari a una persona e non a un'altra. A molti di essi, si può allegramente rinunciare o sostituirli con qualcos'altro. Ma della sicurezza nessun essere umano può fare a meno; da essa dipende la nostra immunità dal male e l'intero valore di ogni bene, al di là delle contingenze. [corsivi nostri] [...] Questa necessità [...] non può essere soddisfatta a meno che lo strumento per provvedervi non sia mantenuto in continuo esercizio» [J ohn Stuart Mill, Utilitarismo, Cappelli, 1981, capitolo V passim]. Leggendo questi passi e mettendoli a confronto con quanto abbiamo riferito riguardo la critica sociale approntata da M., si potrà evincere senza difficoltà il carattere decisamente antiliberale che quella critica viene ad assumere, volendo valutarla secondo "normali" parametri politici di riferimento. 231 L'entalpia è una funzione di stato di un sistema ed esprime la quantità di energia che esso può scambiare con l'ambiente. Ad esempio, in una reazione chimica, l'entalpia scambiata dal sistema consiste nel calore assorbito o rilasciato nel corso della reazione. Nella nostra metafora, servo e padrone si scambiano, a vicenda, "energia" esistenziale. 232 Nota M. che «quasi per ironia l'impulso a questo movimento del principio della debolezza [tal che esso assurge alla cambiale sociale] è dato dai più forti; [...] l'iniziativa è sempre del più forte: e la "lega dei deboli' s'è fatta proprio a spese dei più forti: che per sola volontà di sominio o per amore ebbero sempre per campo naturale alla loro sovrabbondanza di vita, per dominarli o per amarli [nota l'accostamento, fatto con apparente sufficienza, di dominio e amore], i loro simili» [PR 122]. Per il filosofo goriziano non c'è alcun sviluppo dello Spirito da giustificare e la diversificazione dominus-homo ha piuttosto una connotazione, come afferma Aristotele, già stabilita per natura [cfr. supra]; inoltre, tra le due "posizioni" non si verifica alcun vero conflitto, ma l'una e l'altra preferiscono vivere (sopravvivere) nella consapevolezza della propria condizione di reciproca dipendenza (usata come tacito ricatto), cercando di trarne la condizione più vantaggiosa possibile in un'oculata e compiacente simbiosi. Infine, il superamento (se di superamento si può parlare) dell'empirica condizione signorile-servile - quando quel ricatto comincia a vacillare - non avviene per processo dialettico, ma come dire, per processo "sinottico", cioè attraverso una mera amplificazione a livello sociale (molecolare) del rapporto puntuale (atomico) di dipendenza. La costruzione sociale è anch'essa, dunque, non frutto di un conflitto, ma risultato di un compromesso nel quale le due figure immediatamente si rifugiano, quando la loro condizione da stabile rischia di divenire precaria; e questo superamento non segna un progresso nella storia della coscienza di entrambi: tutt'altro: segna anzi un vero e proprio regresso, nel senso che nello stipulare la cambiale sociale la deficienza non si svelle, ma si innesta in una profondità ancor più radicata e più ignorata, ch'è appunto la Rettorica sociale. A questo punto, per M., la società diviene davvero il Leviatano: essa padrona, gli uomini (quelli che prima eran servi e padroni) novelli servi («gli uomini hanno trovato nella società un padrone migliore dei singoli padroni»): e tra i due nuovi poli si instaura una dialettica altrettanto nuova e altrettanto irrisolta, che mantiene tutte le deviate caratteristiche della prima, la sua malafede e la sua convenienza simbiotica: se tu rispetti le mie leggi - 233 Come sappiamo, la storia di queste autocoscienze, così come scandita da Hegel nella Fenomenologia, non è un processo pacifico e lineare, ma affronta una sofferta e faticosa maieutica pratica che trova nel conflitto tra il sé e l'altro- da-sé la molla dialettica che, passaggio dopo passaggio, assurge alla pienezza onnicomprensiva @llo Spirito. L'autocoscienza sorge nell'avvertimento del limite e si manifesta e sviluppa anzitutto nel desiderio soggettivo di superare l'ostacolo che le si pone incontro. Ma quest'ostacolo non è soltanto il mondo delle cose: è soprattutto l'altra autocoscienza, che limita e minaccia e lotta a sua volta per la propria sopravvivenza. E' qui che s'inserisce la dialettica servo-signore Herr und Knecht), come momento "storico" di esordio del conflitto delle autocoscienze diverse e indipendenti: conflitto che si delinea come mortale, ma che si risolve col subordinarsi dell'una autocoscienza all'altra: infatti, chi riesce a sopraffare l'altro, ostentando di non temere la morte, lo rende schiavo e lo piega al proprio progetto di affermazione. Ma, a sua volta, nel lavorare per l'altro, per il dominus, il servo vive un rapporto più autentico con la realtà, acquistando progressiva consapevolezza del proprio potere condizionante e quindi (arguirebbe Marx) una capacità maggiore di emancipazione. Così, il rapporto finisce col capovolgersi (la libertà e la potenza del signore si scopre mediata dall'operare del servo, che a sua volta scopre la potenza "immediata" del proprio lavoro) e attraverso questa lotta tra l'autonomia e la dipendenza s'ottiene un risultato concreto nello sviluppo dello S pirito: il sorgere cioè del sentimento della libertà nell'autoriconoscersi (l'autocoscienza nasce infatti proprio quando il soggetto riconosce - erkennt - qualcosa di sé nell'oggetto, o comunque nell'altro-da-sé). «[Il servo è] per il signore l'oggetto costituente la verità della certezza di se stesso. E chiaro però che tale oggetto non corrisponde al suo concetto; è anzi chiaro che proprio là dove il signore ha trovato il suo compimento, gli è divenuta tutt'altra cosa che una coscienza indipendente; non una tale coscienza è per lui, ma piuttosto una coscienza dipendente; egli non è dunque certo dell'esser per sé come verità, anzi, la sua verità è piuttosto la coscienza inessenziale e l'inessenziale operare di essa medesima. La verità della coscienza indipendente è di conseguenza la coscienza servile. Questa dapprima appare bensì fuori di sé e non come la verità dell'autocoscienza. Ma come la signoria mostrava che la propria essenza è l'inverso di ciò che la signoria stessa vuol essere, così la servitù nel proprio compimento diventerà piuttosto il contrario di ciò che essa è immediatamente; essa andrà in se stessa come coscienza riconcentrata in sé e si poggerà nell'indipendenza vera» [Hegel, Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, 1967, vol. I, pag. 161]. ingiunge il Leviatano - io ti assicuro la vita: altrimenti morirai; se non ci assicuri la vita - replicano i servi - noi non rispetteremo le tue leggi: e tu morirai. La società come necessità e "banalità" della sicurezza: ma se «a sicurezza è facile», essa - lo abbiamo visto - «è tanto più dura». E allora, nella violenza istituzionalizzata, «nella società organizzata ognuno violenta l'altro attraverso l'onnipotenza dell'organizzazione, ognuno è materia e forma, schiavo e padrone ad un tempo per ciò che la comune convenienza a tutti comuni diritti conceda ed imponga comuni doveri» [tutti i corsivi sono nostri]. Insomma, padroni e schiavi finiscono con l'essere entrambi vittime di un dominio che si congegna in sistema o in "amministrazione" tacitamente, doverosamente accettati; strutture che - seppur fabbricate dalle mani stesse dell'uomo - ora lo superano e si svincolano dal suo controllo: anzi - di converso - sono le dette costruzioni ad esercitare stavolta il controllo diretto. Ciò vuol dire che ciascuno (padrone o servo, non conta), all'interno del sistema stesso, si trova preconfezionato il proprio ruolo, il proprio destino: a lui non resta che la scelta del modo di viverlo; ma questa stessa scelta - individuale o sociale - obbedisce a sua volta alla logica del potere e del dominio e quindi, in definitiva, alla logica della violenza. 8 Come la violenza perpetua se stessa (II). L'educazione corruttrice secondo M.. Il ribaltamento operato dalla Persuasione. Ora: quali sono gli strumenti attraverso i quali la Rettorica indottrina gli uomini all' "accettazione felice" della scelta fasulla ed inadeguata?°*? Quali meccanismi mefistofelici essa pone in atto? In che modo riesce ad inculcare il senso del dovere, garanzia necessaria e sufficiente alla sopravvivenza della società rettorica ed ipocritamente "giusta"? In che modo, insomma, essa riesce a farsi (come si dice oggi) egemonia? O, infine, volendo usare le stesse parole del Nostro, «per qual via la natura ha tessuto e tesse contro a sé tale trama? E come si tiene questa e si riafferma sempre via in ogni figlio dell'uomo che, forte o debole nasca e di quella difesa bisognoso, pur sempre nasce ignaro del suo artifizio?» [121]; ovvero, ancor più chiaramente: in che modo si costituisce [122] e si diffonde [127] l'«adulazione» (xoXaxew) sociale? Come sostiene giustamente il Campailla, nell'introduzione all'edizione minor? della Persuasione e la Rettorica, «il mito della Persuasione [e noi aggiungiamo: il problema della Rettorica], coerentemente, culmina in un problema pedagogico». E proprio qui si apre la sezione più interessante ed "inattuale" della tesi del Goriziano . La risposta al complesso di interrogativi appena posti è a questo punto semplice e consequenziale: è l'«educazione corruttrice» (Svoradaywyia) [127] lo strumento raffinato attraverso il quale la società, la comunella dei malvagi, si arroga e si assicura la sopravvivenza”. Ma in realtà, alla luce di quanto detto, e leggendo attentamente le 234 Qui viene presa in esame la sezione conclusiva della tesi di laurea di M. - corrispondente alle pagg. 121- 131 incluse, in particolare da pag. 127 in poi - che s'intitola Gli organi assimilatori: per un accenno introduttivo alla questione, cfr. anche il nostro paragrafo Il momento del passaggio, contenuto nell'Intermezzo. 235 || concetto - fa notare Campailla - è platonico, e invita a cfr. Gorgia, 463 b, c e passim. 236 Edizione curata nella Piccola Biblioteca Adelphi, 1994 6a. Il riferimento che riportiamo è a pag. 25; il corsivo è nostro. 237 Possiamo dire che, dal punto di vista ideologico, l'asse Platone-Hegel è il riferimento più immediato della polemica pedagogica M.iana. Come abbiamo visto, le analisi di M. sul problema educativo avevano luogo d'origine nella riflessione sulla pedagogia platonica, funzionale alla "statolatria" della Repubblica. Ancora una volta, la prospettiva platonica si "aggiornava" in Hegel, il quale scriveva ad esempio nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia (e la citazione vuol essere riassuntiva della posizione hegeliana): «[...] Solo nello Stato l'uomo ha esistenza razionale. Ogni educazione tende a che l'individuo non rimanga qualcosa di soggettivo, ma divent oggettivo a se stesso nello Stato. [...] Tutto ciò che l'uomo è egli lo deve allo Stato: solo in esso egli ha la sua essenza». [Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, trad. it, La Nuova Italia, Firenze, 1975, vol. I, pag. 105] In coerenza con le linee guida del suo panlogismo dialettico e storicistico, Hegel dunque vedeva nella formazione [Bildung] dell'uomo il "movimento consapevole, il divenire del suo essere per sé», e, cioè, «l'estraneazione del proprio immediato se stesso» istintivo e irrazionale mediante il quale il singolo - ripercorrendo le tappe dello sviluppo storico dell'umanità - si libera da ciò che ha in sé di individuale per oggettivarsi, com'è noto, nelle istituzioni etiche della famiglia, pagine che M. dedica alla questione”, appare chiaro come l'espressione «educazione corruttrice» sia, per lui, a tutti gli effetti, tautol/ogica. Ogni modalità e pretesa educativa, infatti, in ogni luogo e in ogni tempo, presenta la stessa "radice" viziata e corrotta: come abbiamo visto, l'ex-ducere, per il Goriziano, esprime sempre un atto di forzatura, anzi propriamente di violenza: un "trarre fuori" delegato ad un agente esterno (i maestri, i pedagoghi...°°°), un trarre fuori che è soprattutto un sottrarre l'uomo a sé stesso al fine di uno scopo supposto ultimo e massimamente utile, qual è quello della conformazione al cosiddetto benessere sociale (quella che il Nostro chiama «eciproca convenienza » sociale). Nel far ciò, arriva a scrivere il giovane filosofo, la società rende alle sue giovani "promesse" un servizio ch'è analogo a quello che «l'uomo fa ai vitelli, agli agnelli, ai polli, ai puledri, per farsene più buone macchine da lavoro o più buoni produttori di came» [128, in nota; corsivo nostro]. E i risultati di tale operazione sono, sempre e comunque, quelli di produrre «un degno braccio irresponsabile della società» [130; corsivo nostro]: un giudice, un maestro o, addirittura, un boia [130; il significativo accostamento M.iano delle tre figure sociali, senza soluzione di continuità, è violentemente polemico]. In questo senso, l'educazione si manifesta come la traduzione più coerente e più funzionale della tecnica [per cui cfr. supra], lo strumento più opportuno ed efficace per oliare gl'ingranaggi del meccanismo/dispositivo rettorico. In ultima analisi, leggiamo tra le righe, la diagnosi critica di M. non prende di mira solo o esclusivamente il sistema educativo borghese a lui coevo (e, nello specifico, la scuola borghese, deputata principe a quell'educazione): quello stesso sistema educativo e quella stessa scuola non sono altro che le forme e le formule perfette e ultime (ma solo nell'ordine del tempo) in cui l'organizzazione "conformatrice" della Rettorica stessa si è strutturata, in vista e a garanzia del suo perpetuarsi. Il problema non è neanche di puntare il dito verso un tipo di educazione o di organizzazione scolastica errata o quantomeno della società e appunto dello Stato; anzi lo stesso Stato «non esiste per i cittadini: si potrebbe dire che esso è il fine e quelli sono i suoi strumenti» [ibidem], Sostanzialmente, la posizione hegeliana avrebbe trovato un originale sviluppo in Gentile [cfr. almeno il suo Sommario di pedagogia (1913-14)], che tra l'altro fu ministro fascista dell'educazione e autore della riforma scolastica del 1923. Facciamo quest'appunto, perché Gentile - come scrive Campailla - "nel gioco delle parti, rappresentava idealmente il megapresidente di quella commissioni di professori" che doveva esaminare la tesi di laurea del Nostro; e proprio a Gentile toccò, nel 1922, "sulla ‘Critica’, il compito di formulare il giudizio ufficiale di una cultura" riguardo M. [cfr. l'introduzione di Campailla alla Persuasione..., cit., pag. XI]. 238 Pagine in cui la sua critica si fa davvero profonda, serrata e piena di feroce e amara ironia; ben poche pagine, verrebbe da notare, rispetto all'importanza ed alla complessità del problema, che investe le radici stesse del perpetuarsi della Rettorica, come sua prerogativa necessaria e sufficiente; ma, d'altronde, lo stesso M. avvisa che ciò che "fa l'educazione disonesta della società coi giovani uomini, è vicino, credo, e manifesto ad ogni occhio" [128-129, in nota]; tal che, il nocciolo è sempre lo stesso: è l'occhio che si rifiuta di vedere... 239 | più importanti rappresentanti-chiave (i latini direbbero i principes) del consorzio umano. perfezionabile: vogliamo dire che non è questione se l'educazione sia affidata ad un cattivo o ad un buon maestro, ad una cattiva o ad una buona scuola, ad un cattivo o ad un buon metodo: si rammentino gli "insuccessi" di Socrate e di Cristo, a tal proposito, se li si vogliano intendere come meri precursori di una scuola o di un'istituzione. Non è questione, dunque, di proporre un modello educativo alternativo e più pertinente. Questo perché la Persuasione non può avere maestri, scuole e proseliti: qualora li avesse, essa stessa giocoforza si mutuerebbe in Rettorica. Attraverso la Svoreidaywyta, l'individuo vien de-responsabilizzato””” e condotto, motu proprio, ad abdicare alla propria umanità autentica. L'educazione ha il fine di preparare il singolo alle esigenze della vita sociale, in modo che egli sappia inserirsi e vivere nel meccanismo rettorico, senza traumi e senza velleità di contestazione: formare coscienze, consapevoli di tutte le idealità familiari e sociali, capaci di perpetuare lo svolgimento e di garantire la sicurezza stabile del dispositivo, la sua cultura e le sue tradizioni, seppur talora sotto le mentite spoglie del progressismo. Con un'espressione riassuntiva, potremmo dire che la società rettorica garantisce e protegge sé stessa attraverso le forme e le formule della Rettorica sociale. Appare chiaro, sotto questa prospettiva, che è errata in assoluto ogni pretesa vicinanza o anche una semplice analogia topica (vista la distanza temporale e geografica) tra le riflessioni di M. e gli assunti di quella che vien detta "pedagogia del dissenso", " 241, Nella "della liberazione", o le posizioni dei movimenti cosiddetti di "descolarizzazione pratica, l'è vero, le linee dell'analisi e delle critiche sembrano convergere, sotto certi rispetti (inerenti, comunque, soltanto alla pars destruens del discorso): entrambi le posizioni (quella M.iana e quella rivoluzionaria) ritengono che scopo dell'educazione - come comunemente s'intende - non sia quello di far evolvere un individuo verso la propria realizzazione al fine di renderlo felice, ma purtroppo far sì che l'individuo si adatti a quel tanto di infelicità che gli è imposto da un sistema dato e considerato immutabile (0, come dice Marcuse, l'educazione tenderebbe a fare in modo che l’uomo viva liberamente la propria mancanza di libertà). Tuttavia, le posizioni di fondo sono divergenti, anzi si pongono su due piani decisamente diversi. 240 Si ricordi che, per M., la condizione "naturale" dell'individuo sociale è quella in cui l'individuo risulta privato del suo «senso di responsabilità» [108, corsivo del Goriziano; ma cfr. anche quanto detto a tal proposito nel nostro paragrafo sulla Rettorica come tecnica della violenza e violenza della tecnica]. 241 Intendiamo quella pedagogia "rivoluzionaria" o "radicale" rappresentata negli USA da Ivan Illich e da Paulo Freire (mentre in Italia è stata rappresentata da Marcello Bernardi), che elegge a suoi padri putativi Godwin (in Inghilterra), Francisco Ferrer (in Spagna) e, guarda caso, il nostro Tolstoj e che prende le mosse, o comunque viene allo scoperto, durante i movimenti sessantottini di protesta studentesca. «Descolarizzare la società» è il celeberrimo motto di Illich. Quelle "nuove" pedagogie, si muovono, infatti, comunque nell'ambito della necessità di un'educazione, prendendo di mira soltanto le modalità, i modelli ed i metodi di quell'educazione. Il loro problema reale è: l'educando deve adattarsi e conformarsi all'identità sociale, rappresentata ad esempio dal maestro, o invece, come persona viva deve essere educato ad adoperare, un giorno, la sua originale vitalità per migliorare la società (ci immaginiamo come avrebbe reagito M.)? Quelle nuove pedagogie, insomma, appuntano la loro critica solo su di un dato, effettivo, sistema educativo (quello borghese e sedicente "liberale"), perché lo ritengono "statico" e quindi nocivo alla società stessa, cui l'educazione rimane sempre e comunque "funzionale". Per questo, si affaticano nell'approntare un metodo educativo che elimini ogni costrizione o dipendenza apparente (prescrizioni, regolamenti, orari), che ridefinisca quell'insieme di atteggiamenti e di comportamenti che aiutano un individuo ad essere se stesso, a realizzare pienamente la propria personalità, a 'progredire secondo le proprie linee evolutive", come si suol dire. Per dirla in breve, quelle pedagogie non eliminano l'eteronomia, ovvero non obliterano la figura dell'educatore (ritenuta sempre necessaria), ma si limitano ad evidenziare la difficoltà e la delicatezza del rapporto interpersonale educatore-educando, lo riformulano e lo re-inquadrano assimilandolo sostanzialmente all'amore della famiglia e/o della città; rischiando, così, di pervenire, e in effetti pervenendo - nell'ottica del Goriziano, non esplicita in questo senso, ma consequenziale, a questo punto - ad un'operazione ancora più subdola e pericolosa: propinare e formare il "culto della comunità" attraverso la maschera del paternalismo più becero. Questa autorità (quella del genitore, quella del maestro, quella della Rettorica) rimane sempre tale, anzi si rinforza, perché si mimetizza sotto le mentite spoglie dell'amore e della cura dell'altro («il verxog avrà preso l'apparenza della puua» [118]): essa non s'impone più dall'esterno o dall'alto, ma conduce il discepolo (anzi, meglio, il bambino, o il giovane) ad attuare se stesso secondo (presunta) verità; comanda come se consigliasse o supplicasse; influisce e penetra nelle anime senza apparentemente lederne l'autonomia... Come si vede, nell'ottica del disincanto che la lettura di M. ci suggerisce, la violenza permane tal qual è, anzi addirittura si amplifica e diviene più efficace, perché si fa subliminale e si edulcora, e in questo suo edulcorarsi riesce a rendersi perfino ben accetta. Alla luce di tutto ciò, appare allora cristallino quanto il Goriziano scrive (e vale davvero la pena trascriverlo): La peggior violenza si esercita così sui bambini sotto la maschera dell'affetto e dell'educazione civile. Poiché con la promessa di premi e la minaccia di castighi che speculano sulla loro debolezza, e con le carezze e i timori che alla loro debolezza danno vita, lontani dalla libera vita del corpo, si stringono alle forme necessarie in una famiglia civile: le quali come nemiche alla loro natura si devono appunto imporre con la violenza e con la corruzione. Più ancora, la stessa fede, la stessa volontà del bene è sfruttata per l'utile della società. La grande aspettazione d'un valore è via via adulata con la finzione d'un valore nella persona sociale, che gli si tien sempre davanti agli occhi come quella che egli debba, imitando, in se stesso educare. Tu sarai un bravo ragazzo, come quelli che vedi là andare alla scuola, sarai come un grande'. Gli si forma il mito di questo raro scolaro grande, e ogni cosa appartenente allo studio, alla scuola acquista un dolce sapore: l'andare a scuola, la borsa per i libri ecc. E si forma la gerarchia dei valori in rapporto alla superiorità della classe: 'Se sarai bravo, il prossimo anno, non scriverai più sulla lavagna, ma su un quaderno! e con l'inchiostro". Tutti approfittano di quest'anima in provvisorio che sogna 'il tempo quando sarà grande', per violentarla, 'incamiciarla', ammanettarla, metterla in via assieme agli altri a occupare quel dato posto e respirar quella data aria sulla gran via polverosa della civiltà. [129] E in modo ancor più esplicito e sarcastico: Fin dai primi doveri che gli si impongono, tutto lo sforzo tende a renderlo indifferente a quello che fa, perché pur lo faccia secondo le regole, con tutta oggettività. 'Da una parte il dovere, dall'altra il piacere'. 'Se studierai bene, poi ti darò un dolce; altrimenti non ti permetterò di giuocare' .E il bambino è costretto a mettersi in capo quei dati segni della scrittura, quelle date notizie della storia, per poi avere il premio dolce al suo corpo. - 'Hai studiato: adesso puoi giuocare!". E il bambino s'abitua a considerar lo studio come un lavoro necessario per viver contenti, se anche in sé sia del tutto indifferente alla sua vita: ai dolci, al giuoco ecc. Così gli si impongono le determinate parole, i determinati luoghi comuni, i determinati giudizi, tutti i kallwpismata della convenienza e della scienza, che per lui saranno sempre privi di significato in sé ed avranno sempre soltanto tutti quel costante senso: è necessario per poter avere il dolce, per poter giuocare in pace: la sufficienza e il calcolo. Quando al dolce e al gioco si sostituisca il guadagno, "la possibilità di vivere" - "la carriera", "la via fatta", "le professioni" - lo studio o la qualsiasi occupazione conserveranno il senso che il primo dovere aveva: indifferente, oscuro, ma necessario per poter giocare poi, cioè per poter vivere ai miei gusti, per mangiare, bere e dormire e prolificare [130; in queste ultime righe, tutto il corsivo è nostro]. Tutto l'apparato rettorico viene spazzato via con un colpo di spugna, viene anzi ridicolizzato (s'immiserisce in caricatura) da queste considerazioni sprezzanti che non concedono alcun appello. La demolizione dell'illusoria permanenza, da semplice breccia che era, assume dimensioni a dir poco apocalittiche, coinvolgendo tutti gli aspetti della nostra gratuita, artefatta esistenza, dalle espressioni più banali e quotidiane a quelle più meschine e smaliziate. Lo smascheramento si è mutato in condanna esplicita, perentoria, battagliera, irriverente, colpendo nel cuore il dio della prAopuyix, braccandolo negli anfratti più reconditi, smitizzandone l'ostentata onnipotenza. Ad un orecchio distratto, le parole di M. potrebbero suonare come l'ennesima, stancante riproposizione di un impertinente nichilismo. Tutt'altro, ci pare. Il nichilismo è il travestimento carnascialesco della Rettorica, il tiro mancino più azzeccato e beffardo e più a la page. La forza di M. non è soltanto nel disincanto: il disincanto è un momento di passaggio, obbligato, ma di passaggio; la forza della Persuasione risiede soprattutto nella speranza di un nuovo inizio: lo spegnersi dell'illusione luciferina del piacere non ci immerge nelle tenebre ma ci apre lo spiraglio di una nuova luce, di una recuperabile Salute. Per quanto tutto ciò che ci attornia sembri comprovare una resa incondizionata, forse non è ancora tutto compromesso, ci suggerisce il nostro filosofo. Abbiamo ancora una possibilità di riscatto, un perno autentico intorno al quale tentare di ricostruire ciò che abbiamo perduto. E' dall'insegnamento socratico che bisogna ricominciare, è il nosce te ipsum - secondo il Goriziano - il punto di riferimento di ogni corretta ri-valutazione dell'umano, il «prediletto punto di appoggio», il veicolo autentico e genuino della Persuasione, la garanzia pertinace dell'autonomia del vir : Questa educazione (ed è l'unica) [la precisazione parentetica ha valore risolutorio] dà all'uomo le gambe per camminare, e gli occhi per vedere: non gli dà vie fatte, non gli fa veder date cose. - questa fa l'uomo sicuro e indipendente da qualunque offrirsi di cose e non può temere che l'una o l'altra vita sufficiente lo vinca [PR 150; corsivi di M.]. Solo attraverso la voce di Socrate” si formerà il vero uomo, il vir persuaso, l'eroe tragico, l'uomo d'azione, che ha fatto del dolore il punto di partenza della propria gioia, e che ha aperto quella gioia al mondo, creando i presupposti di un nuovo rispetto tra gli enti e di un nuovo principio di responsabilità e di amore. Le parole di M. sono, ancora una volta, devastanti nella loro bellezza, definitive pur nella loro programmaticità (le sottolineamo tutte in corsivo, visto che esse compendiano e confermano il senso della nostra interpretazione): L'uomo d'azione, l'eroe è come uno zampillo d'acque che erompe dalla terra, s'innalza verso il cielo, riscende a ristorare il suolo. (...) L'eroe è uno slancio della volontà verso l'essere, la libertà, 'dio" nelle cose, con le cose, per le cose; nella vita e non fuori della vita; bisogna esser nella vita per uscirne - e l'unica via è l'universalizzazione della vita, lo slancio verso il principio della vita in un amore eguale per tutte le cose viventi: libertà e amore: quanto più l'uomo è libero tanto più sente sé identico all'universo: nell'amore verso l'intima ragione accomuna sé e l'universo; sente sé (nel proprio divenire verso l'essenza) la ragione dell'universo, ama sé in tutte le cose e tutte le cose in sé; in quanto ama e cerca quell'unica universale essenza. L'eroe vive in questa ultima fede e afferma se stesso trascinando il mondo verso la vera vita: il regno dei cieli è in te. (...) L'eroe presuppone negli uomini la medesima essenza, la stessa volontà che è in lui, rispetta sé negli altri. Cioè suppone negli altri la ‘direzione verso l'assoluto, verso dio": nega e afferma per sé e per gli altri in nome di questa smisurata speranza. Respinge la vita terrestre, ma vive, nel pensiero de 'la vita'24, Sta dunque a noi - che, seppur "storditi", avvertiamo comunque il riflusso della voce socratica - farne «attività infinita» o destinarla al bivacco dell'utopia, ostinandoci a bazzicare nelle rilassate menzogne della nostra «tranquilla e serena minore età» °, perché - direbbe Kant - in fondo «è così comodo essere minorenni!» °°, 242 L'eristica potrebbe obiettare che l'eteronomia, cacciata dalla porta, è rientrata per la finestra: in fin dei conti, anche M. elegge un suo educatore, in Socrate. Ma l'appunto è inesatto. L'educazione socratica, infatti, ha il suo valore proprio nel negare... il proprio valore (ilsapere di non sapere, tanto per usare un comodo luogo comune), ovvero nell'indicare all'individuo la strada della propria autonomia, disattendendo ad ogni sua stessa pretesa educativa (e qui è il fulcro del paradossale "messaggio" di Socrate, che si riflette nella paradossalità della Persuasione). In questo senso, nel richiamare l'individuo alla "reminiscenza" dell'autentico "demoniaco", più che un'educazione, quella socratica è una provocazione. 243 La figura dell'eroe tragico, come qui è tratteggiata, appare negli Scritti vari, cit, n. 110, pagg. 798-799. 244 Sono le parole con cui si conclude la versione "ufficiale" (prescindendo dalle Appendici critiche) de La persuasione e la rettorica. Confessiamo che sono state proprio queste parole, che suggellano il messaggio di persuasione M.iano, ad incoraggiare il nostro approccio ermeneutico attraverso la prospettiva dell'etica kantiana, casomai non esplicita, ma sempre presente durante la stesura del nostro lavoro. Perché «uscire dalla minore età» è l'augurio e il monito programmatico (a tutto il suo pensiero) che Kant pone a principio di uno dei saggi che riteniamo tra i più belli e sardonici: Risposta alla domanda: che cos'è l'iluminismo? [cfr. anche nota successiva]. E la coincidenza non c'è sembrata solo una contingente questione d'assonanza. 245 Cfr. Kant, : Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?, contenuto in Scritti politici e filosofia della storia e del diritto, UTET, 1965, pag. 141. Capitolo integrativo. A - Le varianti deboli della Persuasione. A1- La variante nichilistica di Schopenhauer. A2- La variante Nietzsche, il "terzo Dioniso". A3 - Leopardi: la variante "flessibile" alla Persuasione. A4 - Kierkegaard: la variante "relazionale" della Persuasione. B - Variazioni sul tema M.iano del "peso che di-pende". C - La critica alla Rettorica come caricatura della Rettorica. A - Le varianti deboli della Persuasione. Intendiamo quali "varianti deboli" della Persuasione taluni esiti filosofici che hanno conosciuto, rispetto alla proposta M.iana, maggior fortuna nella storia del pensiero occidentale, pur condividendo, con quella proposta, presupposti e finalità, ovvero - per dirla con estrema sintesi - la mechané tragica per sopravvivere al Tragico (in questo senso le diciamo varianti). Esiti (l'egoismo di Stirner, il titanismo di Foscolo e Leopardi, il dionisismo di Nietzsche, il volontarismo di Schopenhauer, il "cristianesimo" di Kierkegaard e via dicendo) cui molto spesso la critica si è appoggiata nel tentativo di risolvere la complicata sciarada della Persuasione, incasellandola nel rapporto a soluzioni già note e definite, ma in questo modo giocoforza equivocando e/o svalutando la pregnanza e l'originalità profonde della sua portata. Soluzioni, ancora, che M. effettivamente tenne in conto, e che anzi costituirono (quale più quale meno) l'humus fertile della sua formazione culturale e soprattutto umana: ma esiti, infine, che M. stesso ad un certo punto superò (nell'accezione, ci vien da dire, hegeliana), ritenendoli parziali o comunque non sufficientemente "persuasi" (e in questo senso le varianti le diciamo debolì). Non sufficientemente persuasi significa, come oramai si capirà, non garanti di quella autonomia e di quell'orizzonte politico che invece costituiscono per noi i tratti distintivi e forti della Persuasione M.iana. Focalizzeremo la nostra analisi soprattutto sulle varianti schopenhaueriana, nicciana, leopardiana e kierkegaardiana, dato che - vista la loro portata - esse si impongono su altre satellitari, nel senso che ad esse possono comodamente riferirsi. In realtà, riguardo Kierkegaard, la questione è già stata ampiamente trattata nel corso del nostro lavoro, anche se per via indiretta, soprattutto nell'accostamento al Brand, trasposizione drammaturgica (come dicemmo) del cavaliere della fede; riguardo Leopardi, uno dei Persuasi per eccellenza secondo M., ci soffermeremo soltanto sulla lieve (ma in ordine di quantità e non di qualità) "sfumatura" che a nostro parere li distingue nelle soluzioni della mechané; per quanto concerne Schopenhauer, invece, ci limiteremo a sottolineare le affinità-differenze del Wille con la deficienza e il valore della Persuasione anche come decisa risposta alternativa al Nirvana, o comunque all'ideale ascetico; infine, la nostra analisi indugerà piuttosto su Nietzsche, dato che l'ermeneutica filonicciana rappresenta, secondo il nostro giudizio, l'equivoco GRICE EQUIVOCO più problematico e pericoloso della Persuasione, anche se, purtroppo, il più accreditato. Nel tracciare la sinossi di questi autori con M., ovviamente si procederà con andamento sintetico piuttosto che analitico, ovvero sorvolando elementi critici oramai 149 assodati e casomai soffermandoci su spunti che, in apparenza tangenziali o cavillosi, possono rivelarsi cruciali nell'economia del nostro discorso. Questa nostra metodologia "antagonista", infine, vuol far emergere, nel raffronto chiaroscurale, una evidenza della Persuasione chiara e distinta, chiara perché appunto distinta. E vuol ribadire il fatto che la riflessione di M., seppur originalissima, fermentò comunque nella sinergia di riflessioni affini alla sua°*°: il Goriziano, cioè, cercò continue conferme alla sua ipotesi di Persuasione (e di riflesso, alla sua analisi sulla Rettorica), spaziando tra le esperienze più complesse e "alternative", volte a garantirle anche un saldo impiantito speculativo. Apparirà chiaro, dunque, come tra M. e i quattro pensatori di cui sopra si venga a stabilire un vincolo che può apparire di filiazione, ma che in effetti è di "assonanza" (si respira, come dire, aria di famiglia): ossia apparirà sintomatico come la "consapevolezza del disincanto" acquisti, a certi livelli, una quasi perfetta corrispettività di intenti e di diagnosi e di espressioni talora anche (addirittura) terminologica. Laddove, però, le differenze si rivelano importanti almeno quanto le somiglianze. Questo, a nostro parere, getta luce definitiva sul rapporto che il giovane filosofo instaura con i "suoi" autori: è come se da essi - volendo usare una perifrasi aritmetica - traesse il "minimo comune multiplo" o il "massimo comun divisore", e lo rielaborasse nel saldo tessuto connettivo della sua Persuasione. Persuasione che, in un balzo, oltrepassa anche gli esiti dei suoi riferimenti privilegiati, e ciò davvero senza la pur minima ossequiosità; Persuasione che, infine, e non solo per l'ameno che la contraddistingue, può a buon diritto figurare accanto a quelli nel firmamento della storia della filosofia persuasa di tutti i tempi, seppur figlia "soltanto" dell'ibrida provincia italo-austriaca. 246 Sullo sfondo, non dimentichiamolo, l'orizzonte greco, presupposto di tale sinergia, già ampiamente trattato.A1- La variante nichilistica di Schopenhauer. Come accennato più volte, alla lettura di Schopenhauer - all'unanimità riconosciuto come uno dei vertici speculativi di ispirazione per M. - il nostro giovane filosofo fu introdotto dall'amico Enrico Mreule”", e presumibilmente attraverso Schopenhauer (si pensi alle suggestioni nirvaniche di intere pagine del Mondo) si avvicinò anche alla riflessione, se non proprio alla pratica, del Buddismo”. Eppure, il "filosofo della volontà" è il grande assente dagli scritti michelstedteriani: gli accenni che lo riguardano in modo diretto sono davvero scarsi, ammontano a quattro o cinque - egualmente distribuiti tra la tesi, l'epistolario e due saggi raccolti nelle Opere complete - e, nella maggior parte dei casi, ci sentiamo di dire, davvero di poco conto, accessorii?”. 247 Cfr. almeno il nostro capitolo II, nella fattispecie il paragrafo sul Pretesto cronologico della proposta persuasa di M.. 248 Cfr. il nostro capitolo |, nella fattispecie il paragrafo sul Porto della pace. 249 Schopenhauer aveva individuato nella Volontà [Wille] il nome proprio del noumeno kantiano, vale a dire la radice strutturale di ogni realtà: un impulso cieco, inarrestabile, irrazionale, che non ha altro fine se non perpetuare sé stesso e che, in questo autoprodursi, informa il mondo (si "oggettiva" nel mondo) segnandolo di dolore e male. Essa è «la sostanza intima, il nocciolo di ogni cosa particolare e del tutto» (cfr. almeno Mondo I, $ 21). «Il fenomeno, l'oggettità dell'unica volontà di vivere è il mondo, in tutta la molteplicità delle sue parti e figure. L'essere, e il modo dell'essere, nel tutto come in ciascuna parte, è costituito solo dalla Volontà. Essa è libera, essa è onnipotente. In ogni cosa appare la Volontà, quale essa medesima in sé e fuori del tempo si determina. Il mondo non è che lo specchio di questo volere; ed ogni limitazione, ogni male, ogni tormento, che il mondo contiene, appartengono all'espressione di ciò che la volontà vuole: sono quali sono, perché essa così vuole» [ib. § 631. Secondo il "filosofo del pessimismo", la Volontà stessa trova nell'uomo un insperato, inconsapevole alleato: essa, sempre più chiaramente oggettivandosi, agisce, prima come forza meramente impulsiva, poi come forza istintiva, infine, proprio nell'uomo, come conoscenza. Nell'uomo, nella conoscenza, la Volontà diviene forma organizzata, assume la falsa consistenza del "quadruplice principio di ragione sufficiente" (necessità logica, fisica, matematica, morale). Ora, ad avviso di Schopenhauer, ci si può liberare dal dolore e dalla noia e sottrarsi alla catena infinita dei bisogni - tutte manifestazioni in cui appunto la Volontà si oggettiva nell'uomo - attraverso l'arte e l'ascesi. Un grado "intermedio" di liberazione è la compassione, che nasce quando l'uomo ha saputo superare ogni distinzione fra la propria e l'altrui persona, considerando il destino dell'altro uomo come uguale al proprio e sentendo come proprio l'altrui dolore. La morale ha come virtù la giustizia (che è un freno all'egoismo e quindi è una virtù negativa: "non fare il male") e la carità (virtù positiva: "allevia il male"). Tuttavia, se con la pietà si vince l'egoismo, comunque non ci si libera totalmente della vita e dunque della volontà. Difatti, per Schopenhauer il comportamento che nega in modo assoluto l'individualità e la volontà dell'uomo è piuttosto quello ascetico. Nell'ascesi la Volontà cancella ogni affermazione di sé negando tutte le forme "positive" di vita e trasformandosi in quella che il filosofo chiama appunto la nolontà (ossia il riflesso speculare - ma opposto, negativo - della Volontà). L'ascesi si profila come un insieme di pratiche che mortificano la volontà, che fanno capire come essa sia causa reale di sofferenza e sia essenza stessa del mondo: la noluntas è la perfetta castità, la povertà volontaria, la rassegnazione ed il sacrificio [cfr. almeno $$ 70-71]. Quello ascetico si configura come lo stato di chi ha annullato in se medesimo ogni pulsione vitale, di chi si è distaccato dall'ordine degli eventi mondani e dai piaceri della vita e accetta serenamente la morte come liberazione dai lacci della volontà e delle sue illusioni. La completa soppressione dell'impulso vitale produce, per Schopenhauer, l'annullamento totale del mondo: pervenuto alla perfezione della noluntas, l'uomo scopre che il traguardo della propria autonegazione gli dona la contemplazione del nulla (cfr. almeno ib. $ 71, ma vd. anche nel prosieguo del confronto). Ma è proprio nella formazione di questo "nulla mortificante" artefatto che, secondo noi, M. costruisce la propria critica e segna il suo distacco da Schopenhauer. [le citazioni qui riportate da Il mondo come volontà e rappresentazione, e quelle che si riscontreranno nel corso del confronto, sono tratte dalla trad. it. proposta dall'ed. Laterza, 1968, a cura di C. Vasoli. Delle citazioni ci siamo limitati a riportare i paragrafi da cui esse son prese]. 250 Alle citazioni che incontreremo nel corpo del confronto, si aggiungano queste altre tre, e il quadro è completo: Schopenhauer, del resto, non rientra nell'eletta schiera dei persuasi: non è inserito neanche nell'elenco dei «perfetti pessimisti» (che coincide in pratica con quello dei persuasi), nel noto frammento contenuto negli Scritti Vari. Questo silenzio e queste assenze sono a dir poco imbarazzanti, e molta critica tende a sua volta a sottacerli, dato che, diversamente, crediamo noi, verrebbe a cadere uno dei più importanti pretesti per incasellare M. all'interno di una tradizione di riferimenti già stabilita. E' altrettanto vero, comunque, che da molte pagine della tesi di laurea e del Dialogo trapela netta la voce del Wille, soprattutto quando il Goriziano svolge la sua analisi sul deficere fisiologico-ontologico che struttura il mondo sublunare”; com'è vero che, «con buona probabilità, [ritrae il volto di] Schopenhauer un disegno di M. pubblicato da VI. Arangio-Ruiz252, [al di sotto del quale disegno] è significativamente riportata la formula 'AT ENEPIEIAX® EX APTIAN' [dall'attività verso la pace] in cui il Goriziano ha più volte sintetizzato i compiti della [sua] ricerca filosofica»“°°. E, ancora, è forse proprio lo stesso ritratto che s'intravvede sullo sfondo, tra i libri sulle scaffalature, nel famoso autografo Disegno della soffitta di casa Paternolli (il «ritratto della mia vita», com'egli lo chiama allegandolo ad una lettera al Chiavacci), la soffitta dove M. letteralmente si segregò per ultimare la tesi, trascorrendo (come scrive) una «vita che non è vita», ma con la consapevolezza, comunque, che lì nasceva «una grande opera». Quasi che l'immagine del filosofo tedesco, come l'icona di un santo, vegliasse e "supervisionasse" il lavoro del Goriziano, dunque. Del resto, Schopenhauer suggerisce a M. anche il luogo privilegiato attraverso il quale, come filo d'Arianna, individuare la possibilità di un'armonia persuasa da estendere alla totalità delle cose viventi: il filosofo tedesco aveva visto, cioè, proprio nel corpo - che pur ad una considerazione superficiale si dà come mera rappresentazione tra le rappresentazioni - l'espressione più adamantina e perfetta dell'oggettivazione del Wille, e quindi la condizione della conoscenza della Volontà stessa, lo strumento euristico che permette di oltrepassare il "velo di Maia" interposto tra noi e la vera essenza del «E' scritto in qualche parte (credo in Schopenhauer) che chi potesse guardare internamente in un vaso di terra non vi vedrebbe che un oscuro tendere al basso e un'oscura forza di coesione» [PR 162]; «Tu sai che la ragione dell'antisemitismo filosofico (Schopenhauer e Nietzsche) è il razionalismo della religione e della letteratura ebraica (pensa al Pentateuco e a Spinoza!) e la mancanza dell'elemento mistico nelle menti ebraiche [...]» (la già citata lettera al Chiavacci, del 22 dicembre 1907, E 267, che richiameremo anche in riferimento a Nietzsche); «Schopenhauer dice che ogni dialettica è in fondo un'eristica. Quella dialettica non è un'eristica dove l'uomo si comporta verso l'altro come verso di sé - dov'è presupposta in tutti e due un'eguale realtà, sicché tutti e due arrivano a purgare singoli concetti dalla relatività, giungendo ad affermare così l'assolutezza della loro comune fede» [O 711-712]. 251 Ma riguardo a ciò, ovvero alla re-interpretazione del Wille, cfr. quanto diremo oltre. 252 In Convegno, luglio 1922, pag. 357. 253 Sono le parole di S. C ampailla, in Pensiero e poesia..., cit., pag. 25, in nota. 254 La lettera cui il disegno e le parole citate fanno riferimento è quella del 25 aprile 1910. mondo. Similmente, M. individua un'analogia tra il bisogno elementare del nostro corpo e il bisogno della Persuasione: come ricorderete, dicemmo che «è come se [...] un'immagine sbiadita della Persuasione sopravvivesse nella forza che sottende all'equilibrio omeostatico (chimico e soprattutto fisiologico) del nostro corpo» °°. Ciò nonostante, il silenzio del Goriziano riguardo Schopenhauer è, secondo noi, non privo d'importanza, è anzi indicativo della curvatura autonoma che ben presto prese la sua ricerca esistenziale. A tal proposito, ci sembra utile riportare l'unico passaggio che abbiamo designato come significativo: (Schopenhauer, in fin dei conti] non si occupa di far vedere la necessità dell'errore stesso implicito nel principio generale della vita che fece vivere chi aveva negato ogni ragione di vivere. Infatti così accadde proprio a lui che visse tutta una lunga vita a fare professione di pessimismo. Tanto che poi le sue negazioni gli divennero sistema e che morì accarezzando anche lui [s'intende, tra le righe, (soprattutto) come Hegel] una certa forma di 'assoluto' [O 839-840]. Come appare chiaro, M. denuncia che nella pratica della vita il filosofo tedesco arrivò a sconfessare se stesso, o che comunque fece assurgere il suo pessimismo a sistema, la qual cosa è una contraddizione in termini. Appare altrettanto chiaro che, in questo senso, Schopenhauer diviene addirittura l'avversario privilegiato, seppur indiretto, di molte pagine M.iane incentrate sulla critica dell'«imperfetto pessimismo», cioè di quel pessimismo che viene infine a coincidere con «un punto alto dell'ottimismo vitale»"99. Il meccanismo, che in effetti ricorre in più passaggi della sua opera, viene descritto con limpidezza in un capoverso del Dialogo: Il suo non è pessimismo, cioè conoscenza del non-valore, e conseguente indifferenza, ma ottimismo. Cioè fede in un valore (la felicità nella morte) sconosciuto, per solo stimolo del suo bisogno presente [D 78]. Qui, in verità, M. sta fustigando coloro i quali, "forti" del loro pessimismo, credono di realizzarne con coerenza i presupposti nichilisti uccidendosi. Mentre invece Schopenhauer, come sappiamo, considerò il suicidio come «un atto di forte affermazione della volontà stessa» in quanto il suicida «vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate» (Mondo, $ 69), per cui anziché negare veramente la volontà egli nega piuttosto la vita; e in questo M. lo segue fedelmente (ed è importante, e deve far riflettere, una simile presa di posizione da parte di un suicida?”). 255 Cfr. ci sia concessa questa autocitazione dal paragrafo su Empedocle, nel nostro Capitolo V, per rendere più scorrevole il discorso. 256 in Scritti Vari, cit., pag. 825. 251 Cfr. le analisi contenute ad esempio in D 75-78. Tuttavia, pur se non morte, cos'altro è la noluntas se non una forma di "mortificazione", di consapevole eutanasia? La pace del Nirvana? si propone come esperienza del nulla, un nulla relativo al mondo, cioè, in definitiva, una negazione del mondo. Certo, anche la Persuasione presuppone una spoliazione progressiva delle "valenze inadeguate" che il vir intrattiene col mondo: ma il risultato non è un divorzio del Persuaso da ciò che lo circonda, non è una sua mortificazione, bensì - e lo abbiamo più volte ripetuto - un recupero del mondo nell'apprezzamento di una rinnovata dolcezza. Per semplificare la questione, possiamo ammettere che talune affermazioni del Goriziano tradiscono, in effetti, già nell'argomentazione, una discendenza molto chiara dal dettato schopenhaueriano (ad es., passaggi importanti come il seguente: «Vita è volontà di vita, volontà è deficienza, deficienza è dolore, ogni vita è dolore»°°°): e proprio seguendo la falsariga del Tedesco (e con profonde affinità anche con Leopardi) per M. la vita - e non solo quella rettorica - oscilla decisamente tra dolore, piacere effimero e noia. L'argomentazione è addirittura sillogistica, come sappiamo: ogni essere vivente, oggettivazione puntuale/empirica del Wille/deficere, è afflitto dal bisogno e dal desiderio, da una brama che pone in lotta le forme viventi tra loro. Unica alternativa, dopo i brevi e occasionali istanti dell'appagamento (natura negativa del piacere), è la noia. 258 «Davanti a noi - scrive Schopenhauer - non resta invero che il nulla. Ma quel che si ribella contro codesto dissolvimento nel nulla, la nostra natura, è anch'essa nient'altro che la volontà di vivere. Volontà di vivere siamo noi stessi, volontà di vivere è il nostro mondo. L'aver noi tanto orrore del nulla, non è se non un'altra manifestazione del come avidamente vogliamo la vita, e niente siamo se non questa volontà, e niente conosciamo se non lei. Ma rivolgiamo lo sguardo dalla nostra personale miseria e dal chiuso orizzonte verso coloro, che superarono il mondo; coloro, in cui la volontà, giunta alla piena conoscenza di sé, se medesima ritrovò in tutte le cose e quindi liberamente si rinnegò; coloro, che attendono di vedere svanire ancor solamente l'ultima traccia della volontà col corpo, cui ella dà vita. Allora, in luogo dell'ncessante, agitato impulso; in luogo del perenne passar dal desiderio al timore e dalla gioia al dolore; in luogo della speranza mai appagata e mai spenta, ond'è formato il sogno di vita d'ogni uomo ancor volente: ci appare quella pace che sta più in alto di tutta la ragione, quell'assoluta quiete dell'animo pari alla calma del mare, quel profondo riposo, incrollabile fiducia e letizia [...] La conoscenza sola è rimasta, la volontà è svanita. E noi guardiamo con profonda e dolorosa nostalgia a quello stato, vicino al quale apparisce in piena luce, per contrasto, la miseria e la perdizione del nostro. Eppur quella vista è la sola, che ci possa durevolmente consolare, quando noi da un lato abbiam riconosciuto essere insanabile dolore ed infinito affanno inerenti al fenomeno della volontà, al mondo; e dall'altro vediamo con la soppressione della volontà dissolversi il mondo, e soltanto il vacuo nulla rimanere innanzi a noi. In tal guisa adunque, considerando la vita e la condotta dei santi [...] dobbiamo discacciare la sinistra impressione di quel nulla, che ondeggia come ultimo termine in fondo a ogni virtù santità e di cui noi abbiamo paura, come della tenebra i bambini. Discacciarla, quell'impressione, invece d'ammantare il nulla, come fanno gl'Indiani, in miti e in parole prive di senso, come sarebbero l'assorbimento in Brahma o il Nirvana dei Buddhisti. Noi vogliamo piuttosto liberamente dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per tutti coloro che della volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è il nulla » [Mondo $ 71 passim]. 259 In Scritti Vari, cit, pag. 705. 260 «Qualsiasi soddisfacimento - scrive Schopenhaurer - o ciò che in genere suol chiamarsi felicità, è propriamente e sostanzialmente sempre negativo, e mai positivo. Non è una sensazione di gioia spontanea, e di per sé entrata in noi, ma sempre bisogna che sia l'appagamento d'un desiderio. Imperocché desiderio, ossia mancanza, è la condizione preliminare d'ogni piacere. Ma con l'appagamento cessa il desiderio, e quindi anche il piacere. Quindi l'appagamento o la gioia non può essere altro se non la liberazione da un dolore, da un bisogno: e con ciò s'intende non solo ogni vero, Dolore, piacere e noia sono le passioni, potremmo dire con Cartesio, «semplici e primitive», da cui si diramano passioni più particolari; di queste, il Goriziano fornisce una vera e propria casistica eziologica ed ontologica, che può ricordare altre simili presenti, ad esempio, nell'Ethica di Spinoza: l'impotenza, il rimorso, la malinconia, la paura, l'ira, la «gioia 'troppo' forte»™®' . Ontologica perché esse tutte, primitive e derivate, in effetti poggiano sulla passione fondamentale, quella esistenziale per eccellenza, quella insomma che gli esistenzialisti (ma già Kierkegaard) chiameranno Angoscia [Angs{ ovvero, secondo il giovane tesista, la condizione per la quale l'uomo «sente d'esser già morto da tempo e pur vive e teme di morire»”®?: l'angoscia testimonia «dappertutto lo stesso dolore della vita che non si sazia e crede di saziarsi, reso perspicuo per la qualunque contingenza dell'una coscienza col fluire delle altre coscienze». E' l'angoscia, la malattia mortale, la passione "motrice" che, nella pratica, induce gli uomini a stringere la "cambiale" della società, per una sorta dicompensazione/conservazione del proprio impulso vitale, altrimenti annichilito. Tuttavia, se tale analisi ha una radice palesemente schopenhaueriana, il nostro filosofo già da subito reinterpreta/sussume il Wille all'interno di un'originalissima «ontologia della privazione che concepisce la vita secondo i termini di una deficienza originaria »?9°, ovvero «la volontà per M. non è un oscuro impulso fondato in se stesso [come appunto in Schopenhauer], ma una ‘deficienza’, una mancanza, la maniera d'essere dell'esistenza finita, della falsamente infinita ‘vita» 9. E i nostri approfondimenti in proposito dovrebbero rendere questa differenza oramai scontata. La Persuasione, di contro, non sarà un riparo egoistico nella turris eburnea dell'autosufficienza nichilista (così come appare nella noluntas), ma una consapevolezza viva e politica del Tragico, volta a creare una nuova solidarietà tra tutti gli enti del mondo sublunare, al di là di ogni pregiudiziale cesura metafisica?®. Il Persuaso, infine, è il vero pessimista perché sa farsi ragione della «brutalità della vita», e ciò facendo - scrive M. - «vive con la chiara coscienza dei valori e delle possibilità: non spera dalle cose più di quanto possano dare, non teme più di quanto sia da temere». Ancora una volta, il pessimismo persuaso coincide con la consapevolezza del Persuaso, ovvero con la consapevolezza aperto soffrire, ma anche ogni desiderio, la cui importunità disturbi la nostra calma, e perfino la mortale noia, che a noi rende un peso l'esistenza». [cfr. Mondo, § 58] 261 Per l'analisi delle quali, cfr. - del nostro Il capitolo - il paragrafo sul Cerchio della violenza. 262 Per queste considerazioni, e quelle che seguono immediatamente, cfr. ibidem. 263 Cfr. G. Pulina, L'imperfetto pessimista - Saggio sul pensiero di Carlo M., ed. Lalli, pag. 61. 264 Cfr. A. Michelis, Carlo M., cit., pag. 71. 265 P er i riferimenti e le citazioni che seguono immediatamente, cfr. almeno, del nostro capitolo II, il paragrafo sulle Radici della violenza. In effetti, che tra l'uomo e gli altri enti non ci fosse alcuna cesura metafisica è un lascito anch'esso schopenhaueriano (tutto è Volontà). dell'impermanenza esistenziale”, e quindi con la gioia che da questa consapevolezza scaturisce. Ne vien fuori una figura di eroe tragico che nulla ha a che vedere con l'asceta schopenhaeuriano, o col superuomo nicciano (che più che tragico, apparirà grottesco?9”). Un eroe tragico che, come abbiamo concluso”, è uomo d'azione, uno zampillo d'acqueche erompe dalla terra, s'innalza verso il cielo, ma riscende a ristorare il suolo: vive in uno slancio che è nella vita e non fuori della vita: lo slancio verso il principio della vita in un amore eguale per tutte le cose viventi. L'eroe vive in questa ultima fede e afferma se stesso trascinando il mondo verso la vera vita; e poiché presuppone negli uomini la medesima essenza, la stessa volontà che è in lui, rispetta sé negli altri, creando un vincolo di libertà e di amore??? 266 Come la chiamerebbero anche i maestri orientali; e la coincidenza terminologica che non può essere soltanto un caso. 267 Ma cfr. quanto diremo fa poco in proposito della variante Nietzsche, 268 || riferimento è alla parte conclusiva del nostro capitolo Il. Di quelle conclusioni riprendiamo, in parafrasi, nelle parole che appena seguono, i punti salienti della descrizione dell'eroe tragico così come tratteggiata dal Goriziano, come detto, negli Scritti vari, cit, n. 110, pagg. 798-799. 269 In questo modo, M. recupera e rivaluta anche l'orizzonte importante della compassione, che Schopenhauer aveva inteso soltanto come uno dei momenti - inadeguato e transitorio - per assurgere alla contemplazione nullificante del Nirvana [per cui cfr. supra]. A2- La variante Nietzsche, il "terzo Dioniso". C'è un pessimismo della forza? Nietzsche, Tentativo di autocritica Confessiamo che affrontare la variante nicciana della Persuasione ci mette un po' a disagio. Nietzsche è un autore che attrae inevitabilmente nel vortice del suo pensiero e della sua "follia" ogni tentativo di accostamento; anche il nostro, per quanto contingente e irrisorio, cioè votato a tracciare esclusivamente eventuali affinità o meno col dettato M.iano. Proprio il fatto che quest'accostamento nostro malgrado "ci si imponga" pur parlando di M. (che è per noi, negli esiti, un altro mondo rispetto al filosofo tedesco) testimonia, nel suo piccolo, di come la potenza e il fascino "ambiguo" di Nietzsche faccia valere tutta la sua autorità; ossia di come si sia iniettato a livello genetico nell'orizzonte pensante della sua posterità al punto che, a tutt'oggi, ogni nuova ricerca filosofica, ogni nuova proposta etica, insomma ogni "progresso" della speculazione deve fare innanzitutto i conti col suo nichilismo, eletto all'unanimità a spartiacque, e deve innanzitutto difendersi dall'accusa terribile di essere un valore, la più immediata che le viene rivolta contro, al pari di un'offesa. Ribaltando la prospettiva (ma il senso permane identico), ogni affermazione di forza genuina, ogni progetto di nuova umanità, ogni rinnovato accenno "persuasivo" viene inteso come partorito, per germinazione più o meno consapevole, in seno alla transvalutazione, come se nella debacle di cui siamo gli omertosi testimoni Nietzsche fosse l'unico garante di sincerità, l'unico punto di riferimento, l'unico abbrivo di pensiero che prometta onestà. Così, anche la Persuasione M.iana è passata al vaglio del "pensiero danzante", e a tal proposito il travaglio ermeneutico dei suoi esegeti filonicciani è stato alacre: si è visto, cioè, nel vir un figlioccio o un fratellastro minore dell'Ubermensch, nella sua aspirazione "autarchica" (ovvero, autonoma) una volontà di potenza più ingenua ma non meno violenta: una sorta di carbonio impoverito. M. sarebbe la traduzione provinciale del nichilismo cosmico-europeo: egli starebbe a Nietzsche come il grimaldello al martello. Ci viene voglia di liquidare il discorso con due battute: [1] la Persuasione è effettivamente e fieramente un valore; [2] definire nicciano M. sarebbe come chiamare nicciano Socrate (è Socrate, infatti, il riferimento dichiarato del Goriziano), il che paleserebbe la vanità e la risibilità dell'accostamento. Tuttavia, per non prestare il fianco ad inevitabili contrappelli, preferiamo - come sempre - parlare di M. (e qui della sua presunta filiazione da Nietzsche) attraverso le sue stesse parole. Innanzitutto, è da dire che chi cercasse riferimenti espliciti al filosofo tedesco nelle opere del Goriziano, come nel caso di Schopenhauer, rimarrebbe deluso. Si contano a stento sulle dita di una mano, e Nietzsche risulta praticamente ignorato ne La persuasione e lrettorica. Difatti, M. menziona Nietzsche cinque o sei volte - in maniera incidentale e mai in un contesto "pacifico" - solo nelle lettere e in qualche appunto "minore" contenuto nelle Opere complete a cura del Chiavacci. Ma procediamo con ordine, partendo da un elemento in apparenza occasionale. Una sera del gennaio 1907, M. va a teatro (una delle sue attività preferite) ad assistere ad una pièce allora in voga: Più che l'amore, di Gabriele D'Annunzio. Il Goriziano, com'era solito fare, in una lettera alla famiglia descrive puntualmente le impressioni che ne ricavò [E 167-168]: Questa sera andai a sentire Più che l'Amore. - Il concetto è prettamente Dannunziano, o meglio Nietzschiano: L'uomo superiore nel suo immediato congiungimento d'amore, d'entusiasmo con la natura, con le forze vive della vita, al di fuori della società, al di fuori quindi da tutti i suoi concetti morali, ha diritto di schiacciare senza riguardo a questi concetti, tutte le barriere che la società gli mette fra il suo amore e il conseguimento del suo ideale. - A me pare che non solo si esplichi ciò (come i giornali dissero sempre) nell'uccisione del baro ma anche e più, nel calpestare che Corrado Brando [il protagonista del dramma] fa e dell'amore di Maria e dell'amicizia di Virginio. Anzi unicamente in questo consiste l'azione, nell'altro soltanto l'antefatto e il mezzo per poter esprimere tutti i concetti che l'autore magnificamente fa esporre continuamente a Corrado, e ci spiegano l'azione la quale azione invece è di fatto soltanto, non di parole. Più che l'amore agita Corrado la passione per la natura africana, in nome di questa egli spezza il cuore di Virginio e di Maria. Non èvero dunque che il lavoro manchi d'azione. Anzi è azione psicologica serrata continua. La forza individuale di Corrado non cozza meschinamente contro l'impossibilità di aver 3000 o 4000 lire ma contro i legami sociali, contro i legami della coscienza, sopratutto contro i legami del cuore che dalla società nascono, quei legami che sono i più forti di tutti. Quindi la situazione è corrispondente esattamente a quelle del D'Annunzio stesso di fronte alla sua famiglia nelle Laudi quando prende quasi commiato da lei, corrispondente a tutta l'Attività sua poetica e pratica, corrispondente alla situazione attuale della società (come si diceva quella sera). - Ma perché questa azione spicchi è necessario drammaticamente l'ambiente sociale con tutte le sue leggi, i suoi affetti, i suoi pregiudizi, o un suo rappresentante convinto inesorabile, che non possa nemmeno intendere altre idee, oppure infine un resto di questo mondo nell'animo dell'eroe, a produrre la lotta, la crisi, la catastrofe. Invece l'autore piega tutti i presenti sotto il fascino di Corrado: Virginio malintende e tentenna, Maria lo segue con entusiasmo, il servo negro si farebbe in pezzi per lui. Quindi l'azione resta avviluppata, affidata quasi all'immaginazione del pubblico, che, se sente, deve intendere lo schianto dell'animo dei due altri, deve capire come la società calerà la sua mano pesante sul capo di Corrado: il fato. E l'autore per aiutar l'immaginazione appoggia tutta l'azione al fatto dell'uccisione che produce la catastrofe dell'intervento della polizia. - In conclusione credo che abbia tutti gli elementi ma che non sia affatto un dramma. E però un gioiello, una cosa splendida per concetto ed immagini. - Questo stralcio, che può leggersi anche come un piccolo e acuto saggio di critica teatrale, c'introduce proprio nel cuore della nostra questione. Cerchiamo di de-costruirlo. E' nota la deformazione dannunziana del mito del superuomo, reinterpretato in chiave estetizzante e decadente: l'intuizione nicciana si volgarizzava, in tutti i sensi, nell'ambigua figura di Andrea Sperelli, il protagonista del Piacere, alter ego dello stesso D'Annunzio, personaggio insieme raffinato e gelido, aristocratico e spregiatore di quel «grigio diluvio democratico moderno che tante belle cose e rare sommerge miseramente» (l'ispirazione nicciana doveva intensificarsi nei cosiddetti romanzi del giglio, fiore simbolo appunto del superuomo, della passione che si purifica). Fu soprattutto attraverso questa distorta prospettiva (sin dai primi anni novanta dell'Ottocento, quindi) che il pensiero di Nietzsche 158 fece il suo ingresso e la sua fortuna in Italia, andando ad affascinare una gioventù ancora scapigliata e destando voluttuoso, e dunque ipocrita, scandalonella borghesia giolittiana. L'intelligente M., tuttavia, mostra di non leggere Nietzsche attraverso D'Annunzio (qual era l'abbaglio del suo tempo e a quanto presumono i critici M.iani di oggi), bensì D'Annunzio attraverso Nietzsche: «il concetto è prettamente Dannunziano, o meglio Nietzschiano», dice, e confessa indirettamente, in questo rilievo correttivo, di aver avuto tra le mani le opere del filosofo tedesco e di poter valutare criticamente i distinguo. Distinguo che, in questa sede, non interessano: interessa piuttosto individuare in cosa consistesse quel «concetto prettamente nietzschiano» che M. menziona. Ovvero, qual era l'impressione ch'egli aveva desunto dalla lettura di Nietzsche? Le parole del Goriziano sono chiare: «L'uomo superiore nel suo Immediato congiungimento d'amore, d'entusiasmo con la natura, con le forze vive della vita [la «fedeltà alla terra», il «SÌ alla vita», dice Zarathustra], al di fuori della società, al di fuori quindi da tutti i suoi concetti morali, ha diritto di schiacciare senza riguardo a questi concetti, tutte le barriere che la società gli mette fra il suo amore e il conseguimento del suo ideale». L'impressione si metallizza in una serie di nette opposizioni: individuo (uomo superiore) - società; aspirazione alla realizzazione/autenticità (forze vive della vita) - sua castrazione/inautenticità (concetti morali, barriere); dinamismo (forze vive della vita) - stabilità sociale. In effetti, sembra già enuclearsi la dicotomia Persuasione-Rettorica?”°. Ma prestiamo attenzione a un punto essenziale: in che modo si realizzano le aspirazioni dell'uomo superiore, ossia in che modo esso reagisce all'impasse sociale e riesce a «conseguire il suo ideale»? Il suo aderire alla natura, alle forze della vita è «immediato», «entusiastico»: c'è una sorta di processo di accumulazione energetica in questa immediatezza, un'integrazione di "vitamine esistenziali": si galvanizzano forze pericolose per il labile equilibrio salutare (l'armonia vitale). Questa continua tensione, scrive Nietzsche, «sarebbe fatale per nature troppo delicate [ma] fa parte degli stimolanti della grande salute». In un appunto tralasciato, relativo alla Volontà di potenza, il 270 Come s'evince dall'indiretta accusa di estetismo "psicologizzante" che M. rivolge a D'Annunzio. L'appunt è anche qui in apparenza estemporaneo, cioè si offre come un mero rilievo di critica teatrale (la vera "azione", il ver "dramma" della pièce), mentre a ben vedere M. mostra già di presentire quelle che sarebbero state le ragio motrici dello scontro Persuasione-Rettorica nella sua visione matura. Perché l'azione drammatica decolli, dice Goriziano, «è necessario drammaticamentel'ambientesocialecon tutte le sue leggi, i suoi affetti, i suoi pregiudizi, o u suo rappresentante convinto inesorabile, che non possa nemmeno intendere altre idee, oppure infine un resto di quest mondo nell'animo dell'eroe, a produrre la lotta, la crisi, la catastrofe». Spostando, per analogia, il rillevo nel "teatro del vita", il gioco è fatto. Di contro, D'Annunzio «piega tutti i presenti sotto il fascino di Corrado»: questo sposta, ed elude, consapevolezza dello scontro effettivo e del suo effetto tragico, che dovrebbe corrispondere allo smacco sociale. E' una critica embrionale, qui ancora inconsapevole, anche ai presumibili risvolti sociali e politici di un'operazione simile: chiunque indugi a effondere il carisma dell'uomo superiore falsa la portata tragica del conflitto impersonale-universale, rischiando di risolverlo (e dunque di ridimensionarlo) a livello esclusivamente personale-individuale. Giocando col riferimento di M. a Corrado, possiamo dire che Nietzsche, in questo senso, «piega tutti i presenti sotto il fascino di Zarathustra», ossia di se stesso. o 5-29 6 DD 15filosofo affina il suo concetto: «Salute e malattia: si vada cauti nel giudicare! Pietra di paragone resta l'efflorescenza del corpo, l'elasticità, il coraggio e la giocondità dello spirito; ma, naturalmente, anche quanto di malato esso può prendere su di sé e superare - rendere sano» [il corsivo è di Nietzsche]. La grande salute è, possiamo dire, una questione di "entropia"?! del superuomo. Come si sa, l'aspetto forse più importante dell'entropia è quello per cui noi, studiando appunto le variazioni entropiche di un dato sistema (nel nostro caso, del superuomo), possiamo "predirne il futuro", siamo in grado cioè di capire quali sono gli stati verso cui il sistema può evolvere e quali sono invece quelli che gli sono preclusi. La fisica, infatti, ci insegna che l'energia si conserva, è costante, ma altresì che essa evolve, assumendo forme non tutte ugualmente pregiate: l'energia può infatti dissiparsi (e la trasformazione è irreversibile) oppure essere opportunamente imbrigliata, e realizzarsi in lavoro (energia utile, trasformazione almeno parzialmente reversibile). Come evolve allora l'energia del superuomo, qui incarnato in Corrado Brando? Il superuomo - scrive M. - «ha diritto di schiacciare senza riguardo». La sua energia, cioè, esplode in violenza. Sottolinea il Goriziano: «A me pare che non solo si esplichi ciò [...] nell'uccisione del baro ma anche e più, nel calpestare che Corrado Brando fa e dell'amore di Maria e dell'amicizia di Virginio». E' questo un tratto tipicamente M.iano: la violenza (del superuomo) non si esplica solo nel "fatto" brutale (qui, dell'omicidio), ma ancor più nel rescindere, nel tradire, nel calpestare i sentimenti umani più veri e più belli: l'amore e l'amicizia; ovvero, la violenza non è soltanto sopraffazione: è anche - soprattutto - contraffazione, mancanza di rispetto per la dignità dell'uomo che ci è accanto, preclusione dell'orizzonte politico del confronto e della relazione umana nell'imposizione rutilante della propria "egoità", attraverso un progressivo, disonesto avvelenamento (Rettorica, appunto, avrebbe detto pochissimi anni dopo M.). La Rettorica nasce dunque da una dissipazione di energia esistenziale, e si profila, conseguentemente, come un processo irreversibile. Lasciamo per ora in sospeso questo punto; teniamolo tuttavia bene a mente. E così, M. lesse Nietzsche. Il Cerruti, convinto di una parabola evolutiva del pensiero M.iano, appronta una schematizzazione utile, per quanto giocoforza farraginosa, fotografando i «momenti dell'esperienza ideologico-esistenziale» del nostro giovane filosofo: in essa, portando a testimonianza soprattutto la primissima parte dell'Epistolario (laddove effettivamente il tono espressivo e la sensibilità emotiva rasentano posizioni dannunziane e nicciane), il critico dimostra che M., almeno nella sua prima giovinezza, aderì al culto del superuomo e alla sua "morale eroica". Nel suo schema, questo periodo di eroico furore corrisponderebbe agli anni immediatamente precedenti il 1906 (dunque, 1905 incluso), anni in cui «oltre i diversi stimoli di una cultura eclettica e ancora in certa misura scolastica, [il Goriziano si collocherebbe appunto] entro una temperie logico-sentimentale di ascendenza nietzschiana, o meglio [...] nietzsche-dannunziana». L'analisi del Cerruti, puntuale ed argomentata, alla fine riesce anche convincente: evidentemente, pensiamo noi, M. dovette ritrovare in quei due autori, a quel tempo, gli unici o almeno i massimi punti di riferimento per una germinale polemica anti-rettorica che già agitava la sua intelligenza e la sua sensibilità.””? Questa sinergia si può arricchire, secondo noi, di un ulteriore innesto””?: se si tiene a mente l'analisi demolitrice dell'apparato rettorico fornita da M., si può scoprire che, almeno nelle linee essenziali, essa deve in realtà molto al giovane Nietzsche, che scriveva, non molti anni prima del Nostro, cose altrettanto "inaudite" nel libello Su verità e menzogna in senso extramorale’”. In esso, il filosofo tedesco indagava col medesimo cipiglio le costruzioni del filisteismo intellettuale e sociale e, soprattutto, traeva conclusioni analoghe di disincanto: rispetto al male, al dionisiaco, all'assurdo della vita (non solo umana, ma universale) l'intelletto - «strumento ausiliario alle più infelici, alle più fragili, alle più transitorie delle creature» - «come mezzo per la conservazione dell'individuo, sviluppa le sue forze più importanti nella simulazione». La "patetica" (nel senso del pathos in Nietzsche) verità dell'uomo non è, piuttosto, nient'altro che «un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane, che sono state sublimate, tradotte, abbellite poeticamente e retoricamente, e che per lunga consuetudine sembrano a un popolo salde, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni, delle quali si è dimenticato che appunto non sono che illusioni, metafore, che si sono consumate e hanno perduto di forza ». 271 L'entropia, in fisica, è la misura del grado di casualità e di disordine di un sistema, ovvero della sua energia. 2712 Riferimenti che M. abbandonerà altrettanto presto, come visto. Lo stesso Cerruti, nella sua schematizzazione, alle convinzioni del 1905 fa subentrare due anni di «ricerca e crisi» (il 1906-1907), anni che non a caso preluderanno alla scoperta di Ibsen e Tolstoj da parte del Nostro (nel 1908). In questo periodo di travaglio intellettuale, Michelstedter si presenta «secondo una prospettiva interiore se non contraddittoria, certo complessa. Nietzsche-dannunziano per un verso, inteso a superare inquietudini e dubbi in un incontro profondo e rigenerante con le forze vive della natura; ma preoccupato al tempo stesso di risolvere quei dubbi e quelle inquietudini sulla base di un rigoroso esercizio intellettuale, di un'analisi disincantata e penetrante della propria condizione; tutt'altro che chiuso infine sia pure ancora entro certi limiti, nei riguardi del mondo contemporaneo, anzi già consapevole di talune obiettive difficoltà di quest'ultimo». Nel 1908, infine, «l'incontro con Ibsen e Tolstoi» segnerà «il superamento della morale eroica». [Per queste analisi del Cerruti, che abbiamo riassunte, rimandiamo alle pagg. 7-56 della sua monografia Carl M., Mursia (Civiltà Letteraria del Novecento), 1987 2ed.; in particolare, le nostre citazioni sono tratte dal pagg. 12-24-33] 273 Innesto ch'è una nostra supposizione, non avvalorata, ma neanche smentita, da effettivi riscontri testuali. Tuttavia, data la profonda affinità che dimostreremo, crediamo che l'innesto sia semplicemente sottaciuto. (©) 274 Sia detto per inciso, è questo uno scritto che noi consideriamo già cruciale (ovvero, frutto di un pensiero già compiuto) e rispetto al quale, a nostro parere, tutta la riflessione successiva del Tedesco si pone come complessa e sofferta postilla, da quella più immediata e "ponderata" della Nascita della tragedia e della Filosofia nell'età tragica dei greci su su fino alle forme più esasperate dello Zarathustra e della Volontà di potenza. Leggiamo lo scritto nicciano nella traduzione dell'ed. Newton, Nietzsche, Opere, cit., pagg. 93-101 (a cura di S. Givone). Le nostre citazioni si intendano passim. Ma perché gli uomini si ostinano «attraverso questa incoscienza»? "semplicemente" perché - spiega Nietzsche - «l'uomo vuole anche esistere, sia per bisogno sia per noia, socialmente e come in gregge», e per far ciò «stipula un patto di pace e si adopera per cancellare dal suo mondo almeno il più brutale bellum omnium contra omnes. Questo patto di pace porta qualcosa con sé, che è come il primo passo verso il raggiungimento di quell'enigmatico impulso alla verità. A questo punto cioè viene fissato ciò che da allora in poi dovrà essere la 'verità', il che significa che si è trovata una connotazione vincolante e uniformemente valida delle cose e che la norma linguistica istituisce anche le prime regole della verità ». L'assoluta aderenza - ci sentiamo di dire - delle parole nicciane col dettato "maturo" M.iano è a dir poco imbarazzante: anche per M. la ratio umana è relatio, e si risolve in una «costruzione di ragnatele, così leggera da lasciarsi trasportare dalle onde e così salda da non essere soffiata via dal vento» [corsivo nostro], come scrive Nietzsche (l'immagine della ragnatela ritorna significativamente anche in Schopenhauer e Leopardi). Anzi, M. è addirittura più drastico: come detto, la relatio per lui non è soltanto conoscitiva, ma strutturale, coinvolge cioè tutti i rapporti di interazione con le altrui vitespressione di violenza, perché termine ultimo di quel "moto violento" cui l'uomo sottopone il mondo [cfr quanto affermato sul luogo naturale e sul moto violento nel nostro cap. I]. Ancora, similmente che in Nietzsche, la relatio trova la sua espressione più palese e nello stesso tempo la sua giustificazione e realizzazione più completa nella comunità sociale: alibi "politico" della menzogna comune per l'uno, comunella di malvagi per l'altro; per entrambi, sovrastruttura di un bisogno di tutela, di sicurezza reciproca, che si concreta in un patto di pace come dice ironicamente Nietzsche o - in modo più forte M. - nella stipulazione di una cambiale (assicurativa) sociale. Per entrambi, inoltre, la (presunta) "verità" si costruisce un saldo impiantito (sottile come una ragnatela, l'è vero, ma «resistente al vento», tant'è intricata e ben tessuta) nel linguaggio, nella scienza-tecnica e nella filosofia: a tal proposito, come visto, le analisi del filosofo goriziano arrivano ad eguagliare, per acrimonia e per forza di "smascheramento", quelle del filosofo tedesco. Per entrambi, infine - ma era presentimento anche di Schopenhauer e di Leopardi -, la Rettorica si manifesta, soprattutto negli uomini, così come inganno, ma come inganno a ben vedere indifferente, e in certo senso addirittura involontario, vale a dire necessitato dalla stessa matrice bio-fisiologia, prima che ontologica, della Rettorica stessa: l'insensato procedere della natura (non più madre, ma neanche matrigna, direbbe Leopardi), del Wille, del dionisiaco, della Rettorica, appunto perché insensato, nella sua forma più nuda e cruda, è... «extramorale». Ma torniamo alle conclusioni della critica professionale. Campailla dà in pratica per assodato che M. lesse, tra le altre opere (di sicuro almeno lo Zarathustra””°) anche La nascita della tragedia”: la cosa a questo punto non ci stupisce, anzi ci appare ovvio che il capolavoro di un allora giovane geniale originale filologo quale fu Nietzsche capitasse tra le mani di un altrettanto geniale ed eterodosso ermeneuta della grecità, qual era M.?”. Anzi, se c'è davvero un importante punto d'incontro tra i due pensatori, noi presumiamo che esso si consumi soprattutto qui, nel loro amore per il mondo greco, nella riscoperta di un equilibrio, di un'armonia che si realizzò nella tragedia classica, breve ma intenso bagliore di autenticità agli albori della nostra storia occidentale, che poi andò incontro al declino che tutti conosciamo. Corollario di quell'incontro (ma non secondo per importanza) la considerazionedellafigura di Cristo: per M. Cristo è il vir per Nietzsche l'unico vero, onesto cristiano morì sulla croce: voleva dire, secondo noi, l'unico vero uomo?”?. Come dicemmo”?, i due pensatori aspirarono a riprodurre, ognuno a suo modo, quell'armonia, ritenendola foriera di autenticità: per il giovane Nietzsche era l'equilibrio dinamico di Apollo e Dioniso, l'elemento "letargico" che "gioca" con l' "impulso 275 Campailla fa notare che, a chiosa di un passo centrale della Hedda Gabler di Ibsen, M. scrisse queste parole: «Stirb zur rechten Zeit», una chiosa che altro non è che una citazione testuale dal paragrafo Della libera morte dello Zarathustra. Il critico utilizza il rilievo a prova del sostrato nicciano che sottende alla lirica | figli del mare (che abbiamo già analizzato), il cui refrain a suo parere riproduce l'esaltazione della morte fatta da Zarathustra nel succitato paragrafo, e addirittura chiama quel riferimento a testimoniare «la componente nietzschiana della prima formazione culturale di M., sulla cui concretezza storica critici di valore hanno espresso la loro perplessità » [l'analisi e il giudizio dello studioso, che abbiamo semplicemente parafrasati, si trovano a pag. 23 dell'Introduzione alle PP], 276 Cfr. Campailla, Due lettere inedite di VI. Arangio-Ruiz a M., in Giornale critico della filosofia italiana, anno LIV, gennaio-marzo 1975. 277 Un punto a favore del Goriziano è il fatto che praticasse correntemente, tra le altre, la lingua tedesca, potendo così rezzare in immediato il testo, senza alcun filtro di traslitterazione. 218 Cfr. Nietzsche, L'Anticristo (in Opere complete, cit.), 39, pag. 795. Per Nietzsche, Gesù fu un «santo anarchico», un «lieto messaggero», che decise, in prima persona, di «contraddire l'ordine dominante». Tutto questo «lo portò sulla croce»: Egli dunque «morì per colpa sua» e non «per colpa altrui»: Cristo [e si noti l'affinità con la posizione M.iana] «morì come visse, come aveva insegnato - non per 'redimere gli uomini', ma per indicare come si deve vivere. La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno - il suo contegno sulla croce». «Le parole rivolte al ladrone sulla croce» racchiudono il senso dell'intero Vangelo (che è per Nietzsche «non difendersi, non andare in collera, non attribuire responsabilità», amare perfino il malvagio) [ib., 27 e soprattutto 35, pagg. 792-793 passim; tutti i corsivi sono del filosofo]. Ora, il riscontro di affinità (come ad esempio queste appena accennate, e quelle che seguiranno) tra i due nostri filosofi non contraddice il nostro assunto di fondo di una totale disparità di esiti: ripetiamo: non vogliamo mettere in dubbio influenze e suggestioni che certamente M. trasse dalla lettura delle opere del pensatore tedesco (soprattutto in relazione allo smascheramento rettorico); quel che ci preme piuttosto sottolineare è come non si debba concepire la Persuasione sulla falsariga della "nuova umanità" nicciana, rispetto alla quale M. stesso prende posizioni anche dirette di distacco [ma cfr. oltre]. E' bene dunque ribadire che la matrice profonda e unica della Persuasione non è il superomismo, bensì il socratismo. 279 Cfr. il nostro Intermezzo. 163 n280 primaverile e che si realizzava nelle forme perfette dell'arte e nelle compite costumanze dell'umanità greca; per M. il trasfondersi di vita e morte nella crisalide umana”. Entrambi i pensatori attraversarono il Tragico, e tradussero la loro sincera, sofferta testimonianza nella formulazione di un progetto etico. Abbiamo altresì già segnato gli esiti di tali progetti: in Nietzsche, dicemmo, l'equilibrio era destinato a  bruciarsi nell'esasperazione, nella "superfetazione" della volontà dionisiaca (si dovrebbe citare a questo punto tutto lo Zarathustra e tutta la Volontà di potenza, almeno); nel pensatore 280 Ricordiamo che nella già citata lettera al Chiavacci del 22 dicembre 1907, M. fa riferimento esplicito all'«elementodionisiaco» [sic], assimilandolo all'«elemento mistico» che - per il Goriziano - mancherebbe nella «razionalistica» religione ebraica: proprio questa assenza, dice M., spiegherebbe «la ragione dell'antisemitismo filosofico» (Schopenhauer e Nietzsche, annota in parentesi). E' forse l'unico caso in cui M. cita il Tedesco per nome, e per ben due volte nel giro di poche righe, in un contesto - e questo è indicativo - aspramente polemico. In effetti, la datazione della lettera la fa cadere proprio nel mezzo degli anni di «ricerca e crisi», come li chiama il Cerruti [riguardo a ciò, cfr. supra]. 281 Com'è noto, la dialettica apollineo-dionisiaco intesse tutta La nascita della tragedia, in modo ampio e poetico; tuttavia, ha il suo luogo natale in uno scritto giovanile, La visione dionisiaca del mondo, uno di quei saggi che poi andranno a confluire nel capolavoro. Privilegiamo, in questa sede, proprio quel saggio, perché in esso - anche in virtù della sua brevità - la suddetta dialettica ci appare più focalizzata e meno ridondante [lo leggiamo nella traduzione contenuta in Nietzsche, Opere, cit., pagg. 60-73; segnaliamo con numeri in parentesi quadre eventuali riferimenti delle citazioni]. La visione dionisiaca del mondo contiene l'intuizione che accompagnerà il filosofo in tutta la sua speculazione: Nietzsche, cioè, scopre nel principio di equilibrio dinamico tra Apollo e Dioniso la cifra che spiegherebbe la "possibile vita" dei Greci, altrimenti compromessa dalla dolorosa consapevolezza del Tragico, l'inquietante verità del Sileno. «Qui - dice Nietzsche - si tocca il limite più pericoloso che la volontà ellenica con il suo principio fondamentale apollineo- ottimistico abbia concesso di toccare. Qui essa operò con la sua naturale forza guaritrice, per piegare nuovamente quella disposizione negativa: suo strumento è l'opera d'arte tragica e la concezione tragica. La sua intenzione non poteva in alcun modo essere quella di temperare o di reprimere lo stato dionisiaco: soggiogarlo direttamente era impossibile, e anche se non lo fosse stato, restava pur sempre una cosa pericolosa, dal momento che se quell'elemento fosse stato trattenuto nella sua espansione si sarebbe aperto altrove una via e sarebbe penetrato in tutti i vasi sanguigni della vita. Per prima cosa si trattava di trasformare quei pensieri di disgusto sull'assurdo e l'orrore dell'esistenza in rappresentazioni con le quali convivere: esse sono il sublime in quanto imprigionamento artistico dell'orrore e il comico in quanto liberazione artistica dalla nausea dell'assurdo. Questi due elementi intrecciati insieme si riuniscono in un'opera d'arte che imita l'ebbrezza e gioca con essa» [67, i corsivi sono nostri]. Dunque, Nietzsche individua nel gioco l'unica ipotesi euristica plausibile per esprimere la relazione tra le due divinità: entrambi potenti - potenze contrarie che si equivalgono e si annullano - preferiscono alla insidia reciproca (che mai porterebbe frutto e vittoria definitiva) una “ludica convivenza" che spinge addirittura all'identificazione, laddove Dioniso viene a porsi come il lato oscuro, terribile e segreto di Apollo, ed Apollo (per usare un tecnicismo informatico) come l'interfaccia di Dioniso. Per dirla con le stesse parole di Nietzsche, fra le due divinità viene a crearsi un "vincolo di fratellanza" (realizzato concretamente nella tragedia), tale he «Dioniso parla la lingua di Apollo, ma infine Apollo parla la lingua di Dioniso» [cfr. La nascita della tragedia, in Opere, cit., pag. 178; corsivo nostro]. M., da parte sua, riproduce un simile equilibrio nel già citato Canto delle crisalidi, attraverso la tensione esistenziale di vita e morte che intride l'essere dell'uomo: un oscuro peana che siamo tentati di decifrare proprio ricorrendo alle "categorie" nicciane di apollineo e dionisiaco, con tutti i più profondi significati ch'esse coprono. Ma, a parte questo, è l'elemento del gioco che ci interessa, perché in Nietzsche si rivelerà fondante: la componente ludica è forse il tratto più caratteristico del suo pensiero, ed anche il più terribile: perché l'equilibrio del gioco (per quanto questo sia "nobile" e "difficile") è per definizione precario, e perché il gioco non è solo capacità della coscienza dell'homo ludens di darsi delle regole e vivere in esse (nel suo "spazio sacro"), il che sarebbe la situazione ottimale, ma più volentieri - e l'accezione comune del termine lo conferma - è un'attività in cui "non ci si prende sul serio". Apollo e Dioniso giocano nell'orizzonte tragico greco, segnando appunto lo spazio del sacro; nell'orizzonte tragico nicciano, invece, Dioniso rinuncerà al suo "compagno di giochi", le sue regole diventeranno di esclusione, e pretenderà di poter giocare da solo, ossia, fuor di metafora, di poter sostenere da solo il peso dell'assurdo. E' questo ciò che noi intendiamo per "superfetazione" del dionisiaco [ma cfr. quanto diremo tra poco]. tedesco l'equilibrio collassa e si esaspera nell'opposizione senza continuità: al male estremo della Rettorica (superfetazione dell'elemento apollineo, il "socratismo", la menzogna, il "cristianesimo", l'Europa, si oppone l'estremo rimedio del pensiero negatore, del dionisiaco travolgente e beffeggiante, che assume su di sé anche il passato e dice: non così fu, ma così volli che fosse, anzi «così voglio! così vorrò». Ma c'è un'infinita tristezza che cova sotto l'ilarità paradossale del profeta del nulla, una coscienza infelice che caldeggia la scissione, il superamento, il ribaltamento ma che soffre, al tempo stesso, la frattura, il distacco che quella negazione comporta; e che si lenisce la ferita ripetendosi che tutto, dall'avvicendarsi dei mondi e degli universi ai singoli gesti dei singoli uomini, non è altro che il gioco di un fanciullo eracliteo che è dis-umano e sconveniente fingere di ignorare™®. Su opposto versante, M. avrebbe trovato l'espediente per preservare l'equilibrio del vir col mondo e con le altrui vite nel tornio della Persuasione: un equilibrio difficile, ma saldo, faticato ma gioioso, perché riscopre il mondo nella sua bellezza, l'umanità nella sua dolcezza persuasa, l'esistenza non come un "gioco innocente" che necessita (amor fati) e che quindi de-responsabilizza”*, ma come un'attività infinita e impegnata, che si realizza con e tra gli uomini. Da un lato, Nietzsche stringe il mondo in un abbraccio troppo forte: è come un amante goffo e patologicamente premuroso che finisce per soffocare la sua compagna per un eccesso di amore, e ne viene lasciato; l'amore intenso, allora, nell'abbandono, ci vuol poco a mutarsi in gelosa e passionale violenza, come la fede intensa in fanatismo. L' "ultimo" Nietzsche stilla il suo odio e il suo disprezzo, anche se parla di amore, proprio 282 Dice Zarathustra: «In verità, amici miei, io vado tra gli uomini come tra frammenti e membra di uomini! Questo è spaventoso per il mio occhio: trovare gli uomini spezzettati e sparsi come su un campo di battaglia o in un macello. E se il mio occhio fugge dall'oggi a un tempo trova sempre lo stesso: frammenti e membra e atroci casi, ma niente uomini!». [cfr. il capitolo Della redenzione di Così parlò Zarathustra (in Opere complete, cit.), pag. 305. Si ricordi, a questo proposito, come M. abbia descritto la Rettorica, nella sua accezione estrema, come un' "anarchia delle membra", anche su suggerimento di Empedocle [cfr. il nostro paragrafo corrispondente, nel | capitolo]. L'Armonia empedoclea, la Persuasione M.iana, la volontà affermatrice (la "felicità del circolo") di Nietzsche si offrono come tre proposte diverse, anche se in certo modo affini, per far fronte alla dis-integrazione dell'umano: affermazioni di vita che si realizzano nello strenuo tentativo di conferire senso a tutto ciò che altrimenti si presenterebbe come frammentario ed enigmatico. 283 Cfr. ancora il capitolo Della redenzione di Così parlò Zarathustra, stavolta soprattutto pag. 306. 284 «[... ] l'Uomo non può essere considerato responsabile per nulla, né per il suo essere né per i suoi motivi né per le sue azioni né per i suoi effetti. Si è con ciò arrivati a riconoscere che la storia dei sentimenti morali è la storia di un errore, dell'errore della responsabilità - che, come tale, poggia su quello della libertà del volere. [...] Giudicare equivale ad essere ingiusti». [Nietzsche, Umano, troppo umano (in Opere complete, cit.), II, 39, pag. 541] «Che nessuno sia reso più responsabile, che non sia consentito ricondurre a una causa prima la natura dell'essere, che il mondo non sia un'unità né come sensorium né come 'spirito': solo questa è la grande liberazione - solo così si ripristina l'innocenza del divenire» [Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (in Opere complete, cit.), | quattro grandi errori, 8, pag. 727; i corsivi sono del filosofo]. Sull'intuizione dell'eterno ritorno, propinata all'uomo da un dèmone beffardo, cfr. il famoso aforisma 341 della Gaia scienza. come farebbe un amante rifiutato: io sono un uomo-fanciullo ed è il Mondo degli uomini a non apprezzare la mia bellezza: per ciò, merita il mio disprezzo, o anche solo il mio disinteresse, e la mia gioia è nella mia autarchia e nella mia creazione di nuova bellezza?®®. L'Ubermensch, una volta privato della memoria di sé e della permanenza dell'essere, appare come l'eterno fanciullo che cerca l'ebbrezza adolescente dell'Io sono nella propria autoaffermazione, dentro l'istante che gli restituirebbe l'eterno del destino, e dunque (direbbe M.) la permanenza: l'uomo nuovo è tale perché vive (o crede di vivere) senza risentimento, bensì sospeso tragicamente all'assenza di significato del tutto ed imprigionato in una libertà che, in fondo, gli permetterebbe soltanto di accettare il proprio destino di nulla; egli dunque dovrebbe essere un eroe tragico, la cui unica "dignità" risiederebbe nell'accettazione del flusso degli eventi, misurati da un atto di disperata fedeltà alla terra?89, Un destino che egli, con un testa-coda, pur si ostina a non subire e ad intendere piuttosto come istituzione di nuovi valori: e allora se l'uomo è colui che misura, dice Nietzsche con Protagora, egli è tale perché è innanzitutto un creatore, e in questo agisce come volontà di potenza. Nel far ciò, direbbe ancora M.?®, egli si finge una persuasione che non ha, tesse relazioni sufficienti, in cui irretisce le altrui vite in un atto di creazione, ch'è poi un atto di ri-organizzazione intorno al perno della propria falsa consistenza; ovvero, integriamo noi, dà libero sfogo al suo urgente bisogno di liturgie rassicuranti, ma anche escludenti (secondo la nostra interpretazione, una comunità di "eterni fanciulli" sarebbe un sistema energetico di punti di forza, laddove "cariche dello stesso segno" si porrebbero alla massima distanza possibile). Il Dioniso dell'armonia panica si muta in un «terzo Dioniso» la cui parola d'ordine (o di disordine) è il dominio?88, 285 Cfr. il pensiero Per l'anno nuovo [276] nel IV libro della Gaia scienza (in Opere complete, cit.), pag. 145. «[...] Oggi chiunque si permette di esprimere il suo desiderio e il suo pensiero più caro: orbene, anch'io voglio dire ciò che oggi desidero da me stesso e qual è stato il primo pensiero che, quest'anno, mi ha sfiorato il cuore; quale pensiero sarà motivo, pegno e dolcezza della mia vita a venire! Voglio imparare sempre più a vedere la bellezza nella necessità delle cose: così diverrò uno di coloro che rendono belle le cose. Amor fati: questo sia, d'ora innanzi, il mio amore! Non voglio condurre nessuna guerra contro il brutto. Non voglio accusare, non voglio accusare neppure gli accusatori. La mia unica negazione sia distogliere lo sguardo! E, complessivamente e grossolanamente: voglio arrivare ad essere uno che dice soltanto di sì! » [corsivi di Nietzsche]. 286 Tale posizione della volontà di potenza si sostituisce nelle intenzioni di Nietzsche - alla figura della perfezione, incarnata nel saggio filosofo o nel santo cristiano. 287 Stiamo utilizzando la terminologia M.iana per "smontare" il superuomo, espediente per far apparire al lettore questo "smontaggio" (operazione che ovviamente M. non fece) alla luce della posizione persuasa. 288 L'espressione ci viene ispirata da quanto Nietzsche stesso asserisce nella Nascita della tragedia, uno dei suoi scritti che preferiamo. Richiamare quei passaggi del testo non solo significherà rendere dovuto omaggio al "primo" Nietzsche, lì vero poeta e vero filosofo, ma ci aiuterà anche a discernere la parabola involutiva cui, a nosto giudizio, il pensatore andò incontro. Nel Dioniso dei cori bacchici greci, Nietzsche vide l'incarnazione del «vangelo dell'universale armonia» [espressione di Nietzsche, ma corsivo nostro; cfr. quanto detto sopra in considerazione della "nuova armonia" vagheggiata dal filosofo Di contro, come abbiamo più volte visto, il Goriziano ristabilisce la misura dell'amore tra gli esseri nella gratuità del reciproco donarsi: l'equilibrio dell'armonia che la Persuasione forgia e protegge non è i compromesso della "compravendita" morale (do ut des, do ut facias, facio ut des, facio ut facias), ma non è neanche la sdegnosa, "egregia" solitudine zarathustriana, pur mascherata da amore panico per la "terrestrità": l'equilibrio persuaso è piuttosto un rapporto di fiducia e gratitudine senza pretesa di risposta, che fonda la comunità autentica, la philia (do quia do, scilicet relinquo: ci viene in mente la parola evangelica: «Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis: non quomodo mundus dat ego do vobis. Non turbetur cor vestrum neque formidet» [Giovanni 14, 27, nella Vulgata]). tedesco], dove «ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma una sola cosa con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e soltanto brandelli sventolassero ancora di fronte alla misteriosa unità originaria». Infatti, «con l'incanto del dionisiaco non solo si rinsalda il legame fra uomo e uomo: anche la natura estraniata, nemica o soggiogata, celebra nuovamente la sua festa di conciliazione con il proprio figlio perduto, l'uomo. Liberamente offre la terra i suoi doni e pacificamente si avvicinano i feroci animali delle rocce e dei deserti. Con fiori e ghirlande è coperto il carro di Dioniso: sotto il suo giogo avanzano la pantera e la tigre. Si trasformi l'inno alla ‘gioia' di Beethoven [il preferito anche da M.] in un quadro e non ci si attardi nell'immaginazione quando a milioni si prosterneranno rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è libero, ora si infrangono tutte le rigide, maligne delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la ‘moda sfacciata' hanno posto fra gli uomini. [...] Cantando e danzando, l'uomo si mostra come membro di una superiore comunità: ha disimparato il camminare e il parlare ed è sulla via di volarsene in cielo danzando. Nei suoi gesti parla l'incantesimo. Come ora gli animali parlano e la terra dà latte e miele, così anche in lui risuona qualcosa di soprannaturale: egli si sente come dio e cammina così estasiato e sollevato, come insogno vide camminare gli dèi. L'uomo non è più un artista, è divenuto opera d'arte: la potenza artistica dell'intera natura, con il massimo appagamento estatico dell'unità originaria, si rivela qui fra i brividi dell'ebbrezza». Nietzsche parla di armonia, di riconciliazione, di liberazione, di incantesimo vitale che lega l'uomo alla terra, a tutti gli esseri che la vivono, in una nuova solidarietà, e rende l'uomo simile a un dio. E' questo il grande dono di Dioniso. Poche pagine dopo, tuttavia, Nietzsche smaschera l'ebbrezza di Dioniso (operazione, del resto, ampiamente preparata) e scopre, con perplessità ma anche con profondità tragica, che quell'ebbrezza "equilibrava" una persuasione di morte, e nel far ciò - ovvero nel garantire la propria stessa sopravvivenza - abbisognava dell' "apporto" di Apollo, del principium individuationis: «l'unico Dioniso veramente reale - scrive il filosofo - appare in una molteplicità di figure, nella maschera di un eroe che lotta, preso, per così dire, nella rete della volontà individuale. Così ora il dio che appare nel parlare ed agire assomiglia ad un individuo che erra, lotta e soffre: e che egli appaia in generale con questa epica determinatezza e chiarezza è effetto dell'interprete di sogni Apollo[...]». Ma se l'individuazione "salva" Dioniso, tuttavia gli è fonte di dolore, perché ne tarpa l'impulso vitale: «In verità però quell'eroe è il Dioniso sofferente dei misteri, quel dio che prova su di sé i dolori dell'individuazione, e di cui meravigliosi miti narrano come da fanciullo fosse fatto a pezzi dai Titani e come poi, in questo stato, fosse venerato come Zagreus: con ciò è significato che questo smembramento, la vera e propria sofferenza dionisiaca, sia come una trasformazione in aria, acqua, terra e fuoco, e che dunque dobbiamo considerare lo stato d'individuazione come la fonte e la causa prima di ogni soffrire, come qualcosa in sé riprovevole». Dioniso appare dunque come una divinità smembrata, scissa in due: «Dal sorriso di questo Dioniso sono nati gli dèi olimpici, dalle sue lacrime gli uomini. In quell'esistenza, come dio smembrato, Dioniso ha la doppia natura di un demone crudele e selvaggio e di un dominatore mite e clemente. La speranza degli epopti andava però ad un una rinascita di Dioniso, che ora noi pieni di presentimento dobbiamo intendere come la fine dell'individuazione: per la venuta di questo terzo Dioniso risuonava l'ardente canto di giubilo degli epopti». Queste considerazioni autografe sono per noi di capitale importanza non solo nell'economia di una corretta valutazione della Nascita della tragedia, ma anche dell'intero pensiero nicciano: sono parole inconfutabilmente programmatiche: Nietzsche assume su di sé il compito di preparare «la venuta di questo terzo Dioniso», che nell'intenzione doveva risanare lo "smembramento": ma l'epopta diviene egli stesso il dio. Un nuovo dio, un terzo dio, che ricorda le trasformazioni dei personaggi di Tolkien quando calzano il famoso anello: pèrdono, cioè, per rimanere alle parole del filosofo tedesco, la "mitezza" e la "clemenza", per rendersi solo ed esclusivamente "dominatori". L'involuzione di Nietzsche consiste, per noi, proprio in questo: aver prefigurato l'avvento di un nuovo Dioniso che sta al suo progenitore (e alla sua intenzione) come un'escrescenza tumorale sta ad un sano tessuto epidermico. Viene da chiedersi quali fossero i motivi di questa "metastasi", ma una simile analisi non può essere svolta in questa sede. [per le citazioni, che si intendano passim, cfr. Nietzsche, Nascita della tragedia (in Opere complete, cit.), vol. |, soprattutto pagg. 121 e 143]. La critica agiografica si affatica a scagionare Nietzsche da ogni responsabilità storica, asserendo che «Quanto all'idea del superuomo, inteso come il giusto trionfatore di una massa di deboli o schiavi, va senza dubbio corretta: Nietzsche non fu l'estensore d'un vangelo della violenza, ma intese porre le condizioni di sviluppo d'una civiltà e di un'idea dell'uomo radicalmente rinnovate!» Del resto, chi si azzardasse a giudicare (detto in senso spregiativo) il pensiero del Tedesco, incapperebbe facilmente nella sua trappola dei valori un pensiero che si autoproclama «al di là del bene e del male» si sottrae consapevolmente e sdegnosamente (e con astuzia) ad ogni valutazione. Ma ci sarà pure un motivo per il quale la «grande salute » si sia tradotta in "sanità razziale", oppure (e ci si perdoni l'accostamento) per il quale l'est- etica del disincanto abbia trovato la sua trasposizione più consequenziale in una pièce teatrale dannunziana in cui si respira solo aria di morte. L'esperienza c'insegna che il retaggio di un pensiero (di uno qualsiasi, non solo de/ Pensiero) non è consegnato soltanto alle parole che lo sottendono, ma anche alla storia della sua fortuna (o sfortuna), per quanto ci si industri in edizioni critiche o si contestino palesi deformazioni”. Le ipotesi allora sono due: o, come si dice volgarmente, in quel pensiero c'è "nascosto del marcio", oppure la malafede dei fruitori è così radicata da riuscire a rovesciare e render funzionali al proprio usufrutto anche le proposte migliori e più sincere. M., del resto, ci ha rivelato questa eccezionale capacità di "assorbimento" della Rettorica: in tal senso, il Nietzsche nazionalsocialista condividerebbe la "sfortuna" di Cristo e di Socrate e, volendo, dello stesso M.. Ancora due ipotesi, allora, ma in pratica equivalenti alle prime: o la voce della Persuasione è viziata da una sua intrinseca impossibilità fondativa di "fedele" realizzazione (è troppo complessa per essere compresa, l'equilibrio dell'autonomia si svolge sul filo di un rasoio et cetera) o è altrettanto viziata da un'ambiguità che non riesce a scrollarsi di dosso, tal che la sua ingiunzione perentoria di autenticità finisce con l'esprimersi soltanto attraverso l'imposizione e l'equivoco EQUIVOCO GRICE della forza. E qui l'interrogativo, data la sua natura complessa, è destinato a rimanere tale. Ma barattare le accuse è un'attività futile: ciò che conta ed inquieta è il dominio presente della Rettorica, e in quest'ottica si deve meditare non solo sul perché del suo dominio, ma anche, se non soprattutto, sul poiché dei suoi effetti. Dunque, pur non volendo inficiare la sincerità nicciana con l'ingratitudine del sospetto, ciò nondimeno non possiamo tacere che, proprio in Nietzsche, quell'ambiguità s'evince più solida che in altri: la danza di Zarathustra, che voleva farsi simbolo di un'armonia alternativa al caos mascherato del filisteismo, si scopriva "tarantolata" già nel suo stesso autore, precursore di un nuovo caos, i cui sbiaditi epigoni (per fortuna sbiaditi) scorrazzano tuttora nelle aule dove si pensa, forti della "debolezza" del loro pensiero. A tal proposito, c'è da ammettere che l'estrema sensibilità e intelligenza fecero davvero di M. uno straordinario sismografo di ciò che era già in fermento e che sarebbe maturato, in un futuro a lui non lontanissimo, sulla scena ideologica e politica europea; ossia, lo resero acuto e (purtroppo) facile profeta?’ quando scrisse di «n germanico Zarathustra, che fu anche bestialmente fulvo», fautore di un pensiero «mistico filosoficamente e disonesto artisticamente», padre putativo di tutte quelle «bestie più o meno fulve che da allora cominciarono a infestare il mondo» [O 665]. Ma, come si sa, la voce della Persuasione condivide la maledizione di Cassandra. 289 La spietata eristica potrebbe ribaltarci contro, e forse non a torto, questa nostra obiezione: anche la Persuasione M.iana è andata ad "incrementare"... la purità di Evola. 290 Acuto profeta anche Nietzsche, la cui lungimiranza a questo punto ci si rivela però in tutta la sua portata beffarda: «L'aspetto dell'attuale Europeo mi dà molte speranze: va formandosi un'audace razza dominatrice [...] Le stesse condizioni che favoriscono l'animale gregario provocano anche la formazione dell'animale-capo». A3 - Leopardi: la variante "flessibile" alla Persuasione. Portare a radura il sottobosco leopardiano in M. sarebbe tentativo improbo anche per uno scoliaste armato di tutta la perizia e la pazienza possibili” . Il Leopardi poeta, e soprattutto il Leopardi pensatore (il pensatore attraverso il poeta), è, per il Goriziano, come una seconda pelle. Compulsarne le opere alla ricerca di rimandi al Recanatese sarebbe un po' come riscrivere la Persuasione e i Pensieri, ad esempio. E a differenza che per altri riferimenti (Nietzsche, lo stesso Schopenhauer), non si può individuare un momento in cui M. fu "leopardiano" stricto sensu: la voce del poeta attraversò sempre l'esistenza del nostro giovane filosofo, e i Canti, come mostra l'edizione ritrovata tra i libri posseduti dal Goriziano, erano una delle sue ri-letture più frequenti e più gradite. E più annotate e meditate. In effetti, si andrebbe incontro a molte sorprese, ne siamo convinti, se si leggessero La Persuasione e la Rettorica, le Poesie, o il Dialogo della Salute alla luce delle meditazioni del Recanatese: si potrebbe scoprire, ad esempio, come la tesi di laurea fosse anche un vero e proprio commento "aggiornato" della Ginestra (così almeno essa ci appare), o come l'aspirazione alla condizione persuasa dovesse molto alla "vaghezza" dell'Infinito, o di come l'ispirazione poetica (al di là della forma) fosse fedelmente leopardiana nel farsi veicolo di "vaga" meditazione, casomai in M. solo un po' più trasparente. Ci vien da dire che, in Leopardi, M. trovava innanzitutto la variante parallela, poetica (ma altrettanto rigorosa) della certezza "cartesiana" del dolore e dell'inganno, che aveva assimilato in forma di salda filosofia dai Greci e Schopenhauer; ma riconosceva anche un coetaneo che, come lui, s'era arrovellato nello sviscerare l'assurdo della vita e nello scarnificare se stesso, alla ricerca di un'alternativa possibile al Tragico: l'affinità di una giovinezza eroica e titanica che vorrebbe «comunicar la ribellione / all'universo» [PP 35], senza alcun compiacimento estetizzante. Dunque, non ci trova per nulla d'accordo certa critica che, puntando su un'acribia spropositata, conclude che, nei fatti, il gesto persuaso si affermi negando «sostanzialmente» il gesto poetico leopardiano”°?. Tutt'altro. Bisognerebbe innanzitutto ridiscutere il valore di poesia, e non soltanto nei nostri due autori (ma comunque, non ne è questa la sede); o più semplicemente saper leggere oltre le parole. Del resto, sbirciando le poesie di M., non è raro che si aprano squarci leopardiani: 291 Operazione, tuttavia, egregiamente tentata da S. Campailla, in Postille leopardiane in M., contenute in Scrittori Giuliani, Pàtron Editore, Bologna 1980. Lettura, questa, obbligata, nel nostro contesto, e non solo perché riporta con precisione la presenza dei prelievi leopardiani nel nostro filosofo. 292 Cfr. ad es. Davide Rondoni, "Neutralizzare" Leopardi. Intorno ai rapporti tra M. e il poeta del Canto notturno, in Testo, rivista di "studi di teoria e storia della letteratura e della critica", XIII, 23 (gennaio-giugno 1992). "mi parve dolce cosa naufragare nel seno ondoso che col ciel confina, né temuta ho la morte... "293 solo per fare un riferimento ovvio. Di contro, se si leggesse, ad esempio, questo pensiero che si trova nello Zibaldone: Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale dell'universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male. Non v'è altro bene che il non essere... non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi [nn. 4174-4177]. e si provasse, alla stregua di un semplice gioco enigmistico, a sostituire il termine "male" dell'appunto col termine "Rettorica", già si scoprirebbe la punta dell'iceberg. Lo stesso Dialogo della salute, prima di essere un'etica peripatetica, è - con tutta evidenza - un'operetta morale. Con una citazione tratta dalla Palinodia al marchese Gino Capponi si apre poi l'ultima parte della Persuasione (La Rettorica nella vita), ch'è la più spietata e definitiva nel bacchettare una Rettorica altrettanto «superba e scocca» quale quella presa di mira a suo tempo dal Leopardi. «Tutti i progressi della civiltà sono regressi dell'individuo», vi asserisce - tra l'altro - M., e questa «è una frase che potrebbe essere del Leopardi»?* (eppoi, non si dimentichi che quest'ultimo occupa un posto di tutto rispetto nella schiera dei Persuasi). Eppure... eppure, a nostro giudizio, l'accordo comune su una considerazione del mondo come dominato dalla Rettorica (o dal male, ch'è lo stesso) non è il vero - o il solo - punto di contatto tra i due poeti-filosofi. Sarebbe piuttosto semplicistico ridurne la portata a questo rilievo. Del resto, il pessimismo ha parole e pensiero comuni in tutti i pessimisti di tutti i tempi, dai più ai meno raffinati. Tralasciamo, allora, eventuali "omografie", e partiamo, piuttosto, da una giusta osservazione del Campailla, che fa autorevole resoconto della questione, e dà il "la" al nostro escamotage interpretativo. Scrive lo studioso: "[L'influenza del Leopardi] va considerata come la più ricca di sollecitazioni nella produzione poetica del Nostro. Infatti, è difficile scoprire reminiscenze dai Canti leopardiani, si deve subito riconoscere che esse non hanno un valore di per sé, sono disciolte in un'atmosfera sentimentale diversa, divengono le voci di un dramma irriducibile ad altri che a se stesso. C'è da dire, se mai, che il Leopardi assimilato da M. non è il poeta idillico che riesce a trasformare il dolore in bellezza nella contemplazione del mistero dell'universo o nell'operazione magica del ricordo delle proprie deluse speranze; è invece il giovane che si affaccia alla vita imperioso e reclama un rendiconto. E, per energia sentimentale, per costruzione sintattica, 293 Versi di A Senia, in C. M., Poesie, cit. pag. 89. 2945, Campailla, Pensiero e poesia..., cit., pag. 143; per ritmo della frase, il Leopardi eroico e agonistico dell'ultimo periodo. Ma di là da ogni possibile richiamo testuale, l'eredità che M. ha raccolto dal Leopardi va considerata in un senso più alto: nel drammatico intendimento della poesia come sfogo e liberazione delle proprie pene interiori, presa di coscienza dello stato esistenziale, determinazione sovrumana a non barare con le cose. Il M. ha sentito nel Leopardi una lezione di vita, un impegno con la vita. Nella nostra tradizione letteraria che così spesso si è rifatta e si rifà al Leopardi per ricavarne un magistero formale, quello di M. si rivela uno dei tentativi più incondizionati di riprendere e di svolgere la parola del grande Recanatese nello spirito in cui essa è stata pronunciata. Ma nella tensione ad essere se stesso M. si è trovato naturalmente oltre Leopardi: si avverte in lui una eccedenza di volontà, una originaria disposizione tragica che è la zona più inaccessibile della sua poesia [e non solo della sua poesia, aggiungiamo noi}. Permettendoci d'integrare b correttissima valutazione del critico, diremmo che più che «un'eccedenza di volontà» noi riscontriamo, in M., un'eccedenza di determinazione (anche se difficile da mantenere). Sciogliamo la complessità di ciò che vogliamo dire in un semplice riscontro testuale (è questo il senso del nostro escamotage interpretativo), risparmiandoci una riscrittura di cosa sia la Persuasione in M. e di cosa essa sia in Leopardi e lasciando implicite le conseguenze. Così Leopardi conclude la sua Ginestra [vv. 297-317]: E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni, anche tu presto alla crudel possanza soccomberai del sotteraneo foco, che ritornando al loco già noto, stenderà l'avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente il tuo capo innocente: ma non piegato insino allora indarno codardamente supplicando innanzi al futuro oppressor; ma non eretto con forsennato orgoglio inver le stelle, nè sul deserto, dove e la sede e i natali non per voler ma per fortuna avesti; ma più saggia, ma tanto meno inferma dell'uom, quanto le frali tue stirpi non credesti o dal fato o da te fatte immortali. Da parte sua, nella lettera datata 25 aprile 1910, M. così scrive a Gaetano Chiavacci, rassicurandolo: Di che ti preoccupi? di che temi? Nessuno ci potrà mai togliere niente. La vita non vale che noi ce ne affliggiamo. Ma andiamo sempre avanti, e cerchiamo noi d'esser sufficienti a tutto; non c'è cosa che sia troppo grave, non c'è posizione che sia insostenibile. Dove gli altri gemono, e transigono, noi godremo e resteremo duri e sempre uguali così da poterci sempre stringer la mano come io ora te la stringo [E 438. Il significativo corsivo è di M.]. 295 S, Campailla, Pensiero e poesia..., cit., pagg. 53-54-55 [corsivi nostri]. La consapevolezza dell'ineluttabilità è ovviamente comune a entrambi: la necessità cieca, il non-senso dell'esistenza, l'innocenza tragica degli uomini... cose note. Ma Leopardi, in quello che vien considerato da tutti il suo "testamento poetico ed esistenziale", addita alfine nella ginestra un ideale di "stoicismo" che non è rassegnazione né presunzione, ma comunque una "flessibilità" al Tragico, seppur eroica. La Ginestra è /enta, si piega - come si dice - ma non si spezza. M., invece, invoca la durezza: il Persuaso è duro, preferisce spezzarsi piuttosto che anche solo piegarsi. Il fiore del deserto accoglie la morte, china sotto il fascio mortale il suo capo innocente e non renitente, si copre di eroica umiltà, «al cielo / di dolcissimo odor [mandando] un profumo / che il deserto consola» [vv. 35-37]. Il Persuaso, libero, sfida la morte nella «furia del nembo più forte / quando libera ride la morte / a chi libero la sfidò» [Sono i versi conclusivi (ma in realtà è un refrain) de | figli del mare, PP 84]. La ribellione alla vita, o meglio la ribellione della vita, per M. è ancora possibile. A4 - Kierkegaard: la variante "relazionale" della Persuasione. AI pensatore danese abbiamo largamente accennato, e sottinteso, nel corso del nostro lavoro. Abbiamo cioè detto che, per ragioni fossero solo puramente storiografiche, M. non ebbe la possibilità di avere sottomano i testi kierkegaardiani, inaccessibili per la lingua (il che rese tardiva una loro traduzione e diffusione in italiano o in tedesco), oltreché ostacolati dall'ancora imperante hegelismo. Ma sottolineammo che, seppur per via indiretta, M. respirò comunque la temperie kierkegaardiana desumendola dalla lettura dei capolavori di Ibsen (la nostra analisi si concentrò soprattutto sul Brand, un'opera tra le preferite dal Goriziano): del resto, proprio attraverso Ibsen, si consumò virtualmente anche l'incontro - mai storicamente avvenuto (cosa strana, visto che studiarono entrambi a Firenze e che entrambi provenivano dalle regioni carsiche) - con Scipio Slataper, il cui /bsen è certamente l'opera più bella e profonda dopo quella autobiografica’. Alludemmo, infine, al crescente "brandismo" di M., che trascorse i suoi ultimi giorni in un ritiro praticamente ascetico, o comunque di intenso e raccolto lavoro interiore; brandismo, nei fatti, che contraddirebbe la nostra interpretazione politica del vir persuaso: ma altresì sappiamo di quanto M. fosse in attesa di "prendere il largo" (tanto per riesumare l'allegoria marina) nell'infinita vita, e allora leggiamo quel ritiro non tanto come una condizione definitiva e rassegnata, quanto come un momento necessario per raccogliere le forze, temprarle e padroneggiarle, in vista del progetto di persuasione. Sul versante più prettamente speculativo, invece, abbiamo individuato nel cavaliere della fede la "figura" ultima e preferita in cui l'autore di Timore e Tremore compendiò il suo pensiero e la sua sincera persuasione religiosa. E abbiamo visto come quest'ultima fosse la pietra di paragone più opportuna per rendere, nell'immaginario comune, una dimensione così "astrusa" quale quella di Persuasione. Abbiamo allora suggerito come l'utilizzo di "categorie" e terminologie di ascendenza kierkegaardiana (alto, scacco, singolo, paradosso, malattia mortale, angoscia e così via) ritornassero utili - anche alla luce del loro recupero esistenzialista - per cercare di rapprendere concettualmente taluni aspetti in apparenza frammentari della Persuasione. Abbiamo, infine, creato un parallelo tra il cavaliere della fede e il vir persuaso, focalizzando elementi di tangenza (la "dialettica" del paradosso, svolta nella fattispecie in senso antihegeliano; il coraggio dell'atto esistenziale; la solitudine a cui quell'atto sembra destinarli e il sacrificio che imponeva ad entrambi), ma anche marcando differenze altrettanto sostanziali (e allora il paradosso del vir ci è parso funzionale alla sua liberazione persuasa, mentre quello del cavaliere ci si è rivelato come la condizione 296 Detto per inciso, l'affinità tra M. e Slataper, che qui assurge a cifra del "mitteleuropeismo" del Goriziano, si può leggere anche attraverso l'affinità di approccio ch'essi usarono nei confronti del drammaturgo norvegese. 174 definitiva del rapporto con Dio; coerentemente, abbiamo rilevato il recupero della dimensione politica della persuasione, assente nella pratica esistenziale della fede, che si risolve in un rapporto "monogamico" con l'Eterno; infine, abbiamo considerato il vir nel sacrificio di se stesso in senso immediato e il sacrificio di Abramo come sacrificio di se stesso attraverso l'altro, e dunque mediato). Sintetizzammo il tutto ammettendo che la persuasione kierkegaardiana si muoveva ancora in un orizzonte veterotestamentario, mentre quella M.iana riviveva la suggestione neotestamentaria(correggendola in senso "monofisita") eleggendo il Cristo di S. Matteo ad emblema assoluto della "virilità" persuasa. Infine, alla luce di tutto questo, già lasciammo trapelare - e proprio nell'analisi del Brand - le nostre conclusioni, individuando l'elemento che, a nostro giudizio, scongiurava in assoluto ogni plausibile accostamento, pur nella fugace affinità: in una parola, cioè, l'uomo di fede ci apparve come implicato, in modo irreparabile, in un rapporto di dipendenza, in un'eteronomia, che non è certo quella della dimensione mondana, ma che comunque - modo fiero e consapevole, tra l'altro - è una relazione sufficiente, e dunque l'esatto contrario dell'aspirazione persuasa. Insistiamo su questo punto, e ci limitiamo ad integrarlo servendoci delle stesse parole di Kierkegaard, il quale - spogliatosi dei suoi pseudonimi romanzati per calzare quello rigoroso ed edificante dell'Anti-Climacus, e abbandonata la veste poetica cui affidava la sua riflessione - così lo affronta e lo delucida nel suo breve scritto La malattia mortale?”, in periodi di densissima risonanza concettuale: La disperazione è una malattia nello spirito, nell'io, e così può essere triplice: disperatamente non essere consapevole di avere un io (disperazione in senso improprio); disperatamente non voler essere se stesso; disperatamente voler essere se stesso. - l - L'uomo è spirito. Ma che cos'è lo spirito? Lo spirito è l'io. Ma che cos'è l'io? E un rapporto che si mette in rapporto con se stesso oppure è, nel rapporto, il fatto che il rapporto si metta in rapporto con se stesso; l'io non è il rapporto, ma il fatto che il rapporto si mette in rapporto con se stesso. L'uomo è una sintesi dell'infinito e del finito, del temporale e dell'eterno, di possibilità e necessità, insomma, una sintesi. Una sintesi è un rapporto fra due elementi. Visto così l'uomo non è ancora un io. Nel rapporto fra due elementi, il rapporto è il terzo come unità negativa; cioè i due si mettono in rapporto col rapporto; e nel rapporto sono loro che si mettono in rapporto col rapporto; un rapporto, in questo senso, è, sotto la determinazione dell'anima, il rapporto fra anima e corpo. Se invece il rapporto si mette in rapporto con se stesso, allora questo rapporto è il terzo positivo, e questo è l'io. Un tale rapporto che si mette in rapporto con se stesso, un io, o deve esser posto da sé o dev'esser stato posto da un altro. Se il rapporto che si mette in rapporto con se stesso è stato posto da un altro, il rapporto è certamente il terzo, ma questo rapporto, il terzo, è poi a sua volta un rapporto che si mette in rapporto con ciò che ha posto il rapporto intero. Un tale rapporto derivato, posto, è l'io dell'uomo, rapporto che si mette in rapporto con se stesso e, mettendosi in rapporto con se stesso, si mette in rapporto con un altro. Da ciò risulta che possono nascere due forme di disperazione in senso proprio. Se l'io dell'uomo si fosse posto da sé, si potrebbe parlare soltanto di una forma, quella di non voler essere se stesso, di volersi liberare da se stesso, ma non si potrebbe parlare 297 La nostra citazione fa riferimento alla trad. it. dello scritto proposta dall'ed. Newton, 1995, a cura di Remo Cantoni, pagg. 20-21; abbiamo sottolineato in corsivo i passaggi per noi più significativi. della disperazione di voler essere se stesso. Questa formula è infatti l'espressione del fatto che l'io, da sé, non può giungere all'equilibrio e alla quiete, né rimanere in tale stato, ma soltanto se, mettendosi in rapporto con se stesso, si mette in rapporto con ciò che ha posto il rapporto intero [questa impossibilità sancita da Kierkegaard viene invece sconfessata da M.: il vir, da sé, può giungere all'equilibrio e alla quiete senza porre il proprio rapporto con se stesso nel rapporto con l'altro: l'autonomia]. Anzi, quella seconda forma di disperazione (disperatamente voler essere se stesso) non significa affatto soltanto un genere speciale di disperazione, ma al contrario, ogni forma di disperazione può, in ultima analisi, risolversi in essa o esserne derivata. Se un uomo in disperazione osserva come egli pensa la sua disperazione, senza parlarne insensatamente come di qualcosa che gli capita [...] e ora a tutta forza cerca di togliere di mezzo la disperazione da se stesso e soltanto a se stesso: allora è ancora dentro alla disperazione, e con tutti i suoi sforzi presunti non riesce che ad inoltrarsi di più in una disperazione più profonda. Il rapporto falso della disperazione non è un semplice rapporto falso, ma un rapporto falso in un rapporto che si mette in rapporto con se stesso, essendo stato posto da un altro; quindi il rapporto falso in quel rapporto che è per se stesso, si riflette nello stesso tempo infinitamente nel rapporto con la potenza che l'ha posto. Infatti, la formula che descrive lo stato dell'io quando la disperazione è completamente estirpata è questa: mettendosi in rapporto con se stesso, volendo essere se stesso, l'io si fonda, trasparente, nella potenza che l'ha posto [ed è questa, appunto, la Persuasione di Kierkegaard]. AI di là dell'ostentata cavillosità del dettato kierkegaardiano, il concetto è semplice: la disperazione - la malattia mortale - nasce quando l'individuo sfasa la prospettiva del rapporto, obliterando la radice che lo autentica («la potenza che lo ha posto», ovvero Dio) e pretendendo di autofondarlo nel circuito della propria esistenza (la hybris): ovvero, l'uomo sostanzia di se stesso la carenza relazionale - il Goriziano la direbbe deficienza - che lo fonda in Dio. La disperazione è una malattia mortale perché provoca la morte spirituale dell'uomo e la malattia mortale è disperazione perché l'uomo non potrà mai sperare di liberarsi da essa, vista l'eternità del suo essere spirituale. Rispetto a M., ci troviamo in una posizione antagonista che possiamo così risolvere: per costui, rapportarsi ad una "potenza altra" significa tradire l'autonomia della Persuasione; per Kierkegaard, pretendere di fondare in se stessi un'autonomia che non possediamo significa tradire l'autenticità del rapporto esistenziale che ci vincola a Dio. Come si vede, le due posizioni - da un punto di vista puramente razionale - si pongono come inattaccabili, e solo la persuasione del singolo può dar credito, e verità, all'una o all'altra. In questo senso, entrambe le persuasioni si danno come possibilità esistenziali: il fatto che questa possibilità esista non è per il filosofo danese espressione di libertà, bensì di arbitrio, ed espone l'uomo alla tragica evenienza del peccato, sempre presente, il che è appunto la malattia mortale. L'unica libertà (e si noti il paradosso) è quella che ci /ega a Dio. Per M., invece, ogni relazione sufficiente, per quanto alti siano i suoi "agganci", è comunque una violazione del uevet, nel quale, al contrario, «consiste» la vera libertà. B - Variazioni sul tema M.iano del "peso che di-pende". La gravità va essenzialmente distinta dall'attrazione. L'attrazione è, in generale, soltanto la rimozione dell'esteriorità reciproca e dà luogo a mera continuità. La gravità, per contro, è la riduzione della particolarità, tanto scomposta quanto continua, all'unità come relazione a sé negativa, cioè alla singolarità, a un'unica soggettività (soggettività, tuttavia, ancora del tutto astratta). Hegel, Enciclopedia. Lui è il pittore stesso, che volteggia nell'aria; in una torsione impossibile, volge le labbra alla sua donna, per baciarla e ringraziarla del dono dei fiori che lei sta per fargli, perché è il suo compleanno; la donna accetta il bacio con uno sguardo mezzo sorpreso (l'occhio leggermente sbarrato), ma le labbra accennano ad un sorriso, o stanno semplicemente per aderire a quelle dello sposo. Anche la donna sembra esser lì lì per spiccare il volo; il suo piede destro (o il sinistro?) appare puntato a terra, come per darsi la spinta di uno slancio, mentre l'altro è già leggermente sollevato, come fotografato nell'atto di una piccola corsa. Il pittore, nell'assenza di gravità, sembra a sua agio: il suo corpo è agile, allungato: la colonna vertebrale deve essere particolarmente elastica, vista la torsione: il suo corpo si è felicemente adattato alla nuova condizione: le braccia aderiscono con forza ai fianchi, vi si confondono, anzi forse sono addirittura assenti. Il lembo del bavero pare una piccola ala che spunta, potremmo giurarci. L'artista deve sentirsi libero, nella sua fluttuazione, non deve avere impacci. Tutt'intorno una prospettiva piatta, senza volume, destrutturata, schiacciata dalla gravità alle pareti ed al pavimento, riscattata soltanto dalla gradevolezza riposante dei colori: l'unico volume è dato dalla torsione del bacio. La visione è particolarmente estatica. Stiamo parlando del quadro II compleanno di Chagall, del 1919°°: Chagall, un artista ossessionato dalla legge di gravità, che ci vincola alla terra; al suo tentativo di liberazione, in questo quadro e in molti altri, egli sacrifica volentieri tutti i dati dell'anatomia e i principi della logica quotidiana: nelle sue tele la testa di un personaggio si stacca dalle spalle, e fluttua libera finalmente del corpo; un passante, che si staglia sullo sfondo di un paesaggio, occupa più posto degli alberi e delle case d'intorno; un asino suona il violino; se necessario, questo strumento e la pendola saranno provvisti di ali; si cammina sui tetti... Chagall, un ebreo che ha sfidato la legge di gravità, un ebreo che si è ribellato ai vincoli della Terra Promessa. Un eretico. La critica rettorica ha inglobato il dissenso ed ha etichettato il tentativo di Chagall come "leggerezza surrealista" (che condivide con Masson, Mirò, Picasso e Calder), come per Ibsen aveva parlato di "simbolismo". Più o meno dieci anni prima, un altro ebreo eterodosso, proprio il nostro M., così descrive la condizione "sospesa", "aporetica", del suo amato Socrate: 298 Cfr. la diapositiva P nel supporto iconografico. Nel suo amore per la libertà, Socrate si sdegnava d'esser soggetto alla legge della gravità. E pensava che il bene stesse nell'indipendenza dalla gravità. Poiché è questa - pensava - che ci impedisce dal sollevarci fino al sole. - Essere indipendenti dalla gravità vuol dire non aver peso: e Socrate non si concedette riposo finché non ebbe eliminato da sé ogni peso. - Ma consunta insieme la speranza della libertà e la schiavitù - lo spirito indipendente e la gravità - la necessità della terra e la volontà del sole - né volò al sole - né restò sulla terra; - E né schiavo; né felice né misero; - ma di lui con le mie parole non ho più che dire [PR Socrate sdegna la gravità: il suo discepolo più diretto, agli occhi del filosofo goriziano, tenta invano di far suo quello sdegno, di conservarne la lezione genuina, costruendo una macchina volante” che gli permetterà di sganciarsi dal suolo. Ma Platone scimmiotta Socrate. «La 'leggerezza'» prese a dire Platone contemplando il mirabile spettacolo delle cose, che al suo sguardo più forte erano chiare come se fossero state vicine «la 'leggerezza' contiene tutte le cose; non come sono col loro peso nel mondo basso, ma senza peso; e come il peso appartiene al corpo, alla leggerezza appartiene, ‘lincorporeo'; e se al corpo appartiene l'estensione, la forma, il colore, tutto ciò in cui gli uomini in terra sono implicati, alla leggerezza appartiene l'inestenso [sic], l'informe, l'incolore, lo spirituale. Colla sola contemplazione della leggerezza, noi che abbiamo la leggerezza, vediamo e possediamo tutte le cose non come appariscono [sic] in terra ma come sono nel regno del sole» [PR 68]. Una macchina per sfidare la gravità: l'uomo perde fiducia nelle proprie forze di Persuasione, e si affida alla scienza, ammantandola di filosofia. Giusto cinquant'anni dopo le pagine del nostro scrittore-filosofo, e più di duemila anni dopo il finto esempio storico, Hannah Arendt apre uno dei suoi capolavori - Vita Activa (è del 1959) - commentando un fatto astronomico stavolta realmente accaduto: «nel 1957 un oggetto fabbricato dall'uomo fu lanciato nell'universo, e per qualche settimana girò intorno alla terra seguendo le stesse leggi di gravitazione che determinano il movimento dei corpi celesti - del sole, della luna e delle stelle»? La posizione della Arendt - non davanti all'evento in sé (salutato, volendo, anche con orgoglio, perché ulteriore conquista dell'intelligenza umana), bensì davanti alle reazioni dell'opinione pubblica - trasuda perplessità: Questo avvenimento, che non era inferiore per importanza a nessun altro, nemmeno alla scissione dell'atomo, sarebbe stato salutato con assoluta gioia se non si fosse verificato in circostanze militari e politiche particolarmente spiacevoli. Ma, per un fenomeno piuttosto curioso, la gioia non fu il sentimento dominante, né fu l'orgoglio o la consapevolezza della tremenda dimensione della potenza e della sovranità umana a colmare il cuore degli uomini che ormai, sollevando lo sguardo dalla terra verso i cieli, potevano scorgervi una loro creatura. La reazione immediata, espressa sotto l'impulso del momento, fu di sollievo per 'il primo passo verso la liberazione degli uomini dalla prigione terrestre'. E questa strana affermazione, lungi dall'essere la trovata accidentale di qualche reporter americano, involontariamente riecheggiava la 299 È l'incipit del famoso "esempio storico" M.iano. 300 Si tratta, ovviamente, di un apologo inventato da M., com'egli stesso del resto giustifica nelle Note alla triste storia, contenute nella seconda delle Appendici critiche [PR 143 sgg.]. 301 cfr. il Prologo di Vita Activa, La condizione umana, Tascabili Bompiani, 2000 (VIII ed), pagg. 1-6; questo, e gli altri riferimenti della Arendt, sono tratti tutti dal prologo, e dunque s'intendano passim. straordinaria epigrafe che, più di vent'anni prima, era stata scolpita sul monumento funebre di un grande scienziato russo: "l'umanità non rimarrà per sempre legata alla terra". La Arendt commenta: La banalità dell'affermazione [quella riportata dai giornali; cfr. supra] non dovrebbe farci trascurare il suo carattere straordinario; infatti benché i cristiani abbiano parlato della terra come di una valle di lacrime e i filosofi abbiano considerato il corpo come prigione della mente o dell'anima, nessuno nella storia dell'umanità ha mai concepito la terra come una prigione per i corpi degli uomini, o manifestato realmente la brama di andare letteralmente fin sulla luna. Sarebbe questo l'esito dell'emancipazione e della secolarizzazione dell'età moderna, iniziate con l'abbandono, non necessariamente di Dio, ma di un dio che era il Padre celeste: il ripudio sempre più fatidico di una Terra che era la Madre di tutte le creature viventi sotto il cielo? La risposta, per banalizzare, è: spero di no, ma credo purtroppo di sì. Ora, se la Arendt avesse potuto leggere M., e Socrate-Platone (e anche Ibsen) attraverso gli occhi di M., se avesse tenuto conto delle "estasi" di Chagall, avrebbe certamente corretto la prima parte del suo intervento («[... nessuno nella storia dell'umanità ha mai concepito la terra come una prigione per i corpi degli uomini [...}»). Eppure, siamo convinti, la sua posizione di fondo non sarebbe per nulla mutata. Il fatto è che, rispetto alle posizioni forti e polemiche di M. e di Chagall, l'autrice di Vita Activa occupa una posizione, come dire, "ingenua" (ma può darsi benissimo il contrario): anch'ella ebrea, mostra piuttosto fedeltà alla terra, «a vera quintessenza della condizione umana»: «la natura terrestre, per quanto ne sappiamo, è l'unica nell'universo che possa provvedere gli esseri umani di un habitat in cui muoversi e respirare senza sforzo e senza artificio». Questa gratitudine nei confronti della Terra (la Terra "naturale", beninteso, e non quella "artificiale" della scienza e della tecnica) è anzi il presupposto della sua grande ipotesi d'apocatastasi politica, che conosciamo. Per la Arendt, il mondo della Rettorica (della "cattiva" politica, del male) avviene solo nella comunità degli uomini: per M. (e per Chagall), invece, la Rettorica innerva la struttura stessa del reale fisico, prima che politico, e l'attrazione gravitazionale ne è la forma più lampante. L'assunto del nostro giovane filosofo è drastico: la forza di gravità è il segno esplicito di una dipendenza (il peso che "di-pende"), e ogni di-pendenza, nella sua ottica, viene associata automaticamente a violazione della libertà (per lui assoluta), a violenza. L'autarchia del Persuaso non può tollerare che la prima, e più forte, dipendenza (e dunque la più evidente violazione della propria libertà) sia insita addirittura, e in modo ineluttabile, nel suo stesso organismo: il Persuaso deve liberarsi di tutto, anche della gravità: il liberarsi, per lui, è innanzitutto un /ibrarsi La predilezione, come sappiamo, è per il terzo regno, quello del mare, dove ogni gravità pare assente, dove la forza delle onde può essere anche sconfitta dalla potenza delle proprie braccia: mentre neanche il salto del più ardito pensiero può superare il "gancio" della gravità terrena. La Arendt, al contrario, ha superato questa "pregiudiziale naturalistica" presente nell'autore della Persuasione: a suo modo, anche M. supererà se stesso (il se stesso della tesi) nella sua opera ultima, laddove - anche per lui - la Persuasione e la Rettorica se la giocheranno ad armi pari sul terreno della politica, nel senso che già abbiamo più volte ripetuto. Tutto sommato, dunque, nonostante questa diversità, le proposte di M. e della Arendt si muovono entrambe sul terreno della Persuasione. Bisognerebbe valutare la "sostenibilità" di entrambe, ma non è questo che ora ci interessa: l'esistenza è un impegno quotidiano che solo fino a un certo punto ha bisogno di un appiglio o di un'ispirazione eteronoma, per quanto "persuasivamente" fondata (è questa, ricordiamolo, l'opinione dello stesso M.). Ora, anche nel rispetto dell'economia del nostro discorso, c'interessa piuttosto valutare la barricata rettorica di fronte a simili proposte, di fronte alla pericolosa insorgenza umana di liberarsi dalle maglie della gravità. Lo faremo in modo "stravagante", ma pilotato. Partiamo da un annuncio pubblicitario: Il è il metodo creato dalla dr. X per migliorare l'allineamento del corpo umano nello spazio e in relazione alla forza di gravità. Si attua in un ciclo di 10 sedute di manipolazione del tessuto connettivo e di educazione a un movimento fluido e corretto. Questo efficace lavoro permette di sentirsi più elastici, sciolti e leggeri in breve tempo. Gli effetti sono durevoli. Chiunque vuole "sentire" di più il proprio corpo, viverne meglio le emozioni, o ritardarne i processi di invecchiamento [... ] può trarre grande giovamento da questa tecnica. L'ideatore del metodo *** si propone di migliorare l'allineamento del corpo umano nello spazio e in relazione alla forza di gravità: Ballested saluterebbe volentieri questo invito ad un felice e comodo "acclimatarsi"°°, Il metodo per giunta promette effetti durevoli. Ora, al di là della facezia, invitiamo a concentrare tutta la serietà e l'attenzione su almeno due passaggi-chiave del messaggio promozionale: la cura «si attua in un ciclo di 10 sedute di manipolazione del tessuto connettivo e di educazione a un movimento fluido e corretto. Questo efficace lavoro permette di sentirsi più elastici, sciolti e leggeri in breve tempo». Entra in gioco la Rettorica allo stato puro, secondo la curvatura foucaultiana che le stiamo conferendo: il dominio del corpo, nella sua "fisicità", attraverso la "manipolazione" (termine davvero infelice, anche per uno spot) e l' "educazione al movimento"; dunque, una considerazione sportiva del corpo®°, volta al suo miglioramento: la Rettorica abbisogna di corpi sani; la sua salus non è Salute ovvero Salvezza (come l'intende il vir), ma valetudo, benessere". Una congerie di corpi robusti e sani, per giunta controllati, è infatti il presupposto sufficiente di una sana e forte comunità rettorica. Secondo punto: subentra il cavallo di battaglia della Rettorica: la paura della morte, ovvero, qui, della sua fase immediatamente precedente: l'invecchiamento. Il pubblicitario 302 Ballested è il già citab personaggio della Donna del mare di Ibsen; cfr. il nostro paragrafo Il porto della pace., nel capitolo |. 303 «Lo sport è la rettorica della vita fisica», scrive M. in una nota, PR 107. 304 Sull'oscillazione ambigua del termine nella traduzione s'impernia tutto il Dialogo della salute. adesca il consumatore giocando sulla promessa speciosa che la cura è in grado di ritardare i processi di invecchiamento. M., nella sua tesi, e non solo, scrisse pagine e pagine per spiegarci che l' "equivoco" EQUIVOCO GRICE sulla morte è la ragione decisiva che spinge gli homines, ma anche i domini, a sottomettersi vicendevolmente al Dominus per eccellenza, il Leviatano sociale. L'analisi del filosofo goriziano è tutta volta a scongiurare quell'equivoco EQUIVOCO GRICE, a tratteggiare il concetto di una morte che può essere sfidata dal vire addirittura accettata, come accadimento che non annichila, bensì potenzia, in prospettiva, la nostra dynamis. Quello che abbiamo or ora fornito è un esempio molto particolare, esasperato, di «Rettorica applicata alla vita», come la chiamava il Nostro. Ad esso ne aggiungiamo un altro, tratto stavolta da un articolo scientifico?°° dei nostri giorni, che tratta - manco a dirlo - di un'ipotetica vita in un ipotetico mondo a gravità zero (= assenza di gravità), ad esempio un altro pianeta. L'autore dell'articolo argomenta che, in simili condizioni, la specie umana, potrebbe orientarsi, attraverso graduali aggiustamenti «secondo le leggi naturali dell'evoluzione verso un nuovo tipo di uomo, l'Uomo Cosmico». Tutte variazioni ipotizzabili, naturalmente: dalla statura (maggiore del comune, perché in assenza di gravità la colonna vertebrale perde le sue curvature fisiologiche diventando rettilinea), al torace (più corto, poiché il diaframma si solleverà in seguito all'alleggerimento dei visceri addominali), dal cuore (più piccolo per ipotrofia muscolare) agli arti inferiori (più sottili, proprio per la dislocazione dei liquidi verso le parti superiori del corpo) e al cervello che, fortunatamente, secondo le ipotetiche previsioni, «verosimilmente continuerà ad aumentare di volume, come è avvenuto nell'evoluzione del genere umano, stimolato dalla necessità di un'informazione mentale sempre più copiosa e intelligente e da una maggiore irrorazione, e quindi nutrizione, in assenza di gravità». Ora, al di là della vaghezza mondana che l'articolo si ripromette, e al di là del sempre esplicito riferimento alla corporeità, vi si potrebbe riscontrare un altro noto (e qui ben nascosto) dispositivo retorico, quello che i sofisti chiamavano anfibologia. L'articolo, dietro il pretesto di suscitare curiosità, ci fornisce un quadro del nuovo "Uomo Cosmico" che finisce con lo scoraggiare il lettore: la vita in gravità zero sarebbe possibile, ma solo a condizione che la nostra struttura umana, la nostra bellezza umana, venisse "storpiata": sarebbe un luogo popolato da mostri (e si confronti, invece, questo ipotetico storpiamento scientifico con l'armonia raggiunta da Chagall nelle sue "figure fluttuanti"). E' quella che M. chiama la «falsa adulazione», qui rovesciata: l'articolo, cioè, invita indirettamente i lettori a mantenere le loro belle sembianze umane, garantite e protette dalla legge di gravità. La Rettorica richiama gli uomini al vincolo della gravità, necessaria alla perpetuazione del dominio (l'Uomo Cosmico rischierebbe di essere pericolosamente 305 Purtroppo ne abbiamo perso la fonte, ma il nostro appunto, a suo tempo, fu abbastanza fedele. forte, e la sua vita oltremodo allungata: rischi che la Rettorica non può permettersi di correre: forza e longevità sì, ma sempre "manipolabile"). Ora, abbiamo volutamente presentato esempi al limite della "fantascieza", e volutamente abbiamo condotto un'analisi altamente prevenuta, ostentando un metodo d'approccio viziato oltremisura dal "sospetto": una sorta di eccesso di zelo dell'ottica persuasa, che rischia di degenerare in una vera e propria mania di vittimismo di una persecuzione, sempre operante, perpetrata dalla Rettorica. Ora, siamo convinti che una simile "paranoia rettorica" dovette aggredire M. nei suoi ultimi giorni di vita, attecchendo per giunta su un fisico stremato dai dolori personali e stressato dal lavoro di compilazione della tesi. Con questo, non vogliamo alludere a nulla, riguardo al suicidio del giovane goriziano (benché lo stesso Campailla sembra sbilanciarsi, ma solo appena, in proposito). Lo assumiamo semplicemente come un fatto. Concludiamo questo paragrafo richiamando alla memoria, come all'inizio, un altro quadro celebre: nei suoi Orologi mollf°®, Salvator Dalì sembra denunciare (o sublimare?), in modo bizzarro ma efficace, il risultato vincente della Rettorica, come forza di gravità? (l'opera è del 1931; anni bui): gli orologi, attratti da una vigorosa forza centripeta, cedono mollemente verso il suolo: una mosca (retorica?) insozza quello in primo piano; una comunità (persuasa?) di formiche sembra preservare/proteggere quello in primissimo piano. Il messaggio appare chiaro: anche il tempo si curva dinanzi alla forza di gravità, vi si sottomette e vi si allea, a meno che.... Sembra un'amenità. Eppure era ciò che, grosso modo, il genio ebraico di Einstein aveva postulato, pochi anni prima, nella sua ipotesi di curvatura dello spazio-tempo. 306 Ovvero, La persistenza della memoria, detto anche Il tempo che si scioglie. Cfr. la diapositiva Q nel supporto iconografico. 307 La nostra interpretazione è del tutto funzionale al discorso e, del resto, le opere di Dalì si prestano agli azzardi più innominabili. Anche se, per la cronaca, il pittore, proprio riguardo a questo quadro, fu estremamente chiaro: il soggetto gli proveniva dall'ossessione per tutto ciò che è molle.C - La critica alla Rettorica come caricatura della Rettorica. A partire da un'intuizione che ha avuto già a suo tempo il Campailla, e che noi condividiamo in pieno (ovvero che non si può leggere l'opera di M. scrittore- filosofo separatamente da quella di M. "ritrattista"), la critica specializzata nel settore si è adoperata per trovare punti di riferimento "europei" all'opera del Goriziano. Il bilancio di tale lavoro (volto comunque a reclamare anche una decisa originalità M.iana rispetto alla contemporaneità o alla più prossima posterità) è stato egregiamente redatto da Fulvio Monai (a nostro parere, il non plus ultra in questo contesto), di cui riportiamo alcune valutazioni essenziali, cercando anche noi - in questo modo - di caldeggiare un simile approccio. Nell'ambito figurativo i pittori dell'angoscia come Munch, Van Gogh, Ensor, Gauguin avevano creato le premesse per la nascita dell'Espressionismo che a una prima realizzazione formale giunse tuttavia soltanto con il gruppo della Brücke (Il Ponte), fondato nel 1905 a Dresda da Kirchner, Heckel e SchmidtRottluff, e avviato, sulla spinta di un programma di spontaneismo e di immediatezza espressiva, a estrinsecare per immagini, al di là di ogni schema preordinato, le inquietudini interiori. Ebbene, in quel momento, M., che dall'angolo visuale fiorentino non aveva potuto nemmeno supporre i prodromi della nuova esperienza artistica, anche se nutrito di cultura tedesca, aveva già fissato sulla carta i segni di un'umanità demitizzata, i cui connotati volevano corrispondere a una realtà interna più che alle apparenze sensibili. [...] Quando M. schizzava a lapis la Processione d'ombre nel 1903, a sedici anni (anticipando largamente i disegni di Klee eseguiti nel 1911), nulla poteva sapere dei fermenti che avrebbero portato alla figurazione espressionista. Non poteva nemmeno aver conosciuto, quando l'informazione sull'arte a Gorizia era ancora precaria se non assente, né la tipologia umana di Tolouse Lautrec, né la visione precorritrice degli artisti che avevano fatto tesoro della lezione di Cezanne e Van Gogh. Non ci sono comunque prove [...] che possano documentare un qualsiasi contatto, del resto cronologicamente insostenibile, con il mondo figurativo che si agitava nell'Europa centrale osteggiato dalla cultura officiale [...] Indubbiamente Processione di ombre è una testimonianza stupefacente di un espressionismo ante-litteram: una sfilata di personaggi tratte ggiati sommariamente, figure emblematiche la cui deformità impietosa riflette le ipocrisie e le storture della società conformista. La matita che delinea realisticamente il profilo del Castello di Gorizia, simbolo del potere, non indugia sui dettagli delle figure umane ma, guidata da un'intuizione psicologica sorprendente per un sedicenne, si limita a suggerirne le forme controluce. Processione d'ombre resta dunque opera di un giovanissimo che, per virtù di un'acuta intelligenza, stava respirando un'aria comune a tutti gli ingegni più vivi senza ancora rendersene conto, con le percezioni discendenti da una sofferta coscienza del male del tempo, in inconsapevole sintonia con artisti che egli non aveva mai conosciuto. Dopo questa prova [... ], altri disegni confermeranno negli anni successivi la sua ricerca dell'uomo, il suo bisogno di agire direttamente sulla persona, interpretandone le contraddizioni, le debolezze, il ridicolo, con segno che non è caricaturale nel senso corrente della parola, inteso cioè a cogliere gli aspetti più scoperti del soggetto per metterne a nudo l'immagine apparente o i sentimenti più manifesti. La sua matita scava e blocca il volto nell'attimo in cui la mente ne fissa i connotati che meglio corrispondono alla realtà più intima e tramuta la figura in maschera che sollecita pena e amarezza più che ilarità. Solitario come filosofo e come pittore, M. avrebbe comunque continuato ad alimentare la segreta vocazione fino a quando, con il disegno di una lampada dalle fiammelle ormai spente, avrebbe riassunto sul primo foglio della Persuasione e la rettorica il senso della propria parabola terrena. [Si può altresì rilevare] la sua estraneità a qualsiasi movimento intellettuale e filosofico. Si può affermare analogamente che non appartenne consapevolmente ad alcun movimento artistico del suo tempol... ] Come pittore M. rientra dunque nella sfera dell'espressionismo, di cui preavverte le tensioni. Ed espressionista rimane fino in fondo, anche dipingendo, prima di morire, l'olio dedicato alla madre e intitolato nel retro E sotto avverso ciel luce più chiara. In questo senso è stata concordemente valutata nefgli] ultim[i] decenni] l'opera grafica e pittorica di M., e si è convenuto che essa non può essere ignorata, costituendo uno degli aspetti fondamentali per capire la genesi della Persuasione e la rettorica, e l'autore stesso, come uomo, nella sua totalità.  [Dunque], un rapporto molto stretto lega la ricerca grafica di M. alla sua filosofia... Lo schizzo, il disegno immediato, l'aforisma figurativo si può considerare una traduzione visiva della via alla persuasione... La linea, secondo una grammatica preespressionista, si spezza in segmenti, si anima in curve ed evoluzioni, si condensa con insistenze e ripetizioni in alcuni passaggi per poi sfumarsi e annullarsi in altri. Esiste una concordanza di giudizi sul fatto che soltanto un'esigenza interiore indusse M. a farsi testimone di situazioni umane con l'immediatezza di chi ha in animo non di edulcorare la realtà o di darne una versione umoristica ma di penetrame i significati, uscendo dalla sfera della rappresentazione per entrare in quella cruda e disincantata dell'osservazione dei fatti, al di là di qualsiasi calcolo e senza il desiderio, comune ai protagonisti dell'arte, di farsi portatore di nuovi linguaggi. Insistere nella ricerca di modelli, di influenze precise per giustificare formalmente il mondo grafico e pittorico di M. equivarrebbe a sminuire - pur considerando i rarefatti indici di un'attività non dominante - la portata del suo messaggio, la sua originalità. Più giusto è constatare che quanto possediamo è sufficiente a dichiarare le sue innate doti di disegnatore estraneo alla cultura figurativa imperante nei primi anni del Novecento in Italia, e a rivelare nello stesso tempo con incisiva evidenza le spinte che, sempre più incalzanti, determinarono la sua ricerca esistenziale®°8, A tutto ciò, aggiungiamo soltanto due nostre vaghe considerazioni: innanzitutto, in M. ci sembra davvero riproporsi quella che Nietzsche connotava come capacità «pentatletica» dell'artista "persuaso" (che lo rendeva davvero «omo integrale»), nella fattispecie con riferimento agli autori tragici della classicità (ma anche al loro "pubblico"), come il filosofo tedesco aveva scritto in un passaggio fondamentale della sua prima conferenza pubblica sulla tragedia [quella sul dramma musicale greco]: Nietzsche auspicava (e credeva di intravvederne i prodromi nell'opera wagneriana) una ri- proposizione di tale "integrità" nella nuova gioventù tedesca’. Anche sotto questo rispetto, dunque, M. ci sembra pare fedele all'orizzonte greco che struttura lasua speculazione e, perché no?, anche tutta la sua vita. Seconda considerazione (che approfondisce quanto già profilato dal Monai): è significativo, per noi, che M. s'impegnasse soprattutto nell'affinmare la sua pratica di "caricaturista": com'è noto, il pregio della caricatura è quello di scarnificare il soggetto che ad essa si presta, esagerandone (e distorcendone) i tratti caratteristici: l'effetto che si vuol provocare è di natura comica o grottesca. Il pittore-filosofo goriziano, evidentemente, intuì la profonda valenza dissacrante che un simile strumento gli metteva a disposizione: poter meglio individuare o evidenziare i "difetti" della Rettorica e utilizzare il pretesto umoristico per porli, in modo impietoso, all'attenzione di tutti: riconosco qualcosa come "caratteristico" e lo "carico" distinguendolo dal resto (che rimane meno percepibile). 308 Estratto dal saggio M. anticipatore in arte dell'espressionismo, di Fulvio Monai (pubblicato in Dialoghi intorno a M., a cura di Sergio Campailla, Gorizia, Biblioteca Statale Isontina, 1987), che qui riportiamo per gentile autorizzazione concessaci dalla redazione di www.M..it e del Comune di Gorizia. 309 Cfr. almeno le sue Cinque prefazioni per cinque libri non scritti, in particolare le Riflessioni sul futuro delle nostre scuole. 310 In questo senso, la caricatura, sotto la forma soprattutto della satira (letteraria) politica e sociale, ha una lunga tradizione nell' "aceto italico", almeno a partire da Lucilio. A parallele, analoghe e praticamente contemporanee conclusioni - il suo saggio sull'Umorismo è del 1908 - era giunto anche Pirandello: nel saggio, lo scrittore agrigentino segnalava nella pratica umoristica uno degli strumenti privilegiati che consentivano di introdurre nell'arte, e dunque attraverso l'arte, la problematica dell'esistenza e la critica sociale: l'umorismo si serve del comico - avvertimento del contrario - per assurgere a riflessione, al sentimento del contrario, ovvero, associando le immagini in contrasto*'', sottolinea espressionisticamente gli aspetti disarmonici, deformanti e paradossali dell'esistenza, come lo scrittore effettivamente fece nei romanzi e (soprattutto) nelle novelle8"?, Per fortuna, l'interesse per l'opera grafico-pittorica di M. è venuta crescendo col tempo (anche se fatica ad oltrepassare l'orizzonte della provincia goriziana e triestina), come testimoniano le sempre più numerose esposizioni del suo catalogo. 311 cfr. L. Pirandello, Saggi, Poesie e scritti varii, Mondadori, pag. 127 soprattutto 312 Non a caso, alcuni critici (il Salinari e il Piromalli, sopra tutti) hanno letto l'opera di M. anche attraverso il confronto con la produzione e la "filosofia" di Pirandello, entrambi massimi rappresentanti della crisi spirituale apertasi all'inizio del secolo scorso. Auctoritas, non veritas facit legem. Thomas Hobbes Parte migliore è quella che cerca il meglio; cercare con persuasione il meglio è l'unico primato; e quando si vorrebbe ostacolare ciò, si fa, sotto tanti aspetti, del materialismo, e, prima o poi, si è sconfitti dalla forza dell'anima. Capitini «Mi manca una concezione salda e universale della vita [...] Oggi io non vedo alcuna possibilità di trovare un nuovo principio, né di rispettare i vecchi principi. Cerco dunque questa idea, da cui dipende tutto il resto, senza poterla trovare», scriveva Flaubert all'amico George Sand, poco più di un secolo e mezzo fa. Questa urgenza di verità e di valori la facciamo nostra, in un'epoca in cui - e lo affermiamo al di là di ogni moralismo enfatico ed infame da parvenu - il rapporto degli uomini col mondo e con i propri simili ci appare quanto mai irrisolto e problematico, e sembrano venir meno l'orientamento, i motivi, le ragioni stesse delle scelte etiche. La nostra tesi, benché sia strano, è nata ed è stata scritta in tempo di guerra, e ciò non ha potuto non influire sulla veemenza e sulla perentorietà di certe nostre affermazioni, convinzioni, presupposti. Il fascino che il pensiero M.iano, misconosciuto, ha esercitato su di noi si spiega, allora, soprattutto nella sua premura etica, nel suo "massimalismo etico": solo un'etica forte come quella di M. - per quanto, per i più, "ingenua" - può misurarsi oggi con la potenza devastatrice del male. La straordinaria energia che ogni uomo nasconde conosce le espressioni più sublimi e divine, ma anche le degenerazioni più abiette e nefaste: si tratta di convogliare quell'energia a vantaggio dell'uomo, ovvero sulla via della Persuasione. Questa è l'epitome del monito persuaso. La voce della Persuasione è la voce socratica, la voce che coinvolge, la voce per eccellenza. La voce che invita alla «infinita vita», che chiama all'autonomia ed all'autenticità del nostro essere uomini, che non si presta alla risonanza disinteressata o scolastica o intellettuale, ma che ingiunge un impegno militante ad ogni animo sensibile. Qui, ovviamente, entra in gioco e in crisi il significato stesso di filosofia, e quindi di esistenza, e il coinvolgimento personale e responsabile di ogni posizione. La "lezione" di M. è, infatti, un invito alla responsabilità pura, e dev'essere accolto come tale in un'epoca in cui il totalitarismo non è esplicito, ma sornione, non punisce, ma sorveglia, 313 Nel contesto di queste Conclusioni, utilizzeremo una specifica bibliografia minima: 1 - Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, con prefazione di Norberto Bobbio, Biblioteca Cappelli (ristampa anastatica della seconda edizione, pubblicata nel 1947 dall'E ditore Laterza, Bari), 1990; 2 - Martin Buber, La regalità di Dio, Marietti, 1989; 3 - E. Lévinas, L'aldilà del versetto, a cura di G. Lissa, Saggi Guida, 1986; 4 - Antimo Negri. Il lavoro e la città. Un saggio su Carlo M.. Roma, Lavoro, 1996. (I grandi piccoli 11). Le citazioni dal testo di Capitini saranno segnalate da una C con numero di pagina cui si riferiscono [C ...]; quelle da Buber da una B [B ...]; quelle da Lévinas da una L [L ...]; quelle da Negri da una N [N ...], non opera soltanto attraverso l'aperta coartazione, ma s'innesta a presupposto tacito comune, servendosi di una sopraffina ikebana di prevenzione, volta a scongiurare quello che gli agenti assicurativi chiamano, come per un gioco di ironia, moral hazard?. In un'epoca in cui il totalitarismo, a volte, addirittura soffre il proprio mascheramento, ed esplode (stricto sensu) nelle tensioni belliche del "nuovo ordine mondiale". La sua violenza, oggi, è un "mal sottile" che avvelena. La Rettorica è un processo di avvelenamento, scrive M., il che vuol dire non soltanto che è un veleno, ma che è una continua somministrazione di veleno. Il pensiero di Carlo M., con tutta la sua giovanile esuberanza, si pone allora come antagonista, come disinfestazione: si arroga un effetto depurante, si autopromuove ad antidoto al veleno, e (forse) in questo pecca di presunzione e corre il rischio, anch'esso, di prestarsi a traduzioni violente ed autoritarie. Ma ci si mostra come faro quando addita nell'autonomia e nella politica (termini solo in apparenza contraddittori, termini da assumere piuttosto nella loro straordinaria bellezza) l'unica istanza regolatrice di ogni persuasione concreta, «a ferri corti con la vita», l'unica alternativa all'acclimatamento rettorico, al compromesso eteronomo, all'abulia o alla disperata (per alcuni, vile) risoluzione del suicidio. Di una persuasione, infine, che non si pone come compito quello di passare «dalla teoria alla pratica» (uno dei più ostentati imperativi sociali), ma di far le proprie parole azione, di sollecitare la propria dynamis umana all'entelechia che, in modo autentico, la realizza. Come scrisse Aldo Capitini, «dobbiamo essere musica e non statua. Questo sembra un sogno, un qualche cosa di poetico; e credo invece che sia prova di realismo. Vi sono forze potenti da fronteggiare, e solo un'opposizione dal profondo e appassionata può vincerle»3'° [C 31]. 314 Lett. "rischio morale". Maggior rischio che un evento assicurato si verifichi per effetto della minore attenzione posta nel prevenirlo da parte di chi ha stipulato l'assicurazione [def. dizionario Garzanti. Chi ha letto quanto da noi argomentato in precedenza, apprezzerà la puntualità di questa definizione. 315 Come scrive Norberto Bobbio, compagno e grande estimatore di Capitini, «chiunque abbia una certa familiarità con gli scritti di Capitini sa che uno dei termini-chiave del suo linguaggio personalissimo è "persuasione", che sta per "credenza" o per "fede" (il bel capitolo autobiografico con cui ha inizio il libro Religione aperta è intitolato La mia persuasione religiosa), onde "persuaso", parola da lui usatissima equivale a "credente". Egli stesso ne riconosce la derivazione da M.: «... del quale mettevo in rilievo, anche in una conferenza che tenni a Firenze, la "persuasione" (un termine che ho assunto, preferendo "persuaso" a "credente", persuaso nel senso di "autopersuaso", quasi di "pervaso"), l'antiretorica, quel tipo di esistenzialismo, che poteva divenire supremo impegno pratico: insomma mi pareva esatto considerarlo come la premessa di una tensione etico-religiosa». [Bobbio trae questa citazione dall'opera di Capitini Antifascismo tra | giovani; la testimonianza di Bobbio su Capitini la si trova in N. Bobbio, Maestri e compagni, Firenze, Passigli, 1984, nel capitolo a lui dedicato], Dunque, lo sfondo di Capitini è religioso, la sua è una credenza e una fede; tuttavia la sua religiosità, "antiistituzionale", ci pare non identificarsi esclusivamente con la dimensione divina, ma coincidere piuttosto con la sacra umanità (il sacro dell'umanità) che ogni individuo porta dentro di sé: dunque, se «la religione è consapevolezza della liberazione spirituale, del superamento della finitezza mediante la vita spirituale» [C 110], anche noi ci sentiamo di condividere questa religiosità. M. ripropone la visione antica del mondo nel momento di più intensa crisi della sua visione moderna, e chiama in causa soprattutto due testimonianze inattuali di Persuasione, nella Persuasione "confondendole": Socrate e Cristo. Il Socrate di M. - ma oramai è chiaro - non ha alcuna paternità del /ogos, se per logos s'intende una facoltà, ch'è pretesa, di ordinare il nostro rapporto "scientifico" con la realtà e di promuoverne un'arbitraria fondazione di valori. In un'espressione, un atteggiamento di dominio che non riesca a pensare il mondo se non come rapporto di forze e come fruizione senza mistero. In senso analogo, la verità cristiana viene apprezzata non come pura verità filosofica o settaria, ma rivissuta quale verità di esistenza e di salvezza assolute. Nella dimensione persuasa, cui queste due rinnovate prospettive collaborano, il vero, il giusto e il bello condividono un rapporto sponsale (l'agathon di socratica e platonica memoria), al cui interno è un non senso l'imposizione. Un assunto, questo, che M. tende disperatamente a dissuggellare dall'ambito della propria coscienza individuale, cercando di puntare su di esso non solo per un impegno morale singolo, ma per una "rivoluzione" sociale ch'è innanzitutto una rivoluzione etica collettiva. Il vir è completamente titolare dell’azione etica, e in questo è scrigno d'infinito, perché infinite sono le possibilità di realizzare il bene: la sua esistenza è un "grande miracolo", che riflette in sé tutta l'ineffabile portata della Persuasione, una dignità e una libertà di sapore, diremmo, rinascimentale. L'Europa (il mondo) deve guardare alla Bibbia ed alla grecità, dunque. Una persuasione di Lévinas, che anche M. avrebbe sottoscritto. Anzi, come visto, la speculazione del Goriziano oscilla proprio, ed in maniera consapevole e in certo modo sistematica, tra questi due poli. Tuttavia, nella riconsiderazione ch'egli fece del pensiero biblico, si segna, secondo noi, una nuova possibilità del pensiero ebraico, che mantiene dell'ebraismo la valenza etica, la tenacia e la determinazione che quello ha mostrato nella sua storia millennaria, ma altresì le rinnova, senza cadere, a nostro giudizio, nell'apostasia dei conversos o dei marranos. Da una parte, infatti, l'identità ebraica di M. - per quanto inconsapevole, sottaciuta o addirittura rimossa dallo stesso - è fuori discussione: l'appartenenza ebraica è una questione cromosomica, volendo parafrasare Martin Buber. Dall'altra, M., ebreo, dell'Antico Testamento predilesse soprattutto l'Ecclesiaste, e pur vide in Cristo l'eccellenza del vir persuaso, ritagliandone una figura terrena e sofferta che nulla ha a che vedere col Cristo figlio di Dio: M., ebreo, pure accettò il messaggio di In effetti, Capitini appare quale uno dei nichelstaedteriani più "coerenti", e il fatto che il suo capolavoro, gli Elementi, fosse uno dei luoghi di spiritualità intorno al quale si condensò molto antifascismo, è una delle prove più evidenti e più belle di una Persuasione che passa dalla parola all'atto, che si fa storia ed opposizione anti-rettorica. liberazione terrena del Cristo, «la circoncisione del cuore, in ispirito, non in lettera» [S. Paolo, Rom. 2,29], il «battesimo del fuoco» [Lc. 3,16] nella Persuasione?"9. Il pensiero M.iano, insomma, è anche un pensiero ebraico, semplicemente perché M. fu un ebreo. E, per quanto detto, fu un pensiero ebraico sui generis, rivoluzionario, inaudito, e purtroppo dimenticato. Il pensiero ebraico si pone, per principio, come inattuale, come Talmud, interpretazione incessante ed appassionata della Torah, della Legge, la «salvaguardia più sicura e la memoria più fedele dell'etica di Israele» [L 77]. L'ermeneutica della Torah si assume il compito di individuare e proteggere l'<«energia misteriosa che scaturisce da [gesti] antiquati» [L 77], e d'imbrigliarla in direzione etica. Questa etica è accoglienza di una «incitazione divina» [L 102]: «anche Dio incita, anche Dio seduce, come se anche Dio avesse la sua retorica». L'ascolto, dunque, la pedagogia dell'ascolto come essenza dell'ebraismo: vi si forgia un'etica che scaturisce da un'interazione responsabile di uomini: una redenzione, un «faccia-a-faccia degli uomini [...] che mostrano il loro volto e cercano il volto del loro prossimo» [L 93], in una «tensione del santo verso il più santo» [L 91], in una «permanenza dell'umano [...] assicurata dalla solidarietà che si costituisce intorno a un'opera comune; dallo stesso compito svolto senza che i collaboratori si conoscano o si incontrino» [L 93], perché «Ia totalità del vero è realizzata dall'apporto di molteplici persone» [L 218]. Un'etica, inoltre, che non teme, e anzi accoglie, il confronto con le culture altre, perché «Malgrado tutte le critiche rivolte contro l'assimilazione, noi usufruiamo dei lumi che essa ci ha apportato, affascinati dai vasti orizzonti che questi ci hanno aperto » [L 288]. Tuttavia, «a dialettica del regno che educò il popolo di Israele» - scrive Buber - coincide con la «storia del dialogo fra la divinità che domanda e l'umanità che nega la risposta ma che tenta anche di rispondere, il dialogo che ha per oggetto un eschaton». [B 56]. La risposta dell'essere umano, a questo domandare che s'impone più che altro come un comandare, non può essere se non l'obbedienza. Buber non lo nasconde, anzi fonda proprio su questa impari dialettica la radice dell'istanza etica e ogni possibile dignità dell'uomo, «costituita dalla originaria possibilità di questo comandamento e dall' 'obbedienza' intesa come risposta umana ad esso: una risposta balbettante, riluttante, risorgente, ma pur sempre la risposta del fragile essere umano» [B 136]. «Nel 'monoteismo' - scrive ancora Buber - l'unicità non è [...] quella di un 'esemplare’, bensì quella del Tu nella relazione io- 316 Ancora una volta, è importante - in questo contesto - ricordare l'interesse esclusivo di M. per il vangelo di Matteo. Questo vangelo è il «più completo, ordinato e dottrinale dei primi tre e rispecchia più e meglio degli altri la primitiva catechesi apostolica, motivo per cui fu il più utilizzato nei primi tempi della Chiesa, per l'istruzione sia dei catecumeni che degli adulti. Esso fu scritto per gli Ebrei, per provare ad essi che Gesù Cristo è il Messia promesso. Infatti fin - dal principio, con la genealogia, così importante per gli Ebrei, Mt intende dare non soltanto la realtà ebraica e davidica di Gesù, ma inserire lui, la sua storia e la sua opera nel complesso della storia della salvezza, che forma l'ossatura di tutto l'AT. Così, nel discorso posto come a base del nuovo Regno fondato da Gesù, egli è proposto come il nuovo Mosè che sul monte promulga la nuova legge; e in tutto il corso del Vangelo è dato il massimo valore all'AT, considerato come profetico e pedagogo al nuovo Regno» [F. Pasquero, Introduzione al vangelo di S. Matteo, ed. Paoline, Milano, 1987]. tu, che non conosca sospensioni nell'ambito della vita vissuta» [B 123]. Il Tu divino è una continua presenza nel rapporto io-tu, sia nel rapporto stesso che nella singolarità dei contraenti: «la fede in Dio di Israele è contraddistinta in definitiva dal fatto che il rapporto di fede esige per essenza di valere per tutta la vita e di agire in tutta la vita» [ma cfr. l'intero capitolo JHWH il melekh, pagg. 106- 120]. E' qui che M. segna il suo distacco e il suo superamento: egli, ebreo, combatte in assoluto ogni adescamento eteronomo, e intuisce che l'etica è Persuasione, ovvero - e in modo esclusivo - autonomia responsabile e responsabilità autonoma, conquista che avviene nell'immediato dell'uomo senza alcun tramite, se non la considerazione dell'altro come specchio di sofferenza, come omousia del Tragico, e non come riflesso del volto di Dio o comunque di entità superiori e costituite. M. conclude la prima Appendice critica alla sua tesi di laurea con un enfatico «Evviva l'imperativo» [PR 142]. Quest'appendice, apparentemente svolta su questioni di linguistica logico-formale (i modi verbali), s'impernia su un assunto etico-filosofico che compendia le convinzioni M.iane su un linguaggio, quello degli uomini, ch'è la traduzione più concreta ed esaustiva dei «modi di relazione sufficiente» [PR 135]: infatti, «ogni parola detta è la voce della sufficienza - quando uno parla, afferma la propria individualità illusoria come assoluta», ovvero «ogni cosa detta ha un Soggetto che si finge assoluto» [id., corsivo di M.; in base alle analisi approntate nel corso del nostro lavoro, il significato di queste affermazioni dovrebb'essere oramai pacifico]. Alla luce di questo assioma, M. de-struttura i modi del linguaggio: quello diretto, quello congiunto e infine quello correlativo. Fino a che giunge al modo imperativo, «che non è modo» [PR 141]. Perché quello imperativo non è un modo? E perché il giovane filosofo lo predilige? Perché esso non sottende una "relazione sufficiente", «non è realtà intesa, ma vita; è l'intenzione che vive essa stessa attualmente, e non finge attualità in ogni modo finita e sufficiente» [PR 141, c. Mich.]: insomma, il Soggetto «non fa parole, ma vive» [PR 142, c. Mich.]. Ma in che modo il Persuaso vive? Innanzitutto, si parta da questa importante sfumatura: per M., l'imperativo non è il modo dell'ingiunzione, del comando, della coercizione, non è neanche «imperativo di Dio» [B 58]°'”, ma quello della libertà, della realizzazione concreta della libertà, ovvero è un atto di liberazione. Il Soggetto, innanzitutto, si libera da se stesso, dalla falsa consistenza che lo intride. Ma l'imperativo non è neanche un modo impersonale: esso è piuttosto un modo che coinvolge, che chiama in causa una relazione, una responsabilità, che evidenzia la sostanza di un tu cui esso si rivolge. Delucidando il senso e l'abisso di tale responsabilità, si giunge nel cuore dell'essenza persuasa. E' la Persuasione che mette in gioco la responsabilità, e non viceversa. Non è Dio che ci destina in un orizzonte responsabile, non è YHWH che c'ingiunge o ci dona il senso di responsabilità, che ci forma alla responsabilità. Per Lévinas, ad esempio, la responsabilità umana è «una responsabilità che precede la libertà, una responsabilità che precede l'intenzionalità» [L 210]: poche righe dopo, il filosofo ebreo- francese esplicita il senso delle sue parole: «si deve comprendere piuttosto questa anteriorità della responsabilità rispetto alla libertà come l'autorità stessa dell'Assoluto [c. n.], ‘troppo grande' per la misura o la finitezza della presenza, della manifestazione, dell'ordine e dell'essere» [L 210]; «l'uomo esercita la sua padronanza e la sua responsabilità come mediatore tra Elohim e i mondi, assicurando la presenza o l'assenza di Elohim dal concatenamento degli esseri» [L 246-247]. Nell'orizzonte della Persuasione, al contrario, la responsabilità non è la premessa teologica al rapporto io-tu, non è il vincolo condizionante preparato da qualsivoglia Torah, Assoluto o «ileità» [L], ma la messa-in-atto di questo rapporto nel momento in cui esso avviene, sul terreno dell'autonomia senza presupposti, nella condizione di una consistenza che trova 318. Ovvero nel fondamento esclusivamente nella propria finitezza, nella propria solitudine momento in cui la consapevolezza del Tragico assurge alla sua espressione massima, e si converte da consapevolezza in attualità poietica. La stessa «responsabilità della responsabilità» [L 158-159] non è una delega etica che un essere superiore affida agli uomini, lasciandoli liberi o meno di rispondere (la presenza o l'assenza di Elohim), ma un atto di autofondazione di libertà, in cui libertà e responsabilità vengono a coincidere; non riflesso di una Legge, ma essa stessa legge di se stessa. Il vir attraversa la morte, convive con la malattia mortale ed estende la mortalità a termine di confronto con le altrui vite: ristabilendo un corretto rapporto con l'essere-per-la-morte dell'uomo, correggendo la prospettiva lontananza-vicinanza dalla morte, la Persuasione rende manifesto l'essere-nella-morte dell'homo (la vita che vuole se stessa e crede d'esser vita, l'horror vacui che diviene propellente del conatus essendi, il deficere preso a pretesto del proprio sufficere) e nobilita l'essere-con-la-morte del Persuaso. Di fronte al Tragico, e non di fronte a YHWH, si fonda la solidarietà e la democrazia di un destino, per il quale tutti sono miei pari nella morte. Vedendo nell'altro se stesso come mortale, il vir elegge l'altro in un orizzonte di compassione, e quindi di rispetto: in questo specchiarsi nell'innocenza tragica dell'altro, il Persuaso abdica alla propria consistenza, avvertendo già la sua stessa affermazione individuale come violenza "attuale" agìta ai danni dell'altro. 317 «[...] né la storia biblica ha altro senso se non quello per cui l'imperativo della natura può cedere all'imperativo di Dio e così elevarsi, la pura passione alla santità pura, la creazione al regno» [B 58]. 318 Nella dimensione persuasa, dunque, espressioni quali «dipendenza senza eteronomia» [L 162], «trascendenza che si fa etica» [L 208], «decisione umana che interviene in un dominio che oltrepassa l'uomo» [L 181], o ancora «timore libero: riconoscenza sotto forma d'obbedienza, ma obbedienza senza servitù etc. etc.» [L 173], o infine la summa - «idea di un potere senza abuso di potere» [L 266], non hanno alcun senso.La persuasione, dunque, si pone come eccesso d'amore, come olocausto d'amore, che sacrifica l'io attuale al tu, e fa del tu non soltanto il termine privilegiato del rapporto, ma il luogo in cui «brucia come fiamma» il rapporto stesso. Il sacrificio è l'annullamento del sé per la salvaguardia del tu: l'agire del Persuaso (Sovva!) è l'accollarsi di un surplus di responsabilità verso il tu. Per recuperare l'umanità del tu c'è bisogno di un'eccedenza d'umanità nel Persuaso, tal che il Persuaso - alla stregua dell'Essere plotiniano - trabocchi di essere e doni, sacrifichi la sua eccedenza in vista della Persuasione del tu, ch'egli non prepara o sollecita, ma salvaguarda e protegge. In questo atto di amore puro e assoluto della Persuasione, l'unico rimprovero che le si può muovere contro è l'essersi arrogata una pretesa di salvazione che nessuno le ha chiesto. Ma cosa è l'amore, il donare, se non dare anche quando nessuno chiede?  Uno, tra i motivi occasionali che ci hanno spinto a scrivere una tesi su Carlo M., è stato la lettura di un libello (in senso proprio e lato), che porta la firma di Antimo Negri, dal titolo accattivante: // lavoro e la città. Il piccolo studio si propone come «un saggio su Carlo Michelstaedter» (così recita il sottotitolo) e, in effetti, la prima metà di esso sorvola l'opera del Goriziano, fissandone punti fondamentali e azzeccando spunti intelligenti. Ad un certo punto, però - e siamo al capitolo E' veramente ‘vita che non è vita', quella civile? - l'analisi del critico prende una svolta inaspettata di sferzante polemica. Partendo dalla convinzione (del resto per noi condivisibile e sensata) che «nella società, è giocoforza responsabilizzarsi come uomini civili e lavoratori divisi» [N 74], per il Negri prospettare ai lavoratori "distinti" e agli uomini "civili" una vita altra da quella ch'essi conducono è soltanto grossolana retorica, una presa in giro, una «promessa del diavolo» [N 75], pericolosa e assolutizzante, metafisica e irriguardosa. L'avversario da ardere al rogo, nel contesto del saggio, è proprio Michelstaedter: [...] se gli 'autori' hanno veramente detto ciò che egli 'ripete' [il riferimento è alla prefazione della tesi di laurea], Michelstaedter non fa altro che accomunarli nel destino del fallimento del loro messaggio ‘persuasivo'. La ragione di questo fallimento? Sta nel fatto che gli uomini, la maggioranza degli uomini, nonostante ogni 'riduzione' della loro individualità, nonostante il loro risolversi in persone sociali", nel mondo della sicurezza' borghese, nel mondo del lavoro diviso o nel 'regno della rettorica', finiscono col credere più a Platone che a Socrate, più a Hegel che a Schopenhauer, eccetera. Solo perché disponibili a farsi 'giusti' per naturale desiderio di sicurezza? Solo perché hanno paura della morte? Forse, anche perché hanno il coraggio di vivere, lungo le 'sanguinate vie della storia', la ‘piccola vita' delle ‘individualità ridotte', in obbedienza alle ragioni della civiltà del lavoro e della tecnica. Anche il pescatore stanco de | figli del mare ha questo coraggio; e gli si deve rispetto, perché è anche un uomo ‘temprato all'oggettività' nel senso hegeliano, un uomo 'giusto' nel senso platonico. Rispetto non gli porta di fatto, Michelstaedter. In realtà, la lettura del filosofo del lavoro è altamente prevenuta, e questo gli obnubila il senso della Persuasione michelstaedteriana. Ne è prova quanto scrive in seguito, indirizzando le sue frecciate a «quanti filosofeggiando si atteggiano a flebili ‘pastori dell'essere» [N], ossia «agli scopritori e ai riscopritori più o meno nichilisteggianti di Michelstaedter» [N 71] (e anche qui ci trova concordi). Ma per lui, già in partenza, quello di Michelstaedter è «il desiderio di un libero volo oltre il mondo in cui vivono le 'anime implicate» [N 70], e, in quanto tale, «è desiderio di morte»: «Michelstaedter tende a 'persuadere' ad un 'in-curia' o ‘non-curanza' della stessa società» [adattato da N], ed egli, in questo, si rivelerebbe davvero «maestro di Svoradayoyia» [N 81], ma un maestro così malefico, sottile e coerente da giungere persino ad uccidersi per far valere tutta la cattiveria delle sue proposte; tal che il suo suicidio fa] è un «gesto necessario della sua ‘pedagogia', che preferisce l' ‘essere’ al 'vivere', la ‘vita autentica' alla ‘vita inautentica' [[]» e visto che [b] «c'è pure un egoismo nel darsi volontariamente la morte [!], senza curarsi di quanto si può fare per gli altri anche o soprattutto come ‘individualità ridotte*». Ciò di cui il Negri priva i suoi lavoratori distinti e i suoi soggetti civili è quello che Ernst Bloch chiamava principio speranza: il che sarebbe anche la cosa meno grave. Infatti, egli dimentica altresì che dietro tali figure sociali, inserite negli ingranaggi della città giusta, ci sono degli uomini, e che le conquiste - e la dignità che ne deriva - sono innanzitutto conquiste di consapevolezza umana, prima che acquisizioni prettamente sociali o giuridiche o politiche. Egli scrive: Il nostro posto è nella città, nel mondo del lavoro. Non c'è ideologia 'antilavoristica' che tenga: il nostro compito resta quello di fare più giusta la città, più umano il mondo del lavoro, non di uscirne fuori, di abbandonarlo [N 81-82]. Parole che rivelano un grande, e giustificato, "pragmatismo", e ciò detto senza alcuna allusione spregiativa. Il fatto è che Michelstaedter, scrivendo della Persuasione, si pone su uno scalino indietro (o avanti, dipende dai punti di vista) quando appunta il suo interesse piuttosto sulla dimensione dell'umano che precede la sovrastruttura della giustizia cittadina e della socialità del lavoro. Sinceramente, non vediamo in ciò alcuna «ideologia antilavoristica», né una presa di posizione, come dire, gratuita e tignosa contro la "vita empirica" degli uomini. Il merito di Michelstaedter è stato quello d'aver individuato, al di là o al di sotto dell'alacrità sociale, un peccato umano tra i più puniti anche da Dante: l'accidia spirituale. Di contro, il più grande demerito dell'invincibile illusione sociale della rettorica - propinata attraverso lo strumento ipnagogico della Svoradaywyix - è quello di obliterare l'umanità degli uomini e d'incoraggiarne appunto l'accidia: tal che quando Michelstaedter parla di «possesso presente della propria vita» non intende un allontanarsi dalla congerie sociale, o semplicemente un disdegnarla (il che sarebbe, oltre tutto, impossibile, vista la politicità che contraddistingue gli uomini), ma un vivere la nostra esistenza, anche sociale, alla luce di una nuova consapevolezza, di tipo socratico, che precede la stessa "coscienza civile": ovvero, nella consapevolezza che in ogni uomo c'è un fondo di Persuasione - un «centro religioso», direbbe Capitini - che dev'essere recuperato e 193 salvaguardato, una plenitudo ed un'aeternitas che non è astorica o ultramondana o antimondana, ma che rivela una dignità che chiameremmo ontologica, se non avessimo timore di equivocare adottando un termine abusato. La vita degli uomini, prima di essere vita di relazione in cui ognuno dà e ognuno chiede (il cosiddetto mutualismo), è una interminabili vitae tota simul et perfecta possessio?”9, tanto per prendere in prestito le parole di S. Tommaso, e in questo l'uomo è assimilabile addirittura a Dio. In suddetta convinzione michelstaedteriana - che è una bestemmia in bocca ad un ebreo, e che forse segna il traguardo di presunzione di un pensiero che, al di là della religiosità che lo sottende, si pone, per via di principio, come pensiero "laico" - si palesa tutto l'amore e il rispetto di cui il Goriziano investe gli uomini, il mondo e la vita stessa. Il Persuaso non vuol essere un "persuasor di morte", un apolide o un paria, e se lo è, è l'ingiusta conseguenza cui l'emarginazione rettorica lo destina; ed anche allora, il vir non è un asceta che si rinchiude, beato, nella sua sdegnosa autosufficienza, o un moralista che, da uno scranno, discetta sull'inettitudine o sulla "senilità" degli uomini che, ignari del loro non- essere, si affaccendano nel mondo. Il vir è Qohelet, partecipa comunque all'assemblea degli uomini, «àncora la [sua] vita nella concreta molteplicità del prossimo» [C 66]. La sua «anima ignuda» [PR 10] non è un abito di santità ch'egli indossa per distinguere la propria nobiltà di spirito, ma il risultato di una spoliazione dei travestimenti rettorici entro cui siamo «incamiciati», un raggiungere la nudità del nostro essere sfrondando gli orpelli del sufficere, e non un'angelolatria; e, ancora, l'«isola dei beati» [PR 10] non è un mondo marziano o iperuranico, ma la città veramente giusta, la Gerusalemme dei liberati, la agathon philia: «Paradiso non è l'assenza della finitezza, ma il vincerla, con impeto di spirito sereno» [C 64]. Infine, l'esperienza della Persuasione non è un'esperienza elitaria od escludente, visto che non ci sono libri, ricettari o raccomandazioni che ci facilitano sulla via della Persuasione: essa, per principio, si pone come democratica, e l'unica condizione ch'essa ingiunge (se si può dir così) è che sta ad ogni singolo individuo assumersi la responsabilità di imboccarla, prendere su di sé il compito della propria realizzazione, avere il coraggio di costruire la propria dignità di uomo: e quale migliore artifex di colui il quale è l'artefice unico della propria umanità? «La persuasione religiosa suscita un sentimento e un'iniziativa assoluta, e un fermento da rinnovare perennemente, e proprio movendo da sé stessi, anche se soli» [C 113]: «libertà deve essere continuamente liberazione » [C 108]. La consapevolezza del Tragico, in cui "consiste" la Persuasione e la sua libertà, dunque, non mortifica l'attività degli uomini, ma le conferisce un senso e una dignità addirittura sovraumane, perché non accetta la vita così com'è, o come ci è data, ma testimonia la "caparbietà" degli uomini, la loro eccedenza di vita, anche nella consapevolezza di esseri- 319 Tommaso, Summae Theologiae, prima pars quaestio X, De Dei aeternitate in sex articulos divisa, articulus |. per-la-morte: e la stessa relazione dare-chiedere ne viene promossa a donare, in un orizzonte di rispetto e di amore che coinvolge tutti gli enti mondani, senza alcuna cesura metafisica o etica. E allora, non si incorra nell'equivoco EQUIVOCO GRICE di scambiare la Persuasione per semplice determinazione, per mera disposizione di volontà, per arbitrio di proprie convinzioni imposte alla comunità degli uomini, per malevola, pertinace coerenza d'intenzioni eccentriche o malsane: diversamente, si potrebbero a buon ragione dire persuasi un Hitler o un Callicle. La dimensione persuasa non è una dimensione anarchica, dove ognuno dice o fa ciò che vuole, convinto di realizzare una propria, singolare, gretta persuasione: essa ha l'unico suo limite e l'unica sua legge (che non è sintomo di eteronomia, perché autonoma assunzione di responsabilità) nel confine segnato dalla libertà e dal diritto dell'altra persona: la Persuasione «è stretta sulla base della non menzogna che è il riconoscimento in altri della stessa volontà operante vicino alla mia finitezza, superamento della separazione, atto di fede che attua la vicinanza, la trasparenza» [C 111]. La Persuasione è trasparenza etica. Che un simile "programma" di umanità sia destinato al fallimento - o sia guardato con ironia, o sia tacciato di melliflua retorica, che condisce una "adolescenziale" illusione - non è una prova schiacciante da ribaltare sardonicamente contro il suo autore, ma un ulteriore elemento di meditazione sulle dilaganti potenzialità oniriche e violente - ovvero di una violenza occulta o scoperta, a seconda dei casi - del dispositivo e dell'armamentario rettorico, che da sempre ci affligge. Carlo Raimondo Michelstaedter. Carlo Michelstaedter. Michelstaedter. Keywords: l’implicatura di Platone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Michelstaedter: retorica e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Mieli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’uccello del paradiso; ovvero, la lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton – la scuola di Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Abstract. Grice: “Oxford was all-male – as I saw her. The reasoning was that females like to marry, whether a philosopher was officially deemed to remain a bachelor!” -- Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Speranza has studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»  (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale M. e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977.  M. penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, vive a Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.  Sposati, durante la seconda guerra mondiale i coniugi M. erano sfollati a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere.  Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni.  A causa della sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del movimento di liberazione omosessuale italiano.  Convinto assertore di una rivoluzione gay in chiave marxista, si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito Radicale.  Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali Milanesi e i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero, venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei testi base dei collettivi autonomi gay.  M. fu uno dei primi a contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme, inclusa la coprofagia.  Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; fu nuovamente arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista Zapparoli, i genitori gli diedero un appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra e si laurea con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica.  Al V congresso del Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con Pezzana, M. prese la parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.  Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale M. sorto a Roma nello stesso anno della morte.  Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di M. consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che, attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione. Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa" dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.  La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli, Modugno e  Pezzana. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba.  Da queste basi partivano per abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto  Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali.  In base a questa riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, M. ha preferito opporre un principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in faccia». Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel processo politico di ristrutturazione della società, M. non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi. In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando "democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie».  A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale».  Il tema della pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, M. affrontò a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano "liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco Ascoli)»  (Elementi di critica omosessuale). Nella nota 88 si legge:  «Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità, considerava che potesse essere una porta verso il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano».  Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, Barilli e M., Feltrinelli, Milano,  Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano,  “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani, Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce,  “E adesso,” S. Laude, Clichy,  Teatro La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico.. T.  Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli,  Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, L. Schettini, M. in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario Biografico degli Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori! rancobuffoni/ files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf  M., artista contro la violenza, in La Stampa,  Elementi di critica omosessuale, Einaudi, M. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile, M., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR Edizioni, Silvestri, L'ultimo M.: Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso,  A. Pezzana. La politica del corpo. Roma, Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi. L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di M. Rivista di sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk: la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di genere Teoria queer Transessualismo. Biografia, in italiano, su culturagay. Chi era M. (articolo sul  gay.tv), su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Miglio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura ligure – la LIGVRIA e la PADANIA – la scuola di Como – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Abstract. Grice: “At Oxford, dreaming spires as it is – philosophical politics – or political philosophy – is considered minor, or a minor specialty – since you are bound NOT to be deemed a philosopher. It’s highly different – slightly different – in Italy, where, with Mussolini, EVERYTHING is political!” -- Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Como, Lombardia. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology – M. defines ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach or buy consensus!” --  essential Italian philosopher. Sostenitore della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura, confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del Partito Federalista.   Polo scolastico "M." ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.  Ha insegnato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà di Scienze politiche. È stato allievo d’Entrèves e Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico.  Colpito da ictusnon si riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in seguito M. è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.  Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche Genossenschaftsrecht di Gierke, ai saggi di storia amministrativa di Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in italiano dal suo allievo e ferrato germanista  Schiera (O. Hintze, Stato e società, Zanichelli).  Fu di quegli anni l'incontro di M. con l'immensa produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo tedesco che era stata completamente trascurata in Italia.  Sviluppo del lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni cinquanta, M. fonda con il giurista Benvenuti l'ISAP Milano (Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita economica.  La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto M. sente tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. M. si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o, viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra ragione che aveva indotto M. a studiare i poteri pubblici in un'ottica, come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.  La fondazione pubblica tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali. Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni: Rossetti, allieva dello storico Violante, vi diede alle stampe un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto Medioevo; Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a M. dallo studio delle opere di Hintze: lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica, un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli Hohenzollern.  L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della Commissione Giulini curata da Raponi uno studio cui M. tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in  La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro, voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte delle istituzioni austriache esistenti.  Il saggio Le contraddizioni dello stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, M. prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia. Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un gigante il vestito di un nano". Secondo M., i nostri "padri della patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere percepite come "straniere", si rivelarono palesemente inefficienti.  Nel saggio, M. ha però messo in luce un altro dato fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte]  Sono inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre svariati saggi, Per una nuova storia costituzionale e sociale (Vita e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto.  La traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Schiera e Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica di cui M. era divenuto direttore. Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Stein e Gneist.  La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor M., ricordando a distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo finanziamento, non scorgendo l'utilità politica immediata della sua attività, strinsero i cordoni della borsa.  M. scienziato della politica e costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in Italia indusse il professor M. ad occuparsi di riforme istituzionali; egli intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne uscirono due volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero completamente trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così venne definito il pool di professori coordinati da M. v'era il rafforzamento del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati.  Secondo il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della F.I.S.A. All'interno della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica, servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il saggio di Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni.  Alla sua formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio, una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano dove contro-bilanciare quello della società, si ha in mente il riformismo illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto, dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel parlamento. La omunità prospera solo quando stato e società sono in equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con il titolo Le categorie del politico. Nella prefazione, si sofferma sui decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica. L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che destabilizza la sinistra italiana. È dall'incontro con la produzione di Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico (Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo: la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali) con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità (cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e accettato da tutti gli stati.  La crisi dello ius publicum europaeum, divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto.  Prende atto della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto, sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza -- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato, sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di vita.  L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini, legati alla logica di mercato.  La fine degli stati moderni porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar modo, delle libere città germaniche.  Il professore studiò a fondo gli antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le repubbliche urbane dell'Europa germanica, gli ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. M. si dedica allo studio approfondito di questi temi, progettando di scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città. Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore.  L'impegno politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. M.  rimase comunque legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i fondatori, a Como, del movimento federalista Il Cisalpino, con altri docenti dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Cattaneo, il programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”).  Il suo nome e proposto per il conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza, che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea, oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese.  I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale, Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi. Soprattutto M. non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.  Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se M. vorrà lasciare la strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla Lega e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, M. «pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone. In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario.  Nonostante ciò, moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In particolare M. fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Negri, col quale fonda il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo misto.  Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici freddi e caldi M. sostenne la necessità di sviluppare, all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale: ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle genti,” Milano, Ispi, La crisi dell'universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del particolarismo statuale moderno, Pubbl. Fac. giurispr. Univ. Padova, La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il concetto patrimoniale dello stato nell'eta antica, Jus. Rivista di scienze giuridiche, Le origini della scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,  L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I cattolici di fronte all'unità d'Italia, Vita e pensiero, “L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e proposte, promosso dal Rotary Club di Milano, Centro Una Costituzione in corto circuito, Prospettive nel mondo", Ricominciare dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta industriale, Milano, Giuffrè,  La Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio, Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in "Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema parlamentare integrale, Rivista italiana di Scienza Politica, Considerazioni sulle responsabilità, Synesis, periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano, Giuffrè,  Il nerbo e le briglie del potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire, con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, Mondadori, ed. Oscar Saggi, Disobbedienza civile,  Milano, Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei IV anni sul Carroccio, Milano, Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia, Milano, Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli italiani, Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano, Sperling e Kupfer, Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera, Milano, Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Gozzi e Zanoletti, Milano, Leonardo arte,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, Vicenza, Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione, pref. Di Formigoni, postf. di Romano, Varese, Lativa, M.: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Un M. alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La Libera Compagnia Padana Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Gianfranco le interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Formigoni, coll. I libri di Libero M., Firenze, Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito? Firenze, Libero; Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera, coll. I libri di Libero M. Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra Lampredi e Ferdinando Galiani, pref. di Ornaghi, Torino, Aragno, M.: scritti brevi, interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica Bologna, Il Mulino; Bianchi e Vitale, Bologna, Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e Associati,  Lo scienziato della politica, coll. Opere scelte di M., a cura di Galli, Milano, Guerini, Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, S.l. Milano, La Scuola, 1 Scritti politici, Bassani, coll. I libri del Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani Torino, Giappichelli; “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale della Padania Fano, Associazione Oneto); “Il Cerchio, Schmitt. Saggi, Palano, Brescia, Scholé  Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche Torino, Aragno; “Vocazione e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Oneto, Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale. In appendice le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano, Morra, Breve storia del pensiero federalista Milano, Mondadori; Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate, Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana, Collegno; Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con Bozzi e M., Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Ornaghi e Vitale, Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Ferrari, “Storia di un giacobino nordista Milano, Liber internazionale); Bevilacqua, Insidia mito e follia nel razzismo; Il rinnovamento, Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis La Roccia di Erec, Capua, Scienziato impolitico Soveria Mannelli Catanzaro Rubbettino, Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, Lanchester, M. costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e commenti,  Soveria Mannelli Catanzaro, Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. M. Verde, su miglio verde. eu. Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticino COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Arianna. il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia. Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna Il silenzio di M. fa paura alla Lega  Bossi: Pensa solo alla poltrona. "Con Bossi è un amore finito"  Miglio torna nell'arena: è l'occasione buona  M., Una repubblica mediterranea?, in  Un'altra Repubblica? Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, U. Rosso, M. l'antropologo. 'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica, Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica Treccani Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis.  Istituto per la scienza dell'amministrazione pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della Padania, su prov-varese. Lega nord. Commemorazione di M. nell’anniversario della scomparsa di Campi, su giovani padani. lega nord. Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica, Il Giornale, su new rassegna.camera. Interviste a M. sui "Quaderni della Libera Compagnia Padana" su la libera compagnia. Documenti politici Sezione di approfondimento sul pensiero di M., dal sito ufficiale della Lega Nord. NOME COMPIUTO. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Miglio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Millia: la ragione conversazionale della setta dell’ottimati a Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Abstract. Grice: “As an Oxford philosopher with a double first in greats, I know the story – the sorry story, I might add – of M. quite well. In fact, Austin used the example as ‘acting on principle. When discussing the phrase, Nowell-Smith proposed that he saw himself as saying appropriately that ‘he did not accept bribes on principle’ to Austin’s rebuke: “No thanks” will just do. The M. example is trickier. M. acted on principle by refusing to touch the beans preferring death instead.” Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico. M. is said to have been one of a group of Pythagoreans who are ambushed but find their escape route blocked by a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans precepts from even touching beans, M. prefers death to betraying his principles. Millia.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Milone: la ragione conversazionale e la setta d’ottimati di Crotone – Roma –  filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Grice: “The Italians rightly claim that philosophy in Italy starts at Crotona, and it does. It actually possibly perishes at Crotona, too – as the sorry story of M. testifies!” Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. M studies with Pythagoras himself. M. dies when an anti-Pythagorean mob burns his house down when he is inside it.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Minicio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Adriano nel diritto romano e Plinio minore-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract. Grice: “Minicio, Adriano, and Plinio minore may not sound philosophical, but they do at Oxford. There is no such thing as a Faculty of Philosophy; only a Sub-Faculty of Philosophy, based at Merton – within the real Faculty, the Faculty of Literae Humaniores. Therefore, Minicio, Adriano, and Plinio minore MEAN a lot to the Oxonian philosopher – to the Oxonian philosopher that counts, that is, the one with a double first in Greats, like me!” Filosofo italiano. Rescritto di Adriano a Gaio M. Fundano. L'imperatore Adriano, autore del rescritto a Gaio M. Fundano. Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano è un rescritto imperiale inviato dall'imperatore romano Adriano a Gaio Minucio Fundano, proconsole d'Asia. Il documento giuridico, scritto originariamente in latino, fu tradotto e tràdito in greco ellenistico da Eusebio di Cesarea che si rifaceva a Giustino.  Il testo è noto agli storici e agli studiosi di Storia del Cristianesimo per essere uno dei più antichi scritti pagani sul cristianesimo. Il documento di Adriano, pur indirizzato a Minucio Fundano, rispondeva in realtà a un'istanza sollecitata da Quinto Licinio Silvano Graniano, predecessore del destinatario: Graniano aveva chiesto lumi sul comportamento da tenere nei confronti dei cristiani e delle accuse che venivano loro rivolte.  Adriano rispose al proconsole di procedere nei loro confronti solo in presenza di eventi circostanziati, emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche, petizioni o calunnie: veniva stabilito così il principio dell'onere della prova a carico dei promotori delle accuse. Eventuali azioni promosse a scopo di calunnia dovevano, al contrario, essere duramente perseguite e punite, affinché non fosse permesso ai calunniatori di procurare del male. Il rescritto, che è una delle prime fonti pagane sul cristianesimo, è anche di somma importanza per la comprensione della politica tenuta da Adriano e dal suo predecessore Traiano nei confronti dei cristiani: Adriano, infatti, si mosse su un piano analogo, e anche più garantista, rispetto a quello del suo predecessore che si era espresso sull'argomento in un precedente rescritto sollecitato da una specifica richiesta di Plinio il Giovane che era a quel tempo legatus Augusti pro praetore in Bitinia e Ponto. Giustino sostenne l'interpretazione più favorevole del rescritto, accettata da una parte della storiografia moderna. Dubbi esegetici Il significato esatto del rescritto adrianeo, pur confrontato con quello di Traiano, rimane per alcuni studiosi controverso. Se è assodata, infatti, l'affermazione del principio dell'onere della prova da cui, in definitiva, far dipendere la perseguibilità dei cristiani che avessero agito «contro la legge», non è per tutti chiaro, invece, fino a qual punto dovesse spingersi l'assolvimento di quell'onere, se fosse cioè sufficiente provare la sola fattispecie della professione di fede (quello che Plinio, nella sua epistola a Traiano, chiama il nomen ipsum) o si rendesse invece necessario circostanziare anche la contemporanea presenza di reati ascrivibili all'essere cristiani (flagitia cohaerentia nomini), la distinta fattispecie che Plinio già individuava e intendeva suggerire all'imperatore nell'indirizzargli la sua richiesta.  Tesi di Marta Sordi Marta Sordi, storica dell'antichità greco-romana e del cristianesimo delle origini, propendeva per l'interpretazione più favorevole ai cristiani, una posizione esegetica a cui peraltro già aderiva l'apologetica cristiana, da Giustino in poi. Secondo la Sordi, Adriano, in linea con la politica del suo predecessore Traiano, avrebbe non solo confermato il divieto di perseguibilità d'ufficio[8] ma vi avrebbe anche aggiunto, di suo, due nuovi elementi:  Il primo di essi la Sordi lo individua in quel passo in cui Adriano afferma la necessità di dover giudicare «secondo la gravità della colpa» (sempre nel caso - beninteso - di una denuncia sorretta da prove). Il riferimento a una graduabilità della colpa escluderebbe, secondo Marta Sordi, che quest'ultima potesse ridursi al solo 'essere cristiani', una fattispecie che poteva rivelarsi vera o falsa, ma che non poteva ammettere graduazioni: seguendo questa interpretazione, bisogna quindi ritenere necessaria l'associazione a un diverso reato, ascrivibile allo status religioso ma non coincidente semplicemente con questo. Questa interpretazione, inoltre, sempre secondo la studiosa, sarebbe in sintonia con il tono generale della prosa dell'imperatore, da cui trapela, infine, persino insofferenza nei confronti di possibili derive intolleranti. L'espressione di questa insofferenza, sottolineata anche da un'interiezione, è contenuta nella frase «ma, per Ercole, se qualcuno accampa pretesti per calunniare, tu, stabilitane la gravità, devi senza indugio punirlo». E proprio in questa frase si rinviene, secondo Sordi, il secondo elemento di novità rispetto all'atteggiamento del predecessore:  la necessità che le conseguenze di azioni prive di prova, e pertanto temerarie e calunniose, dovessero ritorcersi contro gli stessi proponenti. Gianluigi Bastia, Lettera di Adriano,  Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, Giustino Martire, Apologia  Il testo greco, in Giustino, è riportato in calce (v. Apologia. Rescritto di Adriano a Caio M. Fundano, proconsole d'Asia  (o su Giustino, Apologia Plinio il Giovane, Epistulae Plinio il Giovane, Epistulae. CIL Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano. Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca, Milano, Bastia, Lettera di Adriano. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica,  Giustino Martire, Apologi, Plinio il Giovane, Epistulae, CIL, M. Fundano, Gaio, in Treccani Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Voci correlate Rescritto di Traiano a Plinio il Giovane Fonti storiche non cristiane sul cristianesimo Gesù storico Storiografia su Gesù Ricerca del Gesù storico Storicità di Gesù Onere della prova Ius puniendi Portale Antica Roma Portale Cristianesimo Portale Diritto Portale Gesù Categorie: Fonti del diritto romanoStoria antica del cristianesimo Adriano [altre] Military diploma (CIL) attesting his consulship suffect consul. In office Nationality: Roman; Occupation: politician. A Roman senator who holds several offices in the Emperor's service, and is an acquaintance of PLINIO MINORE. He is suffect consul with Tito Vettenio Severo as his colleague. He is best known as being the recipient of an edict from ADRIANO (si veda) about conducting trials of Christians in his province. This is known from an inscription recovered at Baloie in Bosnia. The first office listed is military tribune with Legio XII Fulminata. Next is quaestor, and, upon completion of this traditional Republican magistracy, he would be enrolled in the Senate. Two more of the traditional Republican magistracies follow: plebeian tribune and praetor. The last appointment, before the inscription breaks off, is his commission as legatus legionis or commander of Legio XV Apollinaris. Other sources attest that he was governor of Achaea. The terminus post quem his governorship is when Gaio Caristanio Giuliano is known to have governed. The terminus ante quem he leaves his post is the year of his consulate, although the letters he receives from PLINIO MINORE (si veda) indicate he is no longer in Achaea. The inscription from Baloie mentions he has been admitted to the Septem-viri epulonum, one of the four most prestigious ancient Roman priesthoods. Because this inscription does not mention his consulate, it can be assumed his entrance precedes that office.  Most, if not all, of the letters PLINIO MINORE (si veda) writes to M. fall before is suffect consul. In the first letter of his collection, PLINIO declares that living on his rural estate is preferable to living in Rome, where he is subject to constant pleas for assistance. The second letter petitions him to appoint the son of Plinio’s friend ASINIO RUFO as M’s quaestor for M.’s upcoming consulate; The last letter is another petition to M., canvassing him on behalf of GIULIO NASONE, who is running for an unnamed office. While all of these letters demonstrate M. And PLINIO MINORE are acquainted, they fail to show the warmth of a friendship.  Following his consulate, during the reign of TRAIANO, M. is governor of Dalmatia.  It is through a rescript the historian EUSEBIO preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know M. is proconsul of Asia. M.' predecessor, QUINTO LICINIO SILAVNO GRANIANO, asks ADRIANO how to handle legal cases where some inhabitants are accusing their neighbours of not following the Roman cult through informers or mere clamour. ADRIANO’s reply is to state that any such accusations had to be through a law court, where the matter may be properly investigated, and if they are guilty of any illegality, thou M., must pronounce sentence according to the seriousness of the offence. This rescript is important as an independent witness to the existence of one or more non-Roman sects in this part of Anatolia. The only other contemporaneous evidence we have for these communities is the list of the VII churches of Asia in the book of Revelation.  M.’s wife is the daughter of a MARCO STATORIO. We know her name from a funerary inscription, which suggests that she died before M.’s consulship. The name of their daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources. Minicia dies young. Her funerary vase has been identified, which states her age at death as XII years, XI months, and VII days. PLINIO MINORE also attests to her existence, revealing information about the girl that shows that he and M. are better friends than the surviving letters he writes to M. suggest. In the letter, addressed to one EFULANO MARCELLINO, Pliny notes that, although she was not yet XIV years old, she was betrothed. Pliny describes the preparations for her wedding, with which M. was busy; and he asks Marcellinus to send M. a letter consoling him for his loss. It is not known if M. has any other children.  Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and Hadrian, Cambridge, CIL, ILJug., Talbert, The Senate of Imperial Rome, Princeton; Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to Satala—and beyond", in Bohec and Wolff, eds. Les Légions de Rome sous le Haut-Empire, Paris; Eck, "Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen Statthalter”, Chiron; Pliny, Epistulae, I.9  Syme, Tacitus, Clarendon; Eusebius, Ecclesiae Historia; Williamson, Eusebius: The History of the Church, Harmondsworth: Penguin; Political offices Preceded by Acilius Rufus, and Quintus Sosius Senecio II Consul of the Roman Empire with Titus Vettennius Severus Succeeded by Gaius Julius Longinus, and Gaius Valerius Paullinus Categories: Roman governors of Achaia Suffect consuls of Imperial Rome Roman governors of Dalmatia Roman governors of Asia Epulones of the Roman Empire Minicii. Keywords: Roman law, Adriano a Minicio -- Gaio Minicio Fundano. Not to be confused with Minucio. Minicio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Minicio.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Minnomaco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean according to Giamblico. Grice: “Cicerone argues: Minnomaco speaks Greek; therefore he is no Roman!” Minnomaco. Refs.: Luigi Spranza, “Grice e Minnomaco.”

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Minucio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eulogio ad Ottavio da Frontone -- Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Abstract: Grice: “At Oxford, you are introduced to philosophy via the classics – more specifically, you matriculate to the Faculty of Literae Humaniores – the only faculty to offer a course in philosophy --, organized since 1913 as the sub-faculty of philosophy. After Grief and Laughing for five terms, as Carroll has it, you get to know the Porch, and all the other philosophical sects. So Minucio does mean something to me. He was my gate to philosophy!” -- Filosofo italiano. He writes “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. La gente: Minucia  Marco Minucio Felice Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Marco M. Felice (in latino; Marcus M. Felix; Cirta, filosofo,  scrittore e avvocato romano. Non è noto con certezza quando visse. Il suo Octavius è simile all'Apologeticum di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, e la datazione della vita di Felice dipende dal rapporto tra la sua opera e quella dello scrittore africano morto nel 230. Nelle citazioni degli autori antichi (Seneca, VARRONE, CICERONE) è considerato più preciso di Tertulliano e questo concorderebbe col suo essere anteriore ad esso, come afferma anche Lattanzio;[1] Girolamo lo vuole, invece, posteriore a Tertulliano, sebbene si contraddica dicendolo posteriore a Tascio Cecilio Cipriano in una lettera e anteriore in un'opera Per quanto riguarda gli estremi della sua esistenza, Felice menziona Marco Cornelio Frontone; il trattato Quod idola dii non sint è basato sull'Octavius; dunque se quello è di Cipriano, M. Felice non fu attivo oltre il 260, altrimenti il termine ante quem è Lattanzio. Anche la zona d'origine di M. è sconosciuta. Lo si ritiene talvolta di origine africana, sia per la sua dipendenza da Tertulliano, sia per i riferimenti alla realtà africana: la prima ragione, però, non è indicativa, in quanto dovuta al fatto che all'epoca i principali autori di lingua latina erano africani, e dunque il loro era lo stile cui ispirarsi; la seconda, inoltre, potrebbe dipendere esclusivamente dal fatto che il personaggio pagano dell'Octavius, Cecilio Natale, era africano, come attestato da alcune iscrizioni. Cionondimeno, è significativo che entrambi i personaggi dell'Octavius abbiano nomi citati in iscrizioni africane, e che lo stesso valga per il nome M. Felice.Octavius L'Octavius è un dialogo che ha per protagonisti lo stesso scrittore, Cecilio e Ottavio e che si svolge sulla spiaggia di Ostia. L'opera si è conservata per errore dopo i sette libri dell'Adversus nationes di Arnobio come (liber) octavus. Mentre i tre passeggiano sul litorale, Cecilio, di origine pagana, compie un atto di omaggio nei confronti della statua di Serapide. Da ciò nasce una discussione in cui Cecilio attacca la religione cristiana ed esalta la funzione civile della religione tradizionale, mentre Ottavio, cristiano, attacca i culti idolatrici pagani ed esalta la tendenza dei cristiani alla carità e all'amore per il prossimo. Alla fine del dialogo Cecilio si dichiara vinto e si converte al Cristianesimo, mentre Minucio, che funge da arbitro, assegna ovviamente la vittoria ad Ottavio. Il Cristianesimo di M. è lo stesso dei ceti dirigenti, che non vogliono che il cambiamento di religione sia accompagnato da sommovimenti sociali e sono convinti che debbano, comunque, sopravvivere la finezza e l'equilibrio costruiti da secoli di civiltà greco-latina. Del resto, di questo ceto sono i personaggi dell'Octavius, tutti e tre avvocatiː il pagano, Cecilio Natale, era nativo di Cirta (dove l'omonimo registrato dalle iscrizioni aveva ricoperto cariche sacerdotali) e viveva a Roma, come Minucio, di cui seguiva l'attività forense; Ottavio, invece, è appena arrivato nella capitale all'epoca in cui è ambientata l'opera, e ha lasciato la propria famiglia nella provincia d'origine. Girolamo gli attribuisce una seconda opera, De fato, di cui però non vi sono tracce. Divinae Institutiones, De viris illustribus, Ottavio Ianuario a Saldae, CIL, e Cecilio a Cirta. A Tébessa e Cartagine. Bracci, Il linguaggio di M. Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria Vecchiotti, La filosofia politica di M. Felice. Un altro colpo di sonda nella storia del cristianesimo primitivo, Urbino, Università degli Studi, De viris illustribus L'Ottavio di Marco M. Felice in italiano: play. google. com/ books/ reader?id=xj GOJAAAAEAJ& pg=GBS.PA0 Paul Lejay, «Minucius Felix», in Catholic EncyclopediaBracci, Il linguaggio di Minucio Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria.it, M. Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Marco M. Felice, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Marco M. Felice, Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, Harper. Opere di Marco M. Felice, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Marco M. Felice Marco M. Felice (altra versione), su LibriVox. Marco M. Felice, Catholic Encyclopedia, Robert Appleton, Higgins, Felix, M., Encyclopedia of Philosophy. Opera Omnia dal Migne, Patrologia Latina, con indici analitici, su documenta catholica omnia. eu.. V D M Padri e dottori della Chiesa cattolica Portale Antica Roma Portale Biografie Portale Cristianesimo Portale Letteratura Categorie: Scrittori romaniAvvocati romaniScrittori Scrittori Romani Romani Nati a Cirta Apologeti Padri della Chiesa Scrittori africani di lingua latina Scrittori cristiani antichi [altre] M. – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. CONGRESSO DI SCIENZE STORICHE, Roma. Sezione Storia della Filosofìa Storia delle Religioni. L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO E L’OTTAVIO DI M. COMUNICAZIONE di RAMORINO ROMA LINCEI SALVIUCCI. Ancora non è stata risolta in modo definitivo la questione dei rapporti che intercedono tra il discorso di Tertulliano in difesa de’ Cristiani e il dialogo di M. Felice, dove alle accuse formolate in un discorso d' ispirazione pagana messo in bocca a Cecilio Natale, op- ponesi una eloquente difesa del Cristianesimo per bocca di Ottavio dal quale il dialogo prende nome. Ancora non sono state date sufficienti ragioni per stabilire se Tertulliano abbia avuto sott’ occhio M., o se invece questi abbia tratto da quello come da sua fonte, e quindi quale dei due abbia da considerarsi come cronologicamente anteriore. La questione ha un vero interesse per la storia del Cristianesimo in Occidente perchè trattasi delle prime scritture latine d' ispirazione cristiana, e dipende di qui il sapere chi primo abbia divulgato fra le genti di parlata latina le ragioni addotte dagli Apostoli del Cristianesimo, già da più decenni diffuse tra i Greci. Tale questione sorge dal fatto che tra le due opere corrono tali e tante analogie di pensiero e di frase, da dover senz’altro ritenere che l’un dei due abbia avuto sott’occhio l’altro. Si può ben congetturare anche, e s’ è in fatto congetturato, abbiano entrambi attinto a una fonte comune, che per noi sarebbe perduta. Primo propose quest’ ipotesi l’ Hartel, poi cercò sostenerla in apposita monografia il Wilhelm. Più tardi De Lagarde pensa a dirittura a un’apologià scritta da papa Vittore I da cui Tertulliano e M. avrebbero copiato a man salva; infine l’Agahd in una sua ricerca di cose Varroniane, voi. supp. dei Jahrbiicher di Fleckeisen, ammettendo anche egli un’apologià cristiana latina anteriore a Tertulliano e M., ne investigò le fonti in VARRONE e in qualche altro libro dell’età alessandrina. Ma noi vedremo che i riscontri verbali tra l’Apologetico e l’Ottavio sono tanti e tali da escludere l’ipotesi d'una terza fonte co- mune, se non forse per uno speciale punto di dottrina derivato dalla scuola di Euemero. Tra quelli che rinunziando all’ipotesi di una terza fonte comune, riducono la questione ai soli Tertulliano e M., gli uni credono anteriore M., gli altri Tertulliano, e le due schiere sono egual- mente notevoli per numero e autorità di aderenti. I fautori della prio- rità di M., come si fan forti di una espressione di Lattanzio, così vantano l’adesione di uomini quali Eber, Baehrens, Norden, ecc. Gli altri si rifanno dall’attestazione di Gerolamo, e hanno compagni uomini di incontestato valore come Schultze, Neumann, Harnack, nome che vai da solo per molti. Ultimamente si schierò da questa parte anche il francese Monceaux che con tanto studio e dottrina s’ è occupato della letteratura affricana. Non è qui il luogo di ripetere le ragioni addotte da tutti questi studiosi, nè di discuterle. Intendo qui di istituire un confronto, il più completo possibile, di luoghi Minuciani e Tertullianei, presentandoli in modo che ne riesca chiaro il contenuto e sia facile ai lettori di trarne le debite conclusioni. Prendo per base il discorso di Tertulliano, seguendone l’argomento come filo conduttore, e additando via via i luoghi paralleli di M. Nei primi tre capitoli del suo Apologetico, mira Tertulliano a far vedere, come fosse iniquo l’odio che si aveva contro i Cristiani. Vol- gendo nell’esordio la parola ai reggitori del Romano Impero, dice che, se non era loro lecito fare una pubblica inchiesta intorno alla causa dei Cristiani, se a questo solo fattispecie o temevano o arrossivano di volgere l’attenzione pubblicamente, e se le troppe condanne private avevano compromesso la difesa della setta cristiana, doveva pur essere lecito a lui cercar di giungere alle loro orecchie per la via letteraria; la verità cristiana ben sapere di essere peregrina sulla terra e di trovar facilmente nemici tra gli estranei, ma non voler essere condannata senza essere conosciuta. Condannarla inascoltata essere una iniquità, e far nascere il sospetto che i governanti non vogliano ascoltare ciò che non potrebbero più condannare conoscendolo. La scusa dell’ignoranza non essere che apparente, anzi aggravare il carico dell’iniquità; perchè qual più trista cosa che l’odiare quel che si ignora, anche se la cosa meriti effettivamente odio? Se poi si viene a sapere che la cosa non meritava odio, chi era solo colpevole d’ignoranza, cessata questa, cessa anche di odiare; come fanno appunto i convertiti al Cristianesimo, i quali cominciano a odiare quel che erano e a professare quel che prima odiavano. Invece, dice Tertulliano, gli avversari nostri segnalano bensì il fatto delle molte conversioni, ma, anziché arguire che ci sia sotto qualche gran bene, seguitano a ignorare e a odiare. Si dirà che le molte conversioni non vogliono dir nulla, perchè ci si volge anche al male. Ma il male, avvertasi, per natura o si teme o se ne ha vergogna; ed è perciò che i malvagi voglion rimanere nascosti; sorpresi trepidano, accusati negano, anche tormentati non sempre confessano, e condannati poi n’han dolore. I Cristiani non si vergognano, non si pentono; si gloriano d’ esser notati ; accusati non si difendono ; interrogati confessano ; anzi confessano spontaneamente, e condannati ringraziano. Non è dunque questo un male se non ha le circostanze connaturate al male, il timore, il rossore! il pentimento, il rimpianto. Anche la procedura che si segue con noi Cristiani, continua Tertulliano, è iniqua. Non ci si concede libertà di difesa, e si vuol da noi soltanto la con- fessione del nome, senza poi esaminare il crimine. E mentre per un omicida, per un incestuoso, per un nemico pubblico si indagano le cir- costanze dei fatti, il numero, il luogo, il tempo, i complici dei delitti, per noi non si procede così ; anzi un famoso editto di Traiano ha proi- bito che si inizino processi contro noi, mentre poi ha disposto che data una denunzia, ci si deva punire ; disposizione contradittoria ed ingiusta. Si viene così ad applicare per noi un’assurda procedura, quella di torturarci, non per farci confessare come gli altri, sì perchè neghiamo, mentre se si trattasse di male, noi staremmo sulla negativa, e la tor- tura ci si applicherebbe per farci confessare. È evidente che non un delitto è in causa nel caso nostro, ma solo il nome. Si arriva al punto di biasimare uno che si riconosce come un galantuomo, solo perchè è cristiano; si cacciano via dalle case, anche contro ogni interesse, le mogli pudiche e i buoni servi, solo perchè cristiani; è tutto in odio al nome. Ma che cos’ ha di male questo nome che significa « unti » o, se si piglia la forma « Crestiani » usata talvolta per errore, ha a connettersi con « buono » ? Odiasi forse ia setta per il nome del suo autore ? Ma anche le sette dei filosofi sono denominate dai loro autori, e niuno se n’offende. Prima di odiare il nome, conveniva indagare e riconoscere dalle qualità della setta l’autore o da quelle dell’autore la setta ; invece non si è fatto e non si fa nulla di questo, e si seguita a far ingiusta guerra al nome. Fin qui l’ introduzione dell’Apologetico Tertullianeo. Con le idee qui espresse si ha qualche riscontro nell’Ottavio, a metà circa del discorso in difesa della nuova dottrina. Accenna Ottavio all’opera dei cattivi spiriti che insinuano l’odio contro i Cristiani anche prima che siano conosciuti. Il capitolo seguente tocca la procedura usata coi Cristiani, e Ottavio ricorda che anche egli prima, credendo alle solite calunnie, usava le stesse arti diaboliche contro i Cristiani. I demonii appunto ispirano quelle dicerie sciocche le quali, se mai, hanno un fondo di verità per i pagani non per i Cristiani. La confu- tazione di tali calunnie si estende. Si chiude con l’ affermazione delle virtù cri- stiane, la pudicizia, la temperanza, la serietà. L’aumentare del nostro numero, dice, non è accusa di errore, ma testimonio di lode, e non è meraviglia se noi ci riconosciamo al segno dell’ innocenza e della modestia, e se ci amiamo a vicenda chiamandoci fratelli. Ecco alcuni riscontri verbali: Min.: nec in angulis garruli sumus si audire nos publice aut erubesciti s aut timetis » (intendi: non è vero che noi facciamo pettego- lezzi di nascosto, se invece siete voi che pubblicamente rifiutate di darci ascolto o perchè arrossite o perchè temete di farlo. : ic occupant animos (im- puri spiritus) ... ut ante nos incipiant homines odisse quam nosse, ne cognitos, aut imitari possint, aut damnare non possint. Anche noi, prima della conversione, credevamo alle calunniose voci sparse contro i Cristiani, e non ci accorgevamo che eran tutte dicerie sen- za fondamento ; « malum autem adeo non esse, ut Cliristianus reus nec eru- besceret nec timeret, et unum solum- modo quod non ante fuerit paeniteret. Tertull. Apolog. I princ.: .si ad hanc solam speciem auctoritas vestra de iustitiae diligentia in publico aut timet aut erubescit inquirere inauditam si damnent, praeter invidiam iniquitatis etiam suspicionem merebuntur alicuius conscientiae, noleutes audire quod auditum dan- nare non possint. Quod vere malum est, ne ipsi quidem quos rapit defendere prò bono audent. Omne malum aut timore aut pudore natura perfudit. Denique malefici gestiunt latere, devitant appa- rere, trepidant deprehensi, negant accu- sati, ne torti quidem facile aut semper continentur, certe damnati maerent. Dinumerant in semetipsos mentis malae impetus, vel fato vel astris imputant, nolunt enim suum esse quia malum agnoscunt. Christianus vero quid simile? Neminem pudet, neminem paenitet nisi piane retro non fuisse. Si denotata gloriata, si accusata non defendit, interrogatns vel ultro confi- tetur, damnatus gratias agit. Quid hoc mali est quod naturalia mali non habet, fimorem, pudorem, tergiversationem, paenitentiam, deplorationem? Quid? hoc malum est cuius reus gaudet? cuius .accusatio votum est et poena felicitas ? Qui si osservi come a un cenno fuggevole di Minucio rispetto al non essere un male il cristianesimo, corrisponde in Tertulliano tutta una spiegazione psicologica della natura del male e del contegno dei malvagi col quale si confronta quello dei Cristiani. Apolog. c. IL Si critica la procedura usata coi Cristiani. Tra l’altro, si dice. Ceteris negantibus tormenta udhibetis ad confitendum, solis Chri- stianis ad negandum. Quo perversine cum praesumatis de sceleribus no stris ex nominis confessione, cogitis tormentis de confessione decedere, ut negantes nomen pariter utique negemus et scelera... Sed, opinor non vultis noe perire, quos pessimos creditis. Si non ita agitis circa nos nocentes ergo nos innocentissimos iudicatis cum quasi innocentissimos non vultis in ea confessione perseverare, quam necessitate non iustitia damnandam sciatis. Vociferata homo: Christianus sum. Quod est dicit; tu vis audire quod non est. Veritatis extorquendae praesides de nobis solis mendacinm elaboratis audire. Oct.: Noi prima della conversione, mentre assumevamo la difesa di sacrilegi e incestuosi e anche di parricidi, hos i Cristiani nec audiendos in toto putabamus, nonnunquam etiam miserantes eorum crudelius saeviebamus, ut torqueremus confitentes ad negandum, videlicet ne perir ent, exercentes in his, perversam quaesti onem nòn quae verum erueret sed quae mendacium cogeret . Et si qui infìrmior malo pressus et victus Christianum se negasset, favebamus ei quasi, eierato nomine, iam omnia facta sua illa negatione pur- gata ». Dopo avere nell’Apologetico confutato il pregiudizio che il Cristianesimo non fosse permesso dalle leggi romane, facendo vedere come le leggi potessero essere benissimo pattate, e mu- tate furono tante volte attraverso ai secoli, Tertulliano passa a confutare le calunnie lanciate contro i Cristiani, d’ infanticidio e di cene incestuose. Queste cose si dicono sempre, ma nessuno mai si cura d’ indagare so sono vere. La verità è odiata, e ha nemici da tutte le parti. Chi ha mai visto a spargere sangue di bambini, e abbandonarsi, dopa il pranzo e dopo fatti spegnere i lumi da cani lenone s tenebrarum, a orgie incestuose? Se i nostri ritrovi son segreti, chi può rivelare quel che vi si fa? non gli iniziati che hanno interesse a non si tradire; non gli estranei, appunto perchè non penetrarono mai. È dunque tutto opera' della fama. E qui Tertulliano ha una bella pagina sulla natura della fama o si dice. È antico il motto : fama malum quo non aliud velocius ullum Virgilio. Perchè è un male la fama? perchè veloce? o non anzi perchè essa è per lo più menzognera? anche quando ha del vero, non è mai senza bugia, togliendo, aggiungendo, mutande dal vero. Ed è di tal natura che non persiste a essere se non in quanto mentisce, e vive solo fin quando non si arriva alla prova dei fatto vero. Quando si ha il fatto, cessa ogni « si dice », e rimane la notizia del fatto. La fama, nomen incerti > non ha più luogo dov’ è la certezza. Ora alla fama uom savio non deve credere. Si sa come na- scono le dicerie. Hanno principio da qualcuno che è mosso o da ge- losia o da dispetto o da mania di dir bugie; e poi passate di bocca in orecchio, e via ripetute, nascondono sempre più la verità. Meno male, che il tempo poi rivela ogni cosa, per felice disposizione della natura- per cui il vero si fa strada. Le accuse sono nient’ altro che dicerie, ma non hanno fondamento di verità. Si soggiunge che noi promettiamo la vita eterna a chi uccide bambini e commette incesti. Ma anche se tu credi a questo, dice Tertulliano, io chiedo se tu stimeresti tanto questa eternità da arrivarci con simili infamie. Tu nè vorresti farle queste cose, nè potresti ; dunque perchè crederai che vogliano e possano farle i Cristiani, che sono uomini come te ? Si dirà che sono iniziati a tali cerimonie quando non ne sanno ancor nulla; ma in tal caso, una volta conosciute tali infamie, non continuerebbero a parteciparvi, per la stessa avversione che avrebbe impedito loro d’ iniziarsi nel caso che ne fossero informati. Tale il contenuto dell’Apologetico. Vi corrispondono il M., ove con le accuse d’ infanticidio e di cene incestuose si confutano anche quelle di adorazione d’una testa d’asino, o dei genitali di sacerdoti, o di un uomo crocifisso, o della croce stessa. E siccome di queste accuse si parla anche dove Cecilio Natale le espone facendo eco alla voce comune, così è da tener conto anche di questo capo per taluni riscontri verbali: Apolog.: quod eversofes luminum canes, lenones scilicet tenebrarum, libidinum impiarum inverecundiam procurent candelabra et lucernae et canes aliqui et offulae quae illos ad eversionem luminum extendant. Veni, demerge ferruin in infantem, nullius inimicum, nullius reum, omnium filium, vel tu modo adsiste morienti komini antequam vixit... excipe rudem sanguinem, eo panerai tnum satia, vescere libenter Nego te velie ; etiamsi volueris, nego te posse. Cur ergo alii possint si vos non potestis?... qui ista credis de homine potes et tacere. Quis talia facinora cum invenisset celavit?... Si semper latemus quando proditum est quod admittimus? immo a quibus prodi potuit? Natura famae omnibus nota est (v. il riassunto precedente)... quae ne tunc quidem cum aliquid veri offerti sine mendacii vitio est Tam- diu vivit quam diu non probat, siquidem ubi probavit cessat esse et quasi officio nunciandi functa rem tradit et exinde res tenetur, res nominatur. Nec quisquam dicit verbi gratia: 'hoc Romae aiunt factum 1 aut : ‘ fama est illuni provinciam sortitum sed: sortitus est ille provinciam ’, et : hoc fa- ctum est Romae \ Fama, nomen incerti, locum non habet ubi certum est. Min. Oct.: canis qui cande- labro nexus est, iactu offulae ultra spatium lineae qua vinctus est, ad impetum et saltum provocatur. Sic everso et exstincto conscio lumine impuden- tibus tenebris etc. Illuni velim convenire, qui initiari nos dicit aut credit de caede infantis et sanguine. Putas posse fieri, ut tam molle corpus, tam parvulum corpus fata vulnerum capiat? ut quis- quam illum rudem sanguinem novelli et vixdum hominis caedat f fundat, exhauriat? nemo hoc potest credere nisi qui possit audere nec tanto tempore aliquem existere qui proderet nec tamen mirum, cum omnium (quoniam, Vahlen) fama quae semper insparsis mendaciis alitur, ostensa ventate consumitur. Anche qui si noti che il modo di esprimersi di Minucio intorno alla fama non solo è conciso, ma chi legge quell’ostessa ventate consu- mitur non lo intende se non quando lo confronta con la pagina di Ter- tulliano, la quale può servire assai bene di commento. I Cristiani non si contentavano di scagionarsi dalle accuse calun- niose mosse loro, ma le ritorcevano contro gli avversari, facendo ve- dere come essi, all’ombra della religione, molti infanticidi e incesti davvero commettevano. Di ciò tratta l’Apologetico, da confrontarsi con alcuni passi dell’Ottavio. Ricordano entrambi i sacrifizi di bambini fatti in Africa in onor di Saturno, divoratore dei propri figli: Apolog.: cum propriis filiis Saturnus non pepercit, extran eis utique non parcendo perseverabat, quos quidem ipsi parentes sui offerebant et libenter respondebant, et infantibus blan - diebantur, ne lacrimante s immolarenturi. Oct.: Saturnus fìlios suos non exposuit sed voravit ; merito ei in nonnullis Africae partibus a parentibus infantes immolabantur y blanditile et osculo comprimente vagitum, ne flebilis hostia immolar etur. Ma Tertulliano ha maggiori informazioni su questi sacrifizi d’infanti in Affrica, durati ufficialmente fino al proconsolato di TIBERIO, poi vietati ma seguitati a praticare occultamente: et nunc in occulto per - severotur hoc sacrum facinuSj perchè nessuna costumanza delittuosa si può sradicare per sempre, nè gli Dei mutano costume. Oltre questo poi altri sacrifizi umani vanno imputati alla religione antica. Entrambi i nostri scrittori ricordano i sacrifizi umani fatti in Gallia in onor di Mercurio, e nella Taurica (M. aggiunge anche, da CICERONE. Rep., e da LIVIO (si veda), il ricordo di Busiride Egi- ziano e di antichi riti romani), e l’uso ancor vigente di sacrificare con- dannati a morte nelle feste di Giove Laziale. E all* infuori della religione, rinfacciano entrambi agli avversari l’abitudine di esporre i bambini ap- pena nati o ucciderli, o quello più tristo di spegnere la vita appena iniziata nell’utero materno. b) Apolog . IX: « conceptum utero dum adhuc s angui s in hominem deli- batur, dissolvere non licet. Homicidii festinatio est prohibere nasci ; nec refert ratam quis erìpiat animam an nascentem disturbet. Quanto poi al bevere uman sangue, Tertulliano ricorda da Erodoto (est apud Herodotum, opinor) alleanze strettesi fra alcuni popoli col ferirsi a sangue le braccia e bevere gli uni il sangue degli altri; (ISO) Oct.: u snnt quae in ipsis vi- sceribus medicaminibus epotis originem futuri hominis extinguant et parricidium faciant antequam pariant ricorda poi Catilina, e alcune genti Scitiche divoratrici dei proprii morti, e il rito dei sacerdoti di Bellona consistente nel ferirsi la coscia, rac- cogliere il sangue nel cavo della mano e darlo a bere. M., più conciso, non menziona che la congiura di CATILINA e Bellona con brevi cenni. L’uno e V altro poi fanno menzione dell’uso di dare a bere sangue umano agli epilettici, ma Tertulliano solo adduce il particolare, che ai raccoglieva a tal fine il sangue scorrente dalle ferite dei delinquenti .sgozzati nell’arena. In tutto ciò è strano il modo come Minucio mette questi ricordi in relazione con la menzione fatta avanti delle cerimonie in onor di Giove Laziale: ipsum credo docuisse san - guinis foedere coniurare Catilinam et Bellonam sacrum suum J ecc.; quasi che proprio Giove Laziale abbia insegnato a Catilina e ai Bellonari i lor sanguinosi usi ; il che è del tutto fuor di proposito. Infine, sempre intorno alle bibite di sangue, entrambi gli apologeti ricordano l’avidità con che solevano alcuni acquistare, per cibarsene, la carne delle bestie uccise nell’arena, dopo che quéste s’ erano empite le viscere di membra umane. Ma Tertulliano è più ricco di particolari, come è più immaginoso ed energico nell’espressione. Confrontisi: Tertull.: Item illi qui de harena Min. : non dissimiles ei qui de haferinis obsoniis cenant, qui de apro qui rena feras devorant inlitas et infectas se est quandoque memoriara dissipari, et simili error impegerit, exinde iam tradux proficiet incesti serpente genere cum scelere. Tunc deinde quocumque in loco, domi, peregre, trans freta Comes et libido, cuius ubique sal- tus facile possunt alicubi ignaris filios pangere vel ex aliqua seminis portione, ut ita sparsum genus per commercia humana concurrat in memorias suas, neque eas caecus incesti sauguinis agnoscat. Min.: etiam nescientes, miseri, potestis in inlicita proruere, dum Venerem promisce spargitis, dum passim liber os seritis, dum etiam dorai natos alienae misericordiae frequenter exponitis, necesse est in vestros recurrere t in filios inerrare. Nella diversa disposizione dei pensieri, pur si riconosce l’affinità dei due scrittori, dei quali Tertulliano è più ricco e compiuto, aggiun- gendo qui tra le ragioni di figliuoli dispersi anche l’adozione. Alla corruttela pagana poi opponesi la continenza cristiana la quale o si contenta di legittimo matrimonio, o aspira anche alla verginità. Tertull.: quidam multo secu- Min : plerique inviolati corporia riores totam vim huius erroris virgine virginitate perpetua fruuntur potiua continentia depellunt, senes pueri. quam gloriantur. Dove non isfugga l’esagerazione del plerique minuciano di fronte all’espressione tertullianea più conforme al vero. Gli Dei pagani erano in origine uomini. Nell’ Apologetico, passa Tertulliano a ragionare di un’altra recriminazione fatta ai Cristiani, quella che non venerassero gli Dei e non sacrificassero per gli imperatori ; onde erano fatti rei di sacrilegio e di lesa maestà. Ora egli dice che i Cristiani cessarono dal prestar culto agli Dei pagani dacché conobbero che tali Dei non esistevano; e non esser giusto il punirli se non quando tale esistenza fosse dimostrata. E questa convinzione soggiunge che i Cristiani ricavavano dalle stesse testimonianze pagane, concordi nel lasciar chiaramente vedere che i pretesi Dei non erano altro che uomini di- vinizzati. Infatti se ne adducevano i luoghi di nascita, le regioni ove avevano vissuto e lasciato tracce dell’opera loro, e si mostravano anche i loro sepolcri. Serva d’esempio per tutti Saturno, cui gli scrittori come Diodoro e Tallo fra i Greci, Cassio e Nepote fra i Latini attestarono essere stato uomo. La qual cosa è comprovata anche da prove di fatto, verificatesi sopratutto in Italia, ove egli fu accolto da Giano, ove il monte che abitò fu chiamato Saturnio, la città che fondò ebbe pari- mente nome Saturnia, e anzi tutta l’Italia dopo il nome di Enotria ricevette quello di Saturnia. Da lui l’origine delle legali scritture e del conio monetario, onde la sua presidenza dell’erario. Dunque era uomo, è nato da uomini, non dal cielo e dalla terra. Ignorandosene la pa- rentela, fu detto esser figlio di quelli onde tutti possiamo esser figli, chiamandosi per venerazione il Cielo e la Terra padre e madre, e figli della terrà denominando il volgo quelli la cui parentela è incerta. Sa- turno dunque era uomo; e lo stesso si può dir di Giove e di tutto l’altro sciame di divinità pagane. Si dice che furono tutti divinizzati dopo morte. Da chi? Bisogna vi fosse un altro Dio più sublime, ca- pace di regalare la divinità, giacché da sé questi uomini non si po- tevan certo crear Dei. Ma perchè il Dio Magno avrebbe donato la divinità ad altri esseri? Forse per esserne aiutato nel grande còmpito di dirigere l’universo? Ma che bisogno vi poteva essere di ciò, se il mondo o era ab aeterno, come volle Pitagora, o venne fatto da un essere ragionevole, come disse Platone? Del resto questi uomini si lo- dano per aver trovato le cose utili alla vita, ma non le hanno create, perchè già c’erano. Si dirà egli che la divinizzazione fu un premio alle loro virtù? Ma, a dir vero, anziché virtuosi, erano costoro pieni di vizi e piuttosto da cacciar giù nel Tartaro che accogliere nel Cielo. Ma mettiamo anche fossero buoni, o perchè allora non s’ è dato lo stesso premio a uomini lodatissimi come Socrate, Aristide, Temistocle, ecc.P Di tutta questa dimostrazione ragionata a fil di logica, Minucio non ha nell’Ottavio che un punto solo, l’affermazione che i pretesi Dei erano uomini. E questa si contiene nel cap. 21 del dialogo, il quale fa seguito alla parte fisolofica del discorso di Ottavio e alla sentenza che le favole mitologiche erano tutte finzioni poetiche, da spiegarsi seconde la teoria di Evemero, della quale cita altri rappresentanti antichi come Prodico, Perseo, lo stesso Alessandro il Macedone. Connettesi con tale ordine di idee il ricordo di Saturno già uomo. E qui diversi riscontri: Tertull. Apol.: Saturnum ita- que, si quantum litterae docent, neque Diodorus Graecus aut Thallus neque Cassius Severus aut Comelius Nepos neque ullus commentator eiusmodi anti - quitatem aliud quam hominem promul- gaverunt. Min. Oct.: Saturnum enim omnes scriptores vetustatis Graeci Ro- manique hominem prodiderunt. Scit hoc Nepos et Cassius in historia ; et Thallus et Diodorus hoc loquuntur. È questo il passo che all’Ebert e a’ suoi seguaci parve e pare dimostrativo della priorità di Minucio, per la ragione che il Cassius Severus di Tertulliano in luogo del semplice Cassius (ossia Hemina) è un errore, e per la presunzione che chi sbaglia copii. Se tale indu- zione sia giusta, vedremo in seguito. Per ora notiamo solo che Ter- tulliano aveva fatto lo stesso sbaglio in Ad Nationes: Legimus apud Cassium Severum, apud Cornelios Nepolem et Ta- citurna ecc. Tertull. ibid.: in qua Italia Saturnus post multas expeditiones postque Attica hospitia consedit, exceptus a Iano vel lane ut Salii volunt. Mons quem incoluerat Saturnius dictus, civitas quam depalaverat Saturnia usque nunc est, tota denique Italia post Oe- notriam Saturnia cognominabatur. Ab ipso primum tabulae et imagine signa- tus nummus et inde aerarlo praesidet. Si homo Saturnus utique ex homine, et quia ab homine, non utique de caelo et terra. Sed cuius parentes ignoti erant facile erat eorum fìlium dici quorum et omnes possumus videri. Quis enim non caelum ac terrai matrem ac Min.: Saturnus Creta profugus Italiana metu filii saevientis accesserat et Iani susceptus hospitio rudes illos homines et agrestes multa docuit ut Graeculus et politus, litteras imprimere, nummos signare, instrumenta conficere. Itaque latebram suam, quod tuto latuisset, vocari maluit Latium, et ur.bem Saturniam idem de suo nomine ut laniculum Ianus ad memoriam uterque posteritatis reliquerunt. Homo igitur utique qui fugit, homo utique qui latuit, et pater ho- minis et natus ex homine. Terrae enim vel caeli filius (se. est dictus) quod apud Italos esset ignotis parentibus proditus, ut in hodiernum inopinato visos patrem venerationis et honoris grati a appellet? vel ex consuetudine humana, qua ignoti vel ex inopinato adparentes de caelo supervenisse dicuntur. Proinde Saturno repentino utique caelitem contigit dici; nam et terrae filios vulgus vocat quorum genus incertum est. Etiam Iovera ostendemus tam hominem quam ex homine, et deinceps totum generis examen tam mortale quam seminis sui par. Nunc ego per singulosdecurram? Otiosum est etiam titulos persequi totum generis examen caelo missos, ignobiles et ignotos terrae filios nominamus. Eius fìlius Iuppiter Cretae excluso parente regnavit, illic obiit, illic filios habuit; adhuc antrum Iovis visitur et sepulcrum eius ostenditur et ipsis sa- cris suis humanitatis arguitur. Otiosum est ire per singulos. Saturnum principem huius generis et examinis. Per la divinizzazione dopo morte, M. ha considerazioni diverse dai ragionamenti di Tertulliano. Ricorda Romolo fatto Dio per lo spergiuro di Procolo, e il re Giuba per il consenso dei Mauri ; furono consacrati Dei come si consacrano gli altri re, non per attestare la divinità loro, ma per onorare la potestà che hanno esercitato in terra. Queste stesse persone che si divinizzano, dice, non ne vorrebbero sapere, e sebbene già vecchi declinano quell’onore. Rileva poi l’assurdo di far Dei esseri già morti o nati destinati a morire. E perchè non nascono ora più Dei? Porse s’ è fatto vecchio Giove o s’ è esaurita Giunone? 0 non è da dire anzi che è cessata questa generazione perchè nessuno ci crede più ? E del resto se si creassero nuovi Dei, i quali di poi non potreb- bero morire, s’avrebbero più Dei che uomini, da non poter essere più contenuti nè in cielo, nè nell’aria, nè sulla terra. Tutte queste riflessioni di Minucio sono differenti da quelle che fa Tertulliano ; sicché in questo punto non vi possono essere riscontri. Però confronta: Ad Nationes: qui deum Caesarem dicitis et deridetis dicendo quod non est, et maledicitis quia non vult esse quod dicitis. Mavult enim vivere quam deus fieri. Min.: Invitis his hoc nom.en adscribitur: optant in homine perseverare, fieri se deos metuunt, etsi iam senes nolunt. Tertulliano passa a considerare che cosa sieno effettivamente i supposti Dei pagani. E prima parla dei loro simulacri, i quali son fatti di materia identica a quella dei vasi e strumenti comuni, o forse dai vasi medesimi artisticamente elaborati. Son dunque Dei foggiati per mezzo di battiture, di raschiature, di arroventature; proprio il trattamento che si fa ai Cristiani, di che questi possono avere qualche conforto. Se non che questi Dei non sentono i maltrat- tamenti della loro fabbricazione, come non sentono gli ossequi dei loro fedeli. Tali statue di morti, cui intendono solo gli uccelli e i topi e i ragni, non è egli giusto non adorare? Come sembrerà che offendiamo tali esseri, mentre siam certi che non esistono affatto? Riflessioni analoghe fa M.. Detto delle favole mitologiche irriverenti e corrompitrici, nota che le immagini di tali Dei adora il volgo, più abbagliato dal fulgore dell’oro e dell’argento che ispirato da fede vera; e richiama l’attenzione sul fatto che tali simulacri sono formati dalla mano d’un artista, e se di legno, forse reliquia di un rogo o di una forca; sono sospesi e lavo- rati con l’accetta e la pialla, se d’oro o d’argento, magari tolto da vaso immondo, sono pesti, liquefatti, contusi tra il martello e l’ incudine, ecc. Ecco riscontri: Tertull. Apoi.: reprehendo... materias sorores esse vasculorum instrumentorumque communium vel ex isdem vasculis et instrumentis quasi fatum consecratione mutantes. Min.: deus aereus vel argenteus de immundo vasculo, ut accicipimus factum Aegyptio regi (Amasi, Erodoto) conflatur, tunditur malleis et incudibus figuratur nisi forte nondum deus saxum est vel lignum vel argentum. Quando igitur hic nascitur? ecce funditur, fa- bricatur, sculpitur, nondum deus est; ecce plumbatur construitur, erigitur, nec adhuc deus est; ecce ornatur consecratur oratur, tunc postremo deus est, cum homo illum voluit et dedicavit. Piane non sentiunt has iniurias nec sentit lapideus deus suae et contumelias fabricationis suae dei nativitatis iniuriam ita ut nec postea, vestri sicut nec obsequia ». de vestra veneratione culturam. Statuas milvi et mures et Quam acute de diis vestris attinane ae intellegunt. malia muta naturali ter iudicant ! mures, hirurrdines, milvi non sentire eos sci uni; rodunt inculcant insident, ae, nisi abigatis, in ipso dei vestii ore nidificant; araneae vero faciem eius intexunt et de ipso capite sua fila suspendunt. Vos tergetis mundatis eraditis et illos qoos facitis, protegitis et timetis. Si noti qui la maggior quantità di particolari in M., il che come deva spiegarsi diremo in seguito. Tertulliano invece è poi solo nel notare che i pagani stessi prendono a gioco illudunt e offendono le loro divività, non riconoscendo tutti le stesse, e trat- tando alcuni Dei come i Lari domestici con compre- vendite, pignora- menti, incanti, tal quale s’usa per le case cui sono annessi, altre volte tsasformando, poniamo, un Saturno in una pentola e una Minerva in un mestolo. Di nuovo entrambi ricordano, di passata, le strane cerimonie del culto pagano (Tertull. in., Min. e rilevano le invereconde leggende dai poeti ripetute intorno agli Dei, auspice Omero, e l’aver gli Dei combattuto o pei Greci o pei Troiani, e Venere ferita, e Marte incarcerato, e Giove liberato per opera di Briareo, ecc., ecc. Tertull.: Quanta inverno ludi- Min.: hic enim Homerus bria! deos inter se propter Troianos et praécipuus bello Troico deos vestros, Achivos ut gladiatorum paria congres - etsi ludos facit, tamen in hominum resos depugnasse, Venererà humana sa- bus et actibus miscuit, hic eorum pagitta sauciatam, quod filium suum Ae- ria composuit, sauciavit Venererà, Mar - nean paene interfectum ab eodem Dio- . tem vinooit vulneravit fugavit. Iovem mede rapere vellet, Martem tredecim narrat Briareo liberatum, ne a diis cemensiìms in vinculis paene consumptum, teris ligaretur, et Sarpedonem filium, Iovem ne eandem vim a ceteris caeli- quoniam morti non poterat eripere, tibus experiretur, opera cuiusdam moncruentis imbribus flevisse, et loro Ver stri liberatum, et nunc flentem Sarpe - neris inlectum flagrantius quam in aduldonis casum, nunc foede subantem in teras soleat cum Iunone uxore consororem sub commemoratione non ita cumbere. dilectarum iampridem amicarum. L’esempio d’Omero indusse altri poeti a irriverenti invenzioni: Quis non poeta ex auctoritate Alibi Hercules stercora egerit, principis sui dedecorator invenitur Dee- et Apollo Admeto pecus pascit. Laorum ? Hic Apollinem Admeto regi pa- medonti vero muros Neptunus instituit scendis pecoribus addicit, ille Neptuni (forse: construit) nec mercedem operis structorias operas Laomedonti locat. Est infelix structor accipit. Illic (Vulcanus, et ille de lyricis (Pindarum dico) qui aggiunge TUrsinus) Iovis fulmen cum Aesculapium canit avaritiae merito, quia Aeneae armis in ineude fabricatur, cum avaritiam nocenter exercebat, fulmine caelum et fulmina et fulgura longe ante iudicatum. Malus Iuppiter si fulmen il- fuerint quam Iuppiter in Creta nasce- lius est, impius in nepotem, invidus in retur artifìcem. Dal contesto di Tertulliano apparirebbe ch’egli attribuisse le leggende di Apollo pastore presso Admeto e di Posidone operaio al soldo di Laomedonte ad altri poeti che ad Omero, mentre è noto che già in Omero vi è un cenno di queste leggende. Ma forse Tertulliano aveva in mente ulteriori elaborazioni di dette leggende forse in drammi (ad es., per Apollo pastore, l’Alcestide d’ Euripide), come dopo fa espressa menzione di Pindaro. In Minucio invece tutte le ri- cordate leggende par si attribuiscano ancora ad Omero, il che viene a essere inesatto per il racconto di Ercole che scopa le stalle d’Augia, in Omero non menzionato, e per il ricordo delle armi di ENEA opera di Vulcano, tolto da VIRGILIO (si veda) non da Omero. In connessione col precedente argomento, Tertulliano ricorda an- cora le irriverenze contro gli Dei scritte dai filosofi, specie dai cinici (tra cui pone Varrone, che chiama il Cinico Romano e a cui rimprovera l’aver introdotto ter centos foves sive Jupitros sine capitibus), e quelle peggiori contenute nei mimi e nella letteratura istrionica, aggravati dalla circostanza che gli istrioni spesso rappresentano essi stessi la divinità, e, dice: vidimus aliquando castratura Attin, Mura Deum ex Pessinunte, et qui vivus ardebat Eerculem in - dueraL Di tutto ciò nulla in M.. Invece di nuovo vanno di con- serva nel rinfacciare al paganesimo i sacerdoti corrotti e corruttori. Apoi.: in templis adul - Oct.: dopo ricordati i molti teria componi, inter aras lenocinia incesti delle Vestali, continua: «ubi tractari, in ipsis plerumque aedituo- autem magis a sacerdotibus quam inter rum et sacerdotum tabernaculis sub aras et delubra condicuntur stupra, isdem vittis et apicibus et purpuris tractantur lenocinia, adulterio medithure flagrante libidinem expungi. tantur? frequentius denique in aedituorum cellulis quam in ipsis lupana- ribus flagrans libido defungitur. Si avverta nel latino di Minucio il meditantur usato passivamente con una ripetizione inutile di concetto dopo il condicuntur stupra ; si noti [Salvo se V alibi di M. voglia interpretarsi: «presso altri autori. Ma tale interpretazione ripugna al contesto, perchè poco di poi, ricordato ancora Tadulterio di Marte e Venere, e i rapporti di Giove e Ganimede, soggiunge : quae omnia in hoc (scil. Homero) prodita ut vitiis hominum quaedam auctoritas pararetur. pure l’esagerazione del frequentius quam inipsìs lupanaribus che guasta il concetto espresso dal plerumque di Tertulliano ; in terzo luogo si avverta l’epiteto flagrans attribuito alla libido, in luogo del thure fla- grante così significativo di Tertulliano. Infine quel defmgitur, usato assolutamente, e con soggetto di cosa in senso di « si sfoga » o in quello passivo di viene saziata è tanto poco giustificato da altri esempi di scrittori latini (*), che fa pensare a un errore del testo. Forse in luogo di defmgitur, va letto: expungitur . Tertulliano dopo le cose dette, si dispone a venire alla parte po- sitiva della sua Apologia, ma prima confuta ancora le dicerie sparse sul conto de’ Cristiani, che essi adorassero una testa d’asino e avessero in venerazione la Croce. Quanto alla prima, ne attribuisce l’origine a Tacito, che avendo narrato nel quinto delle Storie l’esodo degli Ebrei dall’Egitto, e la sete patita nel deserto, e il fatto che una fontana era stata indicata da alcuni asini selvatici, aveva soggiunto che gli Ebrei grati a queste bestie del beneficio ricevuto avevano preso a venerarle. Di poi la stessa cosa sarebbe stata attribuita ai Cristiani come setta affine ai Giudei. Eppure, dice Tertulliano, lo stesso Tacito narra bene che quando Pompeo presa Gerusalemme entrò nel tempio, non vi trovò alcun simulacro. Piuttosto ai pagani possono i Cristiani rinfacciare che i giumenti e gli asini intieri venerano insieme colla dea Epona. Quest’ultimo punto, e solo questo, trovasi anche in Minucio onde può riscontrarsi: Tertull. Apoi.:Tostameli Min.: vos et totos asinos non negabitis et iumenta omnia et totos in stabulis curri vestra \jveT} Epona concantherios curri sua Epona coli a vobis secratis, et eosdem asinos cum Iside (cfr. ad Nationes: sane vos totos religiose decoratis. asinos colitis et cum sua Epona et omnia iumenta et pecora et bestias quae perinde cum suis praesepibus consecratis. Impersonalmente trovasi usato defungor in Tee. Adelph.: utinam hic sit modo defunctum, purché la finisca qui » ; e con soggetto di cosa pub ricordarsi il barbiton defunctum bello di Orazio, la lira ha finito le sue battaglie d’amore ». Abbastanza frequente è il defungor usato assolutamente ma con soggetto personale come in Ter. Phorm.: cupio misera in hac re iam de- funger e in Ovid. Am.: me quoque qui toties merui sub amore puellae, defunctum placide vivere tempus erat . Sempre defungi ha senso di « finire la parte sua, esaurire il proprio mandato. Il ricordo degli asini nel culto d’ Iside è solo minuciano, e si aggiuuge ancora menzione di altri culti strani, come quello del bue Api e di altre bestie venerate dagli Egiziani (forse dal De Nat. Deor. di CICERONE. Quanto al culto della Croce, osserva Tertulliano che anche i pa- gani adorano i loro idoli di legno ; sarà dunque question di linee, ma la materia è la stessa, sarà question di forma, ma è sempre il corpo del creduto Dio. Del resto, dice, le immagini in forma di semplice palo della Pallade Attica e della Cerere Paria, che gran differenza hanno dal legno della croce? poiché ogni palo piantato verticalmente è una parte della croce. Poi gli statuari, quando fabbricano un Dio, si ser- vono d’uno scheletro ligneo a croce, tale in fondo essendo la figura del corpo umano ; e un sopporto di legno della stessa foggia usasi pure nei trofei e nelle insegne militari. M. parla di ciò. Ecco alcuni riscontri: Tertull.: Qui crucis nos reli- giosos putat, consecraneus (correligionario) erit noster. Cum lignum aliquod propitiatur, viderit habitus dura materiae qualitas cadera sit, viderit for- ma dum id ipsum Dei corpus sit. Diximus originem deorum vestrorum a plastis de cruce induci » (allusione a Ad Nationes dove la fabbricazione degli idoli con uno scheletro ligneo a forma di croce è ampiamente descritta. Sed et Victorias adoratis cum in tropaeis cruces intestina sint tropaeorum. Religio Romanorum tota castrensis signa veneratur... Omnes illi imaginum suggestus in signis monilia crucum sunt; sipbara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt. Laudo dili- gentiam. Noluistis incultas et nudas cruces consecrare. Ad Nationes: Si statueris hominem manibus expansis, imaginem crucis feceris. Tertulliano poi parla ancora della venerazione del Sole attribuita da alcuni ai Cristiani per l’uso loro di pregare rivolti ad Oriente Ma anche questo, dice, non è rimprovero che si possa fare ai Cristiani, Min.: Cruces... nec colimus nec optamus. Yos sane qui ligneos deos consecratis cruces ligneas ut deorum vestrorum partes forsitan adorates. Nani et signa et cantabra et ve - xilla castrorum quid aliunt quam inauratae cruces sunt et ornatae? tropaea vestra victricia non tantum simplicis crucis faciem verum et adfixi hominis imitantur. Signum sane crucis naturaliter visimus in navi cum velis tumentibus vehitur, cum expansis palmulis labitur; et, cum erigitur iugum, crucis signum est,* et cum homo porrectis manibus deum pura mente veneratur. praticando anche i pagani la preghiera al levar del sole. E se i Cri- stiani fanno festa il giorno del sole (la domenica), fanno ciò per ben altra causa che la religione del sole : pure i pagani nel dì di Saturno (il sabato) si davano all’ozio e al mangiare, scimiottando, a sproposito, i Giudei. Di ciò nulla in M.. Infine nell’Apologetico ricordasi la pittura da un miserabile mu- lattiere messa in pubblico, a Roma, rappresentante una figura umana con orecchie d’asino, e l’un dei due piedi ungulato, vestito di toga e con un libro in mano, appostavi la iscrizione: Deus Christianorum òvoxoirjtrjQ. Era un Giudeo l’autore di questo indecente scherzo (ad Nat.); e la gente ci credette e per tutta la città scorreva sulle bocche quell’ Onocoetes. Ma di tali mostri, soggiunge, veneransi più fra i pagani che tra cristiani; chè essi hanno accolto tra i loro Dei esseri con testa di cane e di leone, e corna di capri e d’ariete, e coda di serpenti, alati le spalle o i piedi. Un fuggevole ricordo di tali mostri è anche in M., che del resto si tace: d) Tertull. : « Illi debebant adorare statim biforme numen, quia et canino et leonino capite commixtos, et de ca- pro et de ariete cornutos, et a lumbis hircos et a cruribus serpentes et pianta vel tergo alites deos receperunt. Solo è invece M. a scagionare i Cristiani dell’accusa di adorare sacerdoti virilia; alla quale occasione ritorce contro gli avversari la taccia di impudicizia, ricordando le licenze sessuali onde quei cinedi si disonoravano. Min.: item bonra capita et capita vervecum et immolatis et colitis, de capro etiam et de homine mixtos Deos et leonum et canum vultn deos dedicatis. Ma venendo ornai alla parte positiva della dottrina, Tertulliano celebra il Dio unico, creatore del cosmo, invisibile sebben si veda, incomprensibile sebbene in via di grazia divenga presente, inestimabile sebbene coll’umano sentimento si stimi. E in quanto si vede, si comprende, si stima, Egli è minore dei nostri occhi, delle nostre mani, dei nostri sensi; ma in quanto immenso, a sè solo è noto. Così la sua stessa grandezza lo rende noto e ignoto insieme a noi. Ecco appunto il gran delitto, consistente nel non voler riconoscere Dio, mentre non si può ignorare. Non lo attestano le sue opere? non lo attesta la stessa anima? la quale sebbene incarcerata nel corpo, svigorita dalla concupiscenza, fatta ancella di falsi Dei, pure quando rientra in sè e sente la sua sanità naturale, esce fuori in esclamazioni, quali: Dio buono e grande!, e: ci sia propizio Iddio!, e : Dio vede, e : a Dio ti raccomando e simili; e queste cose, esclama, non rivolta al Campidoglio, ma al Cielo, sede naturale del Dio vivo. In Minucio la parte positiva del discorso, per quel che riguarda la filosofia o teologia razionale, precede la parte polemica o negativa. Del Dio unico parla Ottavio in principio del suo discorso, e trovansi diversi luoghi paralleli a passi di Tertulliano. Eccoli: Tertull.: deus ... totam molem istam verbo quo iussit, ratione qua disposuit, virtute qua potuit de nihilo expressit. Per il dispensare in confronto col disponere, vedi CICERONE. Orai.: inventa non solum ordine sed edam momento quodam atque iudicio dispensare atque disponere . Invisibilis est incomprehensibilis... inaestimabilis. quod immensum est, soli sibi notus est. Anima cum sanitatem suam patitur, deum nominat. Deus bonus et magnus et quod Deus dederit 1 omnium vox est. Iudicem quoque contestato illum ‘ Deus videt ’ et Deo commendo, et Deus mihi reddet \ 0 testimonium animae naturaliter Christianae! Denique pronuntians haec non ad Capitolium sed ad caelum respicit». Su questo tema dell’anima naturalmente cristiana è noto che Tertulliano scrisse più tardi un opuscoletto a parte intitolato appunto De testimonio animae, dove le stesse idee sono esposte con maggiore ampiezza ed efficacia. Min.: Qui Deus universa quaecumque sunt verbo iubet, ratione dispensai, virtute consummat hic non videri potest... nec comprendi potest nec aestimari. Immensus et soli sibi tantus quan- tus est notus ». « Audio vulgus; cum ad caelum ma* nus tendunt, nihil aliud quam * o Deus ’ dicunt et ‘Deus magnus est’ et * Deus verus est’ et ‘ si Deus dederit’. Yulgi iste natoalis sermo est an Christiani confidente oratio ? L’Apologetico e importante per le indicazioni delle fonti letterarie della dottrina cristiana. Ricordati i primi storici ispirati dall’Ebraismo e i profeti e i libri ebraici tradotti in greco dai Settandue per suggerimento di Demetrio Falereo al tempo <ìi Tolomeo Filadelfo, ricordata l’antichità dei primi scrittori ebraici molto maggiore di qualsiasi memoria greca, e fatto anche un cenno di altre fonti storiche greche, egiziane, caldee, fenicie fino a Giuseppe Ebreo, notata la concordia e completezza delle profezie che pronunziarono gli avvenimenti secondo verità, e hanno acquistata autorità sicura anche per le cose ancora da venire, Tertulliano espone la dottrina di Cristo uomo e Dio. La teoria della Trinità divina in unità di sostanza è qui già chiara- mente formolata, e confermasi l’idea del Àóyog, o parola o ragion divina artefice dell’universo, con testimonianze di antichi filosofi. Poi si riassume la storia di Gesù e ricordasi la divulgazione della dottrina di lui fatta dagli Apostoli, fino alla persecuzione neroniana. Ecco dunque, conchiude, qual’ è la nostra fede, che noi sosteniamo anche fra i tormenti : Deum colimus per Christum . Cristo è uomo ma in lui e per lui Dio vuol essere riconosciuto e adorato. Di questa, che è la sostanza del Cristianesimo, Minucio tace affatto; non nomina neppur Cristo, pur parlando a ogni piè sospinto de’ Cristiani. È questo il lato debole dell’ Ottavio. Solo in un punto uvvi una non chiara allusione alle dottrine dell’uomo-Dio, uve per iscagionare i correligionari dall’accusa di venerare un delin- quente dice : « molto siete lungi dal vero, se ritenete si creda da noi deum aut meridie ìioxium aut potuisse terrenum, che un Dio o si rendesse colpevole da meritar supplizio o potesse come cosa terrena subirlo; parole non abbastanza chiare nel testo latino, e che diedero luogo a ben disparate interpretazioni. Minucio in questo luogo è rimasto inferiore a sè stesso, nè s’avvide come questa dottrina fondamentale meritava più ampio svolgimento in una difesa del resto eloquente e sentita della nuova religione. Continuando Tertulliano la esposizione sua, parla dell’esistenza di sostanze spirituali, esistenza ammessa già dai filosofi e poeti antichi come dal volgo; e, ricordata la caduta di alcuni angeli e l’origine dei demoni, parla dell’opera di costoro tutta rivolta a dannar l’uomo; son essi che eccitano le più strane passioni u pazzi capricci e corruttele dell’anima; son essi che ingenerano la fede negli Dei falsi e bugiardi, e, colla loro rapidità di movimenti e parziale notizia del vero anche futuro, ispirano oracoli e vati, e in tutto contribuiscono a ingenerare inganni e deviar la mente dal vero Dio. I miracoli dei maghi son da loro ; da loro spesso i sogni e ogni specie di divinazione. La più bella prova di ciò, dice Tertulliano, è questa che se uno invaso da un demone si trovi in faccia a un Cristiano, e questi dia ordine al demone di parlare, quegli senz’altro si confesserà, quel che è ; e così pure quelli che son creduti invasi da un Dio, in presenza d’un cristiano confessano di essere nient’ altro che demoni. Il nome di Cristo basta ad atterrire questi esseri ; una prova di più cho il nostro è l’unico Dio e vero, e che non esistono gli Dei pagani. Sicché si vede quanto poca regga l’accusa di lesa religione romana, mentre di vera irreligiosità si macchiano gli avversari coll’ adorare i falsi Dei, e diversi nelle diverse regioni, e altresì coll’ impedire a noi il culto del vero Dio. Tali pensieri trovansi su per giù anche in M.. Ottavio discorre degli spiriti mali, degradati dalla loro primiera innocenza e tutti intenti a perdere anche gli altri. Tale discorso continua r offrendo vari luoghi paralleli a Tertulliano. Tertull. Apolog,:Sciunt daeraones philosophi, Socrate ipso ad daemonii arbitrium exspectante. Quidni? cum et ipsi daemonium a pueritia adhaesisse dicatur, dehortatorium piane a bono. Omnes sciunt poetaen. Min.: eos spiritus daemones- esse poetae sciunt, philosophi disserunt, Socrates novit, qui ad nutum et arbitrium adsidentis sibi daemonis vel deeli nabat negotia vel petebat. Il demonio socratico è da Tertulliano giustamente detto debortatorium a borio; meno esattamente Minucio gli attribuisce efficacia e positiva e negativa contro la nota verità storica. Quid ergo de ceteris ingeniis vel etiam viribus fallaciae spiritalis edisseram? phantasmata Castorum, et aquam cribro gestatara, et navem cingalo promotam f et barbam tactu inrufatam, ut numina lapides crederentur et deus verus non quaereretur ? Min.: de ipsis daemonibus etiam illa quae paullo ante tibi dieta sunt, ut Iuppiter ludos repeteret ex somnio, ut cum equis Castores viderentur, ut cingulum matronae navicula sequeretur. Tali esempi di miracoli erano conosciuti volgarmente dai libri relativi all’arte divinatoria, e in riassunti dottrinali non fa meraviglia di veder citati or gli uni or gli altri. Tertull.: « Iussus aquolibet chrifitiano loqui spiritus ille tam se daerannem confitebitur de vero quam alibi dominum de falso. Aeque producatur aliquis ex his qui de deo pati existiraantur Ista ipsa Virgo caelestis pluviarum pollicitatrix, ipse iste Aesculapius medicina- Tum demonstrator nisi se daemones confessi fuerint Christiano mentiri non audentes etc. vobis praesentibus erubescentes. Credite illis, cura verum de se lo- quuntur, qui mentientibus creditis. Nemo ad suum dedecus mentitur, quin potius ad honorem de corporibus nostro imperio «xcedunt inviti et dolentes sciunt pleraque pars vestrum ipsos daemonas de se met ipsis confiteri, quotiens a nobis tormentis verborura et oratìonis incendiis de corporibus exiguntur. Ipse Saturnus et Serapis et Iuppiter... vieti dolore quod sunt eloquuntur. nec utique in turpitudinem sui, nonnullis praesertim vestrum adsisten- tibus mentiuntur . Ipsis testibiis esse eos daemonas credite fassis adiurati per deum verum et solum inviti miseri corporibus inhorre- scunt et... exsiliunt. Un altro riscontro ancora notasi volgendo rocchio a Tertulliano ove si riprende il discorso degli angeli e dei demoni. Licet subiecta sit nobis tota vis daemonum et eiusmodi spirituum, ut nequam tamen servi metu nonnunquam contumaciam miscent, et laedere gestiunt quos alias verentur. Odium enim etiam timor spirat. Inserti mentibus imperitorum odium nostri serunt occulte per timorem ; naturale enim est et odisse quem timeas et quem oderis infestare si possis. In Tertulliano sono i demoni che temendo i Cristiani, appunto per ciò qercano di offenderli, perchè il timore partorisce odio. In Minucio si fa che i demoni insinuino nei pagani Todio contro i Cristiani per mezzo del timore. Ma ciò, si noti, è meno naturale, perchè i pagani non avevano nessuna ragione di temere i Cristiani. Li odiavano invece senza conoscere la loro dottrina ; ma ciò non ha a che fare col timore. Non a proposito dunque Minucio fece sua quest’osservazione psicologica dell’odio figlio del timore. Infine a riguardo della varietà politeistica, Tertulliano ricorda le bestie venerate in Egitto ; e qui è da fare un raffronto con M. Tertull.: Aegyptiis permissa est tam vanae superstitionis po- testas avibus et bestiis consecrandis et capite damnandis qui aliquem huiusmodi deum occiderint. Min.: nec eorum (Aegyptiorum) sacra damnatis instituta serpentibus, crocodilis, belluis ceteris et avibus et piscibus, quorum aliquem deum si quis occiderit etiam capite punitur. Una delle ragioni che i pagani opponevano più frequentemente alle censure dei loro Dei fatte dai seguaci del Cristo, era questa che a buon conto Roma doveva la sua grandezza alla religiosità tradizio* naie e al rispetto degli Dei e delle cerimonie istituite in loro onore. Di questa idea appunto si fa interprete Cecilio Natale presso M. nel suo discorso in difesa del paganesimo. I Cristiani dovettero ribattere queste ragioni, mostrando che Roma se era grande non doveva nulla ai falsi Dei. Tertulliano svolge questo punto nell’Apologetico. Con ironia comincia a chiedere se Dei quali Stercolo e Mutuno e Larentina hanno potuto promuovere l’imperio ; poiché, dice, non è da supporre che Dei forestieri, come la Gran Madre, favorissero Roma, a detrimento dei loro fedeli indigeni. Del resto, soggiunge, molti Dei romani furono prima re ; da chi ebbero la podestà regia? Forse da qualche Stercolo. E il potere di Roma già era, molto prima che si costituisse il culto ufficiale, e che di idoli greci ed etruschi fosse inondata la città. Ma poi tutta la storia romana è prova di irreligiosità piuttostochè di religiosità. Guerre e conquiste di città come si fanno senza ingiuria agli Dei, senza distruzione di templi e stragi di cittadini e di sacerdoti, e rapine di ricchezze sacre e profane? E come può essere che gli Dei delle città vinte tollerino poi d’essere adorati dai conquistatori ? Non possono dunque essersi fatti grandi per merito della religione quelli che crebbero coll’offenderla o crescendo l’offesero. Anche Ottavio in M., svolge questi pensieri, ricordando le scelleratezze compiute da Romolo in poi, e mostrando la improbabilità che i Romani siano stati aiutati dai loro Dei vernacoli come Quirino, Pico, Tiberino, Conso, Pilunno, Volunno, Cloacina, il Pavor e il Pallor, la Febbre, Acca Laurenzia e Flora; tanto meno li aiuta- rono gli Dei forestieri come Marte Tracio, Giove Cretese, Giunone o Argiva o Samia o Punica che dir si voglia, Diana Taurica, la madre Idea, o le non divinità ma mostruosità egiziane, (ricordi attinti a CICERONE e Seneca, v. ediz. Waltzing. Ecco qualche riscontra con Tertulliano: Tertull.: Tot igitur sacrilegia Min.: totiens ergo Romania Romanorum quot tropaea, tot de deis impiatum est quotiens triumphatum, quot de gentibus triumphi, tot manu- tot de diis spolia quot de gentibus et biae quot manent adhuc simulacra capti- tropaea. vorum Deorum. Omne regntim vel imperium bellis quaeritur et victoriis propagata. Porro bella et victoriae captis et eversis plurimum urbibus Constant. Id negotium sine deorum ini uria non est. Eadem strages moenium et templorum pares caedes civium et sacerdotum, nec dissimiles rapinae sacrarum divitiarum et profanarum. Tertull.: Videte igitur ne ille regna dispenset cuius est et orbis qui regnata et homo ipse qui regnat... Regnaverunt et Babylonii ante ponti - fices et Medi ante XVriros et Aegyptii ante Salios et Assyrii ante Lupercus, et Amazones ante Virgines V est ale s. civitates proximas evertere cum templis et altaribus disciplina com- raunis est Ita quicquid Romani tenent colunt possident, audaciae praeda est: tempia omnia de manubiis, i. e. de ruinis urbium, de spoliis deorum, de caedibus sacerdotum. Hoc insultare et inludere est.... adorare quae manu ceperis, sacrilegium est consecrare non numina. Min.: ante Romanos deo dispensante diu regna tenuerunt Assyrii, Medi, Persae, Graeci etiam et Aegyptii, cum pontifices et arvales et salios et vestales et augures non haberent nec pullos caveas reclusos quorum cibo vel fastidio reip. summa regeretur. Per non volere i Cristiani sacrificare agli idoli, erano tacciati sì di irreligiosità, ma non potevano essere processati per questo, essendo ciascuno libero di avere, come gli piaccia, favorevoli o sfavorevoli gli Dei. Formale accusa invece si moveva loro per non volere sacrificare in onore dell’ imperatore divinizzato, e chiamavan questo lesa maestà. Di ciò parla Tertulliano. La cosa si capisce, die egli ; voi avete più paura e usate furbescamente più riguardi a Cesare che a Giove stesso in Cielo. In fondo avete ragione; perchè un vivo vai più dun morto. Ma commettete voi in questo colpa d’irreligiosità, dando la preferenza a una dominazione umana; e più presto si sper- giura da voi per tutti gli Dei che per il solo genio di Cesare. A questo punto è a notare una lieve somiglianza col discorso di Ottavio presso Minucio, là dove rimprovera i pagani del prestar culto divino ad un uomo, e dell’ invocare un nume che non c’ è ; pure, dice, è per loro più sicuro spergiurare per il genio di Giove che per quello del re. Tertull.: citius de- Min.: et est eis tutine per nique apud vos per omnes Deos quam Ioyìs genium peierare quam regis. per unum genium Caesaris peieratur. Segue in Tertulliano un gruppo di capitoli bellissimi in cui con calorosa eloquenza si fa vedere quanto più onesti ed efficaci voti facessero i Cristiani pregando per la salute dell’imperatore il Dio uno e vero, e a cbi solo può dare chiedendo per lui lunga vita, securo imperio, casa tranquilla, forte esercito, senato fedele, popolo probo, mondo quieto; e ciò non con apparati di culto esterno, ma con sincerità d’anima e innocenza di vita. I Cristiani, dice, hanno imparato dal loro Maestro a pregare anche per i nemici e i persecutori; e nel far voti per la diutur- nità dell' impero, sanno di ritardare quel cataclisma che minaccia all’orbe universo la fine. Ma non possono chiamare Dio l’ imperatore senza derisione di lui e ingiuria al vero Dio. Perchè dunque saranno qualificati come nemici pubblici? Forse perchè si astengono dalle licenziose feste pubbliche celebrate a solennizzare qualche lieto avvenimento della casa imperiale? A buon conto, non dai Cristiani, ma dal novero dei Komani escono e i Cassii e i Nigri e gli Albini, cioè i ribelli all’autorità imperiale; i quali pure avevan preso manifesta parte alla feste pubbliche e ai pubblici voti per la salvezza dell’ imperatore. La vera sudditanza e fede dovuta all’autorità sta nei buoni costumi e nei rapporti d’onestà quali noi Cristiani serbiamo con tutti. Amando noi i nostri nemici, chi possiamo ancora odiare? Inibita a noi la vendetta, chi possiamo offendere? Quando mai i Cristiani pensarono a vendi- carsi neppure del volgo che li malmenava, non rispettando nemmeno i morti? Eppur quanto facimente avrebber potuto preparare le loro vendette in segreto, o anche dichiarare aperta guerra, tanto numerosi essi già sono in tutte le città, nelle isole, nei municipi, nei campi militari, nel senato stesso e a corte ! Potevano anche senz’armi pugnare, ritirandosi in qualche angolo remoto del mondo e lasciando dietro sè una spaventosa solitudine. Eppure ci avete chiamati nemici del genere umano, anziché « dell’errore umano. Che ragion vi era di non considerare la nostra setta come una factio licita, dal momento che non facciamo nulla che turbi la società, e produca divisioni, attriti, violenze? Una repubblica sola noi riconosciamo, il mondo. Ai vostri spettacoli rinunziamo, perchè ne conosciamo l’origine dalla falsa religione. In che v’offendiamo, se abbiamo altri gusti e piaceri? L’unità della fede e della speranza ci unisce e ci affratella. Ci aduniamo a pregare e a leggere i libri santi; ivi ci esortiamo a far bene, e ci rimproreriamo se manchiamo ai nostri doveri. Si contribuisce un tanto al mese per alimentare i poveri e so- stenere le spese delle sepolture e dei derelitti. Il nostro mutuo amore 4, dà noia agli avversari, perchè essi si odiano, noi siamo pronti a morire l’un per l’altro, quelli ad uccidersi l’un l’altro. Ci riconosciamo fratelli, perchè abbiamo lo stesso padre Iddio,, e come si mescolano le nostre anime, così mettiamo in comune le sostanze. Tutto è da noi accomunato, salvo le mogli. Le nostre cene sono parche e denominate con parola significante amore, e lì si prega prima di mangiare come dopo, e si canta, chi sa farlo, in onor di Dio. Che male c’ è, o a chi torna di danno tutto ciò, da parlare di factìo illicita? A questo punto, il dialogo di M. offre qualche possibilità di riscontro con l’Apologetico. Giacché, dopo confutata l’accusa di cene incestuose, Ottavio nel suo discorso prende subito a celebrare l’ innocenza dei costumi cristiani, e qua e là il suo pensiero corre parallelo a quel di Tertulliano. Tertull., fin.: haec Min.: nec factiosi (così coitio Christianorum merito damnanda THerald; il cod. ha: ‘fastidiosi 1 ) su- I si quis de ea queritur eo titillo quo de mus, si omnes unum bonura sapimus factionibus querela est. In cuius perni- eadem congregati quiete qua singuli. ciem aliquando convenimus? Hoc su- mus congregati quod et dispersi, hoc universi quod et singuli, neminem lae- dentes, neminem contristantes. Sed eiusmodi vel maxime dile- sic mutuo, quod doletis amore ctionis operatio notam nobis inurit pediligimus, quoniam odisse non novimus, nes quosdam. Vide, inquiunt, ut in vicem sic nos, quod invidetis, frati es vocamus, se diligant; ipsi enim invicem oderunt; ut unius dei parentis homines, ut con- et ut prò alterutro mori sint parati; sortes fidei, ut spei coheredes. Yos enim ipsi enim ad occidendum alterutrum pa- nec invicem adgnoscitis, et in mutua ratiores erunt. Sed et quod fratres nos odia saevitis, nèc fratres vos nisi sane vocamus, non alias opinor, insaniunt ad parricidium recognoscitis. quam quod apud ipsos omne sanguinis nomen de affectione simulatum est. Fra- y tres autem etiam vestri sumus at quanto dignius fratres et dicuntur et habentur qui unum patrem Deum agnoverunt, qui unum spiritum biberunt sanctitatis, qui de uno utero ignorantiae eiusdem ad unam lucem exspiraverunt Veritatis. Tertull.: Deo offero opimam et maiorem hostiam... orationem de carne pudica, de anima innocenti, de spiritu sancto profectam. Tertull.: Aeque spectaculis vestris in tantum renuntiamus in quantum originibus eorum, quas scimus de superstitione conceptas, cupi et ipsis rebus de quibus transiguntur praetersumus. Nihil est nobis dictu, visu, auditu cum insania circi, cum impudicitia theatri, cum atrocitate arenae, cum xysti vanitate. Min.: qui innocentiam colit Deo supplicat, qui iustitiam Deo libat... qui hominem periculo subripit, opimam (il cod. ha optimam) vidimavi caedit: a nos. . merito malis voluptatibus et pompis et spedaculis ve- stris abstinemus, quorum et de sacris originem novimus, et noxia blandimenta damnamus. Nam in ludis circensibus (così leggo io, il cod. ha: currulibus) quis non horreat populi in se rixantis insaniam ? in gladiatoriis homicidii di- sciplinami? in scenicis etiam non minor furor et turpitudo prolixior ; nunc enira mimus yel exponit adulteria vel monstrat, nunc enervis histrio amorem dum fingit infigit I capitoli XL e XLI dell’Apologetico contengono la confutazione dell’accusa che delle pubbliche calamità fossero causa i Cristiani, come 8’ andava già fin d’allora vociferando, e si seguitò a dire per molte ge- nerazioni. Tertulliano ricorda molti cataclismi, isole scomparse, terre- moti e maremoti, e il diluvio, e l’ incendio di Sodoma e Gomorra, di- sastri avvenuti tutti avanti al Cristianesimo. E col distruggersi delle città, dice, si distruggevano anche i templi degli Dei; prova che non veniva da loro ciò che anche a loro accadeva. Bensì il Dio unico e vero non poteva essere propizio a chi ne disconosceva i favori. Del resto, i mali ora sono minori di prima, e ciò è dovuto alle preghiere dei Cristiani che disarmano l’ira divina. Che se il nostro Dio per- mette i disastri anche a danno de' suoi cultori, ciò non ci stupisce nè sgomenta, aspirando noi a vita più alta e migliore. Di tutto questo in Minucio non v’ è parola. Altro titolo d’ ingiurie contro i Cristiani era il ritenerli alieni dagli affari e disutili al commercio locale. Tertulliano dedica a questo argomento i capitoli XLII e XL1II, dove fa vedere l' insussistenza di questo rimprovero. Vivevano bene i Cristiani come gli altri, serven- dosi e dei mercati e delle botteghe e delle officine e dei bagni pubblici. Che se si astenevano da certi usi, se non si coronavano di fiori la testa, se non intervenivano agli spettacoli, se non sovvenivano i templi pagani coi loro contributi, avevano bene ragione di farlo. E del pari certo quattrini non ricevevano da loro nè i lenoni, nè.i sicari, nè i magi, nè gli aruspici, nè altri tali ; ma in compenso i Cristiani eran tutte persone innocue da non dar ombra a nessuno. Qui, rispetto alluso di portar corone di fiori in capo, si può con- frontare : Tertull.: non amo capiti coronam. Quid tua interest, em- ptÌ8 nihilominus floribus quomodo utar ? Puto gratius esse liberis et solutis et undique vagis. Sed etsi in coronam coactis, nos coronam nariòus novimus, viderint qui per capillum odorantur. Min. c. 38, 2 : « quis autem ille qui dubitat vernis indulgere nos floribus, cum capiamus et rosam veris et lilium et quicquid aliud in floribus blandi co- loris et odoris est? his enim et sparsis utimur, mollibus ac solutis, et sertis colla complectimur. Sane quod caput non coronamus, ignoscite; auram bo- nam floris nariòus ducere non occipitio capillisve solemus haurire. 1 due capitoli che seguono in Tertulliano, il XLIV e il XLY, sono rivolti a segnalare l’ innocenza dei Cristiani, proveniente dal se- guire essi una legge non umana ma divina, e dal considerarsi come in presenza di Dio sempre, di Dio scrutatore, giudice e vindice. Terlull. Tot a vobis nocentes variis criminum elogiis recen- sentur; quis illic sicarius, quis manti- cularius, quis sacrilegus aut corruptor aut lavantium praedo, quis ex illis etiam Christianus adscribitur? aut cum Chri- stiani suo titulo offeruntur, quis ex illis etiam talis qttales tot nocentes? De vestris semper aestuat career, de vestris semper metalla suspirant, de vestris semper bestiae saginantur, de vestris semper munerarii noxiorum greges pascunt. Nemo illic Christianus nisi piane tantum Christianus, aut si et aliud iam non Christianus. : quid perfectius, prò- hibere adulterium, an etiam ab oculorum solitaria concupiscentia arcere ? : u Christianus uxori suae soli masculus nascitur. Min.: de vestro numero career exaestuat, Christianus ibi nullus nisi aut reus suae religionis aut'profugus: vos enim adulteria pròhibetis et facitis, nos uxoribus nostris solummodo viri nascimur. Pur vinti da tanta copia di fatti e bontà di ragioni, non si arrendevano gli avversari de’ Cristiani, e, a corto d’altri argomenti, finivano con dire che in sostanza le massime cristiane non erano cosa nuova, ma erano già state professate e praticate dai filosofi. Di ciò Tertulliano nel capitolo XLYI, dove istituisce un eloquente confronto tra le massime e la vita pagana da una parte e i precetti e costumi cristiani dall’ altra, per dimostrare la superiorità dei secondi. Qui un riscontro con M.: Tertull. c. XLVI: a ... licet Plato Min. c. 19, 14: u Platoni... in Ti- adfirmet factitatorem universitatis ne- maeo deus est ipso suo nomine mundi que inveniri facile et inventum enar- parens, artifex animae, caelestium ter- rari in omnes difficile. Cfr. Plat. Tim. renorumque fabricator, quem et inve-: « Tòv fxhv noirjrijy xai nire difficile praenimia et incredibili naréga tovóe tot) navròg eògeìv re eg- potestate (cfr. Plato qui inve- lo!', xai etigóvia elg ndvrag àóvvarov nire Deum negotium credidit, et Xéyeivn. cum inveneris in publicum praedicere impossibile praefatur. Non può negarsi, riconosce Tertulliano, che i filosofi antichi hanno espresso molte cose vere, ma queste son derivate dalla fonte dei nostri profeti. E queste stesse verità sono involute e com- mescolate a ipotesi e opinioni disparatissime, sicché poi questi filosofi sono in completo disaccordo gli uni cogli altri. Tale varietà d’opinioni pur troppo venne anche introdotta nella setta cristiana, sicché bisognò prescrivere ai nostri adulteri, quella essere regola di verità la quale venga a noi trasmessa da Cristo per mezzo de’ suoi compagni. Per queste adulterazioni della verità, insinuate dagli spiriti dell’errore, certi prin- cipii già si trovano tra i pagani, come il giudizio finale delle anime, le pene dell’inferno e il soggiorno delizioso degli Elisi, ma tali prin- cipii in quanto hanno del vero, sono di origine nostra. Tertull.: quis poetarum, quis Min.: animadvertis philososophistarum,qui non omnino de prò- pbos eadem disputare quae dicimus, pbetarum fonte potaverit? non quod nos simus eorum vestigia u Unde baec ... nonnisi de nostris sasubsecuti, sed quod illi de divinis praecramentis? Si de nostris sacramentis, dictionibus profetarum umbram inter- ut de prioribus, ergo fideliora sunt no- polatae veritatis imitati sint ». stra magisque credenda, quorum imagines quoque fìdem inveniunt. Una delle credenze cristiane più combattute e derise dagli avversarli, era quella della resurrezione finale dei corpi e del ritorno delle anime in que’ corpi che già avvivarono. A questo dogma dedica Ter- tulliano il cap. XLYIII, adducendo la ragione della divina onnipo- tenza, che come ha dal nulla creato il mondo, così può far risuscitare i corpi morti. Non è quotidianamente sotto gli occhi nostri il segno della resurrezione nell’alternativa della luce e delle tenebre, nel tramontare e rinascere delle stelle, nel rifarsi delle stagioni e dei prodotti della natura? Se a Dio fosse piaciuta altresì l’alternativa della morte e della resurrezione, chi l’avrebbe impedito? Volle invece che alla condizione presente di vita passeggera, si contrapponesse un’altra vita eterna, e a questa passassero tutti risorgendo coi corpi, per vivere un’eternità di premio o di pena secondo i meriti di ciascuno. E il fuoco eterno che aspetta i dannati, è di natura ben diversa dal nostro; come altro è il fuoco che serve agli usi umani, altro quello che apparisce nei fulmini del cielo o nelle eruzioni dei vulcani, perchè questo non consuma quello che brucia, e mentre disfa, ripara. Tali principii se sono professati da filosofi e da poeti, si tollerano e si lodano; perchè noi Cristiani dobbiamo esserne derisi e anche puniti? Infine queste credenze sono utili, perchè allontanano dal mal fare colla paura dei divini castighi, e, alla peggio, non fan male a nessuno. Anche M. mette in bocca al suo Ottavio alcune considera- zioni sulla fine del mondo e la risurrezione dei morti, dedicandovi tutto il capo 34 e parte del 35. Sulla fine del mondo ricorda le opinioni degli Stoici e degli Epicurei e anche di Platone circa la conflagrazione finale dell’universo, e giustifica così la credenza cristiana. Per la risurrezione pure cita Pitagora e Platone, ma solo per dimostrare che i saggi pagani in questo vanno in qualche modo d'accordo coi Cristiani. Ricorre anch’egli all’argomento dell’onnipotenza divina e alla possibi- lità che rinasca dal nulla quello che dal nulla ebbe origine, come accenna pure ai segni di risurrezione dati dalla natura, e alle condizioni del fuoco eterno. Qui alcuni riscontri: Tertull.: sed quomodo, inquis, dissoluta materia exhiberi potest? Considera temetipsum, o homo, et fidem rei invenies. Kecogita quid fueris antequam esses. Utique nihil; Min.: quis tam stultus aut brutus est, ut audeat repugnare, hominem a Deo ut primum potuisse fingi, ita posse denuo reformari? Sicut de nihilo nasci licuit, ita de nihilo limeminisses enim si quid fuisses. Qui cere reparari? porro difficilius est id ergo nihil fueras priusquam esses, idem quod non sit incipere, quam id quod nihil factus cum esse desieris, cur non fuerit iterare. Tu perire et Deo credis possis rursus esse de nihilo eiusdem si quid oculis nostris hebetibus subipsius auctoris voluntate qui te voluit trahitur ? » esse de nihilo ? Quid novi tibi eveniet ? Qui non eras factus es; cum iterum non eris fies. Et tamen facilius utique fies quod fuisti aliquando, quia aeque non difficile factus es quod nunquam fuisti aliquando. Lux coti die interfecta Min. ib. 11: «in solacium nostri resplendet et tenebrae pari vice dece- resurrectionem futuram natura omnis dendo succedunt, sidera defuncta vive- meditatur. Sol demergit et nascitur, scunt, tempora ubi finiuntur incipiunt, astra labuntur et redeunt, flores occi- fructus consummantur et redeunt, certe dunt et revirescunt, post senium ar- semina non nisi corrupta et dissoluta busta frondescunt, semina nonnisi cor fecundius surgunt, omnia pereundo ser- rupta revirescunt». vantar omnia de interitu reformantur. Tertull. ibid.: « Noverunt et phi- : Illic sapiens ignis losophi diversitatem arcani et publici membra urit et reficit, carpit et nutrit. ignis. Ita longe alius est qui usui hu- Sicut ignes fulminum corpora tangunt mano, alius qui iudicio Dei apparet, nec absumunt, sicut ignes Aetnaei monsive de caelo fulmina stringens, sive de tis et Vesuvi montis et ardentium ubi- terra per vertices montium eructans: que terranno flagrant nec erogantur, non enim absumit quod exurit, sed dum ita poenale illud incendium non damnis erogat reparat. Adeo manent montes sem- ardentium pascitur, sed inexesa corpo- per ardentes, et qui de caelo tangitur, rum laceratione uutritur. salvus est, ut nullo iam igni decinerescat. Et hoc erit testimonium ignis aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poenam nutrientis. Montes uruntur et durant. Quid nocentes et Dei hostes? Eccoci all’ultimo capitolo dell’Apologetica, dove il grande scrittore africano giustifica l’atteggiamento dei Cristiani, esultanti di essere perseguitati e di soffrire anche la morte per la confessione di Cristo. Tale atteggiamento era oggetto di vive censure; eran considerati i Cristiani come gente disperata e perduta. Pure gli antichi avevano celebrato invece come eroi gloriosi alcuni uomini che avevano patito, senza scomporsi, i più atroci dolori, quali un Mucio Scevola, un Attilio Regolo, ecc. Perchè han da stimarsi pazzi i Cristiani che fan lo stesso? Del resto, conchiude Tertulliano, fate pure, o buoni governanti, contentate la plebe tormentandoci, condannandoci, uccidendoci; codesta crudeltà non servirà che ad aumentare il nostro numero; il nostro sangue è seme; il nostro esempio e l’ostinazione che ci rinfacciate, fa scuola ; perchè chi ci vede e ammira, sente di dover ricercare che cosa ci sia sotto, e conosciuto vi si converte, e convertito desidera patire alla sua volta per redimere la sua vita anteriore e ottenere Feterno premio. Di analogo argomento, della resistenza dei Cristiani al dolore e della lotta loro contro le minaccie e i tormenti dei carnefici, discorre pure Ottavio in Minucio. Anche per lui il soffrire non è castigo, è milizia, e non è vero che Dio abbandoni chi soffre, anzi lo assiste e a sè trae. Che bello spettacolo per Dio quando il cristiano scende in lizza col dolore e le minacce e le torture, e contro re e principi difende a testa alta la libertà della sua fede, non cedendo che a Dio, vincitore anche di chi lo condanna e uccide. Glo- rioso ritiensi colui che tormenti ha sostenuto con costanza; ma altret- tali e peggiori soffrono col sorriso sulle labbra i fanciulli e le donnicciuole cristiane, evidentemente perchè li aiuta Iddio. In manifesta affinità di pensieri, non mancheranno riscontri di parole: Tertull. c. L: Victoria est... prò quo certaveris obtinere. Haec desperatio et perditio penes vos in causa gloriae et famae vexillum virtutis extollunt. Mucius dexteram suam libens in ara reliquit: o sublimitas animi ! Empedocles totum sese Catanensium Aetnaeis incendiis do- navit : o vigor mentis! Aliqua Cartaginis conditrix rogo se secundum matrimonium dedit : o praeconium castitatis! Regulus ne unus prò multis hostibus viveret, toto corpore cruces patitur: o virum fortem et in captivitate victorem! etc. Min.: vicit qui quod contendi obtinuit. vos ipsos calamitosos vi- ros fertis ad coelum, Mucium Scaevolam, qui cum errasset in regem perisset in hostibus nisi dexteram perdidisset. Et quot ex notfris non dextram solum sed totum corpus uri, cremari, sine ullis eialatibus,pertulerunt,cum dimitti prae- sertim haberent in sua potestate! Viros cum Mucio aut cum Aquilio aut Regulo Comparo? pueri et mulierculae nostrae cruces et tormenta, feras et omnes suppliciorum terriculas inspirata patientia doloris inludunt. Messoci sott’occhio ordinatamente e nel modo più compiuto possibile il materiale di raffronto fra Tertulliano e M., possiamo risolvere il problema, quale dei due abbia avuto sott’occhio l’opera dell’altro. A questo fine chi ci ha seguito fin qui voglia con noi fare due osservazioni. La prima è che in molti luoghi si trova la stessa materia trattata con ampiezza e originalità di vedute da Tertulliano, e accennata brevemente da Minucio; ad es. al § 1 c, come già s’è osservato, a tutta una teoria tertullianea sulla natura del male morale e sull’atteggiamento del malvagio, teoria addotta per mostrare che non era un male Tesser cristiano, corrisponde in Minucio un cenno fuggevole della stessa sentenza; così al § 2 d, la natura della fama o diceria è rilevata con minuziosa analisi da Tertulliano, ed è, in frase inci- dente, come per transenna, e con parole per sè sole non chiare, toccata da Minucio; lo stesso dicasi al § 6 i, sullo scheletro ligneo a forma di croce adoperato nel fabbricare gli idoli; e ‘al § 13 b, sull’essere i delinquenti in massima parte pagani e d’altri brani ancora. In tutti questi casi si ha egli a pensare che Tertulliano, visto il breve cenno minuciano, n’ abbia preso occasione per ampliare e a volte costruire una teoria intiera basata sull’osservazione psicologica? o non si presenta anzi spontanea l’ipotesi che M. abbia conosciute e fatte sue le spiegazioni tertullianee, riassumendole dov’ e’ credeva opportuno? A chi non parrà questo secondo processo ben più naturale del primo? Non è questo il modo comune di lavorare in opere letterarie, quando non si tratta di amplificazioni rettoriche e luoghi comuni? Chi potrà credere il rapporto inverso, se tenga conto dell’ ingegno vigoroso, del ragionamento serrato e a fil di logica di Tertulliano, in comparazione dei discorsi alquanto rettorici da M. messi in bocca agli inter-locutori del suo dialogo? La seconda osservazione che noi vogliamo si faccia, ci conferma nell’ ipotesi della priorità di Tertulliano; e questa riguarda i passi dove Minucio presenta lo stesso pensiero e la frase tertullianea, ma o in luogo meno opportuno per la concatenazione delle idee, o con aggiunta od uso di parole che alterano il concetto esagerandolo. Fin dal prime riscontro segnalato al § 1 a, il cenno del non volere i pagani udire pubblicamente i Cristiani desiderosi di difendersi, vien fuori poco opportunamente come argomento del non essere essi Cristiani in angulis garruli Così al § 3, già s’è notata la stranezza del derivare dalle cerimonie di Giove Laziale gli usi sanguinarii di Catilina e di Bellona. Nello stesso § 3, il riscontro f ci dà un esempio di esagerata espressione in quel plerique sostituito al quidam di Tertulliano; come al § 4 g, è fuor di squadra il frequentius. Inesattezze pure riscontrammo al § 5 f, dove è attribuita ad Omero una leggenda che non gli appartiene, e ove del demonio socratico si parla men corretene)] tamente che in Tertulliano. Ma il passo più significativo è al § 9 g, ove poco a proposito, come già s’ è rilevato, Minucio fece sua l’osser- yazione psicologica del timore che partorisce odio. Tali difetti dell’esposizione minuciana sono una evidente conferma della priorità ter- tullianea ; è nella natura delle cose che l’ imitatore non afferrando con precisione i concetti dello scrittore che gli serve di modello, alteri i rapporti delle idee e le renda in modo difettoso ; mentre è ben più raro, se non impossibile, che un imitatore, prendendo le mosse da un lavoro altrui, ne emendi tutti i difetti, raggiungendo una precisa coe- renza e spontaneità, quale spicca in Tertulliano. Vi sono però due luoghi che paiono far contro la nostra tesi. Uno è al § 5, b e d, ove a una semplice parola o proposizione tertullianea: consecratione; d: statuas milvi et mures et araneae in - ielligunt) corrisponde in Minucio una descrizione più ampia e ricca di particolari. Ma, se ben si guardi, ciò non vuol dir nulla contro la tesi che sosteniamo. Già prima si può pensare che Minucio, come per altre parti del suo dialogo prese da Cicerone e da Seneca, così per questa abbia attinto ad altra fonte oltre l’Apologetico, desumendone sia la descrizione dell’ idolo che finché vien lavorato non è Dio e lo diventa appena è consacrato dall’uomo, sia quella dei topi, delle rondini, dei ragni che rodono e fanno il nido e le ragnatele nelle statue dei templi. Ma può anche darsi che qui s’abbia a fare con una semplice amplificazione del pensiero suggerito dall’espressione di Tertulliano, amplificazione non contenente altro che osservazioni semplicissime e di dominio comune. Tanto più è probabile che tale lavoro si deva attribuire a M., quanto che la caratteristica del suo stile, cioè l’uso degli asindeti trimembri con omeoteleuto, si trova qui più volte: funditur fabricatur sculpitur; plumbatur conslruilur erigitur; ornatur eonsecratur oratur; rodunt inculcant insident; tergetis mundaiis eraditis, ecc. L’altro punto che deve qui discutersi riguarda il fatto già segnalato, a, pel quale Ebert e molti altri conchiusero senz’altro per la priorità di M., vale a dire l’errore commesso da Tertulliano completando in Cassius Severus il nome dello storico Cassius così letto da lui nelle sue fonti. Pur riconoscendo che Tertulliano ha qui commesso un errore, era proprio necessario di supporre che l’indicazione di quelle fonti storiche, Diodoro e Tallo Greci, Cassio e Cornelio Romani, egli l’avesse presa da M.? Si noti che il discorso si aggira intorno alla spiegazione euemeristica degli Dei pagani, e si ricercano le vicende di Saturno e di Giove per conchiuderne che costoro in origine erano nomini. Ora questa tesi non era solo degli apologeti cristiani, ma da secoli era di dominio comune in molte scuole filosofiche. Può dunque ben darsi che in qualche libro euemeristico del primo o del secondo secolo dell’era volgare già si citassero Diodoro Siculo e Tallo, Cassio e Cornelio Nipote, e anche Varrone, a conferma della dottrina ; può essere che la citazione di quei nomi fosse diventata come un luogo comune; tant’ è vero che un secolo dopo Tertulliano, ancor la ripete con poche varianti Lattanzio. Questo è l’unico punto in cui ritengo vera l’ipotesi di una fonte comune anteriore a Tertulliano e M.. Il che se si ammette, l’errore di Tertulliano non dice più nulla a favore della priorità di Minucio e contro la tesi inversa da noi propugnata. Da questa stessa fonte euemeristica potrebbero supporsi derivati i particolari minuciani che sopra avvertimmo non trovarsi in Tertulliano, come pure ne derivarono le tradizioni simili a quella che si legge nel De origine gentis Romanae e nei breviari storici concernenti le origini di Eoma. Sia dunque lecito di conchiudere che l’ Ottavio di M. è posteriore all’Apologetico; di non molto forse, se al tempo della sua comparizione era ancora sì viva la memoria dell’oratore Frontone da ricordarlo nel modo che fanno i due interlocutori del dialogo: Girtensis noster, : Pronto tuus. Non andarono forse errati quelli che supposero composto il dialogo nel primo o al più nel secondo decennio del terzo secolo, come certo l’Apologetico è degli ultimi anni del secondo. Insù . : omnes ergo non tantum poetae sed historiarum quoque ac rerum antiquarum scriptores hominem fuisse consentiunt Saturnum. Qui res eius in Italia gestas prodiderunt, Graeci Diodorus et Thallus t Latini Nepos et Gassius et Varrò. V. il Minucio del Waltzing. Marco Minucio Felice – He wrote “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. – cf. Marco Minucio Felice. Refs. : Luigi Speranza, “Grice e Minucio,” The Swimming-Pool Library. Minucio.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Miraglia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di CICERONE – la scuola di Reggio -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Abstract. “At Oxford, you are introduced into philosophy after five terms into Grief and Laughing! Therefore, once you meet Cicero, you know what he is talking about! – or about which he is talking, as he’d have it!” -- Filosofo italiano. Reggio, Emilia. Grice: “Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself, compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si laurea a Napoli, dopodiché insegna filosofia del diritto nella stessa università, ed economia politica alla scuola superiore di agricoltura di Portici.  Segue una corrente di pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che mira all'integrazione di pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Sindaco di Napoli. Tra le più famose si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli). Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di Calabria. Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della legislatura del Regno d'Italia  Luigi Miraglia, su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione greca e LA DOTTRINA ROMANA. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il criticismo. L'idea della filosofia del diritto. La Filosofia e le scienze. Il carattere della Filosofia mo.  L'idea del Diritto ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di AMARI ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do VICO Amari, Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo sviluppo del Diritto. L'induzione statistica. Il compito della deduzione. L'universale astratto e l'universale concreto come principi. Moderna divinato da VICO. La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del Diritto se condo la dottrina di VICO, e le definizioni di Kant, di Hegel, di Trendelenburg, di ROMAGNOSI e di SERBATI. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Diritto e la Filosofia positiva. L'idea induttiva del Diritto. Lo studio della coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e della razza semi tica nella storia della civiltà. L'idea del diritto come misura in LA RAZZA ARIANA. La misura riposta nel l'ordine fisico, nella legge positiva e nella ragione. Il principio della personalità. Gl’elementi organici e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del materialismo. La teorica dell'evoluzione. La critica dell'evoluzionismo meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine. Le rappresentazioni sensibili e le rappresentazioni coscienti. Il  pensare e le categorie. La cognizione secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria. I presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione. L'istinto, il desiderio e la volontà. L'arbitrio e la libertà morale. La costanza degl’atti umani rivelata dalla Statistica. Il fine dell'uomo ed il bene. Il bene umano ed il Diritto. La forma imperativa, proibi.  I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. Seguito dei presupposti teoretici. tiva e permissiva del Diritto. Il Diritto come principio di co-azione, di coesistenza e di armonia. La tri-partizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio. Analisi critica delle principali definizioni del Diritto. Le dottrine che riguardano a preferenza il contenuto sensibile del diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il diritto come astratta forma razionale: Kant, Fichte ed Herbart. Le definizioni di Krause e di Trendelenburg. Ciò che vi è di vero nelle dottrine esaminate. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la differenza reale. L'Etica e la vita sociale.VICO, Süssmilch ed i fisiocrati precursori della Scienza sociale. La Sociologia di Comte ed i vari indirizzi. La Sociologia di Spencer. La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali. Le analogie tra la società e l'organismo. Le relazioni fra il Diritto e la Scienza sociale. Il Diritto, l'Economia sociale e la Politica. L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni. L'Etica, la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come presupposti dell'Economia. Il carattere del fatto economico. I rapporti tra il Diritto e l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica, la Scienza sociale, l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato. Il Diritto razionale ed il Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La legislazione ed i codici. L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo. Esame delle diverse teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali o innati ed i diritti accidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il diritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla libertà. I diritti all'eguaglianza, alla sociabilità ed all'assistenza. Il diritto di lavoro . Il concetto storico dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na. tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto. La persona ed i suoi diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone incorporali. La teoria della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La proprietà e dil suo fondamento razionale. Dottrine in torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i temperamenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto La storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice dell'animale e dell'uomo. La storia della proprietà e la storia della persona. La proprietà collettiva. La comunità di famiglia. Il Cristianesimo ed il valore della persona individua. Il feudo. La riforma ed il diritto naturale.La com piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la procedura civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti essenziali della persona. I diritti innati e la Filosofia moderna. Il regime dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui juris. Le idee dei pubblicisti tedeschi.Il soggetto reale nella corporazione e nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attribuisce la miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria industriale.La proprietà del capitale ed il profitto. Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il concetto della proprietà commerciale. La libertà dello scambio. La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo l'in  La propriatà industriale. La classificazione dei diritti sulla cosa altrui. Le servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni. Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento razionale. La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere. Le obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le sue forme.  L'indole del possesso. La sua origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine. Le fonti delle obbliga La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei contratti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi le servitù nascono, si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La superficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. La libertà di contrarre ed il contratto di lavoro. La libertà di contrarre, i suoi limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua limitazione. La libertà dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usura come delitto. Critica della teoria di Stein. La figura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita. La società, la cambiale, il trasporto e alcuni contratti aleatori. Il contratto di società e le sue forme. La società e la. Il prestito usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco. La missione sociale del diritto privato. L'eguaglianza delle parti nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli animali. Le teoriedi LUCREZIO e di VICO. Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar   . matrimonio. Le sue condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di Bebel e le idee di Spencer. I sistemi con cui si regolano i beni nel matrimonio. L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità. Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il divorzio e la Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cura. L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio. La ricerca della paternità. La legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento  cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di specificazione e la fine della famiglia. L'amore come fondamento del matrimonio. L'idea del La societá coniugale.. La società parentale. della successione. Il condominio domestico ed il diritto di proprietà come basi della successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della parentela e del grado. La capacità   di succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione. La capacità di testare e di ricevere per testamento. Le specie di testamenti, La legittima. Il diritto di rappresentazione e la successione testamentaria. L'errore nella causa finale ed impulsiva, e le condizioni.Il diritto di accrescere. La sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di successione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del diritto e della politica. Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi negli ordini superiori ed inflessibili dello stato, e dall'altro comincia a svolgersi in forma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua natura soggettivo, il diritto privato non può non sorgere, e lo stato non può più per lunghissimo tempo conservare le rozze sembianze d'una organica oggettività naturale. In Roma, il diritto privato ė nei suoi primi momenti stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato, supplito e corretto dall'equità, ch'è lo stesso diritto in opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla fine è diritto umano, e per conseguenza proclama il principio, che la schiavitù, istituto delle genti e contronatura, non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto naturale sono liberi ed eguali. CICERONE, il filosofo più alto del mondo romano, non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo, come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana. CICERONE non è autore di una filosofia propria, e segue d’ecclettico gli scrittori greci. CICERONE professa il dubbio, non crede che la mente possa  Il vuoto soggetto, rappresentato dall’accademici come oggetto, riceve ora tutta la sua concretezza, ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente assoluta. La filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo. L'uomo, immagine di Dio ed in carnazione del verbo, si riabilita; e lo stato antico, perdendo il suo alto significato, è costretto a rimpiccolirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sottoposta alla potestà politica, sibbene alle nuove credenze, che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate, e si oppongono al mondo ancora pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli della carne e gl’impulsi dello spirito. LATTANZIO crede che la vera giustizia sia nel culto di un divino unico, ignoto ai gentili. AGOSTINO parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri  6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosimiglianza. Nell'etica elimina il dubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano, per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso. Preferisce il principio etico del PORTICO, che tempera da uomo pratico. Trae il diritto non dalle leggi di le XII tavole o dall'editto, ma dalla natura umana. Riproduce la teoria aristotelica del lo stato, e si attiene alla forma mista, propria degl’ordinamenti politici di Roma. NOME COMPIUTO: Luigi Miraglia. Miraglia. Keywords: Cicerone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Misefari: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --  implicatura anarchica – la scuola di Palizzi -- filosofia calabrese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palizzi). Grice: “My pupil A. G. N. Flew once referred to Humpty-Dumpty as defending what Flew called ‘semantic anarchism.’ Of course, Flew never read the Alice books! On the other hand, Misefari did, and he was a REAL anarchist!” Grice: “Etymologically, ‘anarchy’ is lack of principles – as in Austin!” – Grice: “Cicero could not translate or would not translate this dangerous Hellenic concept!” -- Filosofo italiano. Palizzi, Reggio Calabria, Calabria.  ‘Io non sono italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno Filippi").  Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista (intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica disobbedienza».  Fu nei due anni successivi che M. si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione da parte di  Berti, suo professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele Piria".  Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a Napoli contava allora di un centinaio di aderenti.  Si rifiuta di partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta, trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria, interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.  Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in varie città della Svizzera. M. si autoannunciava con un suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori Monnanni, Ghezzi e Arrigoni; in questi ambienti conosce anche Angelica Balabanoff.  Venne arrestato per un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Zetkin (che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Poté rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di M. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Ha stretti contatti con Malatesta, Berneri, Binazzi, Borghi, Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del sovversivismo italiano. Si impegnò su più fronti per la campagna a favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Malatesta e collaborò al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna  Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di filosofia.  Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:  «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.»  Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. E cancellato dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. M., che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri.  Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria.  L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro).  Le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.  «Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani. M., Taccuino personale. La scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede in un ideale.  Chi sono gli anarchici. Secondo M., essere anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una lotta che non si fa violenta. M. è fortemente pacifista, contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento per l'umanità".  Antimilitarismo Per M. la guerra è pura barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.  «L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»  Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il benessere.  «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del male.»  È forte nel pensiero di M. la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura.  «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!»  M. vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva.  «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da M.:  FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal fango mirate del falco il libero volo.»  Frammenti «Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»  «Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li riguardanoseguono invece le leggi della natura»  «Prima l'educazione del cuore, poi l'educazione della mente»  «Socialismo vuol dire uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della redenzione proletaria.»  «Quando la giustizia non sarà la durda infame delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»  «M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti!  (epitaffio) Opere complete M., Schiaffi e carezze, Roma, Morara, M., Diario di un disertore, La Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio Sbarnemi.  Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari.  Antonioli,  Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica)  Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed. settembre.  Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su iisg.amsterdam, Fondo M. presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazione basso. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti. NOME COMPIUTO: Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza – GRICE ITALO!; ossia, Grice e Moderato: la ragione conversazionale -- da Crotone a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Scuole Pitagoriche. Attivo in epoca neroniana.  Scrisse Lezioni pitagoriche, un'opera articolata in dieci libri, in cui l'autore, rappresentante di quella scuola di pensiero che assommava nel sincretismo ellenistico temi platonici, pitagorici, greci e orientali, pone in antitesi la «Triade» spirituale, rappresentata dall'Uno, l'Intelletto, l'Anima, alla «Diade» rappresentata dalla materia. Di tale opera ci restano solo alcuni frammenti tramandatici da Stobeo. Sembra che le sue Lezioni ebbero una certa influenza sul Neoplatonismo. Calle, Un pitágorico en Gades (Philostr., VA). Uso, abuso y comentario de una tradición, Gallaecia. Collegamenti esterni Moderato di Gades, su Treccani.it – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Calogero, M, Enciclopedia; M. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia M., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Categorie: Filosofi romani Persone legate a Cadice Neopitagorici. Moderato.

 

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