Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Monday, July 28, 2025

Grice e Garin

 CITTÀ DI FIGLINE VALDARNO | ASSESSORATO ALLA CULTURA 

EUGENIO GARIN 


MARSILIO FICINO 
MR KTORNO DI PLATONE 


1) Figline 


fi della i : 
i Maida d ai 


ca 
PAU 


a < 
bal 


* 
SA 


MICROSTUDI 6 


pri 


EUGENIO GARIN 


MARSILIO FICINO 
E IL RITORNO 
DI PLATONE 


Premessa 


Per ricordare il 500° anniversario della traduzione ficiniana di Platone, L'Isti- 
tuto Nazionale di Studi sul Rinascimento in collaborazione con l'Istituto Ita- 
liano per gli Studi Filosofici e il Comune di Figline Valdarno organizzò, dal 
15 al 18 maggio 1984, un Convegno Internazionale di Studi che ebbe come 
sedi Napoli, Firenze e Figline. 

Nella giornata inaugurale, il 15 maggio a Napoli in palazzo Serra di Cassano, 
Eugenio Garin (1909-2004) della Scuola Normale Superiore di Pisa tenne il 
discorso di apertura dal titolo Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. 

Il contributo raccolto nel 1986 dall'Istituto Nazionale di Studi sul Rinasci- 
mento nel primo dei due volumi della serie dei suoi “Studi e Testi”, Marsilio 
Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, curato da Gian Carlo 
Garfagnini per i tipi di Leo Olschki editore (pp. 3-13), viene oggi riproposto 
grazie alla concessione alla riproduzione del Presidente dell'Istituto Nazio- 
nale di Studi sul Rinascimento, Michele Ciliberto. 


Marsilio Ficino e il ritorno di Platone 


Qualche anno fa, per l'esattezza nel 1978, in un saggio che apriva il 
volume XVI degli Studia Copernicana, offerto dall'Accademia Polacca 
delle Scienze a un dotto di cose copernicane, Edward Rosen, il mag- 
giore studioso di Marsilio Ficino, Paul O. Kristeller, ebbe a illustrare le 
vicende e i caratteri della prima edizione a stampa di tutto Platone tra- 
dotto in latino, fissandone con sicura precisione la data, sottolinean- 
do la rilevanza dell'evento, e suggerendo un qualche solenne ricordo 
di un fatto materiale destinato a incidere così profondamente, lungo 
mezzo millennio, sullo spirito dell'Occidente: dalle scienze alle arti 
figurative, dalla politica alla teologia.! Chi volesse sfruttare al massi- 
mo il valore simbolico assunto dalle pagine del Kristeller in apertura 
di quel solenne volume copernicano, sarebbe tentato di dire che il 
ritorno di tutto Platone nel mondo latino può essere davvero inter- 
pretato come una rivoluzione filosofica e religiosa che si fa preludio 
alla rivoluzione astronomica e scientifica in senso pieno. «Lo spirito 
di lui vivente nei suoi scritti [migrò] da Bisanzio a Firenze» — scrisse 
Ficino nel proemio a Cosimo il vecchio della versione dei primi dieci 
dialoghi: era una rinascita - dum Plato quasi renasceretur — la cui eco era 
destinata a raggiungere alcuni dei momenti più alti della meditazione 
filosofica dell'età romantica. 

Nel diario della Stamperia di San Jacopo di Ripoli si può leggere 
che il 25 gennaio 1484 Filippo Valori e Francesco Berlinghieri, finan- 
ziatori della stampa, stipulavano un primo accordo col ‘venerabile 
frate' Domenico da Pistoia, direttore della stamperia, e con Lorenzo 
Veneto suo socio —- accordo integrato nel febbraio. L'edizione, in due 
tomi di 566 carte complessive, fu compiuta, con l'introduzione, nel 
settembre — e con tanti errori tipografici che richiesero ben 14 carte di 
emendationes, e che provocarono non pochi lamenti del Ficino. Il qua- 
le, come sottolineava nella praefatio ad lectorem, aveva, invece, avuto 
cura di sottoporre la versione, argumenta e commentaria compresi, alla 


IO) 


revisione di censores di altissimo livello: il Calcondila ateniese, «attico 
per nascita non meno che per lingua e pensiero»; Giorgio Antonio 
Vespucci e Giovan Battista Boninsegni. Si era valso inoltre, lungo tutto 
il lavoro, del ‘severo giudizio’ (acerrimo iudicio) del dottissimo Angelo 
Poliziano, nonché dei consigli di Cristoforo Landino e di Bartolomeo 
Scala. Se l'opera nel suo insieme era dedicata al Magnifico Lorenzo, 
i primi dieci dialoghi erano stati offerti a Cosimo padre della patria, 
simbolo vivente della convergenza di saggezza e potenza, i nove 
seguenti a Piero di Cosimo, e a Federico d'Urbino Il Politico. La lunga 
imponente fatica, ricostruita dal Kristeller con dottrina esemplare, è 
largamente documentata. Ficino aveva cominciato il lavoro nel 1463, 
appena finita la versione dei testi ermetici; era arrivato in fondo fra il 
‘68 e il '69. Poi vi era tornato su a lungo, mentre attendeva alla Theo- 
logia platonica — quasi intrecciando le fila delle due opere, in verità due 
solo in apparenza, visto che la Theologia è spesso una sorta di com- 
mento perpetuo alla sua lettura dei platonici di cui si alimenta senza 
posa, integrando e approfondendo le altre scritture volte a chiosare 
e illustrare le pagine del ‘divino’ Platone. Solo nel 1482 aveva con- 
sentito una circolazione manoscritta della traduzione. Nell'84, final- 
mente, la stampa fiorentina riaprì all'Europa l’accesso all’altro sommo 
maestro dell'antichità, offrendo una possibilità di scelta in un mondo 
ancora tutto aristotelico, almeno sul piano dell'insegnamento ufficia- 
le delle discipline filosofico-scientifiche. Con insistenza Ficino torna a 
presentare un ambiente ‘scolastico’ tutto peripatetico: totus enim ferme 
terrarum orbis a Peripateticis occupatus; e ancora: Peripatetici, id est phi- 
losophi pene omnes. Proprio in questa cultura da secoli aristotelica — e 
sia pure divisa fra aristotelismi di vario tipo — si fa ora avanti Platone 
a riaprire un dialogo e un confronto dialettico: un Platone nuovo e 
quasi rinato — dum Plato noster quasi renasceretur.? 

Senonché proprio qui si pone allo storico l'esigenza di far luce su 
questo Platone ficiniano, finalmente completo, certo, ma così deci- 
samente orientato, così di parte - e in una prospettiva nettamente 
caratterizzata. La grandezza di Ficino, infatti, è proprio qui: nell'ave- 
re parlato lungo i secoli, nell'avere influito in un orientamento ben 
definito, ma attraverso Platone e i Platonici, quasi senza apparire mai 
in prima persona. La sua voce si è identificata con quella dei suoi 
autori - ma prestando loro un timbro che era tutto suo, imponendo 


IO) 


una chiave di lettura che, essa pure, era tutta sua: con l'accento posto 
sul Simposio e la filosofia dell'amore, sul Parmenide interpretato da 
Proclo, e sull'Uno, sulla necessaria integrazione plotiniana di Plato- 
ne, perché Plotino non è altro che Platone che sotto la maschera di 
Plotino dice quello che non aveva scritto nei suoi dialoghi (Platonem 
ipsum sub Plotini persona loguentem); sulle radici ermetiche e caldaiche 
del platonismo, perché è dalla prisca theologia che la pia philosophia 
scaturisce, spogliandola da ogni velo (theologiam velaminibus enudavit) 
e penetrando i misteri degli antichi (arcana veterum). 

Per tutto questo, parlare del ritorno di quel Platone è parlare di 
Ficino, ossia di quella straordinaria biblioteca di pensatori che egli 
mise insieme, illustrò e commentò e impose in una precisa interpre- 
tazione della tradizione filosofica, del nesso filosofia-religione, del 
filosofo sacerdote e mago, in un grande progetto di riforma spirituale 
per la riunificazione dell'umanità intera. Solo chi metta in evidenza 
il tono ficiniano - magari con qualche venatura pichiana - del Pla- 
tone rinato, potrà intendere nella sua giusta luce il significato della 
presenza platonica in Occidente nell'età moderna, ma anche divenire 
consapevole delle peculiarità - e dei limiti — di quel Platone, e della 
sua penetrazione così sottilmente tendenziosa. 

Per non piccola parte, sul piano filosofico, almeno nelle origini, il 
moto di rinnovamento culturale che puntava sul ritorno degli antichi 
si era caratterizzato in un richiamo costante a Platone — a quel Platone 
che, a differenza di Aristotele, era rimasto quasi del tutto inaccessibile, 
almeno nelle opere originali, al mondo latino. Eccettuato, infatti, il 
Timeo, e non tutto, i dialoghi, o non erano stati tradotti, o quando, 
in minima parte, lo furono, non circolarono. Certo, mediatamente, la 
tematica neoplatonica era stata ben presente, e in molte combinazio- 
ni; ma non Platone negli originali, anche se nella Città di Dio si poteva 
leggere il caldo elogio a cui anche Ficino si richiamerà nel presentare 
la sua Theologia: «Aureliana auctoritate fretus - dirà - summa in genus 
humanum caritate adductus, Platonis ipsius simulacrum quoddam, 
christianae veritati simillimum, exprimere statui». 

Agostino, infatti, aveva indicato in Platone l'interlocutore filoso- 
fico privilegiato per una meditazione sul cristianesimo - lui e i plato- 
nici di cui faceva i nomi: Plotino, Giamblico, Porfirio, per non dire di 
Ermete e dell'Asclepius, largamente utilizzato proprio nel medesimo 


IO) 


libro VIII della Città di Dio. Ad Agostino si era rifatto Petrarca quando 
aveva guardato con tanto desiderio al suo bel codice greco di Platone, 
a lui precluso dalla lingua ignota, ma venerato come uno scrigno di 
inesplorati tesori di verità. 

E tuttavia il Platone più cercato, tradotto e amato nel primo Quat- 
trocento, quello su cui più si era appuntata l’attenzione degli ‘uma- 
nisti’, non era stato questo - o, almeno, non completamente questo. 
Non era stato, insomma, il Platone che aveva generato Plotino, e di 
cui Plotino - come amava asserire il grande Marsilio — era stato l'in- 
terprete, bensì l’altro, radicato in Socrate, nella vita e nel dramma di 
Socrate: la giustizia, le leggi, lo Stato, e gli umani discorsi. Leonar- 
do Bruni, il traduttore forse più significativo prima di Ficino, a cui 
il Ficino attinse largamente fino dai suoi primi passi platonici, la cui 
versione parziale del Fedro oggi sappiamo quanto avesse presente nel- 
lo stendere il De divino furore; appunto il Bruni aveva cominciato il 
suo itinerario platonico col Critone, col Fedone, con l'Apologia, con il 
Gorgia. Sul Critone si era impegnato due volte. Fra il 1397 e il 1404 ne 
aveva trascritto il testo greco insieme a quello del Fedone.? È, insom- 
ma, un complesso di problemi diversi quello che lo travaglia, e il suo 
Platone non è quello di Ficino: è, se mai, una sorta di prologo in terra 
di un discorso destinato a finire nell’iperuranio - sono i problemi lin- 
guistici del Cratilo piuttosto che quelli dialettici del Parmenide, la cui 
interpretazione ficiniana così esasperatamente ontologica e teologica, 
e tutta dominata da Proclo, perfino Pico rimprovererà a Ficino. 

Sullo sfondo dell'opera del Bruni, se mai, c'era il primo insegna- 
mento fiorentino del Crisolora con la fortuna della Repubblica, le sue 
varie traduzioni, revisioni e vicende ancora da studiare, e che dovreb- 
bero trovare posto in un Plato Latinus esteso almeno fino a metà del 
Quattrocento, se si voglia veramente documentare la vicenda del testo 
platonico prima di Ficino. 

Comunque non è certo questo il momento di insistere sulla circo- 
lazione, l'uso e la fortuna della Repubblica nel Quattrocento, sui pro- 
blemi che pone per quell’ansia di uno Stato razionale, per quel sogno 
di utopia, per quel disegno di una città guidata dal nocchiero esperto e 
non dalla ciurma ubriaca. Problemi e temi tanto diversi da quelli che 
verranno prevalendo nella seconda metà del secolo, dopo l'avvio delle 
grandi polemiche fra platonici e aristotelici, ma anche delle grandi 


IO) 


speranze unitarie che fecero seguito al Concilio dell'unità fra Greci e 
Latini, concluso a Firenze, e del quale non si può tacere a proposito 
di Platone e di Ficino. 

Quanto a Ficino, è lui stesso che con forza ha collegato l'opera 
sua con la presenza dei Greci a Firenze, e soprattutto con l’influen- 
za di Giorgio Gemisto Pletone, disegnando una storia molto netta, e 
inquadrando il proprio pensiero e la propria attività in un programma 
culturale e religioso tanto preciso quanto singolare. Una questione, 
infatti, è la veridicità storica del racconto che egli fa circa gli incontri 
di Cosimo il vecchio col filosofo e riformatore bizantino, e il progetto 
che Cosimo ne avrebbe derivato di restaurare l'Accademia e la tradi- 
zione platonica; tutt'altra questione è, invece, il significato che quel 
racconto viene ad assumere nella prospettiva delle reali iniziative di 
Cosimo, a cominciare dal dono a Marsilio dello splendido codice di 
tutto Platone, proprio in questa occasione finalmente ritrovato.' Va 
aggiunto, anzi, che l'evidente inverosimiglianza trasforma il racconto 
in un manifesto. In altri termini, Ficino consapevolmente, e inten- 
zionalmente, rivendica una continuità ideale col Pletone, e precisa 
un programma di riforma della filosofia che, data la sua concezione 
del rapporto fra filosofia e religione, fra magistero filosofico e sacer- 
dozio, non può non essere a un tempo progetto di riforma religiosa. 
Per questo il proemio a Plotino, indirizzato a Lorenzo - siamo, ed è 
importante, nel ‘90 - è un documento essenziale: si tratta dell'inter- 
pretazione autentica che dell’opera sua Ficino fa in un preciso quadro 
filosofico-religioso. 

Innanzitutto, di proposito, Ficino circonda gli avvenimenti di cui 
parla di un alone soprannaturale di coincidenze miracolose, di influs- 
si astrali (siamo, non si dimentichi, nei tempi della composizione 
del libro terzo del De vita, nell'atmosfera magica e astrologica che lo 
avvolge e lo genera). Proprio il giorno della pubblicazione del Platone 
latino —- racconta Ficino - arriva a Firenze Giovanni Pico della Miran- 
dola che lo esorta a tradurre subito Plotino facendosi interprete, senza 
saperlo, della volontà di Cosimo ormai scomparso da tempo. A sua 
volta Cosimo era stato ispirato da Gemisto che, quasi Platonem alte- 
rum, de mysteriis Platonicis disputantem, frequenter audivit. Esecutore del 
progetto di rinascita spirituale allora concepito, Cosimo aveva scelto 
un bambino (me adhuc puerum tanto operi destinavit): il futuro medico 


IO) 


10 


delle anime era il figlio di un eccellente medico dei corpi, del suo 
medico Diotefeci, padre della carne, mentre lui, Cosimo, era il padre 
dello spirito (Ego sacerdos minimus, patres habui duos, Ficinum medicum 
Cosmus medicen. Ex illo natus |[...], ex isto renatus). 

A dir vero, tutti i personaggi chiamati in causa meritano una sot- 
tolineatura, a cominciare dal maggiore e più compromettente: Gemi- 
sto. A Firenze, al Concilio, il Pletone, lo ricorderà lui stesso nel fuoco 
delle polemiche suscitate dal suo libretto sul confronto fra Platone e 
Aristotele, aveva trovato ascoltatori di eccezione. Con loro, almeno a 
sentire i pettegolezzi dei maligni, si era abbandonato con arditezza 
provocatoria a fare propaganda per quella riforma politico-religiosa 
che aveva cercato in qualche modo di avviare nel despotato di Morea. 
Partendo dalla celebrazione del Sole unico dio supremo, circonda- 
to dai principi razionali della realtà divinizzati (i theoi loghioi); dalla 
esaltazione di uno Stato platonico secondo ragione; dall'idea di una 
tradizione di sapienza antichissima presente da Zoroastro ai platonici, 
capace di unificare il genere umano - Gemisto giungeva ad opporre, 
alla concezione aristotelica del mondo e dell’uomo, un'altra visione 
dell'umano e del divino. Era una visione pervasa da un senso unitario 
della realtà e della vita universale del cosmo, in cui venivano a con- 
vergere elementi disparati di varia origine, ma che venivano da lui 
presentati come ‘platonici’. 

Il suo Platone è appunto in questa tradizione derivata da Zoroastro, 
dagli Oracoli, dai Pitagorici, dagli Egizi, dai Cabalisti: una tradizione 
di filosofia religiosa; una gnosi, falsificata e corrotta da Aristotele che, 
«dominato dalla vanità volle divenire capo di una setta personale, tur- 
bando e corrompendo i principi della vera filosofia tramandati da Pla- 
tone, a cui erano giunti dalla lontananza dei tempi». Orbene, ciò che 
più colpisce, e sorprende, in Ficino, è la sua insistenza nel voler col- 
legare la propria ‘missione’ di sacerdote cristiano della pia philosophia 
all'anticristiano Pletone, facendo risalire a lui e al suo insegnamento, 
non solo la difesa della tradizione dei prisci theologi, e dell'aurea cate- 
na dei platonici (compreso l'imperatore Giuliano), ma il progetto di 
Cosimo di una restaurazione dell’Accademia a Firenze. Del singolare 
proemio a Plotino sono da sottolineare tutte le espressioni: Cosimo 
che non una volta sola, ma spesso (frequenter) ascolta Gemisto che 
parla de mysteriis; che ne è ispirato, iniziato (afflatus, animatus); Cosi- 


IO) 


ll 


mo che sceglie il bambino predestinato, a cui, domani, farà tradurre, 
come prologo a Platone, Ermete, nel ‘63, in una connessione fra erme- 
tismo e platonismo tipica di una certa gnosi.* 

D'altra parte, e anche questo va sottolineato, Ficino aveva colloca- 
to molto presto il suo Platone in tale prospettiva: Platone è da sempre 
il filosofo che porta a compimento ed esprime in forma piena l'antica 
teologia. Nel '57, come è stato dimostrato dalle ricerche di Sebastiano 
Gentile, quando ancora attingeva solo a fonti latine, Ficino univa al 
Platone tradotto dal Bruni l'ermetismo attinto all’Asclepius con quella 
splendida immagine della ‘sapientia’ «come uno immenso specchio, 
nel quale le similitudini di tutte le cose risplendono». Nel ‘74, nel 
De Christiana religione - ossia nella sua professione di fede per l'in- 
gresso nel sacerdozio — scrive con grande chiarezza: «la prisca teolo- 
gia dei gentili, nella quale concordano Zoroastro, Mercurio, Orfeo, 
Aglaofemo e Pitagora, è tutta raccolta nei libri del nostro Platone. E 
nelle epistole Platone annuncia (vaticinatur) che alla fine, dopo molti 
secoli, tali misteri si sarebbero potuti svelare agli uomini [...]. Quanto 
a me, ho trovato che i più grandi misteri di Numenio, Filone, Ploti- 
no, Giamblico, Proclo, erano stati tratti da Giovanni, Paolo, Jeroteo, 
Dionigi Areopagita». Qualche mese prima Ficino aveva voluto essere 
ordinato sacerdote proprio per riaffermare la convergenza sostenuta 
dagli antichi teologi fra la vera filosofia, il sacerdozio e la religione, 
contro il loro divorzio, fonte di superstizione e di peccato (superstitio / 
malitia). Da sacerdote cristiano, dentro la Chiesa, egli voleva avviare il 
rinnovamento dottrinale. 

Nell'89-90 quando Ficino concludeva il Plotino e lo offriva a 
Lorenzo, erano passati ormai circa quindici anni dalla scelta sacerdo- 
tale; eppure non solo confermava, ma ribadiva la sua interpretazione 
di Platone, il suo rapporto col Pletone, la sua visione della pia philoso- 
phia. Sono date da non dimenticare. L'ermetismo, dopo la traduzione 
ficiniana, era dilagato in Italia, diventando sì una moda, ma dimo- 
strando anche di rispondere a profonde esigenze reali: non era soltan- 
to il gusto egizio trionfante, ma soprattutto una gnosi con forti accenti 
antropocentrici («e Dio disse: ‘facciamo l'uomo a nostra immagine 
e somiglianza’»).° Negli anni stessi in cui Ficino si faceva soldato di 
Cristo serpeggiava per l’Italia un tentativo un po' folle di predicazione 
ermetica, ricollegabile attraverso l’ermetico Lazzarelli al pio Marsilio. 


IO) 


12 


La Domenica delle Palme dell'84 Giovanni da Correggio organizzava 
una manifestazione pubblica a Roma; nell'86 a Firenze, esposto in 
ceppi per ordine dell'Inquisitore, nonostante la protezione di Loren- 
zo, tentava il suicidio. Sono gli anni della inquieta presenza del Pico 
fra Roma e Firenze, della sua infatuazione per la cabala allora scoper- 
ta, e anch'essa una forma di gnosi; sono gli anni del suo commento 
a una canzone d'amore del Benivieni in cui entra in gara, e a volte 
polemizza, col commento ficiniano al Simposio; sono gli anni della 
disputa romana per la pace filosofica e la ‘dignità’ dell'uomo - con i 
sospetti di magia e la condanna. È significativo che nell'89-90 Ficino, 
presentando Plotino, si ricolleghi al Pico, e ne faccia addirittura il 
soprannaturale veicolo delle volontà del defunto Cosimo, quando si 
sapeva dei sospetti e delle critiche romane all'Heptaplus, e mentre era 
ancora viva l'accusa di magia per il De vita.” È una vicenda affascinan- 
te, che svela tutta la complessità dell'operazione in cui si colloca il 
Platone latino del Ficino, e mostra la densità di quegli anni 80 per la 
storia, non solo della cultura filosofica ma della vita religiosa e poli- 
tica di un centro come Firenze (dove, non dimentichiamolo, per l'in- 
tervento del Pico operava ormai anche Savonarola). Il Platone dell’84, 
e subito il Plotino presentato come Platone medesimo che dice le 
cose non dette ed esplica i suoi misteri col volto di Plotino, sono 
ben più che libri celebri, o meri fatti culturali. Nell'87 Plotino è letto 
pubblicamente a Santa Maria degli Angeli, in chiesa. La lettera del 7 
dicembre di quell’anno del generale dei Camaldolensi Pietro Delfin, 
volta a manifestare il suo stupore sdegnato al priore Guido Lorenzi, è 
un documento importante che dobbiamo al Kristeller. Entrato nella 
‘casa degli angeli’ (domus Angelorum) il Delfin aveva visto i sedili del 
coro occupati da laici, l'oratorio mutato in un ginnasio (oratorium in 
gymnasium mutatum), il posto assegnato al sacerdote per celebrare la 
messa, presso l’altare, preso da un philosophus; invece delle preghiere e 
delle salmodie, una scuola per secolari.8 

Che il philosophus fosse Ficino, e che stesse facendo lezione su Plo- 
tino, giustamente suppose il Kristeller. Ma ciò che forse colpisce di 
più è che a questo Plotino letto in chiesa, e presentato come la voce 
stessa di Platone, Ficino, fra l'86 e l'89, intrecci scritti di Porfirio e 
Psello, e, soprattutto, il de sacrificio et magia di Proclo e il de mysteriis 
di Giamblico, inter Academicos cognomento divinus et magnus ibi sacer- 


IO) 


13 


dos. Il volume de mysteriis et alia, stampato la prima volta da Aldo 
nel settembre del 1497, e diffuso largamente nell'Europa del 500 in 
edizioncine ‘tascabili’ variamente confezionate, ma includenti spesso 
il Pimandro e l'Asclepio (e talora affiancate dal De vita), ci aiuta non 
poco a capire cosa sia stato veramente il platonismo che, mediatore 
Ficino, penetrò nella vita spirituale di un'epoca, con tutta la carica 
riformatrice della sua ispirazione gnostica. Così come un'analisi rav- 
vicinata degli eleganti volumetti lionesi del Platone ficiniano, con i 
compendi, le epitomi e gli argumenta Marsilii, ci fa cogliere i contesti, 
le prospettive, i veicoli, attraverso cui circolò lungamente in Europa 
quel Platone ‘teologo’, collocato fra Ermete e Plotino. 

Se il primo Quattrocento aveva visto in Platone la ricerca libera 
e aperta, il dialogo senza fine con sé e con gli altri, la critica socratica 
dei concetti, l'analisi spietata dei pregiudizi, la dialettica instancabile, 
la fondazione dei valori morali e politici, le leggi e la giustizia, e lo 
Stato secondo ragione, magari in Utopia, il Platone che trionfò con 
Ficino fu altra cosa, anche se dette voce a istanze profonde della cul- 
tura contemporanea, riuscendo a penetrarne tutti gli aspetti: dalle arti 
alle scienze, dalla politica al costume. Incarnò l'ideale della missione 
sacerdotale e riformatrice del filosofo, fu l'espressione esemplare di 
una tradizione filosofico-religiosa unitaria dalle origini remote. L'uni- 
tà del tutto, l'armonia universale, la centralità dell'uomo, l’animazio- 
ne e la vita del cosmo, l’amore e la bellezza, la musica dei mondi, la 
pace religiosa fra i popoli: tutti i grandi temi e le aspirazioni di una 
stagione eccezionale della civiltà si possono ritrovare nel platonismo 
ficiniano — ivi compresi i numeri e le forme matematiche come princì- 
pi regolatori del mondo fisico. Quel Platone è davvero il solenne mae- 
stro che nella Scuola d'Atene prende il posto di Aristotele per indicare, 
al di là del mondo naturale, un altro livello della realtà, più profondo 
e più vero. Forse non è il nostro Platone, ma è, certo, anch'esso, Pla- 
tone. 


14 


NOTE 


1 P.O. KrisreLer, The First Printed Edition of Plato's Works and the Date of its Publication, in Science and 
History, Studies in Honor of Edward Rosen («Studia Copernicana», XVI, 1978), pp. 25-35. Sull'edizione 
cfr. Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, Mostra di manoscritti stampe e documenti (17 maggio-16 
giugno 1984), Catalogo a cura di S. GentILE, S. Niccou, P. Viti, Firenze 1984, pp. 117-119. 

? Sulle traduzioni platoniche, i commenti e gli ‘argomenti’, è da vedere sempre il Supplementum 
ficinianum del KristeLLER (Firenze 1937, I, pp. cxvi e sgg., CXLVII-CLVII). La seconda edizione del Pla- 
tone latino, uscita a Venezia nell'estate del 1491, reca insieme la Theologia platonica, nella seconda 
edizione. 

3 Cfr. E. Berni, Il ‘Critone’ latino di Leonardo Bruni e di Rinuccio Aretino, Firenze 1983. 

4 Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, Catalogo cit., n. 22 (a cura di S. GenmiLE), pp. 28-31. 

5 Non può non colpire il fatto che nei testi della ‘biblioteca’ di Nag Hammadi le pagine dell'Asclepius 
si incontrino con quelle del VI libro della Repubblica di Platone (The Hag Hammadi Library in English, 
Translated into English under the Editorship of J. M. RoBInsoN, Leiden 1977, pp. 290-291, 300-307). 
Come si vede, il nesso Platone-Ermete è molto antico. 

5 Sull’Anthropos gnostico, che senza dubbio costituisce lo sfondo lontano di certi temi rinascimen- 
tali, cfr. G. Filoramo, L'attesa della fine. Storia della gnosi, Roma-Bari 1983, p. 139 e sgg. 

” Nell'89, al tempo della pubblicazione dell'Heptaplus e del De vita la vicinanza fra Ficino e Pico, pro- 
prio a proposito delle simpatie ‘magiche’, sembra notevole. Ed è il momento in cui il ‘pio’ Marsilio 
si vanta di avere lucidamente compendiato Picatrix (il ‘diabolico’ libro di magia, posseduto anche 
dal Pico) nel terzo libro del De vita. In una lettera per Filippo Valori, dettata a un discepolo del Poli- 
ziano, e solo di recente scoperta e pubblicata (D. DeLcoRNO BRANCA, Un discepolo del Poliziano: Michele 
Acciari, «Lettere Italiane», 28, 1976, pp. 470-471), Ficino avvertiva l’amico, curioso di Picatrix, e di 
opere simili: «eadem singula fortasse melius, compendiosius certe lucidiusque, legantur in illo ipso 
libro quem de vita inscripsit, quem quidem si diligentissime volveris, nihil aut a Picatrice illo aut 
ab alio scriptore aliquo desiderabis». Probabilmente a quel periodo allude la tarda testimonianza 
contenuta in una lettera di Girolamo Benivieni del marzo 1514: «La buona memoria del Conte 
Giovanni de la Mirandola cercò uno tempo insieme con Marsilio Ficino in agro Caregio et altrove 
di coniungere per mezo de la magia naturale et in virtù della dottrina cabalistica con certe loro 
observationi, orationi et profumi, la mente con Dio, fare miracoli et prophetare» (P. O. KRISTELLER, 
Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1969°, pp. 171-172). 

8 P. O. KrisreLLeRr, Supplementum Ficinianum cit., II, pp. 233-234 (cfr. J. ScHNITZER, Peter Delfin General 
des Camaldulenserordens. 1444-1525, Minchen 1926). 


microstudi 1 

Federico Canaccini e Paolo Pirillo 
La campana del Palazzo Pretorio 
Aprile 2008 


microstudi 2 

Miles Chappell e Antonio Natali 
Il Cigoli a Figline 

Luglio 2008 

microstudi 3 

Paolo Pirillo e Andrea Zorzi 

Il castello, il borgo e la piazza 
Settembre 2008 


microstudi 4 

Michele Ciliberto 

Marsilio Ficino e il platonismo rinascimentale 
Maggio 2009 


microstudi 5 

Paul Oskar Kristeller 

Marsilio Ficino e la sua opera cinquecento anni dopo 
Luglio 2009 

microstudi 6 

Eugenio Garin 


Marsilio Ficino e il ritorno di Platone 
Settembre 2009 


Di prossima pubblicazione: 


Bruno Bonatti 
Luigi Bolis. Uno dei Mille 


Roberto Contini 
Un pittore senza quadri e un quadro senza autore in San Pietro al Terreno 


Giancarlo Gentilini 
A Parigi “in un carro di vino”: furti di robbiane nel Valdarno 


Giulio Prunai 
Noretelle sul breve dei sarti di Figline del 1234 


Pietro Santini 
1198: il giuramento di fedeltà degli uomini di Figline al Comune di Firenze 


Cesare Vasoli 
Marsilio Ficino 


Finito di stampare in Figline Valdarno 
nel mese di settembre 2009 


IO) 


microstudi 6 
Collana diretta da Antonio Natali e Paolo Pirillo 


Grafica: Auro Lecci : Stampa: Tipografia Bianchi

No comments:

Post a Comment