CITTÀ DI FIGLINE VALDARNO | ASSESSORATO ALLA CULTURA
EUGENIO GARIN MARSILIO FICINO MR KTORNO DI PLATONE 1) Figline fi della i : i Maida d ai ca PAU a < bal * SA MICROSTUDI 6 pri EUGENIO GARIN MARSILIO FICINO E IL RITORNO DI PLATONE Premessa Per ricordare il 500° anniversario della traduzione ficiniana di Platone, L'Isti- tuto Nazionale di Studi sul Rinascimento in collaborazione con l'Istituto Ita- liano per gli Studi Filosofici e il Comune di Figline Valdarno organizzò, dal 15 al 18 maggio 1984, un Convegno Internazionale di Studi che ebbe come sedi Napoli, Firenze e Figline. Nella giornata inaugurale, il 15 maggio a Napoli in palazzo Serra di Cassano, Eugenio Garin (1909-2004) della Scuola Normale Superiore di Pisa tenne il discorso di apertura dal titolo Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Il contributo raccolto nel 1986 dall'Istituto Nazionale di Studi sul Rinasci- mento nel primo dei due volumi della serie dei suoi “Studi e Testi”, Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, curato da Gian Carlo Garfagnini per i tipi di Leo Olschki editore (pp. 3-13), viene oggi riproposto grazie alla concessione alla riproduzione del Presidente dell'Istituto Nazio- nale di Studi sul Rinascimento, Michele Ciliberto. Marsilio Ficino e il ritorno di Platone Qualche anno fa, per l'esattezza nel 1978, in un saggio che apriva il volume XVI degli Studia Copernicana, offerto dall'Accademia Polacca delle Scienze a un dotto di cose copernicane, Edward Rosen, il mag- giore studioso di Marsilio Ficino, Paul O. Kristeller, ebbe a illustrare le vicende e i caratteri della prima edizione a stampa di tutto Platone tra- dotto in latino, fissandone con sicura precisione la data, sottolinean- do la rilevanza dell'evento, e suggerendo un qualche solenne ricordo di un fatto materiale destinato a incidere così profondamente, lungo mezzo millennio, sullo spirito dell'Occidente: dalle scienze alle arti figurative, dalla politica alla teologia.! Chi volesse sfruttare al massi- mo il valore simbolico assunto dalle pagine del Kristeller in apertura di quel solenne volume copernicano, sarebbe tentato di dire che il ritorno di tutto Platone nel mondo latino può essere davvero inter- pretato come una rivoluzione filosofica e religiosa che si fa preludio alla rivoluzione astronomica e scientifica in senso pieno. «Lo spirito di lui vivente nei suoi scritti [migrò] da Bisanzio a Firenze» — scrisse Ficino nel proemio a Cosimo il vecchio della versione dei primi dieci dialoghi: era una rinascita - dum Plato quasi renasceretur — la cui eco era destinata a raggiungere alcuni dei momenti più alti della meditazione filosofica dell'età romantica. Nel diario della Stamperia di San Jacopo di Ripoli si può leggere che il 25 gennaio 1484 Filippo Valori e Francesco Berlinghieri, finan- ziatori della stampa, stipulavano un primo accordo col ‘venerabile frate' Domenico da Pistoia, direttore della stamperia, e con Lorenzo Veneto suo socio —- accordo integrato nel febbraio. L'edizione, in due tomi di 566 carte complessive, fu compiuta, con l'introduzione, nel settembre — e con tanti errori tipografici che richiesero ben 14 carte di emendationes, e che provocarono non pochi lamenti del Ficino. Il qua- le, come sottolineava nella praefatio ad lectorem, aveva, invece, avuto cura di sottoporre la versione, argumenta e commentaria compresi, alla IO) revisione di censores di altissimo livello: il Calcondila ateniese, «attico per nascita non meno che per lingua e pensiero»; Giorgio Antonio Vespucci e Giovan Battista Boninsegni. Si era valso inoltre, lungo tutto il lavoro, del ‘severo giudizio’ (acerrimo iudicio) del dottissimo Angelo Poliziano, nonché dei consigli di Cristoforo Landino e di Bartolomeo Scala. Se l'opera nel suo insieme era dedicata al Magnifico Lorenzo, i primi dieci dialoghi erano stati offerti a Cosimo padre della patria, simbolo vivente della convergenza di saggezza e potenza, i nove seguenti a Piero di Cosimo, e a Federico d'Urbino Il Politico. La lunga imponente fatica, ricostruita dal Kristeller con dottrina esemplare, è largamente documentata. Ficino aveva cominciato il lavoro nel 1463, appena finita la versione dei testi ermetici; era arrivato in fondo fra il ‘68 e il '69. Poi vi era tornato su a lungo, mentre attendeva alla Theo- logia platonica — quasi intrecciando le fila delle due opere, in verità due solo in apparenza, visto che la Theologia è spesso una sorta di com- mento perpetuo alla sua lettura dei platonici di cui si alimenta senza posa, integrando e approfondendo le altre scritture volte a chiosare e illustrare le pagine del ‘divino’ Platone. Solo nel 1482 aveva con- sentito una circolazione manoscritta della traduzione. Nell'84, final- mente, la stampa fiorentina riaprì all'Europa l’accesso all’altro sommo maestro dell'antichità, offrendo una possibilità di scelta in un mondo ancora tutto aristotelico, almeno sul piano dell'insegnamento ufficia- le delle discipline filosofico-scientifiche. Con insistenza Ficino torna a presentare un ambiente ‘scolastico’ tutto peripatetico: totus enim ferme terrarum orbis a Peripateticis occupatus; e ancora: Peripatetici, id est phi- losophi pene omnes. Proprio in questa cultura da secoli aristotelica — e sia pure divisa fra aristotelismi di vario tipo — si fa ora avanti Platone a riaprire un dialogo e un confronto dialettico: un Platone nuovo e quasi rinato — dum Plato noster quasi renasceretur.? Senonché proprio qui si pone allo storico l'esigenza di far luce su questo Platone ficiniano, finalmente completo, certo, ma così deci- samente orientato, così di parte - e in una prospettiva nettamente caratterizzata. La grandezza di Ficino, infatti, è proprio qui: nell'ave- re parlato lungo i secoli, nell'avere influito in un orientamento ben definito, ma attraverso Platone e i Platonici, quasi senza apparire mai in prima persona. La sua voce si è identificata con quella dei suoi autori - ma prestando loro un timbro che era tutto suo, imponendo IO) una chiave di lettura che, essa pure, era tutta sua: con l'accento posto sul Simposio e la filosofia dell'amore, sul Parmenide interpretato da Proclo, e sull'Uno, sulla necessaria integrazione plotiniana di Plato- ne, perché Plotino non è altro che Platone che sotto la maschera di Plotino dice quello che non aveva scritto nei suoi dialoghi (Platonem ipsum sub Plotini persona loguentem); sulle radici ermetiche e caldaiche del platonismo, perché è dalla prisca theologia che la pia philosophia scaturisce, spogliandola da ogni velo (theologiam velaminibus enudavit) e penetrando i misteri degli antichi (arcana veterum). Per tutto questo, parlare del ritorno di quel Platone è parlare di Ficino, ossia di quella straordinaria biblioteca di pensatori che egli mise insieme, illustrò e commentò e impose in una precisa interpre- tazione della tradizione filosofica, del nesso filosofia-religione, del filosofo sacerdote e mago, in un grande progetto di riforma spirituale per la riunificazione dell'umanità intera. Solo chi metta in evidenza il tono ficiniano - magari con qualche venatura pichiana - del Pla- tone rinato, potrà intendere nella sua giusta luce il significato della presenza platonica in Occidente nell'età moderna, ma anche divenire consapevole delle peculiarità - e dei limiti — di quel Platone, e della sua penetrazione così sottilmente tendenziosa. Per non piccola parte, sul piano filosofico, almeno nelle origini, il moto di rinnovamento culturale che puntava sul ritorno degli antichi si era caratterizzato in un richiamo costante a Platone — a quel Platone che, a differenza di Aristotele, era rimasto quasi del tutto inaccessibile, almeno nelle opere originali, al mondo latino. Eccettuato, infatti, il Timeo, e non tutto, i dialoghi, o non erano stati tradotti, o quando, in minima parte, lo furono, non circolarono. Certo, mediatamente, la tematica neoplatonica era stata ben presente, e in molte combinazio- ni; ma non Platone negli originali, anche se nella Città di Dio si poteva leggere il caldo elogio a cui anche Ficino si richiamerà nel presentare la sua Theologia: «Aureliana auctoritate fretus - dirà - summa in genus humanum caritate adductus, Platonis ipsius simulacrum quoddam, christianae veritati simillimum, exprimere statui». Agostino, infatti, aveva indicato in Platone l'interlocutore filoso- fico privilegiato per una meditazione sul cristianesimo - lui e i plato- nici di cui faceva i nomi: Plotino, Giamblico, Porfirio, per non dire di Ermete e dell'Asclepius, largamente utilizzato proprio nel medesimo IO) libro VIII della Città di Dio. Ad Agostino si era rifatto Petrarca quando aveva guardato con tanto desiderio al suo bel codice greco di Platone, a lui precluso dalla lingua ignota, ma venerato come uno scrigno di inesplorati tesori di verità. E tuttavia il Platone più cercato, tradotto e amato nel primo Quat- trocento, quello su cui più si era appuntata l’attenzione degli ‘uma- nisti’, non era stato questo - o, almeno, non completamente questo. Non era stato, insomma, il Platone che aveva generato Plotino, e di cui Plotino - come amava asserire il grande Marsilio — era stato l'in- terprete, bensì l’altro, radicato in Socrate, nella vita e nel dramma di Socrate: la giustizia, le leggi, lo Stato, e gli umani discorsi. Leonar- do Bruni, il traduttore forse più significativo prima di Ficino, a cui il Ficino attinse largamente fino dai suoi primi passi platonici, la cui versione parziale del Fedro oggi sappiamo quanto avesse presente nel- lo stendere il De divino furore; appunto il Bruni aveva cominciato il suo itinerario platonico col Critone, col Fedone, con l'Apologia, con il Gorgia. Sul Critone si era impegnato due volte. Fra il 1397 e il 1404 ne aveva trascritto il testo greco insieme a quello del Fedone.? È, insom- ma, un complesso di problemi diversi quello che lo travaglia, e il suo Platone non è quello di Ficino: è, se mai, una sorta di prologo in terra di un discorso destinato a finire nell’iperuranio - sono i problemi lin- guistici del Cratilo piuttosto che quelli dialettici del Parmenide, la cui interpretazione ficiniana così esasperatamente ontologica e teologica, e tutta dominata da Proclo, perfino Pico rimprovererà a Ficino. Sullo sfondo dell'opera del Bruni, se mai, c'era il primo insegna- mento fiorentino del Crisolora con la fortuna della Repubblica, le sue varie traduzioni, revisioni e vicende ancora da studiare, e che dovreb- bero trovare posto in un Plato Latinus esteso almeno fino a metà del Quattrocento, se si voglia veramente documentare la vicenda del testo platonico prima di Ficino. Comunque non è certo questo il momento di insistere sulla circo- lazione, l'uso e la fortuna della Repubblica nel Quattrocento, sui pro- blemi che pone per quell’ansia di uno Stato razionale, per quel sogno di utopia, per quel disegno di una città guidata dal nocchiero esperto e non dalla ciurma ubriaca. Problemi e temi tanto diversi da quelli che verranno prevalendo nella seconda metà del secolo, dopo l'avvio delle grandi polemiche fra platonici e aristotelici, ma anche delle grandi IO) speranze unitarie che fecero seguito al Concilio dell'unità fra Greci e Latini, concluso a Firenze, e del quale non si può tacere a proposito di Platone e di Ficino. Quanto a Ficino, è lui stesso che con forza ha collegato l'opera sua con la presenza dei Greci a Firenze, e soprattutto con l’influen- za di Giorgio Gemisto Pletone, disegnando una storia molto netta, e inquadrando il proprio pensiero e la propria attività in un programma culturale e religioso tanto preciso quanto singolare. Una questione, infatti, è la veridicità storica del racconto che egli fa circa gli incontri di Cosimo il vecchio col filosofo e riformatore bizantino, e il progetto che Cosimo ne avrebbe derivato di restaurare l'Accademia e la tradi- zione platonica; tutt'altra questione è, invece, il significato che quel racconto viene ad assumere nella prospettiva delle reali iniziative di Cosimo, a cominciare dal dono a Marsilio dello splendido codice di tutto Platone, proprio in questa occasione finalmente ritrovato.' Va aggiunto, anzi, che l'evidente inverosimiglianza trasforma il racconto in un manifesto. In altri termini, Ficino consapevolmente, e inten- zionalmente, rivendica una continuità ideale col Pletone, e precisa un programma di riforma della filosofia che, data la sua concezione del rapporto fra filosofia e religione, fra magistero filosofico e sacer- dozio, non può non essere a un tempo progetto di riforma religiosa. Per questo il proemio a Plotino, indirizzato a Lorenzo - siamo, ed è importante, nel ‘90 - è un documento essenziale: si tratta dell'inter- pretazione autentica che dell’opera sua Ficino fa in un preciso quadro filosofico-religioso. Innanzitutto, di proposito, Ficino circonda gli avvenimenti di cui parla di un alone soprannaturale di coincidenze miracolose, di influs- si astrali (siamo, non si dimentichi, nei tempi della composizione del libro terzo del De vita, nell'atmosfera magica e astrologica che lo avvolge e lo genera). Proprio il giorno della pubblicazione del Platone latino —- racconta Ficino - arriva a Firenze Giovanni Pico della Miran- dola che lo esorta a tradurre subito Plotino facendosi interprete, senza saperlo, della volontà di Cosimo ormai scomparso da tempo. A sua volta Cosimo era stato ispirato da Gemisto che, quasi Platonem alte- rum, de mysteriis Platonicis disputantem, frequenter audivit. Esecutore del progetto di rinascita spirituale allora concepito, Cosimo aveva scelto un bambino (me adhuc puerum tanto operi destinavit): il futuro medico IO) 10 delle anime era il figlio di un eccellente medico dei corpi, del suo medico Diotefeci, padre della carne, mentre lui, Cosimo, era il padre dello spirito (Ego sacerdos minimus, patres habui duos, Ficinum medicum Cosmus medicen. Ex illo natus |[...], ex isto renatus). A dir vero, tutti i personaggi chiamati in causa meritano una sot- tolineatura, a cominciare dal maggiore e più compromettente: Gemi- sto. A Firenze, al Concilio, il Pletone, lo ricorderà lui stesso nel fuoco delle polemiche suscitate dal suo libretto sul confronto fra Platone e Aristotele, aveva trovato ascoltatori di eccezione. Con loro, almeno a sentire i pettegolezzi dei maligni, si era abbandonato con arditezza provocatoria a fare propaganda per quella riforma politico-religiosa che aveva cercato in qualche modo di avviare nel despotato di Morea. Partendo dalla celebrazione del Sole unico dio supremo, circonda- to dai principi razionali della realtà divinizzati (i theoi loghioi); dalla esaltazione di uno Stato platonico secondo ragione; dall'idea di una tradizione di sapienza antichissima presente da Zoroastro ai platonici, capace di unificare il genere umano - Gemisto giungeva ad opporre, alla concezione aristotelica del mondo e dell’uomo, un'altra visione dell'umano e del divino. Era una visione pervasa da un senso unitario della realtà e della vita universale del cosmo, in cui venivano a con- vergere elementi disparati di varia origine, ma che venivano da lui presentati come ‘platonici’. Il suo Platone è appunto in questa tradizione derivata da Zoroastro, dagli Oracoli, dai Pitagorici, dagli Egizi, dai Cabalisti: una tradizione di filosofia religiosa; una gnosi, falsificata e corrotta da Aristotele che, «dominato dalla vanità volle divenire capo di una setta personale, tur- bando e corrompendo i principi della vera filosofia tramandati da Pla- tone, a cui erano giunti dalla lontananza dei tempi». Orbene, ciò che più colpisce, e sorprende, in Ficino, è la sua insistenza nel voler col- legare la propria ‘missione’ di sacerdote cristiano della pia philosophia all'anticristiano Pletone, facendo risalire a lui e al suo insegnamento, non solo la difesa della tradizione dei prisci theologi, e dell'aurea cate- na dei platonici (compreso l'imperatore Giuliano), ma il progetto di Cosimo di una restaurazione dell’Accademia a Firenze. Del singolare proemio a Plotino sono da sottolineare tutte le espressioni: Cosimo che non una volta sola, ma spesso (frequenter) ascolta Gemisto che parla de mysteriis; che ne è ispirato, iniziato (afflatus, animatus); Cosi- IO) ll mo che sceglie il bambino predestinato, a cui, domani, farà tradurre, come prologo a Platone, Ermete, nel ‘63, in una connessione fra erme- tismo e platonismo tipica di una certa gnosi.* D'altra parte, e anche questo va sottolineato, Ficino aveva colloca- to molto presto il suo Platone in tale prospettiva: Platone è da sempre il filosofo che porta a compimento ed esprime in forma piena l'antica teologia. Nel '57, come è stato dimostrato dalle ricerche di Sebastiano Gentile, quando ancora attingeva solo a fonti latine, Ficino univa al Platone tradotto dal Bruni l'ermetismo attinto all’Asclepius con quella splendida immagine della ‘sapientia’ «come uno immenso specchio, nel quale le similitudini di tutte le cose risplendono». Nel ‘74, nel De Christiana religione - ossia nella sua professione di fede per l'in- gresso nel sacerdozio — scrive con grande chiarezza: «la prisca teolo- gia dei gentili, nella quale concordano Zoroastro, Mercurio, Orfeo, Aglaofemo e Pitagora, è tutta raccolta nei libri del nostro Platone. E nelle epistole Platone annuncia (vaticinatur) che alla fine, dopo molti secoli, tali misteri si sarebbero potuti svelare agli uomini [...]. Quanto a me, ho trovato che i più grandi misteri di Numenio, Filone, Ploti- no, Giamblico, Proclo, erano stati tratti da Giovanni, Paolo, Jeroteo, Dionigi Areopagita». Qualche mese prima Ficino aveva voluto essere ordinato sacerdote proprio per riaffermare la convergenza sostenuta dagli antichi teologi fra la vera filosofia, il sacerdozio e la religione, contro il loro divorzio, fonte di superstizione e di peccato (superstitio / malitia). Da sacerdote cristiano, dentro la Chiesa, egli voleva avviare il rinnovamento dottrinale. Nell'89-90 quando Ficino concludeva il Plotino e lo offriva a Lorenzo, erano passati ormai circa quindici anni dalla scelta sacerdo- tale; eppure non solo confermava, ma ribadiva la sua interpretazione di Platone, il suo rapporto col Pletone, la sua visione della pia philoso- phia. Sono date da non dimenticare. L'ermetismo, dopo la traduzione ficiniana, era dilagato in Italia, diventando sì una moda, ma dimo- strando anche di rispondere a profonde esigenze reali: non era soltan- to il gusto egizio trionfante, ma soprattutto una gnosi con forti accenti antropocentrici («e Dio disse: ‘facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza’»).° Negli anni stessi in cui Ficino si faceva soldato di Cristo serpeggiava per l’Italia un tentativo un po' folle di predicazione ermetica, ricollegabile attraverso l’ermetico Lazzarelli al pio Marsilio. IO) 12 La Domenica delle Palme dell'84 Giovanni da Correggio organizzava una manifestazione pubblica a Roma; nell'86 a Firenze, esposto in ceppi per ordine dell'Inquisitore, nonostante la protezione di Loren- zo, tentava il suicidio. Sono gli anni della inquieta presenza del Pico fra Roma e Firenze, della sua infatuazione per la cabala allora scoper- ta, e anch'essa una forma di gnosi; sono gli anni del suo commento a una canzone d'amore del Benivieni in cui entra in gara, e a volte polemizza, col commento ficiniano al Simposio; sono gli anni della disputa romana per la pace filosofica e la ‘dignità’ dell'uomo - con i sospetti di magia e la condanna. È significativo che nell'89-90 Ficino, presentando Plotino, si ricolleghi al Pico, e ne faccia addirittura il soprannaturale veicolo delle volontà del defunto Cosimo, quando si sapeva dei sospetti e delle critiche romane all'Heptaplus, e mentre era ancora viva l'accusa di magia per il De vita.” È una vicenda affascinan- te, che svela tutta la complessità dell'operazione in cui si colloca il Platone latino del Ficino, e mostra la densità di quegli anni 80 per la storia, non solo della cultura filosofica ma della vita religiosa e poli- tica di un centro come Firenze (dove, non dimentichiamolo, per l'in- tervento del Pico operava ormai anche Savonarola). Il Platone dell’84, e subito il Plotino presentato come Platone medesimo che dice le cose non dette ed esplica i suoi misteri col volto di Plotino, sono ben più che libri celebri, o meri fatti culturali. Nell'87 Plotino è letto pubblicamente a Santa Maria degli Angeli, in chiesa. La lettera del 7 dicembre di quell’anno del generale dei Camaldolensi Pietro Delfin, volta a manifestare il suo stupore sdegnato al priore Guido Lorenzi, è un documento importante che dobbiamo al Kristeller. Entrato nella ‘casa degli angeli’ (domus Angelorum) il Delfin aveva visto i sedili del coro occupati da laici, l'oratorio mutato in un ginnasio (oratorium in gymnasium mutatum), il posto assegnato al sacerdote per celebrare la messa, presso l’altare, preso da un philosophus; invece delle preghiere e delle salmodie, una scuola per secolari.8 Che il philosophus fosse Ficino, e che stesse facendo lezione su Plo- tino, giustamente suppose il Kristeller. Ma ciò che forse colpisce di più è che a questo Plotino letto in chiesa, e presentato come la voce stessa di Platone, Ficino, fra l'86 e l'89, intrecci scritti di Porfirio e Psello, e, soprattutto, il de sacrificio et magia di Proclo e il de mysteriis di Giamblico, inter Academicos cognomento divinus et magnus ibi sacer- IO) 13 dos. Il volume de mysteriis et alia, stampato la prima volta da Aldo nel settembre del 1497, e diffuso largamente nell'Europa del 500 in edizioncine ‘tascabili’ variamente confezionate, ma includenti spesso il Pimandro e l'Asclepio (e talora affiancate dal De vita), ci aiuta non poco a capire cosa sia stato veramente il platonismo che, mediatore Ficino, penetrò nella vita spirituale di un'epoca, con tutta la carica riformatrice della sua ispirazione gnostica. Così come un'analisi rav- vicinata degli eleganti volumetti lionesi del Platone ficiniano, con i compendi, le epitomi e gli argumenta Marsilii, ci fa cogliere i contesti, le prospettive, i veicoli, attraverso cui circolò lungamente in Europa quel Platone ‘teologo’, collocato fra Ermete e Plotino. Se il primo Quattrocento aveva visto in Platone la ricerca libera e aperta, il dialogo senza fine con sé e con gli altri, la critica socratica dei concetti, l'analisi spietata dei pregiudizi, la dialettica instancabile, la fondazione dei valori morali e politici, le leggi e la giustizia, e lo Stato secondo ragione, magari in Utopia, il Platone che trionfò con Ficino fu altra cosa, anche se dette voce a istanze profonde della cul- tura contemporanea, riuscendo a penetrarne tutti gli aspetti: dalle arti alle scienze, dalla politica al costume. Incarnò l'ideale della missione sacerdotale e riformatrice del filosofo, fu l'espressione esemplare di una tradizione filosofico-religiosa unitaria dalle origini remote. L'uni- tà del tutto, l'armonia universale, la centralità dell'uomo, l’animazio- ne e la vita del cosmo, l’amore e la bellezza, la musica dei mondi, la pace religiosa fra i popoli: tutti i grandi temi e le aspirazioni di una stagione eccezionale della civiltà si possono ritrovare nel platonismo ficiniano — ivi compresi i numeri e le forme matematiche come princì- pi regolatori del mondo fisico. Quel Platone è davvero il solenne mae- stro che nella Scuola d'Atene prende il posto di Aristotele per indicare, al di là del mondo naturale, un altro livello della realtà, più profondo e più vero. Forse non è il nostro Platone, ma è, certo, anch'esso, Pla- tone. 14 NOTE 1 P.O. KrisreLer, The First Printed Edition of Plato's Works and the Date of its Publication, in Science and History, Studies in Honor of Edward Rosen («Studia Copernicana», XVI, 1978), pp. 25-35. Sull'edizione cfr. Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, Mostra di manoscritti stampe e documenti (17 maggio-16 giugno 1984), Catalogo a cura di S. GentILE, S. Niccou, P. Viti, Firenze 1984, pp. 117-119. ? Sulle traduzioni platoniche, i commenti e gli ‘argomenti’, è da vedere sempre il Supplementum ficinianum del KristeLLER (Firenze 1937, I, pp. cxvi e sgg., CXLVII-CLVII). La seconda edizione del Pla- tone latino, uscita a Venezia nell'estate del 1491, reca insieme la Theologia platonica, nella seconda edizione. 3 Cfr. E. Berni, Il ‘Critone’ latino di Leonardo Bruni e di Rinuccio Aretino, Firenze 1983. 4 Marsilio Ficino e il ritorno di Platone, Catalogo cit., n. 22 (a cura di S. GenmiLE), pp. 28-31. 5 Non può non colpire il fatto che nei testi della ‘biblioteca’ di Nag Hammadi le pagine dell'Asclepius si incontrino con quelle del VI libro della Repubblica di Platone (The Hag Hammadi Library in English, Translated into English under the Editorship of J. M. RoBInsoN, Leiden 1977, pp. 290-291, 300-307). Come si vede, il nesso Platone-Ermete è molto antico. 5 Sull’Anthropos gnostico, che senza dubbio costituisce lo sfondo lontano di certi temi rinascimen- tali, cfr. G. Filoramo, L'attesa della fine. Storia della gnosi, Roma-Bari 1983, p. 139 e sgg. ” Nell'89, al tempo della pubblicazione dell'Heptaplus e del De vita la vicinanza fra Ficino e Pico, pro- prio a proposito delle simpatie ‘magiche’, sembra notevole. Ed è il momento in cui il ‘pio’ Marsilio si vanta di avere lucidamente compendiato Picatrix (il ‘diabolico’ libro di magia, posseduto anche dal Pico) nel terzo libro del De vita. In una lettera per Filippo Valori, dettata a un discepolo del Poli- ziano, e solo di recente scoperta e pubblicata (D. DeLcoRNO BRANCA, Un discepolo del Poliziano: Michele Acciari, «Lettere Italiane», 28, 1976, pp. 470-471), Ficino avvertiva l’amico, curioso di Picatrix, e di opere simili: «eadem singula fortasse melius, compendiosius certe lucidiusque, legantur in illo ipso libro quem de vita inscripsit, quem quidem si diligentissime volveris, nihil aut a Picatrice illo aut ab alio scriptore aliquo desiderabis». Probabilmente a quel periodo allude la tarda testimonianza contenuta in una lettera di Girolamo Benivieni del marzo 1514: «La buona memoria del Conte Giovanni de la Mirandola cercò uno tempo insieme con Marsilio Ficino in agro Caregio et altrove di coniungere per mezo de la magia naturale et in virtù della dottrina cabalistica con certe loro observationi, orationi et profumi, la mente con Dio, fare miracoli et prophetare» (P. O. KRISTELLER, Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1969°, pp. 171-172). 8 P. O. KrisreLLeRr, Supplementum Ficinianum cit., II, pp. 233-234 (cfr. J. ScHNITZER, Peter Delfin General des Camaldulenserordens. 1444-1525, Minchen 1926). microstudi 1 Federico Canaccini e Paolo Pirillo La campana del Palazzo Pretorio Aprile 2008 microstudi 2 Miles Chappell e Antonio Natali Il Cigoli a Figline Luglio 2008 microstudi 3 Paolo Pirillo e Andrea Zorzi Il castello, il borgo e la piazza Settembre 2008 microstudi 4 Michele Ciliberto Marsilio Ficino e il platonismo rinascimentale Maggio 2009 microstudi 5 Paul Oskar Kristeller Marsilio Ficino e la sua opera cinquecento anni dopo Luglio 2009 microstudi 6 Eugenio Garin Marsilio Ficino e il ritorno di Platone Settembre 2009 Di prossima pubblicazione: Bruno Bonatti Luigi Bolis. Uno dei Mille Roberto Contini Un pittore senza quadri e un quadro senza autore in San Pietro al Terreno Giancarlo Gentilini A Parigi “in un carro di vino”: furti di robbiane nel Valdarno Giulio Prunai Noretelle sul breve dei sarti di Figline del 1234 Pietro Santini 1198: il giuramento di fedeltà degli uomini di Figline al Comune di Firenze Cesare Vasoli Marsilio Ficino Finito di stampare in Figline Valdarno nel mese di settembre 2009 IO) microstudi 6 Collana diretta da Antonio Natali e Paolo Pirillo Grafica: Auro Lecci : Stampa: Tipografia Bianchi


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